2
PREMESSA
La citazione di Arthur Schopenhauer sembra quanto mai adeguata per introdurre il lavoro
di ricerca sviluppato in queste pagine.
Stabilito dunque che è sempre e solo l'opera d'arte a dover parlare, è invece doveroso
convenire sulla ragione della scelta dell'argomento e sul taglio che ho voluto dare.
La passione per la musica lirica è certamente il punto di partenza ma, con la gran quantità
di opere anche più celebri e forse più interessanti, perché scegliere proprio Tristan und
Isolde?
La risposta a questa domanda sta nel fatto che la produzione di Richard Wagner, e il
Tristan in particolare, si presti molto bene ad un'analisi che valichi i confini della storia
della musica e affronti anche una lettura filosofica e letteraria.
Inoltre, il dramma del musicista tedesco, di cui si è appena celebrato il
centocinquantesimo anniversario dalla prima rappresentazione, è espressione e sintesi
perfetta del passaggio dalla poetica romantica a quella decadente nell'atmosfera culturale
dell'epoca.
L'intenzione è quindi quella di avvalermi delle nozioni acquisite durante il mio corso di
studi per affrontare un tema non strettamente scolastico ma che comunque si inserisca nel
panorama culturale che un liceo come il nostro promuove.
3
Tristan und Isolde è un dramma musicale in tre atti di Richard Wagner, composto dal
1857 al 1859 e rappresentato per la prima volta a Monaco presso il Königliches Hof- und
National-Teater in data 10 giugno 1865. Il dramma, erede dei motivi del romanticismo
musicale, si pone al centro della riforma operistica wagneriana e rappresenta un
capolavoro di incalcolabile valore per le conseguenze generate in seno alla storia della
musica.
4
l'amata che fa appena a tempo a riabbracciare prima di morire. Isolde cade esanime sul
suo corpo. Giunge la nave che trasporta re Marke, Melot, Brangäne e la corte: il re è
giunto per perdonare Tristan, la cui vicenda ha appreso da Brangäne. Kurwenal, ignaro
delle intenzioni del sovrano ma, certo che si tratti di un assalto, si scaglia contro la corte,
uccide Melot fino a morire egli stesso. Re Marke lamenta tanto spargimento di sangue.
Ignara di tutto, come trasfigurata, Isolde eleva il suo canto di morte e si adagia morente
presso l'amato.
Dopo aver esposto la trama della vicenda, è opportuno fare alcuni cenni indispensabili
relativi alla biografia dell’autore, per poi passare all’analisi del dramma musicale in sé.
Richard Wagner, nato a Lipsia nel 1813, studiò a Dresda interessandosi di lingue
classiche, specie il greco, di mitologia e storia. Apprese inoltre l’inglese per accostarsi a
uno degli autori che rimarrà riferimento importante: Shakespeare. La vocazione alla
musica ebbe dapprima scarse conferme nelle prove dell’adolescente Richard, tanto che
l’apprendimento dell’armonia e del pianoforte procedette con difficoltà. Fin da giovane
però, Wagner ebbe una predisposizione specifica nell’analisi dell’orchestra e della
gestione dei suoi colori. Inoltre, subì il fascino di Beethoven, della Settima e Nona
Sinfonia così come fu influenzato da Weber, forse il più celebrato operista tedesco. Nel
1848, partecipa attivamente ai moti rivoluzionari di Dresda e, per evitare l’arresto, è
costretto a riparare in Svizzera. Da qui, dopo aver redatto importanti scritti teorici,
comporrà anche Tristan und Isolde.
Proprio dalla critica ai modelli formali dell’opera ottocentesca Wagner partì, per
intraprendere quella rivoluzione musicale di cui Tristan und Isolde è forse l’exemplum più
significativo ed estremo, da cui la musica successiva non potrà prescindere.
Già da Weber era stato avvertito il bisogno di un’espressione vocale che, sciolta dai
vincoli delle forme chiuse, potesse seguire ininterrottamente il divenire del dramma in
2
Massimo Mila, Breve storia della musica; Piccola biblioteca Einaudi, Torino, Einaudi, 1963, Ed. di
riferimento: 19° ed, ET saggi, 2013, p. 263
5
tutta la sua continuità; ma questo risultato viene pienamente conseguito solo da Wagner
nei drammi della maturità, grazie alla così detta melodia infinita. In questo ininterrotto
tessuto musicale non si avvertono giunture, tagli o riprese, ma solo si distinguono nella
loro funzione di evocazione drammatica i motivi conduttori o leitmotive.
Nell’opera oggetto della nostra analisi, le tendenze musicali dell’autore sono portate alle
estreme conseguenze, così da allontanarla dalle forme classiche per avvicinarsi all’ideale
dell’opera romantica e costituire contemporaneamente la base della rivoluzione musicale
che culminerà con la dodecafonia schönberghiana.
Una sommaria analisi musicale, come quella che si vuole proporre in questa sede, può
essere articolata su due concetti chiave: sospensione e cromatismo.
La sospensione armonica è una costante del Tristan, che segue l’opera letteralmente
dall’inizio alla fine. Non abbiamo mai una vera conclusione del tema armonico,
tantomeno di tema melodico: il discorso musicale inizia e prosegue grazie ad uno
sterminato intrecciarsi di suoni, un sovrapporsi di accordi e di armonie che non si
concluderanno se non alla fine del dramma. Nel sublime momento del finale,
corrispondente alla morte di Isotta vengono quindi a coincidere e conciliarsi anche tutti gli
innumerevoli leitmotive proposti dal compositore. È quindi questa un’opera caratterizzata
da una continua tensione che mai risolve prima della finale trasfigurazione della
protagonista, una tensione che ben si concilia con la tematica dell’anelito e del desiderio.
Un'ultima precisazione riguardo questa chiave di lettura è quella riguardante la rottura
dello schema del leitmotiv. Esso è, per definizione, il filo conduttore di un tema musicale,
associato ad un personaggio, una situazione, un sentimento, un oggetto. Nel Tristano e
Isotta il leitmotiv abbandona la propria netta compartizione armonica, a favore
dell'incertezza e fragilità di cui l'opera è intrisa.
Altra fondamentale interpretazione musicale dell'opera è quella riguardante il cromatismo
e l'innovazione armonica. Innanzitutto qualche chiarimento teorico. Per parlare di
cromatismo bisogna avere ben presente il concetto di scala cromatica: essa è una scala che
si sviluppa attraverso tutti i dodici semitoni nell'ambito dell'ottava. Nella pratica musicale
la scala cromatica nella sua interezza è usata molto raramente, mentre più frequente (e
risalente, secondo alcuni studiosi, anche al Medioevo) è l'utilizzo di singoli stralci di scala
cromatica all'interno di una scala diatonica. Ciò è definito come ‘cromatismo’. Come è
ovvio immaginare, essi danno un'impostazione molto diversa alla tonalità eseguita,
nonché modificano profondamente il discorso armonico e melodico che arriva
all'ascoltatore. In un opera come Tristan und Isolde, il consistente utilizzo del cromatismo
è piegato ad esigenze espressive in quanto comunica in modo straordinariamente efficace
le sensazioni di straniamento e smarrimento dei personaggi; si pensi, ad esempio, al
brusco passaggio tra la notte, culla degli amanti, e il giorno brutale, oppure alle
allucinazioni di Tristano all'inizio del III atto. I cromatismi wagneriani quindi
indeboliscono in modo deciso il senso tradizionale delle tonalità, incrementando l'uso
della dissonanza, rendendo il sistema tonale, impalcatura stabile ed assiomatica di tutta la
musica fino a quel momento, suscettibile di critiche e modifiche, che perverranno, agli
inizi del nuovo secolo, alla rivoluzionaria opera di Schönberg e alla teorizzazione
fondamentale della dodecafonia3.
3
Leggasi in questa sede "dodecafonia" come particolare tecnica compositiva, ideata da Arnold Schönberg
(1923), che prevede l'inserimento negli accordi di tredicesima (accordi che arrivano a comprendere tutte le
sette note della tonalità in questione e raggiungendo l'estensione di una tredicesima), note estranee ad essa,
comprese, appunto, quelle proprie della scala cromatica, formando così sequenze compositive che arrivano
a toccare tutte le 12 note (da qui dodecafonia) della scala cromatica. Senza voler entrare in ulteriori dettagli,
è intuitivo come il rompere lo schema della tonalità tradizionale possa aprire la strada a nuove forme e
modelli compositivi, spesso (ma non sempre) basati sulla dissonanza, che saranno poi utilizzati dalla musica
d'avanguardia e contemporanea. Questo discorso è stata una doverosa precisazione in quanto ci permette di
6
Finora si è voluta porre l'attenzione sui dettagli musicali che, sottolineando questo senso
di straniamento, fortemente espresso da sospensione armonica, cromatismi e dissonanze,
possano risultare importanti chiavi di lettura del pensiero del compositore, da cui partire
per un’impostazione più strettamente filosofica.
Poiché in vita mia non ho mai gustato la vera felicità dell’amore, voglio erigere al più bello dei
miei sogni un monumento nel quale dal principio alla fine sfogherò appieno questo amore. Ho
sbozzato nella mia testa un «Tristano e Isotta»; un concetto musicale della massima semplicità,
ma puro sangue.
[Wagner a Liszt, autunno 1854]5
Sapendo cosa doveva diventare Tristan und Isolde, ci stupiamo pensando che Wagner
ebbe il proposito di scrivere un’opera semplice, con pochi personaggi e facile da allestire,
«all’italiana» grazie alla quale poter risolvere gli assillanti problemi economici e, anche se
sappiamo che le cose non andarono esattamente così, dobbiamo tener a mente questi
fattori. Apprendiamo quindi che, in barba ad ogni successivo travestimento ascetico,
l’idea iniziale era quella di una celebrazione dell’eros. Eros, esperito al di là di ogni
convenzione sociale, che già, in quegli anni, fungeva da valore centrale nella Walküre, e
si rispecchiava biograficamente nel sofferto rapporto con Mathilde Wesendonck, moglie
del suo benefattore e padrone di casa a Zurigo. Nella sua autobiografia, Wagner scriverà
che l’abbandono della composizione della Tetralogia fosse avvenuto in seguito alla
conoscenza della filosofia di Schopenhauer (risalente al 1854) che minava le basi
dell’idea del rinnovamento sociale proposto in essa. In quest’ottica, Tristan und Isolde,
con il suo anelito al Nulla e all’acquietamento nella Notte e nella Morte, costituirebbe una
diretta espressione della concezione del filosofo. In realtà sappiamo che il rapporto fra
Tristan e il pensiero di Schopenhauer è presente ma in forme più complesse e mediate.
«Due innamorati, non sapendosi amati e credendosi invece profondamente feriti e disprezzati,
desiderano bere l’uno dall’altra la bevanda di morte, apparentemente per espiare l’offesa, ma in
realtà per un inconsapevole impulso: essi vogliono essere liberati con la morte da ogni
separazione e finzione. La creduta vicinanza della morte libera la loro anima e la conduce ad una
breve e raccapricciante felicità, come se veramente fossero sfuggiti al giorno, all’illusione e alla
vita stessa» [Nietzsche]6
comprendere quanto realmente Wagner (in particolare con il Tristano) sia stato un fondamentale precursore
(e modello) per le avanguardie musicali d'inizio '900, per la musica contemporanea e per il superamento
degli schemi compositivi tradizionali.
4
Il Tristan è un’opera dalle cui esecuzioni Wagner avrebbe tratto profitto anche grazie alle dimensioni
ridotte rispetto al mastodontico progetto della Tetralogia.
5
Epistolario Wagner-Liszt; vol. II, Firenze, Passigli, 1983.
6
Friedrich Nietzsche, Richard Wagner a Bayreuth; in Scritti su Wagner, Milano, Adelphi, 1979, Ed. di
riferimento 8° ed, settembre 2013, p.158.
7
passa attraverso le false categorie di spazio, tempo e causalità), sono presi in un vortice di
dolore, egoismo e violenza reciproca. L’unica possibilità di fuga risulta essere la rinuncia,
l’autonegazione ascetica della volontà di vivere – la noluntas – e in ultima istanza la
morte.
Secondo questo punto di vista, nel sistema poetico di Tristan, l’opposizione fra mondo
della ‘rappresentazione’ e anelito al ricongiungimento nell’unità dell’essere sarebbe
espresso anche dall’opposizione giorno/notte, ripresa dalla lettura del primo romanticismo
tedesco (si vedano a proposito gli Inni alla notte di Novalis e la Lucinde di Friedrich
Schlegel): il giorno è, ben inteso, il termine negativo, il mondo falso dove dominano le
convenzioni, mentre la ‘sacra, inesprimibile, misteriosa notte’, come la definisce Novalis,
è la porta per riattingere la verità.
Quello di Tristan e di Isolde sarebbe quindi, fin dall’inizio, un itinerario destinato alla
morte, un acquietamento che ha valore metafisico molto più che essere via di scampo per
un amore ostacolato dalle convenzioni sociali. In questo modo, il filtro, ben lontano
dall’essere un goffo espediente drammatico, ha fortissimo valore simbolico: ciò che
dovrebbe dar loro la morte è invece filtro d’amore ma allo stesso tempo essi bevendolo
divengono ‘consacrati alla notte’, ossia alla morte stessa. L’amore e l’istinto sessuale sono
quindi da considerarsi – come già in Schopenhauer – la più immediata e potente
oggettivazione della volontà, che tramite quell’illusorio piacere, subito destinato a noia e
nuovo anelito, persegue una cieca ed infinita autoriproduzione.
È dunque possibile vedere nel Tristan un’illustrazione dell’amore come estrema astuzia
della Volontà?
Su questa linea Massimo Cacciari ha dato una interessante lettura del dramma musicale
nel segno delle aporie insite nel pensiero di Schopenhauer (ovvero dell’inevitabile
impotenza di un desiderio di negazione della Volontà proveniente dall’Intelletto, che non
è però indipendente dalla Volontà medesima)7, concludendo che l’opera rappresenta il
fallimento della negazione.
Tuttavia Wagner non è Schopenhauer e nel cercare una risposta a questa domanda si
tenga presente anche che generazioni di ascoltatori e spettatori, per nulla disposti a
leggere Tristan come una denuncia dell’eros quale illusione della Volontà, ma in base ad
una semplificazione in senso opposto, hanno letto il tutto nei termini di una meravigliosa
storia d’amore, organizzata strutturalmente in maniera non dissimile da altri testi del
teatro musicale romantico: lui e lei si amano, le circostanze lo impediscono e la
conclusione è inevitabilmente tragica, non senza qualche spiraglio di sublimazione (c’è
sempre qualche ciel pronto a schiudersi nelle varie opere che conosciamo).
Questa interpretazione ‘popolare’ di Tristan und Isolde è inaccettabile ma ci suggerisce
che per interpretare il messaggio dell’opera è necessario integrare Schopenhauer con una
concezione positiva e catartica dell’impulso erotico, probabilmente ispirata dall’amico
Nietzsche.
Wagner è convinto che nella musica di Tristan und Isolde risuonino al tempo stesso la
Volontà, impulso vitale e irrazionale che si incarna nell’amore dei protagonisti, e la sua
liberazione, l’appagamento nel regno della notte. Quest’ultimo è già presentito e
parzialmente vissuto nell’amore stesso e nuovamente sperimentato, a livello più alto e
definitivo, nella conclusiva trasfigurazione (Verklärung, è questo il termine che Wagner
usava per quella che volgarmente viene definita come Liebestod, morte d’amore). Non a
caso la musica della trasfigurazione d’Isolde riprende largamente la sezione conclusiva
del duetto nel giardino del II atto, così musica dell’anelito e musica del nulla coincidono.
Quindi se per Schopenhauer l’impulso sessuale è manifestazione primaria della Volontà a
7
Massimo Cacciari, Schweigender Bote; in Note sul rapporto Schopenhauer-Wagner, «Annali di Ca’
Foscari» XXIII, 1984.
8
cui opporre un’ascetica castità, alcuni sono convinti che per Wagner abbandonarsi ad esso
significa attingere alla Volontà in sé, la cui valenza originaria è tutt’altro che negativa:
diviene tale solo dopo essersi oggettivata nel mondo fenomenico, nel mondo della
divisione di oggetto e soggetto.
Wagner in diversi suoi scritti8 afferma di essere riuscito a correggere ed integrare
Schopenhauer che non aveva capito che il mezzo per placare la volontà è l’amore: «non
un astratto amore filantropico, s’intende, ma l’amore che scaturisce veramente
dall’impulso sessuale, vale a dire l’amore che sboccia dall’istintiva reciproca inclinazione
fra uomo e donna». Nelle intenzioni di Wagner la Volontà, che risuona musicalmente e si
concretizza nell’anelito sensuale, è al tempo stesso l’unico mezzo con cui innescare il
processo di abbandono delle illusioni del mondo fenomenico, per approdare alla cosa in
sé, la volontà non più frammentata nel mondo fenomenico. Gli amanti, a partire
dall’iniziazione al culto della notte, approderanno al riconoscimento che la morte, anziché
distruggere il loro amore, distruggerebbe solo ciò che lo impedisce. Il conseguimento
della pacificazione suprema, della disinteressata contemplazione della Volontà, della
trasfigurazione può avvenire per mezzo dell’amore sessuale.9
Senza quindi voler fare di Wagner un filosofo, siamo riusciti a dare una lettura che
presuppone certamente la filosofia di Schopenhauer – è del resto l’autore stesso a
denunciare questo debito – ma che comporta anche una rielaborazione e superamento
personali che avvicinano le sue concezioni a quelle di Nietzsche.
Del resto non è un segreto che i due intellettuali tedeschi avessero opinioni molto vicine
su molteplici aspetti riguardanti la vita, la filosofia e l’arte. Con particolare riferimento a
quest’ultima, la rivoluzione drammatico-teatrale portata avanti con estrema tenacia e
determinazione da Richard Wagner è salutata dal filosofo con toni trionfalistici nello
scritto Richard Wagner a Bayreuth del 1876, mentre ne La nascita della tragedia il
filosofo definì le opere di Wagner fino al Tristano e Isotta come la rinascita della tragedia
in Europa, la resurrezione dello Spirito dionisiaco, nonché la sua massima affermazione
nella storia della musica.10
Tale entusiasmo suscitato nel filosofo è dovuto al tentativo perseguito da Wagner di
realizzare concretamente nei suoi drammi l’ideale del Gesamtkunstwerk o Wort-Ton-
Drama, rispettivamente Opera d’arte totale e Parola-Suono-Azione.
Questo termine, utilizzato per la prima volta dal filosofo Trahndorff nel 1827, fu ripreso
da Wagner per la prima volta nel 1849, inserito nel suo saggio Arte e rivoluzione. È
questo un concetto che mai abbandonerà il compositore nella sua esistenza e che lo
condizionerà a tal punto da spingerlo a far costruire un teatro ad hoc per la
rappresentazione dei suoi lavori.
Il termine indica il teatro ideale in cui si fondono musica, letteratura, danza e arte
figurativa in una sintesi che dovrebbe poter condurre lo spettatore a percepire il sublime
che è insito in ognuna di queste arti, il quale si può esprimere appieno solo se in
un’unione artistica continua.
8
Wagner, Lettere a Mathilde Wesendonck; Milano, Archinto, 1988 e id., Diario veneziano; Venezia, Corbo
e Fiore, 1983.
9
In che misura Wagner sentisse, anche a distanza di anni, e in tutt’altra disposizione ideologica, la
pregnanza di quest’ideale al tempo stesso sacro e radicato nell’erotismo, lo dimostra un’annotazione veloce
nel diario di Cosima, da Venezia, domenica 22 ottobre 1882. Wagner e signora erano andati all’Accademia,
e fra gli altri capolavori avevano contemplato l’Assunta del Tiziano. «Non è la madre di Dio», disse
Richard. «È Isolda, nella sua trasfigurazione amorosa.»
10
Per completezza, è opportuno ricordare che la grande amicizia tra i due finì quando Wagner compose il
Parsifal, opera basata sulla tradizione e l’ideologia cristiana, fortemente rigettata da Nietzsche.
9
Nell’ottica wagneriana l’esempio principe dell’Opera d’arte totale risiedeva nella
tragedia greca che il compositore analizzò minuziosamente nello scritto Opera e dramma.
Fondamentale fu quindi lo studio sulla Poetica di Aristotele. Quest’ultima ha l’intento di
riportare in vita la grande arte di Eschilo, Sofocle, Euripide e degli altri tragici, mostrando
come una buona poesia debba esser fatta tramite un’analisi pragmatica e fenomenologica:
il filosofo greco intende infatti contrastare il teatro d’attore, ormai affermatosi nella sua
epoca, ripristinando il teatro d’autore.
Descrivendo l’origine della tragedia Aristotele ne evidenzia anche la fine repentina,
lasciando intendere che questa si sia verificata per una sorta di morte naturale: «ed
essendo passata per molti mutamenti la tragedia smise di mutare quando ebbe conseguito
la propria natura» (144 a 1 -1 ). La consapevolezza di questa decadenza non è esclusiva
dello sguardo gettato a posteriori da Aristotele, ma fu propria dei contemporanei stessi
della fine della grande epoca tragica (noto è l’esempio di Aristofane nelle Rane in cui
favorendo la tragedia eschilea all’euripidea fornirà a Nietzsche svariati argomenti per La
Nascita della Tragedia).
Nell’analisi del concetto di tragico Aristotele ci mostra innanzitutto come quest’ultimo
non sia l’annientamento in sé del personaggio, ma piuttosto la sua vera e propria salvezza
mostratasi sottoforma di annientamento; la tragicità non si compie nel declino dell’eroe,
ma nel fatto che l’uomo soccomba proprio percorrendo quella strada che ha imboccato per
sottrarvisi (Cfr. Edipo Re)11.
Tale visione sarà accolta con grande entusiasmo sia da Nietzsche sia da Wagner; basti
pensare alla trama del Tristano per rendersi conto che la tragicità è analoga:
l’annullamento nell’oblio della morte altro non è che l’unica salvezza concessa ai due
eroi.
Nel sesto capitolo Aristotele enuncia la sua celebre definizione di tragedia: «Tragedia
dunque è imitazione di un'azione seria e compiuta in se stessa, avente una propria
grandezza; con parola ordinata, distintamente per ciascun elemento nelle sue parti; che si
svolga a mezzo di personaggi che agiscano sulla scena, e non che narrino; la quale,
mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e
purificare l'animo di siffatte passioni. Dico linguaggio abbellito quello che ha ritmo,
armonia e canto; e dico di varie specie di abbellimenti ma ognuno a suo luogo, in quanto
che in alcune parti è adoperato esclusivamente il verso, in altre invece c'è anche il canto»
(Poet., 6, 1449b).
Dunque l’effetto catartico è evidentemente un’altra caratteristica comune con il dramma
wagneriano: la quasi totalità delle opere di Wagner si conclude infatti con una
purificazione in cui la colpa originaria trova la propria assoluzione raggiungendo la
redenzione completa. Negli intenti del compositore questa catarsi avrebbe dovuto
riverberarsi sull’uditorio stesso, che ne sarebbe dovuto essere a sua volta rigenerato,
rievocando il vero cuore dell'anima umana e risvegliando il sopito spirito del volk12.
Interessante è il fatto stesso che Nietzsche partendo proprio dalla Poetica intendesse
dimostrare come l’Opera d’arte totale wagneriana avesse il suo precedente proprio nella
tragedia attica: quel mondo che ormai sembrava perduto da millenni tornava a rinascere
nelle note del compositore tedesco. Infatti, come Aristotele, dopo aver distinto i mezzi
dell’imitazione, stabilì che «la poesia ditirambica, quella nomica, la tragedia e la
11
P. Szondi, Saggio sul tragico; Torino, Einaudi, 1996, p. 79.
12
Una certa interpretazione di questo concetto ha reso Wagner un esaltatore del nazionalismo tedesco di
fine ottocento e in epoca nazista ha permesso da Hitler di affermare: "Non è possibile comprendere lo
spirito del nazionalsocialismo tedesco senza comprendere la musica di Wagner", in riferimento alla
Walkiria.
10
commedia» si avvalevano di strumenti quali «il ritmo, il canto e il verso» (144 b 24-2 );
così Wagner ripristinò l’antica unità di parola, suono e azione (Wort-Ton-Drama).
Nella conferenza tenuta a Basilea il 18 gennaio 1870, Il dramma musicale greco – che
contiene molti degli argomenti che saranno ripresi e sviluppati nella Nascita della
tragedia13 – Nietzsche così riassumette l’elemento caratterizzante l’antica tragedia:
Costrizione unita alla grazia, molteplicità non disgiunta dall’unità, parecchie arti nella
loro più alta attività e tuttavia una sola opera d’arte: ecco il dramma musicale antico.”
Questa caratteristica fu messa immediatamente in relazione con Wagner:
Chi per altro, nel considerare quel dramma, si sente richiamato all’ideale dell’odierno
riformatore dell’arte, dovrà al tempo stesso confessare che quell’opera d’arte
dell’avvenire non è affatto uno splendido, ma illusorio miraggio: ciò che noi speriamo
dall’avvenire un tempo fu già realtà, in un passato che è più di duemila anni lontano da
noi”14.
Ecco dunque sancito a grandi linee lo stretto legame che intercorre tra la visione
wagneriana del dramma e l’antichissima tragedia greca il cui intento e la cui forma non
fanno che rispecchiarsi nella nuova Gesamtkunstwerk (Wort-Ton-Drama)15.
Wagner aggiungeva che con Euripide e, proseguendo, con tutta la tradizione operistica
(soprattutto italiana) si era perso il legame con le nobili e profonde origini dell’Opera
d’arte totale.
Possiamo dire che con Tristan und Isolde, messo in scena a Monaco nel 1865, assistiamo
alla prima concretizzazione dell’ideale di Wort-Ton-Drama per la totale unione stilistica
tra le arti della poesia, della musica e della mimica insieme con i motivi architettonici,
statuari-decorativi e pittorici della messa in scena.
Fortemente collegato al concetto di Opera d’arte totale, vi è quello di Dramma musicale,
termine con cui si usa definire le ‘opere’ della maturità wagneriana. Il concetto di
Dramma musicale insiste soprattutto sull’unione inscindibile di musica e letteratura, di
parole e musica, di composizione e libretto.
Wagner vide nel proprio dramma musicale la fusione dell’opera di due artisti da lui
amatissimi: Beethoven e Shakespeare.
Shakespeare, il drammaturgo in grado di descrivere le azioni umane in modo
meravigliosamente sintetico; e Beethoven, l'artista in grado di rendere ciò che l'intimo del
suo cuore sentiva in modo non traducibile dal gesto e dall'azione. Mirabile l'esempio della
sua Nona sinfonia in cui era riuscito a far agire il sentimento in quanto, ciò che vive
intimamente l'anima si riversa all'esterno facendosi infine parola, riunendo così, ciò che è
diviso solo nell'arte ma che, invece, nell'uomo è un tutto unico.
L'uomo deve esternarsi così come i suoi sentimenti intimi gli suggeriscono, e deve avere
la possibilità di far rivivere, con l'azione, ciò che si agita in esso. Ciò che non può
estrinsecarsi nell'arte drammatica è quindi affidato alla musica; ciò che non può essere
espresso dalla musica è affidato all'esposizione drammatica: questi sono i concetti alla
base della sintesi che il musicista ricerca a partire dai suoi due maestri.
Infine, come si è già anticipato, ricordiamo che l’intento di Wagner di restituire e quasi
‘rifondare’ il concetto di Opera d’arte totale, oltre a trovare applicazione nelle sue opere
della maturità (Tetralogia, Tristano, Cantori, Parsifal), si completò con la progettazione
del teatro dell’opera di Bayreuth, pensato come un ‘tempio’ dell’opera, il luogo dove il
13
Altri temi che confluiranno nella Nascita della tragedia sono trattati nella conferenza Socrate e la tragedia,
tenuta a Basilea il 1 febbraio 1870, e nello scritto La visione dionisiaca del mondo, steso tra il giugno e il
luglio 1870, parzialmente rielaborato e, con il titolo La nascita del pensiero tragico, donato a Cosima
Wagner in occasione del Natale del 1870.
14
F. Nietzsche, Il dramma musicale greco; tr. it. di G. Colli, OFN, vol. III/II, p. 2
15
Essa consta infatti di tutti gli elementi costitutivi della tragedia secondo Aristotele: favola, caratteri,
pensiero (obiettivi della mimesi), linguaggio, melopea (mezzi della mimesi) e spettacolo (modo).
11
divino spirito umano e artistico potessero (e dovessero) fondersi. E proprio in questo
teatro Wagner unì elementi architettonici e innovazioni scenico-artistiche per renderlo la
culla dell’Opera d’arte totale moderna. Innanzitutto mancano i palchi laterali, che sono
sempre elemento penalizzante per l’acustica, la pianta è squadrata, e non semicircolare o
a ferro di cavallo”, il che permette una distribuzione sonora più uniforme. Di
fondamentale importanza è la presenza della buca d’orchestra o, come la nominò Wagner,
golfo mistico”, luogo in cui si produceva il misticismo e l’arte intoccabile (la musica)
che accompagnava l’Opera d’arte totale; il golfo mistico di Bayreuth è decisamente
particolare, in quanto è notevolmente più profondo della norma e durante le
rappresentazioni viene coperto da un tetto, affinchè, almeno secondo Wagner, si ottenesse
il miglior equilibrio tra musica e arte visiva; inoltre la copertura del golfo mistico
impediva agli spettatori di essere distratti dai movimenti del direttore e dell’orchestra e
permetteva loro di immergersi totalmente nell’Arte. Altra innovazione fu l’introduzione
del buio completo in sala, sempre per gli stessi scopi.
Per concludere il discorso sull’opera d’arte totale, si è voluta fare questa digressione per
comprendere come l’esempio del teatro di Bayreuth fosse esemplare di quanto serie e
precise fossero le intenzioni del compositore rispetto a questa tematica.
Sembra ora opportuno tornare a considerare Tristan und Isolde come quell’opera del
teatro musicale che ha avuto straordinarie influenze non solo in seno al genere a cui
appartiene e neppure solo in riferimento alla storia della musica. Il dramma musicale di
Wagner infatti ha esercitato un enorme fascino nel modo culturale del tempo, superando i
confini dell’arte musicale, proprio come l’autore aveva auspicato.
In particolare, in questa sede, mi sembra interessante fare riferimento a Trionfo della
morte di Gabriele D’Annunzio16, un romanzo in cui ritroviamo molti dei temi del Tristan,
rielaborati secondo la sensibilità del pescarese.
L’opera, pubblicata nel 1894, narra la vicenda di un poeta e musicista appartenente alla
piccola nobiltà abruzzese, Giorgio Aurispa, il quale è innamorato di Ippolita, una donna
sterile e di classe sociale inferiore. Il protagonista, che nutre in sé gli opposti impulsi di
una violenta carnalità e di un desiderio di sopprimere da sé la carne, prova sentimenti
altrettanto ambivalenti nei confronti della donna: egli è vittima del suo fascino e al
contempo ne prova ripugnanza. La donna è presentata come Nemica e invincibile, ossia,
vincibile solo con la morte, mentre la vicenda precipita verso la soluzione tragica, sulla
falsariga del Tristan. L'arrivo presso l’eremo ove i due si erano ritirati di un pianoforte e
di una cassa di spartiti, tra cui quello dell'opera wagneriana, offre loro un nuovo
strumento di ebbrezza passionale. Mentre Tristano e Isotta, nell'opera musicale di
Wagner, sono vittime di un filtro d'amore bevuto assieme, l'interpretazione di d'Annunzio
oppone i due protagonisti come nemici senza pietà nell'incontro erotico.
16
La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio è notoriamente permeata di elementi di musicalità ma in
particolare lo scrittore pescarese paga un fortissimo tributo non tanto alla musica in genere, quanto, dopo un
avvicinamento a Debussy, alla musica di Wagner.
Del resto la presenza della musica in opere letterarie non è certamente una novità assoluta ma è legata
piuttosto all’estetica del Decadentismo europeo ed inoltre, in Italia, accesi dibattiti sulla produzione del
compositore tedesco, accusato dai suoi detrattori di corrompere la tradizione dell’opera italiana, si erano
aperti dopo i primi allestimenti di sue opere nella penisola – si ricordi la celebre prima del Lohengrin a
Bologna nel 18 1. A questa querelle prese parte anche D’Annunzio che dalle pagine de ‘La tribuna’,
recensendo ‘Il caso Wagner’ di Nietzsche, difese il musicista dall’attacco del pur apprezzato filosofo
scrivendo: Riccardo Wagner non soltanto ha raccolto nella sua opera tutta questa spiritualità e queste
idealità sparse intorno a lui, ma, interpretando il nostro bisogno metafisico, ha rivelato a noi stessi la parte
occulta della nostra intima vita” (Gabriele D’Annunzio, Il caso Wagner e la genesi del "Parsifal"; Firenze,
quattrini, 1914, pagine 25-26).
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Ma nel preludio del Tristano e Isolda l'anelito dell'amore verso la morte irrompeva con una
veemenza inaudita, il desiderio insaziabile si esaltava in una ebrezza di distruzione.
«...Per bere laggiù in onor tuo la coppa dell'amore eterno, io voleva consacrarti con me sul
medesimo altare alla morte17». E quell'immenso vortice di armonie li avviluppò entrambi
irresistibilmente, li serrò, li trascinò; li rapì nel «meraviglioso impero».18
Nel libro sesto, significativamente intitolato L’invincibile e da cui è tratto questo passo,
viene dedicato quasi un intero capitolo al ricordo di Giorgio che “non aveva dimenticato
alcun episodio di quel suo primo pellegrinaggio religioso verso il Teatro Ideale”19 di
Bayreuth. Egli ripercorre mentalmente tutta la musica e la vicenda di Tristano ed Isotta,
fornendo una delle più grandiose parafrasi letterarie di un’opera musicale e sarà proprio la
sua identificazione con Tristan ad accompagnarlo sulla strada del suicidio, trascinando
con sé la donna.
Oltre a questo forte parallelismo sul piano della vicenda, la passione del protagonista per
il dramma di Wagner, le vicende del suo amore tragico per Ippolita e gli ideali
superomistici nietzscheani sono i punti focali di un percorso narrativo che ha come intento
letterario la fondazione di un nuovo romanzo, il quale pure molto risente delle idee
wagneriane relative all’arte e alla musica. D’Annunzio ne espone con chiarezza i termini
nella prefazione in cui dichiara il proprio proposito di fare opera di bellezza e di poesia,
prosa plastica e sinfonica, ricca di immagini e di musiche. Al linguaggio scientifico e
positivistico d’una ricchezza incomparabile” tanto amato dai romanzieri suoi
contemporanei devono essere affiancati elementi musicali così varii e così efficaci da
poter gareggiare con la grande orchestra wagneriana nel suggerire ciò che la musica può
suggerire all’anima moderna”.20
Nel romanzo le tecniche analogiche adottate a partire dal Piacere, basate su temi
ricorrenti di esplicito contenuto musicale, evolvono in una prosa coscientemente
organizzata per Leitmotive, per temi conduttori. Tale tecnica, che consiste appunto nel
ripetere, ad intervalli anche cospicui, interi periodi o proposizioni o membri di esse, con
o senza variazioni, svolge numerose funzioni, che potremmo, per brevità, riassumere in
musicali-stilistiche, psicologiche o particolari legate allo svolgimento della vicenda. In
quanto struttura musicale21, l’elemento ripetitivo si inserisce così in nuovo sistema di
organizzazione formale del testo, che prescinde dalle consolidate strutture tradizionali e
tende a sostituirsi ai tradizionali elementi di costruzione narrativa del romanzo. In
secondo luogo, il leitmotiv risponde anche ad una sottile esigenza di rappresentazione
psicologica: in una narrazione prevalentemente regolata sui ritmi della memoria, e specie
sul ritorno degli stessi ricordi, anche il lettore è come obbligato dai frequenti richiami
interni a ricordare, a riprodurre in se stesso i meccanismi operanti nel tessuto narrativo. Si
crea così, sulla base dell’equazione fra ricordo e ripetizione leitmotivica, una solidità
17
Le citazioni del Tristan provengono da Challemel-Lacour, che volge in prosa Quatre poèmes d’opéras
18
Gabriele D'Annunzio, Trionfo della morte; Milano, Ed. Oscar Mondadori, 1995, ed. di riferimento 12°,
pag. 337, 338.
19
Gabriele D'Annunzio, Trionfo della morte; Milano, Ed. Oscar Mondadori, 1995, ed. di riferimento 12°,
pag. 338.
20
Gabriele D'Annunzio, Trionfo della morte; Milano, Ed. Oscar Mondadori, 1995, ed. di riferimento 12°,
pag. 3.
21
In questa direzione il leitmotiv dannunziano si differenzia marcatamente dalla semplice ripetizione
prosastica quale si poteva riscontrare, ad esempio, nella Vita Nova dantesca o nel Decameron di Boccaccio,
o da quella, cui pure è già affidata la propagazione di un tema, adoperata da Manzoni nei Promessi sposi. In
altri termini, l’uso del leitmotiv in D’Annunzio è così massiccio proprio perché, in quanto struttura
musicale, tende a sostituirsi ai tradizionali elementi di costruzione narrativa del romanzo.
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organica, se non proprio una solidarietà, tra autore e protagonista da una parte, e lettore
dall’altra. Infine, il leitmotiv può assumere anche funzioni particolari, più direttamente
legate al contesto.22 Alcuni tipi di riprese presiedono alla rappresentazione quasi ossessiva
di un’insistente ricorrenza psicologica, di un’idea fissa. Davvero memorabile ed
esemplare, a questo proposito, il continuo affiorare dell’immagine dello zio suicida
nell’inquieta coscienza del protagonista o l’insistente leitmotiv dello «stridìo del tarlo»
che dissuade, almeno momentaneamente, l’ipersensibile protagonista del Trionfo dal
suicidio.
22
Alcuni tipi di riprese presiedono alla rappresentazione di un’insistente ricorrenza psicologica, di un’idea
fissa; le definirei, perciò, ossessive. Davvero memorabile ed esemplare, a questo proposito, il continuo
affiorare, nel Trionfo, dell’immagine dello zio suicida nell’inquieta coscienza del protagonista. Vi sono,
inoltre, leitmotive che assumono, nel testo, una funzione meccanica, di cornice – sono difatti posti all’inizio
e alla fine di una digressione, o di un piccolo episodio che si vuol mettere in rilievo; l’ultima occorrenza ha
in genere la funzione di riprendere la narrazione esattamente nel punto in cui la si era lasciata: è il caso,
nelle prime pagine del Piacere del refrain «Quale atto io farò accogliendola? Quali parole io le dirò?» che
incornicia una breve digressione sul narcisismo del protagonista, in attesa di ricevere l'amata.
Se ovunque il leitmotiv agisce un po’ come una lente d’ingrandimento, rilevando nel contesto l’oggetto
rappresentato, ciò è particolarmente vero, infine, nello sviluppo della tematica dei piccoli fatti, delle «cose
umili»; cose e fatti apparentemente insignificanti diventano così, tramite la ripresa, latori di un senso
differente da quello letterale, il quale si costituisce per gradazioni, attraverso successive interazioni con il
contesto che di volta in volta in volta viene contrappuntato dal leitmotiv. In questo modo il «piccolo fatto»
può sviluppare la propria carica di significazione fino a pervenire ad un sovrasenso, ad un significato che
fornisce una sorta di commento idillico-drammatico, corale, della situazione narrativa. Designerò questa
funzione, nella quale il percorso del leitmotiv si svolge tra i limiti della polarità insignificanza-significanza,
«significativo-riflessiva», pur notando che essa non impedisce affatto al leitmotiv di assumere, a volte,
sostanziali conseguenze proprio sul piano narrativo: nel Trionfo, ad esempio, l’insistente leitmotiv dello
«stridìo del tarlo» (Prose di romanzi I, 783, 791, 793) dissuade, per il momento, l’ipersensibile protagonista
del Trionfo dal suicidio.
Come si vede, il tarlo diventa infine il correlativo di un’esistenza minima, di un nulla che tuttavia persiste e
resiste nel suo cieco incedere.
Si ricorderà, poi, come il tarlo sia il referente del leitmotiv nel Trionfo della morte; tornando su quel
contesto sarà facile evidenziare altri punti di contatto fra le due sequenze narrative. Così, nel Trionfo, il
tarlo entra in scena, come nella prima occorrenza della Cognizione, dopo la descrizione di un letto:
Vide, prima d’ogni altra cosa, il letto: che gli stava di contro, coperto d’una coltre verde tutta di noce […]
udì, nel silenzio dell’aria e dell’anima, lo stridìo del tarlo. Si tratta del letto sul quale s’è ucciso Demetrio,
zio e guida spirituale (fino alle estreme conseguenze) del protagonista; facile alle suggestioni, quest’ultimo
non tarda molto ad evocare, su quel medesimo letto, dapprima l’immagine del suicida e quindi quella di se
stesso:
Per una trasposizione fantastica, vide se stesso coricato sulla coltre. Ma quel tarlo, quel tarlo! Egli ne
udiva il rodìo chiaro e raccapricciante come se l’avesse dentro al cervello. Si accorse che proveniva dal
legno del letto, il rodìo implacabile. Comprese tutta la tristezza dell’uomo che, prima di morire, ode
stridere il tarlo sotto di sé.
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Wagner nel palazzo Vendramin e con i suoi discepoli partecipa al corteo funebre per il
grande compositore, portandone la bara. L’ammirazione per il genio tedesco è ancora
presente tanto che Effrena nella sua produzione artistica ambisce a creare l’opera d’arte
totale di chiara matrice wagneriana. Sembra però affiorare in D’Annunzio anche il
progetto di un estetismo mediterraneo e latino che viene ad essere perciò alternativo allo
spirito germanico. La matrice nazionalistica delle posizioni dannunziane mostra
chiaramente le influenze del clima culturale di inizio Novecento mentre l’obiettivo si
sposta sugli ideali di semplicità e classicità. Stelio respinge come inattuale e confuso” il
filo che collega le teorie di Wagner all’antica tragedia greca ed esalta, invece, il ruolo
della camerata fiorentina del conte Bardi che, nella genesi dell’opera lirica italiana, ne
avrebbe colto l’essenza. Il nuovo corso dannunziano non volta tuttavia le spalle a Wagner:
inaugura piuttosto un ambizioso piano di sintesi culturale "wagneritaliana". Chiari
riferimenti wagneriani sono rintracciabili nel teatro di D'Annunzio, che incontrerà
l'interesse dei compositori: nella Francesca da Rimini (1901), messa in musica da
Riccardo Zandonai nel 1914; nella Parisina (1902), messa in musica da Pietro Mascagni
nel 1913; nella Figlia di Iorio (1903), messa in musica, su libretto dello stesso
D'Annunzio, da Alberto Franchetti nel 1906.
Terminato anche questo excursus, circa una delle innumerevoli tracce che l’opera di
Wagner ed in particolare Tristan und Isolde ha lasciato nella cultura europea di fine ‘800,
pur nella consapevolezza che molte cose si potrebbero ancora approfondire, ritengo di
aver fornito un’analisi il quanto più possibile completa di uno dei capolavori della musica
e della cultura europea.
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Bibliografia e sitografia
In riferimento a D’Annunzio:
Gabriele D'Annunzio, Trionfo della morte; Milano, Ed. Oscar Mondadori, 1995,
ed. di riferimento: 12° ed.
Gabriele D'Annunzio, Il fuoco in Opera omnia, sez. III, Prose di romanzi; Milano,
INTEO, 1927.
Antonio Zollino & EJGS, da Il vate e l’ingegnere. D’Annunzio in Gadda; Pisa,
ETS, 1998, pagg. 23-42.
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Mappa dei concetti
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