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OMELIE

Ut Unum Sint 1
ZACCHEO INCONTRA IL NOSTRO DIO
CHE GUARDA IN DUE MODI
LUCA 19,1-10 AMEH
Peter Thavah

Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani
e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era
piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva
passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito,
perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò,
tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare da un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al
Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco
quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli
è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

MEDITAZIONE:
L’incontro tra Gesù e Zaccheo, narrato solo dal Vangelo
di Luca, è uno su cui a me piace riflettere quando ho l’opportunità.
Ho un amore profondo per questo brano per due motivi: primo, sono così basso di statura
come Zaccheo. Secondo, e più importante, vedo me stesso come un pubblicano come
era il protagonista Zaccheo. Infatti, tutti noi siamo pubblicani, ognuno a suo modo.
La prima cosa che suscita interesse in questo racconto è il nome stesso di Zaccheo che, secondo
l’etimologia, significa “puro” o “innocente”. È molto paradossale il fatto che il portatore del nome
è un grande peccatore. Era un ladro che non rubava con l’aiuto dell’arma ma con le bugie su quanto
si deve pagare come tassa. Secondo me, nonostante il paradosso, questo nome è molto adatto per
lui perché è una profezia di ciò che egli sarà: un uomo innocente e puro dopo l’incontro con Gesù.
Un’altra scuola di pensiero ritiene che questo nome “Zaccheo” vuol dire “Dio si
ricorda”. Se questo fosse vero, certamente vorrà dire che questo Dio è uno che si ricorda
delle nostre buone opere invece dei nostri peccati come ci dimostra in questa vicenda.
L’evangelista Luca comincia questa scena per dirci che Gesù entrava la città di Gerico e la
attraversava. Nel sentire la parola “Gerico”, ci viene in mente immediatamente la città di cui
si parlava nel libro di Giosuè. Siamo informati nel capitolo 6, versetto 25 di questo libro che
quando la città di Gerico fu distrutta, solo una prostituta, e cioè peccatrice, che si chiamava
Rahab fu salvata insieme con la sua famiglia (aveva aiutato a nascondere le spie del popolo Israele-

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cf. Giosuè 2). E qui nella scena del nostro vangelo di Luca, un altro peccatore, ma stavolta un
pubblicano da questa medesima città sarà salvato. Questo conferma ciò che Gesù dice in Matteo
21:31 che i pubblicani e le prostitute andranno in cielo prima di tanti cosiddetti dikai (cioè giusti).
Il viaggio di Gesù attraverso Gerico doveva condurlo a Gerusalemme dove si offrirà
come sacrificio sulla croce di Calvario. Ma come di solito, il suo scopo di andare a Gerusalemme
non gli ha impedito di fermarsi quando era necessario per guarire i malati, risuscitare i
morti, incontrare le donne (ad esempio Maria e Marta) che erano viste come cittadine
di Serie B nella società giudaica di allora. È stato in occasione di una di queste tante istanze
di fermarsi che ha incontrato Zaccheo. Questo non era a caso come vedremo in seguito.
Zaccheo è descritto dall’evangelista non come un pubblicano qualsiasi come
gli altri, ma il loro capo. Essendo un peccatore pubblico che prestava servizio al
governo romano che sfruttava la gente ebrea, era odiato dal popolo. E il fatto che
utilizzava il suo incarico per rubare ha servito a renderlo più disprezzato tra i suoi.
Nonostante tutte le sue imperfezioni, voleva vedere Gesù dopo aver sentito che
passava per Gerico. Ma come me, Zaccheo era piccolo di statura; era un uomo basso e quindi
non riusciva a vedere il Gesù passante. Ma attenzione! Nei tempi passati, c’erano dei dibattiti
su chi fosse stato il basso di cui si tratta nel brano. Alcuni studiosi dicevano che il basso di
cui si parlava era Gesù, e non Zaccheo. Fantastico! Questa interpretazione per me era un po’
troppa! Però, dopo aver pensato nel mio modo, ho dato un po’ di ragione a coloro che dicevano
che Gesù fosse l’uomo basso di questo brano. A mio modo di vedere, anche se Zaccheo era
l’uomo basso descritto, ANCHE Gesù era basso, o meglio, si è fatto basso (nel senso della
kenosi, cioè il suo svuotamento manifestato nella sua katabasis, ossia, la sua venuta in mezzo
agli uomini nella carne). Quindi, si potrebbe dire che l’incontro tra Gesù e Zaccheo era uno
tra due uomini bassi: uno che era basso in senso figurativo (cioè Gesù) e l’altro che era basso
in senso fisico (cioè Zaccheo). Zaccheo poi è salito sull’albero di sicomoro per vedere Gesù.
Il culmine del racconto, secondo il mio parere, è giunto quando Gesù alza gli occhi per
vedere Zaccheo. Questo sguardo di Gesù in alto mi ha veramente colpito. Questo è perché se
facciamo caso, notiamo che il “guardare in alto” nella Bibbia caratterizza la relazione tra uomo
e Dio. In alcuni versetti nella Bibbia, l’uomo è chiaramente mostrato come colui che “guarda
in alto dal basso” per poter vedere Dio. Guardare in alto è anche un gesto di supplica da parte
di uomo nei confronti di Dio. Dio, invece guarda “dall’alto” per vedere uomo e non “in alto”.
Per illustrare questo fatto, permettetemi di citare adesso alcuni versetti nella Sacra Scrittura in cui
l’uomo è mostrato come colui che guarda in alto. Il salmista nel Salmo 123,1 dice: «A te Signore
levo i miei occhi, tu che dimori nei cieli»; poi il profeta Isaia consiglia il popolo Israele dicendo:
«Sollevate i vostri occhi per vedere chi ha creato le stelle» (40,26). Poi negli Atti degli Apostoli,

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leggiamo che in occasione dell’Ascensione di Gesù, gli apostoli «… guardavano intimamente
in cielo quando Gesù ascendeva» (1,10). E gli stessi Atti degli Apostoli ci informano che alla
lapidazione di Santo Stefano, egli «fissava lo sguardo al cielo e guardava la gloria di Dio» (7,55).
Questi sono solo pochi esempi che ci dicono di Dio che sta in alto e a cui l’uomo deve
guardare. Egli guarda dall’alto mentre noi uomini guardiamo dal basso in alto. Però in questa
scena, è Gesù, cioè è Dio che guarda in alto dal basso per vedere il peccatore Zaccheo che è in alto
sull’albero di sicomoro. Secondo me, questo gesto ci dice tanto. Ci dice che a volte, Dio prende la
nostra posizione (nel basso) e ci dà il privilegio e la grazia di prendere la sua posizione (nell’alto) per
migliorarci, per perfezionare la nostra condizione di peccato. Il Dio onnipotente è colui che si veste
da servo per servirci a tavola (cf. Luca 12,37). È il medesimo Dio che ha preso il nostro posto sulla
croce ed è morto con una morte che meritiamo a causa dei nostri peccati. Dio ha fatto tutto questo
per farci vedere la visione beatifica. Purtroppo rifiutiamo questo dono gratuito di Dio tante volte
attraverso il mal uso della nostra libertà. Questo privilegio che Gesù ha dato a Zaccheo di vederlo
dall’alto ci chiama ad essere umili e misericordiosi perché Dio è sempre benevolo nei nostri confronti.
Andando avanti nella narrazione, Gesù poi dice a Zaccheo «… scendi subito perché
oggi DEVO fermarmi a casa tua». Notiamo ciò che il Signore dice: “DEVO fermarmi a casa
tua”. Questo vuol dire che questo incontro non era a caso, come avevo detto in precedenza. Era
un incontro divinamente voluto, anche se senza il sapere di questo “piccolo-grande” uomo di
nome Zaccheo che era visto un nemico e traditore del popolo. La gioia era grande per lui perché
da un semplice desiderio di solo vedere Gesù, è finito ad ospitarlo. Che onore ospitare Dio!
Come di solito, la gente mormorava perché Gesù è andato alla casa di un peccatore.
Anche oggi, alcune persone trovano la ragione per la loro sopravvivenza nella critica ingiusta
degli altri per farsi sentire moralmente superiori. La gente di quel giorno non è riuscita
a rattristare Zaccheo con le loro critiche. Anche noi fratelli, non lasciamoci rattristare
dal mondo che ci critica perché ospitiamo Gesù. Siamo invece felici come Zaccheo.
In fine, vorrei dire che Dio può salvarci guardandoci sia dall’alto e sia dal basso
(come nel caso di Zaccheo). Quindi si potrebbe concludere che il piano salvifico di
Dio oscilla continuamente come un pendolo tra “guardando dall’alto” e “guardando
dal basso”. Il nostro Dio ha misericordia di noi dall’alto come pure dal basso.

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CHE FARE PER EREDITARE LA
VITA ETERNA?
LUCA 10, 25- 37 ARAKKAL Varghese
Delfin Job

Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?».
Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore
Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente
e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quegli, volendo
giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme
a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo
morto.Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra
parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in
viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi
olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno
seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più,
te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei
briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».

MEDITAZIONE:
Stiamo sempre seguendo Gesù nella sua salita a Gerusalemme, ed ecco un
altro incontro: questa volta tra Gesù e un dottore della Legge, un giurista. Questo esperto
della legge e della sua tradizione in Israele vuole mettere alla prova Gesù, ad anche verificare
la sua conoscenza scritturistica e la sua fedeltà o meno alla tradizione. Gli pone quindi una
domanda classica, tipica di ogni persona e di ogni tempo: “Che fare per ereditare la vita
eterna?”. Gesù gli risponde con una contro-domanda: “Che cosa sta scritto nella Legge?
Come leggi?”, cercando in questo modo di portarlo a esprimersi in prima persona.
L’esperto cita allora il grande comandamento attestato nel Deuteronomio, che ogni
ebreo conosce a memoria e ripete tre volte al giorno, lo Shema‘ Jisra’el: “Ascolta Israele, il
Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente” (Dt 6,4-5). Poi, con
intelligenza spirituale, aggiunge il comandamento dell’amore del prossimo, estraendolo dal
libro del Levitico (Lv 19,18). Secondo Luca il dottore delle Legge compie un’interpretazione
che ha come fondamento il parallelo tra i due comandamenti dell’amore. Gesù non può fare
altro che approvare una tale interpretazione, che raggiunge il suo insegnamento sull’amore
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esteso addirittura ai nemici, ai persecutori (cf. Lc 6,27-35), e di conseguenza invita quest’uomo
a realizzare, a mettere in pratica quotidianamente quanto ha saputo affermare.
Ma quell’esperto che voleva mettere alla prova Gesù, volendo giustificare la sua
domanda iniziale, lo interroga di nuovo: “E chi è il mio prossimo?”. Ancora una volta Gesù
non risponde direttamente perché, se acconsentisse alla domanda del suo interlocutore,
dovrebbe dare una definizione del prossimo e così situarsi all’interno della casistica degli
scribi e dei farisei, ai quali il dottore della Legge appartiene. No, il prossimo non può essere
rinchiuso in una definizione, perché in verità è colui che ognuno di noi decide di rendere
prossimo avvicinandosi a lui. Ecco perché racconta Gesù una parabola, aggiungendovi alla
fine un’altra contro-domanda.
Un uomo anonimo, del quale Gesù non precisa nulla – né nazionalità, né condizione
sociale, né appartenenza religiosa –, mentre percorre la strada che da Gerusalemme scende
a Gerico viene assalito da banditi che lo depredano, lo picchiano e lo lasciano mezzo morto
sul ciglio della strada. Nulla di straordinario, ma un fatto che è quotidiano nelle nostre città,
soprattutto dove i banditi borseggiano, strattonano, malmenano e finiscono per lasciare le
persone aggredite a terra sulla strada…
Su questa strada – dice Gesù – passano due persone segnate dalla loro funzione
religiosa: un sacerdote e un levita, uomini ai quali è affidata la cura del tempio di Dio a
Gerusalemme e che in Israele sono esemplari per gli altri. Ebbene, questi due uomini religiosi,
conoscitori della Legge, tesi a onorare la dimora di Dio, passando su quella strada vedono
quell’uomo a terra, ferito e bisognoso, ma passano oltre, dall’altra parte. Stanno lontani e
proseguono il loro cammino. Perché? Sono forse insensibili, malvagi? No. E allora perché?
Perché sono abitati innanzitutto dal dovere di restare lontano da un possibile cadavere, per
timore di diventare impuri. O forse perché vedono, ma non guardano veramente, non sono
abituati a vedere discernendo (“Beato chi discerne il povero e il misero”. Non fanno alcun
male, ma certo omettono di fare qualcosa. E così anche per noi: la maggior parte dei nostri
peccati, delle nostre contraddizioni all’amore fraterno, non è originata da odio o cattiveria,
ma si tratta di azioni mancate per indifferenza. Esattamente come ci ricorderà il Signore nel
giorno del giudizio: “Via, lontano da me, maledetti, perché non avete fatto questo e quello”.
Ciò che sorprende nel prosieguo della parabola è che al sacerdote e al levita, i tipici religiosi,
Gesù oppone un samaritano, l’anti tipo, cioè il perfetto contrario dei due osservanti
e puri giudei. I samaritani, infatti, erano considerati gente impura, scismatica ed eretica,
detestata dai giudei e sempre in lotta contro di loro. Insomma, un samaritano era certamente
la persona più disprezzata dai giudei… ma proprio lui Gesù pone come esemplare: questo è
troppo! Anche il samaritano, passando su quella strada, vede, e per vedere bene si avvicina,

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si fa prossimo all’uomo ferito: allora, volto contro volto, il samaritano è commosso nelle
viscere, sente salire dalle sue profondità un sentimento di compassione, di sdegno, di pietà.
La misericordia è questo sentimento viscerale, materno, che in realtà raduna tanti sentimenti e
come una pulsione sale dalle nostre viscere, facendosi sentire come sofferenza, con-sofferenza
con chi è nel bisogno. Dal sentimento nasce l’azione: il samaritano versa olio e vino sulle ferite,
le fascia, poi carica quell’uomo sul suo giumento e lo conduce in una locanda, affidandolo al
locandiere per le cure e la convalescenza. Questo samaritano si prende cura dell’uomo ferito
dai banditi fino al possibile esito positivo: fa tutto quello che può.
Ecco allora emergere la verità: ci sono persone ritenute impure, non ortodosse nella
fede, disprezzate, che sanno “fare misericordia”, sanno praticare un amore intelligente verso
il prossimo. Non si devono appellare né alla Legge di Dio, né alla loro fede, né alla loro
tradizione, ma semplicemente, in quanto “umani”, sanno vedere e riconoscere l’altro nel
bisogno e dunque mettersi al servizio del suo bene, prendersi cura di lui, fargli il bene necessario.
Questo è fare misericordia! Al contrario, ci sono uomini e donne credenti e religiosi, i quali
conoscono bene la Legge e sono zelanti nell’osservarla minuziosamente, che proprio perché
guardano più allo “sta scritto”, a ciò che è tramandato, che non al vissuto, a quanto avviene
loro nella vita e a chi hanno davanti, non riescono a osservare l’intenzione di Dio nel donare
la Legge: e quest’unica intenzione, al servizio della quale la Legge si pone, è la carità verso gli
altri! Ma com’è possibile? Com’è possibile che proprio le persone religiose, che frequentano
quotidianamente la chiesa, pregano e leggono la Bibbia, non solo omettano di fare il bene, ma
addirittura non salutino i con-fratelli e le con-sorelle, cose che fanno i pagani? È il mistero di
iniquità operante anche nella comunità cristiana! Non ci si deve stupire, ma solo interrogare
sé stessi, chiedendosi se a volte non si sta più dalla parte del comportamento omissivo proprio
di questi giusti incalliti, di questi legalisti e devoti che non vedono il prossimo ma credono di
vedere Dio, non amano il fratello che vedono ma sono certi di amare il Dio che non vedono
(cf. 1Gv 4,20); di questi zelanti militanti per i quali l’appartenenza alla comunità o alla Chiesa
è fonte di garanzia, che li rende bendati, ciechi, incapaci di vedere l’altro bisognoso.
Allora Gesù alla fine della parabola chiede all’esperto della Legge: “Chi di questi tre
ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei banditi?”. L’altro risponde:
“Colui che ha fatto misericordia”. E Gesù dunque conclude: “Va’ e anche tu fa’ così”,
(l’aspetto della nostra vocazione) cioè fa’ misericordia, ovvero guarda bene, con discernimento,
avvicinati, fatti prossimo, senti una compassione viscerale e fa’ misericordia nel prenderti cura
del bisognoso. Non esiste il prossimo: il prossimo è colui che io ho deciso di rendere vicino.

Ut Unum Sint 7
IL VIATICO DELLA
CENA DOMINI
GIOVANNI 13,1-15 BADJI
Joachim Damase

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo
mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano,
quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù
sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si
alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua
nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù:
«Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi
laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon
Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il
bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti».
Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi». Quando dunque ebbe lavato
loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate
Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri
piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho
fatto io, facciate anche voi.
MEDITAZIONE:

Prima della festa di Pasqua. È così che il Vangelo di San Giovanni situa questo
pasto prima del pasto pasquale. Si tratta di un pasto d’addio. Nella piena consapevolezza della
sua opera di salvezza, Gesù compirà un gesto che assume un significato del tutto speciale durante
questa celebrazione. Potremmo dire che ci sono due modi per partecipare a un evento: essere
uno spettatore oppure un attore, cioè guardare ciò che sta accadendo o essere parte del gioco.
Ebbene, questo Triduo Pasquale che inizia oggi ci invita non solo a guardare da lontano, ma a
metterci in gioco, per impegnarci negli atti che si verranno celebrati, perché rivelano la verità
della nostra condizione battesimale. Se Cristo non è morto e risorto, dirà l’apostolo, vana è la mia
fede. E in un certo senso la liturgia ci porta a seguire Cristo per farci entrare nel mistero della sua
morte e risurrezione. E questo inizia con questo pasto d’addio. Durante questa serata, tre grandi
gesti saranno compiuti da Cristo e saranno particolarmente celebrati in questa Eucaristia che
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ci riunisce. Innanzitutto il gesto eucaristico stesso. Nella Scrittura, il pasto non è solo un segno
della presenza di Dio, ma il movimento di Dio. Quando guardiamo i grandi pasti che hanno
costituito l’intera economia della salvezza, nell’AT e nel NT, vediamo bene che tutti questi pasti,
uno dopo l’altro, sono legati ad un dinamismo, ad un movimento, vale a dire ad una traiettoria.
Ad esempio il primo pasto, il pasto mortale della Genesi dove l’uomo sarà tentato dal serpente
(Gn 3,1ss), ebbene questo pasto sarà associato alla partenza, all’esilio dal paradiso dell’Eden dove
l’uomo era in piena comunione con Dio suo Creatore. E poi ancora il pasto della veglia pasquale
prima di attraversare il deserto, il pasto di Mosè (Es 12,1ss). E potremmo anche moltiplicare
nel NT come, prima di entrare nella sua vita pubblica, nel suo ministero, Gesù a Cana viene
posto in una festa di nozze che prefigurava le nozze eterne (Gv 2,1-11). E oggi possiamo vedere
chiaramente come quest’Ultima Cena introduce Gesù nel mistero della sua morte. Insomma, il
pasto significa il movimento. Riceviamo un viatico, vale a dire il pane necessario per camminare.
Per questo è opportuno, quindi, collocare questo pasto eucaristico prima del gesto che Gesù sta
per compiere di donarsi al Padre suo morendo in croce come grazia che a nostra volta è data a noi
che camminiamo verso di lui e con lui in noi. Il cristiano è colui che si orienta verso il Signore e
che riceve in questo movimento la grazia della sua presenza. Ecco il pane del viaggio.
Il secondo gesto che si celebra in questa Eucaristia è quello del servizio. Gesù assume
la posizione dello schiavo. Perché nella tradizione ebraica, a chi non era ebreo veniva chiesto,
in quanto schiavo, di lavare i piedi ai visitatori. È stato un gesto che li onora, e li accoglie. Gesù
stesso compie questo gesto di schiavo per mostrarci quanto questa Pasqua riveli la presenza di
Dio più forte della morte, ma anche quanto Gesù in questo movimento pasquale rivela la sua
vera e propria identità. Un Dio così grande che si fa così piccolo. Ed ecco, Gesù sta per terra, ai
piedi dei discepoli, e anche se uno di loro, Giuda, lo tradirà. Questa rivelazione di Dio al tempo
dell’Ultima Cena, sottolinea che entrare nella Pasqua di Cristo significa entrare nel servizio
dell’amore. Essere cristiani implica un abbassamento da parte nostra per essere servi dei nostri
fratelli. E penso anche qui all’episodio del primo omicidio: Dov’è tuo fratello, rivolto a Caino
e Abele quando il primo aveva appena ucciso il secondo (Gn 4,9). Sì, essere cristiani significa
scoprire in Cristo, colui che ci invita ad assumere la livrea dello schiavo. Amare è servire. L’amore
è comprensibile nell’atteggiamento di qualcuno che prende coscienza di essere responsabile
dell’altro. Non possiamo salvarci da soli. Ed è nella gratitudine, generosità e zelo nel servire i
nostri fratelli che attestiamo la verità dell’amore che ci accumuna. Questo gesto di servizio è fatto
per purificare. Anche qui l’atto di purificazione veniva solitamente eseguito prima del pasto. Là
invece il gesto di lavare i piedi si svolge al centro del pasto. Quindi non è una purificazione
esterna, ma una purificazione del cuore. Servire i nostri fratelli per renderli puri agli occhi di
Dio.

Ut Unum Sint 9
La liturgia odierna non si concluderà con “andate nella pace di Cristo” ma con un
movimento che consisterà nell’accompagnare Cristo nella sua agonia. L’adorazione silenziosa
che faremo segnerà la nostra volontà di prendere parte anche noi alla passione di Cristo che inizia
nel giardino degli ulivi. Getsemani è una parola che significa olio: il giardino dell’olio. Ecco che
Cristo, l’unto di Dio, troverà un luogo per versare il suo buon odore, l’olio della salvezza e della
grazia. Ed è lì con gli apostoli. Ci sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Ma questi sprofondano in un
sonno che non è un sonno di stanchezza ma stavo per dire di obliterazione, sono come sbalorditi
di fronte al dramma di Cristo in cui avevano posto tutta la loro speranza. Lo vedono espropriato
di tutto, all’ombra della morte. E questo sonno in cui sono immersi è come nascondersi da questo
volto di Gesù pieno di angoscia. Gesù sente nella sua carne, di fronte al peso del peccato che lo
getta a terra, il mistero dell’iniquità del mondo e assume il peso del male che lo opprime. Ecco
da qui si capisce che la tentazione di Gesù non è come la nostra che tocca i vizi della carne cioè
le nostre tentazioni di potere, il nostro orgoglio e le nostre vanità. La tentazione di Gesù nella
sua agonia, che cos’è? Ebbene, di fronte a questa miseria dell’uomo che sperimenta in sé stesso,
di fronte a questa constatazione che gli apostoli stanno lì addormentati per vigliaccheria, è di
porsi questa domanda: Vale davvero la pena salvare l’uomo? La vita dell’uomo, la sua redenzione
vale il prezzo di un tale sacrificio? Fondamentalmente la tentazione di Cristo in Getsemani è la
disperazione dell’uomo. Ma lui Gesù, il Figlio di Dio che va sino alla fine nel compiere la volontà
del Padre ha vinto questa ultima tentazione e si è fidato di Dio che userà la sua obbedienza
per salvare ciascuno e tutti. Tre momenti di questa liturgia: l’inaugurazione dell’Eucaristia, la
presenza reale di Cristo che ci accompagna nel nostro cammino, Gesù che significa per noi il vero
volto dell’amore che è quello della carità e del servizio ai fratelli. Siamo chiamati ad associarsi alla
sua passione entrando nella sua agonia. “I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”
(Gv 4,23). E si prendiamo qualche istante di silenzio davanti alla presenza reale è proprio perché
desideriamo accompagnare Cristo nel suo scontro interiore fino alla croce.
Amen!

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IL COMPIMENTO BAK Juryung
DELLA LEGGE (Isacco)
MATTEO 5, 17-37

Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare
compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno
iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi
precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno
dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel
regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a
giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi
dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della
Geenna. Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa
contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi
torna ad offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui,
perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione.
In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo! Avete inteso che
fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha
già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo
e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga
gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te:
conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia
sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata,
commette adulterio. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il
Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio;
né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re.
Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.
Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.

MEDITAZIONE:
In ogni società, persino in un piccolo gruppo, si può trovare sempre una legge
da osservare. Molti filosofi, trattando di contratto sociale, spiegavano perché la regola serve
alla comunità umana. Ma, secondo la sociologia di oggi, la regola non è tutto, nonostante sia
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fondamentale. Infatti la legge stabilisce che cosa ogni membro deve seguire per evitare almeno
la peggiore situazione sociale. Quindi, quanto si deve seguire è il minimo, cioè l’ultima linea che
non si deve oltrepassare mai.
Forse qualcuno chiederebbe se si riuscisse solo con la regola a compiere il massimo.
Prima, sono d’accordo che è abbastanza difficile osservare la regola in qualsiasi situazione. Non
dobbiamo mai prescindere dal fatto che ci vengano talvolta le tentazioni che soverchino la nostra
capacità. Ci vuole un’altra dimensione per superare questa difficoltà.
Dice Gesù: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti: non sono venuto ad
abolire, ma a dare pieno compimento.” In questa frase, siccome dice che non è venuto ad abolirla,
penso che anche Gesù riconosca la necessità della legge di cui ho appena parlato. Però, Gesù non
finisce qui, ma va più avanti: dare PIENO COMPIMENTO. Vuol dire innanzitutto che la legge
non è tutto, ma il minimo che poi deve essere completato, a poco a poco, del vero senso della
vita.
Che cos’è il vero senso? Certamente è l’amore, come Gesù dice: “Lascia lì il tuo dono
davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.”
Riguardo a questa frase, Egli ci dice che l’amore è più grande, più tollerante della regola, perché
è il massimo da compiere in tutta la vita.
La prima lettura parla dell’amore dicendo: “Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi
ti custodiranno. Sei hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.” Dio non ci costringe mai a seguire i suoi comandamenti. Se ci
avesse costretto, sarebbe stato solo oppressione. Ma Egli vuole che li seguiamo volentieri per
l’amore a Dio. Detto questo dunque per l’amore è importante la nostra volontà.
La seconda lettura parla della sapienza di Dio che Egli ci ha rivelato per mezzo dello
Spirito Santo. Quella sapienza, come dice la lettura, non appartiene al mondo. Tutto ciò che
esiste in questo mondo non è permanente – svanirà alla fine tutto. Però il mondo ci dice di
possedere i beni, e per questo continua lo “zero-sum game”: più ne ho, più l’altro diventa povero.
Il mondo dice di averne più degli altri, considerando il possesso come il migliore modo di vivere.
Ma, l’amore è contro il possesso, condividendo tutto ciò che si possiede e guardando specialmente
ai bisognosi. Dappertutto, non seguiamo la sapienza del mondo ma quella di Dio, cioè la carità.
Detto che la legge è comunque fondamentale per la vita comunitaria, l’amore le dà il vero senso, e
in ciò il pieno compimento sarà realizzato nella nostra vita. L’amore farà che la vita sia veramente
piena come si canta nel salmo responsoriale: “Beato chi cammina nella legge del Signore.” Chi
rimane sempre nel Suo amore, sarà riempito della grazia. Spero che, come Dio ci ha promesso,
viviamo sempre in questa felicità.

12 2019-2022
GIUSEPPE ASSUME LA PATERNITÀ
LEGALE DI GESÙ
MATTEO 1, 18-21

CHARANGATTU
Libin James

Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe,
prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo
sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava
pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe,
figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei
viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo
popolo dai suoi peccati».

MEDITAZIONE:
Ho scelto questo brano, perché, Giuseppe è un personaggio meno citato nella
Bibbia. Papa Francesco dice: io amo molto San Giuseppe perché è un uomo forte e silenzioso. In
queste parole che abbiamo ascoltato è racchiuso tutto il mistero della vita di S. Giuseppe, e la sua
vera grandezza. Esse indicano che Giuseppe fece dell’obbedienza al Signore la spina dorsale della
sua esistenza. Questa esistenza inizia in senso vero e proprio, quando viene notificato a Giuseppe
la sua missione, cioè il progetto che Dio aveva su di lui: divenire il custode del mistero del Figlio
di Dio che si fa uomo e quindi della Vergine Madre di Dio. E qui scopriamo la vera sorgente
dell’obbedienza di Giuseppe, la sua fede. Egli obbedisce, partendo - per così dire - per una meta
che non conosceva. Io vorrei sviluppare due punti importanti che ho trovato nella vita di San
Giuseppe.
1. San Giuseppe è un Uomo dei sogni
Tra di noi, c’è qualcuno che crede veramente nei sogni? Penso che nessuno crede nei
sogni. C’era un uomo, che credeva nei sogni, si chiamava Giuseppe…Perché lo ha creduto il
sogno non come una immaginazione falsa o superfluo ma come un vero messaggio da parte del
Signore. Ma credendo nel messaggio, diede la sua incondizionata disponibilità a collaborare al
progetto divino. Anche nell’Antico Testamento c’era un uomo che credeva nei sogni e li spiegava,
si chiamava Giuseppe. Entrambi avevano i loro problemi, uno è stato venduto dai suoi fratelli e
altro è stato rifiutato per la sua famiglia ed entrambi si trovavano in Egitto. Uno è diventato un
Ut Unum Sint 13
governatore potente in Egitto con i suoi sogni, uno è tornato a casa in Israele con la sua famiglia
dopo un sogno. Nessuno di noi esiste per caso. Dio ha su ciascuno di noi suo proprio disegno,
diciamo come un sogno. (Papa Francesco) Ci dia a tutti noi la capacità di sognare perché quando
sogniamo le cose grandi, le cose belle, ci avviciniamo al sogno di Dio, le cose che Dio sogna su di
noi. Il disegno del Signore richiede la nostra collaborazione la nostra disponibilità a mettere da
parte i nostri progetti per accogliere quello che liberamente il Signore ci propone. Così ha fatto
San Giuseppe. Ma mi piace ricordare san Giuseppe come un giovane. Pensate un giovane, alla
vigilia delle nozze, a quell’età: quanti progetti, quanti sogni, doveva avere in quel momento. Ma
arriva Dio, e chiede di cambiare tutto. E Giuseppe che fa? Giuseppe «fece come gli aveva ordinato
l’angelo del Signore», anche se forse non capiva– come Abramo. Nostro compito è di realizzare
il disegno che Dio ha su di noi. Per realizzare o capire il disegno di Dio dobbiamo avere un cuore
pieno con la fede, umiltà, docilità e la fede che genera l’obbedienza. Giuseppe è stato voluto e scelto
da Dio proprio per essere il custode di Gesù e di Maria: come egli vide chiaramente che questo
era il significato della sua esistenza, egli subito “fece come gli aveva ordinato l’angelo”. Portare
a compimento la propria missione, porsi interamente a sua disposizione, significa realizzare sé
stessi e quindi giungere alla piena libertà. Giuseppe è un vero testimone della verità dell’uomo,
poiché ci insegna che cosa significa essere liberi. La grandezza di Giuseppe sta nell’avere accolto
con amore e responsabilmente Maria e il dono che lei portava all’umanità.

2. Giuseppe è un modello nel momento della difficoltà


San Giuseppe è Tranquillo nel momento della difficolta e agitazione della sua vita, sa
prendere le decisioni più sagge in mezzo ai problemi. La sua vita stessa è un esempio. Come uno
può dormire tranquillamente quando viene a sapere che la donna con cui si sposa è incinta? Ma
San Giuseppe ha dormito tranquillamente nella difficoltà così poteva conoscere la volontà del
Signore attraverso il sogno. Il sogno stesso dimostra che stava dormendo pacificamente, perché
solo durante il sonno profondo possiamo avere dei sogni e questa qualità di Giuseppe può essere
vista in Gesù, quando c’era la tempesta nel mare che dormiva pacificamente nella barca. Come un
padre, San Giuseppe ha trasmesso la sua qualità a Gesù. Tuttavia, pur essendo di origine divina,
Gesù deve appartenere alla storia di un popolo, il popolo ebraico. Per incarico di Dio Giuseppe
diventa per legge il padre del bambino. San Giuseppe è un esempio per i genitori perché generare
un figlio è facile, ma essergli padre e madre, amarlo, farlo crescere, insegnargli ad assumersi le
responsabilità della vita, questo è tutta un’altra avventura.
Vorrei concludere questo con le parole di papa Francesco San Giuseppe è concreto, non un
sognatore con la testa per aria. “il sogno è un posto privilegiato per cercare la verità, perché lì
non ci difendiamo dalla verità. E Dio anche parla nei sogni. Non sempre, perché di solito è

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nel nostro inconscio che viene, ma Dio tante volte scelse di parlare nei sogni. Giuseppe non
era un fantasioso. Un sognatore è un’altra cosa: è quello che crede… va… sta sull’aria, e non ha
i piedi sulla terra. Giuseppe aveva i piedi sulla terra. Ma era aperto”. Non perdiamo “la capacità
di sognare il futuro: sognare sulla nostra famiglia, sui nostri figli, sui nostri genitori. Guardare
come io vorrei che andasse la loro vita. I sacerdoti anche: sognare sui nostri fedeli, cosa vogliamo
per loro. Sognare come sognano i giovani, che sono spudorati nel sognare e lì trovano una strada.
Non perdere la capacità di sognare, perché sognare è aprire le porte al futuro. Essere fecondi nel
futuro.
Amici manteniamo viva la memoria di questo incomparabile Santo. Egli ci insegna il
segreto della vera libertà: essa è obbedienza alla missione per cui Dio ci ha creato, essa è servizio
reciproco. È questa la nostra vera realizzazione.

Ut Unum Sint 15
OMELIA
DEL BATTESIMO DEGLI ADULTI
Ez. 36, 24-28 Rm 6, 3-5 Gv. 3, 1-6

CHARUKULA
Achiles Narcis

Che cosa ci chiede il Battesimo?


Carissimi oggi è tra i giorni più festosi della vostra vita, perché con il Battesimo che ricevete oggi
diventate da ora in poi figli di Dio nel Battesimo. Ricevete una nuova rinascita e diventate parte
del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, una grande comunità che vi aspettava da tempo per
accogliervi.
Nella prima lettura di questa liturgia, il Signore Dio promette con una successione
dell’imperativo, una serie di azioni che ha lo scopo di rendere nuovo il popolo di Israele dopo la
schiavitù di Babilonia. Così dice il Signore per la bocca del profeta Ezechiele “vi purificherò da
tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore puro ecc.”. Il Signore promette
di cambiare radicalmente questo popolo e renderlo santo. Nel vangelo a sua volta, la liturgia ci
propone la figura di Nicodemo nella conversazione con Gesù che gli fa la catechesi della nuova
nascita nello spirito, cioè, per mezzo del battesimo.
La liturgia quindi ci propone la necessità del cambiamento per chi riceve il Battesimo.
Carissimi, per mezzo del Battessimo sarete incorporati al corpo mistico di Cristo. Questo corpo
ci aiuta tutti a vivere conformemente la nostra fede. Allo stesso tempo ci chiede di vivere secondo
l’esempio dell’uomo nuovo. Ci chiede di cambiare non solo i nostri cuori, ma anche il nostro
comportamento. Rivestiti di Cristo ci deve un buon comportamento nel suo esempio. Infatti,
l’abito bianco che riceverete durante il rito del Battesimo è proprio il simbolo del rivestirsi
dell’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità.
Con il Battesimo entriamo nella comunione con Cristo stesso e con la comunità
credente. Carissimi, da oggi in poi voi diventate di Cristo nella Chiesa. La comunione la vivrete
nei confronti con la Chiesa in cammino e la comunione con i santi. Accanto alla Bibbia che è la
fonte principale del deposito della fede, impegnatevi anche a conoscere la vita dei santi, imitando
anche gli esempi buoni che ci hanno lasciato.
Come Nicodemo che ha voluto stare con Gesù, imparare da Gesù, che si è lasciato
insegnare da Gesù, restiamo anche noi con Gesù. Lasciamoci interpellare dall’insegnamento di
Gesù. Voi però, come noi che siamo già battezzati, non abbiamo la fortuna di esserci fisicamente
con Gesù. È quindi un invito forte di metterci all’ascolto della sua Parola nella Sacra Scrittura, cioè

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leggere la Bibbia, l’ascolto degli insegnamenti della fede che ci arrivano mediante la predicazione
e la catechesi e l’amore ai sacramenti della Chiesa, quali la Confessione e l’Eucaristia. Sappiamo
dall’insegnamento di Gesù che il Battesimo è la condizione necessaria per la salvezza. Ma non
basta solo riceverlo, serve anche vivere la vita conforme al Battesimo ricevuto. Il Battesimo è la
porta che vi apre agli altri sacramenti. Ecco perché oggi nella nostra liturgia, dopo il Battesimo
riceverete anche la confermazione e siete invitati da oggi in poi alla prima Comunione.
Dio ci aiuti a crescere nella comunione dello Spirito Santo in santa fraternità, perché ardenti del
suo amore giungiamo alla pienezza del corpo di Cristo. Amen

ATTEGIAMENTI NELLA
SEQUELLA DI CRISTO
MATTEO 20,17-28
Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici e lungo la via disse loro: «Ecco, noi
stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi,
che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso;
ma il terzo giorno risusciterà». Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e
si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei
figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non
sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed
egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o
alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio». Gli altri dieci, udito
questo, si sdegnarono con i due fratelli; ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo
sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma
colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi,
si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per
servire e dare la sua vita in riscatto per molti».

MEDITAZIONE:
Cari amici, benvenuti alla riflessione su questo vangelo che abbiamo appena
ascoltato. Io sono convinto che, pur avendomi esercitato di come fare l’omelia, la Parola di Dio
rimane con la sua autorità e tutti i nutrimenti spirituali. Ciò significa che vale la pena ascoltare
ed accogliere il Messaggio che Dio stesso ci vuole comunicare.
Bene, nel brano appena proclamato vorrei che riflettiamo su due atteggiamenti.
i. L’atteggiamento dei figli di Zebedeo

Ut Unum Sint 17
ii. L’atteggiamento degli apostoli.
Nel primo atteggiamento. Gesù è in cammino con gli apostoli verso Gerusalemme. Annuncia per
la terza volta l’ora della sua morte. Nella composizione del nostro brano, nessuno degli apostoli
si interessa del suo discorso. Probabilmente ognuno sta pensando le cose sue. C’è un salto grande
tra il discorso di Gesù e la richiesta per i figli di Zebedeo. Nonostante ciò, mentre negli altri
vangeli sinottici la richiesta è presentata dagli apostoli stessi, nel vangelo di Matteo è la madre di
tali figli che presenta la richiesta che, i suoi figli occupino i posti nel cielo, uno alla destra e l’altro
alla sinistra di Gesù. La richiesta di per sé è buona, ci presenta il concetto della preghiera della
supplica e il desiderio del regno di Dio. Non ci presenta però il modo giusto di pregare. In seguito
alla richiesta per i figli Zebedeo, gli altri apostoli cadono nella trappola. Così abbiamo la seconda
parte della nostra riflessione.
L’atteggiamento dei discepoli
Gli apostoli cadono nella trappola perché, guardano male i figli di Zebedeo per la
richiesta che per loro è stata fatta a Gesù. Cominciano i guai. Gesù non entra nell’ignoranza dei
suoi discepoli. Capisce che c’è qualcosa che non è ancora messo apposto.
Gli apostoli non hanno capito niente. Stanno pensando di essere superiori l’uno sugli altri. Gesù
insegna come i suoi discepoli devono distinguersi dai governanti del mondo. Per l’insegnamento
di Gesù, ciò che serve ai suoi discepoli è il servizio agli altri.
Carissimi, che cosa vogliamo imparare da questo vangelo di oggi, ossia da questi due
atteggiamenti?
i. L’ascolto. Abbiamo visto che nessuno dei discepoli si mette ad ascoltare e accogliere il
discorso che Gesù introduce nel cammino verso Gerusalemme. Questo è un invito a noi di dare
sempre ascolto alla Parola di Dio. La mancanza dell’ascolto ci potrebbe portare a proporre a Dio
solo i nostri problemi isolando la sua Parola.
ii. La preghiera. Un invito alla preghiera ci è proposto dal personaggio della madre dei figli
di Zebedeo. Nel nostro testo come abbiamo già accennato, è la madre che presenta la domanda
per i suoi figli. È meglio sempre avere le persone che pregano per noi, specialmente noi seminaristi,
sacerdoti e tutti che hanno dato tutta la loro vita per servire Dio e il suo popolo. Ed è senza
dubbio che ci sono e non pochi. Dall’altra parte, ci ricorda che la preghiera è un dovere implicito
per ciascuno di noi. È un dovere implicito in senso che nessuno ci deve obbligare esteriormente
a pregare, anzi, siamo sempre invitati a dialogare con Dio uno e trino nella preghiera, affinché la
gioia del Signore sia la nostra forza.
iii. Umiltà. Il vangelo ci invita ad essere umili per poter ascoltare bene ciò che Dio ci vuole
comunicare nella nostra quotidianità. È la stessa umiltà che ci rende servitori dell’umanità e di
tutto il creato. Senza umiltà ogni servizio proposto dai capi della comunità diventa un peso. Si

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potrebbe pensare alla prova di canto di ogni lunedì per i membri del coro e per tutta la comunità
nei tempi forti. Quando si arriva al punto di inventare le scuse solo per non partecipare, sarebbe
meglio riconoscere la mia mancanza di umiltà. Questo, un solo esempio tra tanti che ciascuno di
noi può immaginare.
È la stessa umiltà che ci aiuta a riconoscere il valore e l’individualità della nostra vocazione
e il cammino che abbiamo già fatto e inserirci nel ritmo di quello che ci rimane.
Il fatto che tanti seminaristi con i quali abbiamo cominciato il cammino della formazione sono
già ordinati, alcuni diaconi e altri sacerdoti, non ci deve scoraggiare anzi è un invito a ringraziare
Dio per loro e pregare per il loro apostolato, nonché pregare per noi stessi affinché la volontà di
Dio sia realizzata nella mia persona come anche nella tua persona.
La parola di Dio è sempre ricca con tanti nutrimenti spirituali da condividere, tuttavia
risulta ovvio che devo terminare la mia riflessione. Vi lascio ultimamente con questo punto,
siamo nel tempo di Quaresima, o meglio il tempo di grazia in cui la Santa Madre Chiesa ci invita
a rinnovare la nostra vita, a ricevere la grazia di Dio che sgorga dai sacramenti. Questo lo stiamo
facendo ognuno a modo suo. Ma è ovvio anche che è il tempo di angoscia, paura, insicurezza a
causa di CODV- 9. Le chiese in tutta l’Italia sono chiuse. La Messa solo per i sacerdoti e alcune
comunità come la nostra, almeno finora. Interroghiamoci un po’, riusciamo ad accogliere i
sentimenti di quel fedele cristiano che non ha mai mancato all’Eucaristia neanche un giorno e
oggi è impedito dalla situazione e non avere questo momento sacro? Come sono i sentimenti dei
pastori delle anime che sono abituati a celebrare le lodi coi propri fedeli e poi la santa Messa ed
oggi sono chiusi da soli nella canonica?
Cari amici, accogliamo l’invito e l’occasione della preghiera che abbiamo a disposizione
per pregare ricordando la Chiesa in Italia e altre parti del mondo che vive in questa grande
tribolazione. Maria Madre di misericordia ci accompagni sempre. E così sia.

Ut Unum Sint 19
LA PECORA SMARRITA
E RITROVATA
LUCA 15,1-10
FRANCIS
Joseph Antony

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano:
«Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: «Chi di voi
se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta,
finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici
e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi
dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno
bisogno di conversione. O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e
spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche
e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi
dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

MEDITAZIONE:
Il capitolo 15 del vangelo di Luca viene chiamato “libretto della misericordia”. Ma
che cosa significa misericordia? E accostando miseria e cuore ─ da cui si origina “misericordia” ─
essa assume il significato di:
─ amore che guarda alla miseria della persona umana;
─ amore che ha compassione;
─ amore che si prende cura della miseria della persona.
Il capitolo si trova al centro del vangelo lucano. Ciò significa che la rivelazione del Dio
misericordioso ha per lui un’importanza … centrale. Qui Luca raccoglie in maniera unitaria tre
parabole, chiamate “parabole della misericordia”: la parabola della pecora smarrita e ritrovata,
della dramma smarrita, dei due figli. Possono essere considerate un’unica parabola in tre scene.
Luca offre in tal modo il perfetto esempio della buona notizia: il vangelo nel vangelo. Gesù
accoglie i peccatori e mangia con loro e questo gli procura critiche e mormorazioni. È questo
uno dei punti di costante tensione fra Gesù e i suoi avversari, come tutto il vangelo testimonia.
L’annotazione introduttiva alle tre parabole ricorda che l’accoglienza dei peccatori era
un comportamento abituale di Gesù: «Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per
ascoltarlo». Ma si trattava di un comportamento che spesso irritava gli scribi e i farisei. Non è che
i farisei escludessero definitivamente i peccatori; volevano però che il comportamento di Gesù

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nei loro confronti fosse severo e che, di conseguenza, i peccatori per ritornare nella comunità
dovessero pagare un prezzo di penitenza, di opere e di osservanze. Non accettavano dunque il
comportamento benevolo di Gesù che rivelava il vero volto del Padre che attende i peccatori, li
cerca e gioisce del loro ritorno.
In tutte e due le parabole viene messa in evidenza la gioia di Dio per la conversione del
peccatore.
1. Nella conclusione della prima si legge: «Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si
converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».
2. Nella conclusione della seconda: «Vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore
che si converte».
Dunque l’attenzione delle parabole si concentra sulla gioia di Dio per la conversione
del peccatore, non sull’azione del peccatore che si converte. Si racconta ciò che prova Dio, non
ciò che il peccatore deve fare; il discorso è teologico non morale. La novità della rivelazione
evangelica riguarda in primo luogo il comportamento di Dio (un Dio che cerca il peccatore e
gioisce del suo ritrovamento), non anzitutto le modalità della conversione dell’uomo.
Tutte e due hanno una loro specifica connotazione e sono finalizzate a precisi scopi catechetici
e possono essere riassunti nel tema: la grandezza dell’amore di Dio. L’amore di Dio che in esse si
manifesta significa, infatti, tenerezza di Padre e perdono misericordioso per chi sbaglia.
La pecora smarrita e ritrovata (Lc 15, 4-7)
La prima parabola è così formulata: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non
lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala,
se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con
me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta». La narrazione si ispira quasi certamente
alla immagine biblica del Buon Pastore che si prende cura del suo popolo (cf. Is 40,1; Ez 34;
Sal 23). Dal punto di vista didattico Gesù mette con le spalle al muro i suoi interlocutori ancor
prima delle riflessioni finali. E infatti introduce la parabola con una domanda retorica tipica
dello stile di Luca: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel
deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?» Va da sé che ognuno non avrebbe
potuto che dare la sola risposta possibile: lasciare le novantanove nel deserto e andare in cerca di
quella perduta finché non l’ha ritrovata!
La parabola contiene il paradosso che sta proprio nel comportamento del pastore, il
quale preferisce mettere a repentaglio tutto il gregge piuttosto che non portare nell’ovile anche
una sola pecora. La sproporzione tra il numero novantanove e il numero uno mette in risalto
proprio l’interesse del pastore per la singola pecora. In questo contesto lasciare le novantanove
nel deserto non deve essere valutato come imprudenza o scarso interesse. Per Luca trattasi di

Ut Unum Sint 21
un elemento narrativo che serve a evidenziare la condotta premurosa del pastore a favore della
pecora perduta. Merita notare che il binomio perduto/ritrovato attraversa tutto questo capitolo
15 del terzo vangelo. Proprio per questo l’insegnamento del Maestro è implicito, ma chiarissimo:
le altre novantanove non sono vere pecore del gregge se non capiscono la sollecitudine del pastore
anche per una sola pecora che si era smarrita.
Ma Luca va oltre e introduce il tema della festa e della gioia; nota infatti che, trovata la
pecora smarrita il pastore se la mette sulle spalle e poi invita amici e conoscenti a rallegrarsi con
lui. E l’evangelista chiude: «Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che
per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione». Questo versetto è l’applicazione
della parabola. Dal racconto metaforico Luca passa al suo vero significato. La pecora perduta è
il peccatore che si converte. La festa di Dio non è tanto per la ricerca del peccatore quanto per la
sua conversione. La sua profonda motivazione risiede in un amore che non può permettersi di
abbandonare, di lasciar perdere, di non cercare chi è perduto, perché la sua gioia sta nel ritrovare
e recuperare. Sottolineando la gioia per la conversione del peccatore, Luca fa della parabola
una rivelazione della bontà salvifica di Dio. Con il suo comportamento Gesù si adegua alla
misericordia del Padre manifestando ai peccatori la sua. San Gregorio Magno dirà: «Pose la
pecora sulle sue spalle, poiché assumendo la natura umana egli si caricò anche i nostri peccati»
(S. Gregorio Magno, Homiliae in Evangelia 2,14,3).
Questa parabola, oltre allo sfondo veterotestamentario ha anche un parallelo in Matteo
(18, 12-24), la cui prospettiva, però, è molto differente. Matteo non inserisce la parabola in una
polemica con i farisei, ma all’interno di una regola di comportamento per la comunità. Non
insiste particolarmente sulla gioia del ritrovamento, ma sulla ricerca da parte del pastore. Così
il punto di vista di Matteo si chiarisce: un invito alla comunità ecclesiale, e in particolare ai suoi
responsabili, perché vadano alla ricerca degli smarriti, imitando in questo il Signore Gesù. Luca,
invece, come già abbiamo detto, racconta la gioia di Dio nell’aver ritrovato la pecora smarrita.
La dramma perduta (Lc 15, 8-10)
Lo schema della seconda parabola è lo stesso di quello del pastore e della pecora:
«Quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca
attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo:
Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta». Anche qui la domanda
è retorica. Va da sé che se una donna ha dieci dramme e ne perde una la cosa più importante e
ovvia è quella di mettersi a cercarla finché non l’abbia trovata. Con tre verbi: accendere, scopare,
cercare viene sottolineato lo sforzo della ricerca della moneta perduta. E quando finalmente l’ha
trovata prova così tanta gioia che non può non chiamare le sue vicine e amiche per invitarle a fare
festa e gioire con lei.

22 2019-2022
Anche in questa parabola ciò che balza immediatamente agli occhi non è tanto il ritrovamento
della moneta, il cui valore è sì importante, ma non rilevantissimo! Il punto saliente della parabola
è proprio l’esultanza indicibile per il ritrovamento della moneta. Ed è proprio questo che la
parabola intende rilevare: «Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore
che si converte». In cielo si gode per un peccatore che si converte e si fa festa con la stessa gioia che
la donna ha provato per il ritrovamento della sua moneta. È la gioia messianica per la conversione
del peccatore l’obiettivo didattico del Giovane Rabbi.
Con queste due parabole l’evangelista vuole presentare la misericordia sovrabbondante
di Dio che manifesta la sua potenza non condannando, ma perdonando. Similmente tutta
l’opera di Gesù verrà considerata in questa prospettiva come manifestazione dell’infinito amore
misericordioso di Dio. Ma vi è un altro aspetto che attira la nostra attenzione e riempie il cuore
di gioia: la bontà misericordiosa del nostro Dio non è destinata a tutti in modo generico, ma
raggiunge ciascuno personalmente. Ognuno è pensato, cercato, amato fosse anche il peccatore
più incallito; ma mai condannato e sempre e solo accolto con amore e con gioia. Ezechiele aveva
affermato che Dio non vuole la morte del malvagio, ma «piuttosto che desista dalla sua condotta
e viva» (18,23; 33,11).
Le due scene ripetono la stessa sequenza: la perdita, la ricerca e il ritrovamento. Sono
sostantivi che indicano il cammino di allontanamento e di riavvicinamento alla fede e quindi a
Dio.
─ Il primo passo segna un momento di lacrime. La “perdita” di qualcosa di molto caro
segna sempre amaramente chi lo perde, ma più drammatica è la perdita di una persona che
si è profondamente amata. Qualunque sia il nome dato, il peccato è sempre una perdita. È
l’allontanamento volontario della persona da Dio.
─ Il secondo momento descrive l’atteggiamento di chi ha perso l’oggetto del suo amore. Il
pastore va alla ricerca della pecora perduta. La donna cerca la sua moneta. E il padre esce di casa
due volte: per andare a incontrare il figlio che torna a casa e per parlare con l’altro figlio che non
vuole entrare. Dio è colui che cerca chi è perduto.
In questa pagina evangelica Gesù non ha voluto farci una lezione su Dio misericordioso,
ma ce lo ha reso visibile “accogliendo i peccatori e sedendo a mensa con loro”. Ce lo ha reso
sperimentabile facendoci gustare la gioia del sentirci cercati quando ci siamo smarriti, del sentirci
amati quando noi stessi non ci amiamo più. Gesù non ha parlato di Dio: ce lo ha mostrato;
infatti è Lui la Parola di Dio. Gesù ha narrato Dio vivendo la sua storia che è condivisione con la
storia di tutti gli uomini. Con Gesù si rivela pienamente la misericordia divina che ci salva. Gesù
è la misericordia divina incarnata.
Questa pagina del Vangelo vuole essere un annun¬cio di gioia: quando sperimentiamo

Ut Unum Sint 23
di esserci “persi”, affidiamoci a colui che è venuto a cercarci e confidiamo nel suo grande amore.
Noi siamo preziosi ai suoi occhi. Gesù ci ha raccontato di un Dio che si mette sempre sulle nostre
tracce, che ci cerca, che ci vuole venire a scovare nei nostri nascondigli. È un Dio appassionato
che non si cura del gregge rimasto incustodito, che non si accontenta di aspettare un ritorno
del figlio, che non delega la ricerca della dracma, ma che si mette in marcia per colmare il vuoto
insopportabile delle distanze.
È questo il motivo della gioia: la certezza di essere amati e cercati da Dio per partecipare
alla pienezza della sua vita che è offerta in continuità a chi è in Dio. Solo così prenderemo parte
per sempre alla festa del cielo e quindi anche alla gioia propria di Dio.

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LA CHIAMATA DEI PRIMI
DISCEPOLI
MARCO 1,16-20
GEORGE
Joseph Denny

Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano
le reti in mare; erano infatti pescatori. 17 Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori
di uomini». 18 E subito, lasciate le reti, lo seguirono. 19 Andando un poco oltre, vide sulla barca
anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. 20 Li chiamò. Ed
essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono.

MEDITAZIONE:
San Marco proclama il Vangelo che è Gesù, il figlio di Dio. Marco inserisce la
chiamata dei primi discepoli all’inizio della missione di Gesù. Mi piace chiamare questo brano,
il brano vocazionale. Mostra un’associazione più stretta tra Gesù e i discepoli. Ogni versetto
tocca non solo la chiamata degli apostoli ma anche tocca personalmente ognuno di noi. Se
proviamo aprire questo brano con la chiave del discepolato vediamo l’immagine del discepolato
che progredisce in tre fasi.

La prima fase è l’incontro personale con Gesù (v, 16 e v. 19). Qui ci sono due caratteristiche
molto importanti. La prima cosa è il punto di partenza dell’incontro. Negli incontri dei discepoli
con Gesù, l’iniziativa parte sempre da Gesù. Qui troviamo il Rabbi che va in cerca dei discepoli.
Questo può essere un paradosso che troviamo nella vita di Gesù. Nella normalità dell’ambito
rabbinico, il discepolo è colui che deve cercare il Rabbi. Gesù invece si mette nel posto del
discepolo. Questo è la fondamentale per il discepolato. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto
voi”. Riflettiamo un po’ sulla nostra storia vocazionale. Sicuramente c’è stato qualche momento
in cui abbiamo sperimentato in concreto la presenza del Signore che è venuto in cerca di noi.
Questo incontro è stato il punto di partenza del nostro cammino vocazionale. Era la sorgente
della nostra vocazione. Sempre torniamo a questo punto di partenza e sempre riprendiamo il
cammino.
Seconda caratteristica di questo incontro è Il luogo dell’incontro. Gesù che viene a incontrare il
discepolo nella sua quotidianità. Non dimentichiamo che Gesù sempre ci aspetta nella semplicità
della nostra vita quotidiana. Spesso capita che noi lasciamo le cose semplici e piccole senza
considerazione. Ma il nostro Dio è un Dio delle cose piccole.
Ut Unum Sint 25
La seconda fase è l’atto della vocazione. Qui ci sono due verbi molto importanti. La parola vedere
si ripete in ambedue chiamate. “vide Simone e Andrea” (v. 16) e “vide Giacomo, figlio di Zebedeo
e Giovanni” (v. 19). In ambedue i casi il vedere precede la chiamata di Gesù. Il vedere di Dio
nell’ambito biblico è spesso diretto al cuore dell’Uomo. Concentriamoci in questa quaresima nel
nostro cuore. Come è cambiato il mio cuore durante tutti questi anni di formazione?. Adesso è
diventato più bianco come neve o più scuro? E il secondo verbo è “Venite dietro”. Magari avrete
visto una bella immagine dei bambini che camminano mettendo i loro piedi sulle impronte
dei piedi dei genitori sulla spiaggia. Venire dietro ci indica una unificazione e identificazione
eccezionale. La frase “venire dietro” occorre varie volte nel vangelo di Marco. Nel capitolo 8, 34
Gesù parla più esplicitamente: “se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso, prenda la
sua croce e mi segua”. Con questo siamo stati messi ancora nella meditazione sulla Quaresima.
Cerchiamo di prendere la nostra croce ogni giorno con responsabilità e amore. Rinneghiamo
noi stessi e consideriamo gli altri come migliori e prendiamo la nostra croce, qualunque sia. Via
crucis è molto facile ma rispettare uno che fa servizio nel refettorio sarebbe un po’ difficile. Se
strada facendo abbiamo perso la nostra croce a qualche punto del nostro cammino vocazionale
cerchiamo di tornare, prendiamola con amore.
La terza fase è la risposta che viene dato alla vocazione. Due verbi stanno nel cuore di
questa risposta. Prima di tutto il verbo Lasciare. Lasciare significa uscire fuori dalla situazione
attuale e mettersi in cammino. Questi quattro pescatori hanno lasciato tutto: i genitori, la
famiglia, le cose, i loro talenti, il lavoro, le loro comodità, tutto... Questo lasciare non è facile.
Anzi è doloroso. Meditiamo in questa Quaresima, come abbiamo vissuto “il lasciare” nel nostro
cammino vocazionale. Il secondo verbo è Seguire. Lasciare e seguire in questo caso sono le due
facce della stessa moneta.
Senza lasciare non si può seguire Gesù. Tanti anni fa abbiamo detto un “si”. Durante
questa Quaresima esaminiamoci: dove siamo arrivati nel seguire Gesù?, come abbiamo seguito
Gesù fin ora? Dunque, carissimi, questo brano vocazionale ci aiuta a meditare sul nostro cammino
vocazionale. Specialmente quando ci stiamo avvicinando al Diaconato e al sacerdozio. Viviamo
questa quaresima meditando il vero discepolato che Gesù vuole da noi. Preghiamo che il Signore
ci dia la forza e la grazia per vivere meglio la chiamata che abbiamo ricevuto.

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ESPERIENZA DELLA
TRASFIGURAZIONE
MATTEO 17, 1-9
GEORGE Lijo

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su
un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero
candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese
allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una
per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li
avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi
sono compiaciuto. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da
grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi e non temete». Sollevando gli occhi
non videro più nessuno, se non Gesù solo. E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non
parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

MEDITAZIONE:
Signore, è bello per noi essere qui!!!
Davanti all’esperienza della trasfigurazione, queste parole innocenti, sincere, uscite dalla
profondità del cuore dell’Apostolo, sono davvero le parole di Riconoscimento Spirituale.
Signore, è bello per noi essere qui!!!
Vediamo che non sono più stanchi della salita all’alto monte, né sono più confusi del motivo per
il quale Gesù li ha condotti in quella regione in disparte, neppure sono terrorizzati, spaventati
o perplessi da questo evento stranissimo. Ma con tutto il loro cuore si rallegrano e professano
che
Signore, è bello per noi essere qui!!!
Carissimo Padre Muller, Don Han duo e i miei cari amici,
L’austero cammino quaresimale ci presenti nella seconda domenica– cioè nella domenica di
Reminiscere, ricordare, questo meraviglioso episodio della Trasfigurazione. È una scena facile da
meditare, facile da visualizzare, però ricco dei significati. Più che gli elementi – il viso brillante
come il sole e le vesti candide come la luce, ci stupisce fortemente il motivo per il quale il loro
cuore ha professato “Signore, è bello per noi essere qui!”.
Penso che il motivo sia chiaro dal racconto stesso. Perché leggiamo che “apparvero loro Mosè
ed Elia, che conversavano con Gesù”. Gesù, il loro maestro finora concepito come un uomo
Ut Unum Sint 27
viaggiante, un Rabbi, un grande oratore e l’uomo di straordinaria competenza e abilità; ormai si
presenti a loro come un Dio con poteri soprannaturali, con la capacità di trasfigurare sé stesso,
conversare con il loro grande legislatore e profeta dell’antichità. Hanno capito che il loro Maestro
non è un semplice uomo. In più hanno la testimonianza davanti a loro occhi, cioè Mosè ed Elia.
Questo ha provocato Pietro di prendere la parola. Il silenzio osservato dai discepoli durante tutto
il momento del loro cammino, di fronte alla faticosa salita e del motivo occulto di questo strano
itinerario, rompe con una parola di riconoscimento, “Signore, è bello per noi essere qui!!!
Quali sono le caratteristiche di questo Riconoscimento?
• Riconoscimento sempre parte dall’Esperienza concreta. Se consideriamo i nostri casi,
di solito il nostro atto di riconoscimento parte soltanto se un avvenimento tocca il nostro cuore
profondamente.
• Al medesimo tempo, il Riconoscimento causato da uno stimolo di forte gradimento ci fa
generalizzare i sentimenti e le nostre emozioni. Cioè, Pietro non diceva: Signore è bello per me
essere qui; però, ha detto, Signore, è bello per noi essere qui!!!
• Riconoscimento in un certo senso orienta i nostri pensieri e il nostro credere. Non
è un credere qualsiasi, ma solo di ciò che siamo veramente convinti. Possiamo dire che, per i
discepoli amati, questa esperienza più che un’esperienza puramente emotiva, è stata un’esperienza
esistenziale cristiana, fortemente radicata nella loro sequela di Cristo.
Carissimi, ora vorrei puntare la vostra attenzione sulla seconda parte dell’atto di
Riconoscimento. Cioè, Signore, “se vuoi, farò qui tre tende”. Possiamo capire che L’atto di
riconoscimento ci provoca di compiere azioni concrete, però in un modo soggettivo-personale
(qui Pietro non usa facciamo tre tende, ma dice farò tre tende). Riconoscimento comunitariamente
professato ormai cade in forma di una proposta puramente soggettiva. La parola ebraica di
“Tenda”, ohel significa “essere visibile a distanza”. In questo senso, il riconoscimento cadrebbe
come una spiritualità in decadenza, un progetto orientato solo come uno SHOW oppure come
una ritualità superficiale. Questo si capita anche come la nostra tentazione di idolizzare le nostre
idee, le nostre filosofie, i nostri orientamenti sulla vita senza tener conto il ruolo di Dio. È una
sacralizzazione artificiale.
Ma, se analizziamo il brano attentamente, possiamo capire che il discepolo non è stato
completamente deluso. Vorrei sottolineare l’aspetto positivo dell’atteggiamento di quel discepolo
in sequela. Vediamo nel brano che Pietro richiede il volere di Dio sul suo progetto personale, si
dice così – Signore, “se tu vuoi”. Pregare o richiedere la volontà di Dio sul nostro progetto e sul
nostro cammino è una cosa pertinente ad un discepolo. Come conoscere la volontà di Dio? per i
discepoli amati è stato facile. Dio chiarisce immediatamente reagendo attraverso una voce dalla
nube luminosa. “ASCOLTATELO”. Basterebbe ascoltare Gesù. È la soluzione ultima per i mille

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dubbi, le preoccupazioni e le incertezze nel nostro cammino di fede. Il racconto procede così,
I discepoli all’udire questo, erano presi di timore e caddero con la faccia a terra. L’espressione
biblica di “Cadere con la faccia a terra” indica “sottomissione, venerazione o atteggiamento per
la preghiera”.
Verosimilmente “timore” non è uguale a una paura. Infatti, È il primo atteggiamento
per crescere nella sapienza di Dio. Si dice poi, I discepoli erano toccati e consolati da Gesù. Così,
Sollevarono i loro occhi a Gesù. E poi scendono il monte con la reminiscenza dell’istruzione
nella fede, approfondito con la parola consolatrice di Gesù.
Carissimi, in questo tempo di grazia,
• proviamo di avere reminiscenza di ogni nostra esperienza nella sequela di Cristo.
• proviamo di smontare le nostre tende di sacralizzazioni artificiali,
• proviamo di sentirsi coperti nell’ombra della nube luminosa,
• proviamo di essere consolati e toccati da Gesù e sempre ascoltarlo
• e finalmente proviamo di professare un nostro Riconoscimento Spirituale Personale,
cioè Signore, è bello per noi essere qui!!!

Ut Unum Sint 29
PERCHÉ TU NON PENSI
SECONDO DIO
MA SECONDO GLI UOMINI? GUNTUR
MARCO 8, 27-33 Yoseph Kristinus

Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava
i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista,
altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli
rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò
a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai
sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo
discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi
e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi
secondo Dio, ma secondo gli uomini».

MEDITAZIONE:
Carissimi fratelli,
Il vangelo ci parla sulla professione di fede di Pietro. Come noi sentiamo molto spesso,
l’episodio è successo nel cammino verso i villaggi a Cesarea di Filippo, mentre camminava
Gesù ha fatto intervenire i suoi discepoli riguardo la sua identità, La gente, chi dice che io sia?
e la risposta di Pietro viene espressa come la professione della fede. La parte seguente è molto
interessante perché Gesù cominciò a spiegare il suo telos (il fine o il compimento) e ha dato a
sé stesso il termine di Figlio dell’uomo, però Pietro si mise a rimproverarlo e Gesù risponde: Va’
dietro a me satana perché tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini.

Due punti per la riflessione


Vorrei condividere con voi solo due punti per la riflessione.
1. Riguardo l’identità di Gesù, naturalmente noi ci assicuriamo con la nostra professione
di fede. Crediamo già chi è Gesù e la nostra fede viene formulata molto bene dal nostro Credo.
Conosciamo anche l’identità di Gesù tramite la riflessione teologica che già esiste da secoli.
L’idea sulla identità di Gesù così molto chiara, anche spesso noi ci troviamo di fronte a questa
domanda, chi è Gesù per me? Ciò che io voglio condividere su questo passaggio è la domanda
sulla sua identità. Gesù interroga i suoi discepoli mentre si trova con loro in cammino. Possiamo
immaginare che la situazione in cammino, non è la situazione ideale per riflettere su una realtà
così grande, misteriosa, neanche la situazione sopporta una risposta adeguata, possiamo dire
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che i discepoli non sono pronti, quando Gesù fa quella domanda. Noi chiediamo un momento,
in una situazione ideale di sedersi, almeno per rispondere ad una grande domanda. La stessa
situazione sicuramente succede nella nostra quotidianità: Gesù chiede a ognuno di noi, chi è
Lui per ognuno di noi mentre noi ci troviamo sempre in cammino, nella situazione che qualche
volta non è così ideale per noi, però più possibile per rispondere in quanto abbiamo l’esperienza
personale con Lui.
2. Per fare l’esperienza personale con Gesù chiede il nostro sforzo di avere una sensibilità
per capire la sua opera ogni giorno nella nostra vita.
3. La risposta di Gesù quando Pietro lo rimprovera diventa anche, possibilmente, indirizzata
a noi: perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. Di pensare secondo Dio ci
rimanda alla nostra capacità spirituale di stabilire il nostro pensiero affinché sia ‘in rete’ secondo
ciò che Dio pensa. Di avere il pensiero secondo Dio almeno viene espresso nella prima lettura.
Nella lettera di San Giacomo, avere il pensiero secondo Dio è proprio di ogni criterio mondano
oppure possiamo dire ‘la logica paradossale’ come viene espressa molto spesso da san Paolo: Noi
invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, ma per coloro
che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò
che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli
uomini (1 Cor 1, 23-24) Ciò che il mondo pensa è veramente lontano da pensare secondo Dio.
Questo invito anche noi lo sentiamo spesso, però sempre chiede un profondo e sincero ascolto
personale e profondo.
Chiediamo umilmente l’aiuto allo Spirito Santo affinché possiamo trovare la risposta
che Gesù chiede a ognuno di noi: “chi dici che io sia?” Nella nostra quotidianità e anche
di avere il pensiero secondo Dio. Alla fine possiamo dare la stessa risposta di Pietro: Tu es
Christus.

Ut Unum Sint 31
I SEGNI DEI TEMPI
E IL SEGNO DI GIONA
LUCA11, 29-32

JOSEPH Sajan

Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia;
essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. Poiché come Giona fu
un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. La regina
del sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa
venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone
c’è qui. Quelli di Nìnive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno;
perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c’è qui.

MEDITAZIONE:
Carissimo don Vincenzo, padre Müller e carissimi fratelli,
Sia Lodato Gesù Cristo!
Oggi, Molti di noi quando non sappiamo come arrivare ad un certo indirizzo o un luogo
per trovare qualcuno o qualcosa, cosa facciamo? Una volta, chiedevamo l’intercessione di San
Antonio di Padova, il santo patrono delle cose perdute, ma oggi chiediamo subito ad un altro
santo che si chiama: San Google. Noi accendiamo il Navigatore di Google per trovare indicazioni
riguardo la destinazione, però il Google non ci porta mai nel luogo in cui vogliamo andare,
ma noi seguiamo le indicazioni e i segni per raggiungere la nostra destinazione desiderata. Lo
stesso vediamo nel vangelo di oggi dove Gesù parla ai dottori della legge, che parecchie volte nel
Vangelo gli chiedono un segno per credere in lui. Infatti, non capivano i tanti segni che Gesù
aveva già manifestato davanti a loro. Proprio per questo Gesù li rimprovera in diverse occasioni
dicendo che voi non capite i segni dei tempi.
Perché i farisei e gli scribi non capivano i segni dei tempi? il primo, perché erano chiusi
nel loro sistema della Legge e quindi, Gesù voleva mostrare la legge fatta per amore, per essere
fedeli a Dio. Il secondo, avevano dimenticato che erano un popolo in cammino. E quando uno
è in cammino trova sempre cose nuove. E queste cose dovevano assumerle in un cuore fedele al
Signore, nella legge e nei segni. È il cammino verso un punto che è la manifestazione definitiva
del Signore. Per questo Gesù dice loro: questa generazione cerca un segno, ma non le sarà dato
nessun segno, fuorché il segno di Giona. E quindi Gesù sta parlando del suo più grande segno per

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quella generazione! cioè il mistero della redenzione, nella sua passione, morte e risurrezione.
Domandiamoci: quale segno sarà per la nostra generazione? Noi, abbiamo già conosciuto
il segno misericordioso di Gesù sulla croce! Eppure ancora oggi abbiamo bisogno dei segni
meravigliosi? Nel nostro contesto talvolta noi cadiamo nella trappola e non vediamo che ogni
giorno, ci sono tanti segni che ci orientano verso la presenza e l’opera di Dio. Però a causa del
nostro sistema dell’impegno in tante cose esterne, non abbiamo il tempo per riconoscere e vedere
internamente i valori in ogni segno che ci indica verso una vita per cui siamo chiamati da Lui.
Specialmente adesso tutto il mondo è preoccupato del Corona Virus. Credo che sia un segno di
questo tempo per sperimentare la misericordia di Dio e la conversione dei peccatori.
Fratelli, abbiamo iniziato un’altra volta, il tempo della Quaresima nella nostra vita,
prendiamo un momento per riflettere e per rientrare a noi stessi, chiedendoci: Io sono attaccato
alle mie cose, alle mie idee, chiuso? Mi sono solo stupito dei segni come dottori della legge? oppure
sono capace di andare oltre i segni per pentirmi come il popolo di Ninive e per sperimentare
la misericordia di Dio nella mia vita? Oggi viviamo nel mondo assorbito dall’esteriorità e
dall’immediatezza. È molto più difficile riconoscere la manifestazione di Dio interiormente. Il
segno che Gesù darà ai malvagi di ogni generazione è la sua morte e risurrezione. La sua morte,
liberamente accettata, è il segno dell’incredibile amore di Dio verso di noi. Gesù diede la sua vita
per salvare la nostra. E la sua risurrezione dai morti costituisce il segno del suo potere Divino. Si
tratta del segno più potente e dinamico decisamente dato mai.
Questo messaggio evangelico è più impegnativo che al tempo di Gesù. Quindi chiediamo
al Signore la grazia, per avere una sensibilità spirituale ogni giorno della nostra vita. Chiediamo
anche l’intercessione di Maria affinché ci aiuti nel nostro cammino.
Maria, Madre della Chiesa, Prega per noi.

Ut Unum Sint 33
DISCUSSIONE SUL DIGIUNO
MATTEO 9, 14-15

KANIVAYALIL
George Aswin

Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i farisei
digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a
nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro
tolto e allora digiuneranno.

MEDITAZIONE:
Carissimi formatori e Cari fratelli in Cristo.
Abbiamo iniziato il cammino della Quaresima, con l’imposizione delle ceneri mercoledì
scorso. Questo è un cammino di riflessione, di conversione e di preparazione di noi stessi per
accogliere il grande mistero pasquale di Cristo. Come abbiamo sentito già in questi giorni,
questo tempo di quaresima, non è un tempo di tristezza, ma un tempo gioioso in cui proviamo di
avvicinarci a Dio ancora facendo un passo avanti, con la nostra preghiera, Digiuno e astinenza. In
un altro modo possiamo dire, che è un tempo in cui proviamo dare più tempo a Dio, mettendo
da parte tutte le altre preoccupazioni quotidiane, così espressamente diciamo a Gesù: Tu sei più
importante per me. Tutte le letture liturgiche, che la Madre Chiesa ci propone in questo tempo ci
aiutano a capire il vero senso della Quaresima. Proprio nel vangelo di oggi l’evangelista Matteo ci
insegna per bocca di Gesù, riguardo al significato del digiuno. Fare digiuni o astinenze di qualche
oggetto non è una cosa nuova per nessuno di noi. Però non lo so quante volte noi abbiamo fatto
queste astinenze con il suo vero significato o in termini semplici con il nostro cuore.
Qui la domanda dei farisei e dei discepoli di Giovanni ci fa pensare. I farisei anche i
discepoli di Giovani sono due categorie di persone brave, che vogliono avvicinare Dio o vogliono
essere giustificati davanti a lui mettendo in pratica la Legge, la Torah. La loro vita è talmente
concentrata attorno queste pratiche del digiuno, preghiere astinenze, che a volte si dimenticano
della realtà in cui vivono. Come dice Isaia, questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca
e mi onora solo con le sue labbra mentre il suo cuore è lontano da me. Carissimi, la Quaresima
è un invito ad avvicinare Dio con tutto il nostro cuore con tutta la nostra anima. La pratica del
digiuno astinenza ecc. sono solo i mezzi che ci aiutano a realizzare questo scopo. Però molte volte
anche noi cadiamo nella stessa fine dei farisei, di agire senza il vero sentimento. Sono puntuale
alla Messa ogni giorno, faccio delle astinenze e dei digiuni, faccio delle preghiere diverse volte al
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giorno ecc., però se non riesco a perdonare i miei fratelli, se non riesco a vedere o salutare mio
fratello che sta vicino a me, se sono preoccupato solo di me stesso senza considerare l’altro, che
senso ha con la mia preghiera o con il digiuno. Se la nostra azione non corrisponde alla nostra
vita interiore, tutto diventa solo una routine show biz. Come dice papa Francesco, dobbiamo
porci la domanda “Il mio digiuno arriva per aiutare gli altri?” Se non arriva, è finto, è incoerente
e ci porta sulla strada di una doppia vita. Faccio finta di essere cristiano, giusto… come i farisei,
come i sadducei. Dobbiamo chiedere umilmente la grazia della coerenza. La coerenza cioè fare
soltanto quello che io posso fare, ma con coerenza cristiana. Il centro di tutto quello che noi
facciamo deve essere Gesù, il vero sposo non la nostra azione.
Quando uno vede Gesù negli altri e fa bene agli altri, tutte le cose che noi facciamo
avranno un vero senso, perché egli la figura del vero amore, l’amore di dare la sua propria vita
per gli altri. Carissimi, secondo me questa è la vera chiamata della Quaresima, di seguire Gesù
da vicino. Di far morire l’uomo vecchio e di far rinascere l’uomo nuovo con la grazia di DIO
così intensificare il percorso della propria conversione. Proviamo di rompere con il peccato che
abita nel nostro cuore, di allontanarci da tutto quello che ci porta lontano dal Piano di Dio.
Chiediamo a Lui di accompagnarci nel nostro cammino penitenziale e la nostra osservanza
esteriore corrisponda a un profondo rinnovamento dello spirito. L’intercessione di nostra madre
Maria Santissima e di tutti i santi ci aiuti in questo percorso della Quaresima.
Sia lodato Gesù Cristo.

Ut Unum Sint 35
TENTAZIONE NEL DESERTO
MATTEO 4,1-11

Kayiwa Robert

Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato
quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio
di Dio, di’ che questi sassi diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà
l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Allora il diavolo lo condusse con sé nella
città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta
scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché
non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare
il Signore Dio tuo». Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò
tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi
adorerai». Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo
rendi culto». Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.

MEDITAZIONE:
Cari formatori e cari fratelli, io sono contento di condividere con voi la mia breve
e piccola riflessione sul brano del vangelo che abbiamo appena ascoltato. In questi anni della mia
formazione, ho imparato che la bella riflessione o la bella omelia non consiste nella sua lunghezza
né nella sua brevità, ma la bella riflessione è quella della vita stessa coerente con il vangelo. Quindi
ciò che conta alla fine è la testimonianza non soltanto le parole.
Siamo nella terza domenica della Quaresima e il brano che abbiamo appena ascoltato si
tratta della scena della triplice tentazione di Cristo. Al v.1 Cristo fu condotto dallo spirito nel
deserto, per essere tentato dal diavolo. Ma perché Gesù fu condotto dallo spirito nel deserto?
Noi sappiamo bene che nel deserto mancano il cibo e l’acqua che sono gli elementi essenziali
alla vita (Num 20,5) e nel deserto mancano le strade e in esso s’incontrano i briganti, insomma il
vivere nel deserto corrisponde a una solitudine pericolosa. È proprio in questa scena si osserva la
solitudine di Gesù che sposta da una solitudine pericolosa a uno che è importante specialmente
per la nostra fede in Gesù Cristo nella sua singolarità come vero Dio e vero uomo.
L’esperienza del deserto che ci viene presentata già dall’inizio di questo brano segna il
cammino di fede che è progressivo. Il deserto diviene luogo di prova della fede e di purificazione.
Ma noi sappiamo che Gesù Cristo è Dio ed essendo Dio ha la pienezza di tutto. Ma l’evangelista

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Matteo ci vuole dimostrare che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo perché lui viene tentato come
tutti gli uomini, ma con la sua potenza e maestà come Dio, supera la tentazione del diavolo.
La prima tentazione al v.3, sottolinea il bisogno e il desiderio materiale dell’uomo nelle
cose del mondo che finiscono che secondo Qoelet sono vanità delle vanità (Qo 1,2). Queste
cose materiali non sono cattive in sé, ma se non sono utilizzate bene ci possono allontanare dal
Signore. Quando l’uomo diventa egoista e perde il senso di Cristo, rovina tutta la sua vita. Allora,
Gesù nella sua risposta ci vuole insegnare che la fonte e il principio della vita dell’uomo è Dio.
Da Dio, l’uomo deve nutrirsi della sua parola perché la sua parola è fonte di vita e fonte della
sapienza.
La seconda tentazione al v.6, il diavolo tenta Gesù di gettarsi giù dal punto più alto
del tempio. Nella Bibbia il punto più alto del tempio significa il luogo più sacro per eccellenza
dove si incontra Dio. Come mai un diavolo tenta Gesù di gettarsi giù? Questo significherebbe la
perdita della figliolanza di Gesù. La risposta di Gesù mi colpisce molto in senso che egli fa vedere
che è il Signore, Dio di tutti. Gesù come vero Dio e vero uomo supera la tentazione del diavolo
e ci insegna sempre di avere fiducia in Dio perché da lui solo viene il bene e non il male. Allora,
dobbiamo sempre nella nostra vita vincere il male con il bene. Questa ci fa ricordare il principio
morale: BONUM EST FACENDUM, MALUM EST EVITANDUM!
La terza tentazione al v.9, è ultima e culmine di questa scena e il diavolo dopo aver fallito
in tutti i primi due tentativi, bestemmia ordinando Gesù di gettarsi sui suoi piedi e gli ordina di
adorarlo.
Nella Bibbia, il monte indica il luogo dove si incontra Dio. Ma perché il diavolo porta
Gesù sul monte altissimo? Il tentatore si presenta come uno che ha autorità su tutte le cose,
proprio come un governatore del mondo. La risposta di Gesù ci dimostra che solo al Signore
dobbiamo rendere culto e solo lui dobbiamo adorare.
In conclusione cari fratelli, dobbiamo sapere che il peccato è un piccolo piacere che ci
fa perdere una grande gioia. Il tentatore, cioè il diavolo ci fa perdere la via verso il Signore, ci fa
perdere il senso della vita e ci fa dimenticare la dignità dell’uomo. Vedete il panico in cui non
viviamo oggi a causa del corona virus! Questo è proprio uno dei segni che ci fa capire come l’uomo
ha perso la sua visione di Dio. Questo brano del vangelo di oggi, ci fa riflettere e ricordare che
nel nostro cammino verso il sacerdozio, ci sono tante sfide e tante prove ma noi non dobbiamo
fuggire. Noi dobbiamo incontrarli con la nostra fede in Dio nella vita della preghiera mettendoci
nelle mani del Signore. Tre sono le cose che rimangono: FEDE, SPERANZA E CARITA. Ma
la più grande è la carità (1 Cor 13,13). Cari fratelli, in questa Quaresima, custodiamo l’amore tra
di noi e verso tutti.
Amen.

Ut Unum Sint 37
GESÙ IN CROCE
DERISO E OLTRAGGIATO
MARCO 15,29-37 Lin Qinren
(Pietro)

I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo


riedifichi in tre giorni, 30 salva te stesso scendendo dalla croce!». Ugualmente anche i sommi
sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: «Ha salvato altri, non può salvare sé stesso!
Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo». E anche quelli che
erano stati crocifissi con lui lo insultavano. Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino
alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa:
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Ecco,
chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere,
dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce». Ma Gesù, dando un forte grido,
spirò.

MEDITAZIONE:
Salva te stesso scendendo dalla croce! Scenda ora dalla croce, perché vediamo e
crediamo! Cari amici! Gesù è Dio, può fare tutto, può scendere dalla croce e salvare sé stesso. Ma
egli rimane sulla croce fino alla morte e offre la sua vita per salvarci. Perché? Qualcuno può dire
che Gesù è Dio, può salvarci con altro modo, senza violenza, senza la morte. Sì, certo, lui poteva
fare in altro modo, ma non lo ha fatto, perché? Perché Egli ci ama, ci ama molto. Egli ha detto:
«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici». (GV15,13).
Lui vuole amarci a donarci tutto, anche la sua vita.
Nella nostra vita, c’è anche il momento della tentazione in cui vogliamo scendere dalla
croce e abbandonare la croce. Perché la croce fa dolore, sofferenza e scomodità. Per la nostra
natura umana, a nessuno piace la croce e la sofferenza. Anche per un bambino piccolo, quando è
malato, la sua mamma gli dà la medicina, comincia a piangere, perché la medicina è amara, non
gli piace. Ma la medicina per la sua guarigione è necessaria, anche la croce per la nostra salvezza
è necessaria. Perché Gesù ha detto: «se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso,
prenda la sua croce e mi segua.» (Mc 8,34).
Quindi se vogliamo diventare veri propri discepoli di Gesù, dobbiamo prendere la croce
ogni giorno a seguire Gesù. Ma con quale sentimento prendiamo la croce? Con la tristezza e
noia? se così, la croce diventa più pesante; se con amore e gioia, la croce diventa più leggera e

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dolce. Perché quando uno ama fare qualcosa, anche se è difficile o richiede sacrificio, egli ancora
vuole farla con grande entusiasmo e con tanta forza. Perché lo ama.
C’era una ragazza che si chiamava Chiara Luce, era gioiosa e vivace e sincera. Ma un
giorno si ammalò, questa malattia è un sarcoma osteogenico con metastasi, uno dei tumori più
spietati e dolorosi. Dopo il primo intervento, lei si buttò sul letto con gli occhi chiusi, ed esclamò:
perché, Gesù? Ma dopo venticinque minuti, lei con il sorriso ha detto: se lo vuoi tu, Gesù, lo
voglio anch’io. Questo sorriso la accompagnò fino alla fine.
Durante la cura con una fleboclisi forzata e rumorosa, lei ha detto: ogni goccia
può assomigliare almeno un po’ ai colpi di martello sui chiodi usati per crocifiggere Gesù. E
accompagnava ogni battito della flebo con un: per te. Negli ultimi giorni, una mattina ha detto
alla sua mamma: Ieri sera ero felice perché ho potuto offrire ancora qualcosa a Gesù. Le sue
ultime parole erano per la sua mamma: Ciao, sii felice, perché io lo sono.
Che grande amore! Lei aveva soltanto 18 anni, poteva soffrire per Gesù con grande gioia
e amore fino alla fine. Quindi anche noi dobbiamo seguire tutti i santi ed abbracciare la croce
con tanta gioia per amare Gesù. Perché egli ci ama tanto, ci ha offerto la sua vita sulla croce per
noi. Amiamo Gesù con la nostra vita e prendiamo la croce per seguirlo.
Amen.

Ut Unum Sint 39
L’OMELIA SUL BATTESIMO
GIOVANNI 3,1-6

LYANGA
Edwin Jerome

C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli
disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai,
se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non
può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio?
Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In
verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio.
Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito.

MEDITAZIONE:
Sia lodato Gesù Cristo!!
Fra i momenti straordinari della mia vita che mi commuovono riflettendo è il mio
Battesimo. Quanto avrei desiderato sperimentare quel momento, che è accaduto mentre io avevo
solo un anno e mezzo. Questo era il grandissimo dono che i miei genitori mi hanno offerto, sono
cresciuto trovandomi dentro questa comunità cristiana che è di un grandissimo valore.
Il Battesimo è uno fra i tre sacramenti mediante i quali noi diventiamo cristiani, altri
sono la Cresima e il sacramento dell’Eucaristia. Questi sono chiamati i sacramenti dell’iniziazione
cristiana perché ci introducono nella Chiesa, comunità di salvezza e partecipi all’evento salvifico
di Cristo. Nel Battesimo noi diventiamo figli nel Figlio di Dio e peri il lavacro nell’acqua siamo
resi partecipi alla morte e risurrezione di Cristo, passando dalla morte del peccato alla vita di
comunione con Dio e quindi il popolo della nuova alleanza sigillato con il suo Spirito Santo.
Nel vangelo troviamo il racconto della discussione fra Gesù e Nicodemo al riguardo
della salvezza, cioè “come uno si salva?”. Gesù spiega la necessità e la gratuità del Battesimo per
la salvezza come dono di Dio per tutti gli uomini. Bisogna rinascere, dice Gesù. La nascita dall’
acqua e dallo Spirito. L’acqua che ha doppio significato nella storia della salvezza, fu la morte per
gli Egiziani, ma per il popolo di Dio, salvezza dai loro nemici quando lo fece attraversare il Mare
Rosso e ora per i cristiani è il segno della vita. Lo Spirito Santo è il dono di Dio ai suoi figli, è colui
che ci guida nel nostro cammino della santità, nella verità e nella preghiera perché sa quello di cui
abbiamo bisogno e ci aiuta anche a pregare bene e ci dà la forza di testimoniare il mistero di Dio
per la salvezza del mondo intero.
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Quanto e bello sapere che siamo figli di Dio, questo è un grandissimo amore come si legge in 1
Gv 3,1, il fatto di essere battezzati ci dà i diritti e obblighi come il nuovo popolo, verso Dio, verso
la Chiesa e verso il mondo intero. Di fronte a Dio godiamo la figliolanza e Lui per noi è il Padre,
lo dobbiamo avvicinare pregando con tutto il cuore pieno di amore e fiducia come dei figli. Il
nostro rapporto con Lui è amoroso e quindi in qualsiasi bisogno sappiamo che il Padre ci ama, ci
ascolta ed anche è pronto a perdonarci così possiamo, alla fine, abitare con lui in eterno.
Di fronte alla Chiesa abbiamo il compito di amarci gli uni gli altri, vivere da cristiani e fare
crescere la comunità portare la salvezza sino ai confini della terra. Di fronte al mondo abbiamo il
compito di andare in tutto il mondo a insegnare loro perché si convertano, testimoniare il vangelo
con le parole e le opere e risanare la malvagità del mondo annunciando l’amore misericordioso di
Dio.
In qualsiasi momento della nostra vita cristiana, dobbiamo essere consapevoli che siamo
figli, figli del Dio altissimo, quindi non dobbiamo vivere come gli orfani perduti nel mondo. Noi
siamo amati per primo da Dio che ha dato il suo Figlio per la nostra salvezza e ha dato anche lo
Spirito Santo perché ci possa guidare e perfino ci ha dato la comunità della salvezza, il suo nuovo
popolo eletto e il suo Figlio rimane con noi sempre fino alla fine del mondo. Che altro dobbiamo
desiderare se non vivere con Lui e per Lui finché venga il suo Figlio alla fine dei tempi?
Chiediamo l’aiuto della Madonna Madre di Gesù e Madre nostra che per la sua materna
intercessione e per intercessione di tutti i santi che siamo i veri cristiani, discepoli e figli amati di
Dio per tutta la nostra vita terrena e che possiamo anche noi trasmettere a tutti questa gioia di
essere i figli amati del Padre nostro che è nei cieli.
Amen.

Ut Unum Sint 41
GESÙ, PANE
PER LA NOSTRA VITA
NONVIDE
GIOVANNI 6, 51-66
Ifede Fiacre

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che
io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro:
«Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se
non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il
mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il
Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come
quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Queste
cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato,
dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi
discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio
dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che
vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da
principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E continuò: «Per
questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio». Da allora molti
dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.

MEDITAZIONE:
Il brano del Vangelo secondo Giovanni sopra riportato ci può scuotere interiormente
perché pone davanti a noi, si potrebbe dire, la realtà esistenziale della nostra vocazione cristiana.
Il brano va collocato nell’insieme di tutto il capitolo 6. Siamo nel libro dei segni. E qui, il segno da
cui inizia tutto il discorso è quello della moltiplicazione dei pani, fatta da Gesù che poi afferma
essere il Pane vero che dà la vita. “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio
dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita” dice Gesù. La domanda è: che
vuole dire mangiare la carne e bere il sangue di Gesù? Per rispondere a questa domanda, occorre
considerare una seconda domanda: perché il legame insistente tra vita eterna e mangiare la carne
e bere il sangue di Gesù?
Gesù dice che offre la sua carne e il suo sangue ai giudei e questo li scandalizza. Il
linguaggio dello Scandalo viene adoperato da Paolo in 1 Co 1, 22-23: “mentre i giudei chiedono
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segni e i greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e
stoltezza per i pagani.” Si potrebbe dire che, di fatto, Gesù parla della sua crocifissione in croce.
Infatti Egli offre la sua carne e il suo sangue come vero cibo e vera bevanda e lo fa attraverso il
sacrificio della stessa carne e dello stesso sangue in quanto Sommo Sacerdote.
In questo scandalo apparente dei giudei, si potrebbe vedere chiaramente che non hanno
capito quello che Gesù voleva dire loro perché loro capivano, semplicemente, a livello del cibo
fisico mentre Gesù va oltre, fino a livello di cibo spirituale. Si tratta di due livelli diversi di
movimento. Gesù dice poi: “le parole che io vi ho dette sono spirito e sono vita”. Allora per
tornare alle domande iniziali, si potrebbe dire che Gesù insiste sul legame tra mangiare la sua
carne e bere il suo sangue e la vita eterna giustamente perché si riferisce a questo legame tra la
sua morte in croce e la vita eterna che ne deriva, la Croce d’altronde nel Vangelo di Giovanni per
alcuni studiosi è Segno dei segni, e proprio qui vediamo la carne di Cristo e il suo sangue in modo
cruento che ci offrono la salvezza, cioè la vita eterna. E allora mangiare la carne e bere il sangue
di Gesù, oltre al significato sacramentale nel Pane e Vino a cui comunichiamo ogni giorno a
Messa, sarebbe aderire completamente alla persona di Gesù, ai suoi insegnamenti, amarlo così da
fare una cosa sola con lui. Prendiamo questo mangiare dunque anche nel senso spirituale, cioè
fare nostro, inghiottire le parole di Gesù e viverne così che si veda Gesù in noi quando la gente
ci vede agire. Ecco perché Gesù dice anche poi: “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui”, tutti e due fanno una cosa sola, questa è la comunione con Gesù e questa
comunione è sorgente di vita. Infatti quando mettiamo in pratica le parole di Gesù, viviamo
sereni, non ci autodistruggiamo, non siamo nemici di noi stessi. Questo è mangiare la carne e
bere il sangue di Cristo che ci dà la vita, già qui in questo mondo e poi nell’altro dopo la morte
fisica.
Per ultima cosa, Gesù lascia ognuno di noi libero nell’accettare la vita che Egli è e
propone. Qui si potrebbe fare un paragone con le due vie in Dt 30. Ed è qui che vediamo la
realtà esistenziale di questo brano. Gesù non costringe nessuno ad aderire alla sua persona, a
mangiare la sua carne e a bere il suo sangue. Porrà infatti poi la domanda ai discepoli se leggiamo
il seguito del Vangelo: “volete andarvene anche voi?”. Gesù sa che non è facile seguirlo, lui la vita
e la sorgente della vita, perché abbiamo i nostri appetiti che ci conducono alla morte, appetiti che
si saziano nei nostri peccati, con le nostre resistenze alla sua grazia come lo hanno fatto i giudei
nel Vangelo. La grazia ci viene data, oseremo ogni giorno scegliere Gesù, andare da lui, mangiarlo
ogni giorno e avere in lui la vita? Il Signore Gesù stesso ci venga in aiuto e ci fortifichi nella
relazione con lui per vivere sereni, santi e pieni di vita e vitalità alla gloria del suo nome, amen.

Ut Unum Sint 43
IL FARISEO
E IL PUBBLICANO
LUCA 18, 9 -14 PESANAYI
Courage

Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando
in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti,
adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di
quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi
al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò
a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà
esaltato».

MEDITAZIONE:
Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù ci insegna l’atteggiamento giusto per
pregare e chiedere la misericordia del Padre. Il Vangelo mette in evidenza il comportamento di
due uomini, un fariseo e un pubblicano. Entrambi salgono al tempio per pregare, ma agiscono
in modi molto diversi e di conseguenza ottengono risultati anch’essi diversi. Il fariseo prega,
stando in piedi e usa molte parole. La sua è una preghiera di ringraziamento a Dio, ma esaltando
i propri meriti e con il senso di superiorità rispetto gli altri uomini, i ladri, ingiusti e adulteri.
Come sappiamo dei farisei, della loro frequentazione assidua del tempio, magari quest’ultimo era
uno dei capi perché si sente come un padrone, prega stando in piedi. Egli fa un elenco delle cose
buone mostrando che lui va anche oltre; digiuno due volte la settimana e pago le decime di tutto
quello che possiedo.
Cari miei, proprio qui è il problema: quel fariseo prega Dio, ma in verità guarda a sé
stesso. Diciamo che lui prega sé stesso. A volte come il fariseo siamo sicuri di noi stessi, e questo
ci fa perdere il senso della preghiera che sostanzialmente non riguarda a noi, ma a Dio.
Il pubblicano invece, si presenta nel tempio con animo umile e pentito, fermatosi a distanza, non
osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto.
La sua preghiera è brevissima, non è così lunga come quella del fariseo: dice «O Dio,
abbi pietà di me peccatore». Dei pubblicani sappiamo che erano considerati persone impure,
sottomesse ai dominatori stranieri, erano malvisti dalla gente e in genere associati ai “peccatori”.
Carissimi, questa parabola ci insegna che si diventa giusto o peccatore non per la propria

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appartenenza sociale, (per ciò di cui siamo conosciuti) ma per il modo di rapportarsi con Dio e
per il modo di rapportarsi con i gli altri. Esempi: a volte noi che dobbiamo dare l’esempio della
autentica vita cristiana, ci troviamo ogni tanto fuori gioco, vivendo il contrario.
• Come sono i nostri rapporti con le persone nei social media?
• Ovunque ci troviamo?
• Nella nostra comunità soprattutto in questi giorni con il Coronavirus?
Il pubblicano agisce da umile, è sicuro solo di essere un peccatore bisognoso della grazia
del Padre. Se il fariseo non chiedeva nulla perché aveva già tutto, il pubblicano chiede sola la
misericordia di Dio. Il pubblicano mostra, a tutti noi, la condizione necessaria per ricevere il
perdono del Signore. Alla fine diventa un’icona del vero credente.
Soltanto, dobbiamo pregare ponendoci davanti a Dio così come siamo. Ma non basta
domandarci quanto preghiamo, dobbiamo anche chiederci come preghiamo. A volte andiamo
nella cappella, tre o quattro volte al giorno e la domanda che ci dobbiamo fare è questa: “come
preghiamo?”. Davanti a un cuore umile, Dio apre totalmente il suo cuore. È questa umiltà
che la Vergine Maria esprime nel cantico del Magnificat: di generazione in generazione la sua
misericordia si stende su quelli che lo temono, ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli
umili. Ecco un esempio della preghiera che possiamo seguire anche noi “O DIO, ABBI PIETÀ
DI ME PECCATORE”.

Ut Unum Sint 45
GUARIGIONE
DI UN CIECO NATO
GIOVANNI 9,1- 41
POYIKAYIL
Joy Arun
Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato,
lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori,
ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi
ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel
mondo, sono la luce del mondo». Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò
il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)».
Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché
era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni
dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora
gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?». Egli rispose: «Quell’uomo che si chiama
Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va’ a Sìloe e lavati! Io sono andato
e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è questo tale?». Rispose: «Non lo
so». Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: era infatti sabato il giorno in cui Gesù
aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come
avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e
ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il
sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c’era dissenso tra di loro.
Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli
rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato
la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono:
«È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori risposero:
«Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né
sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà lui di se stesso». Questo dissero
i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo
avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero:
«Ha l’età, chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo
che quest’uomo è un peccatore». Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima
ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli
occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo?
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Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo
discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui
non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo è strano, che voi non sapete
di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se
uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non s’è mai sentito
dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far
nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell’uomo?».
Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Tu l’hai visto: colui che
parla con te è proprio lui». Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi. Gesù allora
disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli
che vedono diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero:
«Siamo forse ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma
siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».

MEDITAZIONE:
Tu credi nel Figlio dell’uomo? Egli rispose; “e chi è, Signore perché io creda in lui?
Gli disse Gesù; “Lo hai visto, è colui che parla con te”. Ed egli disse “credo Signore”.
Carissimi padri e miei amici!!
Abbiamo ascoltato il celebre brano della guarigione del cieco, in cui Gesù che è la vera
luce, guida il cieco alla luce. Prima, avevo pensato di soffermarmi nella prima parte di questo
brano, perché il tempo che mi è concesso è breve e questo era un capitolo lungo. Ma poi, ho
visto che se io leggessi solo la prima parte, sarei stato fedele al tempo che mi è concesso, ma non
sarei stato fedele al narratore, Giovanni. Perché il narratore si è veramente sforzato di mettere
in rilievo qualche traccia affascinante in tutto il capitolo. Sappiamo che un buon regista di un
film non scioglie il tema del film così facilmente all’inizio del film, lui invece chiede anche la
cooperazione di coloro che guardano il film. Così, Giovanni non limita il messaggio di questo
miracolo nella prima parte di questo capitolo, ma invita la cooperazione intuitiva dei lettori.
Allora, possiamo vedere la guarigione di due tipi di cecità in questo capitolo; una è la guarigione
degli occhi fisici e l’altra è la guarigione della cecità spirituale di questo uomo. A Giovanni
piacerebbe chiamare questi miracoli come “segni”. Cioè il segno che ha la funzione di indicare
che in Gesù si realizza l’evento escatologico. Quindi, questi segni invitano tutti gli uomini a
percepire la filiazione divina di Gesù. Ecco perché Giovanni colloca questo segno di guarigione
del cieco, proprio dopo l’episodio in cui i giudei cercano di gettare le pietre contro di lui. Perché
non riconobbero la filiazione divina di Gesù.

Ut Unum Sint 47
Ciò che mi stupisce molto è l’obbedienza di questo uomo cieco. Lui non fa nessuna richiesta
a Gesù. Ma, Gesù stesso inizia l’opera mettendo il fango sugli occhi del cieco. Sant’’Ireneo di
Lione dice che questo gesto di Gesù ricorda quello della creazione dell’uomo da Dio, raccontato
nel libro della Genesi. E Gesù ordina di andare alla piscina di Siloé cioè l’inviato, che è Gesù
stesso. Così, Gesù manifesta che la sua missione è quella di liberare l’uomo dalle tenebre. Quel
cieco non ha mai sentito parlare di Gesù, neppure ha saputo che Gesù è un uomo di tale capacità
di guarire. Gesù, addirittura lo invia alla piscina che è lontano. Eppure il cieco lo obbedisce.
Diciamo lo obbedisce ciecamente. Ecco, così l’obbedienza è stata l’occasione per opera di Dio.
Potremmo vedere questi tipi di obbedienza anche nei confronti di altre persone nei vangeli,
Quando è venuto meno il vino nella festa delle nozze in Cana, Gesù non fa subito il vino, ma,
dice ai servitori di riempire le anfore di pietra con l’acqua e i servitori gli obbediscono ciecamente
anche se non conoscevano Gesù. Anche quando non c’era il pane sufficiente per il popolo, Gesù
dice ai discepoli di farlo sedere nel prato e loro obbediscono, pur non avendo la certezza. E così,
mentre i dieci lebbrosi chiedono di essere guariti, Gesù non guarisce improvvisamente, ma li
invia a mostrarsi ai sacerdoti. Eppure loro gli obbediscono anche se la guarigione non è avvenuta
prima. Ecco, tutti quelli obbediscono alla parola di Gesù e vedono i miracoli. L’unica cosa che
Egli chiede è la nostra cooperazione e l’obbedienza.
Il passaggio dalla cecità alla vista simboleggia quello dalla incredulità alla credulità
e dalla morte alla fede e alla vita. Questo uomo cieco, è l’unico cieco dalla nascita del Nuovo
Testamento. In questo senso, potrà essere considerato il prototipo di quelli che arrivano alla
fede. Possiamo intuire che l’uomo cieco sperimenta un’altra guarigione, la guarigione degli occhi
spirituali. E così lui fa un cammino progressivo nella fede attraverso gli episodi successivi nella
sua vita.
Per esempio, quando i farisei chiedono come mai stati aperti suoi occhi, il cieco
nel versetto 11 dice che “L’uomo che si chiama Gesù ha fatto questo miracolo”. Qui, il cieco
riconosce Gesù soltanto come un uomo. Poi, più tardi, quando i farisei hanno chiesto “cosa dici
di Gesù dal momento che ti ha aperto gli occhi”? il cieco risponde “Lui è un profeta”. Qui, il cieco
riconosce Gesù come un profeta che proprio richiama il riconoscimento della donna Samaritana
nel capitolo 4 di Giovanni.
Ancora più tardi, mentre i farisei accusavano Gesù di essere un peccatore, l’itinerario del cieco
entrò a una nuova tappa. Il cieco allora dice che “se costui non venisse da Dio, non avrebbe
potuto fare nulla”. Qui, lui riconosce che Gesù è come colui che viene da Dio. Questo cammino
o percorso del cieco arriva all’apice quando Gesù gli viene incontro e gli si rivela come il figlio
dell’uomo cioè colui che viene dal cielo per radunare gli uomini ed elevarli alla partecipazione
della vita di Dio.

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Nel versetto 37, Gesù si auto-rivela come “colui che parla con te” e il cieco risponde dicendo
“Credo Signore”, che è molto simile alla professione di San Tommaso nei confronti di Gesù
risorto. Così, l’incontro con Gesù apre suoi occhi spirituali, e il cieco diventa il prototipo di fede
che potrebbe essere l’inizio del discepolato.
Carissimi, qui vediamo che il cieco, che vive tre momenti importanti nel suo cammino
di fede;
Il primo: Gesù interviene nella sua piccola e fragile vita di debolezza e gli dona la vista.
Il secondo: Questo cieco poi, subisce tante accuse e giudizi da parte dei farisei, solo per il fatto
che lui è stato toccato o guarito da Gesù nella sua vita. Nonostante quelle accuse, il cieco non
dice neanche una parola contro Gesù, ma vede la vera identità di Gesù, invece i giudei diventano
ciechi.
Il terzo: Gesù di nuovo viene alla sua vita rivelando come figlio dell’uomo e anzi “colui che parla
con te”.
Carissimi nel personaggio di Cieco nato, a cui Giovanni non dà un nome proprio,
ritroviamo anche la nostra vita personale. Soprattutto, quei momenti che ci hanno concesso la
fede per essere i fedeli prima e poi i discepoli di Gesù.
In quale momento ho sperimentato di essere veramente toccato da Gesù per seguirlo?
Anche io ho subito le accuse e giudizi, magari da parte dei miei famigliari o dagli amici proprio
perché ho accolto l’agire di Gesù nella mia vita personale?
Come il cieco nato anche io ho sperimentato la presenza di Gesù, figlio dell’uomo come “colui
che parla con me”?
E così, disponiamoci al Signore ed apriamo i nostri occhi spirituali per poter riconoscerlo
come Signore. Giovanni Crisostomo dice che “Gesù è il Siloe spirituale mandato da Dio Padre. E
riceviamo la vera vista soltanto quando ci laviamo in Lui”.
Sia lodato Gesù Cristo!

Ut Unum Sint 49
GUARIGIONE
NEL PAESE DI GENNÈSARET
MARCO 6, 53-56
SHIN Joohwan
(Anselmo)

Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Gennèsaret. Appena scesi dalla barca, la
gente lo riconobbe, e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli
che stavano male, dovunque udivano che si trovasse. E dovunque giungeva, in villaggi o città o
campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del
mantello; e quanti lo toccavano guarivano.

MEDITAZIONE:
Cari fratelli,
Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù guarisce i malati che venivano da lui. E, in
questi brani evangelici, Marco non ci mostra semplicemente Gesù che guarisce i malati, ma
soprattutto ci vuole mostrare il fatto che i malati supplicavano a Gesù di poter toccare almeno
il lembo del suo mantello e cosi la gente che li portava a Gesù. Che senso ha che la gente porta
i malati a Gesù e Egli li guarisce. Papa Francesco, il giorno del Mercoledì delle Ceneri, nella sua
omelia ha detto, “La Quaresima è per riconoscere che le nostre misere ceneri sono amate da
Dio.” Cioè, per noi bisogna riconoscere l’amore di Dio e il nostro cuore va verso a Dio. E penso
che questo Vangelo è un invito quaresimale per tutti noi e come possiamo camminare in questo
tempo.
Prima di tutto, attraverso la revisione la gente del Vangelo. Nel Vangelo, La gente
riconosceva, accorreva e portava i malati a Gesù. Significa che la gente sa dove è Gesù e chi è
Gesù. E cominciarono a recarsi dove è Gesù con i suoi discepoli stanno. Il Vangelo descrive
brevemente questa scena, ma, se immaginassimo gli atti di loro, potremmo sapere i fatti di loro
non sono facili, cioè loro devono sapere dove Gesù si ferma per la giornata e seguire attentamente
le vicende di Gesù. Appena, sanno dove è Gesù, vanno da lui. E oltre loro non vanno da soli,
portano i malati con loro per la loro guarigione. Si vede che ogni individuo ha bisogno per la sua
guarigione interiore e anche esteriore che è la misericordia di Gesù.
Infatti, ascoltare bene, riconoscere e trovare Gesù non sono gli atti speciali ma, gli atti che ci
chiedono, in quanto cristiani, di fare nella vita cristiana. Peraltro, aiutar l’altro come nel vangelo
è anche un dovere cristiano nella comunità cristiana perché tutti noi abbiamo bisogno della
misericordia di Dio. Non siamo per noi stessi ma per gli altri. Dunque, passandoci questo tempo

50 2019-2022
speciale, noi possiamo fare una cosa speciale per Dio e per il prossimo, a livello personale e a livello
comunitario. Non possiamo fare le cose grande qui, ma possiamo fare le cose piccole, cioè, nella
messa quotidiana possiamo ascoltare la parola di Dio e possiamo riconoscere Gesù; soprattutto
nella Eucarestia. E anche nella comunità, noi possiamo fare l’amore fraterno attraverso nostro
impegno che ci ha affidato dalla comunità. Così possiamo avvicinarci a Dio giorno dopo giorno
nel tempo quaresimale.
Secondo punto è quello la fede della gente. il Vangelo ci racconta che non è Gesù che
invita la gente, la gente stesso che fa lo sforzo di avvicinare a Gesù. E, anche i malati supplicano
di poter toccare il lembo del suo mantello. E poi, Gesù vede la loro fede e gli guarisce. Nel senso
che Gesù non abbandona la gente che vengono da Lui, anzi, vuole che noi veniamo da Lui. Gesù
è sempre con noi come ci ha già detto (Mt. 28,20) ma, vuole che veniamo da Lui non soltanto
per i nostri bisogni ma ci chiede un altro passo più di entrare in intimità con Lui. Pertanto,
questo tempo Quaresima è una buona opportunità per tutti noi di avvicinare a Gesù con un
passo avanti.
Cari fratelli, infatti, la via cristiana non è la via così facile. Ma, penso che questo tempo
sia un buon tempo di mostrare la nostra amicizia e la nostra fede in Dio. E per questo vorrei
invitarvi amici miei “Non è facile ma, andiamo insieme”. Se andiamo insieme serenamente su
questa strada, Gesù anche ci aiuterà di passare bene questo tempo.
Sia lodato Gesù Cristo, e sempre sia lodati.

Ut Unum Sint 51
LA FIGURA
DI SAN GIUSEPPE.
LUCA 2, 1-7 THUNDIPARAMBIL
Sebi Victor

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.
Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirino. Andavano tutti a
farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide,
dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per
farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo,
si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo
depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.

MEDITAZIONE:
Reverendi padri e carissimi fratelli in Cristo.
Siamo ormai vicino o diciamo già alla porta per celebrare il Natale, la nascita del
nostro Signore Gesù Cristo il Salvatore. In questi tempi di preparazione le letture ci presentano
le figure importanti che Dio ha scelto secondo la sua volontà per collaborare nel suo mistero
dell’incarnazione del suo Figlio. Come abbiamo letto in queste tre settimane i vangeli ci
presentano la figura di Giovanni Battista: il precursore, la voce, che ci chiama alla preparazione,
conversione, e testimonianza. Invece oggi il vangelo ci presenta San Giuseppe lo sposo di Maria
e il padre adottivo di Gesù. Di San Giuseppe non sappiamo tanto, perché nei testi dei vangeli si
parla poco di lui, anzi egli stesso non ha detto o pronunziato mai una parola. La sua grandezza
sta nell’avere accolto il mistero che gli veniva consegnato del quale non riusciva a comprendere
tutto, ma lo ha custodito mettendosi in stretta collaborazione con il Padre. Il Padre che aveva un
disegno di salvezza per l’umanità.
Elemento fondamentale nella vita di San Giuseppe, colui che ascolta e nell’ascolto, capisce,
crede e realizza. Si disse che San Giuseppe è l’uomo del silenzio perché è colui che costudisce la
parola, non parla solo con le parole ma, parla con i fatti. San Giuseppe è un uomo silenzioso e
umile, è aperto alle sorprese di Dio e ai suoi piani, anche se gli sconvolgono la vita. Non parla
mai, ma ascolta la parola e subito mette in azione, non è un uomo di tante parole o del dialogo.
Tutti ascoltano per discutere per aver ragione per dire l’ultima parola, invece lui nel suo silenzio
ascolta per agire. Ma lui è un uomo di azione come si è detto della sua reazione all’annuncio
dell’angelo di non ripudiare Maria la sua fidanzata e la sua decisione è di stare zito e di accettare

52 2019-2022
e prendere Maria come sua Moglie. Anche quando l’angelo gli appare e gli dice di prendere il
bambino e sua madre e di andare via, di fuggire in Egitto, egli non dice nulla, ma li prende e
parte. Quindi il suo silenzio non è un silenzio vuoto o indifferente davanti alla situazione che lui
stesso non si aspettava. Ma un silenzio di obbedienza nella umiltà alla volontà di Dio.
Giuseppe uomo giusto. Di fronte a ciò che succedendo a Maria, è chiaro che Giuseppe
si interroga che cosa stia succedendo e quale potrebbe essere il suo comportamento davanti a
questa situazione. Perché la giustizia in quel momento secondo la legge del Deuteronomio, una
donna incinta fuori del matrimonio sarà condannata e punita con la lapidazione. Ma alla luce
della parola che viene annunciata dall’angelo, lo possiamo dire anche alla luce del suo amore per
Maria, la giustizia di Giuseppe non è collegata alla legge, ma a ciò che proprio dice il vangelo
di oggi. Giusto per Dio significa, un uomo che è obbediente per fare la volontà di Dio, per
compiere il progetto divino. Colui che cambia i suoi propri piani se Dio lo desidera. compiere
quello che Dio aveva progettato per lui, cioè di prendere Maria come sua sposa e prendere il
Figlio di Dio incarnato nel segno di Maria. Inoltre, San Giuseppe è come un custode. Custodire
Maria e il suo Figlio Gesù. Custodire il mistero di un figlio di Dio fattosi uomo, un bambino
inerme, nato da Maria. (il bambino come tutti i bambini dipendenti dalla cura di un padre e una
madre) di crescere (Gesù cresceva in sapienza, nella età e nella grazia), sotto la sua cura di padre e
quindi ascoltando Dio, si lascia guidare dalla sua volontà. Cioè lo ha custodito, amato, educato,
protetto, Gesù bambino, insieme alla madre Maria, a compiere l’opera di misericordia di Dio
Padre.
Infine:
Essere cristiana non significa semplicemente usare il nostro buon senso, cercare una cosa
semplicemente giusta in mezza alle difficoltà. Ma essere cristiana significa avere l’umiltà di fare
lo spazio alla Parola di Dio che ci sta rivolgendo, proprio quando a noi sembra di non capire più
nulla. Dobbiamo essere umili, obbedienti per capire e accogliere la volontà di Dio nella nostra
vita, come San Giuseppe. Lui ci insegna oggi come essere uomini umili e obbedienti e nel silenzio
fare la volontà di Dio nella nostra vita. Anche noi in questo tempo possiamo preparare i nostri
cuori come un presepe con l’umiltà con cui noi possiamo accogliere il salvatore che nascerà. Così
possiamo dare la testimonianza nella nostra vita facendo la sua volontà come la nostra missione.
In occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale patrono della
Chiesa universale, Papa Francesco ha offerto alla Chiesa la Lettera apostolica “Patris Corde”
“Con cuore di Padre”. Papa Francesco rimette al centro l’esercizio e il compito della paternità.
San Giuseppe è uomo, sposo, padre, lavoratore, credente nella modalità più serena e più ricca, ma
anche più responsabile. La speranza è che anche ognuno di noi possa imitare, nella nostra vita, gli
atteggiamenti umani e spirituali di San Giuseppe.

Ut Unum Sint 53
L’INCONTRO
CON LA SAMARITANA
GIOVANNI 4, 5-42 YAI Lino
Pioth Mangar

Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva
dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva
presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua.
Le disse Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi.
Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna
samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose:
«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti
chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per
attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del
nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose
Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non
avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la
vita eterna». «Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non
continui a venire qui ad attingere acqua». Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui».
Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai
avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replicò la
donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte
e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, è
giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate
quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità;
perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito
e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci
annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo». In quel momento giunsero i suoi
discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che
desideri?», o: «Perché parli con lei?». La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla
gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?».
Uscirono allora dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia».
Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un
54 2019-2022
l’altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà
di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi
viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per
la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme
chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a
mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha
detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi
con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna:
«Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che
questi è veramente il salvatore del mondo».

MEDITAZIONE:
In questo brano, vediamo che non è un semplice racconto di parabola o qualsiasi
tipo di storia, ma è l’incontro reale di Gesù con una donna samaritana, segno universale della
ricerca e della missione di Dio, della fede che è adesione fiduciosa nella persona del Figlio e la sua
condizione per ricevere la vita eterna.
Infatti, come nel terzo capitolo,(questo è quarto capitolo) Nicodemo incarna il giudaismo
ufficiale e ortodosso, come l’uomo in ricerca confuso, così la samaritana, rappresentante del
giudaismo eterodosso (perché non è sincera, presenta doppio volto, la paura di dire la verità, di
voler catturare qualcosa magari) incarna tutti coloro che iniziano a gustare il vero culto in spirito
e verità; come nel <v.24, ove dice Dio è spirito e quelli che Lo adorano devono adorare in spirito e
verità> nonostante una fede ancora imperfetta ed in crescita. Solo con un pagano, il funzionario
regale di Cana Gv.4,46-54 la fede raggiunge il suo vertice e l’uomo partito dall’incredulità come
l’Israele del deserto, penetrato nella difficoltà di ricerca di Dio come Nicodemo, passato alla fede
per i segni sperimentali come la samaritana, giunge alla fonte che pienamente disseta.
Il Santo Padre, papa Francesco, nella sua omelia di domenica scorsa, afferma che non si
può essere il discepolo di Gesù con gli argomenti del mondo che hanno doppia intenzione, ma
attraverso un dialogo trasparente di confessione e dichiarazione e di pregare sempre con la mia
verità, non con la verità degli altri.
L’amore di Dio spinge verso la sincerità di confessare sempre la verità come questa donna
Samaritana che dichiara, davvero ho avuto sette mariti. E davvero la samaritana se ne andò a
testimoniare Gesù chiamando gli altri. Gli studiosi, come i nostri Biblisti, dicono che Gesù
poteva certo passare in Galilea senza attraversare la Samaria (Salendo per la Valle del Giordano,
almeno con l’aiuto della cartina, possiamo capire bene), ma Giovanni ci tiene comunque a situare

Ut Unum Sint 55
l’episodio importante del ministero di Gesù, per doppio motivo; 1° la sua comunità aveva contatti
stretti con ambienti samaritani, 2°perché l’incontro con la donna samaritana prefigura la missione
della Chiesa presso i non-Ebrei. Sappiamo che i samaritani e gli Ebrei erano venuti a odiarsi per
la vicenda del monte Garisim dopo l’esilio e lo scisma samaritano, nato da un rigorismo della
riforma Ebraica, aveva deciso così che un Giudeo religioso doveva evitare ogni contatto con gli
impuri e a fortiori, astenersi dal chiedere il nutrimento.
Si tratta di una sorgente zampillante in fondo, di un pozzo abbastanza profondo. La
donna vedendo che Gesù si interessava della verità, riconosce in lui, come uomo di Dio, ish
Eloehim e gli chiede l’acqua della vita eterna che non è attinta dal pozzo famoso e profondo di
Giacobbe.
Anche noi, chiediamo la grazia di essere sinceri raccontando sempre e dappertutto le
nostre storie vocazionali e il vero incontro col Signore per testimoniare la verità di Gesù e per la
conversione degli altri.

56 2019-2022
L’AMORE DI DIO
È SENZA CONDIZIONI, È GRATUITO
LUCA 15, 11-32
ZHANG Yintao
(Paolo)

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte
del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio
più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo
da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a
trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo
mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci;
ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre
hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre,
ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami
come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il
padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho
peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre
disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari
ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio
era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio
maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò
un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha
fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva
entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e
non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei
amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai
ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è
tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era
perduto ed è stato ritrovato».

MEDITAZIONE:
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita. la parabola del figlio prodigo (o
meglio, del padre misericordioso) rivela la grandezza dell’amore di Dio che è senza condizioni, è
Ut Unum Sint 57
gratuito verso tutti i suoi figli. Indica anche le tappe del ritorno del figlio alla casa paterna: rientra
in sé (v. 17 allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e
io qui muoio di fame), si rialza (v. 18 Mi alzerò, andrò da mio padre), invoca il perdono (v.18 e gli
dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te). Il padre accoglie con amore il figlio ingrato
che si è allontanato da lui. Così Dio, molto più buono di tutti i padri, accoglie e perdona coloro
che si sono allontanati da lui con il peccato a tornano ascoltando i suoi inviti.
Lc. 15, 2 I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: Costui accoglie i peccatori e
mangia con loro. La provocazione da cui nasce la famosa parabola del figliol prodigo che tutti
conosciamo è esattamente questa. Ciò che fa da impedimento nella comprensione di Gesù è
questo modo sconvolgente di andare incontro ai lontani. E tutto questo è sconvolgente perché
tutti noi siamo sempre intimamente convinti che l’amore deve essere meritato. Senza meriti si
è esclusi dall’amore. Ma è proprio la concezione di un amore così che blocca la comprensione
di Dio che Gesù è venuto ad annunciarci. Gesù sembra dire con tutta la sua vita esattamente il
contrario: l’amore di Dio è senza condizioni, è gratuito ed è proprio per questo che ci salva la vita.
Ecco perché la parabola del figliol prodigo è la spiegazione più chiara di questa logica.
Un uomo ha due figli. Il più piccolo si fa dare l’eredità e se ne va da casa. Farsi dare l’eredità
significa considerare il padre morto. Per lui il padre è morto, e questa morte è conveniente perché
gli dà liquidità. Senza più padre a cui rendere conto e con le tasche piene di soldi fa quello che
vuole e si diverte fino a spendere tutto. Ma speso tutto si ritrova drammaticamente a invidiare i
porci che a differenza sua hanno almeno da mangiare, così decide di tornare a casa. questa storia
non sembra la storia di una conversione, ma solo la storia di un opportunista. E infatti Detta così
tale è questo figlio. La sua vita però non cambia perché trovandosi in difficoltà decide di tornare a
casa. La sua vita cambia quando tornando effettivamente a casa non trova la porta sbarrata ma le
braccia aperte del padre che gli corre incontro. È l’inaspettata reazione del padre che lo converte.
L’amore proprio perché gratuito e senza condizioni è sempre un evento inaspettato, e proprio
per questo ci cambia la vita. I cambiamenti invece che nascono per calcolo sono sempre destinati
a finire. Questo modo di fare è incomprensibile se non si comincia a ragionare come Gesù. Fino
ad allora l’unica reazione che ci suscita è il fastidio.

58 2019-2022
IL BATTESIMO
DEL SIGNORE
Isaiah 55: 1-11; 1 Giovanni 5: 1-9; KEAH Bawar
MARCO 1: 7-11
Kharay Duop

E predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per
sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito
Santo». In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.
E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì
una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto».

MEDITAZIONE:
Dopo la festa dell’Epifania, celebriamo oggi il battesimo del nostro Signore Gesù
Cristo. Come narrato nel Vangelo, Giovanni battezzava la folla in preparazione per la venuta
dell’atteso Messia. Anche Gesù venne per essere battezzato da Giovanni; e mentre usciva
dall’acqua, accaddero tre eventi: 1. i cieli furono aperti, 2. lo Spirito Santo discese sotto forma di
colomba, 3. e si udì una voce che diceva: Sei il mio diletto Figlio, con te mi compiaccio. Come
sappiamo, il battesimo di Giovanni era un segno di pentimento e conversione dal peccato. Essere
battezzato da Giovanni era un riconoscimento della fragilità umana e una sete della misericordia
redentrice di Dio. Ma perché Gesù ricevette il battesimo di Giovanni poiché è il Figlio di Dio,
“l’unto di Dio” senza peccato? Il battesimo di Gesù non ha nulla a che fare con i peccati, ma ci
manifesta che è attraverso il battesimo che possiamo essere liberi dai nostri peccati. Infatti, il
battesimo di Gesù fu un atto inaugurale, per così dire. Ha segnato l’inizio della sua vita pubblica e
del suo ministero mentre si proponeva di fare la volontà del Padre e annunciare l’arrivo del regno
di Dio. In quanto tale, il battesimo di Gesù è stata un’opportunità per rivelare la sua identità e
missione alla gente. La discesa dello Spirito Santo doveva esprimere una straordinaria vicinanza
tra il padre e il figlio. Gesù è unto dallo Spirito Santo, mostrando così la sua identità di divino
figlio del Padre.
Il battesimo di Gesù, di Giovanni era il simbolo dell’umiltà. Un compito umile svolto da
un servo per un padrone. Giona sottolinea la sua posizione bassa rispetto a Gesù. Gesù non può
battezzare con acqua, ma con lo Spirito Santo. Giovanni solleva aspettative sull’identità di Gesù.
Il battesimo è la rivelazione dell’identità del salvatore che sarà proclamato figlio di Dio. Nelle

Ut Unum Sint 59
parole della seconda lettura di oggi, lo Spirito che discese su Gesù è quello che testimonia che
Gesù è l’amato Figlio di Dio, e lo Spirito è verità
Inoltre, il battesimo di Gesù ha molto da dirci sul nostro battesimo che sul suo. Perché
il giorno del nostro battesimo, abbiamo ricevuto lo Spirito Santo che ci ha resi figli e figlie di
Dio, incorporati nella Chiesa. I nostri peccati furono cancellati. Siamo stati rinnovati, rigenerati
e rinati d’acqua e di Spirito Santo. Quel giorno, anche a noi, come Gesù, fu data la certezza
dell’amore e del favore di Dio, e anche noi fummo potenziati dallo Spirito Santo per il viaggio
che ci attendeva.
Siamo stati introdotti al regno della grazia e della misericordia di Dio, un regno
dell’abbondanza, come indica la prima lettura. La celebrazione di oggi è un’opportunità per noi
di riflettere sul nostro Battesimo e sul suo significato. È un’opportunità per valutare fino a che
punto siamo andati con le nostre promesse battesimali e chiedere a Dio di rinnovare in noi la
grazia battesimale. Chiediamogli quindi di conferirci potere nello Spirito Santo in modo che

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IL SEPOLCRO
GIOVANNI 20, 3-6

YANG Fan

Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme
tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi,
vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel
sepolcro e vide le bende per terra,

MEDITAZIONE:
Non solo Maria Maddalena si è incamminata verso il sepolcro, ma anche i due
discepoli Pietro e Giovanni s’incamminavano veloci verso il sepolcro. Non solo corsero alla
tomba, ma entrarono anche nella tomba, nella morte anche nella disperazione, dove c’era un
nuovo inizio con Dio. La tomba vuota invita anche noi cristiani a entrare, vedere, fare l’esperienza
e credere. Ognuno ha la sua tomba vuota, nella quale ci sono i nostri sogni, il romanticismo, la
fiducia, la speranza, la passione, la tenerezza, la compassione, la giustizia, la vita, l’amore ...
Il Signore risorto ci invita ad entrare nella nostra tomba vuota e lui risusciterà la nostra
vita morta che è sepolta i noi stessi e che è nella nostra tomba. La grande pietra è stata rimossa, la
tomba è vuota e la morte non è più nella tomba. Anche la nostra tomba non è piena di morte e
tutto è cambiato perché il Signore è risorto. Ciascuno, chi crede e chi invia il Signore risorto, non
è nella vita propria, è una vita di speranza. Credeva nella risurrezione di Gesù e da essa ha avuto
un cambiamento di vita.

Ut Unum Sint 61
LA FEDELTÀ DI DIO
DAVANTI INFEDELTÀ DEL POPOLO
MATTEO 21, 33-43 VICTOR
Gracious Savio

Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi
scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo
dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i
servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più
numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio
figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui
è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e
l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli rispondono:
«Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i
frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartata
è diventata testata d’angolo;
dal Signore è stato fatto questo
ed è mirabile agli occhi nostri?
Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.

MEDITAZIONE:
La parabola che abbiamo appena ascoltato dal brano del vangelo d’oggi, Gesù
presenta come UN TRAILER di un film “sulla storia della salvezza che viene offerta da Dio. Dal
suo infinito amore, che si compia nel Suo Figlio unigenito. “io darei il titolo questa trailer” La
fedeltà di Dio davanti all’ infedeltà del popolo”.
Lo stesso Dio, che è il padrone della vigna, che aveva piantato la vigna. E la predispose
accuratamente perché desse frutto. Per noi oggi la Chiesa oppure anche la nostra vita sono le vigne
e non sono nostre, ma di Dio, che è il padrone. Nella nostra vita, siamo chiamati per dare frutto,
nel nostro ministero siamo chiamati a lavorare nella vigna del Signore. Perché ci viene affidato o
affittata dal padrone per renderci partecipi della sua missione, della sua prosperità e, nello stesso
tempo conta su ognuno di noi e nell’impegno personale perché la vigna dia frutto. Quindi noi
siamo Servi nella vigna, siamo quelli che sono incaricati di raccogliere i frutti. Questa descrizione

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riprende il rapporto tra popolo d’Israele e Dio. I servi del signore possono rappresentare i profetti
che come racconta la Bibbia furono, per la fedeltà a Dio, perseguitati e uccisi. Anche noi come
servi nella vigna del Signore, siamo chiamati a fare la volontà del padrone in tutte le situazioni
nella nostra vita e nel nostro ministero, non è la nostra volontà, ma ci chiede anche la fedeltà,
come i profetti che hanno dato la testimonianza con la loro vita, che venivano perseguitati e
uccisi. Dio come il “Padrone” è sempre fedele con la sua perseveranza amorosa di fronte alla
infedeltà del popolo. Un Dio che è fedele e riserva il suo amore e la sua alleanza per salvare a tutti
i costi la vigna, Egli non esita a mandare il suo unico Figlio. Questa è la grande manifestazione
dell’amore di Dio, Il Dio che ci ama, senza porre condizione o alcuna distinzione, ma ci ama con
la sua tenerezza immensa.
Questo amore non è perché noi meritiamo qualcosa, ma perché Lui è amore infinito. Il
messaggio delle parole di Gesù oggi ci offrono un messaggio di speranza. E ci rivelano la pazienza
e la misericordia di Dio. Il Dio Padrone della vigna avrebbe il diritto di vendicarsi, così come
Dio avrebbe potuto vendicarsi della crocifissione del suo Figlio, per il comportamento malvagio
dei vignaioli. È in questo che possiamo vedere e capire la grandezza della misericordia di Dio.
“la malvagità non è l’ultima parola davanti a Dio. Un Dio che pur deluso dai nostri peccati e le
nostre debolezze e mancanze, però non si vendica, fino a offrire il suo Figlio Unigenito. La nostra
arroganza e le nostre presunzioni, che diventano anche la violenza che impedisce la volontà e la
misericordia di Dio in Noi.
Il nostro Dio è misericordioso e amore che ci perdona sempre, noi non siamo padroni
della vigna (della chiesa e della nostra vita), siamo soltanto i servi che hanno il compito di lavorare
nella vigna non per spadroneggiare. Dobbiamo costruire il nostro essere e la nostra personalità
nella pietra angolare che è stata scartata dai costruttori cioè Gesù. Ci chiede sempre l’impegno
da ognuno di noi, la pazienza, fedeltà nella nostra vita e nel nostro ministero. Ogni nostra parola
deve essere sempre una consolazione e la nostra testimonianza della vita quotidiana deve essere
terra fertile, in cui Dio possa piantare e far crescere la vigna.
Amen.

Ut Unum Sint 63
LA NOSTRA SALVEZZA
È LA CORCE.
LUCA 23, 33- 46 VADAPALLI
Kiran Kumar

Quando furono giunti al luogo detto «il Teschio», vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra
e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Poi
divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si beffavano
di lui, dicendo: «Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo, l’Eletto di Dio!» Pure i soldati lo
schernivano, accostandosi, presentandogli dell’aceto e dicendo: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te
stesso!» Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI. Uno dei
malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» Ma l’altro lo
rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio?
Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha
fatto nulla di male». E diceva: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!» Ed egli gli
disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso». Era circa l’ora sesta, e si fecero tenebre
su tutto il paese fino all’ora nona; il sole si oscurò. La cortina del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù,
gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio». Detto questo, spirò.

MEDITAZIONE:
La via della croce è la strada che conduce al paradiso, è la via sicura alla santità. San
Paolo della croce dice che la passione di Cristo è l’opera più grande e stupenda dell’amore divino.
È vero che la croce è la bella rivelazione dell’amore di Dio per l’umanità. Per salvare questo mondo
dalle grinfie del male, egli ha mandato suo figlio per la nostra salvezza. La stessa affermazione che
sentiamo da San Paolo e Sila nel libro del’ atti degli apostoli che credono nel Signore Gesù, e tu
sarai salvato, tu e la tua famiglia. La croce si riferisce sempre alla salvezza e all’amore divino. Qui,
vorrei presentare alcuni dei titoli che abbiamo per la croce. E ho preso questi titoli da uno dei
libri di canzoni e il suo nome è canti per la liturgia. Croce di Cristo - legno benedetto, albero della
vita, tesoro divino, faro della storia, equilibrio di giudizio, arma invincibile, terrore dei demoni,
luce sul mondo, protezione sovrana, bastone della Chiesa, sostegno ai deboli, difesa dei poveri,
forza dei martiri, corona dei fedeli, saggezza dei giusti, orgoglio dei credenti, gloria dei redenti,
tiara dei santi, fonte di vita , conforto degli afflitti, dottore dei deboli, tesoro degli apostoli,
dignità dei sacerdoti, cuore della Chiesa, centro dell’unità, lampada del cielo, luce ai perduti,

64 2019-2022
benedizione del mondo, nuova alleanza, fonte di pace, riconciliazione e amore del padre. Gesù
disse: Non sono venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo (Mt 12,47). La Croce, che
è strumento di redenzione, è diventata, insieme alla morte, alla sofferenza e al sangue, uno dei
termini essenziali che rendono possibile evocare la nostra salvezza. Non è più un’ignominia, ma
un titolo di gloria, prima per Cristo, poi per i cristiani.
1. LA CROCE DI GESÙ CRISTO. a. Lo scandalo della croce. Predichiamo un Cristo
crocifisso, scandalo per gli ebrei e follia per i gentili (1 Cor 1,23). Quindi, ai vecchi tempi è
considerato lo scandalo. Per conoscere lo sfondo della crocifissione abbiamo bisogno di avere
l’idea completa dell’impero romano del I secolo. E molto altro c’era un’esistenza della crocifissione
nel mondo antico prima dell’impero romano. Come praticato nel mondo antico, è indicato per
procedere con la pena capitale. Poi l’antico storico Erodoto stabilisce l’esistenza diffusa della
crocifissione al tempo dei Persiani. Così lentamente uscì nelle culture romane. Non occupiamoci
della storia della crocifissione, ma vediamo l’importanza di questo versetto. Con queste parole
san Paolo esprime la reazione spontanea di ogni uomo posto alla presenza della Croce Redentiva.
La salvezza sarebbe arrivata nel mondo greco-romano per mezzo della crocifissione, una tortura
riservata agli schiavi (Fil 2,8), che non era solo una morte crudele, ma un’ignominia (Ebr 12,2;
13:13)? La redenzione sarebbe stata procurata agli ebrei da un’impurità che doveva liberarsi il
prima possibile (Giobbe 10:26), da un condannato appeso alla forca, che portava su di lui il segno
della maledizione divina (Deut 21:22; Gal 3,13)? Sul Calvario è stato facile per gli spettatori
prenderlo in giro, invitandolo a scendere dalla croce (Mt 27,39-44). Per quanto riguarda i
discepoli, la loro reazione terrorizzata può essere prevista. Pietro, che tuttavia riconobbe il Messia
in Gesù, non poteva tollerare l’annuncio della sua sofferenza e morte (Mt 16,21; 17,22). A quel
tempo Pietro non riusciva a capire le parole di Gesù. come avrebbe ammesso la sua crocifissione?
Pertanto, alla vigilia della passione, Gesù proclama che tutti ne sarebbero sorpresi (Mt 26,31).
B. Il mistero della croce. Se Gesù, e dopo di lui i discepoli, non sminuisse lo scandalo della croce,
sarebbe un mistero nascosto che ha dato un significato per essa. Prima di Pasqua, Gesù era solo
nell’affermare la necessità, di obbedire alla volontà del Padre (Mt 16,21). Dopo la Pentecoste,
illuminata dalla gloria di quello risorto, i suoi discepoli a loro volta proclamano questo bisogno,
collocando lo scandalo della croce nel suo vero posto nel disegno di Dio. Se il Messia fu crocifisso
(alle 2:23; 4:10), appeso al legno (5,30; 10,39) scandalosamente (Deut 21:23), fu senza dubbio
a causa dell’odio dei suoi fratelli. Ma questo fatto, un tempo illuminato dalla profezia, acquisisce
una nuova dimensione: realizza ciò che è stato scritto di Cristo (Atti 13:29). Così, i racconti
evangelici della morte di Gesù contengono tante allusioni ai Salmi (Mt 27,33-60 e Mente 19:24).
28. 36): il messia ha dovuto soffrire, secondo le Scritture, come il risorto spiegherà ai pellegrini di
Emmaus (Lc 24,25).

Ut Unum Sint 65
2. LA CROCE, SEGNO DEL CRISTIANO. a. La Croce di Cristo. Rivelando che i
due testimoni erano stati martirizzati dove Cristo fu crocifisso (Apo 11:8), l’Apocalisse identifica
il destino dei discepoli e quello del maestro. Gesù lo ha già chiesto: Chi vuole seguirmi, rinnegare
sé stesso, prendere la sua croce e seguirmi (Mt 16,24). Il discepolo non deve morire solo a sé
stesso: la croce che porta è il segno che muore nel mondo, che ha spezzato tutti i suoi legami
naturali (Mt 10,33-39), che accetta la condizione di perseguitato, al quale forse si toglierà la
vita (Mt 23,34). Ma allo stesso tempo, è anche il segno della sua gloria iniziale (Mt 12:26). B.
La vita crocifissa. La Croce di Cristo, che, secondo Paolo, separò le due economie di diritto e
di fede, diventa nel cuore del cristiano la frontiera tra i due mondi della carne e dello spirito. È
la sua unica giustificazione e la sua unica saggezza. Se si convertì, fu perché ai suoi occhi i tratti
di Gesù furono dipinti sulla croce (Gal 3:1). Se è giustificato, non è per le opere della legge, ma
per la sua fede nel crocifisso; egli stesso, infatti, fu crocifisso con Cristo nel battesimo, così morì
secondo la legge per vivere in Dio (Gal 2,19) e non ha più nulla a che fare con il mondo (6,14).
Egli pone quindi la sua fiducia nella sola forza di Cristo, altrimenti sarebbe nemico della croce
(Fil 3,18). c. La croce, il titolo di gloria del cristiano. Nella vita quotidiana del cristiano, il vecchio
è crocifisso (Rom 6,6), affinché sia pienamente liberato dalla saggezza della croce (1 Cro 2).
Attraverso questa saggezza egli, seguendo l’esempio di Gesù, diventerà umile e obbediente alla
morte e alla morte della croce (Fil 2,1-8). Più in generale, egli deve contemplare il modello di
Cristo, che ha portato i nostri peccati nel suo corpo sul legno, affinché, morti per i nostri peccati,
possiamo vivere per la giustizia (1 Piet 2:21-24). Infine, è vero ciò che lo porterebbe a crocifiggere
di nuovo il Figlio di Dio (Ebr 6,6), egli può tuttavia esclamare con orgoglio con Paolo: per me
non è mio che mi glorifico su qualcosa di diverso dalla croce di nostro signore Gesù Cristo, con
la quale il mondo è crocifisso per me, e io sono per il mondo (Gal 6,14).

66 2019-2022
LECTIO
DIVINA

Ut Unum Sint 67
La parabola dei “Vignaioli omicidi”
Il Vangelo di Marco 12: 1-12.
LIN Qinren (Pietro), MOMORAMBI Cornelius Henny, SHIN Joohwan (Anselmo), PESANAYI Courage

Gesù si mise a parlare loro in parabole: «Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò
un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano. A suo tempo
inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna. Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e
lo rimandarono a mani vuote. Inviò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla
testa e lo coprirono di insulti. Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero; e di molti altri, che
egli ancora mandò, alcuni li bastonarono, altri li uccisero. Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo
inviò loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio! Ma quei vignaioli dissero tra di loro:
Questi è l’erede; su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra. E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori
della vigna. Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e sterminerà quei vignaioli e darà
la vigna ad altri. Non avete forse letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartata è
diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri»? Allora
cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella
parabola contro di loro. E, lasciatolo, se ne andarono.

Riflessioni
V. 1
Gesù si rivolge ai suoi avversari usando un linguaggio parabolico: «E cominciò a
parlare loro in parabole e a dire». Quello di «parlare in parabole» era il modo con cui Gesù
si era rivolto a «quelli di fuori» quando trattava della sovranità di Dio. Anche se in questa
occasione non si parla espressamente del Regno, la parabola dei vignaioli omicidi è in stretta
relazione con esso (Mc 4, 3-20). Nella pericope precedente (11, 27-33), Gesù ha messo in
evidenza la malafede dei dirigenti, interrogandoli riguardo la missione di Giovanni Battista; la
loro risposta («Non lo sappiamo») li rende inadatti a giudicare il caso di Gesù. Ora, con la
parabola che segue, egli risponderà alla questione relativa alla sua autorità che i rappresentanti
del Sinedrio gli avevano rivolto (11, 28), mostrando che sono loro, a causa della loro infedeltà
a Dio, a non avere autorità. Nella parabola che propone loro, Gesù comincia citando il passo
di Isaia (Is) 5,1-2. La citazione non è letterale, ma libera. Egli ne sceglie i tratti principali, ma
introduce dei cambiamenti. La prospettiva in Marco (Mc) è diversa da quella di Isaia. Nel testo
profetico, accanto al proprietario, compare soltanto la vigna, oggetto di tutti i suoi sforzi, ma che

68 2019-2022
produce un frutto non buono. La vigna è la colpevole della cattiva qualità del frutto, perciò il suo
destino finale sarà la distruzione (cfr. Is 5,5-6). Marco, invece, sdoppia il contenuto del simbolo,
separando l’aspetto positivo (la vigna piantata e curata) da quello negativo (i cattivi frutti). La
parabola non dice che la vigna non produca frutti, bensì che il padrone non ritira i frutti, perché
gli affittuari rifiutano di consegnarglieli. La colpa di tale situazione non può essere imputata alla
vigna, bensì ai contadini, che ne sono i responsabili; perciò alla fine il castigo ricade su costoro.
In Mc la vigna è oggetto soltanto dello zelo del proprietario, che la pianta e non risparmia nulla
affinché prosperi e produca frutto; nei suoi confronti non si parla di rigetto o distruzione. Per
Isaia, il proprietario rappresenta Dio e la vigna Israele. Anche per Mc il padrone rappresenta Dio,
ma la vigna non si identifica semplicemente con il popolo di Israele per due motivi: perché Mc,
distinguendo tra la vigna e gli affittuari fa di essa una realtà completamente positiva; e perché la
vigna viene trasferita ad altri (v. 9). Considerando questo, si può dire che per Mc la vigna è figura
dell’Israele fondato sull’elezione divina e sull’alleanza con Dio e, come tale, chiamato a costituire
un modello per tutti i popoli della terra.
Quell’elezione e quell’alleanza erano infatti in funzione di un progetto: fare di Israele
un popolo esemplare in cui regnassero il diritto e la giustizia e attraverso il quale gli altri popoli
potessero giungere alla conoscenza del vero Dio. Per questo, quando il progetto divino con
Israele fallisce, Dio non desiste da esso ma lo offre ad altri affinché siano loro gli incaricati a
realizzarlo. Questo spiega perché, alla fine, la vigna non venga distrutta dal padrone (Dio), bensì
trasferita ad altri. Le attenzioni e le cure che la vigna riceve sono, in Isaia, la prova dell’amore
di Dio nei confronti del suo popolo, Israele; in Mc, la dimostrazione che il progetto divino di
vita e pienezza per tutti (la vigna), cominciando da Israele, esprime l’amore di Dio non soltanto
per questo popolo ma anche per tutta l’umanità. Rispetto a Isaia, un tratto peculiare di Mc è
il fatto che il padrone «affidò essa ad agricoltori». Lo sviluppo della parabola mostra che gli
agricoltori rappresentano tutto Israele, anche se in modo particolare i capi, incaricati di condurre
il popolo, affinché produca il frutto che Dio si attende da lui. Dio offre cioè il suo progetto
(la vigna), dapprima a Israele (agricoltori), ma non a titolo di patrimonio, bensì perché questi
risponda al suo dono portando il frutto opportuno. Il viaggio del padrone, significa che Dio
riconosce la libertà e la responsabilità degli uomini nella loro condotta. La parabola riflette una
pratica corrente in Palestina e, in particolare, in Galilea: quella d’un proprietario che affitta un
terreno a dei contadini, stabilendo le condizioni del fitto, e cioè che gli consegnino una parte
del raccolto lasciando tutto nelle loro mani; saranno poi loro responsabili di coltivare la vigna
affinché produca i suoi frutti, in conformità alla volontà dell’affittuario.
V. 2 – V. 3
Il padrone, figura di Dio, anche se assente, non si disinteressa della vigna; invia servi a

Ut Unum Sint 69
chiedere i frutti che gli spettano. Nel linguaggio allegorico della parabola, i servi che il Signore
invia, man mano, rappresentano i profeti. Bisogna notare che costoro non erano inviati soltanto
ai capi, ma anche al popolo. Per questo i contadini della parabola non costituiscono soltanto una
raffigurazione dei dirigenti di Israele, ma inglobano anche il popolo; è stato il popolo intero (a
cominciare dai dirigenti, che ne sono i responsabili) a respingere man mano nel corso della storia
gli inviati di Dio. Il padrone (Dio) manda il primo servo «a suo tempo». In quello stesso tempo
saranno inviati tutti gli altri servi, per cui il termine (kairos) designa qui, il tempo dell’Antica
Alleanza, durante il quale Israele avrebbe dovuto portare il frutto che Dio si attendeva. Il servo
inviato ha la missione di ritirare dai contadini la parte di raccolto che spetta al padrone. Esigere
parte del frutto segna il diritto di proprietà.
I contadini rifiutano di consegnarlo; vogliono vivere indipendenti dal proprietario
(Dio), senza considerare le sue richieste. La relazione che si stabilisce fra il proprietario e i
contadini è la ribellione: rifiutano di adempiere al loro impegno; si comportano come se la vigna
fosse loro, senza riconoscere il diritto e l’autorità del padrone. In questo modo il lato negativo
esistente nella vigna di Isaia si incarna in Marco in personaggi umani: i contadini. L’evangelista
descrive il loro comportamento nei confronti del primo servo: «e avendo preso lui lo percossero
e lo rimandarono a mani vuote». Dopo averlo maltrattato, lo rimandano indietro senza che
abbia potuto adempiere l’incarico ricevuto. Prima constatazione del fallimento della missione
profetica in Israele. I profeti erano stati inviati per denunciare l’ingiustizia in cui il popolo viveva
e reclamare i frutti che Dio si attendeva da lui; ma i contadini non possono dargli la parte che gli
spetta perché in realtà non hanno un frutto positivo da offrirgli. Come abbiamo detto, i contadini
rappresentano tutto Israele, ma in primo luogo i dirigenti che corrompono il popolo. Quello
che fanno nei confronti degli inviati di Dio è l’espressione del loro abituale comportamento: la
loro condotta verso i servi denuncia la loro ostinazione. Hanno soppiantato Dio assumendo la
funzione che spetta soltanto a lui (quella di padrone) e facendo collimare la sua volontà con la
loro. Hanno preso il posto di Dio, ma non per servire, bensì per dominare, per imporre il loro
modo di pensare e di agire. Entrambi, il proprietario (Dio) e i contadini (Israele), inviano il
servo: il proprietario lo invia ai contadini, per riscuotere il frutto; i contadini lo rimandano al
proprietario, ma vuoto. Non riconoscono il diritto di proprietà di Dio e reagiscono con violenza
davanti ai suoi inviati; vogliono impadronirsi della vigna, che non è loro, non perché essa produca
l’autentico frutto, bensì per sfruttarla a loro piacimento. Israele era stato fondato sull’elezione e
l’alleanza con Dio e Dio si attendeva che il suo popolo rispondesse al suo amore praticando la
giustizia e il diritto, creando delle nuove relazioni umane che fossero di modello per gli altri
popoli. Alle varie dimostrazioni dell’amore di Dio per il suo popolo, manifestato nell’invio dei
profeti (i servi), Israele (i contadini) e, in particolare, i suoi dirigenti, risponde con un crescendo

70 2019-2022
di odio.
V. 4 – V. 5
L’amore di Dio non si esaurisce, egli invia un altro servo agli stessi contadini. La reazione
di costoro è ancora più violenta: «anche quello batterono in testa e insultarono». Questa
volta non usano soltanto la violenza fisica («batterono in testa») ma anche quella morale («lo
insultarono»).
Il disprezzo è la giustificazione della loro aggressione contro il secondo servo; denigrano il nuovo
inviato di Dio, non lo riconoscono come profeta. Nonostante la guerra che i contadini (Israele)
gli hanno dichiarato, il proprietario (Dio) insiste nelle sue richieste di frutto (giustizia e diritto),
inviando altri servi (profeti). Marco sottolinea l’amore paziente di Dio verso il suo popolo: egli
non reagisce con violenza dinanzi al rifiuto dei suoi inviati, ma torna ripetutamente a interpellarli.
L’azione divina che cerca frutti di vita incontra, però, una risposta di morte: ne mandò un altro
e questo lo uccisero. Neppure davanti a questa estrema violenza Dio si dà per vinto; continua
a bussare, senza alcun risultato, alle porte del cuore del suo popolo, perché si converta e cambi
atteggiamento.
V. 6 – V. 8
Vedendo che con l’invio dei servi (profeti) tutto era inutile, il proprietario (Dio) fa
appello alla sua ultima risorsa: il «figlio amato». Con il termine «amato/diletto» (agapèton),
Mc allude a Gesù, il Messia, che non viene a far vendetta bensì a offrire la salvezza, a dimostrare fin
dove giunge l’amore di Dio: nonostante il continuo rifiuto, egli si attende sempre qualcosa dagli
esseri umani, non si dà per vinto e si presenta al suo popolo in Gesù, suprema manifestazione del
suo amore. Tuttavia si tratta dell’ultima opportunità («inviò lui per ultimo»). Dopo di questa
non ce ne sarà un’altra, perché il Figlio è il massimo che Dio possa dare: è l’immagine del Padre,
possiede la sua stessa vita, costituisce la sua presenza fra gli uomini, segna il limite e il termine
dell’antica alleanza. L’invio del Figlio avrebbe dovuto convincerli («avranno rispetto del figlio
di me»), ma essi pongono i propri interessi al di sopra di quelli di Dio e, ancora una volta,
rifiutano di riconoscere i suoi diritti. I contadini parlano fra di loro e giungono a una decisione
comune: anche se sanno chi è il nuovo inviato («questi è l’erede»), lo vedono come un rivale,
come qualcuno che può privarli di ciò che, di fatto, hanno usurpato e si propongono di ucciderlo
per escludere ogni alternativa alla loro ambizione di dominio. In tal modo avrebbero risolto la
situazione una volta per tutte: uccidendo l’erede, l’ultima risorsa del proprietario, nessuno più
avrebbe reclamato l’eredità ed essa sarebbe passata nelle loro mani. L’azione («venite, uccidiamo
lui») con cui pensano di realizzare il loro proposito («e di noi sarà l’eredità»), sarà comune e
questo rende tutti (reggenti e popolo) responsabili di quanto accadrà. Si tratta di una decisione
consapevole e condivisa che mostra fino a dove siano disposti ad arrivare pur di tenersi l’eredità.

Ut Unum Sint 71
L’eredità è il termine tecnico per designare la terra e il popolo di Israele. Uccidendo il legittimo
erede, essi si sarebbero illegittimamente impadroniti dell’eredità. In tal modo il progetto divino (la
vigna) avrebbe cessato di essere di Dio e sarebbe divenuto loro proprietà; avrebbero soppiantato
Dio e assunto le sue funzioni. Immediatamente, passano dalla decisione all’esecuzione («E
avendo preso, uccisero lui e gettarono lui fuori della vigna»). Marco utilizza i due verbi che
rispettivamente, avevano aperto e chiuso la reazione violenta dei contadini nei confronti dei
servi; egli indica così che quel che fanno nei confronti dell’erede riassume e porta al culmine
tutto quanto lo ha preceduto. La malvagità dei contadini giunge al colmo; non soltanto mettono
le mani sul figlio e lo uccidono, ma ne oltraggiano inoltre il cadavere, negandogli una degna
sepoltura. In altri termini, escludono definitivamente Gesù (il Figlio) dal progetto di Dio (la
vigna) che, iniziato da Israele (i contadini), aveva come scopo la trasformazione dell’umanità
intera. Coloro che avrebbero dovuto accettare Gesù come Messia, salvatore di Israele, lo gettano
fuori della società israelitica come nemico del popolo. Eliminano l’ultimo e definitivo inviato di
Dio perfino dalla loro memoria (mancanza di sepoltura), come se non fosse mai esistito in Israele.
Non si rendono conto che, uccidendo Gesù, il Messia, firmano essi stessi la propria sentenza di
morte; cercando di impadronirsi del progetto di Dio (la vigna), provocheranno la distruzione di
Israele come nazione.
V.9
Dopo la parabola viene l’applicazione. Con una domanda, formulata al futuro
(«cosa dunque farà il padrone della vigna?»), Gesù invita i delegati del Sinedrio a giudicare
il comportamento degli affittuari e a misurarne le conseguenze. Il suo invito ad emettere essi
stessi un verdetto evoca quello di Is 5,3. Il termine «il padrone», che compare nella domanda
e che si riferisce al «tale/uomo» dell’inizio della parabola, traduce il greco Kyrios, «Signore»,
titolo proprio di Dio e si oppone alla pretesa dei contadini di impadronirsi definitivamente della
vigna. Se costoro pensavano che, uccidendo l’erede, se ne sarebbero impadroniti, sbagliavano
completamente: la vigna continua ad avere un «padrone» (Dio) che è al di sopra di loro e gli
farà pagare il loro crimine. Gesù non attende la risposta e trae egli stesso le conseguenze: «Verrà
e sterminerà gli agricoltori». Si noti che, in quest’occasione, Marco non usa il verbo «uccidere»
(apokteinó), usato molte volte nella parabola, bensì il verbo «farla finita con», «distruggere»,
«sterminare» (apollymi), che indica l’annichilimento totale.
Il crimine di quegli agricoltori sortisce l’effetto contrario al loro intento: non soltanto
non riescono a impadronirsi della vigna, ma verranno condotti all’assoluta perdizione. Vale a dire
che i reggenti giudei e il popolo (contadini), uccidendo il Figlio (Gesù), costruiscono la propria
rovina. Ma questo non presupporrà la fine del progetto divino: Dio interverrà per salvare la sua
vigna. L’orizzonte del testo si apre ai pagani («e darà la vigna ad altri»). A causa dell’infedeltà

72 2019-2022
Israele, nonostante l’alleanza, non immetterà nel regno di Dio. Ad avere la principale responsabilità
di questa conclusione sono i dirigenti, che hanno deformato e corrotto le istituzioni e la società
giudaica, trascinando con sé il popolo nel loro rifiuto delle esigenze divine. Per questo il progetto
di Dio (la sua sovranità sugli uomini) passa in altre mani. Il ruolo di Israele come popolo eletto
sta per cessare: altri popoli lo assumeranno e saranno incaricati a realizzare progressivamente la
sovranità di Dio nella storia.
V. 10 – V11
Gesù usa il sarcasmo per dimostrare ai suoi interlocutori che essi leggono la Scrittura
non considerando i testi che contraddicono il loro proposito di dominazione. Gesù conferma
quanto esposto nella parabola con la citazione del Salmo 118, 22, che utilizza la metafora della
costruzione: i dirigenti giudei pretendono di costruire la loro istituzione prescindendo dalla pietra
angolare (Gesù, il Messia) che Dio aveva designato. La «pietra che rigettarono» corrisponde
al «e gettarono lui fuori» della parabola (v. 8). «i costruttori» sono in parallelo con «gli
agricoltori», ma la metafora cambia; qui si tratta dell’edificio innalzato senza basarsi sulla pietra
che Dio aveva destinata come pietra angolare. L’espressione mette dunque in risalto la funzione e
la responsabilità dei dirigenti, che sono gli incaricati di edificare il popolo sulle basi poste da Dio.
L’AT era orientato verso il compimento della promessa del Messia. Nel corso della storia, Israele è
andato respingendo gli inviati di Dio che avevano l’incarico di prepararlo per l’epoca messianica.
Perciò, quando giunge, il Messia viene completamente respinto da coloro che, in teoria, avrebbero
dovuto essere preparati ad accoglierlo. La colpa di ciò ricade sui dirigenti, che sono andati creando
in Israele una struttura sociale e religiosa contraria al piano di Dio. La costruzione che hanno
innalzato non è valida, perché fatta prescindendo dalla pietra eletta da Dio. Ma egli formerà un
nuovo popolo (v. 9), edificato su Gesù (la pietra angolare), che abbraccerà l’umanità intera. Il
cambiamento d’alleanza e la costituzione del nuovo popolo, inclusa la scomparsa delle antiche
istituzioni, è volontà di Dio stesso. L’uso del termine «Signore» (Kyrìos) mette questi versetti
in relazione con la parabola precedente (v. 9).
Essi annunciano la conclusione prevista da Dio: la morte del Figlio non significherà la fine della
sua missione; dopo la sua risurrezione, egli sarà il fulcro del nuovo progetto universale, in cui i
giudei potranno inserirsi. L’infedeltà dell’uomo non limita la generosità di Dio. Il rifiuto darà
origine a una nuova dimostrazione del suo amore: la risurrezione di Gesù e la formazione della
nuova comunità universale.
V. 12
I rappresentanti del Sinedrio hanno compreso il significato della parabola. Si rendono
conto che «per loro aveva detto la parabola». La parabola racchiudeva una denuncia di tutta
la storia di Israele che riguarda in maniera particolare loro che, al presente, reggono il popolo.

Ut Unum Sint 73
Ha messo allo scoperto il desiderio omicida che si portano dentro. La realtà denunciata non li
fa riflettere, bensì li incita a ricorrere alla violenza. Vogliono catturare Gesù («e cercavano di
prendere lui»), ma non osano; li trattiene il fatto che la folla è dalla sua parte («E temettero la
folla»). Agiscono in funzione della propria sicurezza e temono ogni rivolta che possa mettere
in pericolo il loro potere. Sanno di non essere amati. I motivi della loro condotta mirano sempre
a loro stessi e alla loro posizione, mai al bene del popolo. Se prenderanno misure contro Gesù,
confermeranno davanti alla folla di essere loro quelli che nella parabola vengono descritti come
assassini. Dinanzi a una situazione così pericolosa, decidono di andarsene e lasciare lì Gesù («E
avendo lasciato lui andarono»). Si ritirano fino a una nuova occasione, ma senza desistere dalla
loro volontà di farla finita con lui.
Così come si era aperta, la pericope si chiude con la parola «parabola» in una sorta
di grande componimento chiastico segno anche questo dell’importanza che questa parte del
Vangelo riveste nell’idea dell’evangelista Marco.

74 2019-2022
Il tributo a Cesare
Il Vangelo secondo Mt. 22,15-22
AMEH Peter Thavah, ARAKKAL VARGHESE Delfin Job,
POYIKAYIL Joy Arun, CHARUKULA Achiles Narcis

Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono
dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e
insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad
alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo
la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi
gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l’iscrizione?». Gli
risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio
quello che è di Dio». A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.

RIFLESSIONI

Matteo 22,15-16
Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi
discorsi.15Mandarono dunque a lui i propri discepoli, insieme agli erodiani, per dirgli: «Maestro,
sappiamo che sei veritiero e che insegni la via di Dio con verità e che non hai soggezione di
nessuno; infatti non guardi in faccia ad alcuno.
“DIO E CESARE”, NON “DIO O CESARE”
I nemici rimangono nemici finché non diventano amici. Questo è in linea di principio.
Però a volte, i nemici possono diventare ciò che voglio chiamare “amici d’emergenza” pur
rimanendo contemporaneamente nemici. Questo fenomeno accade quando questi nemici
trovano un altro nemico che hanno in comune e che odiano più di quanto odiano sé stessi. Dopo
aver avuto successo nell’eliminare questo comune avversario tra di loro, attraverso questa loro
amicizia improvvisa, riprendono la loro inimicizia poiché sono riusciti a silenziare quel nemico
mutuo tra di loro.
Perché comincio questa Lectio divina in questo modo? Il motivo è semplice: ciò che ho
descritto sopra si rispecchia (in parte) nello scenario raccontatoci da Matteo nel suo vangelo,
capitolo 22, dal versetto 15 al 22. L’evangelista ci informa che i farisei e gli erodiani sono stati
mandati dai loro capi a chiedere a Gesù se sia lecito o no pagare la tassa a Cesare. È bene notare
subito qui che i farisei e gli erodiani erano nemici tra loro. Questo è dovuto ai loro punti di
vista nella società giudaica d’allora. I farisei, che si separavano da ciò che era impuro, rivolgevano
Ut Unum Sint 75
verso i romani un atteggiamento d’ostilità, anche se in modo prudente rispetto agli zeloti che
erano apertamente ostili all’impero romano. Si comportavano così perché vedevano l’imperatore
Cesare (cioè l’imperatore romano) come un usurpatore della posizione di Dio. Secondo loro,
solo il Dio Onnipotente deve ricevere la loro lealtà e il loro tributo. Dall’altro canto, gli erodiani
erano i seguaci docili di Erode. Erode, pur essendo giudeo, era un re che lavorava per i romani, cioè
per il governo pagano. Egli comandava i pagamenti di tasse ed altri tributi che erano mandati a
Roma. Da questi fatti, sappiamo che chi è per l’impero romano e chi è per la totale sottomissione
a Dio non saranno amici, ma nemici. Però in questa scena questi nemici sono diventati “amici
d’emergenza” perché avevano individuato un altro nemico che odiavano più di quanto odiavano
sé stessi.
Chi era questo nemico? Certamente il nostro Signore Gesù Cristo. Per loro, Gesù era
un avversario da eliminare. Ecco perché pur essendo diversi, dal punto di vista idealistico e
pratico, si sono comunque riuniti in questo brano. Questa parte del vangelo segue la parabola
del banchetto di nozze. Nel versetto 15, Matteo ci dice che il motivo per il quale i farisei e gli
erodiani hanno inviato i loro discepoli a Gesù è per “coglierlo in fallo”, cioè per metterlo alla
prova affinché abbiano di che accusarlo davanti alle autorità. Andati da lui, hanno cominciato
l’incontro per lodarlo, dicendo cose belle di lui come se gli volessero bene e lo stimassero. Hanno
detto: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai
soggezione di alcuno perché non guardi in faccia a nessuno…”. Che belli complimenti! Noi umani
possiamo essere ingannati a volte con belli complimenti, non sapendo che sono dei proemi agli
atti cattivi volutici dagli uomini e donne malvagi. Quindi attenzione. Siamo come Gesù capaci
di discernere se gli “osanna” degli altri sono veri e genuini. Subito, il Signore ha capito che la loro
lode era una trappola. E giustamente li chiamò “ipocriti”. Dalla etimologia greca, sappiamo che
l’ipocrita vuol dire attore. Quindi una persona falsa è un attore. Ciò che fa è come se fosse un
film. Adesso e di più quando diventeremo sacerdoti, incontreremo tanti ipocriti, tanti attori che
verranno a noi per ingannarci con belle parole. Stiamo attenti a non essere preti frettolosi nel
credere tutto ciò che ci viene detto.
Mt. 22, 17-18
Dicci dunque il tuo parere: è lecito o no pagare il tributo a Cesare?».17 Gesù, conoscendo
la loro malizia, disse: «Perché volete tentarmi, ipocriti?18
La domanda maliziosa; La questione posta dal Vangelo di oggi si trova anche in Marco (12,13-
17) e in Luca (20,20-26). Decisamente una questione bruciante.
Ogni ebreo − dai ragazzi di dodici d’anni ai 65 anni − uomini, donne e gli stessi schiavi,
dovevano pagare ai Romani la tassa annuale di un denaro d’argento a testa (la paga quotidiana di
un lavoratore). Ma questo pagamento determinava il riconoscimento dell’autorità di Cesare, che

76 2019-2022
avveniva in un contesto tale per cui − così sostenevano soprattutto gli zeloti − l’accettarlo poteva
apparire idolatria e si opponeva direttamente al primo comandamento della Legge.
A partire da questa tassa spiacevole al popolo, i farisei pongono a Gesù la domanda insidiosa.
E per essere più forti si fanno accompagnare dagli erodiani. Si tratta di una questione cruciale:
pagare o non pagare le tasse agli invasori romani? E la testimonianza degli erodiani poteva
diventare importante nel caso di un’accusa, perché essi erano vicini a Erode, che governava in
pieno accordo con i Romani. E per metterlo in crisi cominciano con il complimentarsi con
Gesù: «Sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione
di alcuno…». Ma poi ecco la domanda velenosa: «Di’ a noi il tuo parere: è lecito o no pagare il
tributo a Cesare?».
La risposta di Gesù; La risposta di Gesù è un misto di ironia e di logica stretta. Gesù
li costringe a mettersi di fronte a quella moneta che loro ripugnava. Nella moneta c’era infatti
l’immagine dell’imperatore e la scritta Tiberius Caesar Divi Augusti Filius Augustus Pontifex
Maximus (Tiberio cesare, augusto figlio del divino augusto, pontefice massimo). Per un vero
ebreo questo era intollerabile. Gesù non cade però nel tranello di presentarsi come ribelle a
Roma e dice: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare». E l’atmosfera si fa pesante.
Lo era già sin dall’inizio, a dire il vero. Quel loro presentarsi servile e astuto («Sappiamo che
sei veritiero… Tu non hai soggezione di alcuno…») era ripugnante. E Gesù aveva risposto senza
alcun timore alla loro doppiezza: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?». L a
risposta di Gesù però va oltre e aggiunge: «Ma rendete a Dio quello che è di Dio». Ed è questa
l’originalità di ciò che dice. La prima parte poteva apparire una risposta dettata da realismo, dalla
saggezza, forse anche dalla furbizia, la seconda parte allarga gli orizzonti, perché non c’è nulla che
si sottragga veramente a Dio, nemmeno la politica. Le parole di Gesù in realtà, più che affermare
l’accettazione dell’autorità di Cesare, suonavano dunque così: «Non lasciatevi sottomettere
da nessun Cesare di questo mondo. Non rassegnatevi alla logica del mondo, ma trovate la vera
libertà in Dio, signore del mondo».
Mt.22, 19-20
Dicci dunque il tuo parere: è lecito o no pagare il tributo a Cesare?».17 Gesù, conoscendo
la loro malizia, disse: «Perché volete tentarmi, ipocriti?18
Se fosse Gesù fosse a chiedere la moneta per spiegare il suo messaggio, difficilmente avrebbe
trovato una moneta. Invece avrebbe potuto trovare qualcosa di tipo della carta PostePay. Ma
che cosa significa una moneta? Una moneta, anzitutto dimostra una “appartenenza”; una
appartenenza allo stato o al governo che la riconosce. In ogni moneta ci sono delle immagini
e delle iscrizioni che dimostrano a quale stato appartiene questa moneta, proprio per questo
motivo Gesù attira l’attenzione dei suoi interlocutori.

Ut Unum Sint 77
Ora noi siamo fuori del nostro paese e sappiamo bene che le monete che usiamo nella nostra
patria non valgono in Italia e vice-versa. Questo significa che la moneta è un semplice oggetto di
metallo che non ha un valore in sé, ma nel suo appartenere a uno Stato e del suo riconoscimento
dallo Stato-governo.
Gesù, l’ottimo maestro, intuisce la trappola nascosta nella domanda dei suoi avversari,
chiede una moneta e pone un’altra domanda così che essi stessi possano trovare la risposta. Gesù
invita a porgere la loro attenzione all’immagine e all’iscrizione che porta la moneta. Questo è
ovviamente per mostrare che il tributo a Cesare va pagato, perché la moneta contiene la sua
immagine ed iscrizione.
Ma, prendendo nelle mani una semplice moneta, Gesù, soprattutto, richiama la loro
attenzione al fatto che ogni persona porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, che tutti noi
portiamo nel cuore e nell’anima. Quindi, è a Lui e, a Lui solo, che ognuno è debitore della propria
esistenza, della propria vita. Pagare le tasse è un dovere dei cittadini, al tempo stesso, è necessario
affermare il primato di Dio nella vita umana e nella storia, rispettando il diritto di Dio su ciò che
gli appartiene.
Quindi, cari amici, riconosciamo l’immagine che portiamo dentro di noi, quella di Dio.
E anzitutto ricordiamo che, come un semplice oggetto di metallo riceve il suo valore, grazie
all’immagine e all’iscrizione che essa porta, così, il valore della nostra esistenza e il valore della
nostra vocazione non hanno il loro inizio in noi stessi, ma dall’impronta che Dio ha messo in noi,
e soprattutto nel nostro appartenere a Lui.
Mt 22, 21-22
Rispondono: «Di Cesare». Ed egli disse loro: «Date dunque a Cesare quello che
è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». 21 All’udir ciò rimasero stupiti e, lasciatolo, se ne
andarono.22
Difronte a una domanda, apparentemente, paradossale Gesù non si lascia trascinare dalla
superficialità dei farisei manifestata in tale domanda, allo stesso tempo non rimane indifferente
alla stessa domanda. Dà una risposta, una risposta che va oltre ciò che i farisei pensano. Mentre
nella mente dei farisei è presente la figura di Cesare, come si rivela nella loro domanda, in altre
parole, almeno esplicitamente la formulazione della domanda dei farisei non contiene la parola
“Dio”, ricorda i farisei che fondamentalmente, Cesare con tutto l’onore che ha come imperatore,
non occupa il posto di Dio. È importante, sì, ma non occupa il posto di Dio. Pur essendo loro
le guida spirituali, gli osservatori delle regole del Tempio, stupisce che non facciano nessun
riferimento a Dio. La verità detta da Gesù penetra il cuore dei farisei, di conseguenza, vanno
via.
Il testo ci rivela il vero comportamento dei farisei, cioè la durezza di cuore. Essi hanno

78 2019-2022
una comprensione chiusa delle varie realtà. Pure credono di sapere tanto. Hanno un cuore
talmente chiuso verso la verità tanto da non ammettere mai ciò che è diverso, da ciò che credono
di sapere.
Ricordiamo la presentazione di questa gente dall’Evangelista Giovanni nel racconto della
guarigione del cieco nato? (Ref. Gv 9, 27-29). Rispose loro: “Ve l’ho già detto e non avete
ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi i suoi discepoli?” e,
ovviamente, a questa domanda la risposta fu più che dura. “Suo discepolo sei tu, Noi siamo i
discepoli di Mosè. Sono scrupolosi nell’interpretazione e l’osservanza della legge al punto da non
comprendere che hanno Gesù che è la nuova Legge.
Il testo ci lascia tanto da imparare:
Rispondere bene alle domande nel modo di Gesù. Da battezzati siamo rivestiti di Cristo.
Seguendo il modello di Gesù nel nostro racconto, siamo chiamati a rispondere alle domande o
alle esigenze reali. Mentre i farisei cercano il modo di mettere Gesù alla prova, Egli però intuisce,
chiaramente, la loro visione limitata e apre loro gli occhi ricordando l’osservanza della loro
appartenenza a Dio.,
i. -In questa ottica, Egli sottolinea, difronte a noi qui presenti, un invito forte a prepararci
bene durante questo tempo di formazione, per dare le giuste risposte che toccano la vita del
popolo di Dio e non dare le risposte metà-teologiche, metà-giuridiche, metà ecc. ognuno può
mettere la disciplina che ritiene opportuna.
- Cinque anni fa, arrivavo qui al Collegio Urbano…
ii. Lasciare lo spazio per Gesù Cristo nostro Maestro. Durante questi anni, è ovvio che
impariamo tante cose. E purtroppo, non impariamo tutto. Lasciamoci quindi insegnare dallo
Spirito di Gesù per non pretendere di avere capito tutto.

Conclusione
Domande di riflessione
1. Con quale personaggio del racconto mi confronto? E perché con quello?
2. Quale domanda personalmente faccio a Gesù nel mio silenzio orante?
3. Quali sono le risposte che dò difronte alle domande della mia fede a chi me le chiede?

Ut Unum Sint 79
La carne e lo Spirito
La Lettera ai Galati 5,13-2
BAK Juryung (Issaco), NONVIDE Ifede Fiacre, CHARANGATTU JAMES Libin

Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per
vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti
trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e
divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne;
la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose
si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. Del resto le opere della carne sono
ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia,
dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso,
come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è
amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose
non c’è legge.
Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se
pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria,
provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri.

RIFLESSIONI
PARTE I
Nella loro lectio Divina, i nostri fratelli di San Marco ci dicevano giustamente che Dio
rispetta la nostra libertà quando ci chiama. Nel presente brano, oggetto della nostra riflessione,
San Paolo ci spiega che cosa sia la libertà in Cristo Gesù. Siamo chiamati a libertà in quanto figli
di Dio, in quanto cristiani, ma bisogna sapere che contenuto ha questa libertà. La libertà è una
realtà fondamentalissima in Dio. Un autore di lingua francese, Benoit Dominique de la Soujeole,
dice che Dio nella sua onnipotenza non può creare la libertà dell’uomo perché dica di sì alla sua
chiamata e cioè la sua libera risposta alla chiamata di Dio. Sappiamo bene anche quanto dice il
Grande Sant’Agostino nel Sermone 169, 13: “il Dio che ti ha creato senza di te non può salvarti
senza di te”. Se riflettiamo, sulla storia della salvezza, Dio ha sempre cercato di liberare l’uomo e
sempre gli lascia la libertà di scegliere, ha liberato Israele dall’Egitto, ha cercato sempre di salvarlo

80 2019-2022
dai paesi vicini che lo minacciavano chiedendo solo di tornare a Lui. Egli ha addirittura pagato
il prezzo della nostra libertà con la morte del suo stesso Figlio Gesù Nostro Signore. E allora
la domanda che ci si pone è: che cosa è la libertà per noi cristiani? Paolo sostiene chiaramente
in questo brano che per vivere la nostra libertà, bisogna vivere secondo lo Spirito cioè di Gesù.
Questo brano potrebbe infatti essere intitolato “vivere secondo lo Spirito”. Vediamo dunque
come Paolo affronta il tema della libertà in questo brano.
Dai versetti 13 e 14 possiamo dedurre che per Paolo, essere libero non vuole dire vivere
secondo la carne, ma piuttosto vivere nell’amore mettendosi al servizio degli altri. Egli chiarirà,
nel versetto 19 che vedremo poi, che significa vivere secondo la carne. È interessante notare
qui come la comprensione paolina della libertà, attraverso l’amore fraterno e il servizio, ha una
valenza comunitaria e tipicamente rilevante per noi cristiani e soprattutto per noi che a breve
saremo ordinati diaconi. La libertà per Paolo non tiene conto solo di sé anzi si spiega nell’amore,
nel servizio della carità che si può compiere con cuore magnanimo, il che significa che la libertà
in Paolo si ha quando facciamo tutto affinché il fratello sia libero e sereno. Un esempio di questo
tipo di amore, di carità che spiega la libertà relazionale in Paolo si ha in Rm 14, 15 in cui per non
fare cadere il fratello debole liberato, cioè salvato da Cristo, Paolo consiglia di evitare qualche
cibo che di per sé è puro, ma per il fratello debole, è impuro. Libertà in Paolo significa questa
responsabilità fraterna che si prende cura anche dei fratelli più deboli nel nome di Cristo.
Teniamo presente che Paolo si rivolge ad una comunità che non conosce neanche la
Legge di Mosè, anzi all’inizio del capitolo 5 da dove prendiamo questo brano, Paolo mette
in guardia quelli che volevano farsi circoncidere. Non è la Legge che libera, infatti. L’unico
codice di comportamento è l’amore, amare il prossimo come sé stesso rende libero ogni atto
che realizziamo. Se riflettiamo, essere libero, in Paolo, ha la connotazione di una realtà esigente.
In altri termini, vivere libero vuole dire fare tutto quello che è possibile per salvare il fratello,
per renderlo libero prima di tutto, incarnare Gesù che libera e salva. Essere libero è rinunciare
ai propri desideri per desiderare quello che desidera lo stesso Gesù Cristo: la libertà ha allora
come principio intrinseco, in Paolo, Gesù Cristo. Essere libero vuole dire agire come ha agito
Cristo nei confronti degli altri. E per abbracciare questo principio cristologico, bisogna vivere
nello Spirito di Gesù. È quello che dice il versetto 16: camminate secondo lo Spirito. Infatti per
l’Apostolo delle Genti, la nostra carne e lo Spirito di Gesù si contraddicono a vicenda.
Rinunciare ai propri desideri però non vuole dire non fare quello che desideriamo,
secondo Paolo. I desideri di cui si parla sono quelli carnali che non portano, in realtà, alla
salvezza propria e altrui. Invece i desideri dello Spirito portano alla salvezza, alla libertà in Cristo.
Come Cristiani, abbiamo lo Spirito di Gesù se vogliamo obbedire ai suoi insegnamenti. Ma se
ci lasciamo dominare dalla carne, andiamo contro quello che vogliamo in Cristo, cioè i suoi

Ut Unum Sint 81
insegnamenti e finalmente non facciamo quello che vogliamo, in Cristo, ma quello che desidera
la carne. Ora il versetto 15 presenta la consapevolezza di Paolo delle debolezze che possono
esserci nella nostra vita di discepoli di Cristo, cioè del fatto che anche quando viviamo nello
Spirito, qualche volta la carne potrebbe dominare in noi i desideri dello Spirito e allora come
lo leggiamo nello stesso versetto, ci troviamo di fronte ad una distruzione della comunità. La
carne distrugge, ma lo Spirito salva e libera; per questo Paolo invita a camminare nello Spirito
per essere liberi. Ma che vuole dire esattamente Paolo quando esorta a camminare nello Spirito e
non nella carne? Paolo fa un passo successivo chiarendo le espressioni “camminare nella carne” e
“camminare nello Spirito”.
PARTE II
18 Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la Legge.
Il tema centrale della Lettera di San Paolo ai Galati è vivere secondo la guida dello Spirito
Santo. Secondo lui, proprio la vita guidata dallo Spirito è la vita veramente libera. Cioè non è
possibile per l’uomo godere la libertà se non quella data dallo Spirito. La libertà, secondo San
Paolo, significa non solo una libertà “da” una cosa, come il liberarsi dalla schiavitù del peccato,
ma anche una libertà “per” qualcuno, cioè vivere per Cristo. Quindi la nuova libertà, contro
tutto il desiderio che si può fare quanto si vuole, richiede la responsabilità di vivere seguendo
l’amore di Cristo.

19 Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio,
20 idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni,
21 invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto,
che chi le compie non erediterà il regno di Dio.
Dal versetto 19 al 21 Paolo elenca una lista dei vizi, chiamandoli “le opere della carne”.
Queste opere si possono divedere in 4 categorie: prima, ciò che distorce l’amore dell’uomo come
la fornicazione: seconda, ciò che adora Dio erroneamente come l’idolatria e stregonerie: terza,
ciò che dispone l’assenza dell’amore come le inimicizie e la discordia: e quarta, ciò che mostra la
depravazione dell’uomo come le ubriachezze.
La relazione che è una delle dimensioni fondamentali che rappresenta l’uomo intero.
Nelle lingue nord-est asiatiche la parola ‘uomo’ implica che l’uomo si relaziona sempre con un
altro essere. Non c’è nessuno che viva da solo senza relazionarsi con gli altri, perché nella vita
l’uomo, fin dalla nascita, si è relazionato con i genitori, nelle relazioni economiche guadagna i
soldi e compra le cose necessarie, fa amicizia e si sposa. Per questo è possibile dire che la relazione
è una condizione innegabile data ad ogni uomo e che si può dividere in tre aspetti: la relazione
con sé stesso, con gli altri esseri e con Dio.

82 2019-2022
Le opere della carne hanno una caratteristica in comune che è la mancanza dell’amore,
nonostante si mostrino in vari modi. Il loro influsso non basta solo per rovinare la relazione del
peccatore con sé stesso, ma distrugge la sua relazione negli altri aspetti. Persino gli altri esseri
relazionati con il peccatore subiscono la tragedia creata dal peccatore e intanto la sua relazione
con Dio viene ferita. Così il peccato crea un mondo contro la volontà di Dio mostrando la sua
socialità della quale la Bibbia, soprattutto la Genesi, ne parla.
Il peccato, nel suo senso completo e profondo, non è solo un’azione particolare. Le azioni
colpevoli si limitano a dimostrare solo la dimensione superficiale del peccato. Se consideriamo
bene che la relazione è “fondamentale” per l’uomo, dobbiamo dire, senza fermarci solo al lato
visibile, che il peccato è la resistenza radicale contro la natura relazionale dell’uomo, cioè è
chiudersi da ogni relazione con gli altri concentrandosi solo sul proprio bene. Mentre continua
il progresso di isolare sé stesso dagli altri e seguire solo il proprio profitto, è prevedibile che un
giorno venga il momento che non si può compiere né sapere il bene, a causa del comportamento
di un atto, sempre visibile esteriormente, gravemente distorto.
22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà,
mitezza, dominio di sé;
23 contro queste cose non c’è legge.
Dal versetto 22 al 23 Paolo riferisce il frutto dello Spirito. Fra questi sette, l’amore che è
nominato al primo posto, è il fondamentale frutto e il rappresentante degli altri sei. La gioia e la
pace sono i contrassegni chiari che l’amore regna su tutto. La pazienza, la benevolenza e la bontà
sono i vari modi della dimostrazione dell’amore, La fedeltà, la mitezza e il dominio di sé sono le
condizioni nelle quali l’amore nasce e si diffonde.
Il peccato risulta dal chiudere sé stesso dalla relazione, però il frutto dello Spirito è essere
aperto alla relazione. È l’atteggiamento di aprirsi ai bisogni degli altri, riconoscere ed accettare
gli altri come sono ed essere fedele e sincero in ogni relazione. Gesù è il buon modello che ha
portato il frutto dello Spirito al suo prossimo. Si apriva a loro, era sempre pronto ad accogliere i
peccatori pentiti e li visitava e accompagnava, anche di notte, invece i farisei e gli scribi cercavano
di isolarsi o di evitare i peccatori.
È sociale anche l’influsso del frutto dello Spirito come quello del peccato, ma nel modo
contrario, perché è l’apertura agli altri. L’amore fa crescere chi lo compie, rende felici gli altri che
lo sperimentano e rafforza il rapporto tra Dio e chi lo compie. Noi sappiamo bene che, se la storia
del peccato originale racconta della socialità del peccato, la passione e la risurrezione di Cristo
annunziano quella del bene, più forte di quella del peccato che possono ridurre assolutamente
il peccato a livello personale e comunitario. Per questo Paolo incoraggia i fedeli Galati di vivere
secondo lo Spirito. San Tommaso d’Aquino diceva, il male è la privazione del bene che non può

Ut Unum Sint 83
ridurlo in assoluto, ma il bene può rimuovere il male totalmente.
Paolo non giudica o condanna i peccatori, tantomeno lo vuole. Invece ha voluto condurre
i popoli verso l’amore di Dio insegnando a gustarlo e a compierlo. Quindi il suo avvertimento
forte di evitare le opere della carne non è motivo di scoraggiamento nel timore, inoltre, Paolo
supplica che viviamo secondo l’amore che è il frutto dello Spirito e ci porta, a pensare alle cose in
riferimento a Dio che ci ama.
24 Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri.
25 Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. 26 Non cerchiamo la
vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri.
(Galati 5,13-26)
Questa parola “crocifissero” richiama l’azione del Battesimo: nel Battesimo siamo già
stati crocifissi con Cristo, per cui le passioni e le brame della carne sono già morte sulla croce
di Cristo. Cosa vuol dire? Vuol dire che io, immergendomi nell’amore di Cristo per me, lascio
morire il mio egoismo, i miei desideri e vivo di una realtà, di un solo desiderio: vivo la mia vita
nell’amore di colui che mi ha amato e ha dato sé stesso per me, quindi vivo dello Spirito di Cristo;
questo è il Battesimo: accetto come principio della mia vita il suo amore e a questo mi affido, è
questo il principio della vita nuova. Però è interessante: questo è già avvenuto nel Battesimo,
però non è avvenuto una volta per tutte, cioè dobbiamo camminare sempre in questo Spirito.
Crocifisso è una parola importante. Paolo avrebbe potuto semplicemente scegliere la parola
“ucciso”, ma ha usato la parola crocifisso perché parla di molte realtà:
Ci ricorda quello che Gesù ha fatto per noi sulla croce.
Ci ricorda che siamo chiamati a prendere la nostra croce e seguirlo ( Matteo 16:24 ).
Ci ricorda che la morte della carne è spesso dolorosa.
Ci ricorda che la nostra carne deve essere trattata con decisione.
Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito : possiamo capire meglio
ciò che Paolo scrisse qui se comprendiamo che le antiche parole greche per camminare sono
diverse in Galati 5:16 e 5:25 . Nel versetto 16 – “camminare nello Spirito” è in greco peripateo,
qui invece camminare è una parola diversa. È stoichomen, che sostanzialmente significa
“procedere o fare un passo regolare”. Nel versetto 16 c’è il principio del camminare, il versetto
25 esprime invece il concetto di come imparare a camminare. Così come abbiamo imparato a
camminare fisicamente provando e cadendo, così dobbiamo iniziare a camminare nello Spirito
– è un processo di apprendimento. Che cos’è il camminare? Mettere un piede davanti all‘altro. Si
impara a camminare agendo, provando e sbagliando. È così che dobbiamo imparare a camminare
nello Spirito – provando e sbagliando.
Se pensiamo a noi stessi, abbiamo tanti convegni, convegni sulla vita spirituale, convegni

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Biblici; incontri formativi etc., abbiamo le nostre agende piene di appunti di come vivere nello
Spirito ma, a volte, noi viviamo nel nostro spirito. Cosa c’è che non va? Dobbiamo imparare
a camminare nello Spirito e ciò vuol dire che dobbiamo cominciare ora. Se siamo credenti, se
abbiamo creduto in Cristo Gesù e siamo diventati figli di Dio, dobbiamo iniziare adesso. Dire:
“Camminiamo nello Spirito. Dipendiamo solo dallo Spirito Santo per produrre i frutti nella
nostra vita”. Forse pensiamo che cadremo. La risposta è sì: cadremo. Ci faremo anche male. E
qui viene una domanda: “quante volte dovrò cadere?” nessuno può dare la risposta. Noi tutti
stiamo tuttora cadendo. Ma è così che noi camminiamo nello Spirito ed è l’unico modo-cadremo
ma ci rialziamo con lo Spirito Santo. Amici, abbiamo bisogno di agire oggi e incominciare ad
appoggiarti allo Spirito di Dio. Arrenditi a Lui; è un atto di volontà. Paolo ci dice anche, “Non
siamo vanagloriosi, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri”. “Non siamo vanagloriosi” – vuol
dire che non saremo mai dei santi eccezionali, perché tutto è dono di Dio. Amici…Incominciamo
a camminare, appoggiandoci a Lui come piccoli bambini. Dobbiamo scendere dai nostri alti
sgabelli e camminare nello Spirito.
La vita cristiana è un cammino quotidiano: è questione di procedere con un piede dopo
l’altro, dipendendo solo dallo Spirito Santo. Vi auguro un buon cammino nello Spirito Santo.
Preghiamo: Padre, manda nel tuo nome lo Spirito Santo che ci insegnerà̀ ogni cosa, che ci
ricorderà la parola di Gesù, che resterà con noi per sempre. Lo Spirito ci consolerà, lo Spirito ci
sosterrà nelle vie difficili del mondo, lo Spirito ci guiderà alla verità per essere veri nell’amore. Lo
Spirito ci aprirà alle cose future, lo Spirito ci donerà ciò che è suo.

Ut Unum Sint 85
Il banchetto di nozze
Il Vangelo secondo Matteo 22, 1-14
BADJI Joachim Damasse, ZHANG Yintao (Paolo), FRANCIS Joseph Antony, JOSEPH Sajan

Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto
di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non
vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e
i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se
ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li
insultarono e li uccisero.
Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro
città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate
ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei
servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per
vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai
potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani
e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati,
ma pochi eletti».

La vita Cristiana come comunione


“Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli… un banchetto di vini eccellenti, di
cibi succulenti, di vini raffinati” così scriveva il Profeta.
Carissimi questo brano di Is. 15,6-8 è proprio una chiara profezia di questo vangelo di Matteo
che ci proponiamo per la meditazione. È un invito gratuito ad uno splendido banchetto che
promette la vita con la garanzia della sconfitta definitiva della morte, ultimo forte nemico
dell’uomo. Matteo in realtà racconta due parabole, una relativa agli invitati per primi, un invito
gratuito, dove non occorrono biglietti per entrare, ma basta solo la presenza. L’altra parabola
invece riguarda un uomo trovato a un crocicchio della strada che, invitato, entra ma senza
indossare l’abito nuziale.
E sia il primo che il secondo caso, sono molto forti. Nella prima parabola Matteo dice
che il re “mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città”. Nel
secondo caso invece si sottolinea che il re ordinò “legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle
tenebre, là sarà pianto e stridore di denti”. E conclude Gesù “perché molti sono chiamati, ma
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pochi eletti”.
La prima ragione su cui il Signore vuole farci riflettere è che la chiamata è gratuita e
questa non dipende dalla nostra dignità, è essa stessa, anzi, che dona dignità nuova e piena alla
nostra vita. Ma l’uomo non è sempre pronto a cogliere la portata del dono che il Buon Dio vuole
darci.
Però il piano di Dio non viene meno, Egli continua ad invitare altri, che oltre l’accoglienza
dell’invito sono pronti a gustare la festa, a vivere la gioia del dono ricevuto, perché sanno che è
assolutamente gratuito e nobile. Alla gratuità dell’invito di Dio, dobbiamo rispondere con la
nostra volontà di somigliare a Lui.
La seconda parte indica che il rischio che corriamo noi è quello di pretendere di essere
migliori, più idonei, più capaci, non bisognosi di conversione. Il re chiede la veste di nozze,
che senso ha? L’Apocalisse scrive “la veste di lino sono le opere giuste dei santi”. Senza una vera
novità di vita, il biglietto d’invito al banchetto eterno conterà ben poco agli occhi del re. È la vita
battesimale che conta, non il certificato di Battesimo, rivestire l’uomo nuovo, creato secondo
Dio nella giustizia e nella vera santità, questo è il senso dell’abito nuziale. Il giudizio finale per
tutti sarà sull’amore, sulla carità, segni distintivi dei seguaci di Gesù. La nostra positiva risposta
alla chiamata di Dio ci offre sempre la grazia della comunione con Lui.
Dite agli invitati: Tutto è pronto, venite alle nozze... (Mt 22,4)
Purtroppo, come abbiamo notato, gli affari e gli interessi personali hanno primeggiato
sull’appuntamento del re. Gli invitati hanno ritenuto più importanti i loro affari che l’invito del
re che dimostra la sua grande generosità e bontà. Affari che forse sono importanti. Ma, amici, tale
atteggiamento rispecchia quanto, spesso, ci comportiamo da pagani. Cioè ci sommergiamo nelle
nostre occupazioni quotidiane, le quali diventano per noi idoli e di conseguenza ci impediscono
di incontrare Dio, di dargli adorazione. Questi invitati hanno dimostrato che il centro della loro
vita sono le preoccupazioni mondane. Non ci scandalizziamo se a volte veniamo indicati, noi
uomini di Chiesa, di preti pagani o di seminaristi pagani. Sembra paradossale rispetto a quello
che siamo o a quello che vogliamo essere, però a riflettere, bene, lo possiamo essere. Lo possiamo
essere tutte le volte che siamo preoccupati o affannati da affari mondani che ci impediscono
il nostro rapporto filiale con Dio. Ma per fortuna, il richiamo del Signore alla conversione è
sempre continuo, ripetitivo e paterno.
Un aspetto molto eloquente di questo brano è la reazione degli invitati che si permettono
di uccidere gli schiavi mandati a portare l’invito. Ecco amici anche noi come sacerdoti o futuri
missionari riceveremo il mandato di portare l’invito del Signore ai popoli. Quest’invito non è
altro che la Buona Novella che dà pienezza di gioia, ma che purtroppo qualcuno rifiuterà. E forse
non si limiterà ad un semplice rifiuto, ma anche a perseguitare i portatori del messaggio di Dio.

Ut Unum Sint 87
Noi siamo ambasciatori di Cristo, abbiamo ricevuto Gesù per poter offrirlo ad altri. Di fatto
dobbiamo prepararci alla resistenza, alla controversia e anche al martirio.
L’altro elemento che ha richiamato la nostra attenzione è l’atteggiamento del re nei
confronti di quell’uomo entrato senza il vestito nuziale. Amico, così lo chiamò il re, come mai sei
entrato qui senza la veste nuziale?
Ancora una volta, non possiamo non porci questa domanda sempre legittimamente
accettabile: come un invitato dell’ultimo momento, uno incontrato nella strada, impegnato
tranquillamente nei suoi affari, quasi preso all’improvviso, come avrà tempo di ritornare a casa
(ce lo possiamo immaginare) per mettere il suo abito di festa?
Naturalmente se ci accontentiamo dell’aspetto letterale del brano, possiamo facilmente
dare una valida giustificazione a favore di quell’uomo, nostro amico. Ricordiamo l’esortazione di
San Paolo in Efesini 4,22ss: spogliatevi dell’uomo vecchio, quello del precedente comportamento,
rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestivi dell’uomo nuovo.
L’incontro con il Signore avviene sempre dopo che noi accettiamo di convertirci. La
nostra rinnovata conversione è una condizione sine qua non per poter partecipare al banchetto
del Signore. Durante l’Eucaristia, momento più alto del nostro incontro con il Signore, Egli ci
dichiara beati perché invitati alla sua Mensa. Ma per poter partecipare, degnamente, a questo suo
invito esige, da parte nostra, una preparazione, un rivestimento dell’abito di nozze per entrare in
piena comunione con Lui. La nostra vita deve essere in conformità alla chiamata che abbiamo
ricevuto. Il Vangelo di Cristo deve essere la nostra veste che dobbiamo indossare non unicamente
in occasioni festive, ma nel quotidiano della nostra vita. La nostra identità profonda deve sempre
essere conforme alla chiamata che abbiamo ricevuto. Questa chiamata, ci penetra per trasformarci
allo scopo di renderci simili a Colui che chiama. Nonostante le nostre mancanze, Dio ci chiama:
amico. Questa certezza ravviva il nostro desiderio di approfondire la nostra relazione con Lui.
Carissimi, c’era un tempo in cui, nella Chiesa, molti dicevano: dobbiamo portare la
Bibbia in una mano e il giornale in un’altra. E poi è cambiata l’idea negli anni 80 e si diceva:
la Bibbia e la chitarra. Ma adesso, nella nostra era moderna, l’idea è la Bibbia in una mano e il
cellullare nell’altra. Tutti abbiamo il cellulare. Non possiamo oggi vivere senza il cellulare. A tutti,
almeno una volta nella vita, è successo che quando noi inviamo un messaggio ad un altro, se non
visualizza lo scritto o lo fa con grande ritardo, significa che non gli interessa di leggerlo. Se poi
visualizza, ma non risponde, è possibile che declini l’invito. Così si vede in questo vangelo che
abbiamo ascoltato, Dio manda a tutti il messaggio di invito per la festa, ma non tutti rispondono.
Il re mandò i servi, ma gli invitati non vollero rispondere, presentando molte scuse.
Il motivo che induce i due evangelisti a ripetere questa parabola è lo stesso. Nella
comunità dei primi cristiani, sia in Matteo che in Luca, era ben vivo il problema della convivenza

88 2019-2022
tra i Giudei convertiti ed i pagani convertiti. I Giudei avevano norme antiche che impedivano
loro di mangiare con i pagani, anche dopo essere entrati nella comunità cristiana. Molti giudei
mantenevano l’usanza antica di non sedersi allo stesso tavolo con un pagano. Così Pietro ebbe
conflitti nella comunità di Gerusalemme, per essere entrato a casa di Cornelio, un pagano, e
per aver mangiato con lui. Questo stesso problema era vivo, in modo diverso, nella comunità di
Luca e di Matteo. Nel vangelo di Matteo la prima parte della parabola, ha lo stesso obiettivo di
Luca. Egli arriva a dire che il padrone della festa ordina di far entrare buoni e cattivi. Ma alla
fine aggiunge un’altra parabola sul vestito di festa che insiste in ciò che è specifico dei Giudei, la
necessità di purezza per poter comparire dinanzi a Dio.
Allora un re fece una festa di nozze per suo figlio. Il re è Dio che offre al suo popolo la
salvezza. I servi mandati a chiamare gli invitati alle nozze sono i profeti che dovevano preparare gli
ebrei alla venuta del Messia, gli invitati che rifiutano l’invito e maltrattano e uccidono i servi, sono
proprio i Giudei, come pure tutti quelli che rifiutano Gesù. Il suo invito si rivolge a tutti e manda
i suoi servi a chiamare tutti quelli che avrebbero incontrato. Questo particolare simboleggia la
predicazione della Chiesa che annuncia la salvezza al mondo intero. Così la sala delle nozze si
riempì di commensali. Questa sala simboleggia proprio la Chiesa dove non tutti sono santi e c’è
una compresenza di buon grano e di zizzania. Per prendere parte alla festa di nozze del figlio di
Dio, per conseguire la salvezza, bisogna indossare l’abito nuziale che rappresenta la grazia di Dio
di cui deve essere rivestita l’anima. Chi è privo di questo abito è cacciato dalla sala nelle tenebre,
dove ci sarà pianto e stridore di denti. Infatti al banchetto del regno tutti sono invitati, tutti sono
commensali. Siamo tutti invitati, nessuno escluso, in attesa di sperimentare che la vita non è
solitudine, ma festa e comunione.
Punti di riflessione:
1. Che posto ha la gratuità nella nostra relazione con i fratelli?
2. Sono disposto a rinnovare la mia risposta alla chiamata di Dio dopo le mie cadute?
3. Sono sempre nelle disposizioni adeguate a rispondere all’invito del Re, per eccellenza, di
cui non si conosce né l’ora né il giorno?
4. Non vivo più io ma Cristo vive in me. Gal 2,20. Come faccio mia questa verità di fede
che per me è il vestito di nozze?
5. Nella mia vita, come mi impegno a non avere degli idoli che possono gareggiare con
Gesù, mio Dio?
6. La logica del dare la mia vita per la causa del Vangelo fa parte della mia esistenza cristiana
di pastore?
Ecco cari amici su quale interrogativo ognuno di noi può meditare, chiedendo la grazia di essere
sempre trasformati e conformati a Cristo.

Ut Unum Sint 89
Il buon samaritano.
Il Vangelo secondo Luca 10,25-37
KANIVAYALIL GEORGE Aswin, THUNDIPARAMBIL Sebi Victor,
KAYIWA Robert, LYANGA Edwin Jerome

Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita
eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose:
«Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza
e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fa’ questo e
vivrai». Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?».
Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono,
lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per
quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel
luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e
n’ebbe compassione.
Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò
a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore,
dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre
ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto
compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».

RIFLESSIONI
A) INTERPRETAZIONE
La parabola del buon samaritano in Lc 10,25-37 segue il discorso privato di Gesù con
i suoi discepoli e riguarda la missione verso Israele (Lc 10,1-24). Questo discorso è seguito
dall’episodio di Maria e Marta (Lc 10,38-42) che riguarda il tema del servizio. Questo brano
può essere anche paragonato con Mt 22,35-40 ovvero Gesù è confrontato con il dottore della
legge nello stesso modo per metterlo alla prova. La differenza è unica. In Matteo Gesù spiega
direttamente qual è il più grande comandamento e il secondo comandamento in senso letterale.
In Luca Gesù entra nella profondità del senso di questi due comandamenti, cioè entra e spiega
la parte della pratica della legge. Gesù è stanco di teorie e vuole la pratica. Anche il nostro caro
DON HAN DUO una volta ci ha detto che nella Chiesa non sono mai mancate le teorie invece,
la pratica è sempre mancata. Basta teorie cari fratelli!
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Il nostro discorso può essere diviso in due parti cioè la prima parte dal Lc 10,25-28, che riprende
la domanda del dottore della Legge per ereditare la vita eterna. La seconda parte da Lc 10,29-37,
con un lungo racconto di Gesù sulla parabola del buon samaritano. Infatti questa seconda parte
è drammatica ed è centrale perché tratta della applicazione di questi due comandamenti della
prima parte è ci fa riconoscere il senso dell’amore e il senso del prossimo.
La parabola del buon samaritano sottolinea la prospettiva sui requisiti per la vita eterna
e manifesta il pensiero di Gesù sul rapporto tra la legge e il suo insegnamento (Mt 5,17-19), sulla
Legge e il suo compimento in cui Gesù esplicita chiaramente che Egli non è venuto per abolire
la Legge, ma a portarla al suo compimento, e (Lc 16,16-18). Gesù insegna che è più facile che
passino il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge. Quindi Gesù ha rispetto per
la Legge e la conserva. Il secondo punto di questa parabola dimostra la prospettiva positiva del
giudaismo di Luca e la pietà dei giudei centrata sull’osservanza della legge (Lc 1,6, “Zaccaria ed
Elisabetta erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni
del Signore”: Lc 2,22-25), sulla presentazione di Gesù. “Quando furono compiuti i giorni della
loro purificazione rituale, secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per
presentarlo al Signore.”
Il dottore della Legge in Lc 10,25 pone una domanda a Gesù alzandosi in piedi e
chiamandolo con il titolo in modo molto rispettoso, ‘didaskale’, cioè maestro. Ma Luca ci dice
che il motivo del dottore della legge non era di chiedere per ricevere informazioni, ma di mettere
Gesù alla prova! Quindi è probabile che questo dottore della Legge non era d’accordo con il
modo con cui Gesù interpretava la legge e possibilmente voleva criticarlo e farlo vergognare in
pubblico e così interrogarlo in tale modo.
Gesù per rispondere alla domanda del dottore della Legge, implicitamente, senza offenderlo, gli
pone una domanda per fargli riflettere se egli stesso conosce la Torah. Con questo gesto Gesù ci
dimostra che ha l’autorità suprema di insegnare ed Egli stesso è il compimento della Legge (Lc
16,17; Mt 5,17-18).
La risposta del dottore della Legge ci porta a Deut. 6,5. Ricordate il grande comandamento
sull’amore e timore di Dio? “Ascolta, Israele; il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore, Tu
amerai il Signore, tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.” Questo
grande ‘shema’ che era considerato la Legge e i profeti nel giudaismo, è collegato alla regola d’oro
come leggiamo in Levitico 19,18. “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del
tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.” Il tema dell’amore del
prossimo è chiaramente visibile in questa sezione. Questa risposta ci dimostra, chiaramente, che il
dottore della Legge conosceva bene la Legge, ma forse era molto lontano dal suo compimento!
Al v.28, Gesù accetta la risposta del dottore della Legge, ma lo esorta a praticarla per la vita

Ut Unum Sint 91
eterna perché era possibile che egli la conoscesse, ma non la praticasse e infatti la sua ignoranza
e ipocrisia sono chiaramente visibili al v.29 quando pone una altra domanda a Gesù: sul chi
è il prossimo! Il dottore della Legge al v.29 voleva giustificarsi ponendogli un’altra domanda
sull’identità del prossimo. È una domanda che suscita dubbio e rivela ignoranza, ma soprattutto
essere limitato nel concetto dell’amore. Luca ci dimostra che egli, ponendo la seconda domanda,
voleva ricuperare la sua buona fama davanti a tutti, essendo un dottore della Legge, ed era molto
rispettato nella società. Nella sua domanda notiamo la visione e il pensiero del concetto del
prossimo, nel giudaismo.
Nella Bibbia greca cioè la cioè la Settanta, il termine‘πλησίον’ significa il prossimo e
si riferisce a un amico e per i giudei questo termine si riferisce a ciascun membro dell’alleanza
in senso generale cioè includendo anche uno straniero che non era giudeo, per esempio un
samaritano (Lc 19,18; 33-34). Al tempo di Gesù, l’interpretazione di questo termine era limitata
al solo popolo d’Israele cioè i giudei ed escludeva gli altri, per esempio i samaritani, che non erano
giudei. I samaritani infatti erano considerati peccatori (Sir. 12,1-7).
Al v.30, per rispondere al dottore della legge, Gesù comincia con la parabola del buon
samaritano. Un uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico. Questa anonimità dei personaggi
nella parabola del buon samaritano è tipica di Luca dove siamo tutti invitati a mettere i nostri
personaggi anche nel discorso. Luca sottolinea che scendeva da Gerusalemme. Perché la partenza
da Gerusalemme? Perché a Gerusalemme c’era il Tempio ed era il luogo sacro. Il secondo punto
è che Gerusalemme è il luogo della partenza della missione di Cristo e da lì comincia sempre la
missione di proclamare il vangelo a tutto il mondo (Lc 24,47; At. 1,8).
Questo uomo cadde nelle mani dei briganti che lo percossero a sangue e lo lasciarono
mezzo morto. Per caso al v.31, un sacerdote scendeva alla medesima strada e quando lo vide
passò oltre. Il sacerdote è un uomo di autorità nella società e svolge il suo servizio nel Tempio.
Ma perché è indifferente e non si ferma dopo avere visto questo uomo in una condizione molto
critica? Forse gli mancava la compassione o aveva paura di cadere anche lui nelle mani di questi
briganti?
La difesa da parte del sacerdote sarebbe che non voleva violare la Legge che riguardava
il rituale sulla purità ovvero il sacerdote poteva essere contaminato dal contatto con un morto
(Num 5,2; Lv 21,11). Però se leggiamo attentamente il testo ci dice che quest’ uomo non era
ancora morto! Comunque qualcuno poteva pensare che era già morto. Ma più ancora questo
sacerdote scendeva da Gerusalemme vuol dire che aveva già finito di svolgere il suo compito nel
Tempio e così non poteva dire che aveva paura di essere contaminato.
Al v.32, Luca ci dice che anche un Levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. I leviti
erano dei membri di un gruppo degli officiali che erano inferiori nei confronti dei sacerdoti

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e svolgevano alcuni rituali del culto nel Tempio. In realtà non ci sarebbe stato un grande
impedimento per un levita per aiutare questo uomo, purtroppo anche lui sceglie la via della
comodità, la via di non sporcarsi le mani e se ne va, senza avere compassione di questo uomo.
Al v.33, c’è il cambiamento di tutto al riguardo del buon samaritano. Infatti l’evangelista Luca fa
una sorpresa a tutti. Il discorso si muove dal SACERDOTE-LEVITA e a questo punto, quasi
tutti, aspettano un personaggio laico. Ma Luca pone proprio il samaritano! Che sorpresa!
Noi sappiamo bene che i giudei erano nemici dei samaritani e li odiavano tanto da volerli fare
morire. Li consideravano tutti peccatori. Infatti nella letteratura Talmudica un giudeo era invitato
a non aiutare un samaritano per salvare la sua vita e nel vangelo di Luca noi vediamo, poco prima,
la cattiva accoglienza a Gesù in un villaggio di Samaritani (Lc 9,51-56).
Quindi in tutte queste condizioni, il lettore di questa pericope è molto sorpreso della
presenza del samaritano che era considerato infedele alla Torà e in questo momento è l’unico
a compiere un gesto di amore e così è l’unico a portare a compimento la Legge. Il samaritano
risponde non secondo l’esigenza del servizio, ma secondo l’esigenza dell’amore. Egli vide e ne
ebbe compassione.
Al v.34, egli gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino sulla sua cavalcatura e lo portò in
un albergo e si prese cura di lui. Con questo gesto il samaritano ci dimostra che il fatto di essere
prossimo è reciproco. Egli ha visto l’uomo mezzo morto, come il prossimo ed è venuto in suo
aiuto ed è diventato anche lui prossimo di questo uomo.
Il dottore della legge forse aveva pensato una definizione astratta del prossimo, ma Gesù dimostra
che è il gesto concreto che qualcuno compie che conta, ed è importante. L’amore crea la prossimità
con gli altri e non odio. L’amore verso gli altri non è una situazione o condizione statica, ma c’è
sempre il movimento di uscire dalla nostra comodità (comfort zones).

B) MEDITAZIONE
Il prossimo e l’amico
Nella nostra vita sociale il prossimo è una definizione di un amico. Quindi nel nostro
tempo la domanda da farmi sarebbe “chi è il mio amico?”. La nostra risposta è colui che mi sta
accanto nei miei momenti difficili. Il mio angelo quando sono nel bisogno. E se siamo sinceri
sono queste le persone che ci interessano, sono queste le persone per cui siamo disponibili, anche
noi, a dare la mano. Sono questi i nostri amici e i nostri vicini.
Fino qui non ci sono problemi, per il nostro vangelo e ci apre gli occhi e la mente a
un altro atteggiamento e comportamento. Perché il nostro comportamento non deve essere
motivato solo dal nostro ricevere, prima, per dire che ora questo è un vero amico. Il vangelo
esorta a un amore gratuito, dare, offrirci, sacrificarci per un altro. Infatti, il Signore in Mt 5, 46-47

Ut Unum Sint 93
ci chiede se amiamo solo quelli che ci amano o se salutiamo solo quelli che sono i nostri amici,
che cosa c’è di nuovo nella nostra vicenda …perché anche i peccatori fanno lo stesso.
Il vangelo del buon samaritano ci invita a fare la carità disinteressata. Dà più importanza
alla nostra responsabilità verso l’altro invece di metterci noi al centro. Non è mio amico perché
mi aiuta o mi ha aiutato, ma è il mio amico perché io devo dare per primo. Perché lui ha bisogno
di me! Questo è il mio prossimo e quando lo vedo non devo inventare o cercare le scuse per non
aiutarlo, perché non faremmo niente se, per aiutare non esistesse qualche impedimento per il
nostro interesse.
Sì, in teoria questo è molto facile dirlo, ma in pratica la situazione è molto diversa. Però
se abbiamo fatto caso, vediamo la parte negativa prima, per quanti non abbiamo potuto aiutare,
come sono andati a finire? O pensiamo che qualcuno li abbia aiutati o non mi importa nulla, in
tanto non gli devo niente. Così quante persone hanno sofferto o ancora soffrono o muoiono a
causa di questa indifferenza? Ma da un’altra parte quale mondo avremmo potuto costruire se le
nostre mani non si fossero tirate indietro di fronte al prossimo? Quando parliamo del concetto
del prossimo non parliamo del nostro vicino, ma di qualcuno che si trova in una situazione
difficile, in una situazione di bisogno, in una situazione di aiuto. Quindi non si tratta dell’aiuto
ai nostri amici che amiamo con tutto l’amore, ma si tratta di quel gesto di amore esteso a una
persona sconosciuta che ne ha bisogno, ha bisogno del tuo aiuto per vivere. Nel nostro Collegio
il prossimo può essere quel fratello ammalato nella stanza che ha bisogno del nostro sostegno sia
materiale sia spirituale, il prossimo può essere il collega della classe che ha bisogno di aiuto per
potere superare un esame difficile, che sia stato rimandato oppure sia stato bocciato! Il prossimo
può essere un fratello che abbia perso la speranza a causa della paura per la salute specialmente
in questo tempo della pandemia del corona virus. Tutti questi fratelli hanno bisogno del nostro
aiuto e non dobbiamo rispondere come Caino che faceva finta di non sapere dove era suo fratello
(Gn 4,9-10). Non siamo chiamati a sporcarci le mani per essere prossimi ai nostri fratelli nel
bisogno.
Nella parabola del buon samaritano vediamo Gesù che era rifiutato dai sacerdoti e dal
popolo d’Israele, ma viene accolto dai gentili e dai samaritani. Quindi vediamo che la salvezza
viene attraverso la fede in Gesù Cristo che era rifiutato dal suo popolo. Egli che è venuto fra i
suoi e i suoi non lo hanno accolto (Gv 1,11). Cari fratelli siamo chiamati ad accogliere Cristo che
è venuto già ed è visibile fra noi, mediante il nostro prossimo, mediante tutti coloro che hanno
bisogno dell’amore perché sono abbandonati dalla loro famiglia, sono discriminati perché sono
di una razza inferiore. Ci ricordiamo cari fratelli che Dio ama tutti ed è sempre misericordioso
verso tutti noi e così anche noi possiamo amare tutti senza discriminazione.
Cari fratelli, siamo tutti chiamati a essere i buoni samaritani perché nel buon samaritano

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vediamo Gesù il buon pastore (Gv 10), colui che si prende cura del gregge di Dio e cura le ferite
delle pecore. Gesù è il buon pastore che dà la vita per le pecore. Dopo la nostra formazione nel
seminario, saremo mandati a testimoniare Gesù in vari luoghi, alcuni nelle parrocchie. Dovunque
andremo siamo chiamati a curare bene il popolo di Dio che ci sarà affidato perché ha bisogno
delle nostre cure e noi dobbiamo essere come il buon pastore che è Gesù che si prende cura delle
pecore ferite, cerca le pecore smarrite, le pecore che hanno perso la speranza e dobbiamo sempre
dare loro speranza, dobbiamo sempre dare il senso della vita a coloro che l’hanno perso. Gesù
abbraccia tutti senza discriminazione e anche noi dobbiamo imitare il nostro Signore. Quindi
dobbiamo prepararci bene per tutti questi bisogni chiedendo sempre allo Spirito Santo di non
lasciarci da soli.
Questa parabola lucana del buon samaritano ci dimostra che Dio si ricorda sempre delle
persone deboli, emarginati nella nostra comunità o Collegio. Dio è sempre difensore dei deboli.
Quindi questo ci insegna una grande lezione come futuri pastori della Chiesa. Siamo chiamati
ad essere dalla parte dei più deboli, siamo chiamati a difendere le persone deboli, le persone che
hanno bisogno del nostro aiuto quindi cerchiamo di evitare di essere portatori della violenza alle
persone a cui siamo o saremo inviati.
In ogni comunità ci sono delle persone deboli che hanno bisogno del nostro aiuto,
immaginate le persone disabili, i bambini, le mamme, ecc. dobbiamo sempre fare più attenzione
con tutte queste persone per non discriminare nessuno perché tutti noi siamo chiamati ad essere
figli di Dio.
Questa parabola ci riporta a Lc 6,36: siate misericordiosi come il Padre vostro è
misericordioso. La misericordia è la misura su cui saremo giudicati davanti a Dio e non quanta
conoscenza abbiamo del Diritto, della Bibbia, della morale, del dogma, ecc. Siamo tutti chiamati
ad esser misericordiosi e questa chiamata comincia ora, adesso, non dobbiamo aspettare domani
o un altro giorno per accogliere questo invito perciò, dobbiamo essere pronti a mettere in pratica
il vangelo. Non dobbiamo essere come il dottore della legge che conosceva bene la Legge e,
purtroppo, era molto lontano dalla pratica. Quindi facciamo attenzione anche noi perché non
accada questo nella nostra vita e nella missione dobbiamo essere veri testimoni del Vangelo.
La parabola del buon samaritano ci insegna la virtù della carità che è molto importante nella
nostra vita cristiana ed anche forse meno compresa, tra i cristiani, e così in questi giorni si parla
della carità che fa male. Come mai la carità fa male? Ecco la domanda che ci dimostra che forse
la carità non è sempre capita nel suo senso concreto.
San Paolo ci incoraggia in Rm 13,8-10 di amarci vicendevolmente perché chi ama l’altro
ha adempiuto la Legge. La carità non fa alcun male al prossimo; la pienezza della Legge infatti
è la carità. La carità cari fratelli non consiste nel dare aiuto agli altri che ne hanno bisogno per

Ut Unum Sint 95
interessi personali, dietro cui si guadagna, ma la vera carità consiste nel dare il tuo cuore, nel
mettersi nella situazione di quella persona che soffre e di cercare di aiutarla proprio come il buon
samaritano che si sporca le mani e cura le ferite dell’uomo mezzo morto e lo porta all’ospedale.
Questo gesto ci dimostra veramente che cosa significa dare aiuto senza aspettare nulla! Ecco
anche la santità consiste in questi piccoli gesti di amore fatti con tutto il cuore per il prossimo.
Cari fratelli, dobbiamo mettere al primo posto l’amore come Papa Francesco nella sua enciclica
‘Fratelli Tutti’ ci ricorda. Al n.92, il Santo Padre ci spiega che ciò che mai deve essere messo a
rischio è l’amore. Il pericolo più grande è non amare (1 Cor. 13,1-13). Ma dobbiamo distinguere
il gesto dell’amore dall’associarsi con gli altri nella difficoltà, per i nostri interessi personali, perché
questo ci porta ad essere egoisti invece di essere promotori dell’amore. Gli egoisti non mettono
l’amore al primo posto, ma i loro interessi personali. Questa non è la via del Signore e dobbiamo
evitarla.
La parabola ci aiuta a riconoscere che siamo tutti fratelli (Mt 23,8) come ci ricorda
l’ultima enciclica del Santo Padre, ‘Fratelli Tutti’. Con questo invito siamo chiamati a rispettare
e a promuovere la dignità umana perché tutti noi siamo uguali e abbiamo la stessa dignità. Tutti
noi siamo figli Dio senza escludere nessuno e dobbiamo sempre proteggere la dignità di tutti i
nostri fratelli e di tutte le nostre sorelle che si trovano nella difficoltà dove non c’è rispetto per la
vita, per la dignità umana, per l’uguaglianza di tutti. Noi, come portatori del Vangelo, dobbiamo
sempre lottare per riconoscere questa dignità umana che è uguale per tutte le persone.

ALCUNI SPUNTI PER LA RIFLESSIONE


1. Descrivere chi è il buon samaritano per te?
2. Come si può riconoscere nell’altro l’essere bisognoso?
3. Chi è prossimo per te? Descrivilo con una frase.
4. Come si può vivere nell’amore verso il prossimo?
5. Che cosa è la carità per te? Che cosa si intende quando si dice che la carità che male?
6. Come si può combattere la discriminazione nella nostra comunità, parrocchia, ecc.?

96 2019-2022
Il Battesimo del Signore
Il vangelo secondo Marco 1, 7-11
GEORGE JOSEPH Denny, GUNTUR Yoseph Kristinus,
GEORGE Lijo, YAI Lino Pioth Mangar

E predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per
sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito
Santo».
In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E,
uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì
una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto».

RIFLESSIONI
Orazione Iniziale
Spirito Santo che aleggiavi sulle acque della creazione e hai guidato i passi di Mosè nel
deserto, vieni oggi su di noi e immergici in te, affinché ogni nostro passo e pensiero sia orientato
verso il Cristo, nell’ascolto della sua Parola. Dimora in noi, Spirito del Padre, e guidaci alla verità
di noi stessi e alla conoscenza del Figlio di Dio che ci redime e ci fa essere una cosa sola con Lui,
affinché anche in noi il Padre possa compiacersi. Amen.
Lettura del Brano Marco 1, 7-11
E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di
chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà
in Spirito Santo».
9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano
da Giovanni. 10E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso
di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho
posto il mio compiacimento».
Meditazione
Il vangelo racconta lo scenario del battesimo del Signore. Il battesimo è un rito di
purificazione mediante bagni o abluzioni che era abbastanza usato nell’ebraismo dell’epoca di Gesù
(cfr. Mc 7, 1-4), anche tra gli Esseni di Qumran è stato come una pratica ritualista quotidiana. La
parola battesimo indica un bagno, un’immersione completa nell’acqua e deriva dal verbo baptiz,
poco usato nell’Antico Testamento greco a causa della sfumatura negativa del suo significato:
immergere, sommergere, annientare (annegando o affondando nell’acqua). Quest’accezione
Ut Unum Sint 97
negativa manca solo in 2Re 5, 14: la guarigione di Naaman, ottenuta mediante una serie di bagni
nel Giordano praticati su ordine di Eliseo. Da qui deriva l’uso positivo delle epoche seguenti. Il
battesimo di Giovanni ne caratterizza tutta l’attività e riprende le pratiche esistenti, introducendo
alcune novità. Giovanni opera in un luogo imprecisato lungo il Giordano e dà il battesimo
nell’acqua corrente del fiume, non in locali appositi e in acque predisposte al rito. La conversione
e la penitenza, da lui richieste, mirano più al piano morale che a quello rituale e il rito segno di
tale cambiamento esistenziale (bagno e confessione dei peccati) avveniva una sola volta nella
vita. Inoltre, Giovanni dice chiaramente che il suo battesimo è solo la preparazione a un evento
purificatorio più radicale e direttamente connesso al giudizio finale di Dio. Noi possiamo vedere
in parallelo le sue ricorrenze in altri vangeli come Matteo, Luca, ed anche in Giovanni in modo
indiretto. Nonostante il fatto che ogni evangelista raccontava in modo diverso; abbiamo alcuni
punti comuni come: la folla, l’esortazione di Battista riguarda il suo battesimo per la conversione
e in particolare questo battesimo viene percepito come il segno di apertura all’intervento divino
di non cedere alle tentazioni o di non peccare. Possiamo comprendere di più il messaggio biblico
collocando questo vangelo alla luce del profeta Isaia e della prima lettera di San Giovanni.
Dal profeta Isaia (Is 55, 1-11), sentiamo che il Signore si prendeva cura del suo popolo
che aveva sete nel suo ritorno dall’esilio. L’acqua che il Signore dà è completamente gratis, non
occorre pagare e sarà immisurabilmente in abbondanza. Il profeta Isaia scrive, ‘O voi tutti assetati,
venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza
denaro, senza pagare, vino e latte’. L’acqua li aiuta a tornare nella loro terra. Quel dono dell’acqua
gratuita, nel deserto, era solo l’inizio del dono che il Signore voleva dare gratuitamente. Poi, si
allargava ai bisognosi umani in varie forme come cibo, dimora e poi alla fine tutto ciò che è in
relazione alla vita spirituale come la nuova alleanza, la conversione e la capacità di ascoltare la
Parola di Dio. L’acqua diventa davvero come un dono speciale per il popolo che ha il cuore per
ritornare a Dio e che ha la disposizione per ristabilire l’alleanza con Dio.
Nel battesimo di Giovanni Battista, l’acqua ci ricorda il fatto che il Signore voleva
avvicinarsi al suo popolo, a quelli che volevano ritornare all’alleanza col Signore. Il battesimo
di Giovanni diventa un momento di ritorno del popolo d’Israele al loro Signore. Nonostante la
realtà della vita spirituale, erano chiusi in una superficiale obbedienza della Legge.
Il popolo era chiuso all’ambiente rituale, alla Legge al quale li conduceva al legalismo. Invece di
condurre alla pienezza di vita, la Legge conduce il popolo ancora come schiavo della Legge. La
vita spirituale diventa più arida. Hanno bisogno dell’acqua però è troppo secca la vita spirituale
e non basta l’acqua. L’acqua non basta a rendere viva di nuovo la spiritualità, hanno bisogno
dell’intervento divino che viene dall’alto, hanno bisogno dello Spirito che aiuta dall’alto come
lo Spirito che aleggiava sull’acqua nella creazione. Quando lo Spirito aleggiava sopra l’acqua, la

98 2019-2022
creazione iniziava, ed è proprio questo punto che Giovanni Battista voleva mostrare al popolo
d’Israele.
Giovanni Battista viene considerato come il profeta per il popolo d’Israele. Il popolo
sapeva che da lui potevano ottenere la sapienza della vita spirituale. La dimora in cui lui abitava
era il deserto; ed è proprio lì che lui ha voluto iniziare la sua missione e battezzare le genti. La
gente veniva da lui per chiedere il battesimo (vv. 4-5) per ottenere il perdono dei peccati. Nella
loro memoria, Giovanni è stato considerato anche come ‘un messaggero che preparava la via del
Signore’. Il messaggero era colui che viene prima, per questo all’inizio del Vangelo, possiamo
vedere che Giovanni è come la voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri.
Il Battista ha il ruolo del messaggero, ‘colui che precede’. Egli ha dato la testimonianza di
far introdurre il vero personaggio che ha la potenza dall’alto. Per il Battista, neanche lui era degno
di slegare i lacci dei suoi sandali. Chi è costui?
La pratica di slegare i lacci dei sandali non significa solamente: il rispetto per colui
che più grande anzi contiene anche il significato giuridico. Nel libro di Rut (Rut 4, 7), viene
spiegato questa usanza di slegare i lacci dei sandali: ‘Anticamente in Israele vigeva quest’usanza in
relazione al diritto di riscatto o alla permuta: per convalidare un atto, uno si toglieva il sandalo
e lo dava all’altro. Questa era la forma di autenticazione in Israele.’ In quell’episodio si racconta
la transazione che viene passata dall’amico di Booz che aveva il diritto di comprare la terra di
Noemi, a Booz che alla fine anche prese Rut, la moabita come sua moglie. Per questo l’amico
di Booz ha slegato i lacci dei suoi sandali e li ha dati a Booz: per dire che colui che ha il primo
diritto, ha passato il suo, al secondo cioè a Booz.
Allora quell’ episodio spiega le parole del Battista di non essere degno di slegare i lacci dei
sandali di Gesù e non sono le parole vuote o solamente segno di rispetto, anzi il Battista sapeva
bene che lui non ha nessun potere di passare i diritti a Gesù.
Il Battista solo ha il diritto di battezzare coll’acqua (v. 8) e non è il suo diritto di avvicinarsi
alla realtà celeste, divina all’uomo. Questo è solo riservato a Gesù, è il Suo proprio diritto.
Come sta scritto in Marco, Gesù è venuto per esser battezzato dal Battista. Dopo di che Gesù ha
visto i cieli squarciati, lo Spirito discendere verso di Lui e ha sentito la voce dall’alto che proclama
Gesù è il Figlio amato e in lui Dio ha posto il suo compiacimento. Sulla base dell’episodio
del battesimo di Gesù, Marco vuole mostrare che quest’evento diventa l’occasione nel quale
interviene la potenza divina insieme col Figlio amato, per accompagnare quella gente che ha
deciso di convertirsi, di far tornare all’alleanza con Dio.
Marco voleva mostrare Gesù come la persona che è molto vicina alla realtà celeste:
‘vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba’. Una colomba ci fa

Ut Unum Sint 99
mostrare che in quanto potente la realtà celeste, essa diventa ora la presenza molto tenera. Anche
si ascoltava dal cielo che Gesù è il Figlio amato in cui Padre ha posto il suo compiacimento. Il
cielo da ora non si chiude più, Dio vuole avvicinarsi alla sua gente. Questa vicinanza suscita a
Gesù l’esperienza spirituale, interiore riguarda la sua relazione con Dio Padre ed anche diventa la
sua forza per l’ingresso del suo ministero pubblico.
Nell’immagine dei cieli squarciati e la voce che veniva dall’alto possiamo percepire come
Dio che accetta la nostra offerta dall’umanità che viene caratterizzato dai limiti e dalla fragilità. La
stessa espressione sentiamo di nuovo nell’episodio della Trasfigurazione in quanto Dio interviene
nel mondo umano e alla fine l’intervento di Dio è giunto sulla croce di Gesù. L’espressione di
Gesù sulla croce: È compiuto! E consegnò lo spirito (Cfr. Gv 19,30; Mc 15, 37; Mt 27,50; Lc 23,
46) ha aperto ancora all’intervento divino il quale accetta di nuovo l’offerta del nostro limite e
della fragile umanità tramite il sacrificio di Gesù. Da ora in poi Gesù rende compiuta e stabile la
relazione tra Dio e l’uomo e il cielo non si chiude più.
I messaggi per noi oggi
Ci troviamo dentro la folla. Gesù è venuto al Battista per chiedere il battesimo, il
battesimo della conversione e Gesù lo ha ricevuto per rendersi simile a noi, per coinvolgersi
nelle nostre limitazioni e nella fragile umanità, per farsi vicino in tutto fuorché nel peccato. Il
momento del battesimo di Gesù ci invita non solamente a riservare lo spazio per la potenza divina
nella nostra vita, ma di più per rendersi conto della potenza divina sempre vicino a noi, ed anche
per trasmettere quella potenza divina alle persone che incontriamo nella nostra quotidianità.
Questa potenza ci mostra, tramite l’esempio della vita di Gesù, che Egli stesso ha il desiderio di
condividere la sua vita con tanta gente, di avere empatia verso i poveri ed emarginati e di sentire
anche le stesse preoccupazioni quotidiane. Tutto questo è realizzato per la presenza dello Spirito
nella vita quotidiana di Gesù e questa presenza dello Spirito lo aiutava a condividere la realtà
divina agli uomini. La vita condivisa di Gesù all’umanità diventa il modo con il quale Dio vuole
avvicinarsi all’uomo, vuole accompagnare l’uomo nella condizione di limite e fragilità per non
lasciarlo solo nel suo cammino sulla strada della vita.
Per noi oggi, il messaggio del Vangelo ci invita a lasciare spazio alla potenza divina affinché,
tramite la nostra fede, Dio intervenga nella nostra vita; così, diventiamo il suo strumento efficace
di amore e di carità. Tutto questo richiede la disponibilità da parte nostra per lasciarci condurre
dalla potenza e dalla presenza divina nei nostri limiti e nella nostra natura fragile. Occorre offrire
in piena consapevolezza la nostra vita in un sacrificio gradito a Dio per trasmettere Dio alle genti.
Siamo noi i portatori della gioia del vangelo, siamo noi i testimoni della sua carità e pace, siamo
noi i dispensatori della sua grazia e delle sue benedizioni.
Domande per orientare la riflessione e l’attuazione.

100 2019-2022
- Gesù sta proprio in un momento di passaggio: Egli passa dalla “vita nascosta” a quella “pubblica”.
Similmente, anche noi stiamo passando dalle feste natalizie alle giornate “ordinarie”. Questo è
il tempo in cui esplicare la nostra missione e di esprimere nella vita la coscienza che, Dio Figlio,
è con noi quale fratello e Salvatore, spendendo i doni ricevuti nel Battesimo. Sono consapevole
della missione che mi è stata affidata dal Padre? Riesco a esprimerla nella vita normale o mi limito
ad attendere le grandi occasioni?
- Lo Spirito rivela definitivamente e totalmente a Gesù la sua identità. Ho mai cercato di
guardare me stesso (identità, talenti, pregi, difetti, condizione sociale, ecc.) alla luce dello Spirito
di Colui che mi ha creato? Riesco a guardarmi dentro nella verità e senza timore dei miei “punti
d’ombra”?
- Il Battesimo di Gesù è stato un momento di riconoscimento della potenza divina che
è in opera nella nostra limitatezza e fragilità. Sono consapevole di questa presenza, vicinanza e
potenza divina nella mia vita? Sono coraggioso di trasmettere quella potenza divina agli altri in
un atteggiamento di umiltà, in una piena consapevolezza della mia indegnità di slegare i lacci dei
sandali come uno strumento per eseguire la volontà del nostro Signore?
Preghiera finale
Per comprendere e pregare questo Vangelo, riprendiamo, dunque, il prefazio del giorno per
elevare la nostra preghiera a Dio:
«Nel Battesimo di Cristo al Giordano, o Padre,
tu hai operato segni prodigiosi
per manifestare il mistero del nuovo lavacro (il nostro battesimo):
dal cielo hai fatto udire la tua voce,
perché il mondo credesse che il tuo Verbo era in mezzo a noi;
con lo Spirito che si posava su di lui
come colomba hai consacrato il tuo Servo
con unzione sacerdotale, profetica e regale,
perché gli uomini riconoscessero in Lui il Messia,
inviato a portare ai poveri il lieto annunzio”. Concedici di darti gioia in ogni nostra azione, per tutti
i secoli.

Ut Unum Sint 101


La trasfigurazione di Gesù
Il Vangelo secondo Marco 9, 2-10.
DINIS Gelson Fernando Augusto, KEAH Bawar Kharay Duop
XAVIOUR Anthony, WANG Xiaoyu (Giuseppe)

Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in
un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti,
bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con
Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per
noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Non sapeva infatti che
cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì
una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». E subito guardandosi attorno,
non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non
raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai
morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai Morti.

RIFLESSIONI
LA PREGHIERA
Crea in noi, Signore, il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione, soprattutto,
nei poveri e sofferenti. Signore, aiutarci ad essere orientati dalla tua Parola e fa che il tuo Spirito
illumini le nostre azioni. Per Cristo nostro Signore. Amen.
INTRODUZIONE
Carissimi fratelli, oggi leggiamo il secondo e ultimo brano di Marco previsto per il
periodo di Quaresima, la trasfigurazione di Gesù. Si tratta di un episodio importante per capire
la passione e la morte del Signore. La trasfigurazione è un segno della passione, della morte e della
risurrezione di Gesù. L’ evangelista ci mostra quella condizione dell’uomo che passa attraverso
la morte. La morte non distrugge l’individuo, ma lo fortifica. La morte è una trasformazione che
consente all’uomo di liberare tutte quelle energie vitali positive che ha dentro di sé. Gesù mentre
sta per compiere il suo viaggio verso Gerusalemme, dove sarà arrestato, maltrattato e ucciso,
offre ai suoi discepoli più intimi un piccolo passaggio della sua gloria. Il vero Messia si presenta
splendente di luce, solamente attraverso la passione e la morte.
Cari fratelli, nella presentazione di oggi, vedremo gli elementi importanti della
Trasfigurazione di Gesù:

102 2019-2022
1. I sei giorni dopo che richiama il sesto giorno della creazione dell’uomo di cui l’evangelista
vuol farci capire questo segno creativo dal Signore. I tre discepoli che sono i testimoni della
Trasfigurazione.
2. Il monte alto che nell’ antica cultura è un luogo della divinità, un santuario sacro, un
luogo cultuale della venerazione e devozione divina, un luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo.
3. Le vesti splendenti, bianchissime, il colore bianco sono un segno della beatitudine celeste.
4. Poi legame di Elia e Mosè con Gesù che presentano la relazione dell’Antico e del Nuovo
Testamento, perché l’Antico Testamento può essere compreso soltanto attraverso Gesù.
5. Il simbolo della nube che indica sempre la presenza di Dio. Il tema della nube, segno della
gloria a cui Gesù è condotto. La nube in Luca non svolge la funzione di strumento con il quale
Gesù ascende al cielo. La trasfigurazione è un’anticipazione della gloria.
MARCO, 9, 2-6
L’evento della Trasfigurazione di Gesù, con ragione commenta Schimid, «fu per
i discepoli che vi parteciparono, ed è per noi, avvolto nel velo del mistero, non è quindi
interamente comprensibile. Per quanto si trovi al centro della scena, Gesù non vi prende parte
con azioni o parole» . Solo partendo da questo presupposto capiamo come mai il verbo, che fa
riferimento alla Trasfigurazione, si trovi nella forma passiva, infatti esso dice: “qui, sotto i loro
occhi, egli fu trasfigurato “μετεμορφώθη”» o, come è tradotto nella Vulgata «Trasfiguratus est»,
indicando così una vera e propria epifania, ossia una manifestazione divina, ciò letteralmente
significherebbe: altra forma, ma può essere inteso anche come un vero e proprio cambiamento.
Se leggiamo tale testo alla luce di Filippesi 2, 6-7, vediamo che nella trasfigurazione, Colui che
aveva la forma di schiavo, il Verbo Incarnato, riprese la sua forma di Dio e il suo splendore divino
. Infatti in esso leggiamo «colui che era nella forma di Dio (en morphe theou), non ritenne un
possesso geloso la sua uguaglianza con Dio. Ma egli stesso, prendendo forma di schiavo (morphe
doulou), diventando simile agli uomini, riconosciuto nella forma come uomo».
La chiave di lettura del mistero della trasfigurazione non può non essere che quello della
passione, morte e risurrezione di Cristo, perché esso «appare come una anticipata manifestazione
della gloria del Figlio dell’uomo» , «è quindi una breve anticipazione della sua escatologia» .
Basta osservare che, dopo il racconto della passione, la trasfigurazione è l’altro momento
in cui l’indicazione cronologica è precisata in Marco. Per cui essa può fare solo riferimento ad
una continuità con l’evento della passione di Cristo. Il fatto che la trasfigurazione avvenga su un
monte, come si legge nel versetto due, questo ci fa capire subito che si trattava di un momento
particolarmente di preghiera, considerando che, per la mentalità ebraica, il monte è il luogo per
eccellenza dell’incontro con Dio. Nel monte Dio si fa conoscere, nel monte l’uomo si trova nel
silenzio con Dio. Perciò, sottolineando il monte, l’evangelista Marco ci vuole far capire che tutte

Ut Unum Sint 103


le azioni importanti della vita di Gesù sono precedute da un incontro intimo del Padre con il
Figlio. Questa ricerca di solitudine per pregare, sebbene non espresso direttamente da Marco,
tuttavia i termini si fanno presenti, quando esso dice: «καὶἀναφέρειαὐτοὺςεἰςὄροςὑψηλὸνκατ’
ἰδίανμόνους “e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli”» (Mc 9, 2).
La Trasfigurazione, in altre parole, è l’evento della anticipazione della gloria di Cristo
che si dovrebbe manifestare sulla croce. Solo così possiamo capire l’atteggiamento di Pietro
di voler fermare, nel tempo, un evento proprio dell’eternità. Però, come la manifestazione di
Cristo non era ancora avvenuta, allora tale atto non doveva essere che passeggero. Di fatto, Pietro
dice: «Maestro, è bello per noi essere qui; facciamo tre tende, una per te, una Mosè ed una per
Elia» (Mc 9, 5). È probabile che le tende alle quali allude Pietro facciano riferimento alla festa
dei Tabernacoli, festa dell’autunno, durante la quale gli ebrei restavano per otto giorni sotto le
capanne, ricordando in questa maniera il cammino del popolo nel deserto, in attesa di entrare
nella Terra promessa. Però essa era anche la festa della speranza per eccellenza. Allora il fatto che
Pietro alla possibilità di festeggiarla insieme a Mosè ed Elia, significava una vera e propria venuta
del regno di Dio . Se da un lato la presenza di Mosè era in rappresentanza della Legge, dall’altro
lato, la presenza di Elia, manifestava chiaramente il carattere profetico dell’evento di Cristo. Mosè
ed Elia, in realtà, sono figure escatologiche, per cui, con molta probabilità, essa sta ad alludere non
solo all’evento della passione, ma anche alla piena glorificazione di Cristo. D’altronde, secondo
la tradizione biblica, Mosè sarebbe il profeta atteso alla fine dei giorni, quando – secondo il
poema delle quattro notti nel Targum a Es 12, 42 – sarebbe salito dal deserto, mentre il re Messia
sarebbe sceso dall’alto .
Ma l’importanza della figura di Mosè lo leggiamo anche in Dt 18, 15, dove si dice: «il
Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me: ascoltatelo».
Elia, dal canto suo, è il prototipo dei profeti, anche lui atteso prima che arrivi il Signore e quindi
lui si fa presente in rappresentanza di tutta la profezia dell’Antico Testamento, che si chiude poi
con Giovanni il Battista, identificato quale nuovo Elia (Mt 11, 14; 17, 10).
Pertanto, carissimi fratelli, la celebrazione del mistero della Trasfigurazione deve essere
un richiamo a ravvivare la nostra speranza cristiana, che certamente ha un nome, che è Cristo.
Tale speranza, però, è un cammino che si costruisce verso l’escatologia, verso quell’incontro
definitivo con Dio. Perciò, solo in questa maniera capiamo che, in Cristo, sperare vuole dire
amare, vuole dire che noi abbiamo un posto nell’eternità di Dio, che la nostra storia non è mai
una storia vuota, ma è sempre una storia Dio e con Dio.
Per cui, con Benedetto XVI, diciamo:
«SPE SALVI facti sumus» – nella speranza stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a
noi (Rm 8, 24). La «redenzione», la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice

104 2019-2022
dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza
affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un
presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta
noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino (Spe
Salvi, 1).
MARCO 9,7-10
Dal versetto sette riprende l’evento della Trasfigurazione. Una voce dalla nube dice:
«questi è il figlio mio». A chi riferisce questo, questi? Qui però la voce dalla nube non l’ha
chiaramente detto, cioè non c’è risposta o spiegazione di Dio, dice soltanto «questi». Poi il
versetto otto è subito come un chiarimento di questo «questi», dice «improvvisamente,
guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo». Allora, senza dubbio, possiamo
dedurre, logicamente, questo «questi» è Gesù. Dopo la fine dell’evento della trasfigurazione,
«scendevano dal monte». lo stesso racconto nel vangelo di Matteo continua: disse Pietro
«Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne» (Matteo 17,4). In quello
momento essi vivendo in un mondo di paradiso, persino Pietro, vogliono stabilire la loro casa sul
monte. L’azione di discesa del monte corrisponde all’azione di salita del monte.
Gesù e i discepoli prima salgono sul monte per un incontro con il Signore, si orientano
verso l’alto. E poi scendono dal monte per un altro incontro con la gente, si orientano verso giù.
Quindi nonostante sia bello il mondo sul monte, alla fine scendono da lì. Qui Gesù e i discepoli
hanno dato un esempio della vita, che la sua integralità dipende da due azioni, sia verso Dio che
verso l’umanità. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò, subito, loro di non raccontare ad
alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Che
vuole dire «risorto dai morti»? Una domanda che nacque subito tra tre discepoli. Perché questo
fa dubitare i discepoli? Perché loro sapevano soltanto che tutti gli uomini dovevano risorgere alla
fine dei tempi, invece, questo caso non è per il Messia che sta fuori della morte. Quindi, se non
ci esiste il morire, da dove viene il risorgere? Perciò, la parola di Gesù li fa dubitare sulla parola
«risorto».
Poi, i discepoli posero un’altra domanda: «perché gli scribi dicono che prima deve
venire Elia?”. Soprattutto perché è una profezia del profeta Malachia, disse «prima che arrivi
quel giorno, giorno grande e terribile del Signore, io vi invierò il profeta Elia» (Ml 3,23).
Ovviamente, questo Elia non è quello che fu scritto nei libri del Re, perché quell’ Elia ha vissuto
in questo mondo prima del profeta Malachia. Poi, domandiamo: chi è questo Elia scritto da
Malachia? Diciamo che è un nuovo Elia, cioè il Battista. Nello stesso evento scritto nel vangelo
di Matteo, Gesù rispose alla domanda fatta da discepoli: «Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni
cosa, ed è già venuto gli hanno fatto quello che hanno voluto». Dopo questa risposta scrisse nel

Ut Unum Sint 105


vangelo Matteo «allora, i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni, il Battista».
Anche nel vangelo di Matteo si dice «se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire».
Il Battista, nuovo Elia, ha subìto la stessa sorte minacciata a quell‘antico profeta. Quindi possiamo
dire che dal primo Elia al nuovo Elia al Battista, la loro esperienza per partecipare la via del
Figlio dell’uomo, ed è come prefigura del Passione di Gesù, cioè «hanno fatto quello che hanno
voluto».
CONTEMPLAZIONE
Nella Trasfigurazione, la voce di Dio parla di nuovo a Pietro, a Giacomo ed a Giovanni.
Anche loro non sanno cosa affronterà Gesù nelle prossime vicende della sua vita. Cristo conduce
i discepoli nella montagna, dopo sei giorni, per dimostrare che dobbiamo elevarci al di sopra del
nostro amore per le cose create, che sono state fatte da Dio in sei giorni, «per entrare nel settimo
giorno nella visione della gloria di Cristo» (Dice Origine).
Siamo chiamati ad amare le persone ed a usare le cose ma, purtroppo, a volte usiamo le persone e
amiamo le cose. Mentre ci prepareremo per una delle decisioni più importanti della nostra vita,
per essere diaconi ordinati e successivamente sacerdoti, anche noi siamo chiamati ad elevarci al
di sopra dell’amore per le cose create.
Cerchiamo per un momento di metterci dove si trovavano i discepoli prima dell’esperienza
della trasfigurazione di Gesù. I discepoli hanno seguito la vista di Gesù trasformato, hanno fatto
un’esperienza celeste, perciò Pietro vuole creare tre tende, nel desiderio di prolungare questa
esperienza celeste. Ma non vede nessuno tranne Gesù da solo, la persona con cui ha condiviso
i pasti, la persona con cui ha viaggiato e la persona che ha insegnato loro. Qualunque cosa
Pietro desideri, quel momento di rivelazione o trasformazione non può essere sostenuto; e dalla
montagna devono tornare in pianura, dove li attende la folla.
Tutti noi abbiamo avuto una sorta di esperienza celeste che ci ha portato a decidere di
seguire il Signore. La nostra esperienza celeste potrebbe non essere stata così drammatica; essa
potrebbe a essere una piccola voce che abbiamo ascoltato, un momento di gioia che abbiamo
vissuto e che ci abbia fatto dire di sì a Dio e alla vocazione sacerdotale. Proprio come Pietro,
anche noi vogliamo prolungare questa esperienza celeste, ma invece no, perché come discepoli
moderni di Gesù, abbiamo il compito di raggiungere la folla in attesa, che ha fame della Parola di
Dio.
Il modo con cui Dio agisce non è lo stesso modo che pensiamo noi. Noi, come i discepoli,
siamo chiamati ad imparare a fidarci di Dio. Spesso Dio ci rivela solo per un momento chi Egli
sia. Ai discepoli fu lasciato il comando di Dio di ascoltare Gesù. Anche se non capivano cosa
stesse facendo e perché lo stesse facendo, devono comunque ascoltarlo e avere fiducia in Lui.
Nella nostra vita quotidiana possiamo fare una simile esperienza, a volte le cose accadono a caso,

106 2019-2022
gli esami possono andare male anche se abbiamo studiato bene, posso avere una malattia o avere
un incidente, il mio migliore amico potrebbe diventare il mio peggior nemico e così via. In tutte
queste situazioni che la vita ci presenta, siamo chiamati ad essere pronti ad ascoltare e credere
che Dio vuole il meglio per noi e non cessa di darci la forza per affrontare ogni sfida che la vita ci
presenta. I discepoli avrebbero avuto una diversa comprensione di ciò che Gesù, il Messia poteva
dare. Forse pensavano che avrebbe cacciato i romani, ristabilendo il regno ebraico e dato luoghi
d’onore ad ognuno di loro. Ma Gesù ha scelto la via della Croce. Nella pienezza della sua umanità
Gesù ha avuto bisogno sia della forza fisica sia di quella spirituale per poter affrontare il calvario
della croce.
Fratelli, anche noi abbiamo bisogno della sua forza spirituale, emotiva, psicologica per
affrontare la croce e superare le sfide che la vita ci pone. Se Gesù essendo Dio ha sempre dovuto
trascorrere del tempo con il Dio Padre, allora quanto è importante per noi trascorrere del tempo
particolare con Lui, nell’ascolto e nel dialogo con Lui.

LE DOMANDE PER LA RIFLESSIONE


Cari fratelli, abbiamo ascoltato la lettura della Trasfigurazione, di San Marco. Essa si
pone nell’ambito di questo cammino di fede, di comprensione della persona di Gesù che non
basta raccontare ad un altro. Come abbiamo appena letto, Gesù ordinò loro di non raccontare.
Per Marco la comprensione della figura di Gesù non basta leggerla, raccontarla, ma è necessario
anche un lungo cammino di fede. La fede è un dono che spinge l’uomo a superare sempre sé
stesso, stare sempre dalla parte di Dio che lo aiuta a leggere sé stesso, il suo rapporto con gli altri.
Il racconto della Trasfigurazione propone una particolarità della catechesi che Gesù rivolge ai
suoi discepoli sul mistero della sua persona e del senso della missione.
Carissimi, la domanda che ci dobbiamo fare è la seguente: quale parte di questo testo mi ha
colpito di più?
Dal racconto della Trasfigurazione di Gesù, possiamo chiederci se siamo degni e capaci di essere
testimoni come i tre discepoli. Quante volte amiamo chiamare Gesù come l’apostolo Pietro che
gli rivolge le espressioni bellissime, Rabbi, Signore e maestro?
Cari amici, non solo i discepoli sono ammessi ad una fugace visione di Gesù nel suo stato glorioso,
che sarà il suo stato eterno dopo la morte e la risurrezione. Siamo coinvolti anche noi di non dire
niente a nessuno? Quanti segreti abbiamo nascosto e quanti ne abbiamo rivelati?

PREGHIERA FINALE
Maria, Madre della conversione, in questo tempo di Quaresima, guidaci nel cammino che
conduce a Gesù, unico Salvatore e redentore dell’umanità. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Ut Unum Sint 107


La purificazione del tempio
Il Vangelo secondo Giovanni 2: 13-25
VICTOR Gracious Savio, VADAPPALI Kiran Kumar
YANG Fan (Giovanni Bosco), KOUGANG Bernard Amede

Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che
vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle,
scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne
rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del
Padre mio un luogo di mercato». I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi
divora. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?».
Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i
Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?».
Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero
alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa
molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. Gesù però non si confidava con loro, perché
conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti
sapeva quello che c’è in ogni uomo.

RIFLESSIONI
Introduzione
Cari amici prima di iniziare questa lectio divina facciamo una preghiera insieme.
Chiediamo allo Spirito Santo che ci illumini e ci assista durante questa meditazione per scoprire
davvero un tesoro nascosto in questo brano del vangelo di Giovanni.
“Signore noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare la tua parola.
In essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’ tacere in noi ogni altra voce che
non sia la tua e perché non troviamo condanna nella tua parola letta, ma non accolta, meditata
ma non amata, pregata ma non custodita, contemplata, ma non realizzata. Manda il tuo Spirito
Santo ad aprire le nostre menti e a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua
Parola sarà rinnovamento dell’alleanza e comunione con te e il Figlio e lo Spirito Santo, Dio
benedetto nei secoli dei secoli. Amen.”

108 2019-2022
Oggi per la meditazione noi proponiamo il vangelo di oggi (la terza domenica di quaresima)
vangelo di Giovanni Capitolo 2 versetti dal 13 al 25.
Il vangelo di Giovanni si scosta dai sinottici collocando questo episodio all’inizio del
ministero di Gesù, piuttosto che come causa dell’ostilità delle autorità contro di lui durante
la passione (cf. Mc 11,15-19). Qui l’autorità di Gesù, di fare quello che fa, viene contestata
immediatamente, mentre i sinottici lasciano passare un po’ di tempo tra il fatto e la sua
contestazione (Mc 11,27-28). Il vangelo di Marco 14,58 porta l’annuncio che Gesù aveva
predetto, la distruzione del Tempio, ricorre come una falsa testimonianza contro di lui. Giovanni
ha reinterpretato questa tradizione per applicarla alla risurrezione di Gesù. La critica del Tempio
prepara il detto sui ‘veri adoratori’ in 4,21. Un duro attacco al Tempio fornisce alle autorità
un’occasione per arrestare Gesù, più plausibile che non la risurrezione di Lazzaro. L’evangelista
sembra abbia spostato l’episodio del Tempio per fare della risurrezione di Lazzaro la causa della
morte di Gesù. La mancanza dei chiari paralleli verbali tra Giovanni e i sinottici mostra che la
sua versione del racconto proviene da una tradizione indipendente: parla di pecore buone oltre
che di colombe. A differenza dei sinottici, la giustificazione di Gesù non è una citazione della
Scrittura (Is 56,7; Ger 7,11) bensì un detto pronunciato direttamente dal Signore. Nei primi due
versetti v13 e v 14 vengono indicati il tempo e il luogo.
Il tempo è la pasqua, la pasqua della grande liberazione dalla schiavitù. Giovanni si
riferisce a tre pasque (quattro se 5, 1 è considerato una Pasqua). Il primo è quello menzionato qui
e nel versetto 23. C’è un secondo in 6, 4, mentre il terzo è menzionato più volte (11:55; 12: 1;
13: 1; 18: 28,39; 19:14). Se, come sembra probabile, prendiamo 5: 1 per riferirci a un’altra festa,
ci rimangono tre Pasque, che ci daranno un minimo di due anni per il ministero di Gesù e forse
qualcosa che si avvicina a tre anni. Ognuna di queste feste Giovanni chiama “la Pasqua ebraica”
(per “gli ebrei” vedi 1:19). Westcott, Barrett e altri pensano che l’espressione indica l’esistenza
di una Pasqua cristiana distinta da quella degli ebrei. Ma questo è, intrinsecamente, improbabile
poiché in questo periodo i cristiani non erano noti per la produzione di feste liturgiche.
Non ci sono molte prove nel Nuovo Testamento anche per l’osservanza della domenica
(sebbene sufficienti per dimostrare che il giorno è stato osservato). Anche in questo caso la
Pasqua cristiana era già stata sacrificata (1 Corinzi 5: 7), il che sarebbe uno strano modo di
parlare se i cristiani osservassero una festa annuale con quel nome. C’è anche la difficoltà a cui si
fa riferimento in modo simile alla Festa dei Tabernacoli (7: 2). È meglio prendere l’espressione,
come la solita spiegazione di Giovanni, inserita a beneficio dei suoi lettori gentili; era una festa
che la Chiesa non teneva e quindi c’era bisogno di una spiegazione per i membri della Chiesa. La
Pasqua ebraica commemorava la grande liberazione del popolo dall’Egitto (Esodo 12). Giovanni
menziona la festa molto più di quanto facciano i sinottici e questo potrebbe essere parte del suo

Ut Unum Sint 109


piano per far emergere il significato messianico di Gesù.
Ciò che era stato prefigurato nella grande liberazione della Pasqua dei tempi antichi, fu
portato al suo compimento nel sacrificio di Gesù. Come abbiamo scritto il versetto 14 indica il
luogo. Qui il luogo è il Tempio. Il “Tempio” indica l’intero perimetro del Tempio, compreso le
varie corti così come il luogo santo. Qui chiaramente una delle corti è Significativa. È certo che
la vendita qui citata avvenne nel cortile esterno, la corte dei Gentili. Il motivo della pratica era,
ovviamente, la comodità di avere a portata di mano una provvista delle vittime necessaria per
i sacrifici prescritti. Le persone che venivano per adorare, da lontano, riuscivano a malapena a
portare con sé le loro offerte. Se dovevano sacrificare del tutto, dovevano avere un modo per
acquistare le vittime appropriate una volta raggiunta Gerusalemme. Coloro che “scambiavano
denaro” esercitavano il loro mestiere perché era permesso fare offerte in denaro nel Tempio, solo
nella valuta approvata. Persone di altri paesi avrebbero portato con sé ogni sorta di monete e
questo doveva essere cambiato in monete accettabili.
Un numero sorprendente di commentatori afferma che la ragione dell’inaccettabilità di
altre monete era che le monete portavano l’immagine dell’Imperatore o qualche simbolo pagano.
Ma, come fece notare Israel Abrahams molto tempo fa, la monetazione di Tiro non era solo
consentita, ma espressamente prescritta (Mishnah, Bekh. 8: 7) e questa portava simboli pagani.
Egli pensa che la ragione della prescrizione fosse che questo conio era “di un peso così esatto e
di una lega così buona”. Qualunque fosse la ragione, le persone dovevano cambiare i loro soldi
prima di fare le loro offerte e questo richiedeva che i cambiavalute dovessero essere al lavoro da
qualche parte.
Seconda Parte
15. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore
e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16. e ai venditori di
colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del padre mio un mercato. 17.
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: lo zelo per la tua casa mi divorerà.
Vediamo alcune delle intuizioni di questi tre versetti. Se vediamo in questi tre versetti, dall’inizio
alla fine, il brano è stato intitolato con la purificazione del tempio. E c’è qualcosa che ha
commosso il nostro Signore quando ha visto questa raccolta di mercanti e intriganti che, in nome
della religione, estorcevano denaro ai poveri per mezzo di una truffa religiosa. La sua rabbia era
così grande che fece delle fruste con le corde che tenevano insieme gli animali e scaccia questi
rapinatori fuori dal tempio. Questa irrispettosa presa in giro della casa di Dio era inaccettabile
per Gesù. Qui vediamo una parte di Gesù che molti non capiscono. L’amore e la riverenza di
Gesù per il Padre divennero una dimostrazione di giusta indignazione e potere illimitato sotto
controllo. Il Messia di Israele è arrivato e rivendicava la sua legittima posizione di capo della

110 2019-2022
teocrazia usando una frusta per scacciarli. Frusta di cordicelle: Questo non è citato nei racconti
sinottici. Se il numero di animali e di offerte era elevato, come probabilmente era, la frusta
doveva servire come un simbolo di autorità piuttosto che un semplice simbolo. D’altra parte,
Gesù poteva aver chiesto l’assistenza dei suoi discepoli in questo gesto. La sua rabbia era sotto
controllo. Non stava scacciando furiosamente, colpendo tutti intorno a lui. In effetti, non ha
privato nessuno di nulla. Gli animali che guidavano i nostri venditori potevano essere facilmente
raccolti di nuovo, i soldi che aveva versato sul pavimento del tempio, potevano essere raccolti,
non apriva le gabbie degli uccelli per liberarli, ma ordinava che fossero portati via.
Tale azione di pulizia era stata predetta dell’età messianica, dal profeta Zaccaria 14,21.
Dopo la risurrezione, i suoi discepoli vedranno il significato profondo delle parole e delle azioni
di Cristo in v. 21. I vangeli usano la purificazione del tempio per simboleggiare la sostituzione del
sistema cultuale del tempio con il nuovo sacrificio di Gesù per i nostri peccati. Un altro aspetto è
che Gesù diceva: non fate della casa del Padre mio un mercato. La casa del Padre mio: la formula
di Padre mio con cui Gesù ha testimoniato il suo rapporto speciale con Dio non si trova soltanto
in Giovanni (27 volte), ma anche in Mt (16) e in Luca (4 volte). Ma ha fatto il suo punto, che
era preciso e chiaro: non trasformare un luogo dedicato all’adorazione di Dio e alla purificazione
delle persone, in un mercato. Infatti, andando da suo Padre in morte e risurrezione, Gesù avrebbe
preparato la via perché i suoi discepoli si unissero a Lui Gv14,3; di conseguenza la sua morte e
la risurrezione diventano il fondamento per un nuovo tempio nella teologia di Giovanni. Il
linguaggio della casa e del Tempio nel quarto vangelo invita al confronto tra il vecchio e il nuovo
tempio. Il tempio di Erode dove c’era il luogo della presenza di Gesù 10,23, insegnamento 7, 14;
18, 20; guarigione 5,14; e rigetto 8, 59; 11,56. Ma il Figlio sarebbe rimasto nella casa del Padre
8,35; e preparava stanze perché i suoi seguaci dimorassero lì con lui 14, 2; essenzialmente Gesù si
sarebbe rivelato essere il nuovo Tempio 2, 14-21, il luogo della presenza di Dio con il suo popolo
(Ap 21,22).
Il culmine della sua azione arriva in ciò che i discepoli hanno imparato. C’era
un’impressione immediata, verso 17. I suoi discepoli si ricordarono che è stato scritto: lo zelo per
la tua casa mi divorerà. I suoi discepoli si ricordarono che un verso del salmo 69. Il salmo era
considerato un salmo messianico. Il salmo descrive la sofferenza e l’agonia di Colui che doveva
essere il Messia. Gli è venuto in mente questo verso, perché “mi divora lo zelo per la tua casa”,
gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me – salmo 69-10. Questo salmo è citato nel Nuovo
Testamento più frequentemente di qualsiasi altro, sempre in un’applicazione messianica, che è
presumibilmente come lo intendevano i discepoli in questo momento. L’azione di Gesù ha dato
prova di uno zelo divorante per la casa di Dio. Le antiche scritture trovavano il loro adempimento
in ciò che lui faceva. L’azione non è solo quella di un riformatore ebreo, ma un segno dell’avvento

Ut Unum Sint 111


del Messia. Non dovremmo perdere il modo in cui questo incidente si adatta con l’obiettivo di
Giovanni di mostrare a Gesù di essere il Messia. Tutte le sue azioni implicano una relazione
speciale con Dio. Procedono dalla sua vocazione messianica.
La tradizione ebraica enfatizzava lo zelo per la legge di Dio e il tempio di Dio, uno zelo
che a volte poteva essere espresso violentemente (Numeri 25,11). Così gli zelanti potevano
uccidere chiunque rubasse un vaso dal tempio. Si può sostenere che questa tradizione dello zelo
di Gesù deriva da un periodo precedente in cui i cristiani ebrei potevano condividere il termine
con coloro che a volte definivano lo zelo in termini di atto di vendetta dei fineès, nei numeri
25,11 – forse un periodo prima del termine era stato indicato dal gruppo rivoluzionario che si
autodefinisce: fanatici nella guerra con Roma. Come molti dei rivoluzionari, Gesù ha sfidato
l’ordine politico stabilito. Ma, soprattutto negli anni 70 c. e, I cristiani ebrei sarebbero più inclini
a notare la differenza tra lo zelo di Gesù e quello degli zeloti.
Inoltre, sebbene lo zelo può essere espresso in un violento patriottismo, in nessun periodo
lo zelo per Dio è limitato al sentimento rivoluzionario. Si applica soprattutto alla devozione
alla legge di Dio. Gesù dimostra lo zelo per l’onore di suo Padre in tutto il Vangelo – 5, 43;
8,29, 49; 17,4. Lo zelo del salmista per la casa di Dio ha portato alla sua sofferenza e fornisce,
quindi, un modello per lo zelo di Gesù. Come questo zelo consumava il salmista, così Gesù
sarebbe stato consumato e avrebbe portato la vita ad altri con la sua morte 6, 51-53. In tutto
il vangelo, Gesù è zelante per la volontà del suo Padre e alla fine muore in obbedienza ad essa
(10, 17-18; 14,31.). Forse per la prima volta venne la quieta realizzazione, nei cuori di questi
discepoli, del rifiuto divino di sopportare le impurità interiori. Cominciarono a capire che Dio
non scende a compromessi con il male. Questo tocca uno dei grandi paradossi della nostra fede
cristiana. In tutto il vangelo di Giovanni vedremo chiaramente come chiunque può venire a
Cristo, non importa quanto lontano abbia sbagliato, non importa quanto malvagio sia stato –
pretesti ipocriti, e autosufficienti, chiunque si accorga che c’è qualcosa che non va nella sua vita,
che qualcosa lo ha preso, chiunque voglia essere libero può rivolgersi a Gesù. Venite a me voi
tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò riposo, disse Gesù Mt 11,28.
Alla fine qui il Signore enfasi lo zelo dei fineès e la conseguenza di questo non punisce
agli israeliti. Lo zelo dei fineès diventa il modello per i maccabei in 1 Macc 2,54 e lo zelo di
Gesù diventa il modello per tutti noi per fare la volontà di Dio. Il suo zelo diventa esempio per
costruire la chiesa in questo mondo, il suo zelo diventa motivo per avere la passione verso l’amore
di Dio e l’amore del suo popolo. Il suo zelo diventa vivo nei nostri cuori quando dimoriamo in
lui. Amen.
Parte 3
v.18-22. Assistiamo nei versetti 18-22 del capitolo due del vangelo di Giovanni ad un

112 2019-2022
dialogo tra Gesù e i Giudei che gli chiedono di mostrare un segno che giustifichi le sue parole
e le sue azioni. Nei primi versetti di questo capitolo, vediamo come Gesù si arrabbia contro i
venditori nel Tempio, compiendo con questo gesto la purificazione del Tempio dagli interessi
economici. È un’azione di Gesù che mira ad opporre così una religione superficiale, basata sugli
interessi umani e la purezza della fede. Dobbiamo anche noi, in un certo modo, fare attenzione
a questa religione superficiale nella quale cerchiamo piuttosto i nostri interessi anziché quelli del
popolo di Dio e per cui la Chiesa diventerebbe un mezzo per raggiungere i nostri fini.
È facile criticare il comportamento antireligioso dei giudei, ma è altrettanto facile cadere
in un relativismo religioso. Purtroppo, tanti sacerdoti oggi invece di essere, ontologicamente,
ciò che dovrebbero essere, cioè uomini di Dio, sono diventati uomini d’affari, non servono più
la Chiesa, ma si servono della Chiesa. Ecco perché ho scritto prima che la Chiesa potrebbe
diventare per noi un mezzo per raggiungere i nostri fini egoistici, se non riconosciamo il vero
senso della nostra pratica religiosa. E quale sarebbe questo senso se non di riconoscere in Gesù il
vero Messia, il Tempio santo di Dio. Infatti, Dio non può abitare un Tempio materiale quando
esso non è più un luogo dell’incontro, la tenda del convegno, ma è un centro di superstizione e
di oscuri interessi (Messale quotidiano). Capiamo dunque che possiamo cacciare Dio fuori dei
nostri templi se non compiamo la sua volontà, ma realizziamo i nostri interessi. Sicuramente in
tante chiese oggi, Dio non esiste più perché i pastori affaristi l’hanno espulso.
L’azione di Gesù contro i venditori del tempio è altrettanto una presa di posizione contro
le ingiustizie. La Chiesa di Dio ossia il tempio di Dio è tempio di giustizia dove non ci sono né
ricchi né poveri, né grandi né piccoli. I pastori che siamo noi debbano vegliare perché non ci siano
ingiustizie nella casa di Dio. Dicevo all’inizio che i giudei chiedono un segno a Gesù secondo
Marida Nicolaci (I Vangeli. Tradotti e commentati da quattro donne, Ancora 2015), a questa
richiesta dei Giudei, nel vangelo di Giovanni, Gesù risponde con un detto sulla distruzione e
la riedificazione del tempio che è attestato da molteplici tradizioni (Mc 14,58s Gesù davanti
ai sommi sacerdoti: due falsi testimoni// Mt 26,61 alcuni testimoniavano in falso…) occorre
notare che nel NT solo Gv 2,19 riporta effettivamente queste parole sulle labbra di Gesù nella
sua originalità anziché sulle labbra di falsi testimoni che lo avrebbero storpiato.
Ciò che è importante notare in questa variante giovanile è che Gesù attribuisce a sé
stesso il potere della riedificazione del tempio mentre ai suoi avversari il compito di distruggerlo.
Il verbo greco usato per caratterizzare questa riedificazione è eghéiro usato nel v. 22 per indicare
la risurrezione. Ciò che stupisce è la velocità con cui Gesù intende riedificare il tempio (in tre
giorni). I suoi interlocutori che non capiscono niente del suo discorso rispondono con ironia:
“questo tempio è stato costruito in quarantasei giorni e tu in tre giorni lo farai risorgere?” infatti,
non capivano che Gesù parlava di sé stesso, neppure i suoi discepoli che erano presenti hanno

Ut Unum Sint 113


capito il senso di quelle parole. Dobbiamo comprendere che il segno legittimo, che Gesù promette
ai Giudei, è il suo potere di rispondere in poco tempo con la riedificazione alla sua distruzione.
Nel v.21 l’evangelista, dunque, spiega chiaramente il senso delle parole di Gesù riconoscendo
nel riferimento a questo santuario un rimando non alla parte più interna e santa del tempio di
Gerusalemme, ma al santuario o tabernacolo della divinità identificato nel corpo di Gesù, tempio
umano vivo, carne del Verbo, dimora al contempo del Padre e dei credenti. Anzi, come precisa
Oscar Battaglia, Gesù è il nuovo tempio di Dio tra gli uomini. La gloria che si manifesta nelle
opere di Gesù è la stessa gloria che si manifestò nelle opere meravigliose compiute dal Signore
durante l’esodo per mezzo di Mosè (Introduzione al Nuovo Testamento, Città della Editrice,
Assisi 1998). Ed è proprio in questo tempio riedificato cioè nel Corpo ovvero in Cristo risorto
che prende senso la fede.
Scrive San Paolo in 1Co15,14 se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione,
vuota è anche la nostra fede. Attingiamo dunque, in questo tempo di Quaresima la grazia
necessaria per riconoscere in Cristo la fonte della nostra salvezza e l’oggetto della nostra pratica
religiosa. Oggi noi cristiani viviamo il mistero che hanno vissuto i discepoli di Gesù. È proprio
per ognuno di noi che Cristo, l’agnello pasquale si è immolato. Morendo, ha distrutto la nostra
morte, risuscitando, ci ha dato la vita (prefazio della domenica di Pasqua). Mentre condividiamo
ogni giorno il pasto eucaristico, noi comuniamo alla vita di Cristo. Preghiamo che lo Spirito
che ha risuscitato Gesù dalla sua morte faccia di noi uomini nuovi, seminaristi nuovi chiamati a
risorgere con Cristo nella Luce.

Parte 4
Il particolare che vediamo nel versetto 23 è il tempo: il tempo è un particolare molto
importante del Vangelo di Giovanni. All’inizio del Vangelo di Giovanni, era lo stesso tempo
della Genesi: all’inizio. Esprime una nuova creazione di Dio in Cristo. In effetti, si può dire che
il tempo in cui ascoltiamo il vangelo oggi è tramite Gesù Cristo, l’unico mediatore, per l’ultimo
periodo della sua vita, cioè il tempo a Gerusalemme. Questo tempo è ciò che Gesù desidera ed
è l’inizio di una nuova creazione, l’inizio della riorganizzazione dell’ordine del mondo, l’inizio
della sofferenza nasconde la gloria di Dio anche in noi e anche in tutte la creazione.
Molti: erano scelti da Dio e credevano a causa del miracolo. Questo è il loro atteggiamento
nei confronti di Gesù. Ma nel verso 24, l’atteggiamento di Gesù era contrario al loro e non si fidavano
di lui. Il Santo Autore disse: “A causa di Conoscere tutti “. Come dice oggi la seconda lettura,
gli ebrei cercano il miracolo, non Dio. In altre parole, credono nel miracolo, più precisamente
perseguono i benefici che il miracolo porta loro. Invece di concentrarsi sulla fonte del miracolo:
Dio. Senza i benefici del miracolo, non lo perseguono né ci credono. Quindi possiamo vedere

114 2019-2022
l’atteggiamento degli uomini verso Dio: usano Dio per soddisfare sé stessi: curiosità, interessi ...
Dio è solo una vita superflua perché Dio porta loro benefici. Quindi, quando Dio non garantisce
più i loro interessi, rinunceranno a Dio senza esitazione e si salveranno. Gesù conosceva i loro
pensieri, quindi non si fidava di loro.
È scritto nel versetto 25 che Gesù “ conosceva quello che c’è nell’uomo”. Nel Salmo 7:10: “tu che
provi mente e cuore, Dio giusto”. E solo il Signore può capire il cuore della persona. Da qui si
indica: l’identità di Gesù è Dio.

Riflessione
Siamo anche noi tra le persone che celebrano la festa ogni giorno, partecipano al sacro
sacrificio di Dio, cioè la Santa Messa e partecipano alla presenza di Dio. Possiamo vedere la
presenza di Dio e credere? Questa credenza è affermata da Gesù, o è l’atteggiamento di Gesù nel
vangelo: la sfiducia.

Ut Unum Sint 115


116 2019-2022
VIA
CRUCIS

Ut Unum Sint 117


VIA CRUCIS
TEMA: L’OBBEDIENZA

INTRODUZIONE

Carissimi fratelli,
Per la sua Croce, Gesù ci ha liberati dalla schiavitù del peccato e ci ha salvati dalla morte eterna.
Sì è immolato per obbedienza al Padre suo. Come recita san Paolo, si è annientato facendosi
obbediente fino alla morte di Croce (cfr. Fil 2,9-10). Così pregava infatti Gesù nel Getsemani:
«Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice. Però non come voglio io, ma come vuoi
tu!» (Mt 26,39). Non è una cosa facile obbedire ad un’altra persona rinunciando alla propria
volontà. Lo stesso Gesù ne ha fatto l’esperienza. L’obbedienza ha una dimensione oblativa, il
cui valore è molto gradito a Dio. La santa obbedienza vale più delle più grandi mortificazioni e
dei digiuni che possiamo fare. Chiediamo al Signore, attraverso questa Via Crucis, il dono della
santa obbedienza e di saper accogliere la voce di Cristo.

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PRIMA STAZIONE:

GESÙ È CONDANNATO A MORTE

Mt 27,1-2.26
«I capi religiosi con gli anziani del popolo si riunirono in consiglio contro Gesù, per farlo morire.
Quindi, legatolo, lo consegnarono a Pilato, il governatore romano. Pilato, dopo averlo fatto
flagellare, lo condannò a morte».

MEDITAZIONE
Questa stazione ci fa riflettere sull’importanza del servizio comunitario quale strumento
di santificazione. I ministeri sono istituiti per il bene del prossimo, non per essere strumenti di
potere ma segni di una vera diaconia. Ogni volta che abbiamo rifiutato il nostro aiuto ad un
fratello o che siamo rimasti indifferenti nei confronti del prossimo, riportiamo Cristo sulla croce.
Infatti Cristo stesso ci dice: «In verità (…): tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Allora quando chiudo i miei occhi davanti
a quelli che sono nel bisogno, non sono diverso da Pilato o dai capi dei sacerdoti che hanno
condannato Gesù a morte.

Preghiamo:
Preghiamo affinché lo Spirito Santo ci riempia d’amore fraterno per poter essere sempre attenti e
disponibili a venire in aiuto di chi è nel bisogno.
Gloria al Padre…

Ut Unum Sint 119


SECONDA STAZIONE:

GESÙ PORTA LA CROCE AL CALVARIO

Lc 9,23-24
«A tutti, Gesù diceva: se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce
ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita
per causa mia, la salverà».

MEDITAZIONE
Gesù ci invita a rinnegare noi stessi e portare la sua croce ogni giorno. Questo suo invito
va naturalmente contro la logica del mondo che spinge alla ricerca della vanagloria, dell’orgoglio,
del potere e della soddisfazione delle concupiscenze carnali. Di fronte a queste tentazioni, il
Signore ci fa capire quanto l’abbandono alla sua croce è per noi fonte di salvezza. Per camminare
sulle orme di Gesù Cristo bisogna morire a sé stessi, sacrificare le proprie tendenze egoistiche,
crescere in maturità umana e spirituale, e infine essere totale oblazione per gli altri.

Preghiamo:
Al Signore nostro Dio, chiediamo la grazia di avere il coraggio di essere pronti ad offrire la nostra
vita per il bene dei fratelli.
Gloria al Padre…

120 2019-2022
TERZA STAZIONE:

GESÙ CADE LA PRIMA VOLTA


Is 53,4-6
«Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; noi lo giudicavamo
castigato, percorso da Dio e umiliato. Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di tutti noi».

MEDITAZIONE
Gesù cade per la prima volta sotto il peso della Croce. Tutti l’hanno visto fallire.
Liberamente e per obbedienza alla volontà del suo Padre, Cristo ha portato su di sé i dolori
dell’umanità indebolita da ogni sorta di peccato. Tuttavia il fatto che Egli si sia rialzato dalla sua
caduta, per noi, è un esempio di coraggio nella conformità alla volontà di Dio suo Padre, che
per amore verso l’Uomo, vuole vederlo sempre in cammino verso la piena realizzazione della sua
vocazione: ovvero la vita con Lui. Carissimi fratelli, nel nostro cammino di fede come anche in
quello del nostro percorso vocazionale, ci saranno dei momenti di cadute: chiediamo la grazia di
imitare l’esempio coraggioso di Cristo per potere proseguire serenamente.

Preghiamo:
Signore Gesù, imploriamo da te l’aiuto necessario affinché, nelle nostre cadute, riceviamo la forza
e la grazia di camminare verso la nostra mèta e di poterla raggiungere.
Gloria al Padre…

Ut Unum Sint 121


QUARTA STAZIONE:

GESÙ INCONTRA SUA MADRE

Gv 19,26-27
«Gesù vedendo la madre ai piedi della croce e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse
alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il
discepolo l’accolse con sé».

MEDITAZIONE
Contempliamo il dolore intenso di una madre e del suo figlio. È stato come una spada che
trafigge il cuore di Maria vedere il proprio figlio essere condannato a morte. Ma Lei ha accolto
questa sofferenza per la salvezza del mondo.
Sulla croce Gesù affida Maria al discepolo come madre. In questo gesto, colei che ha collaborato
all’opera di salvezza del mondo diventa per tutti noi una madre che ci aiuta a vivere la nostra
fratellanza a Cristo e la nostra filiazione a Dio. O Madre santissima la tua presenza materna
e affettuosa presso il tuo figlio dalla mangiatoia di Betlemme fino alla croce del calvario è un
aiuto sicuro per l’uomo odierno che sta ancora cercando dei riferimenti per dare senso alla sua
esistenza.

Preghiamo:
Maria, aiutaci oggi nelle nostre fatiche quotidiane a sperimentare la tua eterna mediazione, così
porteremo anche noi la nostra croce e seguiremo il tuo figlio diletto nelle gioie e nelle difficoltà
del tempo presente.
Gloria al Padre…

122 2019-2022
QUINTA STAZIONE:

GESÙ È AIUTATO
DA SIMONE DI CIRENE
Lc 23,26
«Mentre conducevano via Gesù, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli
misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù».

MEDITAZIONE
Immaginiamo la figura di Simone. Egli è stato riconosciuto come Simone Cireneo: la
sua provenienza geografica che indica una lontananza da Gerusalemme, si riflette anche nella sua
apparenza nella scena, come uno spettatore, perché dovrebbe essere già stanco della lunga giornata
di lavoro, ma comunque è robusto di statura perché lavora nei campi. Egli è stato costretto ad
assumere il peso della croce, si carica del peso involontariamente alla coercizione dei soldati. Ma
quell’incontro provvidenziale risultava come un incontro di fede. Un estraneo e straniero, un
uomo robusto nella sua stanchezza viene coinvolto nell’opera di salvezza per la rivelazione della
gloria di Dio. Nel suo umile atto di compassione, Simone ha partecipato alla passione di Cristo
e sarà ricordato per sempre come un esempio di generosità. Ecco, fratelli carissimi, il tipo di
disponibilità al quale siamo invitati nei nostri rapporti interpersonali.

Preghiamo:
Chiediamo al Signore la grazia di affrontare coraggiosamente la nostra missione e le croci
quotidiane e tradurre i nostri buoni propositi in azioni concrete del servizio per i bisognosi.
Gloria al Padre…

Ut Unum Sint 123


SESTA STAZIONE:

UNA DONNA ASCIUGA


IL VOLTO DI GESÙ
Is 53,2b-4
«Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al
quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è addossato
i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percorso da Dio e umiliato».

MEDITAZIONE
«Servo e sofferenza»: sono due parole spesso inscindibili. Siccome Gesù si è fatto servo,
ha abbracciato la sofferenza. È venuto a salvarci, caricando sulle sue spalle le nostre sofferenze,
i nostri peccati. I giudei si aspettavano che il Messia fosse rivestito di gloria e di onore; invece
egli crebbe come una pianta, silenziosamente ed impercettibilmente. La sua vita ministeriale era
umile e dolorosa. Fu rigettato dai suoi, schernito, insultato e perfino ucciso. I cuori carnali non
vedevano niente nel Signore che suscitasse loro interesse. Ma quanto attuale è questo fenomeno!
Quante volte ci comportiamo da avversari di Gesù che trascurano i vulnerabili e non si prendono
cura dei più deboli! Quanto è necessario rompere i propri schemi di convenienze sociali, per
agire generosamente nei confronti dei più piccoli! Facciamo fruttificare, dunque, il richiamo di
Papa Francesco in questo santo tempo: “Come in cielo, così in strada”. Asciughiamo, come la
Veronica i volti dei bisognosi.

Preghiamo:
Signore Gesù insegnaci a guardarti non tanto come uno che ci sta accanto per operare miracoli
quanto piuttosto uno che affronta le sfide con uno spirito di amore.
Gloria al Padre…

124 2019-2022
SETTIMA STAZIONE:

GESÙ CADE LA SECONDA VOLTA

Fil 2,5-8
«Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: il quale svuotò sé stesso e, diventando simile
agli uomini, umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce».

MEDITAZIONE
La seconda caduta di Gesù ci fa capire quanto l’essere umano è debole. Gesù non ha
inventato la croce, l’ha trovata sul suo cammino, come potrebbe essere il caso di ogni uomo nella
vita quotidiana. La novità da lui portata è stata quella di trasformare questa sua croce, segno di
odio e di castigo agli occhi del mondo, in una realtà d’amore dalla quale l’umanità è stata redenta.
Così Cristo ha trasformato un segno di debolezza in uno strumento di redenzione e di gloria.
Certo, nel nostro percorso di realizzazione della vocazione al sacerdozio, non ci capiterà
di incontrare la croce simile a quella di Cristo, tuttavia ci saranno situazioni difficili, per cui,
ispirandoci all’esempio di Gesù, dovremo essere in grado di trasformarle in segno di amore, di
pace e in occasione di santificazione. E per questo, chiediamo la grazia di avere sempre lo sguardo
rivolto alla passione di Cristo.

Preghiera
Signore, ci hai amato fino alla morte anche se sei caduto ancora una volta per la strada portando
la croce che è il nostro peccato a tormentarti. Fa’ che possiamo diventare portatori del suo amore
come ci hai salvato con la tua croce, commossi dalla sua passione e dando la nostra vita soprattutto
per i peccatori e gli abbandonati.
Gloria al Padre…

Ut Unum Sint 125


OTTAVA STAZIONE:

GESÙ INCONTRA
LE DONNE IN PIANTO

Lc 23,27-28
«Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano
lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete
su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli”».

MEDITAZIONE
Gesù ci dà un insegnamento nuovo attraverso il suo atteggiamento. Sopportando i
dolori e le ferite inflitti dai soldati, non si è fermato alle sue sofferenze, al contrario, ha aperto il
suo cuore all’amore altrui e ha cercato di consolare le donne in pianto. Questo gesto è proprio
una esortazione ad uscire dal nostro egoismo per sviluppare sempre un profondo senso di carità.
La differenza tra Gesù e noi è che siamo molto spesso ripiegati su noi stessi, sui nostri bisogni
personali, le nostre mancanze o frustrazioni, ci lamentiamo troppo, invece di considerare il dolore
e la pena degli altri. Il senso della carità fraterna alla quale la Chiesa ci chiama e di cui Gesù stesso
ci offre un esempio concreto è oblazione, compassione, condivisione e sacrificio per gli altri.

Preghiamo:
Signore in questa meditazione Ti chiediamo la grazia di essere sempre aperti alle sofferenze degli
altri attraverso gesti di carità e di preghiera fraterna.
Gloria al Padre…

126 2019-2022
NONA STAZIONE:

GESÙ CADE LA TERZA VOLTA

Eb 5,8-9
«Gesù pur essendo Figlio imparò l’obbedienza da ciò che patì e reso perfetto, divenne causa di
salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono».

MEDITAZIONE
In questa stazione siamo chiamati all’obbedienza seguendo l’esempio di Gesù Cristo che
è stato obbediente al Padre per la salvezza del genere umano. La grazia della filiazione divina di
cui siamo tutti resi partecipi consiste nel fare la volontà di Dio quotidianamente. Tuttavia non
si tratta di un atto puntuale, siamo chiamati in modo particolare alla grazia della perseveranza
e alla costanza spirituale nel vissuto concreto della nostra filiazione divina. Ciò vuol dire che
il “sì” del nostro battesimo deve essere rinnovato in ogni istante della nostra vita, nella gioia
come nella sofferenza, nella gloria come nella sventura, nella tranquillità come nei momenti di
crisi, senza mai mormorare o cedere allo scoraggiamento. Nel percorso di realizzazione della
nostra vocazione, la perseveranza è uno dei mezzi utili di configurazione a Cristo buon pastore.
Chiediamo questa grazia al nostro Signore!

Preghiamo:
Signore Dio, davanti alla tua passione, la mia sofferena è nulla. Ma io riconosco che sono debole.
Dammi la forza ad alzare e camminare avanti per compiere la tua volonta. Dammi o Signore il
corraggio per aiutare anche gli altri nelle loro ferite e difficoltà come un buon samaritano.
Gloria al Padre…

Ut Unum Sint 127


DECIMA STAZIONE:

GESÙ È SPOGLIATO DELLE VESTI


Gv 19,23-24
«I soldati quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti, una per
ciascun soldato, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a
fondo. Perciò dissero tra loro: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca».

MEDITAZIONE
Contempliamo la sofferenza e l’umiliazione che Gesù ha vissuto sul Calvario
identificandosi con quelle persone senza voce, quelle che subiscono ogni tipo di abuso e di
violenza contro la loro dignità, nei posti di lavoro, nei diversi campi della vita. In effetti, il fatto
di essere creati a immagine e somiglianza di Dio fa di ogni essere umano una realtà sacra, in cui
si percepisce anche il volto di Cristo. Pertanto siamo chiamati a dare considerazione al nostro
prossimo.
Chiediamo la grazia in modo particolare, di comportarci nella nostra comunità in una maniera
giusta ponendo in risalto la dignità del fratello che mi sta accanto, il suo modo di pensare e di
agire.

Preghiamo:
Signore Gesù donaci un cuore umile, che ci faccia scoprire con bontà e generosità, il tuo
volto amabile nel mio prossimo. Aiutaci a vivere i valori del rispetto della dignità altrui, della
considerazione sincera e della misericordia reciproca.
Gloria al Padre…

128 2019-2022
UNDICESIMA STAZIONE:

GESÙ È CROCIFISSO
Lc 23,39-43
«Uno dei malfattori appesi alla croce insultava Gesù, l’altro invece lo pregava: “Gesù, ricordati di
me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

MEDITAZIONE
Ogni momento della nostra vita è un momento di conversione. Molto spesso siamo
presuntuosi a pensare che non ci sono grandi cose da cambiare nel nostro atteggiamento. Si
guarda più la pagliuzza del prossimo, dimenticando la trave del proprio occhio. Invece è falso. Di
difetti e di peccati ce ne sono tanti nella nostra vita. Perciò Gesù con la sua morte ci invita alla
metanoia interiore. Non è mai tardi per rispondere alla chiamata alla santità. La conversione è una
realtà perpetua che coinvolge uno sforzo continuo di purificazione personale del proprio agire,
del modo di pensare e di parlare. Diciamo “no” alla durezza del cuore e lasciamoci abbracciare da
Gesù che ci aspetta sempre. Gesù accoglie ed esaudisce il grido di fede di tutti gli uomini e donne
che si sentono lontani da lui.

Preghiamo:
O Padre misericordioso, ascolta le nostre preghiere per la conversione dei nostri cuori, e aiutaci
a nascere ad una vita di grazia per i meriti della passione del tuo figlio Gesù, egli vive e regna nei
secoli dei secoli. Amen.
Gloria al Padre…

Ut Unum Sint 129


DODICESIMA STAZIONE:

GESÙ MUORE IN CROCE


Mt 27,45
«Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù
gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?».

MEDITAZIONE
Sul legno benedetto è steso il nostro Signore. La sofferenza di cui fa esperienza Gesù lo
porta ancora una volta ad una unione intima con il suo Padre.
Il tuo grido Signore non è un grido di abbandono quanto piuttosto un grido di obbedienza
totale e fiduciosa nell’amore del Padre e del mondo. Il tuo grido misterioso ha riaffermato la tua
donazione gratuita per la salvezza del mondo. O Gesù, anche noi oggi, vogliamo fare nostro
questo tuo grido per poter partecipare alla intima unione con il Padre.

Preghiamo:
O Dio, ascolta la nostra supplica e fa’ che, morendo e risorgendo con Cristo, possiamo con lui
partecipare alla vita divina.
Gloria al Padre…

130 2019-2022
TREDICESIMA STAZIONE:

GESÙ È DEPOSTO DALLA CROCE

Gv19,33-34
«I soldati venuti da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei
soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua».

MEDITAZIONE
Leggendo le Scritture risulta chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una
relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come
una somma di piccoli gesti personali nei confronti del prossimo. La proposta è il Regno di Dio
(Lc 4,43). Si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui il Figlio regna tra di
noi, la vita sociale, in modo particolare la nostra in questa comunità, sarà uno spazio di fraternità,
di giustizia, di pace, di rispetto di tutti. Pertanto l’annuncio e l’esperienza cristiana tendono a
provocare conseguenze sociali. Il progetto di Gesù in questo mondo è stato di instaurare il Regno
del Padre suo.

Preghiamo:
O Padre che ci hai aperto in Cristo la sorgente di ogni grazia e benedizione, riempi i nostri cuori
con i doni della pace perché possiamo crescere nel desiderio di ciò che a te è gradito.
Gloria al Padre…

Ut Unum Sint 131


QUATTORDICESIMA STAZIONE:

GESÙ È PORTATO NEL SEPOLCRO

Mt 27,59-61
«Giuseppe d’Arimatea, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella
sua tomba nuova. Erano lì, davanti al sepolcro Maria di Magdala e l’altra Maria».

MEDITAZIONE
Al termine della vita di Gesù, ci sono rimaste ancora alcune figure fedeli cioè Giuseppe
d’Arimatea, Maria di Magdala e l’altra Maria. Il loro perseverante cammino è frutto della fiducia e
dell’amore che hanno avuto per Gesù. Sì, chi ama sinceramente, possiede tutte le armi necessarie
per rimanere sempre fedele. Essere discepoli di Cristo è una adesione totale che coinvolge tutta
la vita e non solo alcuni aspetti o momenti puntuali. L’esempio di questi uomini e donne ci ispiri
ad essere fedeli e ad apprezzare il servizio degli altri nei nostri confronti.

Preghiamo
Signore Gesù, donaci la grazia di vedere il mondo come lo vedi tu e donaci lo Spirito di santità
affinché possiamo trasformarlo in una dimora di giustizia e di amore.
Gloria al Padre…

132 2019-2022
Ut Unum Sint 133

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