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DRAMMATURGIA MUSICALE

Prof.ssa D’Ovidio
24/02/2020
CONCETTO DI DRAMMATURGIA MUSICALE
Con il termine drammaturgia musicale si evidenzia il rapporto che si crea fra teatro e musica di tipo scientifico,
quindi quando ci ritroviamo un evento spettacolare con la musica che svolge un ruolo drammaturgico, infatti
vengono presi in esame determinati elementi che legano testo e musica.
In un primo momento la musica, all’interno dell’opera, viene vista come un accessorio, dove l’azione scenica
è legata ad essa, infatti la drammaturgia si plasma sulla musica, ma essa viene anche denominata con il termine
“opera” con la quale si indica un tipo di spettacolo teatrale in cui l’azione drammatica si manifesta
principalmente attraverso la musica e il canto.
Questo genere spettacolare nasce in Italia, infatti si parla di opera italiana dove il dramma realizzato è
interamente cantato e strumentato.

🎶BELLA FIGLIA DELL’AMORE (III atto Rigoletto Verdi)


Duca:
Bella figlia dell'amore,
Schiavo son de' vezzi tuoi;
Con un detto soi tu puoi
Le mie pene consolar.
Vieni, e senti del mio core
Il frequente palpitar.
Maddalena:
Ah! ah! Rido ben di core,
Chè tai baie costan poco;
Quanto valga il vostro giuoco,
Mel credete, so apprezzar,
Sono avvezza, bel signore,
Ad un simile scherzar
Gilda:
Ah, cosi parlar d'amore!
A me pur l'infame ho udito
Infelice cor tradito,
Per angoscia non scoppiar.
Perchè, o credulo mio core,
Un tal uom dovevi amar!
Rigoletto:
Taci, il piangere non vale;
Ch'ei, mentiva or sei secura
Taci, e mia sarà la cura
La vendetta d'affrettar.
Pronta fia, sarà fatale;
Io saprolla fulminar.

È uno dei pezzi più riusciti nella storia dell’opera data per l’intreccio delle voci, dove si presentano quattro
personaggi sulla scena, ma soprattutto per il fatto che ogni personaggio esprime un sentimento diverso. Ci
ritroviamo nel contesto dove il Duca si innamora di Gilda, figlia di Rigoletto, il quale non approva questo
legame fra lui e la figlia cosi che decide di trarre in inganno entrambi facendo cadere il duca nelle braccia di

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Maddalena, una prostituta, e far vedere il tutto alla figlia, che piange il suo amore perduto. Ogni personaggio
sperimenta uno stato d’animo diverso dove Verdi riesce a legarmi insieme, infatti la prima strofa, cantata dal
Duca, è concentrata sulla linea melodica molto ampia e forte, punteggiata dall’orchestra, dove raggiunge il suo
apice per poi discendere. Per gli altri personaggi, come Maddalena e Rigoletto, non abbiamo una vera e propria
melodia, anzi possiamo parlare di ribattuti, mentre per Gilda si ha un canto che è simile ad un singhiozzo dato
dalla presenza delle pause e evidenzia il suo stato d’animo con una melodia discendente data dal suo amore
perduto. Tutti questi stati d’animo Verdi gli esprime tramite la musica e ce li mostra sulla scena.

La musica nell’opera non racconta solo la storia, ma la arricchisce evidenziando tutti quei elementi che da soli
non sorgono, infatti la musica è la parte essenziale del dramma e questo concetto lo ritroviamo nel corso
dell’800, dove si parla di convenzione:

«C’è anche un’altra cosa nell’opere così orribilmente fuori del naturale, che la mia immaginazione non può
accomodarcisi. Quel cantare ogni cosa dal principio sino alla fine, gusto come se tutta quella gente che
opera si fosse concertata per una spezie di buffoneria di trattare in musica tutti i fatti loro.»
Saint- Evremond, Sur les Opéras (Dell’opere), 1670/1676 ca.

Con il termine “convenzione” si intende quando si prende un testo e viene interamente musicato, cosa che ora
hai giorni nostri è del tutto normale, ma all’epoca si doveva entrare all’interno di quest’ottica, anche per il
semplice fatto che con il canto sii poteva anche morire, oppure diventare pazzi.

Non credo neppure che alcuno vorrà ragionevolmente mettere in dubbio


che nel canto si possa dare a un discorso dieci volte più energia che non nella
declamazione o nella semplice lingua cantata. Che cos’è infatti il canto
se non un sostenere il discorso e la voce con la massima forza ed energia?

L’opera viene vista anche come un genere pluridimensionale perché intorno ad essa girano diversi fattori, dove
il dramma sta al centro e intorno ad esso trovano la musica (cioè la partitura che viene letto come codice
musicale), il testo (cioè il libretto letto come codice verbale) e la scena (letto come codice visivo), ma insieme
a questi dobbiamo evidenziare fili elementi principali dell’opera che sono:
- Il poeta colui che scrive il librettoà il libretto viene scritto usando il verso, che consente al
compositore di musicare al meglio le parole, ma dobbiamo anche considerare che il libretto non è un
un testo autonomo perché viene pensato apposta per essere musicato.
- Compositore, colui che scrive la partitura
- Scenografo, colui che si occupa della scenografia
- Interpreti, coloro che eseguono quello scritto dal compositore
- Direttore d’orchestra, colui che indirizza e coordina l’esecuzione degli interpreti
- Direttore di scena, colui che coordina le azioni in scena
Da questi fattori capiamo subito che l’opera si circonda di più dimensioni fra cui anche quella degli affetti, la
morfologia, cioè come viene composta un’opera, e storico stilistica, cioè il contesto storico in cui l’opera si
trova.
Oggi parliamo dell’opera come di un testo spettacolare dove il processo produttivo di essa deve tenere conto
della figura del compositore e del librettista, che sono quelle più importanti, ma insieme ad essi troveremo
anche quella del finanziatore, cioè colui che paga il tutto e il pubblico.
25/02/2020
Con il concetto di drammaturgia musicale si vuole intendere un’opera, in un melodramma è la musica il fattore
primario che costituisce l’opera d’arte (l’opus) e la costituisce in quanto dramma. Questa definizione viene
data da C.Dahause nel 1988, dove lui racchiude in essa tutte le prospettive, in particolare quelle della
drammaturgia del ‘800, con Bellini, Donizetti, Wagner… a con il termine “melodramma” si richiama il periodo
dell’800 e sottolinea anche il fatto che la musica sia un fattore primario vero e proprio del dramma. Due anni
dopo Kenon, nel suo saggio l’opera come dramma, prende in analisi aspetti della drammaturgia sia del 600
che del 700 dove lui spinge sul fatto che la musica incide in maniera profonda sul testo: “in un opera il
drammaturgo è il compositore”. L’equilibrio fra compositore e librettista è incostante, ma la musica che noi
troviamo all’interno dell’opera è quella del recitativo, cioè quando l’assetto sonoro si modella direttamente sul
testo verbale, e il cantabile, dove la musica non si modella al testo, ma va oltre ad esso e in questo stile cantabile
ritroviamo i classici pezzi chiusi (aria, quartetti, duetti…). La particolarità di quest’ultimo stile è che può

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arrivare a negare lo stesso testo, ma nel corso del tempo sia lo stile cantabile che il recitativo cambia forma e
stile, non rimane mai uguale e anche per questo che il rapporto fra testo e musica comincerà ad essere
capovolto: agli inizi la musica si prestava maggiormente al testo, ma via via la musica comincerà a superare
esso, infatti dietro all’affermazione di Dahause si arriva a dire che la musica è un linguaggio a se, che ha una
propria grammatica, morfologia, fraseggio…

LA FUNZIONE DELLA MUSICA ALL’INTERNO DELL’OPERA


La musica può aderire a differenti livelli dello spettacolo, o a sua volta ricrearli, svolgendo sostanzialmente tre
principi funzionali:
1) FUNZIONE MIMETICA O CORROBORATIVA: è la funzione base della musica nell’opera e quella
di più antica data, dal momento che l’obbiettivo principale della struttura sonora era quella di
potenziare i contenuti affettivi de testo o/e sonorizzare particolari scene o apparati spettacolari. Questa
funzione presenta una serie di sotto funzioni fra cui quella espressiva che evidenzia ciò che dice il
personaggio, ma anche come lo dice, ossia il suo tono espressivo; fisiognomica che racchiudono tutte
quelle figure musicali di tipo endogeneo o anche topai stilistici che possono essere usati su un
personaggio peculiare, al quale viene associata una melodia particolarmente virtuosistica;
identificativa determina le figure musicali, in particolare motivi o temi ricorrenti, che possono essere
utilizzate per identificare personaggi o oggetti; performativa figure particolari usate per accompagnare
o realizzare musicalmente determinate azioni; referenziali figure realizzate dall’orchestra che vengono
usate in senso onomatopeico; cinetica dove si sfruttano determinati sincronismi tra strutture sonore ed
alcuni alimenti “vettoriali” della partitura scenica; infradiegetica indica l’uso della musica in scena o
del canto realistico, ossia di quei brani che anche nel teatro di parola sarebbero accompagnati dalla
musica.

🎶Aria di Rinaldo di Handel “Lascia ch’io pianga”:


Lascia ch'io pianga
mia cruda sorte,
e che sospiri
la libertà.

Il duolo infranga
queste ritorte
de' miei martiri
sol per pietà.

È l’aria del lamento dove la musica esprime il dolore e il pianto, tramite la linea musicale che discende
per terze e qui vediamo come la musica è chiamata a mimare al meglio i sospiri, che si riscontrano
anche nel testo, infatti la linea espressiva, che sale e scende, coincide con il dolore di Milena e qui la
musica amplifica in maniera evidente i contenuti del testo.
2) FUNZIONE DIEGETICA O DI COMMENTO: a differenza della funzione precedente, essa si
trasforma in una sorta di narratore che sa molto di più dei personaggi stessi. La musica rivela ciò che
gli altri linguaggi non dicono e addirittura si possono rivelare cose che non riscontriamo nel
libretto/testo. Anche questa funzione presenta una serie di sotto funzioni tra cui quella ironica dove si
hanno alcune figure che possono essere impiegate per contraddire ciò che afferma un personaggio o
svelare qualcosa che il personaggio stesso ignora e, in questo caso, la parte vocale e quella orchestrale
agiscano uno contro l’altra; relazionare mediante alcuni elementi ricorrenti il compositore può
stabilire una serie di relazioni tra parti diverse dell’opera; focalizzazione il compositore può ottenere
effetti di primo piano tramite il ricorso a un’orchestrazione selettiva.

🎶Ultima scena del Don Giovanni di Mozart:


LaStatua
Don Giovanni, a cenar teco m’invitasti,
e son venuto.
Don Giovanni
Non l’avrei giammai creduto.
Ma farò quel che potrò! Leporello,

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un’altra cena fa’ che subito si porti!
Leporello
Ah, padron, siam tutti morti!
In questo punto finale dell’opera Mozart ci fa sentire tutta la debolezza di Don Giovanni, cosa che nel
libretto non viene messa in evidenzia. Sulle parole “non avrei mai creduto” risentiamo due motivi
principali che sono quello dei passi (caratterizzato da una serie di intervalli) e il motivo delle scale
(caratterizzato da una serie di cromatismi), che erano stati riscontrati nell’overture entrambi, ma anche
nello scontro co il Comendadore (solo il motivo dei passi), ma il motivo della scala rappresentava
l’abisso e la discesa che Don Giovanni doveva affrontare e il sentimento che lo contraddistingue è
proprio la paura.
3) FUNZIONE TEMPORALE: si ha uno scollamento tra il tempo reale e quello psicologico dell’azione
rappresentata e la musica è chiamata non solo per descrivere, ma ance per sottolineare quella
determinata atmosfera emozionale che è quell’azione suscitata e la fa vivere anche ai personaggi. La
musica ha una sua struttura che si forma nel corso del tempo ed è sempre lei che da il tempo alle varie
parti dell’azione drammatica, anzi la musica può fermare determinati momenti dell’azione scenica per
soffermarsi sugli stati emotivi dei personaggi. La musica è in grado di “eternizzare” uno o più
sentimenti che colpiscono i vari personaggi sulla scena, infatti il discorso musicale si può amplificare
sullo stupore, la sorpresa… e questo senso di attesa può essere svolto in più modi.

🎶Cenerentola di Rossini, sestetto “Questo è un modo avviluppato”


Questo è un nodo avviluppato,
Questo è un gruppo rintrecciato.
Chi sviluppa più inviluppa,
Chi più sgruppa, più raggruppa;
Ed intanto la mia testa
Vola, vola e poi s’arresta;
Vo’ tenton per l’aria oscura,
E comincio a delirar.

Qui il testo è un pretesto dove si mettono in evidenzia il gioco fonetico, che viene messo in evidenzia
dalla musica e che ferma l’azione dove i personaggi commentano l’accaduto; 🎶 Barbiere di Siviglia
Rossini, atto II, “Ah qual colpo inaspettato”: in questo caso si parla di allungamento temporale che si
può ancora manifestare nel corso dell’azione, infatti questa dilatazione temporale creata dalla musica
fa in modo che i due dopo essersi riconciliati si godono questo momento che è stato concesso dalla
musica.
26/02/2020
Il tempo dell’opera è completamente diverso rispetto a quello del teatro di prosa, perché nell’opera la musica
scandisce il tempo dell’azione e può anche arrivare a sospenderlo per sottolineare determinate situazioni, anzi
possiamo dire che è discontinuo, infatti un altro stratagemma usato dai compositori è quello del motivo
ricorrente, cioè quando sentiamo un determinato motivo musicale che poi viene riproposto in un altro punto
dell’opera. In determinati casi si parla anche di canto simultaneo, cioè quando si hanno più personaggi sulla
scena che cantano linee musicali diverse, ma definisco gli stati d’animo dei personaggi in maniera antitetica.
Un esempio lo ritroviamo nell’aria “bella figliola dell’amore” nel Rigoletto di Verdi dove si hanno quattro
personaggi che provano 4 stati d’animo diversi, quindi la linea melodica del canto rappresentano le azioni
interiori in modo da farle anche capire all’ascoltatore, infatti Verdi scrive quattro linee melodiche distinte,
infatti suonano in maniera diversa, ma simultaneamente. Un altro esempio che è possibile fare è con
“🎶Va resti servita” tratta dalle Nozze di Figaro di Mozart:
MARCELLINA
(facendo una riverenza)
Via resti servita,
Madama brillante.
SUSANNA
(facendo una riverenza)
Non sono sì ardita,
madama piccante.

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MARCELLINA
No, prima a lei tocca.
SUSANNA
No, no, tocca a lei.
SUSANNA e MARCELLINA
Io so i dover miei,
non fo inciviltà.
MARCELLINA
La sposa novella!
SUSANNA
La dama d'onore!
MARCELLINA
Del Conte la bella!

SUSANNA
Di Spagna l'amore!

MARCELLINA
I meriti!

SUSANNA
L'abito!

MARCELLINA
Il posto!

SUSANNA
L'età!

MARCELLINA
Per Bacco, precipito,
se ancor resto qua.

SUSANNA
Sibilla decrepita,
da rider mi fa.
(Marcellina parte)

È un duetto fra eseguito da Susanna e Marcellina, entrambe innamorate di Figaro e quando si ritrovano nella
stessa stanza con lui le due donne cominciano a battibeccare su chi deve uscire per prima, dove Marcellina le
lascia posto per il fatto che Susanna è più anziana, mentre Susanna la stuzzica dicendole che è la novella sposa.
In questa circostanza Mozart per il duetto dei due personaggi usa le stesse linee vocali e la caratterizzazione
non è antitetica, ma parallela perché entrambe provano lupo stesso stato d’animo e questo Mozart è stato anche
dal libretto, dove ritroviamo le rime e le cadenze delle frasi che si rispecchiano anche nella musica.

IL LIBRETTO E LA SUA COSTRUZIONE


In una delle lettere di Mozart destinate al padre, datata 13 ottobre 1781, viene annunciato il rapporto, che poi
si instaura, fra compositore e librettista dove le parole devono essere legate fra di loro e non si prende in
considerazione la qualità del testo, ma gli elementi che costituiscano la frase e che possono essere legati in
maniera autonoma alla musica.
In un’opera la poesia deve essere assolutamente la figlia ubbidiente della musica. […] Un’opera piacerà tanto
più se la struttura dello spettacolo è ben elaborata e se le parole sono scritte soltanto per la musica, e non se
le parole sono disposte qua e là, o se intere strofe rovinano tutta l’idea del compositore, solo per compiacersi
di una misera rima (le rime, per Dio, non contribuiscono per niente al valore di una rappresentazione teatrale,
qualunque essa sia, ma piuttosto la danneggiano). I versi sono certamente indispensabili per la musica, ma le
rime fine a sè stesse sono del tutto nocive.

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[…] La cosa migliore è quando si incontrano un buon compositore, che conosce il teatro ed è in grado di fare
egli stesso delle proposte, e un poeta intelligente, una vera fenice». (lettera 13/10/1781)

Il libretto viene composto usando la struttura dei versi, però dobbiamo parlare di poesia vs prosa che evidenzia
sia il verso sia la prosa sono governati dalle regole della grammatica, della sintassi e della retorica. I discorsi
in versi si distinguono da quelli in prosa per un sovrappiù di regole che ne governano la misura e il ritmo.
L’insieme di tali regole costituisce l’oggetto della metrica.

Esempio: Metastasio, Didone abbandonata, I Atto, V Scena


IARBA
Se il mio signore irriti
verranno a farti guerra
quanti Getuli e quanti
Numidi e Garamanti Africa serra.
DIDONE
Pur che sia meco Enea non mi
confondo;
vengano a questi lidi
Garamanti, Numidi, Africa, il mondo.
IARBA
Dunque dirò...
DIDONE
Dirai
che amoroso nol curo,
che nol temo sdegnato.
IARBA
Pensa meglio Didone. (S’alza e scende dal trono)
DIDONE
Ho già pensato

ARIA
Son regina e sono amante
e l’impero io sola voglio
del mio soglio e del mio cor.

Darmi legge invan pretende


chi l’arbitrio a me contende
della gloria e dell’amor. (Parte)

Nella parte del dialogo notiamo che ci sono versi più lunghi altri più corti, dove da un punto di vista metrico
abbiamo dei legami fra le rime, a differenza invece dell’aria dove si hanno versi della stessa lunghezza, e
questo ci fa capire che i pezzi chiusi in generale presentano una struttura ben precisa.
Quando parliamo di versi si parla anche di metrica, la quale si occupa della versificazione, ossia dei discorsi
espressi in versi, infatti uno dei lavori che il librettista deve fare anche è quella di versificare, che rapprenda
un concetto tecnico che riguarda le strutture che regolano la forma del discorso in versi perchè il librettista
riprende la storia da altre fonti ed è lui a decidere dove inserire i discorsi e i dialoghi nel corso della storia.
Quando si parla di versificazione bisogna tenere in considerazione determinate regole: quella della struttura
metrico prosodica, che prende in esame il verso, le strofe le rime; e quella intattico-semantica, che prende in
esame le frasi, proposizioni e periodi.
La struttura sintattica e la struttura metrica spesso convergono: a ciascun verso corrisponde una frase o un
suo membro compiuto anche se tuttavia questa convergenza non è obbligata né generalizzata; certe frasi
possono “straripare” nel verso successivo, oppure iniziare o finire a metà di un verso. Tale fenomeno è detto
enjambement (parola francese che alla lettera significa ‘accavallamento di gambe’); questo fenomeno viene
anche indicato come un prolungamento di un periodo logico oltre alla pausa ritmica di fine verso, dove si ha

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la mancanza della coincidenza tra la pausa e metrica e pausa sintattica. Nella poesia in musica gli enjambement
si ritrovano solamente nei versi sciolti, che sono tipici dei recitativi.

COMPUTO SIBALLICO
endecasillabo = verso di 11 sillabe
decasilabo = verso di 10 sillabe
novenario = verso di 9 sillabe
ottonario= verso di 8 sillabe
settenario = verso di 7 sillabe
senario = verso di 6 sillabe
quinario = verso di 5 sillabe
quaternario = verso di 4 sillabe
ternario = verso di 3 sillabe

Quando in una parola troviamo due vocali consecutive, fra due parole o all’interno di parola, la lingua poetica
italiana ammette che esse possano venir “contate” come una o come due sillabe, ma non sempre esiste una
corrispondenza tra sillabe grammaticali e sillabe metriche:

Sinalefe: fusione in un’unica sillaba tra la vocale finale e quella iniziale della parola successiva
Son re-gi-na e so-no- a-man-te
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

10 sillabe, ma ottonario per via della sinalefe tra 4 e 5 sillaba e tra 7 e 8


dunque:

Son re-gi-na e so-no a-man-te


1 2 3 4 5 6 7 8

In altri casi possiamo distinguere:


Dialefe: caso opposto alla sinalefeàPoi al-tri qui vol-to (6 sillabe con dialefe tra le prime due)
SineresiàPian-gea can-tan-do (6 sillabe MA quinario)
DieresiàAm-bi-zi-o-so spir-to (6 sillabe, MA settenario)

Ogni verso italiano può presentare tre uscite diverse:


VERSO PIANOà con una parola accentata sulla penultima sillaba;
VERSO SDRUCCIOLOàcon una parola accentata sulla terzultima sillaba;
VERSO TRONCOàcon una parola accentata sull'ultima sillaba;
Si distingue perciò tra versi piani, sdruccioli e tronchi, a seconda della parola che si trova alla fine del verso,
ma nell’uso italiano la misura standard del verso viene definita sulla base dell’“uscita piana”: l’ictus cade sulla
penultima sillaba del verso, mentre l’ultima sillaba è atona.
Quando si scrive in versi si parla anche della RIMA, cioè la figura di relazione fra segmenti sonori nella metrica
italiana, che mette in relazione fra loro due o più versi, di norma la parte finale di essi e si fonda sull’identità
dei suoni nella parte finale di due parole, a partire dall’ultima vocale accentata.
Le rime che vengono più usate nella drammaturgia sono:
rima baciata: AA BB CC, ecc
rima alternata: AB AB CD CD, ecc
rima incrociata: AB BA CD DC, ecc
rima continuata: AA AA AA, ecc
La rima possiede un valore drammaturgico molto forte che può arrivare a contenere varie sottigliezze che
vengono riscontrate più che altro nei libretti di Da Ponte, in particolare in quello del Don Giovanni e nelle
Nozze di Figaro.

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Le funzioni della rima sono demarcativa, cioè quando essa è collegata al termine di un’unità metrica e ne
rinforza la percezione, e strutturante, cioè la disposizione della rima in versi vicini ed è un fattore primario
dell’organizzazione in strofe.
La strofa è un’organizzazione di versi raggruppati per tipo metro e la struttura della rima di base al numero di
versi si distinguono strofe di:
2 versi= distico
3 versi= terzina
4 versi= quartina
6 versi= sestina
8 versi= ottava

Nella gran parte dell’opera del ‘700 e del’800 si presentano strofe isometriche, cioè che hanno la stessa
lunghezza di metro, ma bisogna considerare che il ritmo non lo ritroviamo solamente all’interno della musica,
ma anche all’interno del testo, infatti la base del ritmo sta:
- Nella disposizione degli accenti;
- Riconoscenza di suoni uguali o uno stesso suon all’interno della rima;
- Ritorno di versi con lo stesso metro di sillabe;
Il compositore quando scrive la musica può modellarsi sugli accenti delle parole, oppure li può modificare gli
accenti tonici, ma sul configurare il ritmo di un testo poetico contribuisce non solo la stessa struttura metrica,
ma anche la struttura sistematica semantica e nei libretti melodico musicale.

🎶La donna è mobile, Rigoletto Verdi


Gli accenti tonici sono spostati rispetto a quella della frase.

🎶Di quella pira, Trovatore, Verdi


Anche in questo caso abbiamo lo spostamento degli accenti tonici.

Il sistema del linguaggio operistico si muove fra i versi sciolti, libera alternanza di versi lunghi e corti usati nel
campo del recitativo, infatti servono più che altro per raccontare gli elementi principali dell’azione drammatica,
e versi misurati (o comunemente chiamati liberi), che rispetto a quelli sciolti, qui si rispetta un preciso schema
del verso e sono legati da una rima, infatti viene usato nei pezzi chiusi, e hanno la funzione di esaltare un
determinato momento o un sentimento di un personaggio, infatti ha anche la funzione di bloccare l’azione
drammatica e il tutto viene accompagnato dall’orchestra, a differenza del recitativo che viene accompagnato
dal basso continuo.

🎶Orfeo di Monteverdi, In questo giorno


L’inizio è caratterizzato da un recitativo accompagnato dal basso continuo, ma notiamo che troviamo tre
melodie discendenti e il finale del verso viene segnato da una pausa. Il punto culmine viene fatto sulla parola
“cantiam”, segnato da un intervallo che vuole rendere l’idea all’ascoltatore dell’azione stessa, e la stesa
situazione la ritroviamo o sulla parola “Orfeo”, che qui la melodia raggiunge l’apice. Anche nel recitativo
possiamo trovare degli effetti di carattere.

OPERA DI CORTE: LA NASCITA DELL’OPERA


Si hanno numerose fonti che riguardano l’origine dell’opera, che vennero pubblicate nel corso del ‘600 dove
si sottolineava la nascita del nuovo genere spettacolare, infatti quando noi parliamo di opera intendiamo uno
spettacolo di corte, perché nasce all’interno di un ambiente colto dove si ha l’unione di canto, considerato
l’elemento fondamentale di questo nuovo genere, musica e parole, ma il tutto parte da una lettera del 1607 di
Carlo Magni, dove ancora non compare il termine “opera”, ma evidenzia al meglio l’elemento del canto, il
quale sorge in maniera evidente nella rappresentazione. Lo stesso verrà definito da Gogliani, che assistete alla
prima di Dafne, che definisce l’opera come uno spettacolo dedicato ai principi e il tutto ruota intorno al canto,
gesto e alla danza.
L’opera si afferma con l’Euridice, in occasione del matrimonio fra Maria de Medici e il re di Francia, ma prima
di esso, le prime idee si affermano all’interno della Camerata dei Bardi, all’interno della quale si discuteva
un po’ di tutto, ma avrà una durata breve, infatti non si hanno opere legata ad essa, però è identificato come

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luogo di nascita della moderna musica scenica o della tragedia come matrice sperimentale di questi primi
esperimenti che si compivano.
L’opera nasce da una serie di stimoli e effetti estetici, ma insieme a Giovanni di Bardi dobbiamo accostare
Emiliano Cavalieri, che da Roma porta a Firenze il genere della tragedia pastorale, che era già conosciuta, ma
con lui venne coltivata molto, e Jacopo Corsi, che era un nobile molto acculturato e fu anche musicista.
I presupposti della nascita dell’opera derivano dalla concezione che esaltava la semplicità del canto solistico
rispetto alle complessità della polifonia dove la musica la ritroviamo nella pratica teatrale cinquetensca. Alcuni
esponenti dell’umanesimo cambiarono a prendere come modello quello greco, dove ogni melodia era portatrice
di ethos, quindi gli umanisti vogliono ridare questo senso di ethos alla musica cosa che la polifonia non riusciva
a dare, anche perché essa veniva usata dai professionisti. Non solo la melodia dava questo senso di ethos, ma
anche la parte cantata della tragedia, insieme al canto solistico, che permetteva al cantante di immedesimarsi
nel personaggio.
I presuposti dell’opera derivano dalla concezione dell’esaltare la semplicità del canto solistico, infatti alcuni
musicisti si rifacevano al modello greco dove la melodia doveva rappresentare l’ethos, mentre la polifonia no.

V.Galilei: Dialogo della musica antica e della moderna, 1581: ritroviamo musicato il lamento del conte
Ugulino tratto dall’inferno di Dante.

Nella commedi e nella tragedia del ‘500 la musica è una presenza fissa che da una funzione:
- Realistica
- Incorniciamento
- Espressiva dei momenti particolari del dramma
- Commento
La musica gioca un ruolo fondamentale nell’intermedio dove la musica vocale e strumentale, danza,
pantomima, recitazione si univano e un esempio saranno gli intermedi tratti dalla Pellegrina di Bargagli dove
ritroviamo Cavalieri, Bardi, Strozzi che saranno i maggiori protagonisti dell’opera.
- DAFNE (Rinuccini, Peri e Corsi) 1598;
- RAPPRESENTAZIONE DI ANIMAE CORPO (Cavalieri) 1600;
3/03/2020
Le prime opere che vennero rappresentate andarono in scena fra il 1590 e il 1600 a Firenze dove i brani
interamente cantati erano inseriti all’interno dei momenti specifici:
- Funzione realisticaà quando si hanno più personaggi che cantano;
- Funzione d’incorniciamentoà la ritroviamo alla fine o all’inizio dell’atto;
- Funzione espressivaà quando si ha l’invocazione di un personaggio
- Funzione di commento
In questo periodo si hanno anche altre forme di spettacolo, come l’intermedio, che era una forma spettacolare
che veniva eseguito tra un atto e l’altro di commedie o tragedie e ne possiamo distinguere due tipi:
1- Non apparenti: prevedono brani strumentali che accompagnano i cambiamenti in scena;
2- Apparenti: si hanno musiche inserite in una scena che veniva completamente mimata;
Uno degli intermedi più famosi sono quelli della Pellegrina, eseguita nel 1589 commissionato da Ferdinando
I Medici e venne rappresentato nel teatro mediceo degli Uffizi, e all’interno di questa commedia vennero
inseriti sei intermedi.
Negli ultimi decenni del ‘500 ci si cominciò ad affacciare ad un nuovo genere spettacolare che prende il nome
di tragicommedia pastorale, ma le basi che strutturavano un’opera nel ‘500 erano:
- Canto solistico;
- L’uso della musica in scenaà pezzi chiusi
- Predizione per la spettacolarità
- Uso di soggetti irreali
Da considerare che tutta l’azione drammatica era interamente cantata.
Nel 1588 Cavalieri viene nominato sovrintende alle attività artistiche della corte a Firenze dove ebbe occasione
di rappresentare:
- 1591 l’Aminta (Tasso); il Satiro; La Disperazione di Fileno
- 1595 Il Giuoco della Cieca
Rappresentano le prime opere della storia dove l’azione era interamente cantata e si concentravano sulla favola
pastorale.

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Dopo di che assistiamo alla messa in scena di altre due opere importanti che furono la Dafne di Perri e Rinucci
nel 1598 e con l’ingresso del 1600 si ha la messi in scena di Euridice di Perri, Caccini e Rinuccini, dove
quest’ultima venne eseguita a Palazzo Pitti in occasione del matrimonio fra Maria Medici e il re di Francia e
viene ritenuta la prima opera in musica in quanto è la più antica composizione di questo genere.
Gli autori che cominciarono a sorgere in maniera evidente furono Emilio Cavalieri, con la messinscena di
Rappresentazione di anima e corpo (1600), Giulio Caccini con l’Euridice composta in stile rappresentativo
(1600) e Jacopo Perri con Le musiche sopra l’Euridice (1601).
Da questo elenco possiamo capire come la favola di Euridice non è stata la prima opera che venne
rappresentata, anzi vediamo alla luce altre opere in stampa dove il primo fu proprio l’opera di Emilio Cavalieri,
compositore romano che diede alla stampa la Rappresentazione di anima e corpo, dove la prima
rappresentazione venne fatta a Roma e fu il primo esperimento di opera andato in scena all’interno di un
oratorio.
Subito dopo venne pubblicata l’opera di Rinuccini, L’Euridice, che venne prima pubblicata la parte poetica,
poi le musiche grazie a Caccini; infine Perri fece pubblicare invece un’altra raccolta sempre basata sulle
musiche dell’Euridice e tutto questo fu il frutto di una parte culturale che attraversava Firenze negli ultimi anni
del’500, infatti non si ha un’unica figura, ma di più.
Dalla lettura della prefazione si capisce come questi personaggi abbiano avuto un ruolo chiave per questo
genere e nello stile di canto, che si avvicinava al parlato, per questo Caccini e Perri si rifecero sempre alla
cultura greca.
Questo nuovo genere venne definito da Cavalieri, come un genere teatrale che era interamente fatto di musica,
infatti era possibile parlare di “recital cantando”; Caccini come uno stile di canto, ovvero la monodia
accompagnata che metteva in luce le qualità del cantare “cantar recitando”; Perri un nuovo stile di canto
pensato specificamente per le scene e commisuravano all’azione drammatica, infatti ha creato uno stile di canto
che era stato pensato apposta per la scena.
I principali elementi dell’opera del ‘600 sono la trama, la quale si incentra su argomenti di tipo mitologici e/o
pastorali, che presentano la tendenza a rispettare le unità di tempo e luogo, infatti hanno una prevalenza del
lieto fine, dei cori, monologhi e mutazione scenica. Più che altro nelle storie pastorali e mitologiche c’era molta
più prevalenza al canto, ma non rispetterà quasi sempre l’unità di tempo e il lieto fine era dato perché questo
genere veniva usato più che altro durante feste e cerimonie all’interno dell’ambito delle corti. I prologhi e i
cori rappresentavano il comento di che cosa succederà in scena e avevano la capacita di bloccare l’azione
drammatica e il mutamento della scena era considerato l’elemento spettacolare dell’opera barocca, che doveva
stupire gli spettatori.
Le caratteristiche principali delle prime opere consistevano in:
- Trame concentrate su argomenti pastorali/mitologici;
- Rispetto dell’unità di tempo e spazio
- Lieto fine
- Prologhi e cori
- Monologhi
- Canto realistico
- Scrittura in versi
- Mutazione scenica
In questo nuovo genere si mutava un nuovo stile di canto:
Stile recitativoà stile di canto che si articolava alla parola e consente di portare avanti l’azione drammaturgica
ed è accompagnata da una linea di basso. Si hanno due tipi di recitativo:
1- Quello che riprende il parlare ordinario dove la linea vocale procede per gradi congiunti e l’assetto
organico prevede accordi consonanti utilizzati in funzione ritmica e articolata;
2- Quello più mosso che prevede una curva melodica e perde la sua linearità e si fa più frammentata con
pause all’interno del verso per sottolineare i passaggi più intensi, per questo fatto nell’aspetto armonico
che lo accompagna è possibile trovare delle dissonanze.
Stile cantabileà stile di canto indirizzato ai pezzi chiusi dove il compositore poteva attingere al ricco
repertorio di stili e forme, che la tradizione del ‘500 e del ‘600 avevano elaborato nel corso del tempo.
- Aria da cantar versi: brani dove il testo è composto interamente con la struttura delle strofe e utilizza
una melodia standar, che poteva presentare una variazione per ogni strofa;
- Canzonetta: brani con il testo endecasillabo e settenario in forma strofica e presenta un andamento
brillante, infatti è costituito da versi misurati con ritmi di danza;

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- Madrigale solistico: presenta strofe con un numero differente di versi e impiegano uno stile di canto
declamato o arioso, cioè una via di mezzo fra aria e recitativo;
Sinfoniaà pezzo interamente strumentale che introduceva un atto, un’aria o un coro e aveva la funzione di:
- Accompagnamento sonoro al cambio scena o per il movimento dei cantanti;
- Caratterizzazione di specifici ambienti o personaggi;
- Funzione strutturale, cioè marcare le varie articolazioni strofiche di un’aria;
- Valenza decorativa;
Ritornellià pezzi meno complessi della sinfonia che vengono ripetuti ciclicamente tra le strofe dei prologhi e
delle arie.
LA FAVOLA DI ORFEO
àLibretto: A. Stringo
àMusiche: Monteverdi
Venne rappresentata il 24 febbraio 1607 a Mantova, in una delle stanze del palazzo ducale, e quest’opera nasce
come esperimento accademico (a Mantova troviamo l’accademia degli invaghiti, dentro alla quale ritroviamo
Monteverdi, Stringo e lo stesso principe) ed ebbe molto successo, infatti venne rappresentata una seconda volta
presso il teatro del palazzo e anche in altre città.
All’inizio quest’opera ebbe un problema di fonti, in particolare per la costruzione del finale, dove la favola
tradizionale ci racconta che Orfeo non riesce a recuperare l’anima della sua Euridice, ma visto che non era
possibile rappresentare la morte sulle scena, la morte di Euridice ci viene raccontata e per la prima
rappresentazione si ha l’uccisione di Orfeo da parte delle bacanti, a causa delle sue imprecazioni contro le
donne, mentre per la seconda rappresentazione si ha la salita al cielo di Orfeo grazie ad Apollo, che
rappresentava l’elemento più spettacolare e poi era anche compreso da un ambito di non accademici.
Per la composizione della musica, Monteverdi fece pubblicare due volte la partitura: una nel 1609 a Venezia,
con Petrucci, e una seconda ristampa avvenne nel 1615 e viene considerata la prima opera in musica effettiva
per il semplice fatto che partendo dal libretto, vengono richiamate una serie di fonti classiche, come le
Metamorfosi di Ovidio, e il quarto libro dalle Georgiche di Virgilio, ma anche fonti moderne come Poliziano
Fabula di Orfeo del 1480, il pastor fido di Guarini. Il tutto viene strutturato in cinque atti che si concludono
tutti con l’intervento del coro e si ha la presenta di un prologo iniziale, dove si presenta l’unione di gesti, danza
e pantomima e più che altro anche perché sorgono molti richiami danteschi, cioè la discesa e la risalita dagli
inferi.
Monteverdi struttura una partitura con un coro polifonico, in particolare quelli dei pastori che richiamano
momenti realistici e si ha una focalizzazione di Orfeo e Euridice, ma cosa più particolare Monteverdi nella
partitura non specifica gli strumenti che devono suonare, se non in momenti particolari.

🎶PROLOGO
MUSICA
Dal mio Permesso amato a voi ne vegno, incliti eroi, sangue gentil di regi,
di cui narra la fama eccelsi pregi,
né giugne al ver perch'è troppo alto il segno.
Io la Musica son, ch'a i dolci accenti so far tranquillo ogni turbato core, ed or di nobil ira,
ed or d'amore posso infiammar le più gelate menti.
Io su cetera d'or cantando soglio mortal orecchio lusingar talora,
e in guisa tal de l'armonia sonora
de le rote del ciel più l'alme invoglio.
Quinci a dirvi d'Orfeo desio mi sprona, d'Orfeo che trasse al suo cantar le fere, e servo fe'
l'inferno a sue preghiere, gloria immortal di Pindo e d'Elicona.
Or mentre i canti alterno, or lieti, or mesti, non si mova augellin fra queste piante, né s'oda
in queste rive onda sonante,
ed ogni auretta in suo camin s'arresti.

Il prologo viene affidato alla musica e non alla tragedia, come ritroveremo nell’Euridice, ma prima di essere
intonata, viene introdotta da una toccata strumentale. Ogni strofa del prologo viene interpretata con gli
strumenti e si evidenzia anche il fatto che in questo caso il recital cantando viene meno che nell’Euridice
fiorentina, anche se Monteverdi cerca di farlo rientrare nei limiti, riuscendo sempre a plasmare il tutto con
molta enfasi, infatti in questo caso noi troviamo lo stile del recitativo, ma non è il classico recitativo declamato

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che marca il testo, qui si vuole aggiungere qualcosa in più dove avvengono anche delle ripetizioni di alcune
frasi ed è ricco di madrigalismi e si hanno molti riferimenti, nel testo, al suono e al canto.
Ogni strofa viene intervallata da un momento strumentale, che evidenzia anche la musica come guida di Orfeo
nel gesto della mano nel prendere la lira che, nella rappresentazione di Ronconi 1998, troviamo Orfeo bendato.
4/03/2020
ARIA/LAMENTO DI ORFEO
🎶ORFEO
Tu se' morta, mia vita, ed io respiro?
Tu se' da me partita
Per mai più non tornare, ed io rimango?
No, che se i versi alcuna cosa ponno,
N'andrò sicuro a' più profondi abissi;
E intenerito il cor del Re dell'ombre,
Meco trarrotti a riveder le stelle,
Oh, se ciò negherammi empio destino,
Rimarrò teco in compagnia di morte.
Addio terra, addio cielo e sole, addio.

È l’aria che Orfeo canta nel momento in cui viene a sapere della morte di Euridice tramite la messaggera, che
poi si conclude con il coro. Non è un semplice sfogo di Orfeo, ma è anche il momento in cui decide di andare
negli inferi per riprendere la sua amata, e anche in questo caso ci ritroviamo ben oltre ad un semplice recital
cantando, dove la musica enfatizza determinati momenti del testo, infatti anche qui come nel prologo
ritroviamo molti madrigalismi dove la linea melodica disegna la discesa agli inferi e la salita con Euridice, ma
la maggior enfatizzazione viene data dalla ripetizione della frase “Tu se’morta, mia vita” e, in questo caso,
Monteverdi specifica gli strumenti che devono essere usati all’interno della partitura.

L’Orfeo di Monteverdi è una delle poche opere antiche che viene ancora rappresentata, dove vengono messe
in atto tutte le sperimentazioni, ma il ruolo fondamentale lo gioca la musica che riesce a far muovere gli affetti
con l’uso di elementi semplici.

STRUTTURAà in questo caso si ha una forma a panelli dove si ha una divisione che richiamava quella della
tragedia classica:
1 e 2 ATTOàCampi della Tracia
3 e 4 ATTOà inferi: in questo caso gli atti vengono chiuse dalle sinfonie infernali, eseguite dall’orchestra.
5 ATTOàRitorno nei campi di Tracia
Si hanno molti richiami strumentali, che ci vengono presentati prima del prologo, che ritornano nel corso
dell’opera e si hanno anche una chiara alternanza fra pezzi chiusi e recitativi che creano una forte tensione
drammatica voluta da Monteverdi e il personaggio di Orfeo presenta due pezzi chiusi che vengono posizionati
nel momento clu dell’opera, infatti si ha una struttura drammatica musicale molto forte.

La regia dell’opera ha delle pluralità in più rispetto al teatro di prova dove riscontriamo determinati problemi
che vennero riscontrati nel complesso strutturale, teatro poetico-testo musicale e in quello operativo, cioè
l’allestimento scenico, ma i problemi che sorgono sono:
1) Lo spettacolo e quindi la regia, su quale testo si deve basare;
2) Come mettere in scena un’opera del passato, secondo i nostri canoni estetici/visivi che sono lontani da
quelli dell’epoca passata;
3) La rapporto con il testo e la rappresentazione sono gli stessi del passato?
Da queste problematiche possiamo riscontrare questa serie di problematiche dove alcuni registri si lasciano
guidare completamente dal libretto, altri invece anche dalla partitura, anche se sono in pochissimi i registi che
sanno leggere le partiture musicali, infatti il rapporto fra direttore d’orchestra e regista spesso è molto
torbulente.

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LE CITTA’ DELL’OPERA DEL ‘600
Dopo gli esperimenti fiorentini il genere dell’opera comincerà a diffondersi nelle città più importanti fra cui
Mantova, Venezia e Roma, dove quest’ultima città gli spettacoli operistici venivano rappresentati all’interno
della corte dei Barberini, che finanziarono una serie di opere che vennero rappresentate all’interno dei loro
palazzi e anche nel teatro personale della famiglia. Le opere che vennero rappresentate furono:
- La morte di Orfeo, Landi, 1626
- La Catena d’Adone, D.Mazzacchi, 1626
- Sant’Alessio, Landià Fu una delle prime opere che venne rappresentata nel teatro dei Gesuiti, dove
si cominciarono ad usare nuove sperimentazioni, come l’uso di una storia a carattere religioso, infatti
ebbe un forte impatto.
🎶 POCA VOGLIA DI FAR BENEà troviamo Alessio vestito da mendicante e che si trova davanti
alla residenza del padre, dove a guardia di essa troviamo due guardie che si lasciano andare in questa
canzonetta abbastanza libera che presenta un carattere altamente popolare.
Un altro personaggio molto importante in questo periodo sarà G.L.Bernini che contribuirà anche lui nel genere
dell’opera dove gli vennero commissionate una serie di scene e macchine sceniche che venivano utilizzate
durante la rappresentazione.
Altro punto fondamentale della storia dell’opera viene segnata a Venezia dove si ha la nascita dell’opera
impresaria nel 1637, con la messinscena dell’Andromaca di B.Ferrari e F.Manelli, che venne finanziata da una
compagnia di attori. Da questo fatto capiamo che l’opera comincia ad essere concepita come un affare, cioè
qualcosa che si può vendere e sul piano produttivo cambia molto perché si comincerà a parlare di competenze
specifiche, infatti si avrà una forma più seria dove le rappresentazioni avvenivano spesso e non solo all’interno
delle corti, ma anche dei teatri, quindi si avrà anche un altro tipo di pubblico. Questi elementi cominceranno a
portare:
- Una maggiore produzione;
- Rinnovamento del repertorio;
- Si formeranno “convenzioni” operistiche sul piano drammatico musicale e rappresentativo;
- Potenziamento di altri elementi che permettevano di attirare il pubblico, dove la figura del cantante
verrà concepita come un personaggio e il canto è quell’elemento che attira l’attenzione del pubblico,
in particolare nel pezzo chiuso, infatti ci avviciniamo al bilanciamento fra recitativo e aria;
- Si parlerà dell’istituzione dell’opera, cioè l’OPERA COME UN GENERE.
9/03/2020
(lezione da casa)
L’INCORONAZIONE DI POPPEA 1643
È un’opera che simboleggia e rappresenta quelle che erano alcune tendenze dell’opera a Venezia degli anni
centrali del ‘600, che vede la comparsa dell’opera intesa come genere di intrattenimento della classe colta e
aristocratica partito già dal 1637. L’incoronazione di Poppea presenta una prospettiva sia per il genere
operistico sia anche per la produzione di colui che aveva inventato l’opera moderna, cioè Claudio Monterverdi.
Venne rappresentata a Venezia Teatro SS. Giovanni e Paolo, proprietà della famiglia Grimani, 1643, e segna
un passaggio vero e proprio della vera opera, anche se riscontreremo sempre alcuni problemi di carattere
attributivo e il libretto venne scritto da Gian Francesco Busenello (poeta veneziano), membro dell’accademia
degli incogniti.
L’incoronazione di Poppea rappresenta un caso unico nel repertorio seicentesco più che altro per le
problematiche che vengono riscontrate, il primo fra tutti è proprio quello che quest’opera viene considerata
l’ultima opera di Montervedi, ma in realtà non è cosi: quasi sicuramente Monterverdi non fu l’unico autore di
quest’opera e questo lo possiamo dedurre dalle fonti, sia librettistiche sia quelle musicali, ci confermano che
l’autore sia Monteverdi; sappiamo che con certezza che ci lavorò, tramite testimonianze, lettere… però negli
ultimi decenni sono venuti fuori molti dubbi sul fatto che Monteverdi sia stato l’unico autore che si occupò
della musica di quest’opera e questo è dovuto alla complicazione delle fonti.
Il libretto non venne stampato per la prima rappresentazione veneziana, ma venne stampata uno scenario
dell’opera, quindi un riassunto di quello che accadeva nell’opera, ma non il testo poetico completo, che venne
stampato solamente successivamente, cioè nel 1656, a Venezia con il titolo L’incoronazione di Poppea (testo
completo) che appare nell’edizione letteraria dei testi teatrali di Busenello, il quale non viene stampato come
libretto, ma come un vero e proprio testo letteraria con il titolo Delle ore ociose. Quindi Busenello raccoglie
tutti i suoi versi, tutti i suoi testi poetici e noi sappiamo che all’interno di esso troviamo anche l’edizione del
libretto dell’Incoronazione di Poppea. Un secondo problema riscontrato è quello che il testo non coincide con

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il testo che troviamo in partitura e da nessuna parte, né nello scenario né nel testo stampato da Busenello si
specifica che l’autore della musica sia stato Monteverdi.
Per quanto riguarda la partitura di quest’opera si hanno due partiture che sono entrambe acefale, non
contengono l’inizio dell’opera, e adespote, cioè non è specificato il nome dell’autore e sono conservate in due
posti diversi: la prima Biblioteca Marciana di Venezia mentre la seconda presso il Conservatorio S. Pietro a
Majella di Napoli. È stato ipotizzato che queste due partiture si riferiscono a due distinte rappresentazioni
dell’opera, ovviamente quella conservata alla Marciana si riferisce a quella rappresentata a Venezia nel 1643,
mentre la seconda si riferisce ad una esecuzione avvenuta a Napoli, forse in anni più tardi 1651. Il problema
più irrisolvibile è che le partiture contengono solamente le linee vocali e il basso continuo, quindi manca
l’orchestrazione delle linee vocali, ma abbiamo, però, le sinfonie e i ritornelli, inserti musicali che facevano
parte dell’opera, ma anche in esse troviamo delle differenze: in quella di Venezia sono a tre parti, mentre in
quello di Napoli sono a quattro parti, quindi si ha una strumentazione diversa, ma non sono segnati gli strumenti
che dovevano suonare, quindi la destinazione di queste parti strumentali non ce le abbiamo. Questo da adito a
numerosi problemi interpretativi perché il tutto si basa sulle riletture delle fonti, infatti si parla di ricreazione
dell’opera. Tutto questo ha provocato anche dei dubbi sull’autenticità e autorialità dell’opera, cioè possiamo
considerare realmente l’Incoronazione di Poppea una delle opere di Monteverdi: la maggior parte degli studiosi
si sono schierati, alcuni dei quali hanno messo in forse su Monteverdi sia stato l’autore dell’opera, anche perché
lui stesso era molto anziano e l’anno in cui venne rappresentato è anche l’anno della sua morte. Un caso molto
eclatante è dato dal duetto, situato alla fine dell’opera, che vede in scena i due protagonisti, ed è uno dei pezzi
più celebri dell’opera e fu anche l’oggetto che mise in discussione l’autorialità di Monteverdi, tanto vero che
tutti gli studiosi oggi sono d’accordo che questo duetto non è stato scritto da Monteverdi per i seguenti
elementi: nello scenario non compare questo duetto come finale dell’opera, il testo di questo libretto era già
stato edito nel libretto di un opera, Pastor Reggio di Benedetto Ferrari, compositore veneziano, e si penso che
fosse lui l’autore di questo duetto inserito nell’Incoronazione di Poppea; l’altra ipotesi è che una parte della
musica di questo duetto si ritrova in un’altra opera composta da Filiberto Laurenti, che fu l’autore del Trionfo
della Fatica, quindi sembra che per la musica del duetto l’autore si sia rifatto alla musica di Laurenti. Al di la
di queste complicazioni, dove oggi si presume che dietro a questo pezzo troviamo Monteverdi, ma anche
Benedetto Ferrari e Laurenzi, ma anche Francesco Cavalli, amico di Monteverdi e possedeva il manoscritto
dell’opera.
Dalla partitura del duetto si nota che il tutto viene costruito sul basso ostinato, molto semplice, e la melodia
viene enunciato dal basso, con un tetracordo discendente, e tutto viene costruito su una variazione del basso
ostinato dove al basso si ripete le note iniziali mentre le due voci si rincorrono e si intrecciano fra queste quattro
note.
Il testo di quest’opera è straordinario e fuori portata dell’epoca, sia per la perfezione del testo poetico sia per i
contenuti che per i soggetti, che all’epoca erano temi rivoluzionari. Besenello era membro dell’Accademia
veneziana degli incogniti, un’accademia molto progressista e votata ad un libertinismo intellettuale e con un
forte intento polemico, soprattutto con Roma e con il mondo della società cortigiana e delle monarchie assolute;
quindi un’accademia di forte modernità e pensiero critico, all’interno della quale matura un soggetto cosi
importante e non troppo comune fino ad allora dei soggetti musica.
Il valore rivoluzionario dell’opera è anche dato dal suo librettista, che faceva parte dell’ dell’Accademia
veneziana degli incogniti, dove all’interno della quale c’era uno spiccato libertinismo molto pronunciato, dove
frequentavano lo scetticismo e mettevano in discussione ogni credenza prestabilita, infatti nell’opera si hanno
molte frecciatine rivolte alle credenze precostruite, alle monarchie, poteri assolute, le società cortigiane e anche
molto anticonformista con una spregiudicatezza di linguaggio che nella Venezia dell’epoca era molto rara;
persino nell’Incoronazione di Poppea dove il soggetto è nuovo non solo per l’ambientazione, perché si passa
da soggetti mitologici alla Roma Antica, nell’epoca di Nerone, ma più che altro lo ritroviamo nel linguaggio
che viene usato nel libretto, nelle scelte stilistiche e nel livello espressivo che si passa a quella più aulica, usata
dall’imperatore romano, a quella più umile, usata per i personaggi di basso rango, ma quello che sottende tutto
il libretto è la forte polemica anti-romana, perché si dipinge in una Roma corrotta, c’è dietro la polemica
veneziana contro Roma, e poi c’è un chiaro filo che rimanda ad una spudoratezza, ad una sessualità esibita e
che viene sottolineata più volte, dove si hanno Nerone e Poppea che evidenziano in maniera chiara il ruolo di
amanti, infatti l’elemento dell’erotismo è quello che gioca un ruolo chiave e che serpeggia in tutta l’opera,
dove si ha una irrazionale sfrenatezza dei sensi e che porta a coinvolgere tutti i personaggi. Quindi il tipo di
linguaggio e lo stile erano nuovi dell’epoca, e vengono messe in ridicolo le credenze filosofiche e anche messe
in dubbio da Busenello, come la figura di Seneca, la figura filosofica storica per eccellenza, viene messo in
ridicolo nel momento della sua morte.

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L’opera viene ambientata nella Roma Antica all’epoca di Nerone, costruita con il Prologo e su tre atti, e anche
in questo caso il prologo ha una funzione importante perché presenta i successivi tre atti come una sorta di
gareggiamento fra te virtù: fortuna, amore e virtù e sono loro a discutere sul prologo su chi è in grado di
condizionare in maniera più evidente la vita degli uomini dove, alla fine, sarà l’amore, inteso come passione,
che vince su tutto, perché alla fine Poppea e Nerone riusciranno a coronare questa loro passione.
Le fonti principali che Busenello utilizza sono quelli tratti dalla storia antica, soprattutto quella romana.

TRAMA
Nel prologo, Amore afferma la sua autorità su Virtù e Fortuna, affermando che egli stesso muove il mondo e
i suoi sconvolgimenti politici. L'opera stessa ne è un esempio.
Nel I Atto Ottone, sotto la finestra di Poppea, spera di rivedere l'amata (E pur io torno qui), ma, scorgendo due
guardie di Nerone addormentate, scopre che Poppea è amante dell'imperatore, e fugge disperato. Le due
guardie si svegliano e maledicono l'amore tra Poppea e Nerone. Anche i due amanti si svegliano, e Nerone
promette a Poppea che troverà un pretesto per divorziare da Ottavia.
Ottavia è afflitta dal tradimento di Nerone (Disprezzata regina), marito fedifrago e uccisore di metà della sua
famiglia, e invano viene consolata da Seneca e dalla sua nutrice. Pallade Atena appare al filosofo, e gli predice
la prossima fine. Nerone confida a Seneca di voler ripudiare Ottavia per sposare Poppea, e Seneca lo
rimprovera per la sua relazione extraconiugale. Uscito il filosofo, Poppea chiede all'amato la morte di Seneca.
Ottone rimprovera l'ormai ex amante di infedeltà, e cerca consolazione con Drusilla, una donna innamorata di
lui. Con il II atto Pallade, anche Mercurio appare a Seneca predicendogli la prossima fine: e, infatti,
sopraggiunge un liberto che gli ordina di suicidarsi, su comando dell'imperatore Nerone. Seneca si congeda
dalla sua famiglia (Amici, è giunta l'ora), che si dispera per la sua morte, e si taglia le vene.
Dopo l'uccisione di Seneca, nella reggia Nerone festeggia con il poeta Lucano (Or che Seneca è morto), ma
Ottavia dapprima chiede ad Ottone di uccidere Poppea, e di fronte ai suoi rifiuti arriva a minacciarlo. Ottone
obbedisce, e chiede a Drusilla i suoi vestiti per introdursi più facilmente negli appartamenti di Poppea.
Negli appartamenti di Poppea, la donna esulta per la morte del vecchio filosofo e per la sua prossima ascesa al
trono, e si addormenta, vegliata dalla fidata nutrice Arnalta (Oblivion soave). Entra Ottone, pronto a uccidere
la traditrice, ma interviene Amore in persona, che risveglia Poppea e Arnalta: la nutrice ordina ai servi di
inseguire quella che sembra Drusilla, mentre Amore esulta per aver salvato la sua protetta.
All’apertura del III atto Drusilla attende il ritorno di Ottone, prefigurando la morte della rivale (O felice
Drusilla), ma viene raggiunta dai littori, guidati da Arnalta, che la conducono al cospetto dell'imperatore, con
l'accusa di aver attentato alla vita di Poppea. Drusilla si assume tutte le responsabilità, per difendere l'amato,
ma anche Ottone, di fronte a Nerone, afferma di aver agito senza l'aiuto di Drusilla, per ordine di Ottavia.
Nerone, che finalmente ha trovato un pretesto per ripudiare la moglie, manda in esilio i due amanti e rassicura
Poppea sulle sorti dell'ormai ex moglie. Ottavia viene imbarcata su una nave durante un naufragio, e dà il suo
addio a Roma (Addio, Roma), mentre la nutrice Arnalta esulta per l'incoronazione della pupilla. Il popolo
acclama la nuova imperatrice, e l'opera si chiude con un duetto tra i due novelli sposi (Pur ti miro - Pur ti godo).

Due opere importanti che riscontriamo sono anche il Il ritorno di Ulisse in Patria (Monteverdi, 1640 su
libretto di Giacomo Badoaro) e poi la coronazione di Poppea (Monteverdi, 1643 su libretto di Giovanni
Busenello). Quest’ultima opera vediamo tutto il percorso che porterà questa coppia a coronare questo sogno,
cioè quello di Poppea di diventare imperatrice di Roma e per fare questo deve sedurre Nerone, che alla fine ci
riesce e viene evidenziato dal duetto finale. Presenta anche alcune delle convenzioni dell’opera veneziana,
dove si evidenziano le tipologie dei pezzi chiusi, che lo spettatore si aspetta:
• L’aria comicaà riguarda i personaggi di rango inferiore;
• Il duetto amoroso
• La scena di lamento
• La scena di sonnoà un personaggio si addormenta, magari ad una melodia seducente
• Scena di invocazione o incantamento
• Scena di follia
Si prevedeva almeno due momenti topici all’interno dell’opera, infatti le ritroveremo anche all’interno delle
opere del ‘700.

🎶Scena di Lamento: era un topos diffusissimo nelle opere dell’epoca dove si ha l’aria di Ottavia “Disprezzata
Regina”;

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Disprezzata regina,
del monarca romano afflitta moglie, che fo, ove son, che penso?
O delle donne miserabil sesso:
se la natura e 'l cielo
libere ci produce,
il matrimonio c'incatena serve.
Se concepiamo l'uomo,
o delle donne miserabil sesso,
al nostr'empio tiran formiam le membra, allattiamo il carnefice crudele
che ci scarna e ci svena,
e siam forzate per indegna sorte
a noi medesme partorir la morte.
Nerone, empio Nerone,
marito, o dio, marito bestemmiato pur sempre,
e maledetto dai cordogli miei, dove, ohimè, dove sei?
In braccio di Poppea,
tu dimori felice e godi, e intanto
il frequente cader de' pianti miei
pur va quasi formando
un diluvio di specchi, in cui tu miri, dentro alle tue delizie, i miei martiri.
Destin, se stai lassù,
Giove ascoltami tu,
se per punir Nerone
fulmini tu non hai,
d'impotenza t'accuso,
d'ingiustizia t'incolpo;
ahi, trapasso tropp'oltre, e me ne pento, sopprimo e seppellisco
in taciturne angosce il mio tormento.

Il testo è molto anticonformistico dove si evidenziano affermazioni molto forti dell’epoca, come quelle sulle
donne, in cui Ottavia non solo si lamenta, ma denuncia il suo stato donna che viene sfruttata e incatenata dal
matrimonio di Nerone, dove lei deve essere sempre al suo servizio, e può predisporre della sua vita, infatti alla
fine Nerone la repudia e sarà costretta a lasciare Roma. È un’aria che Monteverdi disegna tramite l’espressione
degli affetti ed è un’aria che segue il percorso mentale di Ottavia, partendo dalla sua denuncia sulla sua
condizione di donna imperatrice, ma schiava e serva di Nerone e poi il passaggio sulla situazione personale,
quando capisce che Nerone la sta tradendo, fino a offenderlo e alla fine pentirsi. La parte di Ottavia prevede
una grande presenza scenica, infatti già dalla prima rappresentazione ebbe un forte impatto, in particolare
anche per l’interprete che fu Anna Renzi, grandissima cantante, che era dotata di una grande presenza scenica,
dove il pubblico notò questa capacità di restituire tutte le caratteristiche del personaggio di Ottavia che è un
personaggio molto complesso, essendo moglie, imperatrice ripudiata e augura il peggio a Nerone, ma poi si
pente, quindi ha una gamma di affetti e questo è servito a Monteverdi per scrivere la musica.

La componente comicaà🎶Duetto tra Damigella e Valletto: è un pezzo chiuso leggero dove viene eseguita da
due personaggi della corte romana, dove anche loro sono contagiati da questo amore erotico passionale, ma si
mette in luce anche la nascita di un amore ingenuo, come il primo amore fra due ragazzi, e questo evidenzia
anche il mescolamento dei registri all’interno dell’opera.
L’incoronazione di Poppea è un’opera che ci presenta una diversità delle opere del ‘600, soprattutto da essa si
comincia a stabilire un diverso rapporto fra il numero di recitativi e di arie: all’inizio del ‘600 l’opera era
fondamentalmente costruita sul l’uso del recitativo, ora alla metà del ‘600, si ha un giusto equilibrio fra
recitativi e arie, dove queste ultime sono di un numero maggiore. L’elemento più interessante è quello del
compositore su come riesce a mettere in evidenzia i contenuti espressivi del libretto, nel caso di Monteverdi si
hanno due interventi: una intercalazione o spostamento di versi, cioè Monteverdi sposta dei versi da un punto
all’altro della scena per ragioni espressive, e la ripetizione di unità verbali di varie lunghezze, che servono per
rafforzare determinati concetti del libretto. Fu uno dei primi compositori a reinterpretare il testo poetico, dove
sforza il testo per far sorgere meglio l’espressione dell’estetica degli affetti. Questo aspetto lo si rispecchia

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nella scena n 3 dell’atto primo, dove si ha il primo incontro fra Nerone e Poppea, che hanno appena finito un
incontro amoroso (di carattere sessuale) e Nerone e Poppea discutono sul da farsi e si ha una Poppea molto
dolce e suadente, dove gli chiede di non lasciarla, ma in realtà è tutta una trappola escogitata da Poppea perché
vuole sapere se la loro relazione può sorgere alla luce. Nerone cade nella trappola dell’amante dove gli rivela
che la loro relazione non può sorgere alla luce, ma Poppea cerca di convincere Neorne di farla sorgere fino a
quando Nerone non le rivela che lui può sempre ripudiare la moglie e a quelle parole Poppea rimane estasiata
che se le fa ripetere più di una volta.
Non si tratta di un pezzo chiuso, perché da un punto di vista poetico e musicale la scena è resa da un testo
composto da versi endecasillabi e settenari, con pochissime eccezioni, ma in realtà questa parte del libretto
cosi concepito, con versi sciolti, si sarebbero adatti ad uno stile recitativo, ma Monteverdi lo fa iniziare come
un recitativo ma andando avanti si piega tramite delle ariete cantabili. Tutto il brano è costruito su una
progressiva aggressività di Poppea per far in modo che Nerone ripudi la moglie e tutta la prima parte, dove
Poppea è dolce e suadente fino a quando Nerone non dice che deve partire da qui Poppea diventa ancora più
suadente e questo sesso è trattato con madrigalismi e cromatismi, che sottolineano questa forte espressività di
Poppea che sta cercando di trattenere Nerone, fino a quando Nerone non dichiara che può ripudiare la moglie
e qui ritroviamo uno stile concitato da li in poi, eseguito da Poppea. Attraverso questo stile concitato mette in
evidenzia l’aggressività di Poppea per fa si che Nerone ripudi la moglie, come se Poppea si trovasse in uno
stato di furore dato dal fuoco amoroso e l’ambizione di diventare imperatrice.
In un altro passaggio emotivo del pezzo nel momento in cui Poppea ottiene quello che vuole dove Monteverdi
aggiunge due ariete (due piccoli pezzi chiusi) dove sorge l’accordo che i due personaggi hanno trovato e viene
messo in evidenzia da queste ariette, ma la cosa che ci sorprende è che Monteverdi frammentasse il testo
tramite stili diversi, che seguono i sentimenti provati dai due personaggi, creando cosi piccole scene e per ogni
stato d’animo abbiamo uno stato d’animo diverso.
La parte finale, dove è un altro momento di seduzione da parte di Poppea, Monteverdi inserisce una dissonanza
sulla parola “tornerai”, che sembra sedurre con la parola dissonante Nerone.

🎶Pur ti miro, pur ti godo: è il duetto iniziale, costruito su un basto ostinato che esegue un tetracordo
discendente (SOL-FA#-MI-RE) che si ripete per tutto il duetto, mentre le due voci si intrecciano, creando delle
modulazioni di queste quattro note. È da questo che sono partiti i dubbi su l’autenticità di Monteverdi. [testo
slide]

🎶Aria «Disprezzata regina»: aria di lamento di Ottavia, dove si apprezza il testo, che contiene alcuni dei punti
di vista anticonformistici delle donne nel mondo veneziano dell’epoca.

🎶Duetto Damigella-Valletto: qui troviamo un registro basso, dove il testo gioca su assonanze e versi più brevi
che invitano al canto lo spettatore, infatti sembra una canzoncina. Nelle opere del ‘600 ritroviamo scene leggere
dove i veri protagonisti sono personaggi minori.

🎶Duetto Nerone-Poppea: duetto di straordinaria importanza per capire come Monteverdi ha lavorato sul
libretto, dove l’aspetto da considerare è il passaggio fra i passaggi eseguiti nel modo recitativo e le ariette con
lo stile concitato, dove la musica si piega sul testo.

Tra la prima metà e la seconda metà del ‘600 si verificano dei cambiamenti all’interno del genere dell’opera
in musica, tramite due aspetti fondamentali: il primo un cambiamento dei soggetti e degli intrecci, dove
quest’ultimo era dominato dalla favola pastorale e soggetti mitologici, nella seconda metà del ‘600 rimane il
soggetto mitologico, ma anche quelli tratti dalla storia antica, in particolare dalla storia romana; le fonti di
questi libretti potevano essere le più variate e il cambiamento dei soggetti incide anche sul comportamento dei
personaggi e come essi vengono resi in musica. Il secondo cambiamento è quello dello stile operistico, dove
all’inizio del ‘600 l’opera in musica nasce come una forma di recital cantando, cioè una forma intonata dove
il testo viene intonato in maniera piana con alcuni pezzi chiusi, ma con la seconda metà del ‘600 troviamo
molti più individui dediti al canto, ma anche compagnie di canto, che portarono lo stile vocale comincia a
evolversi, dove si ha una maggiore presenza scenica da parte dei cantanti, dove non si ha una netta suddivisione
fra recitativo e pezzo chiuso, ma le ariette, canzoni o scene dove il canto ha il ruolo maggiore si vanno infilare
all’interno del recitativo creando una struttura mobile, varia. Non si ha più quella monotonia del testo intonato
dal recitativo, ma la musica assume un ruolo maggiore sul testo creando una varietà di espressione e questa

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mescolanza di stili recitativo e cantabile sono essenziali per cogliere la grande ricchezza dell’opera ‘600, infatti
un altro aspetto fondamentale dei registri espressivi elevati e quelli bassi.

10/03/2020
(lezione da casa)
L’OPERA DEL SETTECENTO
L’opera nel ‘700 diventa un genere che viene praticato in tutta Italia e ebbe anche un grande successo,
diffondendosi sia nei teatri d’Italia e di Europa. Ad eccezione della Francia che rimane fedele alla sua
formazione del genere dell’opera, nel resto dell’Europa si cominciarono a rappresentare un gran numero di
opere italiane, facendo diventare la lingua italiana, la lingua del canto e della musica, e a testimonianza di
come l’opera entra nella cultura europea è data dal fatto che andare a vedere una rappresentazione operistica
era considerato fondamentale nei tour che i rampolli dell’ aristocrazia europea facevano in Italia, per vedere
da vicino i grandi capolavori dell’arte, compreso il vedere le rappresentazioni operistiche nei grandi teatri.
Con questi cambiamenti si evidenzia anche quello che si svolge nei confronti del libretto, che rimane un testo
per musica, ma acquista una valenza letteraria nuova, dove i libretti di Metastasio diventarono una propria
raccolta teatrale a stampa, quindi che si può leggere comodamente nei salotti.
Nasce un modo di fruire dell’opera diverso, rispetto a quello del ‘600, che era influenzato ancora da quella
dall’opera di corte, e viene sentita ancora oggi, infatti in si parlerà di teatri all’italiana, con l’importanza del
luogo teatrale, con la struttura a palchetti e la platea, e la rappresentazione operistica diventava un evento
sociale che incideva sull’aristocrazia del periodo, quindi il modo di fluire dell’opera era diverso da come lo
intendiamo oggi.
Un altro aspetto che distingue l’opera del ‘600 da quella del ‘700 è la dimensione vocale dove nel ‘700 è la
grande epoca dei cantanti, in particolare dei castrati, che riscontrano un grande successo, e la vocalità operistica
si caratteristica su un sistema misto, dove si hanno voci femminili (contralto-soprano) che intrepretavano non
solo i ruoli femminili, ma anche giovani del sesso opposto; dall’altra parte si hanno le voci maschili (basso-
tenore) che interpretano ruoli maschili che interpretavano personaggi autorevoli, infine i castrati, che a loro
volta potevano essere sopranili o contraltini, e che erano le voci più particolari perché la castrazione permetteva
alla voce di eseguire note che altre voci non potevano eseguire e di avere una gamma estesa della voce verso
l’acuto che le rendeva straordinarie, cosi che entrano nell’immaginario del ‘700 (Farinelli).
Il ‘700 è anche il secolo delle grandi riforme operistiche dove l’opera diventa un elemento di discussione e
riflessione, di moltissime accademie, filosofi, letterati e guardano l’opera come un ingrediente buono o cattivo
della cultura dell’epoca. È visto come il secolo principe delle polemiche che sorgono per questo genere, cioè
se bisogna dare più rilievo alla musica, come condiziona o avanzare sul testo, o al testo poetico, e all’inizio
del secolo assistiamo alla prima riforma del genere operistico che serve a mettere in ordine quella varietà
estrema che aveva caratterizzato l’opera del ‘600 e il primo passo è quello di cacciare l’elemento buffo, creando
cosi due filoni: quello dell’opera seria, che mette in scena il racconto di personaggi storici, eroi, appartenenti
alla aristocrazia e che si esprimono con un linguaggio alto e non troveremo più scene comiche, e l’opera
comica, che invece è caratterizzata da personaggi borghesi e che svilupperà alcuni suoi meccanismi particolari.
L’OPERA CON METASTASIOù
La grande tradizione dell’opera italiana sarà l’opera seria, ma l’artefice principale, dei vari elementi che si
stanno riscontrando, si deve al poeta Pietro Trapassi (Metastasio), che divenne il librettista più famoso della
sua epoca, infatti si parlerà più che altro di opera metastasiana.
Metasaio nasce a Roma nel 1698 e morirà 1782, passando gran parte della sua vita presso alla corte di Vienna
come librettista della casa degli Asburgo, come poeta dell’imperatore. Si formerà presso l’accademia
dell’Arcadia, dove apprende la sua formazione, ma l’avvicinamento al mondo del teatro è dato
dall’avvicinanza del mondo dei cantanti e dagli attori, ma più che altro è dovuto dalla conoscenza della cantante
Marianna Benti Bugarelli, che conosce a Napoli e sulla quale modella la parte della sua prima eroina, cioè
Didone, 1724, con le musiche di Domenico Sardo.
A Roma Metastasio si forma come un poeta colto, erudito che ha rapporti con i più importanti letterati del
proprio tempo, e grazie a questa formazione alta lui riesce a mobilitare il testo e la poesia per musica, fino a
farle acquistare una valenza di opera letteraria. L’altra città fondamentale per la sua formazione fu Napoli,
dove viene a contatto con la realtà viva del teatro e conosce i compositori più celebri come Domenico Sardo,

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Leonardo Vinci e Nicola Porpora. Nel 1730 Metastasio si trasferisca e Vienna e qui diventa poeta cesario, cioè
poeta dell’imperatore austriaco. Negli anni viennesi entra in contatto con i compositori Hasse, con il quale
mette in scena alcune sue opere.
Ritroviamo vari giudizi che vennero fatti a Metastasio fra cui quello di Carlo Goldoni, il quale scrisse, nella
dedica del Terenzio (1754) “Le dolcissime ariette vostre che sono altrettanti elegantissimi madrigali, cantano,
si può dire da per se stesse, e svegliano talmente la fantasia del maestro, ch’egli con poco studio può farsi
onore grandissimo”à è un elemento sostanziale delle capacità di Metastasio dove le ariette contengono già
al loro interno una musicalità, all’interno della costruzione delle frasi, quindi sembra che cantino da sole.
Un altro giudizio rilasciato a Metastasio è quello di Saverio Mettei, in Memorie per servire alla vita di
Metastasio, 1785, che scrisse: “Deesi al Metastasio quella fluidità e quella melodia delle nostre arie: i suoi
metri destavano ne’ maestri di musica i motivi e le idee.” Da questi giudizi possiamo capire quali erano le sue
abilità.
Metastasio ha dato l’impronta ad un determinato tipo di libretto, particolare, caratterizzato da una lingua
poetica molto musicale, data dalla struttura metrica, ritmica e sintattica e costruita su una serie di assonanza,
che si legano bene alla musica. La maggior parte delle opere di questo periodo venivano messe in scena si
basavano sui libretti di Metastasio, e che si prestavano a diverse letture di diversi compositori.
Le principali caratteristiche dell’opera metastasiana sono:
• Articolazione in 3atti ciascuno dei quali formato da una media di una dozzina di scene;
• 2/3 cambi scena per ciascun atto;
• Cast formato da sei o sette personaggi. Tra questi compare spesso la figura di un sovrano (illuminato
o meno) e personaggi di alto lignaggio legati al principe;
• Fonti storiche, in particolare della Storia Romana;
• Focalizzazione su un’azione principale, contornata da una serie di intrecci secondari tutti però connessi
a quella principale;
• Una intelaiatura verbale suddivisa tra recitativo (versi sciolti) e aria (strofe isometriche, versi misurati,
prevalentemente settenari e ottonari)àin totale venivano contate 22 arie più o meno;
• Assoluta preminenza delle arie solistiche (spazio ridotto per duetti e cori);
• Un numero di arie complessivo per ciascuna opera che si attesta attorno a 25 unità;
• Predominio assoluto delle cosiddette ‘arie d’ingresso’ o d’entrata, ossia arie collocate alla fine della
scena dopo le quali il personaggio rientra dietro le quinte;
• Attenta osservanza del principio di rotazione nella distribuzione delle arie tra i vari personaggià i
personaggi più importanti hanno lo stesso numero di arie (più o meno), ma anche le tipologie di arie
che vengono prese in esame, aria di paragone, di furore, a carattere amoroso, li ritroviamo all’interno
del teatro di Metastasio, che vengono variate fra gli atti;
Questi sono gli elementi ricorrenti che ritornano sempre sulle opere basate i libretti di Metastasio e il tutto si
muove verso una struttura di ordine e omologato, dove si ha una ricerca di equilibri dei vari elementi principali.
Metastasio fu un poeta apprezzatissimo come autore dii libretti di musica, per l’altissima qualità poetica e
anche perché prestavano attenzione agli aspetti eufonici, metrici e ritmici, tutti aspetti che favorivano alla
musicazione e questo risultato si deve anche alla familiarità che Metastasio sviluppò con il contatto con il
teatro.
La poetica metastasiana si articolava più che altro sulla centralità della parola poetica, infatti si è parlato propria
di una vera e propria dittatura della parola, caratterizzata:
• Semplicità e chiarezza del linguaggio;
• Regolarità metrica e ritmica rispetto alla polimetria utilizzata in precedenzaà nel ‘600 troviamo
strutture metriche varie ed eterogenee e Metastasio afferma una regolarità che prima non c’eraà uso
di strofe isometriche composte da versi settenari e ottonari;
• Eufonia delle rimeàun gioco eufonico e razionalità dell’suo delle rime che aiutano l’intonazione;
• Tendenza alla simmetria speculare e alla bipartizione degli elementi;
• Tendenza a concludere ciascuna strofa con un verso tronco, cioè con un forte accento tonico che possa
favorire l’inserimento di una cadenza per la parte vocale;
è un lavoro di regolamentazione dei pezzi chiusi e dei recitativi e un esempio lo si ricava dall’aria Da Voi cari
Lumi tratta dall’ Attilio Regolo:

1° strofa
Da voi, cari lumi,

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dipende il mio stato:
voi siete i miei numi:
voi siete il mio fato:
a vostro talento mi sento
cangiar.
2° strofa
Ardire m’ispirate,
se liete splendete;
se torbidi siete,
mi fate tremar.

Ci troviamo in una situazione dove il protagonista dichiara il suo amore alla donna amata, dove l’affetto che
l’aria elude è quello dell’amore che il protagonista sta dichiarando e viene moltiplicato dalla ripetizione
ossessiva del suo stato d’animo data dalle parole. Quindi si ha un complesso di richiami interni che fanno si
che vengano fuori una sorta di ripetizioni ossessive che serve a sottolineare la sua assoluta dipendenza data
dalla donna che ama. L’uso della struttura paratattica, cioè sintattica, dove ogni verso contiene un concetto
molto chiaro che viene amplificato dal verso successivo. Tutte le arie metastasiane sono state strutturate in
questo modo, a parte qualche eccezione, dove si hanno anche giochi di carattere di tipo ritmico e sonoro, che
il compositore può sfruttare.
Per quanto riguarda il recitativo l’opera del ‘700 adotta due tipi di recitativi:
Recitativo seccoà sostenuto dai soli strumenti del basso continuo;
Recitativo Accompagnatoà sostenuto da tutta l’orchestra è un recitativo molto più ricco musicalmente;
Per una buona parte del ‘700 il recitativo accompagnato viene accompagnato dagli archi, ma questi due
convivono all’interno dell’opera del ‘700 e quindi la maggior parte dei recitativi sono secchi, ma ci sono casi
che si hanno anche quelli accompagnati, in momenti di maggiore enfasi su un dialogo, su una situazione che
deve essere enfatizzata maggiormente, ma fatto sta per le opere metastasiane si previlegia il recitativo secco,
perché Metastasiano, tramite lettere, non adorava il recitativo accompagnato per il semplice fatto che aveva
paura che l’orchestra coprisse la voce.
I pezzi chiusi dell’opera metastasiana riguardano solo un unico personaggio, costruita con la struttura d’aria
col da capo, dove si mette insieme elementi formali sintattici, sia elementi di carattere stilistico e metrico.
Un esempio lo possiamo vedere nell’aria 🎶Superbo di me stesso tratta dall’Olimpiade, con le musiche di
Pergolesi e il libretto di Metastasio.

Superbo di me stesso
andrò portando in fronte
quel caro nome impresso,
come mi sta nel cor.

Dirà la Grecia poi


che fur comuni a noi
L’opre, i pensier, gli affetti,
e al fine i nomi ancor. (parte)

Si nota la struttura in due strofe che vengono non intonate in maniera continuata, ma vengono incastonate in
una struttura sintattica-morfologica con l’aria col da capo.

Questo schema ci indica che l’aria che


si è visto viene intonata con il ritornello e poi la prima parte dell’aria, che intona la prima quartina, che viene
modificata nella tonalità di impianto che poi si muove verso la dominante e si ha la ripetizione della prima
quartina seguita poi dal ritornello. In questa sezione A e A’ è quello che si muove fra il I-V-I grado, in cui

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sento due volte la prima strofa. Nella seconda sezione, B, con il ritornello, dove sento l’esecuzione della
seconda quartina, che viene musicata da una tonalità contrastante, rispetta a quella della tonalità scelta, e la
sento una sola volta e dopo di che ho il da capo, dove risento le sezioni A e A’.
Succede che di fatto, da un punto di vista musicale, io compositore le distribuisco in una struttura penta
tripartita e la cosa che arricchisce questa struttura è che il da capo viene abbellita dal cantante, rispetto a come
lo ha eseguito la prima volta.
Questo tipo di struttura dell’aria col da capo, si prestava bene ad un tipo di estetica che si focalizzava sui valori
del canto e salvaguardava l’intento estetico dei compositori e dall’altro quello del pubblico e dei cantanti, per
poter far sentire la brillantezza delle loro voci.

11/03/2020
(lezione da casa)
Nelle partiture del ‘700 la parte del “da capo” non veniva scritto per intero, ma veniva indicata alla fine della
sezione B la sigla da capo.
🎶Tu me da me dividi, dall’Olimpiade, di Pergolesi

Tu me da me dividi,
barbaro, tu m'uccidi;
tutto il dolor ch'io sento
tutto mi vien da te.

No; non sperar mai pace.


odio quel cor fallace;
oggetto di spavento
sempre sarai per me.

Viene eseguita dalla protagonista Aristea, ed è un altro esempio di aria col da capo, dove si ritrova in una
situazione drammatica, infatti la possiamo definire un’aria di forore, dove Aristea si scaglia contro Licidida,
con il quale è costretto a sposarsi dopo aver perso il suo amante, Meclate, e quindi Aristea si scaglia contro
Licidida, ritenendolo un barbaro che le uccide il suo cuore. Anche in questo caso ritroviamo molti elementi
dell’estetica della poetica metastasiana, per esempio già dal primo verso si gioca sull’allitterazione di alcuni
suoni (M, D), l’uso delle anafore, che già predispongono il testo ad una certa musicazione e intonazione di un
certo tipo e in quest’aria c’è da notare un altro aspetto importante, cioè il testo è predisposto ad assecondare il
gesto che il cantate fa anche in maniera spontanea, quindi si predispone degli elementi di gestualizzazione dei
cantanti.
In questo caso Pergolesi sottolinea, tramite la musica, il verso “barbaro tu m’uccidi” che viene ripetuto più
volte, dove viene enfatizzato l’aggettivo che lo stesso Metastasio sottolinea tramite la scrittura e lo stesso
compie Pergolesi con la musica.
Quest’aria fa capire bene come, al di la dello schema della struttura dell’aria col da capo, poi i compositori
sapessero ricavava uno spazio dedicato all’autonomia espressiva e affettiva ricavati da questi elementi e
rappresenta anche uno degli elementi fondamentali dell’opera del ‘700, cioè come il compositore ricavava i
margini di libertà all’interno dello schema.
Un altro caso particolare che si può fare è quella di un’aria composta su tre strofe, cioè “Se Cercasi, se dice”,
un l’atra aria tratta dall’Olimipiade di Metastasio, molto famosa e venne musicata da tantittisimi compositori
ed è riformulata fino ai primi dell’800. Presenta una struttura particolare dove non ritroviamo più due strofe,
ma tre e la domanda che sorge è quella come si modellano esse?
Possiamo mettere a confronto l’aria musicata da Vivaldi, nel 1734, e quella di Pergolesi, musicata nel 1735:
🎶VIVALDI
Se cerca, se dice:
«L’amico dov’è?».
«L’amico infelice»
rispondi, «morì»

Ah no! sì gran duolo


non darle per me:
rispondi ma solo:

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«Piangendo partì». àMelisma

Che abisso di pene


lasciare il suo bene,
lasciarlo per sempre,
lasciarlo così!

SCHEMA: 1""""""""""1""""""""""""""2"""”””””””””"1+2+3"
A rit+ A’ rit+ B (=var. A) rit. // A A’

Ci troviamo in una situazione drammaturgica dove Meglate ha gareggiato alle gare al posto di Licidida, perché
il vincitore delle olimpiadi avrebbe sposato Aristea, che appena saputa la notizia del vincitore lei sviene e
Meglate si lascia andare in questa aria di lamento dove in un primo momento pensa di dirle che muore, poi ci
ripensa e decide di dirle che parti e da questo fatto si lascia andare in questo canto doloroso.
Vivaldi livella tutte tre le strofe, mantenendo la stessa linea melodica, infatti la possiamo definire una aria
strofica perché noi ascoltiamo la stessa musica per la prima, seconda (anche se variata un minimo) e la terza
strofa, dove però in quest’ultima viene utilizzata come una semplice coda e viene ascoltata solamente una volta
nella sezione del da capo. Meglate sembra accettare il proprio destino e la musica gioca su determinate aspetti
tramite le dinamiche su determinate parole. Non si ha un aspetto conflittuale, ma si amalgama su un materiale
musicale lineare, dove si hanno delle enfasi su determinate parole, in particolare su piangendo dove si compie
un melisma.

🎶PERGOLESI
Se cerca, se dice:
«L’amico dov’è?».
«L’amico infelice»
rispondi, «morì»

Ah no! sì gran duolo


non darle per me:
rispondi ma solo
«Piangendo partì».

Che abisso di pene


lasciare il suo bene,
lasciarlo per sempre,
lasciarlo così!

SCHEMA
1""""""""""""2"""""""""""""1+2"""""""""""""3"""""""""""""""1""""2"""""""""1+2""""""3"
A+ B Rit. + A’+ B Rit C Rit. // A B Rit. A’+B+. C

È strutturato musicalmente in maniera diversa, rispetto a quello di Vivaldi, dove si ha una rdicale diversa
interpretazione del testo poetico, dove Pergolesi crea un contrasto emotivo che anima il personaggio, che lo si
riscontra anche tramite le strofe. Nella seconda strofa, Pergolesi inserisce alcune parole che nel testo non
ritroviamo, e questo lo fa per sottolineare al meglio le incertezze di Meglade, dove anche gli archi gli
rispondono; mentre la terza viene messa in evidenzia perché viene inserito un finale più veloce, infatti si passa
da un allegro ad un presto (agogica).
L’interpretazione fornita da Pergolesi è molto diversa da quella di Vivaldi, dove Pergolesi accentua questo
conflitto interiore di Meglate caratterizzando ciascuna strofa in maniera differente e soprattutto dando un peso
diverso alla strofa finale, dove Vivaldi tornava solamente nel da capo, mentre Pergolesi la fa tornare due volte
e la stacca dalle due strofe precedenti dandole un peso differente.
Metastasio guardava cin molto sospetto la struttura del da capo perché nel momento del da capo i cantanti
strazziavano il testo e questo stra potere dei cantanti portò alcuni letterati a prendere in giro il cantante, fra cui
Benedetto Marcello che scrisse “Il teatro alla moda” (1720 Venezia).

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“A' musici. Non dovrà il virtuoso moderno aver solfeggiato, né mai solfeggiare, per non cader nel pericolo di
fermar la voce, d'intonar giusto, d'andar a tempo, etc., essendo tali cose fuori affatto del moderno costume.
Non è molto necessario, che il virtuoso sappia leggere , o scrivere, che pronunzii ben le vocali ch'esprima le
consonanti semplici o replicate, che intenda il sentimento delle parole, etc.; ma bensì che confonda sensi,
lettere, sillabe etc. per far passi di buon gusto, trilli, appoggiature, cadenze lunghissime, etc. etc. etc. [...] sino
a tanto si fa il ritornello delle arie, si ritirerà il virtuoso verso le scene, prenderà tabacco, dirà agli amici che
non è in voce, ch’e raffreddato, etc.; e cantando poi l'aria avverta bene che alla cadenza potrà fermarsi quanto
gli pare, componendovi sopra passi e belle maniere ad arbitrio, che già il Maestro di cappella in quel tempo
alzerà le mani dal cembalo, e prenderà tabacco, per attender il di lui commodo. Dovrà parimenti, in tal caso,
ripigliar fiato più d'una volta, prima di chiudere con un trillo, quale studierà di battere velocissimamente a
principio, senza prepararlo con messa di voci, e ricercando tutte le corde possibili dell'acuto. [...] Tornando
da capo, cambierà tutta l'aria a suo modo, e quantunque il cambiamento non abbia punto che fare col Basso,
o con li virtuosi, e convenga alterare il tempo, ciò non importa, perchè già (come si è detto di sopra) il
compositor della musica è rassegnato.”

In questo estratto Benedetto Marcello indirizza tutti gli abusi dei cantanti e li prende in giro di quelle che erano
le peggiori abitudini dei cantanti dell’epoca.
Questo della vocalità, del stra potere dei cantanti e che poteva contribuire o meno al successo dell’opera, portò
ad una crisi del teatro metastasiano avvenuta nel 1760, quando i testi di Metastasio non sono più adatti a questo
stile, che si sta evolvendo, sicuramente la figura del cantante e un certo tipo di vocalità ha influito tantissimo
a questa crisi. Un primo elemento è dato che all’interno dell’opera metastasiana non ci sono molti pezzi di
insieme, perché si ha un sistema di rotazione dei personaggi che non prevedeva più di un tot personaggi sulla
stessa scena, a si hanno anche delle eccezioni, infatti nell’Olimpia di Pergolesi troviamo il duetto «Ne’ giorni
tuoi felici» eseguito fra Meglate e Aristea, nel momento in cui Meglate, che aha appena vinto le gare, ha
appreso dall’amico che il premio è proprio la mano di Aristea, la stessa donna di cui lui era innamorato, e
ovviamente ha dovuto non confidare il suo amore per Aristea. Arrivata in scena Aristea, che vendendo Meglate
vittorioso è felice cosi che i due si possono riunire, ma appena apprende che Meglade non ha combattuto per
sé stesso e quindi non si possono sposare. Si crea un confronto fra i due che non arriva ad una conclusione, per
il fatto che Meglate tace perché non può dire la verità alla donna che ama, mentre Aristea insisste per voler
sapere, quindi si crea una sorta di cortocircuito del teatro metastasiano dove nessuno dei due personaggi vuole
uscire di scena.

🎶Ne’ giorni tuoi felici


Megacle
Ne’ giorni tuoi felici Ricordati di me. àstessa melodia
Aristea
Perché così mi dici? Anima mia, perché? àstessa melodia
Megacle
Taci bell'idol mioà melodia leggermente variata (parallele)
Aristea
Parla mio dolce amorà melodia leggermente variata (parrallele)
[a 2]
Ah che parlando oh Dio / Ah che tacendo oh Dio Tu mi trafiggi il cor.
Aristeaàqui Aristea parla a se stessa
(Veggio languir chi adoro
Né intendo il suo languir).
Megacle
(Di gelosia mi moro
E non lo posso dir).
[a 2]
Chi mai provò di questo Affanno più funesto Più barbaro dolor?

Questo duetto, da un punto di vista testuale, è strutturato tramite il confronto e parallelismi di due personaggi,
dove la situazione drammaturgica si divide fra il tacere e il parlare, fra il sentimento di abbandono di Aristea
e quello della gelosia di Meglade, quindi si ha un complesso di sentimenti e si hanno anche momenti in cui i
personaggi parlano a se stessi per poi concludersi con un duo.

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Si ha l’inizio con un ritornello orchestrale dove con la prima intonazione della prima strofa del duetto, dove si
presenta la struttura dell’aria col da capo, e Pergolesi opta per un parallelismo dei due personaggi che sono
incerti sul parlare e sul tacere dove si ha la stessa melodia per entrambe le situazioni, ma una differenziazione
la si ha “Ah che parlando oh Dio / Ah che tacendo oh Dio Tu mi trafiggi il cor” dove introduce un elemento
di contrasto con delle dissonanza, ma differenzia le due linee melodiche. Nella ripetizione della prima parte
Pergolesi cambia atteggiamento espressivo perché frammenta il testo andando a sottolineare il parlare e il
tacere quindi smembra il singolo verso, dove noi sentiamo solamente dei frammenti, parla, taci, oddio etc.
quindi si sente frammenti di verso che mette a confronto i due personaggi con il parlare e il tacere, che sono le
due parole che simboleggiano il confronto dei due personaggi, dove la musica ci dice anche cose diversi, infatti
la prima volta si sente i due personaggi che esitano per non dire come stanno realmente le cose, mentre la
seconda la musica mette in relazione il contrasto di queste due azioni, cioè il parlare e il tacere.
Ancora una volta il fatto che il testo si ripeta la musica non si ripeta alla stessa maniera, andando cosi a conferire
al testo un’espressione e una interpretazione nuova.

HANDEL E L’OPERA ITALIANA


Handel rappresenta uno dei compositori che lavorò con il genere dell’opera, anzi possiamo definirlo un grande
operista e sicuramente uno dei più importanti lungo il ‘700, componendo una 40ina di opere accompagnate da
un grande successo e sicuramente è una figura di totale importanza più che altro degli sviluppi dell’opera
italiana al di fuori dell’Italia.
Handel rappresenta la peculiarità e contraddizione dell’opera, ma la sua drammaturgia, l’avvicinamento
all’opera, avviene in maniera eccentrica, non lineare rispetto a quelli che era la tendenza predominante, cioè
l’opera metastasiana, dove Handel riprenderà solo tre libretti di Metastasio:
• Siroe re di Persia, 1728
• Poro, 1731
• Ezio, 1732
Questi sono gli unici tre libretti del catalogo operistico di Handel ad usare libretti di Metastasio, dove vennero
rimaneggiati da altri poeti del posto, quindi di Metastasio rimane poco. Questo ci mette in contatto con una
realtà poco considerata perché si sussistono altri filoni dell’opera italiana che corrono per tutto il secolo e
Handel è la riprova della ricchezza e sviluppi che l’opera italiana riscontra in questi anni.
A partire dal 1711 Handel si trova a Londra dove mise in scena la prima opera all’italiana, cioè il Rinaldo e
viene anche definita paradigmatica sia per lo stile sia delle modalità secondo n cui l’opera italiana si afferma
sulla terra inglese.
Lo stile operistico di Handel è caratterizzato dall’uso di libretti che paiano datati, cioè molto più vecchi che
risalgono ad Apostolo Zeno, come il Serse, che fu una delle sue ultime opere, ha un libretto retrotraggo andando
a rimaneggiare il testo e che era stato musicato da Cavalli. Altre scelte librettistiche riprendono la grande
poetica, quindi Tasso, Ariosto, infatti musico Orlando Furioso, Alcina, Arianna… tutte opere che si riferiscono
a soggetti operistici che si rispecchiano nel ‘600 che nel ‘700. Più che altro le storie mitologiche aiutava il
pubblico a capire meglio la storia.
Lo stile che riscontriamo nelle opere di Handel è quello dell’alternanza fra recitativo e aria e l’uso dell’aria col
da capo, con la quale fece cose straordinarie, dovuta alla scrittura che mette in evidenzia la voce, elemento
fondamentale, dove arriva a sconvolgere le strutture basi del ‘700à lo si vede nell’apertura del Serse, con
l’aria 🎶Ombra mai fu
Ombra mai fu
di vegetabile,
cara ed amabile,
soave più.

È un’aria che ritrae una condizione estatica, assorta, infatti l’opera si apre con Serse che contempla un Platano
un albero e tramite la sua ombra sente un senso di pace e tranquillità e gli rende gratitudine, e tutto questo
viene comunicato dalla musica.
Un altro aspetto della scrittura hendelliana viene data dalla maestria del compositore nel saper trattare
l’orchestra, dove svolge una presenza significativa all’interno dell’aria, dove uno o più strumenti
accompagnano la voce, cioè le parti obbligate (come nell’aria di Giulio Cesare, dove la voce è accompagnata
dal corno) e in più si ha una particolare ricerca timbrica, fra la sezione dei fiati, che fa si che si creano degli
impasti fra la voce e l’orchestra che erano unici, ma l’altro elemento stilistico fondamentale è la voce, che la

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cura moltissimo, infatti Handel lavorò molto con i castrati, con i quali cercava di mettere in luce tutti gli
elementi virtuosistici di questi cantanti.

🎶Tornami a vagheggiar dall’Alcina di Handel


Tornami a vagheggiar,
te solo vuol amar
quest'anima fedel,
caro mio bene.
Già̀ ; donai il mio cor,
fido sarà 'l mio amor,
mai; sarò crudel,
cara mia spene.

Si hanno molti intrecci fra la parte strumentale e la parte vocale, dove sembra che gli strumenti rispondano alla
voce.
16/03/2020
(lezione da casa)
La drammaturgia di Handel, il quale fu il più importante drammaturgo della prima metà del ‘700 legato al fatto
non collina con la tendenza dell’opera metastasiana, infatti mette in scena pochi libretti di Metastasio, dove
poi di suo rimaneva poco, per il fatto che i suoi libretti venivano tradotti in inglese, quindi la struttura veniva
rimaneggiata. In generale possiamo dire che Handel, pur rappresentando l’essenza dell’opera del ‘700 mette
in scena opere con libretti che derivano dal ‘600, anche se venivano riaggiustati e riabbelliti, ma rimanevano
legati sempre ad una drammaturgia seicentesca, quindi Handel guarda alla drammaturgia del passato, dove in
Italia era considerata una cosa passata, invece a Londra la cosa affascinava. Un altro aspetto della
drammaturgia di Handel era quello di fare riferimento a soggetti favolistici, riferiti all’epoca moderna, come
per esempio la Gerusalemme liberata di Tasso, oppure all’epica ariostesca, infatti ci sono due opere di Handel
legati ad essa Orlano e l’Alcina. Si trattano sempre le storie trattate dagli autori, ma i librettisti li rielaboravano
a modo loro, infatti nel Rinaldo troveremo personaggi che nell’opera originaria non ci sono.
Quindi i soggetti che ritroviamo nella drammaturgia handelliana sono atipici, rispetto a quelli della
drammaturgia metastasiana. L’altro aspetto fondamentale per capire il successo di Handel è sicuramente il
primato della vocalità, dove si hanno arie paradigmatiche, dove nella scrittura vocale si condensa quelle che
sono le principali caratteristiche della vocalità ‘700, una vocalità è concentrata sulla figura del castrato, che
possedevano una voce eccezionale e ci viene fornito dalle fonti dell’epoca. La cosa che sorprendeva era
l’agilità della voce, dovuta alla castrazione, dove erano capace di creare melismi e vocalizzi lunghissimi.
Quindi erano voci particolari che oggi non ce li abbiamo più, infatti da essi si concentrava un gusto che
comincerà a sorgere all’epoca e i valori dell’opera venivano condensati nel valore del canto.
L’altro elemento fondamentale era la scrittura musicale, dove si differenziava dalla scrittura musicale italiana,
dove si aveva una prevalenza della linea vocale, anche quando era accompagnata dall’orchestra, infatti essa
interagiva poco con la vocalità, ma nel caso di Handel si ha una ricerca timbrica molto particolare, anche
perché per sottolineare i valori del canto, infatti la linea vocale e l’orchestra si intrecciano e ci sono casi in cui
la voce è accompagnata da un solo strumento. Quindi lo strumentale diventa parte essenziale della scrittura
operistica e questo fatto Handel lo imparò quando soggiorno in Italia, e lo si nota nelle cantate, dove tramite
gli intrecci contrappuntistici e gli incatenamenti di tra la voce e gli strumenti era molto forte.
L’altro elemento che si sottolinea poco, ma è essenziale per capire la drammaturgia di Handel, oltre alla
dimensione vocale c’è anche quella degli influssi francesi, che sono molto evidenti e il pubblico londinese
apprezzava, il quale apprezzava fino ad un certo punto gli aspetti italiani come le sfumature del testo, il canto
e le macchine sceniche; anche Handel, soprattutto in alcune opere, inserisce danze e balli, quindi si sottolinea
momenti spettacolari e in questo senso si configura una figura di sintesi di diversi stili che erano e si erano
affermati nell’Europa musicale dell’epoca, ma si hanno anche delle inserzioni che provengono da altri elementi
culturali.

RINALDO
Fu la prima opera che Handel scrisse per Londra, infatti è uno dei titoli più importanti anche perché è composta
interamente in italiano, che viene rappresentata sul suolo inglese. Quindi si racchiudono due primati.
Venne rappresentata per la prima volta il 24 febbraio 1711 al Queen’s Theate di Londra, dove il teatro prendeva
il nome del reale che era sul trono inglese.

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La conoscenza della vocalità italiana, dello stile italiano sia strumentale che vocale, ma soprattutto quello
operistico con il successo che conobbe a Venezia, con Agrippina, rappresenta un elemento fondamentale della
sua carriera, quindi con l’arrivo a Londra portò questi elementi e che gli fece anche ad avere un grande successo
a Londra.
Rinaldo rappresenta il primo frutto di questa esperienza a Londra, che era ricca di teatri e sale pubbliche per
fare musica, dove però l’opera italiana era penetrata tramite riadattamenti, che portò alla formazione di forme
musicali autoctone, infatti il genere che veniva praticato era quello del “Pasticcio”, che era un insieme di arie
con una trama molto esile, a differenza di essi Rinaldo era un’opera composta interamente in italiano e
rappresenta sul suolo inglese.
Quando Handel arriva a Londra aveva 26 anni dove ebbe occasione di conoscere l’impresario Aaron Hill,
anche lui molto giovane, che aveva preso in gestione in Queen’s Theatre e propone a Handel di comporre
un’opera. Anche Aaron Hill era autore di un piccolo canovaccio del Rinaldo che, appunto, egli propone a
Handel sfruttando un episodio della Gerusalemme liberata di Tasso, sull’episodio dove si ha l’opposizione
delle forze cristiane, guidate da Goffredo Buglione, e quelle mussulmane, dove Goffredo si batte per la cattura
di Gerusalemme e confida nell’eroe cristiano Rinaldo, il quale gli promette in sposa la figlia Almirea,
personaggio inventato, infatti nell’opera di Tasso non si trova, ma Handel a essa le affida due arie molto belle.
Con questa storia si coniugano due aspetti drammaturgici: ricreare effetti teatrali, che amava il pubblico
inglese, e si coniuga con il modello italiano con la sequenza di recitativi e arie.
Aaron Hill scrive solamente il canovaccio mentre la scrittura e la versificazione dei versi venne fatta da
Gaetano Rossi, che compare come il librettista dell’opera vera e propria. Nella prefazione del libretto Aaron
Hill e Gaetano Rossi specificano alcuni tratti e aspetti dell’opera, dove Rossi ci dice che l’opera venne
composta in tempi brevi e spese tutte le sue energie per accontentare Handel, il quale riadatto della musica che
aveva già scritto, quindi gli chiese di scrivere dei versi che si riadattavano alla musica che aveva composto.
Autoimprestitià è un nome che definisce il fatto che un compositore riprende e rielabora un pezzo che aveva
composta precedentemente per un’altra opera. Anche Rossini sarà un altro compositore che nell’arco della sua
carriera riprende arie e pezzi che aveva scritto e li inserisce in altri contesti.
La partitura del Rinaldo è ricca di autoimprestiti in particolare:
• L’aria di Almirena «Lascia ch’io pianga»à («Lascia la spina» dall’oratorio Il triondo del tempo e del
disinganno)à la musica è identica.
• L’aria di Argante «Sibillar gli angui d’Aletto» à(dalla cantata Aci, Galatea e Polifemo)
• Aria di Almirena «Bel piacere»à (dall’Agrippina)
La musica rimane sempre la stessa, anche per il fatto che il pubblico apprezzava risentire determinate musiche.
Rinaldo è un’opera ricca da un punto di vista delle scelte vocali, sia dello spettacolo che conobbe molto
successo e ebbe 15 repliche da quanto ebbe successo, anche se Handel lo rielaboro nel corso delle repliche.
Vengono rappresentati al meglio le caratteristiche che poi si mantengono costanti del teatro di Handel, come
la ricchezza di arie, quindi non si appoggia sul recitativo, ma sulle arie, dove diverse furono le tipologie di
personaggi vengono definiti e si disegna la drammaturgia, e ogni personaggio ha un gruppo di arie che
rappresentano al meglio tutte le caratteristiche del personaggio. Un altro aspetto è quello del colore orchestrale,
dove al suo interno troviamo molte invenzioni strumentali e gli strumenti dialogano con la voce e crea
atmosfere particolari.
- Importanza della vocalità
- Dialogo fra voce e strumento

🎶Almirena, Augelletti che cantate (Atto I, scena 6)


Augelletti che cantate,
Zeffiretti che spirate
Aure dolci intorno a me.
Il mio ben dite dov’è?

[Didascalia di questa scena: Luogo di delizie


con fonti, viali, ed uccelliere in cui volano e
cantano gli uccelli. Almirena e Rinaldo].

È un’aria che ebbe molto successo, ma la sua particolarità sta nel dialogo che crea la voce con i flauti, che
dovevano rappresentare il canto degli uccelli, ma più che altro si coniugavano bene le tre particolarità del teatro
handeliano, cioè l’importanza della vocalità e il dialogo fra voce e strumento.

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È introdotta da una lunga parte strumentale, in particolare dalla sezione dei fiati, flauti e flauto piccolo
(strumento tipicamente barocco) che serve a Handel per creare l’atmosfera emotiva di questa aria, che richiama
una sorta di giardino incantato dove Amirena si trova e si rivolge agli uccelli che cantano ai venti che soffiano
e tutta questa dolcezza della natura che è intorno a lei e che per contrasto le fa sentire la mancanza del suo
Rinaldo. Il flauto, da un punto di vista sonoro e simbolico era lo strumento che rappresentava al meglio gli
elementi della natura, infatti evidenzia al meglio il contrasto fra Amirena, che sente cantare gli uccelli e ripensa
al suo amato, e il suo intervento strumentale. Il successo di quest’aria è dovuta anche che durante la
rappresentazione venne liberato uno stormo di passeri, che ebbe un effetto grandioso sul pubblico inglese,
infatti su una trovata di Hill. La stessa didascalia del libretto “Luogo di delizie con fonti, viali, ed uccelliere in
cui volano e cantano gli uccelli. Almirena e Rinaldo” è una scena che Handel ci fa sentire musicalmente con
l’uso dei flauti.
Si ha anche una grandissima varietà di scrittura nella partitura e lo si evidenzia nell’aria di Armida, Furie
terribili, che all’epoca venne definita un’aria di furore, dove cambia l’atmosfera completamente e questa figura
di Armida, che è una maga, sfoga il suo furore terribile attraverso un testo molto breve, dove il suo carattere
sorge più che altro con una calibratissima alternanza fra voce e musica strumentale.

🎶Aria di Armida, Furie terribili (I, 5)


Furie terribili,
circondatemi,
Seguitatemi
con faci orribili.

È stata un’altra aria che conquistò il pubblico inglese, dove la maga entra in scena su un carro trainato da
draghi, e quello che sorprende, al di al degli aspetti scenografici, è che la terribilità e la furia di Armida viene
esposto dalla parte strumentale, che presenta la forma della danza di fangardo, e si nota come l’orchestra ha
un ruolo primario. Handel presta attenzione a circoscrivere ogni affetto, differenti, di ogni personaggio, cioè è
come ogni personaggio abbia una palette di affetti diversi, quindi si ha una drammaturgia che si costruisce
tramite l’uso delle arie.

🎶Aria di Armida, Ah! Crudel, il pianto mio


Ah! Crudel,
il pianto mio,
Deh! Ti mova per pietà.
infedel,
al mio desio
proverai la crudeltà.

È un’aria di lamento dove si evidenza l’elemento dell’abbandono di Amida, che anche lei si era innamorata di
Rinaldo e qui piange la sua sorte. L’introduzione è sempre fatta dall’orchestra dove si mette in evidenzia la
sezione dei fiati e degli archi, in particolare l’oboe e anche i violini, dove si caratterizza il personaggio dove la
voce e l’orchestra vanno insieme, dove si hanno una serie di linee discendenti che evidenziano il momento di
sconforto di Armida, che prima era stata presentata come una furia.

Quello che differenzia la drammaturgia di Handel da quella di Metastasio è la presenza di un gran numero di
arie e i recitativi sono molto brevi, quindi tutta l’attenzione si concentra sulle arie.
Il personaggio Rinaldo venne interpretato da Niccolò Grimaldi, che era uno dei cantanti più famosi castrati,
che era caratterizzato da un petto ben pronunciato, cosa che era molto usuale dei cantanti castrati, e grazie a
lui si deve il successo dell’opera di Rinaldo. Era già una star nel 1711 in Inghilterra dove ebbe occasione di
interpretare molte opere italiane, infatti la sua formazione avvenne a Napoli, dove la sua carriera parti da
bambino partendo poi per una tourneè a Venezia e poi a Londra. Molte testimonianze dell’epoca confermano
il fatto che il Rinaldo fu un grande successo anche per Grimaldi, come quella di Charles Burney, che scrisse:
«Un grande cantante, e un ancor più grande attore» e perfino Joseph Addison, che non era molto tenero con
l’opera italiana, anzi non la vedeva di buon grado, eppure definì Niccolini «il più grande interprete nella
musica drammatica vivente o forse che sia mai apparso sul palcoscenico». Questo talento venne paragonato
all’attore David Garrik, che fu uno degli attori che rivoluziono la recitazione inglese.

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Un elemento molto importante di Nicollini fu anche la presenza scenica, oltre alla sua voce, e questo per gli
inglesi era molto importante e il fatto che Niccolini avesse una perfetta presenza scenica, e per questo Handel
scriveva musica interamente nuova per questo grande cantante.

🎶Cara Sposa (Rinaldo, I.7)


Cara sposa, amante cara, dove sei?
Deh! Ritorna a’ pianti miei!
Del vostro Erebo sull’ara,
colla face del mio sdegno
io vi sfido, o spirti rei.

È un’aria da capo dove si presenta un carattere patetico, che rappresenta un carattere ‘700esco e spingeva ad
un certo tipo di recitazione, dove la voce e l’orchestra vanno di pari passo, come quasi si sostengono.

🎶Aria Venti, turbini, prestate (Rinaldo, I.8)


Venti, turbini, prestate
le vostr’ali a questo piè.
Cieli, numi, il braccio armate
contro chi pena mi diè.

Presenta un carattere diverso, rispetto all’aria precedente, dove notiamo dei grandi abbellimenti e ornamenti
già a partire dalla prima sillaba, ma allo stesso tempo notiamo la forte agilità che si presenta all’interno di
quest’aria e metteva in luce le capacità di voce di Niccolini. Si ha anche un contrasto di affetti, dove qui si
dichiara, di impronta furiosa, di mettere in scena il Rinaldo eroico e guerriero.
17/03/2020
(lezione da casa)
LA RIFORMA DELL’OPERA
Il filone principale del ‘700 è quello tracciato da Metastasio e dai suoi libretti, ma troviamo delle drammaturgie
che vanno in parallelo con lui, dove si parlerà in particolare la riforma dell’opera drammatica del ‘700, anche
se il termine riforma non è molto corretto da usare per il semplice fatto che si voleva cercare di superare la
drammaturgia metastasiana e non modificarla.
In questi anni troviamo in evidenzia i nomi di Benedetto Marcello, con il saggio Il teatro alla moda, del
1720, e quello di Francesco Algarotti, Saggio sopra l’opera in musica, 1755. Si trattano di due saggi molto
importanti per questi anni che delineano due momenti importanti della Riforma del ‘700, infatti quello di
Marcello viene pubblicato nel 1720, quindi in piena esplosione dell’opera metastasiana e ci si chiede come
Marcello riuscì a farlo pubblicare questo saggio dove prendeva in giro i cantanti, il canto e altre caratteristiche
che segnavano l’opera metastasiana. Questo poi cambia con Metastasio, ma quando si arriva al 1754-55 le
cose cominciano a cambiare anche all’interno dell’opera metastasiana, dove il saggio che rappresenta di più
questo momento è quello di Francesco Algherotti, Saggio sopra l’opera in musica, ma la cosa interessante da
notare che Algarotti non era ne compositore, ne un personaggio legato in prima persona all’opera in musica,
ma era un letterato e ci dice che il discorso sull’opera in musica nel 700 comincia a divenire un discorso molto
condiviso, dove ne parlano non solo i diretti interessati, ma anche intellettuali, commediografi… che sentono
l’esigenza di riflettere su questa nuova forma d’arte che aveva cambiato il panorama musicale.
Questo saggio comincia a riflettere su cosa era diventa l’opera in musica a metà del ‘700 e quali erano diventati
i rapporti fra poesia e la musica, che era il nodo cruciale di questo nuovo genere. Lui guarda all’opera in musica
da un punto di vista della tragedia della musica, dove la presenza letteraria era ancora fondamentale, e questo
significava che Algarotti vedeva in maniera molto critica come era diventata l’opera metastasiana negli anni
’50 perché era diventata un’opera molto ripetitiva, basata sulla netta separazione fra recitativo e aria dove
molto era lasciato al virtuosismo dei cantanti dove la poesia andava in secondo piano. Algarotti ristabilisce che
la poesia doveva stare in primo piano, la separazione fra recitativo e aria non doveva essere cosi netta, ma
doveva avere un equilibrio più naturale, come anche il canto che doveva essere il più trasparente possibile,
quindi meno ricco di abbellimenti, virtuosismi, per far vedere al meglio le parole (quindi un rapporto armonico
fra recitativo e aria), e che ci fosse una minore ricerca scenica.
Questi sono due saggi che riflettono sul nodo che rimane cruciale nel ‘700 e quando si parla di riforma ci si
riferisce più che altro ad una serie di dibattiti che girano intorno al nodo cruciale dell’opera, cioè il rapporto
fra testo e musica.

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Per quanto riguarda più vicino Metastasiano il suo modello, negli anni ’60, comincia a essere vecchio, non
tanto per i versi di Metastasio, ma sul meccanismo che ruota intorno all’opera metastasiana e quindi si comincia
a creare delle alternative.

Lettera di Jommelli al librettista Gaetano Marinelli, 14 novembre 1769


«Io amo, venero, m'inginocchio avanti, adoro Metastasio, e tutte le sue opere: ma vorrei che anche lui,
adattandosi alla moda, ne facesse tante delle nuove, quanto è il desiderio di tutto il mondo di volerle. Poiché,
quel dover cavare tanti pensieri diversi, non solo differenti da quelli fatti da se stesso, e più e più volte, ma
anche da quelli di tanti, e tanti altri compositori, sempre, sempre sull'istesse parole; è cosa da far girare la
testa anche a chi l'avesse di bronzo.Ȉ sono parole molto efficaci che ci fanno capire questa stanchezza da
parte del pubblico che voleva un desiderio di novità. Quindi da un lato gli stessi compositori sentivano questa
saturazione da parte dei soggetti operistici, dall’altra gli stessi accademici volevano qualcosa di nuovo e un
ritorno a una maggior limpidezza dell’opera con il testo che doveva essere messo in primo piano.
Metastasio verrà si messo da parte, ma i sui libretti saranno sempre intonati, fino all’inizio dell’800, dove però
si comincerà a parlare di una drammaturgia alternativa con Glouk, compositore non italiano, ma di origine
tedesca, che morirà a Vienna dove svolse la maggior parte della sua carriera. A questo compositore si abbina
il fatto di aver riformato l’opera del ‘700 ma Glouk nasce e si afferma come compositore metastasiano, infatti
il suo esordio fu a Milano con un libretto di Metastasio, Arta Serse, e nel giro di un ventennio compone una
quindicina di opere su libretti di Metastasio. Una svolta importante si avrà quando Glock andrà a Vienna,
presso la corte di Vienna come compositore di corte, dove entra in contatto con un ambiente che favorisce un
ripensamento totale di Metastasio.
I personaggi che contribuirono a concepire una nuova concezione drammaturgica nell’opera serie furono conte
Giacomo Durazzo, direttore degli spettacoli di corte, il poeta Raniero de’ Calzabigi, dove anche lui aveva una
formazione metastasiana, e il ballerino e coreografo Gasparo Angiolini, che contribuì alla riforma della danza.
E con questo incontro si modellò un nuovo modello di drammaturgia che parti con Alceste, 1767 rappresentata
a Burgtheater, Vienna dove nella premessa del libretto viene delineato i tratti della nuova concezione
operistica. In quei anni svariati personaggi si confrontavano con questa tendenza revisionistica metastasiana,
come Jomelli, ma quello che caratterizza di più è quello che furono proprio Glouck e Calzabigi a mettere su
carta e ad affermare queste nuove esigenze sulla drammaturgia, che troviamo nella prefazione dell’Alceste,
che i due autori pubblicano alla prima. Essendo i primi a proporre queste novità si apri il mito della riforma
gluckiana, perché non fu solo un’idea di Glouck anche altri compositori ci avevano pensato, ma con Glouk si
cominciò a vedere le prime forme dell’opera d’arte totale, che arriverà in maniera definitiva con Wagner.
Dalla prefazione dell’Alceste di Gluck (SLIDE SETTECENTO RIFORMA 7-8), che venne scritta da
Calzabigi e vengono affrontati problemi di carattere poetico, che quelli di carattere musicale dove Glouk
specificò che la musica serviva per esprimere la poesia, senza interrompere l’azione o raffreddarla con degli
inutili superflui ornamenti, quindi si specifica che la musica deve ritornare al servizio della poesia e che
l’azione drammatica non sia interrotta dal binomio recitativo e aria, ma che sia più razionale e unita dalla
parola. Si ha sempre la necessità di ritrovare la necessità di non spezzare la musica e far prevalere le ragioni
della poesia sulla musica perché tutte queste cose intralciavano la linea poetica e l’azione drammatica.
Glouck non ha ritenuto importante intonare velocemente la seconda parte dell’aria per ritornare subito sul da
capo per poter dare al cantante la possibilità di fare virtuosismi o abbellimenti, quindi si vede come Glouck
andrà contro l’aria col da capo e si vedrà che troverà altre alternative ad essa. Elimina tutto quello che è
contrario alla ragione (razionalità) e buon senso dove la musica strumentale non è fine a se stessa, ma deve
prefigurare quello che sarà l’opera, quindi l’atmosfera percettiva dell’opera.

🎶Scena del gran Sacerdote, dall’Alceste Glouck


Il coro avrà un ruolo fondamentale dove funge da corredo alle scene dell’opera. La voce del sacerdote si alterna
con quella del coro e tutta la parte è giocata tramite un recitativo secco del sacerdote e gli interventi del coro,
poi una linea più spiegata e un nuovo intervento del coro, che diventa un vero e proprio personaggio.

I punti essenziali della nuova drammaturgia sono:


• preferenza per i soggetti greco tragici
• Maggior presenza di scene coralià funge da collante fra i recitativi e le arie;
• Impiego preferenziale per i recitativi accompagnatià Glouck lo preferiva per il fatto che aveva un
percorso più lento e la presenza di più strumenti faceva venire meno lo stacco fra il recitativo e l’aria;

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• Scrittura vocale più rispettosa del testo poetico con impiego limitato di coloratureà rispetta il testo
poetico dove si ha un virtuosismo molto misurato, cosi che non preclude la corretta comprensione del
testo;
• Risalto conferito alla danza che diventa parte dell’azione
Tutto questo può dare l’idea di un’opera statica, rispetto a quella metastasiana, ma in realtà non è cosi perché
tutto questo lavorare sulla drammaturgia e sul valore della parola fa si che si creano una maggiore razionalità
diventando un complesso di scene dove si ha la presenza di altri elementi, come le danze, il coro…

DRAMMATURGIE DEL COMICO


La storia del comico sulla drammaturgia musicale è una storia preesistente, dove si ritrovano in determinati
personaggi, ma con l’opera metastasiana aveva fatto fuori le parti comiche.
In primis le ambientazioni che caratterizzano le drammaturgie comiche sono quelle della borghesia, quindi ci
ritroviamo all’interno di un teatro che riporta sulla scena la vita quotidiana, da considerare che i drammi
cominci nascono all’interno dell’aria comica. Le drammaturgie del comico sono caratterizzate da un gioco di
registri facendo quasi un’osmosi fra serio e comico, dove ritroviamo anche parodie dell’opera seria. Si ha
anche la presenza di elementi farseschi e punti di contatto con la commedia dell’arte, che sono fondamentali
all’interno di esso. Si aveva anche un’ampia libertà sul piano metrico, spesso struttura polistrofica delle arie e
forme musicali flessibili, cioè la stesura musicale continuativa, cambi di tempo e andamento, ecc).
Le diversità sono tante con l’opera serie, che va dall’assetto metrico alle forme musicali, in particolare con
l’assetto metrico dove lo si può vedere tra le arie tratte da Il filo di campagna e dall’arcadia in Brenta.

Il filosofo di campagna
Vedo quell'albero
che ha un pero grosso:
pigliar no 'l posso,
si sbalzi in su.
Ma fatto il salto,
salito in alto,
vedo un perone
grosso assai più.
Prender lo bramo,
m'alzo sul ramo,
vado più in su.
Ma poi precipito
col capo in giù. (Parte)
Già da questa vediamo che i versi sono corti dove si richiede anche l’uso del gesto.

L’Arcadia in Brenta
Quattro cento bei ducati...
poverini sono andati, sessantotto bei zecchini...
sono andati poverini.
Trenta doppie...
oh che animale!
Cento scudi...
oh bestiale!
Quanto fanno? Io non lo so!
I zecchini sessantotto
co' ducati quattrocento
fanno... fanno...
oh che tormento!
Basta, il conto è bello e fatto,
Perchè un soldo più non ho. (Parte)

L’intreccio delle opere comiche è molto più leggero, rispetto a quello dell’opera seria dove si caratterizzano
con temi semplici, che si ricollegano molto al teatro seicentesco, sia da un punto di vista del teatro che musicali.

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Questo genere comincerà ad avere una doppia pluralità di denominazione, fra cui:
- Dramma giocoso
- Dramma comico
- Commedia per musica
- Dramma bernesco
Tutte denominazioni che poi nel corso dell’800 si riuniranno nel termine opera buffa, dove si evidenzia al
meglio le differenze con l’opera seria, anzi di questo ne viene fatta una parodia e di fatto le arie sono più
incastonate in assemblamenti più ampi, più vasti, dove il pezzo chiuso si allarga fino a contenere i concertarti,
cioè i grossi blocchi dove si hanno più personaggi in scena che cantano contemporaneamente e i concertati è
un tipo di pezzo chiuso che troviamo alla fine di un atto.
Due generi che ebbero una grande importanza che definirono il teatro comico dove il primo è la commedia
per musica è un tipo di opera comica che nasce a Napoli, dove dopo diversi titoli in lingua toscana, intorno
agli anni 20 del ‘700, al teatro dei fiorentini si comincia ad affermare questo nuovo genere. La cosa che la
caratterizza dall’uso del dialetto, dove alcune parti del libretto sono scritti in dialetto napoletano, come anche
i paratesti, altri invece sono bilingue, cioè troviamo diversi dialetti, e da questo si vede come i legami con la
commedia dell’arte sono evidenti. È un tipo di teatro che viene conosciuto in tutta Italia, non è solo un genere
che ha una diffusione locale, anzi gira e si adatta nelle diverse piazze dove viene rappresentata e ogni
personaggio si esprime con il dialetto di dove si trova.
Non si tratta di un genere minore, anzi molti compositori si cimentarono in questo genere, come Leonardo
Vinci, che era un compositore sia di opera seria e sia anche di commedia per musica, e a questi spettacoli
partecipavano anche persone altolocate, in particolare intellettuali. Ebbe un largo sviluppo più che altro perché
si potevano adattare su altre piazze operistiche.
Un altro genere importante è quello dell’intermezzo, dove la parola stessa lascia trasparire la sua origine,
perché all’inizio si sviluppa fra gli atti dell’opera seria, dove venivano rappresentati tutte quelle caratteristiche
comiche che erano state scartate dall’opera serie. Questi intermezzi di solito erano due, uno fra il I e il II atto,
mentre il secondo fra il II e il III atto. Man mano nel corso del ‘700 questi intermezzi cominciano a essere
apprezzati diventando un vero e proprio genere comico teatrale, dove si trattava di un atto unico, oppure di un
lavoro strutturato in più parti, diventando poi un genere a sé stante e anche in questo caso venivano composti
da compositori e poeti che già si erano affermati nell’opera seria.
Questi intermezzi erano costituiti di azioni drammatiche molto brevi, dove si hanno due massimo tre
personaggi sulla scena e prevedeva un intreccio molto semplice che ha come focalizzazione un'unica storia.
L’intermezzo più conosciuto è “La serva Padrona” di Pergolesi che fu quello che lanciò il genere e fu
rappresentato a Napoli nel Teatro San Bartolomeo nel 1733. Il libretto fu scritto da Gennaro Antonio Federico
e i primi interpreti furono Gioacchino Corrado e Celeste Resse, due interpreti che poi si specializzarono in
queste parti, in particolare nel genere dell’intermezzo e divennero due specialisti di questo genere.

TRAMA
Un ricco e attempato signore di nome Uberto ha al suo servizio la giovane e furba Serpina che, con il suo
carattere prepotente, approfitta della bontà del suo padrone. Uberto, per darle una lezione, le dice di voler
prendere moglie: Serpina gli chiede di sposarla, ma lui, anche se è molto interessato, rifiuta. Per farlo ingelosire
Serpina gli dice di aver trovato marito, un certo capitan Tempesta, che in realtà è l'altro servo di Uberto
(Vespone il muto) travestito da soldato. Serpina chiede a Uberto una dote di 4000 scudi; Uberto, pur di non
pagare, sposerà Serpina, la quale da serva diventa finalmente padrona.

Si nota una trama abbastanza esile, che non conosce un particolare sviluppo se non questo capovolgimento di
Serpina che a furia di aver osteggiato il padrone in tutti i modi e alla fine riesce a sposare Uberto, diventando
padrona. Tutto l’intermezzo gira intorno a questo rapporto fra i due personaggi, ma il tutto viene giocato su un
piano musicale con grande attorialità e gestualità, dove l’aria non è più un momento contemplativo, ma diventa
una parte stessa dell’azione, cosi che non si ha più uno stacco fra recitativo e aria.

🎶Sempre in Contrasti, Uberto


Sempre in contrasti
con te si sta.
E qua e là,
e su e giù
e sì e no.

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Or questo basti,
finir si può.
(a Vespone)
Ma che ti pare?
Ho io a crepare?
Signor mio, no. (a Serpina)
Però dovrai
pur sempre piangere
la tua disgrazia
e allor dirai
che ben ti sta.
(a Vespone)
Che dici tu?
Non è così?
Ma così è!

La possiamo definire un’aria d’azione dove si mette in evidenzia il bisticcio fra Uberto e Serpina, dove si ha
una conformazione metrica composta da versi molto brevi, dove sorge appunto il contrasto di Uberto.
Il valore e il sapore di quest’aria sta nella perfetta conteneprazione fra musica, testo e gesto, dove il testo non
dice molto, anzi si può definire un canto recitato, dove la recitazione è più preponderante rispetto alla musica
ed è una caratteristica che si rispecchia molto in questo genere.
La Serva Padrona ebbe un successo clamoroso e fu anche soggetto ad una delle tante polemiche sull’opera, in
particolare quando la Serva Padrona venne rappresentata a Parigi nel 1752, dove scoppiò una grande polemica
fra chi sosteneva il teatro francese (importanza del testo e della declamazione) altri invece chi sosteneva la
spensieratezza e la leggerezza del canto, in particolare sulla lingua italiana che si adatta al meglio al canto.
18/03/2020
(lezione fatta a casa)
DON GIOVANNI DI W.A. MOZART
In alcune lettere, in particolare quella indirizzata al padre datata 13-10-1781, Mozart ci esprime come lui stesso
si avvicinò all’opera italiana:
“In un’opera la poesia deve essere assolutamente la figlia ubbidiente della musica. […] Tanto più un’opera
deve piacere se l’impianto del testo è stato elaborato bene; ma le parole sono scritte unicamente in funzione
della musica, senza mettere qua e là, per amore di qualche miserabile rima (le rime che, per Dio, si dica quel
che si vuole, non contribuiscono affatto al valore di una rappresentazione teatrale, ma in compenso possono
danneggiarla), parole o intere strofe che rovinano tutto il disegno del compositore; […] L’ideale sarebbe che
si incontrassero un buon compositore, che capisce il teatro ed è egli stesso in grado di combinar qualcosa, e
un bravo poeta, come dire una vera fenice». à in questa lettera ci viene detto molto del Mozart operistico,
infatti nel 1781 Mozart stava lavorando ad alcune opere, quindi questa dichiarazione va presa molto come un
commento a caldo su quello che Mozart stava sperimentando, infatti in quei anni lui stava scrivendo il Ratto
del Serraglio, ma quello che colpisce nella lettera è la concezione che si lascia intravedere, cioè quello che
Mozart concepisce il compositore come il drammaturgo vero e proprio, dove la poesia deve essere figlia
obbediente della musica, però per fare questo bisogna far l’incontro tra un buon compositore e un buon poeta,
cosa che per Mozart, in quei anni, li sembra impossibile.
Un’altra lettera datata 7 maggio 1783, indirizzata sempre al padre, gli scrive da Vienna dove ha avuto occasione
di assistere ad alcune opere buffe: “Ora qui l’opera buffa è ricominciata e piace molto. Il buffo è
particolarmente bravo. Si chiama Benucci. […] Abbiamo qui come poeta un certo abate Da Ponte.
Attualmente costui ha un sacco da fare con le correzioni per il teatro. Per obbligo deve scrivere un libretto
tutto nuovo per Salieri […] Poi ha promesso di scriverne uno nuovo per me; chissà se potrà, o vorrà,
mantenere la sua parola! Voi sapete bene che i signori italiani sono molto amabili in faccia! […] Se è
d’accordo con Salieri non riceverò nulla per tutta la mia vita. Eppure, vorrei tanto mostrarmi in un’opera
italiana.”à è una dichiarazione ufficiale di Mozart di cimentarsi in un genere che ancora non aveva toccato
con mano, ovvero l’opera italiana, e individua già nel 1783 nella figura di Lorenzo Da Ponte il librettista che
potrebbe far a caso suo. Con Lorenzo da Ponte inizierà un lungo sodalizio, ma la cosa da notare è che in questa
lettera Mozart lo nomina solamente in questo caso. Quindi non si ha una testimonianza diretta con il suo
librettista con il quale comporrà i tre capolavori del repertorio morzartiano, cioè “Le Nozze di Figaro 1786”,
Don Giovanni 1787 e Cosi fan tutte 1790.

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Non sappiamo con certezza quale fosse il genere teatrale prediletto da Mozart: già da molto giovane aveva una
predilezione per il dramma serio, considero il genere più prestigioso, però fino a quel momento aveva praticato
anche la Festa Teatrale, l’opera seria francese (per il quale nutriva un particolare interesse), Singspiel genere
tedesco dove i recitativi erano parlati e non cantanti. All’opera comica non si era mai avvicinato, anche se si
hanno alcuni titoli giovanili, fino a quando non incontra Lorenzo di Da Ponte. Tra i due nascerà un sodalizio
molto stretto che darà origine alla trilogia morzartiana dapontina, cioè tre opere composte da Mozart su libretti
di Da Ponte. Il primo incontro avvenne per le Nozza di Figaro nel 1786 e nel giro di quattro anni nascono
anche le altre due opere, conosciute appunto sotto il nome della trilogia morzartiana-dapontiana, ma questi tre
capolavori in realtà non erano in programma, anzi furono incontri “casuali”, dove condividono un universo
intellettuale comune, in particolare i temi condivisi in queste tre opere, fra cui: la dialettica fra libertà
individuale e coscienza collettiva, rapporto tipicamente illuministico fra ragione e sentimento, la dialettica
fra classi sociali diverse, il fondamento delle istituzioni matrimoniali e familiari al tramonto dell’antico
regime e il diffondersi gli elogi tipici della classe borghese, quindi sono opere che condividono un mondo
intellettuale estetico musicale che ancora oggi fa si che queste tre opere vengono viste come una sorta di trittico
di Mozart e Da Ponte.
Da Ponte nutriva la simpatia dell’imperatore Giuseppe II che lo spingeva a scrivere e rappresentare opere anche
se andavano contro i criteri dell’antico regime, e gli fa anche toccare temi socialmente eversivi, come tematiche
illuministiche che caratterizzavano i suoi lavori.
La prima rappresentazione assoluta del Don Giovanni non avvenne a Vienna, ma a Praga al Nostitz-Theater il
29 ottobre 1787 dove gli interpreti furono Luigi Bassi, Don Giovanni (baritono), che era molto conosciuto
all’epoca, e Felice Ponziani, Leporello (basso). Il successo che ebbe quest’opera incuriosi anche la corte di
Vienna dove venne rappresentata il 7 maggio 1788 al Burgtheater. La prima avvenne a Praga per il motivo che
già le Nozza di Figaro ebbe molto successo, quindi i due sfruttarono il successo della prima opera, ma anche
per il fatto che con il Don Giovanni si affronta un tema molto antico, che fondava le proprie radici nella
tradizione, e del mito di Don Giovanni ed era cosi antico che era anche molto familiare al pubblico praghese,
che poteva ave conosciuto le piece su questo mito che avevano scritto commediografi importanti come Moliere
e Goldoni, e poteva conoscere alcuni drammi per musica e balletti, che da Napoli a Venezia a Vienna avevano
utilizzato un motivo noto, cioè quello del Don Giovanni del dissoluto punito, che aveva la sua radice nel 1630.
La letteratura che riprende il mito di Don Giovanni la ritroviamo nelle opere:
• Tirso de’ Molina, El burlador de Sevilia, 1630 (commedia)à commediografo spagnolo;
• Moliere, Don Giovanni o Il convitato di pietra, 1665
• C. Goldoni, Don Giovanni Tenorio o Il dissoluto, 1736
Mozart e Da Ponte non creano una storia nuova, ma si rifanno ad una storia già conosciuta tramite i canali
letterali, e anche da un punto di vista musicale il Don Giovanni era un soggetto assai utilizzato, infatti
ritroviamo tre titoli importanti:
• L’empio punito, di Alessandro Melani, 1669à la cui opera venne rappresentata a Roma nel Palazzo
del Contestabile Colonna;
• Giovanni Bertati, Don Giovanni o sia Il convitato di pietra, Venezia 1787 (musica di Giuseppe
Gazzaniga);
• Don Juan, balletto su libretto di un balletto di Raniero de’ Calzabigi e musica di C.W. Gluck;

Di fatto Da Ponte e Mozart hanno a che fare con un soggetto già conosciuto, ma la grandezza di quest’opera
sta di fatto che leggono in maniera nuova, libertina, il mito del Don Giovanni. Quindi questa sorta di epopea
che vive il personaggio di Don Giovanni non abbandona le scene, ma anche in campo letterale, filosofico e
intellettuale.
Il libretto venne offerto da Pasquale Bondini e Domenico Guardasoni, impresari del Nostitz-Theater di Praga,
a Mozart, dopo averlo scritturato per scrivere un’opera nuova destinata alla loro sala.

TRAMA
ATTO 1: Leporello, mentre attende il suo padrone Don Giovanni, introdottosi mascherato in casa di Donna
Anna per sedurla, si lamenta della sua condizione di servitore. All’interno Donna Anna, che all'inizio aveva
creduto che fosse il suo fidanzato Don Ottavio a farle visita, si accorge dell'inganno e reagisce alla tentata
violenza riuscendo ad allontanare il nobiluomo dalla sua stanza; questi esce nel giardino dove il servo lo
attendeva. Sopraggiunge allarmato il Commendatore, padre di Anna, che dopo aver mandato la figlia a
chiamare i soccorsi, sfida a duello Don Giovanni. Questi, prima riluttante, accetta ed in pochi istanti uccide il
vecchio. Ritrova Leporello che, spaventato, si era nascosto. Ora che il Commendatore è stato ucciso, al nobile

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ed al suo complice non resta che fuggire. Donna Anna, quando scopre il cadavere del padre, sviene per il
dolore; Don Ottavio, che l'accompagna, la soccorre e le promette di vendicare la morte del suocero a qualsiasi
costo.
Nel frattempo, Don Giovanni è per strada con Leporello in cerca di nuove conquiste e, mentre parla con
quest'ultimo, scorge da lontano una fanciulla tutta sola e le si avvicina, ma quando scopre che quella dama è
Donna Elvira, da lui già sedotta ed abbandonata pochi giorni prima e che ora lo cerca disperata d'amore, si
trova in grande imbarazzo. Don Giovanni cerca di giustificarsi e quando Donna Elvira viene distratta da
Leporello, si allontana in fretta lasciando il povero servo a tentare di placare la furia funesta di donna Elvira:
viste le circostanze, egli non può far altro che rivelarle la vera natura del carattere di Don Giovanni e, in un'aria
del catalogo, elenca l'infinita serie delle sue conquiste di donne in tutto il mondo: 640 in Italia, 231 in
Germania, 100 in Francia, 91 in Turchia e in Spagna 1003.
Donna Elvira, sebbene sconvolta ed affranta, non si arrende e parte in cerca di Don Giovanni affinché si penta
definitivamente delle sue malefatte. Intanto, un gruppo di contadini e contadine festeggiano le nozze di Zerlina
e Masetto. Don Giovanni e Leporello, fuggiti da Donna Elvira, vanno a vederle. Intenzionato a sedurre la
fresca sposina, Don Giovanni fa allontanare con una scusa il marito in compagnia di Leporello (che stava
corteggiando alcune invitate) con tutti gli altri paesani, suscitando l'ira di Masetto che però riesce a contenersi
e, rimasto solo con la giovane Zerlina, la invita a seguirlo e le promette di sposarla. Proprio quando Zerlina sta
per cedere alle promesse e alle lusinghe di Don Giovanni, sopraggiunge Donna Elvira arrabbiatissima, che la
avvisa delle cattive intenzioni del malvagio libertino e la porta via con sé mentre arrivano Donna Anna e Don
Ottavio, venuti a chiedere a Don Giovanni aiuto per rintracciare l'ignoto assassino del Commendatore, senza
sapere che è stato proprio lui. Donna Elvira arriva di nuovo e dice di non credere a Don Giovanni, ma questi
la accusa di essere pazza. Donna Anna e Don Ottavio, partiti Don Giovanni e Donna Elvira, rimangono soli:
Donna Anna ha riconosciuto dalla voce di Don Giovanni l'uccisore del padre, e ricorda al fidanzato la sua
promessa prima di partire. Rimasto solo, Don Ottavio rimane stupito dalle parole di Donna Anna, ma prima di
arrestare Don Giovanni, decide di andare a consolarla.
Don Giovanni, per sedurre Zerlina, ordina a Leporello di organizzare una grande festa in onore del matrimonio.
Nel mentre, Zerlina cerca di farsi perdonare da Masetto ma nel frattempo arriva Don Giovanni, che li invita al
ballo insieme agli altri paesani. Prima della festa, Donna Anna, Don Ottavio e Donna Elvira decidono di andare
mascherati al ballo che Don Giovanni ha organizzato per arrestarlo. Intanto il donnaiolo ordina a Leporello di
invitarli, senza sapere le loro intenzioni. Mentre il ballo dei contadini è in corso, il cavaliere danza con Zerlina
e la conduce in disparte per farla sua con la forza, mentre Leporello intrattiene ancora Masetto, ma la giovane
grida (da fuori scena), e gli invitati accorrono a soccorla . Don Giovanni dapprima cerca di accusare della
tentata violenza l'innocente Leporello, ma Donna Elvira, Donna Anna e Don Ottavio, gettate le maschere, lo
accusano apertamente e cercano di arrestarlo insieme a Masetto, Zerlina e agli altri paesani. Don Giovanni e
Leporello, però, riescono a fuggire.
ATTO 2: La mattina, di fronte alla casa di Donna Elvira, Don Giovanni e Leporello discutono animatamente
(Eh via, Buffone). Inizialmente quest'ultimo, dopo le accuse rivoltegli ingiustamente, vorrebbe prendere le
distanze dal suo padrone, ma questi, offrendogli del denaro, lo convince a tornare al suo servizio attuando una
nuova impresa: scambiare con lui gli abiti in modo tale che mentre il servo distrae Elvira, egli possa corteggiare
impunemente la sua cameriera. Donna Elvira, affacciatasi alla finestra (Ah, taci ingiusto core), cade nel tranello
e si illude che Don Giovanni (in realtà Leporello travestito) si sia pentito e ravveduto.
Dopo che Donna Elvira e Leporello si sono allontanati, Don Giovanni intona una serenata sotto la finestra
della cameriera. Sopraggiunge Masetto in compagnia di contadini e contadine armati in cerca del nobile per
ucciderlo. Protetto dal suo travestimento, Don Giovanni riesce a far allontanare tutti gli altri tranne Masetto
(Metà di voi qua vadano): rimasto solo con il giovane ed avendolo con l'inganno privato delle armi, Don
Giovanni lo prende a botte e si allontana. Zerlina, di lì passante, soccorre il marito che quando le rivela
l'accaduto, decide insieme a questi di catturare non solo Don Giovanni ma anche il suo sfortunato servo, visto
che Masetto crede ancora di esser stato picchiato da lui (Vedrai carino).
Nel frattempo, Leporello travestito non sa più come comportarsi con Donna Elvira che lo incalza e vorrebbe
fuggire senza dare nell'occhio: trovata un'uscita, decide di tagliare la corda, ma è bloccato dall'arrivo di Donna
Anna, Don Ottavio, Zerlina e Masetto accompagnati da servi, contadini e contadine, che credendolo Don
Giovanni, si fanno avanti per catturarlo e ucciderlo, non prima che però il poveretto riveli la sua vera identità
(Sola sola in buio loco). Le cose comunque non cambiano: Zerlina lo accusa di aver picchiato Masetto, Donna
Elvira di averla ingannata e Don Ottavio e Donna Anna di tradimento. Leporello spiega dunque a Masetto e a
Zerlina di non sapere nulla, dato che è da un'ora che gira con Donna Elvira e spiega a Donna Anna e a Don
Ottavio che non ha colpa di tradimento verso di loro, per poi fuggire (Ah, pietà signori miei). Don Ottavio è

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sempre più deciso ad assicurare Don Giovanni alla giustizia e parte per vendicare gli amici (Il mio tesoro).
Mentre Masetto cerca Don Giovanni, Zerlina raggiunge Leporello e cerca di ucciderlo perché non crede alle
sue parole, tuttavia con l'inganno Leporello riesce a fuggire nuovamente (Per queste tue manine). Zerlina,
insieme a Donna Elvira, cerca di inseguirlo, ma sopraggiunge Masetto, che rivela l'innocenza di Leporello
poiché ha visto Don Giovanni travestito da servo. Donna Elvira, rimasta da sola, mentre i due partono in cerca
del Don Giovanni, dà sfogo a tutta la sua amarezza e rabbia, divisa fra l'amore per Don Giovanni e il desiderio
di vendetta nei suoi confronti (In quali eccessi e Mi tradì quell'alma ingrata).
È notte fonda, verso le due. Don Giovanni si è rifugiato nel cimitero e attende Leporello. Questi arriva e
racconta al padrone ciò che gli è capitato, dicendo che avrebbe fatto meglio ad andarsene invece di accettare
la sua offerta di soldi: Giovanni reagisce ridendo di gusto all'accaduto del suo servo, ma all'improvviso si ode
una voce minacciosa: «Di rider finirai pria dell'aurora». Stupiti, si guardano intorno per vedere di chi fosse
quella voce tenebrosa, la quale dichiara: «Ribaldo, audace, lascia ai morti la pace». È la statua funebre del
Commendatore a parlare. Leporello è tremante nascosto sotto una panchina, ma Don Giovanni non ne è per
nulla intimorito, anzi, ordina beffardo a Leporello, terrorizzato, di invitarla a cena (Oh statua gentilissima): la
statua accetta rispondendo terribilmente "Sì".
Palazzo del Commendatore, notte. Don Ottavio chiede a Donna Anna se si sia decisa a sposarlo. Donna Anna
dice che lo ama moltissimo ma è troppo addolorata per la perdita del padre, quindi dichiara che potrà sposarlo
solo quando il colpevole di questo atroce delitto (Don Giovanni) sarà arrestato (Non mi dir). Don Ottavio non
può fare a meno di darle ragione: lui e i suoi amici vendicheranno il Commendatore. Nessun di loro sa
dell'invito del Don Giovanni. Nel palazzo di Don Giovanni, tutto è pronto per la cena: la tavola è preparata, i
musicisti sono al loro posto ecc... Quindi Don Giovanni si siede a mangiare. Il licenzioso cavaliere si intrattiene
ascoltando brani delle opere: Una cosa rara di Vicente Martín y Soler, Fra i due litiganti il terzo gode di
Giuseppe Sarti e infine in una spiritosa autocitazione, Le nozze di Figaro, in quel caso, l'aria di Figaro Non più
andrai farfallone amoroso dello stesso Mozart (Già la mensa è preparata). Giunge all'improvviso Donna Elvira,
che implora ancora una volta a Don Giovanni di pentirsi (Ultima prova dell'amor mio), ma questi si prende
gioco di lei e la caccia via. La donna esce di scena, ma la si sente gridare terrorizzata. Don Giovanni ordina a
Leporello di andare a vedere cosa stia accadendo là fuori e si sente un altro grido e questa volta è Leporello a
tornare pallidissimo e tremante: alla porta c'è la statua del Commendatore! Dato che il servo è troppo
spaventato, lo stesso Don Giovanni, allora, si reca ad accoglierla a testa alta mentre il servo si nasconde sotto
al tavolo. Entra quindi la statua del Commendatore (Don Giovanni a cenar teco), vedendo Don Giovanni
stupito e Leporello tremante che cerca di convincere il padrone a scappare, malgrado egli rifiuti.
Il "convitato di pietra" vuole ricambiare l'invito, e propone a Don Giovanni di recarsi a cena da lui, porgendogli
la mano. Impavido e spericolato, Don Giovanni accetta e stringe la mano della statua: pur prigioniero di quella
morsa letale, rifiuta fino all'ultimo di pentirsi. Il Commendatore, furioso, scompare in mezzo a nubi di foschia,
divampano fiamme e si sente un gran terremoto: sono demoni e diavoli che stanno richiamando il libertino
all'inferno. Egli cerca di sfuggire al suo destino, ma viene inghiottito dalle fiamme dell'inferno. Giungono gli
altri personaggi con servi, contadini e contadine pronti ad arrestarlo. Leporello riferisce l'orribile scena appena
accaduta. Dato che il Cielo ha punito l'incorreggibile libertino, Don Ottavio chiede a Donna Anna se questa
volta ella sia disposta a sposarlo ma il suo cuore si deve ancora sfogare, Masetto e Zerlina vanno a cena insieme
ai loro amici, Donna Elvira, poiché l'unico uomo che ha amato, Don Giovanni, è morto, decide di ritirarsi in
convento e Leporello va a cercare un padrone migliore. Il sipario si chiude infine sui personaggi che dopo aver
cantato il concertato finale (Questo è il fin di chi fa mal) si allontanano in direzioni diverse.

àSi mette in scena una parabola morale nel giorno della ricorrenza dei defunti, che però si perde nell’opera
di Mozart.
Troviamo due versioni del Don Giovanni dove la versione che andò in scena a Praga è diversa da quella che
andò in scena a Vienna, quindi non abbiamo una stessa musica e opera, ma due versioni dove le varianti più
importanti sono:
• Don OttavioàL’aria Il mio tesoro intanto (II, 10) viene sostituita nella versione viennese da un’altra
aria Dalla sua pace (II, 15)
• Donna Elviraà Nella versione viennese, Mozart aggiunge un recitativo accompagnato «In quali
eccessi, o Numi» seguita dall’aria «Mi tradì quell’alma ingrata»
• Leporelloà Inserisce nella versione viennese tre brevi scene comiche che lo vedono protagonista nel
II atto
• Finale ‘Praga’ con ‘lieto fine’ vs. Vienna “finale tragico”à scaturisce molti problemi fra le due
versioni per il fatto che cambia la chiave di lettura.

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Sono varianti dovute al cast e anche volute dallo stesso Mozart, infatti si identificano come una serie di varianti
esaustive, cioè quando si inserisce degli elementi nuovi, sostitutive e compensative, cioè quando dopo alcuni
cambi di arie quel personaggio viene compensato o con un’aria o con un recitativo.
à libretto a disposizione: la versione praghese con le aggiunte di quello viennese, e oggi la versione che si
esegue è quella di Praga, anche se molte arie della versione viennese vengono inserite le arie. Questo crea un
problema di visione filologica, perché non si dovrebbero mescolare le due versioni, e ci si pone la domanda
“quale Don Giovanni” dove da un lato abbiamo lo statuto del testo, librettistico musicale, dall’altro abbiamo
la traduzione esecutiva. Da questo fatto si scaturisce il problema se è più importante l’ultima versione che
Mozart e Da Ponte hanno scritto per Vienna oppure è importante quello che nei decenni e nei secoli si è
stratificata la tradizione del moto del Don Giovanni. Il problema sta di fatto che questa tradizione esecutiva
non ha mai voluto rinunciare ad alcune varianti che Mozart ha introdotto nella partitura viennese, quindi in
sostanza è come se si mescolassero sia la versione di Vienna che quella di Praga, dove lo studioso mozartiano,
Kunze, lo ha definito opus ideale, cioè noi moderni ricostruiamo l’opera del Don Giovanni con le due versione
creando un prototipo di opera ideale, infatti si tratta di un opera perfetta da un punto di vista strutturale,
stilistico, morfologico e elementi strutturali estetici. Questo problema è ancora più marcato dal problema del
finale, perché a Praga fu rappresentato un Don Giovanni che aveva un lieto fine, cioè Don Giovanni sprofonda
sempre nell’inferno, ma si ha un coro dove i personaggi rimasti sulla scena si riappacificarono e si evidenzia
mettendo in evidenzia una morale, contro appunto a coloro che fanno male e che incontrano solamente la
morte. Quando Da Ponte e Mozart dovettero riadattarlo per la rappresentazione di Vienna sperimentarono un
nuovo finale dove viene tolto questo lieto fine e fecero finire l’opera con Don Giovanni che sprofonda
nell’inferno. Cambiare il finale in questo modo comporta a cambiare anche la chiave di lettura dove nel finale
tragico vedo un Don Giovanni senza speranza alcuna e do un’impronta tragica a tutta la vicenda, invece in
opposizione, con il finale a lieto fine da un altro colore all’opera.
La tradizione di eseguire il Don Giovanni tragico era lunga, lo stesso Mahler lo diresse cosi, ma negli ultimi
decenni si assiste al finale a lieto fine, infatti oggi si esegue la versione praghese, con l’inserimento delle arie
viennesi. Il problema del finale è legato anche ad un altro problema che ci pone Don Giovanni, cioè quello del
genere.
Nel 1784 Mozart prende l’abitudine di scrivere un proprio catalogo manoscritto dove annotava il pezzo, la data
di conclusione e il genere a cui apparteneva. In questo suo catalogo Mozart denomina il Don Giovanni come
un’opera buffa in due atti, ma questo genere non corrisponde a quello che riscontriamo nel libretto della
versione di Praga, sia in quello di Vienna, dove viene identificato come un “dramma giocoso”.
Molti esegesi hanno tenuto in gran conto la definizione di «dramma giocoso» apparsa nei libretti della première
a Praga del 1787 e della ripresa a Vienna del 1788,4 nonostante che Mozart, nel suo catalogo tematico
manoscritto, avesse annotato: «Il dißoluto punito, o, il Don Giovanni, opera Buffa in 2 Atti», ma con il lemma
«dramma giocoso» del New Grove Dictionary of Opera minimizza la differenza fra i termini, asserendo che
«i librettisti preferirono questa definizione per i loro testi, mentre i compositori pensarono più spesso ai loro
lavori di genere comico semplicemente come a “opere buffe”». Questo termine era stato già adottato da
Goldoni, ma fu solo attorno alla metà del Settecento che venne introdotta nei suoi libretti d’opera buffa che
prevedevano personaggi importati dall’opera seria, normalmente una coppia di amanti nobili. Da Ponte con il
concetto di dramma giocoso non implica alcun significato particolare; i personaggi seri [in Don Giovanni]
sono coinvolti nell’intrigo.
Definire il Don Giovanni un’opera buffa è un’azione un po’ardua perché già dall’inizio dell’opera si ha un
tentativo di stupro nei confronti di Donna Anna e la prima scena si conclude con un assassino in scena, quindi
cosa troviamo di opera buffa? Questi elementi riscontrati richiamano più elementi di opera serie, anche sotto
il profilo dei personaggi che li possiamo definire eroici (Don Anna, Donna Elvira…), ma si hanno anche una
serie di personaggi che richiamano gli elementi dell’opera buffa (come Leporello, Zerlina, Masetto…), quindi
si ha un travaso fra l’opera serie e l’opera di comico, infatti il suo successo è dato anche da questo fatto, cioè
la mescolanza dei generi.
Il Don Giovanni si caratterizza per un linguaggio, una morfologia che tiene conto della compresente di elementi
comici e dell’opera seria, ma a capire meglio ciò che ci vuole dire Mozart è che quando lui scrive opera buffa
si riferisce allo stile e al linguaggio che usa, che si giustificano su determinati elementi drammaturgici, ma
soprattutto il linguaggio musicale che Mozart usa è caratteristico dell’opera buffa partendo anche dall’uso del
concertato, dove ne ritroviamo molti e i personaggi non ci vengono presentati con delle arie solistiche, ma con
duetti e terzetti dove tramite gli incatenamenti della trama sorgono sempre di più.
• Personaggi seri (le parti dei personaggi nobili): Commendatore, Don Ottavio, Donna Anna, Donna
Elviraà cantano con un determinato stile

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• Personaggi buffi (personaggi bassi di rango): Leporello, Masetto, Zerlina
• Mezzo carattere: Don Giovannià è quel personaggio che si trova a metà fra il serio e il buffo e che
interagisce sia con le parti serie che son quelle buffe. È una personalità musicale che si identifica
tramite gli stili musicali.
La tendenza, particolarmente evidente in Mozart, era quella di riunire le tipologie di personaggi, e in due sensi:
non solo le parti serie si muovono verso quelle di mezzo carattere, ma interagiscono sempre sia con queste che
con i ruoli buffi. Viene anche definita un’opera d’azione da cima a fondo, dove il tutto è bastato da sorprese,
velocità e travestimenti dei personaggi, i quali non ci vengono presentati da pezzi chiusi, ma attraverso un
contrasto di eventi, infatti ritroviamo i Concertati, vale a dire l’azione.
L’orchestra viene usata in modo meno razionale, rispetto all’opera precedente (Nozza di Figaro), e lo si può
capire dai finali dei due atti, dove si presenta un’orchestra meno equilibrata dove i contrasti le increspano
continuamente e in alcuni istanti il suono si torce, anche per via dell’uso delle dinamiche, in particolare
nell’overture dove si hanno degli sforzati improvvisi.
Una caratteristica di Don Giovanni è quella che non ha una sua melodia, ma le cattura da altri personaggi, ma
si hanno momenti in cui Don Giovanni non impiega affatto la musica degli altri personaggi.
Don Giovanni dispone di tre arie, tutte rivolte a un altro personaggio in scena, nessuna delle quali ci svela una
particolare complessità nascosta del suo carattere: in «Fin ch’han dal vino» impartisce le istruzioni a Leporello
su come preparare la festa, e naturalmente enfatizza la sua ricerca ossessiva del piacere; «Deh, vieni alla
finestra» è una musica di scena diegetica, rivolta alla cameriera di Elvira;27 «Metà di voi qua vadano» viene
rivolta ai contadini e poi a Masetto. Non si ode mai una dichiarazione personale da questo protagonista.

23/03/2020
(lezione da casa)
Don Giovanni, Regia di Francesca Zambello, Coverd Gardenà per la visione dell’opera (DVD)

OVERTURE
È il brano strumentale introduttivo che porta ad introdurre l’opera, che avvia anche al primo atto caratterizzato
da una struttura complessa:
Ouvertura
N. 1-Introduzione: Molto allegro-Andante
N. 2 Recitativo e duetto Donna Anna-Don Ottavio
N. 3 Aria di Elvira, «Ah chi mi dice mai»
N. 4 Aria di Leporello, «Madamina, il catalogo è questo»
N. 5 Coro, «Giovinette che fate all’amore»
N. 6 Aria Masetto, «Ho capito, signor sì»
N. 7, duettino Don Giovanni- Zerlina, «Là ci darem la mano»
N. 8 Aria di Donna Elvira, «Ah, fuggi il traditor»
N. 9, Quartetto «Non ti fidar o misera»
N. 10, Recitativo e aria «Or sai chi l’onore» (Donna Anna)
N. 11, aria «Dalla sua pace» (Don Ottavio)
N. 12, aria «Fin c’han del vino», Don Giovanni
N. 13, aria «Batti, batti, o bel Masetto», Zerlina
N. 14, Finale primo, «Presto presto pria ch’ei venga»

L’Overture nel ‘700, fino a Glouk, era un brano orchestrale che aveva il compito di introdurre l’opera e
presentava un carattere brillante, per poter attirare al meglio l’attenzione dello spettatore, e inizialmente non
aveva elementi che poi si sarebbero ritrovati nell’opera, ma dalla metà del ‘700 diventano sempre più legate
agli elementi tematici dell’opera. Il caso dell’overture del Don Giovanni è un caso emblematico, perché
nell’overture troviamo molti spunti tematici, molti accorgimenti melodici o strutture armoniche che poi
ritroveremo nel corso dell’opera.
È strutturata in due movimenti: andante in Re minore, e il molto allegro in Re Maggiore ciò che colpisce è il
contrasto che si crea fra la tonalità maggiore e il suo corrispettivo minore, e anche il contrasto di tempo, cioè
andante e allegro.
Gli studiosi morzartiani si sono schierati in due legioni: alcuni che riprendeva il modello francese, cioè che si
parte con un tempo lento per poi introdurre un tempo veloce; l’altro schieramento lo intende come un'unica
narrativa dove vengono annunciati i momenti più salienti dell’intreccio e le idee tematiche che si ricontrarranno

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poi nell’opera. L’andante, che ha una sua identità tematica e narrativa, si contrappone all’allegro, ma questo
contrasto si alimenta anche dal fatto dall’unità tematica che rappresenta è quella tragica, come il presagio
dell’omicidio del commendatore, l’incontro con Don Giovanni e la scena dell’incontro di Don Giovanni con
la statua del commendatore. Nell’allegro invece si evidenzia l’altro aspetto del Don Giovanni, cioè la vitalità,
la sfacciataggine del protagonista, quindi l’elemento buffo.

🎶Overture
Il Don Giovanni inizia con un cataclisma, che rappresenta uno dei gesti musicali più potenti e tragici del teatro
d’opera.
L’andante: già a partire dal primo accordo possiamo capire che l’opera presenterà una serie di contrasti, sia
scenici che musicali. Nelle prime 10 battute sono stati analizza ben tre motivi principali dove l’apertura la si
ha su due accordi, dove il primo è sulla tonica e il secondo dominante e ciascun accordo è sottolineato da un
suono emblematico, dove sembra che ci preparino ad un annuncio solenne ed è un modo di iniziare l’overture
che ci fa capire che non è un semplice musica introduttiva, ma di un gesto sonoro, che poi avrà una
ripercussione, nella parte tragica, dell’opera.
A battuta cinque ci viene introdotto il motivo dei grandi passi, che Mozart affida ai legni, dove si hanno due
note, Re-La, che si alternano a distanza di ottava mentre gli archi eseguono un disegno musicale su un ritmo
trocaico, cioè caratterizzate da una minima puntata seguita da una croma, che scandiscono il motivo dei grandi
passi, legato alla statua del commendatore. Questo motivo è accompagnato dai violini da un disegno cromatico
discendente, che alimenta il senso di angoscia.
Ogni cellula motivica è stata interpretata come una sorta di schema musicale che accadrà nell’opera in
particolare il motivo a batt 11 è stato un motivo che ha dato parecchi interrogativi, di domande che Don
Giovanni fa alla statua del commendatore; secondo motivo alla battuta 15 costruito da una serie di terzine che
servono a sottolineare questa concitazione di Don Giovanni; il terzo motivo lo ritroviamo alla battuta 17
costituito da una serie di notte ribattute che rappresentano la personalità tragicomico di Leporello, con queste
quartine; l’ultimo tema è quello che troviamo a battuta 23, che rappresenta il simbolo dell’overture, costituito
da una serie di scale che salgono e scendono, e rappresentano la punizione di Don Giovanni alla fine
dell’operaà si vuole rappresentare la parte tragica dove si ha il presagio che succederà qualcosa di tremendo.
L’Allegro: è composta secondo la forma sonata, che si comporta come un classico primo movimento della
sinfonia, dove il secondo tema è caratterizzato da due idee contrastantià si vuole rappresentare la parte comica
tramite i temi, che fanno in modo di alleggerire, il carattere precedente.
Dopo di che si sfocia nell’introduzione che viene scandita che oscilla fra le tonalità maggiori e minori che
fanno in modo di accrescere la tensione drammatica, infatti ci riporterà ad uno stile tragico, con la morte del
Commendatore. Ci vengono già presentate dei tratti distintivi dell’opera, come la rapidità ed evanescenza di
Don Giovanni, vengono messi in risalto proprio con la gravità del Commendatore, la buffa pavidità di
Leporello e la disperata determinazione di Donna Anna, che ci annuncia quale sarà il suo ruolo drammatico
nell’opera. Possiamo suddividere l’introduzione in una sequenza di quattro parti principali:
1. Assolo in Fa di Leporello («Notte e giorno faticar»)
2. Ingresso di Donna Anna e Don Giovanni
3. Arrivo del Commendatore e duello
4. Morte del Commendatoreà in questo momento si evidenzia al meglio la potenza dei contrasti, fin
dalla prima nota eseguita in tremolo che ci fa capire fisicamente la sensazione di orrore provata da
Donna Anna alla morte del padre, accentuata dagli strumenti a fiato senza precedenti. Una delle
caratteristiche di Donna Anna è quella che si esprime quasi sempre con i recitativi accompagnati
(esempio scena XIII), che con i pezzi chiusi.
Questa scansione ci dice già molto di come Mozart concepisce l’inizio dell’opera, dove si ha un inizio molto
anomalo dove la scena viene presa dal servo, e i personaggi non ci vengono presentati con i pezzi chiusi, ma
si hanno una serie di eventi concatenati, cosa molto tipica nell’opera buffa e già dall’inizio quest’opera si basa
sull’azione e corrisponde alle prime due scene del libretto.
Da un punto di vista musicale Mozart usa il finale dell’atto, cioè di diverse sezioni che sfociano l’una nell’altra
e con l’ingresso di personaggi nuovi.
La scena si apre con l’aria di presentazione di Leporello, dove ci presenta la sua situazione di servo, ma che
vuole fare il gentiluomo; l’aria è composta in Fa maggiore e anche qui l’aria ha un carattere buffo, dove il
servo vuole diventare ricco e gentiluomo è un carattere tipico dell’opera buffa, ma con l’ingresso di Donna
Anna e di Don Giovanni e a seguire l’urlo di Donna Anna ci riporta nel carattere dell’opera seria.

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🎶Notte Giorno Faticar, Leporello, Scena 1, I atto
Ci dice molto del personaggio di Leporello, dove specifica, in maniera chiara, che vuole diventare un
gentiluomo e non vuole più servire, ma più che gentiluomo, vuole diventare come il suo padrone. La struttura
dell’aria si apre con un brevissimo preludio orchestrale e vocale che corrisponde hai primi 4 versi, che sono
intonati in maniera tale da fare da cornice al vero e proprio motivo dell’aria (A), dove si ha una forma ad arco,
e si avvia in maniera un po’ anomala, poi si ha la parte B, che segue subito una serie di preposizioni di A per
poi ad andare alla coda.

A seguire all’aria di Leporello, seguono le prime battute di Don Giovanni e Donna Anna, dove Don Giovanni
riprende la melodia dell’aria di Leporello, e questo fatto è una caratteristica del personaggio di Don Giovanni,
cioè che ruba le idee melodiche degli altri, perché lui non ce l’ha una propria.

In seguito abbiamo l’arrivo di Donna Elvira dove intona l’aria “Ah che mi dici mai”, dove dopo la morte del
commendatore Donna Anna chiede a Ottavio di vendicare il padre morto, mentre Don Giovanni e Leporello
nel momento in cui iniziano a parlare si presenta Donna Elvira, una dama di Burgos e una precedente amante
di Don Giovanni ed è l’unico personaggio un legame evidente con Don Giovanni ed è uno dei personaggi
fondamentali dell’opera, perché è considerata un vero e proprio antagonista perché è animata da un forte senso
di vendetta, ma presenza una sfumatura differente da quella di Donna Anna, che rappresenta la donna eroica,
stuprata e che le viene uccisioni il padre, ma non ha quel senso di vendetta che ha Donna Elvira che si presenta
una vera e propria giustiziera a che arriva in difesa di Donna Anna e di Zerlina e ha il ruolo di guastatrice dei
piani di Don Giovanni. Ha due arie nel primo atto e sarà lei che avvierà il quartetto del primo atto. Presenta
anche un rilievo da un punto di vista drammaturgico dove innesca sempre un piano che faccia sconvolgere
quelli di Don Giovanni, cioè di fare nuove conquiste.

🎶Ah, che mi dici mai: è strutturata in due quartine e viene esemplificato un classico pensiero sonatistico
dell’epoca e di Mozart perché si presenta una struttura di forma sonata, senza lo sviluppo, quindi si ha A e A’
e poi appaiano i clarinetti in forma solistica con la voce.
Si mettono in luce i due aspetti di Donna Elvira: quello della vendetta, ma anche quello della passione che
nutre ancora nei confronti di Don Giovanni, e entra in scena nel momento in cui Don Giovanni non la vede
dove lui sente “odore di femmina”, quindi pronto per una nuova conquista. Don Giovanni nel momento in cui
poi la vede non la riconosce subito e anche Donna Elvira non lo riconosce, la riconosce solamente quando la
sente cantare, quindi dopo l’aria. Il recitativo che precede l’aria mette in luce il rapporto che si ha fra Leporello
e Don Giovanni, che è molto schietto che va a di la di quello che si dovrebbe avere fra servo e padrone, quindi
Leporello ha sempre questo tono duplice: da un lato è audace nel rivolgersi al suo padrone, ma poi si sottomette.
La mancanza dello sviluppo ha fatto pensare anche al simbolismo dell’animo di Elvira, che non ha uno
sviluppo perché è sempre animata dalla vendetta.
Le prime due strofe di Donna Elvira sono intonate sulla stessa melodia dove la linea melodica è caratterizzata
da una veloce escursione dal registro più acuto al più grave e viene eseguito due volte. Questa linea melodica
sottolinea la voglia di vendetta di Elvira, ma nel registro grave indugia e questo lo ritroviamo anche in altri
momenti dell’opera, dove questo aspetto viene legato al fatto che vuole tentare di nuovo con Don Giovanni,
cioè che lo vuole riconquistare e riunirsi a lui.
L’aria viene interrotta dai commenti di Don Giovanni e Leporello, e si è trasformato in un vero e proprio
terzetto tramite la tecnica dei porti chini, cioè i ruoli secondari, che si inseriscono nella parte che sarebbe stata
dedicata nello sviluppo. Quindi si ha una manipolazione delle forme, sia da un punto di vista musicale che
poetico, dove si presenta un tipo di testo eroico, infatti Elvira parla come un personaggio nobile, a differenza
degli inserti di Don Giovanni e Leporello, dove vengono usate terminologie non alte, ma borghesi. Dopo l’aria
si ha il riconoscimento dei personaggi.
24/03/2020
(lezione da casa)
🎶Madamina il catalogo è questo Aria di Leporello
È una delle arie più importante di Leporello, infatti è l’aria da catalogo di questo personaggio, dove annuncia
tutte le conquiste che vennero fatte dal suo padrone, Don Giovanni e viene seguita poco dopo l’aria di Donna
Elvira dove Leporello cerca di consolare Elvira dicendo che non è stata l’unica a soffrire, anzi lo può dimostrare
perché aveva tenuto un catalogo di tutte le conquiste che Don Giovanni aveva fatto. L’idea del catalogo delle
conquiste di Don Giovanni era già stata usata in versioni musicali precedenti come quella di Betati e
Gazzaniga.
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Già l’aria di Elvira era particolare, dove sfociava in un terzetto, e anche questa presenta delle particolarità: la
prima è che è strutturata come un’aria doppia, cioè strutturata come due arie di insieme dove le due macro-
sezioni sono segnate con l’allegro e la seconda andate con moto, quindi è composta da due movimenti. Questa
duplice natura è strutturata da Mozart legata dal testo, che ci presenta una serie di successioni di dati numerici,
la posizione sociale, l’età, il colore dei capelli e la corporatura di tutte le vittime, cioè dalla composizione dei
versi, dove quest’aria da catalogo è un aria fra le più sofisticate scritte Da Ponte perché in ogni strofa si
focalizza su un aspetto diverso delle conquiste di Don Giovanni, iniziando con una numerazione delle
conquiste, poi enumera la posizione sociale delle conquiste, poi le descrive fino a poi a mettere in rilievo questa
frenesia di Don Giovanni, dove non gli importa se sarà ricca o povera, l’importante è che porti la “gonnella”.
Quindi lascia parlare Leporello, con questa aria dove ci dice come è Don Giovanni, ma anche il carattere di
Leporello, dove prova un po’ di invidia per il padrone.
Dal punto di vista musicale, Mozart sembra ricalcare questo progressivo avvicinamento alle donne a Don
Giovanni, dove la prima sezione viene scandita da due macro-sezione, A e A’, dove poi segue la seconda parte
dell’aria (l’andante con moto) e queste due parti sono molto contrapposte fra di loro, sia dal moto della musica
ma anche dal carattere che presenta. Ciascuna di queste parti è caratterizzata da tre idee tematiche diverse,
dove il primo è presente all’inizio dell’aria, batt 3-4, la seconda alle batt19-20 e la terza la troviamo alle batt
30-31-32. Questo materiale tematico è più o meno lo stesso, ma si ha una accelerazione ritmica che caratterizza
l’eccitazione di Leporello di cantare quest’aria e questo allegro va a finire nell’andante con moto, preceduto
da una coda, dove la tonalità rimane sempre in re maggiore, ma lo stile di canto di Leporello cambia, cioè nella
prima parte il tutto è caratterizzato da una serie di ribattute che era caratteristica dell’opera buffa (un declamato
usato molto spesso nella musica sacra, anzi possiamo dire che può essere una presa in giro di questo
declamato), a differenza la seconda parte si presenta con uno stile di canto cantabile, dove si hanno delle vere
e proprie melodie che serve a sottolineare l’invidia di Leporello nei confronti del suo padrone e si evidenzia
meglio nel momento in cui Leporello ripete più volte “la piccina” con valori ritmici brevi, e il modo in cui
pronuncia la parola e lo stile di canto sottolinea il fatto il tipo ideale di donna che anche Leporello vorrebbe
avere. Questa natura di Leporello viene fuori anche alla fine dell’aria con delle allusioni erotiche, tramite
sottolineature “voi sapete quel che fa” che viene ripetuto più volte, e serve anche a offendere una donna, come
Elvira, che è legata ad un tipo ideale amoroso lontano da quello di Leporello e Don Giovanni.
L’idea fondamentale di quest’aria non era un’invenzione di Da Ponte, ma la riprende da un libretto precedente
Don Giovanni di Calzanigia, e la suddivisione in due parti fa si che l’aria si presenti come un’aria bipartita,
cioè doppia.

🎶La Ci Darem la Mano, Don Giovanni e Zerlina


È un duettino breve dalla struttura abbastanza semplice dove si coglie Don Giovanni in mezzo all’azione,
infatti lo troviamo nel momento in cui cerca di convincere Zerlina nel seguirla nel suo casinetto per poi sedurla.
È interessante notare come Mozart costruisce questo duetto dove da un lato abbiamo Don Giovanni che cerca
di convincere Zerlina, mentre dall’altra Zerlina che resiste in un primo momento ma poi cede.
La struttura del duetto si presenta con la struttura tripartita, costituita nell’andante, lineare, poi ha una seconda
parte, l’allegro.
La prima parte è costruita in tre sezioni, dove la prima parte dall’inizio del duetto fino “può burlarmi a cor”,
dove si ha una botta e risposta fra i due personaggi, perché all’inizio è come se fossero su due posizioni
parallele, ma distanti, per poi introdurre la seconda sezione (“vieni mio bel diletto”) dove i personaggi si
rispondono a distanza di un verso l’uno dall’altra, per poi ritornare nella prima sezione “la ci darem la mano”
che sfocia nel canto simultaneo nella seconda parte dell’aria, cioè nell’allegro. Anche in questa struttura
dipartita si rispecchia la piccola drammaturgia di questo duetto, dove all’inizio Zerlina non vuole, ma poi cede
e rimane conquistata da Don Giovanni.
Dopo questo duetto ritroviamo la seconda aria di Donna Elvira con l’aria “ah Sfuggi Traditor”, dove donna
Elvira si accorge che Zerlina è rimasta conquistata da Don Giovanni e Donna Elvira la vuole salvare.

🎶 ah, Sfuggi Traditor” Donna Elvira


Anche in questo caso Mozart conferma la figura di questo personaggio, cioè come una donna furiosa che vuole
solo vendetta e viene messo anche in evidenzia dall’uso dei soli archi che sottolineano un vero e proprio ritmo
puntato sia in accompagnamento per la voce, che in contrappunto, e questo ritmo puntato sottolineano al
meglio la furia di Donna Elvira che ha tra le sue corde, che viene fuori da questo profilo ritmico motivico che
Mozart disegna per lei, e spesso è connotata da questo ritmico puntato. L’assenza degli strumenti a fiato e
l’accompagnamento dei soli archi richiama uno stile antico, ma si ha una eccezione in questa aria, cioè si hanno

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degli ammordimento sulle parole “fallacei il ciglio”. Questo ritmo puntato che caratterizza questo personaggio,
lo ritroviamo in uno dei pezzi fondamentali cioè nel quartetto “Non ti fidar o misera”.
Ci viene presentata con un tono arcaicizzante e serioso nel quale molti commentatori hanno rivelato l’influenza
di Handel. Il carattere dell’aria dipende dal fatto che Elvira comincia qui il suo ruolo di guastatrice, infatti da
un precedente recitativo aveva deciso di seguire Don Giovanni per impedirgli di far soffrire altre donne.

🎶 Non ti fidar o misera, Quartetto Donna Elvira, Don Giovanni, Donna Anna, Don Ottavio.
È uno dei momenti chiave dell’intera opera, dove la colpevolezza di Don Giovanni si manifesta nei personaggi,
infatti si hanno Donna Anna e Don Ottavio chiedono aiuto a Don Giovanni per far luce sull’uccisione del padre
di Donna Anna, ma sulla scena compare Donna Elvira, la quale fa partire il quartetto, dove mette in allerta
Donna Anna dicendole di non fidarsi di Don Giovanni e fa venire i dubbi a Donna Anna e Don Ottavio su Don
Giovanni. Tutto il duetto si concentra sullo sviluppo degli eventi avvenuti dove sorge anche tutta la natura di
Don Giovanni.
È complesso sia da un punto di vista poetico e musicale, dove da un punto di vista poetico notiamo che la
costruzione metrica è molto articolata, dove la prima parte presenta due quartine, con settenari sdruccioli e
tronchi; con l’ingresso di Don Giovanni, cambia il ritmo, infatti troveremo solamente settenari piani, poi nella
successiva sezione con Donna Elvira e Don Giovanni si hanno settenari sdruccioli e piani insieme. C’è tutto
una modulazione metrica diversa a seconda di quale personaggio parla, ma anche di che cosa dice, quindi il
piano metrico non è casuale, ma da un ritmo che tende a sottolineare le diverse posizioni dei personaggi in
scena: lo stupore di Donna Anna e Don Ottavio, la furia di Donna Elvira e le giustificazioni di Don Giovanni,
facendo passare per pazza Donna Elvira.
Da un punto di vista musicale il quartetto è strutturato in maniera tripartita, Andante, con una parte A, una
parte B eseguita alla dominante, e un ritorno ad A’.
Troviamo due aspetti musicali interessanti, dove il primo sorge subito all’inizio del quartetto presentato una
situazione tragica esposta da Donna Elvira, che è il motore drammaturgico di tutta l’opera perché fa capire a
tutti chi è veramente Don Giovanni, e la linea vocale è sempre caratterizzata da un andamento trocaito (cioè
da un ritmo puntato) e in questo quartetto si nota che la rabbia di Donna Elvira si sia placata, cioè come se
diventasse una consapevolezza tragica molto evidente, infatti Mozart sceglie come movimento un andante e
se nella linea vocale rimane questo stile compositivo puntato nella voce, dall’orchestra scompare
definitivamente, infatti si ha un accompagnamento più dolce legato all’amore che ancora prova per Don
Giovanni, infatti si rispecchia nella figura di Donna Anna, tradita da Don Giovanni e si rivede in lei quando
anche Donna Elvira venne tradita. Mozart utilizza un motivo che ritorna più volte, dove lo sentiamo per la
prima volta nelle parole “te vuol tradir ancor”, composto da sei note che ritorna più volte, anche in maniera
rielaborata, sia nella voce che nell’orchestra e rappresenta il simbolo dello smascheramento di Don Giovanni.
Un altro aspetto è la mescolanza di elementi tragici e comici, dove il tutto funziona come un duetto fra Donna
Anna e Don Ottavio, mentre Don Giovanni e Donna Elvira interferiscono nel duetto, dove Don Giovanni si
esprime con uno stille e linguaggio a opera buffa. Anche in questo caso c’è una spiccata vena tragica che
convive con il carattere comico.

🎶 Recitativo scena XIII


È un esempio di recitativo accompagnato dove Donna Anna si rende conto che l’uomo che tentò di stuprarla
fu proprio Don Giovanni e Mozart sottolinea questo momento solenne accompagnando le parole di Donna
Anna con un’orchestra che esprime la rapidità dei gesti e dei pensieri di Donna Anna, dove sentiamo il ritorno
dei clarinetti e si ricostruiscono quei attimi cosi tragici per Donna Anna.

FINALE DEL PRIMO ATTO


È un momento cruciale all’interno dell’opera 700esca perché l’azione drammatica arriva ad una conclusione
ma anche per il fatto che il finale racchiude più momenti drammatici.
1. Allegro assai («Presto, presto pria ch’ei venga»)
2. Andante-Allegretto-Adagio («Tra quest’arbori celata»)
3. Allegro («Riposate, vezzose ragazze»)
4. Maestoso («Venite pur avanti, vezzose mascherette!») - presenza di musica di scena (Minuetto,
Contraddanza, Deutscher Tanz)
5. Allegro assai («Gente aiuto, aiuto gente»)
6. Andante maestoso («Ecco il birbo che t’offese») - concertato di stupore
7. Allegro («Trema, trema scellerato!») - stretta del concertato

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Si tratta di un finale particolare, molto diverso da quello coerente che si ritrova per esempio nelle Nozze di
Figaro, qui invece si ha una costruzione diversa, cioè ci si attiene ad una adesione stretta all’azione drammatica,
quindi i personaggi agiscono in blocchi distinti, nella prima parte del finale, dove si soprappongono solamente
nella scena del ballo.

🎶 Venite pur avanti, vezzose mascherette, scena XXI


Questa scena inizia con Leporello che dice “Venite pur avanti, vezzose mascherette”, che si trova nella seconda
metà del finale, dove arrivano tre maschere, che hanno un ruolo centrale in questo finale e che non sono altro
che Donna Elvira, Donna Anna e Don Ottavio che, muniti in una maschera, si presentano al ballo organizzato
da Don Giovanni nel suo palazzo, dove Donna Elvira e Donna Anna cantano nella tonalità tragica di Re minore,
inserito in un contesto buffo. Sulla La prima sezione del finale, Maestoso, si apre con un ritmo di marcia
solenne che apre la scena del ballo dove il senso di libertà si riferisce alle mascherine di partecipare alla festa.
Dopo questa scena solenne Don Giovanni chiede di formare le coppie e si da inizio a tre danze e sulla scena si
trova una piccola orchestra che doveva suonare tre danze distinte e Mozart lo aveva segnato nella partitura.
La prima è ballata da Donna Anna e Don Ottavio che ballano un minuetto, eseguito da corni, oboi e archi che
sono presenti sulla scena. La seconda danza vede coinvolti Zerlina e Don Giovanni che esegue una contradanza
accompagnata da violini e contrabassi, ed è una danza popolare che si addice al personaggio di Zerlina, ma
anche a Don Giovanni, visto che sta ha un tenore di mezzo carattere. La terza danza è ballata da Leporello e
Masetto, dove Leporello deve distrarre Masetto per poter permette a Don Giovanni di ballare con Zerlina, e a
questa coppia Mozart gli affida una doegerdanse, cioè una tipica danza tedesca che è una variante della danza
popolare doicer.
Si hanno tre danze diverse accompagnate da tre orchestrine diverse, dove si evidenzia tre situazioni
drammaturgiche diverse, ma anche i tre livelli sociali che si hanno sulla scena, dove non si mescolano i
personaggi, a parte Don Giovanni che presenta questo carattere a meta.
Nel momento in cui Zerlina chiede aiuto, perché Don Giovanni la trascina da una parte si comincia ad avere
una serie di modulazioni fino ad arrivare ad una nuova sezione (“ecco il birbo”) che è molto importante in
questo punto dell’opera perché Don Giovanni viene quasi scoperto e fa prendere la colpa a Leporello di quello
che è successo a Zerlina, minacciandolo di trafiggerlo con la spada. Si ha un susseguirsi di eventi fino a quando
non calano le maschere e si ha l’inizio del concertato di stupore, momento topico del finale dell’opera buffa,
dove Don Giovanni si stupisce di chi c’era dietro alle maschere, cioè persone che conosce, dove i personaggi
dichiarano tutto quello che pensano su Don Giovanni e si sottolinea la scena drammatica che si crea, anche se
Don Giovanni non si fa scandalizzare dalle parole che gli vengono dette, anche perché nel secondo atto
continua a fare le sue conquiste.

Il personaggio di Don Giovanni è stato anche identificato con la figura del camaleonte, in particolare nel
momento in cui si scambia i vestiti con Leporello dove si suggerisce la metafora che la personalità del
protagonista manca di un nocciolo duro, che non esiste un vero Don Giovanni.
25/03/2020
(lezione da casa)
Spesso il personaggio del Don Giovanni viene affiancato alle figure di Faust, Don Chicccote e Amleto, che
sono dei miti della modernità, ma sono nati da opere letterarie, ma Don Giovanni per diventare un mito non
esisterebbe nemmeno senza l’opera di Mozart, anche se non era un soggetto nuovo, però con Mozart diventa
un soggetto unico, dove dietro l’opera si nascondono molti messaggi.

L’OPERA ITALIANA NELL’800


Con Don Giovanni ci troviamo alla fine dell’700, ma con l’inizio dell’800 si apre un nuovo secolo dove si
vedrà nuovi protagonisti di questo genere, come Rossini, Verdi, Bellini, Donizetti e in parte anche Puccini.
La prima cosa da notare che nell’800 l’opera diventa il genere più importante rappresentativo in Italia, sia da
un punto di vista dei compositori che quello del pubblico, dove cominciò a familiarizzare con il concetto di
repertorio, anche se la musica da camera da camera e da chiesa veniva ancora praticata, ma persero la loro
rilevanza, mentre il teatro di prosa mantenne la sua posizione autorevole nello spazio culutrale. Un ‘altro
aspetto da sottolineare è anche il fatto che l’Italia nel primo dell’800 era considerato il paese del melodramma,
piuttosto che della letteratura o di pittura, e questa caratteristica la si nota anche nella geografia dei teatri italiani
(La Scala di Milano, il San Carlo di Napoli, La Fenice di Venezia, la Pergola di Firenze), che si intensificano

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la costruzione di nuovi teatri sia al Nord che al Sud dell’Italia e permisero la diffusione di questo genere e da
questo fatto si crea la necessità di creare nuove opere e che poi rientreranno nel canone operistico, come nel
caso di Rossini, infatti assistiamo ad una impressionante diffusione della rappresentazioni operistiche
nell’Italia del primo ‘800 dove le maggior rappresentazioni avvenivano al centro-nord, mentre al sud era più
rara la rappresentazione .
Un altro punto importante da tenere sotto esame è quello del sistema produttivo, organizzato in due stagioni
principali (Carnevale e primavera), ma nei teatri più grandi si svolgeva anche la stagione autunnale. Il tutto
ruota attorno alla figura dell’impresario, che si identifica come un uomo d’affari che ha la possibilità di
investire molto denaro nell’organizzazione del teatro, di contattare i compositori e librettisti, e di arruolare i
cantanti che lui sceglieva in prima persona e spesso sceglieva anche il soggetto. Oggi questa figura si identifica
nel sovrintendente e nel direttore artistico, infatti l’impresario doveva anche avere una conoscenza nel campo
musicale. Uno degli impresari più importanti di questo periodo fu Domenico Barbaja, che operò nelle città
Napoli e Milano. Iniziò la sua carriera all’interno dei fauyet dei teatri, cioè era il conccesionale dei giochi
d’azzardo, che si svolgevano al Teatro della Scala, e da questi guadagni decise di investire parte nella
produzione operistica, dove ebbe occasione di lavorare anche con Rossini.
Altri impresari molto importante fu Lanari, che era legato al teatro della Pergola di Firenze, e Morelli, che
lavorò al teatro della Scala dal 1836 sino al 1850, dove ebbe anche occasione di organizzare altre stagioni in
vari teatri della penisola e anche a Vienna.
Al contrario del 700, nell’800 i compositori potevano mettere parola sulla scelta dei cantanti e anche nell’Italia
del primo ‘800 il pubblico andava a teatro soprattutto per sentire i cantanti, che continuano ad avere una grande
importanza nella produzione operistica, ma una cosa che si verifica è quello che i cantanti vengono apprezzati
per la capacità di stare in scena, oltre alla capacità vocale.
Tra i cantanti più noti di questa generazione sono:
1) Isabella Colbranà è stata un soprano molto celebre per 40 anni nell’800, di origine spagnola, che fu
la prima donna del Teatro di San Carlo a Napoli dal 1811 al 1822 e si legò sentimentalmente prima al
l’impresario Barbaja, poi al compositore Rossini, il quale scrisse una delle opere più importanti fatte
rappresentare al San Carlo di Napoli, Elisabetta Regina di Inghilterra 1815, dove interpreto il ruolo
della protagonista. Si specializzò nei ruoli regali e la sua voce era particolarmente apprezzata per i
passi di agilità, infatti aveva una grande abilità nel canto fiorito, cioè nell’eseguire molte note veloci
su una sillaba di testo e ebbe un forte impatto sulla scrittura vocale adoperistica di Rossini. Stendhal,
in un commento, sottolinea la sua forte presenza scenica e questo è un tratto che viene sempre più
notato, insieme alla voce.
2) Giuditta Pasta (1797-1865)à era diversa dalla Colbran, dove presentava una voce che non era molto
apprezza, ma estesa, in particolare al registro basso, infatti oggi si parlerebbe di un registro di mezzo-
soprano, ma la cosa che la caratterizzò erano le sue doti di attrice, con una gestualità molto pronunciata,
dove si immedesimava cosi bene che venne denominata la “cantate delle passioni”. Fu protagonista
nelle opere Anna Bolena, Sonnambula e anche in altre opere. Venne definita la cantante delle passioni.
La caratteristica fondamentale di questi anni è anche la comparsa del tenore, dove il più importante fu
Giovanni Battista Rubini, che viene legato al compositore Vincenzo Bellini, che gli scrive la parte particolari.
Presentava uno stile molto cantabile, che riusciva a rendere con frasi lunghe che eseguiva con molta eleganza,
con molta morbidezza e aveva un timbro molto soave e dolce e aveva un modo di stare in scena, che era un
misto fra uno slancio eroico e sentimentale, che divenne un beniamino fra il pubblico femminile. Parlare di un
tenore era una novità, perché fino a questo momento non ne avevamo, ma più che altro i castrati cominciarono
a sparire dalla scena, dove l’ultimo castrato fu Velluti che rimase attivo fino agli anni 20. Le parti maschili
giovani vengono affidate alle donne, che indossavano costumi maschili, come nel caso del personaggio di
Tancredi, ma questa prassi cominciò a diventare sempre più rara fin a che queste parti non vennero affidate ai
tenori, che cominciarono ad avere un ruolo sempre più importante. Questa rapida rivoluzione avvenne per il
fatto che all’inizio dell’800 cambia la concezione dell’identità di genere, dove nel ‘700 la concezione
dell’identità di genere era abbastanza fluida, dove non c’era una distinzione fra maschile e femminile, questo
cambia nell’800 dove si impone un nuovo ideale di maschilità che si identifica anche con la voce, creando cosi
una netta distinzione fra i ruoli maschili e femminili. Rimane comunque di fatto una preferenza delle voci
acute, infatti i tenori erano quelle voci acute naturali, diventando il simbolo del ruolo eroico, dell’amante e non
a caso molti compositori scrissero ruoli importanti per questo tipo di cantante.
I cambiamenti che avvengono, assieme a quello della vocalità furono molti, con un nuovo assetto delle
categorie vocali che cambia l’estetica e la fruizione dell’opera, in questo periodo, dove il pubblico femminile

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ama la voce tenorile, come la voce del soprano affascina il pubblico maschile, quindi si crea una polarizzazione
delle voci.
Un altro aspetto riguarda l’editoria musicale dove all’inizio dell’opera si stampava solamente il libretto, ma
nei primi decenni dell’800 si cominciò a stampare anche la partitura dell’opera, dove in un primo momento
venivano stampati solamente i pezzi chiusi più importanti, ma dagli anni 20 in poi si diffondono anche gli
spartiti interi dell’opera con la riduzione per canto e pianoforte.
Questo fenomeno era legato a due elementi:
- La musica amatoriale, cioè nella borghesia era consuetudine rieseguire i pezzi chiusi celebri dell’opera,
all’interno dell’ambiente domestico;
- Diffusione del pianoforte, che diventa lo strumento principe della borghesia;
Si trovavano anche riadattamenti di pezzi chiusi che potevano essere eseguiti da vari strumenti e il maggior
protagonista di questo ambito fu Giovanni Ricordi (1785-1853) che fu uno dei primi stampatori di musica
operistica, dove lui non era solamente appassionato di musica, ma fu anche violinista, in un piccolo teatro di
Milano, poi aveva passato alcuni mesi in Germania, dove svolse l’attività di copista di musica e si rese conto
delle grandi potenzialità che questa attività poteva avere. Così che nel 1811 prende in appalto tutte le stampe
del conservatorio di Milano fino ad arrivare a fare un contratto con la Scala e alla fine ne acquisì un intero
archivio musicale, e grazie anche agli accordi che prendeva con anche gli editori esteri riuscì ad imporsi come
principale stampatore italiano di musica e nel 1842 decise di ampliare il proprio ambito editoriale iniziando la
pubblicazione del periodico musicale “la Gazzetta musicale di Milano”, che usciva settimanalmente.
La sua eredità passo al figlio Tito e poi a Giulio Ricordi, che anche lui fu uno dei personaggi più importanti
dell’editoria musicale per il fatto che lui divenne anche un “manager” di compositori, cioè grazie a lui molti
compositori riuscirono ad avere successo e accrebbe il catalogo della sua ditta, ma soprattutto fu molto vicino
a molti compositori italiani, che li stimolo a creare nuove opere, in particolare con Verdi e Puccini, dove
quest’ultimo era un grande amico di Giulio Ricordi.
All’editoria musicale si deve anche la nascita della critica musicale, dove venivano pubblicate sui giornali di
vari spettacoli, che suscitavano anche la curiosità da parte del pubblico, e durante il periodo napoleonico, i
giornali cominciarono ad avere un grande rilievo dove ritagliavano una parte dedicata alla critica degli
spettacoli operistici. Nel 1804 si ha la nascita di due giornali, che furono fondamentali per il melodramma,
cioè il giornale italiano e il corriere delle dameà sono giornali che riservano una attenzione costante al teatro,
ma in particolare al melodramma e questo determina una discussione pubblica sui cantanti, libretti, compositori
che fanno sorgere quel gusto operistico che si diffuse che poi divenne nazionale. Il tipo di critica che veniva
fatta non era proprio rivolta alla musica in sé pe se, ma sulla serata, quindi, per esempio, si parla della serata
di quando andò in scena la Sonnambula di Bellini, quindi i primi articoli sono delle cronache dove si parla
delle interpretazioni, quindi c’è un racconto dettagliato di come era andata la rappresentazione operistica.
Solamente a partire dagli anni ’40-50 possiamo parlare di una nuova forma della critica musicale, dove si parla
dell’opera come un opus artistico cioè considerarla nella sua identità della partitura e del libretto e per arrivare
a una critica di questo tipo bisogna aspettare gli anni 40 dell’800.
Anche la critica musicale contribuisce di quello che oggi chiamiamo il repertorio operistico, cioè la raccolta
di tutte le opere composte da una serie di compositori, come Bellini, Puccini, Verdi… ma questo concetto di
repertorio si fa strada nei primi decenni dell’800 con l’arrivo di Rossini, che fu il primo compositore a vedere
le proprie opere con estrema regolarità, come il Barbiere di Siviglia è una delle prime opere ad entrare nelle
stagioni operistiche diventando opere universali.
Rossini era considerato un compositore al quale si rispecchiava al meglio la cultura musicale italiana e anche
per questo le sue opere diventano patrimonio di tutti i teatri dell’epoca e rientrano nel repertorio operistico.
A cambiare nell’800 è anche il rapporto che si crea fra compositore e librettista, quindi mutamento dei rapporti
di forza nel processo creativo dell’opera, dove si pone l’idea di autorialità dell’opera, cioè chi è il vero autore
dell’opera, dove nel ‘700 era il poeta (Metastasio), mentre nell’800 non sarà più il poeta, perché il compositore
acquista sempre più importanza, proprio come autore dell’opera, dove il poeta non è solo l’autore del libretto
e di un opera, ma diventa il librettista, cioè colui che fornisce un libretto. Il termine librettista emerge i primi
anni dell’800, come un termine dispregiativo, dove venivano indicati tutti quei poetastri che scrivevano i
libretti, mentre il poeta era colui che aveva quel “fuoco sacro” della poesia, e comincerà a essere visto come
un vero e proprio mestiere. Già alla fine del ‘700 in maniera più regolare nel corso del ‘800 il librettista e il
compositore cominceranno a lavorare a stretto contatto, dove spesso è il compositore stesso ad andare dal
librettista a chiedergli un libretto, oppure scelgono insieme il soggetto e poi è il librettista che lavora a stretto
contatto con il compositore, il quale gli può chiedere di fare anche delle modifiche. Un altro cambiamento che
si verifica è quello della scelta delle fonti, cioè i libretti nuovi vengono basate su fonti letterarie, che non

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derivano da altri libretti e si scrivevano anche libretti nuovi. Anche questo cambiamento del rapporto fra
compositore e librettista è dovuto da Rossini, dove il suo modo di relazionarsi con i cantanti e i librettisti fa
scuola fino ad arrivare al caso di G. Verdi che cambia il modo di lavorare con il librettista, quindi il compositore
prende sempre più spazio diventando il vero e proprio autore dell’opera.
Il più famoso librettista italiano è Felice Romani, che lega alla sua attività del teatro della Scala, e scrive i
maggiori libretti a Rossini, ma in particolare anche a Vicenzo Bellini, che per il quale scrisse molti libretti
legati alle opere di Bellini, ma la cosa che conquista era la bellezza che ritroviamo all’interno dei versi.
Un altro librettista fu Salvatore Cammarano che venne particolarmente amato da Donizetti e da Verdi, dove
lui non presentava quella eleganza poetica che si aveva con Romani.
Nell’800 ritorna a galla il problema della distinzione dei generi, che si differenziavano in tre:
- Opera seria
- Opera buffa
- Opera semiseriaà si mescolano elementi comici con situazioni tipiche dell’opera seria;
All’epoca queste distinzioni erano sentite, ma la terminologia variava, ma quello che le distingueva erano non
solo i soggetti, ma anche i finali, che era abbastanza sentito all’epoca e quello che cambia meno nell’800 era
l’opera buffa, mentre l’opera seria vede affermarsi in maniera definitiva il finale tragico, anche se si hanno
casi dove il compositore oscillava fra il tragico e il finale a lieto fine, e per questo caso è il Tancredi di Rossini,
ma quello che cambia nell’opera serie e nella semiseria era il soggetto, dove le ambientazioni erano quelle
medievali-rinascimentali, dove si aveva un’antichità che non doveva per forza richiamare la storia precisa, ma
poteva essere aggiunto l’elemento di fantasia.
Il cambiamento maggiore che si verificarono riguardavano le strutture formali, dove si parla di opera a numeri,
cioè si ha una numerazione dei pezzi chiusi.
La struttura formale dell’opera dell’800, più che altro, si articolava in:
- Presenza di una sinfonia iniziale, seguita da una Introduzione (coro e alcuni personaggi)à un
brano orchestrale che procede l’inizio dell’opera, ma ancora in Rossini non ha ancora un legame molto
stretto con quello che succederà nell’opera, ma in seguito diventa il primo tassello dell’azione
dell’opera dove si ritrovano temi che poi vengono sviluppati all’interno dell’opera. Si hanno
compositori che differenziano quella dell’opera serie e quella dell’opera buffa. Dopo la sinfonia si ha
il pezzo denominato introduzione che vede la presenza in scena di alcuni personaggi che introducono
l’azione e talvolta anche il coro. Dopo abbiamo una serie di arie, che cominciano ad avere dei nomi
specifici, come la cavatina, l’aria d’entrata di un personaggio, mentre il pezzo più esteso era il finale
centrale, si intende il finale del primo atto, oppure del secondo (se l’opera è in 3 atti), dove succede
che tutti i personaggi principali si ritrovano tutti in scena in un momento cruciale dove si raggiunge
l’apice dell’azione, dove poi il tutto si scioglierà nel II atto.
- Articolazione in 2-3 atti
- Importanza del Finale centrale
àNETTA DISTINZIONE FRA RECITATIVO E ARIA
30/03/2020
(lezione da casa)
Com’è fatta un’opera italiana dell’800? Da questa domanda ci si concentra sulla parte della morfologia
dell’opera italiana dell’Ottocento, cioè quali sono le strutture formali che costruiscono e costituiscono un’opera
italiana dell’800.
A livello generale l’opera italiana dell’800, rispetto a quella del ‘700 possiamo notare che si ha un maggior
interesse per i numeri d’assieme e arie solistiche e dal punto di vista morfologico si assiste ad una graduale,
ma netta separazione fra recitativo e aria, dove si ha una maggiore uniformità fra le parti recitative e quelle
cantabili dell’aria, data da forme più flessibili.
Il maggior compositore di queste caratteristiche è Gioacchino Rossini (1792-1868), dove ebbe una vita lunga
e operosa, dove compose ben 39 opere, ma non nel corso della sua intera vista, ma anche quando si ritira dalle
scene, diventando il compositore più influente nel campo dell’opera, grazie al successo delle sue opere,
rappresentanti la quinta essenza dell’opera italiana facendo nascere un nuovo stile e pensiero dell’opera di
questo periodo.
Le principali tappe che Rossini ebbe nel corso della sua vita sono:
• Formazione a Bologna, che diventa il primo luogo della formazione.
• 1810-1811: prime farse in musica (La cambiale di matrimonio, L’equivoco stravagante)
• 1812: sue opere rappresentate a Venezia, Ferrara, Milano, Roma
• 1813: L’italiana in Algeri e Tancredi, che saranno le opere più importanti del periodo e del suo catalogo.

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• 1815-1822: Napoli (Elisabetta regina d’Inghilterra), Otello, Armida, Mosè in Egitto, dove ebbe occasione di
collaborare con l’imprenditore Barbaja
• 1816: Roma, Il barbiere di Siviglia
• 1822: Vienna (e Londra)
• 1823: Semiramide (ultima opera composta per i palcoscenici italiani)
• 1824-1836: Parigi. Direzione del Théatre Italien. Compone Il viaggio a Reims, Maometto II, Le Comte Ory
e Guglielmo Tell (1829)
• 1829 ritiro dalle scene, ma continuerà sempre a scrivere
• 1848-1855: Firenze
• 1855-1868: Parigi
Noi oggi parliamo di «età rossiniana» il periodo tra il 1800 e il 1830, a sottolineare una continuità di alcuni
parametri fondamentali all’interno della (relativamente) lunga durata della storia dell’opera, dove le strutture
produttive, di genere e formali dell’opera italiana, mantennero, tra la fine del Settecento e l’inizio
dell’Ottocento, una certa stabilità.
Oggi noi conosciamo bene le opere buffe, come la Cenerentola, Il Barbiere di Siviglia, ma dobbiamo
considerare che lui fu anche un grande sperimentatore, in particolare quando lavora per le commissioni di
Parigi, dove cercò di riadattare alcune opere italiane nello stile francese, ma oprò in tutte e tre i generei e
standardizza alcuni tratti del genere operistico, diventando allo stesso tempo delle cifre stilistiche del suo modo
di comporre, che poi diventerà lo stile dominante di questo periodo, infatti alcuni studiosi parlerà di “codice
rossiniano”, cioè una musica costruita su forme drammatico-musicali standardizzandole creando cosi un vero
e proprio stile personale.
Utilizza spesso elementi stilistici usati dai suoi precedessori, ma in maniera del tutto nuova, e appare nella
storia dell’opera in un momento peculiare, cioè in quello definito nel periodo dell’Interegno, periodo che va
dalla morte di Cimarosa (1801) all’arrivo di Rossini (1812), rinnovano tutto il panorama dell’opera italiana.
Uno degli elementi tipici dello stile rossiniano è il crescendo rossiniano, ancora molto diffuso, caratterizzato
non solo da un punto di vista delle dinamiche musicale, ma anche dal ritmo, che diventa sempre più stretto e
dall’insieme orchestrale. Viene messo in evidenza nell’Aria della Calunia, tratta dal Barbiere di Siviglia,
cantata da Don Basilio, tutore della giovane Rosina che si vuole unire con il conte di Almaviva, che anche lei
lo ama, ma allo stesso tempo anche Don Basilio ama la ragazza cosi che chiede al maestro di musica di
calunniare il conte.
Anche in questo caso Rossini ha un modello, perché il Barbiere di Siviglia era stata messa in scena da Pesello,
ma Rossini lo fa qualcosa di nuovo anche se la drammaturgia di Paesello era rimasta molto importante. In
questa aria di calunia viene inserito questo elemento stilistico nuovo.
🎶La calunnia è un vencello
un’aurea assai gentile
che insensibile, sottile,
leggermente, dolcemente,
incomincia a sussurrar.
Piano piano, terra terra,
sotto voce, sibilando,
va scorrendo, va ronzando;
nelle orecchie della gente
s’introduce destramente,
e le teste ed i cervelli
fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo,
lo schiamazzo va crescendo:
prende forza a poco a poco,
vola già di loco in loco.
Sembra il tuono,
la tempesta
che nel sen della foresta,
va fischiando, brontolando,
e , fa d’orror gelar.
Alla fin trabocca e scoppia,
si propaga, si raddoppia

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e produce un’esplosione
come un colpo di cannone,
un tremuoto, un temporale,
[un tumulto generale]
che fa l’aria rimbombar.
il meschino calunniato,
avvilito, calpestato,
solo il pubblico flagello
per gran sorte va a crepar

Questo crescendo diventa un procedimento che Rossini usa molto nelle sue opere, diventando quasi un
procedimento compositivo, ma in questo caso non è solo una questione di intensità, è una intensificazione di
tipo ritmica, ma c’è anche un elemento di accumulo degli strumenti fino ad arrivare a tutti gli orchestrali che
generano un timbro particolare.

Un altro elemento caratterizzante è quello che Rossini costruisce i finali d’atto, in particolare i concertati, che
diventano molto più estesi, diventando i momenti clou dell’opera, perché sono l’apoteosi di questa ripetizione
sia ritmica che melodici, con un accumulo dell’orchestra. I finali d’atto rossiniano, che lo vediamo bene
nell’Italiana in Algeri, rappresentata al San Benedetto 1813, qui Rossini raggiunge l’apice dell’umorismo della
risata che diventa poi surreale, dove l’azione si distacca diventando il tutto universale.

🎶 Stretta dell’Italiana in Algeri: presenta un testo non comunica niente dove non bisogna cogliere le parole,
ma la gestualità della parola, intesa come identità sonora. Èè un tipo di attenzione e dimensione mimica dove
non si richiama più l’idea di opera buffa napoletana, ma si colloca il comico da un elemento terrestre, reale ad
un elemento universale, creando cosi una sorta di follia, per lo storico Stendall.

🎶 Aria dal Tancredi, Di Tanti Palpiti


Tu che accendi questo core, CANTABILE
tu che desti il valor mio,
alma gloria, dolce amore,
secondate il bel desio,
cada un empio traditore,
coronate la mia fà .
Di tanti palpiti, di tante pene, CABALETTA
da te mio bene, spero mercà .
Mi rivedrai... ti rivedrà ...
ne' tuoi bei rai mi pascero.
Deliri, sospiri...
accenti, contenti!
Sarà felice, il cor mel dice,
il mio destino vicino a te.

È una forma bipartita, dove la prima parte è un cantabile, mentre la parte finale dell’aria è strutturata con una
cabaletta, che è stata la parte più famosa dell’opera. Questa articolazione dell’aria verrà molto usata nel corso
dell’800, di fatto non l’ha inventa Rossini, ma riprende questi aspetti e li sfrutta appieno facendone un marchio
del suo stile compositivo.
Questi elementi che Rossini riprende fa in modo di standardizzarsi come elementi principali dell’800 e vanno
a comporsi in una morfologia specifica dell’opera ottocentesca.
I tre livelli di codificazione formale sono:
• Articolazione generale: 2 o 3 atti che spesso catalizzano l’attenzione nel finale centrale
• Articolazione degli atti: struttura a numeri chiusi (pezzi solistici, ma anche duetti, terzetti, cori e
concertati). L’elemento centrale è il finale centrale.
• Articolazione dei numeri: i singoli pezzi sono caratterizzati da un’alternanza tra sezioni sezioni
‘cinetiche’ (movimento dell’azione) e sezioni ‘statiche’ (espressione di uno stato emotivo in cui
l’azione drammatica si blocca). Questo blocco prende il nome di solita forma, denominata da Abramo
Baseli, e si intende una forma che era ricorrente in tutti i compositori dell’800 e verrà usato molto
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anche da Verdi. È la struttura formale che regola l’articolazione dei pezzi chiusi all’interno dell’opera
dell’800, costituita da sezioni dove noi possiamo riconoscere, cioè quelle cinetiche, momento in cui
l’azione drammatica va avanti, e quelle statiche, espressione dello stato emotivo. Queste sezioni si
alternano, all’interno di questa struttura, ma corrispondono a due stili vocali e strumentali diversi dove
nel momento statico, si ha una vera e propria melodia, ampia e caratteristica dove l’orchestra si riduce
con una stabilità armonica, a differenza invece nella sezione cinetica dove non si ha una stabilità
armonica, anzi si compiono una serie di modulazioni e l’orchestra è molto partecipe.
La solita forma si articola in:
o Sezione cinetica: Tempo d’attacco
o Sezione statica: Cantabile
o Sezione cinetica: Tempo di mezzo
o Sezione statica: Cabaletta
Questa struttura si muta a seconda del compositore, perché ognuno di loro lo può leggere in maniera diversa,
infatti questo rappresenta uno schema da seguire.
Per azione si intende un’evento che avviene in scena, che viene esplicitato anche dai personaggi, ma può essere
anche il cambiamento di uno stato d’animo di un personaggio e sebbene tutti i pezzi chiusi sono organizzati
secondo questa scena, nelle arie si ha una riduzione dei movimenti, mentre nel finale d’atto si ha un numero
maggiore di movimenti.
Un esempio di solita forma la possiamo riscontrare nella 🎶Cenerentola di Rossini, secondo atto, durante il
momento in cui il principe invita i suoi servitori a cercare Cenerentola, dove poi giura di ritrovarla, che
corrisponde al tempo d’attacco della solita forma, preceduta dal recitativo.
31/03/2020
(Lezione da casa)
Un altro esempio che si può ricondurci al meccanismo della solita forma lo ritroviamo nell’opera la Lucia di
Lammermoor (1835) di G. Donizetti (lib. S. Cammarano), opera molto nota nella prima meta dell’800.
Il momento in cui ci ritroviamo dell’azione drammatica si ha Lucia che sta attendendo Edgardo, il suo amato,
accompagnata da Alisa, la sua cameriera, dove le da dell’ingrata perché l’amore che si ha fra Lucia e Edgardo
è un amore proibito, cioè le famiglie non lo accettano, e le racconta una leggenda su una donna che muore
nelle mani di una donna gelosa per il suo amato, quindi si ha il fantasma di questa donna che gira ancora
intorno alla fontana dove ora si trova Lucia e Alisa interpreta questa leggenda come un presagio negativo per
la stessa Lucia. 🎶 Scena finale n 4
1. Scena: «Ancor non giunse» (Preludio, con assolo dell’arpa, e recitativo; versi sciolti);
3) Cantabile: «Regnava nel silenzio» (Larghetto);
4) Tempo di mezzo: «Chiari o Dio! Ben chiari e tristi» (Allegro; ottonari);
5) Cabaletta: «Quando rapito in estasi» (Moderato; due quartine di settenari ripetute dopo un breve
interludi;
All’inizio del pezzo si ha un’armonia che non è stabile fino a quando non si arriva al cantabile, dove l’armonia
si stabilizza e si ha anche una linea melodica meno ampia, ma più cantabile. Nel momento della cabaletta si
ha la tecnica del bel canto, uno stile di canto improntato sul virtuosismo e sull’omogeneità di andare dal registro
baso al registro acuto e si ha un modo di porgere le parole e di fare un fraseggio che diventerà un simbolo
dell’opera italiana.

GIUSEPPE VERDI E L’OPERA DEL PIENO OTTOCENTO


Verdi è stato uno dei personaggi più importanti dell’opera dell’800, non solo per la storia dell’opera, ma
dell’intera cultura dell’800, dove con il suo cognome si simboleggiava la sua importanza, dato che nel suo
cognome risiedeva il codice, Viva Emanuele II Re d’Italia, e questo ci dimostra come contribuì alla cultura
italiana, in particolare all’interno dello stato italiano, dove lui divenne senatore. Le sue opere contribuirono a
scolpire gli elementi patriottici italiani che poi portò all’unificazione, anche se questo elemento patriottico
venne rivalutato nel corso degli studi moderni.
Nella drammaturgia verdiana gli elementi visti nella drammaturgia del primo ottocento li vediamo rielaborati,
che porta ad un grande cambiamento all’interno della drammaturgia, dove si parte dalla musica, infatti si ha
un nuovo modo di scrivere per la voce, però la presenza di Verdi cambia anche altri elementi come il modo di
scegliere i soggetti, il lavoro con il librettista, di mettere in scena le opere e di scrivere per le voci, rielaborando
una scrittura vocale che in un primo momento venne osteggiata dagli amanti del bel canto.
Verdi nasce nel 1813 e morirà nel 1901, attraversando tutto l’800 con una carriera operistica molto ampia,
dove i momenti di svolta della carriera di Verdi più importanti sono:

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• 1840: rappresentazione di Un giorno di regno alla Scala (fu un fiasco)
• 1842: Nabucco alla Scala (grande successo ed avvio della carriera di operista)
• 1847: rappresentazione di Macbeth al Teatro della Pergola (primo incontro con Shakespeare)
• 1847-1849: opere rappresentate all’estero (Londra, Parigi). Soggiorna fino all’agosto del 1849 a Parigi
• 1849-1853: periodo tra i più felici dal punto di vista creativo. Torna a Busseto, convive con Giuseppina
Strepponi, scrive, tra le altre opere, Luisa Miller, Stiffelio, la trilogia popolare)
• Negli anni successivi raggiungimento di un grande prestigio internazionale con opere destinate ai teatri
delle grandi capitali straniere.
• Dal 1871 al 1886 non scriverà più opere (si dedicherà alla musica sacra: Requiem in morte di
Alessandro Manzoni)
• Otello (1881) e Falstaff (1887): capolavori della vecchiaia con un ritorno all’amato Shakespeare.
Non sappiamo moltissimo degli anni giovanili di Verdi, si hanno notizie solo nel momento della maturità dove
il suo nome conosciuto, ma nella sua formazione dobbiamo sottolineare che lui non nasce da una famiglia di
musicisti, ma ebbe una formazione musicale particolare, iniziando a suonare l’organo nella chiesa del paese,
dove venne notato da Barezzi, che era un dilettante della musica e fece in modo di fargli impartire una
formazione musicale dall’organista Provesi e da questo punto in poi inizia la sua formazione musicale, che
non segue i canali tradizionali, cioè non si forma in conservatorio, dove tentò di entrare a quello di Milano nel
1832, dove venne rifiutato. Continuerà a studiare tramite l’ascolto, visone e lo studio di opere dei suoi antenati
e nel 1836 Verdi torna nel suo paese d’origine dove si sposa con la sua prima moglie e grazie a Barezzi porterà
a compimento la sua prima opera, che non venne commissionata da un teatro, ma sarà lui a proporla alla Scala,
e fu Oberto, Conte di San Bonifacio, dove registrò un bel successo, dove l’impresario della Scala gli fa un
contratto per scrivere altre opere serie più una buffa, che fu Un giorno di regno, che però registro un grande
fiasco, dove segna un altro punto di crisi, dove pensò di lasciare di scrivere opere, ma grazie a Merelli, gli
affidò un altro libretto, che sarà il Nabucco, che registrò un grande successo e di fatto l’avio della sua carriera
e inizia anche una carriera molto importante perché fra il 1843-46 le opere di Verdi cominciano a diffondersi
in tutta Italia, fino al 1847 rappresentazione di Macbeth al Teatro della Pergola, opera importante perché
rappresenta il primo incontro con il compositore con le opere di Shakespeare, che lo riprenderà alla fine della
sua carriera, ma rappresenta anche la prima opera dove sorge un nuovo stile di canto.
Le opere di Verdi cominciarono a girare anche al di fuori dell’Italia, in particolare a Londra e a Parigi, dove in
quest’ultima città verrà in contatto con nuovi elementi drammaturgici teatrali e nel 1849 e 53, dove sul piano
personale non andava bene, ma sul piano di lavoro fu un’ondata di successo, in particolare per la trilogia
popolare, ma anche di altre opere importanti come Luisa Miller. Quindi divenne un personaggio internazionale,
dove nel periodo tardo comincerà a non scrivere più opere, dopo il 1886, per il fatto che si dedicherà alla
composizione della musica sacra, come il Requiem dedicato alla morte di Manzoni, fino a che nel 1887 non
scrisse la sua ultima opera che fu Fastaff.
I punti cardinali della estetica e della drammaturgia verdiana, si evidenziano nel periodo della tarda età rifiutò
la definizione di grande compositore dove si definì un “uomo di teatro”, e si attaglia a questo personaggio
perché lui abbraccio una concezione dell’opera fatta primariamente e globalmente drammatico, cioè l’azione
è dramma per Verdi, poi il compositore si occupa di tutto, quindi legato a tutti i livelli, infatti per questo porta
un nuovo rapporto con la figura del librettista, infatti Verdi pretendeva molto dai suoi librettisti. Un ultimo
punto importante della concezione di Verdi è quella della struttura dell’opera, dove i singoli numeri non sono
più concepiti come elementi isolati ma all’interno del flusso drammatico.
CONCETTO DU AUTORIALITA’à è un elemento centrale della personalità di Verdi, che la si nota in una
lettera datata 1869.
“Per me è assolutamente impossibile […] un vero successo che scrivendo come sento io, libero da qualunque
influenza […]. Conviene inoltre che gli artisti cantino non a modo loro, ma al mio; che le masse […] abbiano
altrettanto buon volere; che infine tutto dipenda da me, che una volontà domini su tutto: la mia. Ciò parrà un
po’ tirannico! […] è forse vero. Ma se l’opera è di getto, l’idea è Una, e tutto deve concorrere a formare
quest’Uno.” àCi danno l’idea della personalità di Verdi dove si evidenzia questa esigenza del fatto che tutto
dipenda da lui è legata ad una esigenza di carattere estetico, dove ci deve essere una concezione unica. Questo
cambia tutti quei equilibri che c’erano fra i librettisti e compositore e influisce su una serie di elementi che
prima non era di pertinenza del compositore.
«Se l’opera è di getto l’idea è Una, e tutto deve conconrrere a formare quest’Uno.» (1869)à questo significa
che per Verdi l’opera nasce da un’idea drammatica centrale e unitaria dove i singoli numeri non sono più
concepiti come elementi isolati, ma come punti insostituibili di una struttura globale. Questo fatto ci viene
confermato dal processo compositivo di Verdi, cioè lui non scriveva l’opera pezzo per pezzo, ma creava un

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abbozzo sommario che andava dall’inizio dell’opera fino alla fine, in modo tale da avere un’idea sommaria e
che ripercorre l’azione drammatica. Questo consiste in un processo unico, infatti poi riprende questo abbozzo
per andare nel dettaglio e l’idea drammatica centrale è quella che mette in moto il compositore, dove questa
continuità non va letta come una continuità da un punto di vista musicale, sinfonico, dove noi non sentiamo
l’orchestra suona in maniera progressiva, Verdi si pone il problema è quella dell’unità complessiva dell’opera,
dove si sviluppa i punti essenziali e che la musica segua l’articolazione drammaturgica e l’azione drammatica.
Si comincia ad avere un nuovo ruolo da un punto di vista dei direttori d’orchestra, e dei cantanti, con i quali
sarà sempre in conflitto.
Per quanto riguarda il processo compositivo dell’opera sarà sempre Verdi a scegliere il soggetto da mettere in
scena ed è raro che Verdi accetti dei libretti che gli vengono proposti, anche se questo fatto lo si ha nei primi
momenti; poi si ha la stesura della selva cioè quell’abbozzo continuato in cui c’è una sinossi delle varie scene,
poi lavora con il librettista, per scegliere i punti nodali dell’opera dove poi Verdi indica determinati elementi
che seguiranno la versificazione, sempre sotto il suo controllo. Verdi privilegia sempre le ragioni del dramma,
dove tutta la sua musica è condizionata dall’azione del dramma, per poter scorrere in maniera coerente.
Il concetto di parola scenica è un’espressione usata da Verdi, dove ancora è studiata dagli studiosi, dove Verdi
intendeva un’espressione capace di scolpire e rendere netta una determinata situazione drammatica, cioè la
capacità della musica di evocare un evidente momento di snodo.
«Purtroppo per il teatro è necessario qualche volta che poeti e compositori abbiano il talento di non fare nè
poesia nè musica» (G. Verdi)à confermava la sua evocazione di fare un passo indietro come musicista per
far istaglaire al meglio il momento scenico del dramma, ricercando l’effetto.
Tintaà si definisce la prima fase della composizione, cioè ricercare un determinato colore che voleva far
assumere Verdi ad un’opera.

Macbeth, Firenze 1847: era stata chiesta da Alessandro Lanari, impresario del teatro della Pergola, dove in
un primo momento Verdi oscillava fra Shiller e Shakespeare, dove quest’ultimo è un autore molto importante
per Verdi per la concezione del dramma e i temi che vengono affrontati come quello della natura, del male e
il conflitto dell’uomo con il potere, che corrompono questa natura.
Il libretto venne scritto da Piave, con il quale non fu un rapporto molto semplice, dove Verdi gli chiedeva di
scegliere bene le parole per rappresentare al meglio quel determinato momento drammatico, infatti richiederà
a Maffei di riscrivere alcuni versi come la 🎶scena del sonnambulismo (IV atto, scena 4)

Una macchia è qui tuttora!


Via, ti dico, o maledetta!
Una… due… gli è questa l'ora!
Tremi tu? Non osi entrar?

Un guerrier così codardo?


Oh, vergogna! Orsù, t'affretta!
Chi poteva in quel vegliardo
Tanto sangue immaginar?

Di Fiffe il sire sposo e padre or non era?


Che ne avvenne?
E mai pulire queste mani io non saprò?

Di sangue umano
sa qui sempre…Arabia intera
rimondar sì piccol mano
Co' suoi balsami non può.
Ohimè!

I panni indossa
della notte!...Or via, ti sbratta!
Banco è spento, e dalla fossa
chi mori non surse ancor.

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A letto, a letto...
Sfar non puoi la cosa fatta.
Batte alcuno! Andiam, Macbetto,
non t'accusi il tuo pallor.

La musica ci racconta in prima persona il delirio della protagonista e riscontra un tipo di vocalità distinta, dove
è difficile individuare una melodia, ma si ha una voce che è consona all’azione drammatica, aiutato dallo
strumento declamato, che in questo caso è cantabile, dove si hanno una successione di melodie e si allontana
dal bello ideale e si spinge verso una vocalità espressiva che tiene conto di una situazione drammaturgica. Un
altro aspetto importante è quello della forma, che sembra determinata dai versi e dalla situazione
drammaturgica.

1/04/2020
(lezione da casa)
🎶Rigoletto, Cortigiani vil razza dannata
Le stesse caratteristiche riscontrate nel Macbet, come il canto declamato, dove Verdi chiede una voce che non
deve cantare, il modo di manipolare le forme canoniche, le riscontriamo anche nel Rigoletto, nel momento in
cui Rigoletto cerca la figlia nel palazzo ducale e chiede ai cortigiani se l’avevano vista e si rende conto che la
figlia si trovava in compagnia del Duca di Mantova e Rigoletto svolga la sua rabbia contro i cortigiani, tramite
questa aria.

Cortigiani, vil razza dannata,


Per qual prezzo vendeste il mio bene?
A voi nulla per l'oro sconviene,
Ma mia figlia è impagabil tesor.
La rendete! o, se pur disarmata,
Questa man per voi fora cruenta;
Nulla in terra più l'uomo paventa,
Se dei figli difende l'onor.
Quella porta, assassini, m'aprite!
Ah! voi tutti a me contro venite …
piange
Tutti contro me! ...
Ah! Ebben, piango … Marullo ... Signore,
Tu ch'hai l'alma gentil come il core,
Dimmi tu ove l'hanno nascosta?
È là ... non è vero? … Tu taci ... ahimè! ...

Miei signori... perdono, pietate...


Al vegliardo la figlia ridate ...
Ridonarla a voi nulla ora costa,
Tutto al mondo tal figlia è per me.
Signori, perdono, pieta ...
Ridate a me la figlia,
Tutto al mondo tal figlia è per me.
Pietà, pietà, Signori, pietà. Tutto al mondo tal figlia è per me.
Pietà, pietà, Signori, pietà.

Si tocca le corde più sensibili di ogni ascoltatore, dove ci ritroviamo davanti ad un Rigoletto che esprime un
sentimento sincero, cioè quello del padre preoccupato per la propria figlia. La classica struttura dell’aria
bipartita dell’800, viene rovesciato, dove l’aria inizia subito con lo scatto d’ira di Rigoletto che poi sfocia in
un pianto, dove si mette in scena un groviglio di passioni e stati d’animo che ha dentro di se, evidenziando cosi
vari aspetti di questo personaggio. Il tutto viene tarato sulla situazione drammaturgica.

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TRAVIATA
Traviata fa parte della trilogia popolare, insieme a Rigoletto e al Trovato, e sono opere che non vengono
concepite come un trittico, ma per il fatto che Verdi ci lavora nello stesso lasso di tempo, e vengono considerati
i tre capolavori assoluti.
Traviata fa parte dell’ultima tappa di questo trittico, dove i primi interpreti furono: Violetta: Fanny Salvini
Donatelli, Germont padre: Felice Varesi e Alfredo: Lodovico Graziani e venne rappresentata al teatro della
Fenice di Venezia e non ebbe un grande successo, forse per il fatto che la principale responsabilità cadde
sull’interprete di traviata, che non richiedeva.
L’idea di mettere in scena La Donna delle Camelie nasce per il fatto che voleva un soggetto grandioso,
straordinario e originale e lo si intuisce da una delle lettere di Verdi a Scribe: “Voglio, ho bisogno d’un soggetto
che sia grandioso, appassionato e originale: una messinscena che s’imponga e travolga.”
L’immensa popolarità della Traviata, il suo essere un’opera indissolubilmente legata al nome delle più celebri
dive del canto, ha fatto in parte perdere di vista ciò che essa rappresenta nell’insieme dell’arco creativo di
Verdi.
Nel marzo del 1853 sull’Italia musicale, periodico musicale, compare una delle recensioni su Traviata:
“La Traviata è la migliore o almeno più progressiva delle opere moderne [...] perché a noi assistendo a
quest’opera mi par come d’assistere al dramma stesso di Dumas, tanto che non sembra nemmeno musica. [...]
D’ora innanzi per opera di Verdi si anderà al teatro d’opera con quella medesima disposizione con cui si va
al teatro del dramma. [...] Verdi è inventore di un nuovissimo genere di musica, egli ha moltiplicando i suoi
mezzi e vuole che essa sia capace di esprimere non solo i pensieri e i sentimenti in generale, ma anche tuEe
le loro modificazioni.” àÈ una recensione che contiene molti aspetti essenziali delle intenzioni di Verdi, in
primis si vede come Verdi realizza una vera e propria ispirazione fra opera e dramma parlato, dove qui diventa
molto più evidente questa intenzione di come la musica potesse raccontare e rappresentare al meglio il dramma
parato dove non si limitava di scolpire i personaggi, ma fa in modo che esso venga accompagnato dalla musica
nei suoi stati d’animo e mutamenti. Questo mito del belcanto è dunque anche un traguardo dell’itinerario di
Verdi verso l’integrazione tra opera e dramma parlato in particolare verso la realizzazione di un equivalente
musicale del dram- ma di ambientazione moderna e di carattere realistico.
Le fonti di Traviata derivano dal dramma di A. Dumas Figlio, La Dama delle Camelie che venne pubblicata
nel 1848, dove poi Dumas ci creo una piece teatrale e che servirà da fonte per libretto di Francesco Maria
Piave. Qui si nota come Verdi si rifaceva anche al teatro di prosa e come conosceva bene il romanzo, dove ne
trasse un soggetto originale, cioè quella della donna eroina prostituta, ma in particolare di portare sulla scena
la malattia, cioè la tisi, e prima di Verdi non si hanno soggetti di questo genere.
Un’altra lettera indirizzata a Cesare De Sanctis si esprime dicendo: «A Venezia faccio la Dame aux camélias
che avrà per titolo, forse, Traviata. Un soggetto dell’epoca. Un altro forse non l’avrebbe fatto per i costumi,
pei tempi e per mille altri goffi scrupoli...Io lo faccio con tutto il piacere. Tutti gridavano quando io proposi
un gobbo da mettere in scena. Ebbene: io era felice di scrivere Rigoletto.» àVerdi è perfettamente n
consapevole di mettere in scena qualcosa di scabroso, come aveva fatto con Rigoletto, dove si ha un gobbo,
perché non siamo più nel fantastico, ma nell’oggi, raccontando eventi che il pubblico magari aveva vissuto in
prima persona, e questo elemento può essere considerato uno degli elementi che portò Traviata all’insuccesso,
dove Verdi e Piave si videro costretti anche a fare dei cambiamenti, a causa delle censure dovute ai forti temi,
ambientando l’opera in un ‘700 non identificato. Quando si ascolta l’opera si capisce che i personaggi che si
hanno sulla scena sono dell’800 grazie all’uso della musica, utilizzando un ritmo che sostanzialmente è quello
del valzer, una danza della Parigi bene dell’800.
Differenze fra il dramma di Dumas e il libretto di Piave
La dame aux camélias
• Atto I: Ricevimento a casa di Marguerite. Primo colloquio tra lei e Armand
• Atto II: Altro incontro tra Marguerite e Armand. Vanno a vivere insieme.
• Atto III: In campagna. Incontro tra M. e Duval. Marguerite abbandona Armand.
• Atto IV: Ricevimento in casa di Olympe. Armand insulta M. ed è sfidato a duello da Varville.
• Atto V: M., ammalata, è assistita da alcuni amici. Ritorno di Armand e morte di Marguerite.

La traviata
• Atto I: Ricevimento in casa di Violetta. Primo incontro tra lei e Alfredo.
• Atto II, quadro I: In campagna. Incontro tra V. e Germont. Violetta abbandona Alfredo.
• Atto II, quadro II: Ricevimento in casa di Flora. Alfredo insulta Violetta e incassa I rimproveri del padre,
appena sopraggiunto.

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• Atto III: Violetta, ammalata, è assistita da Annina e dal dottore. Ritorno di Alfredo, arrivo di Germont e
morte di Violetta.
La prima decisione fu dunque quella di eliminare l’atto secondo di Dumas. In effetti, benché contenga molti
importanti dettagli psicologici, dal punto di vista dell’azione in senso stretto esso non fa che sviluppare e
prolungare le premesse dell’atto primo, e i fatti che contiene possono facilmente essere sottintesi nell’intervallo
di tempo che tra- scorre tra il primo e il secondo atto dell’opera. L’azione si distribuisce quindi in una struttura
quadripartita (con la seconda e terza sezione formanti insieme il secondo atto), secondo uno schema classico:
v Atto I: Ricevimento in casa di Violetta. Primo incontro tra lei e Alfredo. ESPOSIZIONE
v Atto II, quadro I: In campagna. Incontro tra V. e Germont. Violetta abbandona Alfredo. PERIPEZIA
v Atto II, quadro II: Ricevimento in casa di Flora. Alfredo insulta Violetta e incassa I rimproveri del padre,
appena sopraggiunto. CATASTROFE (FINALE CENTRALE)
v Atto III: Violetta, ammalata, è assistita da Annina e dal dottore. Ritorno di Alfredo, arrivo di Germont e
morte di Violetta. EPILOGO

La «selva» è il progetto drammatico, una sorta di sceneggiatura in prosa che prece- de la stesura del libretto
vero e proprio. È in questa fase che il compositore decide quel- la che sarà la struttura complessiva dell’opera,
selezionando, scartando e riformulando il materiale offertogli dal modello letterario, ed è quindi un momento
decisivo della composizione, giacché tratto peculiare del comporre di Verdi è il procedere da una visione
globale del dramma.
Più difficile era invece un altro compito a cui librettista e compositore non potevano sottrarsi, quello di trovare
la posizione per assegnare almeno un’aria a ciascuno dei tre ruoli principali, soprano, tenore e baritono; e per
la protagonista dovevano essere preferibilmente due.
Il primo atto si apre con il ricevimento in casa di Violetta, ma notiamo che i nomi dei due protagonisti
cambiano, nell’atto secondo viene tagliato il momento in cui vanno a vivere insieme, infatti li ritroviamo già
che vivono insieme. Nel terzo atto si ha una sinteticità molto drastica dove sulla scena non succede nulla, fino
a che non vediamo la morte della protagonista.
Anche in questo caso si ha la ricerca della scioltezza di Verdi dove si sottolinea come Verdi rimanga affascinato
dal modo in cui il dramma moderno racconta la complessità interiore di un personaggio dove cerca di
raccontare al meglio le modificazioni interiori del personaggio
Chi è Violetta Valery? Tutta l’opera può essere considerata una sorta di passaggio e modo di raccontare il
cambiamento interiore di Valery dove lei prima era una prostituta molto attiva per poi crescere e acquistare
uno spessore psicologico che l’afa diventare un’eroina. Quello che Verdi mette in scena è un teatro di conflitti
dove Violetta Valery si racconta un conflitto interiore, sociale, vita e morte e anche fra lei e Alfredo.

PRIMO ATTO
1 Preludio
2 Introduzione:
v sez. introd. (tempo d’attacco)
v sez. intermedia (scena del brindisi, valzer, duetto Violetta- Alfredo, ripresa del valzer),
stretta finale («Si ridesta in ciel
v l’aurora»).
3 Scena e aria di Violetta

Il dettaglio che sorge è quello che Verdi riduce in maniera drastica i punti dell’opera, infatti si hanno solamente
tre punti dell’opera, con l’apertura di preludio, carico e intriso di temi che poi si riscontrano nel corso dell’opera
in particolare i temi della morte e dell’amore. Il preludio orchestrale assume un significato drammaturgico
fondamentale, per il semplice fatto che il tema della morte lo ritroveremo anche nel preludio del terzo atto
dove si ha la morte di violetta. Con l’introduzione ci viene presenta i personaggi e situazioni drammaturgiche
che si hanno in questo primo atto dove il tempo di attacco corrisponde alla presentazione della festa da ballo,
mentre nella sezione intermedia è quella più lunga dove si ha il momento del Brindisi dove Violetta e Alfredo
si ritrovano fino ad arrivare alla terza sezione dove si ha l’aria di Violetta che scopre per la prima volta si essere
amata, per quello che è, da un’uomo.

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🎶ARIA DI VIOLETTA, I ATTO
È strano! è strano! in core
ScolpiD ho quegli accenD!
Saria per me sventura un serio amore?
Che risolvi, o turbata anima mia?
Null'uomo ancora t'accendeva O gioia Ch'io non conobbi,
Essere amata amando!
E sdegnarla poss'io
Per l'aride follie del viver mio?
CANTABILE
Ah, fors'è lui che l'anima
Solinga nè tumulti
Godea sovente pingere
De' suoi colori occulti
Lui che modesto e vigile
All'egre soglie ascese,
E nuova febbre accese,
Destandomi all'amor.
A quell'amor ch'è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor.
Follie! follie delirio vano è questo!
Povera donna, sola
Abbandonata in questo
Popoloso deserto
Che appellano Parigi,
Che spero or più?
Che far degg'io!
Gioire,
Di voluttà nei vortici perire.

CABALETTA
Sempre libera degg'io
Folleggiar di gioia in gioia,
Vò che scorra il viver mio
Pei sentieri del piacer,
Nasca il giorno, o il giorno muoia,
Sempre lieta nè ritrovi
A diletti sempre nuovi
Dee volare il mio pensier.

Verdi aveva già tracciato le linee che avrebbero concluso il primo atto con quest’aria, infatti vediamo come
l’aria si colloca in maniera eccellente, come reazione della protagonista agli eventi appena vissuti, e consente
inoltre di terminare l’atto con un pezzo di grande effetto. Lo stesso dramma di Dumas offriva un ottimo spunto
nell’ultima scena dell’atto primo, in cui Marguerite, dopo l’uscita di Armand, dice a se stessa: «Perché no? A
che scopo? La mia vita se ne va e si consuma tra queste due parole»; era abbastanza logico che Violetta, rimasta
sola, riflettesse sulle emozioni che l’inattesa dichiarazione del giovane sconosciuto aveva suscitato in lei. Ma
per costruire un’intera aria occorreva un buon numero di parole. Piuttosto che inventarle di sana pianta, Verdi
e Piave ricorsero a due scene del soppresso secondo atto del dramma, da cui ricavarono la maggior parte dei
concetti che il poeta ricucì con abilità.
La struttura del brano è composta da un tempo di attacco, dove si ha Violetta turbata nel momento in cui ha
incontrato Alfredo nel momento in cui non attacca il cantabile, dove Violetta si lascia andare nell’amore e nei
sogni per poi vedere uno scarto improvviso di Violetta, che sembra svegliarsi da un sogno, che funge da tempo
di mezzo che porta alla cabaletta.

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I vari passaggi di Violetta sono sintetizzati dalle sue emozioni, date da un sogno e poi dal risveglio di esso,
quindi si nota come Verdi ha modellato le varie forme, che non vengono negate, ma lo piega e lo modella
secondo le sue esigenze.
Un altro aspetto è quello dei collegamenti dei versi dove nel momento del cantabile Verdi riprende le parole
di Alfredo e alla fine di quest’aria noi sentiamo la voce di Alfredo che riprende l’amor che palpito che fa in
modo di legare il cantabile alla cabaletta. Il punto centrale è proprio amor che palpita e che lega le varie scene.

STRUTTURA DEL II ATTO


n. 4: Scena e aria di Alfredo («De’ miei bollenti spiriti»)
n. 5: Scena e duetto (Violetta e Germont padre)à punto centrale di questo duetto
n. 6: Scena e aria di Germont («Di Provenza il mare, il suol»)
n. 7: Finale secondo

In questa parte della storia si sa che Violetta e Alfredo vivono in questa casa di campagna, anche se sono pieni
di debiti. In un punto si ha Violetta che è da sola e si ritrova il padre di Alfredo in casa che gli chiede di
abbandonare il figlio, perché lei era una ex prostituta e impedisce il matrimonio della sorella di Alfredo. Gli
chiede di abbandonarlo e lei lo farà dove si ha una situazione psicologica molto complessa e Verdi, tramite la
musica, cerca di sottolineare la fragilità di Violetta e la cattiveria del padre di Alfredo e per fare questo Verdi
ricorrerà alla solita forma.

🎶 Scena e duetto (Violetta e Germont padre) [testo a a parte]


Stile parlante: sta a metà fra il parlato e il cantato;
Lyric form: Modello melodico in auge nell’opera italiana dell’Ottocento dove nel suo formato standard, che
tollera ampie manipolazioni, è composto di 16 battute (2 per verso) articolate in quattro frasi di quattro battute,
secondo lo schema a (4) + a’ (4) + b (4) +a'' (4) o a a' b c, spesso arricchito di una coda. A ciascuna frase
musicale corrisponde di norma una coppia di versi, dunque a ciascun verso due battute. È una orma
standardizzata e il nome inglese di questa formula melodica tipicamente italiana è stato coniato da J. Kerman
(1982).
Il primo incontro fra Violetta e il padre di Alfredo, dove quest’ultimo le chiede come fanno a vivere in questa
situazione senza soldi. Nel momento in cui il padre gli rivela che ha due figli, parte il tempo di attacco, dove
gli rivela della figlia, pura come un angelo che fa nascere una contrapposizione con Violetta. È il momento più
drammatico del duetto che dopo che il padre ha finito di lodare la purezza della figlia, in contrasto con
l’impurezza di Violetta, Verdi accelera il ritmo musicale su questo avvilimento di Violetta, infatti il tempo di
attacco è molto più lungo rispetto alle altre sezioni perché Verdi prepara i vari stati d’animo di Violetta, che
sottolinea la sua debolezza, ma anche la meschinità del padre, fino al momento in cui Violetta non accetta di
abbandonarlo.

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