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UNISU - Facoltà di Giurisprudenza

DIRITTO PRIVATO
Docente: Alessandro Martini

25° MODULO DIDATTICO


L’interpretazione del contratto. Gli effetti del contratto.

Sommario: a) L’interpretazione soggettiva e l’interpretazione oggettiva. -


b) Gli effetti del contratto. - c) Il contratto a favore di terzi. - d) La promessa
dell’obbligazione o del fatto del terzo.

a) L’interpretazione soggettiva e l’interpretazione oggettiva

L’interpretazione del contratto è l’operazione che accerta il significato giuridicamente


rilevante dell’accordo contrattuale, ossia di ciò che le parti hanno disposto.

L’interpretazione del contratto è:

- l’attività ermeneutica rivolta ad indagare e ricostruire il significato da attribuire alle


dichiarazioni delle parti ossia al contenuto sostanziale del contratto;

- un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e non censurabile in Cassazione.

L’interpretazione del contratto ha punti di contatto con l’interpretazione della legge, ma:

- l’interpretazione del contratto tende ad accertare il contenuto di un atto di


autonomia privata secondo l’intento dei suoi autori, ossia una volontà effettiva riconducibile
a soggetti determinati;

- l’interpretazione della legge tende ad accertare il contenuto di una regola


dell’ordinamento secondo la sua funzione sociale: è volontà impersonale e si pongono
problemi di costituzionalità e di effettività che sono estranei all’interpretazione del negozio.

Dall’interpretazione si distingue la valutazione la valutazione giuridica del contratto che è

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l’operazione volta ad accertare il valore giuridico dell’atto.

La valutazione giuridica comprende diversi momenti:

- la qualificazione: è la classificazione del contratto; l’accertamento che consente di


inquadrare il contratto in un determinato schema causale-giuridico;

- la verifica degli effetti: è l’accertamento degli effetti del contratto che hanno rilevanza
giuridica; es. il contratto esonera il debitore da responsabilità per inadempimento, ma la
clausola è valutata in tutto o in parte senza effetto perché contraria al divieto di legge: art.
1229 c.c.;

- l’integrazione degli effetti: è l’applicazione della disciplina extra-negoziale che integra


gli effetti del contratto (art. 1374 c.c).

Il Codice civile prevede alcune norme in tema di interpretazione del contratto (art. 1362-
1371 c.c.) e precisamente

- regole di interpretazione soggettiva: sono quelle dirette a ricostruire la reale


comune intenzione delle parti (artt. 1362-1365 c.c.);

- regole di interpretazione oggettiva: sono quelle dirette a determinare il significato


della clausola o dell’intero contratto quando è incerta o dubbia la volontà comune, giacché le
norme di l’interpretazione soggettiva non hanno chiarito la volontà delle parti (artt. 1366-1370
c.c.).

Le regole di interpretazione soggettiva sono le seguenti:

- «Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle
parti e non limitarsi al senso letterale delle parole (art. 1362, 1° comma, c.c.).

La comune intenzione:

- secondo la concezione psicologica è la volontà effettiva e reale delle parti; nel


contrasto tra dichiarazione e volontà prevale la volontà;

- secondo la concezione obiettiva è il valore obiettivo del contratto riconoscibile


dalle dichiarazioni e condotta delle parti; nel contrasto tra dichiarazione e volontà prevale
la prevale la dichiarazione.

- secondo altri, non è né la volontà effettiva né la dichiarazione, ma la comune


volontà obiettivizata e esteriorizzata nell’accordo; occorre dunque aver riguardo al
significato che in base alle concrete circostanze, ciascun contraente doveva
ragionevolmente attribuire all’accordo.

L’intenzione comune delle parti si ricava anche dalla valutazione dal comportamento
complessivo, delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto (art. 1362, 2° comma
c.c.): ossia da ciò che le parti hanno detto e fatto prima e dopo l’emissione delle dichiarazioni
conclusive (interpretazione globale);

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- Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre,
attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto (art. 1363 c.c.)
(interpretazione sistematica). Le clausole infatti concorrono a formare un tutto unitario e
l’esame deve riguardare tutte le clausole anche quelle eventualmente invalide poiché in sede di
interpretazione del contratto le clausole rilevano al fine della ricostruzione dell’intento dei
contraenti, salvo poi vedere se a tali disposizioni possa o no riconoscersi efficacia giuridica.

- Le espressioni generali nel contratto, s’intendono circoscritte all’oggetto materiale


contrattato (art. 1364 c.c.); es.: se la parti compongono una lite con una transazione e
dichiarano conseguentemente di non avere “più nulla a pretendere”, tale espressione deve
intendersi con riguardo al punto controverso senza incidere su altri eventuali punti estranei alla
lite.

- Quando si è utilizzato un caso esemplificativo al fine di spiegare un patto, non si


presumono esclusi i casi non espressi, ai quali, secondo ragione, può estendersi lo stesso patto
(art. 1365 c.c.); es.: nel garantire il bene libero da diritti di terzi, l’alienante specifica taluni
diritti, come le ipoteche, servitù, ma questa specificazione non esclude la garanzia per altri
diritti non menzionati nell’atto.

L’interpretazione oggettiva è l’operazione interpretativa diretta ad accertare il contenuto


del contratto e ad esprimere il significato dell’accordo sulla base di valutazioni
normative.

Le regole di interpretazione oggettiva si applicano in via sussidiaria, ossia quando


l’applicazione delle regole di interpretazione soggettiva non ha condotto ad un risultato certo,
perché non si è accertata con sicurezza la volontà delle parti.

Le regole di interpretazione oggettiva sono le seguenti:

- Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede (art. 1366, c.c.)
(interpretazione di buona fede).

Si discute se tale regola si collochi tra quelle sulla interpretazione soggettiva o oggettiva.

La buona fede indica la lealtà nell’interpretare il contratto che consiste nel:

- non suscitare e non speculare su falsi affidamenti;

- non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nell’altra parte.

Interpretare il contratto secondo buona fede significa quindi adeguare il contratto al


significato obiettivo sul quale, in base alle circostanze, le parti potevano o dovevano fare
ragionevole affidamento; pertanto sono vietate interpretazioni cavillose in contrasto con lo
spirito dell’intesa o basate su espressioni letterali inserite o aggiunte per errore materiale al
testo concordato.

- Il contratto o le singole clausole negoziali devono essere interpretate nel senso in cui

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possono avere qualche effetto anziché in quello in cui non ne avrebbero alcuno
(interpretazione utile); è un’applicazione del generale principio di conservazione del
contratto.

- Le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in
cui il contratto è stato concluso. Se una delle due parti è un imprenditore le clausole ambigue
devono intendersi secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui ha sede l’impresa
(art. 1368 c.c.).

Le pratiche generali cui si riferisce tale regola sono gli usi interpretativi che assolvono
una funzione interpretativa in quanto chiariscono le clausole ambigue.

- Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel
senso più conveniente alla natura e all'oggetto del contratto (art. 1369 c.c.) (interpretazione
funzionale).

- Le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari


predisposti da un parte devono interpretarsi, nel dubbio, nel senso più favorevole all’aderente
(art. 1370 c.c.) (interpretazione contro l’autore della clausola).

In tema di interpretazione si ha infine una norma di chiusura da applicare quando le


norme interpretative non consentono di accertare il significato del contratto ed il contratto
rimane oscuro (art. 1371 c.c.).

Se l’applicazione degli altri canoni d’interpretazione soggettiva e oggettiva non consentono


di accertare il significato del contratto, questo deve essere interpretato:

- nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito,

- e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti se è a titolo
oneroso.

L’equità è il giusto contemperamento dei diversi interessi delle parti in relazione allo scopo
e alla natura dell’affare del contratto.

b) Gli effetti del contratto

Con riguardo agli effetti del contratto si distingue l’effetto negoziale e l’effetto finale.

- L’effetto negoziale è il vincolo imposto dalle parti di tenere una condotta


corrispondente all’impegno assunto; è una situazione nuova rispetto a quella preesistente e
consiste nella stessa esistenza del contratto come autoregolamento di interessi; tale effetto
consiste nella “forza di legge del contratto” e comporta che il contratto non può essere
sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge (art. 1372, 1° e 2° comma,

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c.c.):

- il mutuo dissenso è il negozio risolutorio diretto ad eliminare un precedente negozio;

- le cause di scioglimento del contratto possono essere dovute alla risoluzione del
contratto (per inadempimento, impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità) o
dipendere dall’esercizio della facoltà di recesso prevista dalla legge (recesso legale) o dalla
volontà: recesso convenzionale.

Il recesso convenzionale (art. 1373 c.c.) è il negozio giuridico unilaterale mediante il


quale una parte di un rapporto giuridico dichiara di ritirarsi dal rapporto stesso, salvo che sia
diversamente pattuito:

- con l’esercizio della facoltà che gli è attribuita dall’altra parte, eventualmente verso un
corrispettivo da pagarsi al momento del recesso (multa penitenziale);

- e che può esercitare sino a quando il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione
o anche successivamente, nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ma in a tal caso il
recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.

- L’effetto finale del contratto è l’ulteriore modificazione della situazione giuridica


preesistente e consiste nel costituire, regolare o estinguere tra le parti un rapporto
giuridico patrimoniale (art. 1321 c.c.).

Es.: nel contratto sottoposto a condizione sospensiva l’effetto negoziale è immediato: è il


vincolo che il contratto crea tra le parti contraenti; l’effetto finale è sospeso ed è incerto e
futuro, in quanto si avrà solo al verificarsi della condizione.

Il contratto è un autoregolamento di privati interessi, lo strumento attraverso il quale i


soggetti dispongono della propria sfera personale e patrimoniale.

Il contratto non produce, di regola, effetti diretti rispetto a soggetti estranei all’atto di
autonomia negoziale in virtù del principio della relatività del contratto secondo cui i diritti
ed obblighi che derivano dal contratto non possono né nuocere né beneficiare i terzi.

Terzi sono tutti coloro che non sono parte né formale né sostanziale del contratto né sono
parificati alla parte (es.: l’erede o il subacquirente).

Il contratto può, però, avere efficacia diretta verso i terzi nel contratto nei casi ammessi
dalle legge (art. 1372, 2° comma, c.c.) e precisamente nel caso di un contratto a favore di
terzi (art. 1411 c.c.) a condizione che:

- il contratto è diretto a realizzare un effetto favorevole al terzo,

- il destinatario degli effetti del contratto stipulato tra altre parti, può rifiutare tali effetti.

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Il contratto produce effetti indiretti (o riflessi) verso i terzi ogni volta che non rileva come
atto di autonomia, ma assume rilevanza come dato materiale, per il fatto che esiste come tale.

Es.: la conclusione del contratto ha rilievo per il mediatore perché a seguito di essa il
mediatore consegue il diritto a percepire la provvigione (art. 1755, 1° comma, c.c.); la
conclusione del contratto da parte del falso rappresentante fa sorgere per il soggetto
falsamente rappresentato il diritto a rendere efficace, con la ratifica, nei propri confronti il
contatto stipulato (art. 1399 c.c.).

Diversa dall’efficacia diretta e indiretta del contratto è l’opponibilità.

L’opponibilità del contratto è la prevalenza del titolo contrattuale di acquisto sul


titolo vantato dal terzo, in caso sorgano conflitti in ordine ad un contratto tra contraenti e
terzi quando un acquisto di un diritto in base ad un contratto è contestato da un terzo che
pretende di potersi avvalere anche in base ad altro contratto, di un titolo incompatibile.

La soluzione del conflitto tra più acquirenti, non può risolversi semplicemente con il
principio secondo il quale viene preferito colui al quale il diritto viene attribuito per primo.

Pertanto quando sorge un conflitto tra più aventi causa (acquirenti) del medesimo dante
causa (autore, alienante), per lo stesso diritto, in caso di:

- acquisto di diritti su beni mobili (non registrati): è preferito chi ne ha acquistato il


possesso in buona fede (art. 1155 c.c.);

- acquisto di diritti su beni immobili: è preferito colui che per primo ha provveduto alla
trascrizione del titolo di acquisto, che è una forma di pubblicità dichiarativa e requisito per la
opponibilità del contratto (art. 2644 c.c.);

- acquisto di diritti personali di godimento (es.: la locazione): è preferito, di regola, chi


per primo ha conseguito il godimento della cosa (art. 1380 c.c.).

Il contraente sacrificato, che ha acquistato il diritto ma che non prevale, ha diritto al


risarcimento dei danni nei confronti della parte che ha disposto dello stesso diritto a favore
di più soggetti.

c) Il contratto a favore di terzi

Si ha contratto a favore di terzi quando una parte (stipulante) designa un terzo quale
avente diritto alle prestazioni dovute dalla controparte (promittente) (art. 1411 c.c.).

Il contratto a favore di terzi non è un contratto con causa autonoma, come la vendita,
la locazione ecc., ma un modo di essere di un contratto al quale è apposta una clausola
accessoria di sipulazione in forza della quale gli effetti sono deviati a favore del terzo.

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Es.: Tizio (stipulante) prende il locazione un appartamento da Caio (promittente) a favore
di suo figlio Sempronio (terzo); il contratto ha la tipica causa della locazione ed in più si ha un
clausola accessoria per la quale gli effetti si verificano immediatamente a favore non dello
stipulante Caio, ma del terzo beneficiario Sempronio.

Nel contratto a favore di terzo:

- la stipulazione a favore di un terzo è valida qualora lo stipulante vi abbia interesse


(art. 1411, 1° comma, c.c.); lo stipulante deve avere un interesse che giustifichi l’atto
dispositivo a favore del terzo. Tale interesse può essere anche di natura morale o affettiva, ma
comunque meritevole di tutela. Se manca o è illecito l’interesse dello stipulante, la disposizione
è nulla, ma rimane fermo il contratto, per cui la prestazione è dovuta allo stipulante;

- il terzo, salvo patto contrario, acquista automaticamente il diritto verso il


promittente sin dal momento della stipulazione tra promittente e stipulante (art. 1411, 2°
comma, c.c.) senza divenire parte del contratto già stipulato; può acquistare un diritto di
credito, ma anche un diritto reale;

- il terzo può rifiutare l’attribuzione dello stipulante; è una rinunzia di un diritto già
acquisito dal terzo;

- il terzo ha l’onere di dichiarare se vuole profittare del beneficio; la dichiarazione non


è accettazione del contratto, ma un atto che ha la sola funzione di eliminare la possibilità dello
stipulante di revocare o modificare la stipulazione;

- lo stipulante può, infatti, revocare o modificare la stipulazione, sino a quando il


terzo non ha dichiarato anche nei confronti del promittente di volerne profittare (art. 1411, 2°
comma, c.c.);

- in caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione


rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti
o dalla natura del contratto (art. 1411, 3° comma, c.c.);

- il promittente, quale parte del contratto, può opporre al terzo le eccezioni fondate sul
contratto e dal quale deriva il suo diritto, ma non quelle fondate su altri rapporti tra
promittente e stipulante (art. 1413 c.c.); es. l’invalidità del contratto.

Il Codice civile prevede un’ipotesi particolare di contratto a favore del terzo e dispone
che se la prestazione deve essere fatta al terzo dopo la morte dello stipulante:

- lo stipulante può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e


quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest'ultimo caso, lo
stipulante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca (art. 1412, 1° comma, c.c.);

- la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo
stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto
diversamente (art. 1412, 2° comma, c.c.).

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d) La promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo

Si ha promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo (art. 1381 c.c.) quando:

- un soggetto (promittente) promette alla controparte (promissario) che il terzo assuma


una certa obbligazione o compia un certo fatto;

- se il terzo non assume l’obbligazione o non compie il fatto promesso, il promittente è


obbligato ad indennizzare l’altro contraente (promissario).

Es.: un condomino promette l’adesione di altri condomini relativamente ad un atto di


disposizione della cosa comune.

La promessa è:

- un contratto tra due parti il promittente e il promissario, malgrado la qualifica di


“promessa” adottata nel Codice civile e non è, invece, un promessa unilaterale che
riguarda una prestazione che deve essere compiuta dallo stesso promittente e non da un
terzo (art. 1987 c.c.);

- un contratto sul patrimonio del terzo, nel senso che il terzo è il punto di riferimento
del contratto, ma è del tutto estraneo al contratto il quale non produce alcun effetto sul
terzo;

- un contratto fonte:

- secondo alcuni (la giurisprudenza) di una obbligazione di mezzi; il promittente si


obbliga ad un fare che consiste nell’adoperarsi, con la necessaria diligenza, affinché il terzo
compia il fatto o assuma l’obbligazione indicata;

- secondo altri di un’obbligazione di risultato: il promittente non si impegna ad un


fare, ma a procurare il fatto del terzo;

- secondo altri ancora (dottrina prevalente) di un’obbligazione di garanzia: il


promittente assume il rischio della inesecuzione di ciò che è stato promesso sin dal momento
della conclusione.

Il promittente deve pagare l’indennità al promissario se:

- il terzo non compie il fatto;

- il terzo non assume l’obbligazione; se però il terzo assume l’obbligazione e non adempie,
il promissario non avrà alcun diritto all’indennità.

Il legislatore parla di indennità e non di risarcimento perché nel caso in cui il terzo non

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adempie non si ha danno antigiuridico, perché esso non deriva da un atto illecito o da
inadempimento.

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