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UNISU - Facoltà di Giurisprudenza

DIRITTO PRIVATO
Docente: Alessandro Martini

29° MODULO DIDATTICO


Le obbligazioni nascenti da atti e fatti leciti

Sommario: a) Generalità. – b) Le promesse unilaterali. La


promessa di pagamento e la ricognizione di debito. - c) La promessa
al pubblico. - d) Cenni sui titoli di credito. – e) La gestione di affari
altrui. – f) Il pagamento di indebito. - g) L’arricchimento senza
causa.

a) Generalità

Ai sensi dell’art. 1173 c.c., sono fonti di obbligazione:


- il contratto (art. 1321 c.c.);
- i fatti illeciti (art. 2043 c.c.).
- gli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento
giuridico.

Quindi le obbligazioni possono anche derivare da:


- atti leciti che sono le promesse unilaterali (artt. 1987 ss.) e i titoli di credito (artt.
1992 ss. c.c.);
- fatti leciti che sono la gestione di affari altrui (artt. 2028 ss. c.c.), il pagamento di
indebito (artt. 2033 ss. c.c.) e l’arricchimento senza causa (artt. 2041 ss. c.c.).

b) Le promesse unilaterali. La promessa di pagamento e la ricognizione di debito

Le promesse unilaterali sono dichiarazioni unilaterali di volontà con le quali un soggetto


(promittente) promette una data prestazione a vantaggio di altro soggetto (promissario) con

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l’intento di vincolarsi immediatamente, per effetto della sola dichiarazione, senza che sia
necessario il consenso del destinatario.

Le promesse unilaterali sono:

- atti tipici: esse non producono effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge
(art. 1987 c.c.): la mera dichiarazione di volontà del debitore non accettata dal creditore
produce effetti obbligatori solo nei casi previsti dalla legge e le parti non possono dare vita a
promesse unilaterali atipiche; secondo alcuni le promesse unilaterali atipiche rientrano nella
previsione dell’art. 1333 c.c. norma dettata con riguardo ai contratti con obbligazioni a carico
del solo proponente, che non sono altro che negozi unilaterali rifiutabili, in quanto il silenzio
dell’oblato non ha valore negoziale di accettazione;

- negozi giuridici unilaterali consistenti nella dichiarazione emessa da una parte che si
obbliga ad una determinata prestazione e alle quali si applicano in quanto compatibili le norme
che regolano i contratti (art. 1324 c.c.).

Sono promesse unilaterali:

- la promessa di pagamento e la ricognizione di debito (art. 1988 c.c.);

- la promessa al pubblico (artt. 1990 ss. c.c.);

- i titoli di credito (artt. 1992 ss. c.c.).

La promessa di pagamento e la ricognizione (o riconoscimento) di debito sono


dichiarazioni unilaterali mediante le quali:

- un soggetto (promittente) promette ad un altro soggetto di effettuare una prestazione a


suo favore (promessa di pagamento);

- un soggetto (dichiarante) riconosce di avere un debito nei confronti di un altro soggetto


(ricognizione di debito).

Esse possono essere:

- pure (o astratte): se non menzionano il rapporto fondamentale della promessa o del


debito riconosciuto; es.: ti prometto 100; riconosco di essere tuo debitore per 100;

- titolate se menzionano il titolo (il rapporto fondamentale) della promessa o del debito
riconosciuto; es.: ti prometto 100 se sarai promosso; riconosco di doverti 100 per il lavoro che
hai fatto.

La promessa di pagamento e la ricognizione di debito:

- sono fonti di obbligazioni solo in senso lato: non determinano la nascita di una
obbligazione a carico del promittente o del dichiarante perché se l’obbligazione non esiste, la

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promessa e la ricognizione non è vincolante;

- comportano una astrazione processuale: esse operano sul piano non del diritto
sostanziale, ma su quello del diritto processuale in quanto «la promessa di pagamento o la
ricognizione di un debito dispensa colui a favore del quale e fatta dall'onere di provare il
rapporto fondamentale. L'esistenza di questo si presume fino a prova contraria» (art. 1988
c.c.): pertanto si ha una inversione dell’onere della prova ed una presunzione relativa
(fino a prova contraria) dell’esistenza del rapporto fondamentale;

- il promittente o il dichiarante ha l’onere di provare che il rapporto fondamentale,


ossia il debito, non esisteva (prova contraria).

c) La promessa al pubblico

La promessa al pubblico è una promessa unilaterale con la quale un soggetto


(promittente) rivolgendosi al pubblico, ossia ad un destinatario indeterminato (in incertam
personam), promette una prestazione a favore:

- di chi si trovi in una determinata situazione; es. prometto 100 al primo nato nell’anno
2009;

- o di chi compia una data azione; prometto 100 a chi trova l’oggetto smarrito.

Un caso particolare di promessa al pubblico è la vendita a premi (per raccolta di figurine,


o di bollini) in cui l’acquisto del prodotto non entra nella fattispecie e chi presenta i bollini o le
figurine, indipendentemente dal modo in cui ne è venuto in possesso, ha diritto al relativo
premio: la raccolta delle figurine è l’azione che il promissario deve compiere per avere il
premio.

Non sono promesse al pubblico:

- i premi promessi per manifestazioni sportive: l’iscrizione del partecipante lo rende


parte di un accordo contrattuale;

- i concorsi collegati a manifestazioni sportive: che si costituiscono come contratto di


scommessa; es.: totocalcio, totip.

La promessa al pubblico:

- è vincolante per il promittente appena è resa pubblica, ossia quando è portata a


conoscenza del pubblico con i mezzi più diversi: es. giornale, affissioni di manifesti, seppure il
creditore è ancora indeterminato; es. non si sa la momento della promessa chi troverà
l’oggetto smarrito;

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- il creditore acquista il diritto di credito alla prestazione promessa quando compie
quell’azione o si trova in quella situazione; se l’azione è stata compiuta da più persone
separatamente o se la situazione è comune a più persone, la prestazione promessa, quando è
unica, spetta a colui che per primo ne ha dato notizia al promittente (art. 1991 c.c.);

- è efficace e quindi vincolante, entro il termine stabilito dal promittente o in quello che
risulta se alla promessa non è apposto un termine, o non è desumibile dalla natura o dallo
scopo della promessa, il vincolo della promessa cessa, qualora entro l’anno dalla promessa non
è stato o comunicato al promittente l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione
prevista nella promessa (art. 1989, 2° comma, c.c.).

- è revocabile, anche prima della scadenza del termine, purchè (art. 1990 c.c.),

- vi sia una giusta causa, ossia un accadimento sopravvenuto che renda inutile
l’attività dedotta nella promessa; es.: il divieto dell’autorità;

- la revoca sia resa pubblica nella stessa forma della promessa o in forma
equivalente; es. la revoca della promessa è pubblicata sullo stesso giornale in cui è
stata pubblicata la promessa stessa;

- non si sia già verificata la situazione o non sia stata già compiuta l’azione
prevista nella promessa.

d) Cenni sui titoli di credito

Il titolo di credito è un documento contenente la promessa unilaterale di effettuare una


data prestazione a favore di chi lo presenterà al debitore (artt. 1992 ss. c.c.).

La funzione dei titoli di credito è quella di mobilizzare la ricchezza, cioè di favorire la


circolazione di diritti di credito rendendola più semplice e più sicura: nel momento della
creazione del documento (emissione) in cui risulta il credito, si determina la nascita del diritto
e con il trasferimento del documento circola il diritto ivi previsto; il possessore del documento
(cartula), detto titolo di credito è anche titolare del diritto incorporato nel titolo, ossia di un
diritto cartolare.

Caratteri del titolo di credito sono:

- l’incorporazione: il diritto è incorporato nel titolo, è trasfuso nel documento e ne


costituisce l’essenza, e pertanto con il possesso del titolo si può:

- provare l'esistenza del diritto stesso in esso incorporato;

- ottenere la prestazione in esso prevista;

- la letteralità: il diritto è documentato dal contesto letterale del titolo, e pertanto:

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- il titolare non può pretendere una prestazione diversa da quella risultante dal
documento;

- il debitore non può disconoscere le obbligazioni inserite nel titolo;

- l'autonomia: il diritto incorporato nel titolo è indipendente dai precedenti rapporti


intercorsi tra gli atri titolari ed il debitore; colui che risulta, in base alla legge di circolazione del
titolo, titolare di esso, acquista a titolo originario il diritto ed esercita un diritto proprio,
autonomo ed indipendente. Il debitore non può opporre al possessore del titolo le eccezioni
personali riguardanti i rapporti con i precedenti possessori a meno che non si dimostri che il
possessore, nell'acquistare il titolo ha agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo
(art. 1993, 2° comma, c.c.).

Nei titoli di credito si distingue:

- il rapporto fondamentale: è la causa che giustifica l’emissione del titolo;

- il rapporto cartolare è quello che sorge con l’emissione del titolo.

In base al rapporto fondamentale si hanno:

- titoli causali: sono quelli nei quali è menzionano il rapporto fondamentale; es. fede di
deposito e nota di pegno che vengono emesse per effetto della stipulazione di un contratto di
deposito di merce in un magazzino generale (artt. 1790 ss. c.c.);

- titoli astratti: sono quelli nei quali non è menzionato il rapporto che ha dato vita al
titolo; es.: gli assegni e le cambiali.

In base alla legge di circolazione del titolo, che determina la legittimazione


all’esercizio del diritto di credito incorporato nel titolo, si distinguono:

- titoli al portatore: sono quelli che si trasferiscono con la semplice consegna del titolo e
che legittimano all’esercizio del diritto il possessore del titolo in base alla sola
presentazione del titolo medesimo (art. 2003 c.c.);;

- titoli all’ordine: sono quelli che si trasferiscono mediante girata, ossia mediante una
dichiarazione scritta sul titolo e sottoscritta dal girante; e che legittimano all’esercizio del
diritto il possessore del titolo in base ad una serie continua di girate (art. 2008 c.c.); es.: gli
assegni e le cambiali;

- titoli nominativi: sono quelli che si trasferiscono con la girata e con l’annotazione del
nuovo beneficiario-creditore sui registri dell’emittente; e che legittimano all’esercizio del diritto
il possessore del titolo per effetto di una doppia intestazione a suo favore contenuta nel
titolo e nel registro dell’emittente; es.: le azioni di una società di capitali.

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e) La gestione di affari altrui

Si ha gestione di affari altrui (negotiorum gestio) quando un soggetto (gestore) assume


consapevolmente e senza esservi obbligato (spontaneamente), la cura dell’interesse di colui
che non è in grado di provvedervi (interessato, dominus) (artt. 2028 ss. c.c.).

La gestione di affari altrui rientra tra i fatti giuridici idonei a produrre obbligazioni
(art. 1173 c.c.): quando il gestore per le più diverse motivazioni, assume in via di fatto, la
gestione di un affare altrui, da tale gestione sorgono a carico del gestore e dell’interessato
obbligazioni.

Oggetto della gestione può esser qualsiasi attività giuridica o materiale utile per il
patrimonio o la persona dell’interessato; sia di ordinaria amministrazione che di straordinaria
amministrazione quando tale attività sia utile e rivesta carattere di urgenza.

I requisiti della gestione di affari altrui sono:

- l’impedimento dell’interessato (absentia domini) a provvedere al proprio interesse


(art. 2028 c.c.): in quanto egli si trova in una situazione soggettiva o oggettiva che gli
preclude o gli rende difficile la cura del proprio interesse;

- la mancanza di un divieto alla gestione da parte dell’interessato (prohibitio domini):


salvo che tale divieto sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 2031,
2° comma, c.c.);

- la consapevolezza del gestore di curare un interesse altrui (animus aliena negozia


gerendi): il gestore deve avere consapevolezza dell’alienità dell’affare; se egli credeva di
trattare un affare proprio non potrà giovarsi delle norme sulla gestione degli affari altrui, ma
solo quelle sull’arricchimento senza causa;

- la spontaneità dell’intervento del gestore che non deve essere obbligato alla cura
dell’affare dell’interessato (art. 2028, 1° comma, c.c.), perché, in tal caso, è tenuto ad
adempiere;

- l’utilità iniziale della gestione (utiliter coeptum) la gestione deve essere utilmente
iniziata (art. 2031 c.c.), e quindi non si deve aver riguardo all’esito finale della gestione, ma
occorre tenere conto dell’utilità iniziale della gestione per l’interessato; l’utilità si ha quando
l’intervento è idoneo ad incrementare il valore del bene o ad evitarne un pregiudizio e va
valuta obiettivamente, riferendosi alla valutazione che avrebbe fatto il dominus;

- la capacità di agire del gestore (art. 2029 c.c.), in quanto si è voluto impedire un
soggetto incapace assuma per legge obbligazioni; l’incapacità comporta l’automatica inefficacia
della gestione, tuttavia si ritiene che a favore del gestore rimangano fermi gli effetti a lui
favorevoli.

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Per quanto riguarda gli effetti, ossia le obbligazioni che derivano dalla gestione di affari
altrui:

- il gestore:

- ha l’obbligo di continuare e di condurre a termine la gestione intrapresa


finché l’interessato non sia in condizione di provvedervi da sé; l'obbligo di continuare la
gestione sussiste anche se l'interessato muore prima che l'affare sia terminato, finche
l'erede possa provvedere direttamente (art. 2028 c.c.);

- è soggetto alle stesse obbligazioni che diverrebbero da un mandato e


quindi anche all’eventuale risarcimento del danno in caso di negligenza; tuttavia il
giudice, in considerazione delle circostanze che hanno indotto il gestore ad assumere la
gestione, può moderare il risarcimento dei danni ai quali questi sarebbe tenuto per
effetto della sua colpa (art. 2030 c.c.);

- l’interessato:

- deve adempiere verso i terzi agli obblighi che gli derivano dai negozi compiuti
dal gestore in nome dell’interessato (gestione rappresentativa);

- deve tenere indenne il gestore dalle obbligazione che questi abbia assunto in
nome proprio ;

- deve rimborsare al gestore le spese con gli interessi dal giorno in cui le spese
sono state sostenute (art. 2031, 1° comma, c.c.);

- se l’interessato ratifica l’operato del gestore, la gestione è produttiva di effetti


anche se mancano i presupposti legali dell’‘impedimento dell’interessato, dell’utilità della
gestione e della consapevolezza del gestore di gestire un affare altrui. In tal caso si producono
gli effetti che sarebbero derivati da un mandato (art. 2032 c.c.) anche se la persona credeva di
gestire un affare proprio: tale regola non si applica quando il gestore ha agito nonostante il
divieto del dominus a meno che la proibizione non sia contraria alla legge, all’ordine pubblico o
al buon costume.

A tutela dei diritti nascenti dalla gestione di affari altrui si ha:

- l’actio negotiorum gestorum directa: è quella azione che spetta al dominus per
ottenere l'adempimento delle obbligazioni del gestore;

- l’actio negotiorum gestorum contraria: è quella azione che spetta al gestore per
ottenere l'adempimento delle obbligazioni del dominus.

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f) Il pagamento d’indebito

Il pagamento d’indebito è l’esecuzione di una prestazione non dovuta (indebita).

Esso è fonte legale dell’obbligazione di restituzione: chi ha eseguito un pagamento


(solvens) non dovuto (pagamento d’indebito) ha diritto di ripetere ciò che ha pagato, ha,
cioè, un’azione di ripetizione (condictio indebiti) nei confronti di colui che ha ricevuto il
pagamento (accipiens), che è tenuto alla restituzione.

L’indebito può riguardare:

- una prestazione di dare una somma di denaro o di una quantità di cose fungibili;

- e, secondo alcuni, anche una prestazione di fare, in tal caso si può pretendere una
somma di denaro rapportata al valore economico del servizio prestato.

L’indebito può essere oggettivo e soggettivo.

L’indebito oggettivo (o indebito ex re): si ha quando il solvens esegue una prestazione in


mancanza di un titolo (art. 2033 c.c.), ossia di un rapporto o un negozio del quale la
prestazione è esecuzione, in quanto:

- la fonte del debito inesistente; es. si paga un imposta non dovuta;

- il rapporto obbligatorio si è già estinto;

- si ha nullità, annullamento e risoluzione del titolo negoziale: in tal coso le parti


hanno diritti di ripetere le prestazioni già eseguite;

- il pagamento è effettuato ad un destinatario non legittimato: indebito soggettivo ex


latere accipientis.

L’indebito soggettivo (o indebito ex latere solventis o ex persona debitoris) è il


pagamento del debito eseguito da chi si crede erroneamente debitore (art. 2036, 1° comma,
c.c.).

In tale ipotesi:

- il credito esiste in capo all’accipiente;

- il solvens non è debitore verso l’accipiente ed ha diritto alla ripetizione solo se ha


pagato per errore scusabile: ossia per errore che non poteva essere evitato con la normale
diligenza; se invece il pagamento avviene per errore inescusabile l’accipiens ha diritto di
trattenere quanto ha ricevuto e il solvens subentra nei diritti del creditore verso il vero debitore
(surrogazione legale: art. 2036, 3° comma, c.c.).

L’obbligo della restituzione viene meno se l’accipiens si è privato in buona fede del titolo o
delle garanzie del credito (art. 2036, 1° comma, c.c.); in questo caso è concesso al solvens la
surrogazione nei diritti che il creditore vantava nei confronti del debitore effettivo (art. 2036,

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3° comma, c.c.).

Quanto agli effetti dell’indebito:

- colui che ha ricevuto il pagamento (accipiens) è tenuto a restituire quanto ricevuto


indebitamente dal solvens;

- colui che ha adempiuto la prestazione indebita (solvens), ha diritto alla ripetizione


(cioè: a chiedere indietro) quanto pagato.

Se colui che ha ricevuto l’indebito:

- è in buona fede è tenuto a restituire, oltre all’indebito, anche i frutti e gli interessi
moratori dal giorno della domanda giudiziale di restituzione (artt. 2033 e 2036 2° comma,
c.c.);

- è in mala fede, è tenuto a restituire, oltre all’indebito, anche i frutti e gli interessi dal
giorno del pagamento del ricevuto (artt. 2033 e 2036 2° comma, c.c.);

- ha ricevuto una cosa determinata è tenuta a restituirla nella sua identità (art. 2037,
1° comma, c.c.); l’ alienazione, il deterioramento ed il perimento della cosa indebitamente
ricevuta è regolata da disposizioni specifiche (artt. 2037, 2° e 3° comma, e 2038 c.c.);

- è incapace, anche se in mala fede, è tenuto alla restituzione solo nei limiti in cui ciò che
ha ricevuto sia stato rivolto in suo vantaggio (art. 2039 c.c.), ossia nei limiti della ragionevole
utilizzazione della prestazione tenuto conto dell’interesse e dell’autonomia di vita dell’incapace.

La persona a cui è restituito l’indebito ha gli obblighi tipici del proprietario reintegrato nel
possesso e deve rimborsare il corrispettivo delle spese e dei miglioramenti a norma degli art.
1149-1152 dettati in tema di possesso (art. 2040 c.c).

L’azione di ripetizione si prescrive nel termine di dieci anni.

Non dà luogo a ripetizione d’indebito:

- l'adempimento di una obbligazione naturale (art. 2034 c.c.);

- l’esecuzione di un contratto nullo per contrarietà al buon costume (contratto


immorale), ossia l’adempimento di una prestazione per uno scopo che, anche da parte di chi la
esegue, costituisce offesa al buon costume (art. 2035 c.c.).

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g) L’arricchimento senza causa

L’arricchimento senza causa (o ingiustificato arricchimento) è fonte legale di


obbligazione (art. 1173 c.c.), ossia un fatto idoneo a produrre obbligazioni in virtù di legge.

Precisamente il Codice civile dispone che chi si arricchisce senza una giusta causa a danno
di un altro soggetto è obbligato, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare colui che ha subito
la correlativa diminuzione patrimoniale (art. 2041 c.c.).

In generale l’ingiustificato arricchimento esprime un principio dell’ordinamento


giuridico secondo cui non è consentito che una persona riceva un vantaggio dal danno
arrecato ad altri senza che vi sia una causa che giustifichi lo spostamento patrimoniale da un
soggetto ad un altro.

Tale principio trova applicazione in specifiche disposizioni normative, tra le quali quelle, già
viste, che prevedono:

- la gestione di affari altrui (artt. 2028 ss. c.c.);

- il pagamento di indebito (artt. 2033 ss. c.c.).

La norma sull’ingiustificato arricchimento (art. 2041 c.c.) è dunque una norma di


chiusura che opera quando non sussiste una determinata previsione normativa che consente
di esercitare altra azione per farsi indennizzare la perdita subita (art. 2042 c.c.): è una norma
sussidiaria che attribuisce all’interessato un’azione generale ossia una tutela contro tutti i
potenziali fatti che possono determinare un arricchimento senza causa, quando per questi non
si ha una specifica tutela.

I presupposti dell’azione generale di arricchimento sono:

- l’arricchimento di un soggetto: che può consistere in qualsiasi vantaggio suscettibile


di valutazione economica: un incremento patrimoniale o un risparmio di spesa;

- l’impoverimento di un altro soggetto: ossia la diminuzione patrimoniale di altro


soggetto consistente in un pregiudizio economico: la perdita o la mancata utilizzazione di un
bene o la mancata remunerazione di una prestazione resa da altri;

- il nesso causale tra l’arricchimento e l’impoverimento: si ha quindi un unico fatto che


deve generare entrambi gli eventi;

- la mancanza di giusta causa nell’arricchimento: l’arricchimento è ingiustificato, o


senza causa, quando il vantaggio economico conseguito a carico di altri non è giustificato da
un interesse meritevole di tutela e precisamente quando l’arricchimento è correlativo ad un
impoverimento (perdita di un bene o erogazione di un servizio) che non e remunerato e non
costituisce né liberalità né adempimento di un’obbligazione naturale.

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L'ingiustificato arricchimento comporta a carico dell'arricchito:

- un obbligo di indennizzo: determinato nella minor misura tra il valore del bene
perduto dall’impoverito e il valore del vantaggio conseguito dall’arricchito;

- un obbligo di restituzione: quando l'arricchimento abbia per oggetto una cosa


determinata, colui che l'ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della
domanda (art. 2041 c.c.); es. se in esecuzione di un mandato nullo, il mandatario ha acquisito
un bene utilizzando denaro del mandante, deve restituire tale cosa la mandatario.

L’azione di arricchimento si prescrive nel termine di 10 anni decorrenti dal giorno


dell’arricchimento.

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