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LITTERA ANTIQUA

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FORME E MODELLI DELLA TRADIZIONE


MANOSCRITTA DELLA BIBBIA

a cura di PAOLO CHERUBINI

prefazione di CARLO MARIA CARD. MARTINI


introduzione di ALESSANDRO PRATESI

Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica


CITTÀ DEL VATICANO 2005
Tutti i diritti riservati
© 2005 by Scuola Vaticana di Paleografia,
Diplomatica e Archivistica
ISBN - 88-85054-15-3
PAOLO CHERUBINI

LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA *

LE PREMESSE

Dal tempo in cui Samuel Berger, nella Préface alla sua Histoire de la
Vulgate del 1893, affermò che « l’Espagne est la patrie des plus mauvais
textes et des meilleurs » 1 e fino ai primi anni Sessanta del secolo XX i
manoscritti spagnoli della tradizione biblica sono stati oggetto di attento
studio. Come mostrò subito lo studioso lorenese, infatti, nessun’altra fami-
glia, neppure quella dei codici irlandesi per quanto riguarda i Vangeli, pre-
senta aspetti tanto caratteristici ed insieme una tradizione così incontami-
nata per buona parte del medioevo quanto i manoscritti in visigotica. Que-
sto perché, com’ebbe modo di osservare pochi decenni dopo dom Dona-
tien de Bruyne, nessun altro paese come la Spagna rimase chiuso per un
periodo tanto lungo agli influssi stranieri. Essa inoltre, accanto a quella che
non a torto può essere considerata una sorta d’edizione nazionale, acquisì
molto lentamente le recensioni che nel corso dei secoli erano state appron-
tate nel resto dell’Occidente latino, in sostanza non prima del XIII secolo
con la diffusione anche in Spagna della Bible de Paris 2. In seguito furono
l’italiano Alberto Vaccari e lo spagnolo José M. Bover ad individuare nelle
Bibbie spagnole – in particolare quelle del periodo ‘pre-recensionale’ (secoli
V-VIII), vale a dire precedenti la diffusione del testo alcuiniano – caratteri-
stiche proprie di completezza e individualità 3. Nel 1953, dopo una lunga

* I numeri in neretto nel testo e nelle note rinviano al catalogo che segue.
1 S. BERGER, Histoire de la Vulgate pendant les premiers siècles du Moyen Age, Nancy, Berger-

Levrault, 1893, p. XIV. Alle Bibbie spagnole è dedicato il cap. II, pp. 8-28.
2 D. DE BRUYNE, Étude sur les origines de la Vulgate en Espagne, in « Revue bénédictine », n. s.,

XXXI (1914-19), pp. 373-401.


3 I lavori del Vaccari sulla Vulgata sono molti (alcuni confluiti in A. VACCARI, Scritti di

erudizione e di filologia, I-II, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1952 e 1958 [Raccolta di
Studi e testi, 42 e 67]); qui ci si riferisce in particolare ad A. VACCARI, Alle origini della Vulgata,
in « Civiltà Cattolica », LXVI, 4 (1915), pp. 21-37, 160-70, 290-97, 412-21 e 538-48; v. inoltre
J. M. BOVER, La Vulgata en España, in « Estudios bíblicos », I (1941), pp. 11-40 e 167-185. È
utile segnalare fin d’ora che per il Bover questo primo periodo nella storia della Vulgata
– seguito da una fase caratterizzata dallo sforzo di unificare il testo biblico che giungerà fino
al momento (secolo XIII) in cui si diffonderà velocemente il nuovo modello creato dagli studi
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serie di articoli dedicati a singoli manoscritti 4 e a problemi relativi alla


tradizione spagnola della Bibbia 5, Teofílo Ayuso Marazuela pubblicò i Prole-
gomenos di quello che ancora oggi può essere considerato – con le sue luci
e le sue ombre – il ‘monumento’ alla tradizione biblica iberica: la Vetus
Latina Hispanica. Qui, non senza una certa dose di nazionalismo e con una
perentorietà forse eccessiva, il biblista spagnolo proponeva l’esistenza di una
Vetus spagnola che non era possibile identificare a suo giudizio né con
l’Itala né con l’Africana 6. Per quanto concerne la conoscenza dei manoscritti
biblici, non aggiunse nulla di nuovo la relazione tenuta, solo dieci anni
dopo, da Luis Vázquez de Parga alla X Settimana di Studio di Spoleto, che
ebbe però il merito di suggerire due nuove chiavi di lettura del fenomeno:
l’intensa attività dei centri monastici astur-leonesi nella trasmissione del te-
sto biblico verso i secoli VIII-IX, fino allora oscurata dalla grande fioritura
meridionale e toletana, e l’importanza ‘politica’ della Bibbia nella storia del
regno visigotico 7.
Da questo momento l’interesse per i manoscritti spagnoli diminuì sen-
sibilmente, si potrebbe dire in misura proporzionale all’accentuarsi di quel-

domenicani, la Bible de Paris – è a sua volta diviso, nell’esperienza spagnola, in due periodi
distinti, uno ‘ibero-romano’ caratterizzato dalla produzione di Priscilliano e di Pellegrino non-
ché da una forte sopravvivenza della Vetus, ed uno ‘visigotico’ dominato dalla personalità di
Isidoro e cui appartengono i più antichi codici biblici sopravvissuti in visigotica.
4 Per alcuni dei contributi relativi a singoli codici v. il Catalogo in appendice al presente

lavoro; altri sono dedicati a manoscritti non in visigotica e quindi non compaiono nel Catalo-
go, ma sono citati nella vastissima bibliografia contenuta nei Prolegomenos (cfr. nota 6).
5 Per tutti si pensi alla serie di interventi dedicati a quei testi di corredo alla Bibbia

– prologhi, sommari, ordine dei libri, divisione in capitoli, ecc. – che iniziò con Los elementos
extrabíblicos de la Vulgata, in « Estudios bíblicos », II (1943), pp. 133-87, e proseguì con Los
elementos extrabíblicos del Octateuco, ibid., IV (1945), pp. 35-60 e Los elementos extrabíblicos de los
Libros de los Reyes, ibid., pp. 259-96.
6 T. AYUSO MARAZUELA, La Vetus Latina Hispanica, I. Prolegomenos, Madrid, Consejo supe-

rior de investigaciones científicas. Instituto « Francisco Suarez », 1953; a p. 318 ss. è affrontato
il problema dell’esistenza di una Vetus Hispana. A più riprese sono state manifestate perplessi-
tà sulle affermazioni dell’Ayuso Marazuela, in particolare proprio sulla presunta esistenza di
una Vetus spagnola (è più probabile che una tradizione pre-geronimiana abbia contaminato
invece la Vulgata fin dai testimoni più antichi), ma anche su altri aspetti della sua produzione
scientifica; si veda per tutti il forte dubbio espresso dai redattori della Clavis Patrum Latinorum
a proposito delle sue ipotesi su Pellegrino: Clavis Patrum Latinorum qua in Corpus Christianorum
edendum optimas quasque scriptorum recensiones a Tertulliano ad Bedam commode recludit E. DEKKERS
opera usus qua rem praeparavit et iuvit AE. GAAR, ed. tertia aucta et emendata, Steenburg, S.
Pietro, 1995 (Corpus Christianorum. Series Latina. Clavis Patrum Latinorum), p. 353 n. 1094.
7 L. VÁZQUEZ DE PARGA, La Biblia en el Reino asturleonés, in La Bibbia nell’alto medioevo (26

aprile – 2 maggio 1962), Spoleto, CISAM, 1963 (Settimane del CISAM, X), pp. 257-80; per
quanto riguarda l’importanza della Bibbia nell’affermazione della regalità e della concezione
politica visigotiche v., più in generale, M. REYDELLET, La Bible miroir des princes, du IVe au VIIe
siècle, in Le monde latin antique et la Bible, sous la direction de J. FONTAINE et CH. PIETRI, Paris,
Beauchesne, 1985 (Bible de tous les temps, 2), pp. 431-53, in particolare pp. 445-53.
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lo per la riforma biblica carolingia, le Bibbie atlantiche e quelle universi-


tarie 8. Così, la famiglia spagnola, o meglio le ‘famiglie spagnole’ compa-
iono appena nel denso saggio di Laura Light del 1984 sull’evoluzione
del testo biblico attraverso le sue progressive revisioni e soltanto in fun-
zione dell’attività del visigoto Teodulfo 9. Solo un cenno dedicò loro an-
che Jean Gribomont l’anno successivo, funzionale più che altro ad evi-
denziare come assai di frequente in Spagna la Vulgata si mescoli a ver-
sioni precedenti, sebbene non ci sia pervenuto alcun manoscritto iberico
contenente una vera a propria Vetus 10. Pressoché analogo silenzio s’incon-
tra nel lavoro di Pierre-Maurice Bogaert (di poco successivo), che si limi-
ta ad una citazione del palinsesto leonese del VII secolo e alla menzio-
ne, più in generale, del Salterio mozarabo, ma anche in questo caso per
parlare d’altro, e cioè ancora una volta dell’attività esegetica di Teodul-
fo 11. Che l’interesse si fosse spostato ormai definitivamente verso l’Euro-
pa centrale (Alcuino, Teodulfo, le Bibbie gregoriane, ecc.) è ancora più
evidente negli studi di Paola Supino Martini sulle Bibbie atlantiche, la
quale dà spazio ai manoscritti biblici in visigotica unicamente per segna-
larne, sulla base degli studi di Marcel Cecilio Díaz y Díaz, la penuria nei

8 Interventi su singoli manoscritti sono sempre più sporadici. Tra questi vanno segnalati,

però, quanto meno B. FISCHER, Algunas observaciones sobre el « Codex Gothicus » de la R. Colegiata
de S. Isidoro en León y sobre la tradición española de la Vulgata, in « Archivos Leoneses », XV
(1961), pp. 40-47, e M. C. DÍAZ Y DÍAZ, La trasmisión textual del Biclarense, in « Analecta Sacra
Tarraconensia », XXXV (1963), pp. 57-76, rist. in ID., De Isidoro al siglo XI. Ocho estudios sobre
la vida leteraria peninsular, Barcelona, Ediciones El Albir, 1976, pp. 117-40.
9 L. LIGHT, Version et révisions du texte biblique, in Le Moyen Age et la Bible, a cura di P.

RICHÉ et G. LOBRICHON, Paris, Beauchesne, 1984 (Bible de tous les temps, 4), pp. 55-93: 68.
Per lo stesso motivo, mi pare, la traduzione iberica è praticamente assente nei più importanti
lavori e nelle raccolte sullo studio della Bibbia nel medioevo, dal classico B. SMALLEY, The
Study of the Bible in the Middle Ages, Oxford, B. Blackwell, 1941, 3a ediz. 1984 (trad. ital. dalla
seconda ediz. del 1952: Lo studio della Bibbia nel Medioevo, con introduzione di C. LEONARDI,
Bologna, Il Mulino, 1972), ai più recenti The Bible in the Medieval World. Essays in Memory of
Beryl Smalley, a cura di K. WALSCH - D. WOOD, Oxford, B. Blackwell, 1985 (Studies in the
Church History. Subsidia, 4), e La Bibbia nel Medioevo, a cura di G. CREMASCOLI e C. LEONARDI,
Bologna, Edizioni Dehoniane, 1996.
10 J. GRIBOMONT, Les plus anciennes traductions latines, in Le monde latin antique cit., pp. 43-

65: 56.
11 P.-M. BOGAERT, La Bible latine des origines au moyen âge. Aperçu historique, état des ques-

tions, in « Revue théologique de Louvain », XIX (1988), pp. 137-59 e 276-314. Il saggio è
notevole soprattutto per l’ampio resoconto bibliografico iniziale (pp. 137-143); la citazione del
ms. León, Arch. Cap. 15 è a p. 285, il riferimento al Salterio mozarabo a p. 292. È curioso,
invece, che lo studioso non faccia alcun cenno ai manoscritti spagnoli quando tratta della
questione del libro di Baruch che è presente nel codice Cavense (n. 4), come aveva già messo
in evidenza all’inizio del secolo il benedettino cassinese Angelo Maria Amelli nella De Libri
Baruch vetustissima latina versione usque adhuc inedita in celeberrimo codice Cavensi epistula, Monte-
cassino, Typis archicoenobii Montis Casini, 1902.
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secoli XI-XII 12, e di Attilio Bartoli Langeli il quale, in un’ottica ormai


tutta carolingio-gregoriana, a sua volta non cita affatto le Bibbie spagnole 13.
Per quanto riguarda, poi, i cataloghi e gli studi paleografici più recenti
(fatta salva qualche sporadica segnalazione) 14. I due studiosi non privilegia-
no, ed anzi spesso non sfiorano neppure, le problematiche legate alla tra-
dizione biblica 15, con la sola eccezione forse di un contributo (da parte di
che scrive) relativo ad origine, datazione e committenza della Bibbia di Cava
dei Tirreni 16. Il recentissimo lavoro di Ascari Maria Mundó sulle Bibbie di
Ripoll (Vat. lat. 5729 e Par. lat. 6), destinato ad accompagnare la riprodu-
zione in facsimile dei due celebri manoscritti catalani, infine, si riferisce ad
un’area geografica che, com’è noto, da nessun punto di vista può conside-
rarsi veramente ‘visigotica’ 17.
Tuttavia i manoscritti spagnoli mostrano peculiarità di notevole impor-
tanza per la tradizione biblica, e di questo ci si rese conto fin dagli albori
dell’età moderna. Non è un caso che, dal Cinquecento al Novecento, su
richiesta di varie commissioni bibliche che si succedettero nel tempo, pro-
prio alcuni tra i più importanti codici in visigotica siano stati riprodotti o
trasferiti temporaneamente a Roma per permetterne lo studio delle varian-
ti e soprattutto delle numerose note marginali. Si pensi al ms. 2 della
Collegiata di S. Isidoro di León (n. 16) che il vescovo della città Francisco
Trujillo inviò a Roma nel 1587 al cardinal Antonio Carafa il quale ne fece
trarre copia nell’attuale Vat. lat. 4859 (poi pubblicato dal barnabita Carlo

12 P. SUPINO MARTINI, La scrittura delle scritture (sec. XI-XII), in « Scrittura e civiltà », XII

(1988), pp. 101-18: 112-113. Il lavoro del DÍAZ Y DÍAZ cui si riferisce è Codices visigóticos en la
monarquía leonesa, León, Centro de estudios y investigación « San Isidoro », 1983 (Fuentes y
estudios de historia leonesa, 31), pp. 190-91.
13 A. BARTOLI LANGELI, Scritture e libri da Alcuino a Gutenberg, in Storia d’Europa, III. Il

Medioevo, a cura di GH. ORTALLI, Torino, UTET, 1994, pp. 935-982; un solo cenno, senza
riferimento a specifici manoscritti, a p. 955.
14 Le opere citate ai nn. 11, 12, 41, 46, 49 e 53.
15 Basti citare la raccolta di Agustín Millares Carlo curata dopo la sua morte da un

gruppo di studiosi spagnoli: A. MILLARES CARLO, Corpus de códices visigóticos, edición preparada
por M. C. DÍAZ Y DÍAZ, A. M. MUNDÓ, J. M. RUIZ ASENCIO, B. CASADO QUINTANILLA y E. LECUONA
RIBOT, I. Estudio; II. Álbum, Las Palmas de Gran Canaria, Universidad de educación a distan-
cia – Centro asociado de Las Palmas de Gran Canaria, 1999 (a proposito della quale si
vedano però le osservazioni all’inizio del Catalogo), e il recentissimo contributo di C. TRISTANO,
Periferia del mondo occidentale o centro della cultura mediterranea? Qualche considerazione sulla produ-
zione di manoscritti nella penisola iberica altomedievale, in Libri, documenti, epigrafi medievali: possibi-
lità di studi comparativi, a cura di F. MAGISTRALE, C. DRAGO e P. FIORETTI, Spoleto, CISAM, 2002
(Studi e richerche, 2), pp. 137-67. Sulla visigotica v. ora J. ALTURO, La escritura visigótica.
Estado de la cuestión, in « Archiv für Diplomatik », L (2004), pp. 347-386.
16 P. CHERUBINI, La Bibbia di Danila: un monumento “trionfale” per Alfonso II di Asturie, in

« Scrittura e civiltà », XXIII (1999), pp. 75-131.


17 A. M. MUNDÓ, Les Bíblies de Ripoll dels mss. Vaticà, Lat. 5729 i París, BNF, Lat. 6, Città

del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2002 (Studi e testi, 408).


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Vercellone tre secoli più tardi) 18; o al codice Toletanus (n. 27) che subì
analoga sorte, inviato al Carafa dal bibliotecario del capitolo cattredrale
di Toledo Cristobal Palmarés nel 1588 19; o al ms. 1 della Badia di Cava
dei Tirreni (n. 4) trascritto in fedele copia “diplomatica” (che nel primo
fascicolo imitava perfino la minuscola visigotica del testo) nell’attuale Vat.
lat. 8484 dal benedettino siciliano dom Ignazio Rossi tra il 1828 e il
1829 per conto del cardinale Angelo Mai, il quale, secondo una tradizio-
ne cavense riferita dallo storico dell’abbazia Paul Guillaume, andò di per-
sona a ritirare l’esemplare 20; o, ancora, al codice della cosiddetta Biblia de
Oña (n. 45) che, prima di essere stato esposto nel 1940 alla Semana Bíbli-
ca Española di Saragozza, era stato portato a Roma forse su richiesta del
cardinale bibliotecario Francis Aidan Gasquet 21, senza contare, infine, i
due fogli arabo-latini di Sigüenza giunti alla Biblioteca Vaticana dopo il
primo decennio del secolo XX e le cui vicende verranno trattate in se-
guito (n. 47).

La tradizione

Uno studio dei manoscritti biblici in visigotica dovrà consistere innanzi


tutto nel recupero di tutte le informazioni, numerosissime – come si è
detto – soprattutto fino alla metà circa del secolo scorso, e di un loro
vaglio accurato alla luce delle nuove acquisizioni in fatto di tradizione te-
stuale, più certe oggi grazie soprattutto al lavoro dei Benedettini di San
Girolamo preparatorio alla nuova edizione vaticana 22. Tali acquisizioni furo-
no così riassunte da dom Bonifatius Fischer nella lezione spoletina del

18 BERGER, Histoire de la Vulgate cit., pp. 384-85, e PÉREZ LLAMARES, El Gothicus (Legionensis),

in « Hidalguía », XVI/90 (1968), pp. 689-702: 693. Sul cardinale bibliotecario Antonio Carafa e
l’intenzione di Sisto V di metter mano a una nuova edizione della Bibbia v. J. BIGNAMI ODIER,
La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits,
avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
1973 (Studi e testi, 272), pp. 70-71.
19 BERGER, Histoire de la Vulgate cit., p. 13.
20 L’intera vicenda è ricostruita nella scheda del manoscritto a cura di P. CHERUBINI, in I

Vangeli dei Popoli. La Parola e l’immagine del Cristo nelle culture e nella storia. Catalogo della
mostra, Città del Vaticano – Palazzo della Cancelleria, 21 giugno – 10 dicembre 2000, a cura
di F. D’AIUTO, G. MORELLO, A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano-Roma, Biblioteca Apostolica Vati-
cana-Edizioni Rinnovamento nello Spirito Santo, 2000, pp. 428-29 n. 126.
21 T. AYUSO MARAZUELA, La Biblia de Oña. Notable fragmento de un códice visigótico homogéneo

de la Biblia de San Isidoro de León. Estudio paleográfico crítico (seguido de un ensayo de clarificación
de los códices bíblicos españoles, Zaragoza, F. Martínez, 1945, pp. 7-8. Sul Gasquet: BIGNAMI
ODIER, La Bibliothèque cit., p. 261.
22 Della Biblia Sacra iuxta Latinam vulgatam versionem è stato pubblicato, da ultimo, il

volume XVIII, Libri I-II Macchabeorum, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 1995.
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1962 23: 1) l’antica traduzione latina della Bibbia fu eseguita entro il II seco-
lo, forse in Africa o a Roma o in Gallia; essa non nacque come entità
unica né come fusione di più traduzioni, ma fu caratterizzata fin dall’inizio
da diversità, influssi molteplici e continui ricorsi alla versione greca; 2) la
costituzione di un canone biblico maturò attraverso il confronto continuo
con la Gnosi a partire dal II secolo; 3) la forma originaria della Bibbia
latina fu senza dubbio il codice e non il rotolo; mentre, poi, in ambito
greco si conobbe già nel IV secolo la Bibbia in unico volume, bisogna at-
tendere Cassiodoro per trovare l’analogo latino nel cosiddetto codex grandior
di cui parla lo stesso autore nelle Institutiones 24; 4) fino alla traduzione
eseguita da Girolamo tra il 383 e il 405 alcuni libri – in particolare Isaia,
Geremia, Ezechiele, Daniele, i Salmi, Giobbe, i Verba dierum, Tobia, Giuditta, Ester
– ebbero maggiore circolazione presso le comunità cristiane occidentali e
alcuni risultarono fin dai tempi più antichi raccolti in gruppi: il Pentateuco,
Giosuè + Giudici + Ruth, Samuele + Malachia, i Profeti minori, i Libri Salomonis,
i Vangeli.
D’altronde, comunità cristiane in Spagna sono attestate a partire dalla
fine del II – inizio del III secolo 25; ne fornisce notizie dettagliate Cipriano
nella Epistula 67 al clero di Spagna rivolta in particolare alle chiese di
Legio e di Asturia, ma in cui si citano anche quelle di Galizia, Lusitania e
Saragozza 26. Al concilio di Elvira (dei primi anni del 300) furono presenti,
poi, ben diciannove vescovi e ventiquattro presbiteri e il secolo IV vide
l’apporto determinante delle provincie spagnole alla vita ecclesiastica e alla
cultura di tutto il cristianesimo occidentale, cui diede anche un pontefice,
papa Damaso.
In una situazione di tale rigoglio culturale si colloca l’episodio di Lu-
cino betico, che indica la comunità cristiana spagnola tra le prime nel
procurarsi le versioni di san Girolamo. Lucino e la moglie Teodora furo-
no destinatari di due lettere del monaco di Betlemme: il primo, infatti,
aveva richiesto una copia della Vulgata e, in un periodo in cui in molte
parti del mondo romano i copisti professionali erano divenuti sempre più

23 FISCHER, Bibelausgaben des frühen Mittelalters, in La Bibbia nell’alto medioevo cit., pp. 519-

600, rist. in ID., Lateinische Bibelhandschriften im frühen Mittelalter, Freiburg, Herder, 1985 (Vetus
Latina, 11), pp. 35-100: 37 e seguenti.
24 Sebbene è possibile che a qualcosa di analogo si riferisca il protocollo di polizia con

cui, durante la persecuzione dioclezianea, il 19 maggio 303 vennero sequestrati nel territorio
africano di Citra 34 manoscritti biblici tra i quali un codice di grandi dimensioni: ibid., p. 38.
25 Se ne ha menzione nell’Adversus haereses di Ireneo (I, 10-12) e nell’Adversus Iudaeos (7)

di Tertulliano.
26 S. TASCI CAECILI CYPRIANI Opera omnia, recensuit et commentario critico instruxit G.

HARTEL, II. Epistulae, Wien, Libr. Accad., 1871 (Corpus Scriptorum ecclesiasticorum Latinorum,
III, 2), pp. 735-43; cfr. AYUSO MARAZUELA, La Vetus cit., p. 492 n. 285, e Clavis Patrum Latino-
rum cit., p. 14 n. 50.
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rari, ne aveva mandati ben sei in Palestina con il fine dichiarato di copiare
l’intera produzione letteraria di Girolamo 27. Con la prima delle due lettere,
del 398, costui lo informava di aver prestato la massima attenzione affin-
ché la copia richiesta procedesse in maniera corretta, ma non poteva ga-
rantire del tutto la riuscita poiché la grande affluenza di pellegrini durante
la Quaresima aveva creato notevoli disturbi all’attività dello scriptorium; lo
ragguagliava inoltre sulla sua reale produzione (non era vero che aveva
tradotto Giuseppe e i santi Papia e Policarpo, come a Lucino era stato
riferito, e di Origene e Didimo aveva tradotto solo pochi libri), sull’incari-
co dato ai copisti di copiare il canone Hebraicae veritatis con la sola eccezio-
ne dell’Ottateuco la cui traduzione era in corso in quel momento (Girolamo
non dubitava che Lucino possedesse il testo greco dei Settanta!) e sulla
preferenza da lui accordata al testo greco dei Vangeli 28. Evidentemente l’en-

27 SANCTI EUSEBII HIERONYMI Opera, I, II. Epistularum pars II: epistulae LXXI-CXX, recensuit

I. HILBERG, Wien - Leipzig, F. Tempsky - G. Freitag, 1912 (Corpus Scriptorum ecclesiasticorum


Latinorum, LV), p. 29-34, Ep. LXXV, Ad Theodoram Spanam de morte Lucinii, p. 32, § 4: « ... nec
patriae suae largitate contentus misit Hierosolymarum et Alexandrinae Ecclesiae tantum auri,
quantum multorum possit inopiae subvenire. quod cum multi mirentur et praedicent, ego in
illo magis laudabo fervorem et studium scripturarum, quo ille desiderio nostra opuscula flagi-
tavit, ut missis sex notariis, quia in hac provincia Latini sermonis scriptorumque penuria est,
describi fecerit, quacumque ab adulescentia usque in praesens tempus dictavimus, non nos
honorans, qui parvuli et minimi Christianorum omnium sumus et ob conscientiam peccato-
rum Bethlemici ruris saxa incolimus, sed Christum, qui honoratur in servis suis et apostolis
repromittit dicens: qui vos recipiunt, me recipiunt; et qui me recipiunt, recipiunt eum, qui me
misit ». La morte di Lucino è ricordata anche nella Ep. LXXVI, 3, Ad Abigaum Spanum.
28 EUSEBII HIERONYMI Opera cit., pp. 1-7, Ep. LXXI, Ad Lucinum Beticum, pp. 5-7, § 5,:

« ... Opuscula mea, quae non sui merito, sed bonitate tua desiderare te dicis, ad describendum
hominibus tuis dedi et descripta vidi in chartaceis codicibus ac frequenter admonui, ut confer-
rent diligentius et emendarent. Ego enim tanta volumina prae frequentia commeantium et pere-
grinorum turbis relegere non potui et, ut ipsi probavere praesentes, longo textus incommodo vix
diebus quadragesimae, quibus ipsi proficiscebantur, respirare coepi. Unde si paragrammata rep-
pereris vel minus aliqua descripta sunt, quae sensum legentis inpediant, non mihi debes inputa-
re, sed tuis et inperitiae notariorum librariorumque incuriae, qui scribunt non quod inveniunt,
sed quod intelligunt, et, dum alienos errores emendare nituntur, ostendunt suos. Porro Iosephi
libros et sanctorum Papiae et Polycarpi volumina falsus ad te rumor pertulit a me esse translata,
quia nec otii nec virium est tantas res eadem in alteram linguam exprimere venustate. Origenis
et Didymi pauca transtulimus volentes nostris ex parte ostendere, quid Graeca doctrina retineret.
Canonem Hebraicae veritatis excepto Octateucho, quem nunc in manibus habeo, pueris tuis et
notariis describendum dedi – septuaginta interpraetum editionem et te habere non dubito – et
ante annos plurimos diligentissime emendatum studiosis tradidi. Novum Testamentum Graecae
reddidi auctoritati. Ut enim veterum librorum fides de Habraeis voluminibus examinanda est,
ita novorum Graeci sermonis normam desiderat ». Sull’episodio, oltre a BOVER, La Vulgata cit.,
pp. 18-22, v. E. ARNS, La technique du livre d’après saint Jérôme, Paris, Boccard, 1953, pp. 60 e
171 (ediz. it. La tecnica del libro secondo san Girolamo, trad. e cura di P. CHERUBINI, Milano,
Edizioni Biblioteca Francescana, 2005, pp. 70 e 200). Su Lucinio e Teodora, la cui importanza
per la storia delle antiche comunità cristiane di Spagna è legata anche alle riflessioni di Girola-
mo sul valore del loro matrimonio, v. M. SOTOMAYOR Y MURO, La Iglesia en la España romana, in
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tusiasmo per la traduzione geronimiana dovette contagiare altri studiosi


della cerchia di Lucino (desiderosi pertanto di codici della Vulgata), che
Girolamo indica con l’espressione « qui tibi in Christo copulati sunt ». Di
certo tra i suoi corrispondenti è un altro spagnolo, Desiderio, e anche a
lui il santo monaco inviò libri del Vecchio Testamento 29.
In realtà, l’esistenza di una qualche forma di Vetus è ancora attestata
nel corso del VI secolo, come si ricava dalle citazioni presenti nei testi
epigrafici, in particolare se attinte al libro dei Salmi, a quello di Giobbe
o al Pentateuco 30. Agli anni 589-90 risale la lettera che Eutropio, appena
eletto alla cattedra episcopale di Valencia, inviò a tre differenti destina-
tari sul tema della cura spirituale e della guida monastica: la ben orche-
strata serie di citazioni bibliche dall’Antico e dal Nuovo Testamento in-
serite nel testo non corrisponde con precisione alla versione della Vulga-
ta, ma qui si potrebbe pensare a citazioni fatte a memoria senza dover
necessariamente presupporre l’esistenza di una Vetus locale 31. D’altronde
per il Bover, non essendo noto quale delle Veteres (del tipo africano,
romano, ambrosiano o misto) fosse diffuso nella Penisola iberica, non è
possibile riconoscere le tracce dell’eventuale infiltrazione di una di esse
all’interno del testo di Girolamo 32: la via suggerita dal teologo spagnolo
era d’individuare la particolare tradizione pregeronimiana tramandata nei
manoscritti che conservavano almeno in parte questo testo, ed era ciò
che sembrava riscontrabile, ma con molti dubbi, nel palinsesto leonese,
il quale, a quel tempo, sembrava appartenere alla famiglia dell’Itala 33. In

Historia de la Iglesia en España, dir. por R. CARCÍA VILLOSLADA, I. La Iglesia en la España romana y
visigoda (siglos I-VIII), Madrid, Biblioteca de autores cristianos, 1979, pp. 7-400: 290-91.
29 AYUSO MARAZUELA, La Vetus cit., p. 491 n. 280; ma questo Desiderio era a Roma,

quando gli scrisse Girolamo: cfr. ARNS, La technique cit., p. 171 (ed. it., p. 201). Si tenga però
presente la grande cautela con cui Berger trattò l’argomento, giustificata dal fatto che real-
mente non sappiamo di che Bibbia si trattasse né quale influsso ebbe la vicenda sulla tradizio-
ne successiva (BERGER, Histoire de la Vulgate cit., pp. 8-9).
30 CH. PIETRI, La Bible dans l’épigraphie de l’Occident latin, in Le monde latin antique cit.,

pp. 189-205: 191; abbastanza frequente il ricorso a Iob, 1, 21 o 19, 25-26. Citazioni bibliche
non s’incontrano solo nell’epigrafia funeraria, ma anche negli oggetti dell’uso quotidiano:
proprio in Spagna troviamo, ad esempio, un coccio inciso prima della cottura recante una
citazione da Ps 95 e una da Ps 105 (p. 198). Sempre nella Penisola iberica sembrerebbe
frequente il ricorso all’espressione famulus Dei che da Ios 8, 31 all’Epistola agli Ebrei rappresen-
terebbe la figura di Mosè, lo stesso titolo che Costantino si era dato con riferimento al ruolo
di Mosè come guida del popolo ebraico (pp. 204-05).
31 M. C. DÍAZ Y DÍAZ, Anecdota wisigothica, I. Estudios y ediciones de textos literarios menores de

época visigoda, Salamanca, Universidad de Salamanca, 1958 (Acta Salmanticensia. Filosofía y


Letras, XII, 2), pp. 9-35 cap. I. La produción literaria de Eutropio de Valencia.
32 BOVER, La Vulgata cit., pp. 26-28.
33 Ibid., p. 27 e nota 8: in realtà lo stesso Bover metteva in guardia da questa classifica-

zione, in quanto una verifica attenta effettuata da Zacarias García Villada aveva evidenziato –
giustamente, a suo giudizio – che ad esempio Act 14, 22 – 15, 7, presentava solo una variante
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 117

realtà, il problema è reso più complesso dalla presenza di abbondante


materiale vetero-latino in un altro codice medievale spagnolo, la cosid-
detta prima Bibbia di Alcalà (n. 35), che della Vetus riporta i libri di
Ruth, II Cronache, Esther, Tobia, Giuditta, Maccabei, il Salterio, ed inoltre
una Oratio Salomonis, il cantico contenuto in Esodo 15, nonché Esodo 33,
23 – 34, 11 e il cantico di II Re 11. Ma l’origine di questa strana
compilazione, pur essendo il manoscritto in visigotica e certamente d’area
iberica, è controversa tra Africa e Spagna. Essa inoltre doveva essere
nota in Italia già prima del V secolo, essendo citata nel De vocatione
omnium gentium di Prospero d’Aquitania (redatto a Roma intono al 450)
e nel Liber de divinis scripturis la cui più antica attestazione è nella pri-
ma lettera di papa Anastasio II (496-498). Va notato però che il ma-
noscritto complutense (per l’appunto la Bibbia di Alcalà), pur basandosi
fondamentalmente sul testo della Vetus, ricorre a una redazione greca
differente da quella da cui è tratta la Vetus, attraverso un’opera di revi-
sione che tradisce le pretese letterarie dell’anonimo autore. Il lavoro di
quest’ultimo fu utilizzato da tre scrittori spagnoli, Bachiario nel De repa-
ratione lapsi, Isidoro nel De ortu et obitu patrum e Ildefonso da Toledo
nel De verginitate perpetua sanctae Mariae 34, ma, come sembra, non in
altri manoscritti biblici 35. Alla versione greca dei Settanta pare sia ricor-
so anche l’anonimo redattore della revisione del Sirach effettuata sulla
Vulgata e tramandata nei due frammenti di Parigi (n. 42) e Toulouse (n.
50) scoperti e pubblicati rispettivamente da Célestin Douais e André
Wilmart, ma anche in questo caso è doveroso pensare ad un’origine
africana nel IV secolo, poiché il testo qui riprodotto dei versetti 22, 33
e 23, 4-6 si ritrova alla lettera nel De gratia et libero arbitrio composto da
Agostino tra il 426 e il 427 36.

caratteristica rispetto al testo della Vulgata. Un maggior numero di citazioni dalla Vetus, piut-
tosto, gli sembravano persistere in lezionari (il Liber Commicus) e in testi letterari, ad esempio
in un epistolario contenuto in un codice del XIII secolo da lui rinvenuto nel Museo del
Collegio de Sarría; anche nelle opere dei grandi Padri spagnoli se ne troverebbero, perfino in
quelle di Isidoro di Siviglia e di Giuliano da Toledo (ibid. pp. 27-28).
34 M. BOGAERT, La version latine du livre de Judith dans la première Bible d’Alcalà, in « Revue

bénédictine », n. s., LXXVIII (1968), pp. 7-32 e 181-212.


35 Non mi pare che sia stato esaminato da questo punto di vista il manoscritto contenen-

te una versione antegeronimiana delle Epistole di san Paolo e delle Epistole cattoliche (C. L. A.
IX, 1286a-b) oggi diviso in quattro parti tra il Clm 6230 (n. 37), il Clm 6436 (n. 38), il cod.
4° 928 della Universitätsbibliothek di München (n. 39) e il codice senza segnatura della
Stiftsbibliothek di Göttweig (n. 10).
36 C. DOUAIS, Une ancienne version latine de l’Ecclésiastique. Fragment publié par la première

fois, accompagné du facsimile du manuscrit wisigothique, Paris, A. Picard, 1895, e A. WILMART,


Nouveaux feuillets Toulousains de l’Ecclésiastique, in « Revue bénédictine », n. s., XXXIII (1911),
pp. 110-23, in particolare quest’ultimo.
118 PAOLO CHERUBINI

Le più antiche ‘edizioni’ d’area iberica

Sulla base di quelli che Teofílo Ayuso Marazuela ha chiamato gli ele-
mentos extrabiblicos, a cominciare dall’ordine in cui vengono presentati i sin-
goli libri, è possibile individuare con una qualche precisione diverse ‘edi-
zioni’ spagnole. D’altronde, già prima di arrivare in Spagna, la Vulgata ave-
va conosciuto un suo primo ordo, cui si attengono quasi tutti i manoscritti
spagnoli, risalente alla prefazione di Girolamo ai libri dei Re (Prologus Ga-
leatus), che seguendo l’ordine ebraico divideva l’intera materia biblica in
ordo legis, o. prophetarum, o. hagiographorum, o. apocryphorum e o. Novi Testa-
menti. Ben presto su questa divisione generale s’innestarono, poi, altri ordi-
namenti. In particolare per quanto riguarda il Nuovo Testamento, quasi tutti
i manoscritti spagnoli seguirono l’ordine proposto da Isidoro: Vangeli, Epi-
stole di san Paolo, Lettere cattoliche, Atti e Apocalisse, con l’eccezione del Toleta-
nus (n. 27) che segue invece l’ordine gelasiano (e del Concilio di Cartagi-
ne) che è l’attuale, e della Bibbia di Rosas che fa gruppo a sé, ma non è
già più in visigotica 37.
Alcuni dei codici più importanti recano poi il Canone delle epistole di san
Paolo attribuito a Priscilliano. Secondo il Berger l’assidua presenza dell’ere-
siarca di Ávila nella tradizione biblica spagnola si accompagnerebbe quasi
sempre ad un testo caratterizzato da particolarità di marca ‘italiana’ e po-
trebbe quindi costituire il punto di passaggio tra testi del IV secolo prove-
nienti dall’Italia e ‘africani’ del V, un’ipotesi che sembra confermata dagli
studi più recenti 38. Il priscillianesimo fu certamente molto forte nella Peni-
sola iberica, ma qui fu anche strenuamente combattuto fin dalle sue prime
avvisaglie. Tra coloro che ne corressero le affermazioni è Pellegrino, un
personaggio per molti versi misterioso sul quale è opportuno soffermare
l’attenzione. Punto di partenza ed elemento principale per la sua conoscen-
za è il Prologo alle lettere di s. Paolo, in cui egli afferma di aver ripreso i
Canoni di Priscilliano e di averli corretti dall’eresia 39. Un altro breve Prologo
presente nell’Antico Testamento con incipit « Tres libros Salomonis », pur
presentandosi nei codici a nome di Pellegrino, con ogni probabilità va at-

37 BERGER, Histoire de la Vulgate cit., pp. 26-28.


38 Ibid., p. 8-9. Che tutte le Veteres ‘europee’ derivino sostanzialmente da una medesima
versione africana primitiva è un dato ormai acquisito anche dai Benedettini di Beuron. Sul
finire del tardo antico la situazione tende a differenziarsi con Africa e Spagna su posizioni di
maggiore conservazione e Italia del nord più aperta alle innovazioni: GRIBOMONT, Les plus
anciennes traductions cit., pp. 51-58.
39 L’esposizione più chiara e prudente sulla figura e l’opera di Pellegrino continua ad

essere quella di DE BRUYNE, Étude cit., cap. B; ma v. anche BOVER, La Vulgata cit., pp. 22-26,
AYUSO MARAZUELA, La Vetus cit., pp. 520-32 n. 343, FISCHER, Algunas observaciones cit., pp. 40-
47 e ID., Bibelausgaben cit., pp. 47-53.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 119

tribuito invece a Girolamo 40. Accanto a questi due prologhi i manoscritti


che li tramandano presentano quasi sempre altri elementi non riferiti
espressamente a Pellegrino, ma che a lui vanno di certo ricondotti. Innanzi
tutto, i sommari (simili per struttura e per tradizione) compaiono sia nel-
l’Antico sia nel Nuovo Testamento e autorizzano a pensare che quella di
Pellegrino fosse una vera e propria edizione 41: si tratta in sostanza di capi-
tula che presuppongono la Vulgata ma di essa inizialmente non facevano
parte, né sono antecedenti a Isidoro cui non possono di certo essere attri-
buiti 42. Della persona di Pellegrino non si sa quasi nulla. In passato si
propose una sua identificazione con il monaco Baquiarius forse di origine
irlandese 43, ma l’espressione che apre la prefazione alle lettere di Paolo
« incipit proemium sancti Peregrini episcopi » (in una tradizione manoscritta
del tutto priva di sospetto) fa cadere del tutto tale possibilità, dal momento
che Bachiario non fu vescovo. D’altro canto le superstiti liste episcopali per
il periodo che intercorre tra Girolamo e Isidoro non contengono, però, il
nome Peregrinus; si può dunque soltanto ragionare su ipotesi circa il tempo
e il luogo della sua esistenza. Il testo di cui egli si serve contiene già la
Lettera agli Ebrei nella forma e nella posizione che essa occuperà poi defini-

40 Il Prologo, presente in numerosi manoscritti spagnoli, è pubblicato da De Bruyne

(p. 379) e termina così: « ... Ideo et de Graeco et de Hebraeo praefatiuncula utraque in hoc
libro praemissa est, quia nonnulla de Graeco ob inluminationem sensus et legentis aedificatio-
nem, vel inserta Hebraice translationi vel extrinsecus iuncta sunt. Et idcirco qui legis semper
Peregrini memento ». Cfr. anche BOVER, La Vulgata cit., p. 22-23, il quale menziona un’altra
‘sottoscrizione’ di Pellegrino, sfuggita a De Bruyne e agli altri studiosi che si occuparono
dell’editore spagnolo prima di lui: la sottoscrizione finale (segue l’Apocalisse) del Legionensis2
proveniente dalla Collegiata di San Isidoro (n. 16) « Et Peregrini f. o karissimi memento » che
proverebbe come l’antigrafo di questo codice fosse scritto da un Peregrinus. Il brano è riferito
anche da FISCHER, Bibelausgaben cit., p. 50. Un terzo Prologo (Quomodo de Graeco) posto all’ini-
zio dei Paralipomeni solo in pochi manoscritti spagnoli e non nei più antichi, pone problemi
ancora maggiori di autenticità. Per il Prologo a Baruch v. più avanti.
41 Di questa ipotesi non si mostrò pienamente convinto FISCHER, Bibelausgaben cit., il qua-

le osservò come non pochi manoscritti spagnoli non sono affatto influenzati da questa presun-
ta revisione peregriniana. Egli sospettò anche che Peregrinus fosse piuttosto uno pseudonimo.
42 Così riassunti da De Bruyne: Paralipomeni: « De Adam sequens generatio », Esdras: « Quo-

modo Cyrus rex », Job: « De Job et possessione eius », Romani: « Paulus vocatus fidem Romano-
rum », Epistola di san Giacomo: « Gaudendum in tentationibus » e Apocalisse: « Beatos esse qui
servaverint ». Per i Vangeli Pellegrino prese sommari preesistenti e che si ritrovano anche al di
fuori della Spagna mentre sussistono dubbi sulla paternità dei capitula al libro dei Maccabei.
43 Bonifatius Fischer (Bibelausgaben cit., p. 47 s.) ha osservato a questo proposito che alla

fine di un manoscritto irlandese dei Vangeli dell’800 circa (Dublin, Royal Irische Academy, D
II 13, ff. 1-11: C. L. A. II, 267, forse scritto a Tallaght, pochi km a Sud-Ovest della capitale
irlandese) si legge: « Finit. Amen. Rogo quicumque hunc librum legeris, ut memineris mei
peccatoris scriptoris, idest Sonid peregrinus. Amen. Sanus sit qui scripsit et cui scriptum est.
Amen », chiedendosi se in questo caso Peregrinus cui corrisponde l’ogamico Sonid debba essere
inteso come nome proprio e, in caso affermativo, se vada identificato con il vescovo spagnolo.
120 PAOLO CHERUBINI

tivamente, ed inoltre i prologhi pelagiani e quello pseudogeronimiano agli


Atti: è difficile pensare che tutto ciò potesse verificarsi in Spagna grosso
modo prima del 450. Il personaggio è noto a Isidoro, che ne scrisse prima
del 625 circa, e non può essere distanziato troppo dal pieno dell’eresia di
Priscilliano, nel tempo come nello spazio, ed è perciò verosimile che sia
vissuto nella seconda metà del V secolo, che fosse spagnolo (il suo nome
compare solo in manoscritti spagnoli), forse del Nord della Spagna dove il
priscillianesimo fu più forte.
Tornando alla sua edizione, i prologhi si leggono invariati in tutti i
manoscritti spagnoli, ma non così il testo che essi accompagnano, caratte-
rizzato in molti casi da aggiunte e correzioni. Il libro biblico che conserva
forse la sua forma più autentica è quello dei Proverbi – un testo che in
ogni caso Pellegrino recepì, a quanto sembra, già interpolato – e il mano-
scritto che ne tramanda la versione migliore (sebbene lo stesso da integra-
re e correggere) è il Cavense (n. 4) che reca una serie non indifferente di
interpolazioni proprie. La tecnica con cui queste aggiunte sono inserite nel
testo fa pensare che l’antigrafo di questo importante manoscritto presentas-
se numerose aggiunte marginali « non dans la marge latérale vis-à-vis de
l’endroit voulu, mais dans la marge supérieure ou inférieure où elles étai-
ent marquées d’un signe de renvoi » 44. Alcune interpolazioni mancanti in
questo codice si trovano a loro volta nelle due Bibbie di Ripoll 45, nel Toleta-
nus (n. 27), nel Par. lat. 11553, manoscritto del secolo IX ma non d’area
iberica, e nelle Bibbie di Teodulfo, che invece alla Spagna fanno continuo
riferimento. Tutti dipendono evidentemente da un unico testimone e pro-
vano l’attività non lontana di Pellegrino, come ha sottolineato ancora De
Bruyne: « Les additions de Peregrinus étaient les unes dans le texte, les
autres dans la marge. Nous ne pouvons plus déterminer quelles additions
appartenaient à la première et quelles à la seconde catégorie. Les interpo-
lations deplacées dans K [Cavensis] devaient être à la marge d’un ancêtre
de cet excellent manuscrit. Celles qui sont omises étaient peut-être dans le
même cas » 46. Il Cavense ci permette inoltre di conoscere con buona appros-
simazione quale doveva essere l’ordine in cui erano disposti i libri biblici
nell’edizione di Pellegrino, una disposizione non molto diversa da quella
che proporrà Isidoro 47, con la sola particolarità della collocazione di Baruch
dopo i Profeti minori; a proposito di quest’ultimo già dom Amelli aveva

44DE BRUYNE, Étude cit., p. 391, e BOVER, La Vulgata cit., p. 23.


45Vedine ora l’edizione citata alla nota 17.
46 DE BRUYNE, Étude cit., p. 393. Le interpolazioni di Pellegrino non furono prese in

considerazione da Alcuino, ma ricomparvero a partire dal XII secolo quando si tornò ad


accogliere acriticamente ogni aggiunta o variante che potesse rendere più ‘completo’ il testo
sacro.
47 Ibid., p. 399.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 121

dimostrato che il Cavensis è il testimone più antico che si conosca a tra-


mandare questo libro entrato tardi a far parte del canone 48; con ogni pro-
babilità anche il suo pieno recupero risale a Pellegrino che ne scrisse quasi
di certo anche il Prologo, riportato anch’esso nel manoscritto di Cava 49.
A lungo si è discusso se Isidoro « l’héritier le plus fidèle de la pensée
de Jérôme » abbia prodotto una vera e propria ‘edizione’ biblica 50. La que-
stione è stata affrontata da ultimo da Ayuso Marazuela 51. Il problema è
capire se, sulla base delle testimonianze dei contemporanei e dello stesso
vescovo di Siviglia, si possa affermare che Isidoro sia realmente da conside-
rare autore di una nuova edizione e se questa è riconoscibile in qualcuno
dei codici biblici superstiti. La prima fonte da esaminare è la cosiddetta
Praenotatio di Braulione di Saragozza, detta anche Vita sancti Isidori, sulla
cui autenticità c’è sostanziale accordo tra gli studiosi. Essa afferma che « sunt
et alia eius viri multa opuscula et in Ecclesia Dei multa cum ornamento
instrumenta », presentandoci un Isidoro scrittore di commenti e di strumen-
ti per l’interpretazione delle Scritture 52. Vi è poi l’Adbreviatio attribuita allo
stesso Braulione dove, in un’interpolazione aggiunta in epoca successiva (for-
se tra IX e X secolo), si legge che il vescovo di Siviglia « Bibliothecam
compilavit » e « quartam psalterii translationem edidit » 53. Non è la prima
volta che il termine bibliotheca è usato con questo significato, esso s’incon-
tra, infatti, già in Girolamo per indicare la Bibbia completa 54. D’altro canto,

48 Vedi la citazione del lavoro dell’Amelli nella nota 11.


49 DE BRUYNE, Étude cit., p. 401, che riporta il breve prologo: « Explicit corpus libri
sedecim prophetarum ad cuius calcem Baruch et epistulam Iheremiae aexpressimus. Liber iste
qui Baruch nomine praenotatur in Ebreo canone non abetur, sed tantum in Vulgata editione,
similiter et epistula Iheremiae. Propter notitiam autem legentium hic scripta sunt quia multa
de Christo novissimisque temporibus indicant ».
50 Per la citazione ibid., p. 374. Sulla figura e sulla cultura di Isidoro resta ancora fonda-

mentale J. FONTAINE, Isidore de Seville et la culture classique dans l’Espagne wisigothique, I-II, Paris,
Études Augustiniennes, 1959, e III. Notes complementaires et supplément bibliographique, Paris 1983;
un breve profilo è in ID., La letteratura cristiana antica, Bologna, Il Mulino, 1973, 2ª ediz.
2000 (Universale Paperbaks, 356), pp. 147-50 (bibliografia a p. 191). Qualche cenno anche in
G. M. VIAN, Bibliotheca divina. Filologia e storia dei testi cristiani, Roma, Carocci, 2001, pp. 141-
44, dove però non è preso in esame il problema della edizione della Bibbia.
51 T. AYUSO MARAZUELA, Algunos problemas del texto biblico de Isidoro, in Isidoriana. Colleción de

estudios sobre Isidoro de Sevilla, publicados con ocasión del XIV Centenario de su nacimiento por
M. C. DÍAZ Y DÍAZ, bajo el patrocinio científico de las Facultades de Filosofía y Letras de las
Universidades de España, a costa y por la munificiencia de la Caja de Ahorros, 1961, pp. 143-91.
52 Cit. ibid., p. 145.
53 Cit. ibid., p. 153.
54 Nell’Epistula ad Marcellam si legge: « Beatus Pamphilus martyr, cuius vitam Eusebius

Caesariensis episcopus tribus ferme voluminibus explicavit, cum Demetrium Phalereum et Pisis-
tratum in sacrae bibliothecae studio vellet aequare ... » (Sancti Hieronymi epistulae, I, Epistulae I-
LXX, rec. I. HILBERG, Wien-Leipzig, F. Tempsky-G. Freitag, 1919 [Corpus Scriptorum ecclesias-
ticorum Latinorum, LIV], n. XXXIV, 1: pp. 259-260).
122 PAOLO CHERUBINI

quest’uso doveva essere abbastanza comune nella Spagna del VII secolo e
lo riscontriamo, ad esempio, nei versi con cui Eugenio da Toledo descrisse
la Bibbia di Giovanni da Saragozza († 631) 55. Accanto a questi dati va posto
il Prologo iniziale della prima Bibbia di Alcalà che inizia proprio con le
parole « Beati Isidori incipit praefatio totius bibliothece » (n. 35). Il codice è
dell’inizio del secolo X, forse di poco precedente, e una mano appena più
tarda ma ugualmente in visigotica ha aggiunto accanto alla versione di
Ruth che in questo caso segue il testo della Vetus: « Lector, si vis liquidius
storiam Ruth intelligere, in finem huius bibliothece inquire et plus quam
emendata repperies » 56.
L’uso del verbo compilare nella testimonianza pseudo-brauliana sta poi
ad indicare che Isidoro non si limitò a riunire in uno solo i singoli libri
biblici secondo un ordine stabilito, ma che vi aggiunse ulteriori elementi,
quali prologhi e sommari, fino allora distinti e dispersi. Fin dai tempi del
De Bruyne quest’insieme di testi extrabiblici del vescovo di Siviglia è stato
riconosciuto nel codice Toletano (n. 27), per questo considerato il più fede-
le alla tradizione isidoriana. Inoltre, dom Henri Quentin notò per primo
che quest’importante codice doveva necessariamente derivare da un mano-
scritto del VII secolo che senza dubbio era scritto in onciale. Ciò gli sem-
brava provato dal fatto che, dove il copista si mostrava molto negligente e
incorreva in omissioni d’interi brani (e ciò avviene di frequente), ci si ac-
corgeva che il numero di lettere omesse si avvicinava sempre ad un nume-
ro vicino a 15 o multipli di 15. Ciò significava che l’antigrafo del Toletano
(con ogni probabilità copiato a Siviglia) si presentava su colonne contenenti
ciascuna circa 15 lettere per rigo, il che poteva succedere a suo giudizio
solo in un codice scritto in un’onciale di formato medio-grande 57. Ayuso
Marazuela arrivò addirittura ad ipotizzare che tale codice fosse testimone
dell’edizione originale di Isidoro o comunque un discendente ad esso mol-
to vicino 58.

55 « Regula quos fidei commendat noscere libros / hos nostra praesens bibliotheca tenet. /

Quinque priora gerit veneranda volumina legis, / hinc Iosue Sophtimque, hinc Ruth Mohabi-
tica gesta; / bis bini Regum nectuntur in ordine libri / atque bis octoni concurrunt inde
[Pro]phetae; / en Job, Psalterium, Salomon et Verba dierum. / Esdrae consequitur, Esther,
Sapientia Iesu, / Tobi et Iudith: concludit haec Macchabeorum. / Hic Testamenti Veteris finis-
que modusque ... » (Monumenta Germaniae Historica, Auctores, XIV. Fl. Merobaudis reliquiae, Blossii
Aemilii Dracontii carmina, Eugenii Toletani episcopi carmina et epistulae, cum appendicula carminum
spuriorum, ed. F. VOLLMER, Berlin, Weidmann, 1905, pp. 238-39). Cfr. anche P. PETITMENGIN,
Les plus anciens manuscrits de la Bible latine, in Le monde latin antique cit., pp. 89-127: 94.
56 F. 80v col. A.
57 H. QUENTIN, Mémoire sur l’établissement du texte de la Vulgate, I. Octateuque, Roma - Paris,

Gabalda - Desclée, 1922 (Collectanea Biblica Latina, 6), p. 317; AYUSO MARAZUELA, Algunos pro-
blemas cit., p. 167.
58 Ibid., p. 171.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 123

L’analisi attenta degli elementi extrabiblici del Toletano evidenzia un


lavoro difficile e complesso, che riflette l’attività sistematica e ordinata di
una vera e propria edizione, la quale, pur avendo il testo di Girolamo
come base indiscussa, sa trarre profitto sia dal testo greco, sia da quello
latino della Vetus, sia infine dall’Hebraica veritas. Va anche osservato che
questo manoscritto segue il Canon per ordines, cioè quell’ordine dei libri
biblici dal quale Pellegrino in Spagna e Cassiodoro in Italia si erano in
parte discostati e al quale si adatta invece in pieno Isidoro, imitato in
questa come in molte altre particolarità da Teodulfo d’Orléans 59. Al pari
della Bibbia di San Juan de la Peña (n. 29), inoltre, esso presenta sommari
all’Eptateuco e ai libri dei Re che discendono dalla Vulgata, a differenza di
altre Bibbie di stampo peregriniano che si rifanno invece alla Vetus; per
quanto riguarda i Re il Toletano, poi, specifica chiaramente, nel testo e nei
sommari, che i libri sono quattro, due di Samuele e due dei Re, ciascuno
con proprio incipit ed explicit, ispirandosi ancora una volta ad Isidoro che
conosceva le differenti tradizioni, una con divisione in due libri e l’altra
con divisione in quattro. Oltre a sommari e osservazioni che ricordano lo
stile del vescovo ispalense, va evidenziata ancora la partizione interna in
forma dialogica del Cantico dei Cantici che ha un evidentissimo sapore isido-
riano. Tra i profeti (dove, in particolare nei Minori da Osea a Malachia, è
notevole la presenza dei prologhi isidoriani con notizie biografiche 60) colpi-
sce l’esclusione di Baruch che – come si è detto – compare invece nei codici
prerecensionali e in quelli di Pellegrino 61, ma è un’assenza significativa, se si
osserva che questo libro manca nel canone isidoriano e nelle Etymologiae.
Ad Isidoro è infine legata la questione del doppio Salterio, che si pre-
senta in alcune Bibbie visigotiche a cominciare dal Cavense. Mentre, infatti,
l’interpolazione dell’Adbreviatio riportata sopra cita un solo Salterio, il Prolo-
go ai Salmi conservato in alcuni manoscritti spagnoli che inizia con le paro-
le Origenes quondam ille si riferisce chiaramente ad un Salterio bipartito,
comprendente – come sembra – quello antico della Vetus e quello che Giro-
lamo aveva tradotto ex Hebraico 62. Di solito è anonimo, ma a f. 260r, col. B

59 Teodulfo conserva anche il prologo generale di Isidoro Vetus Testamentum ideo dicitur

dal titolo Beati Isidori praefatio totius bibliothecae identico ad Etym. VI, 1, che manca invece nel
Toletano mutilo purtroppo della parte iniziale (DE BRUYNE, Étude cit., p. 377).
60 Per questi prologhi cfr. Biblia Sacra iuxta Latinam vulgatam versionem, XVII. Duodecim

prophetae, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 1987, in particolare pp. XXXIII e 40-46. Per AYUSO
MARAZUELA, Algunos problemas cit., p. 178, è interessante soprattutto quello che inizia con le
parole Temporibus Ozie, che De Bruyne aveva pubblicato come pseudo-geronimiano, ma che in
realtà coinciderebbe in larga parte con Etym., VII, 8, 10 ss. e sembrerebbe quindi scritto
appositamente per la Bibbia isidoriana. Ma questo è solo in parte esatto.
61 Vedi sopra, nota 11.
62 « Psalmorum librum duarum translationum conpingere malui, sive ut Septuaginta inter-

pretes vel ceteri transtulerunt, sive ut in Hebraeo, et a sanctissimo Hieronymo in Latinum


124 PAOLO CHERUBINI

della Bibbia di Ripoll 63 esso inizia con le parole « Isidorus lectori salutem »,
un’attribuzione che troverebbe conferma, per Ayuso Marazuela, nell’analisi
interna del testo stesso, dove Isidoro è particolarmente vicino a Girolamo e
mostra inoltre di conoscere assai bene la funzione di lemnisco, asterisco e
antigrafo 64. D’altro canto, l’esistenza di doppi Salteri non è infrequente in
codici del VII secolo né tanto meno in quelli dell’VIII; a partire dal IX
poi i manoscritti biblici contenenti più di una serie di Salmi, talvolta tre o
quattro e perfino cinque serie, diventano numerosi. La difficoltà non è
agilmente superabile perché, nonostante il Prologo in questione, non è faci-
le identificare i due Salteri isidoriani. Possiamo immaginare allora che, ac-
canto a quello espressamente attribuito a Girolamo, comparisse il Salterio
mozarabico (cui si riferirebbero le parole « quartam psalterii translationem
edidit » dell’Adbreviatio), quello cioè che, a differenza del primo, era pene-
trato nella liturgia e quindi nell’uso corrente, e che s’incontra di norma
nei codici liturgici 65. Ed è esattamente ciò che avviene nel Cavense, sebbene
in questo manoscritto i due Salteri non figurino appaiati come ci si aspette-
rebbe, ma uno all’interno e uno alla fine dell’intera Bibbia 66.
Ma è tutto l’insieme della riflessione isidoriana sulla Bibbia a costitu-
ire il fondamento della tradizione biblica spagnola. Così, ad esempio,
Alvaro di Cordova, scrittore del IX secolo e martire delle persecuzioni
islamiche insieme al concittadino Eulogio, quando descrive nei Versi in
biblioteca Leobegildi quella che va forse identificata con la raccolta toleda-

sermonem interpretatum agnoscitur. Utramque igitur editionem e regione conponentes adiunxi-


mus. ... Plurimum enim valet lectori geminae huius interpretationis conlatio » (citato in MORIN, La
part de Saint Isidore cit. alla nota 65).
63 Vedi sopra, nota 17.
64 Sull’importanza dell’uso di queste e altre notae sententiarum nei manoscritti altomedie-

vali in visigotica v. anche CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., p. 101.


65 Ciò conferma parzialmente quanto era già affermato in G. MORIN, La part de Saint

Isidore dans la constitution du texte du psautier Mozarabe in Miscellanea Isidoriana. Homenaje a S.


Isidoro de Sevilla en el XIII centenario de su muerte, 636 – 4 de abril – 1936, Roma, Typis P.
Universitatis Gregorianae, 1936, pp. 151-63, che, ritenendolo autentico, ripubblicò il testo del
prologo già edito da Angelo Mai. L’idea, affermata in precedenza, che all’interno dello stesso
Salterio mozarabico vi fosse stata una differenza tra gli usi liturgici di Siviglia (legata a tradi-
zioni più antiche provenienti dall’Africa e forse dalla liturgia ambrosiana) e di Toledo (più
aperta ad influssi dalla Spagna del nord) che solo a partire dal 633 sarebbe stata unificata in
tutta la Chiesa spagnola con uguale testo e uguale salmodia in seguito a una decisione del IV
Concilio di Toledo, era contraddetta, secondo Germain Morin, proprio da codici come il
Cavense che presentano entrambi i Salteri utilizzati in Spagna (p. 159).
66 Per concludere con Isidoro, non è da sottovalutare il fatto che a lui si rifaccia il più

antico commento al Genesi in visigotica giunto fino a noi, che di Isidoro utilizza tra l’altro il
medesimo termine intexuimus per indicare la collazione di opinoni diverse dei Padri: M. GOR-
MAN, The Visigothic Commentary on Genesis in Autun 27 (S. 29), in Recherches augustiniennes, 30,
Paris, Institut d’Études Augustiniennes, 1997, pp. 167-277.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 125

na del re visigoto Leovigildo padre di Recaredo, elenca per intero la


serie dei libri biblici 67.

I MANOSCRITTI

Codici in onciale e semionciale

Seguendo la periodizzazione proposta da Samuel Berger, possiamo di-


stinguere un primo, esiguo gruppo di manoscritti certamente (o con buone
probabilità) spagnoli precedenti l’invasione araba, che sono tutti in onciale
o semionciale, da quello ben più consistente di codici in visigotica 68. Al
primo gruppo appartengono codici che provengono tutti dal Sud della Pe-
nisola: i codices rescripti leonese 15 ed escorialense R. II. 18, il Pentateuco di
Ashburnham o di Tours, la cui origine spagnola è alquanto dubbia, e po-
chi altri frammenti.
Il codice León 15 (C. L. A. XI, 1636; n. 15) è dunque la più antica
Bibbia spagnola giunta sino a noi. Esso conserva, sotto una scrittura visigotica
del IX secolo, una parte più antica in onciale databile al VI secolo e conte-
nente un testo della Lex Romana Visigothorum e una seconda in semionciale
del VII contenente brani di Cronache, Geremia, Ezechiele, I Maccabei, Atti degli
Apostoli, II Corinti, Colossesi, I Lettera di san Giovanni tratti principalmente dal-
la Vulgata, ma con qualche influsso da tradizioni differenti. L’origine spagno-
la della scriptio inferior in semionciale è provata – com’ebbe modo di osserva-
re già Rodney P. Robinson – dalla tipica abbreviazione srhl per Israhel 69. Il
codice è stato assegnato a Cordova, tra l’altro, perché contiene alcune glosse
latine (ma ve ne sono anche di arabe) citate alla lettera da Alvaro da Cordo-
va; da qui sarebbe giunto a Toledo verso la fine del secolo IX 70. Con ogni

67 I. GIL, Corpus Scriptorum muzarabicorum, Madrid, Instituto « Antonio de Nebrjia », 1973

(Consejo superior de investigaciones científicas. Manuales y arreios de « Emerita », XXVIII), I,


pp. 350-54. Su Alvaro da Cordova, e in particolare proprio sui suoi interessi bibliografici, v.
da ultimo TRISTANO, Periferia del mondo occidentale cit., pp. 142-43.
68 BERGER, Histoire de la Vulgate cit., pp. 8-10; più complessa quella del Bover articolata

in due epoche, la prima delle quali è divisa in una fase, del testo pre-recensionale, a sua
volta ulteriormente ripartita in periodo ibero-romano e periodo visigotico, e una seconda fase,
quella del testo recensionale; ma questa partizione ha il difetto di non trovare riscontro nella
tradizione manoscritta, che, ad esempio, è del tutto inesistente per il periodo ibero-romano
(BOVER, La Vulgata cit.).
69 ROBINSON, Manuscripts 27 (S. 29) and 107 (S. 129) of the Municipal Library of Autun. A

Study of Spanish Half-Uncial and Early Visigothic Minuscule and Cursive Scripts, New York, Amer-
ican Academy in Rome, 1939 (Memoirs of the American Academy in Rome, XVI), pp. 18-19.
70 CH. U. CLARK, Collectanea Hispanica, Paris, Librairie Ancienne Honoré Champion, 1920

(= « Transactions of the Connecticut Academy of Arts and Sciences », XX, 1920, pp. 1-243),
pp. 108-09.
126 PAOLO CHERUBINI

probabilità i fogli palinsesti di León facevano parte di una Bibbia completa


in uno o in più volumi su due colonne di 71-76 linee per colonna 71; ma
sarebbe improprio utilizzare a questo proposito la parola Pandette analoga-
mente a quanto fecero il De Bruyne e il Bover proiettando su Pellegrino
quanto si legge nel colophon al libro di Esther nelle due Bibbie catalane di
Parigi (Paris. lat. 6 del secolo X e Paris. lat. 11553 del secolo IX): « Summo
studio summaque cura per diversos codices observans editiones perquisivi
<et> in unum collexi <così> corpus et scribens transfudi fecique Pan-
dectem » 72: il termine fu usato, infatti, per la prima volta solo un secolo più
tardi di Pellegrino da Cassiodoro – il quale s’ispirò espressamente all’uso
fattone nel 533 da Giustiniano in ambito giudiridico 73 – e con ogni proba-
bilità si diffuse nella Penisola iberica solo molto tardi.
Quasi contemporanei del palinsesto leonese sono i fogli rescritti del
ms. R. II. 18 della biblioteca dell’Escorial (ff. 83-86: C. L. A. XI, 1632; n.
9) contenenti brani da Numeri, Giosuè e Giudici in onciale del secolo VI-VII.
Altri frammenti di dimensioni minori e che non hanno goduto di uguale
attenzione sono quelli in onciale della prima metà del VI secolo e in se-
mionciale della prima metà del VII conservati tra Göttweig e München
(nn. 10, 37, 38 e 39) 74.
Un caso a parte è costituito dal Pentateuco di Ashburnham o di Tours
(qui era conservato nel IX secolo, nel monastero di Saint Gratien) il cui
testo è incompleto, essendo mutilo il manoscritto subito dopo l’inizio del
Deuteronomio, e di cui sono incerte la datazione – oscillante tra la fine del
VI e il VII secolo sulla base del tipo d’onciale (che sembra avvicinarsi
però piuttosto alla data recenziore 75) e dello stile delle miniature – e la
localizzazione, individuata di volta in volta in Africa, Spagna e perfino

71 FISCHER, Bibelausgaben cit., p. 70, PETITMENGIN, Les plus anciens manuscrits cit., p. 93, e

BOGAERT, La Bible latine cit., p. 285.


72 DE BRUYNE, Étude cit., p. 394, e BOVER, La Vulgata cit., pp. 22-26; può risultare ambi-

guo, in questo senso, anche FISCHER, Bibelausgabe, p. 70. Naturalmente ciò non contraddice il
fatto che spesso in Spagna fin dai tempi più antichi furono copiate Bibbie in uno o talora in
due volumi: T. AYUSO MARAZUELA, La Biblia de San Juan de la Peña. El más importante códice
bíblico de Aragón, in « Universidad », XXII (1945), pp. 1-50: 10.
73 J. GRIBOMONT, Cassiodore et la trasmission de l’héritage biblique antique, in Le monde latin

antique cit., pp. 143-52: 148-49.


74 Ma cfr. PETITMENGIN, Les plus anciens manuscrits cit., p. 91. Va ricordato inoltre che

secondo le annotazioni di E. A. LOWE, Codices Latini Antiquiores. A Palaeographical Guide to Latin


Manuscripts Prior to the Ninth Century, 11 voll. e suppl., Oxford, Clarendon Press, 1934-1972
(d’ora in avanti: C. L. A.) IX, 1319, il ms. Claremontanus 19015 della Bayerische Staatsbi-
bliothek di München, contenente i Proverbi, l’Ecclesiaste e parte dell’Ecclesiastico, presenta la
tipica abbreviazione visigotica per autem.
75 BERGER, Histoire de la Vulgate cit., pp. 11-12, propende, mi sembra non senza ragione,

per la fine del secolo VII.


LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 127

Illiria (Paris. Nouv. Acq. lat. 2334; C. L. A. V, 693a) 76. Il primo a propendere
per un’origine spagnola, cui riconducevano aspetti decorativi come la vivaci-
tà dei colori, che ricorda molto da vicino la Bibbia di San Isidoro di León
(n. 16) e i codici di Beato da Liébana, e fenomeni ortografici come il ricor-
rente betacismo o l’uso per ben due volte di vincerna per pincerna (= ‘cop-
piere’) secondo una grafia tipicamente spagnola, fu Berger il quale pensò
alla regione meridionale, a più stretto contatto con l’Africa. Anche la presen-
za della nota « contuli ut potui » o « contuli quantum mihi Dominus opitula-
tus est » posta da una mano di poco posteriore a quella che verga il testo
accanto ad alcune correzioni ricorda analogo uso che si riscontra nel codice
dell’Escorial contenente il De baptismo contra Donatistas di s. Agostino 77.
Anche Bover insistette su questa localizzazione, in un primo momento
addirittura identificandone senz’altro lo scriptorium nel monastero Servitano
nei pressi della città di Valencia 78; più tardi tornò con maggiore prudenza
sull’argomento, che nel frattempo aveva visto Quentin dichiararsi a favore
di un’origine africana considerandolo però alla base di un tipo spagnolo,
colpito in particolare dalla presenza, nelle illustrazioni, di cammelli dise-
gnati con tratti molto realistici che sembrava più verosimile collocare in
ambiente africano che europeo 79. Bover credette di trovare la chiave di

76 Vedi la voce di B. NARKISS, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, II, Roma, Istituto dell’En-

ciclopedia Italiana, 1991, pp. 582-84 con bibliografia. Da ultima Dorothy Hoogland Verkerk
(Biblical manuscripts in Rom 400-700 and the Ashburnham Pentateuch, in Imaging the Early Medi-
eval Bible, edit. by J. WILLIAMS, University Park PA, Pennsylvania State University Press, 1999,
pp. 97-120) ne ha suggerito una possibile origine romana.
77 BERGER, Histoire de la Vulgate cit., p. 12. È opportuno ricordare che l’uso della nota

contuli – caratteristica della filologia cristana tardo antica – scompare del tutto proprio con il
VII secolo; cfr. P. PETITMENGIN, Que signifie la souscription “contuli”?, in Les lettres de Saint Augus-
tin découvertes par Johannes Divijak. Communications présentées au colloque du 20 et 21 Septembre
1982, Paris, Études Augustiniennes, 1983, pp. 365-74: 371: « Les exemples les plus récents
datent, sauf erreur, du VIIe siècle; ensuite cet usage se perd »; per la presenza della nota nel
codice di Agostino: pp. 370 nota 21, e 371 nota 27. A questi elementi mi pare debba ag-
giungersi l’uso tipicamente spagnolo di riportare il nome ebraico traslitterato dei libri biblici
accanto a quello latino, un uso che si osserva tanto nel Cavense quanto in alcune delle Bibbie
di Teodulfo: CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., p. 122.
78 BOVER, La Vulgata cit., p. 33-34. Ma le sue affermazioni sono spesso arbitrarie, come

quando sostiene una datazione al V secolo o la possibilità che il Turonense possa essere copia
diretta dei codici inviati da Girolamo a Lucino betico dopo il 404. Ancora troppo alta è
anche la datazione di Z. GARCÍA VILLADA, Paleografía española, precedida de una introducción sobre
paleografía latina, Madrid, Junta para ampliación de estudios y investigaciones cientifícas. Cen-
tro de estudios historicos, 1923, p. 14, per il quale anche il Pentateuco è certamente spagnolo.
79 QUENTIN, Mémoire cit., pp. 414-32; ma vedi anche W. NEUSS, Die Katalanische Bibelillus-

tration um die Wende der ersten Jahrtausends und die altspanische Buchmalerei, Bonn und Leipzig,
Kurt Schroeder, 1922 (Veröffentlichungen des romanischen Auslandsinstituts der rheinischen
Friedrich Wilhelms-Universität Bonn, 3), p. 74, e P. BOHIGAS, La ilustración y la decoración del
libro manuscrito en Cataluña; contribución al estudio de la historia de la miniatura catalana. Periodo
románico, 2a ediz., Barcelona, Asociación de Bibliópolas de Barcelona, 1960, pp. 17-35.
128 PAOLO CHERUBINI

lettura per chiarire la provenienza del codice turonense in una notizia trat-
ta dal IV capitolo del De viris illustribus di Ildefonso da Toledo e conferma-
ta sia da Juan de Biclaro nel Chronicon sia da Isidoro nel De viris illustribus.
Vi si afferma che il monaco Donato, preoccupato dalle continue violenze
dei barbari, con settanta monaci e una gran quantità di libri fuggì dal-
l’Africa tra il 560 e il 570 e approdò in Spagna dove fu accolto da Mini-
cea, il cui aiuto gli consentì di fondare, nel 571, il monastero Servitano in
cui ebbe tra gli allievi il visigoto Eutropio di Valencia e in cui morì solo
pochi anni più tardi, nel 584 80. È facile immaginare che tra i codici portati
con sé dal gruppo di monaci africani non mancasse la Bibbia. Il Bover, che
riteneva il Pentateuco della fine del VI – inizio del VII secolo, ipotizzava
che esso fosse da identificare con uno di tali codici provenienti dall’Africa
e per questo esso sarebbe all’origine della tradizione spagnola. Ma anche
se, come sembra, il manoscritto è successivo al 570, esso può ugualmente
essere assegnato all’attività di copia del gruppo di monaci africani, avvenu-
ta però questa volta su suolo iberico dopo la loro fuga 81.
Prima di chiudere la rassegna di manoscritti in onciale e semionciale, va
fatto cenno a un codice oggi perduto, presumibilmente in onciale o semion-
ciale del VII secolo e forse a tre colonne, che nella seconda metà del XVI
secolo l’erudito spagnolo Ambrosio de Morales ebbe modo di consultare ad
Oviedo e di descrivere molto succintamente nelle sue memorie di viaggio 82;
c’è da chiedersi se questa Bibbia non possa essere identificata con quella
Bibbia « spalitanam, quam beatus Isidorus manu sua ferunt scripsisse manu
quadra » donata da Alfonso III alla cattedrale di Oviedo il 10 agosto 908 83.

80 J. M. BOVER, Origen del Pentateuco Turonense, in « Biblica », IX (1928), pp. 461-53. Il

brano di Ildefonso, riportato da Bover da Patrologiae cursus completus, seu Bibliotheca universalis,
integra, uniformis, commoda, oeconomica omnium ss. Patrum, Doctorum scriptorumque ecclesiasticorum,
sive Latinorum, sive Graecorum ... Series Latina, in qua prodeunt Patres, Doctores scriptoresque Ecclesiae
Latinae a Tertulliano ad Innocentium III, accurante J.-P. MIGNE, Paris, J.-P. Migne, 1844-1864,
XCLI, 200, è il seguente: « Donatus, ex professione et opere monachus, cuiusdam eremitae
fertur in Africa exstitisse discipulus. Hic violentias barbararum gentium imminere conspiciens,
atque ovilis dissipationem et gregis monachorum pericula pertimescens, ferme cum septuagin-
ta monachis copiosisque librorum codicibus navali vehiculo in Hispaniam commeavit. Cui ab
illustri religiosaque femina Minicea, subsidiis ac rerum opibus ministratis, Sirvitanum monaste-
rium visus est construxisse ». È citato anche in FONTAINE, Isidore de Seville cit., II, pp. 855-56 e,
sulla base di quest’ultimo, anche in M. B. PARKES, Pause and Effect. An Introduction to the History
of Punctuation in the West, Aldershot, Scolar Press, 1993, p. 21 e nota 13, proprio per provare
i contatti tra Africa e Spagna meridionale.
81 Si tenga presenta che l’ipotesi dell’origine spagnola non è stata abbandonata del tutto:

sebbene ancora in forma dubitativa, essa è riproposta ad esempio in J. M. RUIZ ASENCIO, La


escritura y el libro, in Historia de España Menéndez Pidal, dirigida por J. M. Jover Zamora, Ma-
drid, Espasa-Calpe, 1991, III, II, pp. 163-205: 181-82.
82 TPE (vedi nota 139), p. 40 n. 2, e VLH (ibid.), pp. 350-51.
83 Avevo già posto il quesito nei medesimi termini in CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit.,

p. 130.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 129

Codici in visigotica

Non è facile procedere alla descrizione dei codici in visigotica in un


rigido ordine cronologico e secondo una distinzione di regioni o di scuole.
Com’è noto, infatti, nel loro caso datazione e localizzazione non sono sem-
pre facili e precise. Per quanto riguarda la prima, l’unico criterio ancora
oggi ritenuto valido è quello individuato da Elias Avery Lowe con le corre-
zioni apportate da Agustín Millares Carlo, relativo all’uso di segni diversi
per i due suoni, duro e sibilato, del gruppo ti. Per i codici dalla regione
toletana, ma solo per quest’area geografica, sono stati proposti altri criteri
da Ascari Maria Mundó. A parte il fatto che la distinzione dei due segni
non compare, nello stesso momento, in tutta la Penisola, bensì in una pri-
ma fase (intorno al 900) nelle regioni settentrionali e solo in seguito nel-
l’area mozarabica 84, è la stessa periodizzazione del Lowe a procedere per
porzioni di tempo piuttosto lunghe. Non è quindi possibile, in base alla
sola distinzione dei due grafemi ti, datare con precisione, ad esempio, un
codice al IX secolo o all’inizio del successivo 85. Ancora più difficile, e con
rare eccezioni, la possibilità di localizzare con qualche certezza i manoscritti
visigotici sulla sola base dei caratteri paleografici e in parte anche artistici.
È una storia che inizia fin dal più antico codice in minuscola visigotica, il
cosiddetto Orazionale mozarabico di Verona (Biblioteca capitolare, ms.
LXXXIX [84]; C. L. A. IV, 515) conteso tra Tarragona e Saragozza 86, ma
un esempio ancor più evidente è proprio in un codice della Bibbia, il ms.
Emil. 20 (F. 186) della Real Academia de la Historia di Madrid forse del X
secolo nonostante la presenza di una data all’anno 662 (700 dell’era spa-
gnola) evidentemente copiata dall’antigrafo insieme con il colophon: in esso
sono state individuate caratteristiche riconducibili di volta in volta a León,
all’Andalusia (Siviglia o Cordova), a Toledo o a San Millán de la Cogolla

84 M. C. DÍAZ Y DÍAZ, Libros y Librerías en la Rioja altomedieval, Logroño, Instituto de Estu-

dios Riojanos, 1979, 2a ediz. 1991, p. 116 (Biblioteca de Temas Riojanos), p. 224.
85 E. A. LOWE, Studia palaeographica. A Contribution to the History of Early Latin Minuscule

and to the Dating of Visigothic Manuscripts, Munich, Königlich bayerische Akademie der Wissen-
schaften, 1910 (Sitzungsberichte der königlich bayerischen Akademie der Wissenschaften. Phi-
losophisch-Philologische und historische Klasse, 12), rist. in ID., Palaeographical Papers, 1907-
1965, edit. by L. BIELER, Oxford, Clarendon Press, 1972, I, pp. 2-65 e tavv. 1-7; sulla difficol-
tà di datare i manoscritti in visigotica v. ora S. GARCÍA LARRAGUETA, Consideraciones sobre la
datación de códices en escritura visigótica, in Actas del VIII coloquio del Comité Internacional de
Paleográfia latina. Madrid-Toledo, 29 setiembre-1 octubre 1987, Madrid, Joyas bibliográficas, 1990
(Estudios y ensayos, VI), pp. 51-58.
86 CCV (v. nota 139), pp. 204-06 n. 344, cui si aggiunga ora M. C. DÍAZ Y DÍAZ, Conside-

raciones sobre el oracional visigótico de Verona, in Petrarca, Verona e l’Europa. Atti del Convegno
internazionale di studi (Verona, 19-23 settembre 1991), a cura di G. BILLANOVICH e G. FRASSO,
Padova, Antenore, 1997 (Studi sul Petrarca, 26), pp. 13-29, con la proposta di localizzazione
al Nord-Est, forse ancora a Saragozza.
130 PAOLO CHERUBINI

in Castiglia (n. 31) 87. I codici biblici più antichi, databili tra la fine dello
VIII e l’inizio del IX secolo, provengono – secondo le ipotesi più convin-
centi – da due zone della Spagna, l’Andalusia e il regno delle Asturie: da
Cordova (più difficile da Toledo) i frammenti di Lucca e New York (nn.
22 + 40), da Oviedo il codice di Cava (n. 4). Il fenomeno s’inquadra in un
momento politico segnato dall’arrivo nel Nord (Asturie e León) di cristiani
mozarabi fuggiaschi dinanzi alla conquista islamica, in particolare dall’anti-
ca capitale del regno visigotico: fin dall’inizio dell’invasione araba la regio-
ne asturiana costituisce il più importante luogo d’influenza dei manoscritti
provenienti da Toledo, seguita da León che accoglie a sua volta durante il
IX secolo e parte del X le grandi migrazioni monastiche meridionali; in
effetti, la produzione manoscritta d’area iberica, fatta eccezione per le la-
stre di ardesia provenienti dalla regione di Salamanca 88, conosce all’incirca
tra il 725 e il 775 un vuoto di documentazione, che riprende dopo que-
st’ultima data proprio con i manoscritti asturiani 89.
L’enorme importanza del Cavense fu riconosciuta prima di tutti da Ber-
ger. La sua origine asturiana è oggi un elemento acquisito, insieme alla
sua datazione al primo decennio del secolo IX, in particolare da quando
essa è stata identificata con la Bibbia citata nell’inventario di dotazione del-
la chiesa cattedrale d’Oviedo, dell’812, e da quando, altresì, è stato chiarito
meglio il suo rapporto con le Bibbie di Teodulfo d’Orléans 90. La regione di
Oviedo – con il vicino monastero di S. Martino, fondato a Liébana da san
Toribio e illuminato dalle figure di Beato ed Eterio proprio durante il
regno di Alfonso II il Casto (788-842) – conosce nel corso del IX secolo
un momento di grande affermazione politica e culturale che culmina nel
regno del terzo Alfonso, detto il Grande (866-908). In questo periodo è
possibile riconoscere i manoscritti della biblioteca reale per la presenza della
croce di Oviedo (detta anche ‘croce degli angeli’ ad imitazione di quella
conservata nel tesoro della cattedrale), una croce greca a bracci espansi con

87 Per altri esempi di Bibbie si veda il Catalogo che segue.


88 I documenti su ardesia sono stati integralmente pubblicati da I. VELÁZQUEZ SORIANO,
Las pizarras visigodas: edición crítica y estudio, Murcia, Universidad de Murcia, 1989 (Antigüedad
y Cristianismo. Monografías históricas sobre la antigüedad tardía, VI), e di nuovo in EAD.,
Documentos de época visigoda escritos en pizarra, 2 voll., Turnhout, Brepols, 2000. Vedi ora anche
EAD., La cultura gráfica en la Hispania Visigoda: las escrituras anónimas, in Visigoti e Longobardi, a
cura di J. ARCE e P. DELOGU, Firenze, All’Insegna del Giglio, 2001, pp. 185-215.
89 M. C. DÍAZ Y DÍAZ, La circulation des manuscrits dans la Péninsule Ibérique du VIIIe au XIe

siècle, in « Cahiers de civilisation médiévale. Xe-XIIe siècles », XII (1969), pp. 219-41 e 383-92:
231. Ma vedi anche MUNDÓ, Notas para una historia cit., pp. 181 ss. D’altronde è in questo
stesso periodo che esuli spagnoli fuggono nelle regioni meridionali della Francia e poi sem-
pre più a Nord fino a giungere a Chelles e a Corbie: J. FONTAINE, Mozarabie hispanique et
monde carolingien (Les échanges culturels entre la France et l’Espagne du VIIIe au Xe siècle), in
« Anuario de estudios medievales », XIII (1983), pp. 17-46: 30.
90 Per tutti questo aspetti v. ora CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., pp. 121-24.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 131

un’a ed un’w appesi a quelli orizzontali e, spesso ma non sempre, la le-


genda « Lex/Lux/Dux/Pax » inscritta nei quadranti 91. Nei nostri manoscritti,
oltre che nella Bibbia di Cava, dove s’incontra più di una volta (anche in
forma di staurogramma) 92, la croce di Oviedo si trova nel cod. 6 dell’Archivo
Catedral di León proveniente da Albarés in Castiglia e datato al 920 (n.
14), e ad Oviedo è assegnato anche il cod. Escor. M. III. 3 del IX-X secolo
(n. 8).
Questo periodo più antico, segnato – come si è detto – da una premi-
nenza della produzione manoscritta astur-leonese, presenta anche un altro
aspetto caratteristico: nonostante quanto affermato da De Bruyne e ricorda-
to all’inizio di questo lavoro a proposito della ‘chiusura’ della tradizione
biblica ispanica alle altre correnti europee 93, le comunità della Spagna set-
tentrionale avevano avuto in realtà una serie di contatti, documentati nei
modi più disparati e dei quali non è escluso il riflesso nella produzione
manoscritta spagnola 94, in particolare con la cultura irlandese, contatti de-
stinati a scomparire già nel corso del IX secolo (quando si fece particolar-
mente forte la corrente migratoria dalla Spagna verso le regioni dell’Impe-
ro franco) 95 e solo in parte rimpiazzati dalla penetrazione della cultura
carolingia, che si farà sentire in maniera consistente solo molto più tardi,
verso la fine dell’XI secolo se non addirittura nel XII. Una vera e propria
presenza irlandese nel Nord della Penisola iberica è attestata d’altronde già
dalla fine del VI secolo dalla esistenza del toponimo monastico Britonia
corrispondente all’attuale Santa Maria de Bretoña nel paese di Pastoriza
presso Mondoñedo in provincia di Lugo in Galizia: potrebbe essere stata
proprio questa ‘testa di ponte’ irlandese a favorire la penetrazione delle
opere di Isidoro in Irlanda. La comunità ebbe perfino un proprio vescovo
il cui nome, Bela, compare nel III concilio di Braga del 675. D’altronde il
monachesimo galiziano del VII secolo (basti pensare a Fruttuoso di Braga
e a Valerio del Bierzo) presenta importanti somiglianze con quello irlande-
se del medesimo periodo: in entrambi il monaco diventa uomo di studio e

91 B. BISCHOFF, Kreuz und Buch im Frühmittelalter und in den ersten Jahrhunderten der spani-

schen Reconquista. Mit einer Abbildung, in Bibliotheca docet. Festgabe für Carl Wehner, Amsterdam,
Verlag der Erasmus-Buchhandlung, 1963, pp. 16-34, rist. in ID., Mittelalterliche Studien.
Ausgewählte Aufsätze zur Schriftkunde und Literaturgeschichte, II, Stuttgart, A. Hiersemann, 1967,
pp. 284-303.
92 CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., p. 107.
93 Vedi il testo relativo alla nota 2.
94 Cfr. G. FINK, Remarques sur quelques manuscrits en ecriture « wisigothique », in « Hispania

Sacra », V (1952), pp. 381-89.


95 P. RICHÉ, Les réfugiés wisigoths dans le mond carolingien, in L’Europe héritière de l’Espagne

wisigothique. Colloque international du C. N. R. S. tenu à la fondation Singer-Polignac (Paris, 14-16


mai 1990). Actes réunis et reparés par J. FONTAINE et C. PELLISTRANDI, publiés avec le concours
de la Fondation Singer-Polignac, Madrid, Casa de Velázquez, 1992, pp. 171-83.
132 PAOLO CHERUBINI

di lettere. Lo stesso fenomeno dei vescovi-abati e quello della vita monasti-


ca dei preti mostrano impressionanti parallelismi nelle due realtà; si pensi
infine al sistema della Sancta Communis Regula, cioè ad una sorta di federa-
zione monastica tra case gravitanti sul monastero di Braga sotto il controllo
del vescovo-abate di Dumium e metropolita di Braga, che ricorda molto da
vicino l’analoga associazione delle case irlandesi sotto il vescovo-abate di
Iona 96. Un riflesso di tale situazione si coglie perfino nella rubrica De abba
qui in cenobio ebdomada ingreditur della regola monastica copiata nel secolo
X da Leodegundia monaca « in monasterio Bobatelle » (Bobadilla nei pressi
di Samos, in Galizia) 97, dove la concisione della formula impiegata richia-
ma un’analoga espressione di san Colombano, con cui la regola monastica
spagnola ha più di un elemento in comune 98.
Il ms. Vitr. 13, 1 della Biblioteca Nacional di Madrid (n. 27) – detto
Toletanus o Hispalensis rispettivamente per il luogo di conservazione più
antico e quello della probabile origine – pur non essendo così antico come
il Cavense, giacché assegnato alla fine del IX secolo o più plausibilmente
all’inizio del X, e purtroppo incompleto, è ritenuto dal Berger di massima
importanza perché conserva le lezioni migliori e deriva forse da un model-
lo ancor più puro e più antico di quanto lo sia la stessa Bibbia di Danila,
modello risalente a prima dell’VIII secolo 99. Il panorama continua però ad
essere dominato dalla produzione degli scriptoria settentrionali, con l’ingres-
so prepotente della Castiglia, rappresentata sostanzialmente dai monasteri
della valle della Rioja lungo il corso dell’Ebro 100: a San Pedro de Cardeña
fu scritto il codice dell’Archivo Capitular di Burgos (n. 3) 101, a San Millán
de la Cogolla l’Aemil. 20 della Real Academia de la Historia di Madrid
vergato da Quisio (n. 31), a Oña quasi certamente il frammento 1452 B, 21
dell’Archivo Histórico Nacional di Madrid (n. 26) e forse anche il perduto

96 J. N. HILLGART, Visigothic Spain and Early Christian Ireland, in « Proceedings of the Royal

Irish Academy », LXII (1962), pp. 167-94.


97 CCV (citazione alla nota 139), pp. 46-48 n. 42.
98 A. DE VOGÜÉ, Le codex de Leodegundia (Escorial A. I. 13). Identification et interprétations de

quelques fragments, in « Revue bénédictine », n. s., XCVI (1986), pp. 100-05: 104-05.
99 BERGER, Histoire de la Vulgate cit., pp. 12 ss. Egli metteva in evidenza, tra l’altro la

presenza frequente delle ‘edere’ usate come segni di punteggiatura negli incipit, secondo un
uso tardoantico.
100 La rassegna che segue non fa che confermare quanto esposto, sulla base dell’esame

di codici biblici non solo in visigotica ma anche in carolina, dallo stesso Berger a proposito
della tradizione testuale sulle Bibbie nei capitoli su ‘Regno di León e alta valle dell’Ebro’ e
‘Castiglia e Catalogna’ (ibid., pp. 16-25), nonché da Bover nel capitolo dedicato alle ‘affinità e
raggruppamenti dei codici spagnoli’ (BOVER, La Vulgata cit.).
101 Sulla produzione manoscritta, non soltanto biblica, a Cardeña v. F. J. PÉREZ DE URBEL,

Cardeña y sus escribas durante la primera mitad del siglo X, in Bivium. Homenaje a Manuel Cecílio
Díaz y Díaz, Madrid, Gredos, 1983, pp. 217-37. Per i monasteri della Rioja v. DÍAZ Y DÍAZ,
Libros y Librerías citato.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 133

manoscritto di San Isidoro di León veduto da Ambrosio de Morales (n.


17), tutti dei secoli IX-X. Per contro, nello stesso periodo, troviamo soltan-
to due codici prodotti nel Sud: a Toledo o a Cordova il Complut. 31 di
Madrid o prima Bibbia di Alcalà (n. 35) e genericamente in Andalusia il
Complut. 32 o seconda Bibbia di Alcalà (n. 36).
La situazione non cambia di molto nei secoli X e XI: per il X, a parte
cinque manoscritti (tre dei quali rimasti solo in frammenti molto esigui).
Per essi non è stata proposta alcuna localizzazione – il codice conservato al
Museo de la Colegiata di Covarrubias (n. 6), il ms. 3118 del Muzeum
Narodowe Oddzial Czartoryskisch di Kraków (n. 12), il foglio ora nella
Biblioteca Catedral de La Seu d’Urgell (n. 13), il frammento di un foglio
segnato 836 dell’Archivo Histórico Nacional di Madrid (n. 23) e il foglio
dell’Archivo Histórico Archidiocesano di Tarragona (n. 48) – ne incontria-
mo due prodotti a Valeránica, il ms. 2 di San Isidoro di León sottoscritto
da Sancho e Florencio nel 960 (n. 16) e i resti divisi ora tra Salamanca e
Silos della Bibbia di Oña assegnabile allo stesso Florencio e forse al sesto
decennio del secolo (n. 45); il codice scritto nel 920 per il monastero di
Santa Cruz de Montes presso Albarés (vicino Madrid) già menzionato per
la presenza della croce di Oviedo (n. 14); uno (solo un foglio) nel monastero
di Valbanéra nella Rioja, dov’è tuttora conservato (n. 51); un altro vergato
forse genericamente in Castiglia, il ms. 2. 2. dell’Archivo y Biblioteca Capi-
tolar di Toledo (n. 49) ed uno a San Martín de Albelda ed oggi a Lo-
groño (n. 20). La produzione asturiana, in netto calo, sembra ancora rap-
presentata soltanto dal piccolo frammento ritrovato al confine tra Asturie e
León non molto distante da San Toribio di Liébana conservato nell’Archivo
Paroquial di Santa Eulalia di Valdeón (n. 46). Per l’XI secolo (e i primi
anni del XII che già presentano fortissimi elementi non visigotici) i fram-
menti d’incerta localizzazione sono tre: il ms. 44 dell’Archivo Capitular di
Orense (n. 41), la Bibbia A e la Bibbia B dell’Archivo Distrital di Braga (nn.
1-2); altri due codici sono castigliani, il frammento ms. 1452 B, 5-6 del-
l’Archivo Histórico Nacional di Madrid che proviene da Oña (n. 25) e il
frammento ms. 7768 della Biblioteca Nacional di Madrid (n. 28). Al mona-
stero di San Juán de la Peña in Aragona, ai confini con la Navarra, condu-
ce il codice diviso ora tra la Biblioteca Nacional (n. 29) e la Colección
Lázaro Galdeano di Madrid (n. 34), molto interessante per comprendere i
livelli d’interazione tra cultura ispanica e carolina con la sua alternanza
d’illustrazione mozarabica e romanica, iniziali di tipo ‘cluniacense’ e una
grafia che è fondamentalmente visigotica ma convive con elementi transpi-
renaici 102. La situazione è ancor più sbilanciata se si passa a considerare la
produzione di Salteri: degli undici scritti in visigotica finora identificati, due

102 AYUSO MARAZUELA, La Biblia de San Juan de la Peña cit., p. 15.


134 PAOLO CHERUBINI

– il Liber canticorum de doña Sancha (n. 44) e il bifoglio dell’Archivo Muni-


cipal di Hacinas (Burgos) (n. 11) – sono privi di qualsiasi tentativo di
localizzazione; degli altri, solo il codice scritto da Maurus presbyter ms. 10001
della Biblioteca Nacional di Madrid (il più antico, essendo l’unico del seco-
lo IX) proviene forse da Toledo, ma per lui è stata anche proposta un’ori-
gine aragonese (n. 30); un altro è l’Escor. a. III. 5, la cui mano è stata
identificata con quella della monaca Leodegundia e quindi sarebbe scritto
nelle Asturie (n. 7); quattro sono di San Millán de la Cogolla o provengo-
no da luoghi limitrofi: i codici Aemil. 64bis e 64ter della Real Academia de
la Historia di Madrid (nn. 32-33), il ms. 1006 B dell’Archivo Histórico
Nacional di Madrid (n. 24) e il frammento di Valladolid (n. 52); due, l’Add.
30851 della British Library (n. 21) e il cod. Smith Lesouëf della Bibliothèque
Nationale de France a Parigi (n. 43), sono di Santo Domingo de Silos, e
l’ultimo, il Diurno di Ferdinando I, di San Martino Pinario (n. 47).
Il discorso sui Salteri obbliga a dire due parole sui manoscritti biblici
d’uso liturgico, che nella Penisola iberica presentano alcune peculiarità. Non
parlerò del Liber commicus che per la sua natura non è oggetto di questo
studio, limitandomi a registrare la persistenza tutta spagnola di usi antichi
in pieno IX secolo: qui si conserva, infatti, la tradizione originaria di quat-
tro letture durante la liturgia domenicale, due dall’Antico e due dal Nuovo
Testamento, mentre già dal VI secolo a Costantinopoli e dall’VIII a Roma
e in genere nelle chiese occidentali il numero era stato ridotto a due 103.
Per quanto riguarda nello specifico il Salterio, poi, vanno fatte alcune osser-
vazioni che di nuovo collocano l’esperienza spagnola in una luce del tutto
particolare. Si è accennato in precedenza all’esistenza e alla natura del Sal-
terio mozarabo: tra le particolarità che lo caratterizzano vi sono la numera-
zione dei salmi e la loro suddivisione. Per quanto riguarda il primo aspetto
va detto innanzi tutto che anticamente i Salmi non erano numerati o, se lo
erano, ciò non compariva sempre nei manoscritti. Origene, ad esempio,
afferma che ciò non avviene mai in quelli ebraici, anche se poi gli capita
talvolta di citare qualche salmo con numeri ebraici, e Ilario di Poitiers
propone di attribuire la numerazione ai primi padri greci. Inoltre, quando
compare nella tradizione giudea, essa non è mai costante, oscilla tra 148,
149, 151, 159 e perfino 170 unità. È con i Settanta che il numero si
attesta sui 150, tanto che il Salmo 151, spesso aggiunto alla serie già com-
pleta, è sentito come in soprannumero e accettato solo perché ritenuto
autografo di David, quasi aggiunto dal re a segnatura finale della propria
opera della quale si vuole in tal modo autenticare la paternità. Il Salmo 151
è presente nella maggior parte dei Salteri greci e africani e in tutti quelli
greci gioca un ruolo particolare essendo preceduto dal titolo Ou|toò oJ yalmoVò

103 V. SAXER, Bible et liturgie, in Le monde latin antique cit., pp. 157-83: 171.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 135

ijdioVgrafoò eijò Dauid kaiV ejxV wqen tou` ajriqmou`: o{te ejmonomavchsen t² Golivad
reso poi in latino con Hic psalmus proprie scriptus a David et extra numerum
cum pugnavit cum Goliad 104. Ps 151, però, manca quasi sempre nei Salteri
latini mentre si presenta con regolarità alla fine di quelli mozarabi dei
manoscritti in visigotica a partire dal Cavense.
Del tutto particolare è anche il problema della suddivisione per gruppi
dei Salteri mozarabi, per lo più in cinque libri secondo un ordine che si
vuol far risalire ad Isidoro, e la loro divisione interna, evidentemente lega-
ta all’uso liturgico. Va detto innanzi tutto che per lo più sono i salmi dei
codici monastici ad essere raggruppati, non quelli per l’ufficio della catte-
drale che spesso anzi sono anche incompleti, e che essi sono di solito
accompagnati dai Cantica e qualche volta da inni. In secondo luogo, la
partizione dei Salteri e il numero di salmi suddivisi al loro interno non
sono quasi mai uguali da un manoscritto all’altro: l’Escor. a. III. 5 attribuito
alla monaca Leodegundia, ad esempio (n. 7), è diviso in cinque libri ed
esegue partizioni all’interno di un numero molto elevato di salmi (43), dei
quali dodici in tre ed uno in ben quattro parti 105; l’Add. 30851 (n. 21), che
è pure un salterio monastico, ugualmente in cinque libri 106; il ms. 1006 B
dell’Archivo Histórico Nacional di Madrid (n. 24), forse proveniente da
una chiesa secolare, divide solo sette salmi, dei quali tre in tre porzioni e
diciassette solo in due 107; l’Aemil. 64ter (n. 33) e il cod. 10001 della Biblio-
teca Nacional di Madrid (n. 30) che sono di nuovo salteri monastici, sono
entrambi divisi in cinque libri e il primo divide ventisei salmi 108.
L’origine dei Cantica è anch’essa molto antica e la sua presenza nei
manoscritti in visigotica sta a provare, ancora una volta, la forte resistenza
alle innovazioni da parte della Chiesa spagnola e il suo debito consistente

104 P.-M. BOGAERT, L’ancienne numérotation africaine des psaumes et la signature davidique du

Psautier (Ps 151), in « Revue bénédictine », n. s., XCVII (1987), pp. 153-62, la citazione del
titolo, greco e latino, a p. 160. Per quanto riguarda gli accenni fatti in precedenza circa le
relazioni tra comunità della Spagna settentrionale e comunità irlandesi, si noti a questo pro-
posito che una breve glossa al salmo 151 compare nel codice irlandese Pal. lat. 68 della
Biblioteca Apostolica Vaticana: M. MCNAMARA, Glossa in Psalmos. The Hiberno-Latin Gloss on the
Psalms of Codex Palatinus Latinus 68 (Psalmus 39: 11 - 151: 7), Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana, 1986 (Studi e testi, 310), pp. 310-11.
105 W. M. WHITEHILL, A Catalogue of Mozarabic Liturgical Manuscripts containing the Psalter

and Liber canticorum, in « Jahrbuch für Liturgiewissenschaft », XIV (1934), pp. 95-122: 121-22;
L. BROU, Études sur le Missel et le Bréviaire « Mozarabes » imprimés, in « Hispania Sacra », XI
(1958), pp. 349-98; a f. 134v presenta Ps 151.
106 WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 100-02; per l’identificazione monastica: BROU, Études

sur le Missel cit., p. 358.


107 BROU, Études sur le Missel cit., pp. 370-71.
108 WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 107-09 e 97-100, e BROU, Études sur le Missel cit.,

pp. 358, 371e 360-64. È monastico anche il ms. Smith Lesouëf della Bibliothèque Nationale de
France a Paris (n. 43): ibid., p. 358.
136 PAOLO CHERUBINI

al cristianesimo africano. In effetti, i Salmi, sebbene costituissero forse il


libro dell’Antico Testamento più presente nei Vangeli, non divennero su-
bito il testo principale della preghiera liturgica. In un primo momento
tale ruolo era ricoperto, infatti, dai cantici e dagli inni attinti anch’essi a
vari libri della Bibbia. Fu soltanto tra la fine del II secolo e l’inizio del
III che, in seguito ad un confronto sempre più serrato con le comunità
gnostiche le quali avevano adottato inni e cantici come loro preghiera
abituale, il Salterio – sentito fin dall’inizio come il testo della profezia
cristiana per eccellenza – assunse un posto centrale nella liturgia e fu
ben presto destinato al canto comune. La sua prima comparsa come li-
bro liturgico (scritto in un latino popolare molto debitore verso il greco,
dove si nota l’assenza di un intervento erudito come sarebbe potuto av-
venire ad Alessandria o ad Antiochia) si registra in Africa alla fine del II
secolo ed esso è citato da Cipriano verso il 250. Ma nel V secolo si
afferma anche qui la versione di Girolamo, di cui si trova l’eco già nelle
Enarrationes in Psalmos d’Agostino. In Spagna viene usato a lungo un
testo fortemente imparentato con l’antico africano e alla base del Salterio
mozarabo, perché quello geronimiano non è adottato prima del VII se-
colo e ciò avviene, come si è visto, forse grazie ad Isidoro sulla base
della iuxta Hebraeos 109.
Accanto a quella dei Salmi si è conservata, di frequente in un medesi-
mo manoscritto, la tradizione dei Cantica e degli inni che seguono quasi
sempre, a loro volta, la versione della Vetus 110 sebbene anche in questo caso
non si rinunci talora ad assegnarne la paternità al vescovo di Siviglia, come
si legge a f. 122v dell’Aemil. 64ter (n. 33): « Incipit prologus beati Ysidori
in libro canticorum. Plura novimus cantica variis vatum carminibus ... » 111. Il
loro stretto rapporto con i Salmi, insieme alle preghiere che scandiscono
l’ordine dei libri dei salmi, è ribadito in più di un’occasione nei manoscrit-
ti. A f. 137v dell’Escor. a. III. 5 (n. 7) leggiamo ad esempio: « Incipiunt
orationes completurias de primo psalmo usque L° per ordine digesta ... Item
aliae orationes a L° usque ad centesimum »; a f. 92r dell’Add. 30851 (n. 21)
inizia il Liber canticorum con le parole « Incipit imnorum de toto circulo
anni »; a f. 110v del cod. 10001 di Madrid (n. 30) che contiene ben settan-
tasette cantici con l’indicazione del relativo uso liturgico si legge: « Incipit
prologus ymnorum. Miracula primeva ... » (all’interno di questo prologo è
l’acrostico con il nome del copista Mauricius) e « Incipiunt ymni de toto
circulo anni. Ymnus de adventu Domini et sanctorum festivitate ter mixtus
qui in matutinum dicendus est quando adventus Domini incipitur. Gaudete

109 Sull’intera questione v. C. ESTIN, Les traductions du Psautier, in Le monde latin antique

cit., pp. 67-88.


110 BOGAERT, La Bible latine cit., p. 150 n. 5.
111 WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 108-09.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 137

flores martirum ... » 112. Quest’ultimo svela la sua natura monastica, con la
classica scansione delle ‘ore’, proprio nell’Innario, dove, in una quindicina
di pagine troviamo in successione un « Ymnus de duodecima », un « Ymnus
ante completa », « Ymni de prima vigilia », un « Ymnus ad quietem » e alcu-
ni « Ymni de media nocte » 113.
Dal punto di vista codicologico un numero non indifferente di mano-
scritti biblici spagnoli in visigotica ha in comune alcuni elementi che ne
segnalano la particolarità rispetto a quelli di altre aree geografiche: la di-
sposizione del testo a tre colonne (in un caso perfino a quattro 114), la pre-
senza di un albero genealogico, in cui è esposta la discendenza da Adamo
a Cristo, e la testimonianza di un’intensa attività di lettura, di studio e di
uso liturgico sotto forma di frequentissime note marginali; a questi si ag-
giungano ancora, dal punto di vista testuale, antichissimi ‘strumenti di con-
sultazione’ di alcuni libri del Nuovo Testamento che sono presenti solo
nella tradizione biblica d’area iberica.
Sulla disposizione a tre colonne (tav. 13) mi sono soffermato a pro-
posito della Bibbia di Danila. In essa mi è sembrato di riconoscere un
modello di codice orientale simile alle prime Bibbie greche dove questo
tipo d’organizzazione dello scritto è stato messo in rapporto « con l’esi-
genza di ritrovare più rapidamente – grazie ad un’impaginazione a più
colonne relativamente strette – i passi della Scrittura » 115; in quel caso
avevo notato qualche affinità anche nelle dimensioni del Cavense con
codici purpurei tardoantichi d’area greco-bizantina, più vicini di quelli
coevi d’ambito latino ad un formato tendente al quadrato piuttosto che
al rettangolo 116. L’impaginazione a tre colonne, molto rara nella produ-
zione manoscritta carolingia e romanica, è adottata in dodici dei trenta
codici biblici in visigotica qui elencati nel Catalogo. Per comodità ho rias-
sunto nello schema seguente, organizzato secondo un ordine cronologi-
co, gli elementi essenziali per analizzare compiutamente il fenomeno: il

112 Ibid., rispettivamente pp. 122, 101, 99-100.


113 Cfr. BROU, Études sur le Missel cit., pp. 364-64, il quale nota come l’Ordo cathedralis
non conosca l’ora duodecima, né la compieta, né tanto meno l’ufficio della notte.
114 A f. 18r della prima Bibbia di Alcalà (n. 35); il fatto è però ininfluente ai fini del

nostro discorso.
115 CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., pp. 110-11. La citazione è da E. CRISCI, in I

Vangeli dei Popoli cit., pp. 122-124 scheda del Codex Vaticanus: 123.
116 Ibid., p. 108, dove avevo verificato una media di mm 300/330 × 250/270 per i greci

(molto vicina alle misure del Cavense: mm 320 × 260), a fronte di mm 260/280 × 200/220 per
i latini. Altra peculiarità che avvicina il manoscritto di Danila a quelli di lusso, tardoantichi
ma anche quelli carolingi, è l’uso della crisografia e in generale di inchiostri di diversa
colorazione; su tutto ciò ha richiamato l’attenzione per primo A. PETRUCCI, Aspetti simbolici delle
testimonianze scritte, in Simboli e simbologia nell’Alto Medioevo. 3-9 aprile 1975, II, Spoleto, CI-
SAM, 1976 (Settimane di studio del CISAM, XXIII), pp. 813-44: 837-38.
138 PAOLO CHERUBINI

rinvio al catalogo (in neretto); l’origine del codice, quando è nota o


comunque ne è stata proposta qualcuna; le misure in mm; la ‘proporzio-
ne’ della pagina (larghezza : altezza) e la ‘taglia’ del manoscritto (altezza
più larghezza) 117:

La prima considerazione da fare è l’assoluta omogeneità di distribu-


zione dei manoscritti nei quattro periodi individuati, forse con una mini-
ma rarefazione nell’ultimo che, a differenza dei precedenti, comprende
circa una quindicina di decenni invece dei consueti dieci/dodici. Anche la
dislocazione geografica abbraccia un po’ tutta la Penisola, ma con una
concentrazione nel Sud e a Toledo a fronte di una presenza del tutto
episodica al Nord, dove oltre tutto, per quanto riguarda il Cavense scritto
ad Oviedo, va considerata la possibilità di un forte influsso mozarabo, se
non addirittura quella di un’attività di copisti provenienti da territori di
dominazione araba. Appaiono invece del tutto ininfluenti i dati relativi
alla ‘proporzione’ della pagina (da un minimo di 0,597 ad un massimo
di 0,833) e alla ‘taglia’ del manoscritto (da un minimo addirittura di 398
ad un massimo di 908), e ciò apparirà ancor più chiaro dal confronto, da
una parte, con i codici biblici a due colonne e, dall’altra, con quelli a tre

117 Per i concetti di ‘proporzione’ e ‘taglia’ v., da ultimo M. MANIACI, Archeologia del mano-

scritto. Metodi, problemi, bibliografia recente, con contributi di C. FEDERICI e di E. ORNATO, Roma,
Viella, 2002 (I libri di Viella, 34), pp. 104-107. Ovviamente, nei casi di misure oscillanti (ad
esempio per i frammenti) per ottenere i due dati si sono prese in considerazione le misure
maggiori.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 139

colonne non di contenuto biblico; si tratta, peraltro, di dati alla cui esat-
tezza, più ancora che alle semplici misure, non conviene dare troppo af-
fidamento 118. Molto in generale, e indipendentemente dalla grandezza
assoluta, si può forse ipotizzare una tendenza a passare da un formato un
po’ più tendente al quadrato – dallo 0,833 allo 0,710 nel periodo tra la
fine dell’VIII secolo e l’inizio del IX – ad uno leggermente più rettango-
lare: dallo 0,744 allo 0,597 per il periodo che va dal pieno IX ai primi
decenni del XII secolo.
Il dato va, però, interpretato. Le indagini più recenti nel campo della
codicologia quantitativa sono arrivate, in proposito, alle seguenti conclu-
sioni: « L’impaginazione a due colonne, che riduce drasticamente la lun-
ghezza delle righe [rispetto a quella ad una sola colonna] – e di conseguen-
za lo sforzo visivo e intellettuale che il lettore compie nel percorrerle –
costituisce precisamente un dispositivo inteso a minimizzare per quanto
possibile la perdita di rendimento dovuta all’applicazione del principio di
proporzionalità ... la percentuale dei volumi a due colonne aumenta signi-
ficativamente con il crescere delle dimensioni. Attestato fin dalla tarda
antichità, il passaggio all’impaginazione a due colonne era praticato pro-
babilmente – e sicuramente a partire dal IX secolo – al fine di agevolare
la lettura in àmbito sia occidentale che bizantino » 119. Esse non tengono
però conto del fenomeno spagnolo, che sfugge del tutto ad una descri-
zione di tal genere. Innanzi tutto, come si è visto, l’impaginazione a tre
colonne non succede a quella a due, né quest’ultima a quella a pagina
piena. Premesso, infatti, che non si conoscono Bibbie in visigotica – ma
non mi sembra neppure in altre scritture – ad una sola colonna, gli un-
dici manoscritti biblici a due colonne in visigotica, a partire almeno dai
secoli IX-X, sono divisi in quantità più o meno simili nelle medesime
fasce cronologiche di quelli a tre colonne, come si vede dallo schema
seguente 120:

118 Sulla difficoltà di raggiungere la precisione nella misura dei manoscritti valgano le

osservazioni in M. MANIACI, Ricette di costruzione della pagina nei manoscritti greci e latini, in
« Scriptorium », XLIX (1995), pp. 16-41.
119 Ibid., p. 112, che riassume nella sostanza le affermazioni di C. BOZZOLO, D. COQ, D.

MUZERELLE e E. ORNATO, Noir et blanc. Premiers résultats d’une enquête sur la mise en page dans le
livre médiéval, in Il libro e il testo. Atti del convegno internazionale (Urbino, 20-23 settembre
1982), a cura di C. QUESTA e R. RAFFAELLI, Urbino, Università degli Studi, 1984, pp. 197-221,
rist. in La face cachée du livre médiéval. L’histoire du livre vue par Ezio Ornato, ses amis et ses
collègues, Roma, Viella, 1997 (I libri di Viella, 10), pp. 473-508.
120 Sebbene riportato nello schema al primo posto, non ho preso in considerazione il

codice n. 42 + 50 dell’VIII-IX secolo, che, essendo stato scritto a Tolosa, appartiene a una
regione che in questo periodo è già culturalmente franca.
140 PAOLO CHERUBINI

Anche la seconda tabella non offre elementi di particolare rilevanza,


salvo il fatto che, rispetto alla precedente, sono più numerosi i casi nei
quali la ‘proporzione’ si avvicina maggiormente ai valori ‘normali’, i quali,
com’è stato riconosciuto di recente, a partire dal X secolo tendono a stabi-
lizzarsi intorno a 0,7 121. Si può anche osservare che i luoghi d’origine di
questi manoscritti sono ora tutti collocati al Nord, principalmente nelle re-
gioni orientali, compresi con ogni probabilità i due codici non assegnati ad
alcuna località, ma che la presenza di elementi romanici nella decorazione
permette di assegnare a scriptoria sensibili ad un forte influsso transpirenai-
co, forse castigliani o aragonesi.
Un’ultima osservazione può essere fatta prendendo in esame i codici in
visigotica scritti su tre colonne che non contengono il testo biblico. Sulla
base del Corpus de codices visigóticos di Agustín Millares Carlo, edito postu-
mo con aggiornamenti curati dai suoi editori, dei trecento cinquantadue
manoscritti qui elencati ed esclusi naturalmente quelli biblici soltanto otto
sono a tre colonne, il 2,27% del totale, una percentuale molto esigua se
confrontata con il dato delle Bibbie che è del 40% 122. Non mi pare azzarda-

121 La questione è riassunta ora in G. MENCI, L’impaginazione nel rotolo e nel codice: alcune
note, in Akten des 21. Internationalen Papyrologenkongresses (Berlin, 13-18.8.1995), hrsg. B. KRANER,
W. LUPPE, H. MÄHLER und G. PÖTHKE, Leipzig 1997 (= « Archiv für Papyrusforschung », III,
1997), pp. 682-90: 683-84.
122 Rispettivamente CCV (citazione alla nota 139): n. 53, Isidorus, Etymologiae e altri, da

Palencia (tra León e Burgos, oggi in Castiglia), dell’VIII-IX secolo; n. 211, Libri de viris illus-
tribus, da Cordova, del IX; n. 212, [Isidorus Pacensis], Chronicon, da Burgo de Osma (Casti-
glia) del X; n. 95, Gregorius Magnus, Moralia in Iob, senza localizzazione, del 951; n. 180,
Glossarium, ugualmente senza localizzazione, del X secolo; n. 39, Liber homiliarum, da Valeráni-
ca, del X; n. 168, Collectio canonum Hispanica, da Toledo del 1034; n. 51, ugualmente una
Collectio canonum Hispanica, senza localizzazione, del X-XI secolo.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 141

to, a questo punto, immaginare che l’impaginazione a tre colonne sia stret-
tamente legata, in Spagna a partire dai secoli VIII-IX, alla produzione del-
la Bibbia completa e ad una scelta di stile determinata dai modelli seguiti
e, attraverso di questi, alla necessità di risolvere il problema del reperimen-
to di brani, piuttosto che quello di un maggiore rendimento della pagina.
Ciò avviene, a mio giudizio, nell’imitazione di codici che ripetevano un
modello biblico orientale a più colonne, il quale tentava a sua volta di
riprodurre quella ‘circolarità’ del rotolo che derivava dalla sua mancanza di
scansione in pagine, e sembrerebbe dimostrato, come avevo ipotizzato già
alcuni anni or sono, dalla totale autonomia delle colonne rispetto all’impa-
ginazione complessiva, un’autonomia accentuata in particolare dalla loro
assoluta indipendenza nella successione dello scritto, che non è mai inter-
rotto da titoli e motivi decorativi intersecanti l’intero spazio scrittorio (come
avviene invece nei pochi esempi carolingi a tre colonne quali, ad esempio,
il Salterio di Utrecht), con la sola eccezione delle carte occupate da stauro-
grammi disegnati a piena pagina 123.
Il secondo elemento che caratterizza alcune Bibbie in visigotica (ma an-
che altre d’area iberica del secolo XII scritte in carolina) è la presenza
dell’albero delle genealogie, da attribuire secondo Ayuso Marazuela al ve-
scovo Pellegrino 124. Esso compare nel cod. 2 di San Isidoro di León (n. 16)
il quale, sempre a giudizio del teologo spagnolo, sarebbe servito da model-
lo per la Bibbia di San Juan de la Peña (n. 29); entrambi manifestano uno
stile pittorico e una scala cromatica tipicamente mozarabici – nonostante la
loro provenienza settentrionale – che li avvicina alla produzione manoscrit-
ta del Commento all’Apocalisse di Beato di Liébana. I due codici sono in
ogni caso posteriori alla metà del X secolo e le genealogie non compaiono
invece nei codici biblici più antichi come il Cavense (n. 4) il Toletano (n.
27), l’Aemil. 20 (n. 31), il Complutense1 (n. 35), il Complutense2 (n. 36) o i
frammenti di Paris e di Toulouse (nn. 42 e 50). I più antichi codici biblici
spagnoli 125, infatti, sono assolutamente aniconici; il loro apparato decorati-
vo, per lo più a fasciami e motivi architettonici colorati, croci e rosette,
con l’aggiunta frequente dei disegni, antichissimi nella cultura cristiana, del
pesce e dell’uccello, rispetta le disposizioni del Concilio d’Elvira evitando
sempre di rappresentare la figura umana. Le prime eccezioni riguardano

123 CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., p. 111 nota 47.


124 AYUSO MARAZUELA, La Biblia de San Juan de la Peña cit., pp. 18-19. Esso si rifarebbe ad
un testo donatista del IV secolo (ID., Los elementos extrabíblicos de la Vulgata cit.). Per FISCHER,
Algunas observaciones cit., p. 21, sarebbe stato introdotto nella Bibbia dopo la redazione del
Commento all’Apocalisse di Beato di Liébana; egli ridimensiona, a questo proposito e anche più
in generale, l’attività di Pellegrino (pp. 40-45).
125 Con l’eccezione del Pentateuco di Tours, della cui provenienza non si è certi (v. sopra,

il testo relativo alle note 76-81).


142 PAOLO CHERUBINI

gli evangelisti, il Cristo ed alcuni pochi profeti, e comunque non compaiono


prima del X secolo. Per quanto riguarda il regno delle Asturie (ma non
escludo che il fenomeno interesssi l’intera Penisola) i dati provenienti dai
manoscritti confermano quelli archeologici: è soltanto tra la fine del IX e
l’inizio del X secolo, infatti, che all’interno di una chiesa della regione di
Oviedo comparve per la prima volta la figura umana, quando Alfonso III
donò alla cattedrale di Astorga l’immagine dell’evangelista Luca in atto di
sostenere un codice 126. I simboli degli evangelisti e le figure barbare dei
profeti Michea, Nahum e Zaccaria compaiono nel Toletano dell’inizio del X
secolo (n. 27). Nella Bibbia di Vimara del 920 (n. 14) troviamo i ritratti
degli evangelisti a piena pagina – che ricordano molto da vicino analoghi
ritratti presenti nell’Aemil. 20 (n. 31) che è addirittura dell’inizio del secolo,
se non di qualche anno prima – e ben trentasei medaglioni con immagini
umane (tutte piuttosto rozze), ma anche animali e mostri; nella Genesi sono
raffigurati a piena pagina Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre e il sacrificio
di Isacco, ma anche altre illustrazioni di formato minore compaiono nei
Vangeli (Annunciazione e scene della vita di Gesù). Nella Bibbia di Sancho e
Florencio del 960 (n. 16), oltre alle genealogie troneggia all’inizio una gran-
de immagine del Pantocratore, ma vi sono anche medaglioni con i ritratti
degli evangelisti. Alla seconda metà del X secolo appartiene il frammento
di Logroño (n. 20) dov’è raffigurato un santo, forse s. Paolo, in posizione
benedicente. Due illustrazioni con figura umana, un s. Giorgio e un secondo
santo non identificato, si trovano nel Salterio Aemil. 64bis (n. 32) e un altro
anonimo santo, un soldato, nonché un Cristo assiso in una mandorla sono
raffigurati nel Salterio Aemil. 64ter (n. 33) che sono del medesimo secolo.
Il terzo elemento che caratterizza i codici biblici in visigotica è la pre-
senza di note di commento e di studio, ma anche di natura liturgica e
mnemonica attraverso il riutilizzo degli spazi lasciati in bianco; è un feno-
meno che di certo non è sconosciuto ad altre aree geografiche 127, ma che

126 S. NOACK-HALEY, Tradición y innovación en la decoración plastica de los edificios reales astu-

rianos, in III Congreso de Arqueología Medieval Española. Oviedo, 27 Marzo - 1 Abril 1989. Actas,
II. Comunicaciones, Oviedo, Universidad de Oviedo, 1992, pp. 174-84, cit in CHERUBINI, La
Bibbia di Danila cit., pp. 11-12.
127 Di altre aree geografiche mi limito a segnalare a titolo puramente indicativo, per

quanto riguarda le note esegetiche e di commento, quelle, ritenute autografe di Beda, sulle
Bibbie di Ceolfrith (London, British Library, Loan 81, Add. 37777 e Add. 45025), sulle quali v.,
da ultimo, R. MARSDEN, Manus Bedae: Bede’s contribution to Ceolfrith’s bibles, in « Anglo-Saxon
England », XXVII (1998), pp. 65-85, e quelle anonime, particolarissime per la tecnica di ese-
cuzione a punta secca (leggibili soltanto se illuminate a luce radente), tracciate sull’Usserianus
primus, pubblicate ora in P. Ó NÉILL, The earliest dry-point glosses in Codex Usserianus Primus, in ‘A
Miracle of Learning’. Studies in manuscripts and Irish learning. Essays in honour of William O’ Sulli-
van, edited by T. BARNARD, D. Ó CRÓINÍN, K. SIMMS, Aldershot - Brookfield (USA) - Singapore -
Sidney, Ashgate, 1998, pp. 1-28; per il riutilizzo degli spazi vuoti, le note a margine della
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 143

colpisce nei manoscritti iberici per la sua precocità e per la sua abbondanza,
legate alla tendenza tipicamente spagnola alla collazione dei testi e al conse-
guente accumulo delle varianti, come già riconosceva Berger a proposito del
codice di Cava: « Nous reconnaissons à ce trait l’amour des copistes espa-
gnols pour les textes complets plutôt que corrects et leur goût des variantes
marginales » 128. Note in visigotica, che Lowe data all’VIII secolo, sono già
presenti sul codice in onciale di Vercelli (n. 53), ma è nel Cavense che trovia-
mo la prima vera esplosione di marginalia, per i quali rimando all’analisi
fatta a suo tempo nella descrizione di quel manoscritto, limitandomi a ricor-
darne il principale interesse per le questioni cristologiche e la concentrazio-
ne in alcuni libri biblici in particolare: molto frequenti in Giobbe, sono quasi
del tutto assenti nei Salmi e nei libri sapienziali, e ritornano in numero
considerevole nei Profeti maggiori e, tra i minori, soprattutto in Michea, e
ancora di più nelle Lettere di s. Paolo e di s. Giovanni e negli Atti degli
Apostoli 129. Note o semplici marginalia tuttavia sono frequenti – di mano dello
stesso copista che verga il testo (consistenti per lo più in spiegazioni derivan-
ti da Girolamo di nomi biblici) e di altre che intervengono in tempi succes-
sivi – anche nella Bibbia di San Juan de la Peña (nn. 29 + 34); in quella di
San Millán de la Cogolla (n. 31), dove si trovano numerose note esegetiche,
in particolare accanto ai Salmi, accompagnate dall’espressione in Graeco che
richiama ancora una volta la redazione geronimiana e introducono varianti
dal Salterio gallicano; ed ancora se ne trovano nella Bibbia castigliana di To-
ledo (n. 49) e in quella di Valvanera entrambe del X secolo (n. 51).
Di particolare interesse – e, questa volta, veramente significative soltan-
to dell’area iberica – sono poi le annotazioni in arabo, le quali figurano,
oltre che nel codice di Cava (tav. 14), anche nel palinsesto di León (n. 15),
nella Bibbia di Valeránica del 960 (n. 16) in particolare nei Vangeli, nel
Toletano (n. 27), nell’Aemil. 20 (n. 31) e nel codice di Toledo, 2.2 (n. 49:
tav. 15). Il problema delle annotazioni in arabo presenta la maggiore diffi-
coltà nel datare la scrittura, che, nel caso del Cavense, rende incerta la loro
localizzazione (in Spagna o in Italia) essendo il codice giunto nel Salernita-
no, come sembra, all’inizio del XII secolo 130. Di recente Gabriella Braga,

Bibbia atlantica ms. 807 (L 59) della Biblioteca comunale Augusta di Perugia, ora indagate da
M. BASSETTI, « Cautus minima non relinquat », 1. « Tracce » in volgare (saec. XI ex. – XII in.) in un
codice atlantico perugino, in « Studi Medievali », s. III, XLIII (2002), pp. 1-14.
128 BERGER, Histoire de la Vulgate cit., p. 15. Per il riutilizzo di manoscritti tardoantichi in

età altomedievale a fini liturgici v., in questo volume, il contributo di Paolo Radiciotti.
129 CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., pp. 95-106.
130 L’ipotesi dell’arrivo del codice in Italia con l’antipapa Gregorio VIII è stata avanzata

dapprima da Ambrogio Amelli in L. MATTEI CERASOLI, Codices Cavenses, I. Codices Membranacei,


Cava dei Tirreni, In Abbatia Cavensi, 1935, p. 10, ripresa da E. A. LOWE, The Codex Cavensis:
New Light in his History, in Quantulacumque: Studies presented to Kirsopp Lake, London, Chris-
tophers, 1937, rist. in ID., Palaeographical Papers cit., I, pp. 335-41 e tavv. 55-57, e discussa in
CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., p. 109 nota 145.
144 PAOLO CHERUBINI

Bartolomeo Pirone e Biancamaria Scarcia Amoretti hanno affrontato nuo-


vamente la questione in rapporto ad analoghe note in arabo presenti sui
mss. Cassinesi 4 e 19, che andrebbero assegnate alla stessa mano di quelle
della Bibbia e sarebbero state vergate quindi dopo l’arrivo di quest’ultima
in Campania 131. A mio giudizio la questione resta aperta, visto che l’iden-
tificazione delle note dei tre manoscritti non è certa e soprattutto perché,
mentre un interesse di dotti arabi dell’Italia meridionale per il testo bibli-
co, sebbene verosimile, è ancora da provare, la tradizione d’interventi in
arabo in ambito spagnolo è invece molto forte e poggia su esigenze d’in-
terazione tra le due culture, attestata in territorio iberico fin dal secolo
IX. Il tema è stato affrontato in particolare da Eugène Tisserant a propo-
sito del frammento biblico bilingue di Sigüenza a colonne affrontate (n.
45) con una serie di osservazioni che vale la pena di riassumere 132. Pro-
prio la datazione poggiava, innanzi tutto, secondo il cardinale biblioteca-
rio della Vaticana, su basi solide per il fatto di trovarsi accanto alla scrit-
tura visigotica che De Bruyne (seguito da Lowe) aveva proposto di collo-
care intorno all’anno 900, tanto più che i due testi sono contemporanei,
anzi vi sarebbero elementi tali da far ritenere l’arabo scritto prima del
latino. Per quanto riguarda in generale il problema delle versioni arabe
della Bibbia, Tisserant citava, poi, alcune cronache spagnole – del vescovo
di Toledo Rodrigo Ximenez e di Alfonso (X) il Saggio, entrambi della
fine del XIII secolo – nelle quali a un vescovo di Siviglia di nome Gio-
vanni è attribuita un’interpretazione araba con commentari delle Scritture.
Costui sarebbe da identificare con l’arcivescovo di cui compare la sotto-
scrizione in calce agli atti di un concilio di Cordova dell’839 e di cui il
dotto erudito Nicolás Antonio dichiarò di aver veduto un « Liber Evange-
liorum versus in linguam Arabicam a Ioanne episcopo Hispalensi qui ab
Arabibus appellatur Zaid Almatrud (= almatran) tempore Regis Alphonsi
Catholicis » nella Biblioteca dell’Escorial prima dell’incendio del 1671 133.
D’altronde, questa notizia deve fare i conti con il fatto che in due mano-
scritti tuttora conservati a Monaco e a Lyon la traduzione dei Vangeli in
arabo è attribuita invece a tal Isaac figlio di Velasquez (Ishaq ibn Balašk)
di Cordova e all’anno 946, un autore che, secondo Georg Graf, si sarebbe

131 G. BRAGA, B. PIRONE, B. SCARCIA AMORETTI, Note e osservazioni in margine a due mano-

scritti Cassinesi, in Studi sulle società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, Firenze, All’in-
segna del Giglio, 2002, pp. 57-84: 76.
132 In D. DE BRUYNE et E. TISSERANT, Une feuille arabolatine de l’Épitre aux Galates, in

« Revue bénédictine », n. s., VII (1910), pp. 321-43.


133 Ibid., p. 328; l’identificazione in questo caso collocherebbe però Giovanni vescovo

durante il regno di Alfonso I (693-756) in accordo con quanto affermato nel Chronicon Isidori
Pacensis all’anno 719 (757 dell’era spagnola), cui Tisserant mostra invece di non voler dare
troppo credito.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 145

servito di un codice della Vetus con influssi della Vulgata (in particolare
ripropone i Prologhi di Girolamo) ma che avrebbe subito inoltre il fascino
del Diatessaron di Taziano 134. È ugualmente plausibile che le versioni siano
state più di una, come pare dimostrato anche da un codice madrileno
molto antico, contemporaneo del foglio di Sigüenza, che costituiva con ogni
probabilità il testo del Nuovo Testamento letto usualmente nelle comunità di
lingua araba almeno un secolo prima di Isaac di Cordova, all’interno delle
quali forse erano coloro di cui Alvaro di Cordova scriveva: « Heu proh
dolor! Linguam suam nesciunt Christiani, et linguam propriam non adver-
tunt Latini, ita ut omni Christi collegio vix inveniatur unus in milleno
numero, qui salutatorias fratri possit rationabiliter dirigere litteras » 135. An-
che del Salterio si conservano due manoscritti con traduzione araba prove-
nienti con ogni probabilità dalla Spagna visigotica, il codice pergamenaceo
London, British Library, Ar. 4 (Add. 9060) dell’anno 1239 ed il Vat. ar. 5,
cartaceo del secolo XIII con aggiunte del XIV 136.
Infine i marginalia di carattere liturgico e le note di riutilizzo: le prime
sono presenti, ad esempio, nella Bibbia di San Pedro di Cardeña del secolo
IX-X (n. 3) e appartengono ad un intervallo che va dal X al XIV secolo;
nei Salteri 10001 della Biblioteca Nacional di Madrid (n. 30) ed Aemil.
64bis (n. 32), consistenti per lo più in rubriche accompagnate da neumi
intese a spiegare i modi di cantare salmi ed inni, sono del secolo XIV;
nella prima Bibbia di Alcalà (n. 35), dove se ne contano ben duecento sedici
che costituiscono un quadro quasi completo delle letture dell’intero anno
liturgico. Le seconde, del carattere più vario, si possono leggere, ad esem-
pio, ancora nella Bibbia di Cardeña (n. 3), nel Salterio forse di San Millán
de la Cogolla del secolo XI (n. 24), nella Bibbia di Oña (n. 45), dove
s’incontra perfino una mano del XIII secolo. Nella Bibbia di San Juan de
la Peña (nn. 29 + 34) si legge una lunga nota di mano del XVII secolo
sull’incendio del monastero avvenuto il 17 novembre 1494, che fa riferi-
mento due volte a “quella Bibbia” come l’unica scampata alla disgrazia.

134 G. GRAF, Geschichte der christlichen arabischen Literatur, Città del Vaticano, Biblioteca

Apostolica Vaticana, 1944 (Studi e testi, 118), p. 167, che menziona i seguenti codici: Mün-
chen, Bayerische Staatsbibliothek, Ar. 238 forse copiato in Marocco nell’anno 1394 ma da un
antigrafo scritto a Fez nel 1145; un frammento a León, Archivo Catedral (di cui non fornisce
segnatura), un altro costituito da fogli provenienti dal monastero del Sinai ora a Leipzig,
Universitätsbibliothek, Or. 1059B. Altre copie secondarie della traduzione di Isaac sono: Lon-
don, British Library, Ar. Christ. 13, ff. 1-145 (Add. 9061) del secolo XIV o del XV, e München,
Bayerische Staatsbibliothek, Ar. 234, 2 terminato di scrivere l’anno 1492. Una traduzione ese-
guita completamente sulla base della Vulgata, ma sembrerebbe assai più tarda, è tramandata
dal ms. Madrid, Biblioteca Nacional, 4971 (Ar. 238), completato intorno al 1542, e dal codice
Escor. Ar. 1026 dell’anno 1551.
135 DE BRUYNE - TISSERANT, Une feuille arabolatine cit., p. 327 nota 4.
136 Entrambi citati in GRAF, Geschichte cit., p. 124.
146 PAOLO CHERUBINI

Per concludere, un cenno all’ultimo elemento che caratterizza i mano-


scritti biblici spagnoli, di cui quasi non si parla negli studi su questi mano-
scritti. Si tratta di ‘strumenti’ presenti già nel Cavense che ne accentuano il
carattere di ‘codice di studio’, come avevo avuto modo di scrivere nel sag-
gio su quel manoscritto, di cui, per concludere, ripropongo qui le brevi
osservazioni: « Ciascuna delle Lettere di s. Paolo e gli Atti degli Apostoli (ma
soltanto questi libri e non altri) 137, infatti, dopo i consueti capitula – che,
insieme agli argumenta svolgono qui quella funzione introduttiva che hanno
solitamente prologhi e prefazioni – presentano una o più sezioni, nelle
quali è riportata, per ciascun capitolo del libro che segue, l’indicazione
delle citazioni dal Vecchio Testamento e le prime parole del brano citato.
Così, ad esempio, per la prima lettera di s. Paolo si legge “Expliciunt
kapitulae. Incipiunt testimonia de Veteri Testamento in aepistola ad Roma-
nos. I. In Abacuc: ‘Iustus autem ex fide vivit’. II. In Esaya: ‘Nomen Dei per
vos balsphematur’. III. In psalmo L: ‘Hut iustificeris in sermonibus tuis’
ecc.”. Altrettanto interessante è la presenza, prima di ciascuna lettera paoli-
na (con la sola esclusione di quella ai Romani), di elenchi di persone no-
minate nel testo (evidenziate con lettere maiuscole o con inchiostro diffe-
rente, in genere rosso), con la citazione testuale o lievemente parafrasata
del passo in cui essi compaiono, come, ad esempio: “Quos sanctorum com-
memorat Apostolus in aepistola ad Corinthios prima: ‘Ego sum Pauli, ego
Apollo, ego vero Cephae’. ‘Timotheum quem vult sine timore apud eos
esse’. ‘Item de Apollo, quem rogavit hut veniret ab Epheso et distulit’.
‘Domum Stephanae et Fortunati et Achaici, quos primitias aecclesiae dicit
esse’. ‘Aquila et Priscilla cum domesticos <così> aeclesiae’ ”, o il lunghissi-
mo elenco prima degli Atti: “Item de nominibus quorum in Hactibus Apo-
stolorum Luckas meminit, sic: Petrus et Iohannes, Iacobus et Handreas,
Phylippus et Thomas, Bartholomeus et Mattheus, Iacobus Alfei et Symon
Zelotes et Iudas Iacobi, ecc.”, cui segue, ed è l’unico caso, un’analoga lista,
anch’essa lunghissima, nella quale sono riportati i luoghi toccati da Paolo e
Barnaba nei loro viaggi: “Ad quae loca Paulus et Barnabas ab Antiocia
dimissi a Sancto Spiritu pervenerunt: Seleuciam, Cyprum, Salaminam,
Paphum, Pergen Pamphiliae, Antiochiam quae est Pisidiae, ecc.”. Anche
questi, dunque, strumenti funzionali ad un lavoro di esegesi, simili ma di-
versi dalle glosse marginali (che in qualche modo ne costituiscono l’ideale
proseguimento), entrambi tesi ad individuare citazioni e concordanze; per
la loro organicità e per il posto che occupano – ormai trasportati con

137 In realtà anche dinanzi ai Vangeli in altri manoscritti: T. AYUSO MARAZUELA, La Biblia

visigótica de La Cava dei Tirreni. Contribución al estudio de la Vulgata en España, Madrid, Consejo
Superior de Investigaciones científicas. Patronato « Raimundo Lulio », Instituto « Francisco Sua-
rez », 1956 (= « Estudios bíblicos », XIV, 1955, pp. 49-65, 137-90 e 355-414; XV, 1956, pp. 5-
62): 371.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 147

piena legittimazione dai margini al testo – sono certamente da attribuire a


studiosi di qualche generazione più anziani di Danila », da collocare plausi-
bilmente tra l’età di Isidoro e quella di quest’ultimo, se non addirittura da
assegnare direttamente all’impulso esegetico del primo. « Sono comunque
esempi di un lavoro di studio e di un’attività di scuola » 138.

138 CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., pp. 105-06.


148 PAOLO CHERUBINI

CATALOGO 139

Braga, Arquivo Distrital, Collecçâo Cronológica: Bibbia A (Lv, 13, 9-19, 13), secolo
XI ex.-XII in. Due fogli. Misure: mm 404 × 274, a due colonne. Robinson ha notato
la presenza di elementi non visigotici nell’uso del compendio per autem (= au), del
segno abbreviativo generico in forma di semplice lineetta soprascritta e del ricciolo,
invece di « s-flourish », dopo q per –(ue). A questi elementi si aggiunga la presenza
di segni d’interpunzione in fine di frase e di periodo che pure non appartengono
ad usi spagnoli. La data oscilla tra quelle proposte dal Robinson (secolo XI ex.) e
dal Millares Carlo (XII in.).
Bibl.: TPE3, p. 323 n. 15; A. MILLARES CARLO, Nuevos estudios de paleografía española, Mexi-
co 1914, p. 137; R. P. ROBINSON, Some Newly Discovered Fragments of Visigothic Manuscripts, in
« Transactions of the American Philological Association », LX (1929), pp. 48-56 e tav. II: 53;
MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos. Notas bibliográficas, Barcelona, Instituto Enrique Flórez,
1963, p. 419, n. 190; DÍAZ Y DÍAZ, Codices visigóticos cit., p. 358 n. 59; SUPINO MARTINI, La
scrittura cit., p. 113 nota 33; CCV, p. 37 n. 15 (tavola).

Braga, Arquivo Distrital, Collecçâo Cronológica: Bibbia B (Za, 1, 9-10, 3), secolo
XI-XII. Un foglio. Misure: mm 506 × 302, a tre colonne. Si notano elementi non
visigotici nelle legature ct e st, nell’abbreviazione di –(us) con ricciolo, in alcuni

139 Purtroppo non sono in grado di fornire le misure dei fogli conservati a Logroño, Insti-
tuto de Estudios Riojanos (n. 20) e a Tarragona, Archivo Histórico Archidiocesano (n. 48), per-
ché esse non vengono indicate nella letteratura e perché le mie richieste ai rispettivi istituti di
conservazione non hanno ricevuto risposta. Del pari non so su quante colonne è scritto il foglio
del Salterio dell’Abadía Benedictina di Valvanera (La Rioja) (n. 51) di cui, da quanto ne so, non
esiste riproduzione e per il quale una mia analoga richiesta non ha avuto migliore fortuna.
Nel catalogo che segue le opere maggiormente ricorrenti sono citate con le seguenti sigle:
VLH = T. AYUSO MARAZUELA, La Vetus Latina Hispanica, I. Prolegomenos, introducción gene-
ral, estudio y analisis de las fuentes, Madrid, Consejo Superior de investigaciones cientificas
Instituto « Francisco Suarez » – Imprenta de Aldecoa, 1953;
TPE = A. MILLARES CARLO, Tratado de paleografía española, 2a ediz., Madrid, Hernando, 1932;
TPE3 = A. MILLARES CARLO, con la colaborración de J. M. RUIZ ASENCIO, Tratado de paleo-
grafía española, I. Texto; II. Láminas, 3a ediz., Madrid, Espasa – Calpe, 1983;
CCV = A. MILLARES CARLO, Corpus de códices visigóticos, edición preparada por M. C. DÍAZ Y
DÍAZ, A. M. MUNDÓ, J. M. RUIZ ASENCIO, B. CASADO QUINTANILLA y E. LECUONA RIBOT, I. Estudio;
II. Álbum, Las Palmas de Gran Canaria, Universidad de educación a distancia – Centro aso-
ciado de Las Palmas de Gran Canaria, 1999 (tra parentesi tonde è indicato se ne è offerta la
riproduzione).
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 149

compendi con letterina soprascritta e in frequenti omissioni dei gruppi (em) ed (er)
segnalate dal segno generico in forma di lineetta; non è rispettata sempre la rego-
la della I alta.
Bibl.: TPE3, p. 323 n. 16; MILLARES CARLO, Nuevos estudios cit., p. 137; ROBINSON, Some
Newly Discovered Fragments cit., pp. 53-54 e tav. III; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit.,
p. 419 n. 191; DÍAZ Y DÍAZ, Codices visigóticos cit., p. 360 n. 61; SUPINO MARTINI, La scrittura
cit., p. 113 nota 33; CCV, p. 37 n. 16 (tavola).

Burgos, Archivo Capitular, Expos. Vitr.: Bibbia, secolo IX-X, più probabile il pri-
mo decennio di quest’ultimo, San Pedro de Cardeña. Misure: mm 470 × 330, a due
colonne. Non segue un criterio costante l’uso dell’abbreviazione p(er) che talvolta è
di tipo visigotico, talvolta continentale. Oltre a diversi fogli in più parti del codice,
manca del tutto il fascicolo 41 che conteneva probabilmente, secondo Domínguez
Bordona, i Canoni di Eusebio con i tipici archi, due dei quali sono rimasti a f.
132v. Da Mario Ferotín fu identificato con la Bibbia di Cardeña di cui parla Fran-
cisco de Berganza nelle Antigüedades de España del 1719 e che sarebbe stato scritto
dal copista Gómez, lo stesso che il 26 novembre 914 portò a termine il codice
Manchester, John Ryland’s Library, Lat. 93 contenente i Moralia in Job di Gregorio
Magno (cfr. CCV, p. 147 n. 219), ma non si può escludere l’intervento di un
secondo copista. Molti i segni d’interpunzione impiegati ma non tutti possono at-
tribuirsi con certezza al copista, o ai copisti principali. Una serie d’indicazioni
marginali, alcune delle quali dei secoli X-XII, che indicano le occasioni in cui
vanno letti singoli brani – come a f. 177r, all’inizio del libro dei Proverbi: « Domini-
ca I Augusti » seguito da cifre romane – ne testimoniano l’utilizzazione liturgica,
probabilmente nel coro, come mostrerebbe la presenza di notazioni musicali (secoli
X-XIV) accanto alle Lamentazioni di Geremia. Una mano del secolo XII ha corretto il
testo aggiungendovi i segni per la pronuncia e un’altra, del XIII, si limita a redi-
gere le numerose note marginali. Alcune di queste ultime sono solo segnalazioni
del contenuto (f. 4v, col. A: « De turre confusionis » accanto a Gn 11, 1), altre di
carattere storico, come a f. 5r: « Absit ut credatur de Saray quod contigerit pharao
quam Dominus taliter defendebat », o consistono in spiegazioni di termini geografi-
ci o di parole greche o nomi propri; non mancano segnali di collazione con altri
manoscritti, soprattutto nel libro di Giobbe dove sono più frequenti le note caratte-
rizzate dall’espressione in Graeco cui una mano più recente ha aggiunto habetur. A f.
71r una mano non più tarda del XIII secolo ha scritto: « Usque ad hunc locum
iste liber permanet incorreptus » La data dovrebbe porsi nel primo decennio del
secolo X, poiché in seguito il monastero di San Pedro fu più volte saccheggiato da
incursioni saracene che infestarono tutta la Castiglia grosso modo tra gli anni 918
e 936. Il codice restò a Cardeña fino al 1835.

Bibl.: TPE, p. 453 n. 16; D. A. ANDRÉS, La biblia visigoda de San Pedro de Cardeña, in « Boletín
de la Real Academia de la Historia », LX (1912), pp. 101-146; CLARK, Collectanea Hispanica cit.,
pp. 30-31 n. 510 e tavv. 49-50; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 95 n. 11; J. DOMÍNGUEZ
BORDONA, Manuscritos con pinturas. Notas para un inventario de los conservados en colleciones públicas y
150 PAOLO CHERUBINI

particulares de España, Madrid, Centro de estudios históricos, 1933, pp. 88-89 n. 985 e fig. 87;
MILLARES CARLO, Manuscrítos visigóticos. Notas bibliográficas, in « Hispania Sacra », XIV (1961), pp.
337-444: 349 n. 12; FISCHER, Bibelausgaben cit., p. 71 d; CCV, p. 41 n. 30 (tavola).

Cava dei Tirreni, Archivio della Badia della S.ma Trinità, ms. 1: Bibbia, secolo
IX in., Oviedo. Misure: mm 320 × 265 circa, a tre colonne. Con ogni probabilità è
da identificare con quel « librum bibliotheca » che figura al primo posto nel testa-
mentum Adefonsi regis del 16 novembre 812 con cui Alfonso II dotò di libri, suppel-
lettili liturgiche, servi e altri beni mobili e immobili la chiesa cattedrale di Oviedo;
per questo motivo il manoscritto, rimasto incompleto forse già al momento di
essere esposto in occasione del concilio celebrato nell’811 in quella città che con
l’occasione era promossa sede episcopale, va datato non oltre il primo decennio
del secolo IX. Quasi certamente fu scritto nella stessa Oviedo (non nel palazzo
reale di León come sostiene Mundó con segno di dubbio) da Danila, che si sotto-
scrive a f. 166r alla fine del libro di Ezechiele, e da un secondo copista che si
alterna con lui. È di particolare interesse dal punto di vista paleografico, perché
presenta molti tipi di scritture: la visigotica del testo, caratterizzata da particolari
legamenti dall’alto rc, rm, rn; un’onciale che imita quella old style, la semionciale e
una particolarissima onciale « b-d » inclinata utilizzate come scritture d’apparato per
incipit ed explicit, prologhi, sommari e altri testi extrabiblici. Di grande interesse
anche le numerose glosse in minuscola visigotica della metà o della seconda parte
dello stesso secolo IX di formato piccolissimo, nella maggior parte d’argomento
cristologico, delle quali fino ad oggi solo alcune sono state lette e poste in relazio-
ne con l’eresia di Godescalco d’Orbais. Sono presenti anche note in arabo e in
ebraico. Due note in beneventana sono state assegnate dal Lowe al XII secolo,
all’inizio del quale il codice sarebbe giunto in Italia meridionale. Notevole è anche
l’apparato decorativo del tutto aniconico ma ugualmente ricco ed assai vario.
Bibl.: VLH, p. 351 n. 13; BERGER, Histoire de la Vulgate cit., pp. 14-15; CLARK, Collectanea
Hispanica cit., tavv. 13-14; DE BRUYNE, Étude cit. 386 ss.; QUENTIN, Mémoire cit., pp. 299 e 310-16;
LOWE, The Codex Cavensis cit.; BOVER, La Vulgata cit., pp. 11-40 e 167-185; J. RIUS SERRA - J.
VIVES, Manuscritos hispánicos en bibliotecas extranjeras, in « Hispania Sacra », V (1952), p. 181; A. M.
MUNDÓ, El Commicus palimsest Paris. lat. 2269. Amb notes sobre litúrgia i manuscrits visigótics a Septi-
mània i Catalunya, in Liturgica, 1. Cardinali I. A. Schuster in memoriam, In abbatia Montisserati,
Tallers Gràfics Marìa Galve, 1956 (Scripta et documenta, 7), pp. 151-257: 177; AYUSO MARAZUELA,
La Biblia visigótica de La Cava dei Tirreni cit.; MILLARES CARLO, Manuscrítos visigóticos cit., p. 349 n.
13; E. A. LOWE, A New List of Beneventan Manuscripts, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M.
card. Albareda a Biblioteca apostolica edita, II, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
1962 (Studi e testi, 220), pp. 211-44: 219 ed ulteriore bibliografia in BMB. Bibliografia dei mano-
scritti in scrittura beneventana, 1-, Roma, Viella, 1993-; FISCHER, Bibelausgaben cit., è. 70 b; PETRUCCI,
Aspetti simbolici cit., pp. 837-38; M. ROTILI, La miniatura nella Badia di Cava, II. La raccolta di
miniature italiane e straniere, Napoli, Di Mauro, 1978, pp. 21-44; DÍAZ Y DÍAZ, Codices visigóticos en
la monarquía Leonesa cit., pp. 300-303; A. M. MUNDÓ, Notas para la historia de la escritura visigótica
en su período primitivo, in Bivium cit., pp. 175-96: 181; CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit.; ID.,
scheda del codice in I Vangeli dei Popoli cit., pp. 181-83 n. 26; Paleografia Latina. Tavole, a cura di
P. CHERUBINI e A. PRATESI, Città del Vaticano, Scuola di Paleografia, Diplomatica e Archivistica,
2004 (Littera Antiqua, 10. Subsidia studiorum, 3), pp. 34-36 n. 43; CCV, p. 42 n. 33 (tavola).
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 151

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 12900 (già SIGÜENZA,
Biblioteca Catedral, 150): Bibbia (Gal, 1, 1-15 e 3, 6-24), secolo IX, Andalusia? Due
fogli; misure: mm 367 × 262, a due colonne con scritture affrontate, latina a sini-
stra e araba a destra. Furono individuati la prima volta nel 1909 da De Bruyne e
incollati a un codice trecentesco di Decretali della cattedrale di Sigüenza (ms. 150).
Di lì a poco il frammento fu portato a Roma dove il benedettino belga poté
studiarli con attenzione giungendo a datarli alla fine del IX secolo (intorno all’an-
no 900), data confermata dal Lowe e sostanzialmente accettata dagli studiosi senza
eccezioni. A lungo rimase invece un giallo la sua attuale collocazione, poiché anco-
ra Millares Carlo (CCV) affermava che esso si conservava nella Biblioteca Vaticana,
ma già il Liebaert lo citava nuovamente con la segnatura di Sigüenza. In realtà,
nella tarda primavera del 1922, in risposta alla richiesta di Giovanni Mercati, il
frammento era stato definitivamente donato alla Biblioteca Vaticana dal Capitolo
della cattedrale e dal vescovo della città spagnola 140. Prima dell’inizio degli anni
’60 del Novecento esso fu inserito tra i Vaticani latini e ricevette l’attuale segnatura;
forse ciò avvenne dopo la metà degli anni ’40, perché nel 1944 non compare
nell’informatissimo catalogo di Georg Graf 141.
Bibl.: TPE, p. 469 n. 232; LOWE, Studia Palaeographica cit., pp. 46-47 n. 21; DE BRUYNE et
TISSERANT, Une feuille arabolatine cit.; Specimina codicum Latinorum Vaticanorum, collegerunt F.
EHRLE et P. LIEBAERT, 2a ediz., Berlin-Leipzig, W. De Gruyter etc., 1927, p. XXI e tav. 25;
CLARK, Collectanea Hispanica cit., pp. 57-58 n. 683; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit.,
pp. 121-22 n. 183; L. SCHIAPARELLI, Note paleografiche. Intorno all’origine della scrittura visigotica,
in « Archivio storico italiano », s. VII, XII (1930), pp. 165-207, rist. in ID., Note paleografiche
(1910-1932), raccolte a cura di G. CENCETTI, Torino, Bottega d’Erasmo, 1969, pp. 465-507:
180 (= 480); MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 407 n. 156; M.-H. LAURENT, L’abbé
Paul Liebaert scriptor honoraire adj. de la Vaticane. Sa vie et ses oeuvres (1883-1915), in Collectanea
Vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda a Bibliotheca Apostolica edita, II, Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, 1962 (Studi e testi, 220), pp. 1-132: 100 nota 3; G. LEVI DELLA
VIDA, Manoscritti arabi di origine spagnola nella Biblioteca Vaticana, ibid., pp. 133-189: 177-178;
CCV, pp. 178-79 n. 294 (tavola).

140 Così risulta da due foglietti inviati al Prefetto della Vaticana e oggi inseriti nel codice,

prima della coperta. Uno è manoscritto e proviene dal “Cabildo Catedral de la Santa Iglesia
de Sigüenza, 22 de Junio de 1922”; in esso si legge che « este Cabildo Catedral, en sesión
ordinaria celebrada el primero del actual acordó acceder de buon grado á sus deseos en
órden á que permaneczan en esa Biblioteca Apostolica Vaticana el Códice signado con el
número 150, que contiene en 49 hojas varias Decretales y el fragmento bilingüe, latino-arabe
de las cartas de San Pablo, pertenecientes á la Biblioteca de esta Catedral, y que fueron
enviados á Roma en el año 1910 por conducto del excellentissimo segnor nuncio en Ma-
drid ... »; l’altro foglio, dattiloscritto, del 7 luglio, è firmato da « El Obispo de Sigüenza [Mon-
segnor Eustachio Nieto y Martin] » e vi si legge tra l’altro: « con summa satisfacción he recibi-
do su grata en la que me manifiesta se halla en su poder el documento que le ha dirigido
este Cabildo, el qual hace constar que cede gratuitamente a la Biblioteca Vaticana el fragmen-
to biblico latino-arábico, que pertenecia a este archivo capitular ... ».
141 G. GRAF, Geschichte cit. alla nota 134.
152 PAOLO CHERUBINI

Covarrubias, Museo de la Colegiata, s. n.: Bibbia (Prv, Praefatio Hieronymi), seco-


lo X. Misure: mm 470 × 316, a due colonne. Sono presenti alcuni marginali che
rinviano ad una versione greca con cui forse il codice è stato collazionato (« in
Graeco ») e note in latino di età più recente. È interessante la presenza di decora-
zione di tipo romanico, forse più tarda della scrittura visigotica che accompagna.
Bibl.: TPE3, p. 325 n. 40; J. DOMÍNGUEZ BORDONA, Miniatura, in Ars Hispaniae. Historia
universal del arte hispánico, XVIII, Madrid, Editorial Plus-Ultra, 1962, pp. 17-242: 46 e fig. 38;
CCV, p. 46 n. 41 (tavola).

El Escorial (Madrid), Real Biblioteca de San Lorenzo, a. III, 5: Psalterium, seco-


lo X. Misure: mm 267 × 185, a una sola colonna. In base a quanto scritto nella
prima orazione che si legge nel codice questo sarebbe opera di una donna, che dai
tempi del Ferotín è stata identificata con Leodegundia, la stessa che nel 912 ha
vergato il codice miscellaneo Escorialense a. I. 13 (cfr. CCV, pp. 46-48 n. 42), ma
già Whitehill osservava che dal punto di vista paleografico il codice sembra più
tardo, a lui e ad Ayuso Marazuela addirittura dell’XI secolo. Fu donato alla biblio-
teca dell’Escorial da don Diego de Mendoza († 13 agosto 1575)
Bibl.: VLH, p. 359 n. 35; TPE, p. 454 n. 28; G. ANTOLÍN, Catálogo de los codices latinos de
la Real Biblioteca del Escorial, 5 voll., Madrid, Imprenta Helénica, 1910-35: I, p. 71; M. FE-
ROTÍN, Le Liber Mozarabicus Sacramentorum et les manuscrits mozarabes, Paris, Firmin - Didot,
1912 (Monumenta Ecclesiae liturgica, VI), coll. 943-46; CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 32
n. 516; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 97 n. 19; M. C. DÍAZ Y DÍAZ, Index scriptorum
Latinorum medii aevi Hispanorum, Salmanticae, Consejo Superior de Investigaciones científicas.
Patronato « Menendez y Pelayo », 1959, p. 92 n. 334 (ma forse si tratta di citazione errata);
WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 121-122; J. ENCISO, El estudio bíblico de los códices litúrgicos
mozárabes, in « Estudios bíblicos », I (1942), pp. 291-313: 303-4 n. 8; BROU, Études sur le Missel
cit., pp. 359, 371-72; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 353 n. 19; CCV, pp. 49-50
n. 45.

El Escorial (Madrid), Real Biblioteca de San Lorenzo, M. III. 3: Apocalisse; Isido-


ro, Opera quaedam; Martino di Braga, Opera quaedam; secolo IX-X, Oviedo. Misure:
mm 270 × 198, a due colonne. Per Antolín i fogli contenenti l’Apocalisse (1r-23r) sono
del secolo X, il resto dell’XI, per Clark e Loewe – Hartel tutto dei secoli X-XI.
Bibl.: TPE, p. 455 n. 39; G. LOEWE – W. VON HARTEL, Bibliotheca Patrum Latinorum Hispa-
niensis, I, Wien, C. Gerold’s Sohn, 1887, p. 94; CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 33 nn. 527
e 527a; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 98 n. 30; ANTOLÍN, Catálogo cit., III,
pp. 88-89; DOMÍNGUEZ BORDONA, Manuscritos con pinturas cit., II, p. 46 n. 1436; MUNDÓ, Notas
para una historia cit., p. 186; CCV, pp. 55-56 n. 56 (tavola).
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 153

El Escorial (Madrid), Real Biblioteca de San Lorenzo, R. II. 18, ff. 1-8, 25-34,
59, 66, 83-91, 95 (C. L. A. XI, 1632): Bibbia (Nm, 7, 26-31, 14; Dt, 1, 1-32, 24; Ios,
2-14,10 e Idc, 4, 25-6, 26), secolo VII. Misure: mm 285 × 195. Si tratta dell’unico
codice d’età visigotica certamente scritto nella Penisola iberica e qui ancora conser-
vato; l’inventario di libri dell’882 in esso conservato e pubblicato da Díaz y Díaz
(Codices visigóticos cit., pp. 42-43) è il più antico che si trovi in Spagna. Scritto a
Cordova secondo Millares Carlo, a Siviglia secondo altri e a Saragozza secondo
Díaz y Díaz il quale non esclude però Toledo (a quest’ultima riconduce la partico-
lare forma della t con ultimo tratto sottile rivolto verso l’altro a destra, esattamente
come nel ms. Toletano 35, 2 che è il manoscritto guida di Mundó per la datazione
dei codici liturgici toletani), è detto Ovetensis perché giunse a Oviedo probabilmente
nell’883 e qui confluì nella biblioteca di Alfonso III.
Bibl.: VLH, pp. 349-50 n. 9; EWALD - LOEWE, Exempla scripturae cit., pp. 3-5 e tavv. IV-V; Á.
CANELLAS, Exempla scripturarum Latinarum in usum scholarum, II, 2a ediz., Zaragozza, Talleres
Editoriales Librería General, 1974, tav. XIII; CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 34 nn. 531-
532; F. STEFFENS, Lateinische Paläographie. 125 Tafeln im Lichtdruck mit gegenüberstehender Transcrip-
tion nebst Erläuterungen und einer systematischen Darstellung der Entwiklung der lateinischen Schrift, 2a
ed., Berlin und Leipzig, W. De Gruyter, 1929 [rist. 1964], tav. 35a; GARCÍA VILLADA, tavv. XV-
XVI, figg. 18-19, e tav. XXXIII, fig. 45; MUNDÓ, El Commicus cit.; MILLARES CARLO, Manuscritos
visigóticos cit., pp. 357-79 n. 29; A. DOLD, Ein bisher kaum beachteter Vulgata-Palimpsest des 6./7.
Jhs im Escorialensis R II 18, in Miscellanea biblica et orientalia r. p. Athanasio Miller o. s. B. secretario
Pontificiae Commissionis Biblicis completis LXX annis oblata, cura A. METZINGER, Roma, Herder, 1951
(= « Studia Anselmiana », XXVII-XXVIII), pp. 38-46; DÍAZ Y DÍAZ, La circulation cit., 223 ss.; ID.,
Codices visigóticos en la monarquía Leonesa cit., pp. 17-53; CCV, pp. 57-59 n. 60.

10

Göttweig, Stiftsbibliothek, s. n. + München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 6436,


ff. 2-18, 22-23, 24, 25-30 e 33-35 (n. 38) + München, Bayerische Staatsbibliothek,
Clm 6230 (n. 37) + München, Universitätsbibliothek, 4° 928 (n. 39) (C. L. A. IX,
1286a-b; X**, 1286a): Epistole di san Paolo ed epistole cattoliche (versione antegeroni-
miana), seconda metà del secolo VI – prima metà del VII. Un foglio. Misure: mm
260 × 175 circa, a una colonna; localizzazione forse spagnola, ma senza escludere
del tutto un’origine africana.

11

Hacinas (Burgos), Archivo Municipal, s. n.: Psalterium, sec. XI ex. Un solo bifo-
glio; misure: mm 350 × 275, a due colonne. Presenta poche notazioni musicali,
inserite insieme a rubriche in visigotica di formato più piccolo tra un salmo e
l’altro, ma forse entrambe sono di età posteriore.
Bibl.: TPE3, p. 326 n. 68a; I. FERNÁNDEZ CUESTA y C. DEL ÁLAMO, Fragmento de un salterio
visigotico con notación musical, in « Revista de Musicología», II (1979), pp. 9-17; CCV, p. 64
n. 70 (tavola).
154 PAOLO CHERUBINI

12

Kraków, Muzeum Narodowe Oddzial Czartoryskisch, ms. 3118: Bibbia (Profeti e


Maccabei), secolo X. Misure: mm 353/371 × 218/268, a due colonne.
Bibl.: E. FALCONI, Il codice visigotico 3118 della raccolta Cwartoryscki di Cracovia, in « Anuario
de estudios medievales », XIII (1983), pp. 47-81; CHERUBINI, La Bibbia di Danila cit., p. 117.

13

La Seu d’Urgell, Biblioteca Catedral, 180. 2: Bibbia (II Rg, 20-22). Un foglio:
misure: mm 338 × 234, a due colonne.
Bibl.: TPE3, p. 339 n. 296; J. JANINI, Catálogo del Museo Arqueológico del Seminario de
Lérida, in « Esperanza », XIX (1935), pp. 295-98; CCV, p. 66 n. 75 (tavola).

14

León, Archivio Catedral, 6: Bibbia, secolo X (anno 920), Albarés (Bibbia di Vi-
mara). Misure: mm 360 × 240, a due colonne; in origine costituiva probabilmente la
seconda parte di una Bibliotheca sacra completa. Per Clark è un buon esempio di
visigotica leonese del primo quarto del secolo X. Alla capitale del Regno rinvia
inoltre la presenza della Vita di san Froilán patrono di León copiata dal copista del
testo in uno spazio lasciato in bianco tra i libri di Giobbe e di Tobia a f. 101r. Come
si ricava da una nota inserita nel labirinto di f. 2v, fu scritto dal prete Vimara (che
si sottoscrive anche a f. 233r) e decorata dal diacono Giovanni (il cui nome si
legge in più punti del manoscritto: a ff. 91v, 101r, 202r, 216r, 217r) per Mauro
abate del monastero di Santa Cruz de Montes presso la città di Albarés (Millares
Carlo) o con minori probabilità di S. Martino di Albelda (Gómez Moreno). Berger
cita invece il monastero dei Santi Cosma e Damiano nella Valle del Torio in Al-
barés cui rinvia una nota ad inizio del volume, fondato solo l’anno prima (919) dal
vescovo Axila. Presenta la croce di Oviedo e altri elementi, tra cui una rosa dei
venti, che sembrerebbero ricondurre alla regione delle Asturie. Compaiono inoltre
illustrazioni con archi per i Canoni e con le figure umane a piena pagina per gli
evangelisti di stile alquanto primitivo, molto lontane dall’arte di poco successiva di
certi monasteri della Rioja, come ad esempio San Millán de la Cogolla o San
Pedro de Cardeña; una scena dell’Annunciazione e tre della vita di Gesù occupano
ciascuna mezza pagina. Il testo segue la Vulgata, ma dopo i Profeti sono copiati il
cantico Benedicite omnia opera Domini Domino, il verso Benedicite Anania Azaria et Misa-
el Domino e altre tre benedizioni, accanto alle quali si legge la nota « Hucusque
habetur in Hebreo et quod posuimus de Theudotionis editione translata sunt ».
Bibl.: VLH, pp. 353-54 n. 19; TPE, pp. 455-56 n. 53; M. RISCO, España Sagrada, Madrid,
XXXIV, En la Imprenta de Don Pedro Marin, 1784, pp. 165-66 n. 52; RISCO, Iglesia de León
y monasterios antiguos y modernos de la misma ciudad, Madrid, B. Román, 1792, pp. 78-80; J. M.
DE EGUREN, Memoria descriptiva de los códices notables conservados en los archivos eclesiástico de
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 155

España, Madrid, M. Rivadeneira, 1859, p. 46-47; BERGER, Histoire de la Vulgate cit., pp. 17-18;
R. BEER y J. E. DÍAZ JIMÉNEZ, Noticias bibliográficas y catálogo de los códices de la Sancta Iglesia
Catedral de León, Leon, M. Garzo, 1888, pp. 5-8 n. 6; Z. GARCÍA VILLADA, Catálogo de los códices
y documentos de la Catedral de León, Madrid, Imprenta clásica española, 1919, pp. 35-37 n. 6;
CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 35 n. 542 e tav. 25; M. GÓMEZ MORENO, Catálogo monumen-
tal de España. Provincia de León (1906-1908), Madrid, Ministerio de Instrucción publica y Bel-
las Artes, 1925-26, pp. 151-53 e tavv. 80-88; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 101
n. 44 e tav. XXI; J. DOMÍNGUEZ BORDONA, Exlibris mozárabes, in « Archivo Español de Arte y
Arqueología », XXXII (1935), pp. 153-63: 159 n. 3 e tav. IV; ID., La miniatura española, Firen-
ze, Pantheon, 1930, pp. 27-28; ID., Manuscritos con pinturas cit., pp. 177-78 n. 281 e figg. 16-
70; ID., Miniatura cit., p. 23 fig. 6; NEUSS, Die Katalanische Bibelillustration cit., pp. 72-75; A.
QUINTANA PRIETO, Santa María de Albarés y su escritorium, in Santa María del Paular, X/1 (1972),
pp. 67-105; FISCHER, Bibelausgabe cit., p. 71 d; PÉREZ DE URBEL, Cardeña y sus escribas cit.,
pp. 223-224; CCV, pp. 68-69 n. 80 (tavola).

15

León, Archivo Catedral, 15, ff. 1-14, 17-18, 20-23, 26-30, 35-45, 48, 49, 52-54,
59-62, 67-69, 72, 73, 76-78, 83-85, 92, 110, 115, 117, 120, 121, 124, 125, 132,
133, 140, 141, 144, 145, 148-150, 155, 156, 174, 181 e 182 (C. L. A. XI, 1636):
Bibbia (brani da Cronache, Geremia, Ezechiele, I Maccabei, Atti degli Apostoli, II Corinti,
Colossesi, I Lettera di san Giovanni; codice rescritto: scriptio inferior; nella superior è la
Historia ecclesiastica di Eusebio-Rufino); la scriptio inferior è una semionciale del seco-
lo VII, quella superior una visigotica del IX. Misure: mm 315 × 210 a due colonne
con una grande littera notabilior all’inizio di ciascuna colonna, gli 80 ff. contenenti
la Bibbia, e mm 440 × 320 circa, la restante in onciale (anch’essa del secolo VII,
forse antecedente il 669) con la Lex Romana Visigothorum. Il codice fu molto utiliz-
zato da Ludwig Traube nello studio sui nomina sacra a proposito dell’uso di abbre-
viazioni diverse per noster. Per Clark la scrittura appare più tarda, dell’VIII piutto-
sto che del VII secolo. A f. 120 è una nota in arabo; ciò ha fatto ipotizzare
l’origine andalusa del manoscritto, forse a Cordova. Secondo Berger il testo segue
la Vulgata ma già con qualche tipica caratteristica spagnola, in alcuni passi è molto
vicino a quello dell’Amiatino; per Fischer si tratta invece del testo della Vetus.
Bibl.: VLH, pp. 348-49 n. 5; TPE, pp. 38, 42 n. 56, e 456; L. TRAUBE, Nomina sacra. Versuch
einer Geschichte der christlichen Kürzung, München, C. H. Beck, 1907, pp. 223 e 244; BERGER, Histoi-
re de la Vulgate cit., pp. 8-11; BEER - DÍAZ JIMÉNEZ, Noticias cit., pp. 16-18 n. 15; GÓMEZ MORENO,
Catálogo monumental cit., pp. 154-155 e tav. 90; GARCÍA VILLADA, Catálogo, pp. 43-50 n. 15 e tav.
4; ROBINSON, Manuscripts 27 cit., pp. 18-19; DOMÍNGUEZ BORDONA, Manuscritos con pinturas cit., p.
178; CLARK, Collectanea Hispanica cit., pp. 36 n. 545, 108-09, e tav. 1, 2b; GARCÍA VILLADA, Paleo-
grafía española cit., I, pp. 83-86, 101 n. 47, II, tav. XIII, fig. 16; FISCHER, Bibelausgaben cit., p. 70
a; BOGAERT, La Bible latine cit., p. 285; CCV, p. 72 n. 83 (tavola della scriptio superior).

16

León, San Isidoro, 2: Bibbia, secolo X (anno 960), Valeránica. Misure: mm


485 × 345, a due colonne. Sottoscritto da Sancho e Florencio nel 960 (quest’ultimo
156 PAOLO CHERUBINI

noto per aver copiato diversi codici a San Pedro de Berlangas), il manoscritto
presenta alcune miniature con figure: il Pantocrator a piena pagina in apertura del
manoscritto, i simboli degli evangelisti, gli archi dei Canoni eusebiani, i medaglioni
con le genealogie, presenti in altri codici biblici e in alcuni di Beato di Liébana, e
numerose altre scene che illustrano il testo di alcuni libri in particolare (Esodo,
Giobbe e Daniele, ma anche Deuteronomio, Giosuè, Geremia e Baruch), mentre non è
affatto illustrata l’Apocalisse. Alla fine sotto un ù di grandi dimensioni vi sono le
due figure dei copisti con il codice tra le mani. Nei Profeti (ff. 298r, 301r ss., 315v,
328v, ecc.) si trovano alcune brevi notazioni marginali in arabo che richiamano
l’attenzione su particolari punti del testo.
Bibl.: TPE, p. 456 n. 62; RISCO, Iglesia de León cit., pp. 153-54; R. A. DE LOS RIOS Y
VILLALTA, Página de una Biblia del siglo X, que se conserva en el Archivo de San Isidoro de León, in
« Museo Español de Antigüedades », IX (1878), pp. 521-32; BERGER, Histoire de la Vulgate cit.,
pp. 384-85; DOMÍNGUEZ BORDONA, La miniatura española cit., p. 28; ID., Manuscritos con pinturas
cit., p. 183 n. 295 e fig. 175; ID., Miniatura cit., p. 35 fig. 25; GARCÍA VILLADA, Paleografía
española cit., 102 n. 50; T. ROJO ORCAJO, El presbítero Florencio y la Biblia de San Isidoro de León,
in « Vida Ecclesiástica », III (1930); ID., Algunas consideraciones sobre la verdadera procedencia de la
Biblia visigótica de San Isidoro de León, in « Estudios bíblicos », I (1930), pp. 200-211; J. PÉREZ
LLAMARES, El origene del Gothicus (Legionensis2), ibid., pp. 390-403; T. AYUSO MARAZUELA, La Bi-
blia Visigótica de San Isidoro de León, in « Estudios bíblicos », XIX (1960), pp. 5-24, 167-200 e
271-309, XX (1961), pp. 5-43; P. GALINDO, La Biblia de León de 960, in « Gesammelte Aufsätze
zur Kulturgeschichte Spaniens », XVI (1960), pp. 37-76; FISCHER, Algunas observaciones cit.; MIL-
LARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 367 n. 38; PÉREZ LLAMARES, El Gothicus (Legionensis)
cit.; J. WILLIAMS, The Bibles in Spain, in Imaging the Early Medieval Bible cit., pp. 179-218; CCV,
pp. 77-78 n. 96.

17

León, San Isidoro [perduto]: Bibbia; Ammonio, Evangelicae harmoniae; secolo IX-
X. La notizia dell’esistenza nel monastero di Oña di una Bibbia datata al 943, ma
priva del nome del copista, risale ad Ambrosio de Morales ed è riferita da Gómez
Moreno; dalla descrizione che ne aveva dato José María de Eguren risulta la presen-
za di una miniatura dell’Annunciazione, inserita in un cerchio, alla fine della gene-
alogia di Gesù. Alla fine del Vangelo di san Giovanni si leggeva: « Incipit proemium
sancti Peregrini episcopi » seguito dal prologo peregriniano alle Lettere di san Paolo.
Bibl.: TPE, p. 456 n. 63; J. TAILHAN, Les Bibliothèques espagnoles du haut Moyen Âge, Paris,
1877, p. 307; DE EGUREN, Memoria cit., p. 47; CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 36; GARCÍA
VILLADA, Paleografía española cit., p. 102 n. 51; GÓMEZ MORENO, Catalógo monumental cit., p. 160;
CCV, è. 78 n. 97.

18

Lleida, Archivo Catedral, Roda, 13: Bibbia (Dt, 16-18) + Lleida, Museo Diocesa-
no, s. n.: Bibbia (Dt, 15-19) (n. 19), secolo IX, Roda o Lleida. Un foglio, misure:
mm 255/270 × 195/213, a tre colonne. Secondo Millares Carlo il foglio faceva parte
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 157

originariamente della medesima Bibbia cui appartiene il frammento successivo. L’as-


segnazione a Roda è di Mundó. Non è chiaro a quale dei due frammenti si riferis-
se Robinson scrivendo « A single leaf, probably of a Bible. I saw this fragment, but
took no notes upon it ».
Bibl.: TPE, p. 457 n. 67; ROBINSON, Some Newly Discovered Fragments cit., p. 51; GARCÍA
VILLADA, Sobre paleografía y diplomática, in « Revista de filología española », XIV (1927), pp. 1-
19: p. 16 n. 5; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 367 n. 41; MUNDÓ, El Commicus
cit., p. 174; CCV, p. 80 n. 103 (tavola).

19

Lleida, Museo Diocesano, s. n.: Bibbia (Dt, 15-19) + Lleida, Archivo Catedral,
Roda, 13: Bibbia (Dt, 16-18) (n. 18), secolo IX, regione di Lérida o Roda. Un
foglio, misure: mm 255/270 × 195/213, a tre colonne. Secondo Millares Carlo, il
foglio faceva parte originariamente della medesima Bibbia cui appartiene il fram-
mento precedente. L’assegnazione alla « regione di Lérida » si deve a Mundó.
Bibl.: TPE3, p. 327 n. 94; ROBINSON, Some Newly Discovered Fragments cit., p. 51; MILLARES
CARLO, Nuevos estudios cit., p. 138; ID., Manuscritos visigóticos cit., p. 422 n. 206; MUNDÓ, El
Commicus cit., p. 174; CCV, p. 80 n. 104.

20

Logroño, Instituto de Estudios Riojanos (già presso la Biblioteca de don Pedro


Gonzáles), s. n.: Bibbia (II Tim, 3, 11 fino alla fine – Tit, eccetto l’ultimo versetto),
seconda metà del secolo X, San Martín de Albelda. Frammento di un foglio a due
colonne. Sul recto è una miniatura raffigurante un santo, forse san Paolo, con il
baculo in mano e in posizione benedicente.
Bibl.: TPE3, p. 328 n. 99; L. SÁNCHEZ BELDA, Aportaciones al «Corpus» de códices visigóticos,
in « Hispania », X (1950), pp. 435-48: 440-41 e tav. 1; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos
cit., p. 422 n. 207; CCV, pp. 80-81 n. 105 (tavola).

21

London, British Library, Additional 30851: Psalterium cum canticis, secolo X-XI,
Santo Domingo di Silos. Misure: mm 390 × 300, a due colonne. Fu acquistato dal
British Museum insieme con un gruppo di manoscritti tutti provenienti dal mona-
stero di Santo Domingo il 1 giugno 1878. Sono presenti numerosi neumi musicali
mozarabici (appartenenti al II periodo per Gregory Maria Suñol). I Salmi sono
preceduti da antifone con notazioni musicali e specifiche invocazioni. Ai ff. 164r-
202r sono alcuni offici per circostanze varie. Secondo Whitehill si tratta del codice
che più di ogni altro somiglia a quello di Nogent (ora a Paris: n. 43).
158 PAOLO CHERUBINI

Bibl.: VLH, pp. 358-59 n. 33; TPE, p. 458 n. 80; J. P. GILSON, The Mozarabic Psalter,
London, Henry Bradshaw Society, 1903; LOWE, Studia palaeographica cit., p. 77; CLARK, Collecta-
nea Hispanica cit., p. 38 n. 564; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 104 n. 68; G. M.
SUÑOL, Introduction à la paléographie musicale gregorienne, Paris, Desclée, 1935, p. 318 e tav. 97;
M. FEROTÍN, Histoire de l’Abbaye de Silos, Paris, E. Leroux, 1897, p. 276 n. 36; ID., Le Liber
mozarabicus sacramentorum et les manuscrits mozarabes, Paris, Librairie Firmin-Didot et C.ie, 1912
(réimpression de l’édition de 1912 et bibliographie générale de la liturgie hispanique, pre-
parée et presentée par A. WARD et C. JOHNSON, Roma, C. L. V. Edizioni liturgiche, 1995 [« Ephe-
merides Liturgicae ». Subsidia, 78 – Instrumenta liturgica Quarreriensia, 4]), coll. 870-80; W. M.
WHITEHILL, A Mozarabic Psalter from Santo Domingo de Silos, in « Speculum », IV (1929) pp. 461-
68: 464; H. SCHNEIDER, Die altlateinischen biblischen Cantica, in « Texten und Arbeiten », XXIX-
XXX (1938), pp. 126-58; L. BROU, Notes de paléographie musicale, II, in « Anuario Musical »,
VIII (1953), pp. 32-33 n. 1 e tav. VIII; ID., Études cit., p. 358; WHITEHILL, A Catalogue cit.,
pp. 100-02; ENCISO, El estudio bíblico cit., p. 305 n. 21; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos
cit., p. 371 n. 51; CCV, pp. 87-88 n. 115 (tavola).

22

Lucca, Archivio di Stato, ms. 517 + New York, Columbia University, Plimpton
Library, 27 (v. n. 40): Bibbia: a) Hbr, 1, 1-7, 4; b) Iac, 1, 19-5, 20 e 1 Pt, 1-7; c)
prologo di Ester ed Est, 1, 1-4, nonché Sap, 18, 1-2 e capitulationes di Ecclesiastico; d)
Lam, 4, 14-5, 22; prologo di Ezechiele ed Ez, 1, 1-10; secolo VIII-IX, Toledo o
Spagna meridionale (Cordova?). Quattro frammenti (due dei quali mutili), misure:
a) mm 295 × 281; b) 422 × 284; c) 400 × 262 (ma l’intero foglio misura mm
525 × 758); d) 519 × 365 (quel che resta dell’intero foglio), a tre colonne. Il primo
dei tre presenta una grande E illustrata in stile geometrico con una testa d’uccello
grande come tutta l’altezza della lettera. A favore dell’appartenenza dei frammenti
alla stessa Bibbia da cui proviene quello di New York, gioca, secondo Roger E.
Reynolds, il fatto che Georg Plimpton, donatore del secondo alla Biblioteca della
Columbia University nel 1936, proprio in quel periodo aveva rapporti con tal Giu-
seppe Martini di Lucca.
Bibl.: R. E. REYNOLDS, Visigothic-Script Remains of a Pandect Bible and the Collectio canonum
hispana in Lucca, in « Mediaeval Studies », LVIII (1996), pp. 305-11; CHERUBINI, La Bibbia di
Danila cit., p. 79 nota 9.

23

Madrid, Archivo Histórico Nacional, Códices, 836 (già 1044 B): Bibbia (Is, 5, 5-6,
13), seconda metà del secolo X. Frammento (parte superiore) di un foglio; misure:
mm 240 × 158, a tre colonne. Il sistema d’interpunzione – limitato ad un solo
segno, una sorta di comma sospeso sopra il rigo per qualsiasi tipo di pausa –
potrebbe essere originale. Una mano più recente è intervenuta con frequenti corre-
zioni.
Bibl.: TPE3, p. 332 n. 171; SÁNCHEZ BELDA, Aportaciones cit., pp. 444-45; MILLARES CARLO,
Manuscritos visigóticos cit., p. 425 n. 218; CCV, p. 90 n. 123.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 159

24

Madrid, Archivo Histórico Nacional, 1006 B (già 1277) + 1007 B: Psalterium et


al., secolo XI, San Millán de la Cogolla? Misure: mm 280 × 190, a una colonna.
Per Atilano Gonzáles Ruiz-Zorrilla il codice è tutto di una mano da collocare alla
metà del secolo XI (che scrive una visigotica « del precioso tipo litúrgico emilia-
nense », ma molte lettere sono state ritoccate nei secoli XII e XIII secondo l’uso
di San Millán de la Cogolla: Díaz y Díaz, p. 178), tranne le aggiunte che seguo-
no il Salterio. Díaz y Díaz pensa addirittura all’accorpamento di due distinti ma-
noscritti avvenuto in età antica. Molte le iniziali decorate, opera di un artista
romanico che risente dell’influsso mozarabo; alcune, poste nel margine, sono vere
e proprie miniature: ricordano molto lo stile del Diurno di Ferdinando I (n. 47)
con il quale il manoscritto condivide anche la maggior parte delle varianti. Su
questa base esso è stato considerato a sua volta ‘gemello’ del Libro d’ore di Donna
Sancha (n. 44). Il codice presenta alla fine una serie di orazioni liturgiche in gran
parte tratte dai Salmi stessi altre da testi patristici, raccolte da Prudenzio Galindo,
un autore francese (di Troyes) del secolo XI. Ciò permette di escludere, secondo
Louis Brou, che il codice provenga da una chiesa secolare che seguiva la liturgia
ufficiale, ancor più che esso appartenesse ad una chiesa cattedrale e conferma
anzi il legame, già provato a livello artistico, con la cultura transpirenaica del-
l’epoca. Dal punto di vista testuale il codice concorda, per Díaz y Díaz, con i
Salteri della regione leonese. Per motivi incomprensibili Millares Carlo assegnò in
un primo momento il manoscritto ai secoli IX-X, per poi correggersi in seguito
(secolo XI).
Bibl.: VLH, p. 358 n. 30; TPE, p. 461 nn. 124-25; M. FEROTÍN, Deux manuscrits wisi-
gothiques de la bibliothèque de Ferdinand I roi de Castille et de León, in « Bibliothèque de
l’École des Chartes », LXII (1901), pp. 374-83; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 126
n. 220; J. DOMÍNGUEZ BORDONA, Exposición de códices miniados españoles. Catálogo, Madrid,
Sociedad española de amigos del arte, 1929, p. 177 n. XX; ID., Manuscritos con pinturas
cit., p. 226 n. 400; ENCISO, El estudio bíblico cit., nn. 43-44; A. GONZÁLES RUIZ - ZORRILLA,
Oraciones « Pro remissione peccatorum» de un salterio español del siglo XI, in « Hispania Sacra »,
IX (1956), pp. 141-52; BROU, Études sur le Missel cit., p. 359; MILLARES CARLO, Manuscritos
visigóticos cit., p. 383 n. 89; DÍAZ Y DÍAZ, Libros y Librerías cit., pp. 178-79; CCV, p. 91 n. 126
(tavola).

25

Madrid, Archivo Histórico Nacional, 1452 B, 5-6 (già 1386, framm. 2; in prece-
denza Archivo Histórico Nacional, Burgos, Oña, Papeles, fasc. 274, 285 e 522): Evan-
gelium (Lc, 17, 28-19, 12), secolo XI, Oña. Frammenti di due fogli; misure: mm
320 × 215, a due colonne. Proviene dal monastero di Oña.
Bibl.: TPE, p. 461 n. 130; A. MILLARES CARLO, Contribución al « Corpus » de códices visigóticos,
Madrid, Tipografía de Archivos, 1931, pp. 199-200 e tav. XXXIII; SÁNCHEZ ALBELDA, Aportacio-
nes cit., p. 441 e tav. II; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 424 n. 213; CCV, p. 95
n. 132 (tavola).
160 PAOLO CHERUBINI

26

Madrid, Archivo Histórico Nacional, 1452 B, 21 (già 1386, framm. 8, in prece-


denza Archivo Histórico Nacional, Burgos, Oña, fasc. 186): Bibbia, secolo IX ex.-X in.,
Oña (?). Frammento di un foglio. Misure: mm 345 × 295, a tre colonne.
Bibl.: TPE3, p. 331 n. 165; SÁNCHEZ BELDA, Aportaciones cit., p. 444; MILLARES CARLO,
Manuscritos visigóticos cit., p. 425 n. 217; CCV, p. 96 n. 138.

27

Madrid, Biblioteca Nacional, Vitr. 13, 1 (già Pp. 15 e Toletanus 2.1): Bibbia,
secolo X, Andalusia. Misure: mm 430 × 320, a tre colonne. Si tratta del celebre
codice Toletano, detto anche Biblia Hispalensis, donato da Servando (vescovo di Astigi
nella Betica, tra Cordova e Siviglia, oggi Écija: Dominguez Bordona e Simonet; ma
di Siviglia nella sottoscrizione alla fine del codice: Lowe, p. 135) a Giovanni vesco-
vo di Cordova che a sua volta lo donò alla chiesa di Santa Maria di Siviglia il 23
dicembre 988; non si conoscono le cause che lo portarono a Toledo. Decorato
anche con figure umane, riflette il gusto tipico dell’arte mozarabo-andalusa eviden-
te, tra l’altro, nella fattura di un’aquila e di un toro simboli degli evangelisti Gio-
vanni e Luca affacciati nelle arcate moresche dei Canoni eusebiani; ma i ritratti
degli apostoli e di tre profeti Nahum, Zaccaria e Michea sono di fattura piuttosto
elementare; frequenti i disegni di uccelli e pesci spesso soltanto contornati a penna
e privi di colore. La sua datazione, inizialmente posta nell’VIII secolo (così ancora
in Clark e in Ewald - Loewe) fu corretta da Quentin alla fine IX – inizio X secolo
e, sulla base di motivi più solidi, da Lowe e Millares Carlo al X, vi si riconosce
l’opera di più copisti forse attivi in epoche leggermente diverse. Presenta numerose
note in visigotica corsiva, in ebraico e in arabo, queste ultime quasi sempre relative
alla realizzazione delle profezie nella persona di Gesù, ma una, tradotta da Simo-
net (p. 628), fa riferimento anch’essa alla donazione del codice alla chiesa mariana
di Siviglia; in arabo sono anche le lettere utilizzate per numerare i fascicoli di
seguito alla serie dell’alfabeto latino.
Bibl.: VLH, p. 352 n. 15; TPE, pp. 169-70, 459 n. 108 e tav. XXIII; E. DE TERREROS Y
PANDO, Paleografía española que contiene todos los modos conocidos, que ha habido de escribir en
España, desde su principio, y fundacion, hasta el presente, á fin de facilitar el registro de los archivos
y lectura de los manuscritos, y pertinencia de cada particular; juntamente con una historia sucinta del
idioma comun de Castilla, y demás lenguas, ó dialectos, que se conocen como proprios en esto reynos:
substituida en la obra del Expectaculo de la naturaleza, en vez la paleografía francese, Madrid, J.
Ibarra, 1758, n. 1 tav. XV; A. MERINO DE JESUCRISTO, Escuela de leer letras cursivas antiguas y
modernas, desde entrada de los godos en España hasta nuestros tiempos, Madrid, Don Francisco
Assensio y Mejorada, 1780, p. 55 e tav. V; DE EGUREN, Memoria cit., p. 44; J. MUÑOZ RIVERO,
Paleografía visigoda: método teórico-práctico para aprender a leer los codices y documentos españoles de
los siglos V al XII, Madrid, D. Jorro, 1881 (2a ediz. 1919), p. 15 nota 119 e tavv. VIII-IX,
XII-XIII; EWALD - LOEWE, Exempla scripturae cit., pp. 7-8 e tav. IX; LOEWE - HARTEL, Bibliotheca
cit., pp. 261-63; BERGER, Histoire de la Vulgate cit., pp. 12-14; FR. X. SIMONET, Historia de los
Mozárabes de España deducida de los mejores y mas auténticos testimonios de los escritores cristianos y
arabes, Madrid, Viuda y hiios de M. Tello, 1897-1903 (Memorias de la Real Academia de la
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 161

Historia, XIII), pp. 605-06, 627-28 e 640-41; LOWE, Studia palaeographica cit., p. 57 n. 4; D.
FERNÁNDEZ ZAPICO, Sobre la antigüedad del códice toledano de la Vulgata, in «Razón y Fe», XXXIX
(1914), pp. 362-71; M. GÓMEZ MORENO, Iglesias mozárabes. Arte español de los siglos IX a XI,
Madrid, Centro de estudios históricos, 1919, pp. 8 e 358; CLARK, Collectanea Hispanica cit.,
p. 45 nn. 613-14; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 112 n. 117; E. A. LOWE, On the
date of the Codex Toletanus, in « Revue bénédictine », n. s., XXXV (1923), pp. 267-71, rist. in
ID., Palaeographical Papers cit., I, pp. 135-38; Z. GARCÍA VILLADA, Nota a un artículo de Loewe
sobre la fecha del códice toletano de la Vulgata, in « Estudios Eclesiásticos », III (1924), pp. 324-25;
DOMÍNGUEZ BORDONA, Exposición cit., p. 169 n. 1 e tav. I; ID., La miniatura cit., p. 27 e tavv. 4a
e 5a; ID., Manuscritos con pinturas cit., I, p. 349 n. 875; ID., Miniatura cit., p. 20 e fig. 3;
BOVER, La Vulgata cit., pp. 38-40; A. MILLARES CARLO, A propósito del « Codex Hispalensis » de la
Biblia, in ID., Contribución cit., pp. 97-130 e tavv. XVI-XX; ID., Nuevos estudios cit., pp. 51-52
n. 1; M. DE LA TORRE y P. LONGÁS, Catálogo de códices latinos, I. Bíblicos, Madrid, Patronato de
la Biblioteca Nacional, 1935, pp. 1-2 n. 1; M. CHURRUCA, El influjo oriental en los temas icono-
gráficos de la miniatura española. Siglos X al XII, Madrid, Espasa-Calpe, 1939, p. 136; R. FER-
NÁNDEZ POUSA, Los manuscritos visigóticos de la Biblioteca Nacional de Madrid, in « Verdad y Vida »,
III (1945), pp. 376-423: 417-20 n. 27; DÍAZ Y DÍAZ, Index cit., p. 151 n. 614; FISCHER, Bibelaus-
gaben cit., pp. 70 c; CCV, pp. 99-100 n. 146 (tavola).

28

Madrid, Biblioteca Nacional, 7768 (già U. 47): Bibbia (I Mcc, 2, 23-27 e 42-46),
secolo XI ex., Castiglia. Frammento di un foglio; misure: mm 150 × 280, a due
colonne.
Bibl.: TPE, p. 459 n. 104; FERNÁNDEZ POUSA, Los manuscritos cit., p. 406 n. 21; MILLARES
CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 376 n. 72; DÍAZ Y DÍAZ, Codices visigóticos cit., p. 426
n. 153; SUPINO MARTINI, La scrittura cit., p. 113 nota 33; CCV, pp. 111-12 n. 162 (tavola).

29

Madrid, Biblioteca Nacional, 2 (A. 2) + Madrid, Colección Lázaro Galdeano (v.


n. 34): Bibbia (Gn-Ecl + Mc, 12, 24-15, 2), secolo XI ex., San Juan de la Peña.
Originariamente in due volumi; misure: mm 535 × 373, a tre colonne (inspiegabil-
mente De Bruyne, Lowe e Anderson danno le misure mm 420 × 250 per il primo
volume, e mm 435 × 250 per il frammento del secondo). La visigotica tarda di
questo manufatto tutta di un’unica mano (che Domínguez Bordona data dapprima
al X poi addirittura al XII secolo) presenta frequenti ingerenze caroline, come il
compendio di p(er) con segno abbreviativo perpendicolare all’asta e l’uso del riccio-
lo in esponente in -b(us) e q(ue). Da f. 150v (Salmi), poi, i titoli rubricati sono in
minuscola carolina contemporanea della visigotica del testo ed elementi carolini
sono sempre più frequenti anche nelle rubriche dei fogli successivi, in particolare
nelle genealogie, forse sempre della medesima mano. D’altronde il monastero di
San Juan de la Peña, cui il manoscritto appartenne, è nella regione pirenaica; una
nota del secolo XVII ricorda l’incendio che esso subì il 17 novembre 1494 con
distruzione dell’antica torre e danno di gran parte della biblioteca, da cui si salvò
162 PAOLO CHERUBINI

questo codice, l’unico aragonese superstite in visigotica, il solo spagnolo di questo


periodo e il migliore di tutta l’area iberica da un punto di vista testuale (Ayuso
Marazuela). Alla mano che scrive il testo vanno assegnate anche alcune note margi-
nali (in massima parte spiegazioni dei nomi ebraici, secondo l’uso di Girolamo),
mentre una seconda mano del secolo XV-XVI aggiunge altre note e forse i titoli
correnti nel margine superiore. Dal punto di vista illustrativo si nota una differenza
tra le genealogie all’inizio del codice, in perfetto stile mozarabo, e il resto del
manoscritto che presenta lettere iniziali decorate in stile romanico, ma ciò pare
normale in questo periodo a San Juan de la Peña. La presenza delle genealogie
lascerebbe pensare a una dipendenza del codice dalla Bibbia di San Isidoro o da
una simile; l’ordine dei libri è invece quello del Cavense (Ayuso Marazuela). La
data all’XI secolo sembra confermata da una serie di documenti del monastero
(degli anni 1042, 1046, 1052, 1087, 1089 e via dicendo) che presentano una grafia
pressoché identica a quella del manoscritto; per De La Torre – Longás è dell’inizio
del secolo.
Bibl.: VLH, pp. 357-58 n. 28; TPE, pp. 458-59 n. 93; BERGER, Histoire de la Vulgate cit.,
pp. 20 e 391; LOWE, Studia palaeographica cit., p. 95; CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 45 n.
618; D. DE BRUYNE, E. A. LOWE e W. J. ANDERSON, Nouvelle liste de membra disiecta, in « Revue
bénédictine », n. s., XLIII (1931), pp. 101-05: 102-03; LOWE, Studia Palaeographica cit., p. 74 n.
95; M. GÓMEZ MORENO, El arte románico español. Esquema de un libro, Madrid, Centro de estu-
dios históricos, 1934, p. 21 e tav. XVI; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 112 n. 120;
DOMÍNGUEZ BORDONA, Exposición cit., p. 178-180 n. XXVI; ID., Manuscritos con picturas cit., pp.
227-28 n. 401 e figg. 211-12; ID., Miniatura cit., p. 70 e figg. 65-68; MILLARES CARLO, Nuevos
manuscritos visigóticos, in Contribución cit., p. 135; DE LA TORRE - LONGÁS, Catálogo cit., pp. 12-
17 n. 2; FERNÁNDEZ POUSA, Los manuscritos cit., pp. 47-48 n. 29; R. PAZ REMOLAR y L. J. LÓPEZ
DE TORO, Inventario general de manuscritos de la Biblioteca Nacional, I, Madrid, Ministerio de
Educación Nacional. Dirección General de Archivos y Bibliotecas. Servicio de Publicaciones,
1953, pp. 1-2 n. 2; AYUSO MARAZUELA, La Biblia de San Juan de la Peña cit.; CHURRUCA, El
influjo oriental cit., p. 136; SUPINO MARTINI, La scrittura cit., p. 113 nota 35; CCV, pp. 102-03
n. 151 (tavola).

30

Madrid, Biblioteca Nacional, 10001 (già Vitr. 5, 1, Hh. 69 e Toletanus 35.1) [I]:
Psalterium, Cantica et Hymni, secolo IX-X, Toledo o Aragona? Misure: mm 330/
360 × 255/270, a due colonne. Nel prologo si legge l’acrostico « Mauricius obtante
Veraniano edidit » e a f. 150r si trova scritto, nella col. A all’interno dell’iniziale
della parola « Lauda », « Abudantius presbiter librum », cui segue nella colonna B
presso la parola « Laudate »: « Mauro presbytero scriptor ». Ogni salmo è preceduto
da una breve antifona in visigotica di formato minore con notazioni musicali. Al
Salterio seguono settantasette cantici (Whitehill) e gli inni preceduti da un Prologus
innorum. Quest’ultimo è accompagnato da notazioni marginali del secolo XIV intese
ad illustrare il modo di cantare determinati inni; queste note, molto simili ad altre
analoghe presenti su manoscritti liturgici toletani, sono un’importante testimonianza
dell’uso della liturgia mozaraba nell’antica capitale del Regno ancora alla fine del
medioevo. Questo fenomeno, accanto al caratteristico aspetto della scrittura, asse-
gnano senza grandi dubbi il manoscritto a Toledo, nonostante che, a giudizio di
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 163

Brou (il quale lo riteneva d’origine monastica), la notazione musicale non sia quella
qui in uso di norma; si tratta invece esattamente di notazione mozarabica per
Whitehill. Inconsistente la localizzazione aragonese avanzata da Díaz y Díaz. Sono
presenti note, oggi molto sbiadite, in arabo, in visigotica dei secoli XII e XIII, in
gotica e in minuscola notarile del secolo XIV. Loewe - Hartel datarono il manoscrit-
to al IX secolo nella raccolta di facsimili, a IX-X nella Bibliotheca, al IX lo data
anche Mundó; Clark si sbilanciò per il X, e con lui Millares Carlo (che in un
primo momento aveva accettato i secoli IX-X). José Janini e José Serrano hanno
azzardato addirittura il secolo XI, da una parte, in considerazione della presenza di
alcune a caroline e iniziali di gusto carolingio, e dall’altra per la somiglianza della
decorazione con quella dei codici Toletani 35.3 e 35.7 che sono del secolo XII. La
datazione più convincente resta quella proposta dal Lowe al IX-X secolo, basata
sull’assenza di distinzione nei segni che esprimono i suoni duro e sibilato di ti, ma
sulla presenza regolare di I alta e quella occasionale di I alta biforcuta. Non pre-
senta illustrazioni con figura, ma all’inizio del primo cantico è stato lasciato lo
spazio per illustrare il Dominus de Sina venit.
Bibl.: VLH, p. 358 n. 29; TPE, p. 460 n. 117; DE EGUREN, Memoria cit., p. 48; J. F.
RIAÑO, Critical and bibliografical notes on early spanish music, London, B. Quaritch, 1887 (rist.
New York, Da Capo Press, 1971) , fig. 4; EWALD - LOEWE, Exempla scripturae cit., p. 21 e tav.
XVIIa; LOEWE - HARTEL, Bibliotheca cit., p. 296-97; LOWE, Studia palaeographica cit., p. 66 n. 47;
FEROTÍN, Le Liber Mozarabicus cit., coll. 686-88; CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 46 n. 624 e
fig. 22; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 113 n. 126; WHITEHILL, A Mozarabic Psalter
cit., p. 464; C. ROJO y G. PRADO, El canto mozárabe. Estudio histórico-crítico de su antigüedad y
estado actual, Barcelona, Diputación provincial de Barcelona, 1929, p. 18 n. 1; DOMÍNGUEZ
BORDONA, Manuscritos con pinturas cit., pp. 288-89 n. 671 e fig. 251; A. MILLARES CARLO, Los
códices visigóticos de la Catedral toledana. Cuestiones cronológicas y de procedencia, Madrid 1935,
pp. 31-32 n. 20; ID., Nuevos estudios cit., pp. 66-68 n. 20; BROU, Études sur le Missel cit.,
pp. 360-64; G. M. SUÑOL, Introduction à la paléographie musicale gregorienne, Paris, Desclées, 1935,
pp. 312-352; WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 97-100; J. ENCISO DE VIANA, El estudio bíblico de
los códices litúrgicos mozárabes, in « Estudios bíblicos », I (1942), pp. 291-313: 296 nota 14, e
307 n. 39; J. ENCISO, El autor del prólogo en verso de los himnos mozárabes, in « Revista Española
de teología », III (1943), pp. 485-92; FERNANDEZ POUSA, Los manuscritos cit., pp. 12-13 n. 9; H.
ANGLÈS y J. SUBIRÁ, Catálogo Musical de la Biblioteca Nacional de Madrid, I, Barcelona, Consejo
Superior de Investigaciones científicas. Instituto español de Musicología, 1946, pp. 1-2 n. 1;
MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., pp. 379-81 n. 84; A. M. MUNDÓ, La datación de los
códices liturgicos visigóticos toledanos, in « Hispania Sacra », XVIII/35 (1965), pp. 1-25: 14; C.
WARING BROCKETT JR., Antiphons, responsories and other chants of the mozarabic rite, New York,
Institute of mediaeval music, 1968, pp. 38-41 n. 15 e tavv. IV e XXIV; Manuscritos litúrgicos de
la Biblioteca Nacional. Catalogo, por J. JANINI y J. SERRANO, con la collaboración de A. M. MUNDÓ,
Madrid, Dirección General de Archivos y Bibliotecas, 1969, pp. 120-23 n. 97; CCV, pp. 112-
13 n. 163/I (tavola).

31

Madrid, Real Academia de la Historia, Aemilianensis 20 (già F. 186): Bibbia (Sal-


mi, Profeti, I-II Maccabei, Nuovo Testamento), secolo IX-X, San Millán de la Cogolla.
In origine certamente una Bibbia completa; misure: mm 330 × 280, a due colonne.
La sottoscrizione di Quisio, che a f. 144r, col. A (dopo i Maccabei) dichiara di aver
164 PAOLO CHERUBINI

scritto il codice in San Millán nell’anno 662, è chiaramente copiata dall’originale.


L’illustrazione ricorda molto quella della Bibbia della cattedrale di León del 920 ma
i simboli degli evangelisti appaiono qui di gusto meno naïf. Loewe e Hartel data-
rono il manoscritto all’VIII secolo; Domínguez Bordona, Ewald, Berger e Fischer al
X; Díaz y Díaz all’inizio del X; Pérez Pastor addirittura al VII. Lowe propose i
secoli IX-X, avendo registrato nella prima parte del codice la distinzione per il
suono di ti, che manca invece nella seconda; è regolare l’uso di I alta. Accanto ai
Salmi vi sono frequentissime note esegetiche spesso accompagnate dalla formula
« ex Graeco », che – come si è visto – rinvia di solito a Girolamo e al Salterio
cosiddetto gallicano. Ewald – Loewe segnalano la presenza di una nota marginale
in arabo che Jules Talham intepretò: « Qui legis, ora pro me »; non è certo, però,
che la citazione (riferita in seguito anche da Gómez Moreno, che per questo ritie-
ne il codice andaluso) sia relativa a questo codice e non invece all’Aemil. 22. Me-
nendez Pidal aveva ipotizzato che esso fosse originario di León, ma la provenienza
da San Millán – forse con influssi toletani o meridionali o forse perfino scritto in
Aragona da un mozarabo emigrato – sembra confermata dalla presenza di una
cronotassi degli abati di questo monastero alla fine del manoscritto.
Bibl.: VLH, p. 356 n. 24; TPE, p. 462 n. 143; MUÑOZ RIVERO, Paleografía visigoda cit., tav.
X; EWALD - LOEWE, Exempla scripturae cit., pp. 19-20 e tav. XXV; LOEWE - HARTEL, Bibliotheca
cit., pp. 500-501 n. 22; C. PÉREZ PASTOR, Índices de los códices de San Millán de la Cogolla y San
Pedro de Cardeña existentes en la Biblioteca de la Real Academia de la Historia, Madrid, De Forta-
net, 1908, pp. 20-21 n. XX; BERGER, Histoire de la Vulgate cit., p. 16-17; LOWE, Studia palaeo-
graphica cit., p. 50 n. 45; CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 41 n. 586; GARCÍA VILLADA,
Paleografía española cit., pp. 106-07 n. 82; DOMÍNGUEZ BORDONA, Exposición cit., p. 175 tav. XIV;
ID., Manuscritos con pinturas cit., pp. 206-7 n. 351; ID., Miniatura cit., p. 27 fig. 9; ID., Diccio-
nario de iluminadores españoles, in « Boletín de la Real Academia de la Historia », CXL (1957),
pp. 49-170: 141-42; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., 394 n. 96; CHURRUCO, El influjo
cit., tav. XXV; FISCHER, Bibelausgaben cit., pp. 71-72 d; DÍAZ Y DÍAZ, Libros y Librerias cit.,
pp. 223-37 e tav. 23; CCV, pp. 126-27 n. 171 (tavole).

32

Madrid, Real Academia de la Historia, Aemilianensis 64 bis (già F. 209): Psalte-


rium cum canticis, secolo X, San Millán de la Cogolla. Incompleto dell’inizio e della
fine, forse a causa del grande utilizzo; misure: mm 310 × 210, a una colonna. A
parte Domínguez Bordona che l’assegna all’XI secolo, gli studiosi sono concordi
nel ritenerlo del X, forse superata la metà, per via della presenza regolare di I
alta e di segni differenti per i diversi suoni di ti. A f. 82r una porzione mancante
di testo, corrispondente ad un foglio perduto, è stata reintegrata in scrittura caro-
lina. In linea generale la decorazione è mozarabica di tipo nastriforme, ma in
alcuni casi essa manca e sono rimasti spazi in bianco, in altri questi ultimi sono
stati riempiti con decorazioni di stile romanico. A f. 18r è un’illustrazione raffigu-
rante ‘san Giorgio e il drago’ e a f. 38r è un’altra figura di santo. Il Salterio è di
tipo monastico e presenta frequenti indicazioni per il canto liturgico. A conferma
della provenienza da San Millán Díaz y Díaz ha notato la stessa tecnica di prepa-
razione della pergamena in uso nel monastero aragonese.
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 165

Bibl.: TPE, p. 464 n. 167; LOEWE – HARTEL, Bibliotheca cit., p. 513; PÉREZ PASTOR, Índice
cit., pp. 43-44 n. LXIV bis; CLARK, Collectanea Hispanica cit., pp. 43 n. 603, 210 e fig. 53;
GÓMEZ MORENO, El arte románico cit., p. 21 tav. XIV; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p.
110 n. 105; DOMÍNGUEZ BORDONA, Manoscritos con pinturas cit., pp. 214 e 216 n. 371 e fig.
203; ENCISO, El estudio bíblico cit., p. 307 n. 32; WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 105-07; BROU,
Études sur le Missel cit., p. 358; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 398 n. 108; DÍAZ
Y DÍAZ, Libros y Librerías cit., pp. 190-191 e tav. 16; CCV, p. 138 n. 205 (tavola).

33

Madrid, Real Academia de la Historia, Aemilianensis 64 ter (già F. 215) [II]:


Psalterium cum canticis, secolo X ex, San Millán de la Cogolla (?). Frammento incom-
pleto alla fine; misure: mm 315 × 205, ad una colonna. Si tratta di un Salterio
monastico con l’aggiunta dei cantici biblici preceduti dal Prologo di Isidoro. Sobria-
mente illustrato presenta, oltre a poche iniziali colorate, l’Ascensione del Cristo
(Domínguez Bordona) seduto in una mandorla e attorniato da montagne o la glo-
ria di Dio nel Sinai (Díaz y Díaz), ed altre poche figure: un santo a f. 19r, un
soldato a f. 26v, un mostro a f. 34v. Nella prima parte del codice, ai ff. 1-7, sono
stati copiati in carolina alcuni testi oggi non più del tutto riconoscibili a causa
della mutilazione del codice. La datazione oscilla tra il secolo X, verso la fine
(García Villada, Millares Carlo, Ayuso Marazuela e Díaz y Díaz), e l’XI (Loewe e
Hartel, Domínguez Bordona e Whitehill). Díaz y Díaz non è certo che si tratti di
un prodotto dello scrittorio di San Millán, ma osserva una serie di correzioni po-
steriori nello stile emilianense.
Bibl.: VLH, p. 358 n. 32; TPE, p. 464 n. 168; LOEWE - HARTEL, Bibliotheca cit., pp. 516-
17 n. 50; PÉREZ PASTOR, Índice cit., p. 44 n. LXVI ter; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit.,
p. 110 n. 106; DOMÍNGUEZ BORDONA, Manoscritos con pinturas cit., pp. 214 e 217 n. 372 e fig.
204; ENCISO, El estudio bíblico cit., p. 307 n. 33; WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 107-09; BROU,
Études sur le Missel cit., p. 358; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 398 n. 109; DÍAZ
Y DÍAZ, Libros y Librerías cit., pp. 196-98 e 233-35; CCV, p. 138 n. 206/II (tavole).

34

Madrid, Colección Lázaro Galdeano + Madrid, Biblioteca Nacional, 2 (già A. 2)


(n. 29): Bibbia (Gn-Ecl + Mc, 12, 24-15, 2), secolo XI ex., San Juan de la Peña.
Bibl.: vedi n. 29.

35

Madrid, Universidad Complutense, 31: Bibbia, secolo IX-X, Toledo o Andalusia


(prima Bibbia di Alcalà). Il codice si può leggere oggi unicamente nella riproduzione
eseguita dai Benedettini di San Girolamo di Roma, essendo stato irreparabilmente
166 PAOLO CHERUBINI

danneggiato durante la guerra civile del 1936-39. Misure: mm 495 × 360, a tre
colonne. D’origine toletana o cordovese (Mundó), il codice è datato al IX secolo da
Lowe, al confine tra IX e X da Berger e Mundó, al X ma prima del 927 da
García Villada, da Canellas dopo quella data e in Andalusia, semplicemente al X
da Fischer. Il sistema di punteggiatura adottato consta di due segni, un punto
sormontato da una virgula per il punto fermo e la distinctio media (·) per la pausa
breve. Molte le note marginali, in visigotica, in gotica e in arabo. De Bruyne, che
pure data il manoscritto al IX secolo, ha individuato ben duecento sedici note
liturgiche apposte da una mano contemporanea, che costituiscono un quadro com-
pleto delle letture dell’intero ciclo liturgico, sebbene non sempre in consonanza con
il liber commicus; esse non compaiono mai nei Vangeli, perché per questi ultimi ci si
serviva evidentemente di un altro libro sul tipo del capitulare evangeliorum carolin-
gio. Proviene dal Collegio di San Ildefonso di Alcalà di Henares e fu portato
all’Università Complutense dal cardinale Francisco Jímenez de Cisneros de Toledo
(1437-1517).
Bibl.: VLH, pp. 352-53 n. 17; TPE, p. 461 n. 132; MERINO DE JESUCRISTO, Escuela cit.,
n. 1 e tav. VI; VILLAAMIL Y CASTRO, Catálogo de Manuscritos existentes en la Biblioteca de la
Universidad Central, I. Códices, Madrid 1878, n. 31; BERGER, Histoire de la Vulgate cit., p. 22-23;
D. DE BRUYNE, Un sistème de lectures de la liturgie mozarabe, in « Revue bénédictine », XXXIV
(1922), pp. 147-58: 147 nota 1; LOWE, Studia Palaeographica cit., p. 46 n. 20; CLARK, Collecta-
nea Hispanica cit., p. 48 n. 635; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 115 n. 136; MILLA-
RES CARLO, Contribución cit., pp. 29-30 e tav. V; DOMÍNGUEZ BORDONA, Manuscritos con pinturas
cit., I, p. 493 n. 1166; R. MIQUÉLEZ y P. MARTÍNEZ, El códice Complutense o la primera Biblia
visigótica de Alcalá, in « Anales de la Universidad de Madrid », IV (1935), pp. 204-19; MILLARES
CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 383 n. 90; FISCHER, Bibelausgaben cit., p. 72 e; CANELLAS,
Exempla scripturarum Latinarum cit., pp. 41-42 n. XV, 147-48 e tav. XV; BOGAERT, La version
latine cit.; CCV, p. 146 n. 214 (tavola).

36

Madrid, Universidad Complutense, 32: Bibbia, secolo IX-X, forse Andalusia (se-
conda Bibbia di Alcalà). Completamente distrutto durante la guerra civile del 1936-
39, ne esiste una copia fotografica eseguita dai Benedettini di San Girolamo di
Roma. Misure: mm 511 × 380, a tre colonne. La decorazione, di stile mozarabico, è
alquanto sobria: lettere nastriformi con elementi fitomorfi e zoomorfi all’inizio di
ciascun libro (che ricordano analoghi motivi ornamentali del Cavense: Berger), sim-
boli dei quattro evangelisti collocati sopra le iniziali dei rispettivi Vangeli; Canoni
con archi e allegorie degli evangelisti. Come il precedente, anche il Complutensis2 è
del IX secolo per Lowe, al passaggio tra IX e X per Berger, Clark e Ayuso Ma-
razuela, del secolo X per Domínguez Bordona (della prima metà per Bermejo),
dell’XI per De Eguren.
Bibl.: VLH, p. 358 n. 18; TPE, p. 461 n. 133; MERINO DE JESUCRISTO, Escuela cit., n. 2
tav. VI; DE EGUREN, Memoria cit., p. 18; VILLAAMIL Y CASTRO, Catálogo cit., n. 32; BERGER,
Histoire de la Vulgate cit., pp. 15-16; LOWE, Studia Palaeographica cit., p. 47 n. 26; CLARK,
Collectanea Hispanica cit., p. 48 n. 636; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 115 n. 137;
DOMÍNGUEZ BORDONA, Manuscritos con pinturas cit., I, pp. 493-94 n. 1167 e fig. 415; M. T.
BERMEJO, La segunda Biblia visigótica de Alcalá, in « Boletín de Bibliotecas y Bibliografía », II
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 167

(1935), pp. 63-84; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 383 n. 91; MUNDÓ, El Commi-
cus cit., p. 155; CCV, p. 146 n. 215 (tavola).

37

München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 6.230 + München, Bayerische Staats-


bibliothek, Clm 6436, ff. 2-18, 22-23, 24, 25-30 e 33-35 (n. 38) + München, Uni-
versitätsbibliothek, 4° 928 (n. 39) + Göttweig, s. n. (n. 10) (C. L. A. IX, 1286a-b;
X**, 1286a): Epistole di san Paolo ed epistole cattoliche (versione antegeronimiana), se-
conda metà del secolo VI – prima metà del VII. 2 fogli. Misure: mm 225 × 175, ad
una colonna.

38

München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 6436, ff. 2-18, 22-23, 24, 25-30 e
33-35 + München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 6230 (n. 37) + München, Uni-
versitätsbibliothek, 4° 928 (n. 39) + Göttweig, s. n. (n. 10) (C. L. A. IX, 1286a-b;
X**, 1286a): Epistole di san Paolo ed epistole cattoliche (versione antegeronimiana), se-
conda metà del secolo VI – prima metà del VII. 25 fogli. Misure: mm 260 × 175
circa, a una colonna.

39

München, Universitätsbibliothek, 4° 928 + München, Bayerische Staatsbibliothek,


Clm 6436, ff. 2-18, 22-23, 24, 25-30 e 33-35 (n. 38) + München, Bayerische Staats-
bibliothek, Clm 6230 (n. 37) + Göttweig, s. n. (n. 10) (C. L. A. IX, 1286a-b; X**,
1286a): Epistole di san Paolo ed epistole cattoliche (versione antegeronimiana), seconda
metà del secolo VI – prima metà del VII. 2 fogli. Misure: mm 225 × 175, a una
colonna.

40

New York, Columbia University, Plimpton Library, 27 (C. L. A. XI, 1654) + Luc-
ca, Archivio di Stato (v. n. 22): Bibbia (Ios, 21, 31-22, 33), secolo VIII-IX. Misure:
mm 440 × 320, a tre colonne. Secondo Lowe fu prodotto nel medesimo scriptorium
del Toletano (cfr. n. 27); per Mundó « de origen desconocido »; per Millares Carlo e
i compilatori del Corpus de códices visigóticos è cordovese. García Villada e Mundó lo
datano al IX secolo.
Bibl.: TPE, p. 466 n. 187; D. DE BRUYNE, Manuscrits wisigothiques, in « Revue bénédicti-
ne », n. s., XXXVI (1924), pp. 5-20: 7 n. 2; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 17 n.
168 PAOLO CHERUBINI

17; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 393 n. 118; MUNDÓ, El Commicus cit., p. 177;
REYNOLDS, Visigothic-Script Remains cit., pp. 308-309 (con ulteriore bibliografia alla nota 6);
CCV, p. 152 n. 231 (tavola).

41

Orense, Archivo Capitular, ms. 44: Bibbia (Ez, 30, 18-33, 2), secolo XI. Un
foglio mutilo della parte superiore; misure: mm 365 × 200/240, a tre colonne.
Bibl.: TPE3, p. 335 n. 232; E. DURE PEÑA, Los códices de la Catedral de Orense, in « Hispa-
nia Sacra », XIV (1961), pp. 185-212: 211-11; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 428
n. 226; CCV, p. 153 n. 235 (tavola).

42

Paris, Archives Nationales, AB XIX, 1729-30: “Haute-Garonne”, Arch. Départ.


De Toulouse + Toulouse, Bibliothèque Municipale, 33 (v. n. 50): Bibbia (Ecl), secolo
IX (o VIII-IX), Tolosa (?). Un foglio; misure: mm 327 × 226, a due colonne. Ayuso
Marazuela sposta la datazione al X secolo.
Bibl.: VLH, p. 361 n. 45; TPE3, pp. 338 n. 272, e 472 n. 270; DOUAIS, Une ancienne
version latine; MUNDÓ, El Commicus cit., pp. 159 nota 15, e 176; CCV, p. 154 n. 237.

43

Paris, Bibliothèque Nationale de France, Smith Lesouëf, 2 I-II: Psalterium et Liber


canticorum, secolo XI, Santo Domingo do Silos. Composto da due differenti Salteri
non proprio contemporanei pur appartenendo al medesimo secolo, uniti già in
epoca antica a giudicare dalla legatura. I. Mutilo all’inizio; misure: mm 300 × 190,
ad una colonna, contiene i Salmi a cominciare dal v. 6 di Ps 21 + i Cantici fino al
dodicesimo. II. Mutilo anch’esso; misure: mm 290 × 210, ad una colonna, inizia dal
v. 11 di Ps 65 e contiene il resto del Salterio + i Cantici fino al settantacinquesimo.
Si tratta di un Salterio monastico (Brou) proveniente con ogni probabilità da Santo
Domingo do Silos (Whitehill). Faceva parte del gruppo di manoscritti (55) prove-
nienti da questo monastero e venduti nel 1878 a blocchi: 22 alla Bibliothèque
Nationale di Paris, 13 al British Museum di London e 20 a collezionisti privati
Bibl.: VLH, p. 359 n. 34; TPE, p. 466 n. 185; DE BRUYNE, Manuscrits cit., n. 7; GARCÍA
VILLADA, Sobre paleografía cit., p. 17 n. 19; ENCISO, El estudio bíblico cit., p. 308 n. 46; WHI-
TEHILL, A Mozarabic Psalter cit., pp. 461-68; V. LEROQUAIS, Les Psautiers manuscrits latins des
bibliothèques publiques de France, Macon, Protat Frères, 1940-41, II, pp. 323-24 n. 494; BROU,
Études sur le Missel cit., p. 358; WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 102-05; MILLARES CARLO,
Manuscritos visigóticos cit., p. 392 n. 116; Manuscrits enluminés de la Peninsule Ibérique, par F.
AVRIL, J.-P. ANIEL, M. MENTRÉ, A. SAULNIER, Y. ZAkUSCA, Paris, Bibliothèque Nationale, 1982, pp.
26-27 nn. 33-34, tavv. XI-XII e A; CCV, pp. 171-72 n. 270 (tavola).
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 169

44

Salamanca, Biblioteca Universitaria, ms. 2668 (già Madrid, Biblioteca Real, 329
[2 J 15]): Liber canticorum de doña Sancha, secolo XI (anno 1059), forse León. Misu-
re: mm 214/215 × 130/141, ad una colonna. La scrittura è regolare, ma non regge
il confronto con quella del diurno di Fernando I (n. 47); è opera di « Christoforus
indignus » che si sottoscrive a f. 158v. Contiene solo i cantici e non il Salterio. Ogni
cantico inizia con una lettera decorata. Forse scritto nella regione di León, dalla
regina Sancha passò alla figlia Urraca; nel XIV secolo era nella Biblioteca di Santa
Maria di Aniago da dove passò al Collegio Maggiore di Cuenca a Salamanca.
Bibl.: VLH, pp. 359-400 n. 38; TPE, p. 461 n. 134; RIAÑO, Critical and bibliografical notes
cit., pp. 27-28; LOEWE - HARTEL, Bibliotheca cit. p. 474 e fig. 5; EWALD - LOEWE, Exempla
scripturae cit., p. 25 e tav. XXXII; FEROTÍN, Histoire cit., p. 262 nota 2; ID., Le Liber Mozarabi-
cus cit., coll. 925-30; ID., Deux manuscrits wisigothiques cit., pp. 374-84; LOWE, Studia palaeo-
graphica cit., p. 93; ENCISO, El estudio bíblico cit., p. 308 n. 45; CLARK, Collectanea Hispanica cit.,
n. 633; BROU, Études sur le Missel cit., p. 358; WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 116-21; GÓMEZ
MORENO, El arte románico cit., p. 19; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 115 n. 135;
ROJO y PRADO, El canto mozárabe cit., fig. 9; DOMÍNGUEZ BORDONA, Manuscritos con pinturas, II,
p. 395 n. 1138; ID., Diccionario cit., p. 91; ID., Exposición cit., pp. 67-69 n. 104; J. PINELL,
Fragmentos de códices del antiguo rito hispano, in « Hispania Sacra », XVII (1964), pp. 195-229:
201; BROCKETT, Antiphons cit., pp. 51-53; CCV, pp. 174-75 n. 280 (tavola).

45

Salamanca, Hermandad de Sacerdotes Operarios Diocesanos + Silos, Archivo del


Monasterio, framm. 19: Bibbia (Lc, 26, 27 – Io, 21, 25, i Prologhi relativi e i testimo-
nia biblici del quarto Vangelo nel frammento più consistente; brani delle epistole di s.
Paolo in un foglio sciolto), secolo X (quarto o quinto decennio), San Pedro de
Valeránica. Undici fogli + uno; misure: mm 485 × 350 (i primi) e 480 × 310 (il se-
condo), a due colonne. Nel 1911 i primi si trovavano a S. Anselmo a Roma dove
li vide Charles Upson Clark grazie all’intervento del cardinale Gasquet (ma Ayuso
Marazuela e Millares Carlo sospettano che egli non vide mai il manoscritto e ne
ebbe notizia soltanto da un appunto di Lowe); era di nuovo in Spagna nel 1940,
quando fu esposto in occasione della Semána Bíblica Española. Secondo Ayuso
Marazuela (che pure riconosce nei frammenti ben sei mani differenti) il manoscrit-
to va identificato con la Bibbia di Oña copiata da Florencio a Valeránica nell’anno
953. Presenta lettere iniziali riempite d’inchiostro e colore, frequenti richiami a
concordanze bibliche; sono rare invece le vere e proprie note marginali, forse ve
ne sono una a f. IVr, col. B, r. 10, oggi resa quasi illeggibile dalla rifilatura, e
un’altra a f. VIr, col. B, quart’ultimo rigo. Una mano recente ha aggiunto la capi-
tolazione moderna nei margini e nell’intercolumnio. La punteggiatura consta di tre
segni dovuti alla mano principale: punto in alto per la subdistinctio, punto a metà
altezza per la media distinctio e punto seguito da comma posto in basso o a metà
altezza per la distinctio, che è sempre seguita da littera notabilior. Forse dovuti ad
altra mano sono un segno ondulato posto in alto con valore di punto d’interroga-
zione, la virgula suspensiva con valore non regolare (talora usato come accento) e il
170 PAOLO CHERUBINI

segno paragrafale in forma di gamma capitolare sempre vergato in inchiostro rosso.


Tra i vari lettori e correttori che intervengono sul testo vi è anche una mano
francese del XIII secolo. Lowe e Clark datano il manoscritto al X o XI secolo;
Whitehill, Pérez de Urbel e Millares Carlo pensano senz’altro all’XI. Ayuso Ma-
razuela evidenzia le grandi affinità che questi fogli presentano con il Beato di Flo-
rencio e in genere con i codici di Valeránica, il particolare con la Bibbia di San
Isidoro di León (n. 16) al quale è legato anche da grandissima somiglianza nel
testo. Per il teologo spagnolo la datazione è motivata dalle date dell’attività di
Florencio, vissuto tra il 920 e poco dopo il 978, data del testamento di García
Fernandez da lui sottoscritto, in particolare dalla data del Legionense che è il 960;
tutti elementi che concordano con un documento secondo il quale Florencio scrisse
nello scriptorium di Valeránica una Bibbia nel 953 e questa Bibbia si conservò nella
Biblioteca di Oña per alcuni secoli. Díaz y Díaz ritiene invece che esso vada asse-
gnato al monastero castigliano di San Salvador e agli anni 942-943; una nota
manoscritta di Gómez Moreno sul foglio rinvenuto più di recente lo assegna invece
all’anno 914.
Bibl.: VLH, p. 354 n. 20; TPE, p. 470 n. 246; CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 56
n. 679; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., p. 121 n. 178; W. M. WHITEHILL JR. y J. PÉREZ
DE URBEL, Los manuscritos del Real Monasterio de Santo Domingo do Silos, in « Boletín de la Real
Academia de la Historia », XCV (1929), pp. 521-601: tavv. X-XI; PÉREZ DE URBEL, Cardeña y sus
escribas cit., p. 236; A. DE ANDRÉS, Oña. Fragmento de la Biblia visigoda del s. X, « Boletín de la
Comisión Provincial de Monumentos Históricos y Artísticos de Burgos », XX (1941), pp. 575-
81; AYUSO MARAZUELA, La Biblia de Oña cit.; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., pp. 406-
07 n. 153; CCV, p. 175 n. 281 (tavola).

46

Santa Eulalia de Valdeón, Archivo Parroquial, s. n.: Bibbia (Lv), forse seconda
metà del secolo X. Un foglio. Misure: mm 292/338 × 321, a tre colonne. Ritrovato
nell’archivio parrocchiale del piccolo centro situato al confine tra Asturie e León, a
circa 50 km da San Toribio di Liébana, era stato utilizzato come coperta per un
registro di conti del secolo XVIII.
Bibl.: M. J. FUENTES, E. E. RODRÍGUEZ DÍAZ, Un nuevo fragmento de biblia visigótica a tres
columnas. Estudio paleográfico y codicológico, in Actas del VIII coloquio cit., pp. 211-220; CHERUBINI,
La Bibbia di Danila cit., p. 79 nota 9.

47

Santiago de Compostela, Biblioteca Universitaria, ms. 5: Psalterium et Liber can-


ticorum, secolo XI (anno 1055), San Martín Pinario (Diurno di Ferdinando I). Misure:
mm 310 × 220, a una colonna. A f. 6r è un labirinto all’interno del quale la nota
di possesso « Fredenandi regis sum liber necnon et Sancia regina » e a f. 204v la
sottoscrizione in versi di copista e miniatore con la datazione: « Sancia ceu voluit
quod sum regina peregit. | Era millena novies dena quoque terna | Petrus erat scri-
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 171

ptor, Fructuosus denique pictor ». Molte le illustrazioni a piena pagina ricche di


colori e oro, una rappresenta il re e la regina che ricevono il libro dalle mani del
copista.
Bibl.: VLH, p. 359 n. 37; TPE, p. 469 n. 231; RIAÑO, Critical and bibliografical notes
cit., pp. 26-27 n. VI; FEROTÍN, Deux manuscrits wisigothiques cit., pp. 375-83; ID., Le Liber
Ordinum en usage dans l’Église wisigothique et mozarabe d’Espagne du cinquième au onzième siècle,
publié pour la prenière fois avec une introduction, des notes, une étude sur neuf calen-
driers mozarabes etc., Paris, Firmin – Didot, 1904 (Monumenta Ecclesiae liturgica, V), XXX;
ID., Le Liber Mozarabicus cit., coll. 931-36 e tav. VII-IX; ENCISO, El estudio bíblico cit., p. 303
n. 7; GÓMEZ MORENO, El arte románico cit., p. 16 e tav. II-IV; CLARK, Collectanea Hispanica
cit., p. 31 n. 511; GARCÍA VILLADA, Paleografía española cit., pp. 95-96 nn. 2 e 13, e tav.
XXIX; ROJO y PRADO, El canto mozárabe cit., fig. 10; DOMÍNGUEZ BORDONA, Exlibris cit., p. 9
n. 11 e tavv. XI-XII; ID., Exposición cit., pp. 41 e 178-79 n. XXIII; ID., Manuscritos con
pinturas, II, pp. 135 e 137 n. 243 e figg. 131-132; ID., Miniatura cit., p. 51 n. 47 e fig. 39;
ID., Diccionario cit., p. 101; Exposición antólogica del tesoro documental, bibliográfico y arqueológi-
co de España, Madrid, Ministero de Educación Nacional. Dirección General de Archivos y
Bibliotecas, 1959, pp. 64-65 n. 101 e tav. III; CHURRUCA, El influjo oriental cit., tav. XLVII,
1-3; L. BROU, Notes de paléographie musicale, II, in « Anuario Musical », VII (1952), pp. 74-75
e tav. IX; ID., Études sur le Missel cit., p. 358; WHITEHILL, A Catalogue cit., pp. 109-16;
BROCKETT, Antiphons cit., p. 53 n. 25; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 407 n.
155; CANELLAS, Exempla scripturarum Latinarum cit., pp. 51-52 e tav. XXII; CCV, pp. 176-77
n. 287 (tavola).

Sigüenza, Biblioteca Cartedral, 150: Bibbia (Gal, 1, 1-15 e 3, 6-24) v. n. 5.

48

Tarragona, Archivo Histórico Archidiocesano, s. n: Bibbia (III Re, 14-15?). Un


foglio a due colonne.
Bibl.: TPE3, p. 340 n. 314; CCV, p. 186 n. 308.

49

Toledo, Archivo y Biblioteca Capitular, ms. 2. 2: Bibbia, secolo X, forse Casti-


glia. Incompleta, contiene solo i libri da Giosuè a parte dei Salmi; misure: mm 402/
405 × 270/282, a due colonne. Presenta note marginali in visigotica e in arabo.
Bibl.: VLH, p. 357 n. 27; TPE, p. 470 n. 248; DE EGUREN, Memoria cit., pp. 44-45;
J. M. OCTAVIO DE TOLEDO, Catálogo de la librería del Cabildo Toledano, I. Manuscritos, Madrid,
Tipografía de la Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, 1903 (Biblioteca de la « Revista
de Archivos, Bibliotecas y Museos », III), p. 52 n. XCI; GARCÍA VILLADA, Paleografía española
cit., p. 124 n. 199; MILLARES CARLO, Los códices visigóticos cit., p. 28 fig. 1; ID., Nuevos
estudios cit., pp. 52-53; ID., Manuscritos visigóticos cit., pp. 409-10 n. 163; CCV, p. 187 n. 310
(tavola).
172 PAOLO CHERUBINI

50

Toulouse, Bibliothèque Municipale, ms. 33 + Paris, Archives Nationales, AB XIX,


1729-30: “Haute-Garonne”, Arch. Départ. De Toulouse (v. n. 42): Bibbia (Ecl, 21,
20 – 22, 27 + 22, 27 – 23, 10 e 38; 25, 11), secolo IX (o VIII-IX), Tolosa (?). Un
foglio; misure: mm 327 x 226, a due colonne. Berger lo data tra VIII e IX secolo
e lo avvicina alla prima Bibbia di Alcalà (n. 35).
Bibl.: VLH, p. 361 n. 46; TPE3, p. 341 n. 339; WILMART, Nouveaux feuillets Toulousains;
GARCÍA VILLADA, Sobre paleografía cit., p. 18 n. 27; MUNDÓ, El Commicus cit., p. 176; CCV,
p. 199-200 n. 336 (tavola).

51

Valvanera (La Rioja), Abadía Benedictina, s. n.: Bibbia (Ps, 53, 6-54, 18), secon-
da metà del secolo X, Valvanera. Un foglio; misure: mm 280 × 195. Gómez si
domanda se esso non facesse parte in origine della Bibbia di Valvanera in due
volumi, che secondo Ambrosio de Morales doveva essere stata scritta nel secolo XI
e che presentava numerose note marginali, la quale, dopo essere stata vista dal
grande erudito cinquecentesco, perì nell’incendio dell’Escorial del 1671.
Bibl.: I. M. GÓMEZ, Fragmentos visigóticos de Valvanera, in « Hispania Sacra », V (1952),
pp. 375-79; MILLARES CARLO, Manuscritos visigóticos cit., p. 432 n. 237; DÍAZ Y DÍAZ, Libros y
Librerías cit., pp. 95-96; CCV, p. 202 n. 340.

52

Valladolid, Archivo de la Real Chancillería, Colección pergaminos, carp. 1 n. 3:


Psalterium (Ps, 78, 5-79, 5), secolo X ex.-XI in. Un foglio; misure: mm 250 × 205, ad
una colonna. Forse va messo in relazione con il frammento di Valvanera e con un
altro proveniente da un Liber horarum conservato nell’Archivo de la Catedral di
Santo Domingo de la Calzada (CCV, pp. 177-78 n. 290).
Bibl.: TPE3, p. 342 n. 344; M. S. ARRIBAS GONZÁLES, Los fondos del Archivo de la Real
Chancillería de Valladolid, in « Boletín de la Dirección General de Archivos y Bibliotecas », CXIV-
CXV (1970), pp. 19-25; M. A. VARONA GARCÍA, Fragmento de un salterio visigótico en el archivo de
la Real Chancílleria de Valladolid, in « Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos », LXXXVI (1973),
pp. 406-12; CCV, p. 202 n. 341 (tavola).

53

Vercelli, Biblioteca Capitolare, ms. 158 (C. L. A. IV, 468a): Acta Apostolorum
apocripha, secolo VII-VIII, in onciale, forse spagnolo. Misure: mm 245 × 225 circa, a
una colonna. Presenta note in minuscola visigotica del secolo VIII. Mundó lo asse-
LE BIBBIE SPAGNOLE IN VISIGOTICA 173

gna all’Andalusia. Il codice era forse in Italia già alla fine dell’VIII secolo, a giudi-
care dalla datazione proposta per una nota in minuscola dell’Italia settentrionale
presente a f. 317r.
Bibl.: TPE, p. 472 n. 274; CLARK, Collectanea Hispanica cit., p. 63 n. 711; GARCÍA VILLADA,
Paleografía española cit., p. 126 n. 216; MILLARES CARLO, Los códices visigóticos cit., pp. 416-17
n. 184; MUNDÓ, El Commicus cit., p. 178; ID., Notas para la historia cit., pp. 179-80; CCV,
p. 204 n. 343 (tavola).
TAV O L E
TAVOLA 13

13. Biblia Hispalensis, Madrid, Biblioteca Nacional, Vitr. 13, 1, f. 26r (CHERUBINI, Le Bibbie spagnole
in visigotica, p. 137).
TAVOLA 14

14. Cava dei Tirreni, Archivio della Badia della S.ma Trinità, 1, f. 42v (CHERUBINI, Le Bibbie spagnole in
visigotica, p. 143).
TAVOLA 15

15. Toledo, Archivo y Biblioteca Capitular, 2. 2, f. 31r (CHERUBINI, Le Bibbie spagnole in visigotica, p. 143).

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