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Il significato delle patologie della pelle, le interpretazioni di Thorwald

Dethlefsen e Rudiger Dahlke


Nel capitolo inerente le pratiche igienistiche di Lezaeta si è discusso riguardo alla patologia cutanea
come la conseguenza dello stato di intossicazione organica ed estrinsecazione del tentativo
dell’organismo di espellere tali tossine attraverso fenomeni patologici. Alcuni medici e
psicoterapeuti hanno cercato di spingersi oltre e di dare un’interpretazione a queste manifestazioni,
cercando di trarne un significato allegorico. Secondo questa visione la malattia è un simbolo, ossia
l’espressione materiale di un contenuto non ancora integrato nella coscienza. Nel libro “Malattia e
Destino” Thorwald Dethlefsen ci dona una nuova prospettiva della malattia, sottolineando
l’importanza fondamentale di recuperare una filosofia della medicina. La medicina moderna infatti
non è carente in quanto a possibilità di azione, quello che manca pressoché del tutto è la filosofia su
cui questa azione si fonda. L’azione medica infatti finora si è orientata esclusivamente in base alla
funzionalità e all’efficacia perdendo tutti gli aspetti contenutistici. Per cui non è sufficiente
sostituire il farmaco con prodotti naturali poiché, altrimenti, si agisce solo sulla modificazione delle
forme mantenendo immutati invece il paradigma conoscitivo e le mete della medicina ufficiale.
I processi funzionali non sono significativi in se stessi. Il significato, afferma Dethlefsen, deriva
unicamente dalla loro interpretazione, che ce ne rivela il significato. Tuttavia per poter interpretare
qualcosa è necessario un sistema di riferimento esterno al piano all’interno del quale si manifesta
l’evento da interpretare. Gli eventi in questo mondo materiale e formale possono essere interpretati
soltanto portando in causa un sistema di riferimento metafisico.
Solo quando il mondo visibile delle forme “diviene allegoria” (Goethe) acquista valore e
significato per l’uomo. (Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke, Malattia e Destino, pag 17).
Forma e contenuto si distinguono fra loro. Il contenuto si esprime attraverso una forma. Un esempio
chiarificatore è quello dell’opera artistica: in un quadro, ad esempio, non è importante la qualità
della tela e dei colori quanto il messaggio che il pittore vuole comunicare; tele e colori diventano
dunque gli strumenti mediante i quali l’artista comunica un’informazione, sono latori e interpreti di
un’immagine interiore. Sono dunque, a tutti gli effetti, l’espressione fisica di un contenuto
metafisico.
Dunque, trasponendo questo concetto sull’essere umano, Dethlefsen compie un’opera davvero
d’avanguardia poichè considera i temi di malattia e guarigione in termini di interpretazione.
Ovviamente per percorrere questa via sono necessari strumenti conoscitivi diversi come pensiero
figurativo, fantasia, capacità di associazione; ci saranno ostacoli da superare come paradossi e
ambivalenze ma non si dovrà mai pretendere che uno dei poli sia quello “giusto”.
Il concetto chiave del libro su citato lo troviamo nelle prime pagine: “il corpo non è mai sano o
malato, perché in lui si esprimono semplicemente le informazioni della coscienza” (Thorwald
Dethlefsen, Malattia e Destino, pag 18).
Qualsiasi fenomeno che si esprime nel corpo umano è la condensazione di un’idea, la
manifestazione concreta di un’informazione proveniente da un piano metafisico, esterno a quello
concreto. Il corpo di per sé non fa nulla, esso è semplicemente il teatro materiale in cui si esibiscono
attori trascendenti.
Quando tutte le funzioni fisiologiche si attuano seguendo un modello armonico, possiamo chiamare
questo coacervo di funzioni equilibrate salute; nel momento in cui alcune di queste funzioni
cominciano a uscire dai binari manifestando uno squilibrio, abbiamo la malattia. Tuttavia i sintomi
sono l’espressione materiale di una disarmonia a livello di coscienza, sul piano dell’informazione.
Se ne deduce pertanto che informazioni scorrette diano vita a manifestazioni sensibili che fanno
loro da specchio.
Questa prospettiva potrebbe essere associata al “modello psicosomatico” ma con la sostanziale
differenza che tutti i sintomi sperimentabili vengono incorporati e interpretati come manifestazione
della coscienza. Per cui non esistono malattie psicosomatiche e altre che non lo sono. Qualsiasi
fenomeno, persino le malattie mentali, sono espressione di contenuti metafisici.
Anche Dethlefsen denuncia in maniera chiara l’atteggiamento abortivo della medicina allopatica sul
sintomo. Ritiene inutile e dannoso bloccare un elemento conoscitivo. “Un sintomo non deve essere
represso, ma reso superfluo”.
Come sosteneva anche Edward Bach, “la malattia è un messaggio”, talvolta lieve altre volte
perentorio e violento, tale da costringerci ad osservarlo, ad aumentare la consapevolezza di noi
stessi e del mondo che ci circonda utilizzando come perno proprio il sintomo. Quest’ultimo deve
diventare un compagno di viaggio, un amico invisibile che scortandoci lungo la via ci rivela, passo
dopo passo, insegnamenti fondamentali per la nostra evoluzione. È necessario porgergli ascolto,
dargli spazio per quanto doloroso esso sia. Solo compiendo questo atto di estrema sincerità con il
proprio sé è possibile “guarire” dalla malattia trasmutandola. Altrimenti non facciamo altro che
combattere una battaglia persa in partenza con un avversario mai incline alla guerra. “Guarigione
significa sempre un avvicinamento alla salvezza, a quella integrità della coscienza che si può anche
chiamare illuminazione. La guarigione avviene attraverso l’annessione di ciò che manca e non è
quindi possibile senza una dilatazione di coscienza”.
Ciò che manca è quello che noi stessi abbiamo relegato nell’oscurità, nell’ombra junghiana.
L’ombra è la summa di tutte le realtà interiori che abbiamo non riconosciuto, ignorato e represso.
Non intendiamo osservarle e voltiamo loro le spalle ma queste non scompaiono, rimangono presenti
e influenzano così tanto la nostra vita da piegare ogni nostra azione a risultati diversi da quelli
prospettati.
Il circolo vizioso del principio non integrato nella coscienza ci obbligherà a vivere tali principi nel
mondo esterno attraverso il giogo della “proiezione”. Sperimentiamo la nostra ombra sempre come
“fuori” poiché se fosse dentro o presso di noi non sarebbe più “ombra”. Logicamente quindi
proiettiamo i nostri contenuti repressi al di fuori di noi allo stesso modo in cui la luce di un
lampione proietta di notte la nostra ombra sulla strada.
Passiamo la vita a combattere fuori le nostre ombre incarnate da situazioni e persone riproducendo
lo stesso tentativo che effettuiamo dentro di noi di eliminare i campi valutati negativamente. Va da
sé che considerare alcuni aspetti “giusti” e altri “sbagliati” crea polarità. Noi ci identifichiamo con
un polo e rifiutiamo alacremente l’altro. Il non vedere porta rapidamente a concludere di non avere
quella determinata caratteristica e si crede che un polo possa esistere senza l’altro.
L’ombra è la somma di tutto ciò crediamo debba essere abolito ed estirpato dal mondo affinché
questo sia bello e sano ma la verità sta nell’opposto, essa ritiene in sé tutti quegli elementi che
servono per sanarsi. L’ombra ci rende malati in quanto è necessaria la sua integrazione per essere
davvero sani.
Soltanto la domanda relativa al male, al lato oscuro dell’uomo, può riportarlo in salute. E’
necessario affrontare i demoni nascosti dentro di sé e proiettati nel mondo circostante, un po' come
un viaggio dantesco nelle profondità dell’inferno. Per farlo il metodo della domanda è fondamentale
in quanto permette di esplorare i recessi dell’ade e portare la luce della consapevolezza laddove sia
necessario. “L’incontro con l’ombra rende sani!”.

Prima di scoprire il significato allegorico dietro le patologie che colpiscono la pelle, introduciamo il
concetto di causalità, la cui trattazione è fondamentale per scardinare il concetto secondo il quale
una malattia derivi da una causa da ricercare nel passato. Dethlefsen e Dahlke ritengono invece
fallace tale concetto in quanto porterebbe medicina e psicologia in un vicolo cieco.
Certo, la cause finché ci si sforza di cercarle vengono trovate ma queste sono solo cause efficienti
ossia un’organizzazione di eventi sapientemente orchestrati dal piano metafisico per una finalità.
Non possiamo quindi, nell’analisi di uno stato patologico, prescindere dalla causa finale, ossia lo
scopo che sottende alla manifestazione di infermità. Da questo punto di vista una malattia
deriverebbe da due direzioni: il passato e il futuro. La causalità efficiente (causa proveniente dal
passato) fornirebbe i mezzi materiali e corporali necessari a realizzare il quadro finale, ma è sempre
la finalità ultima a render necessaria la presenza di tali sintomi (causa proveniente dal futuro). Lo
scopo dei sintomi è permettere alla coscienza di integrare in sé gli elementi dispersi nel mondo
esterno come proiezione e quindi hanno come obiettivo la guarigione nel senso di unione.
Potremmo senza dubbio affermare che colui che è illuminato, che non possiede più ombra, non può
ammalarsi in quanto ha integrato tutti gli elementi relegati nel polo definito negativo e non vi è più
necessità della funzione pedagogica veicolata dal sintomo. L’illuminato è l’unico che può definirsi
davvero in salute, chiunque non lo sia è malato a diversi livelli. E questa malattia non è il risultato
casuale del vivere nel mondo come la medicina allopatica vorrebbe farci credere; batteri, virus,
radiazioni e quant’altro non arrivano casualmente a danneggiare l’individuo ma è la coscienza a
usarli come strumenti per i suoi scopi.
Nell’interpretare le malattie dunque abbiamo delle regole fondamentali da seguire:
1. Rinunciare ai rapporti apparentemente casuali sul piano funzionale.
Se proviamo a cercare le cause del passato indubbiamente le troveremo (stile di vita
malsano, inquinamento, distress), tuttavia nell’analisi offerta da Dethlefsen si prendono in
considerazione i sintomi nella loro espressione qualitativa e soggettiva. Per riconoscere i
contenuti alla base della patologie non serve analizzare le catene causali.
2. Analizzare il momento in cui il sintomo si è manifestato. E’ molto importante conoscere il
setting in cui il sintomo si manifesta. Osservare notizie, situazioni, eventi, pensieri,
emozioni, sogni e fantasie nel momento in cui il sintomo si mostra.
Spesso i pensieri più insignificanti e svalutati sono la chiave per comprendere il sintomo.
Questo perché se rifiutiamo il contenuto veicolato dal sintomo allo stesso modo faremo con
l’evento che ne favorisce l’espressione.
3. Porsi le due domande fondamentali per estrarre il messaggio della malattia: “cosa mi
impedisce di fare il sintomo?” e “a che cosa mi costringe il sintomo?”.
4. Valutare con attenzione le parole e le espressioni usate per descrivere uno stato di malattia,
in seguito trasformare l’evento sintomatico in un principio e trasporlo sul piano psichico.
La nostra lingua è psicosomatica. Quasi tutte le espressioni che usiamo per descrivere uno
stato derivano da esperienze fisiche. Non si possono integrare concetti che non siano
penetrati visceralmente nel proprio sé.
Ecco perché è così importante prestare attenzione alle parole e alle formule di linguaggio.
Volersi “strappare la pelle” dal prurito, ad esempio, potrebbe voler sottintendere il desiderio
profondo di divellere certi limiti e questo contenuto psichico può precipitare nella materia
come un eczema, manifestazione perfetta per “uscire dalla propria pelle”. In questo caso
osserviamo un esempio di pensiero analogico. “Esiste così un’analogia tra la pelle e certe
norme che sul piano psichico hanno la stessa funzione della pelle sul piano somatico”.
Dethlefsen dedica in “Malattia e Destino” un intero capitolo sul significato simbolico delle funzioni
della pelle e delle patologie che essa può manifestare. In ogni capitolo inerente l’analisi di un
particolare organo o sistema, egli introduce anzitutto le funzioni che tale struttura organica svolge
per trasporle in analogici contenuti mentali. La pelle, ad esempio, assurge a diversi ruoli molto
importanti nell’economia generale dell’organismo: delimitazione e protezione, organo di contatto,
organo di espressione e rappresentazione, organo sessuale, respirazione, sudorazione e
termoregolazione.
La pelle rappresenta sicuramente quella parte del corpo che delimita il nostro io, ci offre dei confini
permeabili, in quanto attraverso essa esiste uno scambio continuo tra interno ed esterno e viceversa
(ricordiamo il concetto di pelle come secondo polmone e secondo rene secondo Lezaeta). E’ anche
l’organo del contatto; mediante questa è possibile percepire il mondo che ci circonda, conoscerlo,
farne esperienza sensibile attraverso il tatto.
Ma la pelle è anche molto di più. Moltissime discipline olistiche, che tratteremo anche in questo
elaborato, definiscono la pelle come uno schermo che proietta sulla sua superficie la condizione
organica e le reazioni psichiche. Ogni disturbo che colpisce un organo interno viene riflesso sulla
pelle e ogni stimolazione ragionata di una zona corrispondente a tale organo si dirige dalle
terminazioni della pelle verso l’interno. Diverse sono le discipline che sfruttano questo principio;
esse vanno sotto il nome di riflessoterapie. Tra queste, molto conosciute sono la riflessologia
plantare, l’auricoloterapia, la riflessologia palmare, l’iridologia (quest’ultima ovviamente non
permette una stimolazione, considerata la natura estremamente delicata dell’organo di riferimento,
tuttavia rappresenta un latore straordinario di informazioni sulla condizione individuale). Il
riflessologo lavora studiando attentamente i segni che compaiono sulla pelle, interpretandoli in base
alle loro caratteristiche e, dalle informazioni ottenute, per ripristinare l’equilibrio perduto, tratta i
disturbi scoperti stimolando la zona corrispondente all’organo in questione.
Il riflessologo, l’iridologo, l’agopuntore, il naturopata sono tutti professionisti che hanno in comune
la ricerca del modello invisibile dietro alle manifestazioni precipue di un individuo e riescono in
questo intento indipendentemente dalla parte osservata in quanto ogni parte del corpo esprime la
totalità dell’individuo come in un ologramma. L’ologramma anche se venisse scomposto in un
milione di parti, ciascuna delle parti mostrerebbe un frammento infinitesimale dell’intera immagine.
Questa teoria avvicina moltissimo scienza e discipline olistiche.
“Come nell’ologramma ogni parte contiene ogni parte contiene le informazioni dell’intero, così in
ogni cellula del corpo umano sono contenute tutte le informazioni relative all’intero organismo e,
in singole parti del corpo, sono contenute tutte le informazioni relative alla persona intera.
L’universo stesso è un gigantesco ologramma fluttuante [...]” (Catia Trevisani, Introduzione alla
naturopatia, pag 54).
Tornando alla pelle, essa rivela su di sé non solo lo stato degli organi interni ma anche il vissuto
psichico dell’individuo. Pensiamo a tutte le reazioni dovute alle emozioni come arrossire per
l’imbarazzo oppure “sbiancarsi” dalla paura. Sono tutti moti interiori che si riflettono sulla pelle
attraverso una modifica della conducibilità elettrica misurabile con strumenti elettronici adeguati. È
pertanto possibile, studiando le alterazioni del fatto elettrico sulla superficie cutanea, conoscere in
maniera approfondita l’individuo.
Se la pelle è dunque espressione del vissuto interiore, per determinare dei cambiamenti significativi
del suo stato, sarebbe inutile e disonesto usare cosmetici da make-up. Questi sono l’equivalente del
farmaco che soffoca il sintomo. Da questo aspetto si escludono però tutte quelle discipline che
consapevolmente mirano a compiere modificazioni formali per avviare un processo di cambiamento
proiettato verso l’interno (come ad esempio la bioenergetica di Lowen, la vegetoterapia carattero-
analitica di Reich, l’Hatha Yoga).
Esaminiamo alcune delle manifestazioni riportate sul libro “Malattia e Destino” di Dethlefsen; poi
analizzeremo similitudini e differenze con la visione del medico tedesco Hamer.
• Eruzioni della pelle: come nell’eruzione vulcanica, qualcosa che è ritenuta dentro vuole
uscire, rompere le barriere, i confini, manifestarsi all’esterno. Un esempio di eruzione è
l’acne giovanile. Nella fase della pubertà, da un iniziale stato di quiete cominciano a
irrompere con veemenza contenuti inconsci relativi alla sessualità. Sono impulsi nuovi e di
cui spesso ci si vergogna, tanto a volte da trincerarsi cercando di non viverli. Questo
atteggiamento di chiusura impedisce alla persona di esperire quel contenuto e come abbiamo
già detto, ciò che viene giudicato negativamente e represso precipita nella materia come
sintomo. In questo caso ponendoci la domanda “cosa ci impedisce di fare la malattia?”,
possiamo subito comprendere come l’acne serva a tenere a distanza qualsiasi possibile
partner. Allo stesso tempo comunque si vorrebbe “far saltare i confini” ossia esprimere quei
contenuti che fuoriescono dalla pelle e sentirsi accettati per quello che si è. La
manifestazione esterna tuttavia non favorisce il contatto per cui si viene a generare un
circolo vizioso: la sessualità repressa si mostra sotto forma di acne e l’acne impedisce il
sesso. Comprendiamo quanto sia stretto il rapporto tra sesso e acne osservando le zone
colpite da questo sintomo: viso e décolleté ossia zone subito visibili. Le altre parti del corpo
non mostrano eruzioni perché non sono funzionali allo scopo del sintomo. Il rimedio
perfetto per far regredire l’acne non è l’ultimo preparato in termini di pomate oppure
prodotti farmaceutici come la pillola ma vivere pienamente la propria sessualità.
• Malattie esantematiche come morbillo, scarlattina e varicella: compaiono spesso in età
infantile, anche in questo caso ci sono contenuti che erompono per poter essere esperiti e da
ciò deriva un’evoluzione.
• Eczema: malattia spesso esperita dalle madri, rappresenta il loro rifiuto interiore del
bambino. Si verifica soprattutto in quelle madri particolarmente legate alla bellezza
esteriore, che danno molta importanza a una pelle senza inestetismi.
• Psoriasi: dermatosi che si manifesta in focolai di forma circolare coperti di pustole di colore
bianco-argenteo, molto coriacee. È l’esacerbazione della normale funzione protettiva della
pelle. Rappresenta la volontà di difendersi da ogni contenuto per impedire di essere feriti
interiormente. Ovviamente tale espediente non favorisce una crescita interiore forte, tant’è
che maggiore è la durezza della scorza esterna più il suo inquilino interno è molle e debole.
La corazza protegge dal dolore ma allo stesso tempo impedisce a contenuti come
l’amore e la dedizione di penetrare,e ciò conduce a un inaridimento dell’intelligenza
emozionale. “Bisogna diventare di nuovo vulnerabili per poter apprezzare il meglio della vita.
Questo passo viene compiuto soltanto sotto pressione esterna, esercitata o dal destino o dalla
psicoterapia”.
La psoriasi tende a manifestarsi primariamente a livello dei gomiti e anche questo è
simbolico: coi gomiti ci si impone e ci si appoggia.
L’isolamento e la solitudine del malato di psoriasi hanno raggiunto l’apice e questa
malattia è fondamentale per far vivere almeno in maniera riflessa l’essere “vulnerabili e aperti”
(anche qui abbiamo l’ombra che si incarna e che perentoriamente guida la nostra vita fino a
risoluzione del conflitto e integrazione del principio perso nella polarità).
• Prurito: precipitazione materiale di un elemento che stimola ed eccita e di cui non si è
voluto tener conto. Il tipo di stimolo è aspecifico: può riflettere l’aspetto sessuale ma anche
altro come ad esempio una forma di ira repressa. Il prurito può diventare quasi
insopportabile e l’unico cosa che da un minimo sollievo è il grattarsi. Questo gesto è
simbolico, indica il tentativo di scavare e riesumare dalla pelle quel contenuto che,
incalzante, vuole uscire.

Riportiamo ora le domande che Dethlefsen ha formulato per compiere un’analisi approfondita dei
contenuti sottostanti le patologie dermatologiche. Rispondere sinceramente con un estremo atto di
onestà potrebbe farci accedere alla chiave gnoseologica del nostro male.
1. Mi isolo molto?
2. Come va con la mia capacità di contatto?
3. Dietro al mio atteggiamento riservato si cela forse un desiderio represso di vicinanza?
4. Cosa vuole spezzare i confini, per rendersi visibile? (sessualità, impulsi, passione,
aggressività, entusiasmo)
5. Che cosa mi prude in realtà?
6. Mi sono volutamente troppo isolato?
(Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke, Malattia e Destino, pag 186).

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