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Drammaturgia Classica

Prof.ssa Manetti D
19/09/2018
Il teatro è sempre stato e resta una costruzione collettiva, in nessun modo riducibile alla semplice
pagina scritta.
Le distinzioni che siamo abituati a fare per il teatro moderno non sono adattabili per il teatro antico
in quanto esso era una forma di mescolanza, tragedia e commedia avevano molte parti cantate,
parlate e danzate.
Il teatro antico era un teatro di maschere, prettamente maschile.
Gli uomini facevano più parti, incluse quelle femminili, eliminando il volto e la mimica esaltando la
voce, la recitazione e l’impostazione del canto.

IL DRAMMA
Quando parlo di dramma oggi penso a qualcosa di tragico ma in realtà la parola dramma nella sua
origine significa azione, “drama” in greco significa agire, fare. Quindi i drammi sono una serie di
azioni, qualcosa che viene recitato. Il testo drammatico è completo nella sua funzione quando viene
rappresentato.
Interna alla funzione del testo drammatico è quindi la rappresentazione, essa è il suo scopo finale.
La comunicazione del testo drammatico è dunque orale, mentre i testi poetici e lirici di oggi non
hanno una fruizione orale, ma individuale e questa è una cosa che si sviluppa nell’Europa
occidentale tra il 700/800.
Per il mondo antico, già in epoca arcaica, la poesia lirica era cantata durante i banchetti o addirittura
durante occasioni pubbliche, esse erano cantate da cori.
Nella massima fioritura di Atene la gente non leggeva ma andava ad ascoltare i poeti che erano
conosciuti da una tradizione orale o anche (fino al V secolo) AURALE.
Nella civiltà antica il teatro lo avviciniamo anche alla tradizione testuale, dalla civiltà antica
abbiamo solo dei testi, alcuni dei quali sono stati riscritti e copiati a lungo. Abbiamo dei testi che
probabilmente sono testi d’autore (ci sono due tipi di testi: quelli provenienti direttamente
dall’autore, e il cosiddetto copione in quanto gli autori, che erano anche registi, davano agli attori le
loro parti con le indicazioni) quindi abbiamo una conservazione dotta, non legata alla vita del teatro,
in quanto i copioni non ci sono arrivati.
Un uomo politico di nome Licurgo decise di fare una copia ufficiale dei drammi dei tre maggiori
tragici da archiviare nell’archivio di stato, la decisione fu presa probabilmente perché i drammi
venivano di nuovo rappresentati e non esisteva il diritto di autore (per esempio chi rimetteva in
scena i drammi di Sofocle ne poteva modificare le parti). Il testo drammatico antico è in versi, i
drammi comici, tragici e satireschi sono quindi espressi in versi.

I VARI GENERI
La tragedia deriva dal greco “odel” (canto) e “tragos” (capro), il motivo del nome “tragodia” ha
fatto porre domande a tutti gli antichi, alcuni dissero che poteva essere un canto di capri o per il
capro, creatura da sacrificio.
Aristotele nel testo della poetica ha fissato alcuni dati stabilendo per la tragedia antica che i
personaggi dovevano essere alti e migliori rispetto alle persone, questa miglioria non li rendeva
comunque perfetti o estraniati dal mondo in quanto, se fosse così, il pubblico non potrebbe
identificarsi in loro.

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Qual è la funzione della tragedia sul pubblico? La catarsi (purificazione), ovvero un processo di
identificazione dei sentimenti, emozioni. Le persone si liberavano dell’eccesso delle emozioni
provate durante il dramma (odio rabbia amore pietà) purificandosi.
C’è un episodio raccontato da Seneca in cui si parla della rappresentazione della tragedia di
Euripide, in questa occasione l’attore che personificava il cattivo della situazione scaturì nel
pubblico una reazione di rigetto di fronte, tanto che Euripide fu costretto a calmare le loro emozioni
bloccando la rappresentazione e rincuorandoli. C’era quindi una partecipazione emotiva tra persone
eterogenee.
Nella tragedia è essenziale un conflitto: conflitto tra uomini e dei, tra divino e uomo, tra uomo e
uomo che solitamente non poteva essere risolto. Questo però non significa che per forza finiranno
male, si hanno varie soluzioni che molte volte non vengono comunque risolte ma aggiustate.
Commedia, commedia deriva da odel canto, e com alcune dicono significhi comazo (fare festa) o
comos (legata a dioniso) o comai (villaggi) perché si pensava che la commedia fosse derivata dagli
spettacoli buffoneschi simbolo di fertilità.
Aristotele stabilisce una differenza tra i due drammi: se l’eroe tragico è più grande del personaggio
pubblico il personaggio comico è più basso della persona comune. Vediamo che questo è vero sotto
certi punti di vista, infatti la maschera comica è più brutta per suscitare il riso.
Il tema del conflitto è presente in tutte e due le forme, sia nelle commedie di Aristofane con
tematiche sociali oppure nella commedia nuova come Menandro, dove i conflitti sono incentrati su
tematiche sociali o sui figli e i padri.

STRUTTURA DEI DRAMMI


Se pensiamo al teatro di oggi (fino al 900) pensiamo ad una divisione in atti, con pause o cambi di
scena. Questo elemento non esisteva nel teatro antico in quanto tutto era fluido, il coro indicava il
passaggio del tempo e non venivano cambiati gli oggetti in scena se non in pochi casi. Il flusso era
continuo anche se tragedia e commedia erano divisi da episodi parlati e cantati intervallati dal coro.
L’entità corale, con il passare del tempo (IV secolo) entra in crisi non avendo più il ruolo cardine di
commento e di azione sparendo e lasciando il posto alla figura dell’attore. Sarà Seneca ad introdurre
esplicitamente una divisione in atti. Il teatro è parola quindi il dialogo occupa tutto il testo.
Ad oggi siamo abituati a vedere sul copione di certi autori delle didascalie in cui vengono esplicitati
i suoi pensieri riguardo i personaggi analizzandone la psicologia.
Nel mondo antico, invece, non abbiamo traccia di didascalie, e il fatto che siano parole in bocca a
personaggi fa sparire la figura dell’autore, non si capisce da che parte sta, non compare inserendo la
sua idea. Nel testo antico solo in un momento l’autore interrompe il contatto con il dramma
inserendosi, come se fosse una quarta parete, la parabasi (la possiamo trovare in molte commedie di
Aristofane, nella quale egli propone la sua poetica).
Ci sono alcuni modi in cui si può inserire un’incrinatura in questa oggettività dettata dal completo
straniamento dell’autore: la a-parte e il monologo di un attore.
Che differenza c’è tra un dialogo tragico e un dialogo filosofico? Nel teatro la parola è legata
all’azione (inizio, evoluzione, esito), mentre il dialogo filosofico è argomentativo, anche se ha delle
parti narrative, il suo fine non è quello dell’azione.
Per quanto riguarda il rapporto con una conversazione naturale parliamo di “imitazione di una
conversazione naturale”, in quanto tutto è comunque pensato prima, tutto è funzionale al fine della
rappresentazione.
LA QUARTA PARETE
il dialogo teatrale ha due funzioni:
1-quella di far dialogare i personaggi
2-quella di comunicare al pubblico.
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La forma di dialogo è posta in teatro in quanto il pubblico deve essere informato della situazione.
Abbiamo parlato di apparente oggettività e l’unico modo per rompere questa oggettività è l’a-parte
ovvero quando l’attore si discosta dalla controparte per mostrare al pubblico la sua vera faccia o per
renderlo partecipe di qualcosa fuori campo. L’altra rottura è il monologo dove l’attore parla a sé
stesso ma anche al pubblico rivelando la sua anima e le sue intime emozioni.
Gli elementi soggettivi dell’autore (gli elementi in cui egli esprime il suo pensiero) sono le
didascalie che non riguardano il teatro antico.

TEATRO E FESTA
Il teatro è legato a sentimenti e cerimonie religiose, la rappresentazione teatrale non era mai sola in
quanto era sempre accompagnata da una festa religiosa ad un Dio chiamato Dioniso, divinità del
vino, della follia e dell’estasi come perdita di conoscenza di sé stessi (baccanti di Euripide) le feste
dionisiche hanno un aspetto carnevalesco.
Le feste in onore di Dioniso sono 3:
1- Le grandi dionisie (cittadine o rurali)
2- Antesterie
3- Leonee
In questo caso il legame religioso era legato all’aspetto politico in quanto il tiranno Pisistrato
istituisce le dionisie cittadine, un concorso con premi gestito dalla città in cui si dice che il poeta
vincitore sia stato Tespi.
Ci sono culti di Dioniso sicuramente più antichi, il Dio era infatti una figura mitologica particolare
in quanto si dice che la sua origine provenisse dall’Asia o dalla Micene.
Dioniso il dio del teatro anche per la trasformazione, legato alle maschere, la fuoriuscita da sé
stessi, legato anche al dramma satiresco.
Le dionisie si svolgevano tra marzo e aprile legate ed erano legate al clima, questo permetteva il
contatto commerciale quindi bisogna ricordare che ad Atene non giungevano solo ateniesi ma anche
stranieri. C’era una grande partecipazione a queste feste. Ogni attività era chiusa in quei giorni e si
permetteva ai carcerati di assistere alla rappresentazione.
Nella prima giornata delle 5 c’erano i ditirambi (canto accompagnato da musica e danza) fatta con i
cori, i quali erano 10 come le 10 tribù ateniesi, essi infatti competevano tra di loro.
Durante le grandi Dionisie la statua di Dioniso veniva prelevata da un tempio e trasportata in un
altro tempio lontano, questa veniva poi onorata con sacrifici.
Il secondo giorno cera un'altra festa, il sacrificio del toro, simbolo di Dioniso a causa delle corna, a
cui partecipavano gli Efebi i giovani in soglia alla cittadinanza, in seno a questa processione c’erano
i falli e spettacoli buffoneschi. Il pomeriggio si svolgevano gli agoni ditirambici.
Il terzo giorno si svolgevano le commedie e negli altri due giorni ogni autore presentava le
tetralogie; 2 tragedie e un dramma satiresco.
La presentazione dei drammi avveniva in un momento precedente: preammone (cercare) dove gli
autori presentavano al pubblico le tragedie.
Nel V secolo la prassi era che un dramma veniva rappresentato una sola volta, fu solo nel IV secolo
che si cominciò ad accettare che i drammi fossero riproposti più volte. L’unico che nel V secolo
aveva la possibilità di riproporre le sue tragedie era Eschilo.
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Quando la tirannide finì nel 511 e si instaurò ad Atene la democrazia furono fatte delle riforme sulla
struttura cittadina, che influisco sul teatro in maniera indiretta. Le 10 tribù furono istituite da Pistene
il quale divise la città di Atene e aggiustò la tipografia dell’attica in modo che ogni tribù avesse la
propria parte di terra e di mare, in questo modo creò una popolazione eterogenea per interessi
favorendo anche la competizione fra le tribù così organizzate, le gare sportive e i giochi, come le
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feste, erano anche un modo per identificarsi incoraggiando la popolazione alla coesione delle
comunità.

ORGANIZZAZIONE DELLE FESTE


I festival del teatro si svolgevano durante le grandi solennità Bacchiche: ad Atene nel mese di
Gamelione (gennaio-febbraio) in occasione delle Lenee (Lenai è un nome delle seguaci di Dioniso);
nel mese di Elafebolione (marzo-aprile) in occasione delle Grandi Dionisie; nel mese di Poseideone
(dicembre-gennaio) in occasione delle Dionisie rurali nei distretti. I Greci guerreggiavano solo a
primavera inoltrata e in estate: il periodo tranquillo per la cultura e la pietà religiosa apparteneva
all'arco invernale. Le Grandi Dionisie costituivano un vero e proprio raduno panellenico; ne
conosciamo, attraverso varie fonti, il complesso cerimoniale, religioso e laico. Concluso il
proagone, una statua lignea di Dioniso, appartenente al tempio di Dioniso Eleuterio (sito nell'area
teatrale), veniva trasferita in un santuario nei pressi dell'Accademia. La sera dell'8 di Elafebolione
(marzo-aprile) la statua, con largo seguito processionale, era ricondotta in città e sistemata vicino
all'orchestra, nel teatro; si ripeteva così il primo ingresso di Dioniso in Atene e il dio assisteva agli
spettacoli.
Il mattino del 9 un corteo, formato da uomini e da donne, da Ateniesi e da stranieri residenti in
Atene, si dirigeva verso il recinto del teatro, tra danze e canti burleschi e motteggiatori: i suoi
stendardi erano enormi falli; la colonna in marcia includeva anche un toro e altri animali destinati al
sacrificio nella sede teatrale. Finita la processione, avevano luogo agoni ditirambici: a essi
concorrevano 10 cori maschili e 10 femminili, composti ciascuno di dieci persone. Alla sera si
solennizzava con banchetti e vino a piacere: la baldoria incrementava allegramente le nascite, o per
lo meno gettava le premesse per incontri approfonditi Veniva, finalmente, il turno dell'agone
tragico; durante tre giorni, tre drammaturghi, scelti fra chi aveva chiesto di partecipare alla
competizione, presentavano tre opere nuove (tali opere, all'origine, costituivano un gruppo
tematicamente omogeneo) e un dramma satiresco,
ossia un piccolo atto unico che aveva come protagonisti, accanto all'eroe visto in chiave più
dimessamente umana, dei diavoli alla buona, burleschi e familiari, ma dai forti appetiti sessuali: i
Satiri, col loro capo Sileno.
Ma gli spettacoli non iniziavano bruscamente, l'11 di Elafebo-lione: venivano preceduti nella
mattinata da una serie di celebrazioni religiose e laiche. Per purificare il teatro si immolava un
porcellino e si versavano libagioni; sfilava poi una schiera di giovani, che portavano sacchi
contenenti ciascuno l'equivalente in argento di un talento (testimonianza dei tributi pagati dagli
alleati ad Atene). Seguiva la parata dei figli dei caduti in guerra; indossavano un'armatura completa,
dono dello Stato (cfr. anche Platone, Menesseno, 249 a) e andavano a sedersi in posti speciali (cfr.
sopra). Infine si assisteva al rinnovo (eventuale) di trattati e alle onoranze concesse a cittadini
benemeriti della patria. Terminati gli spettacoli (ma il calendario su indicato non è certissimo; la
discussione rimane ancora aperta), proclamati i vincitori, si teneva un'assemblea speciale per
esaminare lo svolgimento del festival: chiunque poteva avanzare le sue lamentele, protestare contro
arbìtri e sopraffazioni o lesioni subite nel corso del festival.
i giochi venivano organizzati dallo stato o dal magistrato (arconte eponimo ovvero quello che dava
il nome all’anno, quello che faceva la cronologia delle vittorie degli agoni) l’arconte riceveva anche
le proposte degli autori, egli era un uomo politico che faceva la selezione dei poeti, dopo di che
assegnava il coro all’autore, coro didascalos era lo stesso autore che dirigeva gli attori.
A questo punto c’era da spendere i soldi per mettere su il coro, preparare i costumi e organizzare il
posto, per questo lo stato non faceva in proprio ma si affidava ad un privato cittadino (liturgia
ovvero servizio), i cittadini avevano una serie di liturgie da fare per la comunità, una di queste
liturgie era quella di diventare corego, colui che con i propri fondi privati si addossava le spese della
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produzione della festa, il corego aveva molta notorietà. Questa era una liturgia obbligatoria, era
possibile dire di no solo indicando un altro cittadino, c’era una procedura legale ben precisa
chiamata antìdosis, dove il candidato poteva decidere di scambiare le fortune in modo da evitare le
truffe. In generale non era frequente che il corego truffasse in quanto comunque diventava molto
famoso e, in caso di vittoria, questo veniva scritto a capo della tribù di appartenenza e non veniva
scritto neanche il nome del poeta. Non è un caso che uno dei nomi più importanti delle guerre in
Persia fu Temisteclo il quale fu anche un corego, lo stesso vale per Pericle che domina nella metà
del V secolo colui che inizia la guerra contro il Peloponneso (Atene contro Sparta), anche Pericle fu
un corego. Alla fine della guerra del Peloponneso un'altra figura chiamata Arcibiade fu partecipe
della guerra di Atene contro Siracusa, era al comando della spedizione questo ha influenza nel
contenuto delle tragedie (ce ne sono alcune come i persiani di Eschilo che si occupano delle guerre)
il contenuto delle tragedie è comunque mitico quindi il legame con l’attualità non è diretto.
Nella commedia il legame è diretto proprio perché ci sono attacchi nominali a personaggi politici,
questo modo diretto veniva detto in greco: onomasti komodeim (fare satira con nome e cognome) a
volte esplicitamente a volte poco chiaro, ci si riferiva quindi alla situazione contemporanea.
Questa organizzazione era imponente ma dopo la guerra del Peloponneso le finanze cominciarono a
scarseggiare, furono diminuiti quindi i numeri dei partecipanti fino al IV secolo quando la coregia
fu abolita. Al loro posto c’erano dei funzionari dello stato che organizzavano le feste secondo un
certo fondo.
Durante il periodo della guerra del Peloponneso si alternavano allo stato dei democratici che davano
una sorta di contributo per chi andava a teatro (le persone con meno mezzi perdevano lavoro per
andare a vedere per giornate intere le feste quindi ci fu per un certo periodo un compenso chiamato
theoricon ovvero contributo per vedere).
Ci fu questa crisi che porto ad una limitazione alla partecipazione del pubblico, questo stretto
legame si allentò.
Un'altra cosa importante è la giuria, composta da una serie di persone membri delle dieci tribù, si
formava una giuria di dieci. Infine, contrariamente all'uso di oggi, lo spettacolo antico si inseriva
anche e sempre in una gara, era una delle tante manifestazioni dello spirito agonistico che
contrassegnano la cultura ellenica. Cosa significava competere con un altro, come si riusciva a
battere gli avversari? Puntando su temi a cui il pubblico era più sensibile, privilegiando la messa in
scena o addirittura la musica? Che libertà aveva un tragediografo di allontanarsi dalle trame note?
Probabilmente molta: ma viene spontaneo di chiedersi se esista un rapporto di causa ed effetto tra la
scarsità delle vittorie assegnate a Euripide e la sua autonomia inventiva. I giudici scrivevano un
nome su una tavoletta, e basta: non abbiamo, dunque, le motivazioni dei premi, i responsi ufficiali
delle giurie. Neanche si riesce a capire se il trionfo di certi autori in certi momenti rispondesse al
clima politico. Qualche pressione dall'alto, dalle cerchie che contano ci sarà stata (ma è più facile
che tali interventi si verificassero presso l'arconte incaricato di ammettere gli autori alle gare): ma
non risulta l'uso politico del teatro da parte di gruppi, non ci furono mai scontri tra progressisti e
conservatori, né esistette un ministero per la cultura popolare. L'unica cosa certa è che, al contrario
dei premi moderni, ad Atene non veniva mai valutato l'arco della produzione di uno scrittore: il
festival teatrale era legato ai soli testi presentati in quella specifica occasione. Va anche precisato
che nell'agone tragico aveva un senso riuscire secondo, terzo, era una cosa onorevole: mentre
nell'agone sportivo contava esclusivamente arrivare primo. Su una tavoletta venivano scritti i
vincitori che poi venivano sorteggiati. Le reazioni del pubblico ai vincitori erano forti ed emotive
tanto che alcune volte autori come Platone parlavano di autocrazia del pubblico.
Tragedie e commedie in competizione per le gare teatrali passavano attraverso un filtro ed erano
sottoposte al verdetto di una giuria. Il filtro delle opere consisteva nell'approvazione dell'arconte
rispettivamente addetto alle Dionisie e alle Lenee. I poeti che intendevano partecipare all'agone
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presentavano i loro testi per chiedere il Coro: l'arconte sceglieva tra i concorrenti e decideva a chi
assegnare il Coro: il numero dei prescelti era tre per i tragediografi, cinque per i commediografi.
Non tutti i magistrati erano dotati di sensibilità letteraria e non tutti rimanevano indifferenti a
eventuali pressioni dall'altro.
Non sappiamo se l'arconte controllasse di persona tutti i testi a lui presentati. Dalle Leggi di Platone
parrebbe ricavarsi che erano gli autori stessi a leggere al magistrato addetto le loro composizioni (o,
più probabilmente, una sorta di copione). Superato lo scoglio dell'arconte, occorreva affrontare la
valutazione di una giuria, composta da dieci persone e scelta in questo modo. Il Consiglio stilava
una lista di nomi tribù per tribù (o la riceveva già stilata dalle singole tribù?), includeva i nomi in
dieci urne. Le urne, sigillate da chi presiedeva il Consiglio e dai coreghi, cioè dai finanziatori
(presenti alla seduta?) venivano depositate nell'Acropoli, affidate alla custodia dei Pubblici
Tesorieri. All'inizio delle competizioni erano portate in teatro: da ciascuna di esse l'arconte tirava a
sorte un nome. Terminati gli spettacoli in competizione, ogni membro della giuria deponeva in
un'urna apposita la tavoletta sulla quale aveva inciso la sua graduatoria di merito; l'arconte estraeva
cinque tavolette e pronunziava il verdetto finale.

LE ALTRE FESTE
Accanto alle Grandi Dionisie si collocano altre due manifestazioni teatrali, meno fastose, ma capaci
di coinvolgere un buon numero di persone: le Lenee e le Dionisie rurali. Le Lenee contemplavano
sia una processione, di cui si occupavano l'arconte re e gli epimeletai, “i curatori”, sia gli agoni,
sotto l'egida unicamente dell'arconte re. Il festival teatrale prese avvio nel 442 con le competizioni
comiche: a esse seguirono verso il 432 (secondo l'opinione, discutibile, di molti studiosi) quelle
tragiche, ma in queste ultime entravano in lizza solo due poeti con due drammi ciascuno. La
processione si svolgeva su carri, i cui occupanti beffardamente ingiuriavano gli spettatori del corteo.
Il rito prevedeva un sacrificio finale, ma non l'esibizione di fallistendardi né la baldoria serale come
nelle Grandi Dionisie. Non è documentata la presenza di testi di Sofocle e di Euripide alle Lenee:
tuttavia sembra probabile che sei delle ventiquattro vittorie attribuite a Sofocle siano state ottenute
alle Lenee. È certo, invece, che conseguirono il trionfo alle Lenee, nel 416, Agatone, il più noto dei
tragediografi accanto ai tre grandi e nel iv secolo l'ostinato, anche letterariamente, Dionigi di
Siracusa. Il festival lenaico aveva luogo nel mese di Gamelione (gennaio-febbraio): gli stranieri ne
rimanevano esclusi per la difficoltà di navigazione in tale epoca; quanto agli spostamenti via terra
erano sconsigliati dal cattivo stato delle strade e dal rischio di incappare in bande di ladroni.
C’erano anche altre feste come le dionisie rurali, rappresentazioni campagnole fatte similmente alle
grandi dionisie ma elargite localmente nei vari villaggi, quindi erano molto meno spettacolari.
Il culto di Dioniso era fortissimo, anche in questo caso c’era la falloforia, la processione con il fallo
(simbolo di fertilità, servivano ad ingraziarsi la divinità per avere un buon raccolto), falles era un
personaggio che compariva dopo Dioniso accanto ai satiri.
In queste feste fatte in inverno c’erano delle gare di bevute o cortei di personaggi vestiti da animali.
L’altra festa era quella delle Lenee il quale nome non si sa da cosa derivi ma si pensa che abbia
origine dalle baccanti, altro modo per definire lo sfasamento, la pazzia. Le Lenee venivano elargite
nel periodo tra gennaio febbraio, stavolta erano riferiti ai soli cittadini ateniesi, le Lenee furono
istituite solo nel 432 (metà V secolo) esse furono prima comiche e in seguito tragiche.
In effetti c’erano solo due poeti che presentavano due tragedie, uno di questi fu Aristofane che, per
esempio, vinse molte volte alle Lenee. Anche in questo caso abbiamo una processione guidata dal
magistrato arconte basileus (arconte re, ovvero dedicato alla vita religiosa della città, in tutto i
magistrati erano 9) partecipavano anche altri magistrati ovvero coloro che si occupavano dei misteri
di Eleusi, un altro tipo di culto che si occupava comunque di Dioniso, ad Eleusi v’era il tempio di
Demetra la dea della fertilità, la processione consisteva nel recarsi a questo tempio, sono misteri e
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culti religiosi che hanno come scopo un iniziazione nei confronti della divinità, un percorso
interiore con una rivelazione segreta.
L’ultima festa dedicata a Dioniso è quella delle Antesterie o della fioritura, fatta a marzo. Sappiamo
che non ci sono arconti ufficiali, non sappiamo bene quali gare si tenessero durante questa giornata.
Era una festa che celebrava il vino nuovo, giorno dedicato all’apertura delle botti, con cerimonia
che simboleggia l’arrivo di Dioniso in un'altra città, dunque i greci si dirigeva in un unico tempio,
quello di Dioniso, la processione si concludeva con un matrimonio tra l’arconte re e la moglie
(Dioniso personificato dall’arconte che sposa la città). Questa festa non era direttamente legata al
teatro ma all’aldilà, Dioniso era direttamente collegato alla morte, c’era un’idea per il quale lo
spirito del defunto tornava per un attimo nella città.
Ogni borgo celebrava le sue feste in onore di Dioniso: a esse prendevano parte anche gli schiavi,
come si ricava dalla legge di Euegoro citata da Demostene nella Contro Midia, 10. La festa
comprendeva agoni tragici e comici. Non è invece sicura la notizia di fonti antiche secondo cui vi si
svolgevano una divertente gara di salto degli otri o di equilibrio su di essi (askoliasmos) e un
kommos (carnevalesca mascherata, scatenata competizione di canti e danze?). I patiti del teatro,
naturalmente, non si perdevano un'occasione di vedere spettacoli: lo dichiarava, con una certa
irritazione, Platone, Repubblica, 475 d: «è gente che come se avesse affittato le orecchie corre in
giro ad ascoltare tutti i cori, senza mancare né alle Dio-nisie urbane né alle rurali». Lo stesso
Socrate discese una volta al Pireo per ascoltare una tragedia di Euripide (Eliano, Storia varia n, 13).
Responsabile delle Dionisie rurali era in ogni demo il demarco (capo distretto): per il Pireo era
nominato dallo stato e aveva l'obbligo di scegliere i coreuti. Sia per le Lenee sia per le Dionisie
rurali non sono note le modalità delle competizioni: sappiamo però che alle Dionisie rurali si
potevano presentare pezzi già dati altrove. A Eleusi, sembra che abbiano conseguito la vittoria
Aristofane con le Rane e Sofocle (post mortem) con l'Edipo a Colono. Alle Dionisie urbane e alle
Lenee erano, invece, ammesse solamente opere inedite o tutt'al più rifacimenti completi o parziali di
un'opera che non aveva incontrato il favore del pubblico. L'Ippolito velato di Euripide fu
ripresentato nella nuova veste di Ippolito incoronato, la Melanippide sapiente conobbe una
riedizione modificata; Aristofane preparò una seconda stesura delle Nuvole.
Ma per i padri della patria si concedono sempre eccezioni: come segno di particolare onore, dopo la
morte di Eschilo si decretò che le sue tragedie potessero venir riprese: «e così egli ottenne nuove
vittorie». Una documentazione del privilegio riservato a Eschilo ci proviene dagli Acamesi di
Aristofane (425 a.C.). Diceopoli si lamenta perché si era recato a teatro ad assistere a una tragedia
di Eschilo e si era visto rifilare un dramma di Teognide. Il privilegio venne esteso nel iv secolo
anche a Sofocle e Euripide: forse dal 386 invalse l'uso di rappresentare ogni anno alle Dionisie
urbane una tragedia di uno dei tre grandi del v secolo, in apertura di concorso.

I prezzi
Il prezzo del teatro greco era un prezzo politico. Lo stato si assunse a metà circa del v secolo
l'obbligo di pagare, sui fondi pubblici, l'ingresso per i cittadini ateniesi poveri e poi anche ai
cittadini ricchi. Lo sottolinea sarcasticamente Demostene, nella Quarta Filippica, 39: «tutti i ricchi
si presentano a ritirare il theo-ricon e fanno bene». Plutarco include l'istituzione del theoricon, del
biglietto gratuito diremmo noi, fra i vari provvedimenti demagogici presi da Pericle per guadagnarsi
il favore del popolo.
Ma gli spettacoli a cui dava accesso il theoricon non erano certo apparentabili ai circenses romani.
L'eventuale ricerca di un assenso popolare passava attraverso non rozze forme di passatempo ma un
impegnativo confronto con l'alta letteratura. L'ammontare della somma assegnata a ciascun Ateniese
per il teatro fu inizialmente di due oboli, in seguito di una dracma, infine di cinque dracme. La
somma veniva consegnata dai demarchi, i funzionari a capo dei distretti, ai singoli cittadini, previo
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controllo del loro diritto ad averla e con registrazione della consegna; lo apprendiamo da un
discorso attribuito a Demostene. La somma non poteva venir riscossa, pena una forte ammenda, da
terzi per conto degli assenti: anche tale notizia ci è giunta attraverso gli oratori.
Demostene cercò di sgretolare questo «mastice» della democrazia, come lo chiama l'oratore
Demade. Egli sin dal 349 propose l'abolizione del sussidio, prima velatamente, poi senza mezzi
termini, e a lui si affiancarono altri del partito antimacedone. Ma la tradizione del theoricon era
fortemente radicata nella vita degli Ateniesi: costituiva un segno visibile del loro diritto a dialogare
con le voci della cultura più autorevole. Perciò solo nel 339, nell'estrema emergenza, riuscì a
Demostene di far confluire le somme destinate alla cassa degli spettacoli nelle casse della guerra.

Il theoricon costituiva un forte aggravio per le finanze dello stato?


C'è chi ne dubita, ma Demostene non avrebbe additato come possibile rimedio alle strettezze
finanziarie l'abolizione di una spesa se questa fosse stata insignificante.
Se si calcola il costo di ciascuno spettacolo, viene fuori che il popolo ateniese ha sborsato per
Baccanti, Fenicie, Edipi, Antigone e per le disgrazie di Medea più di quanto abbia speso per la
supremazia e la libertà nelle lotte contro i barbari.
quindi, lo stato si accollava una sua parte di spese per organizzare i grandi festival, sui privati
gravavano oneri non meno pesanti. In Atene non esistevano imposte dirette né sulle persone né sulle
loro proprietà: ma i cittadini più agiati dovevano provvedere ad accollarsi determinati servizi
pubblici, le cosiddette liturgie, ordinarie e straordinarie. Tra le ordinarie («enci-clichè») rientravano
le coregie, 7 o allestimenti di Cori, tra le straordinarie le trierarchie o armamento di triremi. Erano
tributi considerati «prestigiosi» e procuravano consensi e simpatie, utili sia in sede elettorale sia in
sede processuale. Chi si trovava di fronte a una corte giudicante, per offrire la migliore immagine di
sé e dei suoi congiunti, poteva anche segnalare le elargizioni in denaro di cui si erano fatti carico lui
o i suoi familiari a favore della comunità.
È umano che qualcuno tirasse al risparmio, restringesse le spese; o addirittura cercasse di sottrarsi
agli obblighi morali di dare finanziamenti. Un querelante patrocinato da Iseo, per dimostrare
l'indegnità del suo avversario, lo sfida a provare di essersi sobbarcato a molte liturgie, di avere
speso forti somme per accrescere il prestigio di Atene.
Ma c'era anche chi era felice di allestire al meglio i Cori, chi gareggiava in ostentazione:
un'abitudine che il savio Isocrate deplora. Va anche detto che la sontuosità e lo sfarzo di un apparato
potevano impressionare il pubblico più che il valore del testo o la bravura di un attore.
Nicia, uno dei più ricchi capitalisti ateniesi, non riuscendo a dominare la folla con la parola, cercava
di procurarsene l'appoggio mediante rappresentazioni fastosissime: gli spettacoli da lui allestiti
ottennero parecchi premi, non rimasero mai soccombenti, per dirla con Plutarco.

IL PUBBLICO
Il pubblico rumoreggiante ed emotivo era in quantità esorbitante, il teatro di dioniso nell’acropoli
poteva contenere 15.000 spettatori, cittadini di tutti i ceti, stranieri (nelle grandi dionisie) si sa che
potevano esserci dei bambini ma non sappiamo se ci potevano essere donne, in quanto la donna era
colei che si occupava della casa, ci sono alcune allusioni in platone che sembrano identificare il
genere femminile, ma non è certo mentre invece nel mondo romano invece le donne di alto
lignaggio potevano partecipare. È possibile che ci fossero anche degli schiavi.
Il pubblico era quindi disomogeneo, variegato ma tuttavia vediamo che sia nella commedia che
nella tragedia gli autori si riferiscono a culti con raffinatezza e stile che gli studiosi si chiedono
quanto questa raffinatezza era apprezzata dal pubblico? Oppure se parliamo di commedia, quando
un autore fa una parodia di una tragedia, quanto il pubblico poteva capire?

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La risposta è semplice, stiamo parlando di una civiltà la cui maggioranza non sapeva leggere quindi
la cultura di cui era a conoscenza era quella che apprendeva durante le feste, per esempio l’iliade e
l’odissea venivano recitate a voce e quindi il popolo aveva nell’orecchio la memoria del passo
omerico, l’educazione della popolazione era basata su una memoria ferrea.
Le rappresentazioni avvenivano dall’alba al tramonto, il pubblico stava tutto il giorno sotto il sole
tanto che i cittadini potevano essere colti da colpi di sole, era un problema, ma non ci sono tracce
per i greci di tende che coprivano il teatro, ne abbiamo invece per il teatro romano.
Non è facile spiegare i motivi che spingevano tanti cittadini ad assistere agli spettacoli (il teatro di
Dioniso ad Atene conteneva circa 14-17.000 persone).
dovevano giocare insieme l'interesse estetico, una componente di mondanità e di festa, motivazioni
religiose: si trattava, in fondo, di partecipare a un grande rito. Poteva avere peso anche la curiosità
nei confronti delle nuove interpretazioni di cui il mito era oggetto: l'attenzione poteva rivolgersi sia
alla conferma di quanto già si conosceva sia alle eventuali variazioni e scarti che i tragediografi
apportavano. O la curiosità nei confronti del trattamento di un personaggio.
Platone ci informa che c'erano i patiti che non si perdevano uno spettacolo: «come avessero affittato
le orecchie corrono in giro per le Dionisie ad ascoltare tutti i cori, senza mancare né alle cittadine né
a quelle rurali»
Plutarco sottolinea due momenti di intensa emozione del pubblico che assisteva alla
rappresentazione del Cresfonte di Euripide: Quando Merope sta per uccidere Cresfonte, ignorando
che è suo figlio, un brivido di terrore percorre la platea.
Gli spettatori rimanevano impressionati anche dal modo virile con cui Merope parlava della perdita
dei propri figli e marito. È probabile che Plutarco si richiamasse a un fenomeno che si ripeteva
costantemente, ma non è escluso che le reazioni emotive fossero già scattate sin dalla «prima» della
tragedia (423 a.C.).

STRUTTURA DEL TEATRO


Dove potevano essere fatte le rappresentazioni in epoca di pisistrato? Probabilmente nell’agorà, poi
si capì che era utile il colle per appoggiare il teatro, prima i gradoni e dopo i sostegni.
Il teatro è posto accanto al santuario di Dioniso, esiste l’orchestra e un settore chiamato skenè (o
scena, tenda) il passaggio da skene a scena fu inventata da Sofocle che dipinse lo sfondo cosi da
dare lo spazio alla scena. Non abbiamo separazione tra il coro e l’attore.
Dietro la skenè, nel teatro di Dioniso ad Atene, si ipotizza l'esistenza di un lungo, doppio portico
(esistenza accertata, invece, a Epidauro per la fronte di retroscena del teatro): sarà da ritenere una
sorta di ridotto per gli spettatori, un eventuale riparo dalla pioggia, e perché no, un magazzino? Non
esistono, in nessun teatro greco, tracce di servizi igienici; ma erano teatri all'aperto, con ampi spazi
liberi intorno...
Ai lati del teatro ci sono le due entrate laterali chiamati Esodoi, da cui entrano ed escono gli attori e
il coro, da Eschilo in poi la skenè è fatta con la scena di Agamennone con tre porte che
permettevano l’entrata e l’uscita degli attori.
Gli accessi al teatro, che richiamava vere e proprie folle, erano abbastanza semplici rispetto a quelli
garantiti oggi in occasione di raduni sportivi o musicali. La massa affluiva dall'alto, da varie entrate,
senza controllo degli oggetti personali, senza guardaroba, con la pura verifica del «biglietto»: le
autorità a cui erano riservati i posti d'onore saranno entrate dall'orchestra. Non abbiamo notizie
sicure su un servizio d'ordine: ma se esistevano dei rabduchi, dei portatori di verghe pronti a
intervenire negli stadi, non saranno mancati i sorveglianti neanche nei teatri. Aristofane nella Pace
afferma che «i rabduchi dovrebbero percuotere i commediografi che si lodano presentandosi al
pubblico»: uno scolio al verso li identifica con gli «incaricati della quiete pubblica».

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C’era certamente necessità di cambiare scena, Eschilo spesso dimostra che le eumenidi sono
ambientate in luoghi diversi, quindi può essere che questi pannelli formanti la scena, fossero anche
mobili. Da un certo punto in poi ai lati della scena furono costruite delle parti aggettanti chiamati
paraskenia e la costruzione della parte fissa della casa ci fa capire qual era la parte della scena e del
retro scena (nel quale avvenivano gli atti violenti, le uccisioni avvenivano fuori ma il cadavere
veniva fatto uscire in scena per palesare il delitto), la scena diventa uno spazio rialzato quando il
coro comincia a perdere l’importanza, separando il suo ruolo da quello della trama. Esisteva poi uno
spazio sopra la scena, una piattaforma che faceva emergere qualcuno sul tetto della casa,
teologheion (lo spazio degli dei).
In altri casi compaiono non solo gli dei, compare medea stessa sul carro del sole (deos ex machina).
Quella figura divina che sancisce l’esito della vicenda ovvero quello che la giustizia divina ha
voluto.
c’erano quindi delle macchine che erano usate per la messa in scena, come la entienkyklema (un
carrello che trasportava sulla scena il morto). C’erano oggetti che servivano alla scena ma anche
cavalli e carri.
È incerto se il teatro di Dioniso fosse l'unico ad Atene destinato ad accogliere agoni drammatici e
comici: studiosi di valore hanno postulato l'esistenza di un teatro di fortuna nel Leneo, un ampio
recinto con un tempio di Dioniso Leneo, situato nella zona dell'agorà, vicino al sacello dell'eroe
Calamite. Noi, oggi, disponiamo delle locandine, di foglietti che forniscono tutti i dati di uno
spettacolo: autore, titolo, attori, regista, il riassunto della trama ecc. Gli Ateniesi, come venivano
edotti sul cartellone delle manifestazioni teatrali? Abbiamo qualche notizia in merito, attinente ai
festival delle Grandi Dionisie e delle Lenee. Il passo di Eschine suona così: «questo Demostene che
si spaccia ora per nemico di Alessandro e allora (346 a.C.) si spacciava per nemico di Filippo...
presenta un decreto per far convocare dai pritani (= i presidenti del consiglio) l'assemblea nel giorno
8 del mese di Elafebolione (= marzo-aprile), quando cioè hanno luogo il sacrifìcio ad Asclepio e la
cerimonia preliminare dei concorsi tragici». Lo scolio osserva, a proposito di questa cerimonia
preliminare (proagon): «pochi giorni prima delle Grandi Dionisie, nel cosiddetto Odeon si riunivano
i concorrenti agli agoni tragici, a preannunziare i drammi in gara [e a darne una schematica trama?],
gli attori entravano senza maschera e nudi (ossia senza i costumi)».

EVOLUZIONE DELLA FIGURA DELL’ATTORE


Il lavoro dell'attore ha costituito sempre un «caso» nell'ambito di una cultura: in alcune l'attore ha
patito emarginazione e disprezzo, in altre ha goduto di vivo prestigio anche sociale. In Grecia nella
grande stagione teatrale del v sec. a.C. si contano fra gli attori gli stessi scrittori di teatro, impegnati
fra l'altro nella vita politica, nel iv sec. attori professionisti si videro affidare delicate missioni
diplomatiche (v e oltre).
nel teatro greco eroi ed eroine venivano incarnati dal primo e dal secondo attore (protagonista,
deuteragonista), professionisti di grande impegno: le figure accessorie e più antipatiche (araldo,
servo, ti-rannello ecc.) toccavano in genere a interpreti di minor rilievo. E tuttavia essi, sovente, il
loro bravo trionfo lo riscuotevano, a scapito dei maestosi re (lo dichiara Plutarco, Vita di Lisandro.
E anche il terzo attore poteva vedersi affidate parti notevoli per lunghezza e importanza.
All’inizio c’era solo un attore in scena che si confondeva con il coro, poi il secondo e alla fine
Sofocle aggiunse il terzo, e così rimase. I tre attori si distribuivano le parti e facevano in modo che
gli stessi attori si scambiassero sulla scena, in modo che non ci fossero parti simultanee molte volte
i personaggi rimanevano sulla scena ma muti, Nelle Nuvole di Aristofane, Socrate, quando stanno
per presentarsi il Discorso giusto e il Discorso ingiusto, dichiara: «io non ci sarò», «io me ne vado».
È logico: se il filosofo rimanesse, in scena ci sarebbero contemporaneamente cinque attori: il padre
Strepsiade, il figlio Fidippide, il Discorso giusto, il Discorso ingiusto e Socrate. Dunque chi
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impersona Socrate è obbligato ad allontanarsi, e si assumerà il ruolo o del Discorso giusto o del
Discorso ingiusto. In genere gli scrittori erano bravi nell'escogitare soluzioni accorte, nelle loro
opere, per dar modo agli attori di cambiarsi o anche di riprendere fiato, Il silenzio del personaggio
muto non è noioso se non risulta solo fisico, ma si carica di significati.
la recitazione era diversa da quella di oggi in quanto l’abbigliamento, le calzature e le maschere
erano molto ingombranti, l’attore era molto imponente, con il tempo la parrucca e la maschera
divennero sempre più imponenti per farli sembrare più alti, le calzature prevedevano anche
trampoli. La gestualità non era naturale, c‘erano gesti simbolici, È ovvio che per un attore greco (e
non solo per un oratore) la gestica, cominciando dal come servirsi delle mani, era fondamentale. La
vecchia generazione del v secolo pare fosse piuttosto sobria e composta; la nuova, tra i cui
esponenti principali si annovera Callippide, gesticolava con molta animazione, anzi troppa agli
occhi dei benpensanti e dei conservatori.
Non siamo informati su come recitassero Eschilo (che a settantanni pare si fosse assunto il ruolo di
Clitemestra nell'Orestiade) o Aristofane; di Sofocle sappiamo che non aveva volume di voce, ma il
fisico e la preparazione musicale sì. Calcò la scena almeno due volte nel ruolo di Tamiri, un citarista
perseguitato da Apollo e nel ruolo di Nausicaa, per il quale occorreva un abile giocatore di palla.
Euripide non indossò mai i panni dell'attore (ma da giovane si era distinto nella danza, oltreché
nella lotta e nel pugilato...).
Tra gli «specialisti» (oggi li chiameremmo caratteristi?) spiccò verso la fine del v secolo a.C. un
contemporaneo di Callippide, di nome Nicostrato. Era così straordinario nella veste di Messaggero:
La parte di Messaggero, nella tragedia, non è qualcosa di secondario. Anche se il Nunzio non
riveste in genere panni curiali ha un compito importante: riferire, con la massima chiarezza, eventi
successi fuori scena, far partecipare emotivamente gli spettatori ad accadimenti a cui non hanno
assistito. Tocca a lui il recitativo per eccellenza, la narrazione che si sostituisce all'azione e che,
perciò stesso, deve essere accurata, minuta nei particolari. Il suddetto racconto si chiama rhesis e
riguarda sia avvenimenti gioiosi (vittorie in battaglia, per esempio) sia, e soprattutto, sciagure
irreparabili, come morti atroci e violenze: è di solito tristemente vero, ma può essere una menzogna
abilmente costruita.
La rhesis serve anche a segnalare pericoli che minacciano un personaggio e che si sono affacciati in
un altro luogo: introduce, come si è detto, una realtà extrascenica e la combina con quanto va
verificandosi agli occhi del pubblico. Euripide ha un tipo di rhesis molto preciso e stabile: il Messo
arriva, dà la notizia clamorosa, per così dire un titolo da pagina di cronaca nera, dialoga con rapide
battute con un interlocutore, personaggio o Coro che sia, poi offre una relazione circostanziata dei
fatti luttuosi. In Eschilo, il discorso del Messo è interrotto da interventi di chi è in scena, Se questo
ruolo di Messo era standardizzato, forse prevedeva una certa impostazione della voce e un certo
ritmo nell'esporre. E visto che il dire del Messo si riallaccia spesso e volentieri alla tradizione epica
si sarebbe indotti a pensare che egli usasse uno stile altamente declamatorio. Ma non è escluso che
esprimesse l'ansietà e i turbamenti del narrante e quindi le frasi fossero articolate in modo più
franto, meno fluente. Avrà concorso alla variatio il fatto che il Messo poteva incorporare anche voci
altrui, riportare discorsi e ciò doveva implicare il relativo cambio di intonazione.
Ma un attore doveva anche essere capace di agire e di esprimersi con i soli movimenti del corpo.
Esistono, nel teatro greco, scene in cui persone e oggetti immobili acquistano concretezza per lo
spettatore grazie all'inventiva non verbale, ma fisica dell'attore.
Come si vede (e si vedrà anche per il campo della commedia) gli antichi scrittori erano attratti, per
quanto riguarda gli attori, da motivi curiosi e di colore: le loro valutazioni positive sono molto
globali e poco analitiche. Non si riesce a trarre conclusioni sulla tecnica professionale degli attori e
molti problemi restano aperti. Gli eroi di Sofocle sono rocciosi e impenetrabili: dominati da una
passione estrema non recepiscono le voci altrui. Camminano, risoluti e incapaci di compromessi,
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verso il proprio destino, quasi sempre terribile. Ci vuole, per le tragedie di Sofocle, un attore che
sappia puntare anche sulla monotonia, capace di definire le strutture profonde e condizionanti, di
reggere quei toni costantemente alti. Gli eroi di Euripide sono lacerati da tensioni etiche e
psicologiche, piegano al dubbio e alla metamorfosi di sé; mirano a mete ben precise, ma lungo il
loro cammino tentennano e si contraddicono. Le inquietudini e le esitazioni dei personaggi di
Euripide esigono un attore di tipo diverso, in grado di esprimere i trapassi.
Un attore comico, invece, doveva sia esibirsi in parlate dialettali (megarico, beotico, dorico) sia
contraffare le voci, e i tic, dei personaggi noti, i versi degli animali.

LE DONNE
L'assenza di donne attrici non può stupire: è un fenomeno sociale molto diffuso, che troviamo anche
nel No giapponese, nel teatro rinascimentale di corte (il primo contratto per un'attrice, Lucrezia
senese, è documentato in Italia a Roma, il 10 ottobre 1564, al decimo posto in un elenco di
commedianti). Ad Atene la donna, per tutto il secolo v, visse in condizioni di semi-clausura, nel
gineceo: lavorava dentro casa o al massimo nelle sue vicinanze; usciva solo in occasioni solenni,
feste del culto, matrimoni, funerali e, forse, per assistire alle rappresentazioni teatrali. Poco importa
se in esse trionfavano le virtuose Alcesti e Antigone o imperversavano le proterve Cliteme-stra,
Medea, Fedra...
In un primo momento gli attori non venivano nominati e non vincevano molto. Dopo un certo
periodo invece gli attori si affermarono come professionisti, in epoca ellenistica si crearono delle
associazioni dette di dioniso che circolavano offrendo rappresentazioni. Ad un certo punto furono
istituiti concorsi per attori dando il premio al primo attore protagonista.
Essere attori significava detenere fama e successo tanto che in epoca tardo repubblicana o imperiale
l’attore divenne divo, tanto che avevano delle antologie o pezzi di bravura, si diffuse il fenomeno
per cui le tragedie non furono più rappresentate per intero ma venivano antologizzate, venivano
presi i pezzi migliori, questo avveniva in epoca romana in tutto il mondo grecizzato.
Le maschere, abbiamo una fonte letteraria importante e fonti archeologiche per sapere le varie
maschere in quanto esse cambiavano a seconda del personaggio (stereotipate), c’è una collezione di
maschere in terracotta a lipari, un erudito greto chiamato polluce che scrisse un lessico tematico
dove parla del teatro, delle parole e ci fa un esempio dettagliato di tutte le maschere (parla del II
secolo dopo cristo quindi non si sa se la situazione corrisponde alle stesse usanze del teatro
classico).
L’elemento importantissimo era la musica e la danza di cui purtroppo non abbiamo testimonianze
chiare. La musica antica ha avuto una sua tradizione di studi ma non ci sono spartiti musicali,
abbiamo solo frammenti di testi teatrali di euripide sul papiro accompagnati da note musicali. Ci
sono trattati sulla musica antica ma poche tracce. Anche sulla danza non c’è grande informazione,
sappiamo che il coro aveva dei movimenti convenzionali, sappiamo che alla fine del 5 secolo
aristofane ce l’ha con euripide e con altri poeti perché hanno fatto una rivoluzione musicale
adottando nuovi spunti musicali più patetici e sentimentali. Erano un elemento fondamentale nel
quale si usavano strumenti a corda e a fiato, si usavano strumenti per produrre suoni quotidiani
come tuoni e lampi.
La tragedia greca sottolinea, più di una volta, debolezze e difetti delle donne. I vecchi
dell'Agamennone le ritengono esseri troppo creduli, solite a pascersi di inganni.
Al tempo stesso nelle tragedie campeggiano figure di straordinarie eroine: si chiamano Alcesti,
Antigone, Clitemestra, Fedra, Giocasta, Medea. Anche la commedia, che denigra a ogni possibile
occasione le donne, si inventa due attivissime capopopolo: la Lisistrata dell'omonima commedia e
la Prassagora delle Ecclesiazuse. Ma al mondo fantastico del teatro faceva da contraltare la grigia
esistenza delle donne nell'Atene del v secolo. Esse vivevano quasi segregate in casa, nelle stanze
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più interne o in quelle del piano superiore, se c'era; non partecipavano ai banchetti dei mariti; se non
erano di umile condizione, mandavano gli schiavi a far la spesa (o ci andava il marito). Le uniche
occasioni per respirare l'aria della libertà erano le nozze, cerimonie funerarie e religiose, e, forse, il
teatro.
Le testimonianze sulla frequentazione muliebre dei teatri, nel secolo v a.C., sono ambigue e
contraddittorie. Un solo documento tardo parla con chiarezza di pubblico misto: Ateneo riferisce
(Sofisti a banchetto, 534 c) che Alcibiade si paludava di rosso porpora, nelle sue funzioni di corego,
sbalordendo gli uomini e le donne. Secondo la Vita di Eschilo, alla rappresentazione delle
Eumenidi, l'apparizione di esseri mostruosi come le Eumenidi avrebbe fatto morire dei bambini e
abortire delle gestanti.
Per il iv secolo a.C. interessanti precisazioni ci provengono da un Platone assai battagliero e
garantiscono senza ombra di dubbio che il pubblico di allora includeva anche le donne.
Nelle Leggi (817 c) Platone esclude dalla vita dello stato di cui progetta la costituzione i poeti
«seri» della tragedia: non va permesso a tali poeti di piantare le loro scene sulle piazze e di
introdurre attori dalla bella voce, di arringare i giovani, le donne, tutta la turba popolare. Platone
parte da preoccupazioni moralistiche, ma esse riflettono la situazione propria del iv secolo, e in
sostanza ci dicono chi frequentava allora i teatri.
Accanto al passo ora citato si colloca utilmente l'interrogativo teorico di Leggi 658 a-d. Platone si
domanda: se in un agone concorressero insieme, liberamente, epica, lirica, tragedia, commedia,
teatro dei burattini, e il premio dovesse andare al genere in grado di divertire di più i presenti (che
includono tutta la gente dello stato), cosa succederebbe? E si risponde che se i giudici fossero i
fanciulli più grandi lo assegnerebbero alla commedia, mentre le donne istruite, i giovani e forse la
massa in blocco opterebbero per la tragedia, e i bambini piccoli darebbero la palma al teatro dei
burattini. (Per i vecchi, invece, conterebbero, in primo piano, le esecuzioni dei rapsodi).
Chi accompagnava i bambini a teatro? Se non erano le madri, avranno pensato i servi a portarceli.

26/09/2018
Planimetria dell’acropoli di Atene, il teatro sta sul declivio meridionale dell’acropoli, l’acropoli è la
parte più sacra della città di Atene, luogo simbolico.
Troviamo accanto al teatro il santuario di Dioniso, l’altro edificio che si trova vicino è l’odeo di
Pericle, edificio edificato da Pericle nella metà del 5 secolo, nel momento di maggior fioritura di
Atene, questo edificio era connesso al teatro e poteva essere usato per il proagone ovvero quella
cerimonia che precedeva le grandi dionisie in cui gli autori presentavano al pubblico le tragedie e le
commedie che sarebbero state presentate al teatro.
Abbiamo delle documentazioni che ci mostrano i fenomeni festivi e la loro relazione drammatica, in
particolare quelle processioni in nome di Dioniso che erano scandite dalle maschere o dagli animali.
Vediamo delle anfore con rappresentazione di uomini che cavalcano delfini. Altre pitture vascolari
greche, di età classica, arcaica o ellenistica sono dei documenti fondamentali. Si tratta di un’altra
processione formata da cavalieri che cavalcano altri uomini travestiti da cavallo.
Un’altra immagine ci riporta ad un altro elemento che precede la tragedia, giovani che facevano
gare di vino e avevano la libertà di dire oscenità e lanciare battute al pubblico, la maschera comica è
una maschera grottesca, il travestimento dell’attore comico è una deformazione grottesca della
persona mentre l’attore tragico ha un abbigliamento solenne. Gli attori comici sono resi brutti e
deformi.
Stile a figure nere: arcaico
Stile a figure rosse: moderno.

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Gli elementi della figura deformata dell’attore comico sono due: il pancione che viene rigonfiato
(sia per f che per m) e il deretano. Erano delle imbottiture che deformavano le figure, il fallo nelle
figure maschili e in erezione (simbolo di fertilità non solo delle persone ma anche dei campi).
La maschera è anch’essa formata da elementi deformanti,
l’evoluzione che ebbe la commedia dal 4 secolo in poi, lo vediamo da Meandro dalla fine del 4, gli
elementi strutturali della commedia cambiano di più rispetto a quelli tragici: rimangono le maschere
ma perdono quei segni grotteschi che li caratterizzavano per dare ai personaggi dei veri e propri
personaggi stereotipizzati, questi personaggi hanno delle maschere particolari (polluce, un
grammatico, organizza il suo lessico per temi, ha una sezione che riguarda le maschere del teatro
che erano diventate talmente tanto che potevano essere divisi in tipi, si riferivano alla commedia
nuova).
Abbiamo parlato anche di spazi, di organizzazione del teatro e, nel confronto tra tragedia e
commedia, ricordiamo che per la tragedia c’era la macchina del volo (che portava l’attore in alto e
che spesso faceva comparire la divinità alla fine della vicenda), l’altra era l’enciclica cioè una sorta
di carro su ruote che veniva portato dal retroscena sulla scena.
Sempre l'Oreste si apre con un'idea teatrale straordinaria: un assassino giace su un lettuccio in stato
di choc, lo assiste la sorella, ne racconta la storia, ne descrive le sofferenze. Eccolo qui, il povero
Oreste, devastato dalla sua bestiale malattia. Il sangue della madre lo trascina via nel delirio: dico il
sangue, perché non oso pronunziare il nome delle Eumenidi, che lo incalzano col terrore. Da sei
giorni ormai la madre è morta sotto il colpo sacrificale e ne han purificato il cadavere col fuoco: per
tutto questo tempo non ha preso cibo, non si è lavato, mai. Rimpiattato nelle sue coperte, quando il
male si fa meno assillante, ragiona e piange; a volte, salta fuori dal letto, come un puledro che si è
liberato dal giogo. Oreste era trasportato da servi di scena sul suo lettuccio e subito dopo
iniziava la vera e propria azione, oppure si dirigeva con Elettra verso una brandina collocata già sul
posto e vi si sdraiava.
Comunque, l'ouverture immaginata da Euripide non era destinata a piacere.
Le Nuvole di Aristofane si aprono con Strepsiade che si agita su un «pagliericcio»: si è svegliato,
non può riprender sonno per le ansie che lo rodono, mentre suo figlio Fidippide, fonte prima di tutte
le sue preoccupazioni, ronfa beato in un altro tettuccio.
Si prospetta un problema analogo a quello dell'Oreste: le bran-dine venivano portate in scena, con i
relativi occupanti, o erano già in loco, e Strepsiade e Fidippide le raggiungevano? Qui sembrerebbe
imporsi la prima e più spiritosa soluzione: è motivo di comicità veder arrivare, magari al piccolo
trotto, degli inservienti e scaricare sul posto due lettucci con relative persone addormentate dentro.
Si prospetta un problema analogo a quello dell'Oreste: le brandine venivano portate in scena, con i
relativi occupanti, o erano già in loco, e Strepsiade e Fidippide le raggiungevano? Qui sembrerebbe
imporsi la prima e più spiritosa soluzione: è motivo di comicità veder arrivare, magari al piccolo
trotto, degli inservienti e scaricare sul posto due lettucci con relative persone addormentate dentro.
Questi elementi erano relativamente frequenti nella tragedia classica diventando la satira dei comici,
esplicitamente commentano e criticano la facilità con cui gli autori tragici uscivano dalle situazioni
grazie a questi macchinari. Invece i comici si dovevano affannare a mostrare nuovi finali e a
risolvere le situazioni sempre piu innovative.
Questo non veniva criticato solo dai comici ma anche da aristotele nella poetica, egli dice che l’uso
del deox ex machina per mettere fine alla trama era un oggetto esterno, critica la medea di euripide,
in quanto essendo un artificio esterno non è degno di un autore veramente bravo in quanto la
risoluzione deve sorgere dall’esterno.
Anche aristofane usa la macchina del volo mettendo a all’inizio, nella pace, ma in modo allusivo
(usa uno scarabeo invece del carro del sole per andare a prendere la pace, in questo caso è l’inizio

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fantastico dell’azione e non la risoluzione). C’è dunque una differenza rispetto alla tragedia o alla
commedia.

I TESTI
I tragici greci selezionano le loro storie all'interno di un panorama vastissimo e intricato, ricco di
varianti e di suggestioni. Non si limitano a raccontare una sequenza di fatti, ma isolano alcuni
motivi dal grande patrimonio mitico collettivo e lo caricano di secondi significati, di una morale
pregnante e talvolta anche ambigua, aprono un tema alla meditazione e al riscontro etico. Il tema
viene così immerso nella cultura in movimento, diventa oggetto di dibattito e non di mero riscontro.
Il materiale oggetto dell'elaborazione scenica viene offerto da molte leggende, ma non è sacro e
immutabile: si presta a più di un'invenzione, di un arricchimento.
Il testo non è un copione (almeno quello che noi abbiamo ricevuto)
ma all’interno del testo stesso ci sono degli elementi collegabili alla messa in scena, ovvero ci sono
delle indicazioni delle posizioni espresse dai personaggi medesimi, in scena.
Per esempio nell’Oreste di Euripide in cui in tutta la parte fino all’entrata del coro, la scena prevede
Oreste addormentato con la testa di Elettra accanto a lui, da delle indicazioni quando entra il coro
perché in questo momento Elettra dice di seguirlo in silenzio per non disturbare Oreste.
Questo ci mostra che il coro non deve entrare rumorosamente.
Ci sono sempre indicazioni atte ad informare gli spettatori ma anche indicazioni che servono a
descrivere la scena per esempio all’inizio dell’Agamennone, sono le parole dei personaggi che
fanno immaginare agli spettatori delle scene, elementi che sono definiti di scenografia verbale
ovvero che aiutano gli spettatori ad immaginare una scenografia che non poteva essere
rappresentata. Ci sono indicazioni, sempre attraverso battute, sulle posizioni o movimenti degli
attori, sono elementi che facevano corrispondere alle battute dei movimenti.
Il pubblico deve essere informato non solo sui personaggi, ma sul luogo dell'azione, e così, in
genere, chi parla offre nel prologo le coordinate geografiche.
Per quanto riguarda lo spazio vediamo che esiste un perimetro apposito in cui agivano gli attori il
logheion, esso imita un’ambientazione, è importante per a trama l’evocazione di altri luoghi che
sono solo immaginati (spazio dietetico…solo immaginato). Ione di Euripide è importante, si svolge
nel santuario di apollo a Delphi.
Nella Pace di Aristofane (421 a.C.), per il gioco delle entrate e delle uscite, sono necessarie
l'abitazione di Trigeo, la dimora di Zeus, una caverna: si richiedono, dunque, almeno tre porte nel
fondale unico che rappresentava una casa. Forse due-tre porte costituivano una regola per la
commedia: non abbiamo elementi per decidere se questo valesse anche per la tragedia. Comunque,
a un'unica porta centrale per la tragedia si tende a non credere più, anche se recenti suggestivi
allestimenti dell'Orestea hanno puntato su una sola apertura nel palazzo degli Atridi, vista come
varco simbolico, come passaggio dal regno dei vivi al regno dei morti
Esiste uno spazio extrascenico, quello che sta appena fuori dalla scena e da lì provengono i
personaggi che via via entrano in scena. Tra questi due spazio (scenico e extrascenico) si uniscono,
ad esempio quando sentiamo la voce di un personaggio che sta per entrare ma che ancora è nello
spazio extrascenico.
Nelle nuvole vedremo che anche in quel caso c’è uno spazio, l’entrata delle nuvole è preceduto
dalla voce delle nuvole, prima che entrino in scena sentiamo un canto (quello del coro).
Per quanto riguarda il tempo sappiamo che quello della tragedia non è reale ma si avvicina a quello
naturale, la conversazione ha un suo tempo, svolgimento, spesso il coro serve per dare l’indicazione
temporale in quanto le azioni annunciate poi devono essere realizzate nella scena successiva.

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L'intreccio tragico è visto, quasi sempre, dai Greci come rapporto oppositivo tra due, massimo tre
persone. La tensione perciò è bipolare: la presenza di un terzo serve, se mai, a far precipitare
l'azione.
La tragedia greca è soprattutto ricerca accanita di una giustizia, è un regolamento di conti fra umano
e divino. Al centro si collocano i grandi interrogativi dell'esistenza: oltre al rapporto tra cielo e terra,
il tema della morte e della colpa, del destino che viene imposto dall'alto o che uno si costruisce col
proprio operato, il motivo della passione distruttrice e delle scelte etiche e pratiche decisive. Di rado
l'attualità vi è protagonista.
Origini della commedia: abbiamo detto che questo è poco chiaro, già ad Aristotele quindi nella
seconda metà del 4 secolo avanti cristi, quindi un secolo dopo la nascita della rappresentazione
teatrale. Sappiamo che la commedia è successiva alle tragedie che furono introdotte nelle dionisie
nel 486 (?) quindi le commedie sono nel 5 secolo.
Ci sono delle leggende antiche, che sono portate avanti da Aristotele per quanto dubbio, esiste
un’epigrafe di epoca ellenistica (3 secolo) si trova una serie di notizie dal punto di vista
documentario in cui si pone la notizia che la commedia sia stata inventata da sudarione, veniva dalla
dacia, e ha creato le commedie in attica. La commedia la connessione con il culto di Dioniso è
chiara certamente questi spettacoli sono ben piu antichi del 5 secolo, una forma cosi
istituzionalizzata la commedia l’ha presa dopo la tragedia e forse ne è stata influenzata.

NOTICINE MUSICALI
Per i Greci, la musica era sì l'arte di combinare insieme i suoni, come la definirebbe un qualsiasi
dizionario moderno, ma occupava una posizione di prestigio al di sopra di tutte le altre arti. Grandi
e piccole manifestazioni dell'esistenza (banchetti, nozze, funerali), cerimonie sacre, concorsi
letterari richiedevano esibizioni musicali: la musica era parte integrante e necessaria dell'educazione
comune, oggetto fondamentale di pratica e di studio. I princìpi della musica, teorici e matematici,
furono affrontati da molti pensatori profondamente attenti a quella che era l'arte delle sensazioni e al
tempo stesso dei numeri. Per filosofi come Platone e Aristotele essa costituiva un mezzo
pedagogico culturale e sociale e andava rigorosamente disciplinata in quanto destinata a influire
sulle strutture più profonde dell'animo umano, a condizionare le facoltà volitive. Ma questo
straordinario patrimonio intellettuale, morale, artistico ha subito un naufragio di devastanti
proporzioni.
Certo, noi possediamo molti scritti greci sulla musica in testi specifici. Essi vanno dalla Divisione
del canone (ossia della corda) del matematico Euclide (iv secolo a.C.) ai Problemi musicali di
Aristotele (?), agli Elementi armonici di Aristosseno di Taranto, uno scolaro diretto di Aristotele.
Ma i resti della reale produzione musicale sono scarsissimi, minimi per la tragedia dove pure la
musica aveva una funzione insostituibile.
Tanto per dare qualche rapida informazione sulla musica greca in campo teatrale andrà ricordato
che essa era logocentrica, ossia in funzione delle parole. Tutto il contrario di quanto successe, con
felix culpa,
nel tentativo operato in Italia di far risorgere col melodramma il teatro greco: musica di
straordinaria bellezza fu da noi associata a testi spesso e volentieri mediocri.
Il nostro sistema fondamentale di suoni è l'ottava. Per i Greci la gamma di suoni a cui fare
riferimento era il tetracordo, la quarta: una successione di note tale che l'intervallo fra la prima e
l'ultima fosse di due toni e mezzo (per il genere diatonico mi, re, do, si: il movimento melodico
greco va sempre dall'acuto al grave, è discendente). Due tetracordi congiunti di uguale struttura
(congiunti significa che l'ultima nota del primo era anche la prima del secondo) formavano una
scala di ottava, detta anche «armonia». Tutte le possibili combinazioni di suono erano riassunte
all'interno del sistema teleion (= perfetto) e del sistema teleion minore. Il sistema perfetto era
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costituito da quattro tetracordi, due congiunti e due disgiunti, nel sistema perfetto minore i
tetracordi erano tre, disgiunti.
L'esecuzione di un pezzo avrà avuto la sua importanza per ottenere il plauso a teatro, come
l'invenzione musicale dell'autore. L'autore, oltre che coreografo, era anche musicista: rimaneva
fedele sì al patrimonio della tradizione, ma tendeva a rinnovarne tecnica e espressività. Se Eschilo si
servì, pare, del modo, ossia del tipo di ottava, dorico e mixolidio, Sofocle utilizzò, anche il modo
frigio e forse quello lidio, Euripide associava in una sola melodia le note di diversi modi con raro
virtuosismo. A ogni «armonia» i Greci attribuivano un precipuo e preciso ethos (cfr. anche p. 167).
Euripide subì in modo particolare il fascino del grande rivoluzionario della musica del v secolo a.C.,
Timoteo di Mileto, capace tra l'altro di rendere nelle sue composizioni il sibilo del vento, il fragore
delle onde, i rumori della tempesta, i gemiti di una partoriente e creatore di una lira a undici corde
(gli Spartani malvagi e conservatori a un suo concerto gli tagliarono le quattro corde superflue).
Una delle più interessanti creazioni musicali di Euripide è, per noi, il duetto. Nelle sue opere
troviamo lamentazioni, come quella di Polissena e sua madre nell'Ecuba, in cui una delle due voci
costituisce una sorta di basso continuo.
Ma gli si devono anche fughe a due voci, come nelle Troiane. Nella conversazione comune può
capitare che qualcuno si inserisca nel discorso di un altro, lo continui e lo integri: ma solo in musica
due voci fanno concerto, inseguendosi e sovrapponendosi, senza confondersi.
Nell'ambito teatrale compaiono vari strumenti. Nell'Eumenidi l'Areopago viene convocato al suono
della tromba; nelle Troiane lo squillo delle trombe segnalerà alle prigioniere l'ordine di imbarco
sulle navi greche. Nelle Baccanti di Euripide sono menzionati, e obbligatori, i timpani, ossia
tamburelli da percuotere con il palmo della mano. Ma dominano incontrastati a teatro cetra, lira e
l'aulòs, il flauto (o meglio l'oboe) nelle sue varie forme per accompagnare il canto sia dei solisti che
del Coro. Qualche volta l'aulòs poteva prevaricare, farla da padrone. Di qui la rivolta di Pratina (sec.
vi a.C.), ritenuto l'inventore del dramma satiresco.

Struttura del testo drammatico


Esso non è un copione (almeno quello che noi abbiamo ricevuto), ma all’interno del testo stesso ci
sono degli elementi collegabili alla messa in scena, ovvero ci sono delle indicazioni delle posizioni
espresse dai personaggi medesimi, in scena.
Per esempio nell’Oreste di Euripide in cui in tutta la parte fino all’entrata del coro, la scena prevede
Oreste addormentato con la testa di Elettra accanto a lui, da delle indicazioni quando entra il coro
perché in questo momento Elettra dice di seguirlo in silenzio per non disturbare Oreste.
Questo ci mostra che il coro non deve entrare rumorosamente. Ci sono sempre indicazioni atte ad
informare gli spettatori ma anche indicazioni che servono a descrivere la scena per esempio
all’inizio dell’Agamennone, sono le parole dei personaggi che fanno immaginare agli spettatori
delle scene, elementi che sono definiti di scenografia verbale ovvero che aiutano gli spettatori ad
immaginare una scenografia che no poteva essere rappresentata. Ci sono indicazioni, sempre
attraverso battute, di Reia sulle posizioni o movimenti degli attori, sono elementi che facevano
corrispondere alle battute dei movimenti.
Il pubblico deve essere informato non solo sui personaggi, ma sul luogo dell'azione, e così, in
genere, chi parla offre nel prologo le coordinate geografiche.
Per quanto riguarda lo spazio vediamo che esiste un perimetro apposito in cui agivano gli attori il
logheion, esso imita un’ambientazione, è importante per a trama l’evocazione di altri luoghi che
sono solo immaginati (spazio diegetico…solo immaginato). Ione di Euripide è importante, si svolge
nel santuario di apollo a Delphi.
Nella Pace di Aristofane (421 a.C.), per il gioco delle entrate e delle uscite, sono necessarie
l'abitazione di Trigeo, la dimora di Zeus, una caverna: si richiedono, dunque, almeno tre porte nel
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fondale unico che rappresentava una casa. Forse due-tre porte costituivano una regola per la
commedia: non abbiamo elementi per decidere se questo valesse anche per la tragedia. Comunque,
a un'unica porta centrale per la tragedia si tende a non credere più, anche se recenti suggestivi
allestimenti dell'Orestea hanno puntato su una sola apertura nel palazzo degli Atridi, vista come
varco simbolico, come passaggio dal regno dei vivi al regno dei morti.
Esiste uno spazio extrascenico, quello che sta appena fuori dalla scena e da lì provengono i
personaggi che via via entrano in scena. Tra questi due spazio (scenico e extrascenico) si uniscono,
ad esempio quando sentiamo la voce di un personaggio che sta per entrare ma che ancora è nello
spazio extrascenico.
Nelle nuvole vedremo che anche in quel caso c’è uno spazio, l’entrata delle nuvole è preceduto
dalla voce delle nuvole, prima che entrino in scena sentiamo un canto (quello del coro).
Per quanto riguarda il tempo sappiamo che quello della tragedia non è reale ma si avvicina a quello
naturale, la conversazione ha un suo tempo, svolgimento, spesso il coro serve per dare l’indicazione
temporale in quanto le azioni annunciate poi devono essere realizzate nella scena successiva.
Origini della commedia: abbiamo detto che questo è poco chiaro, già ad Aristotele quindi nella
seconda metà del 4 secolo avanti cristi, quindi un secolo dopo la nascita della rappresentazione
teatrale. Sappiamo che la commedia è successiva alle tragedie che furono introdotte nelle dionisie
nel 486 (?) quindi le commedie sono nel V secolo.
Ci sono delle leggende antiche, che sono portate avanti da Aristotele per quanto dubbio, esiste
un’epigrafe di epoca ellenistica (3 secolo) si trova una serie di notizie dal punto di vista
documentario in cui si pone la notizia che la commedia sia stata inventata da sudarione, veniva dalla
dacia, e ha creato le commedie in attica. La commedia la connessione con il culto di Dioniso è
chiara certamente questi spettacoli sono ben più antichi del 5 secolo, una forma cosi
istituzionalizzata la commedia l’ha presa dopo la tragedia e forse ne è stata influenzata.
C’era l’uso di rappresentare testi scherzosi duranti i simposi (banchetti) come Alceo che componeva
le sue poesie, accompagnato da musica, nel contesto dei simposi. Qui ci sono critiche al tiranno, alle
politiche, allusioni sessuali ecc…
Per Aristotele ci sono almeno due teorie:
1. Riconnette l’origine della commedia ai cori fallici, quindi delle feste di Dioniso, in quanto la
fertilità era osannata. Il fallo rimane poi nella commedia
2. La rivendicazione della popolazione dorica dice che era stata quest’area ad aver inventato la
commedia, Aristotele non è favorevole a questa teoria anche se c’è questo poeta dorico siciliano
che compose dei drammi moto simili alle commedie attiche. La forma letteraria del dramma
comico si compie nel corso del 5 secolo con l’influenza di diversi fattori e forse spiega anche
come la tragedia sia stata cosi importante come modello o antimodello, influenzatrice della
commedia che ha il suo fulcro ad Atene, i poeti erano tutti attici. C’era un legame con la città e
con la cultura greca.
Per quanto riguarda la struttura Aristotele distingue le parti fisse della tragedia: prologo, episodio e
parti corali (parodo – inresso del coro; e poi tutte le altre parti corali che inframezzano le parti della
tragedia).
Altri elementi discorsi monologhi parti cantate duetti possono esserci o non esserci, non sono
constanti nell’analisi di Aristotele. L’esodo è l’ultimo episodio che non è seguito dalla parte corale.
Diversamente la commedia ha una struttura un po diversa dalla tragedia, è più simile alla tragedia
una commedia di Menandro rispetto a quella di Aristofane: il coro e l’attore hanno una
congiunzione, anche in questo caso abbiamo la danza e la musica come elementi fondamentali,
anche la commedia è una sorta di opera lirica più che una prosa, i personaggi parlano in versi, e il
verso del recitativo e il trimatro jambico (piu vicino al parlato), a più conservativo di un testo in
versi.
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La struttura della commedia di aritofane è caratterizzata dalla parabasi, un elemento che scomparirà
presto. Esso è un pezzo della commedia di a che si trova nel mezzo, è un canto del coro dove esso
avanza verso gli spettatori rivolgendosi a loro (parabasi significa avanzare), esso interrompe
l’azione facendo uscire gli attori e interrompe la finzione della vicenda, è un dialogo tra attori del
coro e del pubblico.
È composta da 7 elementi:
1. Intervento cantato del coro, passaggio tra attore e alla parabasi… segnale agli attori che escono
dalla scena, breve saluto
2. La prima part è pronunciata dal corifeo, capo del coro che può parlare a nome del coro o a nome
del coreografo, questa parte affronta i problemi di cosa sia la poesia comica, quel’è lo stile
dell’autore e la sua poetica (nelle nuvole Aristofane critica di non essere stato capito dal
pubblico).questa parte può finire con il pligos, chiamato concitamento,
3. Il coro canta un ode e un antode (contro ode) canta il coro in forma di inno, una invocazione
verso gli dei, interrotta da una parte recitativa formata da una 20ina di versi al massimo più una
parte del coro che stavolta parla come un personaggio e non più come un portavoce.

Un altro elemento caratteristica era l’agone epirrematico, due personaggi si confrontano in


competizione dove essi argomentano in maniera diversa cercando di convincersi a vicenda, il coro
può essere da una parte o dall’altra (nelle nuvole abbiamo il discorso ingiusto e giusto).
Parte caratteristica che non ha corrispondenti, il coro fa il tifo dicendo poi chi è il vincitore. Questi
elementi agonali spesso ritornano in forma minore in altri drammi.
Nella seconda parte della commedia ci sono spesso degli episodi che portano il protagonista, che ha
realizzato il suo piano, e lo portano a confrontarsi con altri personaggi che sono state vittime del
cambiamento del protagonista.
Tutta questa struttura è legata ai grandi temi che compongono la commedia di Aristofane e che sono
caratteristici della sua epoca (anni 30 del 5 secolo quindi nel pieno della guerra del Peloponneso che
inizia nel 431 e finirà nel 404) Aristofane sopravvive alla fine della guerra e la sua ultima commedia
fu rappresentata nel 388, in questo aro di tempo tutto si rovescia ad Atene e l’atmosfera è diversa.
Evento che coinvolge tutti i cittadini che patteggiano per una parte o per l’altra.
Come un cittadino comune può uscire da questa situazione oppressiva dovuta alla guerra?
Mettono in crisi l’adesione ai valori civili, i sofisti fecero importanti riflessioni sul linguaggio sul
suo valore, insegnavano ai giovani ad utilizzare il linguaggio per persuadere li altri, la retorica.
Questo è il tema che ci sarà nelle nuvole. Aristofane da conservatore vede questi cambiamenti come
un processo di sgretolamento della cultura ateniese, li metterà alla gogna nella sua commedia. Si
facevano apertamente i nomi dei politici che si volevano criticare.
La struttura generale è comunque, per quanto riguarda Aristofane, giganteggia il protagonista che
deve essere umile o meno umile e deve essere in conflitto con il suo ambiente ed escogita un’idea
per cambiare la situazione, idea non necessariamente realistica ma anche paradossale, riesce a
cambiare la sua realtà (anche se Aristofane è molto ambiguo nei suoi finali).
Un’altra caratteristica è la possibilità di rendere i concetti astratti concreti e visibili,
la commedia del 4 secolo perde le parti corali, non c’è più la comunità di Atene che è legata ad un
destino comune del personaggio ma i personaggi delle commedie di Menandro sono personaggi con
problemi individuali (odiare, amare, gelosia, invidia) quindi non abbiamo più i problemi politici,
sono stereotipi, ma Menandro è bravo a cambiare questi stereotipi cambiando le aspettative del
pubblico.

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3/10/2018
La commedia greca è legata alla attività politica del V sec, ma non è l’unica troviamo un altro filone
legato ad Epicarmo (filosofo e commediografo siciliano) che si serve dei drammi di carattere
generale, ma in patibolare modo va ad utilizzare molto il genere della Paratragodia, che consisteva
nella parodia delle tragedie (es venne fatta una parodia dei Persiani di Eschilo). un altro tema che fu
molto importante fu anche la polemica letteraria dove sappiamo, da vari racconti, che venivano
discusse le varie polemiche sui testi letterari dove si andavano a radunare molte persone e le stesse
rappresentazioni teatrali venivano preparate un anno prima. A luglio si cominciava a nominare i vari
coreghi, cioè quelle persone ricche della città che andavano a finanziare la rappresentazione
teatrale.
Nei Babilonesi di Aristofane si andava ad attaccare Cleone, è stato un politico e militare ateniese,
protagonista della guerra del Peloponneso, perché fu lui che aveva provocato una rivolta dove
andava a trattare gli alleati come degli schiavi. Aristofane va ad evidenziare questo attacco diretto
alla sua politica però Clone non andò a denunciare Aristofane per questo attacco per via del popolo
ateniese, il demos, che lo faceva apparire in maniera negativa (informazione del popolo). Queste
denuncia potevano portare all’esilio oppure alla morte, ma Aristofane non ebbe nessuna
conseguenza.
Durante il periodo della guerra furono emananti due decreti che tentarono di limitare la libertà delle
commedie, anche se un decreto venne pensato antecedente alla guerra del Peloponneso e l’altro fu
del 415 A.C, quando venne fatta la spedizione in Sicilia.

La scelta dei correggi era fatta dagli Arconti però nella commedia l’autore veniva scelto quando
ancora non aveva composto la commedia. Spesso l’autore andava a comporre per primi i cori cosi
che con essi andava a colpire con maggior impatto i correggi ed era necessario per la commedia
perché essa non poteva fissare quell’efficacia.
La commedia antica va a coincidere con il periodo di vita di Aristofane dove di suo ci sono giunte
11 commedie, ma si va anche a ricordare Cratino e Eupari, ma di loro non ci sono giunte opere loro,
ma vengono citati in molti scritti di altri autori che non sono completi.
Quindi le nostre conoscenze di Aristofane ci sono giunte sino a noi solo tramite testi di altri autori e
papiri, dove la maggior parte dei testi sono stati passati dall’Egitto e vengono ricopiati sui vari
papiri. Infatti alla Biblioteca di Alessandria passarono molti testi appartenenti all’altica Grecia e di
Aristofane sono giunti fin li 36 testi, ma fino a noi ne sono arrivati solo 11.

Della vita di Aristofane non sappiamo molto, perché le nostre conoscente sono giunte sino a noi
tramite testi di altri autori. Sappiamo che è nato nel 450e muore fra il 386-385, grazie alla
testimonianza scritta della rappresentazione della sua ultima commedia, Pluto, che venne fatta ne
388 dal figlio.
A partire dal 481si ha la guerra del Peloponneso dove Aristofane la vive tutta. Di suo ci sono giunte
sino a noi 900 frammenti di altri suoi lavori, ma delle sue commedie si hanno testimonianze scritte
che vennero composte quando vennero rappresentate con la classifica (grazie ai testi Euriditari) che
troviamo spesso nei manoscritti.
Delle Nuvole sappiamo che ne esistono due versione dove la prima venne rappresentata per la
prima volta alle Grandi Dionisie del 423 a.C., ma questa prima versione andò perduta, ma sappiamo
che non ebbe successo. La seconda versione (che è quella che noi oggi leggiamo) venne composta
tra il 421 ed il 418 a.C. Questa versione, però, per ragioni ignote non venne mai messa in scena
dall'autore, e reca infatti alcuni segni di incompiutezza, il più importante dei quali è la mancanza di
un canto corale dopo il v. 888. Tra la prima e la seconda versione le modifiche furono notevoli in

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tutto il testo, ma riguardarono soprattutto l'introduzione di una nuova parabasi e di due scene: quella
della disputa tra i due Discorsi e quella finale del Pensatoio in fiamme.
Le altre commedie di Aristofane furono:
• Gli Acarnesi ottenne il primo posto alle Lenee del 425 a.C. e seconda alle Dionisie
• I cavalieri del 424 a.C. che si classifico al primo posto
• Le nuvole del 423 a.C. (prima redazione) che si classifico al terzo posto
• Le vespe del 422 a.C. che si classifico al secondo posto
• La pace del 421 a.C. che si classifico al secondo posto
• Gli uccelli del 414 a.C. che si classifico al secondo posto
• Le donne alle Tesmoforie (Tesmoforiazuse) del 411 a.C.
• Lisistrata del 411 a.C.
• Le rane del 405 a.C. che si classifico al primo posto
• Le donne al parlamento (Ecclesiazuse) del 391 a.C.
• Pluto del 388 a.C.(seconda versione)
Il suo esordio venne fatto con i Banchettari del 427 che presentava come tema principale il conflitto
culturale generale; poi a partire dal 427 si comincerà a cimentare nella competizione.
Eschilo
Lo scrittore nacque a Eleusi, una cittadina distante circa venti chilometri da Atene (verso il 525 da
famiglia aristocratica?). Conseguì tardi, a quarant'anni, la sua prima vittoria: lo sappiamo dal
Marmor Parium, un'iscrizione ellenistica di cui ci restano due ampi frammenti, e che costituisce una
cronaca degli avvenimenti dal tempo del mitico primo re di Atene, Cecrope (1581-1580) al 264-263
a.C. Riportò numerosi trionfi (il numero oscilla tra i 13 e i 28); sopravvivono 81 titoli delle sue
opere. La produzione abbondante lo accomuna a Sofocle e a Euripide: altri tragediografi dell'epoca,
per esempio Ione di Chio, furono molto meno prolifici. Invitato da Gerone andò una prima volta a
Siracusa e nella tragedia Etnee celebrò la fondazione della città di Etna ad opera del tiranno (470
a.C.?). In Sicilia rientrò dopo la rappresentazione ad Atene dell'Orestea (458): morì a Gela nel
456-455. Di Eschilo ci sono pervenute sette tragedie e ampi brani di due drammi satireschi.
Nell'ordine del Codice Mediceo xxxii, 9 che le contiene, le tragedie sono: Persiani, Prometeo, Sette
contro Tebe, Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi), Supplici. I Persiani furono rappresentati
per la prima volta nel 472 (una replica ebbe luogo a Siracusa qualche tempo dopo), i Sette andarono
in scena nel 467, la trilogia è del 458. Le Supplici per molto tempo furono ritenute una delle prime
opere di Eschilo, dato il loro colore arcaico: un papiro di Ossirinco pubblicato nel 1952 (2256, 3)
obbliga a situarle quasi alla fine della carriera del drammaturgo, fra il 466 e il 459.1 titoli dei due
drammi satireschi sono: i Pescatori con rete e gli Spettatori (o Visitatori dell 'Istmo).
Persiani. I Persiani sono una sorta di psicodramma: raccontano la sfortunata spedizione di Serse
contro la Grecia, osservata e rivissuta nei suoi effetti, in casa del nemico, a Susa (leggere trama).
Orestea. La trilogia comprende: Agamennone, Coefore, Eumenidi.
Eschilo è il portavoce di una visione antropologica del mondo destinata a scomparire con
l'illuminismo del v secolo. Attraverso le grandi figure che crea, il drammaturgo sollecita in chi
guarda e ascolta una serie di domande atterrite. Il suo non è certo un teatro tranquillizzante che offra
(o confermi) delle verità: è un teatro che solleva angosce continue, presentando alternative
comunque dolorose.
Nell'incarnare scelte etiche o nel discutere, nell'interrogarsi sui grandi temi del giusto, dell'ingiusto,
del bene, del male i personaggi non usano mai un linguaggio neutro, bensì un linguaggio deciso e
tempestoso. Ma si impongono anche all'interno dei protagonisti o al di fuori di loro incontrollabili
forze ctonie: e così gli eroi acquistano sulla scena una «seconda» e inquietante dimensione. Si è
parlato, per Eschilo, di visione rudemente sacrale della vita, si è usato spesso, per la sua poesia,
l'aggettivo «primitiva». L'aggettivo andrebbe analizzato, segmentato: se è pertinente in quanto
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sintetizza in modo brusco e grandioso la realtà che si riflette nelle opere di Eschilo, è tuttavia
inadeguato perché in lui si trovano anche sinuosità e sfumature affettive.
Nella struttura drammatica delle tragedie di Eschilo tutti gli elementi, anche quelli apparentemente
decorativi, risultano necessari. Nei Persiani vengono forniti nominativi di combattenti asiatici per
ben tre volte: ma non si tratta semplicemente di dotte rassegne. All'inizio l'elenco dei guerrieri si
configura come orgogliosa ostentazione di un esercito di braccia infinite; ma l'ostentazione è
circoscritta da due dichiarazioni di paura, di ansia: in un secondo momento il Messaggero preciserà
ad Atossa il nome dei morti, stilando il resoconto in negativo; infine, tra interrogativi ed
esclamazioni, il Coro formulerà una requisitoria, chiedendo a Serse ragguagli sui comandanti e
sugli amici caduti. La vanità nutrita di inquietudine ha dunque ceduto il posto all'amara
constatazione delle perdite, l'evocazione altera della partenza è ripresa dalla cupa lista degli
scomparsi. Anche la scena di Io nel Prometeo aiuta a capire le funzionali connessioni, scoperte o
celate, del teatro eschileo (o di impronta eschilea): dopo l'ingresso della donna-giovenca, si passano
estesamente in rassegna le sventure a lei già toccate, si delinea il quadro delle sue future peripezie.
Non è semplicemente una bella pagina letteraria: l'incontro di Io con Prometeo e il Coro serve
intanto a chiarire quale sia la giustizia di Zeus persino nei confronti delle persone che ama, e
rafforza la decisione del ribelle di non piegarsi al tiranno; esso è anche l'occasione in cui si offre a
Prometeo (che prima e dopo parla solo con divinità) l'interlocutore diverso e umano di cui ha
bisogno; infine (apporto non meno importante) l'incontro con Io fa cadere ogni barriera spaziale e
temporale, coinvolgendo nel «racconto» genti europee, africane, asiatiche. L'orizzonte fisico si
allarga ben oltre la Scizia, dove l'azione è collocata, mentre di là dai normali limiti cronologici,
conformemente all'eternità di Prometeo, si affaccia il novero delle future generazioni: il mito si apre
così alla storia. Naturalmente nei drammi di Eschilo si riflette la realtà contemporanea: non è
improbabile che i Persiani siano anche una difesa della politica marittima di Temistocle e nei Sette
contro Tebe l'elogio di Amfiarao «colui che vuol essere e non solo sembrare giusto» sia un omaggio
ad Aristide. Nelle Supplici il parallelo per l'avventura delle Danaidi, profughe ad Argo e
perseguitate dagli Egizi, potrebbe essere il caso di Temistocle, ostracizzato e condannato a morte
nel 470, che riparò ad Argo, ma sulle cui tracce si erano messi sicari ateniesi e spartani.
Indossando vesti completamente diverse, Eschilo nel genere del dramma satiresco, con i suoi
Pescatori e Spettatori dà voce a un fresco movimento di figure, a un allegro fluire di scenette en
plein air, in cui il lavoro quotidiano o gli agoni ginnici, le emozioni gioiose e le paure, gli spunti
osceni e lo scherzo, tutto si intreccia in storie ben ilari e lievi (per quanto possiamo giudicare dai
frammenti).
04/10/2018
Socrate
È uno dei personaggi che si trova al centro della commedia delle nuvole diAristofane, ma Socrate è
conosciuto come il rivoluzionario del pensiero filosofico dove la sua filosofia si concentrava
sull’uomo e con lui abbiamo la fine della filosofia naturalistica
Nell’Atene del V sec troviamo una discussione molto ampia che porto alla generazione della
categoria dei sofisti, che si andavano a distinguere da altri filosofi per il semplice fatto che la loro
filovia l’andavano ad insegnare ai giovani dell’epoca la capacità del linguaggio e anche a saperlo
manipolare.
La vita di Socrate non è piena di avvenimenti: nasce in un demo di Atene da padre scultore e da
madre allevatrice e in un primo momento venne attratto dalla filosofia naturalistica, come dice nel
Fedone di Platone, e lesse anche Anasagora e fu allievo di Archeloa.
Si allontano da Atene per la battaglia di Paliteo a partire dal 421, dopo di che ritorno ad Atene per
rimanerci per sempre.non partecipo molto alla vita politica programmatica e fu indipendente sei

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suoi giudizi e dal suo comportamento (rifiuto nel 404 Crizio, capo dei Trenta, dove vennero arrestati
i suoi oppositori).
Socrate si sposo con Santippe, dalla quale ebbe tre figli, ma non si curo molto della famiglia, ma
curo molto le relazioni e le conversazioni che teneva con diverse persone della città le quali
avevano voglia della sapienza e delle virtù altrui. Socrate morirà nel 399 dove la sua morte ci viene
descritta dettagliatamente da Platone anche se non era presente alla morte del maestro.
Le fonti di Socrate sappiamo con certezza che lui non aveva lasciato nulla di scritto, anzi si andava
a dichiarare che un libro non poteva andare a rispondere alle sue domande, infatti le sue fonti ci
sono giunte attraverso scritti di altri autori:
• Aristofane nelle Nuvole, dove fu l’unico autore di cui ne parla in vita
• Platone, che fu suo allievo, in tutti i suoi dialoghi
• Lo ritroviamo anche in qualche scritto di Aristotele
Con questi scritti si va a delineare il suo personaggio attraverso le parole di altri autori. Si va a
parlare di un personaggio anomalo che ha avuto un impatto molto forte con gli ateniesi, che ci viene
descritto in vari scritti.
Un esempio lo si può trovare con le parole di Alcibante nel Simbioso, dove si va. Smettere in
evidenzia una scena che si svolge durante ad un banchetto a cui parteciparono Socrate e Aristofane
dove entrambi cominciarono a dialogare fra di loro. Ad un tratto arriva Alcibante che va a fare un
elogio a Socrate andando a mettere in evidenzia lui come unico personaggio del banchetto, infatti
Accipante, lo va a paragonare ai satiri e ai sileni.
Un altro passo di Alcibante va a ribadire che Socrate è similissimo ad un silene, andando ad
evidenziare cha al di la dell’immagine brutta conoscerlo significava scoprire un nuovo lato di
pensiero e filosofico. La bruttezza di Socrate nella sua stesa presenza fisica c’è il suo atteggiamento
esistenziale, in un’Atene che vuole rappresentarsi come logo della fioritura della
KALAKAGOTHIA, che va ad invitare a riflettere sulla tensione fra l’essere e l’apparire.
Cicerone va a raccontare che il FISIOGNOMICO DI ZAPIRO, che non è altro che l’antica scienza
che si proponeva di ricavare dai tratti somatici, specie quelli del viso, indicazioni sul carattere degli
individui, era venuta ad Atene a mostrare la sua arte, andò ad attribuire a Socrate un cumulo di vizzi
che andò a suscitare il risoni tutti gli altri.

SOCRATE E LE NUVOLE: sappiamo che quando le nuvole furono andate in scena Socrate era
presente (grazie alla testimonianza di Eliano, Storia Varia II 3) dove si spiega che i forestieri non
sapevano chi era il personaggio preso in giro e Socrate sedeva in un posto d’onore dove tutti lo
potevano vedere e andava a prevalere il disprezzo della commedia di fronte agli ateniesi.
La difesa di Socrate compare dell’Apologia, però in un primo momento Socrate cita Aristofane
come il padre di tutte le commedie che erano contro di lui, dove il suo personaggio va a mescolare
la tragedia con la commedia, dove gli ateniesi dopo aver approvato la sua morte, gli fecero costruire
una statua in suo onore. Aristofane sulla scelta del personaggio di Socrate per la sua commedia è
andato a mettere in discussione la critica della commedia stessa dove si voleva andare a dimostrare
che ciò che si diceva nella commedia sul conto di Socrate era falso.
Sofocle
Il teatro degli ultimi quarant'anni ha conosciuto un alto numero di rivisitazioni sofoclee, soprattutto
per quanto riguarda Antigone e Edipo re. Le ragioni del grande interesse per Antigone si
identificano con la presenza sulla scena di un'opposizione fondamentale fra l'etica di un governo (le
leggi scritte, i poteri costituiti, impersonati da Creonte) e la morale individuale (impersonata da
Antigone).
Il fascino dell'Edipo re ha più di una motivazione. L'opera si presenta, intanto, come un'indagine
ossessiva sulla propria biografia e le proprie radici: è un viaggio nella coscienza, arduo, di cui lo
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spettatore avverte (e fa proprio) ogni rischio. Poi, la tragedia ci parla di un destino non eludibile che
ha sin dall'inizio guidato i passi del protagonista: è una piece a suspense con attesa protratta
all'estremo. In terzo luogo i legami che Edipo ha instaurato costituiscono altrettante violazioni della
legge morale: rimettono in forse tradizioni inveterate e indiscusse (il mito sofocleo ricalca ed
esprime pulsioni profonde che la psicoanalisi ha ben sondato). Infine, esiste nell'Edipo re uno
scenario politico inquietante, si intravedono giochi di corte che insidiano il potere del sovrano e che
sono favoriti dall'epidemia, dalla peste in corso.
Sofocle è, dopo Solone, il secondo poeta ateniese legato alla vita politica attiva. Risulta che nel 443
fu tesoriere della lega delio-attica, la confederazione che riuniva intorno ad Atene città e isole per la
lotta contro la Persia. Nel 441 fu eletto stratego e partecipò, con esito sfortunato, alla spedizione
condotta da Pericle contro la ribelle isola di Samo. Secondo la tradizione, l'elezione a stratego era
dipesa dai successi teatrali di Sofocle, dalla vittoria conseguita con l'Antigone: recenti episodi di
scrittori assunti alla presidenza di una repubblica, in Europa, in momenti delicati rendono
abbastanza credibile un'ipotesi respinta sinora con fermezza. Nel 428, sembra, ricoprì di nuovo la
carica di stratego, con Nicia. Nel 413, dopo la rotta ateniese in Sicilia, fu nel novero dei dieci
cittadini, i cosiddetti probuli, che dovevano gettare le basi per il reazionario governo dei
Quattrocento (maggio-settembre 411). Era nato circa nel 496: il Marmor Parium (cfr. p. 199) ci
precisa la data della morte, il 406 (poco dopo Euripide). La fine di Sofocle, di cui conosciamo tre
versioni, non è spettacolare come quella di Eschilo e di Euripide, ma si verifica brusca e persino
commovente in ambito teatrale. Il poeta sarebbe deceduto per via di un acino d'uva andatogli di
traverso9 (il grappolo era un dono dell'attore Callippide in occasione di un festival: cfr. p. 20) o per
uno sforzo incauto di voce mentre recitava l'Antigone, o per la gioia provata in seguito al trionfo
riportato con l'Antigone stessa.
Sofocle avrebbe conosciuto l'amarezza, negli anni tardi, di un'azione intentatagli, presso la fratria,
dal figlio Iofonte, che lo accusò di incapacità di intendere e di volere. L'ipotesi è stata suggerita dal
ricordo dei terribili rapporti padre-figlio nella saga di Edipo? Infine, avrebbe ricevuto molte
sollecitazioni da parte dei sovrani che lo volevano alle loro corti: ma rifiutò tutti gli inviti, da leale
cittadino.
per la vittoria di Salamina: come attore impersonò in modo eccellente la parte di Nausicaa,
ballando, e di Tamiri, suonando la cetra. Ma rinunziò a esibirsi di persona, perché non era dotato di
voce robusta. Qualche moderno considera questa la ragione per cui avrebbe «inventato» il terzo
attore: la connessione tra i due fatti non appare così perspicua.
Di Sofocle ci sono rimaste sette tragedie, un dramma satiresco quasi completo, e cioè Aiace,
Antigone, Edipo re, Elettra, Filottete, Trachinie, Edipo a Colono, i Cercatori di tracce o Segugi. Di
un altro dramma satiresco (?), l'Inaco, si conservano interessanti frammenti. L'Antigone è del 442, il
Filottete del 409, l'Edipo a Colono fu rappresentato postumo nel 401. L'Aiace si colloca poco prima
o poco dopo l'Antigone, per il suo colore arcaico. La peste dell'E-dipo re può far pensare a un
ricordo scottante dell'epidemia che falciò la popolazione ateniese nel 430-428, ma è una deduzione
che non tutti accettano. L'Elettra potrebbe aver condizionato l'Elettra di Euripide (413) o esserne
stata condizionata: i suoi elementi formali la classificano fra le opere tarde. La struttura a dittico e i
contenuti religiosi hanno indotto qualche interprete a ritenere le Trachinie il dramma più antico di
Sofocle, ma c'è anche chi postula la dipendenza delle Trachinie dall'Eracle di Euripide, se non
dall'Oreste, e ne abbassa di conseguenza la datazione (407-406?).
Gli eroi di Sofocle sono catafratti nella loro grandezza: non possono né vogliono entrare in rapporto
con quanti stanno intorno a loro. Vivono in un assoluto che non permette di scendere a meschini
compromessi: non vengono a patti, non comunicano, non riconoscono altre esigenze e prospettive
che le proprie, sono al servizio di una passione e di un'idea unica.

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Ciò che caratterizza questi eroi sofoclei è la capacità di resistere: la loro sicurezza può, forse,
incrinarsi per un attimo (Antigone), ma essi affrontano a testa alta la propria sorte. Non hanno
compagni di sventura: chi li affianca (Ismene per Antigone, Crisotemide per Elettra) si configura
come scorciato personaggio, ombra. L'umanità dolce, non coraggiosa, non pronta al sacrifìcio. Gli
eroi di Sofocle sanno di essere nel giusto, di avere un compito da cui non possono essere distolti. La
loro solitudine comporta che essi assumano come interlocutore non l'individuo, ma il paesaggio, la
natura.
I deuteragonisti di Sofocle (avversari, come si è detto, oppure alleati dell'eroe) sono ritratti con
sottigliezza, e maturano talvolta una loro propria storia, parallela al personaggio principale.
È significativo che molti dei drammi di Sofocle siano percorsi dalla voce degli oracoli, ma che essa
rimanga indecifrabile, suoni costantemente ambigua. L'uomo sa coglierne solo un significato
parziale: il dio enuncia verità crudeli, ma non fornisce le nozioni necessarie per evitare l'errore.
La tragedia di Sofocle è il resoconto di un assedio a cui il protagonista è sottoposto, per lo più in
modo terribile, e che si conclude con l'espugnazione del suo mondo. Si può individuare una linea
che ora ascende e ora discende, c'è un momento in cui l'eroe sembra spuntarla sul male e sui nemici.
Almeno così ritiene il Coro, che erompe in una sorta di canto di giubilo. Il suo comportamento
sottolinea l'inadeguatezza della ragione umana nel cogliere i movimenti profondi del divenire.
Il teatro di Eschilo è pieno di movimenti spettacolari (che possono anche esulare da quelli che sono
gli elementi drammatici): il teatro di Sofocle, per quanto ne sappiamo, non conosce scene di massa.
Una sola volta è presente la folla, nella fastosa processione di bambini, giovani, vecchi che apre
l'Edipo re. La scorta armata di Creonte e i soldati di Teseo entrano in azione, una volta, nell'Edipo a
Colono, quando Antigone viene fatta prigioniera dagli uni e intervengono, pronti a liberarla, gli altri
(vv . 818-1041). Sofocle non si interessa, in genere, ai gruppi di persone (e ai loro pensieri e
sentimenti), forse perché avrebbero distratto dal nucleo più sofferto della vicenda, dal doloroso
concatenarsi di eventi di cui è vittima il grande personaggio.
Non si può chiudere il discorso su Sofocle senza ricordare il debito notevole che ha la psicanalisi
verso la sua opera. Sigmund Freud, infatti, si rifà nella sua elaborazione della teoria dell'incesto
eminentemente all'Edipo re. Certo esistevano altre versioni del mito, ma Freud potè trovare nella
tragedia sofoclea un discorso più complesso e articolato: la vicenda, infatti, viene seguita in tutte le
sue tappe partendo dall'uccisione di Laio. A Freud è stato rimproverato di non avere letto con
attenzione filologica il testo, ma egli ne ha tratto sufficiente ispirazione per elaborare una serie di
spunti teorici estremamente produttivi.

ARISTOFANE: VITA
Le scoperte papiracee degli ultimi decenni hanno colmato e ampliato la conoscenza dei
commediografi del V secolo a.C.
Nato intorno al 450 a.C. nel demo attico di cidateneo (l’attuale Plaka), alle pendici dell’acropoli,
figlio di un certo Filippo, morto nella metà degli anni 80 del IV secolo, aristofane visse durante la
sua giovinezza il periodo più importante a livello culturale e politico dell’atene periclea.
Quando invece era un commediografo affermato vide il lento declino della democrazia ateniese,
cornice delle sue commedie, cominciato con i successi di Pericle durante la guerra del peloponneso,
e giunto fino al definitivo crollo della polis, nel 404 a.C.
I suoi ultimi anni cadono durante i tentativi di restaurazione dei democratici e la lenta ripresa di
Atene degli anni 90 del IV secolo. Aristofane è dunque l’unico tra i grandi autori di teatro del
periodo classico a sopravvivere all’epocale 404 a.C. (Euripide e Sofocle muoiono nel 405 a.C.), e le
sue ultime poesie (Rane, donne dell’assemblea, pluto) esprimono la conoscenza che si era conclusa
una fase significativa della poesia ateniese, ma anche il radicale cambiamento che la commedia subì

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proprio dopo il 404, nel contesto dei nuovi rapporti politici e sociali creatosi dopo la fine
dell’egemonia ateniese.
Le commedie conservate si datano tra il 425 a.C e il 388 a.C.: nuvole (423, terzo posto alle dionisie
cittadine). (pag 60 per le altre commedie).
Aristofane ebbe sulla scena comica un incredibile successo fin da molto giovane, furono successi
strepitosi, se si pensa che nelle dionisie cittadine riuscirono vincitori in pochi mentre egli riuscì a
vincere per 3 volte consecutive.
Le lenee invece, feste riservate ai soli ateniesi, erano più aperte ai giovani: a partire dal 428 a.C in
questa festa vinsero molti esordienti, e proprio alle Lenee, per due volte, con gli arcanesi e i
cavalieri, aristofane riuscì a relegare al secondo posto l’indiscusso signore della commedia prima di
lui, Cratino.
Non meraviglia perciò la reazione stupita di aristofane al suo terzo posto a causa dell’insuccesso
delle nuvole, dovuto all’incomprensione della raffinata commedia da parte del pubblico, il poete
che invece teneva tantissimo proprio a quella commedia che nel 423 si piazzò solo al terzo posto,
dopo i drammi di Cratino e Amipsia.
Aristofane si pronuncia molte volte, negli anapesti della parabasi, cioè nel luogo deputato per
prendere posizioni sui fatti personali, sulla carriera del commediografo. Nei cavalieri si difende
attraverso le parole del corifeo dall’accusa di non aver mai rappresentato una commedia nella veste
di regista, ma di aver lasciato quel compito a callistrato.
La carriera di Aristofane abbraccia tre periodi:
Il lavoro subordinato del rematore corrisponde alla prima tappa della sua attività, quando da
giovanissimo lavora con autori già affermati.
La seconda fase si apre con i banchettanti del 427 a.C. la prima commedia vera e propria. Come per
i babilonesi e gli acarnesi dell’anno successivo. Aristofane non mise in scena la commedia ma si
rivolse a un regista, callistrato, fino a quando non si sentì pronto a dirigere la barca da solo, ossia di
dirigere l’intera commedia .
Ma anche dopo il suo esordio con i cavalieri come chorodidaskalos, conclusosi brillantemente con il
primo posto nell’agone, Aristofane preferì lasciare ad altri il compito della messa in scena ,
l’insuccesso delle nuvole fu probabilmente il fattore scatenante di questa decisione. Fu Filonide a
coniare la regia delle vespe e di anfiarao.

GUERRA E PACE
La guerra del Peloponneso (431-404), cioè il conflitto militare tra Atene e i suoi alleati contro gli
spartani e i suoi alleati, fa da sfondo a tutte le commedie di Aristofane fino alle Rane del 405.
La situazione politica, sociale ed economica generata dalla guerra costituisce il fulcro di tre
commedie:
ACARNESI (425)
PACE (421)
LISISTRATA (411)
ACARNESI:
al tempo della messa in scena degli acarnesi, all’inizio del 425 a.C., erano trascorsi già sei anni
dall’inizio della guerra senza che nessuna delle due parti nemiche avesse segnato un vero e proprio
punto a suo favore. Il piano di pericle era stato quello di abbandonare l’attica all’incursioni degli
spartani, guidati dal re Archidamo. Per tutto il tempo in cui li spartani impazzarono nella regione, la
popolazione rurale fu confinat nelle mura di atene, per i contadini il cambiamento di vita fu
terribile. La situazione peggiorò nel 430/429 a.C. quando ad Atene arrivò la peste che uccise anche
Pericle. In conseguenza all’epidemia i costumi si imbarbarirono, e insieme venne a mancare
completamente il rispetto delle regole e del vivere civile.
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In questa situazione politica Aristofane scrisse i suoi Acarnesi. Il contadino attico con il nome di
Discepoli, ne ha abbastanza della vita ad Atene e del comportamento dei politici. Poiché nessuno si
occupa della pace, decide di difenderne la causa in un’assemblea. Quando un certo Anfiteo, non
riesce a imporsi con la proposta di avviare le trattative di pace con gli Spartani. Dicepoli coglie la
palla al balzo e fa in modo che Anfiteo, personaggio dotato di qualità divine, tratti anche per lui una
pace privata con gli Spartani. In un battibaleno il negoziatore della pace torna da sparta e offre a
Dicepoli tre tipi di pace, di cinque, di dieci e di trent’anni…

PACE:
il 422 a.C. portò una svolta decisiva nella situazione militare: ad anfipoi, nella Caldicia orientale,
caddero i due uomini maggiormente responsabili della guerra, lo spartano Brasida e il demagogo
ateniese cleone, che aveva mandato all’aria il tentativo di pace. Quando Aristofane nel 421 a,C.
portò sulla scena la pace, la situazione era diversa rispetto a quella del 425, adesso la pace era
imminente, tutti sapevano che si sarebbe raggiunto un accordo con il nemico. Perciò il dramma di
Aristofane divenne festoso, un inno gioioso a una seconda parte di un’epoca.

LA PACE NEGLI ACARNESI NELLA PACE


Il confronto fra la trama degli acarnesi e quella della pace mette in luce differenti concetti di pace
che si spiegano con i cambiamenti politici avvenuti in quegli anni. Nel 425 a.C., anno di
rappresentazione degli acarnesi, la pace con gli spartani non era prevista, solo nel gioco comico si
poteva avere la pace (cioè il vino grazie alla parola comune che le raffigura entrambe). Questa pace
vale per uno solo, ossia il protagonista, e la comunità non vi prende parte.
La novità degli Arcanesi consiste nel fatto che aristofane inserisce in una cornice drammatica quel
che altrove sono puri cataloghi di meraviglie, la messa in scena di un locus amenos che Dicepoli ha
costruito per se stesso. il locus amenos è collocato nell’età dell’oro: un paese di cuccagna, dove si
ha ogni ben di dio, un’idea legata ai culti dionisiaci, un luogo slegato dai ritmi naturali.
I desideri del popolo oppresso dalla guerra, e soprattutto dei contadini cacciati dalle loro terre,
entrano così a far parte, nella commedia di Aristofane, di una favola. In teatro si realizza ciò che i
contadini ardentemente desiderano, l’oggetto del loro rimpianto, il ritorno alle loro case, insomma
quelle aspirazioni che Dicepolo esprime nel prologo.
Grazie all’identificazione con l’eroe comico, il pubblico vince ogni tipo di paura e angoscia e si
sgrava, dell’illusione teatrale, dal peso della quotidianità: perciò Tucidide, Nell’epitaffio
pronunciato da Pericle, definisce le feste un’occasione per i cittadini di divertirsi a scacciare le
amarezze della vita.
Negli arcanesi, però, la fuga del buon cittadino da un doloroso mondo di guerra è un’utopia, nella
pace invece il protagonista porta a casa la pace e non solo a vantaggio degli ateniesi, ma anche di
tutti coloro che sono coinvolti nel conflitto, soprattutto i contadini che più ne soffrono.
Negli arcanesi il ritorno in campagna è solo un sogno, che un singolo aveva potuto realizzare per se
stesso, se nell’esordio degli arcanesi la nostalgica descrizione della vita in campagna ha tratti
favolistici ed è piuttosto la descrizione di un paese di cuccagna, nella pace non si ha alcun tratto
irreale. La campagna, in opposizione alla città di Atene, è qui il luogo di un’esperienza piacevole,
pacifica, del godimento di ciò che rende bella la vita. La vita in campagna non è contraddistinta
dall’egoismo, ma dall’amicizia e dalla solidarietà tra gli uomini.

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LISISTRATA
Mentre Aristofane lavorava a un’altra commedia sulla pace, la Lisistrata del 411, Atene visse la più
grave crisi di politica interna ed esterna sino ad allora registrata durante la guerra del Peloponneso.
La spedizione in sicilia era sfociata in un grande disastro. Altrettanto gravi erano i fatti di politica
interna, poiché del disastro siciliano fu ritenuto responsabile la democrazia radicale, si introdusse il
collegio di dieci probuli, i preparatori, una commissione di controllo che doveva preventivamente
pronunciarsi su tutte le istanze dell’assemblea. L’espressione del pensiero era invero ancora libero,
eppure nessuno aveva il coraggio di manifestare apertamente la propria opinione. La crisi politica
interna ad Atene portò alla dissoluzione delle regole democratiche su cui si reggeva la società
ateniese.
Si fecero subito sentire le misure con le quali i club oligarchici liquidarono la democrazia: l’organo
di governo sovrano della democrazia ateniese alla fine si esautorò, le magistrature democratiche
furono abolite. Tuttavia l’opposizione oligarchica non si fece attendere molto, dopo un breve
periodo intermedio caratterizzato da una costituzione moderata di carattere democratico-
oligarchico, fu reintrodotta la democrazia radicale. Gli oligarchi furono giustiziati e alcuni
riuscirono a fuggire da Sparta.
In questo momento di straordinaria crisi, Aristofane portò in scena alle Lenee del 411, Lisistrata,
una commedia nella quale le riflessioni politiche e la comicità più impudente sono connesse in
maniera insuperabile.
La trama della commedia nasce dall’idea che gli unici colpevoli della catastrofe ad Atene siano i
maschi: con la loro follia, in venti anni di guerra, hanno rovinato la città. Per rimediare al danno, le
donne greche, radunate dall’ateniese Lisistrata (colei che scioglie li eserciti), intendono negare ai
loro mariti rapporti sessuali per indurli così alla ragione: un tema comico, che naturalmente
permette numerosi scherzi e battute oscene, soprattutto nella rappresentazione dei bisogni sessuali
dei maschi, vittime dello sciopero.
L’azione comica è caratterizzata da una divisione su due livelli scenici, di grande efficacia artistica.
Al livello degli attori troviamo le donne giovani, schierate attorno a Lisistrata, e i maschi in età di
servizio militare e pieni di voglie sessuali, mentre a livello del coro ci sono le vecchie e i vecchi.
Nella Lisistrata Aristofane ha dunque introdotto l’inusuale strumento della divisione del coro in due
parti, per rendere concreta, attraverso lo smembramento del gruppo la spaccatura che si è aperta
nella società ateniese.
Alla fine della commedia, traslata sul piano politico, la scena significa che alla pace in politica
interna si arriva senza costrizioni o pressioni esterne, e solo in questo modo è possibile raggiungere
una vera e duratura riconciliazione.

ACARNESI E LISISTRATA
La contemporanea situazione politica e militare, dunque, è rispecchiata in tutte le sue varianti nel
tema guerra e pace, che è il fulcro delle tre commedie di aristofane scritte durante la guerra del
peloponneso. La pace del 421 occupa, in questa triade, una posizione a parte, trattandosi in realtà di
un’anticipata festa per la raggiunta di fine conflitto. Più interessante è il confronto tra acarnasi e
lisistrata , in quegli anni non si prevedeva una pace con sparta, e così quella portata in scena aveva
tratti irreali, fantastici.
Negli acarnasi il trionfo dell’individuo sulla società da stabilità al sistema, cioè alla società
democratica. La commedia con il suo schernire le alte cariche civili e militari, è una valvola di
sfogo per preoccupazioni, pare e ostilità. Il tono della lisistrata è senza dubbio più serio, e tuttavia si
attribuisce alla società a predominio maschile, vediamo la capacità di concludere la pace non su
base razionale ma per piacere sessuale.

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SATIRA, POLITICA E CRITICA
Tra le tecniche comiche più caratteristiche della commedia antica, che la differenziano con nettezza
dalla commedia del IV secolo a.C., vi è la satira diretta contro i singoli individui, la presa in giro,
cioè, di note personalità dell’attività pubblica, della politica, dell’arte, della scienza e della
letteratura. Nelle variegate file delle vittime del dileggio (scherno) si trovano, sia nella commedia di
Aristofane che nei frammenti dei suoi contemporanei, i tragediografi Euripide e Agatone, Socrate,
politici come Pericle, Cleone e Iperbolo. Così come nella parte iniziale degli Acarnesi, vengono
attaccati di fila alcuni noti Ateniesi: Cleonimo, Clistene, Stratone, senza alcuna influenza sulla
trama e sulla concezione dell’intera commedia.
Un elemento fisso di questa parte comica è il canto di derisione, nel quale il coro prende di mira una
o più persone.
Talvolta Aristofane dedica allo scherno una scena intera, cioè inserisce la derisione di un
personaggio nella trama.
Che l’invettiva comica non fosse sempre innocua ma che potesse essere intesa molto seriamente e
con gravi conseguenze, lo dimostra il caso della parodia di Socrate nelle NUVOLE.
Platone nell’apologia, cioè il discorso pronunciato da Socrate a propria difesa, reputa aristofane
corresponsabile della condanna a morte del suo maestro, poiché le Nuvole avrebbero contribuito a
installare nella mente del popolo una falsa immagine di Socrate.

CAVALIERI
Se nelle nuvole è il celebre filosofo ateniese al centro della commedia, nei cavalieri, messi in scena
l’anno precedente, lo è il politico più di spicco dell’epoca, Cleone.
Cleone, il bersaglio dell’invettiva comica, era un ricco conciatore che veniva, come Aristofane, dal
demo Cidateneo, era divenuto politico più importante di Atene dopo la morte di Pericle per peste
nel 429. Le sue eccellenti capacità oratorie gli permisero di divenire un demagogo capace di
imporre il proprio parere in assemblea. Fautore di una politica di repressione molto dura degli
alleati e di una condotta intransigente verso gli spartani.
Aristofane si era già opposto al demagogo emergente già nella commedia precedente (i babilonesi)
risalente al 426 a.C.
Qui Aristofane metteva alla berlina la maniera che cleone aveva di trattare gli alleati di Atene,
rappresentandoli nella commedia come schiavi babilonesi da mulino, Aristofane si aggiudicò una
denuncia per diffamazione dal popolo. Infatti l’unico limite posto allo scherno comico era il divieto
di prendere in giro il popolo sovrano, il demos attico, il popolo non deve essere portato su scena
comica, si potevano attaccare solo nobili cittadini, che si distaccavano dalla massa.
La commedia I Cavalieri del 424 prende il titolo dal coro. I cavalieri, cioè una classe abbiente della
società ateniese erano tuttavia l’eccellente e tradizionale cavalleria che guardava con disprezzo a un
demagogo come cleone, appoggiato dalle classi popolari più infime. In contrasto con i parvenus
dell’età di Pericle, i cavalieri si erano impegnati per la patria da generazioni.
I cavalieri è la prima commedia politica della letteratura europea, piena di attacchi personali e di
cattiverie, la trama è quindi estremamente semplice: il vecchio Demo, personificazione del popolo
ateniese, ha da poco comprato un nuovo capo schiavo, il nuovo arrivato conquista subito i favori del
padrone, che si configura in Cleone. In un brillante gioco, Aristofane rispecchia le condizioni della
polis ateniese nella conduzione della casa di Demo: l’amministrazione privata e l’amministrazione
dello stato salgono alternativamente in primo piano, con vari cambi di prospettiva. La tecnica usata
da Aristofane per tutto il dramma è trasformare argomenti astratti in immagini e in azioni sceniche,
tecnica tipica della sua arte.

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Originale nei cavalieri è che Aristofane renda un elemento della commedia araica, l’attacco
personale, il tema centrale e portante dell’azione del suo dramma. Dall’inizio alla fine la commedia
è percorsa dalla presa in giro pungente del demagogo cleone.
Lo stretto rapporto tra cultura, soprattutto letteraria e artistica, e politica è un argomento che
interesserà sempre Aristofane: nelle nuvole dell’anno successivo si confronterà minuziosamente con
questo tema e lo stesso farà nelle rane del 405 a.C.
Nei cavalieri Aristofane critica il rapporto tra il popolo sovrano della democrazia ateniese, demo, e i
politici al comando, i demagoghi. La critica è dura: i politici badano solo ai propri interessi e ad
accattivarsi il favore del demos. Il popolo, da parte sua, si fa accecare dalle lusinghe e dall’ipocrisia
dei politici. E quel che ancora è peggio: per il popolo l’assemblea è un teatro, nel quale con piacere
si guardano e ascoltano gli scontri tra i capi dei partiti, scambiando di continuo illusione e realtà,
rifugiandosi in un mondo surreale e perdendo di vista le misure urgenti da adottare per il bene della
città.
Se Aristofane avesse concluso così la sua commedia, con le affermazioni di demo, i cavalieri
sarebbero divenuti un duro atto d’accusa senza appello verso il popolo e i suoi politici.
È così che nell’esodo Aristofane da una volta sorprendente all’azione: fa ritornare demo all’epoca
della sua giovinezza, cioè all’epoca della democrazia ancora giovane. Insensibile ai discorsi
adulatori dei politici, in futuro demo prenderà le sue decisioni da solo, senza dare ascolto alle
insinuazioni dei demagoghi, solo per il bene della città: questo vuol dire Aristofane.
Che Aristofane volesse probabilmente aprire con i suoi cavalieri nuove dimensioni della satira viene
d’altra parte sottolineato con forza nella parabasi delle nuvole: orgogliosamente e con sicurezza,
Aristofane rivendica a sé il primato d’aver portato in teatro duri attacchi contro un politico di spicco
e influente – e tuttavia solo per il tempo che cleone fu davvero ancora all’apice della sua carriera
politica. I suoi rivali Eupoli e Ermippo, invece, hanno copiato le sue idee, ma non osano dirigere i
loro attacchi verso personaggi davvero potenti, ma solo contro politici di secondo piano, come
Iperbolo.
Nonostante i cavalieri furono apprezzati da conquistare il primo posto, la delusione di Aristofane fu
forte quando gli ateniesi scelsero di nuovo cleone come stratega.

VESPE
Vespe, messe in scena due anni dopo, sono comparabili ai cavalieri poiché hanno gli stessi intenti
satirici.
In questa commedia del 422 a.C. Aristofane riprende un elemento già presente nella trama dei
cavalieri, ossia la dipendenza del popolo ateniese dai benefici assicurati dai demagoghi. In questo
caso si tratta di tre oboli che venivano pagati ai giudici del tribunale popolare, L’elièa. Ogni
cittadino che avesse superato i trent’anni d’età poteva appartenere al gruppo di 6.000 giudici che
veniva eletto annualmente. Ai singoli procedimenti giudiziari partecipavano fino a 500 giudici.
Nell’interno del sistema politico ateniese, il tribunale doveva avere una rappresentanza trasversale
del demos. Gli oltraggi al tribunale erano perciò puniti in quanto considerati uno screditare il
demos, oppure intesi come attacchi sovversivi alla democrazia.
Per la loro dimensione e la loro composizione le corti giudiziarie erano facilmente manipolabili. Se
un oratore abile pronunciava a favore di una situazione o di una persona, i giudici prendevano una
decisione non in base ai fatti o alle prove, ma convinti dal fascino del discorso. I sofisti capirono le
possibilità che questo sistema offriva e codificarono un’arte del discorso capace di persuadere ogni
tipo di pubblico, dietro lauti compensi, dettero lezioni in questo tipo di retorica.
Il sistema giuridico ateniese prevedeva che l’accusato non si difendesse da solo, ma domandasse la
stesura del suo discorso a degli specialisti, i cosiddetti “logografi”. Fu soprattutto cleone a utilizzare
il tribunale come arma politica contro i suoi rivali. Di particolare efficacia si dimostrò
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l’innalzamento a tre obli del compenso destinato ai giudici, introdotto da cleone. Con questo
provvedimento gli strati sociali della popolazione più poveri potevano garantirsi il proprio
mantenimento. Gli strati più poveri, dipendevano o divennero dipendenti, dell’assistenza statale
costituita dal gettone di presenza e videro in cleone il loro benefattore e un impegnato
rappresentante dei loro interessi.
Aristofane pone al centro delle vespe il sistema giuridico ateniese, e in particolare la passione
sfrenata degli ateniesi per i processi e le conseguenze per l’ordinamento interno della società.
Vi si aggiungono poi i motivi comici del conflitto generazionale e il problema dell’educazione (temi
già portati in scena nelle nuvole dell’anno precedente).
La tecnica comica usata da aristofane nelle vespe è la stessa usata nei cavalieri: gli interessi politici
vengono trasposti nella sfera privata di un nucleo familiare. La politica è rispecchiata nel
microcosmo della famiglia – soprattutto nelle sue ripercussioni sulla vita di tutti i giorni. Entrambi i
protagonisti della commedia, l’anziano filocleone e suo figlio schifacleone, svelano già con il loro
nome, quale sia il contesto politico della commedia: uno è l’amico di cleone, l’altro il suo nemico.
Filocleone, un vecchio che ha combattuto a Maratona contro i persiani, è sostenitore del sistema
giudiziario ateniese e il suo elisir di lunga vita è recarsi tutti i giorni al tribunale, filocleone è un
sostenitore di cleone. Schifacleone, di contro, cerca di tenere il padre da quella che, secondo lui, è
un’attività indegna. Poiché le sue parole non hanno effetto, schifacleone sovverte la normale
ripartizione dei ruoli familiari, rinchiudendo il vecchio in casa.
Il lungo ingresso del coro delle vespe è rappresentato da aristofane come un variopinto, spassoso
quadro tipico dell’atene antica. I vecchi amici di filocleone si ritrovano come d’abitudine, senza
essere a conoscenza delle macchinazioni di schifacleone. Prima che si accorgano di ciò, aristofane
ha il tempo di presentare i giudici in tutta la loro amabile bislaccheria.
La commedia mette sottosopra la realtà, nel rovesciamento carnevalesco dei rapporti generazionali:
il figlio mostra al padre l’assurdità della sua condotta di vita, il giovane educa l’anziano. La fine
della commedia rende chiaro che il vecchio non può essere rieducato.
Nelle vespe come nei cavalieri dietro la riaffermazione dell’importanza e del valore del demo, si
avverte lo stesso tono critico: il popolo sovrano degli ateniesi non dovrebbe aver bisogno di alcun
demagogo che lo controlli, dovrebbe prendere in mano il proprio destino.

Nuvole.
Il testo da noi posseduto della commedia è un rimaneggiamento, probabilmente destinato alla
lettura, di una commedia valutata degna solo del terzo premio alle Lenee del 423. Il campagnolo
Strepsiade si voltola e rivoltola su un lettuccio: gli tolgono il sonno i debiti contratti da suo figlio
Fidippide, al quale la madre di nobile estrazione ha attaccato la mania per i cavalli di razza e la vita
elegante. Accanto a lui dorme (e sogna cavalli, a giudicare da mozze parole) Fidippide. Vicino alla
casa di Strepsiade si trova un «Pensatoio», una scuola dove, purché si paghi, si insegna a vincere
con le chiacchiere qualunque tipo di causa. Strepsiade vorrebbe mandarci il figlio: non riuscendo a
persuaderlo, ci si reca di persona. Gli apre la porta un discepolo che gli racconta alcune splendide
elucubrazioni di Socrate; dalla scuola sciama fuori una frotta di individui che assumono le pose
scientifiche più strane. E dentro un cesto, a mezz'aria, si libra Socrate che sta contemplando le cose
celesti: Strepsiade lo prega di insegnargli il discorso che permette di non restituire i soldi. Il
Maestro lo presenta alle Nuvole (che formano il Coro), creature eteree, ma fornite di robusti nasi, in
grado di disquisire sottilmente, di imbrogliare e dare scacco. Ammirato per il solenne canto delle
Nuvole, affascinato dalle spiegazioni di Socrate, Strepsiade non vede l'ora di imparare a torcere la
giustizia dalla sua: superato un sommario controllo, viene accettato al Pensatoio. Nella parabasi il
poeta si lamenta di essere stato vinto da scalzacani quando ha presentato la prima volta questa sua
commedia, mette in rilievo le proprie qualità di scrittore, protesta per una riforma del calendario che
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confonde le idee. Il vecchio e smemorato Strepsiade non riesce a imparare proprio nulla: le Nuvole
gli consigliano di mandare il figlio a istruirsi al suo posto. E Fidippide, che da un colloquio col
padre ricava l'impressione che il vecchio sia impazzito, acconsente. Assiste allo scontro fra il
Discorso giusto, fautore della severa, elevata educazione dei padri, e il Discorso ingiusto, realistico
e trappolone. Strepsiade consegna il figlio a Socrate: lo ritroverà con la faccia gialla e proterva,
quindi educato a puntino. Imbaldanzito da un discorso con lui, Strepsiade scaccia a bastonate degli
importuni creditori. Ma poi è costretto a scappare di casa, per evitare di venir preso a botte dal
figlio, che lo insegue e minaccia di picchiare anche la madre e gli dimostra che tutto questo è
logico. Furente, Strepsiade, a cui le Nuvole spiegano il senso della lezione che gli hanno dato, si
arrampica sul tetto del Pensatoio e dà fuoco alla scuola, tra gli strilli e le grida dei discepoli di
Socrate.
Lo scrittore posa sempre la mano su ciò che scotta: i problemi della pace, le rivendicazioni delle
donne, il ruolo degli intellettuali, la distribuzione delle ricchezze. Sono straordinari la sua
tempestività, il suo essere sempre nella mischia, anche se sbeffeggia chi poteva avere ragione e le
linee vincenti degli eventi storici (e culturali). Aristofane non si lasciò scappare nulla del nuovo che
andava verificandosi nella sua epoca; è un grande osservatore che nella cronaca coglie il
movimento, che capisce dove sta andando la società, che direzione ha imboccato. Il poeta critica
manie e mode del costume che diventano fenomeno ripetitivo, superficiale, snobistico, mostra sotto
l'apparenza degli ideali i moventi bassi, gli interessi privati, colpisce a morte ogni retorica. In lui la
realtà giornaliera molto cruda si interseca con utopie serene e consolatorie (ancorché non scevre di
pericoli). Il riso di Aristofane include ogni tipo di ingrediente e condimento, dal camuffamento dei
personaggi allo scambio delle parti: donne vestite da uomini, uomini forzati ad abbigliarsi da donne,
maschi che si trasformano in femmine, schiavi negli abiti dei padroni, e viceversa.
Un altro riso non possiamo più cogliere in Aristofane. È il riso delle strutture linguistiche, dotte,
raffinate, geniali. È la suprema sapienza dei giochi verbali, delle confusioni di termini, del vocabolo
che ne sostituisce di colpo un altro (il cosiddetto aprosdoketon), delle storpiature e dei bisticci, di
falsi legamenti e separazioni di parole. Aristofane scherza su δηµός (grasso) e δῆµος (popolo), su
ὀπή (buco) e ὀπίας (formaggio);
Qualche volta la parola-sorpresa può venir suggerita dal gergo: per esempio, in Nuvole (v . 710) un
poveruomo, a letto, viene tormentato non dalle cimici (koreis), ma dai Corinzi. È probabile che
l'epiteto «cimici» definisse in Atene poco amabilmente i Corinzi. Ma Aristofane ne approfitta per i
suoi scopi burleschi: i Corinzi-cimice divorano i fianchi, succhiano l'anima, strappano i testicoli,
scavano il culo di Strepsiade.
Esiste, infine, in Aristofane una deformazione provocatoria del linguaggio, da quello aulico, sacrale,
vetusto, e privo ormai di genuinità, a quello di uso spentamente ufficiale, o in voga tra gli
intellettuali e tutto luccicore, inconsistenza, artifìcio.
Ha luogo anche la riduzione del mondo iperuranio: Aristofane non nega o bestemmia gli dèi; ma li
tira giù dal loro trono, li rimpicciolisce: essi combinano affarucci con gli uomini, si intruppano con
loro, fanno anche figure meschine.
La comicità di Aristofane non è legata a un personaggio unico e ricorrente: le sue invenzioni non
costituiscono un serial, ogni suo testo genera personaggi risibili o spiritosi sempre diversi (Lamaco,
Agatone, Socrate, Euripide, Dioniso, Lisistrata, Prassagora ecc.). Unica figura costante delle sue
opere è il contadino, o il contadino inurbato, un po' in là con gli anni, insieme grezzo e provvisto di
una sua sottigliezza d'ingegno (un prototipo, in questo senso, di Bertoldo?). Per esempio, Strepsiade
è duro di comprendonio di fronte alle spiegazioni di Socrate, ma è tutto prontezza e acume quando
si tratta di sbarazzarsi dei creditori, di sbertucciare i discepoli del Maestro. Filocleone il galateo non
riesce a impararlo dal figlio: ma è in grado di scorbacchiare brillantemente chi viene a protestare da
lui per i danni subiti.
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10/10/2018
Le Nuvole di Aristofane
TRAMA: Il contadino Strepsìade è perseguitato dai creditori a causa dei soldi che suo figlio
Fidippide ha dilapidato alle corse dei cavalli; pensa allora di mandare il figlio alla scuola di Socrate,
filosofo che, aggrappandosi ad ogni sofisma, insegna come prevalere negli scontri dialettici, anche
se in posizione di evidente torto. In questo modo, pensa Strepsiade, il figlio sarà in grado di vincere
qualsiasi causa che i creditori gli intenteranno.
In un primo momento Fidippide non vuole andare al Pensatoio (phrontistérion) del filosofo e così il
padre, disperato e perseguitato dagli strozzini, decide di recarvisi lui stesso, seppur vecchio. Appena
giunto, incontra un discepolo che gli dà un assaggio delle cose su cui si ragiona in quel luogo: una
nuova unità di misura per calcolare la lunghezza del salto di una pulce, oppure la scoperta del modo
in cui le zanzare emettono il loro suono. In seguito, finalmente Strepsiade vede Socrate sedere su
una cesta sospesa a mezz'aria, in modo da studiare più da vicino i fenomeni celesti.
Il filosofo, dopo un breve dialogo, decide di impegnarsi ad istruirlo: gli mette indosso un mantello e
una corona ed invoca l'arrivo delle Nuvole, le divinità da lui adorate, che si presentano puntuali
sulla scena. Strepsiade però non riesce a capire nulla dei discorsi pseudo-filosofici che gli vengono
fatti (parodia della filosofia socratica e sofistica) e viene quindi cacciato. Fidippide, incuriosito dai
racconti del padre, decide infine di andare a visitare il pensatoio e quando arriva assiste al dibattito
tra il Discorso Migliore e il Discorso Peggiore.
Nonostante i buoni propositi e i sani valori proposti dal Discorso Migliore (personificazione delle
virtù della tradizione), alla fine prevale il Discorso Peggiore (personificazione delle nuove filosofie)
attraverso ragionamenti cavillosi. Fidippide impara la lezione ed insieme al padre Strepsiade riesce
a mandare via due creditori; il padre è contento, ma la situazione gli sfugge subito di mano:
Fidippide comincia infatti a picchiarlo, e di fronte alle sue proteste il figlio gli dimostra di avere
tutto il diritto di farlo. Esasperato e furioso, Strepsiade dà allora alle fiamme il Pensatoio di Socrate,
tra le grida spaventate dei discepoli.

COMMENTO
Socrate e le nuvole filosofiche: Per comprendere il significato dell'opera, è necessario tenere
presente il fermento culturale che caratterizzava la Atene di quegli anni. Filosofi e pensatori stavano
dando vita ad una rivoluzione del pensiero che sarebbe stata alla base della cultura europea nei
secoli e millenni successivi, ma che veniva vista con sospetto negli ambienti più conservatori della
città, i quali vedevano minacciati la religione ufficiale ed i valori tradizionali.
Nonostante Socrate non sia il protagonista delle Nuvole, è indubbiamente lui, insieme ai sofisti, il
principale bersaglio della parodia di Aristofane, che era tradizionalista e contrario alle nuove
filosofie. Già al suo primo apparire sulla scena, Socrate è presentato in maniera quantomeno
bizzarra: sospeso in aria in una cesta.
Il filosofo spiega che questa posizione gli permette di librare la mente e il pensiero verso l'alto,
mescolandoli all'aria e facendo così grandi scoperte.
Alla prova dei fatti, però, tali scoperte si dimostrano tutt'altro che sensazionali, nonostante l'ingenuo
entusiasmo di Strepsiade: Socrate ed i suoi allievi si rivelano dei pericolosi cialtroni, che si
occupano di questioni insensate e prive di importanza, come misurare il salto di una pulce, e che
pretendono, con argomentazioni sottili ma prive di qualsiasi fondamento, di sovvertire il sistema di
valori tradizionale. Emblematica, in questo senso, la scena in cui Fidippide picchia il proprio padre.
Le nuove filosofie sono insomma viste come sistemi di ragionamento nei quali quello che conta non
è più la difesa dei valori e della giustizia, ma il saper rigirare le parole a proprio vantaggio, in modo
da avere la meglio anche quando si ha torto. Su questo è infatti incentrata la disputa tra il Discorso
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Migliore e il Discorso Peggiore, vinta dal secondo. Ecco, ad esempio, il modo in cui viene
giustificato l’adulterio:

«DISCORSO PEGGIORE: Se uno ti becca in flagrante con sua moglie, gli risponderai che non hai
fatto niente di male; poi butterai la colpa addosso a Zeus, dicendo che anche lui soccombe
all'amore per le donne. E tu, mortale come sei, come potresti avere più forza di un dio?»
(Nuvole V1079-1080)

Strepsiade e Fidippide si dimostrano ricettivi e ben presto usano argomentazioni capziose l'uno per
non pagare i creditori e l'altro per dimostrare di avere tutto il diritto di picchiare il padre:

«FIDIPPIDE: Ti farò una domanda: quand'ero bambino, mi picchiavi?


STREPSIADE: Certo, lo facevo per te, per il tuo bene.
FIDIPPIDE: Dimmi, allora: non è giusto che anch'io ti voglia bene allo stesso modo, e ti picchi,
visto che picchiare vuol dire voler bene?»
(Ivi, vv. 1408-1412.)

Il coro delle Nuvole: Il coro della commedia è rappresentato dalle Nuvole, le divinità evocate da
Socrate. Impalpabili e volatili, esse sono il simbolo delle nuove filosofie, infatti promettono a
Strepsiade che potrà raggiungere qualsiasi risultato soltanto battagliando con la lingua. Il giudizio
negativo di Aristofane è qui evidente, questo è infatti il modo in cui le Nuvole vengono descritte:

«SOCRATE: Sono Nuvole del cielo, divinità potenti per chi non ha voglia di fare niente: sono loro
che ci rendono capaci di pensare, di parlare, di riflettere, e di incantare e raggirare. […]
STREPSIADE: Solo a sentirne la voce l'anima mia si è alzata in volo, e già va cercando quisquilie e
sottigliezze fumose. […]
SOCRATE: Non lo sai che sono loro a dar da mangiare a intellettuali di ogni tipo?»
( vv 316-320, 331)

Strepsiade e Fidippide gli ateniesi: La commedia non si limita però alla satira nei confronti delle
nuove filosofie; ad essere messo alla berlina è anche lo stolido utilitarismo di Strepsiade e di
Fidippide, personaggi ingenui e mediocri, che qui rappresentano l'ateniese medio, attaccato solo alle
cose materiali e al proprio personale tornaconto. Essi vedono nella filosofia soltanto un possibile
modo per non pagare i propri debiti e guadagnare soldi, convinti che con essa sia possibile vincere
ogni tipo di battaglia legale. Non si domandano se la filosofia possa servire a qualche altro fine che
non sia il denaro, perché non concepiscono altri fini che quello. Strepsiade spiega chiaramente chi
vorrebbe diventare tramite la filosofia:

«Un tipo grintoso loquace audace ardimentoso spudorato contaballe pronto a rispondere rotto ai
processi azzeccagarbugli mitraglia volpe trivella chiacchierone ipocrita viscido sbruffone
delinquente mascalzone banderuola rompipalle e opportunista.»
(vv 444-451)

I due sono insomma personaggi ignoranti, che, quando vengono in contatto con un po' di cultura,
tentano di piegarla ai loro bassi fini; salvo poi, una volta fallito il tentativo, dichiarare l'inutilità
della cultura stessa, piuttosto che ammettere la loro disperante limitatezza.

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LETTURA DELLE NUVOLE
La prima scena è notturna, in teoria in interni, i due personaggi sono stesi su un giaciglio con le
coperte. Uno addormentato e l’altro agitato.
I nomi dei personaggi sono parlanti: Strepsiade (collegato alla natura, persona che si rigira
continuamente, ha questo significato letterale, ma anche rovesciare, è un nome che caratterizza il
personaggio)
Strepsiade è figlio di Fidone, anche in questo caso il nome è legato al verbo feido che vuol dire
tirchio o risparmiare, infatti il personaggio è tirchio (il padrone sta attento al consumo degli oggetti)
Fidippide: figlio di Strapsiade e Megleche, una famiglia di nobili origini ad Atene, il nome di
fidippide è il risultato di un compromesso tra i due (fidone e ippos, ippos è un suffisso usato per i
nomi aristocratici)
Nella società greca il padre aveva più importanza e i figli dovevano ascoltarlo, diversamente
fidippide non aveva mai ascoltato il padre creando uno scontro generazionale. Il problema di
strepsiade è quello di riuscire a liberarsi dei debiti, la presentazione che fa di se stesso è quello di un
contadino, che sicuramente nella realtà non avrebbe potuto sposare una donna di alto lignaggio,
quindi era un feudatario.
Il problema tra figli e padri è un tema ricorrente, già nella commedia di esordio i bacchettanti
vediamo che questo tema contrappone i due figli al padre, i due figli molto diversi tra di loro, la
contrapposizione è chiara anche se non svolta, il giovane ha abitudini lussuose e è nell’ambiente dei
cavalieri. A quel tempo si credette che Aristofane pensasse ad un personaggio in particolare, ci sono
una serie di riferimenti precisi.
Come quando Strepsiade si riferisce alla moglie come incesirata (facendo riferimento a Cesira una
anziana parente).
l’eroe comico aristofanesco mette su un’idea per realizzare il proprio bene (strepsiade vuole
liberarsi dai debiti), anche se egli conta sul figlio per realizzarlo e subito viene rifiutato, decide di
imparare dei discorsi, ma già sembra debole. La scuola a cui vuole mandare il figlio per liberarsi dai
debiti tramite l’arte oratoria, ha degli elementi che saranno poi confermati dai socratici, ci sono il
discorso migliore e peggiore che sono il fulcro di quello che interessa a strepsiade. L’abilità di
parola è quella di riuscire a prevalere la propria opinione su quella di un'altra persona.
Abbiamo un’allusione precisa ad un grosso nome della sofistica chiamato Protagora, che
conosciamo in quanto Platone lo fa protagonista di molti suoi discorsi, egli aveva avuto successo
come insegnante a pagamento dei giovani di buon società ateniese, voleva insegnare la retorica da
punti di vista opposti una tesi.
Questo solleva il problema generale di come il pubblico poteva cogliere queste allusioni, Aristofane
quando viene battuto capisce di non essere stato compreso, è un problema di carattere generale,
andava da persone più semplici a personaggi che avevano un bagaglio di conoscenze raffinato.
Questo tipo di testi hanno una possibilità di lettura a diversi livelli, la battuta sul forno e dei carboni
poteva essere capita da tutti.
Strepsiade prende la solenne decisione con un minimo di parodia tragica: che faccio? Cosa farò?
Con un linguaggio banale, ma fa la parodia del momento della decisione tragica.
Bussa alla porta della scuola e viene subito chiarito che l’insegnamento è misterico, segreto, che è
destinato a pochi iniziati, qui si discute se Aristofane abbia voluto fare una parodia dei misteri
religiosi che erano legati allo stato ateniese,
non si tratta certo di parodia religiosa, in questo caso, ma secondo alcuni studiosi c’è una allusione
precisa a una scuola filosofica: pitagorica, Pitagora aveva fondato una sua scuola dove insegnava
non solo qualcosa di teorico ma una forma di vita.
Il discepolo racconta tre aneddoti sulle teorie e gli insegnamenti, ricerche di Socrate che sono fatti
per far ridere ma creano una aspettativa sempre in aumento del personaggio.
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Allusione alle pulci, alla zanzara (che produce attraverso il deretano un suono particolare), episodio
del geco che caca in bocca a Socrate che sta guardando verso il cielo e che richiama taleta (noto
come il primo dei filosofi, colui che aveva dato inizio alla scienza ionica, di lui si narra che siccome
guardava sempre il cielo camminando con la testa per aria era caduto dentro un pozzo).
Questo simbolizzava il filosofo che si occupa solo delle sue ricerche.
Aprendosi la porta strepsiade vede dei gruppi di studenti, un problema di come questo poteva essere
agito sulla scena: la skene aveva 3 porte, in una entra fidippide, nella seconda è il pensatoio
(attraverso l’enckliklema si mostrava ciò che c’era dentro la scuola), gli studenti saranno 4 con gli
altri oggetti relativi alla geometria, all’astronomia, un letto, una mappa e altre cose che riguardano
l’episodio successivo.
Dover pensava che ci fosse una specie di pannello che nascondeva i personaggi (dove c’erano i
paraskenia).
Non sappiamo esattamente come poteva essere realizzata
Queste figure indicano le sfere di interesse della scuola socratica, ciò che sta sottoterra, oppure il
tartaro, l’astronomia ovvero lo studio dei fenomeni celesti.
Quando parla di geometria pensa a quella che era un’abitudine nella distribuzione di terre
conquistate, i lotti che venivano estratti e che venivano dati per essere coltivati. Secondo strepsiade
è tutta la terra a dover essere distribuita e non una parte generale. Stripsiade non capisce neanche le
mappe, quindi la scrittura grafica della terra, la mappa è un oggetto scientifico, frutto di una ricerca,
strepsiade volge sempre al basso, c’è sempre il gioco comico.
L’arrivo in scena di una macchina che porta in scena un personaggio appeso in un cesto (elemento
di sorpresa) il personaggio è Socrate (viene nominato come un lui), egli è nel cielo per studiare
meglio i fenomeni dall’alto.
Socrate chiede a strepsiade come ha fatto a fare tanti debiti, lui gli risponde riguardo a una malattia
che gli ha trasmesso il figlio.
L’accusa che venne fatta a Socrate, la stessa che venne fatta ad Anassagora anni 30 del 5 secolo, era
l’ateismo in quanto osservando il cielo, la luna il sole, tutto quello che viene presentato dopo sono
gli dei, secondo Anassagora: l’aria, la terra l’etere (strato superiore del cielo) e le nuvole, che sono
però interpretate in maniera concreta come fenomeni naturali, sono collegati a tuoni fulmini e
fenomeni meteorologici.
Abbiamo l’entrata delle nuvole che sono evocate da Socrate. L’arrivo spettacolare di scorate è
preparato. [Pg 146]
18/10/2018
Comincia il coro a parlare (Aristofane si rivolge al pubblico). Abbiamo letto la paradasi, una
struttura fissa sia nelle commedie di Aristofane che nella commedia antica.
In questo momento la trama è sospesa e il coro si rivolge al pubblico in due momenti diversi: nel
momento dell’invocazione di buona fortuna agli attori il coro si rivolge al pubblico identificandosi
nella commedia stessa e parlando in nome di Aristofane stesso. e poi la commedia si paragona ad
una ragazza vergine, non ancora sposata che non ha il diritto di avere figli, quindi si rivolge al fatto
che le prime commedie di Aristofane non furono messe in scena da lui stesso ma da un regista,
quindi non portavano il nome dell’autore (anche se l’autore regista sono una figura unica). Si è
ipotizzato che ci fossero dei limiti di età per presentare in maniera autonoma il dramma e qche
quindi l’autore giovane si dovesse servire di un regista. Ma questa ipotesi va comunque scartata
perché anche da adulto Aristofane ha fatto dirigere la sua commedia.
Questa fase Inizia con una lamentala, in quanto questo dramma arrivò terzo quell’anno, 423, e si
ipotizza che quell’anno a causa di problemi finanziari le commedie non furono 5 ma 3, quindi
significava arrivare ultimo.

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Aristofane menziona la capacità di giudizio, in quanto Atene è una città esperta e su questo si
allaccia per avere una seconda occasione.
La contraddizione palese è che nella prima parte della parabasi, detta a nome dell’autore, si
menziona cleone, personaggio dell’area democratica radicale che aveva prevalso dopo l’era di
Pericle e che aveva cominciato la guerra del peloponneso, cleone imprenditore aveva fabbricato
molta potenza, rappresentando una classe media arricchita che in questo periodo storico comincia
ad avere influenza.
Il secondo, dopo cleone, era iperbolo e anche lui era democratico radicale, favorevole alla guerra.
Sappiamo che la commedia è contro cleone e il verso contro di lui è stato scritto dopo il 422 (dopo
la morte di cleone). È un termine dopo il quale il tesot è stato scritto.
Nella parte successiva, si fa allusione a cleone dicendo che il problema con egli si può risolvere
cogliendolo sul fatto mentre sottrae di soldi, quindi farlo incarcerare. Questa frase avrebbe senso
solo se cleone fosse vivo, quindi è una contraddizione e questo fa capire che la rielaborazione non
era completa.
Aristofane esprime la sua idea di commedia che si contrappone a quella di certi rivali che usano una
comicità più facile. Nel testo greco egli insiste sul fatto che la commedia è sofos, quindi acuta.
Egli critica gli altri di non avere idee interessanti e di non saperle rielaborale, la lingua che usa
Aristofane è variata, ha ampiezza di registri.
Aristofane usa anche i mezzi dei suoi rivali, ma non solo ed esclusivamente quelli, egli ha capacità
di fare poesia e quindi toccare a tutti i livelli le corde dello spettatore.
L’appello era al pubblico intelligenze, il coro fa un pezzo cantato successivamente, mentre la parte
che abbiamo analizzato l’abbiamo recitata in modo ritmano.
Successivamente abbiamo l’invocazione all’etere e quindi anche ad altre divinità: Poseidone, etere
(che secondo alcuni è anche Zeus, che fonda il mondo), apollo.
Il coro, successivamente prende di nuovo posto delle nuvole, che si lamentano con gli spettatori del
fatto che nessuno le venera mai quando loro proteggono gli uomini, la loro disapprovazione viene
esplicitata attraverso le tempeste e i fenomeni atmosferici. Il consiglio delle nuvole è quello di
liberarsi di cleone.
La seconda parte cantata è un’invocazione ad apollo, Artemide di Efeso (statua con tanti seni perché
rappresenta la dea della fertilità), Atene e Dioniso che è il dio del teatro e della commedia.
Si presenta un altro pezzo recitato dove il coro parla sempre in merito di nuvole e si parla in difesa
della luna in quanto ella fa risparmiare sulle fiaccole perché non fa accendere le torce.
Gli uomini se la prendono con la luna se tornano a casa senza soldi o se il giorno della festa degli
dei non si può fare il banchetto a causa di una riforma sul calendario (i greci hanno l’anno lunare
che è più lungo di quello solare).
La parabasi si conclude e rientrano gli attori in maniera impetuosa.
Entrano strepsiade e socrate, socrate cerca di insegnargli il metro e il personaggio non puo non
pensare di essere stato fregato da un commerciante che gli ha tolto due misure, vediamo quanto
strepsiade abbia la mente stretta e rivolge tutti gli insegnamenti di socrate nell’arte del commercio e
quindi sul non farsi fregare.
Socrate per metro intende un dito, mentre strepsiade intende un dito vero e proprio, mentre parlano
fa il dito medio.
Quello che interessò maggiormente i sofisti fu il genere di nomi, la discussione di strepsiade e
socrate si ferma ora sui generi: animali, persone
Animali maschili e femminili, ci sono i vari generi che non si distinguono fra maschio e femmina,
socrate f pensare che quando parli di un pollo non si sa se tu ti riferisci al maschio o alla femmina.
Aristofane sta prendendo in giro le analisi dei sofisti.

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Il portafrutta è una libertà italiana, ma che in realtà non significa specificatamente quello, in greco è
una parola che non è maschile ma anche femminile, la stessa parola portafrutta è di genere maschile
ma ha delle terminazioni femminili (solitamente il nome maschile finisce in o e quello femminile in
a, ma ci sono delle eccezioni).
Lo stesso gioco è fatto con il nome proprio. Socrate dice a strepsiade di coricarsi a letto, fa notare
che egli non cambia modo di pensare rispetto al prologo. Ci sono le cimici sul letto.
Quando strepsiadi si lamenta, abbiamo una parodia tragica in quanto ricalca i lamenti degli eroi
tragici, ovviamente tutto viene smontato dalla battuta finale.
Abbiamo un allusione chiara alla masturbazione, espressa in modo volgare.
Socrate ha un motto di approvazione quando srepsiade gli dice che se la luna fosse ferma non ci
sarebbe il ciclo lunare e quindi il conto degli interessi. Questa idea è carina.
La seconda idea di Strepsiade è quella di impiccarsi nel caso in cui dovesse perdere una causa,
Socrate si arrabbia e non vuole più insegnargli, entrano in gioco le nuvole che chiamano fidippide,
che deve andare da Socrate.
Abbiamo un avvertimento dal coro: cio che sembra volgere dalla propria parte in realtà andrà a
finire conto.
Le nuvole sono divinità sofistiche ma anche tradizionali perché nn rompono i ponti con le divinità
del pantheon, sembrano sapere che qualcosa non funzionerà.
30/10/2018
Analizziamo la parte del discorso migliore e del discorso peggiore, infatti si hanno i due discorsi
fatti da fidippide, strepsiade e il coro.
È stato consigliato a strepsiade di smettere la scuola e di portarci suo figlio.
In questo primo episodio vediamo strepsiade che, dato che si è sempre mostrato ignorante
nell’apprendere le nuove sapiente, viene consigliato dal coro di portare a Socrate il figlio, fidippide.
Strepsiade che tenta di convincere fidippide ci riporta alla scena iniziale, ritorniamo al prologo
quando con scarso successo il padre tentava di convincere il figlio di andare a scuola dai sofisti. È
solo una ripicca per fidippide, e strepsiade per questo decide di provare. Adesso però, strepsiade ha
malamente imparato alcune delle nozioni che Socrate ha tentato di inculcarli, quindi abbiamo un
momento comico in cui Strepsiade cerca di tirar fuori qualcuno di questi argomenti, in modo
sbagliato. Il rapporto padre figlio è sempre in tensione, egli non riesce ad essere un’autorità per il
figlio anche quando riesce a convincerlo a prendere insegnamenti.
Gli argomenti di Stripsiade detti al figlio sono esposti in modo assurdo, e ancora una volta si mostra
ingenuo dato che si è fatto abbindolare, perdendo il martello e i sandali.
Strepsiade dice: è stata una perdita necessaria, questa frase è ripresa da un episodio di Pericle,
quando gli spartani arrivano in attica. Pericle si mise in testa di corrompere uno dei due re di Sparta,
quello più ingenuo, cercando di convincerlo ad andare via dall’attica, riuscendoci attraverso soldi.
Pericle però doveva rendere conto delle spese allo stato, e quando scrisse sui registri dello stato la
perdita di 10 talenti, scrisse: perdita per necessità!
Questa stessa espressione è un’allusione a questo episodio.
Quello che viene fuori dal dialogo è che la passività del padre nei confronti del bambino è palesata
fin dall’infanzia di quest’ultimo. L’accettazione di fidippide è losca, accompagnata dall’espressione:
te ne pentirai! Un’affermazione non motivata in questo caso, capibile solo alla fine della vicenda.
Vediamo adesso la scena dei due discorsi, non sappiamo bene come questa sia stata rappresentata
all’epoca. Nella prima versione i due personaggi potevano essere vestiti da galli, come un
combattimento.

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L’agone che determina questo episodio (ovvero il dibattito) troviamo due personaggi che si
contrappongono per dimostrare la loro opinione, con un giudice e qualcuno a cui è diretta questa
battaglia di argomenti.
Vediamo la divisione tra il vecchio e il nuovo, (affinità con l’agone delle rane), come già detto non
sappiamo come erano rappresentate in scena questi due discorsi, ma gli argomenti messi in campo
sono recitati con aggressività comica, prima ci sono le minacce tra i due contendenti e poi ciascuno
dei due può esporre la loro ideologia sempre con la regia del coro che assegna le parti all’uno o
all’altro. È stato osservato che questo discorso ha affinità con un famoso testo di un sofista
dell’epoca che aveva rappresentato un episodio tratto dalla mitologia, Eracle eroe forte che
ristabilisce la giustizia e sconfigge i mostri, Eracle ad un certo punto della sua vita viene posto di
fronte alla strada del vizio e la strada della virtù. Per decidere due personificazioni della virtù e del
vizio si scagliano l’uno contro l’altro per portare dalla loro parte Eracle, che alla fine sceglierà il
bene, un percorso più aspro e difficile (12 fatiche).
La situazione delle nuvole è la stessa, ci sono due potenziali educatori di un giovane che dovrà
decidere il tipo di vita da percorrere.
Gli argomenti si potevano ritrovare in politica, l’oratoria doveva sostenere il discorso giusto, mentre
il discorso peggiore diceva che si poteva sostenere qualsiasi tesi (i sofisti stessi pensavano che si
dovesse sostenere qualunque argomento per sperimentare il pensiero umano, non per forza senza
seguire la giustizia, criticati anche da Platone).
Il vecchio discorso migliore, per quanto sia rappresentato con simpatia, non è rappresentato in modo
totalmente positivo. Parliamo di ragazzini disciplinati, ma la stessa licenza sessuale attribuita al
discorso peggiore, è l’ossessione del discorso migliore. I rapporti sessuali tra un uomo adulto e un
adolescente erano accettati e sintomo di formazione, socialmente il rapporto tra il mentore e il
giovane era accettato, ma con una serie di limiti ma anche ipocrisie, diversamente dalla libertà
sessuale proclamata dal discorso peggiore.
Un altro argomento è l’atleta, legato alla figura dell’intellettuale.
Uso di mitologia nella provocazione, omero e gli dei, che in realtà erano presi sul serio fino a
quando una sensibilità più matura cominciò a chiedersi se davvero essi si scagliassero l’uno contro
l’altro, se fossero adulteri ecc… i cantori del 6 secolo si chiedevano se queste cose dovevano essere
prese sul serio. Dovevano essere prese come discorso allegorico, con significato più profondo.

06/11/2018
Siamo arrivati al punto in cui Strepsiade ha apparentemente vinto, perché pur essendo stato un
cattivissimo allievo di Socrate ha convinto il figlio ad andare a scuola. Questa apparente gloria
viene fuori dal canto, ad un certo punto cambia metrica, non c’è più il dialogo ma un canto.
Quando fidippide gli dice che è inutile far pagare il debito l’ultimo giorno del mese (con la luna
vecchia e nuova). Nel frattempo ci sono episodi tipici della commedia di Aristofane ovvero quando
l’eroe ha vinto, ci sono spesso degli episodi in cui l’ero comico incontra dei personaggi che
vengono a lamentarsi degli effetti di questa nuova situazione e vediamo l’eroe comico che li ribalta.
In realtà Strepsiade ha però fallito, ha rinunciato all’educazione, ma è comunque lui a rispondere
agli attacchi del primo e del secondo creditore attraverso quei metodi che ha imparato bene o male.
Usa come argomenti la parola maschile e femminile, sbarazzandosi del creditore (1), nelcaso del
secondo creditore (che è presentato come un personaggio tragico che mostra la sua rovina),
Strepsiade lo sbaraglia con quel mezzo che il coro aveva rimproverato, ovvero i mezzucci (lo caccia
via con il bastone, lo sprone dei cavalli, inseguendolo con la violenza fisica) ma prima usa un
argomento sofistico, teressi (coloro che si accrescono sul denaro giorno dopo giorno: egli pur
ottenendo dai fiumi molta acqua, rimane sempre lo stesso).
Si prepara il colpo di scena: Strepsiade entra in scena seguito da fidippide, dopo il coro.
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Fidippide picchia suo padre, e cerca di convincerlo di essere nel giusto attraverso il discorso giusto
e quello sbagliato. L’insegnamento che strepsiade ha voluto che il figlio avesse gli si sta ritorcendo
contro.
Il modo in cui si chiude la commedia è ambiguo.
Ben presto la situazione reale si svela, fidippide è stato troppo bravo, il desiderio di fidippide di fare
di stresiade un mascalzone è riuscito, fuori scena è accaduto quello che non si può vedere in scena
(fidippide ha picchiato il padre) la situazione che viene raccontata è una situazione tipica dei
banchetti dell’Atene del tempo, fare musica con persone che cantassero poesie accompagnate, come
sempre la contrapposizione generazionale per di carattere culturale e la vediamo verso i modelli
letterari da seguire: per Strepsiade simone del ceo è quello più importante (modello di poesia
arcaica) mentre per fidippide Euripide era il modello del V secolo.
Le ragioni del contendere sono in primis culturali, il rispetto della tradizione e dei valori tradizionali
e dell’etica.
Il coro interviene a fare da regolatore, in questo caso l’episodio prende la piega dell’agone.
Abbiamo una serie di insulti che ricordano il dialogo tra il discorso peggiore e il migliore.
Cominciano i discorsi sofistici di Fidippide che dichiara che il picchiare il padre è un’azione giusta:
se il segno di picchiare i figli quando sono piccoli perché gli vogliono bene allora è giusto che
anche i figli picchino i genitori quando sbagliano, inoltre i vecchi sono due volte bambini

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