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Premessa

Ognuno di noi dovrebbe dedicare più tempo nell’entrare in “sintonia” con gli altri che
tentare di impressionarli. Sempre più mi sento in sintonia con la concezione celtica per cui
la tradizione orale è sempre viva ed in continua trasformazione, mentre quella scritta è
“cristallizzata” fermata nel tempo e nel luogo, più adatta a mantenere storia e ricordo che
non vivezza di pensiero. Ciò non dimeno questo lavoro è più giusto presentarlo scritto
proprio per evitare diventi semplice eloquenza e resti come “traccia” scritta a cui
eventualmente trarre ispirazione.
Dedico questo “lavoro” a tutti coloro che sono arsi dal sacro ed inestinguibile fuoco della
ricerca.
Questo lavoro non vuole essere un “esercizio” di cultura, ma semplicemente un seme
lanciato nell’aria. Chiunque permetterà di essere “contaminato” da questo seme, presto
sarà infestato da una pianta parassita che si sviluppa a dismisura, inghiottendo e
soffocando il proprio ospite, un terribile parassita chiamato: curiosità.
Questo lavoro è alla portata di chiunque, non richiede “grandi conoscenze”, ma
semplicemente un piccolo investimento in due volumetti che meglio di chiunque sono
capaci di esprimere in modo compíto e dotto il significato simbolico di molte delle cose che
ci circondano. Proprio per sottolineare che il “lavoro” da compiere è un altro, ho voluto
mantenere il più fedele possibile la descrizione del significato di ciascun simbolo così
come riportato su detti volumi. Consiglio tutti di fare questo investimento, vi aiuterà nelle
vostre future ricerche: Jean Chevalier – Alain Gheerbrant, Dizionario dei Simboli –
Edizione BUR Dizionari Rizzoli.
Il lavoro a cui accennavo è quello di cominciare a guardare il mondo che ci circonda, sia
esso espressione d’arte, chiacchiere tra amici, rapporti interpersonali, passeggiate nella
natura ecc. Guardare e vivere passivamente non accresce la nostra conoscenza, sforzarsi
di porre attenzione sì. Chiunque può vincere l’approccio semplicistico-passivo che spesso
ci contraddistingue, per soffermarsi a chiedersi il perché dei particolari.
Questo lavoro parte dalla semplice visione di un quadro per suggerire un metodo (“uno” e
non “il metodo”) per tentare di capire di più quello che è davanti ai nostri occhi.
Contrariamente a quello che si crede non occorre grande cultura, predisposizione innata o
che sa quale altro “arcano marchingegno”, è sufficiente aver la pazienza di prendere ogni
singolo pezzettino ricercarne il “significato nascosto” (da qui l’uso dei due volumetti) e
mettere sul tavolo i vari pezzi che ben presto assumeranno autonomamente la forma delle
tessere di un puzzle che si comporrà da solo con estrema facilità. Ognuno di noi potrà
trarre le proprie conclusioni sull’immagine finale, ma diverrà chiaro anche il suo significato
“universale” comune a tutti.
Utilizzando questo semplice trucco anche la cosa in apparenza più complicata diverrà
semplice: alchimia ed arte potranno essere così approcciate con maggior semplicità e
chiarezza. L’intuito, innato in ciascuno di noi, diverrà il miglior alleato per “intuire” il perché
qualcuno abbia “perso il suo tempo” nel costruire un messaggio per il quale non ha fornito
alcuna chiave interpretativa. Chiedersi sempre e comunque il perché è il primo passo
verso la conoscenza, quello che la spoglia del suo manto di apparente difficoltà.
Imparato il “giochino” si scoprirà come esso possa essere applicato a tutto ciò che ci
circonda, soprattutto i rapporti umani, siano essi “stretti” o più generici. In tal modo diverrà
estremamente semplice capire che la tolleranza è virtù della ragione e non della carità e
se tollerare non significa subire, diverso significa semplicemente diverso e non migliore o
peggiore; nell’armonia e nell’amore esiste il vero equilibrio dell’universo.
Buon lavoro.
Roberto Bobba
Hieronymus Bosch - Il figliol prodigo 1510
Olio su tavola tonda di diametro 71 cm
Museo Boymans-van Beuningen - Rotterdam

Hieronymus Bosch è uno dei pittori fiamminghi più noti del xv secolo. Il suo cognome era
in realtà Van Aken, ma fu cambiato con uno collegato alla piccola cittadina olandese di
Hertogenbosch, nella quale era nato nel 1450. Il suo quadro probabilmente più famoso è il
trittico intitolato // giardino delle delizie, che rappresenta un vivido assortimento di demoni
e mostri che divorano i peccatori all'inferno. Bosch, nei suoi lavori, mostrava un'intensa
passione per i temi simbolici e religiosi e si scagliava di frequente contro la corruzione
nella Chiesa, dipingendo preti e suore corrotti e disonesti.
Alcuni autori hanno definito Bosch una sorta di surrealista del XV secolo che attingeva
all’inconscio paragonandolo a Salvator Dalí. Altri ne attribuiscono l’affiliazione ad un
gruppo eretico dei "Fratelli del libero spirito" apparso nel XIII secolo e diffuso in tutta
Europa per parecchi secoli. L’eresia della setta si basava sulla necessità di ritornare allo
stato di innocenza primaria di Adamo (anche attraverso riti sessuali) per cui i suoi adepti
furono chiamati "Adamiti".

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Il dipinto, intitolato Il figliol prodigo, ha dei curiosi riferimenti simbolici che a mio avviso
meritano un tentativo di più attenta lettura.
In esso è rappresentato un uomo che cammina in una strada di campagna con un bastone
in mano ed una gerla sulla schiena. L’uomo si sta allontanando da una casa con un tetto
cadente e con diversi personaggi inquietanti: un uomo e una donna che si abbracciano in
modo lascivo ed un altro che urina vicino alla recinzione sul lato della casa sotto
un’insegna con un’oca.
Sullo sfondo si intravede un paesaggio collinare apparentemente privo di strade che
conducano alla casa.
L’assenza di ombre e la proiezione delle fronde dell’albero sul terreno fanno pensare più al
mezzogiorno che non all’alba.
Il dipinto è apparentemente strutturato su tre piani distinti: il piano dello sfondo, quello
della casa, e quello dove si trova il viandante.
Proviamo ad ipotizzare alcune considerazioni tra i vari elementi del dipinto e la relazione
tra essi.
Il panorama di sfondo sembra quasi rappresentare un mondo privo di vita degna di nota,
fatto di alti e bassi senza che però vi sia nulla che può condurre al luogo in cui si trova il
personaggio principale; quasi a rappresentare la mancanza di un “percorso obbligato” ed
alla necessità che, per giungere dove si trova, l’uomo abbia dovuto percorrere una strada
più “personale” ed individuale che non una “via tracciata”.
La casa è in evidente stato di deterioramento. Da sempre la
casa rappresenta il “rifugio” il luogo ove si svolge la vita più
intima, per estensione il ventre materno, il femminile, la
protezione dal mondo esterno. Nel buddismo la casa
rappresenta il corpo stesso dell’individuo, mentre in
psicanalisi ogni singola parte della casa ha un
significato preciso: la facciata è la maschera o
apparenza dell’uomo, il tetto è la testa e lo spirito
e conseguentemente il controllo della coscienza;
i piani inferiori rappresentano il livello
dell’inconscio e degli istinti; la cucina il luogo
delle trasformazioni psichiche, le
trasmutazioni alchemiche, cioè l’evoluzione
interiore. Ciò sembrerebbe indicare che
quello che l’uomo si lascia alle spalle è
essenzialmente una vita di caos e disordine
dove la “distruzione” prevale sulla
“costruzione”, ma anche le proprie
“apparenti sicurezze”, le proprie abitudini e
le proprie “certezze”. Tutto ciò per
intraprendere un viaggio verso un diverso
modo di percepire la vita. Nel dipinto il tetto
della casa è rotto proprio in prossimità del
colmo ed è curioso notare che nei testi
canonici tibetani l’uscita dalla condizione
individuale, si ottiene mediante la “rottura del
tetto della casa” cioè l’apertura della sommità
del cranio attraverso la quale si effettua
quest’uscita (brahmarandhra).
La casa rappresenta quindi il momento in cui avviene la svolta tra la vita precedente e
quella verso cui si incammina il viandante. L’insegna con l’oca identifica la casa con la
locanda trasformando così il valore simbolico “soggettivo” in un valore “universale” a cui
chiunque ha libertà di accesso.

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Esiste, però un forte legame tra la materia e lo spirito, tra le forze sotterranee (ctonie) e
quelle superiori e celesti (uranie): tale legame è rappresentato dalla lunga pertica
appoggiata al tetto della casa. Il legame sono gli istinti, le abitudini a cui l’individuo è legato
per egoismo, avidità, superficialità, ignoranza ed istintività. Chiunque cercasse di giungere
all’illuminazione senza rompere tali legami sarebbe paragonabile a chi cercasse di
raggiungere il tetto della casa arrampicandosi sulla pertica ad esso appoggiata: l’instabilità
della pertica stessa lo porterebbe a cadere (interessante il parallelismo con l’arcano
maggiore della Torre nei tarocchi). Diventa quindi necessario fare una scelta consapevole
a cui deve seguire un’azione determinata.
Sull’uscio un uomo sta accostando la propria mano al seno di una
donna che regge una brocca d’acqua; dell’uomo si vede solo il fianco
sinistro quasi come se l’azione avvenisse
mentre egli sta uscendo dalla casa stessa.
Poiché sulla casa vi è l’insegna dell’oca (o
cigno) e la donna regge una brocca d’acqua, si
può ipotizzare che ella sia la dea celtica Brigit:
una delle più importanti dee celtiche che in
seguito verrà integrata nella tradizione cristiana
come santa Brigida. Nel “de bello gallico”
Cesare la paragona a Minerva (Sulis Minerva
Ö sulis = occhio, sinonimo di sole, per cui
occhio del cielo Ö dea guaritrice). Brigit è la “grande madre” o madre
di tutti gli dei, ed è associata ad un simbolismo solare e luminoso (in
celtico, come in tedesco, il nome del sole è di genere femminile). È
dea della vita e della morte, patrona dei fabbri e degli artigiani in genere, della filatura, di
metalli preziosi ed il suo legame all’acqua ed alla fertilità la legano al culto delle fonti, della
fertilità e della nascita. La festa a lei dedicata era quella di Imloc, il 1° febbraio, momento
dell’anno che annunciava l’approssimarsi della bella stagione e festeggiato con un rito di
purificazione collettiva chiamato Festa della Luce. La
tradizione vuole che il volto della dea era per metà splendido e
per metà orribile. L’unione di questa donna dai due aspetti e
del uomo che l’abbraccia con lascivia
riconduce alla carta dell’innamorato,
conosciuta anche come gli amanti,
degli arcani maggiori dei tarocchi.
Le interpretazioni sono molteplici.
L’innamorato esprime la “scelta
giudiziosa e difficile a farsi”; il libero
arbitrio; la prova, la determinazione
della volontà; la leggenda di Eracle al
bivio della scelta fra Vizio e Virtù o la
tradizione orfica e pitagorica della via
seguita dall’anima dopo la morte
quando, ancora a un bivio, deve scegliere fra la strada di sinistra,
che porta agli inferi, e quella di destra che porta ai Campi Elisi della
felicità: una sola strada porta alla felicità e spetta a noi sceglierla.
Nel dipinto, come vedremo più avanti, tali strade sono
rappresentate dal ramo di sinistra e quello di destra generati dalla biforcazione del tronco
dell’albero, così come nella lama dei tarocchi l’innamorato è posto in prossimità di una
biforcazione del sentiero.
Poiché tutto avviene in prossimità di una porta, la simbologia di quest’ultima si rafforza nel
suo significato escatologico: la porta come luogo di passaggio, e soprattutto di arrivo,
diventa naturalmente il simbolo dell’imminenza dell’accesso ad una realtà superiore.

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La porta potrebbe, quindi, essere la designazione simbolica del Cristo stesso (Giovanni
10, 1-10), porta attraverso la quale le pecore possono giungere all’ovile, cioè al regno
degli eletti. Il riferimento all’ovile è anche dato dalla staccionata che delimita sul fondo di
destra il retro della casa ed in prossimità della quale un uomo sta urinando contro la casa
stessa (…tutti coloro che son venuti prima di me, sono ladri e briganti…).
L’uomo che urina potrebbe rappresentare il viandante stesso nel momento in cui è arrivato
alla casa (in una rappresentazione su più piani temporali dello stesso soggetto),
l’atteggiamento rozzo ed istintivo potrebbe quindi essere legato alla tradizione alchemica
della “materia bruta” o “pietra grezza”, elemento base di partenza.
Una donna, affacciata ad una finestra, sta osservando quello che avviene all’esterno della
casa. Si potrebbe ipotizzare che la donna sia appena stata lasciata dal viandante e che ne
osservi il viaggio intrapreso senza potervi partecipare ella stessa. Ciò potrebbe ricollegarsi
al concetto, comune alla maggioranza delle culture, che l’esperienza iniziatica (“viaggi
iniziatici” o riti di iniziazione) debba essere diversa tra uomo e donna poiché ciò che vale
per l’uno non è applicabile all’altra per la sua diversa natura.
Moltissime popolazioni prevedono infatti riti iniziatici maschili, legati al mito, alla caccia,
alla guerra e riti iniziatici femminili per lo più legati alla fertilità, la sessualità, la maternità;
per essere accettati come adulti nella comunità è indispensabile essere stati iniziati.
L’insegna sul lato della casa contiene un oca. Quando gli antichi faraoni furono identificati
con il sole, la loro anima fu rappresentata con un’oca, perché l’oca è il sole uscito dall’uovo
primordiale. Nella tradizione celtica l’oca è un equivalente del cigno e rappresenta, oltre ad
essere attributo della dea Brigit, una messaggera dell’altro mondo. L’oca è la cavalcatura
dello sciamano quando intraprende il viaggio di ritorno dagli inferi ed essenzialmente un
mezzo che mette in contatto i due mondi tra loro. Per il Fulcanelli il gioco dell’oca è una
sorta di labirinto esoterico contenente la raccolta dei principali geroglifici della “Grande
Opera”. Sembra quasi che vi siano due messaggi distinti, ma correlati tra loro: per
addivenire alla sua nuova condizione l’individuo deve saper abbandonare le proprie
passioni, i propri vizi e le proprie ambizioni, ma per farlo deve conoscerli tutti
profondamente, sapendo mettersi in contatto con il proprio “Io” interiore intraprendendo un
viaggio dentro la propria anima da cui uscirà rigenerato; tale viaggio può avvenire solo
individualmente e se il viaggiatore decide autonomamente di mettersi in cammino cioè
ponendosi in discussione.
Entrambi questi requisiti sono l’unico modo
di trovare il sentiero che conduce alla
conoscenza. Nel dipinto il sentiero appare
sotto i piedi del viandante solo da un certo
punto in poi, senza che se ne veda
l’origine. Quello che l’uomo si lascia alle
spalle è sostanzialmente un mondo privo di
morale ed etica dove la lussuria,
l’ignoranza ed il caos dominano. Oltre alle
figure umane vi sono alcuni animali
rappresentati nel dipinto.
Vicino alla porta di ingresso della casa,
all’interno di una gabbia sospesa, c’è una
gazza che osserva i due amanti. In molte
culture la gazza è simbolo di pettegolezzo,
invidia, presunzione ed inutile chiacchiera, ed in
occidente la sua apparizione è un segno nefasto;
l’uomo preda di tali abitudini non potrà mai giungere all’illuminazione, pertanto deve saper
“imprigionare” queste naturali tendenze degenerative, sapendo porsele di fronte senza
esserne vittima (la presa di conoscenza dei propri difetti non è negazione degli stessi, ma
loro superamento).

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Ecco perché la gazza, chiusa in gabbia, si trova di fronte all’amante, come a proporgli
un’immagine riflessa dei sui istinti ed a rafforzare il significato allegorico della “scelta
giudiziosa” rappresentata dall’amante stesso.
Di fronte alla casa, vicino un mucchio di terra piramidale, che sembra quasi un tumulo
funerario ancora fresco, c’è un gallo con il becco rivolto verso la porta della casa stessa. Il
Gallo rappresenta l’araldo della luce, sacro ad Esculapio e
simbolo di Ermes-Mercurio, nella veste di psicopompo, che
annunciava e conduceva l’anima del defunto nell’altro mondo
dove apriva gli occhi ad una nuova luce: ovvero ad una nuova
nascita. In tal senso il gallo incarna la vita interiore e nella sua
veste cara ad Esculapio, la medicina che guarisce le malattie
dell’anima. Il fatto che sia collocato in prossimità del rilievo del
terreno smosso (tumulo) rafforza il suo significato. Che abbia
l’umile proporzione di un monticello o che si elevi verso il cielo
come una piramide, il tumulo (tomba) si associa al simbolismo
della montagna. Ogni tomba è una modesta riproduzione dei
monti sacri che afferma la perennità della vita attraverso le
sue trasformazioni.
La tomba è l’ultima dimora fisica dell’uomo come la casa lo è
stata in vita. Il legame tra casa e tomba nel dipinto è evidente.
Jung accosta la tomba all’archetipo femminile, come tutto ciò che circonda o avvince. È il
luogo della sicurezza, della nascita, della crescita. La tomba è il luogo della metamorfosi
del corpo in spirito o della rinascita che si prepara, ma è anche l’abisso in cui l’essere si
immerge nelle tenebre passeggere ed ineluttabili: madre amorosa e terribile (anche Brigit
rappresenta tale condizione in due dei tre aspetti della dea: nascita - fertilità - morte). Ma
questa morte apparente non è psicologicamente una morte totale, essa prosegue
un’esistenza oscura nella tomba del subconscio. Colui che sogna morti, cimiteri e tombe
“…è in realtà alla ricerca di un mondo che racchiuda una vita ancora segreta; egli vi
approda quando si trova in una situazione senza uscita, quando autentici conflitti
esistenziali lo tengono prigioniero senza fornirgli indicazioni”. È curioso notare come la
gazza in gabbia ed il gallo si trovino di fronte opposti l’una all’altro. Il mucchio di terra
richiama anche la piramide: simbolo ascensionale che rappresenta il potere divino del
faraone di salire e scendere al cielo a proprio piacimento. Secondo Ermete Trismegisto la
vetta della piramide rappresenta «…il “verbo” demiurgico, potenza prima non generata,
ma proveniente dal Padre e che governa tutte le cose create, totalmente perfetto e
fecondo…» Così come il faraone anche l’iniziato potrà riunirsi al “verbo”. Il Gallo annuncia
quindi che è possibile attuare un cambiamento, una rinascita un’ascesa verso i più alti
valori che riconducono l’uomo verso Dio. Tale annuncio è diretto verso l’uomo-amante
sulla porta, quasi come se l’uomo-amante ed il viandante siano la rappresentazione del
medesimo individuo in due momenti temporali diversi e contigui: nel momento della
decisione e nell’inizio del viaggio vero e proprio (riappare il concetto del medesimo
soggetto visto in momenti temporali diversi, fatto che sembra caratterizzare l’intera opera).
Poco distante e quasi di fronte alla porta una scrofa sta mangiando con i propri maialini in
un trogolo. Nella cultura celtica il cinghiale, la scrofa, ed il maiale assumono una
complessa funzione simbolica. Il cinghiale può essere associato ad un concetto di
saggezza, conoscenza, guarigione, verità, messaggero tra il mondo degli inferi e quello
degli uomini, capace di vitalizzare la materia (il mercurio alchemico che fissa l’oro).
Può essere anche portatore di fertilità e vitalità (come la scrofa) simbolo della Dea Madre
(Brigit) della terra legata al ciclo solare ed a quello lunare, di abbondanza, nutrimento,
fertilità salute ed energia vitale. Rappresenta però anche la qualità dell’iniziazione ai
misteri della vita e della morte, del passaggio, della fine di un ciclo e l’inizio di un altro,
della rinascita dopo la morte.

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La scrofa rappresenta, invece colei che può impartire insegnamenti sciamanici, nutrice dei
sapienti grazie alla saggezza della terra. L’associazione con i maialini serve proprio a
distinguere il valore simbolico positivo e maturo da quello negativo ed “infantile” attribuito
al maiale. Il maiale rappresenta da sempre l’ingordigia, la voracità poiché divora ed
inghiotte tutto ciò che gli si presenta; è simbolo di ignoranza, lussuria ed egoismo.
Analizzando con maggior attenzione la scrofa essa appare con il vello ispido tipico dei
cinghiali, assumendo così la doppia funzione cinghiale-scrofa. Tutti i maialini sono intenti a
mangiare tranne uno che, posto di fronte ad essa, guarda la scrofa come se essa fosse il
proprio controaltare (nuovamente il concetto degli opposti contrapposti).
Gli animali fin qui analizzati potrebbero, pertanto, simboleggiare l’annuncio di un
cambiamento e le basi necessarie alla sua realizzazione.
Il sentiero verso la conoscenza è però riservato solo a coloro che intendono realmente
percorrerlo per il miglioramento del proprio spirito e per ciò è sorvegliato dal cane,
guardiano da un lato e messaggero ed araldo, come il gallo, dall’altro.
La simbologia del cane è molto complessa e spesso collegata alla trilogia terra - acqua -
luna. La sua mitica funzione di psicopompo lo accomuna al gallo, ma con qualche ulteriore
e complesso significato: dopo essere stato il suo compagno in vita il cane diviene la guida
del proprio padrone nel regno dei morti.
Da Anubis a Cerbero ed attraverso Ecate, Ermes e Thot
(rappresentato come babbuino e non come ibis), il cane ha
prestato il proprio volto a tutte le grandi guide spirituali delle
anime in tutte le culture. I cinocefali hanno il compito di
imprigionare e distruggere i nemici della luce e di sorvegliare
le porte dei luoghi sacri. Ecco che, nel dipinto, l’accoppiata
gallo-cane potrebbe assumere il significato che il viaggio
verso la luce è riservato a pochi eletti, questo spiega perché
lo sguardo del cane è rivolto al sentiero ed a chi lo sta
percorrendo mentre quello del gallo è rivolto verso la casa.
Finalmente al viandante appare il sentiero, una sorta di
via illuminata da seguire attraverso le tenebre, non si
vede l’origine del sentiero proprio perché esso si
“genera” e si “materializza” con il “lavoro” svolto su sé
stesso da parte del viandante.
La casa, gli animali e l’albero proiettano la propria ombra
verticalmente esattamente come ci si trovasse a mezzogiorno, mentre il viandante non
proietta alcuna ombra.
L’ombra è l’aspetto yin opposto allo yang, ciò che si oppone alla luce, la
rappresentazione di tutto ciò che è fuggevole, irreale, illusorio e mutevole.
Nella tradizione orientale l’assenza di ombra che caratterizza alcuni
personaggi si spiega in tre diversi modi: la permeabilità assoluta del corpo
alla luce in seguito alla purificazione; l’uscita dai limiti dell’esistenza corporea nel pieno
raggiungimento della coscienza spirituale; la posizione centrale del corpo esattamente
perpendicolare allo zenit esattamente come il mistico israelita all’ora in cui l’anima non fa
più ombra avendo di fatto raggiunto l’ora della pace interiore. Il viandante di fatto non
proietta alcuna ombra racchiudendo in sé le tre caratteristiche sopra citate. Lie-tzû
sostiene che «…l’ombra che non si produce né si orienta, che non ha esistenza né legge
propria…» è il simbolo di ogni azione che trae la propria origine legittima solo nella
spontaneità: in tal senso il viandante sta compiendo un’azione che trae origine solo dalla
propria volontà, prerequisito essenziale per portare a compimento il viaggio intrapreso.
In prossimità del cancello un albero proietta la propria ombra al suolo, ma non sul sentiero.
L’albero rappresenta la vita in continua evoluzione, in ascensione verso il cielo evocando
con grande forza il simbolismo della verticalità, dell’ascesa e del ciclo morte e
rigenerazione.

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L’albero mette in comunicazione i tre livelli del cosmo: quello sotterraneo, per le radici che
scavano le profondità del terreno in cui affondano; la superficie della terra, per il tronco ed
i primi rami; ed i cieli per i rami superiori e la cima illuminata dalla luce del sole.
L’albero mette quindi in collegamento il mondo ctonio con quello
uranio, mentre la sua biforcazione rappresenta le scelte, l’applicazione
(che dovrebbe essere cosciente) del
libero arbitrio. Infatti, nel dipinto, il
ramo di sinistra (la negatività)
sembra condurre al ramo secco
come a rappresentare la distruzione
che deriva dalle scelte errate. I frutti
dell’Albero della Vita dell’Eden e
della Gerusalemme celeste donano l’immortalità, tuttavia
nel Paradiso terrestre esiste un secondo albero quello
della scienza del bene e del male da cui si distingue a
stento, di fatto se non in linea di principio.
L’ombra proiettata dall’albero potrebbe rappresentare il
secondo albero del Paradiso Terrestre, e ciò
spiegherebbe il perché non sia proiettata sul sentiero
che conduce all’illuminazione. Guénon ha paragonato
questo ternario (unità + dualità) alle tre colonne
dell’albero sefirotico della Cabala.
È l’albero della scienza lo strumento della caduta di
Adamo, e si dice servì alla costruzione della croce di
Gesù Cristo spesso assimilata a sua volta all’albero
della vita, che diventa così strumento di redenzione.
Appollaiata su un ramo privo di foglie sulla sommità
dell’albero una civetta guarda il cancello che sbarra la
strada al viandante. La civetta,
emblema di Atena è in stretto
rapporto con la Luna, non
sopporta la luce a cui si
oppone, ed è quindi associata
all’oscurità, alla solitudine ed
alla malinconia.
Guénon individua nel suo rapporto con Atena-Minerva il
simbolo della conoscenza razionale, percezione di luce
riflessa opposta alla conoscenza intuitiva, percezione di
luce diretta e solare attribuito all’aquila.
Da sempre è tradizionalmente associata agli indovini ed
alla chiaroveggenza che essi esplicano attraverso
l’interpretazione dei vari segni che si offrono alla loro
attenzione (lo studio dei simboli è essenziale in qualsiasi
percorso iniziatico). Nella tradizione popolare è
messaggera di morte (annuncia quindi l’imminente
morte iniziatica, il sacrificio del sé). Il fatto che il ramo sia spoglio sembra rafforzare questo
concetto di morte come parte integrante ed indissolubile della vita, come equilibrio
necessario anche nel regno dei cieli, ove tutto è equilibrio, immobilità e quindi morte fisica.
La condizione a cui il viandante sta quindi per arrivare trascende la materia, la supera,
l’annulla fino ad armonizzarla e fonderla nello spirito, riunendo il tutto all’uno. In tal modo, il
ramo secco sormontato dalla civetta assume tre significati distinti: il nefasto annuncio della
catastrofe che deriva dalle scelte errate, la necessità di porre in equilibrio bene e male
come due facce diverse della stessa realtà e, da ultimo, la necessità di “morire” nelle
proprie “false convinzioni” per poter rinascere nella “vera conoscenza”.
Hieronymus Bosch - Il figliol prodigo 1510 pagina 7 di 11
Il viandante sta lasciando la follia ed il “disordine” della vita e si sta avvicinando a un
cancello di legno. Le tavole del cancello sono poste in modo da formare sei rettangoli ed
una squadra che traccia un triangolo sulla sommità del cancello stesso (il sacro delta?) ed
altri tre triangoli rettangoli nel primo, quarto e sesto quadrante. La squadra serve a
tracciare triangoli e quadrati e quindi a misurare la terra, ponendosi alla base della
geometria. Il quadrato riconduce al numero quattro che per Platone rappresenta la
materializzazione delle idee. Rappresenta, inoltre i quattro elementi, le quattro direzioni.
Nella tradizione cristiana il quadrato, grazie ai suoi lati uguali rappresenta il cosmo.
La simbologia del quadrato come quella del triangolo e del rettangolo, in proporzioni
auree, è così complessa ed ampia che merita approfondimenti specifici.
Sicuramente il viandante si trova di fronte ad una
nuova porta su cui sono rappresentate sia la
dimensione orizzontale che quella verticale, la
rettitudine, il rispetto delle leggi e dei regolamenti.
Sembra che la porta sia essa stessa simbolo della
perfezione del mondo a cui da essa si accede. Per
accedere a questo mondo è quindi necessario
“aprire” e “transitare” attraverso quest’ultima porta.
Si ha la sensazione che il tema già proposto per la
casa e gli animali torni ad essere evidenziato, ma
invece di costituire una ripetizione suggerisca una
“evoluzione ciclica”, nel corso della propria
esistenza il viandante, proprio perché ha intrapreso
questo viaggio, si troverà più volte di fronte alla
necessità di “varcare una nuova soglia” che lo
porterà ad una nuova e più complessa conoscenza.
Il viandante si fa notare per alcune peculiarità nel
vestiario. A un piede sinistro indossa una pantofola
invece della scarpa e la gamba corrispondente del
pantalone è arrotolata fino al ginocchio. Questo modo di vestire è prescritto anche dal
cerimoniale di iniziazione del Primo Grado massonico. Il viandante ha un cappello in
mano, ma indossa anche un cappuccio apparentemente superfluo sulla testa, è cioè
"bendato" proprio come un aspirante che si sottopone all'iniziazione massonica. Il cappello
del viandante, invece di essere guarnito da una piuma normale, è decorato da un filo a
piombo, un simbolo della geometria massonica. Il viandante porta una gerla sulla schiena
che è tenuta da una corda intorno al collo, indossa cioè un "cordone" come previsto anche
dal rituale massonico.
Diventa estremamente facile, a questo punto, asserire che in questo preciso istante il
viandante sta vivendo una iniziazione, che gli permetterà di aprire il cancello (passare
attraverso il “velo”). Dietro al cancello un bovino ed una gazza osservano la scena.
Il dipinto non evidenzia se il bovino sia una vacca, un toro o un bue. Ciò fa pensare che
Bosch abbia voluto raggruppare in un’unica figura le caratteristiche simboliche di tutti e tre
(una sorta di triade simbolica che ci riporta ai tre aspetti di Brigit), rispettando le credenze
religiose indo-europee che associavano al bovino in genere la rappresentazione degli dei
celesti. La vacca, produttrice di latte, è simbolo della Terra nutrice, sostanza primordiale;
venerata nell’antico Egitto come in India quale origine del mondo
manifesto, aurora primordiale, forza creatrice-nutrice femminile.
Come simbolo di fertilità, legata al ciclo agrario, è un tema di
origine vedica, che si ritrova nella mitologia e nel folklore germanici.
Nell’antico Egitto l’amuleto con la testa di vacca che tiene il disco
solare tra le corna era utilizzato per immettere calore nei corpi
mummificati, infondendo così l’alimento dell’immortalità nel defunto.

Hieronymus Bosch - Il figliol prodigo 1510 pagina 8 di 11


Quando il Sole (Râ) si era coricato la prima volta all’orizzonte, Hathor aveva inviato gli
esseri di fuoco per soccorrerlo fino al mattino, affinché non perdesse il
suo calore (vedasi Hathor). Il Toro evoca l’idea di
potenza e di foga irresistibile come il Minotauro,
guardiano del labirinto. È il simbolo della forza
creatrice maschile (demiurgo). Il toro vedico (Vrishaba
è spesso rappresentato sotto ad un albero) è anche “il
sostegno del mondo della manifestazione… colui che
dal centro immobile mette in movimento la ruota
cosmica”. Astrologicamente si insinua tra l’equinozio
di primavera ed il solstizio d’estate.
Al toro è anche associato il simbolismo della materia prima, della
sostanza iniziale, assimilabile alla Terra materna, l’altro aspetto, quello
opposto e complementare di quello femminile della
Vacca, in una sorta di rappresentazione dei due
elementi maschile-femminile necessari alle “nozze
alchemiche”. Il bue, al contrario del toro è, come il
bufalo, simbolo di bontà, calma, forza interiore
tranquilla e ragionata, potenza del lavoro e del
sacrificio.
Si potrebbe, quindi, dedurre che nel collocare il bovino al di là del
cancello, Bosch abbia voluto rappresentare le tre principali
caratteristiche della forza: la generazione, la potenza, la
consapevolezza. L’iniziato, una volta superato il cancello è padrone di queste
caratteristiche e quindi perfettamente in grado di “vivere al di sopra” delle normali emozioni
e pulsioni istintive, convivendo con esse in consapevole armonia. Ecco che diventa logico
che appaia nuovamente la gazza. Questa volta, però, la
gazza è libera, quasi a rafforzare il concetto che una volta
raggiunta l’illuminazione, saputo superare le varie prove,
acquisita nuova conoscenza ed equilibrio, è possibile
“convivere” in modo non conflittuale o dipendente con le
debolezze proprie e del mondo. Il sentiero prosegue
sfumandosi nello sfondo. L’iniziato ritorna al mondo avendone
una visione diversa, in perfetta armonia con ciò che lo circonda,
senza più bisogno di alcun sentiero pretracciato, avendo ben
chiara dentro di sé la via da percorrere in ogni istante e situazione.
Il cerchio si chiude su se stesso quasi a tracciare l’invisibile
immagine di un Uroboros alchemico, l’unione del mondo ctonio
(serpente) con il mondo celeste (cerchio). Tutto può quindi iniziare
nuovamente in un nuovo ciclo evolutivo. Le idee sono in continuo
movimento, una continuità autofecondante di eterno ritorno. Questo
sarebbe in perfetta sintonia con la rappresentazione dello stesso
soggetto in momenti temporali diversi che sembra caratterizzare
l’intero dipinto. Se l’ispirazione trascende realmente le capacità
umane, Bosch, pur essendo in forte contrasto con i ministri della
religione, ha saputo trasmettere in quest’opera un forte messaggio
religioso, dimostrando che il senso di religiosità è cosi radicato
nell’uomo da non poter essere confuso con il “settario” uso che
spesso le varie religioni ne fanno a proprio uso e consumo. Forse la nostra stessa
“intuizione” (base dello gnosticismo) è parte residua di quella divinità creatrice ed
ordinatrice originaria a cui ognuno cerca di ritornare e riunirsi.

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Sul colmo del tetto della casa spiccano alcuni elementi estremamente particolari.
una squadra rovesciata il cui angolo ricorda quello di un compasso aperto su cui e
sovrapposta un’asta che sorregge un’ampolla rovesciata. Sotto di essa si vedono le due
aperture di una colombaia (nuovamente il concetto del bivio, delle due possibilità, delle
due vie), davanti all’apertura di destra (la positività) c’è una colomba bianca. La colomba è
il simbolo dello Spirito Santo che personifica nelle
raffigurazioni della Trinità. Lo Spirito Santo è, nella
tradizione ebraica e cristiana, lo Spirito di Dio e l’anima
del giusto. Nell'ebraismo lo "ruah hakodesh" ("Spirito
Santo") indica la Potenza divina che può riempire gli
uomini, ad esempio i profeti. Questo concetto non
ha tuttavia uno sviluppo particolare, che invece è
caratteristico del Cristianesimo. Nella teologia
del Cristianesimo esso indica il Terzo
Elemento della Trinità. Presente e operante fin
dalle origini insieme al Padre e al Figlio, con cui condivide la stessa sostanza, tuttavia lo
Spirito Santo è l'ultima delle Tre Persone a rivelarsi all'umanità. È detto anche “Paràclito”
ossia "Avvocato" o "Soccorritore". In greco antico "Spirito" si dice "πνευμα" ("Pneuma"; da
"πνεω", "pneo", cioè "respirare/soffiare/aver vita"), in latino invece "Spiritus" (da "spiro"). È
lo spirito di Dio che aleggia sulle “acque della sostanza primordiale indifferenziata (la
materia bruta degli alchimisti). Nell’antica Grecia la colomba era associata all’armonia ed
al numero otto, che ne è il simbolo. Annunciatrice di presagi favorevoli profetizzava nella
foresta di Dodona. Essa rappresenta la sublimazione degli istinti ed il predominio dello
spirito, ed è simbolo dell’Eros sublimato; ciò suggerisce un’antica ierogamia del Dio
celeste della tempesta con la grande Dea della Fecondità di cui la colomba è simbolo. Vi
sarebbe, quindi, un’analogia fra il ruolo del Toro presso il Dio supremo uranico e quello
della colomba presso la Grande Madre Tellurica. Nei bassorilievi funebri si vede spesso
una colomba, simbolo dell’anima, che becca un grappolo d’uva o beve ad un vaso che
rappresenta la fonte della memoria. Si potrebbe quindi pensare che la colomba posta di
fronte alla colombaia sotto il vaso sospeso non sia del tutto casuale nel dipinto di Bosch.
Gregorio di Nissa ha sviluppato il rapporto tra le ali della colomba e la Grazia dello Spirito
Santo: le ali rappresentano una partecipazione alla natura divina, il distacco da tutto ciò
che è terreno e materiale. Il sacrificio della colomba ha lo scopo di espiare l’ignoranza e la
negligenza. In questo caso l’uccello che vola al di sopra della casa potrebbe essere la
rappresentazione dello spirito divino che aleggia sul tutto.
Il vaso potrebbe essere sia la rappresentazione simbolica dell’utero, che però qui non ha il
compito di contenere una nuova vita (generazione), ma, essendo capovolto, di “liberarla”
annunciarne cioè la “nascita” (rinascita); sia rappresentare l’ampolla da cui è uscita la
“vera acqua della conoscenza”, il “brodo primordiale” da cui tutto è nato, una sorta di
pappa reale che può trasformarci da semplici e laboriose api operaie in feconde api
regine. Se così fosse tale alimento non potrà mai essere prodotto
dell’uomo e, forse per questo, l’ampolla è sorretta da una verga
ed ha già versato il proprio liquido restando sospesa, collocata in
quella posizione da non si sa chi, mani invisibili all’uomo più
vicine a Dio che non all’uomo stesso (ciò spiegherebbe la
presenza della colomba bianca presso la “porta della verità
rappresentata dall’apertura di destra della colombaia e di quella
che vola ad ali spiegate sopra la casa). A noi mortali resta il
compito di portare il nostro pesante fardello e per combinazione il
nostro iniziato ha sulle spalle una gerla di vimini. Il vimine è
simbolo di protezione, esso accompagna le nascite miracolose:
Mosè fu trovato in una cesta di vimini. In oriente come in
occidente il “λογοσ” “logos” (verbo, parola) è rappresentato in
modo analogo dal vimine come dal salice.
Hieronymus Bosch - Il figliol prodigo 1510 pagina 10 di 11
La cesta di vimine assicura la protezione e forse il cucchiaio infilato nello zaino potrebbe
essere la rappresentazione di un alambicco, di quel processo di trasformazione che deve
costantemente accompagnare l’uomo saggio, cioè l’iniziato lungo il suo continuo
procedere verso la sua meta finale.
Chi si incammina sulla via iniziatica presto capisce che è destinato a non raggiungere mai
la meta, ogni punto apparentemente di arrivo è in realtà una
semplice stazione di partenza. Anticamente i viaggiatori
trovavano un po’ di ristoro e di “comfort” nelle locande in cui
mangiavano, si lavavano e pernottavano prima di riprendere il
viaggio. Era facile riconoscere questi luoghi grazie alla loro
insegna. L’iniziato rivolge il proprio sguardo all’indietro
consapevole da un lato di essere comunque legato al proprio
passato e dall’altro che quanto appena vissuto prima o poi ci
verrà riproposto nel tempo: quasi a conferma di una
concezione circolare del tempo. A questo punto
personalmente credo che intitolare l’opera “il figliol prodigo”
abbia un senso. Nella parabola del figliol prodigo c’è tutta la
simbologia legata al ritorno al Padre, alla riunificazione con
l’unità primaria, ben diversa dal “Sentiero della vita”, altra
opera del medesimo autore ma con simbologia
completamente diversa.
Personalmente vedo un forte legame tra “il figliol prodigo” ed il
“matto” degli arcani superiori dei tarocchi. Tutto questo sembra avere
un senso ben preciso, ma anche una “conoscenza iniziatica” che
inducono a pensare che Bosch avesse familiarità con il simbolismo
massonico (come se la Massoneria esistesse già fin dal 1480),
oppure che parte dei rituali e dei simboli massonici derivino da una
“conoscenza” esoterica preesistente da cui, comunque, Bosch era
profondamente influenzato. Si conferma anche la tesi comune che
molte opere d'arte possono contenere messaggi massonici, o
comunque iniziatico-esoterici, nascosti, visibili e confortanti per gli
adepti che li possono comprendere, ma celati agli altri.
Personalmente ritengo che chiedersi se la Massoneria esistesse già
nel 1400 o se essa abbia assorbito e fatto proprio un messaggio, che
sembra aver attraversato in modo trasversale più culture in epoche
diverse, sia come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina. Lascio
ai “patiti” della “paternità” tale compito, limitandomi a segnalare il fenomeno appena
descritto: sicuramente esiste un “messaggio” che attraversa immutato i secoli, indifferente
ai cambiamenti, alle abitudini alle trasformazioni sociali ed ambientali.
Un messaggio che puntualmente viene raccolto e ritrasmesso
così com’è senza ulteriori fronzoli, spiegazioni o commenti.
Esistono artisti capaci di rappresentare i simboli immutati di una
tradizione che oltre a perdersi nei meandri del tempo ha un
indubbio valore universale. Il mio personale apprezzamento più
grande va “all’asetticità” con cui tale messaggio è trasmesso, in
tali casi, infatti, quasi mai l’artista sente il bisogno di
commentare la propria opera o di rendere pubbliche le proprie
motivazioni che lo hanno spinto a divenire una semplice
“antenna di trasmissione” (come avviene per gli artisti delle
Icone Russe che spesso rappresentavano mediante la “terza
mano” la convinzione che la propria opera non fosse dipinta per
propria volontà ma quasi da una “mano divina” che si incarnava
nell’artista stesso) rinunciando alla vanità ed alla vanagloria di
attribuirsi la “paternità” del messaggio stesso.
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