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l at i in tutte le altre

i guerre, perdeva-
perde
solo contro Tegeati. 2. Ancor
no
prima, tra quasi tutti i
Creci, erano stati gli
dpartani ad avere presso di sé leggi peggio-
non intrattenevano
l, e
rapporti con gli stranieri. Passarono a un
buon ordinamento in tal modo: Licurgo, uomo illustre tra
gli <
Spartiati, si recò a Delti, per l'oracolo; appena entrò nei penetra-
i, subito la Pizia gli disse così:
«Sei giunto, o Licurgo, al mio ricco tempio,
tu caro a Zeus tutti coloro che abitano le dimore
e a

Dubito se proclamarti dio o uomo; [dell'Olimpo.


ma credo piuttosto un dio, o Licurgo».
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Licurgo e la grande retra

1. Licurgo si preoccupò della gherusia a tal punto da portare da Delfi un oracolo che
lo riguardava e che chiamano retra. 2. Eccone il testo: Eretto un tempio a Zeus Sillanio
e Atena Sillania, organizzate le phylai e ordinate le obai, istituito un consiglio di trenta
anziani, compresi gli archagetai, di tempo in tempo tenere le apellai tra Babica e il
Cnacione; così presentare le proposte e togliere le sedute, e all’assemblea del popolo
vittoria e potere. 3. In questa formula le espressioni ‘organizzare le phylai’ e ‘ordinare
le obai’ significano dividere e distribuire il popolo in gruppi, denominati gli uni phylai
e gli altri obai, archagetai sono detti i re, e ‘tenere le apellai’ è tenere l’assemblea,
perché Licurgo fece risalire al dio pitico, Apollo il principio e l’origine della sua
costituzione.
Plut., Lyc., 6, 2

L’agogé spartana

1. ...Tra gli altri Greci, dunque, coloro che sostengono di educare in modo eccellente i
propri figli, non appena questi comprendono le cose dette, immediatamente impongono
loro dei pedagoghi-schiavi e poi li mandano nelle scuole ad apprendere lettere, musica
e attività di palestra. Oltre a tutto ciò, confortano i loro piedi con calzature e rendono
effeminati i loro corpi col cambio delle vesti: considerano poi il loro stomaco come
misura del nutrimento.
2. Ma Licurgo, invece di permettere che ciascuno individualmente imponesse dei
pedagoghi-schiavi (ai propri figli), incaricò di occuparsene un uomo scelto tra i
cittadini ai quali erano affidate le cariche più alte: questi era chiamato pedonomo. A
lui diede il potere incondizionato di radunarli e di sorvegliarli e di punirli severamente
se qualcuno di essi sbagliava. Gli diede inoltre dei fustigatori scelti tra i giovani
affinché infliggessero il castigo quando fosse necessario: cosicché a Sparta si può
vedere molto rispetto e molta ubbidienza.
7. ... Licurgo li educò così avendo chiaramente come scopo precipuo quello di rendere
i fanciulli più abili a procurarsi ciò che fosse loro necessario e più pronti a combattere.
10. E poi, affinché i fanciulli, in assenza del pedonomo, non rimanessero senza guida,
stabilì che uno tra i cittadini che si trovava sempre presente avesse potere su di loro e
potesse ordinare ai fanciulli ciò che a lui sembrava opportuno e potesse punirli se
sbagliavano. Facendo ciò ottenne anche che i fanciulli fossero più rispettosi: (a Sparta)
non ci si meraviglia se fanciulli ed uomini adulti abbiano rispetto tutti, allo stesso
modo, dei loro capi.
11. E affinché i fanciulli non rimangano senza guida nel caso in cui non ci sia nessun
cittadino presente, stabilì che il più intelligente degli ireni fosse guida di ciascuna ila:
così i fanciulli non sono mai senza guida.
Xen., Const. Lac., II, 1 ss.
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doppia; e siano onorati in questo stesso modo quando sono invitati a pranzo da privati.
4. Essi custodiscano le profezie ricevute, ma le conoscano anche i Pizii. I re rendano
giustizia da soli unicamente in questi casi: sulla figlia unica ereditiera, a chi debba
andare sposa, se il padre non l’ha promessa, e sulle vie pubbliche. 5. E se qualcuno
vuole adottare un figlio, lo faccia davanti ai re. Assistano i geronti quando prendono
consiglio, che sono parenti più stretti, abbiano le prerogative dei re, deponendo due
voti e come terzo il proprio.
58.1. Questo viene concesso ai re mentre sono in vita dalla comunità degli Spartati e
questo quando sono morti: dei cavalieri vanno in giro annunciando l’accaduto per tutta
la Laconia, mentre in città sono donne ad andare tutto intorno percuotendo lebeti. E
quando questo avvenga, è necessario che per ogni famiglia due liberi, un uomo e una
donna, si tingano in segno di lutto; per chi non lo fa sono previste grandi pene. 2. I
Lacedemoni per le morti del re hanno le stesse usanze dei barbari dell’Asia; infatti la
maggior parte dei barbari pratica questa stessa usanza per le morti dei re. Quando
muore un re dei Lacedemoni è obbligo che da tutta la Laconia, oltre agli Spartiati,
vadano al funerale un certo numero di perieci. 3. Perciò, quando sono riuniti in uno
stesso luogo molte migliaia di costoro e di iloti e di Spartiati stessi, insieme con le
donne si percuotono il volto con violenza e si abbandonano a lamenti senza fine,
dicendo ogni volta che l’ultimo re, quello scomparso, era stato il migliore. Quando poi
un re muore in guera, ne fanno una statua che portano alla sepoltura in una bara ben
adorna. Dopo averlo sepolto, per dieci giorni non c’è l’assemblea né ci si raduna per
l’elezione di magistrati, ma durante questi giorni osservano il lutto.
59.1. Anche in quest’altro concordano con i Persiani. Quando, morto il re, diviene re
un altro, colui che subentra libera qualunque Spartiata da quanto doveva al re o al tesoro
pubblico. Anche fra i Persiani il re eletto condona a tutte le città il tributo arretrato.
Hdt., VI, 52, 56-59

13. Intendo ora passare all’esame del potere e degli onori che Licurgo ha riservato al
re in campo militare. In primo luogo, durante le campagne militari, è la città che
provvede al mantenimento del re e del suo stato maggiore: sono compagni di tenda e
di mensa del re i polemarchi, in modo che la costante presenza favorisca le migliori
decisioni comuni in caso di necessità; compagni del re sono anche tre altri
rappresentanti degli Eguali, incaricati di fornire tutti i servizi necessari allo scopo di
liberare re e polemarchi da qualsiasi contrattempo che li distolga dalle operazioni di
guerra. Ma per ricapitolare dall’inizio, voglio spiegare secondo quali procedure il re
muova dalla città con l’esercito. Per prima cosa, ancora a Sparta, offre un sacrificio a
Zeus condottiero e alle divinità che gli sono associate; qualora i presagi di questo
sacrificio siano favorevoli, il sacerdote ‘portatore di fuoco’ prende il fuoco sacro
dall’altare e apre la marcia fino ai confini della regione: qui il re celebra un altro
sacrificio in onore di Zeus e di Atena. Solo quando da entrambe queste divinità
giungano segni favorevoli il re oltrepassa la frontiera: guida la marcia il fuoco rituale
sempre acceso che proviene da questi sacrifici, seguono animali di ogni genere
destinati a far da vittime sacrificali. Tutte le volte che celebra un sacrificio, il re dà
inizio al rito prima dell’alba, con l’intenzione di assicurarsi la benevolenza divina in
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anticipo rispetto ai nemici. Al sacrificio presenziano i polemarchi, i comandanti di


battaglione e gli ufficiali responsabili delle compagnie di cinquanta uomini, i
comandanti dei contingenti stranieri e quelli delle salmerie, infine chiunque lo desideri
tra gli strateghi delle città alleate. Sono presenti anche i due efori, i quali non
interferiscono assolutamente, a meno di una richiesta precisa del re: osservano però la
condotta di ognuno e ottengono che tutti si comportino nel modo più decoroso e
adeguato alle circostanze. Terminato il rito sacro, il re chiama tutti a rapporto e
impartisce gli ordini: davanti ad un tale spettacolo saresti portato a credere che tutti gli
altri siano solo degli improvvisatori in materia militare e che i Lacedemoni invece siano
gli unici ad essere dei veri professionisti dell’arte della guerra.
Quando il re conduce l’esercito in marcia, se il nemico non è in vista, nessuno marcia
davanti a lui ad eccezione degli Sciriti e degli esploratori a cavallo; quando invece si
ritiene imminente la battaglia, il re prende la testa del primo reggimento e fa una
conversione a destra, fino a trovarsi fra due reggimenti e due polemarchi. Le truppe
che devono prendere posizione subito dopo sono al comando del più anziano tra i
membri dello stato maggiore: questo è composto dagli Eguali che condividono tenda e
pasti col re, da indovini e medici e suonatori di flauto, dai comandanti dell’esercito e,
talvolta, da alcuni volontari...
Quando sembra giunto il momento di accamparsi, la decisione spetta al re, come pure
l’indicazione del posto dove dovrà sorgere l’accampamento; tra le prerogative del re
non rientra invece l’invio di ambasciatori né in paesi alleati né in paesi ostili. Ogni
iniziativa è sottoposta in prima istanza all’autorità del re. Se qualcuno si presenta per
chiedere giustizia, il re lo indirizza al tribunale degli Ellanodici; se invece avanza
richieste di denaro, lo indirizza ai tesorieri; infine, se tratta della consegna della preda,
lo indirizza agli ufficiali addetti al bottino. Secondo questa prassi al re in guerra non
spetta che questa duplice funzione: di sacerdote per quanto concerne gli dei e di campo
militare per quanto concerne gli uomini.
15. Voglio però ancora descrivere la natura dei patti stabiliti da Licurgo tra il re e la
città, perché la carica regia è l’unica ad aver conservato inalterate le prerogative
originarie; quanto alle altre istituzioni, si può vedere che hanno subito alterazioni e che
il processo di cambiamento è ancora in corso. Licurgo ha stabilito che il re debba
celebrare in nome della città tutti i sacrifici pubblici, nella sua qualità di discendente
dalla divinità, e che debba guidar l’esercito dovunque la città lo destini. Al re ha
accordato anche il diritto di prelievo di parte delle carni degli animali sacrificati, così
come il diritto di scegliere in numerose città dei Perieci porzioni di terra che gli
consentano di non essere privo di rendite convenienti pur senza eccedere in ricchezze.
Allo scopo di estendere anche ai re i modi della vita comunitaria, Licurgo assegnò loro
a spese pubbliche una tenda per i pasti in comune e concesse il privilegio di una duplice
razione per pasto, non perché mangiassero il doppio, ma perché, se volevano rendere
onore a qualcuno, avessero a disposizione di che farlo immediatamente. Ha inoltre
concesso a ciascuno di loro il diritto di scegliersi due compagni di mensa che ricevono
l’appellativo di Pizii. Infine ha accordato loro il privilegio di prelevare da ogni figliata
di scrofa un porcellino, in modo che un re non sia mai sprovvisto di vittime sacre
qualora abbia bisogno di rivolgersi agli dei per cercare consiglio. Nei pressi della loro
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dimora un laghetto fornisce acqua in abbondanza; che anche uno specchio d’acqua
torni utile per più aspetti, ben sanno soprattutto coloro che non ne hanno a disposizione.
Quando un re fa la sua comparsa tutti si alzano dai seggi, ad eccezione degli efori che
restano seduti sui loro scranni ufficiali. Ogni mese si rinnova sotto giuramento un patto
reciproco tra gli efori a nome della città e il re a titolo personale. Il re giura di regnare
in modo conforme alle leggi stabilite della città, la quale a sua volta giura di mantenere
inalterato il potere legale a patto che il re rimanga fedele ai propri giuramenti. Questi
sono dunque gli onori che a Sparta si accordano al re in vita: essi non sono di molto
superiori a quelli riservati ai privati cittadini, perché Licurgo non volle far nascere nei
re atteggiamenti mentali da tiranni né generare nei cittadini invidia e odio verso il
potere. Quanto agli onori riservati ad un re dopo la morte, l’intenzione delle leggi di
Licurgo è di mostrare con essi che i re spartani ricevono onori eccezionali non come
uomini ma come eroi.
Xen., Lac. Pol., 13 e 15

Il ruolo delle donne

2. Non è vero che Licurgo, come afferma Aristotele, dopo essersi accinto a rendere
morigerate le donne, desistette, non riuscendo a vincerne la sfrenata licenza e il
predominio sugli uomini di cui godevano a causa delle frequenti spedizioni militari dei
mariti, durante le quali erano costretti a lasciarle padrone, e per questo le ossequiavano
più di quanto fosse opportuno e le chiamavano signore; anzi Licurgo si occupò per
quanto possibile anche di loro. 3. Egli esercitò i corpi delle fanciulle con corse, lotte e
lanci del disco e del giavellotto, in modo che da un lato i loro figli, ricevendo fin dal
principio una radice robusta in corpi robusti, crescessero meglio, e dall’altro esse,
sopportando con vigore i parti, lottassero decorosamente e facilmente contro le doglie.
4. Eliminando ogni forma di mollezza, di educazione sedentaria e di femminilità,
abituò le ragazze non meno dei ragazzi a partecipare nude alle processioni e a danzare
e cantare in occasione di certe feste religiose, alla presenza e sotto gli sguardi dei
giovani. 5. Talvolta le ragazze lanciavano frizzi e criticavano con garbo le mancanze
che essi commettevano, e viceversa cantavano gli encomi in versi dei meritevoli,
infondendo nei giovinetti grande ambizione e spirito di emulazione... 7. D’altra parte
la nudità delle fanciulle non aveva nulla di indecoroso, poiché era presente la pudicizia
e mancava la sensualità, anzi la nudità formava in loro l’abitudine alla semplicità e
l’emulazione nella prestanza fisica. Anche il sesso femminile conosceva un nobile
sentimento, pensando di poter essere partecipe, come gli uomini, della virtù e della
gloria. 8. Così alle donne accadeva di dire e di pensare cose come quelle che si
attribuiscono a Gorgo, moglie di Leonida. Quando una donna, evidentemente una
straniera, le disse: «Voi sole, spartane, comandate agli uomini.», replicò «Noi sole
infatti generiamo uomini!».
Plut., Lyc., 14, 2-8
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Xenelasia a Sparta

Ma anche nelle esercitazioni della guera noi (scil. gli Ateniesi) differiamo dai nemici
per i seguenti motivi. Offriamo la nostra città in comune a tutti, né avviene che qualche
volta con la cacciata degli stranieri noi impediamo a qualcuno di imparare o di vedere
qualcosa (mentre un nemico che potesse vedere una certa cosa, quando non fosse
nascosta, ne trarrebbe un vantaggio). Ché la nostra fiducia è posta più nell’audacia che
mostriamo verso l’azione (audacia che deriva da noi stessi), che nei preparativi di
difesa e negli inganni...
Thuc., II, 39, 1

Se io analizzo le usanze greche e le confronto a queste non saprei proprio lodarle, sia
quelle degli Spartani sia dei Tebani sia degli Ateniesi, in sommo grado orgogliosi per
la loro saggezza. Costoro infatti, col salvaguardare la nobiltà della loro origine e col
non concedere a nessuno, oppure a pochi, la cittadinanza (e non parliamo poi di alcuni
che addirittura scacciano chi è straniero), non ricavarono nulla di buono da siffatta
vanagloria, avendone anzi i peggiori danni.
Dion. Hal., Ant. Rom., II, 17, 1

7. Licurgo espelleva dalla città gli stranieri che vi si ammassavano e vi confluivano


senza esercitarvi alcuna attività: il motivo non era, come dice Tucidide, il timore che
essi diventassero imitatori del suo ordinamento politico e apprendessero qualche
insegnamento utile per raggiungere la virtù, ma piuttosto perché non fossero maestri di
qualche vizio. 8. Infatti, insieme con persone straniere, è inevitabile che entrino idee
straniere: e idee nuove portano con sé modi nuovi di giudicare le cose. Da tutto ciò è
inevitabile che nascano molte passioni, e propositi discordanti dall’ordinamento
politico esistente, che è come un’harmonia. 9. Per questo Licurgo riteneva necessario
vigilare affinché la città non fosse contaminata dai cattivi costumi piuttosto che dalle
malattie infettive portatevi da stranieri.
Plut., Lyc., 27, 7-9

Gli efori

1. Nonostante Licurgo fosse riuscito ad armonizzare in tal modo le diverse componenti


del sistema politico, i suoi successori, notando che l’oligarchia era ancora intatta e
potente, e si mostrava intemperante e sdegnosa, come dice Platone, le imposero, come
freno, il potere degli efori. I primi efori, Elato e i suoi colleghi, entrarono in carica circa
centotrenta anni dopo Licurgo, sotto il regno di Teopompo. 2. Si racconta anzi che
costui, rimproverato dalla moglie perché avrebbe consegnato ai figli un potere minore
di quello che egli aveva ricevuto, rispose: «Maggiore, invece, in quanto più duraturo».
3. In realtà, infatti, il potere regio, perdendo i suoi eccessi, evitò, insieme con l’invidia,
il rischio di patire ciò che i Messeni e gli Argivi inflissero ai loro re, che non avevano
voluto in nulla cedere o allentare il loro potere in funzione del popolo. 4. E questo
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soprattutto rese evidente la saggezza e la previdenza di Licurgo, se si considerano le


sommosse e il malgoverno che afflissero i ceti popolari e i re Messeni e Argivi,
nonostante fossero della stessa razza e confinanti.
Plut., Lyc., 7, 1-4

Le riforme di Agide IV e Cleomene III (III sec. a.C.)

8.1. Agide ottenne che fosse nominato eforo Lisandro e subito, per mezzo di lui,
presentò ai geronti una retra, i cui punti fondamentali erano l’abolizione dei debiti e la
divisione della terra. Il territorio compreso fra il burrone di Pellene ed il Taigeto, Malea
e Sellasia sarebbe stato diviso in quattromilacinquecento lotti, mentre quello all’esterno
di tali limiti avrebbe fornito quindicimila lotti. 2. Questi ultimi sarebbero stati assegnati
ai perieci in grado di portare le armi, mentre quelli all’interno sarebbero stati distribuiti
agli stessi Spartiati, 3. il cui numero sarebbe stato completato con perieci e stranieri
che, dotati di un’educazione liberale ed inoltre di buona costituzione fisica, fossero nel
fiore dell’età. 4. Gli Spartiati sarebbero stati ripartiti in quindici fidizi di quattrocento
o duecento membri ed avrebbero seguito il regime di vita degli antenati.

10. 6. Finché dunque gli efori, aggiunse Cleomene, si erano comportati con
moderazione, era stato preferibile sopportarli; ma quando si erano serviti di un’autorità
usurpata per distruggere il potere tradizionale, giungendo al punto di scacciare alcuni
re, di farne perire altri senza giudizio e di minacciare quanti desideravano rivedere a
Sparta la più bella e la più divina delle costituzioni, la situazione era divenuta
intollerabile. 7. Se fosse stato possibile eliminare senza spargimento di sangue quelle
piaghe di Sparta venute dall’esterno, la dissolutezza, il lusso, i debiti, l’usura e quei
mali ancora più antichi, la povertà e la ricchezza, egli si sarebbe considerato il più
fortunato di tutti i re, d’avere, come un medico, guarito la patria senza dolore... 11.
Quanto a tutti gli altri, dichiarò che metteva loro in comune tutte le terre, che cancellava
i debiti e che avrebbe provveduto a un esame e a una scelta degli stranieri, in modo che
i migliori, divenuti Spartiati, proteggessero con le armi la città «e che noi cessiamo –
concluse – di veder la Laconia preda degli Etoli e degli Illiri per mancanza di
difensori». 11. 1. Quindi Cleomene per primo mise in comune i suoi beni..., 2. assegnò
un lotto anche a ciascuno di quelli che aveva esiliati e promise di richiamarli tutti non
appena la situazione fosse tornata tranquilla. 3. Completò poi il corpo civico con i
migliori fra i perieci, costituì un corpo di quattromila opliti... Passò quindi ad occuparsi
dell’educazione dei giovani e di quella che è detta l’agogé. 4 . In ciò fu aiutato
principalmente da Sfero, che si trovava a Sparta. In breve tempo, venne ristabilito
l’ordinamento appropriato dei ginnasi e dei sissizi; pochi vi si rassegnarono per
necessità, mentre i più si conformarono volentieri alla semplicità spartana di quel
regime. 5. Tuttavia, per dar migliore apparenza al nome di monarchia, proclamò re
insieme a lui suo fratello Euclida; fu quella la sola volta che gli Spartiati ebbero due re
della stessa casata.
Plut., Agis, 8; Cleom., 10, 6 ss.
di Leobota, Te aegli
degil Spar
Spartia
rtia-
S. Appena infatti ne assunse la tutela, riformò tutte le leg
t1.
oi e fece attenzione a che
non si trasgredissero.
Licurgo poi creò
le unità di trenta uomini e
le istituzioni militari, le unità giurate,
le mense comuni, inoltre gli etori e i geronti.
Can an1este riforme essi ricevettero in huon ordina

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