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UNISU - Facoltà di Giurisprudenza

DIRITTO PRIVATO
Docente: Alessandro Martini

22° MODULO DIDATTICO


I requisiti del contratto

Sommario: a) Generalità. - b) L’accordo. - c) La causa. - d) L’oggetto. –


e) La forma.

a) Generalità

La struttura del contratto consta di elementi essenziali e di elementi accidentali.


Gli elementi essenziali sono i requisiti del contratto che devono sussistere per la validità
del contratto stesso.
Se i requisiti mancano o sono viziati il contratto è nullo.

I requisiti del contratto indicati nel Codice civile (art. 1325 c.c.) sono:
1) l’accordo delle parti;
2) la causa;
3) l’oggetto;
4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità.

Gli elementi accidentali sono quelli che possono essere apposti liberamente dalla volontà
delle parti e che non sono essenziali in astratto per la validità del contratto, ma che una
volta apposti al contratto fanno parte del contenuto dello stesso e alla loro osservanza non
possono sottrarsi le parti.
Sono accidentali solo nel senso che le parti possono introdurli o meno, ma una volta inseriti
nel negozio diventano essenziali in concreto.

La dottrina meno recente individua anche elementi naturali del contratto che, in realtà,
sono effetti del contratto che derivano naturalmente, ossia automaticamente, dalla

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disciplina prevista dal legislatore per quel tipo di contatto e che possono essere esclusi dalla
contraria volontà delle parti.
Es.: la garanzia per i vizi della cosa (art. 1490 c.c.): il venditore è tenuto a garantire il
compratore da tutti quei vizi che rendono la cosa inidonea all’uso o che ne diminuiscono il
valore in modo apprezzabile; tale garanzia ha effetto anche se, al momento della conclusione
del contratto, le parti non la avessero esplicitamente pattuita; peraltro le parti, entro certi
limiti, possono escludere o limitare questa garanzia.

b) L’accordo

L’accordo della parti è l’incontro delle manifestazioni o dichiarazioni di volontà di ciascuna


di esse.

Il contratto è perfezionato quando si ha una piena e totale coincidenza tra le dichiarazioni


di volontà provenienti dalle diverse parti contraenti.

Un accordo parziale non ha alcun effetto vincolante anche se le parti abbiano annotato i
punti di convergenza in un apposito documento detto minuta del contratto: il mancato
accordo sui punti ancora da concordare farà saltare anche quelli già concordati, salva
l’eventuale responsabilità precontrattuale per violazione del principio di buona fede nelle
trattative della parte che abbia senza giustificazione interrotto le trattativa contrattuale.

L’accordo può essere:

- espresso quando risulta dalle dichiarazioni di volontà delle parti esternata mediante
mezzi di linguaggio ossia quei segni che nell’ambiente sociale sono considerati strumenti
comunicativi; es. parole, gesti o segni convenzionali;

- tacito quando le parti manifestano la loro volontà mediante comportamenti


concludenti che non costituiscono mezzi di linguaggio e dai quali, secondo le
circostanze, si desume l’implicito intento negoziale; es. accettazione mediante esecuzione
della prestazione.

La formazione dell’accordo avviene con l’accettazione della proposta (v. modulo 20°).

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c) La causa

Per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale non è sufficiente la


volontà delle parti interessate, ma occorre una causa: la causa è requisito essenziale del
contratto (art. 1325, n. 2, c.c.).
Da essa deve distinguersi:

- la causa dell’obbligazione: è il titolo da cui l’obbligazione deriva, la sua fonte; es.:


l’obbligazione del compratore di pagare il prezzo ha la sua causa nel contratto di
compravendita;

- la causa dell’attribuzione patrimoniale: è quella che giustifica lo spostamento della


ricchezza.

La causa è un concetto molto discusso.

- Secondo la teoria della causa in astratto (tradizionale) accolta dalla dottrina e nel
Codice civile, la causa è la funzione economico-sociale dell’atto di autonomia contrattuale;
è la funzione tipica e astratta del negozio. Tale funzione prescinde dagli scopi delle parti e dalle
finalità per le quali le parti intendono strumentalizzare il contratto; la causa è quella prevista
per ogni tipo contrattuale dalla legge; è il tipo previsto dalla legge; la causa non può dunque
mancare o essere illecita nei negozi tipici, che sono quelli previsti e disciplinati dalla legge con
una propria funzione economico-sociale.

- Secondo la teoria della causa in concreto (più moderna e prevalente) la causa è la


ragione pratica del contratto: l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a
soddisfare; è la funzione economico-individuale dell’atto di autonomia contrattuale; la
causa può dunque mancare o essere illecita anche nei negozi tipici, perché va considerato
l’interesse concreto perseguito dalle parti e non quello astratto previsto dalla legge.

La causa in un negozio giuridico può mancare (difetto) o essere illecita.

Può aversi:

- difetto genetico della causa quando si verifica al momento della conclusione del
contratto; il difetto genetico ricorre:

- nei negozi tipici: quando la causa non svolge in concreto la funzione che gli è
propria; es. nel caso di acquisto di una cosa che già apparteneva all’acquirente, la
compravendita difetta della causa propria che è il trasferimento della cosa da una parte
all’altra;

- nei negozi atipici: quando il negozio è diretto a conseguire scopi non meritevoli
di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, 2° comma, c.c.).

Il difetto genetico totale della causa comporta la nullità del negozio.

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- Difetto funzionale della causa quando la causa viene a mancare in un momento
successivo a quello della stipulazione del contratto.

Tale difetto può verificarsi solo per i contratti a prestazione corrispettive e nei casi di:

- inadempimento di una parte.

- impossibilità sopravvenuta della prestazione;

- eccessiva onerosità della prestazione;

In tali ipotesi il contratto non è nullo, ma la parte può chiedere la risoluzione del
contratto (art. 1453 ss. c.c.) e così sciogliersi dal vincolo contrattuale.

La causa è illecita quando è contraria (art. 1343 c.c.):

- a norme imperative: sono le norme inderogabili che prevedono, anche non


espressamente, la nullità del negozio;

- all’ordine pubblico: sono quei principi non necessariamente espressi in norme, ma che
sono ricavabili dalle disposizioni inderogabili che costituiscono i postulati essenziali e che si
adeguano alle contingenti esigenze di vita e di sviluppo della società organizzata;

- al buon costume: è quel complesso di principi che costituiscono la morale sociale;


esprime i canoni fondamentali di onestà pubblica e privata alla stregua della coscienza sociale.

L’illiceità della causa comporta la nullità del negozio giuridico (art. 1418, 2° comma, c.c.).

Tuttavia nel caso di contratto immorale, ossia di contratto contrario al buon


costume, contrariamente al principio generale secondo cui, essendo il negozio nullo, si
avrebbe diritto alla restituzione di quanto dato, l’art 2035 c.c. prevede che chi ha eseguito una
prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisce offesa al buon costume, non
può ripetere quanto ha pagato.

All’illiceità della causa l’art. 1344 c.c. equipara la frode alla legge.

Il contratto in frode alla legge è quello che costituisce il mezzo per eludere l’applicazione
di una norma imperativa che vieta un determinato risultato.

La frode alla legge consiste, quindi, nell’utilizzazione di un contratto in sé lecito per


realizzare un risultato vietato dalla legge mediante l’osservanza formale della norma e la
violazione sostanziale della stessa; la frode alla legge può avvenire anche mediante
collegamento di più contratti tra loro.

Nella frode alla legge la norma è violata non direttamente, ma indirettamente mediante
una manovra di aggiramento.

Esempio: alienazione a scopo di garanzia: un debitore aliena al creditore un bene

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collegando il trasferimento della proprietà dell’inadempimento dell’obbligazione da parte del
debitore; tale contratto traslativo di un diritto è un mezzo per eludere il divieto del patto
commissorio (art. 2744 c.c.).

Quanto alla natura giuridica, si hanno teorie diverse.

- Per la teoria soggettiva la frode alla legge richiede:

- l’idoneità del negozio a raggiungere un risultato analogo a quello vietato (elemento


oggettivo);

- l’intenzione fraudolenta: il proposito di eludere la norma imperativa (elemento


soggettivo).

- Per la teoria oggettiva la frode alla legge richiede solo l’elemento oggettivo mentre è
irrilevante l’elemento soggettivo perché non è possibile far dipendere l’illiceità del negozio
dalla consapevolezza delle parti di sfuggire ad una norma di legge.

Tale teoria meglio si concilia con la tesi della causa in concreto che è lo scopo pratico che le
parti intendono raggiungere con il contratto. Un contratto tipico, pur essendo previsto dalla
legge con una causa astratta lecita, può avere la causa concreta illecita e pertanto essere
nullo.

Come si è visto, la causa è un requisito del contratto che non può mancare, perché è
requisito dello stesso.

Al riguardo la dottrina distingue:

- negozi causali nei quali la causa è elemento essenziale e costitutivo e che non
producono alcun effetto in caso di mancanza o illiceità della causa, perché sono invalidi;

- negozi astratti nei quali la causa ha una rilevanza indiretta e ritardata e resta
accantonata: i negozi astratti producono inizialmente effetti, che successivamente vengono
meno in quanto si potrà agire per la restituzione di quanto prestato in caso di mancanza o
illiceità della causa.

Nel nostro ordinamento giuridico è ammessa eccezionalmente solo una parziale


astrazione sostanziale e ciò per facilitare l’acquisto e la circolazione dei diritti.

Esempio: il compratore Tizio rilascia al venditore Caio una cambiale con la quale promette
di pagare una somma pari al prezzo. Il venditore Caio gira la cambiale al terzo Sempronio.
Tizio non potrà rifiutare il pagamento nei confronti di Sempronio adducendo che il contratto di
vendita era nulla e perciò l’emissione della cambiale è stata priva di causa. La cambiale è un
negozio relativamente astratto e Tizio pertanto dovrà pagare a Sempronio la somma
risultante dal titolo della cambiale, ma potrà rivalersi nei confronti di Caio con l’azione di

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indebito arricchimento (art. 2041 c.c.) ed in ciò risulta la rilevanza indiretta e ritardata della
causa.

L’accantonamento della causa è compensata da un formalismo: i negozi astratti richiedono


una forma scritta ad substantiam, a pena di nullità dell’atto.

Dalla causa si distinguono i motivi.


La causa costituisce lo scopo oggettivo concreto e immediato che le parti perseguono
stipulando quel dato contratto.
Il motivo è la rappresentazione soggettiva che induce i soggetti a concludere il contratto;
sono particolari interessi o bisogni che rappresentano lo scopo ulteriore, individuale e concreto
che tramite gli effetti del negozio si intende raggiungere; es. Tizio acquista un bene perché
intende regalarlo ad un amico.

Di solito i motivi non sono comunicati alla controparte e non sono né conosciuti né
conoscibili dall’altro contraente e sono giuridicamente irrilevanti: sono un impulso psichico
che non si traduce nell’atto di volontà negoziale.

In casi eccezionali i motivi nei contratti sono rilevanti:

- il contratto è nullo per illiceità qualora le parti si siano determinate a concluderlo


esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe le parti (art. 1345 c.c.); es.
Tizio concede a Caio un finanziamento affinché possa adoperare tale somma per corrompere
un funzionario da cui ottenere un’autorizzazione nell’interesse di entrambi;

- la donazione, che è un contratto, è nulla quando il motivo illecito risulta dall’atto ed è


il solo che ha determinato il donante alla liberalità (art. 788 c.c.);

- la donazione può essere impugnata per errore sul motivo, sia esso di fatto o di
diritto, quando il motivo risulta dall’atto ed è il solo che ha determinato il donante alla liberalità
(art. 787, 2° comma, c.c.).

d) L’oggetto

L’oggetto del contratto è l’attribuzione patrimoniale, ossia l’attività che le parti si sono
impegnate a svolgere.
Precisamente l’oggetto del contratto è
- la prestazione di dare, fare o non fare che la regola contrattuale impone come obbligo;
- il risultato rappresentato dal trasferimento di diritti che consegue al contratto.

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Dall’oggetto del contratto si distingue il contenuto del contratto e l’oggetto della
prestazione.

Il contenuto:

- in senso formale è l’insieme delle dichiarazioni che rientrano nell’accordo contrattuale e


che non hanno natura dispositiva: es. le dichiarazioni dispositive, le motivazioni personali, le
premesse, le narrative in fatto. Nel contenuto meramente formale del contratto rientrano le
clausole di stile: le clausole che rispondono ad una pratica stilistica senza assumere per le
parti un determinato valore precettivo; es. la clausola che il bene viene venduto nello “stato di
fatto e di diritto”;

- in senso sostanziale è l’insieme delle disposizioni contrattuali: le disposizioni mediante


le quali i contraenti determinano il rapporto contrattuale.

L’oggetto della prestazione è il bene al quale la regola posta nel contratto ha riguardo.

Esempio: nel contratto di vendita di un libro:

- il contenuto è rappresentato dalla regola che dispone lo scambio tra la proprietà del
libro ed il prezzo;

- l’oggetto del contratto sono le due attribuzioni corrispettive, ossia il trasferimento


della proprietà del libro e il pagamento del prezzo;

- l’oggetto delle prestazioni sono il libro e la somma di denaro.

L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile (art.
1346 c.c.).

L’oggetto deve essere, dunque:

- possibile: si ha

- possibilità in senso fisico quando la prestazione è materialmente suscettibile


di esecuzione; es.: è impossibile materialmente la prestazione di trasporto di merci da
Milano a Palermo in 10 minuti;

- possibilità in senso giuridico quando la prestazione è giuridicamente


suscettibile di esecuzione; è impossibile giuridicamente la prestazione che la
legge non consente di dedurre in contratto; es.: è giuridicamente impossibile la
vendita di beni demaniali o comunque incommerciabili;

Il giudizio di possibilità non riguarda la concreta attitudine delle parti ad assolvere


l’impegno assunto, cioè la difficoltà soggettiva, ma la possibilità di realizzare l’impegno
assunto.

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La possibilità va accertata al momento della conclusione del contratto; tuttavia è
ammessa la possibilità sopravvenuta dell’oggetto del contratto, ossia in un momento
successivo a quello della conclusione del contratto; infatti il contratto sottoposto a condizione
sospensiva o a termine è valido, se la prestazione inizialmente impossibile diviene
possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine (art.
1347 c.c.).

Il contratto può avere ad oggetto un bene futuro: la prestazione di cose future può
essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti di legge (art. 1348 c.c.). La norma si
riferisce non all’oggetto del contratto, cioè alla prestazione, ma alla cosa che costituisce
l’oggetto della prestazione.

La dottrina distingue:

- cose future in senso soggettivo: quelle che esistono in rerum natura, ma non
fanno parte del patrimonio del disponente, tuttavia si prevede che in seguito possano
appartenergli;

- cose future in senso oggettivo: quelle che non esistono nel patrimonio né del
disponente né di altra persona; non sono in rerum natura quali entità materiali o giuridiche,
ma di esse si prevede la futura esistenza; es. una casa da costruire, il diritto di autore di un
opera ancora da scrivere, i frutti civili non ancora maturati.

- Lecito: è l’oggetto che non è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buona
costume. L’illiceità va valutata al momento in cui il contratto è stipulato e in base alla legge a
quel momento vigente. Esprime un giudizio di riprovevolezza da parte dell’ordinamento
giuridico; es.: vendita di droga o di cose rubate.

- Determinato è l’oggetto certo e individuato nel contratto; determinabile è l’oggetto


individuabile successivamente alla conclusione del contratto in base a criteri stabiliti nel
medesimo contratto; es. una somma di denaro è determinabile con calcoli matematici o è
determinabile secondo i criteri fissati dalla legge, come il compenso dell’appalto che è
determinato, tra l’altro, secondo le tariffe esistenti (art. 1657 c.c.).

Le parti possono anche stabilire che la prestazione debba essere determinata da un


soggetto estraneo al contratto; in tal caso si ha la figura dell’arbitraggio.

L’arbitraggio è l’atto mediante il quale un terzo estraneo al contratto, detto arbitratore,


determina su incarico delle parti la prestazione dedotta in contatto.

Es.: Tizio dà in appalto a Caio la costruzione di una villa per un corrispettivo che sarà
stabilito dal tecnico Sempronio.

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L’arbitratore deve procedere con equo apprezzamento (arbitrium boni viri) cioè
contemperando gli interessi dei contraenti; se

- manca la determinazione del terzo;

- o se questa è manifestamente iniqua, in quanto sacrifica l’interesse di una


parte o erronea, perché si basa su una falsa conoscenza della realtà,

la determinazione è fatta dal giudice (art. 1349, 1° comma, c.c.).

L’arbitratore, se autorizzato dalla parti, può precedere secondo mero arbitrio


(arbitrium merum) cioè secondo la sua libera scelta; in tal caso se:

- l’arbitratore ha agito in mala fede, perché la sua determinazione è a favore di


uno dei contraenti, le parti possono impugnare la determinazione del terzo (art. 1349
2° comma, c.c.);

- se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo,


il contratto è nullo (art. 1349, 2° comma, c.c.).

In ogni caso, nel determinare la prestazione il terzo deve tener conto anche delle
condizioni generali della produzione a cui il contratto eventualmente abbia riferimento (art.
1349, 3° comma, c.c.).

e) La forma

Ogni atto umano, per avere rilevanza sociale, deve necessariamente essere riconoscibile
cioè esteriorizzato.

In generale, la forma del contratto, come di ogni negozio giuridico, è il mezzo idoneo
attraverso il quale le parti manifestano il loro consenso: è lo strumento tecnico-giuridico
attraverso il quale la volontà delle parti si estrinseca e si esprime.

Un negozio privo di forma è inesistente in quanto non risulta socialmente e pertanto non
può assumere alcuna rilevanza giuridica.

In tal senso la forma è un momento imprescindibile di ogni negozio giuridico e può


consistere:

- in una dichiarazione di volontà: atto consapevole destinato ad esser conosciuto da altri


e a rendere loro noto un determinato contenuto;

- o in un comportamento che esaurisce il suo risultato in una modificazione della realtà


preesistente; es. occupazione, abbandono, accettazione tacita di eredità.

Dalla forma come elemento necessario per l’esistenza del negozio giuridico va distinta la

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forma requisito del contratto quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità
(art. 1325,n. 4, c.c.).

Questa è quella speciale forma richiesta dal legislatore per determinati negozi la cui
mancanza rende nullo il contratto.

La prescrizione di forma quale elemento costitutivo del contratto risponde all’esigenza di:

- responsabilizzazione del consenso: l’onere della forma vale a richiamare


l’attenzione della parte sulla dichiarazione fatta propria mediante la sottoscrizione;

- certezza dell’atto: una dichiarazione orale è percepita solo dai presenti e la prova
rimane affidata alla parola e memoria di coloro che l’hanno ascoltata; la scrittura privata affida
la dichiarazione ad un mezzo durevole di conoscenza.

Nel nostro ordinamento in tema di contratti e di negozi vige il principio della libertà di
forma: il consenso delle parti può essere manifestato con qualsiasi mezzo idoneo.

Tuttavia, in deroga la principio della libertà di forma, vi sono contratti detti contratti
formali per i quali la legge richiede una determinata forma scritta a pena di nullità (forma ad
substantiam): il consenso deve pertanto essere espresso in un forma vincolata o solenne.

La forma ad substantiam è quella che la legge impone al fine di giuridicizzare


l’operazione; in tali casi la forma è requisito dell’atto ed elemento essenziale, con
conseguente nullità in caso di mancata osservanza della forma (artt. 1325, n. 4; e 1418, 2°
comma, c.c.).

Le principali forme scritte solenni sono l’atto pubblico e la scrittura privata.

L’atto pubblico:

- è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico


ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato (art. 2699
c.c.);

- fa piena prova, fino a querela di della provenienza del documento dal pubblico ufficiale
che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale
attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 c.c.).

La scrittura privata:

- è il documento redatto per iscritto e sottoscritto dalle parti con firma autografa;

- fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha
sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione,
ovvero se questa e legalmente considerata come riconosciuta (art. 2702 c.c.).

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Il Codice civile, ad esempio, prescrive il requisito formale dell’atto pubblico a pena di nullità
per l’atto di donazione (art. 782, 1° comma, c.c.), per l’atto costitutivo della società per azioni
(art. 2328, 2° comma, c.c.) e per e convenzioni matrimoniali (art. 162, 1° comma, c.c.).

In alcuni contratti la forma è richiesta solo a fini probatori (forma ad probationem) e


quindi ha un carattere processuale.

La forma ad probationem non è un elemento costitutivo del contratto, ma un onere


richiesto per dare la prova dell’avvenuta stipulazione di esso.

Pertanto la mancanza dell’onere formale:

- non rende nullo il contratto;

- la prova del contratto può darsi mediante un documento ricognitivo o mediante la


confessione o il giuramento, ma non per testi (salvo che il documento sia andato smarrito
senza colpa; art. 2725. 1° comma, c.c.) o per presunzioni (art. 2729, 2° comma, c.c.).

Il Codice civile, ad esempio, richiede la forma ad probationem per la transazione (art. 1967
c.c.), e per il contratto di alienazione dell’azienda (art. 2556, 1° comma, c.c.).

Il nostro Codice prevede anche forme che hanno la loro fonte nella volontà delle parti:
forme convenzionali (o volontarie).

L’onere di una determinata forma può essere stabilito mediante un patto scritto col quale le
parti hanno convenuto di adottare una determinata forma per la futura conclusione del
contratto (art. 1352 c.c.).

Il patto di forma:

- è un accordo normativo: perché le parti determinano preventivamente la disciplina


formale di futuri contratti che potranno stipulare;

- è formale, in quanto deve essere stipulato nella forma scritta (art. 1352 c.c.), trattandosi
di patto che limita l’autonomia privata in tema di libertà di forma;

- può prevedere una data forma per la futura conclusione del contratto:

- come requisito essenziale del contratto da stipulare (forma ad substantiam),


come presume la legge in mancanza di diversa volontà (art. 1352 c.c.);

- come necessaria ai fini della prova del contratto (forma ad probationem), se le


parti così prevedono.

In caso di inosservanza della forma pattuita nel patto formale:

- secondo alcuni (in particolare la giurisprudenza), ove si accerti che la forma è stata

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pattuita ad substantiam, il contratto è nullo perché manca la forma prescritta a pena di
nullità dalla volontà delle parti;

- secondo altri, il contratto è inefficace e pertanto le parti potrebbero recuperare


l’efficacia del contratto stipulato per difetto di forma, rinunziando al patto formale anche
implicitamente, in quanto le stesse parti concludono volontariamente un contratto in forma
diversa da quella da loro stabilita.

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