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3° LEZIONE DI IMMUNOLOGIA (22 NOVEMBRE 2006- 1° ORA)

Abbiamo visto la volta scorsa la struttura delle immunoglobuline, molecole effettrici prodotte dalla plasmacellula, che
rappresenta la cellula di differenziazione terminale, cioè che non è in grado di riprodursi, che se perde le
immunoglobuline di membrana che possedeva come linfocita B acquisisce una enorme capacità protido-sintetica che è
indirizzata appunto alla sintesi di immunoglobuline. L’immunoglobulina sintetizzata da una plasmacellula ha la stessa
identica specificità dell’ immunoglobulina di membrana che rappresentava il recettore del linfocita B da cui deriva.
Badate bene: l’isotipo può cambiare, cioè si può avere un’ IgG o un’IgA, però la specificità è identica a quella del
recettore del linfocita B dal quale la plasmacellula deriva.

Oggi vediamo come avviene L’INTERAZIONE TRA L’ANTIGENE E L’ANTICORPO.

Possiamo considerare l’anticorpo allo stesso modo sia che si tratti di una Ig di membrana, cioè che fa parte integrante
del linfocita B e rappresenta il suo recettore di riconoscimento per l’antigene, sia che si tratti di una Ig solubile,
presente nel sangue, negli interstizi e così via.
Abbiamo già visto che la zona specifica per l’antigene è identificabile nel dominio variabile di ciascuna catena pesante
assieme al dominio variabile corrispettivo della catena leggera. Quindi ricordiamo che la struttura base di un Ab, che sia
esso di membrana o che sia esso solubile, è di norma bivalente.

Prendiamo in considerazione il singolo sito di combinazione dell’anticorpo con l’antigene: dominio variabile di una
catena pesante più dominio variabile di una catena leggera, come è indicato nel disegno, molto semplice ma abbastanza
efficace perché dà innanzitutto un’idea precisa di quello che è il requisito essenziale per l’interazione antigene-
anticorpo e cioè la complementarietà spaziale. Qui è rappresentato un antigene che va ad incastro, tipo puzzle, tra le
zone delimitate dai siti che determinano la complementarietà, tra le regioni del dominio variabile delle due catene.

In questa immagine possiamo anche anticipare un altro dato: l’antigene è qualcosa di complesso; per esempio noi
possiamo considerare una Salmonella come un antigene o meglio un mosaico di antigeni, anche pensando alla sola
superficie della salmonella. Questo vale per una cellula, come la Salmonella, e può valere anche per una molecola che
sia un minimo complessa.
Quindi su una molecola complessa, così come su un patogeno, possiamo avere delle strutture che vengono più
facilmente riconosciute e che sono denominate DETERMINANTI ANTIGENICI. In questo caso i determinanti
antigenici sono indicati in nero e si combinano con le regioni che determinano la complementarietà della catena H in
alto e della catena L in basso.

Diamo una definizione di ANTIGENE: sostanza che introdotta in un ospite induce una risposta immunitaria specifica.
Finora abbiamo visto la risposta immunitaria come un qualcosa di attivo: attivazione, proliferazione, espansione del
clone, produzione di molecole effettrici e così via. QUESTA È UNA MODALITA’ DI RISPOSTA del sistema
immunitario, quella più evidente.
C’è un’altra modalità di risposta che non è meno importante ed è una modalità di tipo NEGATIVO: l’introduzione in
determinate condizioni di un antigene determina si una risposta immunitaria, una risposta specifica, ma questa risposta
si traduce in una assenza di proliferazione e di attivazione di risposta come visto fin ora, cioè non c’è produzione di Ab,
di linfociti T sensibilizzati e così via.

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Questo tipo di risposta viene definita anche una risposta di tipo TOLLEROGENO, cioè che induce il fenomeno della
tolleranza: noi messi a contatto con una determinata sostanza possiamo rispondere con una risposta immunitaria di tipo
positivo (proliferazione cellulare, espansione del clone e così via) oppure, in condizioni diverse, possiamo rispondere
con una “non risposta” che è specifica perché vale solo per quell’antigene e non per gli altri.
La tolleranza è un fenomeno molto importante che sta alla base dello stato di salute di tutti noi, anche se l’introduzione
della tolleranza è un fenomeno che sta alla base di alcune malattie di un certo rilievo.
Quindi, due modalità di risposta nei confronti dell’antigene.

L’antigene poi lo possiamo anche definire in base alle sue caratteristiche:

- IMMUNOGENICITA’: è in grado di indurre una risposta immunitaria specifica, sia essa positiva o negativa;
genera immunità, riconoscimento. Il vero antigene è immunogeno; immunogeno e antigene vengono spesso
usati come sinonimi.
- ANTIGENICITA’: è in grado di interagire coi componenti del sistema immunitario che esso ha attivato, siano
essi anticorpi, siano essi cellule, come le cellule T che derivano dalla proliferazione del clone che lo ha
riconosciuto all’inizio.

Queste due caratteristiche sono tipiche dell’antigene completo o immunogeno.

Un’altra definizione importante è quella di APTENE: esso possiede solo la seconda proprietà; introdotto nell’animale
da esperimento, (normalmente nell’uomo come può avvenire per vari contatti fortuiti), non è in grado di indurre una
risposta immunitaria specifica né di tipo tollerogeno né di tipo positivo. Però se questa risposta viene indotta in qualche
modo, perché ad esempio l’aptene è legato a una proteina, e allora si ha la produzione di anticorpi, l’aptene è in grado di
interagire coi prodotti della risposta immunitaria, cioè manca di immunogenicità ma possiede la capacità di interagire
coi prodotti della risposta immunitaria una volta che questa sia stata attivata.
La sostanza che normalmente conferisce immunogenicità all’aptene viene definita SOSTANZA CARRIER o
VETTORE.
Mentre gli apteni sono di norma delle sostanze molto semplici, i carrier sono di norma delle sostanze dotate di una certa
complessità strutturale.

Caratteristiche degli antigeni completi o immunogeni:

- sono di norma delle macromolecole, ma non è tanto il peso molecolare che vi viene indicato (cut off = 3000-
5000 Dalton) che fa la differenza quanto la
- complessità chimica e strutturale. Gli immunogeni per eccellenza sono le proteine, in particolare le proteine
globulari; più raramente sono polisaccaridi, oppure lipidi o addirittura acidi nucleici, perché i polisaccaridi, ad
esempio, magari hanno elevatissimo peso molecolare ma spesso sono costituiti da unità che si ripetono, quindi
la complessità strutturale è molto relativa;
- devono essere degradabili, cioè devono essere scindibili in componenti più semplici. Questo rende le
componenti degradabili da quelle cellule che le abbiano endocitate, in modo particolare per le proteine, e rende
possibile la presentazione di oligopeptidi a linfociti T. Ecco perché le proteine sono i migliori immunogeni:
ricordiamo che il linfocita T riconosce solo, di norma, degli oligopeptidi, presentati nel contesto di molecole
di prima e di seconda classe. La proteina deve essere degradabile per consentire questa riduzione sino
all’oligopeptide significativo da presentare al linfocita T da parte della cellula presentante l’antigene;
- devono essere riconosciuti come estranei (condizione self- non self perché possa attivarsi tutto il processo).

Esempio del funzionamento del sistema aptene- carrier:


abbiamo il topolino di laboratorio al quale viene inoculato meta-ammino benzene solforato. Non produce nessuna
risposta misurabile in termine di anticorpi.
A un topolino con caratteristiche genetiche identiche rispetto al primo viene invece inoculata ovalbumina alla quale è
stato legato covalentemente il m-ammino benzene solforato. Questo secondo topolino produce anticorpi che sono diretti
sia verso l’ovalbumina sia verso il m-ammino benzene solforato. Se poi in vitro noi vogliamo vedere la reazione tra
siero dell’animale e la sostanza chimica che abbiamo utilizzato, vedremo che ci sarà un’interazione antigene- anticorpo.

Altro esempio:

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Questa è una proteina che ha delle parti della sua struttura che hanno una capacità immunogenica particolarmente
rilevante nei confronti del S.I. Vengono chiamate determinanti antigenici nativi. Abbiamo il di-nitrofenolo che è
stato coniugato in un secondo tempo; è come un aptene che da solo non è in grado di determinare una risposta. Una
volta veicolato al carrier diventa anch’esso riconoscibile come determinante antigenico e quindi abbiamo una risposta
adeguata.

Nel parlare di antigeni e di determinanti antigenici, soprattutto visto che parliamo di interazione antigene- anticorpo,
dobbiamo ricordarci che una caratteristica essenziale dei determinanti antigenici per quanto riguarda il riconoscimento
degli anticorpi è l’ACCESSIBILITA’:
una struttura chimica che sia posta su una superficie deve essere perfettamente accessibile all’interazione spaziale col
sito di legame dell’anticorpo.

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La stessa molecola posta in una posizione più interna e con distanza fra le catene laterali come nella figura in alto a
destra ha determinanti antigenici non accessibili né per il riconoscimento né per una eventuale interazione con
l’anticorpo stesso.

Ci vuole una certa complessità strutturale di una proteina o di altre sostanze ad alto peso molecolare, che abbiano poi
delle zone riconoscibili dal S.I. come particolarmente rilevanti nel senso che per ciascuna di queste zone esiste una
cellula che ha il recettore specifico. Perché l’interazione, l’attivazione e la risposta possa avvenire è indispensabile che
queste strutture di superficie siano accessibili stericamente.

Altro esempio:
abbiamo uno schema di una molecola di mioglobina presente nello sperma di balena. È un esempio che viene spesso
riportato perché ci permette di identificare vari tipi di determinante antigenico.

Se la utilizziamo, (tenendo presente la struttura terziaria di questa proteina complessa), per inocularla a un animale,
vedremo che abbiamo vari tipi di anticorpo, non un anticorpo unico per questa proteina.
Alcuni reagiranno con un determinante antigenico che è costituito dalla zona dei 3 amminoacidi 83, 144 e 145. Questi
non sono a.a. in sequenza nella struttura primaria, ma sono da un punto di vista sterico in qualche modo assemblati.
Questi sono i cosiddetti determinanti antigenici conformazionali.
Se noi, senza alterare la struttura primaria, trasformiamo questa proteina in un nastro di a.a. , l’anticorpo non è più in
grado di riconoscere questo determinante antigenico: la proteina è stata denaturata e senza questa struttura non è più
riconoscibile da quei linfociti B dotati del recettore specifico per il determinante costituito da quegli a.a.
Un’altra possibilità di determinante antigenico è quella indicata dagli a.a. 34,53 e 113: stesso identico discorso di prima.
Ci possono essere però dei determinanti antigenici che sono invece costituiti da degli a.a. che sono in sequenza:
DETERMINANTI ANTIGENICI LINEARI. In questo caso è la zona determinata dagli a.a. che vanno dal 18 al 22.
Quello che ha una certa rilevanza per la diagnostica e per altri aspetti è che se per esempio viene persa la struttura
terziaria, i primi due determinanti non vengono più riconosciuti, mentre il terzo, che è legato strettamente alla struttura
primaria, è comunque riconosciuto. Se io devo fare una ricerca di laboratorio su un siero e voglio sapere se ha
determinati anticorpi verso un determinante antigenico, se lo sto cercando come determinante antigenico assemblato o
discontinuo devo stare bene attento a utilizzare la proteina nelle condizioni native, a non esporla a sostanze riducenti, a
elevato calore, a non denaturarla. Se invece devo determinare se quell’individuo ha anticorpi verso un determinante che
so essere lineare posso ricorrere tranquillamente all’immuno-blotting, al western blot, anche se lì vado a bollire
l’antigene.
L’ a.a. 109, messo al centro della figura, a differenza degli altri, non è accessibile dall’esterno, non determina risposta
anticorpale, ma è stato visto che è l’a.a. cruciale dell’oligopeptide che viene riconosciuto dai linfociti T.
Quindi nei confronti dello stesso immunogeno i linfociti B e T riconoscono cose un po’ diverse.
Il siero di chiunque di noi, anche considerati anticorpi contro un patogeno, che sia Brucella o che sia Salmonella, sarà
comunque un siero policlonale.(vedi figura sotto)

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Epitope sta per determinante antigenico. Abbiamo un antigene: le varie parti vengono riconosciute da vari recettori e
quindi vari cloni linfocitari che daranno luogo ciascuno a un anticorpo specifico per il determinante; di norma noi
avremo questo immunogeno con vari determinanti antigenici ed una risposta anticorpale, abbinata nella figura per
colore, che corrisponde a ciascun determinante. Andando a valutare in proporzione quanti sono gli anticorpi con la
specificità verso un determinante rispetto a un altro, si vede che alcuni di questi determinanti antigenici sono “più
efficaci” di altri nel determinare una risposta.
Per esempio in questo caso abbiamo la parte gialla, violetta e nera che corrisponde al determinante antigenico sotto, che
può essere considerato come un determinante immunodominante.
(warning!!! Qui penso si intenda dire che, essendo l’epitope a destra riconosciuto da 20 anticorpi e gli altri da un
numero maggiore, essendo più specifico, risulti essere quello più rilevante. Sto lasciando la frase letterale della prof
per avere un documento “oggettivo”)
Quindi nell’ambito di strutture complesse abbiamo determinanti antigenici vari di cui uno o più di uno possono essere
dominanti, particolarmente rilevanti.

Ci possono essere sulla superficie cellulare delle zone con addensamento di determinanti antigenici più o meno
dominanti, o anche il ripetersi dello stesso determinante antigenico in più parti della superficie.

Ricordiamoci per i B abbiamo determinati conformazionali così detti ASSEMBLATI, e determinanti lineari.

Concludiamo ricordando quello che abbiamo già visto sulla molecola di mioglobina, cioè che T e B riconoscono parti
diverse dello stesso antigene perché hanno modalità di riconoscimento diverse.

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In questo caso abbiamo l’esempio del glucagone. Consideriamo la sua sequenza aminoacidica da 1 a 29: la risposta
anticorpale si concentra soprattutto su determinanti antigenici costituiti da a.a. tra l’1 e il 17; mentre il recettore dei T,
(visto con un test funzionale), la stimolazione linfocitaria dell’immunità ritardata, riconosce soprattutto determinanti
antigenici tra il 18 e il 29. Questo è un aspetto peculiare.

Nell’interazione antigene- anticorpo:


È fondamentale la complementarietà sterica e migliore è tale complementarietà migliore è l’interazione, maggiore è la
stabilità del legame antigene-anticorpo.
Il legame tra il sito di interazione per l’antigene nell’anticorpo e l’antigene stesso, è un legame reversibile, non
covalente, e la stabilità di questo legame è tanto maggiore quanto maggiore è la complementarietà. Questo perché le
forze non sono legami chimici, sono forze di tipo fisico che richiedono, per potersi manifestare, una vicinanza notevole
tra le superfici.

Queste sono le forze attrattive. Perché si manifestino tutte contemporaneamente (compreso il legame idrofobico) è
necessario che la distanza sia veramente minime; per avere questa minima distanza è necessaria la complementarietà.
Le altre forze sono le forze di Van der Waals, forze elettrostatiche, ponti idrogeno, tutte forze facilmente removibili a
livello di singolo sito di legame.
La forza di attrazione che si sviluppa a livello di un singolo sito di legame (FAB= frammento che lega l’antigene), cioè
tra un unico sito di combinazione e il suo determinante antigenico, viene definita AFFINITA’ DELL’ANTICORPO
ed è misurabile con una costante. L’affinità quindi ci misura a livello del singolo sito d’interazione la forza di attrazione
fra le superfici di un sito di combinazione e il suo determinante antigenico. Se noi consideriamo una molecola di IgG
per esempio sappiamo che la molecola è bivalente, quindi abbiamo due siti in cui si sviluppa questa forza di attrazione.
Naturalmente si hanno impegnati tutti e due i siti.
Se consideriamo una IgM avremo che il numero di siti in cui si può sviluppare questa attrazione è ancora molto
superiore. Il numero di siti di combinazione viene definito VALENZA, e la forza complessiva che deriva dall’affinità e
dalla valenza viene definita AVIDITA’. È SUPERIORE AL PRODOTTO DELL’AFFINITA’ PER IL NUMERO DI
SITI, c’è un “bonus”, perché interrompere contemporaneamente tutte le forze di attrazione su tutti i siti di legame è
difficile da un punto di vista pratico, molto più difficile che interrompere un singolo sito di legame. Si dice che la
valenza dà un “bonus” rispetto all’affinità e il legame viene reso molto più stabile.
Anche questo ha dei risvolti pratici: per esempio pensiamo alla IgM, la prima immunoglobulina che viene prodotta, l’Ig
che è presente in circolo, che serve come difesa immediata nei confronti di tutti i patogeni o sostanze tossiche circolanti
(batteriemie, tossiemie, setticemie ecc.). L’affinità delle IgM è bassa, però è multivalente, quindi ha un’avidità molto
elevata che la rende particolarmente efficace nonostante la sua bassa affinità; ciò la rende un’ottima molecola di primo
impiego.
A questo aggiungiamo che è un potentissimo attivatore del complemento.

Questo è il calcolo:

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proprio perché è un legame reversibile abbiamo un equilibrio tra le componenti, cioè l’antigene, l’anticorpo e il
complesso antigene- anticorpo.
Un modo per determinare l’interruzione del legame antigene- anticorpo è aumentare la concentrazione di uno dei due
componenti. Un altro modo può essere variare il pH, vari modi che si usano in diagnostica per recuperare ad esempio un
Ab dopo determinate reazioni.

Altro aspetto: rapporto reciproco nella concentrazione tra un determinante antigenico, un antigene solubile, e
l’anticorpo, è molto importante nello stabilire il tipo di reazione che avviene, e il fatto che questa reazione possa essere
resa rilevabile direttamente oppure no.

Quando c’è un’equivalenza nelle concentrazioni, si formano dei complessi con legami a ponte tra vari anticorpi e
antigeni, e questi complessi diventano insolubili e tendono a precipitare. Quindi noi abbiamo una visione diretta
dell’avvenuta reazione antigene- anticorpo.
Se invece:
(nel primo caso a sinistra) abbiamo un eccesso di anticorpi; l’antigene è così poco che può andare a legarsi solo a
qualcuno dei siti di combinazione di quelli disponibili, quindi non si può creare il “lattice” così detto, che è quello al
centro.
Una situazione analoga ma inversa si crea quando si ha un eccesso di antigene; questo può avvenire anche se l’antigene
è corpuscolato.

Reazioni di agglutinazione Widal-Wright: immaginiamo che l’antigene sia una Salmonella, e che l’anticorpo sia diretto
verso uno degli antigeni che ci interessa vedere nella salmonella. Abbiamo una sospensione di Salmonelle a
concentrazione costante, e abbiamo il siero di un soggetto in cui vogliamo vedere se ci sono anticorpi diretti verso
questo particolare antigene della Salmonella. Noi possiamo mettere direttamente a contatto il siero del soggetto con la
sospensione, può darsi che ci sia una agglutinazione (quando si forma il complesso delle cellule si dice che si passa ad
agglutinazione) e si vede abbastanza bene ad occhio nudo; oppure possiamo non vedere niente, rimane una sospensione
uniforme e omogenea. Questo non ci autorizza a dire che il soggetto è negativo, perché io potrei avere una tale
concentrazione di anticorpi nel siero del soggetto da realizzare la situazione descritta nella figura a sinistra; quindi ho
talmente tanto anticorpo che non riesce a fare ponte tra una cellula all’altra e ad agglutinare; è il cosiddetto fenomeno
della prozona.
Se io poi faccio delle diluizioni sequenziali, se è positivo ad un certo punto mi compare l’agglutinato, nella zona di
equivalenza; l’inverso della diluizione che mi dà l’agglutinato si chiama TITOLO ANTICORPALE.
Se continuo a diluire la reazione si negativizza; quindi fare una siero diagnosi di Widal- Wright per la Salmonella
significa cercare la presenza degli anticorpi con questo sistema e determinarne il titolo; è una valutazione
semiquantitativa.
Se io lo faccio oggi e ho un titolo di uno a centosessanta, lo rifaccio allo stesso soggetto dopo una settimana e ce l’ho
uno a 640, io ho un titolo che sta salendo: il soggetto sta attivamente producendo anticorpi.
Poi io posso anche evidenziare se gli anticorpi presenti sono di tipo IgG o di tipo IgM, mi basta utilizzare un anticorpo
anti-IgG o anti-IgM.

22 /11/06 Immunologia (2° ora)

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Specificità:capacità di discriminare non solo tra self e non self,ma nell’ambito del self e del non self tra una sostanza e
l’altra.
L’anticorpo è quello che è più facile,in qualche modo, da evidenziare per quanto riguarda questa caratteristica.
Allora,trasferiamo questo,per esempio,anche a livello del recettore.Il recettore del B è l’immunoglobulina,il recettore
del T appartiene alla superfamiglia delle immunoglobuline.
La struttura è analoga ed anche i processi di ricombinazione che portano alla sua sintesi sono analoghi. Quindi noi
partiamo adesso vedendo com’è che si arriva ad avere una proteina che,per un’identità di alcune parti della sua
struttura,ha una differenziazione enorme per un’altra parte che è quella che determina la specificità. Allora,come
ricorderete dalle lezioni degli anni scorsi,questo è dovuto al fatto che l’immunoglobulina o la singola catena
polipeptidica che entra nella composizione dell’immunoglobulina non risponde alla legge un gene-una proteina o una
catena,ma risponde ad un’altra norma che è una catena-più segmenti genici. Allora,per chiarirci in alto abbiamo il
linfocita B e a destra l’immunoglobulina completa,in questo caso di membrana. Allora,riporta lo schema che abbiamo
visto la volta scorsa,cioè abbiamo una parte costante e una parte variabile per ciascuna delle catene pesanti e
leggere.Nel dominio variabile,in alto,ci sono delle zone tratteggiate più scure che corrispondono alle parti ipervariabili
che vanno a determinare la cosiddetta regione che determina la complementarietà o CDR,che sono tre per una catena e
per l’altra. Allora,quello da chiarire è che la parte costante è codificata da un gene,la parte variabile è codificata da tre
segmenti genici assemblati per la catena pesante,da due per la catena leggera. Quindi quei 110 amminoacidi che
formano la parte variabile richiedono praticamente nella catena pesante tre segmenti genici che vanno a formare
insieme un unico gene funzionale variabile, mentre tutto il resto è codificato da un gene che codifica per la parte
costante,diverso a seconda della classe immunoglobulinica.
Quindi vi ho portato anche questa diapositiva perché è segnalato anche il fatto che esiste un recettore pre-B o se
preferite un pre-recettore B e questo ve lo segnalo perché vorrei,lo faremo la volta prossima,però che questo processo di
ricombinazione tra i vari segmenti,di variazione nei punti di congiungimento…venisse contestualizzato in un processo
di maturazione della cellula,che è quello che avviene negli organi linfatici primari:nel midollo osseo per i B e nel timo
per i T. E in questo processo di maturazione la sintesi di un recettore efficiente è lo scopo di tutta la maturazione stessa.
E la prima tappa di successo,un elemento di sopravvivenza per la cellula è proprio la sintesi e l’esposizione di un pre-
recettore,sia per i B sia per i T. Quindi tutta la maturazione di queste due linee cellulari così importanti è finalizzata
all’acquisizione di caratteristiche cellulari,di membrana,in modo particolare del recettore con la sua specificità,che
viene acquisita nell’organo linfatico primario,quindi prima di qualsiasi contatto con sostanze esterne.
Per il B qui c’è la maturazione dalla cellula pro-B,una cellula staminale,fino al linfocita B col suo recettore di
membrana :
PRO-B CELL -- PRE-B CELL -- B-CELL-- PLASMA CELL
Qui sotto è riportato il patrimonio genetico di una qualsiasi nostra cellula. Tutte le nostre cellule sono dotate di tutti i
segmenti genici che qui vedete,così disposti. Questa è la linea germinale cosiddetta.
Soltanto nei linfociti B,e solo in loro,cominciano quei processi che porteranno alla fine a livello del DNA ad una
formazione di un gene variabile,che è quello nella penultima riga,V-D-J,che potrà essere di volta in volta trascritto
unitamente a uno qualsiasi dei geni che codificano per le varie catene pesanti. Però il gene variabile è sempre quello.
Struttura:
Ricordiamocelo, parte costante e parte variabile. Stesso discorso vale per i T. Ve lo cito perché così quando arriveremo
al T in pratica è già fatto. Anche lì abbiamo un dominio costante e un dominio variabile per ciascuna catena. Il
recettore dei T è un eterodimero con due catene :a e b oppure g e d. La struttura,sempre l’estremità N terminale col
dominio variabile verso l’esterno, l’altra estremità transmembrana e poi all’interno del citoplasma. Ricordate questa
diapositiva,l’abbiamo vista la volta scorsa,queste sono le catene leggere e abbiamo visto che ci sono delle posizioni in
cui la variabilità amminoacidica è massima e vedete che il CDR3,quindi intorno all’amminoacido 100,rappresenta uno
dei punti di massima variabilità tra i tre. Se guardiamo la catena pesante idem,è sempre il CDR3 che ha la massima
variabilità.
Adesso vediamo quali sono i geni o i segmenti genici che codificano per queste parti che poi noi vediamo tradotte in
proteine. Allora,per quanto riguarda le immunoglobuline i geni sono disposti su tre cromosomi:
• CATENA PESANTE: CROMOSOMA 14
• CATENA LEGGERA:
K CROMOSOMA 2
L CROMOSOMA 22
Il discorso si applica in modo molto simile per tutti e tre. Allora,la caratteristica qual è? Che tutte le nostre cellule,come
vi ho detto,hanno nel DNA dei geni definiti VH sul cromosoma 14. Questi geni o segmenti genici,V da variabilità. Il
numero di questi segmenti genici è molto elevato,qui sono riportate 45,è abbastanza recente. Poi esistono altri segmenti
genici che si chiamano D (diversità) e qui ne abbiamo 23. Poi abbiamo degli altri segmenti genici che vengono definiti J
o joing perché stanno tra la parte di cromosoma che ospita i geni per la parte costante delle catene pesanti e quelli che
invece ospitano quelli per la parte variabile.
Allora,questo è un patrimonio che abbiamo in tutte le cellule;cos’è che fa diversi i linfociti B da tutte le altre cellule? Il
fatto che nel midollo osseo la cellula staminale che comincia a diventare qualcosa che non è più cellula staminale e non
è neanche un pro-eritroblasto o pro quello che volete, ma diventa un pro-linfoblasto B,cosa succede? Che a livello del

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cromosoma 14 comincia un fenomeno di ricombinazione: il primo fenomeno interessa sempre la catena pesante,quindi
sempre il cromosoma 14 e la prima ricombinazione che avviene è sempre quella tra D e J. Quindi,solo successivamente
se va a buon fine la sintesi e anche la trascrizione e la sintesi, della catena pesante cominciano i fenomeni di
ricombinazione su uno degli altri due cromosomi:il 22 oppure il 2. A proposito della catena leggera noterete che in
questo caso i segmenti genici che devono provvedere alla parte variabile sono solo V e J,mancano i segmenti D
(diversità).
Allora,in questo caso abbiamo chiaramente una catena leggera,manca il D,praticamente si ha un’altra caratteristica dei
linfociti sia B sia T,che sono gli unici in grado di sintetizzare dei complessi enzimatici che vengono definiti RAG o,se
preferite,i geni che codificano per questi complessi enzimatici si chiamano RAG che sta per:geni che attivano la
ricombinazione. Sono RAG 1 e 2 e sono fondamentali perché possa avvenire questo processo che non avviene in altre
cellule. In altre cellule i geni ci sono ma anche questi non vengono trascritti e quindi non si ha la produzione degli
enzimi. In pratica si ha l’avvicinamento,diciamo così,in questo caso è una catena leggera,di uno dei vari geni V ad uno
dei vari geni J,la parte di DNA interposta viene eliminata grazie a delle DNasi e si ha,diciamo,una saldatura,se volete
dir così,tra le due porzioni di DNA. Nel punto di giunzione però,sapete,non è che il taglio da parte delle nucleasi
avvenga in maniera precisa tra una tripletta e l’altra,può cadere all’interno di una tripletta e dar luogo a dei codoni che
non sono funzionali,allora si può avere l’aggiunta da parte di altri enzimi,per esempio la desossinucleotidil transferasi,di
nucleotidi per completare la tripletta. Allora,abbiamo multipli segmenti,una ricombinazione tra questi segmenti
assolutamente random,quindi casualissima,ma soprattutto abbiamo questa generazione di diversità legata all’aggiunta di
nucleotidi nel punto di ricombinazione. Per cui,se anche io avessi lo stesso segmento genico J e lo stesso segmento
genico V ricombinati,la possibilità statistica di avere lo stesso gene che codifica per la stessa parte variabile è minima
perché l’aggiunta di nucleotidi cambia comunque la sequenza amminoacidica che viene trascritta.
Questo per dire che se noi vogliamo stabilire,per esempio,se una determinata cellula è B o non è B(qualche volta può
essere molto importante:una leucemia acuta può essere talmente differenziata che non ha né indicatori morfologici,né di
membrana tali da poterci dare delle indicazioni,però noi possiamo cercare se ha cominciato a ricombinare il proprio
DNA) non abbiamo ancora nessuna proteina che ci indichi che è un B,neanche una proteina citoplasmatica come la
catena m,tanto meno un recettore sulla superficie,però possiamo vedere se ha cominciato a ricombinare.Se non ha
ricombinato,facendo un southern blot,cioè andando a vedere il DNA,vediamo che abbiamo una banda di 6 kDalton che
corrisponde ad una grossa quantità di DNA che è quello non ricombinato che è presente in tutte le cellule non B. Mentre
qui abbiamo due cloni di cellule B ed è presente la quota di 6kDalton,ma la quota più abbondante è data dalle altre due
bande,dove il grosso del DNA è già ricombinato e ha avuto già la sua sezione di una parte(?). Questo vale per i B e vale
per i T,grosso modo,visto che i processi sono analoghi,per capire se una cellula altamente differenziata, che non
possiamo assolutamente etichettare in nessun modo,morfologicamente o con marcatori di membrana,possiamo andare a
vedere se ha ricombinato,per esempio,a livello del DNA per le immunoglobuline oppure per il TCR e questo ci dà già
delle indicazioni.
Questa è l’aggiunta dei nucleotidi e corrisponde al fatto che,in questa fase,lo vedremo,le cellule sia T sia B,esprimono
geni e li trascrivono e sintetizzano l’enzima TDT,che è molto importante nel determinare questa variabilità giunzionale.
Ecco,questo per esempio,partendo dallo stesso corredo genetico si può arrivare ad avere,da una cellula staminale
indifferenziata,attraverso la ricombinazione,tre cloni differenti di cellule B, ciascuna con la propria specificità.
Badate,questo della generazione di diversità è il punto chiave del sistema immunitario. Se un sistema immunitario non è
in grado di generare una diversità sufficiente o non è in grado di riconoscere alcuni antigeni,questo comporta
un’immunodeficienza perché il giorno in cui avviene il contatto con quel determinato antigene che magari è presente su
un patogeno,allora la mancanza di risposta,non risposta negativa,ma proprio il mancato riconoscimento teorico perché
manca nella generazione di diversità quel singolo recettore che non è stato prodotto,si hanno conseguenze catastrofiche.
Ma quello che dobbiamo pensare è che,con questo sistema,praticamente noi abbiamo una potenzialità di recettori
diversi pari a 10^11,praticamente non abbiamo mai un numero di cellule in circolo B che possono esprimere tutti i
recettori contemporaneamente, quindi siamo attrezzati per tutti gli antigeni,anche quelli di sintesi,e c’è tuttora una
sovrabbondanza di recettori.
Notate bene che T hanno ancora una diversità recettoriale notevole. Questa diversità si crea durante la maturazione da
blasto,da cellula staminale al linfocita B o rispettivamente T.
Allora,come avviene? Primo è sempre il cromosoma 14 e per primo ricombina sempre D-J. Successivamente uno dei
geni V viene ricombinato random con D-J. Questa sequenza V-D-J che abbiamo ricombinato a livello del DNA viene
trascritta come tale assieme a tutto il resto del cromosoma su un trascritto di RNA primario. Badate che è importante!
Perché è importante? Perché non viene ricombinato a livello di DNA il V-D-J più una catena pesante,no,i geni delle
catene pesanti rimangono integri sul cromosoma 14,l’unica cosa che viene ricombinata,modificata in modo
permanente,sono i geni della parte variabile che vengono ricombinati in modo da dare un gene funzionale per la parte
variabile,V-D-J. Questo viene anche trascritto e solo successivamente la parte di DNA interposta tra il V-D-J e il gene
per la parte costante selezionato con la trascrizione viene eliminato,ma a livello di splicing dell’RNA. Il patrimonio
genetico con il DNA rimane intatto ed è questo che ci consente nella prima risposta di dare anticorpi IgM e nella
seconda risposta, sempre utilizzando lo stesso V-D-J,quindi la stessa specificità,di invece trascrivere,utilizzare ad
esempio g o a, fare lo splicing dell’RNA e quindi produrre una catena di tipo a con quella specificità.

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Allora,una volta che è andata a buon fine la sintesi della catena m si ha il blocco della ricombinazione a livello del
cromosoma 14. Quindi,siccome di cromosomi ne abbiamo due,si attiva su uno,automaticamente se la ricombinazione e
la trascrizione vanno a buon fine si ha l’esclusione dell’altro allele.
Finito questo comincia random la ricombinazione o sul cromosoma 2 o sul 22: V-J e poi sempre trascrizione RNA
primario,splicing e poi l’abbinamento delle due catene.
Noterete quindi che la parte variabile è codificata dal gene funzionale V-D-J per la catena pesante e V-J per la catena
leggera.
Allora,qual è il recettore pre-B? Il recettore pre-B,quando il linfocita B ottiene il primo successo sintetizza la catena
m,la troviamo nel citoplasma sola,isolata e poi viene portata sulla superficie cellulare assieme ad una catena leggera
fissa,invariante,in attesa di attivare la trascrizione e di sintetizzare la catena leggera definitiva. Quello è il recettore pre-
B che è quello che assicura la sopravvivenza di quella cellula.
Quando arriva a buon fine anche la trascrizione,lo splicing e la sintesi della catena leggera,allora si ha la formazione
dell’immunoglobulina completa,come tetrametro,con due catene pesanti uguali e due catene leggere uguali che viene
espressa sulla superficie cellulare.
A questo punto c’è un altro fenomeno,anche qui c’è il blocco per quanto riguarda il cromosoma 2 dell’allele,se è il
cromosoma 2 che ha formato la catena K,il cromosoma 22 verrà anch’esso inibito.
Però se il recettore espresso sulla superficie cellulare nel midollo osseo mostra un’affinità di legame recettoriale per
autoantigeni molto elevata si ha una ripresa della ricombinazione,praticamente la trascrizione e la sintesi della prima
catena leggera viene abortita e si riattiva sull’altro cromosoma per la catena leggera,per esempio il 22 nel nostro caso,la
ricombinazione V-J la trascrizione e la sintesi in questo caso di catena L. Viene di nuovo legata la catena m che era già
stata sintetizzata e viene espresso un nuovo recettore e questo non ha autoaffinità per cellule . Questo fenomeno si
chiama editing(?) recettoriale. Cioè,mentre nel T se la cellula ha autoaffinità per gli autoantigeni del timo va in apoptosi
e basta,muore,alla cellula B viene concessa una chance di sopravvivenza sfruttando la seconda catena leggera che ha a
disposizione in sintesi perché presumibilmente la specificità complessiva sarà diversa.

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