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Alessandro Perissinotto

GLI ATTREZZI DEL NARRATORE


NARRATOLOGIA PER NARRARE

€ 5,00
Perissinotto 3 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

AVVERTENZA

Questo non è solo un file, questo è un libro. È un “prodotto


dell’ingegno” che ha richiesto mesi di lavoro. E per questo ha
un prezzo che ho fissato in 5 euro (un prezzo equo per il forma-
to elettronico), perché il lavoro intellettuale, proprio come quel-
lo materiale, si paga. Però questo libro, che era uscito nel 2005
per Rizzoli, una sua avventura editoriale l’ha già vissuta. E allora
ti invito a fare in questo modo: i 5 euro del prezzo di copertina
dalli a chi ne ha bisogno; compra un panino a qualcuno che ti
chiede qualche soldo per mangiare, aggiungili a una donazione
che già avevi in mente di fare, manda un paio di SMS solidali
per finanziare un progetto o una ricerca. Non dimenticarti di
saldare, se puoi, questo debito.

Alessandro Perissinotto
Perissinotto 4 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

INDICE

INTRODUZIONE .............................................................................................................. 5
PARTE PRIMA: La trama. ................................................................................................. 8
1.1 La trama: un concetto ambiguo ............................................................................. 8
1.2 Lo strutturalismo ....................................................................................................13
1.3 I motivi .....................................................................................................................15
1.4 Intreccio e fabula ....................................................................................................18
1.5 La madre di tutte le strutture: Propp e la “Morfologia della fiaba” ..............23
1.6 L’oggetto di valore ..................................................................................................34
1.7 Gli attanti..................................................................................................................37
1.8 Un modello universale: Greimas e il programma narrativo ...........................39
1.9 Il voler-fare, il saper-fare e il poter-fare: la teoria delle modalità ..................45
PARTE SECONDA: Il mondo possibile del racconto. ..............................................49
2.1 Nonna Papera può cucinare il tacchino? I mondi possibili ............................49
2.2 Mi credi se ti dico che…? Il contratto di veridizione. .....................................55
2.3 La coerenza narrativa .............................................................................................60
2.4 Diegesi e mimesi .....................................................................................................67
2.5 Perché Marcel non è Proust: il narratore. ..........................................................68
2.6 Guardare con gli occhi degli altri: il punto di vista. .........................................78
2.7 Come scegliere il narratore e il punto di vista? .................................................82
2.7.1 Il narratore extradiegetico onnisciente. .....................................................82
2.7.2 Narratore omodiegetico o autodiegetico. .................................................84
2.7.3 Altre possibilità ..............................................................................................87
PARTE TERZA: Il discorso. ...........................................................................................93
3.1 Oltre la trama c’è di più (ancora su Roland Barthes).......................................93
3.1.1 Nuclei e catalisi ..............................................................................................95
3.1.2 Indizi e informanti ........................................................................................98
3.1.3 Accelerazioni e frenate: questioni di ritmo. .......................................... 100
3.1.4 Sorprese e previsioni ................................................................................. 102
3.2 Siamo uomini o attanti: la fisionomia del personaggio ................................ 107
3.2.1 La psicologia del personaggio .................................................................. 110
3.2.2 Il personaggio e la società ......................................................................... 111
3.2.3 Il personaggio e il linguaggio ................................................................... 114
3.3 Il personaggio Tempo......................................................................................... 126
3.3.1 Strategie di rappresentazione del tempo ................................................ 126
3.3.2 Rappresentare la simultaneità .................................................................. 137
Appendice .......................................................................................................................... 143
Bibliografia 153
Perissinotto 5 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

INTRODUZIONE

Cos’è la narratologia?
La narratologia, o semiotica della narrazione, è la disciplina
che studia il modo e il motivo per cui i romanzi, i racconti, le
fiabe ma anche i film e le opere teatrali, prendono una certa
forma; in altre parole, studia come sono fatte le narrazioni a
prescindere, per quanto possibile, da ciò che contengono.
Nell’ottica di uno studio narratologico, un racconto è, prima di
tutto, il prodotto di un dispositivo comunicativo, di una sorta di
macchina per generare storie; quello che interessa al narratolo-
go non è il racconto in sé, ma la macchina che lo ha creato: egli
studia il prodotto per risalire al processo. Al chi si occupa di
narratologia, non importa molto che il racconto parli d’amore
piuttosto che di guerra o che serva per esprimere una condizio-
ne esistenziale piuttosto che per vendere una bibita, così come
egli non trova rilevante il fatto che il testo sia “bello” o “brut-
to”, “letterario” o “prosaico”: semmai valuterà se esso è “effica-
ce”, cioè se il dispositivo comunicativo ha funzionato bene in
relazione ai compiti che il sistema culturale gli aveva affidato.
Se ho detto che la narratologia è una “disciplina” e non ho
utilizzato il termine “scienza” è perché non intendo dare l’idea
che lo studio dei processi narrativi possa dare risultati univoci
come quelli che ci forniscono le scienze esatte: alla domanda
“come funziona una narrazione?” si possono dare decine di ri-
sposte diverse a seconda degli aspetti che si prendono in consi-
derazione, perché, fortunatamente, le narrazioni non sono ridu-
cibili a semplici preparati di laboratorio.
Perissinotto 6 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

La narratologia aiuta a narrare?


Omero, Boccaccio, Shakespeare, Sterne e qualche decina di
migliaia di persone hanno scritto e raccontato storie bellissime
senza sapere cosa fosse la narratologia (che ai loro tempi non
esisteva) e senza badare troppo ai dettami della poetica (che in-
vece esiste almeno dai tempi di Aristotele). Dunque, conoscere
le teorie narratologiche non è affatto indispensabile per scrivere
dei buoni romanzi. Quando hai in testa una splendida storia da
raccontare, quando le tue dita compongono con facilità le parole
sulla tastiera del tuo computer, quando sai come iniziare, come
continuare e come finire, quando hai la certezza che il tuo rac-
conto, il tuo romanzo o la tua sceneggiatura piaceranno al pub-
blico, la narratologia non ti serve. In tutti gli altri casi, può dare
una mano, anche se, naturalmente, non c’è approccio narratolo-
gico che supplisca alla mancanza di idee e non c’è approfondi-
mento teorico che ti possa aiutare a conquistare quella sensibili-
tà per le vite degli altri che rappresenta l’ingrediente di base del
raccontare.
Dunque, la semiotica della narrazione non serve per inventare
storie, altrimenti la scrittura si limiterebbe all’applicazione di
formule; essa ti viene invece in aiuto quanto ti poni questioni
del tipo: e adesso come continuo? che voce narrante uso? in che
punto della storia devo svelare quel dato segreto al lettore? que-
sta parte è troppo lunga rispetto all’insieme del romanzo?
Occorre poi tenere presente che la narratologia non si è mai
sviluppata come disciplina progettuale, come metodo per piani-
ficare le storie, ma piuttosto come strumento analitico: se crei
racconti e vuoi usarla nel modo giusto devi fermarti di tanto in
tanto e analizzare semioticamente quello che hai scritto, valu-
tando gli effetti di senso che le tue parole creano.
Perissinotto 7 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

La simulazione come metodo


Se questo libro si limitasse ad esporre e a confrontare le varie
teorie narratologiche, non sarebbe molto diverso dai moltissimi
manuali di semiotica del testo offerti dal mercato editoriale.
Quello che qui voglio fare è invece mettere insieme le mie com-
petenze di semiologo e le mie esperienze di scrittore (in partico-
lare di autore di polizieschi) per evidenziare i punti in cui, du-
rante la stesura di un romanzo, ti viene voglia di chiedere aiuto a
quanti hanno guardato alla narrazione con un occhio “tecnico”.
Per rendere tutto questo più concreto, immaginerò di costrui-
re, passo a passo, al cospetto del lettore, un breve racconto poli-
ziesco da pubblicare a puntate su un settimanale1. Il testo del
racconto si trova in appendice: leggetelo subito, perché così sarà
più facile comprendere determinati passaggi, ma in taluni mo-
menti fingete di averlo dimenticato e concentratevi sui dubbi e
sulle scelte procedurali che ci si trova ad affrontare anche (o
forse soprattutto) quando si scrive una storia molto semplice
come questa. Racchiusi in paragrafi riquadrati, troverete, nel
corso di questo volume, gli interrogativi che si pongono durante
la stesura del racconto e le risposte che la narratologia può for-
nire.

1
Per la verità si tratta di un racconto che è effettivamente apparso a pun-
tate nell’agosto 2000 su Torinosette supplemento settimanale del quotidiano La
Stampa.
Perissinotto 8 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

PARTE PRIMA: La trama.

1.1 La trama: un concetto ambiguo.

Drin, drin.
Rispondo al telefono.
«Ciao» dice la voce all’altro capo del filo, «sono Gabriele, co-
me va?»
È un po’ che non ci sentiamo. Ci scambiamo qualche saluto e
qualche notizia, poi lui arriva al sodo:
«È per il consueto racconto estivo, quello che esce a puntate
nel mese d’agosto: avresti voglia di scriverlo tu?»
«Certo.»
«Benissimo. Naturalmente dovrà essere un poliziesco, d’altra
parte tu sei un giallista, no?»
«Quante puntate?»
«Sei. 3000 battute ogni puntata.»
«Quanto tempo ho?» chiedo io un po’ preoccupato.
«Tre settimane.»
Definiamo ancora alcuni aspetti, velocemente, poi ci salutia-
mo.
Io resto lì, con tre settimane di tempo, una decina di cartelle
da scrivere e una domanda che mi gira per la testa: che cosa scri-
vo?
Mi serve una storia, cioè mi serve una trama.

La riga qui sopra contiene, implicitamente, un’affermazione


che fa inorridire qualunque persona dotata di buon senso. Dire
“Mi serve una storia, cioè mi serve una trama” significa sostene-
re che la trama e la storia sono la stessa cosa, e questo è palese-
mente falso. La storia è fatta sì di azioni, ma anche dei perso-
Perissinotto 9 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

naggi che le compiono, degli sfondi entro i quali si muovono e


delle ragioni che li inducono a muoversi; la trama invece è il
semplice racconto condensato dei fatti che accadono in una sto-
ria o, nel nostro caso, poiché quella storia non è ancora stata
scritta, dei fatti che dovranno accadere perché quel racconto esi-
sta davvero. Eppure, in quella fase confusa che è il confronto
con il foglio bianco, l’idea di avere una trama ci fa sentire a metà
dell’opera. Alcuni scrittori sostengono che avere una trama non
è indispensabile per iniziare un romanzo: inizia a scrivere e poi
le cose verranno da sé! Ovviamente, molto dipende dal tipo di
vicende che si vogliono raccontare: per me che scrivo polizie-
schi è indispensabile avere un’idea di chi muore, di chi uccide e
del perché, per altri autori non è così necessario avere dei punti
di riferimento. Ciò nondimeno, la trama è la cosa che ci sembra
più naturale conservare di una storia: quando qualcuno ci chiede
di parlargli di un film che abbiamo visto, quasi sempre partiamo
con il riferirgli i fatti e solo dopo parliamo dei temi o dei movi-
menti di macchina.

E allora provo a inventarmi una trama. Raccolgo alcuni elemen-


ti nella mia memoria, penso ad alcuni posti dove sono stato e do-
ve mi sono detto “qui un delitto ci starebbe bene” e poi mi pongo
delle domande le cui risposte costituiranno gli elementi essenziali
della trama.
Domanda 1: Qual è il crimine?
Risposta: Un uomo, che sta facendo un’escursione con la sua
mountain bike viene spinto in un burrone simulando un incidente.
Domanda 2: Qual è il movente?
Risposta: L’uomo ucciso è un ortopedico che ha curato mala-
mente un bambino storpiandolo.
Domanda 3: Chi è il colpevole?
Risposta: Visto il movente, il colpevole è, ovviamente, il padre
del bambino.
Perissinotto 10 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Domanda 4: Come avviene l’omicidio?


Risposta: L’assassino, che ha spiato la vittima, la attende sul
sentiero, nel punto più strapiombante. Finge di avere un guasto
alla propria bicicletta e chiede aiuto alla vittima; questa gli pre-
sta soccorso e inizia a smontare qualche pezzo: proprio in quel
momento, l’omicida spinge la vittima nel burrone.
Domanda 5: Quale errore dell’omicida porterà alla soluzione
del caso?
Risposta: Dovendo lasciare in tutta fretta il luogo dell’omicidio,
l’assassino non può permettersi di rimontare la propria bicicletta,
così la getta nel precipizio assieme alla vittima e prende la bici-
cletta dell’ucciso. Ma l’assassino si dimentica che la propria
mountain bike reca un numero di matricola sul telaio: proprio
grazie a quel numero i carabinieri risaliranno a lui.
La mia storia comincia a prendere forma, ma, pur non avendo
molto spazio a disposizione (circa 18.000 battute, spazi compre-
si), devo complicarla un poco per renderla gradevole. Quindi mi
pongo altre domande e mi do altre risposte. Come risultato
dell’operazione, ottengo questa sequenza di eventi:
Un ortopedico, il dottor Pagani, che opera in una località di vil-
leggiatura ingessa malamente la gamba fratturata di un bambino
e il bambino vede compromessa per sempre la propria salute.
Il padre decide di vendicarlo.
Il futuro assassino, conoscendo le abitudini e le passioni
dell’ortopedico, ottiene da lui informazioni sulla sua prossima gi-
ta in mountain bike.
L’assassino si apposta lungo il sentiero e, con la scusa di un aiu-
to per riparare la bicicletta, induce il medico a fermarsi e a to-
gliersi il casco e poi lo spinge nel burrone.
L’assassino capisce che la propria bicicletta è ormai inservibile
e la getta nel burrone facendo credere che si tratti della bici del
dottore, poi scappa con quella che è la vera mountain bike della
vittima.
Due ragazze che stanno facendo una gita vedono il corpo della
vittima e chiamano i carabinieri.
Perissinotto 11 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Il maresciallo Gotti si reca sul luogo del delitto, scatta delle fo-
to e fa recuperare il cadavere.
Esaminando le foto, Gotti scopre che sul volto della vittima
c’erano i segni del casco, ma, al momento del ritrovamento, il
casco era legato alla bicicletta: questo insospettisce il marescial-
lo.
Gotti si reca nuovamente sul luogo del delitto e scopre le trac-
ce di un’altra bicicletta passata di lì più o meno nello stesso mo-
mento di quella del medico. Scopre inoltre una chiave inglese nel
punto esatto dove la vittima è precipitata.
Il maresciallo va dal gommista locale e chiede se, recentemen-
te, ha montato gomme da bicicletta con un battistrada simile a
quello che ha lasciato le tracce sul sentiero: quello risponde che a
montarle è stato il figlio, che però ha lasciato il paese per andare
a Milano.
Gotti si insospettisce, ma il figlio del gommista gli telefona e
gli dice di aver montato quelle gomme proprio sulla bici del dot-
tor Pagani.
L’aiutante di Gotti scopre che, la sera prima di morire, il dot-
tor Pagani ha cenato nella solita trattoria e lì ha chiacchierato
con uno sconosciuto.
Basandosi sulle indicazioni del figlio del gommista, Gotti capi-
sce che vi è stato uno scambio di biciclette e che quella trovata
accanto al cadavere è la bici dell’assassino.
Grazie al numero di matricola riportato sul telaio della biciclet-
ta dell’assassino, Gotti risale al suo nome.
Gotti fa arrestare l’assassino, lo interroga e ne ottiene una
confessione.

In realtà, occorre ancora aggiungere un punto, perché, volendo


creare una falsa pista, ho inserito una “microstoria” collaterale,
quella del figlio del gommista che si innamora di una ragazza mi-
lanese e che lascia il paese dove è avvenuto il delitto, attirando
così su di sé i sospetti. Questa “microstoria” si innesta su quella
principale all’altezza del punto 11; inseriamo quindi il punto 11
bis:
Perissinotto 12 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

10 bis. Il figlio del gommista si innamora di una ragazza di Mi-


lano e lascia il proprio paese per seguirla.

Ecco la trama.

Ho così costruito la trama, ma se qualcuno intenzionato leg-


gere il mio racconto mi chiedesse di raccontargli di che cosa
parla, non gli racconterei i fatti nella successione che ho mostra-
to qui. E sicuramente, volendo trasformare quella trama in rac-
conto, non disporrei gli eventi in quest’ordine: io so fin
dall’inizio chi è l’assassino, perché uccide e come lo fa, ma vo-
glio che il mio lettore lo scopra pian piano e che sazi le sue cu-
riosità solo alla fine. Io so fin dall’inizio che il figlio del gommi-
sta non ha ucciso il dottore, ma il maresciallo Gotti non può
sapere subito come sono andate le cose. Devo dunque lavorare
sulle strutture del racconto in modo da presentare i fatti nella
maniera opportuna, cioè mostrando o nascondendo a tempo
debito determinate cose. Ed è proprio dall’attenzione alle strut-
ture narrative che la narratologia prende il suo avvio.
La sequenza in 15 punti che io ho proposto come trama del
racconto rappresenta la successione logica e temporale degli
eventi della storia che narro. Logica perché i fatti che precedono
sono la causa dei fatti che seguono (ad esempio, il punto 1, che
mostra l’imperizia del dottor Pagani, è la causa diretta dei punti
2, 3, 4 e 5, cioè del desiderio di vendetta e del suo compimento);
temporale, perché segue (nei limiti del possibile) il succedersi
degli eventi uno dopo l’altro. Tuttavia, abbiamo visto come, nel
racconto vero e proprio, l’ordine di presentazione delle azioni
debba essere alterato. Qual è dunque la trama? È l’ordine logi-
co-temporale o quello che ci viene presentato dalle pagine del
Perissinotto 13 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

volume? L’uno e l’altro, perché quello di trama è un concetto


troppo vago per la narratologia; in semiotica del testo si preferi-
sce parlare, invece che di trama, di fabula quando ci si riferisce
all’ordinamento logico-temporale, e di intreccio quando si vuole
indicare la successione degli eventi così come essa viene presen-
tata al lettore. Ma prima di approfondire questi due concetti,
fermiamoci un attimo a riflettere sulle caratteristiche generali
della scuola di pensiero entro la quale si colloca l’origine stessa
della narratologia, lo strutturalismo.

1.2 Lo strutturalismo
In questo libro, lo abbiamo detto e lo diremo ancora, voglia-
mo parlare solo di quegli approcci teorici al testo che si rivelano
di immediata utilità nel mestiere del narrare, a costo di rinuncia-
re a fornire una visione storicizzata della narratologia. Se dun-
que accenniamo allo strutturalismo, non è tanto per contestua-
lizzare le varie teorie che l’hanno seguito o ancor meno perché
esso, negli anni Sessanta-Settanta, ha rappresentato un fenome-
no “alla moda” («Son pallidi nei visi e hanno deboli sorrisi solo
se si parla di strutturalismo» cantava Francesco Guccini in Via
Paolo Fabbri 43 riferendosi agli intellettuali); lo facciamo perché
gli strutturalisti sono stati i primi ad ipotizzare che esistessero
regole compositive comuni alla base dei vari racconti. E sono
proprio queste regole condivise tra le varie narrazioni ad auto-
rizzarci a parlare di narratologia e di tecniche della narrazione.
Una tecnica è una sorta di esperienza codificata e riutilizzabile;
che si tratti di tecnica casearia, di tecnica pittorica, o di tecnica
amatoria, essa assume significato sole se, una volta appresa, io la
posso utilizzare per fare un’altra forma di formaggio, per dipin-
gere un altro quadro o per concludere con soddisfazione un
nuovo incontro amoroso: se ogni racconto fosse un’entità a sé,
Perissinotto 14 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

se non avesse nulla in comune con gli altri, le tecniche della nar-
razione non potrebbero essere riutilizzabili e quindi non sareb-
bero tecniche.
In Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, Roland Barthes
scrive:
i Formalisti russi, Propp, Lévi-Strauss ci hanno insegnato a indi-
viduare il seguente dilemma: o il racconto è un semplice sproloquio
di eventi (ed in questo caso è impossibile parlarne se non facendo
riferimento all’arte, al talento o al genio dell’autore - tutte forme mi-
tiche del caso), oppure esso possiede in comune con altri racconti
una struttura accessibile all’analisi, per quanta pazienza sia necessa-
rio impiegare per enunciarla; giacché esiste un abisso tra l’aleatorietà
più complessa e la combinatoria più semplice e nessuno può conge-
gnare un racconto senza riferirsi a un sistema implicito di unità e di
regole.2
L’idea di fondo dello strutturalismo è quella di trovare un
modello attraverso il quale descrivere il funzionamento di tutte
le narrazioni, senza naturalmente dimenticare che ogni racconto
ha comunque delle caratteristiche specifiche, delle particolarità
che gli sono proprie. In pratica, è un po’ come se immaginassi-
mo l’esistenza di un unico scheletro narrativo che i vari autori
rivestono di parole, situazione e personaggi diversi, da cui la
maggiore o minore piacevolezza di questo o quel racconto; per
fare un paragone neanche troppo distante dalla realtà, possiamo
dire che, secondo lo strutturalismo, le cose funzionano come
una stessa fiaba raccontata da persone diverse: a seconda dei va-
ri affabulatori avremo storie più o meno avvincenti, più o meno
vivaci, ma la vicenda raccontata sarà sempre la stessa.
L’obiettivo degli strutturalisti è dunque quello di individuare il

2 Roland Barthes, Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, in AA. VV.,

L’analisi strutturale del racconto, Bompiani, Milano 1969, p. 8 (ed. or. 1966).
Perissinotto 15 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

modello generale della narrazione e poi misurare gli scarti da es-


so:
[l’analisi del racconto] è forzatamente condannata ad una proce-
dura deduttiva; è obbligata a concepire un modello ipotetico di de-
scrizione (che i linguisti americani chiamano una “teoria”), e a scen-
dere poi, a poco a poco, a partire da questo modello verso i generi
che a un tempo vi partecipano e se ne discostano: è solo a livello di
questa conformità e di questi scarti che potrà trovare, munita di uno
strumento unico di descrizione, la pluralità dei acconti, la loro di-
versità storica, geografica, culturale.3
Uno “strumento unico di descrizione”, una sorta di lingua
narrativa: come utilizzando una stessa lingua storico-naturale
(l’italiano, il francese, ecc.) si possono creare un’infinità di frasi
differenti, così, attraverso un unico codice narrativo si può ge-
nerare la molteplicità dei racconti esistenti e futuri. Gli studi
successivi hanno dimostrato che l’adozione di un unico modello
di analisi e l’applicazione di un approccio linguistico (sulla scorta
del Corso di linguistica generale di Saussure) erano ipotesi di ricerca
troppo grossolane; ciò non significa affatto che l’esperienza del-
lo strutturalismo sia stata fallimentare: sebbene non sia stato
possibile individuare un unico sistema di descrizione dei raccon-
ti, si è affermata una volta per tutte l’idea della narrazione come
composizione ordinata di elementi ricorrenti ed è proprio su
questo che lavoreremo nel paragrafo successivo.

1.3 I motivi
In forme diverse, abbiamo più volte ripetuto che la semiolo-
gia, ed in particolare lo strutturalismo, rivolge la sua attenzione
alle strutture profonde della narrazione e bada alle cose che ac-

3 R. Barthes, cit., p. 9.
Perissinotto 16 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

comunano i vari racconti, piuttosto che (come invece farebbe la


critica letteraria) a quelle che rendono ogni racconto unico e
singolare. Per fare tutto ciò, deve in qualche misura prescindere
dai contenuti specifici di ogni narrazione o, quantomeno, gene-
ralizzarli per renderli confrontabili tra loro. Ma come può avve-
nire questa generalizzazione? Analizziamo il metodo utilizzato
all’inizio di questo capitolo per costruire la “trama” (o quel che
è) del nostro racconto. Abbiamo creato una serie di punti che
corrispondono ad altrettanti eventi, ad altrettante “cose che ca-
pitano” nella storia. Noi quei punti li abbiamo creati prima an-
cora di stendere il racconto, ma se li esaminiamo a posteriori,
cioè confrontandoli con il testo finito, vediamo che essi sono
delle parafrasi riassuntive di singole parti di quel testo. Dividere
in porzioni i contenuti di una narrazione e poi parafrasarli è il
primo passo per riuscire a svincolarsi da essi, a pensare alle
strutture, all’ossatura del racconto. Prendiamo il primo punto
della nostra trama:
Un ortopedico, il dottor Pagani, che opera in una locali-
tà di villeggiatura ingessa malamente la gamba fratturata
di un bambino.
Nessuno ci vieta di parafrasare ulteriormente questa porzione
di testo e di generalizzarla ancora:
Un uomo procura un danno a un bambino;
o addirittura:
Una persona danneggia un’altra persona.
Abbiamo così creato un “motivo”.
Con il termine motiv (motivo), intendo la più semplice unità nar-
rativa, che, sotto forma di immagine, rispondeva alle richieste
dell’intelletto primitivo e dell’osservazione quotidiana. Data la so-
miglianza o addirittura l’uguaglianza delle forme di vita e dei proces-
si psicologici ai primi stadi dell’evoluzione sociale, motivi di tale ge-
Perissinotto 17 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

nere potevano formarsi autonomamente e, allo stesso tempo, pre-


sentare tratti simili.4
Ecco che il motivo diviene una delle basi dell’analisi struttura-
le del racconto grazie alle sue tre caratteristiche fondamentali:
a. i motivi sono le unità minimali della narrazione, cioè so-
no dei “microracconti”;
b. i motivi possono concatenarsi tra loro per dare vita a
racconti complessi.
c. i motivi sono sufficientemente generali per ritrovarsi in
forme analoghe all’interno di narrazioni diverse;
Vediamo come tutto ciò ci aiuta a comprendere e a creare le
storie.
L’idea che un romanzo o un racconto o un film sia scompo-
nibile in unità minimali ci consente di non guardare più all’opera
narrativa come se fosse un blocco unico, bensì di analizzarla
pezzo per pezzo cogliendo le relazioni che ogni parte intrattiene
con le altre. Quando stiamo per iniziare la scrittura di un ro-
manzo, il lavoro da svolgere ci sembra smisurato, abbiamo
l’impressione (quantomeno, questa è la mia impressione ogni
volta che mi confronto con un nuovo romanzo da scrivere) di
non riuscire a tirare le fila di tutte quelle vicende, di tutti quei
personaggi, abbiamo paura che le cose ci sfuggano di mano e
che non arriveremo mai alla fine. Comprendendo invece che il
romanzo è fatto di “microracconti” interconnessi tra loro, pos-
siamo parcellizzare il lavoro, possiamo pianificare il testo pren-
dendo in considerazione, di volta in volta, un solo motivo e cer-
care di migliorarlo e di integrarlo meglio nel tessuto narrativo:

4 A.N. Veselovskij, Poetica storica, Edizioni e/o, Roma 1981, p. 200 (ed. or.

1940 ma 1897-1906)
Perissinotto 18 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

senza mai dimenticare che una storia va oltre la sua progettazio-


ne a tavolino.
Il fatto poi che i motivi, per così dire, migrino da un racconto
a un altro, permette di riflettere non solo sulla singola storia, ma
in generale sul modo in cui le storie si costruiscono. Se io scrivo
di come il dottor Pagani, con la sua scarsa conoscenza della me-
dicina, rovina la vita di un bambino, quest’esperienza di scrittura
rimane confinata nella mia piccola novella poliziesca; se io inve-
ce parlo di una persona che ne danneggia un’altra, io posso tra-
sferire la mia esperienza agli altri: posso interrogarmi sul ruolo
del danneggiamento in un racconto, posso cosa può o cosa deve
succedere in una storia quando un personaggio rimane vittima
di un altro (ma questo è solo un esempio) e ciò, indipendente-
mente dal fatto che il danneggiamento consista in una lesione o
piuttosto in un abbandono da parte della persona amata o in
una mancanza di fiducia, indipendentemente dal genere narrati-
vo che si sceglie.

1.4 Intreccio e fabula


Abbiamo detto poc’anzi che i motivi possono comporsi e
collegarsi tra loro per creare racconti più o meno complessi.
Siamo così in grado di dare una definizione un po’ più precisa di
“trama”: la trama è il risultato dell’unione organica di una serie
più o meno ampia di motivi. Quando diamo vita a una narra-
zione articolata, noi conferiamo a questi motivi due forme di
organizzazione: la fabula e l’intreccio. Due forme che non sono
alternative tra loro, ma che coesistono nel racconto finito così
come nella sua ideazione.
Torniamo al modo in cui ho costruito la trama del nostro
racconto di esempio. Il motivo che per primo si è affacciato alla
Perissinotto 19 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

mia mente è quello indicato con il numero 4 in una sequenza


che ne prevede quattordici; possiamo quindi dire che ho iniziato
a inventare la vicenda partendo da un fatto che si colloca più o
meno a un terzo della storia. Poi ho analizzato le cause e le con-
seguenze di quel primo, cruciale evento e ho messo in fila una
serie di motivi seguendo i nessi causali, ho cioè costruito la fa-
bula: è appunto l’insieme degli avvenimenti nei loro reciproci rapporti inter-
ni che noi chiamiamo fabula5. Detto altrimenti, la fabula è la trama
di una narrazione i cui accadimenti sono disposti nell’ordine cronologico del
loro fittizio accadere6.
Ecco lo schema di questa fabula.
motivi 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 111 12 13 14 15
te un m gio- giovedì venerdì s
mpi anno erc. vedì ore 11- ab.
prima se mat 18
ra tino

Quando però ho iniziato a scrivere il racconto, non sono par-


tito dal motivo numero 4 (l’omicidio) e neppure dal numero 1 (il
danneggiamento che scatena il desiderio di vendetta), bensì dal
numero 6 (il ritrovamento del cadavere), poi ho proceduto li-
nearmente fino al motivo 13, quindi sono saltato al motivo 15 e,
di lì, attraverso un recupero analettico (v. oltre) contenuto nella
ricostruzione dell’omicidio fatta da Gotti in presenza
dell’indiziato, ho esposto i motivi 3, 4, 5 e il motivo 14,
l’elemento che ha permesso al maresciallo di giungere alla solu-
zione, mentre i motivi 1 e 2 il lettore li troverà solo alla fine, nel-
la confessione dell’omicida: in ultimo. La successione di motivi
che si ritrova sulla carta è allora la seguente:

5B. Tomaševskij, Teoria della letteratura, Feltrinelli, Milano 1978 (ed. or.
1928)
6 R. Rutelli, Semiotica (e)semplificata, Liguori, Napoli 2003, p. 376.
Perissinotto 20 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

6 – 7 – 8 - 9- 10 -11 – 12 – 13 – 15 – 3 – 4 – 5 – 14 – 1 – 2
Posso quindi dire di aver intrecciato tra loro i motivi e di aver
creato appunto l’intreccio: la strutturazione letteraria degli avvenimenti
nell’opera si chiama intreccio7. In altre parole, l’intreccio è la trama
di una narrazione i cui eventi sono disposti nell’ordine arbitrario, magari
non cronologico, deciso dall’autore8.
Ed ecco la rappresentazione schematica dell’intreccio:
motivi 6 7 8 9 10 11 12 13 15 3 4 5 14 1 2
tempi giovedì venerdì sabato merc. giovedì ven. un
ore 11-18 sera mattino anno
prima

Perché diciamo che fabula e intreccio coesistono? Perché il


racconto, oltre che nella forma dell’intreccio fissato dalla se-
quenza immutabile delle pagine o dei fotogrammi sulla pellicola,
si riformula e si dispiega nella rielaborazione mentale che ne fa il
lettore o lo spettatore, una ricostruzione identica a quella che
l’autore aveva fatto (non importa se prima o durante la stesura
del testo) per scrivere quella stessa storia. Di norma, la fabula
non si ritrova stampata sulla carta; i motivi vengono stampati
nell’ordine che conferisce loro l’intreccio, ma la fabula risiede
sempre in una mente, quella dell’autore, prima, e quella del let-
tore dopo.

Guardando lo schema dell’intreccio che abbiamo presentato


qui sopra, possiamo dire che l’elaborazione dell’intreccio stesso
è una sorta di viaggio avanti e indietro nel tempo della narrazio-
ne. L’autore parte da un certo fatto e quindi da un determinato
tempo che chiameremo T0, ma ad un certo punto potrebbe sen-
tire la necessità di raccontare un evento accaduto prima di quel
7 B. Tomaševskij, cit.
8 R. Rutelli, cit. p. 378.
Perissinotto 21 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

fatto iniziale, prima di quel tempo T0, magari in un tempo T-1 o


T-2. Questo recupero di cose avvenute prima potrebbe servirgli,
ad esempio, per dare una spiegazione a ciò che sta accadendo
ora (cioè in T0), oppure per dare una profondità storica al rac-
conto. Parleremo così di recuperi analettici o semplicemente di
analessi. L’analessi è una porzione narrativa in cui si raccontano eventi
precedenti il punto in cui è giunta la narrazione principale9. Nel linguag-
gio cinematografico siamo abituati a chiamare l’analessi con il
nome di flash-back.
All’opposto dell’analessi troviamo la prolessi cioè una porzione di
racconto che “anticipa” accadimenti successivi al punto del racconto in cui si
colloca10. La prolessi è solitamente affidata al narratore onniscien-
te perché, normalmente, il personaggio non può conoscere fatti
che non sono ancora avvenuti, mentre il narratore sì (ma tutto
questo sarà più chiaro quando, nel par. 2.5, parleremo appunto
del ruolo del narratore). Perché fare anticipazioni? Anche qui la
gamma di possibilità è vasta, ma un buon motivo per anticipare
qualcosa è il desiderio di creare curiosità: accennando ad un fat-
to che accadrà, ma che ancora non è compiutamente raccontato,
il lettore si sente spinto ad avanzare fino a scoprire esattamente
ciò che succederà; nel mio racconto a puntate ho utilizzato la
prolessi proprio per creare suspense tra una puntata e l’altra.
Vediamo un breve passaggio del nostro racconto in cui, oltre
alla narrazione dell’adesso, cioè del tempo T0, è contenuta una
analessi e una prolessi, il tutto in poche righe

Quando Gotti uscì dalla caserma [tempo dei fatti = T0] era l'ora dell'aperiti-
vo e la via principale era piena di torinesi in vacanza che ogni dieci metri
scambiavano un cenno di saluto con qualcuno; per undici mesi ognuno di

9 R. Rutelli, cit. p. 376.


10 R. Rutelli, cit. p. 382
Perissinotto 22 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

loro aveva ripetuto [rievocazione di fatti accaduti prima dell’inizio del racconto = ana-
lessi = T0-x]: «Basta, io a Montenevoso non ci vado più, ti sembra di essere a
Torino, ci incontri le stesse persone»; ma poi, ad agosto, si erano ritrovati
tutti. A quel pensiero, Teo Gotti sorrise tra sé sereno, ignaro della svolta che
avrebbe preso la vicenda di lì a poco [anticipazione su fatti che accadranno in un
tempo successivo = prolessi = T+y].

Ma perché complicarsi la vita infrangendo l’ordine causale e


cronologico degli eventi? Perché non raccontare le cose
dall’inizio alla fine? Qualche risposta a questa domanda
l’abbiamo già data, ma ora vediamo di fare un po’ d’ordine.
Le ragioni per cui è preferibile dare ai motivi un ordine diver-
so da quello che essi hanno nella fabula sono di tre tipi: ragioni
estetiche, ragioni compositive e ragioni cognitive.
Le prime, quelle estetiche (che peraltro non pervengono alla
narratologia), si liquidano più rapidamente dicendo che
l’intreccio è più interessante della fabula, ovvero che una narra-
zione assolutamente lineare rischia di diventare noiosa.
Le ragioni compositive sono anch’esse facili da intuire. Il
mondo più semplice per comprenderle è quello di pensare alla
contemporaneità degli eventi. Nel capitolo VIII dei Promessi Spo-
si, mentre Renzo e Lucia tentano il matrimonio di sorpresa in
parrocchia, a casa di Lucia i bravi cercano di rapire la stessa Lu-
cia; siamo dunque davanti a due fatti che si svolgono nello stes-
so momento, come fare a raccontarli? Lo scrittore francese Mi-
chel Butor avrebbe probabilmente diviso la pagina in due
colonne e avrebbe narrato parallelamente le due storie; Manzoni
sceglie invece una via più tradizionale e ci racconta prima quello
che capita a Renzo e Lucia e poi quello che è avvenuto a casa
della ragazza in sua assenza. Anche nel nostro piccolo racconto
ci siamo trovati di fronte a una scelta di questo tipo; il marescial-
lo Gotti va a indagare presso il gommista, mentre il carabiniere
Perissinotto 23 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Ferrero cerca informazioni sulla vittima: abbiamo deciso di se-


guire prima Gotti e poi, attraverso un’analessi che si concretizza
in un dialogo tra Gotti e il suo sottoposto, di recuperare ciò che
quest’ultimo ha scoperto.
Le ragioni di tipo cognitivo sono invece più delicate. Un rac-
conto è una specie di “commedia degli equivoci”: se tutti sapes-
sero tutto, non ci sarebbe storia. Se la vittima sapesse che c’è un
assassino appostato, non si farebbe sparare; se la moglie sapesse
fin da subito che il marito la tradisce non ci sarebbe una doloro-
sa vicenda d’amore, se lo spettatore sapesse fin dall’inizio di chi
è il figlio che l’eroina della soap sta attendendo non guarderebbe
le puntate dalla 1350 alla 1397 e così via. Se noi fossimo costret-
ti a raccontare le cose dall’inzio alla fine, cioè a seguire la fabula,
nella maggior parte dei casi non potremmo creare le disgiunzioni
cognitive necessarie a rendere la storia interessante. Perché ab-
biamo scelto di rivelare solo verso la fine il sistema attraverso il
quale Gotti ha scoperto il nome dell’assassino? Perché così fa-
cendo abbiamo aumentato l’interesse del lettore, il quale si sarà
chiesto fino alla fine come diavolo avesse fatto il maresciallo ad
arrivare alla conclusione.

1.5 La madre di tutte le strutture: Propp e la “Mor-


fologia della fiaba”
Per legittimare la loro aspirazione ad individuare un modello
unico di narrazione dal quale far discendere tutti i racconti come
altrettante “variazioni sul tema”, gli strutturalisti partivano dalla
teoria di Propp, secondo il quale: tutte le favole di magia hanno strut-
Perissinotto 24 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

tura monotipica11. Questo significa che tutte le fiabe sono uguali?


E soprattutto, significa che possiamo partire dalla fiaba per ri-
conoscere una “struttura monotipica” anche all’insieme delle al-
tre narrazioni? La risposta è negativa in entrambi i casi, ma ve-
diamo di scendere nel dettaglio.
Propp parte da un corpus di cento fiabe di magia russe e le
analizza cercano i tratti comuni e gli elementi differenti; si ac-
corge ben presto che nella fiaba esistono due livelli, uno “super-
ficiale” dove si manifestano le particolarità di ogni singola fiaba,
l’altro, “profondo” nel quale quelle stesse particolarità mostrano
invece di avere delle radici comuni. Ci spiegheremo meglio con
degli esempi:
1. La regina ordina che Biancaneve venga portata in un bo-
sco e uccisa
2. La fata permalosa lancia una maledizione e la principessa,
pungendosi con un fuso, cade addormentata
3. La strega imprigiona Raperonzola in una torre
4. Il Gelo decima i raccolti nel paese di Ivan.
Possiamo immaginare che questi quattro eventi appartengano
ad altrettante fiabe differenti; se noi guardiamo questi enunciati
al livello del discorso, cioè al livello “superficiale” del testo, noi
percepiamo immediatamente le diversità: in uno il “cattivo”
(chiamiamolo così per il momento) è la regina, nell’altro è la fa-
ta, nell’altro ancora è la strega, nel quarto è il Gelo (personaggio
tipico della fiaba russa) e, se prendessimo in considerazione altri
casi, potremmo ritrovare il lupo, il drago, l’orco, il Vento Tra-
montano e così via. Allo stesso modo, a subire la “cattiveria”
sono, di volta in volta, Biancaneve, la principessa, Raperonzola
e Ivan. E anche le “cattiverie” sono di tipo differente: tentato

11 V.Ja. Propp, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1966, p. 29 (ed. or.

1928)
Perissinotto 25 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

omicidio, lesione, sequestro di persona, furto o rapina (per usare


un linguaggio giuridico). Ma nel momento stesso in cui notiamo
queste differenze, siamo costretti a riconoscere che, a un livello
più profondo, esse corrispondono ad altrettante somiglianze: in
tutti gli enunciati c’è un cattivo, c’è un danneggiamento e c’è
una vittima che però non viene totalmente e definitivamente
schiacciata dal danneggiamento.
Parlando di “cattivo” e di “vittima”, noi individuiamo poi dei
“personaggi-tipo”, cioè dei personaggi che non si caratterizzano
per loro peculiarità (i capelli biondi, l’intelligenza, il nome, ecc.),
bensì per il loro ruolo nell’economia della narrazione, per le
azioni standard che svolgono nella fiaba. Propp individua sette
personaggi tipo: l’eroe, l’antagonista, il donatore del mezzo ma-
gico, l’aiutante dell’eroe, il falso eroe, il mandante, il personaggio
cercato. Questi personaggi possono anche non comparire tutti
in una stessa fiaba, ma sono comunque fissi, così come è fissata
la gamma delle azioni che essi possono svolgere, da cui Propp
ricava:
Gli elementi costanti, stabili della favola sono le funzioni dei per-
sonaggi, indipendentemente dall’identità dell’esecutore e dal modo
di esecuzione. Esse formano le parti componenti fondamentali della
favola.12
In pratica non importa se l’eroe si chiama Ivan, Principe az-
zurro o Giufà, non importa se trovi la principessa con la sua
astuzia o grazie al caso, ciò che importa, ciò che non cambia è
che nella fiaba vi è un eroe che trova la persona scomparsa o in
pericolo o che si salva da una persecuzione: ciò che non cambia
è l’insieme delle sue funzioni.

12 V. Ja. Propp, cit., p. 27


Perissinotto 26 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Per funzione intendiamo l’operato di un personaggio determina-


to dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vi-
cenda.13
E Propp aggiunge:
Il numero di funzioni che compaiono nella favola di magia è li-
mitato.14
Per l’esattezza è limitato a 31. Trentun funzioni, non una di
più. Ma come è possibile fissare un numero finito e piuttosto
modesto di funzioni quando le azioni che i personaggi possono
compiere sono migliaia? Ancora una volta si ricorre alla genera-
lizzazione, così come avevamo visto per i motivi: se
l’antagonista deruba, rapisce, ferisce, affattura, ordina di uccide-
re l’eroe o un suo parente o la figlia del re, noi generalizziamo il
suo operato e lo poniamo sotto la categoria del danneggiamen-
to. Il “danneggiamento” sarà così la funzione (l’ottava delle
trentuno) attraverso la quale l’antagonista nuoce all’eroe o al si-
stema sociale (famiglia, villaggio, reame, ecc.) del quale esso è
difensore.
L’analisi di Propp rivela poi un altro aspetto molto importan-
te:
La successione delle funzioni è sempre identica.15
Significa che in tutte le fiabe di magia il danneggiamento arri-
va sempre nello stesso punto ed è sempre seguito dalla reazione
dell’eroe, dalla partenza e così via; anche se in nessuna fiaba so-
no presenti tutte le 31 funzioni individuate da Propp.
È quindi venuto il tempo di vedere l’elenco di queste funzio-
ni. Nella colonna di sinistra abbiamo indicato le varie funzioni
con il numero progressivo, il nome, il simbolo assegnato ad

13 Ibid.
14 Ibid.
15 V. Ja. Propp, cit., p. 28
Perissinotto 27 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

ognuna di esse nella Morfologia della fiaba e una brevissima descri-


zione. Nella colonna di destra troviamo invece qualche esempio
pratico tratto dalla fiaba di Cenerentola (naturalmente per le sole
funzioni che compaiono in questa fiaba) nella sua versione oggi
più nota, quella Disney.

Funzione Esempio in Cenerentola


Situazione iniziale (i) Cenerentola vive con il pa-
dre amoroso
1. allontanamento (e) – uno dei
membri della famiglia si allon-
tana da casa (es. il principe va
alla guerra e lascia la moglie sola
a casa)
2. divieto (k) – all’eroe è impo-
sto un divieto (es. a Cappuccet-
to Rosso viene vietato di passa-
re per il bosco)
3. infrazione (q) – il divieto
viene infranto (es. Cappuccetto
rosso passa per il bosco)
4. investigazione (v) -
l’antagonista tenta una ricogni-
zione (es. il lupo, travestito, par-
la con Cappuccetto Rosso)
5. delazione (w) – l’antagonista
riceve informazioni sulla sua
vittima
6. tranello (j) – l’antagonista
tenta di ingannare l’eroe
7. connivenza (y) – l’eroe cade
Perissinotto 28 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

nel tranello
8a. danneggiamento (X) -
l’antagonista areca danno o me-
nomazione a uno dei membri
della famiglia dell’eroe
8b. mancanza (x) – a uno dei Alla morte del padre, Ce-
membri della famiglia manca nerentola si trova sola con la
qualcosa o viene il desiderio di matrigna che la priva di ogni
qualcosa affetto, dunque ella sente la
mancanza degli affetti.
9 momento di connessione (Y) – il Il principe annuncia il ballo
danneggiamento o la mancanza nel quale cercherà moglie e in
vengono resi noti quel momento Cenerentola
prende coscienza della pro-
pria mancanza.
10. reazione dell’eroe (W) Cenerentola chiede di po-
ter andare al ballo
11. partenza
12. l’eroe è messo alla prova dal
donatore (D) – (es. una fata chie-
de all’eroina un gesto caritate-
vole prima di concederle il do-
no magico)
13. risposta dell’eroe al donatore
(E) - l’eroe reagisce all’operato
del futuro donatore (es. l’eroina
accetta di sorgere il compito ca-
ritatevole)
14. conseguimento del mezzo ma- Cenerentola ottiene dalla
gico (Z) – il mezzo magico per- fata gli abiti e la carrozza per
viene in possesso dell’eroe andare al ballo.
Perissinotto 29 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

15. trasferimento (R) – l’eroe si


trasferisce sul luogo in cui si
trova l’oggetto delle sue ricer-
che
16. lotta (L) – l’eroe e
l’antagonista ingaggiano direttamente
la lotta
17. marchiatura (M) – all’eroe
è impresso un marchio
18. vittoria (V) – l’antagonista
è vinto
19. rimozione della sciagura o del- Cenerentola riesce a fare
la mancanza (Rm) innamorare di sé il principe.
20. ritorno dell’eroe
21. persecuzione (P) – l’eroe è Cenerentola viene chiusa
sottoposto a persecuzione in casa
22. salvataggio (S) – l’eroe si Cenerentola riesce ad usci-
salva dalla persecuzione re dal luogo ove è stata rin-
chiusa
23. arrivo in incognito (°) –
l’eroe arriva in incognito a casa
o in un altro paese
24. pretese del falso eroe (F) Le sorellastre di Ceneren-
tola si spacciano per lei
25. compito difficile (C) –
all’eroe è proposto un compito
difficile
26. adempimento (A) – il com-
pito è eseguito
27. identificazione (I) – l’eroe è La scarpetta di cristallo
Perissinotto 30 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

riconosciuto identifica Cenerentola


28. smascheramento del falso eroe
(Sm)
29. trasfigurazione (T) – l’eroe
assume nuove sembianze
30. l’antagonista è punito (Pu) –
(es. in alcune versioni di Cene-
rentola, la matrigna e le sorella-
stre vengono bruciate in botti di
pece)
31. nozze (N) – l’eroe si sposa Cenerentola sposa il prin-
e sale al trono cipe

L’insieme delle 31 funzioni costituisce la struttura della fiaba,


quella struttura invariabile del livello profondo che poi, ad un
livello più superficiale, si riveste di tutte le varianti suggerite dal-
la fantasia degli affabulatori: tutte le fiabe di magia hanno struttura
monotipica.16
Ma che cosa ci insegna la morfologia della fiaba? In che modo ci
aiuta a scrivere storie?
Con queste due domande mettiamo in luce uno degli errori
più evidenti della semiologia strutturalista, quello che vede
l’applicazione delle teorie di Propp ad ambiti diversi da quello
della fiaba. Propp ci dice chiaramente che la sua analisi si applica
alla fiaba di magia, ma gli studiosi che lo hanno seguito hanno
pensato di poter estendere l’idea di una struttura monotipica,
non solo alle fiabe, ma a tutte le forme della narrazione; si sono
illusi di trovare nella successione delle funzioni quello “strumen-
to unico di descrizione della pluralità dei racconti” di cui parlava

16 V. Ja. Propp, cit., p. 29


Perissinotto 31 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Barthes. Per inseguire questa illusione, essi hanno forzato, mo-


dificato, specificato la struttura della fiaba per permetterle di ac-
cogliere e di descrivere tipi di racconti molto più articolati e
complessi di quanto non sia la fiaba, con il risultato di ottenere
dei modelli inutili tanto per l’analisi quanto per la progettazione
di storie.

Provo ad applicare al nostro racconto il modello di Propp.


Funzione Esempio in L’estate del ma-
resciallo Gotti
Situazione iniziale (i) Il dottor Pagani ha curato in
modo errato un bambino e il
padre di questo decide di ven-
dicarsi, ma tutto pare tranquil-
lo a Montenevoso.
1. allontanamento (e)
2. divieto (k)
3. infrazione (q)
4. investigazione (v) - Il futuro assassino, cono-
l’antagonista tenta una ricogni- scendo le abitudini e le passio-
zione (es. il lupo, travestito, ni dell’ortopedico cena al suo
parla con Cappuccetto Rosso) stesso ristorante e lo fa parlare
5. delazione (w) – Il futuro assassino ottiene da
l’antagonista riceve informazio- lui informazioni sulla sua pros-
ni sulla sua vittima sima gita in mountain bike
6. tranello (j)
7. connivenza (y)
8a. danneggiamento (X) - L’assassino uccide il dottor
l’antagonista areca danno o Pagani, danneggiando così la
menomazione a uno dei membri società di cui Gotti è il difenso-
della famiglia dell’eroe re.
8b. mancanza (x)
9 momento di connessione Le due ragazze trovano il
(Y) – il danneggiamento o la corpo del dottor Pagani
mancanza vengono resi noti
Perissinotto 32 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

10. reazione dell’eroe (W) Il maresciallo Gotti intervie-


ne
11. partenza
12. l’eroe è messo alla prova
dal donatore (D)
13. risposta dell’eroe al do-
natore (E)
14. conseguimento del mezzo Le fotografie rivelano che
magico (Z) – il mezzo magico non si è trattato di un inciden-
perviene in possesso dell’eroe te.
15. trasferimento (R) – l’eroe Gotti torna sul luogo del de-
si trasferisce sul luogo in cui si litto e scopre la chiave inglese
trova l’oggetto delle sue ricer- dimenticata e le tracce
che dell’altra bici.
16. lotta (L) – l’eroe e Gotti smaschera la messa in
l’antagonista ingaggiano diret- scena operata dall’assassino
tamente la lotta
17. marchiatura (M) –
all’eroe è impresso un marchio
18. vittoria (V) – L’assassino viene interrogato
l’antagonista è vinto e confessa
19. rimozione della sciagura o della
mancanza (Rm)
20. ritorno dell’eroe
21. persecuzione (P)
22. salvataggio (S)
23. arrivo in incognito (°)e
24. pretese del falso eroe (F)
25. compito difficile (C)
26. adempimento (A)
27. identificazione (I)
28. smascheramento del falso eroe
(Sm)
29. trasfigurazione (T)
30. l’antagonista è punito L’assassino viene portato via
(Pu) e si sottintende l’arresto
31. nozze (N) – l’eroe si sposa e sale
al trono
Perissinotto 33 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Mi accorgo subito che un buon numero di caselle corrispondenti


ad altrettante funzioni rimane vuoto: la struttura monotipica del-
la fiaba è abbastanza distante da quella del mio racconto. In se-
condo luogo mi rendo conto che per collocare all’interno di alcu-
ne funzioni determinati passaggi della storia di Gotti ho dovuto
forzare parecchio le cose: la lotta diretta tra l’eroe e
l’antagonista (L) diventa qui un duello a distanza basato su prove
e deduzioni, il trasferimento dell’eroe è un semplice spostamento
sul luogo del delitto e così via.

Se dunque la struttura della fiaba non può essere applicata ad


altre forme di narrazione, a maggior ragione essa non può essere
usata come schema progettuale per creare storie. Per analizzare
il mio racconto alla luce delle funzioni di Propp ho già dovuto
effettuare delle forzature, ma cosa sarebbe accaduto se avessi
voluto riempire tutte le caselle rimaste vuote? Che risultato avrei
ottenuto se avessi voluto far tornare l’eroe (e dove?), se avessi
voluto per forza rimuovere il danno (avrei dovuto far resuscitare
il dottor Pagani?) o se avessi voluto introdurre un falso eroe?
Un risultato fallimentare, senza dubbio, perché nella fiaba tutto
deve tornare e non c’è posto per sfumature psicologiche o per
dubbi circa l’etica dominante, mentre nei romanzi e nei racconti,
così come nella vita vera, le cose sono più complicate e non
sempre l’eroe è del tutto buono o l’antagonista del tutto cattivo.
Se vogliamo possiamo divertirci a scrivere fiabe seguendo la
successione delle funzioni, ma con le altre forme di narrazione
questo non funziona.
A questo punto si potrebbe obiettare che il lavoro di Propp
non ci serve a nulla, ma anche qui sbaglieremmo.
In primo luogo, le ricerche del folclorista russo ci hanno mo-
strato che le strutture di fondo esistono, che è possibile indivi-
duare delle regole compositive che, con una certa elasticità, val-
Perissinotto 34 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

gono per tutte le narrazioni appartenenti ad un certo gruppo e


che quindi possiamo applicare l’esperienza maturata attraverso
una storia ad altre storie dello stesso genere; naturalmente, a
patto di non legarci troppo al rispetto di queste regole.
Inoltre, l’applicazione impropria della teoria proppiana alle
narrazioni complesse ha messo in evidenza che, sebbene sia dif-
ficile ritrovare nella letteratura non favolistica alcune sequenze
di funzioni o alcuni personaggi (ad esempio l’”aiutante magi-
co”), esistono funzioni, come il danneggiamento o la sconfitta
dell’antagonista, che sono presenti in ogni trama. Possiamo così
dire che ogni trama parte da una situazione iniziale di equilibrio
e che poi, attraverso una rottura di questo equilibrio determinata
da un danneggiamento, evolve fino a un ristabilimento di un
nuovo equilibrio. Questa idea di fondo ci apre la strada verso
modelli narrativi più generali, forse meno precisi nel descrivere
ciò che avviene nella storia, ma più largamente applicabili non
solo nell’analisi, ma anche nella progettazione di trame.

1.6 L’oggetto di valore


Muoviamoci ora in una direzione di massima generalizzazio-
ne. Propp individua nel confronto tra l’antagonista e l’eroe l’asse
portante della fiaba, ma talvolta, nel romanzo, è difficile indivi-
duare uno specifico antagonista, così come è difficile spesso
(specie nella letteratura del Novecento) individuare un autentico
eroe. Proviamo dunque a cambiare gli attori di questo confron-
to: non più due personaggi, ma due valori. Possiamo così dire
che una narrazione è sempre la storia di una lotta tra il bene e il
male, ma facendo attenzione a sottolineare che “Bene” e “Male”
non sono valori assoluti, né sono necessariamente i valori con-
divisi da una certa società o dettati da una certa etica. Il raccon-
Perissinotto 35 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

to è il teatro di questa lotta, ma è anche il luogo dove i valori di


riferimento vengono definiti: ogni racconto ha il proprio “Be-
ne” e il proprio “Male”. Facciamo qualche esempio.
In Lo strano caso del dottor Jekyll e mr. Hyde di Stevenson, i valori
che animano la trama sono gli stessi della società vittoriana: Je-
kill è onesto e misericordioso, al punto di tentare un esperimen-
to teso a separare nettamente il lato buono dal lato malefico di
ogni uomo; Hyde incarna invece la malvagità allo stato puro, il
disprezzo per gli altri e per la vita. La lotta tra il bene socialmen-
te condiviso e il male socialmente condiviso non potrebbe esse-
re più chiara.
Nei romanzi che hanno come protagonista Arsenio Lupin
(Leblanc, primo ventennio del 1900), o nei fumetti di Diabolik
assistiamo invece a un rovesciamento di questi valori: il “Bene”
di Lupin e di Diabolik, in quanto ladri e addirittura assassini, è
ciò che la società definisce “Male”; ciò nondimeno, fintanto che
rimane all’interno della finzione, cioè dentro la storia, il lettore si
immedesima nel protagonista e aderisce al suo programma nar-
rativo plaudendo il conseguimento di un “Bene” individuale
(l’impossessarsi dei beni altrui) che coincide con il “Male” socia-
le. Ma il “Bene” e il “Male” si scontrano anche quando il con-
flitto non assume i contorni di una lotta fisica o esplicita: in La
metamorfosi (Kafka, 1912), il “Bene” individuale che Gregor Sam-
sa desiderebbe, consiste nella possibilità di affermare la sua di-
versità rispetto alla società borghese, la quale, invece, rappresen-
ta il “Male”.
Ovviamente, le storie possono avere un lieto fine, quello in
cui il “Bene” definito all’interno dell’orizzonte del racconto pre-
vale sul “Male”, oppure un finale tragico, quello dove è il “Ma-
le” (sempre inteso come valore definito dalla narrazione stessa)
a vincere.
Perissinotto 36 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Il caso del romanzo di Stevenson evocato qui sopra è molto


particolare: in esso il “Bene” e il “Male” si presentano come en-
tità pure e astratte e per tali astrazioni si lotta e si muore. Nella
maggior parte delle storie però, i valori non vengono messi in
gioco allo stato puro, ma vengono, per così dire, caricati sugli
oggetti; Arsenio Lupin non agisce per un non ben definito “Be-
ne individuale”, ma agisce per appropriarsi di qualche gioiello: il
gioiello è così un oggetto che, per Lupin, si carica di valore, di-
venta il “Bene”. E poiché per la società è “Male” che quello
stesso gioiello non rimanga al suo legittimo proprietario, la lotta
tra il bene e il male sarà una lotta per il possesso di un oggetto
di valore.
Ed ecco il punto: ciò che dà vita alla narrazione è sempre la
lotta per la conquista di un oggetto di valore. Certo non dob-
biamo limitarci a concepire l’oggetto di valore come un oggetto
fisico o come un prezioso, l’oggetto di valore può essere:
- un oggetto fisico dotato di un valore intrinseco (denaro, oro,
diamanti, ecc.) o soggettivo (un ricordo di famiglia);
- un “oggetto di relazione” (l’amore, l’amicizia, la stima, la fi-
ducia in se stessi, ecc.);
- un “oggetto di potere” cioè una situazione di dominio
(l’eliminazione di un concorrente, di un rivale, la conquista
di una carica pubblica, ecc.)
- un “oggetto di sapere” cioè una conoscenza (un segreto, una
confessione, ecc.).
Ciò che conferisce valore all’oggetto è semplicemente il desi-
derio che uno dei personaggi (o più personaggi) prova per
l’oggetto stesso.
Per il protagonista di una storia, possedere l’oggetto di valore
equivarrà a far vincere il proprio “Bene” su di un “Male” rap-
presentato da tutto ciò che si frappone tra lui e l’oggetto: il per-
Perissinotto 37 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

corso che il protagonista farà per congiungersi al suo oggetto di


valore (indipendentemente dalla riuscita o meno di questa ope-
razione) è il programma narrativo, cioè la più generale delle
strutture del racconto.

1.7 Gli attanti


Chi è che, in una storia, opera per conquistare un oggetto di
valore? Qui sopra, per semplificare, abbiamo detto a desiderare
l’oggetto di valore sono i personaggi, ma ora è venuto il mo-
mento di precisare questa nozione e di eliminare alcune ambi-
guità terminologiche. Innanzi tutto, “personaggio” può indicare
non solo una figura generica (l’eroe, l’antagonista, ecc.), come
avviene nella teoria di Propp, ma anche un ben preciso “indivi-
duo letterario”, ed è quanto avviene quando diciamo frasi del
tipo: «Edmond Dantes è il personaggio principale del Conte di
Montecristo», oppure «I personaggi femminili di Verga sono parti-
colarmente riusciti». Per continuare ad elaborare modelli suffi-
cientemente flessibili, dobbiamo però continuare a lavorare con
un certo grado di generalizzazione e dunque evitare la possibile
confusione con i personaggi specifici. A questo scopo, Algirdas
Julien Greimas introduce il termine “attanti”. Gli attanti non
sono attori e non sono nemmeno personaggi, sono ruoli narra-
tivi, sono posizioni mutuamente definite che rimangono stabili
indipendentemente dalle figure concrete che le occupano.
Esemplifichiamo il tutto con una metafora calcistica. Possiamo
dire che gli attanti sono come i ruoli in campo: c’è il portiere, c’è
il difensore, c’è il centrocampista, c’è l’attaccante; ogni singolo
ruolo è definito dal rapporto con gli altri (il portiere sta davanti
alla porta, i difensori stanno davanti al portiere e dietro ai cen-
trocampisti, ecc.) e dalla funzione che svolge (il portiere para, il
Perissinotto 38 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

difensore si oppone all’avversario che si avvicina alla porta,


ecc.), ma non da chi lo interpreta (il portiere sta davanti alla por-
ta indipendentemente dal fatto che sia Zoff o Buffon). In un
racconto, secondo Greimas, vi sono sei attanti: il Soggetto,
l’Oggetto, il Destinante, il Destinatario, l’Aiutante e
l’Opponente o anti-Soggetto17.
Il Soggetto è quell’entità che, nella narrazione, lotta per con-
seguire l’Oggetto (di valore) che desidera; come abbiamo notato
prima, Soggetto e Oggetto si definiscono vicendevolmente at-
traverso il desiderio: l’Oggetto di valore diventa tale nel momen-
to in cui c’è un Soggetto che lo desidera e il Soggetto è tale solo
se vi è un Oggetto da desiderare. Ma perché vi sia desiderio è
quasi sempre necessario che vi sia qualcuno che lo rende deside-
rabile, qualcuno che lo carica di un valore positivo, cioè che lo
fa apparire come un Bene per il Soggetto: questo qualcuno è il
Destinante. Nel mito dell’Eden, Adamo ed Eva (Soggetto)
mangiano la mela (Oggetto) perché il serpente (Destinante) l’ha
mostrata a loro (Destinatari) come qualcosa di desiderabile. Il
ruolo del Destinatario e il ruolo del Soggetto tendono quindi a
coincidere ed è per questo che, d’ora in poi, non parleremo più
di Destinatario. Capita spesso poi che il ruolo del Destinante sia
del tutto implicito, cioè che il Destinante non sia qualcosa di fi-
sicamente presente nel racconto: se, nei Promessi Sposi, Renzo
desidera Lucia è perché lei non è troppo brutta, è buona, mode-
sta e lavoratrice, valori questi che la società contadina del Sei-
cento riteneva positivi; è dunque l’implicita presenza della socie-
tà a fungere da Destinante. Allo stesso modo, se nel nostro

17 La teoria greimasiana distingue tra Opponente e anti-Soggetto, ma ai


nostri fini questa distinzione può essere ignorata, assegneremo quindi
all’Opponente ruoli che pertengono all’anti-Soggetto e viceversa: Opponen-
te e anti-Soggetto saranno dunque per noi sinonimi.
Perissinotto 39 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

raccontino Gotti vede nella cattura dell’omicida un Oggetto di


valore è perché la società (che non per nulla gli paga lo stipen-
dio) glielo impone e funge da Destinante.
Com’è facile intuire, l’Opponente è colui che ostacola il Sog-
getto nel suo disegno di impossessarsi dell’Oggetto. Detto al-
trimenti, l’Opponente è un anti-Soggetto che mira a conquistare
lo stesso Oggetto desiderato dal Soggetto.
Di fatto un racconto non è soltanto la storia di un soggetto desi-
derante e di un oggetto desiderato, ma prevede una struttura pole-
mico-conflittuale che pone lo stesso oggetto al centro di due azioni
antagoniste. […] L’attore che si oppone al congiungimento tra sog-
getto e oggetto , cercando in tal modo di realizzare il valore contra-
rio, si dirà che occupa il ruolo di anti-Soggetto.18
Ovviamente, l’Aiutante sarà colui che aiuterà il Soggetto a
congiungersi con l’Oggetto.

1.8 Un modello universale: Greimas e il program-


ma narrativo
Parlando della narrazione come della lotta per la conquista di
un oggetto di valore, possiamo notare come, ridotta alla sua
formulazione più semplice, la storia sia riconducibile a un pro-
gramma strutturato in tre fasi:
• INIZIO: vi è un soggetto disgiunto da un oggetto di valore
(SO)
• SVILUPPO: il soggetto opera per congiungersi all’oggetto
di valore
• FINE: il soggetto si congiunge all’oggetto di valore (SO)

18 F. Marciani, A. Zinna, Elementi di semiotica generativa, Esculapio, Bologna

1991.
Perissinotto 40 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Questo programma, estremamente semplice, viene chiamato


Programma narrativo di base (PNb) ed è il vero motore della vicen-
da, ciò che fa agire i personaggi, ciò che sta sotto quelle che i
teorici d’un tempo chiamavano le “peripezie” dei personaggi
stessi.
Non c’è racconto, romanzo, commedia o fiaba a lieto fine in
cui non possa essere individuato un programma narrativo di ba-
se di questo tipo; e dove manca il lieto fine, il programma narra-
tivo di base non è diverso: semplicemente, quello che viene por-
tato a termine è il programma narrativo dell’Opponente, ma di
questo ci occuperemo in seguito.
Naturalmente, sono pochissime le storie così banali da poter
consistere nel solo programma narrativo di base; neppure le si-
tuazioni più quotidiane sono così semplici: Giulia vede Marco a
una festa e se innamora a prima vista (Inizio), lei gli chiede se è
disposto a fidanzarsi con lei (Sviluppo) e dopo un anno si spo-
sano (Fine). No, non funziona così. Presumibilmente, prima che
Giulia possa chiedere a Marco di fidanzarsi occorrerà che qual-
cuno li presenti, cioè occorrerà che lei ottenga un oggetto di sa-
pere intermedio costituito dal nome e dai dati di Marco; poi, in
occasione del primo appuntamento, sarà necessario che Giulia si
vesta e si trucchi in modo da sedurre Marco: gli abiti e il trucco
saranno altri oggetti di valore intermedi che le consentiranno al-
la fine di conseguire l’oggetto di valore finale, cioè Marco (o
meglio il suo amore). Dunque, le storie sono molto più compli-
cate di quanto non lo sia il loro programma narrativo di base (e
meno male, altrimenti finirebbero subito e sarebbero noiosissi-
me). A complicarle sono i vari Programmi narrativi d’uso (PNu),
cioè quei programmi che servono al Soggetto per congiungersi
con altrettanti Oggetti di valore intermedi, grazie ai quali si con-
giungerà all’Oggetto di valore finale (ad esempio, in un polizie-
Perissinotto 41 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

sco, l’arresto di uno scippatore può fornire elementi che con-


durranno poi all’identificazione dell’assassino). In molti video-
giochi, il ruolo degli oggetti di valore intermedi nello sviluppo
della narrazione è particolarmente evidente ed esplicito: per po-
ter aprire la tale porta devi prima aver scoperto una certa chiave,
per scoprire quella certa chiave devi prima aver conquistato a
suon di pungi virtuali la mappa del luogo e così via.
Ma, come esemplificazione, usiamo ancora una volta la fiaba
di Cenerentola.
Il programma narrativo di base (PNb) è il seguente

PNb = Il Soggetto vuole congiungersi col suo Oggetto di va-


lore finale = Cenerentola vuole sposare il Principe e alla fine lo
sposa.
Notiamo di sfuggita che a scatenare il desiderio del Soggetto
(Cenerentola) verso l’Oggetto (Principe) è il Destinante, cioè il
Re che emette il bando attraverso il quale annuncia che il Prin-
cipe cerca moglie, altrimenti Cenerentola non si sarebbe mai so-
gnata di sposare il Principe.

Ma per poter sposare il Principe, Cenerentola deve poter an-


dare al ballo, quindi:

PNu1 = L’eroina deve congiungersi con un oggetto di valore


relativo che le permetta di conseguire l’oggetto di valore finale =
Cenerentola va al ballo.

Ma per poter andare al ballo Cenerentola deve avere una car-


rozza,
dei vestiti eleganti, delle scarpe preziose, quindi, grazie
all’intervento dell’Aiutante:
Perissinotto 42 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

PNu2 = … = La fata dona a Cenerentola una carrozza


PNu3 = … = La fata dona a Cenerentola dei vestiti
PNu4 = … = La fata dona a Cenerentola delle scarpe

Ecco uno schema:

PNu1 e l’insieme di PNu2, 3 e 4 sono in rapporto gerarchico


tra loro, nel senso che il programma narrativo d’uso 1 è reso
possibile dalla messa in atto e dalla conclusione dei programmi
2, 3 e 4, mentre questi ultimi sono in rapporto sequenziale tra
loro.

In tutto questo, noi non abbiamo considerato il ruolo


dell’Opponente e ci siamo limitati ad osservare i programmi
narrativi del Soggetto, ma è evidente che anche l’anti-Soggetto
ha un suo preciso piano e che questo piano interseca quello del
Soggetto. Nello stesso modo in cui il Soggetto cerca di avvici-
narsi all’Oggetto, l’anti-Soggetto tende ad allontanarlo vuoi per-
ché anch’egli mira allo stesso Oggetto, vuoi perché il suo vero
Oggetto è l’infelicità del Soggetto, cioè il suo perenne stato di
disgiunzione dall’Oggetto di valore (SO).
In Cenerentola, l’anti-Soggetto può essere facilmente indivi-
duato nelle sorellastre: anche per loro l’Oggetto di valore è il
Perissinotto 43 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Principe e anche a loro servono oggetti intermedi, anche se non


dovranno lottare per ottenerli.
Diverso è invece il caso dell’Otello di Shakespeare: qui la lotta
non è per la conquista di uno stesso oggetto, bensì per il rag-
giungimento di due fini diversi e mutuamente esclusivi. Se, da
un lato, l’oggetto di valore di Otello è Desdemona, dall’altro,
l’Oggetto di valore di Jago, l’Opponente, è la rovina e l’infelicità
di Otello: sebbene l’Oggetto di valore non sia conteso tra Sog-
getto e anti-Soggetto, è evidente che la realizzazione del pro-
gramma narrativo dell’uno conduce necessariamente al fallimen-
to del programma narrativo dell’altro. Ed ecco dunque la
struttura di una narrazione priva di lieto fine: il programma nar-
rativo di base dell’anti-Soggetto giunge a compimento in manie-
ra duratura impedendo che avvenga la stessa cosa per il pro-
gramma narrativo del Soggetto.
Quando decidiamo di costruire strutturalmente una storia,
dobbiamo quindi pensare a mettere in campo almeno due pro-
grammi narrativi di base in competizione tra loro, due pro-
grammi d’azione, l’uno del soggetto, l’altro dell’anti-Soggetto,
che si sfidano costantemente. Per ognuno di questi programmi
narrativi di base dovremo poi pensare ad un certo numero di
programmi narrativi d’uso, in modo da complicare sufficiente-
mente il racconto.
Adesso immaginiamo di ripartire da zero con la costruzione
della trama di L’estate del maresciallo Gotti e vediamo come il mo-
dello del Programma Narrativo ci può essere utile in fase di
progettazione.

Devo creare una trama, cioè devo scegliere due attanti, il Sog-
getto e l’anti-Soggetto e stabilire, per ognuno di loro, un pro-
gramma narrativo di base.
Perissinotto 44 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Siccome il racconto che devo scrivere è un poliziesco, partirò


dal programma narrativo dell’anti-Soggetto, cioè dell’assassino,
poiché il PNb dell’investigatore dipenderà da quello del crimina-
le.
Parto dalla formulazione più astratta: un anti-Soggetto vuole
conseguire un Oggetto.
Poi definisco questo Oggetto e il perché esso è desiderato
dall’anti-Soggetto: l’Oggetto è una vendetta e il motivo per cui
l’anti-Soggetto la desidera è da ricercarsi nelle menomazioni che
la vittima ha inferto al figlio dell’anti-Soggetto.
Stabilisco poi quali sono i programmi narrativi d’uso che con-
sentono all’anti-Soggetto di raggiungere il suo fine, e qui, muo-
vendomi a ritroso come abbiamo fatto per l’analisi di Cenerento-
la, mi chiarisco quali sono i passaggi che conducono l’assassino a
portare a termine il suo crimine: spinge la vittima in un burrone,
ma prima le deve attirare in un tranello, ma per tendergli il tra-
nello deve avere delle informazioni su di lui; ecco tre PNu per
rendere un po’ più complesso l’agire dell’anti-Soggetto.
Una volta delineati i PN dell’anti-Soggetto, passo al Soggetto.
Il suo Oggetto di valore finale consisterà nella punizione del
colpevole (PNb). Ma prima il Soggetto deve conoscere il colpevole
(PNu1), cioè l’anti-Soggetto, per conoscerlo dovrà capire come è
avvenuto l’omicidio (PNu2) e per capirlo dovrà immaginare il tra-
nello (PNu2), ecc.
I programmi narrativi del Soggetto e dell’anti-Soggetto sono
quindi speculari e modellando uno avrò gli elementi per modella-
re anche l’altro.
Noterete che il modo di operare per la costruzione della trama
è ora diverso rispetto a quello che abbiamo presentato quando
parlavamo di intreccio e fabula. In realtà, la diversità è apparen-
te: ragionare in termini di fabula o in termini di Programma Nar-
rativo, significa solo usare strumenti differenti per fare chiarezza
sui meccanismi della propria creatività, significa pensare diver-
samente a ciò che si sta comunque facendo. Di fatto, la creazione
dei programmi narrativi d’uso risponde alle stesse logiche di cau-
salità (relazione di causa ed effetto) che erano alla base della
Perissinotto 45 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

creazione della fabula; l’unica differenza è che il modello del


Programma Narrativo mette maggiormente in evidenza la dimen-
sione polemica del racconto, la sua essenza di lotta tra due volon-
tà contrapposte.

1.9 Il voler-fare, il saper-fare e il poter-fare: la teo-


ria delle modalità
Sia che impieghiamo il modello del Programma Narrativo, sia
che utilizziamo il semplice buon senso, comprendiamo facil-
mente come il racconto sia il susseguirsi di azioni motivate da
una logica interna e mirate a uno scopo (il conseguimento
dell’Oggetto di valore). Nella struttura del racconto ci sono
dunque degli attanti che agiscono, cioè che “fanno” delle cose.
Ma, affinché le azioni siano davvero motivate, il verbo “fare”
deve essere accompagnato da altri verbi modali quali “sapere”,
“volere” e “potere”.
All’origine del racconto c’è un Destinante che, attribuendo
valore a un Oggetto, inculca nel Soggetto un “voler-fare”, cioè
un voler operare in modo da congiungersi con quell’Oggetto: il
serpente induce Adamo ed Eva a voler prendere la mela (“vo-
ler-fare”), la società obbliga il maresciallo Gotti a voler indagare
(“voler fare”). Il Destinante è l’ente primo che non ha bisogno
di giustificazioni: il racconto lo dà per scontato e non si chiede
perché il Destinante sia in grado di generare un “volere”, ovve-
ro, noi sappiamo che Satana prende le sembianze del serpente
per indurre Adamo ed Eva a ribellarsi a Dio, ma non possiamo
chiederci come egli sia in grado di fare ciò, lo fa e basta.
Il “voler-fare” produce il programma narrativo di base, ma
non basta a giustificare le singole azioni, non basta a dar loro
una logica. Un Soggetto dotato del solo “voler-fare” appare as-
Perissinotto 46 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

solutamente velleitario; c’è bisogno che egli possieda anche un


“saper-fare”. Non basta che Cenerentola voglia sposare il prin-
cipe e voglia andare al ballo, deve anche sapere come ci si abbi-
glia per andare al ballo: nella maggior parte della versioni della
fiaba, Cenerentola ha già questa competenza mondano-
seduttiva, nei rari casi in cui ella non la possiede, la narrazione
prevede un’opportuna istruzione su come ci si reca a un ballo di
gala, cioè prevede l’acquisizione preliminare, attraverso un pro-
gramma narrativo d’uso, di un oggetto di sapere.
Acquisto il “saper-fare”, il soggetto deve conseguire il “poter-
fare”: ora che Cenerentola sa come dovrebbe agghindarsi per
andare al ballo, come può procurarsi il necessario? Sarà la fata,
in veste di Aiutante, a consegnare a Cenerentola, il “poter-fare”
che segue il suo “saper-fare” e che prelude al suo “fare”, o me-
glio al suo “far-essere” (cioè al suo “fare in modo da essere”
sposata con il principe).
Quindi, il Soggetto vuole, sa e può fare le azioni che gli com-
petono per il raggiungimento del suo obiettivo e per lo sviluppo
della narrazione. Non si tratta di un semplice gioco di verbi, ma
di una precisa caratterizzazione del Soggetto e, di conseguenza,
anche del personaggio corrispondente19. Questo punto sarà più
chiaro pensando, ancora una volta, al nostro racconto.
Prima abbiamo delineato il programmi narrativi dell’anti-
Soggetto e del Soggetto. Adesso dobbiamo tentare di passare dal-
la genericità del Soggetto ed un personaggio un po’ più definito. A
dire il vero, la maggior parte delle caratterizzazioni del personag-

19 La differenza tra il Soggetto e il personaggio corrispondente si va via via

chiarendo: in questa fase possiamo ribadire che il Soggetto è un semplice


ruolo attanziale, un ruolo generico, mentre il personaggio che funge da sog-
getto è un individuo dotato di caratteristiche ben precise per ciò che attiene
la fisionomia, il carattere e la profondità psicologica.
Perissinotto 47 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

gio non verranno collocate al livello delle strutture, bensì al livel-


lo del discorso (e questo lo vedremo dopo); tuttavia, in questa fa-
se abbiamo già bisogno di sapere a grandi linee chi impersonerà il
ruolo del Soggetto,cioè, in pratica, chi sarà ad indagare. Ne ab-
biamo bisogno adesso, perché a seconda che l’investigatore sia un
detective privato, un tutore dell’ordine o un dilettante, la nostra
trama e a nostra struttura prenderanno fisionomia diverse.
Ma cosa cambia tra un detective privato, un carabiniere (o un
poliziotto) e un dilettante? Cambiano appunto il “voler-fare”, il
“saper-fare” e il “poter-fare”. Perché mai un privato cittadino
dovrebbe voler indagare su un caso di omicidio? Le motivazioni
possibili sono parecchie (la vittima era un suo amico, qualcuno lo
sta accusando ed egli deve scagionarsi, ecc.), ma di sicuro sono
diverse dalle motivazioni che inducono un carabiniere ad indagare
(il senso del dovere, un ordine dei superiori, ecc.) o da quelle che
inducono un investigatore privato (essenzialmente i soldi): dun-
que, la prima caratterizzazione che darò al mio personaggio prin-
cipale sarà quello relativa al “volere”, relativa cioè al desiderio
che egli prova per l’oggetto.
Poi c’è il “saper-fare”. Se scelgo un tutore dell’ordine o un de-
tective professionista, posso dare per scontata la sua competen-
za, se invece preferisco un dilettante dovrò fare in modo che egli
impari ad investigare e quindi dovrò dedicare una parte del mio
racconto ad una sorta di apprendistato del protagonista.
Decido allora di utilizzare, nel ruolo di Soggetto, un carabinie-
re, così mi tolgo tutti i problemi circa il “voler-fare” (indaga per-
ché è il suo mestiere) e circa il “saper-fare” (do per scontato che
sia un bravo carabiniere e che sappia fare il suo lavoro); a questo
punto anche il “poter-fare” va da sé, a meno che io non crei volu-
tamente qualche ostacolo da parte dei superiori, ma con sole
3000 battute a disposizione non è proprio il caso.
Abbiamo quindi capito che l’analisi del “voler-fare”, del “sa-
per-fare” e del “poter-fare” è di vitale importanza per la crea-
zione di personaggi e di situazioni credibili: per poter condurre a
termine il proprio Programma Narrativo, il personaggio deve pos-
sedere le giuste caratteristiche.
Perissinotto 48 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE
Perissinotto 49 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

PARTE SECONDA: Il mondo possibile del


racconto.
2.1 Nonna Papera può cucinare il tacchino? I
mondi possibili
“Gent.mo sig. Perissinotto,
ho letto con piacere il suo racconto a puntate L’estate del ma-
resciallo Gotti, ed è per questo che le pongo la seguente doman-
da: dove si trova il paese di Montenevoso? Nel racconto lei sostie-
ne che Montenevoso è una stazione sciistica a un centinaio di
chilometri da Torino, ma io non l’ho trovato né sulla carta, né
sull’elenco dei comuni della provincia di Torino. Potrebbe essere
più preciso? O, in alternativa, potrebbe ammettere pubblicamen-
te che ha mentito?
Cordialmente

Un lettore”

Cosa rispondere? Il poeta è un fingitore, direbbe Pessoa; il


narratore lo è di più. Nell’uso popolare dell’italiano, raccontare
delle storie significa raccontare frottole: il narratore dunque rac-
conta storie (nella duplice accezione di sequenze di eventi e di
menzogne), ma lo fa con l’aria seria di chi espone una verità as-
soluta, anche quando parla di un gatto che calza stivali da cava-
liere o di una top-model che si innamora di un operaio metal-
meccanico di mezza età. L’aria seria di chi dice il vero serve a
stabilire con il lettore un “patto finzionale” (v. par. 2.2) che isti-
tuisce un “mondo possibile”.
Ogni volta che si inventa una storia, si crea un mondo possi-
bile che non è quello reale anche se può assomigliargli molto.
Anche il romanzo più realistico, in quanto frutto di finzione, è
Perissinotto 50 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

collocato in un mondo diverso da quello vero: la semplice in-


troduzione di personaggi di invenzione all’interno di un conte-
sto reale è sufficiente a trasformare il mondo della storia in un
“mondo possibile” più o meno distante da quello reale. Si può
addirittura giungere ad utilizzare personaggi storici e a collocarli
nel loro vero contesto, come fa Margaret Doodey in Aristotele
Detective (Sellerio 2000) o Luca Leone in I delitti del mosaico (Mon-
dadori, 2004) dove ad indagare è nientemeno che Dante Ali-
ghieri, ma il fatto stesso di attribuire a questi personaggi azioni
non attestate storicamente (nessun testimone dell’epoca ci ha
mai dato notizia di una vocazione poliziesca del sommo poeta)
crea il “mondo possibile”: è possibile che le capacità deduttive
di Aristotele gli permettessero di risolvere misteriose questioni
di delitti; è possibile ma non è reale, il che significa che io posso
crederci, ma non sono obbligato a farlo, mentre sono obbligato
a credere che Aristotele sia vissuto ad Atene tra il 384 e il 322
a.c..
La sola condizione per narrare senza dare vita a un “mondo
possibile” è quella di raccontare una storia vera senza alterarne
assolutamente nulla, senza cioè introdurre alcun elemento ro-
manzesco, ma a quel punto siamo nell’ambito della biografia o
della cronaca e non del romanzo.
La nozione di mondo possibile è di derivazione filosofica (la
utilizzano, sia pure in modi diversi, Leibniz, Vico, Quine e molti
di coloro che si sono occupati di logica proposizionale): un
mondo possibile si definisce per un insieme di regole che lo ca-
ratterizzano; in ambito narrativo, queste regole stabiliscono qua-
li comportamenti, quali azioni e quali ambientazioni possono
essere creduti dal lettore (o dallo spettatore) e quali invece ven-
gono rigettati come incoerenti. Persino un mondo possibile
estremamente tollerante com’è quello della fiaba, accetta un cer-
Perissinotto 51 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

to numero di varianti irreale, ma non ne accetta altre: se a salva-


re la Bella addormentata è il Principe Azzurro col suo bacio,
non mi chiedo se questo sia possibile o meno e non mi doman-
do quale particolare enzima contenuto nella saliva del principe
faccia uscire la ragazza dal coma, accetto la soluzione e (narrati-
vamente parlando) ne sono appagato; se invece, a salvare la Bel-
la è Spiderman con una dose di ISO-36, la cosa mi lascia per-
plesso, non perché Spiderman sia meno credibile del Principe
Azzurro, ma perché il mondo di incantesimi e sortilegi della Bel-
la Addormentata nel Bosco non è compatibile con il mondo
(fanta-)scientifico dell’Uomo Ragno.
Vediamo come Umberto Eco mostra il passaggio dalla no-
zione strettamente filosofica di mondo possibile a quella più let-
teraria:
Definiamo come mondo possibile uno stato di cose espresso da
un insieme di proposizioni dove per ogni proposizione o p o ~p.
Come tale un mondo consiste in un insieme di individui forniti di
proprietà. Siccome alcune di queste proprietà o predicati sono azioni,
un mondo possibile può essere visto come un corso di eventi. Sic-
come questo corso di eventi non è attuale, ma appunto possibile, esso
deve dipendere dagli atteggiamenti proposizionali di qualcuno, che lo af-
ferma, lo crede, lo sogna, lo desidera, lo prevede, eccetera.
Queste definizioni sono formulate in molta letteratura sulla logi-
ca dei mondi possibili. Alcuni inoltre paragonano un mondo possi-
bile a un “romanzo completo” ossia a un insieme di proposizioni
che non può essere arricchito senza renderlo inconsistente. Un
mondo possibile è ciò che questo romanzo completo descrive. (…)
Naturalmente dire che un mondo possibile equivale a un testo (o
libro che sia) non significa dire che ogni testo parli di un mondo
possibile. Se scrivo un libro storicamente documentato sulla scoper-
ta dell’America, mi riferisco a quello che definiamo mondo “reale”.
Descrivendone una porzione (Salamanca, le caravelle, San Salvador,
le Antille…) assumo come presupposto o presupponibile tutto ciò che so
sul mondo reale (diciamo, che l’Irlanda si trova a ovest
Perissinotto 52 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

dell’Inghilterra, che in primavera fioriscono i mandorli e che la


somma degli angoli interni di un triangolo fa centoottanta gradi).20

Dunque, il testo storicamente documentato sulla scoperta


dell’America, non fonda un mondo possibile perché, proprio in
quanto documentato, fa riferimento al mondo reale; ma se in
esso io aggiungo la seguente proposizione, “Nascosto nella stiva
della Santa Maria viveva un topolino bianco”, rendo inconsistente
quel mondo e ne fondo un altro che, appunto, è possibile e che
non differisce da quello reale se non perché la presenza di quel
topolino viene data come certa pur senza essere storicamente
documentata. In questo caso, l’inserimento di un elemento non
reale (le Antille, la Santa Maria, ecc. sono reali, il topolino non
lo è) non destabilizza il sistema-testo fino a falsificare le altre
proposizioni o le varie proposizioni; cioè, la presenza del topo-
lino non rende automaticamente falso il fatto che le Colombo
abbia scoperto l’America o che l’Irlanda stia ad ovest
dell’Inghilterra: il mondo possibile che si viene a creare conserva
così tutte le regole fondative del mondo reale ed è perciò un
mondo realistico.
Possiamo quindi affermare che esistono due tipi di mondo
possibile:
1) i mondi possibili realistici, quelli dove vigono le stesse
regole del mondo reale e del tempo nel quale si colloca
la storia;
2) i mondi possibili non realistici (o fantastici), quelli dove
vigono regole diverse da quelle del mondo reale.

20 U. Eco, Lector in fabula, Bompiani 1989, p.128-129 (ed. or. 1979)


Perissinotto 53 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

O, per dirla con Hintikka21, vi sono mondi che si accordano ai


nostri atteggiamenti proposizionali e mondi che non si accorda-
no.
I promessi sposi, Robinson Crusoe, Moby Dick, La coscienza di Zeno e
migliaia di altri romanzi fondano mondi possibili di tipo realisti-
co: Renzo Tramaglino, Robinson, il capitano Achab e Zeno Co-
sini non sono mai esistiti, ma per loro valevano le stesse regole
di esistenza che valgono per me lettore.
A dire il vero, la questione è meno semplice di quanto appaia
e la definizione di Hintikka ce ne rende ragione. Parlare di realtà
e di mondo reale non significa esprimere concetti validi per tutti e
in tutte le epoche: per i lettori medievali della Divina Commedia o
del Libro piccolo di Meraviglie di Jacopo da Sanseverino (nel quale
si descrive, ad esempio, la caccia all’unicorno), i mondi narrati
non erano poi così fantastici e irreali; erano mondi che non tro-
vavano riscontro nell’esperienza del lettore comune, ma che si
accordavano perfettamente con i loro atteggiamenti proposizionali,
cioè con quanto essi affermavano essere reale. Allo stesso mo-
do, la descrizione della prima passeggiata lunare di Neil Am-
strong appare a noi un testo realistico anche se non siamo stati
sulla luna, mentre il viaggio compiuto dai protagonisti di Dalla
terra alla luna apparteneva a un mondo fantastico tanto per letto-
ri contemporanei di Jules Verne, che affermavano che nessuno
era mai stato sul nostro satellite, quanto per noi che sappiamo
(o crediamo) che il primo a metterci piede è stato appunto Am-
strong.
Semioticamente diremo allora che l’attribuzione di un mondo
possibile alla categoria del realistico o del fantastico, dipende

21 J. Hintikka, Semantica delle attitudini proposizionali, in L. Linsky, Riferimento e

modalità, Bompiani, Milano 1974 (ed. or. 1969)


Perissinotto 54 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

dall’enciclopedia del lettore, cioè dall’insieme di conoscenze, cre-


denze ed esperienze che egli mette in gioco per interpretare te-
sti.
La fondazione di mondi possibili di tipo realistico non pone
eccessivi problemi; per costruire un romanzo dove i personaggi
condividano i miei stessi atteggiamenti proposizionali basta che mi
guardi intorno, per costruire un romanzo storico dove i perso-
naggi condividano gli atteggiamenti proposizionali della loro epoca
mi sarà sufficiente leggere un buon quantitativo di libri di storia:
i problemi nascono semmai quando devo rendere coerente la
mia vicenda inventata con le regole del mondo reale, ma di que-
sto parleremo dopo. Diversa è invece la situazione quando scel-
go di creare un mondo possibile di tipo fantastico.
Cosa accede quando delineo un mondo fantastico come quello di
una fiaba? Raccontando la storia di Cappuccetto Rosso ammobilio
il mio mondo narrativo con un numero limitato di individui (la
bambina, la mamma, la nonna, il lupo, il cacciatore, due capanne, un
bosco, un fucile, un canestro) forniti di un numero limitato di pro-
prietà. Alcune delle assegnazioni di proprietà a individui seguono le
stesse regole del mondo della mia esperienza (per esempio anche il
bosco della fiaba è fatto di alberi), alcune altre assegnazioni valgo-
no solo per quel mondo: per esempio in questa fiaba i lupi hanno la
proprietà di parlare, le nonne e le nipotine di sopravvivere
all’ingurgitazione da parte dei lupi.22
Dunque, anche nei mondi possibili non realistici, gran parte
delle regole sono quelle del mondo reale, solo che in essi è con-
sentito introdurre elementi non realistici: l’importante è che
l’autore renda questi elementi fantastici coerenti con gli altri. Ad
esempio, a Paperopoli le automobili hanno quattro ruote e un
volante e vanno sulle strade, non volano, non sono alimentate
ad acqua, né sono fatte di mollica di pane: solo che a guidarle

22 U. Eco, cit. p. 129.


Perissinotto 55 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

sono dei paperi. I paperi sono l’elemento irrealistico, ma la coe-


renza del tutto viene ottenuta attraverso l’umanizzazione dei lo-
ro comportamenti, per cui Nonna Papera, nel giorno del Rin-
graziamento, può tranquillamente cucinare il tacchino.
Talvolta, l’elemento irrealistico irrompe sulla scena del mon-
do possibile di tipo realistico come indispensabile elemento di
contrasto; è il caso delle storie che introducono fenomeni so-
prannaturali (zombie, fantasmi, telecinesi, ecc.) in situazioni più
o meno ordinarie. Se il mondo possibile di Dylan Dog, ancorché
non realistico, fosse molto diverso da quello reale, verrebbe
meno nel protagonista la funzione di “detective del mistero”,
poiché nessun fatto risulterebbe incredibile e nulla richiederebbe
le particolari indagini di Dylan.

2.2 Mi credi se ti dico che…? Il contratto di veridi-


zione.
Perché il fatto che Nonna Papera cucini il tacchino non ci
provoca il benché minimo turbamento? È un po’ come se cuci-
nasse suo cugino. Perché non ci fa specie che Topolino conduca
Pluto (un cane quadrupede) al guinzaglio mentre passeggia e
chiacchiera con Pippo (un cane bipede)? Perché tutte queste co-
se non ci stupiscono, almeno fino a che qualcuno non viene a
farcele notare in chiave comica?23
È per via del contratto di veridizione.
Con contratto di veridizione, o patto finzionale, si intende
l’accordo che si stabilisce tra il narratore e il lettore e in virtù del
quale quest’ultimo “sospende l’incredulità” e assume come vero
ciò che il narratore sta per raccontargli.

23 Mi riferisco a: C. Bisio, Quella vacca di Nonna Papera, Baldini & Castoldi,

Milano 1993
Perissinotto 56 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Generalmente, il patto si stabilisce nei primi passaggi del rac-


conto attraverso la descrizione dei luoghi, dei personaggi e delle
loro attitudini; altrettanto generalmente, questo patto viene
mantenuto stabile lungo tutto il corso della narrazione. È il con-
tratto di veridizione ad esplicitare le regole che strutturano il
mondo possibile.
A parte alcune significative eccezioni24, la prima cosa che,
come autori, ci preoccupiamo di far capire al nostro pubblico è
il tipo di mondo in cui la storia si svolge. Non è un caso che,
volendo raccontare una fiaba, io inizi con «C’era una volta in un
paese lontano…»: questa formula stereotipata mi permette di
comunicare immediatamente ai miei ascoltatori che i fatti si
svolgeranno in un “non qui” e “non ora” e che quindi non an-
dranno applicati i criteri di credibilità con i quali valutiamo la ve-
rosimiglianza dei racconti di vita quotidiana.
Ecco qualche famoso incipit con funzione veridittiva
I computer SubInfo della Lies Incorporated erano stati sorpresi
nel compimento di un atto anormale da un meccanico della manu-
tenzione. Il computer SubInfo Cinque aveva trasmesso informazio-
ni che non erano una bugia.
Bisognava smontarlo per vedere perché. E a chi fossero andate
le informazioni esatte.
Probabilmente non ci sarebbe stato modo di individuare il desti-
natario delle informazioni esatte. Ma un controllo vettoriale prov-

24 Una di queste è rappresentata dal film Dal tramonto all’alba (regia di Ro-
driguez, USA 1996), che basa tutto il suo fascino sull’infrazione del patto fin-
zionale che avviene a metà della narrazione: per i primi 40 minuti crediamo
infatti che si tratti di una storia poliziesca (e la presenza di Tarantino quale
interprete del personaggio di uno dei due rapinatori rafforza questa ipotesi);
all’improvviso invece, una cameriera si trasforma in vampiro e, da quel mo-
mento in poi, il mondo possibile del film muta radicalmente.
Perissinotto 57 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

vedeva alla registrazione automatica di tutte le informazioni tra-


smesse dalla serie di computer situati qua e là sulla Terra.25
Bastano queste poche righe del maestro della fantascienza
Philip K. Dick per proiettarci un globo terracqueo diverso da
quello del 1964 in cui il libro è stato scritto, per privare il lettore
della possibilità di esprimere qualsivoglia giudizio di verità: il
mondo possibile futuro, purché coerente al proprio interno,
non crea problemi di rispetto del reale (problemi del tipo: esiste
vicino a Torino una località sciistica chiamata Montenevoso?),
dal momento che fonda esso stesso un proprio universo di rife-
rimento. La scelta di sospendere l’incredulità di fronte a un ro-
manzo di anticipazione (è questa la formula utilizzata per defini-
re i romanzi ambientati nel futuro, indipendentemente dal posto
che i temi tecnologici e scientifici trovano in esso) è libera e ar-
bitraria, del tutto indipendente dal contesto reale.
Le cose si complicano quando invece si imbocca la via del
surreale (per usare una categoria molto generica) o comunque si
decide di combinare tra loro elementi reali ed elementi fantasti-
ci.
Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò
trasformato in un enorme insetto. Sdraiato nel letto sulla schiena
dura come una corazza, bastava che alzasse un po’ la testa per ve-
dersi il ventre convesso, bruniccio, spartito da solchi arcuati…26
Se vogliamo continuare a leggere la Metamorfosi, non pos-
siamo fare a meno di credere ciò che Kafka (o meglio, il narra-
tore da lui creato) ci sta dicendo, ma, al tempo stesso, non pos-
siamo fare a meno di notare l’incoerenza tra proposizioni tutte
egualmente verosimili, ma inconciliabili tra loro. Gregor Samsa

25 Philip K. Dick, Utopia andata e ritorno, Mondadori 1994, p. 13 (ed. or.


1964)
26 Franz Kafka, La metamorfosi, Garzanti, Milano 1974, p.21 (ed. or. 1912)
Perissinotto 58 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

è un nome perfettamente umano, è umano e realistico risve-


gliarsi nel proprio letto (e non su un qualche futuribile giaciglio
a sospensione antigravitazionale) e in una normale stanza per esseri
umani; non meno realistico è il fatto che un insetto abbia la co-
razza dura è le zampette sottili: il solo aspetto inquietante è che
l’umano e realistico Gregor Samsa è diventato un quasi realistico
(di strano ci sono solo le dimensioni) insetto. Se da qualche par-
te il testo ci comunicasse che tutto ciò avviene nel 3452 d.C.,
potremmo abbandonare più facilmente la nostra diffidenza ver-
so il narratore e dire a noi stessi che tra le proprietà implicite di
quel mondo possibile terrestre del 3452 d.C. vi è quella della tra-
smutabilità degli esseri viventi; ma il testo si guarda bene dal
darci una simile indicazione. Ecco dunque che l’elemento fanta-
stico irrompe nel contesto reale per creare frattura e per indicar-
ci l’esistenza di un mondo parallelo a quello reale, un mondo
che, diversamente da quanto accade con Dylan Dog, non è so-
prannaturale, bensì metaforico: Kafka (e con lui Buzzati o Lan-
dolfi, solo per citare i surrealisti italiani più noti) fonda un mon-
do (im-)possibile, un mondo inconsistente e contraddittorio, per
obbligare il lettore a guardare oltre le logiche dei fatti.
Ed ora passiamo ad un esempio di contratto di veridizione,
sempre stipulato nell’incipit, dove l’autore precisa immediata-
mente che il mondo di riferimento è quello reale.
Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della
strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino a Ognina, ed ad Aci
Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di
quel che sembra dal nomignolo, come dev’essere. Veramente nel li-
bro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva
dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e
ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di pa-
Perissinotto 59 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

dre in figlio, che avevano sempre avuto barche sull’acqua, e delle te-
gole al sole.27
Anche qui, la prima cosa che Verga ci dà in pasto è il tipo di
universo entro il quale si muovono i suoi personaggi; ci sono
nomi di luoghi notoriamente reali (Trezza e Aci Castello), c’è un
soprannome plausibile (Malavoglia), c’è persino un cognome
(Toscano) iscritto nel libro della parrocchia, cioè all’anagrafe: in
definitiva, c’è tutto quello che serve a farci credere che la storia
narrata potrebbe essere reale. Assegnati questi punti di riferi-
mento, noi sappiamo come muoverci nella narrazione e sappia-
mo che se il protagonista del Neuromante di Gibson connette di-
rettamente alla Rete il proprio sistema nervoso non dobbiamo
sorprenderci, mentre se lo fa padron ‘Ntoni è meglio preoccu-
parsi.
Torniamo al nostro caso concreto.
Prima ancora di stabilire come consegnare al lettore il mondo
possibile della mia storia, devo decidere qual è quel mondo. Mi
hanno richiesto un racconto poliziesco, ma nessuno mi ha imposto
l’ambientazione spazio-temporale; ovviamente, per ottemperare
a quest’obbligo minimo, devo scegliere un mondo dove vi siano
leggi da infrangere, qualcuno che le infranga e qualcuno che le
faccia rispettare, per il resto posso scegliere tra presente, passa-
to, futuro, tra uomini, animali parlanti, marziani ecc.
Opto per la soluzione più banale: un mondo possibile simile a
quello di oggi sulla Terra, anzi in Italia, con la sola differenza che
nel mio vi è un paese chiamato “Montenevoso”, un maresciallo
chiamato Gotti, un carabiniere di nome Ferrero, ecc., tutti ele-
menti che nel mondo reale potrebbero esistere oppure no.
Fatta questa scelta, il contratto di veridizione si stipula quasi
da sé: introduco nelle prime righe qualcuno che chiama i carabi-
nieri (il che fa comprendere che siamo in Italia) con un telefonino
(e il lettore capisce che ci collochiamo più o meno tra il 1988 e i

27 G. Verga, I Malavoglia, 1881.


Perissinotto 60 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

giorni nostri) e aggiungo un nome credibile e familiare come An-


tonio Ferrero. L’universo di riferimento è subito delineato, ma
non sempre è così facile.
Tutto il discorso sul contratto di veridizione ci consegna, se
non un attrezzo, un metodo fondamentale per la nostra attività
di narratori, ci avverte cioè dell’importanza dell’inizio della sto-
ria come luogo di fondazione del mondo possibile, come luogo
in cui si conquista la fiducia del lettore; ma quella fiducia ottenu-
ta attraverso la pattuizione iniziale non è data in maniera incon-
dizionata, non consentente di raccontare qualunque cosa: quella
del lettore è una fiducia che non va tradita e che va mantenuta
attraverso la coerenza dei personaggi e degli eventi.

2.3 La coerenza narrativa


I vincoli di coerenza che l’autore deve rispettare per non per-
dere la fiducia del lettore faticosamente conquistata con il con-
tratto di veridizione variano profondamente a seconda che la
narrazione si collochi all’interno di un mondo possibile di tipo
realistico o di tipo fantastico.

2.3.1 Coerenza nei mondi possibili realistici.


Quando scelgo uno scenario simil-reale per collocarvi le mie
vicende, i vincoli di coerenza imposti alla storia sono gli stessi
che la realtà impone alla vita quotidiana, entrano cioè in gioco
leggi fisiche, chimiche, biologiche, dinamiche sociali, elementi
statistici, caratteristiche psicologiche e relazionali, realtà storica.
Naturalmente, nella maggior parte dei casi, non scriviamo rac-
conti tenendo sul tavolo dei manuali di fisica, di psicologia o di
sociologia; l’osservazione di ciò che accade intorno a noi è più
che sufficiente a disegnare il limite tra ciò che è coerente e ciò
Perissinotto 61 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

che non lo è. Non dobbiamo però dimenticare che basta un


piccolo particolare sbagliato per denunciare la finzione narrativa
come tale, cioè per interrompere la sospensione di incredulità
del lettore. È come quando in un film western vediamo un ae-
reo che solca il cielo blu dietro l’accampamento indiano, o come
quando, nei film dell’epoca fascista, si vedevano combattere i
gladiatori con l’orologio al polso: noi, in quanto spettatori con-
sapevoli, sappiamo che quelle scene sono state girate nella con-
temporaneità e non all’epoca dei fatti narrati, sappiamo che si
tratta di una finzione, eppure quell’aereo o quell’orologio fuori
luogo rompono la magia della narrazione, ci mostrano brutal-
mente quel trucco che c’è, e che era meglio che non si vedesse.
Il lettore, di solito, accetta la natura fittizia delle storie narrate,
ma a tutto c’è un limite. Scrive ancora Eco:
Avendo avuto l’esperienza di aver scritto due romanzi che hanno
raggiunto alcuni milioni di lettori, mi sono reso conto di uno
straordinario fenomeno. Sino ad alcune decine di migliaia di copie
(questa stima può cambiare da paese a paese) si incontrano di regola
lettori che conoscono perfettamente il patto finzionale. Dopo, e
certamente dopo il primo milione di copie, si entra in una terra di
nessuno dove non è detto che i lettori siano al corrente del patto.28
Non solo esistono lettori che non sono al corrente del fatto
che l’autore sta inventando e che quindi gli chiedono conto delle
cose non vere (un po’ come ha fatto il mio lettore a proposito
della collocazione geografica di Montenevoso), ma ogni lettore,
in base alla propria enciclopedia, fissa un confine personale tra le
menzogne accettabili e quelle non accettabili. Ad esempio, mi è
capitato di tradurre dal francese un romanzo in cui l’autore, par-
lando di un personaggio che ha trascorso alcuni anni in Italia, lo
indica come appartenente al movimento “no-global” denomina-

28 U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, Milano 1994, p 92.
Perissinotto 62 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

to Brigate Rosse; ora, se per un lettore medio francese, norve-


gese o statunitense questa affermazione può non minare la cre-
dibilità del personaggio stesso, per un lettore italiano, che cono-
sce l’abisso che intercorre tra le Brigate Rosse e i “no-global”,
questa imprecisione, questa incoerenza determina una piccola
incrinatura nel rapporto fiduciario col narratore.
Con questo non intendo dire che la teoria narratologia dei
mondi possibili vincoli lo scrittore al rispetto del reale e dei suoi
particolari più minuti, né che quella stessa teoria ci obblighi a
tenere conto delle competenze specifiche di ogni lettore. Al
contrario, la narratologia (specie quella di Eco) ci indica che per
ogni testo esiste un Lettore Modello che, in virtù del proprio in-
sieme di conoscenze (cioè della sua enciclopedia), è in grado di in-
terpretare correttamente il testo e di non mettere in crisi il con-
tratto di veridizione; il che, in termini molto semplici, significa
che il Lettore Modello non ne sa né troppo, né troppo poco.
Naturalmente, il Lettore Modello è una pura astrazione, esso
non corrisponde a nessuna persona fisica; ognuno di quelli che
realmente leggono il libro viene chiamato Lettore Empirico: vi
saranno dunque Lettori Empirici la cui enciclopedia si avvicina a
quella del Lettore Modello e Lettori Empirci dotati di cono-
scenze molto diverse da quelle che l’autore aveva previsto per il
proprio Lettore Modello. Tornando al romanzo francese di cui
ho parlato poc’anzi, notiamo che qualunque Lettore Empirico
che possegga una discreta competenza circa le vicende socio-
politiche italiane degli ultimi venticinque anni si discosta signifi-
cativamente dal Lettore Modello e dunque è portato a mettere
in crisi più facilmente il patto finzionale.
Ancora una volta però i fatti dimostrano che la semiotica non
è una scienza esatta e che, in alcuni casi, l’abilità degli autori nel-
lo stabilire un rapporto empatico tra personaggi e lettori è tale
Perissinotto 63 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

da far dimenticare a questi ultimi ogni ansia di verosimiglianza. I


fedeli telespettatori che assistono da anni alle inchieste di Jessica
Fletcher non sembrano preoccuparsi troppo di quanto sia in-
credibile il numero di omicidi che avvengono nella cittadina do-
ve risiede la signora in giallo, o di come sia poco plausibile che
ovunque vada la Fletcher vi sia un assassino: grazie al modo in
cui la simpatia del personaggio conquista il proprio pubblico, il
confine tra accettabilità e inaccettabilità della finzione narrativa
viene spostato molto in basso. La stessa cosa avviene negli ulti-
mi film della serie 007; abbandonata da tempo la dimensione
fantascientifica dei primi episodi, cioè abbandonati i mondi pos-
sibili fantastici a beneficio di quelli realistici, le inverosimili pro-
dezze di James Bond (da quelle acrobatiche a quelle amatorie)
vengono accettate dallo spettatore con un benevolo sorriso,
come dire che a Bond si crede “a prescindere”. E persino nella
narrativa poliziesca italiana, che è tra quelle più legate ai canoni
del realismo, abbiamo esempi di felici incoerenze, basti pensare
a Sarti Antonio, sergente della polizia di Bologna: il fatto che la
polizia italiana non preveda il grado di sergente non ha impedito
al sergente Sarti, creato da Loriano Macchiavelli, di incontrare
un successo immutato da vent’anni.
Ho deciso l’universo di riferimento del mio racconto poliziesco
e ho stabilito la fabula e l’intreccio; adesso sottopongo il tutto
alla prova della verosimiglianza, rivolgendomi alcune domande.
Domanda 1: la vicenda si svolge in un paese di montagna: nei
paesi opera la polizia o i carabinieri?
Risposta: i carabinieri.
A questo punto offro un aperitivo a un amico carabiniere e lo
interrogo:
Domanda 2: quante persone ci sono in una stazione dei carabi-
nieri di un paese di montagna?
Risposta: da tre a cinque?
Perissinotto 64 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Domanda 3: chi la comanda e chi sono i suoi immediati sottopo-


sti?
Risposta: un maresciallo che ha sotto di sé dei carabinieri scelti
e dei carabinieri.
Domanda 4: quando i carabinieri del luogo scoprono un cadave-
re, agiscono direttamente o chiamano qualche unità specializzata
tipo RIS, o ancora, devono attendere il magistrato?
Risposta: dipende dai casi, in quello che tu mi prospetti posso-
no agire direttamente.
L’interrogatorio all’amico carabiniere prosegue fino a che non
sono dissipati tutti i dubbi procedurali, poi torno a rivolgere le
domande a me stesso, soffermandomi in particolare sui due ele-
menti che condurranno alla soluzione del caso, perché sono certo
che sarà proprio su quei due punti che anche il lettore appunterà
la sua attenzione.
Per esperienza personale so che il mo casco da bicicletta lascia
delle tracce sul volto in corrispondenza dei nastri che lo fissano:
se qualcuno osa muovermi delle critiche su quel punto glielo met-
to in testa e lo faccio uscire con in faccia i segni di guerra degli
Apache!
Per quanto riguarda il numero di matricola sulla mountain-bike,
faccio qualche telefonata ad alcuni costruttori artigianali ed ac-
certo che almeno tre di essi imprimono sul telaio un numero e lo
segnano sulla matrice del certificato di garanzia in corrispondenza
del nome dell’acquirente.
Ma non confondiamo il reale con il realistico, il vero con il
verosimile: non solo ciò che è verosimile non è necessariamente
vero, ma neanche ciò che è vero è sempre verosimile. È vero (lo
hanno mostrato alla televisione varie trasmissioni dedicate ai
primati più singolari) che un uomo ha trattenuto a terra con le
braccia due aerei da turismo in fase di decollo, ma se io metto in
un romanzo realistico una scena simile ho buone probabilità che
il contratto di veridizione tra me e il mio lettore si rompa per
sempre.
Perissinotto 65 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

2.3.1 Coerenza nei mondi possibili fantastici.


L’aver creato un mondo possibile fantastico non ci esime
dall’affrontare i problemi di verosimiglianza, anzi ci pone in una
situazione ancora più scomoda, perché mentre le regole fonda-
tive del mondo reale ci sono note e ci è sufficiente rispettarle e
farle rispettare ai nostri personaggi, quelle del mondo che ab-
biamo inventato devono essere costruite ex-novo.
In questo caso, ad imporre i vincoli non sono più le leggi del
mondo naturale quelle della società, qui prevalgono le leggi del-
la narrazione e quelle dell’efficacia narrativa.
Torniamo con la memoria alla teoria di Greimas: nella for-
mulazione minimale, una narrazione è la cronaca di uno scontro
tra un Soggetto e un Opponente per il possesso di un Oggetto
di valore. Affinché questo scontro sia credibile, noi dobbiamo
stabilire una coerenza tra questi tre attanti, dobbiamo cioè fare
in modo che l’Opponente sia un degno avversario del Soggetto
e che l’Oggetto di valore giustifichi la lotta. Il mondo reale ab-
bonda di terne Soggetto-Opponente-Oggetto del tutto credibili,
in quello fantastico le devo creare; quindi se invento Superman
devo inventare la Kriptonite, altrimenti il Soggetto diviene in-
vincibile e qualsiasi lotta con l’Opponente perde di significato.
Dunque, al prima regola da seguire quando si imbocca la
strada del fantastico è che nel mondo possibile non tutto è pos-
sibile, che, qualunque sia la nostra ambientazione, esisteranno
sempre delle “condizioni ostanti” per limitare la gamma
d’azione dei personaggi.
Quella parte della semiotica che più si avvicina
all’antropologia e allo studio del folklore, ci suggerirà poi che la
coerenza interna di un mondo possibile dipende anche dal ri-
spetto delle tradizioni culturali e dei vari filoni di immaginario
Perissinotto 66 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

collettivo. I miscugli tra diversi ambiti del fantastico possono


essere affascinanti, ma anche pericolosi: il protagonista del Neu-
romante di Gibson condivide con molti dei personaggi del genere
cyberpunk la possibilità di interfacciare il proprio sistema nervo-
so con la rete neurale artificiale costituita da una sorta di gigan-
tesco Internet bio-elettronico, se, a un certo punto, si mettesse
ad attraversare i muri o a spostare oggetti col pensiero, il lettore
si troverebbe di fronte alla contaminazione tra due diversi tipi di
immaginario, quello ipertecnologico e quello delle religioni e
delle filosofie orientali e il risultato potrebbe essere più che sod-
disfacente, come in Matrix (dove però anche la telecinesi e la
mistica delle arti marziali vengono alla fine ricondotte alla simu-
lazione informatica dell’intelligenza artificiale), ma potrebbe an-
che dare l’impressione di una confusa accozzaglia dove, ancora
una volta, è tutto sgradevolmente possibile (cosa che accadreb-
be sicuramente se il neuromante incontrasse gli elfi o i puffi).
Un ulteriore limite all’ampiezza del fantastico è dato dalle esi-
genze di immedesimazione del lettore. Chi legge non vuole
semplicemente “sapere” una storia, vuole, in qualche misura,
“viverla”. Senza necessariamente cadere nel bovarismo, sappia-
mo che i libri ci affascinano perché possiamo usarli come esten-
sione della nostra stessa vita, ma ciò a condizione che in essi noi
ritroviamo dei punti in comune con la nostra esperienza. I
mondi possibili fantastici non possono quindi essere così “fan-
tastici”, così lontani dalla realtà da perdere ogni contatto con le
sensazioni, le emozioni, i desideri che si provano nell’esistenza
quotidiana, ed è per questo che, come dicevamo, i mondi possi-
bili fantastici ereditano dal nostro mondo reale gran parte delle
loro proprietà.
Perissinotto 67 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

2.4 Diegesi e mimesi


Aristotele29 sosteneva che il modo di procedere testuale
dell’epopea era la diegesi, mentre quello della tragedia era la mime-
si. Diegesi e mimesi sono dunque due forme contrapposte di
comunicazione letteraria che, semplicisticamente, possiamo far
coincidere con il discorso indiretto e con il discorso diretto.
(1) Piero disse che sarebbe arrivato il giorno successivo.
Discorso indiretto = diegesi.
(2) «Arriverò domani», disse Piero.
Discorso diretto = mimesi.
In altri termini, possiamo dire che la diegesi filtra attraverso
una seconda voce le parole dei personaggi, mentre la mimesi ce
le riporta così come esse sono. Ma in realtà, la diegesi ha anche
altri compiti, anzi, il suo ruolo preminente è quello di far avan-
zare la narrazione, di raccontare le cose che succedono; anche
nell’esempio (2) ritroviamo, in quel “disse Piero”, una traccia di
diegesi a supporto della mimesi di “Arrivo domani”: se nulla ci
racconta cosa i personaggi stanno facendo (e disse è già
l’espressione di un fare), i dialoghi non sono sufficienti a deli-
neare la vicenda. In alcuni casi, diegesi e mimesi possono so-
vrapporsi; accade quando si adottano mezzi espressivi quali il
flusso di coscienza o il monologo interiore, mezzi attraverso i
quali i personaggi stabiliscono con il lettore un rapporto comu-
nicativo diretto e integrale, cioè esteso ai pensieri e ai sentimen-
ti.
Ciò che più contraddistingue il romanzo dagli altri generi let-
terari è, secondo Michail Bachtin, la singolare commistione tra
mimesi e diegesi. La mimesi mi permette di presentare al pub-
blico i personaggi così come essi sono, con la loro voce, con il

29 cfr. Aristotele, Poetica, 1460b-1462b.


Perissinotto 68 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

loro linguaggio e il loro lessico. Quando io riporto le parole di


un personaggio, non sono più costretto a seguire i canoni delle
belle lettere o i dettami della grammatica: se a parlare è un noto
italianista il suo linguaggio sarà ineccepibile e colto, se invece
nella mia vicenda entra in gioco un presentatore televisivo o un
calciatore di serie A potrò tranquillamente dimenticarmi il con-
giuntivo, tanto a parlare è lui, non io.
Al tempo stesso, attraverso la diegesi, posso inserire una voce
che si distingue da quella dei personaggi sia per stile (diverso
lessico, diverse capacità espressive, ecc.), sia per conoscenza del-
le vicende narrate (la voce che si distingue può saperne di più o
di meno rispetto ai personaggi): questa voce differente è quella
del narratore.

2.5 Perché Marcel non è Proust: il narratore.


Chi è che narra una storia?
In maniera ingenua saremmo tentati di dire che una storia è
narrata dal suo autore, ma, in realtà, tra il lettore e l’autore si
pone un’altra entità, il narratore: è lui che racconta la storia, o
meglio, è lui che si incarica della diegesi. Così come accade per
l’accettazione del patto finzionale, anche per il riconoscimento
del ruolo del narratore occorre, da parte del lettore, una minima
conoscenza del funzionamento della macchina narrativa. Non è
infatti raro che, dopo aver letto un nostro racconto, qualcuno se
ne esca con affermazioni del tipo: «Non ti credevo così corag-
gioso», o «Non ti credevo così volgare», a seconda che nel testo
abbiamo inserito sequenze avventurose o parolacce; e a noi
spiegargli, senza la certezza di essere compresi, che il turpiloquio
non è il nostro, bensì quello del narratore che è stato per
trent’anni in un bagno penale alle Guyana e difficilmente po-
Perissinotto 69 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

trebbe parlare come un’educanda. Chissà se qualcuno ha mai


detto ad Asimov: «Non ti credevo così extraterrestre!».
La tendenza al più banale biografismo dipende forse da una
sorta di imprinting che riceviamo quando, da piccoli, ci raccon-
tano le prime fiabe: nella narrazione orale, abbiamo infatti
l’impressione che colui che inventa il racconto (l’autore) e colui
che parla dipanando la vicenda (il narratore) siano la stessa per-
sona. Ma quando ci apprestiamo a scrivere una storia dobbiamo
comprendere che il narratore non è mai una persona fisica, ma
un prodotto del testo, anzi, meglio, dell’enunciazione: dove vi è
un enunciato (ad es. “Era una notte buia e tempestosa”), vi sarà
sicuramente un enunciatore, anche se non lo vediamo, anche se
non ci dirà mai chi è o che faccia ha, questo enunciatore è ap-
punto il narratore.
Il narratore può quindi essere, come minimo, una voce che
enuncia, ma può assumere anche una fisionomia più definita di-
venendo personaggio della storia. Sulla base della sua presenza
nella vicenda, il narratore può essere:
 un personaggio della storia (narratore omodiegetico) –
es. Watson che racconta al lettore le avventure di She-
rolck Holmes;
 il protagonista della storia (narratore autodiegetico) – es.
Il personaggio di Eva Luna nel romanzo Eva Luna di
Isabel Allende;
 una voce esterna alla storia (narratore extradiegetico) –
es. Il narratore de I promessi sposi.

Vediamo come si presentano nel testo questi differenti narra-


tori.
NARRATORE OMODIEGETICO
Perissinotto 70 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Sherlok Holmes prese il flacone dalla mensola del camino e la si-


ringa ipodermica dall’astuccio di cuoio marocchino. Applicò il sotti-
le ago con un gesto nervoso delle sue lunghe dita pallide e poi si ar-
rotolò la manica sinistra della camicia. Si soffermò un istante con lo
sguardo sull’avambraccio e sul polso tempestati di innumerevoli se-
gni di punture. Inserì l’ago nella vena, fece pressione sul minuscolo
pistone e con un lungo respiro di sollievo si lasciò andare nella pol-
trona rivestita di velluto.
Assistevo ormai a questa cerimonia tre volte al giorno, da molti
mesi, e non riuscivo ancora ad accettarla. Al contrario, la scena mi
irritava ogni volta di più, e ogni notte la coscienza mi rimordeva al
pensiero che mi di come mi mancasse il coraggio di protestare.
Ogni volta giuravo a me stesso di affrontare l’argomento, ma c’era
nell’atteggiamento distaccato e noncurante del mio amico qualcosa
che lo rendeva l’ultima persona con cui arrischiare interventi indi-
screti.30

Il dottor Watson dice: “Assistevo”; parla dunque in prima


persona e narra una storia di cui egli è personaggio e testimone,
mentre il protagonista è Sherlok Holmes.

NARRATORE AUTODIEGETICO
Mi chiamo Eva, che vuole dire vita, secondo un libro che mia
madre consultò per scegliermi il nome. Sono nata nell’ultima stanza
di una casa buia e sono cresciuta fra mobili antichi, libri in latino e
mummie, ma questo non mi ha resa malinconica, perché sono ve-
nuta al mondo con un soffio di foresta nella memoria.31
Eva Luna racconta la storia di cui ella stessa è protagonista.

NARRATORE EXTRADIGETICO
Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste tuttavia) al di
fuori, e in faccia all'entrata della terra, con di mezzo la strada che da
Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tutto sereno, di mano in ma-

30 Sir. Arthur Conan Doyle, Il segno dei quattro.


31 Isabel Allende, Eva Luna, Feltrinelli, Milano 1989, p. 9
Perissinotto 71 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

no che il sole s'alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle


sommità dei monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamen-
te, giù per i pendii, e nella valle. Un venticello d'autunno, staccando
da' rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche
passo distante dall'albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci
ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte, e la terra la-
vorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne' campi di stoppie bian-
castre e luccicanti dalla guazza.32
Il narratore non appartiene al piano della narrazione e osserva
la vicenda dall’esterno.
Prendiamo ora in considerazione il solo narratore extradiege-
tico. Egli non è rappresentato fisicamente all’interno del raccon-
to, eppure, anche se presente come pura voce enunciante, egli-
può essere:
 personificato (o rappresentato): quando denuncia la
propria presenza in quanto voce che racconta ed even-
tualmente si rivolge direttamente al lettore prendendo
posizione sui fatti narrati;
 impersonale (o non rappresentato): quando è un sempli-
ce espediente per narrare in modo trasparente.

NARRATORE PERSONIFICATO
- Ma perché si prendeva tanto pensiero di Lucia? E perché, al
primo avviso, s'era mosso con tanta sollecitudine, come a una
chiamata del padre provinciale? E chi era questo padre Cristoforo? -
Bisogna soddisfare a tutte queste domande.33
Il narratore (extradiegetico) dei Promessi Sposi assomiglia a una
persona che, nel raccontare la storia, dialoga con il lettore, ne
ascolta le domande e fornisce risposte.
NARRATORE IMPERSONALE

32 Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. IV


33 Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. IV
Perissinotto 72 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Adelmo legò la bicicletta ad un palo della luce augurandosi di ri-


trovarla tutta, ruote e fanalino compresi. Al numero 4 il portone era
aperto, la custode doveva ancora essere nella sua guardiola.
L’androne era stretto e le due bocce di cemento poste a protezione
dell’ingresso erano state sbrecciate in più punti da carrettieri poco
accorti; dai muri scrostati veniva su un odore di umido e di vecchio,
di spazzatura e di piscio di gatto, quella miscela di odori che tutti
coloro che avevano vissuto nelle antiche case del centro conosceva-
no talmente bene da chiamarla con nome unico e intraducibile, odor
d’arciuff. 34
Qui, la voce che narra non dialoga con il lettore e cerca di es-
sere il più “trasparente” possibile.

La maggiore o minore connotazione fisica non è l’unica scelta


che, come autori, dobbiamo operare a proposito del narratore.
«E Cappuccetto Rosso disse: “che orecchie grandi che hai,
nonnina.”»
«E tu come lo sai?» mi interrompe Giulia, cinque anni.
«Come lo so, che cosa?»
«Che Cappuccetto Rosso ha detto proprio così.»
Già, io come lo so? Giulia, cinque anni, ha messo in evidenza
uno degli aspetti più importanti del ruolo del narratore: la legit-
timità a narrare. Chi racconta deve essere legittimato a farlo e
deve possedere una sufficiente conoscenza dei fatti per essere
credibile. In base alle conoscenze che ha della vicenda, il narra-
tore può essere:

34 Alessandro Perissinotto, Treno 8017, Sellerio, Palermo 2003, p. 23-24.

Spero che il lettore vorrà perdonarmi l’immodestia di questa e altre autocita-


zioni, il loro scopo è solo quello di lavorare su un testo che conosco bene
non solo nella sua versione compiuta, ma anche nel suo processo di compo-
sizione.
Perissinotto 73 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

 onnisciente: conosce ogni fatto, ogni parola detta dai


personaggi e ogni loro pensiero, anche quelli inespressi.
Solo il narratore extradiegetico può essere realmente
onnisciente, poiché un personaggio non potrebbe cono-
scere i pensieri degli altri;
 non onnisciente: conosce solo le cose che, nel mondo
possibile del racconto, gli è dato di conoscere;

Qualche nuovo esempio ci chiarirà le implicazioni delle due


diverse scelte.
NARRATORE ONNISCIENTE
La mattina del 3 novembre 1948, nel punto in cui la strada di
Lamboing (uno dei villaggi di Tassenberg) esce dal bosco e degrada
lungo il vallone del Twannbach, il gendarme di Twann, Alphons
Clenin, trovò una Mercedes azzurra ferma sul ciglio della strada.
C’era nebbia, come spesso accade nei mattini d’autunno; Clenin era
già andato oltre ma poi si decise a tornare indietro. Passando aveva
gettato una rapida occhiata attraverso i cristalli appannati e aveva
avuto l’impressione che il conducente se ne stesse abbandonato sul
volante. Pensò che l’uomo si fosse ubriacato: era una persona nor-
male, Clenin, e ricorreva sempre alle spiegazioni più ovvie. Perciò
decise di affrontare lo sconosciuto non in veste professionale, ma
così, da semplice amico. Si avvicinò all’automobile col proposito di
svegliare il dormiente…35
Qui, il narratore è extradiegetico e onnisciente, è una pura
voce che sa tutto: ciò che il personaggio vede (…vide una Merce-
des azzurra…), quali sono le sue impressioni (…aveva avuto
l’impressione che il conducente se ne stesse abbandonato…), quali sono i
suoi pensieri (Pensò che l’uomo si fosse ubriacato…). Nel caso del
narratore onnisciente, il problema della legittimità è risolto a

35 Friedrich Dürremmatt, Il giudice e il suo boia, Feltrinelli, Milano 1990, p. 7

(ed. or. 1952).


Perissinotto 74 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

priori: non ci si chiede se egli sia effettivamente testimone dei


fatti e se i pensieri dei personaggi gli siano stati riferiti dai per-
sonaggi stessi; semplicemente lo si assume come un’entità data e
dotata, per definizione, di quella conoscenza globale.
NARRATORE NON ONNISCIENTE (1)
È lunedì, così dev’essere di nuovo la volta del budino di riso.
Non è che qui, alla Meadowbank Home si preoccupino tanto dei
nostri denti, si tratta piuttosto di una totale mancanza di immagina-
zione.36
In questo brano il narratore (in verità, una narratrice) è auto-
diegetico, cioè racconta la propria storia, ma, narrando
all’indicativo presente e non collocandosi alla fine della storia (v.
oltre), egli non ha conoscenza del futuro: in quanto personaggio
realistico, gli è dato di fare previsioni su quanto accadrà, ma non
di saperlo con esattezza, così quella circa la presenza del budino
di riso nel menu del giorno, rimane una semplice ipotesi.
NARRATORE NON ONNISCIENTE (2)
Io non avevo dato peso, allora, al fatto che Mr. Silvera facesse il
capocomitiva, l’accompagnatore, l’animatore turistico o come altro
diavolo si dica. (…) Adesso naturalmente non so dire che impres-
sione m’avrebbe lasciato, se l’avessi considerato innanzitutto sotto
l’angolo di quel suo, chiamiamolo così, mestiere. Che va benissimo,
intendiamoci, per studenti con pochi soldi che vogliano girare il
mondo d’estate (…), ma che in novembre, praticato da adulti con
comitive di quel livello, si può definire soltanto miserabile. È pro-
babile che mi sarebbe scaduto senza rimedio, il signor Silvera. (…)
Quindi: dopo, le cose sarebbero andate in tutt’altro modo; anzi, pro-
babilmente, non sarebbero andate da nessuna parte. 37

36 Joane Harris, Profumi, giochi e cuori infranti, Garzanti, Milano, 2004, p. 9


(ed. or. 2004)
37 Carlo Fruttero, Franco Lucentini, L’amante senza fissa dimora, Mondatori,

Milano 1989, p. 11-12 (I ed. 1986).


Perissinotto 75 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Anche in questo caso abbiamo una narratrice in prima perso-


na (autodiegetica), ma il suo collocarsi alla fine della storia e il
suo volgersi indietro nel tempo, le consente una conoscenza
della vicenda molto più ampia di quella concessa alla narratrice
dell’esempio precedente: qui, la narratrice racconta un “prima”
sapendo già cosa è accaduto dopo. Potremmo quindi dire che
rispetto ai fatti è onnisciente, non lo è rispetto ai pensieri e alle
cose non manifeste (come invece lo sarebbe un narratore vera-
mente onnisciente).

Abbiamo visto che la questione delle conoscenze che il narra-


tore personaggio (omodiegetico o autodiegetico) possiede è le-
gata alla posizione cronologica che egli occupa rispetto al flusso
degli eventi. Se invece di un narratore interno al racconto, adot-
tiamo un narratore esterno onniscente, la diversa posizione cro-
nologica non determina più un maggiore o minore quantitativo
di conoscenza, bensì un cambiamento nell’esposizione dei fatti.
In base al tempo della narrazione, il narratore può porsi:
 alla fine della storia e raccontare fatti di cui conosce già
l’epilogo
 in un punto qualsiasi della storia e narrare i fatti al tem-
po presente, sincronizzandosi così con la storia che nar-
ra; egli può poi recuperare, attraverso il flash-back,
l’eventuale passato.
Il caso in cui il narratore racconta a vicenda compiuta e quin-
di volgendosi indietro e utilizzando un tempo passato è il più
frequente; ai molti esempi che abbiamo già esposto, aggiungia-
mone uno che mostra con evidenza la posizione cronologica di
chi narra.
NARRAZIONE A VICENDA COMPIUTA
Perissinotto 76 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste tuttavia) al di


fuori, e in faccia all'entrata della terra, con di mezzo la strada che da
Lecco conduce a Bergamo.38
Dal testo racchiuso tra parentesi e scritto con un indicativo
presente che contrasta con il passato remoto della narrazione
abituale comprendiamo che il narratore racconta la storia vol-
gendosi indietro nel tempo.

Vediamo quindi l’altra opzione.


NARRAZIONE IN UN PUNTO QUALSIASI DELLA VICENDA
(1) Il bambino ha solo dieci anni, ma la pistola che tiene in mano
è una pistola vera.
(2) C’è stato un incidente strano dentro una galleria, qualche chi-
lometro prima, con la polizia e un uomo morto dentro una macchi-
na. Loro, lui, suo padre e sua madre, ci sono rimasti fermi accanto,
bloccati da quella coda che li fa arrancare a singhiozzo
sull’autostrada e lui, piccolo com’è, ne ha approfittato per sgusciare
fuori dalla macchina e cambiare la sua pistola di plastica con questa,
che è più bella e sembra più vera.
(3)Però è pesante e per tenerla su deve stringerla con tutte e due
le mani e appoggiarla con la canna sulla gommina dello sportello,
senza farla sbattere contro il vetro, se no suo padre si arrabbia.39
Il narratore, che qui è extradiegetico e onnisciente, inizia a
narrare in un punto qualsiasi della storia; questo punto è rappre-
sentato dal capoverso (1). Nel capoverso (2) si ha un fash-back
o analessi che permette di motivare il presente attraverso il pas-
sato (il tempo verbale è appunto il passato prossimo). Nel capo-
verso (3) si torna al presente (il tempo è appunto l’indicativo
presente). Abbiamo, in pratica, quelle violazioni dell’ordine logi-
co-temporale che trasformano la fabula in intreccio (v. par. 1.4),

38 Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. IV


39 Carlo Lucarelli, Autosole, Rizzoli, Milano 2003, p. 53
Perissinotto 77 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

anche se, naturalmente, analessi e prolessi sono ammesse anche


quando il narratore si pone alla fine della storia.

Infine, cediamo anche noi, per un po’, alla tentazione dei bio-
grafismo. Se è vero che il narratore non è mai l’autore, che il
Marcel della Recherche non è Proust, è anche vero che spesso lo
scrittore crea, nel narratore, un proprio alter ego. In base al rap-
porto con l’autore, il narratore può quindi essere:
 somigliante all’autore: quando le affermazioni e i com-
portamenti del narratore potrebbero essere condivisi
dall’autore;
 contrastante con l’autore: quando il narratore si distin-
gue nettamente da ciò che l’autore è o pensa (es. un nar-
ratore maschile creato da un’autrice donna).
è evidente che il problema del rapporto autore-narratore si
pone soprattutto quando quest’ultimo è personificato.

NARRATORE CONTRASTANTE
Sono un polizia. Potrebbe sembrare un’affermazione insolita – o
un’insolita costruzione. Ma è un nostro comune modo di dire. Tra
noi non diremmo mai sono un poliziotto, o sono una poliziotta, o
sono un agente di polizia. Diciamo solo sono un polizia. Sono un
polizia. Sono un polizia e il mio nome è detective Mike Hoolihan. E
sono una donna, per di più.40
Martin Amis, autore di sesso maschile, utilizza un narratore di
sesso femminile.
Concludiamo questo paragrafo con una considerazione im-
portante: non è assolutamente necessario che il narratore resti
costante per tutto il racconto; possiamo avere storie raccontate

40 Martin Amis, Il treno della notte, Einaudi, Torino 1998, p. 5


Perissinotto 78 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

da personaggi diversi, oppure storie in cui si alterna la voce di


un narratore esterno con quelle di uno o più narratori interni.

2.6 Guardare con gli occhi degli altri: il punto di


vista.
In ogni storia, ciò che viene raccontato è il frutto di una sele-
zione all’interno di tutto ciò che accade o di tutto ciò che fa da
sfondo alla narrazione; in pratica, al lettore non viene esposto
tutto quello che i personaggi fanno o vedono o sentono, ma so-
lo ciò che si ritiene importante che il lettore sappia. Volendo fa-
re un esempio un po’ prosaico, possiamo notare che mai nei
Promessi Sposi si dice che Renzo o Lucia vadano al bagno anche
se si suppone che, parlandone come persone reali, lo facciano; al
contrario, nella novella di Andreuccio da Perugina, Boccaccio
non lesina particolari su tale aspetto. Ma chi opera questa sele-
zione? Come al solito è il narratore che, comandato dall’autore,
sceglie cosa dire e cosa omettere. Tale scelta è operata sulla base
delle finalità narrative e del punto di vista adottato dal narratore
stesso.
Soffermiamoci dunque sul punto di vista.
Perché qualcuno possa raccontare una storia è necessario che
egli abbia assistito ai fatti: nel momento in cui stipula il contrat-
to di veridizione con il lettore, il narratore afferma, più o meno
implicitamente, di aver assistito alle vicende che si accinge a nar-
rare. Ma il fatto di assistere implica necessariamente l’adozione
di un punto di vista: da quale punto di vista il narratore guarda a
ciò che racconta?
Il punto di vista può essere:
Perissinotto 79 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

 esterno, quando gli eventi sono descritti come se fossero


visti “dall’alto” cioè senza filtrarli attraverso le cono-
scenze e/o le sensibilità di alcun personaggio.
 interno, quando gli eventi sono descritti come se il nar-
ratore guardasse le cose con gli occhi di uno o più per-
sonaggi e/o filtrasse i fatti attraverso la sensibilità di uno
o più personaggi.

PUNTO DI VISTA ESTERNO.


Si chiamava Isabelle e quando era bambina i suoi capelli cambia-
vano colore nel tempo che un uccellino impiega a chiamare il suo
compagno.
Quell’estate il duca de l’Aigle aveva portato da Parigi una statuet-
ta della Vergine col Bambino e un vaso di pittura per la nicchia so-
pra il portone della chiesa. Si fece festa al villaggio il giorno in cui la
madonnina venne messa al suo posto. Isabelle sedeva ai piedi della
scala, mentre Jean Tournier dipingeva l’edicola d’un azzurro vivido
come il cielo terso della sera. Quand’ebbe finito, il sole, spuntando
da una muraglia di nubi, rese quell’azzurro così splendente che Isa-
belle rimase a guardarlo rapita, le mani intrecciate dietro la nuca, i
gomiti appoggiati al seno. Poi i raggi inondarono le chiome della
fanciulla che anche dopo il tramonto conservarono lo scintillio del
rame. Così da quel giorno la chiamarono la Rossa, lo stesso nome
che la gente aveva dato alla Vergine Maria. 41

Come esempio di punto di vista interno possiamo riprendere


quello di Watson e Sherlok Holmes già utilizzato nel paragrafo
precedente a proposito del narratore omodiegetico. Lì, Watson,
che è narratore-personaggio, racconta ciò che vede e come lo
vede: attraverso il filtro della sua testimonianza, il noto investi-

41 Tracy Chevallier, La vergine azzurra, Neri Pozza, Vicenza 2004, p. 7 (ed.

or. 1997).
Perissinotto 80 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

gatore ci appare come un tossicodipendente, ma pur sempre


come una persona eccezionale.

È evidente che un narratore intradiegetico (omodiegetico o


autodiegetico, cioè interni alla narrazione) può avere solo un
punto di vista interno, meno scontato è il fatto che un narratore
extradiegetico (cioè esterno alla narrazione), possa avere sia un
punto di vista esterno, sia un punto di vista interno.
Il narratore extradiegetico può cioè portare all’attenzione del
lettore il punto di vista di uno o più personaggi agendo in due
modi alternativi tra loro:
 riportando il punto di vista altrui (es.: “Le case, viste at-
traverso il finestrino dell’aereo, apparivano a Marie co-
me microscopici puntini colorati messi lì a macchiare il
verde uniforme della campagna”);
 assumendo il punto di vista altrui (es.:“Le case lì sotto
erano microscopici puntini colorati messi lì a macchiare
il verde uniforme della campagna”).

Ecco qualche esempio più ampio.

PUNTO DI VISTA INTERNO RIPORTATO DAL NARRATORE ESTER-


NO
Aveva l'impressione di una città capovolta, dove il dentro e il
fuori si erano scambiati il posto: l'intimità delle case usciva in strada
e si faceva pubblica, mentre gli affari, quelli veri, sembravano co-
minciare con cenni d'intesa scambiati sulle soglie e terminare nell'o-
scurità di quegli stanzoni dal soffitto a volta. Non scorgeva traccia
di quella riservatezza gelosa che a Torino aveva appreso fin da pic-
colo, di quel non far vedere, di quel parlare sommesso e quel gestire
Perissinotto 81 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

misurato; si sentiva come se fosse dentro un grande ritrovo di fami-


glia e, tutto sommato, la sensazione gli piacque. 42
Il narratore onnisciente extradiegetico riporta il punto di vista
di un personaggio: “Aveva l’impressione”.

PUNTO DI VISTA INTERNO ADOTTATO DAL NARRATORE ESTER-


NO
Muli: razza maledetta e traditrice.
Ancora una volta aveva dovuto smontare dalla sua cavalcatura, là
dove la mulattiera si faceva sentiero e il sentiero si faceva scala di
pietre. Imprecava contro la bastarda, ma era soprattutto per dimen-
ticare la paura e i pensieri più foschi.
Era peste? Sarebbe stata peste?43

Il narratore onnisciente extradiegetico fa proprio il punto di


vista del personaggio. Non è il narratore che impreca contro i
muli, né che si domanda se si tratti o meno di peste: in quanto
onnisciente egli queste cose le sa già. L’affermazione circa i muli
o la domanda circa la peste sono dunque un discorso indiretto
libero che interpreta i pensieri del personaggio.

Nell’assumere o nel riportare il punto di vista altrui, il narra-


tore può scegliere una focalizzazione:
 fissa: quando, lungo tutta la narrazione, guarda i fatti at-
traverso il punto di vista di un unico personaggio (es. i
romanzi di Andrea Camilleri che hanno come protago-
nista il commissario Montalbano);

42 Alessandro Perissinotto, Treno 8017, Sellerio, Palermo 2003, p. 88.


43 Alessandro Perissinotto, La canzone di Colombano, Sellerio, Palermo 2000,
p. 13.
Perissinotto 82 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

 variabile: quando vari episodi della narrazione sono visti,


ciascuno, attraverso un diverso personaggio; (es.: Ales-
sandro Manzoni, I promessi sposi);
 multipla: quando uno stesso episodio della narrazione è
visto attraverso lo sguardo di molti personaggi (es.:
Gianni Farinetti, Un delitto fatto in casa, Marsilio 1996,
oppure il film Elephant di Gus Van Sant).

2.7 Come scegliere il narratore e il punto di vista?


Se ci siamo soffermati lungamente sulle varie tipologie di nar-
ratore e di punto di vista, non è per un nozionistico amore per
le classificazioni, ma perché la scelta del narratore, così come
quella del punto di vista, è cruciale per l’esito del racconto: è
meglio far raccontare i fatti da un personaggio o da una voce
esterna? dal fondo o dall’inizio? In che modo devo rivolgermi al
lettore? Quanto deve saperne il mio narratore? Come guardo ai
fatti che racconto?
Ovviamente, queste domande non ammettono risposte defi-
nitive e buone in ogni occasione; quello che cercheremo di fare
in questo paragrafo è mettere in luce alcuni effetti delle diverse
scelte sulla percezione del racconto da parte del lettore.

2.7.1 Il narratore extradiegetico onnisciente.


È la soluzione passepartout, la più classica e tradizionale. Il
narratore onnisciente (e quindi, come abbiamo visto, forzata-
mente extradiegetico) non ci pone troppi problemi di legittima-
zione a narrare e non ha limiti a ciò che può raccontare. Imma-
giniamo che in un racconto si presenti la seguente situazione:
Perissinotto 83 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

L’automobile di Federico ha ancora qualche sussulto, poi si arre-


sta di botto, proprio sulle rotaie, all’altezza di quel passaggio a livel-
lo non custodito. Federico scende imprecando: «Di nuovo quella
maledetta pompa della benzina», dice tra sé. Apre con calma il co-
fano, tanto lo sa che quella linea ferroviaria è in disuso da almeno
vent’anni. Quello che invece non sa è la faccenda del guasto
sull’altra linea ferroviaria, quella che corre parallela, dall’altra parte
del fiume. «Poco male», ha detto il capostazione quando ha saputo
del guasto, «vorrà dire che devieremo il traffico sul vecchio ramo
abbandonato, i binari sono ancora in buone condizioni.»
E così, mentre Federico armeggia rassegnato intorno al suo mo-
tore, a qualche chilometro di distanza una locomotiva sta tirando a
tutta velocità nove vagoni pieni di viaggiatori inferociti per il ritar-
do; se Federico fosse un capo indiano, forse avvertirebbe quella
piccola vibrazione della rotaia, forse appoggerebbe l’orecchio al fer-
ro e sentirebbe un rumore avvicinarsi, ma lui non è un capo india-
no, è un meccanico di Sarzana.
Il treno fischia, passando tra le case. Federico smonta il filtro
dell’aria per accedere meglio al punto incriminato. I vagoni traballa-
no sugli scambi, nel momento di imboccare la deviazione. La chiave
da dodici sfugge di mano a Federico…
Giocando sull’alternanza delle due scene, quella del treno che
avanza e quella dell’auto ferma, noi possiamo creare una cre-
scente tensione nel lettore, possiamo generare suspense. Ma
questo funziona solo a condizione che il narratore sia extradie-
getico; solo così infatti il lettore può avere informazioni su
quanto avviene contemporaneamente in due luoghi distanti tra
loro. Una narrazione in prima persona condotta all’indicativo
presente dallo stesso Federico (narratore autodiegetico) sarebbe
del tutto improponibile: se Federico sapesse che sta arrivando il
treno si toglierebbe da lì, invece di restare ad aggiustare il moto-
re. Si potrebbe allora pensare di narrare al passato remoto (es.
“La mia auto di fermò proprio sulle rotaie. Pensai che era una
fortuna che quella linea ferroviaria fosse in disuso…”), ma in
Perissinotto 84 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

questo caso si pone un problema di efficacia: se a narrare è Fe-


derico e se narra in un tempo successivo a quello della storia
(l’uso del passato remoto indica che egli è in un “oggi”, mentre i
fatti si sono svolti in un “ieri” più o meno lontano) significa che
il treno non lo ha investito o, quantomeno, se lo ha fatto
l’incidente non è stato mortale; in sostanza, il lettore non avrà
mai il timore che Federico non ce la faccia a cavarsela e questo,
ovviamente, riduce la tensione e l’efficacia del racconto.
Un altro vantaggio del narratore onnisciente è dato dalla pos-
sibilità di esporre gli aspetti interiori di ogni personaggio, non
solo i pensieri, le sensazioni e i desideri razionali, ma anche
l’inconscio, anche ciò che il personaggio non sa di se stesso, del
suo passato e del suo futuro. Questa opportunità dà modo di
conferire una dimensione “corale” alla narrazione: non c’è un
personaggio visto da ogni angolazione e di cui conosciamo tutto
(pensieri, fatti, desideri, sensazioni…) e una serie di personaggi
visti solo da fuori; ogni personaggio ha, in linea di principio, il
diritto di partecipare completamente alla rappresentazione.
Il privilegio di poter entrare nella testa degli altri segna però
anche il limite del narratore onnisciente: questa sua capacità può
apparire artificiosa. Il narratore rappresenta pur sempre un filtro
tra il personaggio e il lettore; ciò che quest’ultimo percepisce
non sono i pensieri del personaggio, bensì i pensieri del perso-
naggio riportati da una terza persona più o meno “trasparente”.

2.7.2 Narratore omodiegetico o autodiegetico.


Se un nostro conoscente ci dice, «Ieri pensavo alla precarietà
della vita», noi, di solito, non abbiamo particolari motivi per
dubitare che ciò si vero (a meno di supporre una deliberata
menzogna): si tratta di un’informazione di prima mano fornita
Perissinotto 85 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

dall’unica persona che ha legittimità a parlare di quei pensieri. Se


invece quello stesso conoscente ci dice, «Ieri Giovanni pensava
alla precarietà della vita», noi possiamo avanzare due ipotesi: o
Giovanni gli ha comunicato i propri pensieri, ma si tratta di una
informazione di seconda mano, cioè filtrata attraverso le parole
del nostro conoscente, oppure egli ha immaginato ciò che Gio-
vanni stava pensando, e anche in questo caso potremmo riser-
varci di non credere totalmente a quello che ci viene detto.
Trasferendo queste considerazioni all’ambito della narrazione,
comprendiamo che, per quanto la figura del narratore onni-
sciente possa essere “impercettibile”, in talune circostanze la
terza persona («egli pensava..») in luogo della prima «io pensa-
vo…») può creare distacco, separazione. Dunque, quando av-
vertiamo la necessità di un contatto diretto tra il lettore e il per-
sonaggio principale, possiamo adottare il narratore
autodiegetico. Quando c’è confessione, romanzo psicologico,
autobiografia (vera o simulata), o quando i sentimenti sono così
importanti da dover sgorgare direttamente dall’animo di chi li
prova, la narrazione in prima persona può sembrarci il mezzo
più idoneo, sempre senza dimenticare la possibilità di alternare
più narratori e di utilizzare, nello stesso romanzo, sia voci inter-
ne, sia voci esterne alla storia.
Naturalmente, i limiti del narratore autodiegetico sono specu-
lari rispetto a quelli del narratore extradiegetico: chi narra in
prima persona conosce bene se stesso, ma non altrettanto bene
gli altri personaggi; chi narra in prima persona è testimone diret-
to dei fatti che vede (ad esempio del guasto che fa sì che
l’automobile si sia fermata proprio sui binari), ma non di tutti i
fatti che condizionano la storia (ad esempio del procedere del
treno lungo i binari).
Perissinotto 86 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

In secondo luogo, con il narratore autodiegetico si affaccia il


problema del rapporto con il tempo della storia. Se la vicenda
che il narratore-protagonista racconta si è già conclusa (uso del
tempo verbale al passato), il lettore non può prendere in consi-
derazione l’ipotesi della morte del protagonista stesso a meno di
non ricorrere ad un espediente come il cambio del narratore nel
finale o come (ma il trucco è un po’ troppo sfruttato) l’utilizzo
di un narratore che narra in una situazione post mortem
(dall’Oltretomba, da una nuova vita, nella condizione di fanta-
sma, ecc.).
Infine c’è la questione della verosimiglianza del contatto tra
narratore e lettore: a che titolo un signore che afferma di vivere
alla corte del Re Sole rivolge la parola a noi lettori del ventune-
simo secolo per raccontarci direttamente ciò che sta vivendo?
Naturalmente anche questo fa parte di quella finzione letteraria
che nei capitoli precedenti abbiamo imparato a fondare e a ren-
dere credibile, tuttavia, vi è anche chi, scegliendo il narratore au-
todiegetico, decide di abbattere quest’ultimo muro di artificiosi-
tà. Perché Zeno Cosini dovrebbe cercare di raccontare ciò che
gli capita e ciò che pensa? E perché dovrebbe raccontarlo pro-
prio a me? Italo Svevo (e con lui molti altri) sembra preoccupar-
si di rendere verosimile anche l’artificio letterario del narrare e
dedica le prime righe del suo capolavoro a giustificare proprio il
fatto che Zeno scriva; nell’apocrifa prefazione firmata “Dottor
S” si legge:
Debbo scusarmi di aver indotto il mio paziente a scrivere la sua
autobiografia; gli studiosi di psico-analisi arricceranno il naso a tanta
novità. Ma egli era vecchio ed io sperai che in tale rievocazione il
suo passato si rinverdisse, che l’autobiografia fosse un buon prelu-
Perissinotto 87 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

dio alla psico-analisi. […] Le pubblico per vendetta e spero gli di-
spiaccia.44
Ecco che tutto, narratore compreso, si spiega e si giustifica:
Zeno scrive perché il suo psicanalista lo invita a farlo, noi pos-
siamo entrare in contatto con il narratore perché le sue parole
sono state pubblicate e superano così l’abisso temporale che se-
para il 1916 (data dell’ultima annotazione di Zeno) in cui egli di-
ce “adesso”, dal nostro “adesso” di lettori. È tutto falso, perché
è Svevo a scrivere e non Zeno, ed è lo stesso Svevo a pubblicare
e non il Dottor S; ma al tempo stesso è tutto verosimile e tutto
legittimato: il narratore autodiegetico ha bisogno di legittima-
zione non tanto per ciò che attiene alla conoscenza dei fatti,
quanto piuttosto per ciò che riguarda la possibilità di parlare al
lettore.

2.7.3 Altre possibilità


Abbiamo presentato l’alternativa tra narratore interno e narra-
tore esterno come una sorta di dilemma: da una parte il narrato-
re extradiegetico, che può sapere tutto ma che fa sentire pesan-
temente la sua opera di mediazione, dall’altra il narratore
intradiegetico, che sa un numero limitato di cose ma che, per ciò
che lo concerne è diretto e immediato. In realtà, possiamo me-
diare tra queste due istanze estreme con una gamma di soluzioni
enunciative intermedie che ci consentono di cogliere il meglio di
ogni approccio.
Cominciamo col vagliare la possibilità dal narratore multiplo.
Moltiplicare il numero dei narratori può servire a superari i limiti
del singolo narratore interno, senza rinunciare a quell’im-
mediatezza che nasce da un rapporto diretto personaggio-
44 Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Dall’Oglio 1982, p. 23 (ed. or. 1923)
Perissinotto 88 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

lettore. Una soluzione classica è quella della doppia voce narran-


te: i due personaggi principali (lui e lei, l’investigatore e
l’assassino, il soldato e il suo nemico, ecc.) raccontano a turno la
storia, ovviamente ciascuno dal proprio punto di vista.

Mai capitato finora di dovermi occupare d’un convento. Lavori e


cantieri in mezzo mondo, nord e sud, giorno e notte. Conventi mai.
Credevo che non ce ne fossero più. Ed è un convento di suore, di
donne.

Sono uscita dalla cappella questa mattina, e ho visto in fondo al sentiero il


portone socchiuso e suor Teresa in agitazione: si dava da fare per aprir bene i
vecchi battenti, di solito chiusi. Aiutata da qualcuno: due, tre, quattro, cinque
uomini.45

L’alternarsi dei capitoli o dei paragrafi segna solitamente il


cambio di narratore, cambio che, di norma, viene ulteriormente
sottolineato attraverso indicatori grafici come il passaggio dal
tondo al corsivo.
Ovviamente, non è detto che le voci debbano limitarsi a due,
ma è bene non eccedere per non creare confusione nel lettore
che, a un certo punto, potrebbe non capire più chi sta parlando.
Vediamo ora come, con l’introduzione di due narratori interni
al posto di uno esterno onnisciente e con una narrazione che si
svolge a storia non ancora conclusa, noi possiamo raccontare la
scena dell’auto ferma sui binari del treno senza perdere suspen-
se:
Il motore ha cominciato a perdere colpi, come se avesse il sin-
ghiozzo, poi, dopo qualche sobbalzo, l’auto si è fermata, proprio sui
binari. Non è che sia preoccupato, questa linea ferroviaria è abban-
donata da almeno vent’anni, da quando hanno costruito l’altra,

45 Paolo Barbaro, Diario a due, Marsilio, Venezia 1987, pp. 7-13.


Perissinotto 89 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

quella che corre lungo la sponda opposta del fiume. È che mi scoc-
cia che la pompa della benzina si sia rotta di nuovo, dopo che io
Federico Crosetti, re dei meccanici di Sarzana e di tutta la provincia
di Massa e Carrara, l’ho già riparata due volte. Adesso prendo i ferri
e la sistemo definitivamente.
Dopo quaranta minuti di sosta in quella stazioncina sperduta, il controllore
si è degnato di darci qualche informazione. Ha parlato di un guasto sulla linea
e di un percorso alternativo; poi il treno si è mosso ed effettivamente, traballando
sugli scambi, ha imboccato una via diversa da quella che fa di solito, una via che
segue anch’essa il fiume, ma dall’altra parte. Meno male che adesso sta correndo
a tutta velocità.
Abbiamo così risolto il problema di informare il lettore circa
le cose che Federico non può conoscere e, al tempo stesso, non
abbiamo rinunciato ad esporre, senza mediazioni, la voce e i
pensieri dello stesso Federico.
Il ricorso al narratore multiplo può poi prevedere un alternar-
si di narratore interno e di narratore esterno più o meno onni-
sciente. Ad esempio, possiamo fingere che un narratore extra-
diegetico personificato trovi il diario di un personaggio e che
intercali le proprie considerazioni con le pagine del diario (che
invece riportano direttamente la narrazione del personaggio);
oppure possiamo ricorrere alle varie forme del romanzo episto-
lare.
Alle opportunità offerte dal moltiplicarsi dei narratori, si ag-
giungono quelle che ci vengono fornite dal moltiplicarsi dei
punti di vista (vedi 2.6); possiamo cioè conservare un narratore
esterno e onnisciente, che però si cala profondamente nel punto
di vista dei vari personaggi fin quasi ad annullarsi in loro. Perché
questo avvenga, è necessario utilizzare dei moduli stilistici che
riducano l’impatto del narratore nel discorso. Infatti, se noi uti-
lizziamo una formula tradizionale come il discorso diretto legato
o il discorso indiretto legato, la voce di chi narra si sovreppone
in modo fin troppo pesante alla voce dei personaggi. Riscrivia-
Perissinotto 90 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

mo un passaggio che abbiamo già visto, ma introduciamo ora


(nelle parti sottolineate) la “legatura” del discorso.
Ippolito disse: «Muli, siete una razza maledetta e traditrice.»
Ancora una volta aveva dovuto smontare dalla sua cavalcatura, là
dove la mulattiera si faceva sentiero e il sentiero si faceva scala di
pietre. Imprecava contro la bastarda, ma era soprattutto per dimen-
ticare la paura e i pensieri più foschi. Si chiedeva se era peste? Se sa-
rebbe stata peste?46
Un discorso diretto (riportato tra virgolette) o indiretto si dice
“legato” quando è introdotto dal narratore attraverso verbi co-
me: dire, affermare, gridare, chiedere, pensare, ecc.. Ma proprio
questo intervento attraverso il quale il narratore “lega” le parole
dei personaggi alla diegesi viene percepito il più ingombrante,
come qualcosa che distanzia il personaggio e il lettore. È per
questo che le poetiche del Novecento hanno puntato molto sul
discorso libero, cioè non legato. Rivediamo il passaggio prece-
dente nella sua formulazione originale:
Muli: razza maledetta e traditrice.
Ancora una volta aveva dovuto smontare dalla sua cavalcatura, là
dove la mulattiera si faceva sentiero e il sentiero si faceva scala di
pietre. Imprecava contro la bastarda, ma era soprattutto per dimen-
ticare la paura e i pensieri più foschi.
Era peste? Sarebbe stata peste?47
La scomparsa della legatura e l’introduzione, al suo posto, del
discorso indiretto libero conferiscono immediatezza, danno
fluidità al passaggio tra le parti dietetiche e quelle che, seppure
non virgolettate, riferiscono parole e pensieri del personaggio.
E il discorso libero ci porta direttamente al soliloquio. Con
questo termine si intende una conversazione che un personag-

46 elaborazione su: Alessandro Perissinotto, La canzone di Colombano, Selle-


rio, Palermo 2000, p. 13.
47 Alessandro Perissinotto, La canzone di Colombano, Sellerio, Palermo 2000,

p. 13.
Perissinotto 91 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

gio fa tra sé e sé, spesso immaginandosi però le mosse e le con-


tromosse del dialogo con altre persone. In questi casi esso rap-
presenta una specie di prova generale del discorso che si deve
fare a qualcuno. Questa tecnica narrativa è venuta assumendo
un'importanza sempre maggiore nella letteratura moderna ed è
diventata fondamentale per il romanzo psicologico. Il soliloquio
consente infatti al lettore di conoscere in modo diretto i pensieri
del personaggio, senza la necessità di continui interventi del nar-
ratore con frasi del tipo «Egli pensava che...» o «Le sue idee era-
no...».
Ecco come Joyce ci presenta in forma dialogica i pensieri di
Mr. Bloom, i veri protagonisti del suo Ulisse:
...Mr Bloom camminò posatamente oltre Windmill lane. (...)
Presso le case popolari di Brady un garzone di conceria indugiava,
con la secchia dei cascami in braccio, fumando una cicca masticata.
Una bambinetta coi segni di un eczema sulla fronte lo occhieggiava
reggendo incurante il suo malconcio cerchione di botte. Dirgli che
se fuma non crescerà. Ma fumi pure! La sua vita non è poi un letto
di rose! Aspettare fuori dalle osterie per riportare papà a casa. Torna
a casa da mamma, papà.48

Ed ancora l’Ulisse ci offre un esempio del modo più immedia-


to di rappresentare i pensieri, che questa volta sono quelli di
Molly Bloom:
…io dico che è come il primo venuto a parte il nome di re son
tutti fatti allo stesso modo quello di un negro però mi piacerebbe
provarlo bella fino a che età ah 45 c’era una storia buffa sul vecchio
marito geloso di che si trattava e un coltello da ostriche lui andava
no le faceva portare addosso un aggeggio di latta e il principe di
Galles sì aveva un coltello da ostriche non può essere una cosa del
genere…49

48 James Joyce, Ulisse, Mondadori, Milano 1982, p. 97.


49 James Joyce, cit. p. 1002.
Perissinotto 92 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Questo monologo interiore va avanti per una cinquantina di


pagine, senza un segno di interpunzione, senza una sosta; è un
flusso inarrestabile, un flusso di coscienza, dove i pensieri vengono
disposti in rapida sequenza trascurando i legami sintattici tra le
parole o le proposizioni. Nello stream of consciousness la figura del
narratore è completamente sorpassata dall’interiorità del perso-
naggio: il flusso di coscienza rappresenta una narrazione più in-
terna persino di quella del narratore autodiegetico. Una sola av-
vertenza, nell’usare questo “attrezzo” si tenga presente, con la
dovuta umiltà, che se cinquanta pagine senza virgole o punti
escono dalla penna di Joyce si presentano in un certo modo, se
escono da altre penne (compresa la mia) l’effetto può essere
molto meno affascinante.
Perissinotto 93 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

PARTE TERZA: Il discorso.

3.1 Oltre la trama c’è di più (ancora su Roland


Barthes)
Nella prima parte di questo volume ci siamo occupati della
trama, ma ovviamente abbiamo messo subito in chiaro che la
stesura di un racconto o di un romanzo non si può limitare
all’ideazione di una sequenza di eventi. L’esempio più chiaro e,
se vogliamo, banale di come la narrazione non possa limitarsi a
una successione di fatti è il film: vi è forse qualcuno di noi che
invece di andare al cinema si accontenterebbe di leggere sul
giornale la trama del film? Il film deve essere visto perché in es-
so la trama si riveste di un materiale discorsivo fatto di immagini
e di suoni ed è l’unione tra la trama e il materiale discorsivo che
ne determina la piacevolezza.
In prima approssimazione, possiamo dire che nella trama noi
collochiamo le idee creative, mentre col discorso noi avviamo
l’atto comunicativo che ci permette di trasmettere queste idee
agli altri. Sul rapporto tra idee e parole si narra una coppia di
aneddoti incrociati, molto significativi anche nell’ipotesi (forte-
mente probabile) che non siano veri. Il primo di questi aneddoti
riguarda Pasteur, il famoso microbiologo, e un suo giovane al-
lievo di Praga. Pare che un giorno l’allievo abbia detto: «Profes-
sor Pasteur, io vorrei tanto lavorare con lei, ma, poiché sono
straniero, la mia padronanza del francese è assai scarsa». E pare
che la risposta di Pasteur sia stata: «Mio caro amico, la scienza è
fatta di idee, non di parole». L’altro aneddoto riguarda invece
Degas, il pittore e un amico poeta. «Da tempo ho delle buone
idee per una poesia – confida Degas all’amico – ma non riesco a
Perissinotto 94 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

scriverla.» E il poeta: «Mio caro, la poesia è fatta di parole non


di idee». L’incrocio di questi due episodi, veri o fasulli che siano,
ci mostra che la narrazione è fatta tanto di idee, quanto di paro-
le; avviamoci dunque a passare dalle idee al discorso, dai sempli-
ci fatti a tutte quelle parti che “rimpolpano” il testo.
Quando, da lettori neofiti, leggiamo un qualunque racconto, il
testo ci appare come una superficie uniforme e ci sembra che la
lettura debba consistere in un'esplorazione puntuale di ogni mil-
limetro quadrato di quella superficie, secondo una progressione
necessariamente lineare. Man mano che la nostra competenza
letteraria aumenta, ci accorgiamo però che la nostra compren-
sione del racconto non diminuisce in maniera significativa sal-
tando alcune parti di testo, mentre diventa impossibile ometten-
do la lettura di altre. Tutto ciò significa intuire, in modo un po'
ingenuo, che la superficie del testo non è poi così omogenea e
che le sue disomogeneità sono dovute al fatto che la superficie
stessa non è autonoma, ma è sorretta da una struttura che in es-
sa lascia tracce più o meno visibili.
Proviamo a riformulare quest'ultimo concetto attraverso una
metafora, per così dire, edilizia. Capita, talvolta, di essere di
fronte a una parete dall'apparenza uniforme e di voler collocare
un quadro per il quale occorrono due chiodi, presi gli arnesi ne-
cessari ci accorgiamo però che uno dei due chiodi, per quanto
martelliamo, non penetra nel muro, mentre l'altro, a pochi cen-
timetri di distanza, si è piantato con estrema facilità: abbiamo
incontrato un pilastro di cemento armato, cioè una parte della
struttura portante della casa. Qualora, in luogo di mettere un
quadro, decidessimo di abbattere la parete per modificare l'ap-
partamento, ci accorgeremmo altresì che una parte di essa, quel-
la del pilastro, non potrebbe essere demolita pena il crollo della
casa.
Perissinotto 95 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Una cosa analoga accade per il testo narrativo: alcune parti


possono essere eliminate dalla lettura senza compromettere la
comprensione, altre, collocate lì vicino e apparentemente simili,
appartengono invece alla struttura e non possono essere omes-
se, perché forniscono una dose di senso decisamente maggiore.
Il fatto che alcuni segmenti possano essere saltati senza per
questo compromettere la comprensione della trama, non indica
però che il racconto possiede delle parti prive di significato, ma
che esso non è uniformemente significante: alcune unità del te-
sto rimandano a significati relativi allo svolgimento dei fatti, al-
tre a significati relativi alle atmosfere, alla psicologia dei perso-
naggi e così via. Detto altrimenti, abbiamo che alcune parti del
testo fanno “procedere” la narrazione rappresentando degli
eventi significativi per ciò che accadrà dopo, mentre altre parti
assolvono a funzioni differenti, ma non meno importanti.
Un’immagine un po’ meno intuitiva di questi aspetti ce la
fornisce la classificazione delle unità del racconto operata da
Roland Barthes. Nel già citato saggio introduttivo all’analisi
strutturale del racconto, Barthes individua nel discorso del rac-
conto quattro diversi tipi di unità: i nuclei, le catalisi, gli indizi e
gli informanti. A queste quattro diverse tipologie corrispondono
altrettante funzioni nell’economia comunicativa della narrazio-
ne.
3.1.1 Nuclei e catalisi
Diciamo, molto grossolanamente, che i nuclei e le catalisi so-
no quelle parti del livello superficiale del testo, cioè del discorso,
che forniscono al lettore indicazioni per l’avanzamento della
trama, mentre gli indizi e gli informanti contribuiscono a creare
quello sfondo (spaziale, temporale, psicologico, emotivo) sul
Perissinotto 96 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

quale l'azione contenuta nella trama si svolge. In pratica, ogni


nucleo determina il verificarsi di quello successivo.
Prendiamo un brano del nostro racconto:
«Buon giorno, forse non dovrei telefonare a voi, forse dovrei chiama-
re il soccorso alpino, non lo so, ma sono così agitata...»
In effetti, la voce femminile che il carabiniere scelto Antonio Ferrero
sentiva dall'altra parte del filo sembrava la materializzazione stessa
dell'ansia.
«...è che qui c'è un morto, o almeno a me sembra morto, ma lo ve-
diamo solo da lontano, io sono con un’amica alle Rocce Nere, dove c'è la
palestra di arrampicata; il morto invece è in fondo al vallone, credo che
sia caduto con la mountain-bike dal sentiero della cresta.»
Questo passaggio ha ovviamente conseguenze su ciò che acca-
drà dopo; se non vi fosse la scoperta del cadavere, o se le due ra-
gazze non avvisassero i carabinieri non vi potrebbe essere inchie-
sta e quindi non vi potrebbe essere il seguito del racconto.
E adesso consideriamo quest’altro breve passo:
Giunti al colle, Gotti e Ferrero abbandonarono le moto e, proseguen-
do a piedi per il sentiero, arrivarono rapidamente alle Rocce Nere.
Anche questo ha quello che Barthes definisce un “correlato
successivo”, vale a dire che anche l’azione di muoversi prima in
moto e poi a piedi determina delle conseguenze, poiché se i due
carabinieri non si muovessero non arriverebbero sul luogo del de-
litto e così via.

Le due azioni esemplificate prima, pur determinando entram-


be delle conseguenze per il prosieguo della storia, assumono una
diversa rilevanza nello sviluppo narrativo. Torniamo all'idea di
sopprimibilità di alcune parti. Ci accorgiamo così che anche al-
cune di quelle unità che hanno un correlato successivo sono
sopprimibili senza danni per la trama, mentre altre non lo sono.
Dire che qui c’è un morto significa fornire un'indicazione essenzia-
le, ma dire che Gotti e Ferrero abbandonarono le moto significa dare
indicazioni accessorie e apparentemente superflue. È qui dun-
que che si scorge la differenza tra nuclei e catalisi.
Perissinotto 97 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Il miglior modo per comprendere cosa siano i nuclei è quello


di introdurre il concetto di “bivio”; un nucleo è un contenuto
testuale che apre una biforcazione nel percorso della narrazione,
si può procedere in un modo oppure in un altro e la scelta effet-
tuata avrà pesanti conseguenze sul proseguimento della vicenda.
Le ragazze che scoprono il cadavere in fondo al vallone posso-
no fare finta di nulla oppure avvertire i carabinieri: il fatto di
aver scelto la seconda opzione determina gli eventi successivi. Si
tratta dunque di un nucleo narrativo. Al contrario, la descrizione
delle modalità di spostamento dei due carabinieri riportata pri-
ma è una catalisi, un elemento di riempimento.
È un po' come se la superficie del racconto, invece di essere
piana, presentasse dei punti rilevati, là dove la struttura lascia le
proprie tracce, uniti tra loro da parti di “riempimento”, da un
tessuto testuale che potremmo chiamare “connettivo”.
Peraltro, neppure le catalisi sono inutili. Innanzi tutto esse
svolgono una funzione fàtica mantenendo il contatto con il de-
stinatario e, sebbene non influiscano sulla trama, influiscono
ovviamente sul discorso; possiamo notarlo attraverso quel pro-
cedimento che Barthes chiama espansione e che Eco, circa
trent'anni dopo riprende a proposito dell'indugio narrativo. Par-
lando del notissimo episodio della passeggiata di don Abbondio
nel primo capitolo dei Promessi Sposi, Eco scrive:
Potremmo domandarci comunque se era anche necessario che
Manzoni inserisse quelle informazioni storiche sui bravi. Si sa benis-
simo che il lettore è tentato di saltarle, e ciascun lettore dei Promessi
sposi ha fatto così, almeno la prima volta. Ebbene, anche il tempo
che occorre per sfogliare delle pagine che non si leggono fa parte di
una strategia narrativa, perché l'autore modello sa che in un raccon-
Perissinotto 98 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

to il tempo appare tre volte: come tempo della fabula, tempo del di-
scorso e tempo della lettura.50

Torneremo più avanti su questi concetti, ma fin d’ora abbia-


mo capito che, se non altro, la catalisi contribuisce a creare un
tempo della narrazione che, in qualche caso, può contribuire alla
trama stessa e ad una sua migliore percezione.
3.1.2 Indizi e informanti
Molti dei passaggi che compongono un racconto non con-
tengono dati che segnalano uno spostamento nella catena di
eventi, bensì elementi che consentono di meglio comprendere
modi e motivi di quella concatenazione di eventi che trova
espressione altrove.
perché il brillante maresciallo Gotti, bergamasco purosangue, non ri-
copriva qualche incarico di prestigio a Milano? Perché era, per così dire,
"segregato" tra le montagne ad un centinaio di chilometri da Torino?
Nessuno dei suoi colleghi sapeva spiegarselo, ma la risposta era sempli-
ce: l'aveva voluto lui, aveva fatto di tutto affinché gli fosse affidato il
comando di quella stazione. I suoi colleghi non capivano niente; avevano
inchieste importanti, frequentavano la buona società meneghina, ma lì,
lui aveva il "fuori ordinanza", quel miscuglio di libertà ed avventura che
gli permetteva di indagare restando fuori dagli schemi.
Queste precisazioni non rappresentano un evento correlato
ad uno successivo, bensì forniscono al lettore una chiave di let-
tura dei fatti. L’indicazione circa il carattere allegro e anarchico
di Gotti, così come la sua sensibilità al fascino femminile con-
sentono al lettore di connotare umanamente il personaggio, di
non renderlo semplicemente un punto di snodo del racconto
(come vedremo nel capitolo successivo), ma non influiscono
sull’andamento della storia: non importa che Gotti sia bergama-
sco o calabrese, allineato o ribelle, il delitto e la sua ricostruzione
50 Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, cit. p. 66.
Perissinotto 99 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

procederanno comunque; quello che cambia è il modo in cui il


pubblico percepirà e amerà il protagonista.
Abbiamo dunque tutta una serie di indizi che ci agevolano nel
compito di ricostruire la realtà fittizia (si perdoni l’ossimoro)
creata dal racconto. Anche qui però abbiamo delle differenze.
Le operazioni di ricostruzione effettuate a partire da questi indizi
non sono tutte egualmente semplici e immediate.
Prendiamo il seguente passaggio:
In effetti, la voce femminile che il carabiniere scelto Antonio Ferrero
sentiva dall'altra parte del filo sembrava la materializzazione stessa
dell'ansia.
Si crea così un indizio d’atmosfera di un clima di tensione, un
clima che fa da preludio e sfondo alla vicenda vera e propria.
Ma alla ricostruzione di tale clima il lettore giunge attraverso una
serie di riflessioni, di inferenze; in poche parole, egli va alla ri-
cerca di un significato implicito dell’ansia contenuta nella voce
della ragazza e fa previsioni sui possibili sviluppi. L’ansia, la ten-
sione che vengono create nelle prime righe del racconto non de-
terminano casualmente lo svolgimento successivo (altrimenti
costituirebbero dei nuclei), ma mettono chi legge nella condizio-
ne di fare previsioni circa tale svolgimento.
Diversa è invece l’operazione ermeneutica che mettiamo in
atto quando leggiamo che l'amica stava risistemando nello zaino l'attrez-
zatura da roccia. Qui il lettore non avanza alcuna ipotesi interpreta-
tiva, alcuna elaborazione; prendiamo semplicemente nota di
quelle affermazioni come informazioni relative al quadro ogget-
tivo di riferimento, come effetti di realtà che situano la trama in un
contesto specifico (anche quando questo contesto è completa-
mente immaginario come nella fantascienza).
Barthes distingue quest’ultimo tipo di elementi dagli indizi e li
chiama informanti. In rapporto ai veri indizi, il grado di funziona-
lità è inferiore. Essi forniscono un’informazione precostruita,
Perissinotto 100 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

ma proprio per questo servono ad autenticare la realtà del referente, a


radicare l’invenzione nella realtà51, a creare l’illusione referenziale per
la quale ciò che leggiamo ci sembra vero, almeno finché ci im-
mergiamo nell’universo parallelo della lettura. In altri termini, gli
informanti “danno forma” al mondo possibile del racconto.

3.1.3 Accelerazioni e frenate: questioni di ritmo.


Abbiamo così capito che in un racconto dobbiamo scrivere
dei brani dotati, dal punto di vista dell’economia narrativa, di si-
gnificati diversi; in particolare scriveremo passaggi “funzionali”,
che si riferiscono ai momenti di svolta della narrazione, e pas-
saggi “referenziali”, che attengono alla descrizione fine a se stes-
sa (non volta quindi a implicare nuovi fatti) e agli effetti di real-
tà. Vediamo così che i significati narrativi tendono a
concentrarsi in pochi punti ben determinati (i nuclei) e a distri-
buirsi in misura molto più ridotta e via via decrescente in catalisi
e indizi. Più uniforme è invece la distribuzione dei significati re-
ferenziali: il fatto che gli informanti abbiano una funzione quasi
esclusivamente referenziale non implica infatti che su di essi si
concentri la maggior parte dei significati referenziali.
Queste differenziazioni tra i significati e gli elementi ci per-
mettono di valutare le narrazioni in base al diverso grado di
funzionalità o di referenzialità in esse presenti. Poniamo inizial-
mente la questione in termini molto grossolani usando come
esempio la narrazione cinematografica. Per esperienza sappiamo
che vi sono film dove le azioni si succedono ad un ritmo incal-
zante, ed altri dove “non capita nulla”: i primi potranno definirsi

51 Roland Barthes, Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, in AA. VV.,

L’analisi strutturale del racconto, cit. p. 21.


Perissinotto 101 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

fortemente funzionali, mentre i secondi saranno essenzialmente


referenziali. Quando in un film, ma anche in un racconto, si par-
la di ritmo, generalmente ci si riferisce proprio alla frequenza con
la quale si incontrano i nuclei, gli elementi in grado di far evol-
vere la storia. A parità di durata, se un testo offre molti nuclei
dovrà riservare meno spazio alle catalisi, agli indizi e agli infor-
manti, e, poiché abbiamo detto che questi ultimi elementi favo-
riscono la comprensione dei fatti, dobbiamo concludere che una
narrazione dal ritmo elevato dovrà essere basata su fatti molto
semplici, di immediata comprensione, altrimenti, vista la scarsità
di supporti referenziali, l’interpretazione potrebbe risultare mol-
to difficile.
Ma naturalmente non è solo questione di comprensibilità del
testo; accanto alla comprensibilità ci deve essere la godibilità, la
piacevolezza della lettura: un racconto che non lasci mai spazio
alla descrizione degli ambienti, o allo stato d’animo dei perso-
naggi, che non distenda mai il ritmo della narrazione per con-
sentire al lettore di riflettere, è un racconto che si riduce a una
sequenza di eventi, a una pura scaletta narrativa, cioè a una trac-
cia. Per ovvio che sia, conviene dunque ribadire che una buona
narrazione si basa su un equilibrio delicato tra le sezioni funzio-
nali (quelle dove “accade qualcosa”) e le sezioni referenziali
(quelle che fanno da “contorno”, da “sfondo” e da “approfon-
dimento” dei fatti): far pendere la bilancia in maniera troppo
marcata dalla parte della funzionalità significa, come dicevamo,
costruire dei semplici elenchi di fatti privi di giustificazioni so-
ciali e psicologiche (un po’ come avviene nei peggiori film
d’azione); al contrario, puntando tutto sulla referenzialità e ridu-
cendo al minimo gli eventi trasformativi, quelli che fanno “cam-
biare qualche cosa” si corre il rischio di una insostenibile lentez-
za. Ciò non significa affatto che tutte le storie dal ritmo
Perissinotto 102 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

narrativo incalzante siano aride elencazioni, né che un romanzo


dove gli accadimenti siano scarsi sia necessariamente noioso; è
solo che più ci si avvicina agli estremi e più è necessario il talen-
to del grande scrittore per gestire una situazione potenzialmente
pericolosa.
Come esempi di narrazioni quasi puramente funzionali, Bar-
thes propone i romanzi popolari, in opposizione a quelle narra-
zioni fortemente referenziali che sarebbero i romanzi psicologi-
ci.
Non bisogna però essere troppo rigidi in queste categorizza-
zioni: nelle telenovelas e nelle soap-operas (corrispettivi audiovi-
sivi del romanzo popolare) non capita nulla per intere puntate e
tutto è giocato sugli stati d’animo dei personaggi, così i libri
d’amore della collezione Harmony o Bluemoon, ma anche i grandi
romanzi popolari tradizionali (da Dumas a Carolina Invernizio),
sono ricchissimi di minuziose descrizioni, sono fitti di infor-
manti. Tutto ciò, se da un lato smentisce l’equazione «funziona-
le=popolare», dall’altro conferma la possibilità, per un testo
funzionale opportunamente concepito, di essere fruito senza bi-
sogno di un profondo lavoro interpretativo.

3.1.4 Sorprese e previsioni


Leggendo un libro o guardando un film siamo in grado di va-
lutare il diverso grado funzionale e referenziale delle singole par-
ti? le funzioni si presentano così separate dagli indizi?
Scrive Barthes:
se in Un cuore semplice, Flaubert ci rivela ad un certo momento,
apparentemente senza insistervi, che le figlie del sotto-prefetto di
Pont-L’Evêque possedevano un pappagallo, è perché questo pap-
pagallo avrà poi una grande importanza nella vita di Felicita:
Perissinotto 103 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

l’enunciazione di questo dettaglio (quale ne sia la forma linguistica)


costituisce dunque una funzione o unità narrativa. 52

Certo, a posteriori l’analisi è semplice, ma in corso di lettura?


Durante la fruizione l’operazione diventa molto più difficile,
cionondimeno, il lettore attivo non vi rinuncia quasi mai, anche
perché una stessa porzione di testo può essere, contempora-
neamente, nucleo e indizio, catalisi e informante. Quando siamo
fruitori di fiction cerchiamo sempre di capire se un certo ele-
mento è puramente accessorio, o se ci servirà in seguito; se ap-
partiene solo allo sfondo e se entrerà prima o poi nella storia.
Detto in termini strutturalisti, significa che cerchiamo di capire
se ci troviamo di fronte a nuclei o a indizi.
L’indecisione che coglie il lettore in quella fase è fonte di un
senso ulteriore e su di essa come autori possiamo, vediamo co-
me. In molti polizieschi, ad esempio, il destinatario conduce
un’indagine parallela a quella dell’investigatore; al pari di
quest’ultimo egli osserva la realtà e cerca di distinguere tra ele-
menti suscettibili di ulteriori sviluppi ed elementi di contorno:
quanto meno la differenza tra i due tipi di dati è marcata, tanto
più imprevedibile, e perciò avvincente, sarà l’evolversi della tra-
ma. L’autore, in questo caso, deve essere attento nell’insinuare al
lettore il continuo dubbio tra nucleo ed indizio.

Ecco un esempio.
«Alleluia Ferrero, ti davo per disperso, stavo per chiamare i carabi-
nieri.»
«Mi dispiace maresciallo, ma trovare notizie su Pagani è stata un'im-
presa: sembra che non parlasse con nessuno, che non vedesse nessuno…»
«Nessuno che sia addolorato per la sua morte?»

52 Roland Barthes, cit. p. 15.


Perissinotto 104 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

«Forse l'infermiera del suo ambulatorio, ma quella sembra già sempre


ch'a l'abia soa mare morta 'n fauda… Ah, già, mi scusi maresciallo, mi
dimentico sempre che lei non capisce il piemontese. Volevo dire che
quell'infermiera lì ha già sempre la faccia triste e quindi non so se sia
più triste perché è morto il dottore…»

Il dolore dell’infermiera per la perdita del medico è un sempli-


ce indizio di realtà? oppure prelude a qualche svolta narrativa?
Ovvero: l’infermiera soffre solo perché è morto il suo datore di
lavoro? oppure la sua sofferenza cela l’esistenza di sentimenti più
profondi? Si scoprirà in seguito che lei era l’amante del dottor Pa-
gani? Che era un’amante gelosa al punto di uccidere? O invece
non si scoprirà nulla di tutto questo?
Il lettore si pone costantemente domande di questo tipo e fa
costantemente delle previsioni.
Dopo aver letto interamente il racconto, il fruitore sa che il
passaggio sopra riportato è un semplice informante, è un effetto
di realtà; sa che il dolore dell’infermiera non ha conseguenze
sull’andamento della vicenda. Ma durante la lettura tutto questo
non lo sa e l’indecisione accresce il suo interesse.
E adesso consideriamo il brano immediatamente successivo a
quello appena esposto.
«Viveva solo?»
«Sì, e la sera andava sempre a mangiare nella Trattoria dei Due Fiu-
mi, quella dove non ci va mai nessuno.»
«Fammi indovinare: cenava sempre allo stesso tavolo, da solo e in si-
lenzio.»
«Quasi esatto. Scambiava qualche parola con Enzo, il padrone, e solo
a proposito della mountain-bike, ma la sera prima dell'incidente, in sala
c'era un cliente, uno mai visto: quando quello lì ha sentito parlare di bi-
cicletta ha chiesto a Pagani se poteva sedersi con lui e hanno chiacchie-
rato tutta la cena di telai, pneumatici e sentieri.»
Questo passaggio, apparentemente indistinguibile dall’altro,
contiene elementi importanti, anzi vitali, per lo sviluppo della
storia. Ma anche in questo caso il lettore non lo sa: il cliente sco-
nosciuto che si siede vicino a Pagani potrebbe essere un altro per-
sonaggio secondario al pari dell’infermiera, potrebbe essere una
Perissinotto 105 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

semplice comparsa, e invece è l’assassino. Se noi non avessimo


messo nel racconto delle vere comparse (come l’infermiera, il
gommista, il figlio del gommista, ecc.) non ci sarebbero stati
dubbi e dunque l’individuazione del colpevole sarebbe stata scon-
tata (in parte lo è anche in questo caso, ma la colpa è della brevi-
tà del racconto e della sua lettura continua e non frammentata in
puntate com’era in origine).

Il valore narrativo del dubbio, dell’indecisione e delle relative


previsioni, non è evidente solo nel poliziesco, ma in ogni altra
storia, perché il dubbio, la sospensione favorisce la collabora-
zione interpretativa.
Entrare in uno stato di attesa significa far previsioni. Il Lettore
Modello è chiamato a collaborare allo sviluppo della fabula antici-
pandone gli stati successivi. L’anticipazione del lettore costituisce
una porzione di fabula che dovrebbe corrispondere a quella che egli
sta per leggere. Una volta che avrà letto si renderà conto se il testo
ha confermato o no la sua previsione. Gli stati della fabula confer-
mano o disapprovano (verificano o falsificano) la porzione di fabula
anticipata dal lettore. Il finale della storia – così come stabilito dal
testo – non solo verifica l’ultima anticipazione del lettore ma anche
certe sue anticipazioni remote, e in generale una implicita valutazio-
ne sulle capacità revisionali manifestate dal lettore nel corso
dell’intera lettura.53
Dunque il lettore partecipa alla storia quanto più è chiamato a
fare previsioni; quando invece nulla è da prevedere e quando
tutto è semplicemente da vedere, da constatare, la fruizione di-
venta passiva.
Tutto ciò sembrerebbe smentire Cecov quando dice che se
sulla scena di un dramma compare un chiodo, alla fine qualcuno
a quel chiodo si dovrà impiccare, se compare una pistola, quella
pistola dovrà sparare. Se tutto è così rigidamente consequenzia-

53 Umberto Eco, Lector in fabula, cit. p. 113.


Perissinotto 106 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

le, in pratica la previsione si annulla perché manca la possibilità


dell’interpretazione errata, perché, in fondo, sappiamo già come
va a finire.
È quanto avviene nella narrativa e nella cinematografia più
dozzinale, dove si assiste ad una continua trasformazione di in-
dizi e di informanti in nuclei, dove cioè ogni minimo elemento
diventa funzionale, se non addirittura decisivo, per lo sviluppo
della trama, privandoci della possibilità di sbagliare interpreta-
zione. Un esempio: all’inizio del film Arma Letale 3, un operaio
inchioda delle assi in casa di uno dei protagonisti, usando una
macchina chiodatrice; dopo circa un’ora di proiezione lo spetta-
tore scopre che quella stessa macchina, abbandonata lì
dall’operaio, serve al protagonista per salvarsi da un’aggressione.
Quello che poteva sembrare un semplice contributo referenziale
si trasforma in un nucleo, poiché una stessa parte della superfi-
cie testuale può svolgere contemporaneamente (ma il lettore se
ne accorge in tempi diversi) differenti ruoli. Si potrebbe vedere
in ciò l’essenza del “colpo di scena”, ma alla lunga il gioco si
dimostra troppo ingenuo e mette lo spettatore in grado di pre-
vedere le mosse dei personaggi: se, in un film di cassetta, com-
pare un certo oggetto noi sappiamo che prima o poi
quell’oggetto verrà usato e l’effetto sorpresa viene abbondante-
mente ridotto. Chi pensa di dedicarsi alla sceneggiatura (dal fu-
metto, al cinema, alla pubblicità) farebbe bene a riflettere su
questi meccanismi. Tuttavia possiamo considerare questa strate-
gia sotto un altro punto di vista; possiamo cioè pensare che
l’autore voglia essere certo che il suo spettatore sia in grado di
capire ogni nucleo; per questo motivo egli crea delle funzioni
che siano anche informanti allo scopo di garantirsi una piena
comprensione. Detto altrimenti, possiamo pensare che lo sce-
neggiatore di Arma Letale 3 tema che presentando solo la scena
Perissinotto 107 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

della colluttazione (quella in cui la disponibilità della macchina


chiodatrice diventa nucleo) il pubblico possa non comprendere
di quale natura sia l’aggeggio che permette al protagonista di uc-
cidere l’avversario. Se i timori dello sceneggiatore sono fondati,
se cioè lo spettatore è così privo di capacità inferenziali da ne-
cessitare di una spiegazione così completa per comprendere i
fatti, allora la questione della prevedibilità dell’azione non si po-
ne. In definitiva, l’equilibrio tra funzioni e indizi deve essere
amministrato anche in relazione al pubblico cui ci si rivolge.

3.2 Siamo uomini o attanti: la fisionomia del per-


sonaggio
Abbiamo appena detto che l’attenzione narratologica per le
strutture potrebbe erroneamente farci perdere di vista il fatto
che la trama non è tutto in un romanzo; esaminiamo ora un al-
tro possibile errore: la meccanicità nella successione degli eventi.
Pensando alla fiaba come semplice sequenza di funzioni o al
racconto come concatenazione di Programmi Narrativi rischia-
mo di dimenticare che se le azioni che fanno evolvere la vicenda
non sono legate in maniera complessa a chi le svolge (cioè ai
personaggi), la storia potrà apparire fredda, forzata, prevedibile
come numero da clown dove sappiamo già che ci sarà il furbo,
l’ingenuo il pasticcione e quello che si prende la torta in faccia.
Definendo le funzioni, Propp scrive:
Per individuare le funzioni bisogna poterle definire […]. In pri-
mo luogo, in nessun caso bisognerà tener conto del personaggio
esecutore. La definizione consisterà quasi sempre in un sostantivo
indicante un’azione (divieto, interrogazione, fuga e così via). 54
Allo stesso modo, parlando degli attanti, abbiamo detto:

54 Vladimir Ja. Propp, Morfologia della fiaba, cit. p. 27


Perissinotto 108 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Gli attanti non sono attori e non sono nemmeno personaggi, so-
no ruoli narrativi, sono posizioni mutuamente definite che riman-
gono stabili indipendentemente dalle figure concrete che le occupa-
no.55
Un’adozione troppo rigida di questi ed altri assunti teorici po-
trebbe indurci a credere che per fare una buona storia sia suffi-
ciente disporre in successione delle azioni senza curarsi della
personalità di chi queste azioni le vuole, le svolge, le subisce
ecc., senza cioè curarsi della fisionomia del personaggio: le cose
avvengono perché devono avvenire, perché è nella logica del
racconto che si passi da una situazione di separazione
dall’oggetto di valore ad una situazione di congiunzione. Ma una
storia di questo tipo difficilmente risulterebbe “buona” e coin-
volgente; come lettori avremmo l’impressione che manchi qual-
che cosa: l’umanità. Il mondo possibile del racconto deve sem-
pre essere popolato da esseri umani (anche quando sono animali
senzienti, come nel Libro della Giungla di Kipling, o computer
pensanti come in 2001 Odissea nello spazio di Kubrik) e non da
attanti che sono lì solo per svolgere azioni preordinate. In fon-
do, non sono i fatti in sé a rivestire interesse per il lettore, bensì
le conseguenze che quei fatti determinano per le vite dei perso-
naggi. L’immedesimazione, che è uno dei piaceri della lettura,
scatta nel momento in cui ci riconosciamo nei personaggi, poi-
ché solo così noi proviamo le emozioni, i dolori o le paure che
l’autore vuole trasmettere. Lo scrittore non ci trasferisce i suoi
sentimenti, ma ci aiuta a riprendere dentro di noi i nostri senti-
menti; il dolore che proviamo di fronte alla narrazione di un
evento drammatico non è il dolore dell’autore, bensì il ricordo
di un nostro dolore o l’immaginazione del dolore che noi prove-
remmo in quella situazione. Ma se in quella situazione non c’è

55 v. par. 1.7
Perissinotto 109 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

un vero personaggio, se l’evento doloroso coinvolge non un es-


sere umano, ma un attante, fallisce questo atto di introspezione
che è alla base della comunicazione narrativa.
Lo stesso Propp, verso la fine della Morfologia della fiaba dice:
All’inizio abbiamo distinto nettamente la questione degli attori
che intervengono nella favola da quella delle azioni in quanto tali.
La nomenclatura e gli attributi dei personaggi rappresentano le va-
riabili della favola. Per attributi intendiamo l’insieme di tutte le ca-
ratteristiche esteriori dei personaggi: età, sesso, condizione, aspetto
e suoi tratti particolari ecc. Sono gli attributi a conferire alla favola la
sua vivacità, la sua bellezza e il suo fascino. Quando si parla di essa,
si pensa prima di tutto, naturalmente, alla baba-jaga nella sua caset-
ta, ai draghi dalle molte teste, a Ivan-Principe e alla bellissima prin-
cipessa, ai cavalli magici volanti ecc.56
Dunque, sono gli attori, con le loro particolarità, con il loro
carattere a dare originalità la storia, non certo gli attanti, che,
proprio perché semplici ruoli narrativi, sono uguali in ogni vi-
cenda. La questione è involontariamente, quanto magistralmen-
te posta nelle parole di un autore dalla composita esperienza let-
teraria, Daniel Pennac.
[A proposito di Guerra e pace]
«Di cosa parla?»
«È la storia di una ragazza che ama un tizio e poi sposa un ter-
zo.» (da Daniel Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli 1993, p. 121)
Quante altre storie potrebbero essere descritte con queste pa-
role? In quanti decine o centinaia di romanzi c’è una ragazza che
ama un tizio e sposa un terzo? Inventare una vicenda dove una
ragazza ama un uomo, ma pi ne sposa un altro non richiede al-
cun sforzo, alcuna capacità. Quello che richiede talento è rende-
re credibile quella storia così consunta e vista; e la credibilità na-
sce proprio dalla caratterizzazione dei personaggi, dalla

56 Vladimir Ja. Propp, Morfologia della fiaba, cit. p. 93


Perissinotto 110 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

smisurato numero di variazioni sul tema che si possono effetua-


re lavorando sulla fisionomia del personaggio, sui motivi per cui
prende certe decisioni, sul modo in cui vive gli eventi, sulle im-
plicazioni sociali dei suoi comportamenti.

3.2.1 La psicologia del personaggio


Se, come abbiamo visto, l’originalità e la credibilità della nar-
razione dipendono dalla specificità dei personaggi, legare le
azioni della trama al carattere dei personaggi stessi diventa un
requisito fondamentale. Il modo di operare di un certo perso-
naggio non deve mai apparire immotivato al lettore: anche il
personaggio più semplice, se davvero vuole essere personaggio e
non un semplice dispositivo narrativo, deve avere un proprio
carattere, una propria psicologia, un proprio vissuto interiore
che ne spiega l’agire. Persino Paperino ha una propria profondi-
tà psicologica: è irascibile, confuso, buono ma un po’ tardo di
comprendonio; al contrario, Topolino è spesso ritratto come
una semplice marionetta, come un’entità che svolge certe azioni,
ma che non le sente proprie.
Proprio un autore come Cechov, che ha fatto della psicologia
dei suoi personaggi il proprio marchio di stile, in un brevissimo
racconto ridicolizza tutti quegli stereotipi che svuotano i perso-
naggi del loro spessore. Il racconto si intitola Che cosa si incontra
con maggior frequenza nei romanzi, nei racconti, ecc.? ed inizia dando
immediatamente una risposta alla domanda contenuta nel titolo:
Un conte e una contessa con le tracce di un’antica bellezza, un
vicino barone, un letterato liberale, un nobile decaduto, uno stranie-
ro musicista, camerieri ottusi, nutrici, governanti, un direttore tede-
sco, un esquire e un erede che viene dall’America. Dei volti non belli
ma simpatici e attraenti. Un eroe (che ha salvato l’eroina da un ca-
Perissinotto 111 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

vallo infuriato) forte di spirito e pronto a mostrare ad ogni occasio-


ne favorevole la forza dei suoi pugni.57
Ad onta di quanto abbiamo appena detto circa la rilevanza
della psicologia del personaggio, dobbiamo ora confessare che
la narratologia non ha strumenti per indagare in questo campo o
per dare indicazioni ai narratori ed è giusto che sia così, poiché,
in quanto semiotica, la narratologia si occupa soprattutto delle
forme e dei modi della rappresentazione. Per contro, il tema è
affrontato in una sterminata bibliografia da parte della critica
psicanalitica e dalla critica letteraria in generale; è meglio dunque
che in questa sede ci limitiamo a segnalare quanto gli aspetti psi-
cologici siano nodali per la narrazione: per gli approfondimenti
in questo ambito i luoghi sono altri.
3.2.2 Il personaggio e la società
Anche per quanto attiene al rapporto tra personaggio e socie-
tà, la narratologia possiede strumenti di analisi meno efficaci di
quelli di altre discipline, tuttavia, dal momento che la rappresen-
tazione narrativa è frutto di convenzioni sociali, qui possiamo
quantomeno evidenziare i caratteri fondamentali di tale rappor-
to.
Scrive Bachtin:
L’azione del protagonista del romanzo è sempre ideologicamente
distinta: egli vive e agisce nel suo particolare mondo ideologico (e
non in quello epico unitario) e ha una sua propria comprensione del
mondo che s’incarna in azioni e in parole.58
Questo implica che a motivare le azioni non siano soltanto gli
aspetti psicologici del personaggio (come abbiamo accennato
nel paragrafo precedente), ma anche la sua appartenenza alla so-

Anton Cechov, Racconti, De Agostini, Novara 1983, p. 15 (ed. or. 1886)


57
58Michail Bachtin, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino 1979, p. 143 (ed. or.
1975)
Perissinotto 112 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

cietà, o meglio, ad una ben precisa società. Attraverso il perso-


naggio, la narrazione diventa visione del mondo, non solo nei
racconti realistici, ma anche in quelli fantastici, poiché anche in
essi esiste un’organizzazione sociale che è frutto di repliche o
metamorfosi di quella reale. Naturalmente, ancora una volta è
necessario sottolineare la possibile distanza tra il personaggio e
l’autore, tra l’appartenenza sociale di chi è dentro il racconto e
quella di chi sta fuori.
Nel momento in cui diamo vita a una storia siamo chiamati a
tener conto, quantomeno, del senso che le azioni dei personaggi
assumono all’interno della società che è presente nel mondo
possibile del racconto. Passando dalle strutture profonde della
narrazione al soprastante livello del discorso i ruoli di attanti si
rivestono dei panni, anche sociali, degli attori che interpretano
quei ruoli: se abbiamo un antagonista e quell’antagonista è in-
carnato dalla figura di un conte, il suo agire consisterà sì di atti
ostili all’eroe, ma in più saranno atti compatibili con lo statuto
nobiliare e saranno ben diversi da quelli di un personaggio co-
munque malvagio ma appartenente a una classe sociale più mo-
desta. Ad esempio, nel suo utilizzo di sicari, nel suo essere man-
dante ma non esecutore, nel suo arrogarsi il diritto di decidere le
sorti altrui, il don Rodrigo manzoniano non incarna solo un
“cattivo”, ma fornisce il ritratto dell’organizzazione, anche cri-
minosa, di un’intera società. È chiaro che il personaggio non è
sempre costretto a rimanere all’interno di quelle posizioni che la
società gli riconosce come proprie; da quelle posizioni egli può
muoversi e in questo modo contestare l’organizzazione esisten-
te, ma anche in un simile sottrarsi alle convenzioni egli dichiara
al lettore il proprio inserimento, anche critico, in un sistema so-
ciale.
Perissinotto 113 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

L’uomo parlante nel romanzo è sostanzialmente uomo sociale (…)


Le peculiarità della parola del protagonista pretendono sempre a
una certa significanza, a una diffusione sociale.59
Quest’ultima indicazione di Bachtin ci induce a considerare il
rapporto tra personaggio e società non solo dal punto di vista
delle azioni, ma anche da quello del linguaggio: il personaggio
esprime la propria appartenenza sociale anche attraverso ciò che
dice, attraverso le parole e gli stili discorsivi che utilizza. Ed è
proprio questo lo specifico del romanzo, ciò che, ad esempio, lo
distanza dalla poesia epica che pure in alcuni poemi come
l’Odissea assume le caratteristiche della vera narrazione: il ro-
manzo è pluridiscorsivo, nel romanzo non esiste un’unica lingua,
un unico registro linguistico che è quello dell’autore, ma ogni
personaggio ha diritto ad esprimersi con la lingua che psicologi-
camente e socialmente lo caratterizza meglio.
Non si può certo dire che il breve raccontino che abbiamo uti-
lizzato come esempio e come caso di studio abbia aspirazioni da
romanzo psicologico, tuttavia, anche in un testo così breve e im-
postato sull’azione, viene lasciato qualche spazio al carattere del
protagonista, nonché al suo modo di intendere l’ordine sociale
che lo circonda. Gotti ci appare quindi come:
a) un individuo allegramente anarchico
I suoi colleghi non capivano niente; avevano inchieste importanti,
frequentavano la buona società meneghina, ma lì, lui aveva il "fuori or-
dinanza", quel miscuglio di libertà ed avventura che gli permetteva di
indagare restando fuori dagli schemi.
b) un uomo sensibile al fascino femminile
In realtà, avrebbe voluto interrogarne una sola, quella brunetta, mi-
nuta, con il pancino scoperto e un didietro al quale non mancava nulla,
neppure la parola. E invece cominciò con l'altra, quella che aveva tele-
fonato e che, nel gergo maschilista e brutale delle compagnie di monta-
gna, avrebbe potuto essere definita un "boiler": non bella, ma scalda.
c) un uomo sensibile al dolore altrui

59 Michail Bachtin, cit. p. 141.


Perissinotto 114 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Le lacrime [del colpevole] gli ruppero la voce, ma ormai tutto era


chiaro; il maresciallo Gotti avrebbe dovuto essere contento, eppure non
lo era.

3.2.3 Il personaggio e il linguaggio


E veniamo dunque, sulla scorta di Bachtin, al personaggio
come costrutto linguistico60.
Il vecchio pregiudizio che assegnava alla letteratura visiva (fo-
toromanzo, fumetto, sceneggiato televisivo) un ruolo subalterno
rispetto alla letteratura scritta (alta o popolare non importa) cer-
cava spesso giustificazione nei maggiori margini che
quest’ultima lascia all’immaginazione e a una costruzione tutta
mentale e individuale di situazioni e soprattutto di personaggi.
Le maestre di un tempo neanche troppo remoto cercavano,
spesso inutilmente, di convincere schiere di ragazzini che spiare
attraverso il paravento traslucido delle parole la fisionomia in-
certa di un Sandokan o di un Robinson è molto più affascinante
che vedere distintamente l’immagine netta di un Capitan Ameri-
ca o di un Superman, dove tutto ci è dato, tutto tranne il timbro
della voce. Leggere è dunque dare corpo e anima, volto e perso-
nalità ai nomi d’inchiostro. Questo in teoria; in realtà ci sono
personaggi che diventano persone e altri destinati a restare pure
istanze enunciative, segni senza referente, come voci di un elen-
co telefonico di una città sconosciuta. Ed è qui che il personag-

60
Alcune delle riflessioni che seguono si trovano sviluppate in
modo più approfondito in: A. Perissinotto, Lingua e dialetto nel
personaggio della memoria, in G. Bottiroli (a cura di) Problemi del per-
sonaggio, Bergamo University Press, Bergamo 2001.
Perissinotto 115 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

gio comincia a diventare oggetto di riflessione, a fare problema,


un problema che appartiene in prima istanza allo scrittore: come
operare per dotare i personaggi di una propria identità? Diverse,
come abbiamo visto, le risposte al quesito, una di queste è quella
che ci interessa: il personaggio come pura connotazione lingui-
stica.
L’identità, lo sappiamo, non si ottiene che per differenza, per
negazione di ogni assimilazione; l’identità è segno, l’identità di
un personaggio è ciò che gli altri non sono. L’identità è diffe-
renza nel pensiero, nell’aspetto, nell’azione o in quel particolare
tipo di azione che è la parola. Il personaggio può essere costrui-
to attraverso ciò che dice o ciò che fa, ma anche attraverso la
lingua che parla: talvolta il personaggio è ciò che parla. Quella
che crea il personaggio, è una lingua dove sono facilmente ri-
scontrabili le marche di uno o più gruppi sociali, perché il per-
sonaggio letterario non viene “conosciuto” dal lettore, bensì “ri-
conosciuto” come copia o caricatura o variazione di uno o più
tipi umani, e dunque, quando egli non è fatto di corpo ma di so-
la parola occorre che questa parola sia riconoscibile e collocabile
all’interno della società reale.
Peraltro, non bisogna confondere la connotazione linguistica
che dà identità al personaggio, con il più banale registro lingui-
stico che adegua la parlata del personaggio al suo status sociale,
alla sua età o alla situazione comunicativa. Qui non è questione
di referenzialità del linguaggio, ma appunto di connotazione, di
sfumature, di un senso secondo che prescinde dall’oggetto delle
parole e marca l’attenzione sul codice.
A questo punto, più che continuare ad affrontare teoricamen-
te la questione, conviene vedere alcuni esempi scelti tra quelli
dove le particolarità della lingua, ed in special modo l’uso del
dialetto, costruiscono il personaggio come pura evocazione lin-
Perissinotto 116 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

guistica. Partiamo da Libera nos a malo di Luigi Meneghello. È un


romanzo di formazione e un romanzo della memoria, popolato
di pochi personaggi e di un’infinità di comparse e queste sole
hanno diritto ad una descrizione fisica. Dei personaggi e in pri-
mo luogo del protagonista-narratore (per il momento conside-
riamoli un tutt’uno, ci ricrederemo in seguito), non abbiamo un
ritratto e neppure un’ombra cinese; nulla ci è dato al di fuori del
loro modo di esprimersi, ma questo ci basta perché è in grado di
evocare (non di descrivere o di raccontare, ma di far “sentire”) il
mondo che dà forma univoca e identità al personaggio.
Una prima questione: chi è il personaggio principale? E subi-
to una seconda: quanti sono i personaggi principali, i protagoni-
sti? Ammettiamo che sia uno; il suo nome ci è ignoto: solo fin-
gendoci lettori ingenui, inconsapevoli delle differenze tra autore,
narratore e personaggio possiamo chiamarlo Luigi Meneghello,
un nome e un cognome che il testo gli attribuirà solo molto
avanti e mai contemporaneamente. Eppure, smessi i panni del
lettore ingenuo, ci accorgiamo che quel nome non è che un eti-
chetta dietro la quale si nascondono personaggi diversi, coesi-
stenti in un unico tempo del discorso, ma distribuiti lungo tutto
l’asse del tempo della storia. È chiaro, siamo di fronte a un Bil-
dungsroman, il personaggio si forma e si trasforma, non rimane
uguale a se stesso. E in più, a narrare i vari passaggi c’è il perso-
naggio formato, l’adulto che si guarda indietro, il narratore. Ma
come ci rendiamo conto delle successive trasformazioni? Attra-
verso la maturazione fisica del personaggio? No. Tramite la sua
crescita di consapevolezza? In parte. È soprattutto la lingua, o
meglio le lingue, che ci danno prova dell’avvenuta formazione.
Innanzitutto esiste la lingua del narratore, Meneghello anch’egli;
una lingua italiana standard, a tratti colta, che lungo tutto il ro-
manzo servirà da riferimento per misurare gli scarti. Essa identi-
Perissinotto 117 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

fica il personaggio adulto, il personaggio dell’oggi, quello che dei


codici e dei meccanismi comunicativi è finalmente e pienamente
consapevole. Le altre lingue si rapportano a questa con un mo-
vimento che parte da una posizione di distanza massima, corri-
spondente al personaggio dell’infanzia, per poi avvicinarsi gra-
dualmente man mano che la formazione avanza; una
formazione che dunque è, almeno nella superficie testuale
dell’opera, essenzialmente linguistica.
Il primo personaggio della memoria che ci viene presentato in
apertura, il bambino che salta felice sul letto dei genitori, non si
riconosce per le cose che dice, ma per come le dice; canta inni
fascisti (siamo negli anni Venti) come gli adulti, ma tra le sue
labbra l’italiano retorico del regime subisce ogni forma di mu-
tamento fonetico: assimilazioni consonantiche con prevalenza
di assibilazioni tipicamente vicentine (fassio, fassisti) e soprattutto
agglutinazioni (lassalto, pugnal frai denti, Atimpuri). Tutti indizi,
questi, di una estraneità alla lingua ufficiale che segna appunto
l’inizio di un cammino, anzi, il blocco di partenza. Ognuna delle
tappe di questo processo sarà segnata dall’acquisizione di una
sempre maggiore competenza linguistica orientata tanto
all’italiano quanto al dialetto.
Prima tappa
Avevo avuto avventure con le parole fin dall’asilo (o come si di-
ceva scola-l’esilo), dove il mio arrivo era stato amareggiato da
un’inattesa esperienza linguistica e insieme sociale. Fu quando
espressi ingenuamente il proposito di fare pissìn, la sola espressione
che conoscevo in materia, e fui deriso a lungo come una specie di
signorina da quei sodi popolani tra i due e i cinque anni che diceva-
no soltanto pissare.61

61 Luigi Meneghello, Libera nos a malo, Oscar Mondadori, Milano 1996, p.


21 (ed. or. 1963)
Perissinotto 118 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Seconda tappa
Dalla maestra Prospera imparavamo l’alfabeto e i numeri, e l’uso
di certe parole come “spaziosa”, “chicchi”, imposte e altre finezze
della lingua scritta.62

Eccolo il punto d’arrivo della formazione, non l’amore, non


la coscienza civile, non l’eroismo, ma la lingua scritta. Un obiet-
tivo lontano, ma già visibile. Non si tratta solo di imparare a
scrivere, di acquisire la padronanza di quella tecnica comunicati-
va che è l’alfabeto, bensì di impossessarsi di una lingua che si
può scrivere, in contrapposizione a una lingua, il dialetto, che
non si scrive. Parlare e scrivere, guai a considerarli due aspetti
della stessa comunicazione. Il dialetto identifica in primo luogo
il bambino, colui che non solo comunica, ma anche pensa nella
dimensione dell’oralità, della sintesi opposta all’analisi, del mito
opposto alla storia, della fiaba opposta alla cronaca.
C’è quindi chi parla, c’è chi scrive, e c’è, almeno in linea teori-
ca, il personaggio che parla la lingua scritta. Virtuosismo dei vir-
tuosismi, tecnica sopraffina e inusitata, quasi aberrazione. Il per-
sonaggio ultimo, quello che non è rappresentato nel corpo del
romanzo, ma, come vedremo, nelle note, nel paratesto, è colui
che parlerà “come un libro stampato”.
Abbiamo sempre avuto gran belle ragazze in paese. Ora sono
anche eleganti, si dilettano di pittura, alcune parlano lingua (non
abitualmente “italiano” però, per fortuna; bisognerebbe dirlo alla
gente fin che c’è ancora tempo, che l’italiano non è una lingua parla-
ta).63

62 Luigi Meneghello, cit., p. 20


63 Luigi Meneghello, cit., p. 275
Perissinotto 119 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Io credo però che vi sia un equivoco di fondo nella maggior


parte delle interpretazioni di Libera nos a malo, un equivoco che,
ad arte, lo stesso Meneghello contribuisce a creare e, nel con-
tempo, a svelare.
Le cose andavano così: c’era il mondo della lingua, delle conven-
zioni degli Arditi, delle Creole, di Perbenito Mosulini, dei Vibralani;
e c’era il mondo del dialetto, quello della realtà pratica, dei bisogni
fisiologici, delle cose grossolane.64
Il malinteso sta nella funzione del dialetto come strumento
per riportare la narrazione dal mondo delle parole al mondo del-
le cose: no, non è per quello che viene usato il dialetto, non è
perché esistono oggetti, azioni e stati d’animo che non trovano
un loro segno nella lingua italiana, ma solo nel dialetto (questo è
vero, ma qui non c’entra). Meneghello non scrive per quei da
Malo, né per se stesso; con chiarezza d’intenti Meneghello scrive
per tutti meno che per i suoi compaesani (altrimenti il libro sareb-
be sembrato un po’ inutile ai suoi lettori, dato che qui in paese queste cose ce
le diciamo già a voce) e per quei tutti, le parole in dialetto sono in-
comprensibili, prive di referente o, almeno, dotate di un referen-
te diverso. Né le note di cui l’autore dota il suo testo chiariscono
fino in fondo i significati lessicali, anzi, il più delle volte compli-
cano la decodifica, rimandano a contesti sconosciuti. Le note
sono anzi lo spazio in cui, più che da ogni altra parte, si vanifica
e si irride lo sforzo di una traduzione letterale; la nota che do-
vrebbe spiegare il senso dell’epiteto mas’cio (p. 6) non fa il mini-
mo cenno a corrispettivi in lingua italiana e si sofferma invece
su un’elaborata ricerca filologica e fonologica che cita, a titolo di
occorrenza, la frase Este masca, “dove Este è nome proprio di
cugina”.

64 Luigi Meneghello, cit., p. 30


Perissinotto 120 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Quanti Meneghello c’erano? Uno, il narratore, l’adulto, il per-


sonaggio dell’oggi (1963) a Malo. Due, il bambino, ragazzo, ado-
lescente, giovane, il personaggio della memoria. E ne spunta
fuori un terzo che si affaccia alla scena del romanzo con
l’espediente delle note: il Meneghello autore, il filologo erudito.
No, le note non spiegano proprio niente, hanno solo il compito
di creare questo terzo fondamentale personaggio, una creazione,
ancora una volta, linguistica. Questa nuova lingua-personaggio è
quella delle abbreviazioni da dizionario, dell’enfasi semiseria,
delle distinzioni pseudo-dotte tra dialetto di Malo Alto e dialetto
di Malo Basso. Da quelle note, lo scrittore ammicca al suo letto-
re “straniero”, al “foresto” di Schio, di Vicenza, di Napoli o di
Londra e gli indica il luogo in cui cercare le cose che si nascon-
do sotto quelle parole arcane del dialetto, il luogo della sua per-
sonale memoria. Non importa se nei nostri giochi infantili non
abbiamo mai fatto delle schinche o non abbiamo mai dato la cac-
cia ai gnari, ciò che importa è che nella nostra memoria (è quello
il luogo dove dobbiamo cercare) esistono cose che non hanno
nome se non nella lingua segreta della nostra infanzia, sia essa il
dialetto, il gergo o l’italiano scorretto, orecchiato e mal riprodot-
to. Se i personaggi non hanno apparenza fisica è perché quei
personaggi siamo noi; siamo noi il personaggio della memoria,
la sua identità è la nostra poiché anche noi , in un certo momen-
to della nostra vita, avremmo potuto essere rappresentati come
uno scarto linguistico rispetto alla lingua standard. Se dunque
c’è un rinvio al mondo delle cose, queste non sono necessaria-
mente le cose di Meneghello o di Malo, sono le cose del ricordo.
L’immedesimazione del lettore cresce al massimo grado in virtù
dell’indecidibilità del codice, i significanti ignoti, ma riconosciuti
come tali, non restano senza significato, vengono riempiti di al-
tri significati, quelli della nostra esperienza; il dialetto diventa da
Perissinotto 121 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

un lato multireferenziale, prestandosi ad una pluralità di attribu-


zioni di senso, dall’altro diviene autoreferenziale non indicando
altro che se stesso, la sua essenza, la sua diversità.
Ci sono due strati nella personalità di un uomo; sopra le ferite
superficiali, in italiano, in francese, in latino; sotto le ferite antiche
che rimarginandosi hanno fatto queste croste delle parole in dialet-
to. Quando se ne tocca una si sente sprigionarsi una reazione a ca-
tena, che è difficile spiegare a chi non ha il dialetto. C’è un nòcciolo
indistruttibile di materia apprehended, presa coi tralci prensili dei sen-
si; la parole dal dialetto è sempre incavicchiata alla realtà, per la ra-
gione che è la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a ra-
gionare, e non più sfumata in seguito dato che ci hanno insegnato a
ragionare in un’altra lingua. Questo vale soprattutto per i nomi delle
cose.
Ma questo nocciolo di materia primordiale (sia nei nomi che in
ogni altra parola) contiene forze incontrollabili proprio perché esiste
in una sfera pre-logica dove le associazioni sono libere e fondamen-
talmente folli. Il dialetto è dunque per certi versi la realtà, per altri
versi la follia.65

Il dialetto non descrive la realtà, il dialetto è la realtà, almeno


lo è in Libera nos a malo; è contemporaneamente strumento e og-
getto di narrazione, per questo è autoreferenziale e per questa
sua autoreferenzialità esso è universale nel senso che, pur quan-
do ci è ignoto, pur quando ci è difficile collegare le parole alle
cose, noi, noi che abbiamo un dialetto (non importa quale, ma
come è difficile spiegare a chi non ha il dialetto), sappiamo che lì c’è
un riferimento ad un universo ai confini della memoria,
all’universo del mito. Sì, perché il mito nasce ai margini del ri-
cordo, su cose che abbiamo visto, ma che non sapremmo de-
scrivere, che non ci verrebbero in mente se il caso non ce le
mettesse di fronte.

65 Luigi Meneghello, cit., p. 37


Perissinotto 122 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Ma è ora di passare oltre il “caso Meneghello” e di valutare la


costruzione del personaggio della memoria come scarto tra lin-
gua standard e dialetto e/o gergo nella sua valenza di sistema
generalizzabile.
Prendiamo Il mio Carso di Scipio Slataper; un altro Bil-
dungsroman, un altro viaggio dalla fanciullezza all’età adulta. E
anche qui, accanto a un narratore autodiegetico dall’italiano to-
scaneggiante, c’è un personaggio-bambino linguisticamente de-
finito dal dialetto e dai buffi calchi sulla lingua ufficiale. E a ma-
no a mano che dal ieri si passa all’oggi, l’uso del dialetto si
circoscrive all’ambito del ricordo e, ancora una volta, del mito; i
personaggi-dialetto si assottigliano e non rimangono che le put-
tane della cità vecia, esseri condannati in eterno a rinnovare il mi-
to di Circe, e un vecchio zio garibaldino che chiama s’ciavi gli
slavi e i croati, seguendo l’antica denominazione che ha consa-
crato agli schiavoni una delle più famose rive di Venezia. Infine,
nella terza parte del breve romanzo, dove il mulo (ragazzo) che
andava a caccia di crote (rospi), diviene l’eroe della retorica pa-
triottarda ormai pronto a morire in trincea (sarà il destino di Sla-
taper), dialetto e alterazioni foniche sono completamente bandi-
te a vantaggio di una lingua pura, alta.
E passiamo al terzo esempio. Francesco Guccini, Croniche epa-
fàniche, siamo nel 1989, come anno di uscita e tra la fine degli
anni ’40 e l’inizio dei ’50 come ambientazione. 1989, sono pas-
sati ventitré anni dalla comparsa di Libera nos a malo, ma in fon-
do è lo stesso libro: plagio? citazione? ispirazione? Difficile a
dirsi. È chiaro che i contenuti sono gli stessi, ma questo non è
indizio di nulla, se non di una certa fedeltà al referente e del fat-
to che in quasi cent’anni i codici comportamentali dell’infanzia
extracittadina non sono cambiati: le estati di Slataper, di Mene-
ghello, di Guccini (e anche le mie) sono state piene di nuotate
Perissinotto 123 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

semiproibite nelle doline, nei boij, nei pozoni (o nelle tampe come
si dice da me), di sassaiole con le bande rivali, di improbabili
competizioni sportive. Più importante è una singolare concor-
danza di scelte linguistiche tra il cantore di Malo e quello di Pa-
vana. Anche qui esiste un Guccini uno, personaggio della me-
moria, e un Guccini tre, filologo e osservatore, anzi osservatore
in quanto filologo poiché fatti e personaggi osservati sono, an-
cora una volta, plasmati dal linguaggio. Più sfumato, quasi as-
sente, il Guccini due, il personaggio dell’oggi, il personaggio del-
la lingua standard parlata (mentre il filologo appartiene alla
lingua scritta).
Eccoli l’uno e il tre:
Mio zio Enrico, il fratello minore di mio nonno Pietro, veniva
abitualmente chiamato Nerico, con metàtesi dialettale curiosamente
usata solo se lo nominavamo in italiano; in dialetto invece lo chia-
mavamo Merigo.66
C’è il personaggio della memoria che storpia i nomi e c’è
l’osservatore esterno, quasi un narratore extradiegetico tanta è la
differenza tra il codice suo e quello del bambino, che parla di
metatèsi. E tutto il testo è disseminato di solecismi, dialettalismi,
di parole marcate da un’epìtesi tipicamente toscana (filme, cognac-
che, ecc.), di agglutinazioni tese a riprodurre le forme del parlato
familiare e che, non a caso, colpiscono soprattutto i nomi di pa-
renti (Ziarina, Nonnamaria); insomma, di tutte quelle varianti lin-
guistiche che già abbiamo esaminato a proposito di Meneghello.
E anche qui le varianti sono sorvegliate e segnalate come tali dal
personaggio scrittore, che, anche qui, si incarica di redigere note
etimologiche di palese inutilità lessicale, ma di straordinario ef-
fetto nella definizione dei ruoli dei vari personaggi.

66 Francesco Guccini, Cròniche epafàniche, Feltrinelli, Milano 1989, p. 55.


Perissinotto 124 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Molti dunque i punti in comune in ambito linguistico, dalle


analoghe deformazioni di nomi storici di automezzi come i Trerò
ad altre strategie linguisticamente definitorie del personaggio.
Un esempio: l’inadeguatezza del personaggio della memoria ri-
spetto alle ambiguità del codice che presiede alla comunicazione
nella sfera sessuale, all’allusione oscena.
Scrive Guccini:
A nuotare poi non si va mai, si va a fare il bagno, o meglio, uno è
lì e dice agli altri: “Si fa il bagno?” e via ci si butta. Senza costume,
che non serve, il bagno vero si fa gnudi, meglio se ci sono villeg-
gianti in giro […]. E lì si sta bene, perché l’acqua può essere fredda,
ma dentro si sta bene, e meglio fuori dopo al sole. Si possono fare
commenti. Loriano di Tonio-Rosa diceva: “Guarda quelle vileggian-
ti, come si ungano. Le ungerei io sì, con un po’ d’unto creapòpoli!”
Sfuggiva il significato profondo dell’affermazione, e forse per que-
sto lasciava una certa impressione di rifiuto, di un’idea in sé ribut-
tante.67

Mentre in Meneghello leggiamo:


All’asilo ci facevano cantare canzoni piene di sentimento, altre ci
arrivavano dal mondo esterno.

Ramona
Co na palanca se va in mona.

Mi pareva una bella canzone, un po’ triste con quel richiamo alla
rovina economica che capita fatalmente a chi non possiede altro che
dieci centesimi: una cosa ovvia in fondo, ma molto ben detta. Pen-
savo che sarebbe piaciuta alla mamma, ma invece non le piacque af-
fatto.68

67 Francesco Guccini, cit., p. 13.


68 Luigi Meneghello, cit., p. 26.
Perissinotto 125 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Inutile insistere oltre sui parallelismi; sono tanti e, a meno di


chiederlo ai diretti interessati, non sapremo mai se si tratti di in-
fluenze sul testo posteriore da parte di quello anteriore oppure
di scelte convergenti, ma indipendenti. E forse questo non è
neppure tanto importante. Ciò che importa, a mo’ di conclusio-
ne, è che nel caso del personaggio della memoria, così come del
personaggio del mito moderno, l’identità espressa sotto forma
linguistica, sotto forma, forse, di socioletto, appare singolarmen-
te adeguata ed efficace.

Nella breve storia del maresciallo Gotti abbiamo provato ad in-


trodurre un minimo di connotazione linguistica del personaggio
sottolineando la differenza di modalità espressive tra il carabinie-
re Ferrero, nome piemontesissimo, che è nativo del luogo e che
parla il dialetto, e il protagonista che invece è bergamasco. Ecco
un paio di dialoghi in cui questa differenza viene marcata:
Il carabiniere si fece ancora lasciare il numero del cellulare della
donna, poi si recò nell'ufficio del suo superiore.
«Maresciallo, un altro incidente con la mountain-bike.»
«Grave?»
«A l'ha lasaje le piume.»
«Traduzione?»
«È deceduto. È successo vicino alle Rocce Nere. Chiamo il soccorso al-
pino?»
E ancora:
«Mi dispiace maresciallo, ma trovare notizie su Pagani è stata un'im-
presa: sembra che non parlasse con nessuno, che non vedesse nessuno…»
«Nessuno che sia addolorato per la sua morte?»
«Forse l'infermiera del suo ambulatorio, ma quella sembra già sempre
ch'a l'abia soa mare morta 'n fauda… Ah, già, mi scusi maresciallo, mi
dimentico sempre che lei non capisce il piemontese. Volevo dire che
quell'infermiera lì ha già sempre la faccia triste e quindi non so se sia
più triste perché è morto il dottore.
Perissinotto 126 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

3.3 Il personaggio Tempo.


3.3.1 Strategie di rappresentazione del tempo
In ogni caso il racconto è un’operazione sulla durata, un incante-
simo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatando-
lo.69
Con questa breve affermazione, Calvino, con il suo stile rapi-
do e lieve, introduce alla molteplicità dei problemi connessi al
tempo nella comunicazione letteraria, ma soprattutto ricorda
che ogni racconto c’è una sorta di personaggio invisibile, o qua-
si, che si aggiunge agli altri: il tempo appunto.
La realtà della narrazione è però più complicata di quanto la
precedente considerazione lasci intuire, poiché in un racconto il
tempo appare tre volte: come tempo della fabula, tempo del di-
scorso e tempo della lettura70.
Cominciamo col definire il tempo della fabula, che è il vero per-
sonaggio invisibile del racconto. Il tempo della fabula è quello
determinato dalla durata della storia narrata: ne Il giro del mondo in
ottanta giorni di Jules Verne, il tempo complessivo della fabula
dura, grosso modo, ottanta giorni, mentre nell’Ulisse di Joyce
dura esattamente dalle 8 del mattino alle 2 di notte del 16 giu-
gno 1904, cioè un giorno. Un lettore particolarmente sprovve-
duto potrebbe pensare che il romanzo di Verne sia ottanta volte
più voluminoso di quello di Joyce, dal momento che racconta
ottanta giorni anziché uno. Ovviamente non è così: la messa in
discorso di una fabula non è commisurata all’arco temporale
della fabula stessa: il tempo del discorso dell’Ulisse è molto più
lungo del tempo del discorso del Giro del mondo anche se, trat-

69 Italo Calvino, Lezioni americane, Milano, Mondadori 1993, p. 43 (1a ed.


Garzanti 1988).
70 U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani, p. 66.
Perissinotto 127 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

tandosi di un romanzo è difficile distinguere, come vedremo in


seguito, il tempo del discorso da quello della lettura, cioè
dell’esecuzione, anche mentale, di quel discorso. Nel cinema in-
vece, dove il tempo del discorso e quello della fruizione coinci-
dono, è molto più facile comprendere come il film Il giro del
mondo in ottanta giorni (in qualsiasi delle sue versioni) duri meno
di ottanta giorni, così come I tre giorni del condor (regia i Sydney
Pollack – 1975) o Dieci incredibili giorni (regia di Claude Chabrol -
1971) durino meno della storia che raccontano: il discorso con-
trae o talvolta espande (si pensi alle riprese al rallentatore) il
tempo della fabula, generando un proprio tempo. Ma ora sof-
fermiamoci sul tempo della fabula perché è quello che per pri-
mo ci pone problemi in qualità di autori. Se abbiamo parlato del
tempo della fabula come personaggio invisibile è perché questo
tempo, al pari di un personaggio, ha bisogno di essere rappre-
sentato, di essere segnalato al lettore nel suo comparire e nel suo
scorrere; parlare di sviluppo narrativo, di svolgimento dei fatti,
di evoluzione della storia significa necessariamente mettere in
campo la variabile tempo, poiché non c’è sviluppo, svolgimento
o evoluzione che non si manifesti grazie allo scorrere del tempo.
Ma come fare nella narrazione per rendere conto del passare del
tempo della fabula, cioè del tempo che scorre non sull’orologio
del lettore, ma nel mondo possibile del racconto?
Il cinema ci ha abituato ad espedienti visivi di una certa effi-
cacia: la data che compare in sovrimpressione, i fogli del calen-
dario che si staccano uno dopo l’altro, le edizioni di un quoti-
diano che si susseguono, il volto dei personaggi che invecchia o
ringiovanisce, le foglie degli alberi che ingialliscono, e così via.
Vediamo ora come mettere in atto procedimenti analoghi nella
narrazione letteraria e soprattutto vediamo a quali differenti ne-
cessità di temporalizzazione corrispondono le varie strategie.
Perissinotto 128 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

In un testo scritto esistono tre differenti modalità per rappre-


sentare il tempo, tre diversi tipi di indicazione cronologica: refe-
renziale, differenziale, discorsiva. Si tratta, come vedremo, di catego-
rie che attengono ai dispositivi semantici di rappresentazione
della dimensione “tempo” e che non riguardano, se non margi-
nalmente il tempo in sé e quindi i concetti di incoatività, durati-
vità, terminatività, ecc..
L’indicazione referenziale è quella che utilizza, all’interno del
mondo possibile del racconto, grandezze che, per loro natura,
fanno riferimento a una realtà esterna a quella della narrazione.
L’esempio principale è quello costituito dalla datazione. «Dico
adunque che già erano gli anni della fruttifera Incarnazione del
Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantot-
to, quando nella egregia città di Fiorenza...». Con questa elabora-
ta formula Boccaccio fornisce le vicende della “cornice” del De-
cameron di una prima e precisa coordinata temporale. Attraverso
l’uso di un’unità di misura impiegata anche nel mondo reale,
l’anno, e il riferimento ad un evento esterno ai fatti narrati, l'in-
carnazione di Cristo, l’autore attua una sorta di sincronizzazione
tra storia interna al racconto e storia esterna, accentuando così
l’illusione referenziale. Vale la pena di notare, en passant, che il
riferimento esterno non deve essere necessariamente “reale”,
ma può limitarsi ad essere socialmente riconosciuto come tale: è
questo proprio il caso del sistema di datazione dell’Occidente, il
quale assume come riferimento un evento, la nascita di Cristo,
che, al di là delle convinzioni religiose, potrebbe essere
anch’esso puramente testuale. Sarà quindi da considerare refe-
renziale anche qualsiasi datazione fittizia (un caso per tutti: 2001
Odissea nello spazio) espressa sotto forma di differenziale rispetto
ad un qualunque data storica; la referenzialità non viene meno
neppure quando l’avanzare del tempo sposta nel passato la da-
Perissinotto 129 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

tazione di un “romanzo d’anticipazione” (come accade leggendo


oggi 1984 di Orwell), o quando la temporalizzazione della vi-
cenda manifesta aperte incongruenze con la realtà storica (come
potrebbe essere il caso di un ipotetico romanzo che collochi i
fatti in un immaginario anno XXIX dell’Era Fascista).
Poiché la base dell’indicazione referenziale è data dalla sin-
cronizzazione della narrazione con il mondo esterno, un caso
particolare di questa tipologia sarà costituito dal collegamento
cronologico degli eventi del racconto con fatti storici o con ri-
correnze culturalmente condivise all’interno di una certa società.
Anche in mancanza di date precise, la sincronizzazione può av-
venire mettendo direttamente “in parallelo” la narrazione e il
suo contesto; ammettendo di riconoscere la Bibbia come rac-
conto e non come documento, notiamo che questa è la strategia
di temporalizzazione adottata dai vangeli sinottici: «In quel tem-
po l'imperatore Augusto con un decreto ordinò il censimento di
tutti gli abitanti dell'impero romano. Questo primo censimento
fu fatto quando Quirino era governatore della Siria» (Luca 2, 1-
2). Il richiamo ad Augusto ed a Quirino costituisce, da solo, da-
tazione referenziale, ma, in questo modo, il testo caratterizza il
proprio Lettore Modello come individuo dotato, almeno, delle
competenze storiche necessarie per effettuare questo tipo di
sincronizzazione, cioè per riconoscere che l’esistenza di questi
due personaggi non è determinata solo dal racconto evangelico.
La scelta del meccanismo di temporalizzazione influisce dunque
anche sulla fruizione del testo e sulla sua valutazione: se infatti il
Lettore Empirico si discosta troppo dal Lettore Modello e non
comprende pienamente la referenzialità dell’indicazione tempo-
rale, ad essere messa in discussione è la referenzialità dell’intera
narrazione e ciò, per un testo che, come il Vangelo, fa
Perissinotto 130 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

dell’effetto di realtà la sua sola ragion d’essere, può essere de-


terminante.
Minor competenza enciclopedica è invece richiesta da riferi-
menti a un contesto esterno più quotidiano: informazioni come
«Era la notte di Natale...», «In pieno Carnevale...», ecc., oggetti-
vano, dal punto di vista cronologico, il racconto, senza implicare
inferenze particolarmente complesse.
Ci si può ora domandare quali siano i vantaggi e gli svantaggi
del collegare la storia inventata della narrazione con la Storia
reale. Anche in questo caso non esiste una risposta univoca,
poiché la decisione in merito dipende dal tipo di narrazione e
dagli effetti che si vogliono ottenere. La presenza di una precisa
datazione lega in maniera più netta il mondo possibile del rac-
conto con il mondo reale e ciò, da un lato aumenta il realismo
della vicenda, dall’altro costringe l’autore ad una maggiore at-
tenzione nel controllo degli anacronismi e delle interazioni tra
invenzione e realtà: in un romanzo scritto nel 2003 e ambientato
dichiaratamente nel settembre 2001 (con tanto di precisi riferi-
menti agli attentati dell’11 settembre) la protagonista utilizza
delle banconote da cento euro; questo fatto, che in assenza di
una precisa datazione non avrebbe costituito un problema, di-
venta inaccettabile nel momento in cui l’autore cerca di “inca-
strare” il suo frammento di finzione nel mosaico della Storia.
L’assenza di legami temporali tra l’interno e l’esterno del raccon-
to rende invece la narrazione più sospesa, anche se non necessa-
riamente meno realistica: la scelta di rinunciare a una datazione
referenziale della vicenda ci consente di prenderci a piacimento
un certo grado di libertà rispetto al reale.
Nel nostro raccontino poliziesco, non abbiamo inserito una rap-
presentazione referenziale del tempo, cioè non abbiamo collega-
to né l’inizio, né altri passaggi della narrazione con date realisti-
Perissinotto 131 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

che (es. 12 luglio 1998). Questo non significa che esso non sia col-
locato in un tempo, poiché, come abbiamo detto precedentemen-
te, gli effetti di realtà che definiscono il mondo possibile entro
cui si svolge la storia (telefoni cellulari, moto, mountain bike,
ecc.), danno, seppure in modo vago, un’idea dell’epoca storica
(con l’approssimazione di più o meno un decennio) in cui i perso-
naggi si muovono. La scelta di evitare una datazione precisa è, in
questo caso, legata alla forma editoriale con la quale il racconto
si è presentato: pubblicato a puntate su un quotidiano, esso do-
veva dare l’impressione di essere attuale (non per nulla è am-
bientato durante le vacanze ed è uscito nel mese d’agosto), senza
però confondersi con le pagine di cronaca.

Fissato il momento iniziale dell’intreccio (ma non necessa-


riamente della fabula) il racconto procede spesso a temporaliz-
zazioni su base differenziale, vale a dire registrando gli scarti tem-
porali rispetto a tale momento che, con notazione propria delle
scienze esatte, potremmo definire “istante t0”. Il momento t0
può essere esplicitato attraverso un’indicazione referenziale, o,
al contrario, può essere implicitato dalla semplice esistenza
dell’atto enunciativo che, come detto, presuppone un
«io-qui-ora».
A partire dal momento iniziale la narrazione potrà proseguire
in modo lineare, con una serie di eventi che si collocano “dopo”
di esso in momenti t1, t2, t3, ecc.; oppure in un ordo artificialis che
includerà fatti precedenti al momento di avvio dell’intreccio, che
quindi si verificano in t-1, t-2, t-3, ecc.. Nell’eventuale assenza di
altre indicazioni cronologiche referenziali, l’istante iniziale costi-
tuirà il costante riferimento per ogni temporalizzazione, ma non
sarà l’unico discrimine tra “prima” e “dopo”, poiché le infrazio-
ni all’ordo naturalis potranno verificarsi in qualsiasi punto del rac-
conto e quindi tale discrimine potrà essere costituito, di volta in
Perissinotto 132 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

volta da t2, da t-1, o da qualsiasi altro istante del tempo della


narrazione. Comprendiamo così che la costruzione dell’intreccio
a partire dalla fabula (v. par. 1.4) è essenzialmente un’operazione
sul tempo interno al racconto, un’operazione di “messa in di-
sordine”.71
Anche la rappresentazione del tempo per via differenziale
può procedere per dichiarazioni esplicite o in modo inferenziale.
Le dichiarazioni esplicite fanno ricorso a risorse specifiche di cui
le lingue storico-naturali si sono dotate per esprimere la tempo-
ralità: avverbi di tempo, tempi verbali e sostantivi legati alle uni-
tà di misura della grandezza tempo. L’inferenza si basa invece
sulla conoscenza condivisa tra autore e lettore circa le caratteri-
stiche di durata media di alcuni fenomeni come l’irradiazione
solare diurna (es. «Stettero insieme dall’alba al tramonto») o la
marea; di alcuni comportamenti (es. «Si guardarono per tutto il
pranzo»); o di determinate situazioni (es. «Si divisero appena
giunti nel foyer del teatro, ma sapevano che si sarebbero rivisti
al termine dell’Aida»). La temporalizzazione differenziale può
così utilizzare, in luogo dei designatori linguistici di tempo, la
competenza a proposito del referente e creare una scansione
cronologica con frasi del tipo: «Mangiò e uscì» o «Percorse a
piedi sei chilometri».
Indipendentemente dalla strategia adottata, requisito fonda-
mentale dell’indicazione differenziale è l’assenza di riferimenti
esterni al racconto: la collocazione cronologica di un evento si
determina in base, appunto, alla differenza di tempo rispetto ad
altri eventi inseriti nella narrazione. Ciò ci permette di includere

71 Per una più ampia trattazione sulle infrazioni allo sviluppo naturale del
racconto nel tempo si veda: Gérard Genette, Figure III, Einaudi, Torino 1976
(ed. or. 1972).
Perissinotto 133 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

in questa categoria anche quelle datazioni che utilizzano una si-


mulazione di referenzialità. Notissima è, ad esempio,
l’indicazione «Data astrale...» che apre ogni puntata della serie
fantascientifica Star Trek, essa esprime sì un riferimento esterno
al racconto specifico, ma, al tempo stesso, crea un’implicita cor-
nice narrativa a quest’ultimo che, con un processo inverso a
quello abituale, si trova ad essere costruito en abyme. Per chi,
come lo spettatore, non vive in un’ipotetica “era astrale”, la data
astrale non può rappresentare un elemento referenziale, ma solo
un differenziale in rapporto ad un momento iniziale che il rac-
conto non mostra, ma che presuppone, senza peraltro creare al-
cun legame tra esso ed un qualsiasi referente temporale colloca-
to nel mondo storico.
Se la mancanza di una rappresentazione referenziale del tempo
impedisce di individuare per il nostro racconto un’ambientazione
temporale precisa, le indicazioni differenziali, cioè i segnali ri-
guardanti le durate fanno comprendere senza difficoltà che
l’inchiesta di Gotti dura due giorni e che, presumibilmente il ter-
zo giorno, il colpevole viene arrestato.
Il primo giorno è quello in cui viene scoperto il cadavere: ini-
zialmente non sappiamo in che anno, mese data o giorno della
settimana ciò avvenga. Intuiamo solo che sia estate e che faccia
caldo poiché siamo in montagna e una delle due ragazze che dan-
no l’allarme ha il pancino scoperto.
Al termine della prima puntata il tempo della fabula trascorso
è intorno alla mezz’ora e ciò lo determiniamo in maniera inferen-
ziale pensando a quanto ci vuole per muoversi in moto dal centro
di un paese ad luogo raggiungibile comunque in bicicletta.
La seconda puntata termina invece nel tardo pomeriggio del
giorno (ancora non sappiamo quale) in cui tutto è iniziato: Quan-
do Gotti uscì dalla caserma era l'ora dell'aperitivo; cioè siamo in-
torno alle diciotto del primo giorno. Ed è poco più tardi quando
inizia la terza puntata:
Perissinotto 134 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Quelle immagini lo avevano folgorato e si sentì subito lacerato dal


dubbio: iniziare quella sera stessa a raccogliere informazioni sulla vitti-
ma o riservare un po' di tempo a una questioncina personale che aveva
messo in calendario dalla settimana precedente? Uomo tutto d'un pezzo,
Gotti optò per la seconda ipotesi: il morto poteva attendere, Irene no,
almeno non in agosto, quando il marito era lì con lei in vacanza. Ma
quella sera, come tutti i giovedì, il marito di Irene sarebbe sceso a Tori-
no.
Aprendo una digressione inutile per la storia, ma utile per far
comprendere il carattere e la situazione di Gotti, abbiamo avuto
modo di segnalare che il tutto è iniziato di giovedì, così, quando
verso la fine della terza puntata il carabiniere Ferrero dirà al ma-
resciallo: «Anche lei è in forma mica male… malgrado sia vener-
dì», avremo dato al lettore l’impressione che dall’inizio sono tra-
scorse ventiquattr’ore.
La quarta puntata si apre con la frase: Teo Gotti si trovava ora
nel punto dal quale, il giorno precedente, Pagani era precipitato
con la sua bicicletta. Dunque siamo ancora a venerdì e vi rimar-
remo per tutta la puntata e anche per la successiva. Quando, al
termine della quinta puntata, Gotti riceve le informazioni decisi-
ve, egli ha appena chiuso la finestra perché l’aria si stava facen-
do fresca, quindi, presumibilmente siamo verso sera, la sera del
venerdì.
A questo punto c’è un salto: non diciamo al lettore se il colpe-
vole viene arrestato subito o dopo un po’; è presumibile che passi
appena un giorno, il minimo indispensabile, ma ora che tutto è
compiuto, le indicazioni di durata, che prima erano così impor-
tanti per dettare il ritmo degli eventi, diventano superflue.

Un’ultima metodologia di temporalizzazione è quella che ab-


biamo definito discorsiva in quanto basata su una sincronizzazio-
ne tra il tempo della narrazione e il tempo del discorso. Ancora
un esempio manzoniano per chiarire meglio questo concetto.
Nel capitolo IV dei Promessi sposi, fra Cristoforo esce dal con-
vento di Pescarenico e si avvia verso casa di Lucia; il narratore
Perissinotto 135 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

lo segue nell’inizio di questo percorso, ma, a un certo punto, at-


traverso un debrayage72 spazio-temporale, comincia il racconto
della giovinezza di Lodovico-Cristoforo:
Il padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre era sta-
to Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Era figliuolo
di un mercante...
La storia della conversione di Lodovico occupa buona parte
del capitolo e solo sul finire di quest’ultimo ritroviamo
l’embrayage che ricollega alla vicenda principale:
Ma, intanto che noi siamo stati a raccontar i fatti del padre Cri-
stoforo, è arrivato, s'è affacciato all'uscio; e le donne, lasciando il
manico dell'aspo che facevan girare e stridere, si sono alzate, dicen-
do, a una voce: «oh padre Cristoforo! sia benedetto!»
Quanto è durata dunque la camminata di fra Cristoforo? È
durata quanto la lettura della sua storia precedente; tramite l'arti-
ficio narrativo ed un sapiente uso di catalisi, il Manzoni fa coin-
cidere il tempo della lettura con il tempo dell'azione, dando al
lettore una misura di questo tempo ben più tangibile di qualsiasi
indicazione referenziale o differenziale. Contrariamente a
quest’ultimo tipo di temporalizzazione, la strategia discorsiva por-
ta la misura del tempo al di fuori del racconto, la trasferisce nel-
lo spazio reale in cui avviene l’interazione tra destinatario e te-
sto. Attraverso questa fittizia simultaneità si rafforza l’illusione
di realtà e si favorisce la partecipazione del lettore, il quale ha
l’impressione che i fatti narrati si stiano svolgendo sotto i suoi
occhi.

72 La semiotica di Greimas definisce debrayage (che letteralmente significa

“disinnesto” o “frizione” in senso motoristico) il dispositivo testuale attra-


verso il quale si passa dalla storia principale ad una sorta di sottostoria, di
racconto nel racconto; l’embrayage sarà invece il dispositivo che riporta al rac-
conto principale.
Perissinotto 136 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Si potrà obiettare, giustamente, che in questa indicazione cro-


nologica che abbiamo chiamato discorsiva, in realtà non è in gio-
co il tempo del discorso, bensì il tempo della lettura; tuttavia, lo
stesso Eco, che pure ha proposto la tripartizione del tempo vi-
sta in precedenza (tempo della narrazione, del discorso e della
lettura), ammette che:
nella narrativa è certamente difficile stabilire [...] quale sia il tem-
po del discorso e il tempo di lettura, ma è indubbio che
l’abbondanza delle descrizioni, la minuzia dei particolari nella narra-
zione, non hanno una funzione di rappresentazione, quanto quella
di rallentare il tempo della lettura, affinché il lettore acquisisca quel
ritmo che l’autore giudica necessario al godimento del suo testo. 73
L’”abbondanza delle descrizioni” o la “minuzia dei particola-
ri” allungano discorso e lettura nella stessa misura e solo, o qua-
si, in virtù del maggior numero di parole che introducono. Di-
versa è invece l’azione sul tempo determinata dal ritmo del
discorso, un ritmo che non è condizionato dalla sintassi narrati-
va, bensì da quella discorsiva, nonché da alcune opzioni seman-
tiche. La presenza di digressioni o di descrizioni determina ral-
lentamenti nella fruizione della fabula, ma non nella lettura, la
quale si svolge invece sempre alla stessa velocità. Al contrario,
una sintassi discorsiva più articolata (pensiamo alla prosa boc-
cacciana) o la presenza di una terminologia desueta, tanto per
fare alcuni esempi, determinano un allungamento dei tempi di
lettura a parità di numero di parole; implicano cioè un vero ral-
lentamento. Scorrevolezza o complessità, questi sono i parame-
tri che influenzano il ritmo discorsivo e la velocità di lettura;
l’articolazione dell’intreccio influenza invece il ritmo narrativo e
il tempo globale di lettura.

73 U. Eco, cit. p. 74.


Perissinotto 137 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

L’autore che scelga di scandire il tempo della narrazione sin-


cronizzandolo con quello della lettura attraverso la temporaliz-
zazione discorsiva ha quindi due vie: agire sul ritmo discorsivo
per aumentare o diminuire la velocità di lettura e di conseguenza
il tempo complessivo di fruizione del testo; oppure intervenire
sul numero di parole per allungare o accorciare il “percorso”
della lettura e quindi la sua durata. Naturalmente, le due tecni-
che possono anche essere usate congiuntamente.
3.3.2 Rappresentare la simultaneità
Uno dei maggiori ostacoli alla comprensione dei meccanismi
di costruzione dell’intreccio è data dalla presentazione in tempi
differenti di eventi che si svolgono in contemporanea.
Quand’anche tale differimento non fosse dovuto a scelte com-
positive dell’autore, esso si presenterebbe comunque come una
necessità legata al supporto materiale del testo: la tradizione te-
stuale, la pratica scrittoria, i vincoli di natura tipografica; tutto
impone, anche per motivi pratici, di mettere in successione epi-
sodi che si svolgono nello stesso momento.
Qui, specie nel lettore neofita, la temporalizzazione referen-
ziale o differenziale si sovrappone a quella discorsiva: il destina-
tario legge le indicazioni che garantiscono la contemporaneità
degli eventi, ma prescinde con difficoltà dal fatto che tra quegli
stessi eventi si è interposto il tempo della lettura e che esso ha,
per così dire, interferito con il tempo della narrazione.
Ma quella del superamento dei normali limiti nella rappresen-
tazione del reale può diventare anche un’esigenza estetica; Mi-
chel Butor, teorico della letteratura ed esponente di spicco, as-
sieme a Robbe-Grillet, del nouveau roman, scrive:
L’exploration de formes romanesques différentes révèle ce qu’il y
a de contingent dans celle à laquelle nous sommes habitués, la dé-
masque, nous en délivre, nous permet de retrouver au-delà de ce ré-
Perissinotto 138 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

cit fixé tout ce qu’il camoufle ou qu’il tait, tout ce récit fondamental
dans lequel baigne notre vie entière. (...) Les techniques traditio-
nelles du récit sont incapables d’intégrer tous les nouveaux rapports
survenus. Il en résulte un perpétuel malaise; il nous est impossible
d’ordonner dan notre conscience, toutes les informations qui
l’assaillent, parce que nous manquons des outils adéquats. La re-
cherche de nouvelles formes romanesques dont le pouvoir
d’intégration soit plus grand, joue donc un triple rôle par rapport à
la conscience que nous avons du réel, de dénonciation,
d’exploration et d’adaptation.74
[L’utilizzo di forme di romanzo differenti rivela quanto vi è di
contingente in quella cui siamo abituati, la smaschera, ce ne libera,
ci permette di ritrovare, di là da questo racconto prefissato, tutto ciò
che esso camuffa o che tace, tutto quel racconto fondamentale in
cui la nostra intera vita è immersa. (…) Le tecniche tradizionali del
racconto sono incapaci di integrare tutti i nuovi rapporti che si sono
venuti ad aggiungere. Ne consegue un continuo disagio; ci risulta
impossibile ordinare, nella nostra coscienza, tutte le informazioni
che ad essa danno l’assalto, dal momento che manchiamo di stru-
menti adeguati. La ricerca di nuove forme di romanzo il cui potere
di integrazione sia maggiore gioca dunque un triplo ruolo nella co-
gnizione che noi abbiamo del reale, un ruolo di denuncia, di esplo-
razione e di adattamento.]
Questa denuncia dell’inadeguatezza delle forme narrative tra-
dizionali e quest’appello per la ricerca di un racconto che sappia
superare i limiti tecnici classici per meglio esprimere la realtà po-
trebbe mostrare un legame troppo debole con il problema della
rappresentazione della contemporaneità di eventi se non sapes-
simo che una delle più ardite sperimentazioni di Butor riguarda
proprio la simultaneità. Con l’utilizzo di formati tipografici più
grandi, egli realizza pagine di romanzo opportunamente allarga-
te dove, su colonne affiancate, ospita la sincronia di diversi av-
venimenti concomitanti. Purtroppo, l’esperimento di Butor mo-

74 M. Butor, Répertoire I, Paris, Minuit 1960, p. 9


Perissinotto 139 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

stra tutti i suoi limiti quando dalla realizzazione del racconto si


passa alla sua lettura: il testo disposto su diverse colonne può
essere utile allo scrittore per progettare la catena di eventi del
suo romanzo, cioè per stilare una scaletta, ma per il lettore ri-
mane un oggetto ostico e ben poco godibile. Dunque, all’autore
non rimane che utilizzare il consueto strumento del “montag-
gio” per disporre gli eventi in sequenza lungo la successione del-
le pagine anche quando questi, nella finzione narrativa, si svol-
gono contemporaneamente. In altre parole, lo strumento
migliore per gestire la simultaneità resta la trasformazione della
fabula in intreccio.
Facciamo ancora una volta riferimento al capolavoro manzo-
niano e vediamo come il capitolo 8 ci mostri proprio un pro-
blema di rappresentazione di fatti che si svolgono parallelamen-
te in luoghi diversi del paese di Renzo e Lucia.
Cogliamo il suggerimento di Butor: numeriamo le varie se-
quenze narrative (i vari eventi) seguendo l’ordine in cui il ro-
manzo ce le presenta, poi disponiamo queste sequenze su diver-
se colonne in modo che i fatti che si svolgono nello stesso
momento risiedano sulla stessa riga. Nella lettura del conseguen-
te prospetto75, che come ogni schematismo soffre di qualche ec-
cessiva approssimazione, occorrerà tenere presente che:
- nella colonna relativa agli eroi vengono inseriti anche i perso-
naggi che si trovano coinvolti nelle azioni degli eroi medesimi
in qualità di opponenti o aiutanti;
- gli orari riportati sono puramente indicativi ed hanno lo scopo
di evidenziare, in modo approssimativo, la successione tempo-
rale degli eventi; tali orari sono calcolati tenendo presenti tem-

75 La tabella presentata qui di seguito è tratta da: Alessandro Manzoni, I

promessi sposi, a cura di A. Perissinotto, Paravia, Torino 1996.


Perissinotto 140 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

pi ragionevoli per lo svolgimento delle azioni narrate e consi-


derando che la campana che annunziava il finir del giorno abbia
suonato intorno alle 18.30.
- il numero riportato accanto a ciascuna sequenza indica la posi-
zione di quella sequenza nel testo.
GLI EROI GLI AIUTANTI GLI ANTAGONISTI
10 nov. 1 - Don Abbondio è im- 12 - I tre bravi dell'osteria
ore 18.45 merso nelle sue riflessioni fanno una ricognizione e
letterarie. Dialogo con poi chiamano il Griso al
Perpetua casolare

Tonio, Ger-
vaso, Agnese Menico La gente
Renzo,
Lucia
10 nov. 2-Tonio e 3- Agnese 13 - Il gruppo dei bravi
ore 18.50 Gervaso distrae Per- penetra in casa di Lucia
entrano petua e la e la perquisisce.
nella cano- allontana
nica
10 nov. 5-Renzo e 4- Agnese e
ore 18.51 Lucia rag- Perpetua
giungono i continuano
testimoni e a parlare
insieme
salgono le
scale
10 nov. 6-Tonio e
ore 18.52 Gervaso
entrano
nello studio
di don Ab-
bondio.
Pagamento
del debito,
restituzione
del pegno,
ricevuta.
Perissinotto 141 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

10 nov 7-Renzo e 19 - Perpe-


ore 19.00 Lucia en- tua si ricor-
trano. Ten- da della
tativo di porta aperta
pronunciare e torna
la formula. indietro con
Reazione di Agnese a
don Abbon- corselle e
dio. fermatine
10 nov 8- Confu- 14 -Menico 15- bravi di guardia af-
ore 19.01 sione gene- entra nella ferrano Menico.
rale casa di
Lucia.
Momento di sincronizzazione
In tutto il paese si sentono i rintocchi a distesa del campanile
10 no- 9 - Chiama- 11 - Agnese 17- Menico 10- La gen- 16 - I bravi lasciano an-
vembre to da don e Perpetua corre verso te si sve- dare Menico e scappano,
ore 19.02 Abbondio, corrono alla il campanile glia, qual- ciascuno per conto pro-
Ambrogio canonica cuno prio
suona le scende in
campane strada
10 nov 20 Tonio, 21 - Perpe- 18 - Il Griso raduna i
ore 19.05 Gervaso, tua incrocia bravi e li costringe a fug-
Renzo e i fuggitivi gire in gruppo
Lucia esco-
no.
10 nov 22 - Renzo e Lucia si ricongiungono ad
ore 19.06 Agnese. Frattanto giunge Menico che li
avverte del pericolo. I quattro fuggono
per i campi.
10 nov. 23-La gente
ore 19.10 si raduna in
piazza. Va
prima alla
canonica,
poi a casa
di Lucia,
infine si
ritira
10 nov. 25- I fuggiaschi si fermano e Menico
ore 19.30 racconta loro la sua avventura. Ringra-
ziamenti al ragazzo.
10 nov. 26 - Renzo, Lucia e Agne- 27 - Menico
ore 19.40 se proseguono verso Pe- torna a
scarenico casa.
10 nov. 28 - Arrivo al convento.
ore 20.30 Colloquio e preghiere con
fra Cristoforo.
10 nov. 29- Partenza in barca.
ore 21.00 Descrizione del paesag-
gio. Addio ai monti.
Perissinotto 142 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

11 nov. 24- Il console viene minacciato da due


mattino bravi.

Ci accorgiamo che l'autore si trova costretto a disporre le va-


rie sequenze narrative in un ordine che non rispetta quello cro-
nologico, anticipando o posticipando alcuni eventi rispetto agli
altri, ma soprattutto notiamo che utilizza un sapiente strata-
gemma per indicare al lettore che alcune cose hanno luogo nello
stesso momento. Questo stratagemma è quello che noi abbiamo
chiamato momento di sincronizzazione e nel testo è segnato dal suo-
nare anomalo delle campane: quei rintocchi vengono uditi da
tutti, eroe, aiutanti o antagonisti, e quando il lettore ne trova
traccia sa che ci si trova in un istante ben preciso e non importa
se in quel momento sta leggendo dei bravi a casa di Lucia o del-
la gente in giro per le strade o ancora di Renzo e Lucia vicino
alla parrocchia, quell’istante segnato dallo scampanio è unico
per tutti. Ecco rappresentata la simultaneità.
Perissinotto 143 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Appendice

L'estate del Maresciallo Gotti

PRIMA PUNTATA
«Buon giorno, forse non dovrei telefonare a voi, forse dovrei chia-
mare il soccorso alpino, non lo so, ma sono così agitata...»
In effetti, la voce femminile che il carabiniere scelto Antonio Ferre-
ro sentiva dall'altra parte del filo sembrava la materializzazione stessa
dell'ansia.
«...è che qui c'è un morto, o almeno a me sembra morto, ma lo ve-
diamo solo da lontano, io sono con un’amica alle Rocce Nere, dove
c'è la palestra di arrampicata; il morto invece è in fondo al vallone,
credo che sia caduto con la mountain-bike dal sentiero della cresta.»
«Se la sente di rimanere lì finché arriviamo sul posto?» le chiese
Ferrero.
«Certo, aspetto qui, ma arrivate presto.»
Il carabiniere si fece ancora lasciare il numero del cellulare della
donna, poi si recò nell'ufficio del suo superiore.
«Maresciallo, un altro incidente con la mountain-bike.»
«Grave?»
«A l'ha lasaje le piume.»
«Traduzione?»
«È deceduto. È successo vicino alle Rocce Nere. Chiamo il soccor-
so alpino?»
«Prima andiamo a vedere noi.»
«Attrezzatura fuori ordinanza?»
«Naturalmente Ferrero, attrezzatura fuori ordinanza.»
Gli occhi del giovane carabiniere si illuminarono e il maresciallo
Gotti si chiese se Ferrero non lo considerasse una specie di capo dei
boy scout, ma poi decise di fregarsene: lì, a Montenevoso, la gerarchia
aveva contorni molto sfumati.
Perissinotto 144 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Scesero nel garage della villetta che faceva da caserma e ne uscirono


poco dopo con lo zaino in spalla, il casco in testa e il sedere ben ap-
poggiato sulla sella di due grosse moto da enduro, di quelle buone per
tutti i terreni, ma soprattutto buone per i ripidi sentieri di montagna;
eccola l'attrezzatura fuori ordinanza. Si portarono subito nella zona
delle Banchette e lanciarono le motociclette lungo la stradina sterrata
che d'inverno diventava una delle piste più frequentate di Montenevo-
so. Già, Montenevoso; perché il brillante maresciallo Gotti, bergama-
sco purosangue, non ricopriva qualche incarico di prestigio a Milano?
Perché era, per così dire, "segregato" tra le montagne ad un centinaio
di chilometri da Torino? Nessuno dei suoi colleghi sapeva spiegarselo,
ma la risposta era semplice: l'aveva voluto lui, aveva fatto di tutto af-
finché gli fosse affidato il comando di quella stazione. I suoi colleghi
non capivano niente; avevano inchieste importanti, frequentavano la
buona società meneghina, ma lì, lui aveva il "fuori ordinanza", quel
miscuglio di libertà ed avventura che gli permetteva di indagare re-
stando fuori dagli schemi. E poi, diciamolo, a Gotti piaceva sciare e lì,
a Montenevoso, poteva farlo quando voleva, anche in servizio.
Giunti al colle, Gotti e Ferrero abbandonarono le moto e, prose-
guendo a piedi per il sentiero, arrivarono rapidamente alle Rocce Ne-
re. La ragazza che aveva dato l'allarme li stava aspettando, ancora con
il cellulare in mano; accanto a lei, l'amica stava risistemando nello zai-
no l'attrezzatura da roccia. «È laggiù» indicò immediatamente. I due
carabinieri guardarono verso la base del dirupo e videro una bicicletta
con le ruote e il telaio piegati dagli urti sulle rocce, un casco attaccato
al manubrio, uno zaino dagli spallacci strappati e il corpo senza vita di
un uomo.

Fine 1a puntata

SECONDA PUNTATA
«Ferrero, prepara la corda che mi calo e vado a fotografare il cor-
po». Dopo qualche istante, le due ragazze che avevano dato l'allarme
poterono vedere il maresciallo Gotti scendere a grandi balzi lungo la
Perissinotto 145 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

parete di roccia, facendosi passare la corda sotto una coscia e dietro la


schiena, proprio come facevano gli alpinisti di un tempo.
Il cadavere, quello di un uomo sui cinquant'anni, si era incastrato
tra due massi ed appariva in diversi punti lacerato da ferite profonde
dovute ad una caduta di oltre venti metri. Gotti lo fotografò da diver-
se angolature ed altrettanto fece con la bicicletta che si era schiantata
qualche passo più in là, poi prese lo zainetto che giaceva vicino al
morto e, arrampicandosi senza eccessivi sforzi, ritornò sulla sommità
della cresta.
«Chiama l'elicottero e fai recuperare il tutto: il cadavere alla medici-
na legale a Torino, la bicicletta invece la fai portare in caserma da noi.
Io intanto faccio qualche domanda alle signorine.» In realtà, avrebbe
voluto interrogarne una sola, quella brunetta, minuta, con il pancino
scoperto e un didietro al quale non mancava nulla, neppure la parola.
E invece cominciò con l'altra, quella che aveva telefonato e che, nel
gergo maschilista e brutale delle compagnie di montagna, avrebbe po-
tuto essere definita un "boiler": non bella, ma scalda. Né l’una, né
l’altra avevano sentito nulla né visto nessuno, solo il morto. Il mare-
sciallo prese i dati delle due non-testimoni e rientrò in caserma con
Ferrero per la solita routine di verifiche, accertamenti e verbali: quante
balle per un banale incidente, per il solito villeggiante in vena di grandi
imprese che ci lasciava la pelle per aver scelto un percorso superiore
alle sue possibilità. Eppure fu proprio compilando quelle carte che alla
mente di Gotti si affacciò il primo sospetto. A quanto risultava dai
documenti ritrovati nello zainetto, la vittima non era affatto un villeg-
giante, bensì il dottor Remo Pagani, ortopedico del locale pronto soc-
corso, residente a Montenevoso da ben quindici anni. Il maresciallo
non lo aveva mai visto in paese, perché, a quanto si diceva, faceva vita
estremamente ritirata: di lui si conosceva solo la smodata passione per
la mountain-bike.
«Maresciallo, c'è il fotografo al telefono, dice che è pronto il rullino
che gli abbiamo portato questa mattina.»
«Digli che passo io prima di andare a casa.»
Perissinotto 146 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Quando Gotti uscì dalla caserma era l'ora dell'aperitivo e la via


principale era piena di torinesi in vacanza che ogni dieci metri scam-
biavano un cenno di saluto con qualcuno; per undici mesi ognuno di
loro aveva ripetuto: «Basta, io a Montenevoso non ci vado più, ti
sembra di essere a Torino, ci incontri le stesse persone»; ma poi, ad
agosto, si erano ritrovati tutti. A quel pensiero, Teo Gotti sorrise tra
sé sereno, ignaro della svolta che avrebbe preso la vicenda di lì a poco.

Fine della 2 a puntata

TERZA PUNTATA
Adesso sì che era una vera inchiesta. Le fotografie del morto e della
bicicletta avevano trasformato in un autentico sospetto quella che
prima, per il maresciallo Gotti, era stata solo una sensazione: la morte
di Remo Pagani non era accidentale. Quelle immagini lo avevano fol-
gorato e si sentì subito lacerato dal dubbio: iniziare quella sera stessa a
raccogliere informazioni sulla vittima o riservare un po' di tempo a
una questioncina personale che aveva messo in calendario dalla setti-
mana precedente? Uomo tutto d'un pezzo, Gotti optò per la seconda
ipotesi: il morto poteva attendere, Irene no, almeno non in agosto,
quando il marito era lì con lei in vacanza. Ma quella sera, come tutti i
giovedì, il marito di Irene sarebbe sceso a Torino, nella sua fabbri-
chetta, a controllare l'arrivo di chissà quale merce che gli giungeva set-
timanalmente dalla Romania: quella era dunque l’unica occasione per
incontrarsi con Irene e se avesse mancato l’appuntamento lei non glie-
lo avrebbe perdonato.
Il giorno dopo Gotti, non proprio riposato, si recò in caserma di
buonora e tirò giù dal letto Ferrero che ancora dormiva.
«Ferrero, vai dove abbiamo messo la bici di Pagani, prendi il casco,
lo indossi, lo tieni un quarto d'ora e poi vieni su nel mio ufficio». Col-
to così di sorpresa, la bocca ancora impastata e la mente che stentava
a mettersi in moto, Ferrero non riuscì neppure a sorprendersi, farfu-
gliò un «agli ordini» ed eseguì. Quando si ripresentò nell'ufficio di
Gotti, il maresciallo, che era in una sorta di estatica contemplazione di
Perissinotto 147 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

quelle famose foto, alzò lo sguardo: «Adesso togliti pure il casco e av-
vicinati… fatti vedere… ah, proprio come pensavo!»
«Cosa c'è maresciallo?»
«Guardati un po' allo specchio»
«Che schifo!» Le fettucce del casco da bici gli avevano lasciato due
tracce nere all'altezza delle orecchie e sotto la gola.
«Guarda questa, – disse Gotti mostrando al suo subalterno un pri-
missimo piano del viso del cadavere – sulle guance e sulla gola ci sono
gli stessi segni neri che hai tu in volto in questo momento: sono i le-
gacci del casco che macchiano.»
«Questo vuol dire che Pagani aveva messo il casco…»
«Esatto. Ma quando noi l'abbiamo trovato, il casco non ce l'aveva
addosso; era legato al manubrio. Ora, se tu ti facessi tutta la salita con
il casco in testa, sudando come un cammello, poi andresti a togliertelo
proprio nel punto più pericoloso?»
«Certamente no.»
«Allora vuol dire che Pagani si è fermato, è sceso dalla bici, si è tol-
to il casco e poi si è inciampato ed è caduto tirandosi dietro la bici,
oppure…»
«Oppure qualcuno lo ha fermato, lo ha fatto scendere, lo ha spinto
giù dal burrone e gli ha buttato dietro la bici.»
«Bravo Ferrero, vedo che finalmente sei sveglio!»
«Anche lei è in forma mica male… malgrado sia venerdì». I dettagli
della sua storia con Irene cominciavano ad essere un po' troppo pub-
blici.
«Non fare il furbo e vai a procurarti tutte le informazioni che trovi
sul dottor Pagani, io tornerò dove lo abbiamo trovato: mi frulla in te-
sta un'idea».

Fine della 3 a puntata

QUARTA PUNTATA
Teo Gotti si trovava ora nel punto dal quale, il giorno precedente,
Pagani era precipitato con la sua bicicletta; con gli occhi a terra cerca-
Perissinotto 148 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

va conferme ai suoi sospetti e la terra non tardò a dargliele. Sul fondo


del sentiero, ammorbidito dalla pioggia caduta circa trentasei ore pri-
ma, erano rimaste impresse orme di pneumatici che il sole aveva poi
reso solide. Il maresciallo ne confrontò il disegno con quello che ave-
va ricavato passando su un foglio di carta le gomme della bici di Pa-
gani: coincideva. Anche l'andamento delle tracce dava consistenza alle
sue ipotesi: si vedeva chiaramente che la vittima si era fermata, aveva
messo i piedi a terra e aveva appoggiato la mountain-bike alle rocce; le
possibilità di un volo accidentale erano veramente minime. Tutto se-
condo le previsioni, dunque. Ma il fango indurito rivelò a Gotti un
particolare meno atteso: una seconda bicicletta aveva fatto lo stesso
percorso di quella di Pagani, si era fermata nel medesimo punto e poi
aveva proseguito. Poteva certo trattarsi di un caso, poteva essere una
traccia successiva o precedente, eppure la coincidenza della fermata
nel punto critico era una tessera che si aggiungeva a quel mosaico.
Gotti buttò giù uno schizzo di quella seconda impronta che gli sem-
brava particolare, poi fece per tornare alla sua moto, abbandonata un
po' più in là. Fu in quel momento, per una di quelle strane congiuntu-
re che cambiano inopinatamente il corso delle cose, che un raggio di
sole, insinuandosi tra le fenditure di una roccia, fece brillare un ogget-
to metallico: il maresciallo lo recuperò, era una chiave inglese da dieci.
Tornò in caserma e cercò inutilmente Ferrero: evidentemente era
ancora in giro a raccogliere notizie sul dottor Pagani. «Pota! – imprecò
tra sé Gotti – mi toccherà andarci da me dal gommista». E così fece.
Da quando era esplosa la mania delle mountain-bike, il gommista di
Montenevoso si era attrezzato anche per le biciclette: comprate da lui,
le gomme della bici costavano quanto quelle di una formula uno, ma i
torinesi in vacanza non lesinavano e tutti vivevano felici.
«Buon giorno maresciallo, deve cambiare le gomme della moto?».
«No, grazie al cielo, quando si saranno consumate cambierò la mo-
to intera, mi costerà meno che venire da lei.»
«Ha sempre voglia di scherzare.»
Perissinotto 149 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

«Per il momento avrei solo voglia di sapere se recentemente ha


venduto copertoni da mountain-bike con questo disegno.» Gli mostrò
lo schizzo che aveva ricavato dalle tracce sul sentiero.
«A vederle così direi che sono le Michelin, quelle verdi da competi-
zione, roba ricercata, solo per intenditori. Io non ne ho vendute da
almeno un anno, ma forse mio figlio… quando torna ce lo chiedo.»
«Perché, dov'è andato suo figlio?»
«Sa come sono i ragazzi; c'era qui una milanesina in vacanza, due
bacetti, due cose così, e poi ieri è partita e lui le è andato dietro come
un balengo. Ma torna, torna presto.»
«Proprio ieri e proprio così, all'improvviso?»
«Sì, perché?»
«Niente; mi telefoni appena vede suo figlio.»
Forse quelle gomme tracciavano la pista giusta.

Fine della 4 a puntata


QUINTA PUNTATA
Gotti chiuse la finestra: l'aria si stava facendo fresca. Voleva tornare
a casa a riposarsi, ma un oggetto metallico appoggiato sulla sua scri-
vania sembrava ipnotizzarlo; la chiave inglese che aveva ritrovato la
mattina nel punto in cui Pagani era stato gettato nella scarpata sem-
brava volesse svelargli l'intero mistero, ma poi taceva. D'altro canto, il
mistero non era tutto lì; bisognava ad esempio capire chi c'era sopra la
mountain-bike che aveva preceduto o seguito il percorso della vittima,
quella con le gomme speciali vendute probabilmente dal gommista di
Montenevoso; e infine bisognava capire perché il figlio del gommista
fosse scomparso così, all'improvviso.
Capire, capire; mentre Gotti cercava di capire, il carabiniere scelto
Antonio Ferrero fece finalmente il suo ingresso.
«Alleluia Ferrero, ti davo per disperso, stavo per chiamare i carabi-
nieri.»
«Mi dispiace maresciallo, ma trovare notizie su Pagani è stata
un'impresa: sembra che non parlasse con nessuno, che non vedesse
nessuno…»
Perissinotto 150 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

«Nessuno che sia addolorato per la sua morte?»


«Forse l'infermiera del suo ambulatorio, ma quella sembra già sem-
pre ch'a l'abia soa mare morta 'n fauda… Ah, già, mi scusi maresciallo, mi
dimentico sempre che lei non capisce il piemontese. Volevo dire che
quell'infermiera lì ha già sempre la faccia triste e quindi non so se sia
più triste perché è morto il dottore. Comunque, a quanto mi ha detto,
Pagani non sembrava avere nemici lì; e neanche amici, amanti, storie
con donne sposate, con uomini… niente di niente.»
«Viveva solo?»
«Sì, e la sera andava sempre a mangiare nella Trattoria dei Due
Fiumi, quella dove non ci va mai nessuno.»
«Fammi indovinare: cenava sempre allo stesso tavolo, da solo e in
silenzio.»
«Quasi esatto. Scambiava qualche parola con Enzo, il padrone, e
solo a proposito della mountain-bike, ma la sera prima dell'incidente,
in sala c'era un cliente, uno mai visto: quando quello lì ha sentito par-
lare di bicicletta ha chiesto a Pagani se poteva sedersi con lui e hanno
chiacchierato tutta la cena di telai, pneumatici e sentieri.»
Un altro maniaco delle due ruote, pensò Gotti, un altro sospetto ol-
tre al figlio del gommista.
Come evocato dall'attività cerebrale del maresciallo, il figlio del
gommista scelse quel momento per farsi vivo al telefono.
«Buona sera maresciallo, mio padre mi ha detto che mi cercava e
che forse devo rientrare, era per quei Michelin speciali da mountain-
bike.» La sua voce era allegra: che davvero fosse con la milanesina dei
suoi sogni e non in fuga? «Quelle gomme le ho montate io a un clien-
te, me lo ricordo perché gli ho anche rimesso un po' a posto la bici
che era un vero macello; ha presente quelli che vogliono fare da loro,
ma poi rompono tutto?»
«E chi era?»
«Il dottor Pagani, quello del pronto soccorso.»
«Grazie. Resta pure dove sei e mettiti l'impermeabile.»
«Sono a Milano, ma qui mica piove.»
«So io di cosa parlo.» E chiuse.
Perissinotto 151 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

«Ferrero, vai a prendere il numero di telaio della bici che era nel
burrone: abbiamo il nome dell'assassino, lo abbiamo sempre avuto.»
Fine della 5 a puntata.

SESTA ED ULTIMA PUNTATA


Ernesto Biancucci entrò nella stazione dei carabinieri di Montene-
voso con le manette ai polsi, scortato da Ferrero e D'Amato.
«Signor Biancucci – cominciò Gotti – preferisce raccontarmi come
sono andate le cose o preferisce che glielo dica io?»
«Io non so niente.»
«Lo immaginavo. E allora mi ascolti. Mercoledì sera lei va a man-
giare alla Trattoria dei Due Fiumi per avvicinare il dottor Pagani; sa
che il suo unico interesse è la mountain-bike e, con quel pretesto, at-
tacca discorso: lui le rivela che il giorno dopo ha intenzione di fare il
sentiero delle Rocce Nere. Allora lei, all'alba di giovedì, prende la sua
bici e si apposta nel punto più strapiombante; quando vede arrivare
Pagani finge di essere fermo per un guasto, che so, un problema al
cambio … Cosa ne pensa, sto andando bene?»
L'altro taceva, i suoi occhi, privi ormai d'espressione, guardavano il
maresciallo senza forse vederlo.
«Lei simula un guasto, il dottore le si avvicina e si offre di aiutarla.
Si ferma, prende i suoi attrezzi, in particolare la chiave inglese che io
ho ritrovato tra le rocce, e inizia ad armeggiare attorno alla sua bici-
cletta. Lei lo lascia fare: sta aspettando che Pagani si tolga il casco per
essere sicuro di ucciderlo. Finalmente, per lavorare meglio, Pagani to-
glie quel maledettissimo casco e lei, mentre lui è lì accucciato, gli dà
una spinta: una piccolissima spinta e quello si fa un volo di venti metri
passando subito a miglior vita. Ora non rimane che gettargli dietro la
bici per simulare la caduta, ma a quel punto nasce un problema; il dot-
tore, da quanto mi hanno detto, come meccanico non valeva niente:
dopo che ha messo le mani sulla sua mountain-bike, quella non è più
in grado di fare un metro, ma lei deve allontanarsi di lì rapidamente.
Ed ecco l'idea: lancia nel burrone la sua bicicletta, ormai inservibile, e
prosegue con quella di Pagani, quella con i pneumatici da gara. Se non
Perissinotto 152 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

fosse stato per la traccia lasciata da quelle gomme, per quella traccia
che proseguiva oltre il punto della caduta, non avrei mai intuito lo
scambio delle biciclette. Ma quando il figlio del gommista mi ha detto
di aver montato le gomme da gara proprio a Pagani ho capito tutto. È
stato sfortunato signor Biancucci, la sua bicicletta è una Super Star, le
fanno in una piccola fabbrica qui vicino, appena fuori Torino, e quan-
do le vendono trascrivono il numero del telaio sul certificato di garan-
zia assieme al nome del cliente, lo so perché ne ho una anch'io; così
mi è bastato telefonare al loro ufficio per sapere chi era l'assassino.»
A quella parola, assassino, Biancucci cedette e le lacrime, che fino a
quel momento aveva trattenuto, vennero fuori come un torrente.
«Era un cane, – cominciò tra i singhiozzi – un macellaio. L'anno
scorso eravamo qui in vacanza, siamo andati a fare una gita in bici e
mio figlio si è rotto una gamba, una frattura normale, niente di grave,
ma Pagani gliel'ha ingessata male e mio figlio è da un anno in riabilita-
zione, forse non riuscirà più a camminare normalmente… doveva
morire quel macellaio, doveva morire…»
Le lacrime gli ruppero la voce, ma ormai tutto era chiaro; il mare-
sciallo Gotti avrebbe dovuto essere contento, eppure non lo era.

FINE
Perissinotto 153 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

Bibliografia

Saggistica

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Perissinotto 154 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE

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