Sei sulla pagina 1di 11

SONETTO (regolare)

METRO RITMO
- numero di versi (14) - scelta effettiva degli accenti obbligatori
- misura dei vv. (endecasillabi) - scelta effettiva di schemi rimici
- segmentazione in 2 quartine e 2 terzine - rapporto tra unità sintattiche e metriche
attraverso lo schema delle RIME - rapporto tra suoni, ecc.

ENDECASILLABO
(ultimo accento cade sulla decima sillaba)

- a minore (quinario + settenario/senario) con accenti di 4 a – 8 (7) a – 10a

5 tronco + 7 mi ritrovài4 | per ù6na sè8lva ˆoscù10ra

Odo stormìr4 | tra què6ste pia8nte, io quello


Immensità4 | s'annè6ga il pensier mi8o:
E il naufragàr4 | m'è dò6lce in que8sto mare.

5 piano + 7 sin voi ch’ascoltà4te | ˆin ri6me spà8rse il suò10no


di quei sospì4ri | ˆond’io6 nudrì8va ’l cò10re

Vo comparàn4do: | ˆe mi sovviè8n l'etè10rno,

5 piano + 6 in sul mio prì4mo | gio6venì8le erro10re

E questa siè4pe, | che da ta8nta pà10rte

- a majore (7 + 5) con accenti di 2 a, 3 (4) a – 6 a − 10 a

7 tronco + 5 nel mè2zzo del cammìn6 | di no8stra vi10ta


E vì2va, e il suon di lèi6. | Così8 tra que10sta
sempre cà3ro mi fù6 | quest’è8rmo co10lle

7 piano + 5 sin Dell'u2ltimo orizzo6nte | ˆil gua8rdo esclu10de.


Ma sede3ndo e mira6ndo, | ˆintermina10ti
Spazi di là4 da que6lla, | ˆe sovruma10ni
Io nel pensie4r mi fi6ngo; | ˆove per po10co
Il cor2 non si spau6ra. | ˆ E co8me il ve10nto
E le mo3rte stagio6ni, | ˆ e la prese10nte

7 piano + 4 Non so cò3me stremà6ta | tu resi10sti

7 sdrucciolo + 3 Silè2nzi, e profondi6ssima | quïe10te


“libertà” ritmica

a) Figure metriche (sinalefe, dialefe)

Dell-ul-ti-moo-riz-zon-teil-guar-doe-sclude [11
Dell-ul-ti-mo-o-riz-zon-te-il-guar-do-e-sclu-de [14

squillano,ˆimmensaˆarpa sonora,ˆal vento [11 vs 14

b) Scontro tra accento metrico e accento grammaticale

Immensità4 | s'annè6ga il pensier mi8o:


E il naufragàr4 | m'è dò6lce in questo mare.

Ma sede3ndo e mira6ndo, | ˆintermina10ti


Spazi di là4 da que6lla, | ˆe sovruma10ni
Silè2nzi, e profondi6ssima | quïete

c) Collocazione della cesura

Spazi di là | da quella, | ˆ e sovrumani


Io nel pensier | mi fingo; | ˆ ove per poco
Odo stormir | tra queste | piante, io quello
E viva, e il suon | di lei. | Così tra questa
Immensità | s'annega | ˆ il pensier mio:
E il naufragar | m'è dolce | in questo mare.

d) Se il metrema (= significante) è sprovvisto di un significato, gli schemi accentuativi, al momento della


fonematizzazione, ne acquistano uno

G. Pascoli
Orfano da Mirycae

Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.


Senti: una zana dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca;
canta una vecchia, il mento sulla mano.
[…]

E. Montale
In limine da Ossi di seppia
[…]
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l'ho pregato, − ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine...
(E. Benveniste)

H. MESCHONNIC, Critique du rythme. Anthropologie historique du langage, Verdier, Lagrasse


1982, pp. 216-7.

Io definisco il ritmo nel linguaggio come l’organizzazione delle marche attraverso cui i
significanti, linguistici ed extralinguistici (nella comunicazione orale, in particolare),
producono una semantica specifica, distinta dal senso lessicale, e che io chiamo significanza,
ossia i valori propri di un discorso e di uno solo. Queste marche si collocano a tutti i “livelli”
del linguaggio: accentuali, prosodici, lessicali, sintattici. Esse costituiscono una
paradigmatica e una sintagmatica e, tutte insieme, neutralizzano proprio la nozione di
livello. Contrariamente alla riduzione corrente del “senso” al lessicale, la significanza
appartiene a tutto il discorso. Essa è in ogni consonante, in ogni vocale e, in quanto
paradigmatica e sintagmatica, mette capo a delle serie. Così i significanti sono tanto
sintattici quanto prosodici. Il “senso” non è più, lessicalmente, nelle parole. Nella sua
accezione ristretta, il ritmo è l’accentuale, distinto dalla prosodia-organizzazione vocale,
consonantica. Nella sua accezione più larga, quella cui più spesso faccio riferimento, il ritmo
ingloba la prosodia e, oralmente, l’intonazione. Organizzando insieme la significanza e la
significazione del discorso, il ritmo è l’organizzazione stessa del senso di esso. E poiché il
senso è l’attività del soggetto dell’enunciazione, il ritmo è l’organizzazione del soggetto del
discorso nel e attraverso il suo discorso.
G. d’Annunzio
Alcyone (1903)

Meriggio

[…]
Bonaccia, calura,
per ovunque silenzio.
L'Estate si matura
sul mio capo come un pomo
che promesso mi sia,
che cogliere io debba
con la mia mano,
che suggere io debba
con le mie labbra solo.
Perduta è ogni traccia
dell'uomo. Voce non suona,
se ascolto. Ogni duolo
umano m'abbandona.
Non ho più nome.
E sento che il mio vólto
s'indora dell'oro
meridiano,
e che la mia bionda
barba riluce
come la paglia marina;
sento che il lido rigato
con sì delicato
lavoro dell'onda
e dal vento è come
il mio palato, è come
il cavo della mia mano
ove il tatto s'affina.

E la mia forza supina


si stampa nell'arena,
diffondesi nel mare;
e il fiume è la mia vena,
il monte è la mia fronte,
la selva è la mia pube,
la nube è il mio sudore.
E io sono nel fiore
della stiancia, nella scaglia
della pina, nella bacca,
del ginepro: io son nel fuco,
nella paglia marina,
in ogni cosa esigua,
in ogni cosa immane,
nella sabbia contigua,
nelle vette lontane.
Ardo, riluco.
E non ho più nome.
E l'alpi e l'isole e i golfi
e i capi e i fari e i boschi
e le foci ch'io nomai
non han più l'usato nome
che suona in labbra umane.
Non ho più nome né sorte
tra gli uomini; ma il mio nome
è Meriggio. In tutto io vivo
tacito come la Morte.

E la mia vita è divina.


G. D’Annunzio
Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato
di morire
(1935)

Quante volte ho sentito, in me artista peritissimo, in me tecnico infallibile, tesaurizzatore


assiduo di modi antichi e novi, quante volte ho sentito che il mio istinto supera la mia abilità
mentale, precede tutte le sottigliezze del mio mestiere.

Ugo Ojetti
Alla scoperta dei letterati
(1899)

«Ogni coordinazione di parole − nella quale l’artista scrittore, secondando il genio della
lingua e obbedendo alle leggi fisiologiche del respiro, sia riuscito a rappresentare con la
lettera e col suono l’apparenza, l’essenza e la movenza dell’oggetto − ha di per sè il valore
d’un organismo vitale. L’aggregato d’una moltitudine di questi organismi [...] forma un
organismo d’ordine superiore, egualmente vitale. [...] Secondo questo assioma, l’artista
scrittore è colui che possiede la facoltà di creare la vita. Una tale facoltà non gli è data
se non dallo stile. Lo stile è dunque inviolabile come la vita. Le forme dello stile sono
innumerevoli come le forme della vita. Non vi è limite alla varietà degli organismi verbali.»
Ch. Baudelaire
Lo spleen di Parigi
(1869)

Perdita d’aureola

«Oh! Come! Voi qui, mio caro? Voi in questo luogo malfamato! Voi, il bevitor di quintessenze!
Voi, il mangiator d'ambrosia! Davvero, ne sono sorpreso!».

«Mio caro, vi è noto il mio terrore dei cavalli e delle carrozze. Poc'anzi, mentre attraversavo
il boulevard in gran fretta, e saltellavo nella mota, in mezzo a questo mobile caos, dove la
morte arriva al galoppo da tutte le parti ad un tempo, la mia aureola ad un movimento
brusco che ho fatto, m'è scivolata giù dalla testa nel fango del selciato. Non ho avuto il
coraggio di raccoglierla. Ho giudicato meno sgradevole il perdere la mia insegna che non il
farmi fracassare le ossa. E poi, ho pensato, non tutto il male vien per nuocere. Ora posso
andare a zonzo in incognito, commettere delle bassezze e abbandonarmi alla crapula come
i semplici mortali. Ed eccomi qui, assolutamente simile a voi, come vedete!».

«Dovreste almeno far affiggere che avete smarrita codesta aureola, o farla reclamare dal
commissario».

«No davvero! Qui sto bene. Voi solo mi avete ravvisato. D'altronde, la grandezza m'annoia.
E poi penso con gioia che qualche poetastro la raccatterà e se la metterà in testa
impudentemente. Render felice qualcuno, che piacere! E soprattutto render felice uno che
mi farà ridere! Pensate a X, o a Z!... Eh? Che cosa buffa, sarà!...».
G. Gozzano,
I Colloqui (1911)

La signorina Felicita ovvero la Felicità

VI

Oh! questa vita sterile, di sogno!


Meglio la vita ruvida concreta
del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
sì, mi vergogno d'essere un poeta!

Tu non fai versi. Tagli le camicie


per tuo padre. Hai fatta la seconda
classe, t'han detto che la Terra è tonda,
ma tu non credi... E non mediti Nietzsche...
Mi piaci. Mi faresti più felice
d'un'intellettuale gemebonda...

Tu ignori questo male che s'apprende


in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti,
tutta beata nelle tue faccende.
Mi piace. Penso che leggendo questi
miei versi tuoi, non mi comprenderesti,
ed a me piace chi non mi comprende.

Ed io non voglio più essere io!


Non più l'esteta gelido, il sofista,
ma vivere nel tuo BORGO NATIO,
ma vivere alla piccola conquista
mercanteggiando placido, in oblio
come tuo padre, come il farmacista...

Ed io non voglio più essere io!

V.
[…]
Le Stagioni camuse e senza braccia,
fra mucchi di letame e di vinaccia,
dominavano i porri e l’insalata.
G. Ungaretti
Il Porti Sepolto (1916)

Sono una creatura

Come questa pietra


del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo

Valloncello di Cima 4 il 5 Agosto 1916


G. d’Annunzio
Maia (1903)

Laus Vitae, vv. 1-14

I
O Vita, o Vita,
dono terribile del dio,
come una spada fedele,
come una ruggente face,
come la gorgóna,
come la centàurea veste;
o Vita, o Vita,
dono d’oblìo,
offerta agreste,
come un’acqua chiara,
come una corona,
come un fiale, come il miele
che la bocca separa
dalla cera tenace;
[…]
E. Montale
Ossi di seppia (1925)

“Meriggiare pallido e assorto…”

Meriggiare pallido e assorto


presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia


spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare


lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia


sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Potrebbero piacerti anche