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Raphael 

LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

COLLEZIONE VIDYA.

Raphael. (Ordine Asram Vidya).

La Filosofia dell'Essere.

UNA CONCEZIONE DI VITA PER USCIRE DALLE STRETTOIE DEL CONFLITTO


INDIVIDUALE E SOCIALE.

Edizione elettronica ad esclusivo uso dei membri dell’O.M.A.T.


Qualsiasi riproduzione o diffusione di questo testo è vietata al di fuori dell’Ordine.

 

Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

SOMMARIO 

La Filosofia dell'Essere. ................................................................................................................................................................ 4 
PRESENTAZIONE. .......................................................................................................................................................................... 6 
PARTE PRIMA. ................................................................................................................................................................................. 8 
PROIEZIONE‐IDOLO. ................................................................................................................................................................ 9 
ORDINI SOCIALI. ..................................................................................................................................................................... 27 
L'ULTIMA LIBERTA'. ............................................................................................................................................................. 45 
PACE E COOPERAZIONE DI CLASSE. .............................................................................................................................. 54 
SEGUIRE IL PROPRIO DOVERE. ........................................................................................................................................ 61 
FILOSOFIA DELL'ESSERE. ................................................................................................................................................... 69 
ARTE TRADIZIONALE. .......................................................................................................................................................... 76 
PARTE SECONDA. ........................................................................................................................................................................ 87 
OMBRE SUI GURU E SUI CULTURALISTI TRADIZIONALI. ..................................................................................... 87 
FUSTIGATORI E GIUSTIZIERI. ........................................................................................................................................... 93 
INIZIAZIONE E RITO. ............................................................................................................................................................ 97 
SOLUZIONE DEL COMPLESSO ENERGETICO. .......................................................................................................... 103 
 

 

Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

...siamo pronti a sostenere che la Costituzione (Politeia) di cui stiamo parlando ci fu, c'è e ci sarà,
ogni volta che la Musa della Filosofia si curi dello Stato. Infatti né è impossibile che avvenga, né
diciamo cose impossibili; che però siano difficili anche noi lo ammettiamo.

Platone.

 

Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

LA FILOSOFIA DELL'ESSERE. 

La Filosofia dell'Essere in riferimento all'ordine politico è quella Filosofia che propone una
radicale trasformazione non degli effetti, ma delle cause; ciò implica che, se rivoluzione
deve esserci, essa deve trasformare l'individuo in quanto tale, cioè deve trasformare il suo
interno e non il suo esterno.

Parlare di rivoluzione sociale e non parlare di trasformazione mentale e coscienziale


significa, in buona o mala fede, non voler attuare la vera ed ultima rivoluzione, in altri
termini significa non voler trasformare un bel niente.

Se vuoi trasformare la società in una comunità di esseri liberi e pacifici, incomincia a


trasformare te stesso... Se invece di proiettare la rivoluzione, la facessimo entro noi stessi,
le cose non potrebbero non cambiare. Ma trasformare se stessi è cosa ardua, difficile e
l'individuo spesso sfuggendo, consapevolmente o inconsapevolmente, a questo preciso
compito-dovere preferisce costruirsi l'idolo e ciò è alienazione, inoltre si vende a questo
idolo pur di avere la propria salvezza, e ciò è schiavitù.

Ancora, avendo impostato la sua convinzione di vita sul piano del divenire-processo, ha
dovuto inevitabilmente portarsi verso l'acquisizione dell'oggetto-contingente e la
costruzione di un mondo artificiale che compensi la sua solitudine e la sua alienazione. Ma
l'identificazione col divenire lo porta, prima o poi, a sperimentare il conflitto, la tensione,
l'autoaffermazione, la lotta, la guerra e tante altre cose aberranti; e fino a quando si
interpreta la vita in termini di lotta, di potere, di asservimento, di dominio, di separatività
non si possono risolvere i problemi fondamentali. Una società che assorbe tutte le sue
energie nel semplice sperimentare il relativo e il giuoco fenomenico, una cultura che
riconduce tutto alla misura della individualità umana, presa come fine a se stessa, non
possono non creare conflitto e disarmonia a livello individuale e sociale.

La soluzione del problema non possiamo averla da una concezione filosofica che,
considerando la realtà della vita come divenire, spinge necessariamente l'individuo verso
l'acquisizione del contingente, ma da una Filosofia che sappia guidare l'individuo dal
particolare all'universale, che sappia illuminare la coscienza singola al risveglio della sua
totale, integrale possibilità di essere, e sappia fargli comprendere e sperimentare che la
vera compiutezza non risiede nell'avidità e nel possesso.

Nel corso del dialogo tra Raphael ed alcune persone appartenenti a formazioni
ideologiche diverse, ma con istanze anche realizzative, sono emerse alcune domande
fondamentali: la politica, come generalmente si concepisce, può risolvere i problemi
dell'individuo? Le ideologie politiche, nelle loro motivazioni di fondo, sono veramente
valide? Può esserci una Filosofia politica capace di affrontare sia le richieste psico-
 

Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

spirituali dell'individuo sia quelle contingenti-materiali di politica sociale? Le risposte


sono date da Raphael alla luce della Filosofia dell'Essere la quale ha attinenza con la
Filosofia di Platone, Plotino e altri Neoplatonici (lungo il testo ci sono riferimenti agli
scritti di questi Autori); è bene sottolineare che la Filosofia di cui parla Raphael è quella
che origina dal Principio e si estende fino all'essere umano, quindi è di là dal partito
sociale, dal settarismo religioso, dal partito culturale scientifico, come è di là da ogni
interesse egoistico individuale, di classe, nazionale o di razza; è l'applicazione al
contingente, nelle diverse sfere dell'attività umana (politica, arte, ordini sociali, ecc.) dei
Princìpi fondamentali di quella che è e sarà sempre la Philosophia perennis.

Se vuoi trasformare la società in una comunità di esseri liberi e pacifici, incomincia a


trasformare te stesso.

 

Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

PRESENTAZIONE. 

Anni addietro alcune persone appartenenti a formazioni ideologiche diverse, ma con


istanze anche realizzative, si sono trovate unite e pressate dalle stesse domande: la politica
sociale, come generalmente si concepisce, può risolvere i problemi fondamentali
dell'individuo? Può effettivamente appianare le disparità sul piano sociale e portare
l'umanità ad un ordine pacifico di cooperazione e di benessere? Le stesse ideologie
politiche del mondo del divenire, nelle loro motivazioni di fondo, sono veramente valide?
E ancora: può esserci una filosofia sociale capace di affrontare sia le richieste psico-
spirituali dell'individuo sia quelle contingenti di politica sociale? Per quanto tale
problematica non fosse pertinente all'insegnamento di Raphael, si è addivenuti, date le
insistenze, alla decisione di porre una serie di domande, di contenuto impersonale, con
l'augurio di poterle soddisfare.

Per desiderio di Raphael, nel gruppo sono state inserite anche persone con istanze
esclusivamente realizzative e con predisposizione per il Vedanta advaita, l'Asparsa vada e
il Platonismo.

Il dialogo, fatto a più riprese, è stato molto lungo e i temi affrontati sono stati tanti; alcune
domande hanno un ardire e una forza che qualche volta rasentano l'aggressione; ma ciò è
dovuto al fatto che alcuni elementi del gruppo hanno avuto delle esperienze negative non
solo nell'ambiente politico-sociale, ma anche spirituale e tradizionale.

Tutti i convenuti si sono trovati d'accordo che un cambiamento sarebbe stato necessario;
ma che tipo di cambiamento? E quale direzione avrebbe dovuto prendere l'energia
impegnata? Noi abbiamo scelto quelle domande e risposte che abbiamo reputato utili per
il lettore.

Per quanto non ci sembri il caso di anticipare alcuna sintesi né alcuna conclusione,
possiamo comunque sottolineare che Raphael, considera la politica, nella sua comune
accezione, un momento dialettico dell'individualità, e, in quanto tale, essa non può non
avere una sua validità e una sua ragion d'essere.

In alcune ideologie dell'Est e dell'Ovest, ci sono verità che sono senz'altro valide, ma
purtroppo, per mancanza di autorealizzazione, l'uomo non le applica; anzi, si crea degli
alibi proprio per non tradurle in atto.

Tante rivoluzioni, passate e presenti, per quanto nate da motivazioni giuste e con
programmi lodevoli, sono state tradite dagli stessi rivoluzionari, una volta conquistato il
potere. Tutto ciò risulta chiaro dalle risposte di Raphael, come risulta chiaro che Raphael
indica una politica che non è frutto dell'io passionale.

 

Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

La Filosofia dell'Essere, nel suo adattamento all'ordine politico, è quella Filosofia che
propone una radicale trasformazione non degli effetti, ma delle cause; ciò implica che, se
rivoluzione dev'esserci, essa deve trasformare l'individuo in quanto tale, cioè deve
trasformare il suo interno e non il suo esterno.

Parlare di rivoluzione sociale e non parlare di trasformazione mentale significa, in buona o


mala fede, non voler attuare la vera ed ultima rivoluzione; in altri termini, significa non
voler trasformare un bel niente.

Un altro punto da prendere in considerazione è questo: Raphael quando parla di


Philosophia perennis, di Metafisica tradizionale, ecc., vuole riferirsi a quella Filosofia
tradizionale che non è frutto della mente individuata, ma di contemplazione noetica. Così
questa tradizione filosofica non rappresenta né la tradizione culturale né il costume né il
conservatorismo ideologico o formale di un popolo, né, ancora, il fattore religioso
istituzionalizzato e dogmatico.

La Filosofia di cui parla Raphael è quella che origina dal Principio e si estende fino
all'essere umano, quindi è di là dal partito politico, dal settarismo religioso e dal partito
culturale-scientifico; come è di là da ogni interesse egoistico individuale, nazionale o di
razza.

Ogni tipo di conservatorismo, istituzionale e no, è contro la Filosofia dell'Essere perchè


nasce dallo spirito di conservazione dell'io conflittuale.

Così, se più volte si fa riferimento all'advaita vedanta e all'asparsa vada di Gaudapada è


perchè queste dottrine tradizionali sono pertinenti alla Metafisica realizzativa; anzi, sono
Metafisica, per cui sono fuori da ogni quadro di fanatismo emotivo religioso, e quindi da
ogni preferenza esclusivistica irrazionale. Diremo anzi che la maggior parte del contenuto
delle risposte di Raphael ha attinenza con la filosofia di Platone, di Plotino e di altri
neoplatonici; in altri termini, ha attinenza con la Tradizione misterica occidentale.

Si fa notare che se alcuni concetti sono ripetuti è perchè le domande, fatte a più riprese, lo
esigevano.

Inoltre, qualche domanda-risposta avrebbe potuto trovare posto in un capitolo più


pertinente, ma si è voluto lasciare il dialogo così come si è svolto senza modificarne la
sequenza. Associandoci al desiderio del gruppo, ringraziamo Raphael per aver consentito
a toccare argomenti che non sono propriamente inerenti alla sua natura di asparsin.

Edizioni Asram Vidya.

 

Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

PARTE PRIMA. 

...Finis totius et partis esse posset et multiplex, scilicet propinquus et remotus; sed, omissa
subtili investigatione, dicendum est breviter quod finis totius et partis est removere
viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis...

Il fine del tutto e della parte potrebbe essere molteplice, prossimo e remoto; ma omettendo
sottili indagini, brevemente si può dire che il fine del tutto e della parte consiste
nell'allontanare gli esseri, in questa vita, dallo stato di miseria e portarli allo stato di
felicità.

(Lettera di Dante a Can Grande della Scala).

NOTA: Nel prosieguo sarà indicata con la lettera D. una domanda posta a Raphael e con
R. la risposta di Raphael. Può avvenire che lo stesso interrogante che precedentemente ha
posto la domanda ne ponga anche un'altra. fine nota)

 

Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

PROIEZIONE‐IDOLO. 

D. Può dirmi che cosa fa aderire l'uomo a certe ideologie? Che cosa lo spinge a fondersi con il suo
pensato? Come nasce la certezza in un'ideologia politica e religiosa, come la certezza in una teoria
scientifica? Voglio dire, perchè l'individuo è sospinto a credersi nell'immagine collettiva?

R. Per comprendere questa condizione dovremo soffermarci brevemente sulla dinamica


della mente rappresentativa empirica.

La mente opera per mezzo di immagini, di proiezioni, perchè di fronte ad un dato si pone
in atteggiamento duale. Quando percepiamo un albero, la mente cerca di immaginare la
realtà albero e, mediante i suoi ricordi e le correlazioni con altri dati, crea un concetto di
ciò che è l'albero. Poi essa elabora il concetto in base ai dati che i cinque sensi le forniscono.
La coscienza il più delle volte vi aderisce e s'identifica con il concetto fino a creare
l'identità con esso.

Questo tipo di percezione-conoscenza lo possiamo chiamare di relazione, di soggetto-


oggetto, di descrizione, e così via. Immaginare un dato è un conto, conoscerlo è un altro.
Inoltre, l'io per vivere ha bisogno di credere in qualche cosa, e la mente immaginativa gli
fornisce la materia prima per la sua sopravvivenza, cioè la proiezione, il concetto empirico.

Quando l'individuo cerca di risolvere i suoi problemi esistenziali-sociali che cosa fa?
Proietta un'immagine che chiama politica, incarnata spesso in un'ideologia politica e in un
partito politico, e la qualifica secondo sue particolari istanze e aspirazioni. Lentamente
nasce una grande effigie, nasce la Dea politica ed egli pone in questa Dea tutte le sue
possibili aspettative. In verità nasce un idolo, e questo idolo, come abbiamo già fatto
esperienza, può essere esaltato fino al fanatismo. Lungo il tempo le aspirazioni dei popoli
sono state riposte nell'avvento di un Messia, nell'avvento del Regno celeste, del
Superuomo, della scienza, della macchina industriale e del potere burocratico; nell'avvento
della democrazia o della dittatura, ecc. Ma tutti questi avventi non sono altro che
proiezioni, sono sempre immagini cariche di aspettative e di poteri traumaturgici.

Quando l'idolo non risponde alle attese, la stessa mente gli si rivolta, cerca di abbatterlo,
spesso anche con la forza.

Laddove vi sono idoli e immagini da adorare, la v'è idolatria. Gli idoli, creati dalla mente
esteriorizzante e proiettiva, sono narcotici che offuscano la consapevolezza dell'essere. Gli
uomini possono essere addormentati dalla potenza di un idolo costruito pazientemente da
menti preparate.

Possiamo citare una dichiarazione, molto significativa, del fisico tedesco Prof. C. F. Von
Weizsacker fatta in occasione del 200° anniversario della fondazione di una società
 

Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

farmaceutica di Basilea: Oggi la scienza è l'unica cosa in cui tutti gli uomini credono: è la
sola religione universale del nostro tempo... Lo scienziato si è messo così in una posizione
ambigua: è il sacerdote di questa nuova religione, conoscendone i segreti e le meraviglie,
poichè ciò che per altri è sconcertante, strano o segreto è chiaro per lui.

E' inevitabile che, fino a quando la mente pone fuori di sé la sua salvezza, l'io campa e si
perpetua e, finchè sussiste l'io accaparratore, acquisitivo e reattivo, non c'è alcuna politica
o scienza che possa dare salvezza. L'io non può vivere senza idolo, gli è sottomesso, e in
suo nome si permette di tutto. Le qualità attribuite all'idolo hanno poco a che fare con
l'effettiva presa di consapevolezza dell'ente proiettore, il quale aspetta passivamente che
esso faccia i suoi miracoli. Ciò implica che, asservendoci alla nostra rappresentazione,
comunichiamo con noi stessi in forma alienata.

se da una parte abbiamo foggiato l'idolo-miracolo, dall'altra l'idolo imprigiona noi. E' il
paradosso dell'individuo foggiatore di immagini.

Molti proiettano sull'idolo qualità di giustizia sociale, di fratellanza, di ordine, ecc., ma il


soggetto operante non vive in sé queste qualità e non può viverle perchè le ha proiettate,
divenendone alienato. Molti fanno addirittura una rivoluzione per cambiare le cose, per
creare giustizia, perequazione sociale ed altro; conquistato il potere, quelle stesse persone
che hanno combattuto per abbattere l'ingiustizia commettono altrettanta ingiustizia dei
predecessori, magari in forme diverse. Ciò avviene perchè esse hanno proiettato
un'immagine rivoluzionaria, frutto, fra l'altro, di semplice reazione passionale, senza
essere, o incarnare, l'essenza della rivoluzione. Noi rincorriamo le nostre proiezioni, i
nostri idoli, i nostri fantasmi, senza mai raggiungerli perchè, li poniamo, appunto, sempre
di fronte a noi.

D. Così dobbiamo riconoscere che l'individuo è costretto a foggiare istituzioni perchè, essendosi
alienato, non può più vivere di moto proprio. proiettando la Dea giustizia deve necessariamente
costruire i tribunali. Però queste istituzioni non potrebbero sopperire alla sua mancanza, alla sua
privazione?

R. Fino a quando non siamo noi stessi permeati di giustizia, di ordine e di compostezza,
non potremo mai trionfare sull'ingiustizia sociale: quelle istituzioni sono sempre
presiedute da enti mancanti.

D. Allora l'individuo non solo si crea gli dei a sua immagine, ma anche la politica e la stessa
scienza?

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. La politica è un potentissimo idolo, o feticcio, che ha milioni di devoti, di fedeli e anche


di fanatici. E come, ad esempio, in nome dell'Amore del Cristo si è ucciso, così in nome
della giustizia e del progresso sociale si commettono delitti detestabili e irrazionali. Tutte
le strade della filosofia del divenire portano alla stessa mèta: l'alienazione. Questo mondo
non ha un fuori, non ha un altrove in cui la filosofia del divenire possa indirizzarlo. I
progressisti e i conservatori, per quanto usino metodi diversi di potere, sono accomunati
in un unico destino che è quello dell'alienazione.

Abbiamo accennato all'altro idolo che è la scienza, con il suo progresso. Dalla scienza si
esige tutto, la si concepisce come potenza che può tutto, che tutto risolve: e quando ciò non
avviene, i suoi devoti, perduta la fiducia, le si voltano contro. Oggi, ad esempio, molte
persone appartenenti a determinate formazioni socio-politiche non credono più nella
scienza. Esse ne avevano proiettato un'immagine capace di risolvere i problemi
dell'umanità, con la sua concezione di progresso, con lo sviluppo tecnologico e le scoperte
extraplanetarie, ma ciò non è avvenuto, da qui la rivolta.

Fino a quando viviamo di proiezioni e di feticci non possiamo ristabilire la giustizia,


l'uguaglianza e la fratellanza perchè queste non devono essere espresse mediante il
feticcio, ma vissute dalla nostra stessa coscienza.

Quando saremo tutt'uno con l'Amore, l'Armonia e l'Accordo, che a certi livelli sono
compartecipazione, allora l'era di giustizia potrà instaurarsi nella società.

La Filosofia dell'Essere, quella Philosophia perennis che promana dal Principio, è


dell'avviso che il problema fondamentale umano risieda nella stessa coscienza dell'essere;
solo rientrando in sé si può riconoscere la possibilità di avere la pace, l'armonia e il
benessere; in altri termini, si può avere la certezza della propria compiutezza; cercarla
fuori, proiettare l'idolo della scienza, della politica, della religione (come generalmente la
si concepisce), della libertà e dell'uguaglianza, significa procrastinare la soluzione del
problema.

Con ciò non si vuole disconoscere la funzione della scienza, della politica, della religione,
ecc., soprattutto in una società alienata; d'altra parte non è questo il nostro pensiero. Per
noi queste cose sono canali attraverso cui può essere espressa, a certi livelli esistenziali, la
Realtà interiore. Ma quando innalziamo lo strumento, il mezzo espressivo o il canale a
funzione di idolo, di deità, di feticcio, con la nostra relativa sottomissione e venerazione
fanatica, noi rovesciamo la verità delle cose. Il sabato è fatto per l'uomo, non l'uomo per il
sabato.

D. Perchè l'individuo cerca fuori quello che ha dentro? Che cosa lo sospinge a poggiare sulle cose e
non su se stesso?

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Ritorniamo alla domanda precedente. Molto dipende dalla natura mentale che tende ad
estrovertirsi e a manifestarsi oggettivamente; d'altronde questa è la sua funzione. Ogni
veicolo manifesta particolari qualificazioni; ora, la mente quindi la parte più rilevante
dell'individualità, si esprime in tal senso; ha la caratteristica di porre fuori di sé la sua
esistenzialità.

Per l'individuo empirico è reale ciò che gli sta di fronte, cioè l'oggetto proiettato e, per
quanto un attimo dopo possa vederlo svanire, tuttavia lo reputa ugualmente reale; non
potendo, o volendo, poi concepire altre possibilità espressive di realtà, è costretto a
riconoscere reale ciò che diviene, ciò che in fondo esiste e non esiste. Più c'è identificazione
con il pensiero e più si è oggettivisti. Il materialismo oggettivo, di là da ogni colorazione
politica, nasce da questo atteggiamento mentale. Per esso la realtà è quella oggettiva, è la
materia che sta di fronte a noi, è l'altro; se poi scende a dimensioni politiche, allora
considera realtà il benessere materiale, la produzione, il semplice bene di consumo.

In verità, quando l'uomo pone la realtà fuori di sé, egli non solo vive di sottomissione e di
alienazione, ma la stessa realtà è per lui sempre sfuggente e irrangiungibile. Avviene come
quando al cinodromo per far correre il cane gli si mette di fronte un pezzo di carne ch'è
attaccato al raggio dello stesso cerchio girevole a cui esso è legato. La ruota del divenire
gira fino a quando l'individuo pone fuori di sé quello che invece ha dentro. Tutti coloro
che si risvegliano a questo riconoscimento incominciano a correre meno, fino a fermarsi; è
il momento del ritorno alla Fonte, cioè all'Essere. Chi ha compreso il giuoco non gioca più
e lascia giocare gli altri che hanno ancora necessità di farlo.

D. Credo che alcuni politici potrebbero avversare la Filosofia dell'Essere perchè li inchioda al
riconoscimento che la realtà è nei cuori degli uomini, non nei loro idoli pazientemente e
diabolicamente costruiti.

Se, come spesso si dice, la Religione può costituire l'oppio dei popoli, la Politica può costituire un
narcotico che rende sonnambuli milioni di persone.

In ogni modo, in che posizione deve trovarsi la mente per superare se stessa?

R. Di silenzio. Bisogna fare molta attenzione, comunque, quando parliamo di silenzio.


Molti immaginano di dover attutire tutti i sensi, di divenire passivi e non pensare più; altri
credono di doversi annientare fino a perdere la sensibilità e lo stesso giudizio. Abbiamo
detto che funzione della mente è quella di muoversi proiettando e trascinando la coscienza
a identificarsi con le sue proiezioni. Ora, noi dobbiamo conquistare gradatamente il
controllo del movimento pensativo e poi operare il distacco dalle proiezioni o immagini
pensate. Controllo del movimento psichico e conseguentemente distacco dai prodotti

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

pensati sono lo scopo preliminare di ogni seria ascesi. Come si può notare, occorre
strappare il Veggente dalle cose pensate, proiettate.

Per attuare questo processo necessita non una passività irrazionale, ma maggior vigilanza,
maggiore volizione, maggior equilibrio e maggiore centralità coscienziale.

In merito a quanto ha detto all'inizio della sua domanda, tenga presente che noi ci
riferiamo a quel politico che è asservito all'idolo, bisogna ovviamente distinguere tra
politico e Politico.

D. Da quanto stiamo dicendo devo concludere che l'uomo proietta fuori di sé l'immagine del
Prìncipe per due motivi: primo, perché rientra nella sua natura proiettare il Salvatore; secondo,
perché, non comprendendo che la soluzione dei suoi problemi sta dentro di sé, è costretto a trasferire
nel Prìncipe quei poteri taumaturgici di cui per necessità di cose va in cerca.

Noto quindi due fatti importanti: l'uno è che il popolo si costruisce il suo Prìncipe, e ciò è
alienazione; l'altro è che si vende al Prìncipe per avere la propria salvezza, e ciò è schiavitù.
Conclusione: gli individui sono tutti alienati e schiavi per un'errata valutazione di prospettiva?

R. Che cosa intende per Prìncipe?

D. Il Prìncipe è il politico, è il messia, il salvatore; è il demiurgo machiavellico, il finanziere


capitalista, ecc.

R. L'individuo, in quanto individualità relativa, deve dipendere da qualche cosa. Egli


anela alla propria compiutezza, ma sbaglia strada nel cercarla. E' così che arriva
all'alienazione e conseguente schiavitù. Comunque, cerchi di non essere assolutista,
abbiamo detto che vi sono politici e Politici, ideologie e Ideologie.

D. Si può avere una società senza potere, senza padroni, senza Prìncipe?

R. Allo stato attuale delle cose non è possibile.

D. Allora saremo sempre sottoposti al Prìncipe? Saremo sotto la sferza dell'alienazione e della
schiavitù?

R. Fino a quando c'è alienazione, il Prìncipe è indispensabile. L'anarchia è utopica.

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. E dal momento che il Prìncipe non ha alcun interesse a risolvere l'alienazione, essa si perpetua
tranquillamente. La rassegnazione è l'unica strada?

R. Niente affatto; l'individuo ha una sola via maestra, quella di riorientarsi verso il Polo,
quella di risolversi nell'Essere e di ritrovarsi come Prìncipe di se stesso. Il vero
rivoluzionario è colui che attua questo riorientamento.

D. A livello sociale lei pensa che un prìncipe valga l'altro?

R. No di certo. Ci sono prìncipi e Prìncipi. Ripeto che non è il caso di assolutizzare certe
cose. Vi sono centinaia di politici in tutto il mondo che operano per il benessere della
società.

D. Dunque, è il popolo che si foggia il Prìncipe a sua immagine, o è il Prìncipe che si foggia il
popolo?

R. C'è un'interrelazione reciproca. Può anche avvenire questo: il popolo si foggia


l'immagine e crea il suo Prìncipe. Poi il Prìncipe, gradatamente, innocentemente,
dolcemente (a volte anche bruscamente) si foggia il popolo.

D. E il popolo segue pedissequamente?

R. In linea di massima il popolo segue; non può non seguire.

D. Ma, esistono anche rivoluzioni.

R. La rivoluzione non implica che il popolo non voglia seguire; spesso implica che vuole
solo cambiare immagine, proiezione del Prìncipe; vuole seguirne un altro.

D. Se il popolo è schiavo, il Prìncipe è libero?

R. Padrone e servo sono legati ad una stessa fune: la schiavitù del divenire.

...Ora, il popolo non è sempre solito mettere alla propria testa, in posizione eminente, un
solo individuo, mantenerlo, farlo crescere e ingrandire? Si, è solito farlo. Allora è chiaro,
feci io, che tutte le volte che nasce un tiranno, esso spunta dalla radice del protettore e non
da altra parte. E' molto chiaro.

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Come s'inizia dunque la trasformazione da protettore a tiranno?... (nota: Platone, La


Repubblica. fine nota).

D. Sono un uomo di scienza; ho ascoltato tutto ciò che è stato detto: la questione della proiezione mi
convince, ma che cosa si può imputare alla scienza se la sua funzione è di accertare il vero e
conoscere i misteri della vita?

R. Sotto questo profilo nulla, e noi abbiamo il massimo rispetto della scienza.

Ciò di cui prima si parlava è altro: l'individuo è uso proiettare sull'immagine scienza la
possibilità di risolvere tutti i problemi che la vita offre, persino quei problemi più
immediati che nascono dalla contraddizione economico-sociale.

C'è comunque un altro fatto che occorre tener presente, ed è questo: la scienza osserva
certi eventi, certi accadimenti fenomenici e cerca di comprendere i meccanismi che
operano nella natura; da questi eventi osservati e dal riconoscimento esplicativo che ne
deriva avanza la teoria, o la concettualizzazione del fenomeno. Nascono così le teorie o i
paradigmi scientifici che vengono accettati da tutti come veri.

Ci sono scienziati, ma sotto questa prospettiva dovrebbero essere chiamati scientisti-


teologi, che spesso difendono la loro teoria o il loro paradigma perchè lo ritengono
assoluto. Ora noi sappiamo che le teorie scientifiche, lungo il tempo, hanno subito delle
modificazioni, e a volte sono state persino annullate da altre teorie.

Cento anni fa la teoria scientifica riteneva che la materia fosse impenetrabile nei suoi
componenti elementari e inscindibile. Più tardi si scoprì che ogni elemento chimico è
costituito da unità atomiche che si possono distruggere e scindere. Si riteneva un tempo
che la massa fosse la qualità costante di un corpo, si è scoperto poi che la massa varia con
l'aumentare della velocità del corpo. Persino per il materialismo dialettico la conoscenza
scientifica è relativa, approssimativa, destinata a mutarsi addirittura nel suo opposto.

Abbiamo visto che l'atomo da inscindibile diventa scindibile, la massa da costante diventa
incostante e variabile, e laddove la scienza non riesce a comprendere diventa essa stessa
ambigue: l'elettrone è così un corpuscolo e anche un'onda, due principi che dovrebbero
escludersi reciprocamente. Da ciò si può concludere che gli stessi paradigmi attuali della
scienza non possono ritenersi assoluti e definitivi.

Se la scienza è in mano a veri ricercatori, a veri scienziati, nulla da temere perchè la loro
innata umiltà e la loro precisa consapevolezza riconducono ogni cosa al suo giusto posto;
ognuno segue il proprio dovere, ma ammettiamo, per esempio, che una qualsivoglia
ideologia dogmatica e assolutista si annetta la scienza e ne faccia un'umile ancella, allora ci
troveremmo con una scienza che non sarebbe più scienza ma un sottoprodotto di tale
 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

ideologia; in altri termini, sarebbe anch'essa un'ideologia e non più una ricerca dei
fenomeni vitali, come in effetti dovrebbe essere.

D. Se non erro lei vuol dire che la concettualizzazione (teorica) scientifica può cristallizzarsi a
scapito della stessa ricerca? E' questa concettualizzazione che viene deificata?

R. Una teoria, come tutte le teorie che riflettono il relativo fenomenico, è sempre una
concettualizzazione di qualcosa, un concetto esprime sempre la rappresentazione mentale
di qualche dato e serve per creare rapporto, espressione, serve cioè per comunicare; ora
quel dato, o qualcosa, è sempre riferito, per quanto riguarda la scienza, al fenomeno, al
mondo del divenire, del cangiamento e del movimento; però dobbiamo riconoscere che sul
piano del movimento non possono esserci leggi universali e costanti, per cui le stesse
teorie non possono avere valore assoluto.

Secondo Platone, la conoscenza del mondo sensibile non offre una certezza assoluta,
perchè in tale mondo i dati sono sempre mutevoli per cui la conoscenza non è stabile,
costante e valevole per tutti; la vera conoscenza-scienza non è del sensibile ma
dell'intelligibile, e questo non appartiene alle cose sensibili, che rappresentano l'effimero,
ma all'Anima, che è sovrasensibile, e l'Anima non lo riceve dal di fuori, cioè dal mondo
sensibile, ma dal di dentro in quanto partecipa alla realtà del Nous. La mente empirica
cerca la Verità, l'Anima la possiede.

Socrate: Orbene, è possibile codesto bello chiamarlo giustamente per sé, se sempre ci
scappa via di sotto, e dire anzitutto che esso è, e poi che è tale; o è necessario che al
momento stesso che noi parliamo divenga subito altro, e ci scappi via e non sia più così?
Cratilo: E' necessario. Socrate: E allora come potrà essere qualche cosa ciò che non è mai
allo stesso modo? (nota: Platone, Cratilo. fine nota). Inoltre, la scienza s'interessa della
quantità ma non della qualità, e l'approccio che ha verso la ricerca è completamente
oggettivista, per quanto Heisemberg già da tempo abbia enunciato il principio
d'indeterminazione.

Da tutte queste premesse possiamo dire che la scienza è profana; cioè vede le cose dal
punto di vista fenomenico.

D. Questo modo di agire dipende anche da un'istanza di sicurezza?

R. Certo, l'individuo, la cui natura è incertezza e instabilità, ha sete di certezza, di


assolutezza, di sicurezza. Guai se non l'avesse, d'altra parte. In altri termini, l'individualità
va in cerca del suo completamento e della sua assolutezza; se l'istanza è giusta, la
direzione che prende è sbagliata. Se non si opera lungo la linea verticale, perchè ci si
 
16 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

cristallizza a livello esclusivamente individuale, si arriva alla conclusione irrazionale e


illogica che la certezza e l'assolutezza risiedono nel mutamento e nel divenire.

Paradosso di una mente ostinata a non volersi trascendere.

Noi siamo prigionieri delle nostre teorie-ideologie fino al punto di disconoscere tutto ciò
che l'ideologia non contempla.

Il dramma è che spesso le ideologie-teorie sono imposte con la forza, sia psicologica, sia
fisica. Dice Einstein: Nella misura in cui le proposizioni matematiche si riferiscono alla
realtà, esse non sono certe; e nella misura in cui esse sono certe, non si riferiscono alla
realtà.

D. Quando parliamo di Filosofia dell'Essere, ci troviamo sul piano delle concettualizzazioni?

R. Dobbiamo distinguere tra filosofia nell'accezione occidentale in genere e filosofia


nell'accezione tradizionale. La Filosofia tradizionale non ha niente a che fare con la
comune filosofia, soprattutto quella moderna, che nasce dalla concettualizzazione
individuale. Così, abbiamo la filosofia di Kant, di Hegel, di Spinoza, di Locke, ecc., ma la
Filosofia di cui parliamo non ha una paternità umana perchè rappresenta quella
Philosophia perennis che riceve ispirazione dal Principio stesso. Attenzione, non è
neanche filosofia soggettivista.

Per comprenderci, noi parliamo di Filosofia realizzativa o Metafisica realizzativa perchè


implica, fra l'altro, ch'essa va realizzata, va direttamente sperimentata e non memorizzata;
quella di Platone e di Plotino, ad esempio, sono filosofie realizzative.

D. Dunque rappresenta una Filosofia di vita, una Dottrina che va vissuta, un modo di vivere e di
essere, se così posso esprimermi?

R. Diciamo di sì. Il più delle volte si è inclini, più che a vivere, a parlare di certe cose, anche
perchè è difficile viverle. La Filosofia dell'Essere è teoria e prassi, Verità e disciplina; Verità
metafisica perchè trascende il naturato, prassi perchè mira alla realizzazione effettiva di
tale Verità. Nella prassi c'è sperimentazione diretta da parte del riflesso coscienziale
incarnato.

Se diciamo che la mente può non pensare, è la Dottrina che lo dice, ciò non dev'essere per
noi una semplice nozione intellettiva, ma dev'essere un preciso riconoscimento
sperimentale.

 
17 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Comunque, la Filosofia dell'Essere si esprime in termini di assolutezza e di costante; ciò in che


rapporto possiamo metterlo con quanto abbiamo detto prima?

R. Se parliamo di Filosofia tradizionale, o di Metafisica realizzativa, è perchè essa riguarda


la pura essenza delle cose, la pura costante; noi diciamo il puro Essere. Ora, la Filosofia
dell'Essere riconduce tutto il movimento ad un Punto centrale immobile o costante che è la
Realtà ultima ed assoluta. Non può darsi un relativo senza Assoluto, e un movimento
senza un punto immobile.

Se la scienza s'interessa del relativo e del movimento, la metafisica s'interessa della


Costante, del Punto immobile; con ciò, comunque, non vogliamo dire che non prende in
considerazione il movimento. E' inevitabile, dunque, che la Filosofia dell'Essere non può
esprimersi che in termini di assolutezza o, appunto, di Essere. Da qui i due punti di vista:
sacro e profano.

D. E se domani qualcuno scoprisse che l'Essere non è la costante? Che la costante è di là dallo stesso
Essere?

R. Dovremmo essere assai felici di questa scoperta e cercare immediatamente di andare di


là dall'Essere; chi ha sete di assolutezza non si ferma fino a quando non trova la vera e
inequivocabile costante. Teniamo presente che, ad esempio, la Filosofia della non-dualità
si pone in cime alla piramide delle Dottrine filosofiche perchè riconosce l'Uno-senza-
secondo come la costante assoluta micro e macrocosmica, universale, scavalcando così
ogni possibile dualità o polarità.

E' per questo che noi parliamo in termini metafisici.

C'è, comunque, da considerare una cosa: in filosofia si parla di Principio ultimo o primo, a
seconda del punto di vista da cui ci poniamo, e un Principio, per la sua stessa natura,
rimane sempre tale. Se un domani scoprissimo che la nostra visione non coincide con tale
Principio, non è quest'ultimo che dovremmo spostare o rettificare, ma la nostra visione. Il
Principio, dunque, rimane sempre lo stesso: l'Essere è la realtà ultima che coincide con se
stesso in quanto essenza e senza secondo.

D. Vede, nel tempo-spazio il concetto di realtà è stato usato in modi contraddittori, e oggi per alcuni
è reale ciò che cambia, per altri è reale ciò che non cambia; per alcuni è reale ciò che è oggettivo, ciò
che è esterno al soggetto pensante, per altri è reale ciò che è soggettivo e interno al soggetto.

Alcuni termini, a seconda di chi li usa, acquistano significati diversi. Si può creare confusione, non
le pare?

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Oggi molti termini come: realtà, verità, democrazia, liberalismo, ecc., sono usati con
accezioni diverse, anche contrapposte. Questo è vero.

Il linguaggio purtroppo divide, anzichè unire.

Per i nostri fini realizzativi ha importanza capire ciò che si vuole intendere con
determinate parole. Lungo il tempo si sa che certe cose sono state viste da angolazioni
diverse, da posizioni coscienziali difformi, a volte opposte, ma ciò non ha importanza; ha
importanza che il confronto si svolga liberamente. Teniamo anche presente che gli
individui si trovano a differenti gradi di risveglio e quindi non possono non parlare lingue
che sono inerenti al loro grado coscienziale.

D. Lei dice che la Filosofia dell'Essere segue il metodo sperimentale. Però come si accorda
quest'affermazione con l'altra quando ha detto che la Verità tradizionale è sovraindividuale e non-
umana? La Verità tradizionale non è dunque a priori?

R. Una Verità, per quanto a priori, va sempre sperimentata e consapevolmente


riconosciuta come tale.

La Filosofia dell'Essere è anche la sperimentazione diretta di tale verità.

Posso dirle, per esempio, che oltre al corpo fisico lei ha un corpo più sottile.

Al momento può darsi che per lei questa sia una verità a priori, mentre non lo è per me;
però deve farla sua, deve sperimentarla, deve riconoscerla con la totalità della coscienza.
Una volta sperimentato un simile dato, anche per lei non è più a priori. Quindi, per coloro
che hanno sperimentato la Filosofia tradizionale, essa non è più a priori, ma è verità
vivente, operante, attuale.

Diremo che se si parla di oscuramento della Verità metafisica è perchè quelli che ad Essa si
sono accostati, e ancora si accostano, invece di viverla, si dilettano semplicemente.

Abbiamo detto prima che la Filosofia tradizionale si difende e si perpetua vivendola. Non
c'è altro mezzo; direi che lo scrivere e fare saggi dotti e interpretativi sulla Filosofia
tradizionale può essere non solo vano, ma anche controproducente. molti però, essendo
arrivati solo allo sviluppo mentale empirico, sono necessitati esclusivamente a scrivere, a
fare saggi discorsivi, ad essere recensori, eruditi, seguendo la linea di minor resistenza.

Un giorno un esponente della religione cattolica ebbe a dirmi che se, nel tempo-spazio,
moltissimi cristiani anzichè scrivere volumi su volumi sull'Amore del Cristo avessero
sperimentato, vissuto e svelato questo Amore, il Cristianesimo avrebbe avuto un altro
sviluppo.

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

In verità, non potevo che assentire.

Per concludere, se la Verità metafisica va incarnata, ciò vuol dire che Essa deve discendere
e farsi, appunto, carne. Se non si attua questa discesa, l'individualità non viene
trasfigurata. La sperimentazione, di cui abbiamo sempre parlato, consiste in questo
processo di discesa, assorbimento e assimilazione coscienziale fino ad essere tutt'uno con
la Verità. E chi è tutt'uno con la Verità, chi è Verità, non ha possibilità di discorrere
(dualità) con Essa. Solo colui che non è parla di ciò che la Verità è, non colui che è.

D. La scienza, per la sua particolare indagine oggettivista, è materialista, e difficilmente potrà


condividere il punto di vista idealista o spirituale che dir si voglia.

R. La scienza è fatta di scienziati e questi, dobbiamo riconoscerlo, non sono tutti


materialisti. Nel tempo-spazio possiamo avere una predominanza di materialisti o di
idealisti (per quanto questa parola sia ambigua), ma, ripeto, ciò non ha importanza. Ad
essere più precisi è poco rilevante, nel momento attuale, che la scienza sia materialista o
meno, oppure pretendere che lo sia o non lo sia. Ha importanza che la scienza rimanga
scienza, vale a dire metodo empirico di ricerca sui fatti o fenomeni della natura, e non si
trasformi in ideologia con mire anche assolutistiche, dogmatiche ed esclusiviste.

D. Noto che lei non si contrappone né alla politica né alla scienza; eppure gran parte dei
tradizionalisti fa una critica feroce alla scienza; anzi, pronunciare questo nome è già bestemmia:
come mai lei non segue quest'indirizzo? Io, che mi considero, come prima dicevo, uomo di scienza,
in una conventicola tradizionalista ero considerato un eretico, un fuori casta.

R. Contrapposizione significa dualismo, neanche polarismo.

Occorre convenire che nell'universo non vi è niente da accettare e niente da rifiutare. Chi si
contrappone, si trova solo su una polarità e la difende pure.

D. Ma la scienza ha una sua validità dal punto di vista della Filosofia dell'Essere?

R. Ogni espressione umana, sia politica, scientifica, religiosa, ecc., quando non si arroga
prerogative che non ha, quando si pone nei suoi giusti confini, non può non essere valida.
Abbiamo detto e ribadiamo che vi sono, e vi sono stati, politici, scienziati, filosofi, religiosi,
ecc., che danno un contributo notevole all'elevazione materiale e spirituale dell'uomo. Vi
sono anche ideologie politiche accettabili che se venissero incarnate da persone realizzate
potrebbero portare indubbiamente grande beneficio al corpo sociale.

 
20 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Allora per lei non sono un fuori casta? (Risate generali).

R. Fratello mio, non sono qui per classificare, inquisire e condannare. Siamo qui per
comprenderci. Comunque, se vogliamo investigare la realtà-uomo, dobbiamo inquadrarla
nella sua totalità, nella sua unità fisio-psico-spirituale, non possiamo soffermarci su una
semplice dimensione espressiva, quella poi che ha minore importanza. Le leggi che
governano la vita dell'individuo e del mondo-natura hanno origine di là dalle loro
manifestazioni materiali e contingenti; rifiutare sfere sovraindividuali significa
deliberatamente limitarsi e costringersi, e ciò non è conforme a ragione.

La natura è un'unità essenziale con manifestazione molteplice, in senso verticale e


orizzontale, e la scienza dovrebbe operare non solo nell'empirico, ma anche nel
transempirico.

La conoscenza, sia essa scientifica e no, deve tendere a liberare l'umanità dall'angoscia del
futuro, dalla paura psicologica, dall'individualismo separativo; essa deve cercare di
riabilitare l'uomo spirituale quale componente della vita e non contrapporlo alla natura,
deve spronarlo all'autorealizzazione integrando tutto lo scibile ch'è patrimonio dei popoli,
perchè sopra le nazioni vi è l'umanità una protesa verso lo stesso destino.

L'uomo deve rifarsi all'autorità della Verità nella sua totalità, eliminando sovrapposizioni,
illusioni e idoli che lo pongono nel limitato e nel contingente.

Occorre una tolleranza che nasca da una consapevole accettazione di coesistenza


reciproca. A seconda delle qualificazioni, ognuno deve svolgere il suo compito
appropriato.

La scienza può diventare scientismo dogmatico e settario se si arrocca aprioristicamente su


delle concezioni che sono esclusivamente materiali e unilaterali. La scienza, nelle sue varie
branche, deve essere una disciplina che muove dal basso per tendere verso l'alto; o,
meglio, deve partire dalla corteccia, o periferia, per arrivare al nocciolo vitale.

Essa può essere di aiuto ai più perchè, appunto, opera da un ordine di fattori che è più
vicino e immediato all'essere comune. Così, se la metafisica procede dal nocciolo o
noumeno per arrivare alla periferia, la scienza opera in modo inverso. Sotto questa
prospettiva tra la Filosofia dell'Essere e quella del divenire non vi sono opposizioni, ma
integrazione; diremo anzi che nella società dell'Essere questa integrazione viene applicata
in modo appropriato. Non dimentichiamo questo: la Filosofia dell'Essere è una Filosofia di
sintesi, di unità, di totalità; in essa e con essa sparisce la stessa dualità di profano e sacro.

 
21 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Mi capita spesso, e forse anche ad altri, di confondere colui che vive la Filosofia con colui che ne
parla e ne scrive soltanto. E' una distinzione fondamentale che si dovrebbe fare per evitare di cadere
in false valutazioni che possono portare ritardo nella crescita. E' da anni che mi dibatto tra tante
persone e centri spiritualisti ed esoterici senza avere un'adeguata stimolazione di crescita. Ma oggi
c'è in me un riconoscimento ben preciso e cioè che molti non vanno di là dall'intellettualità, né
hanno voglia di andarci, Mi accorgo altresì che tra un intellettuale o culturista della Filosofia
tradizionale e un Realizzato o Liberato filosofo c'è un abisso.

R. Mi sembra che il nostro amico abbia parlato con molta chiarezza e non saprei che cosa
aggiungere. La distinzione è fondamentale, e se certe cose nel tempo non sono andate
come dovevano andare, ripetiamolo, è perchè ci sono stati più culturisti e sentimentalisti
che veri filosofi realizzati; questa condizione si perpetua a tutt'oggi. D'altra parte, è più
facile scrivere o parlare che essere.

Ciò non implica che non si debba leggere, ma, attenzione a non fermarsi laddove ha inizio
la realizzazione metafisica.

Quando la coscienza non si adegua alla Verità intravista, si è in piena contraddizione, e se


poi si vuole fare anche da maestri (direttamente o indirettamente), allora si è demagoghi.
Non dovremmo mai dimenticare che la Verità viene resa palese per essere assimilata e
vissuta: non ha altro scopo. Il Sermone della Montagna o il Tu sei Quello vedatico hanno il
loro valore nella misura in cui vengono meditati, assimilati e vissuti.

D. Tutti i Saggi, in verità, sostengono che il desiderio è la fonte del conflitto e del dolore; su che cosa
si fonda questa asserzione?

R. Sul discernimento, sulla discriminazione, sulla conseguente deduzione e


sull'assimilazione.

Osservando noi stessi si è riconosciuto che esiste un certo impulso ad estrovertirsi, a


prendere, ad avere, ad impossessarsi. Questa energia-movimento d'acquisizione si placa
quando la si gratifica con l'oggetto desiderato; inoltre, esaurito un desiderio, con la relativa
gratificazione, la psiche non si acquieta in modo assoluto, ma si muove verso nuove
acquisizioni e appropriazioni. Si è scoperto che la vita dell'individualità è un continuo e
incessante andare e venire dall'appropriazione alla gratificazione; e poi ancora
dall'acquisizione alla gratificazione e così di seguito. A questo punto si hanno alcuni
elementi rilevanti:

1. L'acquisizione crea resistenza, quindi conflitto.

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

2. La gratificazione non è costante e durevole, per cui la coscienza si trova sempre in


condizione di incertezze e paura. Questa incertezza ansiosa già annulla la
gratificazione temporale piacevole.

3. lo stesso oggetto egoico di gratificazione è perituro e contingente: da qui altre ansie,


lotte e angosce per perpetuare l'oggetto gratificante.

4. Se, in definitiva, il desiderio, o ciò che s'intende con tale termine, non è né costante
né gratificante, né, quindi, portatore di pace nel cuore, allora ci si può chiedere: può
essere eliminato dal contesto dell'individualità? E se viene eliminato, l'essere può
ugualmente vivere, oppure il desiderio è una componente connaturata alla vita
stessa della persona sì da non poter essere sradicato? I Saggi si sono ritirati in se
stessi per scoprire se era possibile arrivare allo stato di non-desiderio. Hanno
pagato di persona, come tutti i veri e seri ricercatori, e hanno scoperto che non solo
si poteva vivere ugualmente, ma dirittura venivano a cessare anche lo squilibrio,
l'ansia e l'angoscia. In altri termini, hanno scoperto, confermando la Filosofia
dell'Essere, che vivere senza desiderio è vivere senza resistenze, è vivere in
profonda pace, è vivere in unità con la stessa vita, è vivere senza attaccamento.

Il Buddha, ad esempio, è stato un ricercatore del perchè l'uomo è conflittuale.

Sappiamo qual è stata la sua conclusione dopo tante sperimentazioni. Inoltre, volendo
essere anche empirico, ha dato i mezzi e i metodi per trascendere il mostro del desiderio
che attanaglia i figli degli uomini.

Tutti possono verificare l'esperienza del Buddha, tutti possono, se sono qualificati e se
veramente lo vogliono, trascendere il desiderio e trovare la pace; la vera pace, non quella
che dà il mondo sensoriale e acquisitivo.

D. La Filosofia tradizionale non aveva già dato una simile verità?

R. Si, comprendo. Abbiamo detto che la vostra problematica procede dal basso verso l'alto
e non viceversa; se comunque, teniamo presente che la verità universale è sovraempirica e
sovraindividuale, potremo ugualmente procedere lungo la nostra strada senza alcun
pericolo di rimanere limitati dalla razionalità empirica.

In ogni modo non basta che l'Upanisad dica: Quando si dileguano tutti i desideri ancorati
nel cuore, il mortale diventa immortale ed ottiene il Brahaman... Per tal fine è
l'insegnamento; perchè questa verità va sperimentata, cioè vissuta da quel riflesso di
coscienza che si identifica con le proiezioni.

 
23 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Ricordiamo che il Sé non deve sperimentare niente. D'altra parte, in questo ciclo di
conversazioni stiamo cercando di presentare alcune cose in un certo modo, per quanto
qualche domanda potrebbe essere posta in modo diverso e avere una risposta anche
differente.

D. Purtroppo gran parte dei cosiddetti ben pensanti e dotti che guida l'umanità non crede in certe
cose, non crede che l'uomo si possa liberare dal desiderio, per cui interpreta la vita in termini di
lotta, di potere, di asservimento, anche in riferimento alla natura.

R. Si, purtroppo non volge l'attenzione ad un certo tipo di sperimentazione, non vuole
prendere in considerazione un effettivo e concreto risultato sperimentale.

Ma è anche vero che fino a quando s'interpreta la vita in termini di lotta, di dominio, di
separatività, rifiutando di considerare sfere esistenziali o dottrine che hanno una loro
ragion d'essere, non si potranno risolvere i problemi fondamentali.

Finchè vorremo forzatamente dividere la società in termini di ricchi e poveri, di intelligenti


e ignoranti, di borghesi e proletari, di dittatura e democrazia e in altri tipi di dualismi, non
potremo realizzare l'unità coscienziale, non dico universale, ma neanche razziale.

Né è a dire che cercando di aggiogare l'opposta possibilità sociale si possa risolvere il


problema. Questo può avvenire, fra le altre cose, in termini di lotta, di guerra, di violenza;
ma fino a quando l'uomo, per affrontare i suoi problemi, si esprime con la violenza o i
carri armati, da qualunque parte essi possano venire impiegati, non si potranno avere una
convivenza pacifica e un'intelligente cooperazione.

Purtroppo la tendenza dell'individuo è stata sempre caratterizzata da questo tipo di


idealismo, alimentato inconsciamente o meno dai mercenari di parole.

Finchè i fautori di opposte tendenze non rinunciano alla loro sete di dominio acquisitivo,
finchè non cercano di trascendere il loro desiderio di autoaffermazione, non si potrà avere
né pace nè libertà.

Tale lotta non è dell'oggi, ma è di sempre, ed è qui che può inserirsi la Filosofia dell'Essere
che si pone di là da questi stessi dualismi, in un punto superiore dove la coscienza umana
può ritrovarsi in equilibrio e in stabilità perfetta.

Inoltre, si tratta di riconoscere, in piena umiltà, che in alcune ideologie, dell'est e dell'ovest,
vi è del buono; occorre saper trovare un giusto punto di sintesi: qualche popolo l'ha
relativamente trovato e può essere di esempio.

Si dovrebbe sviluppare un tipo di consapevolezza che non sia di competizione, di


raffronto, di vendetta, di contrapposizione, d'invidia e d'intolleranza, si dovrebbe
 
24 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

sviluppare una consapevolezza di compartecipazione, di giusto rapporto fisico e


psicologico, e soprattutto comprendere che l'umanità è una e una sola, che ha gli stessi
problemi esistenziali e la stessa meta. E' un punto di vista, questo, che ovviamente implica
trasformazione di visione e di coscienza; ma, miei cari, fino a quando non ci
trasformeremo, non potremo avere una società migliore: è un'illusione credere il contrario.

E' dunque qui che l'azione e l'esempio dei grandi Saggi e dei loro seguaci possono inserirsi
per dare il loro valido contributo anche a livello sociale.

Se quelle energie che oggi sono dirette a propagandare la violenza, la contrapposizione, la


guerra per distruggere il nemico, fossero dirette a questo tipo di rivoluzione coscienziale,
certamente avremmo risultati positivi e definitivi. Se invece di proiettare la rivoluzione, la
facessimo entro noi stessi, le cose esterne non potrebbero non cambiare.

Dobbiamo pensare che l'essere ha in sé l'istinto di libertà e di pensiero, e non possiamo


assoggettarlo o metterlo in cattività.

Non possiamo far vivere in cattività milioni di persone con la scusa di dar loro una giusta
ideologia politica; dovremo invece farli sentire prima di tutto e soprattutto individui
pensanti, autoconsapevoli e coscienti delle loro scelte e, se lo desiderano, dar loro
l'opportunità di avvicinare il divino e la trascendenza. Attenzione: non si parla di
sentimento di fratellanza, ma di trasformazione di coscienza.

D. Sono un uomo di cultura e per anni sono stato un assertore convinto di ciò che viene definito
progresso. Ma oggi, e non è il caso di esporre tutto il decorso della mia crisi, mi trovo in una
posizione diversa. Questo progresso materiale e tecnico ci sta portando alla perdita dei valori non
solo spirituali, che adesso sto scoprendo, ma persino umani; valori, questi ultimi, per cui tale
progresso sembra voler operare. Avrei molte altre cose da dire in riguardo a quest'avanzata
apparente di progresso, ma preferisco ascoltare una sua eventuale risposta, se crede.

R. Vorrei prima di tutto precisare una sua frase: non è che ci sta portando alla perdita di
certi valori, ma ci ha già portato. Vede, in altra occasione abbiamo messo in rilievo come
nella sua totalità l'essere è spirito, anima e corpo, giusto per usare una terminologia
classica, ora il mondo moderno ha messo l'accento esclusivamente sul corpo micro e
macrocosmico, per cui ne consegue un'immedesimazione con l'estrema periferia della vita.

Ciò a cui si dà il nome di progresso non è altro che una semplice moltiplicazione di beni di
consumo e di apparecchiature materiali per rendere confortevole unicamente il corpo
dell'individuo. Ci sarebbe, comunque, da esaminare se questa spinta al conforto ha
raggiunto o meno lo scopo desiderato, ma ciò è un'altra questione. In ogni modo una cosa
è certa, il progresso attuale non è progresso che libera, tutt'altro, è progresso che asservisce
ed aliena.
 
25 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Prima o poi il progresso così concepito, cioè a senso unico, potrà avere tre sbocchi: uno
sconvolgimento di ordine naturale, una catastrofe prodotta dall'uomo stesso, oppure, e
questo terzo sbocco sarebbe il più auspicabile, si arriverà ad un tale grado di abbrutimento
da portare la coscienza, per contraccolpo, ad una inversione di marcia. Quando si arriva
all'estremo fondo di un evento, non può non avvenire qualcosa. Diremo che è un dato
incontrovertibile.

D. Però andare al lato opposto non comporta ugualmente unilateralità di direzione?

R. Certo. E' opportuno insistere che la Filosofia dell'Essere non è per gli estremismi.
L'Armonia, sul piano del manifesto, non consiste nel realizzare l'estremo, né, di
conseguenza, si vuole affermare la chiusura totale alla produzione di beni materiali. Il
corpo ha necessità di cibo e di altri bisogni che sono inerenti alle sue particolari qualità.
Inoltre, nella sua applicazione al contingente, la Filosofia dell'Essere propone gli ordini
sociali che, a seconda della loro particolare natura, sono produttivi. Nella società
dell'Essere nessuno deve rimanere inerte; l'ozio non porta all'Essere.

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

ORDINI SOCIALI. 

D. A questo punto le chiedo: che cosa rappresentano, nell'Insegnamento tradizionale orientale, le


cosiddette caste? Che riferimento possono avere con il nostro modo di vivere?

R. Diremo meglio ordini sociali, perchè più rispondenti alla loro funzione. Essi non sono
solo pertinenti all'Oriente, ma anche all'Occidente.

Gli ordini, con altre forme e finalità, esistono anche oggi perchè sono necessari alla società.
Abbiamo l'ordine dei medici, degli avvocati, degli imprenditori, degli artigiani, dei
contadini; abbiamo l'ordine sacerdotale, legislativo, ecc. Queste cose sono evidenti: fanno
riferimento alle attitudini e alle particolari qualificaizoni energetiche che l'individuo
estrinseca. Possiamo parlare anche di vocazioni.

Che tali ordini, passati o presenti, non si siano attenuti a certe loro prerogative, che non
abbiano adempiuto il loro specifico dharma (dovere) o ethos, che qualcuno di essi abbia
cercato e cerchi di dominare gli altri, di conquistare la leadership assoluta e unilaterale, ciò
non menoma il principio degli ordini sociali in quanto tali. Questo è stato ed è un
problema di attualità. In altre epoche abbiamo avuto rapporti specifici tra l'ordine
sacerdotale e quello legislativo, tra terzo e quarto stato, ma essi persistono anche oggi.
Potremmo avere disaccordo tra ordine legislativo ed esecutivo, ma ciò rientra nel piano
del giusto equilibrio energetico interindividuale.

La Filosofia dell'Essere ha un suo particolare ordinamento della società basato, appunto,


sui vari ordini sociali e sulla loro più stretta cooperazione per il bene del corpo sociale. La
motivazione di fondo della Filosofia tradizionale è che tutti gli ordini, tutte le attività
umane non sono fine a se stessi, ma mezzi per conquistare l'emancipazione,
l'affrancamento dal desiderio e dall'individualità in quanto tale; in altri termini, sono
mezzi per la trascendenza dell'io empirico. Da qui le cerimonie di affiliazione ai vari
ordini. Da qui anche la distinzione fra Filosofia dell'Essere e filosofia del divenire: per
quest'ultima, gli ordini sociali rappresentano canali per espandere l'io empirico, sono fine
a se stessi, sono finalizzati per acquisire ricchezze; al limite, sono strumenti di potere.

D. Ma vi sono stati ordini completamente esclusi dal contesto sociale, per esempio i fuori casta.

R. In tutti i tempi vi sono state degenerazioni e usurpazioni di poteri. In qualche posto del
mondo, oggi si può vedere, al contrario, l'esclusione dell'ordine spirituale; è quest'ultimo
ad essere considerato un fuori casta.

 
27 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Comunque, non dobbiamo confondere la deviazione di un principio da parte dell'uomo


con il principio stesso.

I veri filosofi hanno trasceso tutti gli ordini sociali, ordini che, occorre precisare, operano
nel divenire. Anche in epoche passate il Realizzato, per quanto riguarda l'India, deponeva
il suo cordone brahmanico trascendendo così il suo stesso stato sociale.

Il Bhagavad Gita parla chiaro: Tutti coloro che trovano rifugio in Me (Krsna) a qualunque
origine appartengano: vaisya (commercianti), donna e anche sudra (prestatori d'opera),
tutti conseguono la meta suprema; ed ancora: I Saggi sono coloro che vedono con occhio
equanime un brahmana, coronato di sapienza e umiltà, una vacca, un elefante, un cane, un
paria; maggiore chiarezza di questi sutra non può esserci.

Da un punto di vista esoterico, poi, possiamo dire che gli ordini sociali rappresentano
posizioni coscienziali inerenti a tutti gli esseri esistenti in ogni modalità di vita universa.
Ciò implica che l'istituzione degli ordini sociali non va presa alla lettera, ma nel suo
spirito.

Platone nella sua Repubblica ideale concepisce lo Stato come un'Anima ingrandita; e come
l'Anima di un essere si esprime nel triplice aspetto: razionale, irascibile-passionale e
concupiscibile-istintuale, così lo Stato, che è la somma di più individui, si esprime in forma
triplice tramite i suoi ordini sociali.

Ogni ente compare con determinate potenzialità, frutto della combinazione dei tre guna,
che si esprimono appunto mediante la razionalità, la passionalità e l'istintualità, e che sono
inerenti al suo stato coscienziale, alla sua particolare natura e non sono ereditate
dall'ambiente o dal genitore; diremo che sono l'effetto del suo grado evolutivo, se ci è
consentito usare questo termine.

Vi sono stati ksatriya, o Custodi, secondo Platone, che, per quanto tali, hanno avuto
attitudini più per l'insegnamento che per l'arte del comando, sì da essere Maestri di
brahmana. Per esempio, Sakyamuni (Buddha) e Gesù appartenevano all'ordine ksatriya.
Gesù infatti discendeva dalla tribù regale di Giuda e non da quella sacerdotale di levi.

Platone dice: Per questa generale affinità di origine dovreste generare figli simili a voi; ma
può darsi che da oro nasca prole di argento, e da argento prole d'oro, e così
reciprocamente nelle altre nascite. Perciò la divinità ordina prima, e particolarmente ai
governanti, di essere buoni educatori e custodire con impegno i figli, osservando
attentamente quale tra questi metalli si trovi mescolato nella loro anima; e se un figlio (di
governanti) alla nascita ha in sé bronzo o ferro non bisogna avere pietà, ma occorre dare
alla natura il riguardo dovuto e metterlo tra gli artigiani o gli agricoltori; e inversamente se
da questi ultimi nascono figli che abbiano in sè oro o argento occorre dare loro gli onori

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

dovuti e innalzare i primi (oro) ai compiti di guardia e i secondi ai compiti di difesa...


(Platone, La Repubblica).

A queste qualificazioni o predisposizioni naturali e individuali (secondo Platone la


mescolanza di oro, argento, ecc., che corrispondono ai guna della Tradizione indù), lungo
il tempo prevalse la concezione dell'ereditarietà familiare, per quanto vi sia sempre una
certa affinità, tra genitore e figlio da non considerare però assoluta. Così, la parola
brahmana nell'antichità aveva l'accezione di conoscitore del Brahman o della Verità; non
era un nome avuto in prestito dall'ereditarietà familiare.

Nel Sutta Nipata, del Canone Buddhista, alla richiesta di Sabhiyo di che cosa si deve
intendere per brahmana, lo Svegliato risponde: Chi ha trasceso il male, o Sabhiyo, chi è
immacolato, chi ha la mente pacificata e la coscienza salda, chi è sfuggito al samsara ed è
perfettamente compiuto, chi è tale viene detto brahmana.

D. Allora perchè molti spiritualisti, esoteristi, iniziati, ecc., si considerano élite e assumono un
atteggiamento separativo? Perchè si considerano predestinati? Perchè da una parte predicano che la
Realizzazione non è frutto di privilegio e di potere, e dall'altra sono alla ricerca di privilegi e di
dominio sugli altri? Perchè in passato la casta sacerdotale, occidentale e orientale, ha mirato a
procacciarsi appannaggi e autorità lasciando migliaia di persone nell'indigenza materiale e
spirituale? Non vorrà mica dire che il disordine odierno debba essere imputato agli sudra e ai fuori
casta che sono stati sempre esclusi da simili privilegi. In definitiva, questo kali-yuga o età del ferro,
che si esprime in termini di materialismo, confusione, disordine, ecc., chi l'ha determinato? Ancora
una questione accessoria: perchè si usa un linguaggio esoterico diverso dalla terminologia corrente.

R. C'è un aforisma nel libro La Via del Fuoco (Raphael, La Via del Fuoco) che dice: C'è solo
un'aristocrazia, quella del Cuore; una sola democrazia, quella dell'Accordo; un solo nuovo
ordine, quello della Compartecipazione; una sola cultura, quella che sa svelare la Bellezza
della Sintesi.

Più che di élite, intesa in senso mondano, dovremmo parlare di persone qualificate, ma ciò
è pertinente a tutti gli ordini sociali. Si sa benissimo che per fare il fisico occorrono
particolari qualificazioni, diversamente tutto si fa tranne che il fisico.

Questi ordini, ripetiamolo, rispecchiano le varie attitudini degli individui e quindi i vari
dipartimenti sociali. Sono quattro direzioni energetiche che, coordinate e integrate,
portano avanti armonicamente la storia umana e fanno girare la ruota del divenire.

Occorre anche ricordare ch'essi nascono tutti da Brahma, dall'Essere, quindi è necessario
riconoscere che hanno un'unica matrice e sono figli dello stesso Padre.

 
29 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

...Diremo loro così: voi, quanti siete cittadini dello stato, siete tutti fratelli, ma la divinità,
mentre vi plasmava, a quelli tra voi che hanno attitudine al governo mescolò, nella loro
generazione, dell'oro, e perciò altissimo è il loro pregio; agli ausiliari argento; ferro e
bronzo agli agricoltori e agli artigiani... (Platone, La Repubblica).

Le conseguenze di questo riconoscimento sono ovvie: non vi sono classi o ordini a se


stanti, né ordini superiori o inferiori in assoluto; vi sono ordini che svelano determinate
attitudini coscienziali e psicologiche. Tra i quattro ordini, con eventuali suddivisioni,
devono esserci cooperazione e compartecipazione e non lotta e prevaricazione. Purtroppo,
nel tempo-spazio, anzichè cooperazione e compartecipazione, vi sono stati conflitto e lotta
senza esclusione di colpi. Un ordine ha sopraffatto l'altro, si è auto-assegnato privilegi
assolutistici asservendo gli altri ordini. Si è così determinata una lotta classista per il
predominio del potere e quindi del privilegio. Questa lotta perdura ancora, all'est e
all'ovest, al nord e al sud con alterne vicende, e può essere risolta con il riorientamento
delle energie individuali, cioè con una rivoluzione di visione e di coscienza.

Vorrei insistere che l'umanità è composta di individui che appartengono alla stessa specie,
hanno la stessa natura, le stesse necessità e perseguono lo stesso scopo. La lotta e le guerre
che si sono succedute, e si susseguono, sono guerre fratricide; i padri e le madri uccidono i
loro figli e i figli uccidono i loro genitori.

Vi sono tanti mezzi per rivendicare i diritti relativi ad un determinato ordine sociale. La
violenza, però, non è un mezzo umano, è solo una reazione animale che non conduce
all'effettiva soluzione del problema.

D. Lo ksatriya, il custode secondo Platone, o il potere temporale, impersona l'azione?

R. Si. Lo ksatriya, o il custode, incarna l'azione che dev'essere in armonia col Principio o
Dharma universale, non certo col proprio interesse individuale.

Allo ksatriya l'insegnamento è dato soprattutto dal Bhagavad-Gita, mentre al brahmana


l'insegnamento è dato dalle Upanisad. I simboli universali delle due funzioni sono Agni
(ordine sacerdotale) e Indra (ordine regale o temporale).

D. Ho sempre ritenuto, anche in considerazione di quanto afferma la Sutri, che l'ordine sacerdotale
atemporale debba essere superiore a quello temporale. Se il primo incarna il Principio metafisico,
quello fisico mi sembra che debba essere inferiore e di sottomissione.

 
30 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. La storia dell'umanità è intessuta di atteggiamenti di superiorità o di inferiorità, di


eletto o negletto, di maggiore o minore, di grande o piccolo, ma nessuno dovrebbe trovarsi
in cattività o essere vassallo di un altro.

Nella società dell'Essere non vi è posto per il culto dell'individualità, né per lo schiavismo
di qualsivoglia natura. In essa ognuno deve trovarsi al suo giusto posto conformemente
alle vocazioni o alle qualificazioni naturali. Se l'ordine atemporale rappresenta il Principio
metafisico, ciò non dipende dal fatto che è superiore o meno ad altri, ma perchè possiede
quella funzione e quelle qualificazioni che gli sono proprie.

D. Non può darsi, invece, che sia l'ordine politico ad annettersi quello spirituale? Qualche volta è
avvenuto.

R. Uno stesso individuo non può trovarsi contemporaneamente fermo e in azione, né può
essere nel tempo e anche fuori del tempo; né, ancora, può contemporaneamente
contemplare e agire: là dove ciò è avvenuto l'uno è andato a detrimento dell'altro.

Le tue parole mi fanno riflettere che anzitutto ciascuno di noi nasce per natura
completamente diverso da ciascun altro, con differente disposizione, chi per un dato
compito chi per un altro. Non ti sembra?...Ancora: agirà meglio uno che eserciti da solo
molte arti o quando da solo ne eserciti una sola? Quando da solo ne eserciti una sola,
rispose... Per conseguenza le singole cose riescono più e meglio e con maggiore facilità
quando uno faccia una cosa sola, secondo la propria naturale disposizione e a tempo
opportuno, senza darsi pensiero delle altre.

...E' chiaro che l'identico soggetto nell'identico rapporto e rispetto all'identico oggetto non
potrà contemporaneamente fare o patire cose opposte (Platone, La repubblica).

D. Dal punto di vista empirico o del sensibile, come si fa a non interpretare ogni cosa in termini
gerarchici, di superiore, inferiore, ecc.?

R. Giusto; ma dal punto di vista del Principio o della sintesi universale, ed è ciò che conta
per noi, la vita va interpretata in termini di Armonia. Lo stesso regno animale, visto dalla
prospettiva universale, non è da meno di altri regni; esso rappresenta una delle tante
modalità vitali conforme alla sua peculiare natura.

La vera e unica sovranità spetta al Principio da cui tutte le cose emanano o, meglio,
trovano espressione e a cui fanno ritorno. L'ordine sacerdotale rappresenta solo un ponte
che congiunge l'universale al particolare e viceversa, e, per quanto abbia la sua precisa

 
31 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

funzione, tuttavia una delle sue qualificazioni è proprio l'umiltà che deriva dal
riconoscimento di essere semplicemente un mezzo, un canale e non un fine.

D. Scusi se insisto, a chi spetta il potere sul piano temporale o sensibile?

R. Spetta a chi incarna il sovrasensibile, il sovraindividuale; a chi, per la sua specifica


funzione, pur essendo in questo mondo, non è del mondo. Nella sfera del sensibile più che
il potere viene esercitata una funzione, il potere in quanto tale abbiamo detto che
appartiene al possente Brahma o Demiurgo universale. Anche le Potenze sovrasensibili
esprimono determinate funzioni.

L'ordine temporale, secondo la Filosofia dell'Essere, non rappresenta il potere assoluto


(monarchia assoluta o repubblica dittatoriale); esso non solo riceve il mandato dall'aspetto
intellegibile, ma deve eseguire la volontà universale. E sotto altre prospettive questo
concetto va applicato anche all'ordine sacerdotale.

Dall'armonia dei due ordini (Cielo-terra; Macrocosmo-microcosmo) dipendono la


prosperità e l'ordine (rta) nel contesto sociale. Entrambi totalizzano la realtà dell'essere.

Se l'ordine politico si estranea dal Principio spirituale, non può non perdersi nel
relativismo individuale, nel fare per il fare, nella ricerca del dominio, del potere fine a se
stesso, nel culto dell'individualità; al limite, nella sopraffazione e nell'assolutismo
individuale o di gruppo. La dittatura dell'uomo sull'uomo esiste perchè l'io si considera
assoluto; ma non è questa la visione della Filosofia dell'Essere.

Se manca l'ordine politico, quello spirituale rimane isolato e nella impossibilità di


esercitare il suo mandato, oltre al fatto che gli individui cadono nel caos e nell'anarchia. In
altri termini, se manca il principio spirituale si è ciechi, se manca quello politico si è zoppi.

Nel periodo in cui gli uomini camminavano in compagnia degli Dei, certe cose non
avrebbero avuto senso, ma nell'età del ferro all'uomo, non potendo autogovernarsi,
occorre l'intermediario, o Logos, che faccia da ponte tra ciò che si è perso (unità) e ciò che è
rimasto (molteplicità pura e semplice), o, per usare termini moderni, tra lo spirito velato e
la materia portata sugli altari.

D. Molti Prìncipi appartenenti alla sfera spirituale, tralascio quelli profani, approfittando della loro
funzione, hanno incarnato la legge del potere assolutista, dell'oppressione e del privilegio anzichè la
volontà universale, e la storia sta lì a dimostrarlo. In che modo si possono neutralizzare i
professionisti del sacro? Una cosa è certa: oggi molti spiritualisti si sono svegliati se non alla Verità
suprema almeno al riconoscimento che vi sono Prìncipi del potere e della demagogia anche nella

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

sfera del sacro, e non mi riferisco solo agli ordini exoterici. Sono d'accordo che in questa età oscura
ci occorre la bàlia, politica e religiosa, ma sono altrettanto d'accordo con molti altri e con il
momento storico nel presentire che un manipolo di farisei ben addottrinati, essoterici e no, sta
aspettando il momento per imprigionare ancora gli sprovveduti e i deboli. Che cosa mi sa dire su
tutto questo?

R. Che ammiro il suo coraggio e la sua fermezza. Ci consenta però di dire di non forzare e
generalizzare il fenomeno, ci sembra oltretutto giusto verso coloro, e sono tanti, che hanno
saputo dare anche la vita pur di non farsi manipolare dal Prìncipe, politico o religioso che
dir si voglia.

Se certe cose avvengono è perchè mancano quelle qualificazioni cui sempre abbiamo fatto
cenno. Se parliamo di qualificazioni non ci riferiamo all'addottrinamento, all'abilità di
saper manipolare la parola o la penna e cose di questo genere. Toccherebbe ad un gruppo
di veri svegliati costituire la base di eventuali precipitazioni.

Sia pertanto ai filosofi perfetti questa necessità di governare lo Stato... lo Stato descritto ci
fu, c'è e ci sarà, ogni volta che questa Musa della filosofia abbia la città in suo potere.
(Platone, La Repubblica).

D. Se rivedo la storia religiosa devo riconoscere che se sugli altari si è posto il potere, ciò è avvenuto
perchè è mancato l'amore. D'altra parte i farisei tradizionalisti hanno sempre bandito dal loro
linguaggio la parola amore reputandola sprezzantemente sentimento.

R. Scusi se la interrompo; che cosa intende per amore?

D. Per amore io intendo comprendere l'altro, compenetrarsi nell'altro, fondersi con la gioia e col
dolore dell'altro; voglio dire, creare un rapporto e una comunione con l'altro. Sul piano del
manifesto ciò è imprescindibile. Io vò leggendo opere, anche dell'oggi, di codesti farisei e posso
limpidamente riconoscere che tentano sottilmente d'imporre più che insegnare; anzi a volte,
intravedo un atteggiamento psicologico d'imperio, né vedo peraltro un pur minimo riconoscimento
di errori commessi, per quanto di errori ne siano stati accumulati parecchi. Insomma, non vedo il
senso dell'autocritica. Ora dico: se queste funzioni di cui ella parla nascono per favorire la crescita
dell'inferiore, venendo a mancare l'amore in coloro che ne sono gli interpreti, non vedo come essi
possano riconoscere le vere esigenze di un popolo e di eventuali gruppi bisognosi di adeguate
stimolazioni. Il cinico, per quanto possa indossare paramenti o esibire dottrine impeccabili, è uno
che ha di fronte a sé solo se stesso e che, pur essendo addottrinato, non potrà mai vedere le necessità
di un individuo. Perchè la maggioranza dei dotti tradizionalisti aborre la parola amore, ma usa
volentieri la parola potere?

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Perchè il potere fa campare l'io e può rendere ricchi, mentre l'amore rende poveri e fa
morire. Amore è morte. Ma purtroppo questa parola è bandita anche da molte ideologie
politiche. E' da molto tempo che, sfortunatamente, l'individualità grida: Cercate prima di
tutto il potere, e tutto il resto vi sarà dato.

D. Il Liberato, il Filosofo realizzato dove si pone nel quadro che è stato tracciato?

R. Il Filosofo realizzato è di là da tutti gli ordini sociali, di là da ogni contesa e da ogni


considerazione. Il Compiuto, sempre per dare un nome a certe cose, ha abbracciato l'alfa e
l'omega ed è in quell'eterno presente ove non esiste ombra di movimento e immobilità,
potere e schiavitù.

D. Da quello che ho potuto capire arrivo a questa conclusione: con la concezione democratica il
potere parte dal basso, mentre con la concezione della Filosofia dell'Essere il potere parte dall'alto.
Mi trovo nel giusto?

R. Secondo il suo modo di vedere quale concezione potrebbe essere ottimale per la società
umana?

D. Mi pone in imbarazzo, soprattutto se ho presente l'esperienza che ho fatto nel campo politico.

R. Cerchiamo di esaminare assieme la questione. In una società in cui gli individui


estrinsecano l'istinto elementare, le emozioni-passioni irrazionali e la ragione intellettiva,
quale di questi tre aspetti dovrebbe essere preso in considerazione per un giusto
governare?

D. Presuppongo spetterebbe a coloro che si esprimono con la ragione, non con le passioni irrazionali
o, peggio ancora, con l'istinto animale.

R. Così, dovremmo dedurre che la ragione rappresenta la facoltà più idonea all'individuo,
facoltà che dovrebbe predominare se non si vuole che le passioni di parte prendano il
sopravvento. Le passioni abbandonate a se stesse producono solo disastri. Quindi
dovrebbero governare solo quegli individui, di qualunque estrazione sociale, che si
estrinsecano con questa facoltà che è sempre in rispondenza ai guna (tendenze,
qualificazioni), e non i passionali, gli emotivi o gli istintivi. Ora, per quanto tale facoltà
costituisca un certo livello coscienziale, tuttavia essa appartiene pur sempre all'ordine
dell'individualità, con tutte le conseguenze che ne possono derivare. L'individualità,

 
34 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

benchè possa essere razionale, è sempre parte, frazione, partito, ecc. se ammettiamo che
l'essere nella sua totalità è composto anche di altre facoltà, di altre possibilità percettive e
conoscitive ancora più ampie che si dimostrano, ad esempio, come percezione intuitiva
dell'unità vitale, della sintesi, ecc., dovremo convenire che il governo di sé e della società
non potrebbe spettare che a questa facoltà universalizzata o sovraindividuale, non le
sembra? (si veda: Platone, La Repubblica).

D. In altri termini, mi vuole dire: se ci sono persone che hanno trasceso l'individualismo, razionale
o meno, e si esprimono con una coscienza universale, inclusiva e equanime, quindi fuori di ogni
settarismo partitico e classista, fuori di ogni accentramento individuale, di ogni nepotismo
sentimentale e tante altre cose messe assieme, il potere dovremo darlo ad esse. Trovo che la
concezione sia giusta, ma dove sono questi uomini che non sono uomini? E quale conseguenza
potrebbe derivare da una simile attuazione?

R. Voi parlate sempre in termini di potere, e io parlo in termini di Armonia; mentre io


comprendo voi, non so se voi capite me. Cerchiamo dunque di venirci incontro. Posto che
per governare la società occorrono persone che siano libere da passioni di qualsivoglia
natura, dobbiamo convenire che queste persone più che avere il potere, o volere il potere,
debbono rappresentare delle funzioni o dei ponti per congiungere l'Ordine universale con
quello umano. Ciò implica che esse devono saper armonizzare l'umano con la Nota
dell'universale. Devono saper trasmettere l'Armonia risultante dall'accordo tra
Macrocosmo e microcosmo.

La visione relativa all'uomo non è, in tal modo, antropocentrica, ma cosmocentrica;


l'individuo non è più il re dell'universo, ma un'umile maglia dell'infinita catena della Vita.
certo, ciò vuol dire che l'essere, in quanto individualità, deve ridimensionarsi, deve
abbassarsi e, al posto dell'interesse nazionale individuale, partitico e nepotistico, deve
assecondare l'interesse non solo generale, ma universale. Per esempio, sul nostro pianeta
non c'è solo il regno umano, ma ci sono altri regni con una loro vita, con un loro diritto ad
esistere, con un loro status coscienziale. Essendo, dunque, tali persone di là
dall'individualità passionale non possono che interpretare la società in termini di umanità
una e di vita planetaria una.

D. Arriveremmo a quella concezione di un solo popolo, una sola coscienza nazionale e un solo Re?

R. Arriveremmo a trovare l'Unità nella molteplicità e questa nell'Unità. Oggi purtroppo


siamo mera molteplicità, semplice distinzione in cui ognuno è per se stesso, e lotta per
espandere se stesso, anche se s'inventano filosofie di ordine apparentemente comunitario.

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Una cosa è certa: questo tipo di società in cui ognuno persegue il proprio dovere, in cui ci si sente
parte della vita universale, in cui ci si ritrova come elemento spirituale e materiale, in cui il potere si
risolve come semplice canale per trasmettere l'Armonia e l'Ordine universale, non può essere
realizzato dal politico dell'età del ferro. E allora che cosa si deve fare?

R. Anche in questa età oscura l'umanità non è privata dei suoi figli migliori; il popolo,
anche nelle condizioni più tristi e disperate, non è lasciato solo.

D. Le dispiacerebbe completarmi la risposta sul linguaggio esoterico? Grazie.

R. La prego, non ponga questo problema tanto ovvio. Ogni scienza ha il suo linguaggio e il
suo metodo. Ché! lei potrebbe decifrare il linguaggio del chimico e del fisico? Per un non
iniziato, una pagina di una rivista di fisica sperimentale contemporanea risulta tanto
misteriosa quanto un mandala tibetano.

Entrambi sono registrazioni di indagini sulla natura dell'universo, scrive il fisico Fritjof
Capra (F. Capra, il Tao della fisica).

D. Ho potuto costatare che l'élite esiste anche nel campo della letteratura, della politica, della
scienza e persino dell'industria; queste varie élites difendono a spada tratta il loro esclusivismo e il
loro privilegio.

R. Sì, comprendo. C'è una frase del Cristo che è molto significativa: Chi è senza peccato
scagli la prima pietra.

D. Ci vuole dare una sintesi in riguardo agli ordini sociali?

R. Prima di tutto, ognuno può esprimersi secondo la propria attitudine psicologica e


spirituale (Libertà). Secondo: poichè gli ordini sociali sono nati dalla stessa fonte
principale, gli esseri che ne fanno parte non possono che considerarsi fratelli (Fratellanza).
Terzo: poichè a certi livelli esistenziali si è Unità indivisa, allora, tenendo presente questa
verità, ci si deve considerare uguali come essenza e differenti come corpo-psiche
(Uguaglianza).

Quarto: non essendo gli ordini sociali fine a se stessi, ma mezzi con cui innalzare la
coscienza, l'azione-lavoro viene ad acquistare un valore di sacralità, di rito, di azione
trasfigurante (Azione-Lavoro Redimente).

 
36 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Si tenga presente quest'ultimo punto. Le individualità della società del divenire sono sul
piano dell'attivismo, del fare, dell'efficienza volitiva, dell'essere sempre affaccendate;
concepiscono ogni cosa in funzione della quantità, della produttività e del consumo.

Obiettivo di ogni attività, e quindi di ogni ordine sociale, deve essere non il perseguimento
della prosperità esclusivamente materiale, consumistica e gratificante per l'io, ma la
trascendenza stessa dell'io in quanto causa di conflitto. Da qui la concezione dell'agire
come mezzo per superare la limitazione egoica. Se il corpo sociale seguisse i quattro punti
summenzionati, l'umanità esprimerebbe quella che viene definita una convivenza in
armonia con la Filosofia dell'Essere.

D. Però lo stesso Samkara nell'Atmabodha afferma che: Per effetto delle varie limitazioni (upadhi),
idee come casta, colore e stadi di vita si sovrappongono al Sé, come le differenze di gusto, di
colorazione, ecc. all'acqua. Come concilia ciò che dice Samkara con quanto è stato affermato?

R. Non ci possono essere contraddizioni. Tutto ciò che riguarda il contingente, il


fenomenico o il formale non ha niente a che vedere con lo Spirito trascendente. Questo è di
là dalla casta, dagli stessi stadi di vita e da qualunque tipo di dharma o di éthos.

D. E allora perchè porre l'accento sulle distinzioni, sul mondo del sensibile, sui nomi e sulle forme?
Non si dà, inoltre, possibilità al fariseo di assolutizzare queste contingenze? Se l'individualità è un
fantasma, una sovrapposizione, un miraggio, che senso ha il parlare di caste, di vocazioni, di élite?
Scopo dell'iniziazione e della realizzazione è liberare l'ente da tutte le contingenze, le sovrastrutture
e le proiezioni mentali e non di costringerlo in possibili nuovi ceppi, legami e pluralismi
condizionanti.

R. Lei usa il mio linguaggio, se mi consente di dirlo. In questo momento, però, stiamo
parlando della vita del dormiente, del suo rapporto con gli altri dormienti e con la vita
universa. Ora, sarebbe bene conoscere quella visione che può concorrere ad armonizzare
questi dormienti e accordarli con la vita universa.

D. Mi considero un rivoluzionario e ho combattuto, e combatto, per due motivi: per il superamento


delle classi sociali e, di conseguenza, per eliminare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Ora le
chiedo: secondo la Filosofia dell'Essere è una lotta giusta quella che sto attuando?

R. Dunque, superamento delle classi sociali e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo;


possiamo aggiungere lo sfruttamento dell'uomo anche nei riguardi della natura. Sono tutte
verità sacrosante. Dovremo applicare la Filosofia dell'Essere ad aspetti particolari e

 
37 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

contingenti o a determinate modalità di vita. In ogni modo, per comprendere meglio


quanto diremo, dobbiamo partire da due punti di riferimento: 1. A che livello può
veramente attuarsi il superamento delle classi, se non si vuole cadere nell'utopia o essere
manipolati dal Prìncipe? 2. Qual è la modalità operativa con cui attuare l'unità della vita e
la vera uguaglianza? Lei pensa che possiamo considerarci uguali solo perchè vestiamo
tutti nello stesso modo, usiamo uno stesso linguaggio, abbiamo lo stesso tipo di casa e ci
denominiamo tutti dottori, contadini o operai? Lei crede che l'uguaglianza dei sessi si
ottenga indossando un vestito unisex? Lei pensa che, dandoci tutti del tu, accorciamo
veramente le distanze? Se vogliamo riconoscerci unità, uguali tra uguali e, direi di più, in
identità, a quale livello del nostro essere dobbiamo guardare? In una società di io è mai
possibile instaurare la libertà, la fratellanza e l'uguaglianza? Uguaglianza significa
considerare l'altro come se stesso, e fratellanza considerare me e l'altro come effetti della
stessa Causa. Ma tutti voi credete che in una società in cui si ha il culto dell'io o del
semplice corpo-funzione-glandola, si possa instaurare un giusto rapporto e l'armonia
interindividuale o interegoica? Pensate di trovare l'amore nell'egoismo e la pace nella
guerra? E, poi, come possono essere uniformati i diversi bisogni, desideri, istanze
istintuali, sentimentali, intellettive? In che senso si può uniformare il quoziente di
intelligenza degli individui? In che senso si possono uniformare le attitudini, le capacità
espressive e le motivazioni caratteriali degli esseri? Sul piano del sensibile non può esserci
uguaglianza. Certo, questa esiste, anzi esiste qualcosa di più, esiste l'identità di tutti gli
enti esistenti. La Vita è una, e vi è un solo Prìncipio, un solo sommo Bene, un solo Essere.
Però, non è certo a livello dell'io sono io e tu sei tu che si può trovare l'identità
coscienziale, oppure la consapevolezza che noi tutti siamo gocce dello stesso oceano.

Per uscire dall'egoismo capitalista individuale o statale, che dir si voglia, dobbiamo uscire
dal mondo dell'io. Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo potrà morire quando morirà il
mostro del desiderio, dell'egoismo, del tu sei tu e io sono io.

La via dell'io è la via d'ingiustizia, d'intolleranza, di non libertà e di non fratellanza,


qualunque filosofia possa seguire. Se vogliamo, dunque, instaurare una società in cui la
Libertà, la Fratellanza e l'Uguaglianza vivano veramente, dobbiamo fare una radicale
rivoluzione di coscienza e rettificare prima di tutto in noi il guasto che inconsciamente o
consciamente abbiamo prodotto; dobbiamo, in altri termini, modificare le cause non gli
effetti. Senza questa rivoluzione, ogni altra rivoluzione è falsa rivoluzione. Secondo
Platone lo Stato ideale e perfetto dobbiamo realizzarlo prima di tutto in noi stessi. Là dove
non v'è una perfezione interiore, non può esserci altresì una perfezione esteriore.

L'aspirazione dell'uomo è quella di riconoscersi fratello tra fratelli e uguale fra uguali. Il
trinomio libertà, fraternità e uguaglianza è insito e scolpito nella natura stessa dell'essere.
Anche nei vostri cuori sento che palpita, incute rispetto e propone aspettative, e ciò mi
rallegra perchè un cuore che non sappia vibrare all'unisono con certe verità fondamentali
non può iniziare un dialogo con se stesso. Non si può abbracciare l'Essere fugando il
 
38 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

mondo del divenire o disconoscendo certi problemi che sono inerenti a quanti ancora sono
nel mondo dell'illusione. C'è qualcuno che ha meditato su quali livelli può attuarsi la
fratellanza e l'uguaglianza?

D. Per me è un fatto scontato che a livello di coscienza differenziata non può esserci né uguaglianza,
né fratellanza, né, aggiungo, amore vero.

Io ho avuto un ripensamento nei riguardi del mio credo politico quando ho visto un gruppo di
persone intente a lavorare pochi ettari di terra con un sacrificio, una fratellanza, un'unità e un
amore che mi hanno, appunto, fatto mettere in discussione la mia visione politica alquanto
guerrafondaia. Mi hanno fatto toccare con mano come l'individuo può vivere con poco, come si può
amare se si abdica all'io orgoglioso e pretensioso, come si è inseriti e in accordo con la natura, e
come si può fare persino una lotta a fondo alla società industriale causa di alienazione e di
capitalismo. Voglio dire, in questa comune ho riscontrato l'esistenza di libertà, fratellanza e
uguaglianza, oltre ad un intento preciso di voler abbattere il mito della società tecnologica e
capitalistica con un tipo di rivoluzione che io non conoscevo. Capisco anche che quel tipo di
rivoluzione molti la detestano perchè rimane loro più facile impugnare un'arma carichi di odio e di
vendetta.

R. Sì; comprendo. Può darsi che queste persone, di cui ha parlato, senza saperlo
applicassero la Filosofia dell'Essere. In ogni modo, v'è, credo, un livello esistenziale che
può superare ogni tipo di ingiustizia, di disuguaglianza sociale, ed è di ordine
sovraindividuale. In questa dimensione si può riconoscere l'oggetto come simbolo di
potenza.

D'altra parte, il nostro precedente interrogante ha parlato di superamento di tutte le classi;


ciò implica che nessuna singola classe deve arrogarsi il diritto di sopprimere le altre,
diversamente che genere di superamento può aversi? Ciò ci porta alle conclusioni della
nostra Visione: solo con la realizzazione si può incarnare quell'unica razza senza
distinzioni e senza classi chiamata dalla Filosofia dell'Essere Hamsa.

Schiavi e padroni non potrebbero mai diventare amici, né lo diventano incapaci e valenti
portati, con pubblico decreto, allo stesso livello di onore e considerazione; l'uguaglianza
fra ineguali diverrebbe ineguaglianza se non ci fosse un criterio di giusto limite. Per questi
due fattori gli stati pullulano di sedizioni. E' la vera infatti l'antica sentenza che
l'uguaglianza genera la concordia, è un detto molto giusto e conveniente; ma quale sia mai
l'uguaglianza che può far ciò non essendo molto chiaro, ciò ci lascia molto perplessi. Ci
sono due specie di uguaglianza, hanno lo stesso nome, ma nei fatti sono quasi l'una
contraria all'altra per molte ragioni; l'una può introdurla ogni stato ed ogni legislatore,
nella distribuzione degli onori e delle cariche; è uguaglianza per misura, peso, numero, e
nelle suddette distribuzioni si può regolarla con un sorteggio. L'altra, la vera e l'ottima
 
39 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

uguaglianza, non a tutti è così facile vederla. Il discernerla appartiene a Zeus, agli uomini
viene in soccorso sempre in misura minima, ma per quanto ciò ci dà negli stati e negli
individui è sempre fonte di vantaggio. Dà di più a ciò che vale di più, meno a ciò che vale
meno, dà a ciascuno dei due ciò che ad esso spetta secondo il suo valore naturale, e così
sempre attribuisce più grandi onori a chi è più grande per virtù, e a chi è nella condizione
opposta per virtù ed educazione ciò che conviene a questi, così come lo dà agli altri e nella
giusta proporzione. E infatti per noi anche ciò che è politica è proprio questa giustizia; e
dobbiamo, Clinia, anche ora tendervi e fondare lo stato che nasce, gli occhi fissi a questa
uguaglianza.

Chi ne fonderà un altro deve dare le leggi con questo stesso obiettivo e non in funzione di
pochi tiranni, o di uno solo, o di qualche forza popolare, ma sempre della giustizia; questo
è ciò che or ora si disse quell'eguale dato ai diseguali che a ciascuno spetta per natura, nei
vari casi. (Platone, Leggi).

D. La rivoluzione, piuttosto che in se stessi, risultando più difficile e più frustrante per l'io, molti
preferiscono farla fuori di sé. Uccidere o opprimere gli altri è facile, uccidere i propri nemici interni
è difficile. L'io astutamente segue sempre la via utilitaristica e dell'autoaffermazione. Penso sia
questo il motivo per cui quel trinomio di cui ha parlato poc'anzi è stato sempre tradito.

R. E' anche per questo che cambiano solo le strutture, i governi, le denominazioni delle
organizzazioni; ma non è col semplice cambiare vestito che possiamo trasformare la
coscienza.

Lo Stato perfetto è quello in cui l'autoritarismo oligarchico è abolito e l'individuo può


vivere nell'accordo e nella cooperazione con i propri simili: ciò implica lasciarsi guidare
dal di dentro della propria consapevolezza, consapevolezza, però, risvegliata alla realtà
dell'unicità della vita. Solo con un ordinamento che miri ad educare l'istinto, il sentimento
e il pensiero è possibile realizzare lo Stato perfetto.

Secondo Platone, lo Stato è l'incarnazione della suprema Giustizia; esso riflette in sé


quell'intrinseca armonia che regna nell'ordine universale.

D. Secondo Platone la proprietà privata può essere abolita, lei che cosa ne pensa?

R. Che le ricchezze non hanno dato la beatitudine a nessuno. Gesù dice che è più facile ad
un cammello entrare nella cruna di un ago che ad un ricco guadagnare il Regno dei cieli.
Ma sarebbe opportuno precisare che non è semplicemente abolendo con la forza la
ricchezza che l'individuo estingue la sua sete di desideri.

 
40 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Se non vado errando tu sostieni che una rivoluzione che si attui solo nella dimensione politico-
sociale non approda a niente, tutt'al più serve a cambiare le denominazioni degli apparati
burocratici. E' questo il concetto? chiedo scusa, non ho potuto seguire dall'inizio, mi è stato riferito
qualche cosa, ma il problema m'interessa particolarmente.

R. Un rovesciamento di valori che si attui esclusivamente nella dimensione socio-politica


serve solo ad effettuare il passaggio dei poteri da una classe ad un'altra, o da un individuo
ad un altro. Quando vengono disconosciute le dimensioni spirituali del rivoluzionario
stesso, costui non può avere una coscienza rivoluzionaria, ma costituisce un semplice
robot. Però i robots, di qualunque tendenza, sono stati sempre usati per l'ascesa del
Prìncipe e del demagogo.

D. In che forma e sotto quale condizione pratica potremmo conoscere aspetti nuovi dell'Essere? E,
possibilmente, su che cosa si fonda la società dell'Essere?

R. Lei chiede cose alle quali non è facile rispondere in tre o quattro minuti; penso che ne
converrà. Toccheremo, quindi, solo alcuni aspetti della questione.

Prima di tutto occorrerà partire da un punto preciso che è questo: l'individuo, come si
presente strutturalmente, o ha in sé qualcosa che lo trascende, oppure è destinato a
rimanere incompiuto e relativo. Questa proposizione razionale ci pone delle nette
responsabilità di ricerca e di direzione. L'Oriente, in genere, si è dedicato a svelare il
mistero dell'Essere fino al punto di dimenticare la sfera fenomenica; l'Occidente, invece,
dimenticando l'Essere, si è letteralmente tuffato nel piano del fenomenico e dell'attivismo.

Occorrerà trovare un punto di sintesi e iniziare un processo di sperimentazione sulla


struttura psico-fisica spirituale dell'individuo. Se la scienza volesse, potrebbe riorientare
gran parte della sua ricerca e scoprire nell'uomo dimensioni che fino ad oggi sono rimaste
chiuse. Noi siamo certi che un simile lavoro approderebbe a risultati soddisfacenti, anche
perchè la ricerca della condizione fisica o della fisicità terrestre la siamo esaurendo. Ciò
porterebbe finalmente a far alzare lo sguardo dall'aspetto prettamente metallizzato, o da
un preciso sistema di coordinate, ad un altro, con tutte le conseguenze che ne possono
derivare.

Non è il caso di soffermarci su questo punto, però il tema è di enorme portata.

Si potrebbe scoprire, in termini accademici, una dimensione che neanche si può


immaginare. Come la scoperta dell'energia intratomica ha rivoluzionato la vita planetaria,
così la possibile, direi certa, scoperta di una dimensione supercorporale materiale

 
41 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

rivoluzionerebbe la nostra concezione della vita, il nostro mondo di relazioni e persino il


nostro rapporto con la morte.

E' inevitabile che si dovrebbe cambiare metodo d'indagine, strumentazione e direzione.


Ma quando vi è amore per la ricerca della Verità non si dovrebbero avere remore
aprioristiche.

D. Penso che questo genere di ricerca si stenti a farlo perchè l'evidenza di certi risultati potrebbe far
saltare molte concezioni politiche, filosofiche, sociologiche e persino economiche...

R. Bene, andiamo oltre. L'altra questione verte su che cosa si fonda la società dell'Essere.
Diremo: sull'Essere. Secondo la Visione tradizionale, quattro sono i moventi e le mète della
vita dell'individuo: dharma, artha, kama, moksa; usiamo i termini sanscriti solo perchè più
carichi di contenuto espressivo.

Dharma e moksa sono i due poli, l'uno iniziale e l'altro terminale, del ciclo di un essere.
L'uomo è qui per un ben determinato dovere e intento: quello di scoprirsi, conoscersi ed
essere. Se non fa questo, viene meno al suo specifico dharma (dovere, imperativo
categorico che obbliga ogni essere).

Egli può essere ricco, intelligente, molto noto, erudito, ecc., ma se nella vita non ha cercato
di capirsi, comprendersi e trascendersi, ha sprecato solo energie preziose. Uomo, conosci
te stesso: è un preciso dharma che ci viene tramandato dalla notte dei tempi. Uomo
trascende te ipsum, è il motto di S. Agostino.

Intendiamo moksa come realizzazione di sè o dell'Essere.

La liberazione (moksa) è liberazione dall'ignoranza metafisica e non fuga dal reale


corporeo.

Dunque, dovere immediato e iniziale: conoscersi per, appunto, Essere.

Il giuoco di artha (oggetto) e kama (desiderio) determina la giusta o non giusta rotta verso
moksa (libertà dall'ignoranza).

Artha è così il dato che utilizziamo per soddisfare un desiderio (kama). A seconda della
direzione del desiderio (e quindi dell'oggetto concomitante) possiamo ritenerci nel giusto,
o meno, per raggiungere lo scopo della nostra vita.

Diremo: dharma è il molo di partenza, moksa è il porto di arrivo, artha e kama sono l'uno
la nave e l'altro il timone che indica la rotta da percorrere.

L'istruttore rappresenta colui che, avendo fatto la traversata, sa indicare la giusta barca o
nave e correggere un'eventuale deviazione di rotta.
 
42 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Per ovvie ragioni, non possiamo dilungarci e approfondire tutti i processi implicati nel
giuoco di artha e di kama; diciamo solo che non tutti si trovano allo stesso grado di
risveglio e non tutti debbono soddisfare gli stessi desideri; ciò risulta naturale.

Una società che gradatamente si porti al giusto equilibrio di artha e kama, che sappia
padroneggiare la propria espressione energetica o il propellente che deve far muovere la
sua nave da crociera, che abbia come mèta la realtà dell'Essere, è una società in armonia
con il Principio, con la giusta azione e quindi con la vita tutta. Nelle Leggi Platone pone a
fondamento della vita sociale l'espressione della giusta misura di artha e kama, tra i diritti
e doveri, rappresentanti e rappresentati. La Filosofia dell'Essere non è un'utopia, non è una
filosofia semplicemente intellettualistica; è invece una realtà vivente e pulsante. La
Filosofia dell'Essere è basata sull'Armonia che l'individuo deve realizzare; Armonia e
Accordo, ovviamente, con l'Universale, con la Norma, col Polo, col Principio supremo, con
il sommo Bene.

D. Da quanto lei dice devo riconoscere che siamo all'opposto della concezione di vita moderna, e
questo mi crea resistenza.

R. L'abbiamo già detto precedentemente. La concezione di vita dell'oggi, caratterizzata in


modo unilaterale dalla filosofia del divenire, diverge da quella prospettata dalla Filosofia
dell'Essere. Non potrebbe non essere così: ci troviamo a vivere quello che viene definito
kali yuga, l'età oscura, o età del ferro, e si sa che il kali yuga è in posizione opposta al satya
yuga o età dell'oro. Potrete rendervi conto, stando così le cose, del perchè la filosofia è
degenerata in sofistica manasica e in storia della scienza, la scienza in scientismo tecnico
materialistico, la religione in semplice conforto psicologico e l'arte in esibizionismo
individuale. Da ciò, altresì, potrete rendervi conto di come questa sia l'età dei Prìncipi di
ogni tendenza.

D. Quando parla di età oscura, non si pone nel tempo? Non dobbiamo quindi attendere l'età
dell'oro?

R. Queste età rappresentano stati di coscienza e come tali non hanno evoluzione spazio-
temporale. Nell'attesa e nella speranza si perpetuano solo i conflitti del mondo. Così gli
stadi di vita, di cui abbiamo parlato prima, sono altrettanti stati di coscienza. Un giovane
può sperimentare direttamente l'ultimo stadio, quello di moksa, se la sua coscienza è già
pronta per la rinuncia totale al mondo della dualità.

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Quindi non dovremo attendere niente? Non dovremo attendere il Prìncipe di pace e di giustizia?
Eppure molti spiritualisti sono con l'orologio in mano nell'attesa dell'ora fatidica.

R. Se l'uomo comprende che deve solo trasformare la sua mente, si pone all'opera per
risolvere finalmente l'incompiutezza interiore, così non dovrà attendere il Prìncipe di pace
perchè Egli è già nel suo cuore.

D. Lei, dunque, non si oppone a questa confusione dell'oggi?

R. Non posso contrappormi a niente perchè ogni cosa-evento si trova al suo giusto posto
conformemente alla natura delle cause predisponenti. L'età oscura stessa può definirsi una
discesa agli inferi, perchè a suo tempo sono state poste le cause motivanti.

D. Ma avrebbe potuto essere evitato.

R. Allora avremmo dovuto non creare le cause determinanti. Migliaia e migliaia di anni fa
si poteva capire che saremmo arrivati a questo stadio. Poste certe cause, si possono
dedurre gli effetti con precisione matematica.

Se lanciamo un sasso (causa), perchè dovremmo stupirci vedendolo cadere (effetto)?

D. E che cosa dovremmo fare? Vivere nell'inerzia in attesa di ulteriori eventi?

R. Niente affatto. La discesa agli inferi va affrontata e non fugata. Occorre avere il coraggio
di fendere la testa al mostro, oggi così palese, causa della deviazione o della caduta.
L'opposizione non crea soluzione.

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

L'ULTIMA LIBERTA'. 

D. Posso dire che fin da giovanissimo sono stato stimolato a riflettere su ciò che è la libertà.
Lentamente quest'idea si è fatta strada e ho cercato esperienze nel campo religioso prima, e in quello
politico dopo. Ho potuto notare che, per quanto alcuni parlino di libertà, all'atto pratico sono
sempre schiavi di qualcuno; questo qualcuno può essere Dio, la Tradizione, l'intelletto, la famiglia,
un'ideologia politica o un programma rivoluzionario, ecc. Inoltre, ho potuto riconoscere come altri,
pur professandosi difensori della libertà, inconsciamente o coscientemente, si sforzano di renderti
schiavo, di plagiarti e d'imprigionarti.

Io oggi chiedo: la libertà è una realtà oppure una semplice proiezione dell'io? E' un concetto o un
principio filosofico? Tenga presente che la mia non è sete di discussione o di erudizione; è qualcosa
di più; ho bisogno di chiarificazioni che mi diano la possibilità di pormi nel processo vitale, oltre a
quella basilare di sapermi accettare.

R. Comprendo la sua ansia di ricerca di valori fondamentali per la vita, e comprendo


anche la complessità del problema. Sarebbe opportuno che cercassimo insieme la
soluzione, se soluzione può darsi a livello empirico. Lei parla di libertà, ma in che senso
usa questo termine?

D. La libertà in che relazione è col libero arbitrio? oppure, la libertà coincide con il libero arbitrio?

R. Ecco un altro amico che pone un ulteriore problema. Come potete notare la tematica
può dilatarsi.

D. (Precedente interrogante). Nel meditare sulla libertà ho potuto notare che vi è una libertà
politico-sociale e una libertà esclusivamente psicologica.

R. Diciamo allora che vi è una libertà politica che riguarda il rapporto sociale, la
convivenza degli individui che formano una comunità, una società, una nazione, ecc., e
una libertà psicologica che riguarda il rapporto con le proprie istanze, i propri moti
energetici e il proprio sentire.

Poichè penso c'interessi di più questo secondo tipo di libertà, vediamo di entrare, quanto
più è possibile, nel cuore del problema.

D. Mi scusi se la interrompo; non potremmo esaminare entrambe le libertà? Io penso che questa
sera potremmo avere qualche spiraglio d'illuminazione, utile per tutti noi.
 
45 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Miei cari, prevedo che toccheremo problemi che non sono proprio pertinenti alla nostra
condizione coscienziale. In ogni modo, mi aguro che possiamo avere questo spiraglio
d'illuminazione; accostiamoci al problema con mente libera da preconcetti e da posizioni
settarie. Chi si avvia verso la soluzione della propria individualità, si avvia verso la
trascendenza di tutti i problemi inerenti all'io. Non dimentichiamo che noi, qui, tendiamo
a questo fine.

C'è qualcuno che, pressato dalla ricerca, abbia formulato una definizione di libertà
politico-sociale?

D. La libertà politica è quella libertà che consente all'individuo di esercitare liberamente i suoi
diritti e di trovare i mezzi atti al loro compimento. Trovo questi diritti consustanziali alla natura
dell'uomo.

R. Ora, poichè una comunità non è composta di un solo individuo, ma di più individui, i
quali avanzano legittimamente i loro propri diritti, in che modo si può esercitare il diritto
di libertà senza danneggiare il proprio simile?

D. Trovo giusto che la libertà dell'uno non debba menomare la libertà dell'altro.

R. Dunque, la libertà socio-politica implica l'armonizzazione dell'esercizio della libertà dei


singoli. Non vi sembra?

D. Senza dubbio, questo tipo di libertà presuppone un ordinamento che armonizzi la libera attività
dei membri.

R. Se non erro siamo arrivati a considerare, come evento imprenscindibile, una normativa
giuridica regolatrice delle singole libertà. Inoltre, emerge un altro fatto: la libertà socio-
politica non può essere libertà assoluta bensì relativa, né può essere licenza, è impensabile
fare ciò che si vuole, ma solo ordine ed equilibrio per non disarmonizzare, appunto, il
corpo sociale.

Ciò implica ancora che la comunità, in quanto ente sociale, può essere ritenuta libera, a sua
volta, di chiedere all'individuo il compimento di determinati obblighi, per cui nell'ambito
socio-politico la libertà si risolve nell'armonico e giusto equilibrio tra diritti e obblighi;
questo giusto equilibrio è rappresentato dalla norma giuridica o dalle leggi. Da qui lo stato
di diritto, già prospettato da Platone nelle Leggi.

 
46 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

La norma giuridica è il fondamento del diritto e del dovere del singolo nei confronti della
comunità; e quella comunità che prescinda dalle norme legislative si avvia verso la licenza.
Il diritto implica liceità di fare o non fare; il dovere, imposizione a fare o non-fare.

D. Dobbiamo riconoscere che ci sono legislazioni le quali esigono da parte dei singoli più obblighi
che liceità. Anzi, alcune di esse, ispirate dal Prìncipe, non consentono nessuna forma di libertà.
Quindi, in che senso possiamo dire che la norma è il fondamento della libertà dei singoli?

R. Giusto. Anche Platone sostiene che la monarchia, o governo affidato ad un solo uomo,
può degenerare in tirannide, il governo aristocratico in oligarchia e la democrazia in
demagogia. E a questo punto dovremo andare avanti perchè ciò che abbiamo detto non è
sufficiente.

Ricapitoliamo: la libertà del singolo presuppone una norma regolatrice per potersi
armonizzare con la libertà degli altri. La norma, per essere equamine, deve implicare o
tener presente certi fattori, diversamente può anche essere equamine; per esempio, può
favorire un determinato gruppo di individui, può limitare certe libertà poichè parte da
preconcetti settari, partitici, ideologici, ecc. Così, a sua volta, la norma a che cosa dovrebbe
essere sottoposta per risultare equanime? C'è qualcuno che ci vuole aiutare?

D. Direi, ad una morale; anche nel campo socio-politico dovrebbe sussistere una morale, non le
sembra?

R. Diremo allora ad un'etica (éthos), per cui in sintesi abbiamo questo quadro; Libertà.
Norma giuridica. Etica.

La libertà dev'essere sottoposta alla norma, la norma all'etica. Quando sussistono questi
tre fattori, abbiamo una condizione ottimale di rapporto sociale. La libertà non può violare
la norma e la norma non può violare l'etica.

Rovesciando la sequenza abbiamo che l'etica informa la norma per indicare una libertà
equanime. Ciò implica che l'etica, nella sua essenza, deve salvaguardare la libertà. Un'etica
che cerchi di menomare, restringere arbitrariamente o coercire la libertà del singolo non è
un'etica degna di tal nome.

D. Secondo la filosofia del divenire, l'etica, come tutto il resto, non è altro che comportamento
mutevole, per cui non le si dà alcun valore, oppure ha il margine molto esiguo di applicabilità.
L'etica è opinabile per la filosofia del divenire, essa è uno strumento flessibile nelle mani del
Prìncipe.
 
47 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Per la filosofia del divenire non è opinabile solo l'etica, ma anche la libertà perchè
rappresenta un accidente. Per essa, che non ha valori assoluti e costanti, la libertà può
esserci e non esserci perchè dipende dal divenire, dal momento politico, dalla necessità
storica. E' in nome di questa necessità storica che si sono realizzati atti da Homo bestia più
che da Homo sapiens. In nome di un'esigenza-necessità storica si sono giustificati
bombardamenti atomici, camere a gas, torture, eccidi di ogni sorta all'est e all'ovest, al
nord e al sud, senza eccezione. Se parliamo di etica non ci riferiamo al costume, alla
consuetudine di indossare un vestito con certe caratteristiche, di salutare in un modo o in
un'altro, e cose di questo genere. L'etica di cui parliamo è qualcosa di più, non è neanche
in riferimento alla singola individualità umana.

Facciamo qualche esempio; secondo voi è etico arrogarsi il diritto, come persona o gruppo,
di uccidere a piacimento altre persone? E' etico sfruttare l'ignorante o il debole psichico? E'
etico sfogare il desiderio di potenza di un gruppo su un altro gruppo? E' etico che pochi e
incapaci governino sui più? E' etico considerare gli altri come trastulli per i propri fini?
Che cosa mi rispondete?

D. Ne convengo, non posso accettare tutto questo.

R. Allora dobbiamo convenire che se l'individuo, nell'esercizio della sua libertà, è


sottoposto alla norma, il legislatore è sottoposto all'etica nel formulare quella norma. Però,
se da una parte vi sono usanze spazio-temporali ed esclusive di certi individui o gruppi di
individui, dall'altra vi sono norme etiche che riguardano non l'individuo in quanto tale,
ma l'uomo come specie, come umanità; in altri termini, vi sono norme che sono
fondamentali per gli enti che si organizzano come comunità. Laddove esistono due esseri
là deve esistere anche e necessariamente una condotta di fondo, un giusto agire, cioè
un'etica che rappresenti il principio e la ragion d'essere della vita a due. L'etica, dunque,
concerne il giusto agire, il corretto comportamento.

D. Ammetto che se a fondamento dell'essere non c'è l'etica, non può esserci osmosi
interindividuale; ma mi chiedo, a quali princìpi dovrebbe ispirarsi la stessa etica? Penso che si
ponga anche questo problema, in base a quello che è stato detto prima.

R. Mi era sembrato che tale condizione potesse emergere dal nostro precedente dialogo.
Forse non ci siamo compresi e bisognerà riprendere il discorso.

Prima di tutto, ritornando su questo tema, vorrei ricordarvi che stiamo trattando della
libertà socio-politica; essa è una delle libertà degli individui in quanto corpo sociale.

 
48 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Dunque, a quali princìpi deve ispirarsi l'etica? L'interrogante fa capire che una norma
giuridica deve ispirarsi a certi princìpi. Così abbiamo che il comportamento dell'uomo, per
la sua stessa armonica convivenza, deve conformarsi a princìpi necessariamente uguali per
tutti (universali) e che sono il fondamento del vivere sociale.

Per quanto in una comunità possano essere consentiti la poligamia, il divorzio, l'aborto,
l'esercizio di alcuni diritti politici ad una certa età, ecc., e in altre non essere consentiti,
tuttavia i gruppi sociali del pianeta devono attenersi a princìpi di fondo comuni come
quello, per esempio, di considerare la vita come sacra e inviolabile, oppure che l'altro,
essendo un ente vivente con possibilità reattive-sensoriali, non può essere sottoposto a
schiavitù o a sfruttamento, ecc. Si parla infatti di Diritti fondamentali dell'uomo, già sanciti
dalle varie costituzioni, ma purtroppo non applicati. Diritti riferentesi all'uomo come
specie, come ente razionale, quindi valevoli in tutto il pianeta, dal momento che non sono
diretti ai singoli stati in quanto Enti giuridici.

Inoltre, l'etica deve salvaguardare la più ampia libertà individuale. Un'etica che restringa
sempre più non solo le istanze di libertà, ma anche la loro espressione pratica (i mezzi per
il raggiungimento del fine), si avvia verso un totalitarismo imprigionante e quindi verso
una alienazione della libertà.

Diremo, perciò, che l'etica a cui deve ispirarsi la norma è quella che consente una
maggiore espressione di libertà di pensiero, di sentimenti e di comportamento nell'ambito
del giusto rapporto umano.

Così, in conclusione abbiamo: Libertà; Norma giuridica; Principio universale.

Sotto questa prospettiva la libertà stessa è sottoposta al Princìpio; diremo meglio, al


Dharma o all'éthos universale, che è di ordine sovraindividuale. In ciò possiamo
riconoscere lo stato quale riflesso o copia dell'Ordine universale, quello Stato ideale
proposto da Platone nella Repubblica.

D. Sappiamo che ci sono norme legislative che si ispirano ad un'alta etica, eppure esse, come lei
dice, non vengono applicate; perchè? Il paradosso dell'uomo è questo: riconoscendo la propria
sofferenza, egli lavora, studia e trova anche i mezzi per eliminarla; poi, una volta trovati questi
mezzi, non li mette in pratica, volendo continuare a soffrire. Si fanno delle rivoluzioni per cambiare
qualcosa e dopo un paio d'anni si scopre che in definitiva non si è cambiato niente, o è cambiato
soltanto il privilegio, passando da un gruppo ad un'altro, da un Prìncipe ad un altro. Perchè tutto
questo?

R. In fondo, l'umanità ha già tante verità filosofiche, tanta ispirazione etica, tante norme
giuridiche, ecc., che non dovrebbe affannarsi a cercarne delle nuove. Basterebbe leggere
certe risoluzioni votate dall'ONU per capire quante belle cose sappiamo scrivere. Ma il
 
49 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

problema è più profondo, perchè investe la coscienza stessa dell'individuo e la sua


costituzione psicologica. Se noi non trasformiamo le cause della disarmonia, non potremo
mai avere belle costituzioni o fare rivoluzioni sociali. Il dato essenziale è che l'uomo, per
essere armonico e dare armonia, deve trasformarsi, deve operare sì una rivoluzione, ma
non all'esterno, per cambiare semplicemente strutture o sostituire il Prìncipe, bensì
all'interno, per trasformare la sua stessa coscienza.

Se siamo sempre schiavi delle nostre passioni e dell'individualismo, potremo mai avere
una comunità libera e perequata? Se l'essere non si sottopone al Principio, né si risolve
nell'Essere, proietterà sempre fuori di sé il Salvatore-Prìncipe.

D. Ecco il punto; ho parlato anche di libertà psicologica perchè nella mia sperimentazione mi sono
accorto che, per quanto possa essere libero di svolgere un'azione a livello sociale, ne sono invece
impedito da certi miei condizionamenti psichici. C'è stato un momento in cui ho sofferto molto di
un complesso di inferiorità e, benché nessuno mi vietasse di fare certi atti, tuttavia ero schiavo del
mio contenuto. Qualche volta mi è sembrato che alcune mie scelte fossero determinate da fattori
ignoti o inconsci. Inoltre, sono d'accordo con lei: se l'uomo non trasforma la sua avidità, la sua sete
di potere e di vanità, a che cosa possono servire le sue istituzioni e le sue norme giuridiche o etiche?
Quando gli uomini sono tristemente egoisti, separativi e competitivi, a che cosa possono servire le
belle leggi e le trasformazioni istituzionali? Forse che, cambiando una democrazia in dittatura o
viceversa, essi diventeranno angeli e liberi dalla sete di autoaffermazione e dall'avidità?

R. Abbiamo parlato di una libertà politica che si innesta in un tessuto sociale; libertà
inerente all'individuo come società, come gruppo, come espressione di convivenza e di
rapporto interindividuale; adesso il problema si sposta e dovremo parlare della libertà
psicologica, di un tipo di libertà in cui l'altro è me stesso. Libertà significa assenza di
ostacoli nell'attuazione di un fine e conseguente possibilità di coordinare i mezzi per
consentire tale fine.

Dobbiamo tener presente comunque che la libertà politica, in senso lato, e quella
psicologica sono relative. Nascono e vivono, cioè, sul piano della dualità.

D. Mi scusi se m'inserisco; ci sono delle dottrine che propugnano una libertà assoluta in
riferimento all'individuo; che relazione può esserci con quanto stiamo dicendo?

R. Nessuna. In effetti alcune dottrine sostengono che gli altri esistono e sono in quanto io
semplicemente li penso. Dal momento che gli altri esistono perchè esisto solo io, io, in
quanto vero e unico Prìncipe esistente, posso arrogarmi il diritto di fare o non fare ciò che
voglio sugli altri che sono miei sudditi, miei prodotti. In fondo è una teoria solipsista,
soggettivista, egocentrica.
 
50 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Parlare di libertà assoluta in riferimento all'io è un controsenso; i due termini io e libertà si


escludono reciprocamente.

D. Se anche gli altri hanno questa concezione, dove andremo a finire?

R. Che vincerà il più forte: da qui il desiderio di potenza e la predicazione del desiderio di
potenza. Da questo punto di vista la libertà coincide con la forza, con la potenza, non più
con la norma e l'etica o Dharma universale.

In altri termini, è la legge del più forte.

D. La legge della giungla?

R. In termini spiccioli, si; è questa legge.

Ritorniamo a noi. La libertà psicologica implica due dati: un ente che cerca di determinarsi
in libertà e un qualcosa, interno all'ente stesso, che pone degli ostacoli.

La libertà psicologica consiste nel realizzare quella norma che armonizzi le istanze e lo
strumento atto ad estrinsecarle.

Così, se abbiamo desiderio di camminare, per esercitare liberamente tale atto, occorre che
si stabilisca un giusto rapporto tra il desiderio-istanza e il fisico grossolano che deve
compiere l'atto. Ci possono essere delle reazioni fisiche che impongono il riposo, lo star
fermi. Quindi, la libertà psicologica è il risultato dell'armonia tra volontà di fare o non-fare
e forze psico-fisiche che devono portare a compimento l'atto.

Nell'ambito della libertà politico-sociale, queste corrispondono all'organismo esecutivo nel


suo complesso, il quale deve favorire l'espletamento di quello scopo che l'individuo si
propone di attuare nell'ambito della sua libertà sociale.

L'apparato esecutivo statale è, o dovrebbe essere, un organismo, un complesso energetico


atto a favorire l'espletamento dell'esercizio della libertà individuale. Il complesso
psicofisico è altrettanto un composto funzionante atto a portare a compimento le
determinazioni dell'ente. Qualche meccanismo può incepparsi tanto da creare conflitto tra
la libertà di fare o non-fare dell'ente e la sua programmazione e attuazione oggettiva.

D. Sono dell'idea che il problema sia molto più profondo e più vasto.

 
51 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Non è questione semplicemente di armonizzare desideri e mezzi operativi. Fino a che punto, mi
chiedo, sono libero dal desiderio stesso? Fino a che punto sono libero dalle determinazioni del mio
inconscio e di quello collettivo? Quando sono impulsato da un desiderio, da un ideale, da un
contenuto subconscio, fino a che punto posso considerarmi veramente libero? In definitiva vorrei
sapere questo: l'uomo è anche libero di non-fare, non-agire, non essere necessitato?

R. Indubbiamente il problema è più complesso, ma è maggiormente pertinente alla


Metafisica realizzativa. Fino a quando ci troviamo sul piano della libertà socio-politica e di
quella psicologica siamo sempre nell'intraindividuale e quindi sul piano della necessità.
Laddove esiste un io o più io, esiste anche necessità, per quanto si possa avere un margine
più o meno ampio di libertà; quando, invece, ci poniamo il problema di uscire dalla
dimensione dell'io e dei suoi prodotti le cose cambiano, e allora potremo parlare
finalmente di vera libertà da ogni possibile necessità, potremo parlare di libertà dell'Essere
in quanto Principio ed Essenza metafisica. Diremo che le prime due libertà sono libertà
illusorie perchè appartengono a quel fantasma egoico che, per quanto possa essere
relativamente libero di fare o non-fare, non potrà mai trovare il proprio completamento, la
propria pace e la propria compiutezza.

Ci sono individualità che s'interessano di direzionare la libertà relativa dei singoli enti (e
questo è il loro dharma), e ci sono coscienze che si stanno risvegliando al riconoscimento
che la vera libertà non coincide né con la norma sociale né con quella psicologica
individuale, ma con qualcosa che trascende l'una e l'altra, con qualcosa che è di là da
quell'individualità sottoposta alla necessità. La libertà dell'Essere con che cosa possiamo
farla coincidere?

D. Si è detto spesso che la vera libertà è libertà dall'io, non dell'io; quindi la libertà o liberazione
coincide con l'assenza dell'io.

R. Certo, quella dell'io è libertà illusoria e, per quanto nel mondo individuato possiamo
escogitare mezzi e ideologie filosofiche e politiche, tuttavia non possiamo dare la libertà
all'io perchè l'io è esso stesso necessità e conflitto.

Ci sono popoli che hanno sperimentato la povertà e l'opulenza, la democrazia e la


dittatura, l'ignoranza e la cultura, eppure non hanno trovato né realizzato quello che
normalmente si dice paradiso in terra.

D. La vera libertà è nell'assenza di desiderio, ma penso che ciò corrisponda a quanto è stato detto.

R. Desiderio implica un muoversi verso. Desiderio implica cercare di ottenere quello che
non si ha, significa essere motivati da un'istanza d'insoddisfazione.
 
52 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Ora, laddove c'è insoddisfazione non può esserci quiete e pienezza; laddove c'é un tendere
verso qualcosa che non si ha, vuol dire che non si è completi, che si manca di qualcosa.

Il mondo dell'io è mancanza, è privazione, e la sua sopravvivenza è garantita dal desiderio


acquisitivo e compensativo. Ma il desiderio e la sua gratificazione non rendono felice
nessuno perchè se così fosse gran parte dell'umanità dovrebbe essere compiuta, mentre
non lo è; sappiamo che l'io, dopo aver gratificato un desiderio, si dirige verso un altro
desiderio non essendo mai in pace e soddisfatto.

La vita dell'io è una lotta incessante per appagare ed espandere se stesso, per compensarsi;
e, pur di sopravvivere, esso inventa ideali addirittura sublimi, ma che poi si dimostrano
evasioni.

La vita dell'io è vita di aspirazioni oggettivate, di sperimentazioni, proprio perchè non è e


non ha. Chi veramente è, non cerca, né sperimenta, né aspira a qualcosa perchè appunto è.

D. Se mi consente, nelle mie meditazioni ho trovato che la libertà dell'Essere, l'ultima e reale
libertà, coincide con la Verità; me lo conferma?

R. E la Verità vi renderà liberi, dice Gesù.

Se la necessità s'identifica con l'ignoranza, l'alienazione e con il fenomeno evanescente, ci


sembra naturale che la libertà s'identifichi a sua volta con la Verità ultima o la Realtà in
quanto tale. Sotto questa prospettiva possiamo anche aggiungere che se il desiderio
coincide con l'io o l'individualità, la Volontà coincide con l'Essere; l'Essere ha in sé la
possibilità di estrinsecarsi nelle indefinite espressioni di vita (non soltanto in riferimento a
quella umana), come ha in sé la possibilità di essere ciò che è fuori di ogni manifestazione
grossolana, sottile e causale, fuori, quindi, di ogni possibile necessità. La vera realizzazione
consiste nel ritrovare la Libertà-Verità-Volontà che è consustanziale all'Essere.

 
53 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

PACE E COOPERAZIONE DI CLASSE. 

D. Siamo tutti interessati alla pace e alla cooperazione tra le classi sociali, eppure è da migliaia di
anni che si lotta per questo princìpio senza risolvere il problema. Perchè mai? Chi potrà dare
concretamente la salvezza a questa umanità in bilico?

R. Vede, la pace non è una causa, è un effetto. Senza dubbio tutti vogliono pace, giustizia
sociale e ordine, ma queste cose sono conseguenze di atti che si estrinsecano a certi livelli
coscienziali dell'individuo stesso. Non vi è ideologia politica che non presuma di stabilire
pace, lavoro, giustizia sociale, ordine, ecc.; però, se prima di tutto non si trova la pace
entro il proprio cuore, come si potrà pretendere d'instaurarla fuori di sé? Se non si cerca di
vivere il senso di giustizia dentro di sé, sotto quali prospettive lo si potrà pretendere nel
corpo sociale? La lotta dei vari ordini sociali non si risolve cercando di abbattere o di
avvilire gli ordini opposti, né instaurando dittature classiste, sotto la direzione del
Prìncipe, a qualunque tendenza possano appartenere. Quando si arriva alla lotta vuol dire
che si è fallito nel rapporto e nell'agire secondo ragione.

Non si può, in nome della giustizia e della libertà sociali, imporre con la forza la propria
filosofia di vita, sia essa politica, religiosa, ecc., perchè viene meno proprio quel prìncipio
di giustizia e di libertà per cui si lotta.

Certe azioni, purtroppo, hanno in sé il germe della contraddizione e dell'incoerenza. In che


senso possiamo parlare di pace, di ordine, di progresso se la nostra azione è già bellicosa e
violenta? In che senso possiamo parlare di giustizia sociale se la nostra lotta offende e
mortifica? Vogliamo forse instaurare la pace annientando e distruggendo il nostro nemico?
In questo modo non andiamo in cerca di pace e di giustizia, ma vogliamo semplicemente
eliminare coloro che sono di ostacolo alla nostra filosofia, al nostro credo politico o
religioso. In altri termini, dobbiamo decidere se cercare la pacifica cooperazione, oppure la
guerra tra i membri del corpo sociale. Perchè se vogliamo la guerra, allora ogni membro o
ordine sociale può sentirsi legittimato a prendere le armi per imporre la propria filosofia
con la forza e la violenza. Ma questa è l'etica della giungla, del Prìncipe solipsista.

I contrasti sociali non si risolvono con la contrapposizione, con la guerra e con la speranza
dell'abbattimento finale di qualche ordine. La lotta e la ribellione sono causa di divisione,
di allontanamento, di disgregazione, non di cooperazione, compartecipazione,
unificazione. Non si può unificare il mondo abbattendo gli oppositori e considerando il
propiro ordine come detentore esclusivo di missione universale, come depositario della
salvezza mondiale. Se così è, allora questo ipotetico ordine professa, senza saperlo, una
religione assolutistica e dogmatica che, in nome di una missione da compiere, distrugge
gli eretici e i barbari con la violenza e lo scontro frontale più che andare loro incontro con
lo scettro della ragione e del dialogo. Forse che nel passato non si sono usati questi mezzi
 
54 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

per imporre la propria religione, la propria politica, la propria filosofia e la propria


autorità? Noi crediamo che il problema umano non possa essere risolto né con la guerra
tra i vari ordini sociali, quindi tra gli individui, né prospettando falsi paradisi in terra.
Spesso abbiamo detto che la soluzione non sta tanto nell'abbattere istituzioni e organismi,
per quanto ciò, ovviamente, possa esser fatto nel tempo-spazio, quanto, ed essenzialmente,
nell'attuare una rivoluzione coscienziale per fondare la società dell'Essere, società in cui
tutti i singoli, e quindi i vari ordini sociali, siano in primo luogo impegnati nella
rieducazione delle energie individuate, nella loro giusta direzione e nella loro
sottomissione al aprincìpio trascendente e sovraindividuale, che è, appunto, l'Essere, e in
secondo luogo protesi ad instaurare la cooperazione fra i vari ordini, conformemente a
quella legge dell'Essere che riconosce tutti gli uomini come figli della stessa essenza e tutti
in cammino verso lo stesso scopo.

Abbiamo detto che i quattro ordini tradizionali nascono tutti da Brahma, o dall'Essere.

...La sua bocca divenne il brahmana, il soldato fu prodotto dalle sue braccia, le sue cosce
furono l'imprenditore, dai suoi piedi nacque il lavoratore manuale (Rg-Veda), per cui essi
rappresentano l'intero corpo di brahma, ognuno nella sua funzione specifica. Tra la parola,
le braccia, le gambe e i piedi, se si vuole un'azione armonica, dev'esserci cooperazione e
integrazione, non confusione e disarmonia. Ciò implica che se vogliamo risolvere il
problema alle sue radici, dobbiamo riconoscere che fino a quando accentriamo la nostra
modalità di vita sulla brama del possesso, sull'egoismo, sull'avidità, sulla violenza,
sull'invidia, sulla rivalsa e sulla vendetta, non vi potrà essere nessuna politica o filosofia,
sia essa democratica o totalitaria, in grado di estirpare la disarmonia in modo risolutivo.
Certo, la politica offre istituzioni e anche rivoluzione sociale, però non offre rivoluzione
coscienziale perchè opera esclusivamente a livello orizzontale, oggettivista e non verticale.

La salvezza dell'individuo è nelle mani di coloro che hanno parlato non all'immagine
esterna dell'essere, ma a quella interna. In altri termini, la salvezza è sininimo di
realizzazione, e la Realizzazione investe non la struttura oggettiva sociale, ma quella
interna, coscienziale, spirituale. Il mondo esterno non è altro che la rappresentazione e il
riflesso dei nostri pensieri, delle nostre tendenze, delle nostre aspirazioni e del nostro
grado coscienziale. Sotto questa prospettiva ogni popolo ha il governo e la legislazione che
merita.

La salvezza possiamo averla da una filosofia che sappia porre l'accento sulla
trasformazione delle coscienze, che sappia additare un'etica che non si esaurisca
nell'intraumano e intraindividuale, ma che faccia alzare lo sguardo di là dal proprio
interesse contingente, individuale e di classe.

La salvezza la possiamo avere da una filosofia che sappia illuminare la coscienza singola al
risveglio della sua totale possibilità di essere, guidare l'uomo dal particolare verso

 
55 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

l'universale e sappia fargli comprendere e sperimentare che la vera compiutezza non


risiede nell'avidità e nel possesso delle cose illusorie, ma nella realtà del suo stesso Essere.
Se tutta l'energia che s'impiega nelle scuole fosse diretta alla scoperta di sé in quanto
Essere, penso che gradatamente avremmo un'umanità migliore e più cooperante. Allora la
pace, essendo prima di tutto patrimonio del proprio cuore, potrebbe trovare finalmente
sbocco nella società come naturale e logica conseguenza.

D. Lei pensa che questo tipo di filosofia possa essere realizzato con il progresso dell'umanità?

R. Fratello mio, il tempo porta nel tempo, e il progresso, che è tempo, rappresenta una
proiezione della mente letargica. Posporre il problema dell'Essere in un domani senza
contorni è un alibi dell'io che cerca di perpetuarsi. Il domani è illusione. Nel divenire non
c'è soluzine di problemi.

D. Nel mondo dell'oggi esistono due tendenze filosofiche radicalmente opposte: l'una è quella del
materialismo, la quale sostiene che tutto è materia e che lo stesso spirito è un epifenomeno della
materia. Essa, non credendo in nessun Dio, Essere trascendente, in nessuna cosa in sé, ecc., fa
affidamento sull'individuo e pone questi come esclusiva causa di trasformazione della società e della
natura. E' oggettivista perchè crede che la realtà sia quella esterna alla coscienza sensoriale.

L'altra è quella ideale-spiritualista, la quale sostiene invece che la realtà è spirito e che la materia è
un epifenomeno dello spirito. Senza andare oltre, questa filosofia è all'opposto di quella materialista.
Naturalmente ne sono derivati due atteggiamenti politici diversi ed opposti che hanno dato luogo a
critiche serrate, a offese e anche a lotte armate.

Io ho meditato, ho letto molti libri, ho avvicinato alcune persone qualificate e ho tratto la


conclusione che entrambe queste filosofie sono dogmatiche, assolutiste e reazionarie. Inoltre, i
fautori della prima, in nome del benessere materiale, cercano di rendere l'uomo un semplice
ingranaggio di una mastodontica macchina burocratica o industriale che aliena e plagia migliaia di
individui privandoli di ogni potere e di ogni diritto. Quelli della seconda, in nome di una
trascendenza spirituale, lo addormentano sul piano sociale, sfruttandolo, rendendolo povero e
svalutandolo come persona, mentre essi tentano disperatamente di conservare privilegi in ogni
campo. La storia mi dà conferma di quando dico. I Prìncipi si combattono tra di loro solo per la
supremazia del Potere, non per il miglioramento coscienziale dei popoli, anche se alcuni
miglioramenti avvengono come naturale conseguenza del procedere delle cose.

Ho dovuto fare un quadro molto succinto, e naturalmente incompleto, per introdurre la mia
domanda che è questa: la Filosofia dell'Essere, trasponendosi sul piano dell'attività umana, su quali
posizioni si trova? Io non so se dalle precedenti conversazioni è emerso qualcosa, ma desidererei
avere una risposta chiara e specifica se è possibile.
 
56 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Penso che tutti i presenti abbiano afferrato il senso della domanda. I problemi sono
molto vasti e gravidi di conseguenze, e certamente non possiamo esaurirli tutti in una
volta. Vi prego di considerare però che la Realizzazione è di là dalla politica. La realtà non
credo si trovi fuori di noi, e l'uscire dal nostro essere significa procrastinare la soluzione
del problema. Inoltre, la Verità non ha bisogno di banditori e di Prìncipi perchè si difende
e si dimostra da sé, senza alcuna politica, senza alcun dittatore.

La Filosofia dell'Essere non è né contro il materialismo, né contro l'idealismo spirituale.


Essa considera entrambi come aspetti della Realtà totale che è appunto l'Essere. I due
punti di vista sono momenti dialettici del Reale assoluto. Per la Filosofia dell'Essere il
soggetto e l'oggetto, lo spirituale e il materiale, il noumeno e il fenomeno e tutti i possibili
dualismi non sono altro che momenti dialettici operanti a livelli coscienziali diversi ma
non contrapposti. Spirito e materia non sono una dualità assoluta, né possiamo, secondo la
Filosofia dell'Essere, teorizzare un monismo assoluto materialistico (tutto è materia) o un
monismo assoluto spiritualistico (tutto è spirito): l'uno nega la materia, l'altro lo spirito,
anche se lungo il tempo il concetto di materia è andato cambiando, anzi, sfumando. Penso
che il nostro amico volesse riferirsi a questa visione quando ha detto che trova le due
filosofie assolutiste e dogmatiche. In verità, in nome dell'una e dell'altra sono state
intraprese delle lotte, purtroppo, non solo ideologiche. Rivoluzioni, guerre e massacri sono
stati perpetrati in nome del: tutto è spirito, o: tutto è materia.

E questa guerra continua ancora.

Per la Filosofia dell'Essere la verità non sta né a sinistra né a destra e neanche al centro, ma
nel punto superiore in cui si risolvono, appunto, le due fasi del processo dialettico. Diremo
che i due vertici basali del triangolo si risolvono nel vertice superiore. Ecco perchè è una
Filosofia di non-contrapposizione, di non-guerra.

Con il trionfo dell'individualismo, e quindi della distinzione e della differenzazione, si è


abbandonato l'universale, la sintesi e l'unità, e l'umanità privata del suo Princìpio non può
non essere monca e cieca. Se i vari ordini sociali non volgono lo sguardo in alto, al
Princìpio universale, e umilmente vi si sottomettono, al posto del Dharma non può esserci
che l'adharma, al posto dell'Ordine non può esserci che il disordine.

D. Dunque, non si tratta né di andare a sinistra, né di andare a destra e neanche al centro, ma di


saper trovare una linea verticale più aderente alla coscienza totale dell'uomo? Ma la politica
dell'oggi è guidata da esigenze materiali e consumistiche.

R. Si, penso che sia un fatto evidente, soprattutto nel periodo attuale. Occorre trovare una
filosofia politica che sappia non appiattire, metallizzare, corporizzare e livellare, ma
innalzare fino a ridare all'essere la sua dimensione universale. Allo stato attuale, in linea di

 
57 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

massima, nessuna politica tenta di favorire la totale espressione dell'uomo. L'umanità


dell'oggi è assorbita dal fattore esclusivamente economico, produttivo e tecnologico.

L'individuo rappresenta una semplice unità-lavoro, una res produttiva, e il suo evangelo è
composto di grafici o indici di produzione. D'altra parte ciò non è casuale perchè l'umanità
odierna è governata, per parlare in termini tradizionali orientali, dai vaisya e dagli sudra,
in lotta tra loro per il predominio dei mezzi di produzione. Il valore di una persona si
misura dal suo grado di produttività: mentale, emotiva e fisica. Ma entrambi questi ordini
non possono concepire l'individuo che come oggetto o mezzo per quantificare i prodotti
commerciali e industriali, come unità di misura energetica; e laddove questa res umana
può essere sostituita da una macchina lo si fa volentieri, non per eliminare la fatica
all'uomo, ma perchè la macchina produce di più e perchè il costo dell'unità-lavoro umano
è elevato. Sotto questa prospettiva l'individuo viene disumanizzato, alienato, metallizzato
e appiattito. Quando nel corpo sociale viene a mancare la testa direzionale, ci si perde nel
labirinto affannoso della quantità più che della qualità.

D. In che senso potremmo trasformare la coscienza nostra e quella degli altri per risolvere l'io?

R. Fratello mio, comprendo il problema di fondo. Prima di tutto diremo che la sede adatta
sarebbe la scuola. Questa, più che dare accumulo e quantità di nozioni per stimolare la
vanità, l'autoaffermazione e il possesso (l'erudizione o l'accumulo di nozioni non è vera
conoscenza ma possesso, avidità; l'erudizione consiste nel capitalizzare nozioni per poi
venderle), dovrebbe avere l'altra nobile e preziosissima funzione di offrire allo scolaro
l'opportunità di trasformare la propria coscienza, di conoscersi, di comprendere il proprio
patrimonio fisico, psichico e spirituale, controllarlo e dirigerlo armonicamente. In altri
termini, nelle scuole si dovrebbe insegnare la Filosofia dell'Essere come fattore di
realizzazione, quindi, come esperienza e stile di vita.

L'individualità è un centro energetico che prende e dà; se l'energia non è spesa per usi
creativi, può esplodere anche in violenza. La scuola dovrebbe essere una fucina di
trasfigurazione dell'individualità.

Si dovrebbe coltivare l'arte, nelle sue varie espressioni, la filosofia, la scienza, la religione,
ecc., come strumenti atti a direzionare e impegnare l'energia in attività armoniche.
Diciamo di coltivare l'arte e la filosofia, non la storia dell'arte e della filosofia che sono
accumulo. Vale a dire, usare le varie materie di ricerca come mezzi di elevazione e
trascendenza.

D. Com'è possibile insegnare la Filosofia dell'Essere se l'intellighenzia rifiuta l'Essere?

 
58 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. L'intellighenzia dovrebbe essere costituita da gruppi risvegliati.

Vede, alcune teorie sostengono che l'uomo è nato per combattersi (c'è anche un
fondamento di verità in ciò); che cosa avviene di conseguenza? Un gruppo di disperati,
alienati e sfruttati un bel giorno si sveglia, lotta e guerreggia contro i padroni oppressori,
vincendo la battaglia. A questo punto le parti si invertono: quei poveri sfruttati,
lentamente, e per ovvie ragioni, diventano a loro volta padroni, non ha importanza se
finanzieri, burocrati, tecnocrati, ecc., e, automaticamente, sfruttatori. Nel tempo e nello
spazio, i primi sfruttatori, che sono diventati sfruttati, anche loro si ribellano e lottano per
affrancarsi, e così di seguito: questa lotta ad altalena perdura da migliaia di anni con nomi
diversi, con etichette diverse ma con la stessa sostanza. Ricordiamoci, ad esempio, della
lotta tra patrizi e plebei nell'antica Roma. In breve, i rivoluzionari di una generazione sono
i reazionari della generazione seguente.

Alcuni pensano che, trasformando solo le strutture, si possa trasformare la mentalità


dell'individuo.

Sarebbe opportuno riconoscere che le strutture sono solo degli effetti, dei semplici
ingranaggi per far avanzare la macchina sociale. Dunque, più che l'effetto, occorre
trasformare la causa, quella causa che è rappresentata dall'io o dall'individualità creatrice
di comportamento. Non possiamo trasformare un individuo cambiandogli solo il vestito.

Se l'io rimane acquisitivo, per quanto possa avere strutture anche ideali, sarà sempre
acquisitivo e aggiusterà le cose in modo tale che quelle strutture soddisfino la sua sete di
avere. Sappiamo che tante rivoluzioni, iniziate con motivazioni giuste, sono state tradite
proprio quando è stato conquistato il potere.

Da ciò si può dedurre che se non trasformeremo la nostra coscienza, non finiremo mai di
fare rivoluzioni e controrivoluzioni.

Questo giuoco bisognerà fermarlo perchè è un giuoco pericoloso che fa comodo solo
all'istinto di violenza dell'io. Noi siamo convinti che se, in piena umiltà, i cosidetti Grandi
e almeno gran parte dell'umanità, non riconoscono il proprio mea culpa, non vi potrà
essere soluzione globale. La società è il prodotto dei nostri pensieri, e solo trasformando la
nostra mente potremo trasformare la società.

D. Molti eruditi ortodossi hanno una concezione aristocratica, non egualitaria, della Tradizione
iniziatica. Mi sembra che la stessa Tradizione greca avesse questa visione. Vi è contrasto con quello
che lei dice o sono io a non vedere il problema?

R. Non vi è alcun contrasto. Preferiamo, però, parlare di qualificazioni, di gerarchia


qualificata, anzichè di aristocrazia. Questo termine, purtroppo, nel tempo ha subìto
 
59 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

fraintendimenti e degenerazioni. Così, per l'iniziazione occorrono qualificazioni precise, e i


veri Iniziati rappresentano una determinata comunità di esseri con un loro definito status
coscienziale. Ciò implica che non tutti sono adatti a realizzare certe cose né a svolgere
particolari mansioni. Ma questo è pertinente ad ogni ordine sociale.

Per quanto si possa dire il contrario, non tutti sono qualificati per essere musicisti o pittori,
architetti, scienziati, politici, sacerdoti, ecc. La selezione, in riferimento a certe possibilità
esplicative, avviene in base alla stessa natura costituzionale dell'individuo.

I quattro ordini sociali, ripetiamolo, promanano dallo stesso Genitore, e un ordine non è
né superiore né inferiore ad un altro, ma è al suo giusto posto conformemente ai vari
elementi qualitativi che lo compongono.

D. Eppure mi risulta che i brahmana non solo si credono superiori, e questo vale anche per
l'Occidente, naturalmente, ma talmente in alto da considerare uno sudra indegno di stare vicino ad
essi; l'ombra stessa dello sudra potrebbe profanare un brahmana.

R. Fratello mio, sono state le degenerazioni che hanno causato questa età oscura. Se
volgiamo rimontare la china, dobbiamo riprendere la Filosofia dell'Essere nella sua
essenza e viverla, malgrado le reazioni dei vari Prìncipi.

La Verità metafisica è stata prostituita a gonfiare l'io fino alla paranoia; da molto tempo
purtroppo l'unica devozione-venerazione è verso l'individualità, non verso il Princìpio;
non sono stati i veri Saggi ad avere tale atteggiamento; anzi, essi sono venuti proprio per
raddrizzare gli errori dei profanatori del tempio. Essi hanno sempre rotto con quella
tradizione divenuta politica, privilegio e potere. Seguiamo, quindi, la via dei Saggi e
lasciamo da parte i profanatori del tempio, i predicatori professionisti, i farisei esaltati, i
mercanti di parole, i superbi fanatici, gli accumulatori di ricchezze terrene, i conservatori
del privilegio.

D. Non è che io condivida quello che sto per dire, ma vorrei dare una giustificazione a quanto ha
detto l'amico con la sua ultima domanda. Vi possono essere degli individui talmente impuri
psichicamente da profanare chi invece è puro.

R. Lei crede che un vero Conoscitore stando in mezzo ad ignoranti possa perdere la
Conoscenza? Al limite potremmo invertire le cose e dire che l'impuro accostandosi al puro
si rende puro.

 
60 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

SEGUIRE IL PROPRIO DOVERE. 

D. Qualcuno mi dice che, interessandomi di metafisica, evado i problemi sociali e contingenti della
vita. Mi dice anche che in alcune nazioni hanno bandito l'etica spirituale e ogni espressione
metafisica perchè ritenute evasive e non produttive. Per quanto io abbia compreso tante cose,
purtroppo certe insistenze, soprattutto in famiglia, incidono negativamente sulla mia ricerca.

Che cosa posso fare? Come mi devo comportare? Come posso fronteggiare una situazione per me
difficile?

R. Ogni sincero e pratico Ricercatore non è mai fuori della società, ma profondamente
dentro. Chiunque è pressato da istanze di conoscenza, di qualunque grado e sfera
operativa, da slancio a comprendersi e comprendere, non può non appartenere ad una
società che si reputa guidata dall'intelletto e non dalle passioni interessate. Ogni individuo
ha il suo problema di fondo; ogni individuo è un universo con il suo fato e il suo dovere.
Sarebbe giudizioso che ciascuno rispettasse lo status coscienziale e il compito del
compagno di cordata, perchè, senza dubbio, tutti gli esseri, e non solo umani, sono
compagni e fratelli guidati, in ultima analisi, da un unico destino. Occorre, però, riflettere
che per ognuno le esperienze sono diverse; ciò che è cibo per uno, può essere veleno per
un altro; non tutti possono essere avvocati, ingegneri, impiegati, elettricisti o meccanici.
Nella diversità dell'espressione dovremmo saperci capire e avere la maturità di saper
riconoscere e rispettare la ricerca e le direzioni coscienziali degli altri. Tutto questo, certo,
in una società libera, in una convivenza in cui le tendenze e la sperimentazione possono
trovare adeguato e spontaneo sviluppo ed estrinsecazione.

C'è comunque dell'altro: lei pensa, ad esempio, che un monaco, un mistico, un filosofo,
ecc., fuggano il mondo o che non siano produttivi in senso consumistico, e un sindacalista,
un politico, un rivoluzionario, un imprenditore siano, invece, attivi, produttivi e utili agli
altri senza che la loro sia una fuga da se stessi? Se non si vuole essere settari e passionali,
occorre riconoscere che un politico e persino un rivoluzionario non solo possono fuggire il
mondo, perchè sono disadattati, ma ciò che è peggio, possono fuggire da se stessi. E sono
tanti coloro che, mentre sembrano presi da problemi sociali, professionali, ecc., in verità
stanno solo fuggendo da se stessi, stanno solo stordendosi nell'attivismo per dimenticare e
dimenticarsi.

Lei pensa ancora che un individuo che sembra dedito al servizio verso gli altri sia spinto
dall'amore disinteressato? Noi crediamo di non cadere nell'errore dicendo che un monaco
solitario, adeguatamente vibrante, o un contadino integrato con la natura sono più
produttivi e armonizzati con se stessi e con la vita di un politico e di un capitano
d'industria che vivono sul piano dell'attivismo e danno l'impressione di non fuggire se
stessi. Un rivoluzionario può essere semplicemente un individuo asociale e
 
61 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

patologicamente violento. D'altra parte, quella filosofia che s'impone con la forza non può
non considerare il suo nemico come inutile, evasivo e degno di essere sconfitto. Però
stanno qui l'evidenza della sua debolezza e il suo non essere filosofia.

Una filosofia totalitaria non può essere filosofia come noi l'intendiamo; una filosofia che
non accetti il libero confronto, il dialogo franco e la serena ricerca, in che senso e sotto
quale prospettiva può denominarsi filosofia? Noi qui c'inteessiamo di Filosofia e
Metafisica realizzative, non di passioni politiche, né di fanatismo religioso, tradizionalista
e no.

L'essere è corpo, è intelletto ed è anche spirito, noumeno, essenza, pura natura o


sovrannatura, i nomi hanno poca importanza.

Vi sono alcune ideologie che interpretano l'essere soltanto in termini di corpo, di glandole,
di molecole ed escrezioni; altre che lo interpretano in termini d'intelletto, di pensiero, di
logos, di Homo sapiens; ve ne sono altre ancora che lo interpretano in termini non solo di
corpo e anima, ma anche di essenza, di spirito o di noumeno. Sarebbe augurabile che fra
queste tre espressioni si svolgesse un confronto pacato, fruttuoso e soprattutto libero. La
visione più alta per noi è quella che considera l'individuo in termini di corpo, intelletto e
spirito: è la Filosofia dell'Essere. Così la scienza, la filosofia, la religione potrebbero essere
messe al servizio dell'uomo, per la sua gloria, per il suo innalzamento e per la sua
compiutezza.

D. L'essere di cui parliamo a che cosa risponde in termini vedantici: al saguna (con attributi) o al
nirguna Brahman (senza attributi)?

R. Vi è un solo Essere che è nirguna, tutti gli altri princìpi e denominazioni sono semplici
riflessi del nirguna. Qualche volta abbiamo parlato del Non-Essere per far capire che il
nirguna può essere compreso intellettivamente in termini di negazione, negazione di ogni
possibile determinazione. Ma siamo sempre sul piano dei nomi. Ciò che ha importanza è
capire quello che particolari parole vogliono implicare. Se si tiene conto di questo fatto, si
trascendono le varie terminologie perchè, credetemi, l'Essere non è né orientale né
occidentale.

Se parliamo di Advaita vedanta e Asparsa yoga è perchè questi sentieri sono prettamente
metafisici, e si sa che la metafisica non è proprietà di nessuno, è uguale dappertutto, è
senza frontiere perchè è universale. La Metafisica tradizionale è il vero tronco da cui
partono i vari rami tradizionali. Porsi su un piano metafisico significa quindi sintetizzare e
comprendere tutti i rami tradizionali. Noi parliamo anche e spesso di Platone, di Plotino,
di Alchimia, di Tradizione cabbalistica, ecc.

 
62 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

E vi prego di considerare che ciò non è sincretismo o eclettismo. Dice Plotino: In verità l'al
di là dell'essere non esprime già un questo determinato, ché non pone nulla,
positivamente, e non esprime neppure un nome di lui, ma comporta unicamente una tesi
negativa: non è questo! Pure solo il non-come, potrebbe significare il suo come; poichè non
c'è nemmeno il come in colui che non ha neanche il che; tuttavia, noi uomini siamo
sbattuti, come per doglie, nell'incertezza della parola che convenga pronunziare e
parliamo dell'Ineffabile e avventuriamo dei nomi, bramosi d'indicarlo a noi stessi come
meglio sappiamo. E, forse, anche questo nostro nome Uno non ha altro valore che di
soppressione relativamente al molteplice! (Plotino, Enneade).

D. Vorrei chiedere questo: la mia esperienza, il mio vivere, la mia istanza di creare rapporti, il mio
esprimermi con il pensiero e il sentimento devono darmi necessariamente conflitto e angoscia?
Voglio dire, la natura dell'uomo è sofferenza oppure la sofferenza è un derivato di azioni sbagliate?
La Filosofia dell'Essere è contro la vita e l'esperienza umana?

R. La vita umana offre tante possibilità di espressione, e in sè e per sé non è né buona né


cattiva. Ogni espressione di vita è, e basta. La natura della vita umana è bipolare: di ordine
mentale-egoico e di ordine del Sé.

Quando ci esprimiamo pressati dal centro mentale-egoico siamo caratterizzati dal senso
dell'io sono questo in contrapposizione agli altri enti, e quindi siamo condizionati
dall'avidità, dal senso dell'esclusivismo, dalla competizione e dalla lotta autoaffermativa.
E' inevitabile che con tale modalità operativa non possono non esserci conflitto e
sofferenza, e quest'ultima possiamo vederla intorno a noi, è impossibile disconoscerla; e
per quanto molti ottimisti ad oltranza tentino di minimizzarla, essa tuttavia sta lì in
evidenza, alla vista di tutti. La nostra storia è più che altro storia di sofferenza, di
sopraffazione, di conflitti a tutti i livelli, e fino a quando ci esprimiamo con l'io-mente non
potrà esserci alcuna religione, politica, etica o filosofia che possa darci l'impossibile.

La causa del conflitto risiede nel senso dell'io sono questo e la sua rimozione significa
cessazione del conflitto e del dolore. Ora, gran parte delle teorie filosofiche sostiene che
l'uomo, in quanto tale, è io empirico, è ente indipendente e assoluto e che suo scopo è
sviluppare ed espandere il suo io. E' dunque filosofia dell'io. Alcuni parlano addirittura di
realizzazione riferita all'io; cioè, la loro realizzazione consiste nel cercare la felicità nel
potere, nella notorietà, nel denaro, nella vanità, e cose di questo genere. Ma tutto ciò non
ha mai dato effettiva beatitudine, né vera pace del cuore, tutt'altro.

Ebbene, se ci consideriamo io, con tutto ciò ch'esso implica, le posso rispondere che la vita
umana è sofferenza e dolore, con modesti spiragli di felicità sentimentale, che poi non è
altro che semplice e momentanea esaltazione emozionale. Se, invece, ci consideriamo Sé,
allora le cose cambiano.
 
63 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Il centro intuitivo animico è sensibile al mondo dei princìpi, all'universale, alla totalità; il
punto-coscienza che in esso si esprime, interpreta la vita non più in termini di tu ed io, ma
di sintesi, di comunione, di noi come atomi dell'unica molecola chiamata umanità. Parlo di
comunione e non di confusione.

Si parla infatti di coscienza universalizzata, di coscienza inclusiva, di coscienza che non si


riconosce più come io separato o in contrapposizione con il contesto vitale. Tale coscienza
comprende tutti gli enti, e non solo quelli umani, come gocce dello stesso oceano, come
parte di sé. Siamo ancora sul piano del manifesto, ma la condizione di vita umana ottimale
può aversi solo quando l'essere si esprime come coscienza inclusiva. Ciò implica l'aver
trasceso quel senso dell'io sono questo distinto dagli altri; significa l'aver trovato il proprio
effettivo Centro esistenziale perchè quello dell'io non è un centro ma una periferia.

Se, dunque, ci consideriamo tali, e questa realizzazione sovraegoica è ovviamente un fatto


sperimentale, allora le posso rispondere che quella umana diventa una modalità vitale
gioiosa e ricca di radianza benefica. Morendo a noi stessi come io acquisitivo, rinasciamo
come armonico Sé, come Amore onnipervadente e radiante, come semplice: Io sono.

La Filosofia dell'Essere è per questo genere di vita, che non è un'utopia perchè molte
persone l'hanno vissuto.

Il primo, effettivo e concreto passo verso la realizzazione è proprio il superamento o la


rottura di livello dell'io empirico. Se la realizzazione non tende a questo, non è
realizzazione e l'io, usandola come alibi, cerca soltanto un'altra via di evasione, di
gratificazione e di espansione.

Quando la Filosofia dell'Essere parla di liberazione, vuole intendere liberazione dall'io


egoistico ed esclusivistico e dai suoi prodotti imprigionanti; la Filosofia tradizionale
implica l'unione con la propria natura essenziale, universale o, parlando in termini di io
empirico, con la propria trascendenza. Considerarla in modo diverso significa snaturare la
sua ragion d'essere, significa degradarla a semplice svago intellettivo.

E' bene ribadire, comunque, che sul piano esistenziale la Filosofia dell'Essere concepisce
l'individuo come Spirito, Anima e Corpo con tutte le implicazioni che da ciò possono
derivare.

D. Quando parla di morte dell'io, può sembrare che dobbiamo perdere la nostra identità fino a
scomparire in ciò che gli psicologi chiamano: inconscio collettivo. Mi è stato detto che le cose non
stanno così, ma vorrei una risposta da lei, se è possibile.

R. Dovrebbe risultare evidente che non ci si vuole riferire alla psiche di massa, di gruppo,
di gregge in cui mancano le stesse determinazioni dell'essere.
 
64 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Come la coscienza egoica, se non è scissa, comprende in termini di unità le sue energie
mentali, emozionali e fisiche, così il Sé comprende le indefinite espressioni vitali in termini
di unità e di sintesi. Anche qui, comunque, può determinarsi una scissura, come in effetti è
avvenuto, e l'essere si trova diviso, alterato, parte in contrapposizione del Tutto.

D. La politica, come normalmente ci viene offerta, è una burocrazia liberticida di apparati, è una
religione burocratica, e diserta i problemi profondi dell'uomo, quelle istanze che vanno di là dalla
semplice esistenza materiale o corporale. Da tempo mi sono sganciato da questo mondo d'illusione
che, in nome della libertà, della giustizia mondiale e del progresso sociale, cerca d'instaurare un
dispotismo totalizzante sulle masse; dispotismo di ordine economico, religioso, ideologico di partito,
ecc., ha poca importanza la denominazione.

In passato sono stato tacciato dai miei amici di partito di fuggire le richieste reali, immediate della
società, di evadere dall'impegno di lottare per altri, e cose di questo genere; io sostenevo invece che
erano loro ad evadere dai problemi umani più profondi, erano loro che vedevano l'essere in modo
alquanto superficiale, che fuggivano da determinate sfere esistenziali e in modo preconcetto le
rifiutavano a priori. Lentamente mi sono accorto che le nostre istanze divergevano: loro erano
impegnati a lottare contro il proprio simile, con una carica anche di odio, io invece cercavo l'umano
in me e negli altri; il loro era un problema esclusivamente sociale e contingente. Io oggi vado in
cerca di verità, loro vanno in cerca del potere politico e cercano di alimentare l'ascesa del Prìncipe.

Ho fatto alcune precise esperienze spirituali e non posso dubitare di sfere che normalmente non sono
percepite sensorialmente, per cui devo capire questa nuova visione, devo comprendermi in
quest'insolita dimensione. Ho notato, altresì, che la mente può costruirsi delle grosse prigioni, può
strutturarsi con degli apparati ideologici, scientifici e religiosi che non hanno niente a che vedere
con la Realtà, può chiudersi in certi schemi e usare magicamente l'abilità della logica per difenderli
anche con la forza (il linguaggio è una forza); ora, in che modo ci si può proteggere dalle costruzioni
mentali per quanto apparentemente belle, ordinate, logiche e intelligenti?

R. Cerco di comprendere la vostra posizione coscienziale, per quanto non vi conosca di


persona, però la politica, fino a quando esistono individualità, ha il suo preciso ruolo nella
vita sociale e, a certi livelli, non se ne può fare a meno; dunque, né contrapposizione né
fuga. E' certo, comunque, che i problemi umani sono tanti e tali che non possono essere
risolti da una semplice norma giuridica, né da un'organizzazione di partito che ha lo scopo
di salvaguardare i particolari bisogni elementari della vita di relazione, né dal semplice
cambiamento di strutture statali o parlamentari, né da quella religione che cerca di dare
solo conforto psicologico, né ancora da una scienza che cerca di penetrare i misteri della
forma o che ci offre un tecnicismo teologico imprigionante.

L'uomo ha tante sfere operative, tante dimensioni e tante necessità e, a seconda del suo
sistema esistenziale di coordinate, ha bisogno di una adeguata ricerca e della conoscenza
 
65 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

giusta e specifica. La politica, la religione, l'arte, la filosofia, la scienza, ecc., sono parti
essenziali del tutto esistente, ed egli nel tempo-spazio può passare dall'una all'altra
possibilità perchè la sua coscienza esige nuove esperienze e nuovi richiami. Tutti questi
fattori sono mezzi di crescita, se visti nella loro giusta prospettiva, ma spesso sono
considerati fine a se stessi, e l'individuo più che guidare la politica, la filosofia, la scienza,
ecc., si lascia guidare da esse e, a volte, anche imprigionare fino a perdere di vista il
soggetto agendi, cioè la sua coscienza.

Si arriva così alla conclusione che un dipartimento della vasta attività umana prevarica
sull'altro, o addirittura vuole annullarlo.

Là dove non c'è libertà d'investigazione, politica, religiosa, filosofica o scientifica, non può
esserci ricerca, e se la vita è sospinta dall'istanza di ricerca (che poi è un istinto
fondamentale della specie), ne consegue che, se tale ricerca non viene favorita, si blocca
quel progresso e quel libero e salutare sviluppo in nome dei quali molte ideologie, anche
scientifiche, operano e lottano.

Dunque, non dobbiamo né contrapporci alle varie manifestazioni della vita, né dileggiare
qualcosa che non comprendiamo o che non rientra nel nostro campo di sperimentazione,
ma possiamo difendere quell'istanza fondamentale di ricerca che è un elemento
inalienabile dello sviluppo dell'uomo in quanto tale. Abbiamo visto che la Filosofia
dell'Essere opera lungo quattro linee basilari, con eventuali suddivisioni, per dare,
appunto, a tutti l'opportunità di estrinsecare liberamente le proprie qualificazioni.
Veniamo adesso al punto più pertinente alla domanda.

Occorre fare molta attenzione per evitare che la mente si strutturi in apparati concettuali
chiusi; spesso essa si costruisce delle fortezze, solide e in apparenza inattaccabili, fino al
punto di divenirne prigioniera, cosicchè la coscienza è tagliata fuori dalla realtà. Ci sono
persone che non poggiano sull'aspetto vita, ma su illazioni sistematiche. Per quanto
possano pensare di essere giunte alla Verità, tuttavia girano al loro nucleo concettuale e
strutturato senza accorgersi che non sono nel Vero, ma nel falso sistema o teorema
esclusivamente personale.

Spesso, se si tenta di toccare quell'edificio, di farne un bersaglio o di demolirlo, la mente-io


sistematizzata ne rimane sconvolta, reagisce, difende le sue mura, può persino usare
violenza; l'esistenza di questi individui non poggia sulla Vita in quanto tale, ma sul
costrutto edificato con tanta pazienza e fatica. Ciò avviene in tutti i campi dell'attività
umana, anche in quello scientifico e religioso: le teologie dogmatiche hanno portato meno
sviluppo spirituale di quanto ne avevano promesso.

Se noi, è sempre bene ripeterlo, parliamo di Vedanta, di Asparsa yoga, di Platonismo, di


Alchimia, ecc., è perchè li intendiamo sotto l'aspetto filosofico e metafisico, naturalmente

 
66 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

realizzativo, e non sotto l'aspetto esclusivamente religioso o, peggio ancora, teologico-


concettuale.

La metafisica verte sui princìpi, sulla conoscenza essenziale o principale che tutti possono
cercare e sperimentare, non certo comunque con i cinque sensi. Da qui la Filosofia
dell'Essere, che è senza frontiere.

Lo stesso problema della maya (fenomeno) non va inteso in senso dogmatico, ma va visto
sotto l'aspetto della pura osservazione e della constatazione sperimentale. Se osserviamo
un contenuto psichico o un dato esterno e scopriamo che essi vanno e vengono e noi
persistiamo, che un certo ordine di fenomeni nasce e muore e un qualche ente invece
permane, tutto ciò, ribadiamolo, non è dogmatismo, ma semplice osservazione, riscontro e
riconoscimento, per cui possiamo trarre delle deduzioni.

Se la Filosofia tradizionale, ad esempio, insiste nel portare la mente al silenzio, ciò è per
evitare che la coscienza poggi sul pensato, sul costrutto, sulla rappresentazione, anzichè su
se stessa (Plotino, Enneadi).

L'ascesi consiste nel risolvere il movimento-divenire e nel raggiungere il proprio stato


senza moto, il proprio asse e la propria realtà intorno a cui i fenomeni appaiono e
scompaiono, intorno a cui la potenza mayahica promana il flusso dei fenomeni formali
(Plotino, Enneadi).

Abbiamo parlato di costrutti cristallizzati a livello scientifico perchè anche in questo


campo vi sono stati e vi sono castelli teoretici che lottano per non essere demoliti. Anni
addietro la trasmissione di un programma radiofonico della Germania occidentale
riguardante argomenti scientifici ed educativi ebbe per tema: Falsificatori nel campo
scientifico; essa trattava di imbrogli perpetrati da scientisti per convalidare le loro teorie.
Purtroppo, e spesso, sono le passioni umane quelle che dirigono la scienza, la politica e la
religione organizzata e totalitaria.

D. Il pensiero è fonte di comunicazione, se lo inibisco mi sembra di non comunicare più e di essere


totalmente isolato. In che condizione mi trovo se non penso più?

R. Prima di tutto non è questione d'inibire il pensiero, di ucciderlo o negarlo.

Il pensiero, poi, può unire, ma può anche dividere. Anzi, osservando la storia dell'uomo
pensante, dobbiamo riconoscere che esso ha più diviso che accomunato e affratellato.
Diremo che il pensiero, come sentimento, opera in modo duale.

Inoltre, v'è da considerare che il rapporto esistenziale può essere stabilito a diversi livelli,
uno dei quali è rappresentato appunto dal pensiero.

 
67 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Si può comunicare a livello istintuale, emozionale, di pensiero e con altri mezzi più perfetti
e più capaci di cui l'individuo si sta rendendo conto solo oggi.

Vede, noi consideriamo limitato il regno animale perchè si esprime soprattutto con
l'istinto; ebbene, una coscienza sovraindividuale considera limitato il regno umano perchè
si esprime peculiarmente con la mente-pensiero. Attribuiamo somma importanza, e
qualcuno anche valore assoluto, alla mente, mentre per altre espressioni di vita essa è uno
strumento molto ristretto, imperfetto e materiale. Cerchiamo perciò di non rendere
assoluto il pensiero considerandolo come l'unica fonte di comprensione e di rapporto o
contatto.

La prima cosa che occorre fare è, quindi, ridimensionare la portata della mente e, di
conseguenza, del pensiero concettuale. Quando poi si cerca di voler carpire dimensioni
che trascendono la mente individuata, è inevitabile che necessita rivedere la propria
posizione nei riguardi dell'individuale e, se il caso lo richiede, di abbandonarlo pure. Se
volgiamo andare sulla luna dobbiamo abbandonare il supporto-terra perchè non ci serve
più.

Se volgiamo cercare e realizzare il Sé, che vive di luce propria, dobbiamo abbandonare
tutti i supporti o quei riflessi che non sono la luce. Di fronte allo slendore del sole a che
cosa ci serve il debole raggio della luna? Vi prego di non pensarvi in termini di istinto, di
sentimento o di pensiero; cercate di là da questi prodotti e scoprite quello che tutti i grandi
Saggi hanno detto e sperimentato.

Concepirsi solo come individualità con i relativi problemi significa trovarsi in quella
fortezza concettuale chiusa e dogmatica di cui si parlava poc'anzi. E se altri vi
costringessero a voler interpretarela vita in termini di io o di esperienza esclusivamente
umana-individuata-egoistica, potreste benissimo respingere questa filosofia assolutista e
unilaterale. Scrive Plotino: Pure, in questo momento, l'Anima è atteggiata in modo tale da
avere a vile finanche il pensare, che in altri tempi aveva così caro, poichè il pensare implica
già una sorta di movimento; ma una tale Anima non vuole più muoversi... (Plotino,
Enneade).

Concludiamo questa serata col dire che se per alcuni possono essere valide e giuste
particolari esperienze, per altri, invece, possono essere controproducenti, insignificanti e
persino assurde.

 
68 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

FILOSOFIA DELL'ESSERE. 

D. Stiamo parlando di Filosofia dell'Essere e ciò mi induce a pensare che stiamo andando contro
corrente, se osserviamo la tendenza odierna del pensiero scientifico, politico e filosofico che considera
reale ciò che diviene, che è movimento, che è storia. In conclusione, secondo la visione occidentale
dell'oggi, è reale proprio quel samsara che è, invece, illusorio per la Filosofia dell'Essere.

R. Se è possibile vorrei sapere che cosa pensa lei di tutto questo. Presumo che sia venuto
qui in seguito ad esperienze e a certe sintesi di pensiero, altrimenti facciamo delle
discussioni inutili. D'altra parte mi sembra che abbiamo già parlato di certe cose.

D. Sì, ha ragione. Ho posto male la domanda. La visione filosofica dell'oggi mi lascia perplesso
perchè se io, in quanto ente, sono semplice storia, processo e movimento che appare e scompare, devo
concludere che il mio futuro si chiama annichilimento totale. Così, io non vado verso la vita, ma
verso la vacuità. Se il mio destino è tale, mi chiedo quale incentivo potrebbe nascere in me per farmi
agire, amare, procreare, far politica e rivoluzione; in poche parole, in che senso e con quali
motivazioni potrei determinarmi avendo innanzi a me la spaventevole prospettiva
dell'annientamento? Si fa un bel dire quando da una parte mi si incita a lavorare, a rendermi utile,
a lottare e dall'altra mi si offre lo spettro della distruzione e della nullità del mio essere; quando da
una parte mi si dà la carota per vivere, e dall'altra una tomba senza speranza. Io ho riflettuto su
tutto questo e, mentre posso costatare il divenire e il movimento che va e viene, posso anche sentire
un'istanza più profonda che si rifiuta di considerarsi processo, contingenza e vacuità. Il mio
problema è se questa istanza più profonda risponde alla voce dell'Essere. Ho necessità di
comprendermi, non posso semplicemente stordirmi nel carpe diem o nei trastulli professionali,
familiari e politici.

R. Prima di tutto mi consenta di congratularmi con lei per la sua istanza filosofica. Sono
del parere che un vero Homo sapiens per vivere ha necessità di certi princìpi universali,
filosofici o metafisici che dir si voglia.

Che cosa possiamo dire sulla filosofia del divenire? Ne abbiamo già parlato; comunque,
riprendiamo il discorso. Le ripetizioni possono giovare.

Innanzi tutto dobbiamo comprendere una cosa: se la visione corrente della vita sia in un
modo o in un altro, ciò non ha alcuna importanza. Se questa visione sia l'effetto di una
ricerca scientifica, ciò ha altresì poca importanza. La scienza si occupa di certi fatti e ha un
suo metodo d'indagine peculiare alla sua natura. Che la scienza, allo stato attuale, non
rappresenti tutto lo scibile è un altro fatto da tener presente. Che in una particolare epoca
possa prevalere una determinata ideologia politica a scapito di altre, anche questo ha poca

 
69 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

importanza; ogni epoca ha il suo Prìncipe. Ma in ogni epoca, e in tutti i campi, ci sono
anche puri ricercatori amanti del vero, del giusto e del bello.

Ritornando alla concezione filosofica preminente dell'oggi, possiamo dire ch'essa non è
propriamente moderna; è antica quanto il mondo. In ogni modo, condivido ciò che ha
detto il nostro amico: una filosofia meccanicistica, storicistica e del divenire non può non
portare al nullismo e al nichilismo traumatico. Inoltre, poichè l'uomo vive, checchè se ne
possa dire, anche di etica, se la visione della vita porta ad un vicolo cieco, la sua azione e il
suo comportamento si trovano ugualmente senza sbocco, senza motivazioni razionali,
senza direzioni plausibili.

Se poi qualcuno vive solo per mangiare, copulare e arricchire, costui faccia pure;
reputiamo però legittimo che non ci imponga con la forza, la violenza o la brutalità questo
modo di vivere circoscritto e alienato.

La filosofia del divenire è filosofia di bisogni corporali, ma l'essere è qualcosa di più che
escrementi e sperma, egli è anche Intelletto (nous), e dimenticarlo significa disconoscere la
sua parte più significativa ed essenziale. L'essere è infinito e universale, e solo
trascendendo la sua prigione corporale può ritrovarsi in piena libertà e compiutezza. Ogni
altra libertà è illusoria, è falsa libertà.

D. Scusi se la interrompo. La visione filosofica del divenire afferma però che la vita è eterna,
l'universo è infinito.

R. Mi sembra che non sia stato accertato se l'universo è finito o infinito, chiuso o aperto,
ecc. In ogni modo possiamo prendere ugualmente quest'affermazione come campo
d'ipotesi. Dire che il divenire-movimento-storia è eterno mi sembra una contraddizione in
termini. Non si sostiene forse che una stella nasce, cresce ed esplode? Non si sostiene forse
che il nostro sole ha sei o sette miliardi di anni di vita? Dunque, questo divenire-
movimento planetario, con tutto ciò che vi è dentro, ha un suo inevitabile destino:
l'annientamento o la vacuità. I due termini divenire ed eterno sono contraddittori, si
escludono reciprocamente. Tutt'al più il divenire può essere correlato alla durata, alla
persistenza che, appunto, è limitata nel tempo. Avremmo così che l'universo è finito ma
illimitato, con sistemi di coordinate illimitati o indefiniti.

D. Penso che l'amico volesse dire che è eterna l'energia di cui sono fatti le stelle e i pianeti, non un
pianeta o una stella in se stessi in quanto corpi o strutture molecolari celesti.

R. Quest'affermazione è compromettente per la filosofia del divenire perchè dà ragione


alla Filosofia dell'Essere. In poche parole si vuole sostenere questo: il mondo dei nomi e
 
70 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

delle forme scompare e rimane la sola energia allo stato puro, inqualificato e increato.
Ebbene, questa è la Filosofia dell'Essere, Filosofia, ricordiamolo, non creata dalla mente
dell'uomo.

Sotto tale prospettiva, quella voce o istanza più profonda, a cui accennava il nostro
precedente interrogante, è vera perchè è la voce dell'Essere, è la voce dell'Energia
immortale. Vi prego di comprendere alcuni termini che non sono abituali nella nostra
visione; d'altra parte, in questi nostri incontri ha poca importanza la terminologia; ha
importanza invece ciò che le parole vogliono implicare.

D. Quest'Energia immortale, eterna e increata è ciò a cui si dà il nome di Dio?

R. A questo punto è irrilevante questionare sui nomi. Che tale Realtà venga chiamata Dio,
Natura, Intelligenza, Isvara, Essere, ecc., non ha importanza, ha importanza ch'essa esista.
Plotino, abbiamo visto, afferma che noi uomini siamo sbattuti, come per doglie,
nell'incertezza della parola che convenga dare all'Ineffabile. Anche nella Mandukya
Upanisad, si può leggere: Coloro che conoscono il prana (energia superfisica), chiamano
prana la realtà-atman; coloro che conoscono i bhuta, chiamano realtà i bhuta (gli elementi
materiali); coloro che conoscono i guna, chiamano realtà i guna;... quelli che conoscono gli
oggetti dei sensi, considerano i sensi-oggetti la realtà...; i conoscitori della sfera sottile
designano la realtà come sottile; i conoscitori della sfera grossolana (materiale) chiamano
realtà il mondo grossolano; coloro che adorano una Persona (Dio), sotto qualunque forma,
considerano realtà la Persona, e coloro che non credono ad alcuna forma chiamano realtà
la vacuità...

I conoscitori del tempo chiamano realtà il tempo... (Mandukya Upanisad con versi-karika
di Gaudapada e il commento di Samkara).

Questi sutra di Gaudapada, che appunto si trovano nella Mandukya Upanisad, sono molti
significativi e illuminanti.

D. Qual è la conseguenza più immediata che scaturisce da questa visione?

R. Incominciamo ad uscire dal senso di proprietà, d'identificazione e di esclusivismo che


abbiamo nei riguardi delle forme; per esempio, non ci consideriamo più un semplice
corpo-oggetto contingente. Abbandoniamo finalmente il senso dell'io perchè si riferisce a
qualcosa che è perituro e non reale-assoluto. Rettifichiamo la nostra valutazione delle cose
perchè sappiamo che la realtà eterna, immortale, permanente e compiuta è di là
dall'impermanente e dal divenire-processo.

 
71 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Consideriamo le cose-eventi per ciò che veramente sono: semplici apparenze che non
fanno in tempo a nascere che già spariscono; non ci facciamo più irretire dal domani e
dalla stessa morte perchè, se esiste un ente che è costante, noi, in ultima analisi, siamo
proprio quest'ente. Sconfiggiamo la causa del conflitto e del dolore rappresentata
dall'illusione-ignoranza che considera reale-assoluto ciò che invece non lo è, viviamo la
gioia che nasce dal riconoscimento della nostra eternità, compiutezza e pienezza. Se l'io-
appropriazione è la causa dell'incompiutezza, risolviamo l'io affermativo e ritroviamoci
Energia in libertà. La stessa esperienza umana può divenire un campo di gioia innocente.

D. In termini etici, di comportamento pratico, di vita concreta, in che cosa si traduce la Filosofia
dell'Essere?

R. Possiamo rispondere con una sola parola: compartecipazione, e la compartecipazione


responsabile la potremo avere se trasformeremo la visione della vita. I quattro ordini
compartecipano all'esperienza dello sviluppo globale coscienziale.

Nella società del divenire l'individuo si vende, si offre allo stato, all'organizzazione
sindacale, al padrone, alla ricchezza, ecc., e l'intento è quello di perfezionare il suo
prodotto, affinare la sua espressione, adornarsi di attributi che sono richiesti dal "mercato".
Nella società del divenire, l'uomo è come il camaleonte: ogni stagione cambia vestito,
connotati per rendersi accettabile al compratore. Nella società del divenire ogni rapporto è
caratterizzato dal mercanteggiamento, dalla domanda e dall'utile; anche l'amore segue la
stessa legge: rappresenta un do ut des che può essere valutato in termini di perdita o di
profitto. L'individualità vale a seconda del suo avere, del suo possedere.

D. Se la filosofia del divenire è caratterizzata dall'io, mi chiedo come è nato questo io?

R. L'io in sé e per sé non è un ente o una realtà assoluta. Più che di io si può parlare di
senso dell'io, di sentimento dell'io. Qualche volta abbiamo detto che la mente-coscienza
può identificarsi o immedesimarsi con i suoi prodotti, con i suoi effetti; ebbene, da tale
identificazione nasce il senso dell'appropriazione, il senso del mio e dell'egotismo.

Se tu guardi con innocenza un fiore, tra te e il fiore esiste solo un rapporto di


contemplazione sovraegoico in cui spariscono le identità particolari, ma se ti poni come io,
allora tra te e il fiore-forma nasce un rapporto di preciso riferimento, nasce il senso di
appartenenza, di proprietà; il fiore, in quanto forma, lo fai tuo, lo senti tuo, lo esclusivizzi.
Abbiamo il senso di proprietà anche delle nostre idee: il processo è lo stesso.

 
72 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Bisogna riconoscere che il fiore o le idee non hanno alcuna colpa, sono innocenti. Il mondo
delle cose non è responsabile del senso di proprietà che noi sviluppiamo. Lo sbaglio sta
nella nostra identificazione-appropriazione con il mondo delle cose.

Col tempo il senso dell'io (ahamkara) prende una tale consistenza da diventare un ente
apparentemente reale e sostanziale, tanto sostanziale da condizionare l'intero uomo. E'
ovvio che non possiamo eliminare l'universo e le cose (questa, poi, per tanti motivi, non
sarebbe la strada giusta), ma possiamo trovare un appropriato rapporto tra noi e
l'universo. L'errore, è bene ripeterlo, non è nelle cose, ma nel nostro accostamento ad esse,
e soltanto modificando quest'accostamento modificheremo tutta una serie di rapporti
falsati.

D. Dunque, tutto ciò che è appropriazione e possesso non appartiene alla società dell'Essere?

R. Tutto quello che è senso del possesso e amore per le cose-oggetti, a qualunque ordine e
grado possano appartenere, è attinente alla società del possedere, dell'avere, del prendere,
del divenire, non a quella dell'Essere che non ha altro che il Sé in quanto, appunto, Essere.
L'individuo è qui solo per Essere, non per avere né per fare.

Riflettete: l'erudizione stessa appartiene ala società del divenire, mentre la Conoscenza è
qualità consustanziale all'Essere. L'erudizione scientifica, filosofica, letteraria in genere,
ecc., è un capitale che può essere impiegato anche per sfruttare gli altri, coloro che non
posseggono erudizione. Molte rivoluzioni sono manipolate dall'erudito. La schiavitù e
l'asservimento non avvengono solo sotto la pressione del capitale-denaro, ma anche sotto
quella maggiormente efficace, del capitale-erudizione. Da quanto abbiamo esposto,
possiamo comunque dedurre che non è la ricchezza che ci imprigiona, ma il nostro non
giusto accostamento ad essa.

D. Il clero di tutto il mondo, che vive di ricchezza e di appropriazione, segue la filosofia del divenire
anzichè quella dell'Essere. E' in buona o in mala fede?

R. Vi prego di porre delle domande pertinenti; a noi interessa comprendere e riconoscere


la Filosofia dell'Essere; se poi alcuni che dicono di seguirla la tradiscono, non sta a noi
giudicare o condannare. Possiamo semplicemente costatare che vi sono delle
degenerazioni, e le degenerazioni possono essere sempre rettificate con la giusta azione.

D. Vede, ritornando all'io, ciò che fa paura è questo annullarsi come io, il perdersi nell'Energia
universale senza nome e forma. Io penso che la filosofia del divenire, dell'esaltazione e del culto

 
73 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

dell'io-persona faccia leva sull'istinto di conservazione del corpo, della forma. E' inevitabile che la
maggioranza si riconosce come istinto, desiderio, passione ed egoismo che sono connaturati al
mondo della forma e dell'io; quindi la filosofia del divenire segue la linea di minor resistenza,
mentre la Filosofia dell'Essere è di pochi, di quelli che si stanno risvegliando alla consapevolezza
della loro essenza più profonda e trascendente, di quelli che stanno percependo la loro immortalità,
di coloro che stanno rifiutando l'asservimento socio-politico e religioso organizzato e totalitario.

R. Se l'io ha paura di perdersi e annullarsi, non possiamo non capirlo. L'io, essendo un
relativo e un contingente, sente odore di morte dappertutto. Più si è identificati con i
veicoli, fatti di divenire e di processo, più si hanno paura e presentimenti funesti. Ma,
ripeto, non può non essere così. Eppure a livello realizzativo si hanno delle esperienze ben
precise, ad esempio, di uscita dal corpo fisico. Siamo ancora a dimensioni intraindividuali,
comunque ciò è significativo. L'esperienza della Coscienza universale, causale, noumenica,
inevitabilmente implica la rottura di livello dell'egotismo, dell'io-individuo
tridimensionale, dell'io-nome e forma. E' pe rquesto tipo di esperienza che molti non sono
pronti; essi sono troppo fusi con la loro circonferenza individuata egoistica, sono
potentemente attratti dal centro gravitazionale del circoscritto, sono assorbiti dalla potenza
della loro subcoscienza egoica. Tutti i Grandi hanno detto che se non si muore, non si può
rinascere; che se non si cessa di essere un io, non si può realizzare il Sé; se non si
abbandona l'egoismo, non può nascere l'amore. Tutta l'ascesi consiste nel morire ogni
giorno a se stessi, ma in modo concreto e non a parole. Gli attaccamenti al mondo del
fenomenico e del contingente sono tanti, alcuni assai sottili e subdoli. Se non si usa la
spada della discriminazione, non è facile snidare alcuni tipi di aderenze che possono
sembrare virtù. La piacevolezze sono molte e l'io non vuole rinunciarvi; ma è nella
rinuncia che la coscienza può trovare l'opportunità di volere verso la gioia di Essere.

D. Dunque, la società dell'Essere si esprime soprattutto con la legge della compartecipazione; ciò
implica abdicare all'io ambizioso di potere che opera su un piano di lotta, di contrasto, esclusivismo
e alienazione. Inoltre, essa tende a riconciliare tutti i dualismi compreso, penso, quello tra uomo e
natura; sotto questa prospettiva si pone sulla linea verticale, volendo superare il mondo della
necessità. Marx nel Capitale dice: Ma si tratta pur sempre di un regno della necessità (si riferisce al
regno del lavoro e delle istanze sociali). Di là da questo, inizia lo sviluppo dei poteri umani che è il
suo fine proprio (dell'individuo), il vero regno della necessità quale suo fondamento. Questa
concezione può collimare con quella della Filosofia dell'Essere?

R. Forse molte cose di Max andrebbero riviste, soprattutto dai suoi sostenitori, con l'effetto
che la sua dottrina acquisterebbe di più e sarebbe meno restrittiva. In ogni modo, quello
che lei ha detto sulla Filosofia dell'Essere risponde al vero. Ha parlato di natura, ed è bene
ribadire che la Filosofia dell'Essere ha il massimo rispetto per le cose del mondo perchè
queste non sono qui per essere sfruttate o distrutte, ma per svelare, appunto, il loro essere
 
74 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

ed esistere. Nella società del divenire e del profitto, la stessa terra viene violentata dal
potere tecnologico, dalla iperstimolazione (fertilizzanti), dal superprofitto che se ne vuole
ricavare, dallo strafare. Una zolla di terra, una pianta, un animale non sono lì per essere
sfruttati, spremuti e violentati. Da qui anche la compartecipazione, l'accordo e l'armonia
con i vari regni di natura o con i diversi stati dell'Essere.

 
75 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

ARTE TRADIZIONALE. 

D. Se gli altri acconsentono, questa sera vorrei porre una domanda che verte sull'arte. Su questo
tema, se non le dispiace, potrei avere una risposta semplice e chiarificatrice? Ho letto qualcosa in
merito, ma devo precisare che ho capito ben poco. Alcuni autori, lasciandosi prendere dalla
discorsività e dall'erudizione, perdono di vista la sintesi e la chiarezza. Se mi consente, vorrei anche
dire, adesso che ne ho l'opportunità, che sono lieto di aver assistito al dialogo sugli ordini sociali.
Avevo su di essi un'idea un po' diversa, soprattutto in riferimento ad alcuni punti. Concepire gli
ordini sociali come espressione armonica del vivere e dell'agire, in cui ognuno, più che guardare al
potere o alla propria superiorità o inferiorità, deve trovarsi al suo giusto posto come umile
strumento funzionale, personalmente lo trovo corretto e meraviglioso. E' difficile vedere il
funzionamento della vita dalla prospettiva dell'armonia perchè l'individuo, per quanto se ne possa
appropriare, quando esprime i principi universali nella sua dimensione umana, li degrada e li
subordina all'individualità orgogliosa e fanatica. Voglio dire che l'uomo invece d'innalzarsi
all'azione innocente e armonica universale, antropomorfizza questa e l'adatta alla sua misura. Così
facendo la Gerusalemme celeste e quella terrestre saranno sempre due entità distinte e separate.

Con un gruppo di amici con cui condivido l'esperienza, sono propenso a fare la domanda sull'arte
perchè presumo di completare il quadro pertinente alla mia vocazione. Dunque, tempo fa ha parlato
di arte e filosofia nella seconda; che cosa intende per arte? In che senso può essere utilizzata come
mezzo di elevazione?

R. Mi riferisco all'arte della Filosofia dell'Essere o, meglio, alla Filosofia dell'Essere


applicata al dominio dell'arte.

D. L'arte non è sempre la stessa? Non c'è una sola arte e una sola conoscenza?

R. Certo. Vi è una sola arte ed è quella che svela adeguatamente l'Idea per mezzo della
forma-volume.

D. Non comprendo bene. Vuole spiegarsi meglio, per piacere?

R. L'arte della filosofia del divenire ha come punto di riferimento il corpo o la forma in
senso lato, fine a se stesso, e come strumento espressivo il sentimento estetico, cioè il
sentire; ha quindi come oggetto ultimo la forma, il volume, e come strumento percettivo e
d'interpretazione il sentimento, vale a dire l'attrazione-repulsione. L'arte deve piacere alla
sensibilità egoica, per cui l'opera d'arte è relativa e contingente alla stessa relatività e
caducità dell'io. In altri termini, è un'arte che nasce dal sentimento egoico (da qui anche la

 
76 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

manìa del personalismo artistico) ed è diretta al godimento estetico del singolo. Sotto
questa prospettiva, essa viene appiattita e costretta in una semplice dimensione
orizzontale per cui non solo è mortale, ma non è neanche educativa perchè, appunto, non
tocca l'essenza stessa dell'essere, non stimola la profondità trascendente della persona.

L'Arte della Filosofia dell'Essere ha come punto di riferimento l'Idea, il Princìpio, il Bello
puro, il Vero; come strumento percettivo l'intuizione superconscia (mentre l'artista della
filosofia del divenire prende molto dalla sfera subconscia e psichica intermedia) e come
supporto di precipitazione la forma, il volume.

L'estetica della Filosofia dell'Essere non è in relazione con il piacere-dolore, con


l'attrazione-repulsione, con il godimento-piacere o ripulsa, ma è in relazione con la
Bellezza, con l'Armonia, con l'accordo dell'Archetipo o Idea.

Ciò implica che l'estetica tradizionale è uno stile d'espressione, uno stile di vita, un modo
di essere. Essa cerca di rendere l'animo sensibile al Bello universale che è espressione
dell'Artista o Architetto principale.

Per la Tradizione primordiale l'arte è ricerca, è slancio verticale per captare il Vero e il
Bello e, nello stesso tempo, manifestazione orizzontale per svelare la commensura
geometrica dei toni luminosi. L'artista della filosofia del divenire è suscitatore di piacere
sensoriale, quello della Filosofia dell'Essere è suscitatore di Armonia con la vita universale.

Dalla prospettiva tradizionale ogni forma-corpo viene vista come un'architettura che
sprigiona la Bellezza dell'Idea; chi contempla attraverso la forma vede la sublime Bellezza
della geometria archetipa dell'Essere. La forma è un supporto di contemplazione degli
Intelligibili, quindi di elevazione all'Armonia e al Bello che sono in noi. L'arte così
concepita è un sentiero di realizzazione, è una Via di Bellezza che porta alla suprema
Bellezza che è suprema Perfezione.

Chi segue questa Via, gradatamente potrà percepire e contemplare la Bellezza, l'Armonia,
l'Accordo che si svelano mediante la bellezza, l'armonia e l'accordo delle forme-volumi.
L'arte deve nutrire il corpo e l'anima del soggetto contemplante. Platone, Plotino, ecc., la
indicano, appunto come Via di realizzazione.

Il vero artista rende visibile l'Invisibile ed educa la corda vibrante dell'osservatore alla
captazione dell'Invisibile; egli è Maestro, come lo ksatriya è Maestro dell'arte militare. C'è
quindi l'iniziazione in riferimento all'ordine dei Mestieri e delle Arti. Anche l'Amore è una
Via di realizzazione, e sotto questo aspetto è un'arte di contemplazione.

 
77 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Ho letto alcune pagine del libro: La Via del Fuoco, che mi sembrano attinenti a quanto stiamo
dicendo; anzi, debbo dire che adesso comprendo meglio il loro significato. Alcuni aforismi cercano di
dare questo tipo di stimolazione.

R. Sì. Soprattutto alcuni capitoli, se letti con la giusta attenzione, possono stimolare
adeguatamente. Se parliamo di Accordo, Armonia, Amore, ecc., è sempre in riferimento al
commensurarsi con l'Ordine universale. Amare il princìpio significa essere in accordo con
la Vita universale.

D. (Penultimo interrogante). Dunque, se ho ben compreso, l'arte della Filosofia dell'Essere non è
prodotta in funzione del godimento o piacere sensibile?

R. No, tutt'altro. Quando l'arte perde la sua funzione catartica e trasfigurante, si


abbandona all'esaltazione dell'estetica emotivo-sentimentale fine a se stessa. Così la
religione, quando perde il contatto con la sfera trascendente, si accontenta di dare solo
conforto emotivo. Quando la politica perde di vista il Dharma universale, si risolve in una
demagogia autoaffermativa per espandere l'io e la sete istintiva di potenza di un singolo o
di più persone. Quando gli Ordini sociali perdono di vista il Princìpio da cui promanano,
non può esserci che guerra di classe. Ciò che spesso viene definito sensibilità
dell'individuo, non è altro che reazione animale-istintuale; anche le piante hanno questo
tipo di sensibilità, e persino i minerali. Ma l'arte non deve tendere a suscitare reazione,
bensì azione promotrice di Accordo, di Armonia e di Bellezza.

D. Armonia-Bellezza intesa sempre come commensurata con l'archetipo?

R. Sì, l'abbiamo già detto; Armonia è vibrare all'unisono con l'Idea; è commisurarsi al
Princìpio; è rendere l'archetipo e il prototipo un'armonica unità espressiva. Tutto ciò è
frutto di intuizione e contemplazione.

Può considerarsi anche la Musica sotto tale prospettiva. Platone dice: E' l'armonia, che ha
moto simile a quello dell'anima, che vive in noi, non deve costituire, per chi, con
l'intelletto, si avvale delle Muse, fonte di fatui piaceri, perchè essa è stata data dalle Muse
per ricomporre e rendere in accordo a se stesso il moto dell'anima che sia venuto
disarmonico; e così anche il ritmo, che in noi è privo di misura e di garbo, fu dato dalle
Muse per lo stesso fine. (Platone. Timeo). Pitagora basò la Filosofia sulla legge
dell'Armonia.

D. Ciò implica che l'artista ha delle grandi responsabilità in seno alla società?

 
78 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Certo. Nella società dell'Essere non è solo l'artista ad avere responsabilità ben precise (si
è detto che l'artista che ha realizzato tale Arte è un Maestro), ma tutti i membri del corpo
sociale perchè essi si esprimono in definitiva per mezzo di un'arte. La vita sociale,
imperniata sulla Filosofia dell'Essere, è motivata dalla giusta azione rispondente anche alla
tendenza inerente ai guna, mentre la società del divenire è semplicemente motivata e
impulsata dall'attivismo, dalla produzione quantistica e dall'affarismo.

La prima tende verso l'alto per poi ritornare in basso e dispiegare l'Idea; ciò implica che la
giusta azione è innanzitutto affetto di contemplazione. La seconda, essendo determinata
dall'io o dall'istanza individualistica, tende al fare per il fare, all'azione,
all'autocompiacimento e all'autoespansione piuttosto che alla realizzazione del Sé. Dalla
visione dell'Essere ogni cosa va fatta con Arte. Da qui la compostezza, la dignità, il
distacco, che si richiedono nell'azione. Un imprenditore (vaisya) identificato con il suo
lavoro e con i frutti del lavoro come, ad esempio, il denaro, non è in armonia con l'Idea,
non compie la giusta azione, non vive con arte, con compostezza, non si adegua alla
Filosofia dell'Essere. La sua mente andrebbe rieducata.

D. Usa spesso queste parole anche nel libro: La Via del Fuoco, hanno dunque relazione con
quest'arte?

R. Sì. C'è un'arte anche nel morire come io. La Via del Fuoco è una sadhana che si attua
con compostezza, con dignità, con ardire e con la giusta azione.

D. Noi parliamo di arte, di armonia e di bellezza, ma la vita dell'oggi, purtroppo, è caratterizzata


dalla violenza e dall'affarismo consumistico a tutti i livelli. Ciò disturba l'ascesi.

R. Lo penso anch'io. La violenza è frutto di reazione animale. Dobbiamo trovare il


coraggio di affrancarci dalle proiezioni dei persuasori occulti.

D. Eppure nelle civiltà tradizionali vi furono violenza e anche sacrifici cruenti. Come spiega questo
fatto?

R. Noi stiamo parlando della pura Visione dell'Essere. Abbiamo detto che le degenerazioni
ci sono state sempre, purtroppo, e non solo nel campo religioso.

Ma occorre distinguere ciò che è degenerazione di una Visione, dalla Visione stessa che è
di là da ogni conflitto e imperfezione egoica. Ricordiamoci che l'età oscura è incominciata
da molto tempo.

 
79 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Oggi viviamo un attivismo caotico perchè l'uomo gradatamente ha perso la Visione e la


contemplazione, ha perso la vera Arte, la sola che possa portarlo all'armonia e alla
trascendenza sensoriale.

D. (Primo interrogante). Così, tutte le attività della società dell'Essere tendono al fine di stimolare
l'armonia dell'anima? Hanno una validità educativa di crescita spirituale?

R. La maggior parte delle attività della società del divenire è promossa dall'io e per l'io,
quindi sono attività che nascono e muoiono nella sfera dell'individuato.

Una società il cui operare si esaurisca in un semplice aspetto della totalità dell'Essere, non
può non essere monca ed escludente.

Ogni attività, motivata dall'io e compiuta per l'io, è caratterizzata dalla violenza, dalla
competizione, dal profitto, dalla vanità, dall'utilitarismo etico e dall'edonismo. Se l'uomo
non subordina il suo agire al Princìpio, prima o poi si troverà nella confusione mentale e
nel disordine sociale. Se l'azione non tende verso la Verità, degenera in attivismo con tutte
le conseguenze che ne possono derivare; la società odierna ne sta sperimentando i frutti.

Abbiamo detto che l'imprenditore (vaisya), come il prestatore d'opera (sudra), il politico
(ksatriya), ecc., devono considerare il lavoro come mezzo di elevazione, di emancipazione.
Sotto questa prospettiva non possono sussistere lo sfruttamento o la coercizione perchè
ognuno si trova al suo giusto posto. Nel Gita, Arjuna deve combattere (produrre l'azione)
per un preciso Dharma universale, non per se stesso in quanto io.

D. L'azione dunque non è rifiutata dalla Filosofia dell'Essere?

R. L'azione ha una sua funzione; non è poi l'azione in sé che impedisce la realizzazione. La
Filosofia dell'Essere non condivide l'attivismo irrequieto, il voler fare per fare, quel
muoversi egoico che imprigiona. La contemplazione e l'azione sono due attività dello
spirito con loro proprie direzioni. Non sono in opposizione. Dipende dalla vocazione
personale perseguire l'una o l'altra.

Di là da queste attività, comunque, c'è l'Essere il cui stato non può essere descritto né in
termini di contemplazione né in termini di azione.

D. Perdonate se faccio questa considerazione. Anche a questo proposito alcuni si azzuffano per
dimostrare la superiorità dell'una sull'altra, a seconda dei casi.

 
80 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Perchè interpretare la vita, con le sue varie espressioni, in termini di superiorità e di


inferiorità? La contemplazione e l'azione rappresentano una polarità, ma oserei
aggiungere che sono semplici concetti verbali.

Nella sfera del manifestato tutto è azione o movimento, solo che l'azione compiuta sul
piano non-formale o principale è diversa da quella compiuta sul piano formale. Potremmo
dire che sono due atteggiamenti coscienziali certamente non uguali, ma nemmeno opposti
o escludentisi.

Comunque, voi che tendete più alla Realizzazione che a difendere le preferenze egoiche,
cercate di percepire l'Armonia dappertutto; è solo la mente che interpreta in termini di
superiore e inferiore, di grande e di piccolo, di maggiore e minore, di comandante e
subalterno. Le guerre spesso avvengono per difendere un princìpio di superiorità.

D. Ha parlato d'intuizione e contemplazione; che cosa intende con questi termini?

R. Intendo quell'intuizione che spazia di là dal sensibile e dal pensiero discorsivo, che
affonda le sue radici nell'eterno principale. Contemplazione è qualcosa di più; risponde al
samadhi vedantico; contemplare è vedere.

D. (primo interrogante). L'artista è un creatore o un imitatore? Chiedo scusa agli amici, ma


vorrei pregarli di non allontanarsi dal problema dell'arte.

R. Secondo la Filosofia dell'Essere l'attività dell'artista si risolve nel percepire i modelli


dell'Essere e nel manifestare il corpo, il supporto, la forma d'espressione. Ciò è un atto
d'intuizione e di creazione.

Dio pensò in se stesso idee giuste e le creò; l'artista fa lo stesso: in sé percepisce le Idee e
crea il conseguente veicolo di manifestazione. Per ritrovare il Bello, l'anima non deve
guardar fuori, non deve estrovertirsi ma, astraendosi dal sensibile, deve ritornare in se
stessa e percepire così l'Accordo-Armonia consustanziale alla sua natura.

La filosofia del divenire, invece, concepisce l'arte come imitazione o ri-creazione delle
forme della natura, secondo lo stile individuale dell'artista. In altri termini, l'artista guarda
più all'esterno che all'interno di sé, e fissa solo le copie della Realtà, le ombre senza vita.

Con la prima visione egli è libero sul piano creativo formale, mentre con la seconda è
sempre condizionato dalla natura già formata, oggettivata.

D. Però imita sempre il mondo delle Idee.


 
81 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Per non servirsi del mondo delle Idee occorre che lo stesso artista si ponga fuori della
natura dell'Essere, ciò che, ovviamente, è impossibile.

Insistiamo nel dire che egli eguaglia il grande Architetto o Artista divino, ma non può
porsi fuori o sopra la Realtà.

Si deve aggiungere che, in linea di massima, l'arte profana non comunica le Idee, ma è
semplicemente suscitatrice di mere eccitazioni o stimoli emotivi, spesso anche istintivi: il
video, il cinema e la stessa letteratura, rappresentano generalmente strumenti provocatori
di reazioni istintuali e sentimentali. Ogni cosa viene creata per suscitare piacere, quindi
sensazioni, più che Idee e princìpi. E l'arte, nascendo dalla stessa sfera del sentimento,
diventa conseguentemente individualista, soggettiva, egoista, competitiva.

Dall'arte si dovrebbe escludere ogni esibizionismo individuale.

L'artista iniziato, e così il Rsi o il Realizzato, si esprimono anonimamente; per mezzo


dell'arte, con il giusto contemplare e agire egli svela il Vero-Bello.

Il Bello, naturalmente, non è quello che piace ai sensi, né il Giusto è ciò che può concepire
l'io nella sua valutazione personale, contingente e utilitaristica (si mediti su ciò). Così, per
sensibilità non intendiamo sensibilità emotivo-reattiva, ma sensibilità agli Intelleggibili.

L'io valuta in termini di piacere-dispiacere, attrazione-repulsione, ma non è con questa


condizione che possiamo creare, e quindi adeguatamente stimolare.

D. Ogni discepolo può essere un artista?

R. Certo. Plotino afferma che il contemplante:...offre, si può dire, se stesso quale materia,
lasciandosi plasmare nella forma della cosa vista, ed è allora solo in potenza lui stesso.
(Plotino, Enneade).

Il più grande capolavoro della vita è rappresentato da questo movimento di realizzazione.


L'Idea è l'Essere, la Bellezza è il Vero più intimo che plasma tutte le cose e al quale ogni
anima profondamente aspira. Qualunque attività esplicativa umana rappresenta una
freccia diretta verso quest'unico obiettivo.

Se la freccia viene deviata, l'azione rimane un agire caotico, infruttuoso, illusorio. L'azione
veramente originale s'ispira all'Origine, alla Norma, al Princìpio, alla Conoscenza (Cit)
suprema.

D. L'arte dovrebbe esprimere la Conoscenza? Non comprendo quest'ultimo concetto.

 
82 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Se l'arte è inerente all'uomo, essa deve svelare la Conoscenza che rappresenta la


caratteristica dell'Essere, anzichè il sentire e il piacere che sono caratteristiche dell'animale.
Se viene coinvolto il sentire, ciò è solo un accidente.

D. Da quanto stiamo dicendo si può dedurre che nell'arte il contenuto ha una funzione principale,
essenziale?

R. L'uomo è nous (intelletto, da non confondere col manas o dianoia; è quindi suo compito
svelare contenuti noetici rivestiti di forme adeguate. La commensura o l'Armonia che deve
realizzare fra Idea ed espressione, è opera d'arte. Ne consegue anche che l'arte deve
esprimere il Vero che è, appunto, pertinente alla noesi dell'uomo.

D. Sotto questo punto di vista l'artista dovrebbe essere un realizzato? Dovrebbe avere anche una
preparazione spirituale?

R. L'arte non è scissa dalla realizzazione, anzi ne è un mezzo; ogni azione deve tendere alla
realizzazione dell'individuo... Quindi occorre distinguere tra l'abilità tecnica o virtuosa
pura e semplice e l'effettiva realizzazione del contemplare e poi modellare. Non basta così
avere l'abilità parolaia per essere un poeta della tempra, ad esempio, di Dante.

D. Penso che con questo tipo di arte si possa perdere quella che viene definita spontaneità
dell'artista.

R. Non proprio. La creazione rimane sempre un atto libero, spontaneo e innocente. Tenga
presente che è sempre l'artista a contemplare e plasmare le forme.

D. Possiamo definire metafisico questo tipo di arte?

R. Diremo che ci troviamo di fronte ad un'arte i cui contenuti sono di ordine universale,
principiale, non profano o d'imitazione del naturato, dell'oggettivato. Ogni opera d'arte si
sviluppa intorno a ad un seme (la musica ha il suo tema intorno a cui viene creata la
struttura musicale) che dovrebbe essere di ordine trascendentale, ma che viene portato
nella nostra sfera tridimensionale dall'artista e quindi rivestito di una forma, o corpo
adeguato.

Nel nostro mondo possiamo percepire e comprendere solo attraverso concetti e forme. Se
il seme fluisce all'eterno, allora la pittura, la scultura, ecc., sono immortali.

 
83 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Ma non è così che si opera normalmente?

R. L'intuizione dell'artista, di cui generalmente si parla, è intuizione subconscia; la sua è


un'ispirazione di ordine sensoriale maturata nell'ambito del sentire emotivo.

Nella ritrattistica tradizionale, ad esempio, si cerca di cogliere la qualità espressiva del


soggetto, la funzione determinata dai guna, l'aspetto dinamico dell'anima che cerca di
manifestarsi. Spesso l'icòna del Cristo rappresenta non un fedele ritratto delle sue
sembianze, ma ciò che il Cristo può dimostrare nella sua condizione vivente, dinamica,
vitale. La sakti, o natura, viene colta nel suo aspetto creativo, nel suo stato naturante,
mentre l'arte profana coglie la natura nel suo aspetto naturato, oggettivato, statico, morto.

D. Abbiamo così un ritratto dell'anima e non del corpo?

R. In un certo senso sì perchè il corpo non è altro che un semplice strumento mediante cui
l'uomo vero, reale cerca di esprimersi.

Così, se si vuole dipingere o scolpire, ad esempio, il volto di una persona, si possono avere
due differenti approcci. L'uno consiste nel cogliere soprattutto il dàimon che sta dietro la
maschera-volto; ciò implica cogliere l'uomo vero, reale, essenziale, nella sua dimensione
creatrice. L'altro consiste nel cogliere solo la maschera-volto, la sembianza statica, priva di
vita, di Eros divino; qualche volta a tale maschera, o fotografia, si può offrire l'intenzione
psicologica, che rimane però sempre nell'individuato.

Se per reale intendiamo ciò che sottostà alle forme, dovremo dedurre che l'arte della
Filosofia dell'Essere è realista. Un tempio, ideato tradizionalmente, rappresenta il simbolo
di una realtà cosmica. Un'opera d'arte così concepita, per quanto posta nel tempo-spazio,
può portare il contemplante di là dal tempo-spazio. Al limite e sotto questa prospettiva,
possiamo dire che l'arte è una zattera che conduce l'individuo nel mondo dei Significati,
delle Cause, dei Princìpi, delle Idee, della Realtà sovraindividuale. Come può notare,
l'arte, nel mondo individuato, ha una funzione essenziale e una potenza stimolante da
produrre il samadhi, l'estasi.

D. Devo dedurre quindi che l'arte, come noi normalmente la concepiamo, riproduce o ri-crea delle
illusioni, delle forme illusorie, dei volumi che sono maya? Insomma, l'artista fotografa
semplicemente la maya?

R. Possiamo dire solo che l'arte, come viene concepita normalmente, pone l'attenzione su
gusci privi di anima (si vedano le nature morte), usa fotografare, non creare; l'arte
 
84 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

dell'Essere, invece, pone l'attenzione sulla vita che anima quei gusci; ciò implica, come
abbiamo già fatto notare, che un vaso, una musica, un ritratto o un tempio costruito
secondo i canoni dell'Arte mettono in comunicazione con la realtà universale, sono
trasmettitori di energie, di influssi atti a determinare specifici effetti nel cuore del
contemplante. Una tale creazione è uno strumento di risonanza con la vita cosmica
universale.

D. Vorrei porre un'ultima domanda; vedo che alcuni amici sono impazienti; suppongo che vogliano
parlare. Però devo dire che questa domanda non è mia, mi è stata posta poco fa. La domanda è
questa: l'artista è un individuo privilegiato, un essere più dotato di altri? Vale a dire, è superiore
agli altri?

R. Non vi sono individui superiori o inferiori ad altri. Vi sono persone qualificate per
svolgere particolari compiti. Anche per fare il contadino occorrono determinate
qualificazioni, delle attitudini che sono sempre inerenti ai guna. Un serio contadino deve
avere una spiccata sensibilità ai ritmi energetici planetari, ai ritmi vitali di altri pianeti e a
quelli del terreno, deve saper accostare in modo armonico le stesse piante; deve avere una
conoscenza astrologica adeguata e un amore che dev'essere percepito dalle piante e
dall'ambiente. Un contadino inoltre deve conoscere la psicologia degli animali; deve saper
intuire il giusto compimento dell'opera perchè deve trovarsi nel giusto rapporto con la
natura circostante. Il contadino tecnologico della società del superconsumo e
supersfruttamento usa solo violenza alla zolla di terra, alle piante, agli stessi animali; non è
dunque un Artista. In che senso un artista dell'agricoltura può essere inferiore ad altri? Ciò
che conta è che ognuno adempia bene il proprio dharma, il proprio dovere.

D. Quindi non ci sono padroni e servi, sfruttatori e sfruttati, boia razzisti e schiavi, forchettoni e
persone di cinghia?

R. Vedo che lei è sempre preoccupato da questa problematica.

D. Ho i miei buoni motivi, mi creda; non è il caso comunque che io entri in particolari. Non sono
poi né un reazionario, né un esaltato emotivo. Le dico che ho le mie esperienze in proposito, oltre al
fatto che la storia può insegnare molto.

R. Fratello mio, che cosa posso dirle? Mi sembra che dalle nostre conversazioni sia emerso
qualcosa che può aiutarla a comprendere il problema. A lei, poi, ho già dato delle risposte
specifiche. Padrone e schiavo sono concetti creati dall'individualità dominatrice,
esclusivista e assetata di compensazioni.
 
85 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Nell'Essere indiviso non ci sono dualismi, non ci sono distinzioni, non ci sono padroni e
servi; comprende? Se lungo il tempo, in ogni campo dell'espressione umana, vi sono stati
sfruttatori e dittatori solipsisti, ciò non vuol dire che simili storture non possano
correggersi.

D. Insomma, il paria, lo sfruttato, il diseredato, resi tali dall'onnipotenza del Prìncipe, sono o non
sono nell'Essere come tutti gli altri?

R. Se il paria fosse fuori dell'Essere sarebbe un altro Essere, e due assoluti non possono
coesistere. Attribuirgli tale merito, poi, implicherebbe riconoscergli una grandezza che
neanche il Brahmana, o filosofo realizzato, possiede.

D. Però mi consenta di dire che nel mondo del divenire ci sono ignoranti che camminano diretti dai
piedi più che dalla testa, e non possiamo non tenerne conto.

R. L'ignoranza e la conoscenza hanno origine dalla stessa matrice. Tutte le anime sognanti
sono la combinazione dell'una e dell'altra; abbiamo detto che ogni ente è il prodotto
dell'interrelazione dei guna, interrelazione che l'ente stesso ha determinato; ciò implica
pure che essa non è assoluta.

Non vi sono inferiori o superiori, grandi e piccoli, sotto certi aspetti non vi è neanche il
sacro e il profano perchè questi corrispondono sempre a punti di vista, ma vi sono qualità
che si esprimono mediante uno strumento o corpo di manifestazione. In altri termini, la
natura si svela con indefinite modalità esistenziali, le quali rientrano tutte nell'economia e
nell'armonia della Vita.

 
86 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

PARTE SECONDA. 

OMBRE SUI GURU E SUI CULTURALISTI TRADIZIONALI. 

D. Riconosco la validità di certe tesi e di molte affermazioni, ma è difficile armonizzare la propria


vita con quella di chi, purtroppo, afferma cose diverse e parte da punti di vista opposti. Difatti la
filosofia corrente è di ordine meccanicistico, fenomenico e storicistico; la realtà filosofica dell'oggi
diviene e scorre; è in continuo movimento e mutamento. E ciò è stato detto anche da altri amici.
Non c'è alcun dialogo con il mio simile: per lui la realtà è oggettiva, esteriore e in perenne
cambiamento; per me le cose stanno in modo differente.

E' triste non comprendersi, è faticoso combattere una maggioranza che vuole
circoscriversi. La vita è resa più difficile dal comportamento di alcuni guru (istruttori) che
offrono, come fossero noccioline, la conoscenza e la felicità celestiale. Qualcuno diviene
anche ricco speculando sull'innocenza di molti. Ciò crea ulteriore caos e diffidenza. Inoltre,
si può notare che la spiritualità occidentale è strumentalizzata per scopi politici.

La maggioranza delle riviste esoteriche, spirituali, ecc., nostrane non viene meno alla
consuetudine fatta sistema: polemizzare e discettare, oltre a vivere di ricordi, di passato, di
cose che ormai non sono più, di semplice storia della tradizione. Che cosa mi può dire di
questo stato di cose?

R. Comprendo il suo smarrimento e la sua preoccupazione. Sotto certi aspetti non posso
disconoscere ciò che dice. Per rispondere ai suoi interrogativi occorrerebbe un intero libro.
Lei dice delle cose particolari, delle cose gravi e delicate; ma, purtroppo, entro certi limiti,
le devo dare ragione; dico purtroppo perchè vorrei non essere a conoscenza di certi fatti.
Lei attende una risposta e io non so da dove incominciare.

D. La prego di dirmi qualche parola perchè devo ritrovare un equilibrio e un giusto rapporto con la
mia vita spirituale. Non credo che sia solo una mia esigenza, penso che altri abbiano lo stesso
problema; ne conosco personalmente alcuni che sono profondamente disorientati da certi
atteggiamenti.

R. Per quanto riguarda la concezione filosofica dell'oggi secondo la quale: tutto scorre e
diviene non c'è da preoccuparsi. E' una visione filosofica come tante altre e accettiamola
come tale; non è nuova, naturalmente, perchè Eraclito già nel 520 a.C. affermava appunto
che: tutto scorre, che non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua.

D'altra parte, questa concezione non è completamente errata; la verità fenomenica è


accettata, ad esempio, anche dal Vedanta e sappiamo che dà il nome di sakti, prakrti,
 
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maya, ecc., solo che il Vedanta è andato anche di là dalla verità fenomenica, mettendo in
evidenza una realtà intelligibile di ordine incondizionato e permanente di fronte alla quale
ogni verità fenomenica si dissolve.

Non è questione di contrapporsi o di pretendere da parte nostra riconoscimenti e consensi.


Ciò che possiamo fare è non accettare che alcune filosofie ci vengano imposte con la forza,
con la violenza. Fino a quando ci troviamo in un contesto filosofico e dialettico siamo lieti
di compartecipare con istanze spontanee di ricerca, anche se queste possono sfociare in
posizioni divergenti; ciò che conta è che ogni seria ricerca venga condotta in piena libertà
di espressione e di composta emulazione.

Una visione filosofica non deve proclamare l'esclusivismo e l'unilateralità; essa deve solo
enunciare, spiegare e dialogare. Per noi ricercatori, quindi, come per tutti i veri ricercatori
di ogni ordine e grado, è opportuno confrontarci nella libertà e nel reciproco rispetto: una
filosofia che si voglia imporre con la forza non è più filosofia (cioè amico della
Conoscenza), ma demagogia, tirannia egoica di una persona, di un gruppo o di un'intera
classe sociale.

Noi dobbiamo sostenere il diritto di essere liberi di affermare una filosofia di vita basata su
certi postulati e su particolari esperienze coscienziali, diritto che dobbiamo riconoscere
anche ad eventuali nostri dissenzienti. Che siano i più ad avere e seguire una particolare
filosofia di vita non ha importanza; non è detto che la Verità debba appartenere ai più,
tutt'altro. Ciò che ha importanza è che ciascuno di noi investighi in modo diligente,
discrimini in modo pacato, si documenti in libertà per scoprire quello che è lo scopo
ultimo dell'esistenza, la fonte stessa della vita.

Teniamo presente che parliamo di filosofia realizzativa, filosofia, quindi, che tende alla
trasfigurazione di sé; ecco la vera Filosofia dell'Essere, con la effe maiuscola. Sappiamo che
i seguaci della filosofia del divenire, o filosofia dell'io, vivono concretamente i postulati
filosofici materialistici; dobbiamo, invece, riconoscere che i seguaci, certamente non tutti,
della Filosofia dell'Essere non vivono, né si adeguano alla loro visione filosofica. Da qui
anche il destro dato a molti fenomenisti, se così possiamo esprimerci, di scrivere cose poco
edificanti, spesso esagerate e volutamente artificiose nei confronti e della Filosofia
dell'Essere e dei suoi sostenitori.

A questo punto, però, ci sarebbero da dire parole biasimevoli non solo nei confronti degli
istruttori superficiali, ma anche degli aspiranti sprovveduti e inconsapevoli.

Se di colpa si può parlare, questa è degli uni e degli altri. I primi, dotati di un'adeguata
cultura, in possesso di particolari tecniche psicologiche, ma non di un'effettiva
Realizzazione, assorbiti dal sistema, si lasciano andare a speculazioni soprattutto
economiche. Ma che cosa si può fare se la vita della maya offre queste opportunità? Gli
speculatori, in buona o mala fede, si trovano in tutti i campi, profani e no; persino a livello
 
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scientifico. I secondi, avversi al pensare, al cercare, al capire, si concedono come cose al


primo offerente che può promettere successo in poco tempo, illuminazioni facili e
trascendenza a portata di mano.

Aspiranti privi di ogni qualificazione, avidi di successo psichico più che spirituale, o di
quiete psicologica, con una mente totalmente inerziale, allergici alla lettura e
all'autoconoscenza, non possono non incontrare quel guru che fa per loro.

Quando si vedono neofiti disposti a vendere se stessi per acquisire un modesto potere
psichico offerto da qualche maestro, anche esoso, significa che essi hanno compreso ben
poco, e l'ignoranza viene pagata cara.

Sarebbe buona norma cercare di capire se un ricercatore è pressato da semplici problemi


psicologici, da istanze filosofiche o da vocazione mistica; a seconda del suo problema, la
direzione cambia, e cambiano anche coloro che dovrebbero aiutarlo. Ma molti guru,
volendo salvare il mondo, offrono indiscriminatamente iniziazioni facili, organizzando
festivals di massa sì da creare condizionamenti emotivi e un interscambio subconscio di
fanatismo devozionale, che poi influiscono negativamente sull'autoconsapevolezza dei
singoli.

Se ci sono speculatori in ogni campo dell'attività umana è perchè ci sono persone pronte a
favorirli e persino ad idolatrarli.

Ci sono stati sempre dominatori e dittatori perchè ci sono state sempre persone che
inconsciamente hanno cercato il dittatore e lo sfruttatore.

Vi sono aspiranti che vanno in cerca non della Conoscenza, che è in loro, ma di
traumaturghi, di profeti, di gente che li possa trasportare di peso in paradiso, di istruttori
che garantiscano il successo e la soluzione dei loro affanni quotidiani.

Esistono falsi guru perchè esistono falsi discepoli. La cosa più difficile, che personalmente
ho riscontrato nel rapporto con molti aspiranti, è quella di farli riflettere, discriminare; di
farli pensare in modo giusto e anche autonomo.

La maggior parte vuole la libertà dell'io, non la libertà dall'io; vuole la tecnica facile per
raggiungere in poco tempo il nirvana. Capita anche che alcuni cerchino in qualche dottrina
l'alibi per perpetuare la loro incompiutezza o le loro fughe. Non è facile proporre la ricerca
della Verità perchè i più, in genere, sono assetati di semplice mistero, di gratificazioni
dell'io e non di morte dell'io.

D. Ma non si è detto spesso che più che leggere bisogna realizzarsi? La semplice lettura a che cosa
può servire?

 
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R. Appunto, la lettura superficiale e il semplice memorizzare le dottrine non servono a


niente. Stiamo parlando di ricerca, di studio, di meditazione, di penetrazione intellettiva-
intuitiva dei Testi, delle Dottrine, di valutazione e di conseguente sperimentazione.

Leggere Plotino semplicemente per addottrinarsi, erudirsi e fare sfoggio di culturalismo è


un conto; meditare, comprendere, sforzarsi di penetrare la verità che le parole nascondono
e vivere le verità carpite è un altro conto.

Vi prego di considerare che la mente è uno dei veicoli dell'essere, non è né migliore né
peggiore degli altri; è un veicolo, uno strumento e basta, e ogni strumento può essere
usato in modo giusto o non giusto. Non è con l'ignorare un veicolo, sia anche quello fisico,
che ci poniamo nella giusta posizione di approccio all'ascesi. I nostri strumenti di
espressione sono validi e di grande aiuto se ce ne sappiamo servire in modo appropriato.

Noi partiamo da una condizione intraindividuata e il pensiero costituisce un supporto


capace; rifiutarlo completamente può significare cadere nell'apatia e nel quietismo
psichico, può significare cadere nella schiavitù di un maestro autoaffermativo.

La mente, stimolata in modo adeguato, capta la sua ottava superiore che è l'intelletto, la
ragion pura, l'intuizione superconscia. Essendo, appunto, uno strumento, serve per uno
scopo, quindi non è fine a se stessa. Come non si vive solo per nutrire il corpo fisico, ma ci
si nutre per realizzare il fine di vivere, così non ci si deve servire del corpo mentale solo
per accumulare nozioni su nozioni fino alla sazietà.

Una mente avida di nozioni, di rappresentazioni, di accumulo eruditivo è uguale a quel


corpo fisico crapulone che ingoia cibo per l'avidità di ingoiarlo.

Il mangiare, a livello fisico o mentale, non serve a niente se il cibo non viene masticato,
ingoiato, assimilato e trasformato in sangue di vita e in coscienza di Essere. Un'idea che
non si trasformi in realtà di vita rappresenta solo un'ingombro. Individui, che hanno una
grande erudizione quantistica e che hanno affinato il loro potere psichico mentale, credono
di essere superiori agli altri o di aver realizzato qualcosa, eppure hanno realizzato ben
poco; hanno riempito l'otre mentale di cibo senza alcun'assimilazione, sintesi e
trasfigurazione.

La Saggezza e l'erudizione sono cose diverse, e chi si avvicina alla Filosofia è amico e
ricercatore della Saggezza eterna e universale. La Conoscenza tradizionale mira alla
Saggezza, non all'erudizione e alla quantizzazione di cognizioni sul mondo dei nomi e
delle forme.

La mente, per quanto relativa, è un veicolo che, giustamente usato, porta a conseguire certi
passi, ma che, usato in modo errato, può essere un ostacolo per sé e un danno per gli altri.

 
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D. Che cosa posso fare allora per capirmi e crescere, in questo marasma di tecniche, di mantra, di
sadhana e di guru, in questa società di predicatori mistici e politici, in questo mondo in cui i guru
materialisti e i fautori del carpe diem ti illudono col paradiso in terra, e i guru spirituali con il
paradiso in cielo? Oggi occorre guardarsi da tre tipi di guru: quello politico che ti vuole plagiare col
miraggio della giustizia sociale; quello mistico missionario che ti vuole illudere col miraggio della
giustizia celeste, e, infine, quello culturalista che ti vende, anche a caro prezzo, semplici parole e
chiacchiere che ti allontanano dall'essenza e dalla semplicità della Verità.

Molti giovani, me compreso, frustrati e delusi, sono sballottati da un polo all'altro da questi guru.
Come possiamo liberarci dal fanatismo politico, religioso, parolaio e consumistico?

R. Comprendo la vostra istanza di risveglio e la vostra sete di soluzione dei problemi


fondamentali della vita. Se lei vuole cercare per essere, vuole cercare di scoprire il mondo
dei princìpi, deve incominciare a leggere, meditare e riflettere su alcune Dottrine orientali
e occidentali, perchè la Verità, con lettera maiuscola, sta ovunque e prescinde dallo spazio
e dalle individualità.

Può studiare, così, la filosofia di Plotino, può meditare sulla Qabbalah; se crede, sul
Vedanta, sul Samkhya, sull'Evangelo cristiano, ecc. Deve però studiare a fondo queste
filosofie, deve ponderare, prendere appunti, trascrivere intuizioni; deve donarsi
profondamente e offrirsi alla ricerca, ma con grande umiltà e senza preconcetti. La pura
ricerca prescinde da considerazioni aprioristiche. Vada alla fonte diretta, non si conceda
agli intermediari. Ma svolga questo lavoro con la coscienza attiva, da ricercatore
intelligente, da indagatore.

D. Questo lavoro di ricerca mi impegnerà per parecchi anni, e da solo dove posso arrivare? Per
quanto il vero guru sia io stesso, inizialmente mi occorre una guida.

R. Deve sforzarsi, deve sviluppare l'intuizione; se la sua ricerca è seria, se la sua donazione
alla Conoscenza è scevra di sovrapposizioni falsate, non è solo. Un vero ricercatore di
verità, per quanto solo, non è mai solo. Mi si perdoni quest'apparente contraddizione.

Certo, occorre del tempo, soprattutto all'inizio, per trovare e assimilare certe cose, ma
vogliamo cadere in uno degli errori di cui parlavamo poc'anzi? Lei vuole la Dottrina
facile? La Realizzazione a portata di mano? Crede forse che la Liberazione si ottenga
frequentando un asram nei ritagli di tempo o leggendo un libro stando a letto quando si è
già stanchi? Lei crede che questo tipo di ricerca possa essere fatta semplicemente
nell'intervallo di lavoro o sfogliando un testo nell'auto di fronte ad un semaforo rosso?
Porfirio ci dice che Plotino rimase indefesso uditore del suo guru, Ammonio Sacca, per
undici anni; e Porfirio stesso fu per lunghi anni discepolo di Plotino; molti guru dell'India,

 
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e di veri guru ve ne sono, credetemi, sono vissuti per dieci, quindici, trent'anni in ritiro, in
meditazione, affrontando sacrifici di ogni genere.

D. Vede, il nostro lavoro e la vita occidentale non ci consentono di avere molto tempo a disposizione.
Purtroppo questo è un grosso ostacolo.

R. Potremmo allora, da bravi Occidentali efficienti sul piano tecnico, inventare


l'iniziazione a gettone. Non avviene già con gli oroscopi? Scherzi a parte, comprendo
questa difficoltà; penso comunque che un individuo che abbia sete di Liberazione riesca a
trovare il tempo e lo spazio sufficienti. Ripeto, l'aiuto non può mancare a colui che cerca la
Verità e non il mistero o il fenomeno psichico.

 
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FUSTIGATORI E GIUSTIZIERI. 

D. Un giorno un mio fratello di viaggio, è stato offeso da un gruppo di fanatici spiritualisti con
argomenti speciosi e anche falsi. Di fronte all'offesa rimango estremamente perplesso. In questo
periodo mi sono trovato anch'io in una grossa polemica con un culturalista specioso. Senza andare
oltre vorrei capire due cose: perchè nasce una dialettica critica e reattiva? Qual è la giusta posizione
coscienziale nei confronti dell'offesa?

R. Il mondo dell'io è quello della contrapposizione, della reazione, della critica, della
polemica, dell'esclusivismo dogmatico e demagogico. Alcuni scrivono di spiritualità e
anche di metafisica con una coscienza che è quasi del mago nero. Per quanto sostengano di
aborrire il sentimento, sono su un piano di reazione, anche scomposta che è, appunto,
sentire, sentimento.

D. Da esperienze avute, anch'io mi sono convinto che alcuni sono irrequieti e combattono gli altri
perchè non hanno trovato ancora la pace dentro di sé; sono rivalse dell'io; direi, della mente non
saggiamente diretta. E' d'accordo se dico che in questi casi la mente esercita un ruolo
determinante?

R. Un'anima pacificata ha compreso la verità integrale; e chi ha compreso ha trasceso ogni


possibile dualità e polarismo fenomenico.

La facoltà mentale, o la mente empirica oggettivante, se è adeguatamente esercitata,


diventa un potere psichico che alcuni usano a proposito e a sproposito. Per quanto
sembrino detestare i poteri psichici, non si avvedono che proprio con essi si stanno
alimentando e manifestando. Sappiamo che nei livelli mentali empirici il bianco può
diventare nero e il nero bianco; con la mente si può dimostrare tutto ciò che si vuole, però
la verità è quella che è. Ripetiamo, alcuni direzionano la mente verso scopi di attacco, di
reazione, di acrimonia vendicativa. Si servono della dialettica, della dimostrazione ad ogni
costo, del distinguo imperioso, della battuta ad effetto, del saggio anche offensivo, ecc., e,
trascinati dal potere stesso, si abbandonano al mondo della semplice reazione,
dimenticando non solo la Dignità iniziatica ksatriya, che impone l'azione commensurata, il
leale combattimento, il composto confronto, ma addirittura le buone maniere, la semplice
educazione di costume.

Indubbiamente se tutta l'energia fosse impiegata per cercare di essere, più che per creare
reazioni mentali, l'individuo ci guadagnerebbe; se questi invece di combattere gli altri
combattesse la propria incompiutezza, avremmo più Santi e meno giustizieri.

 
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Il senso della separatività, dell'autoaffermazione, camuffata da mille sofismi, il fanatismo


sentimentale mascherato da un intellettualismo verboso, non hanno mai reso utili servigi.
Tutt'altro.

L'umanità ha bisogno più di Realizzati che di sofisti, di attaccabrighe e di teologi


dogmatici e autoritari, soprattutto oggi. Le parole sofistiche non servono che ad alimentare
l'ignoranza. Purtroppo, sul piano della mente vince colui che possiede più vocabolario, più
argomenti, che sa giocare con le parole e i sofismi, che sa manipolare il concetto (da qui il
potere); però non bisogna dimenticare che sotto l'aspetto della verità, non conta
dimostrare concettualmente che gli altri non sono, conta invece dimostrare col vivere, e
prima di tutto a se stessi, ciò che si è. E quando si è, la mente tace e il pensiero finisce, ma
finisce anche lo scopo per il quale tante individualità vivono e si perpetuano ai margini di
un culturalismo spirituale inutile e vanitoso.

Colui che considera la metafisica non un concetto verbale, ma un'espressione di realtà


vivente, in che senso e con quali prospettive potrebbe avere un sentimento di
contrapposizione, di reazione, di recriminazione, di astio o risentimento? Nell'Uno-senza-
secondo non esiste più la mente oggettivante ed egoica né il secondo con cui prendersela.

Vedete, ci sono soprattutto due modi per sostenere che si è i soli a detenere la Verità e gli
strumenti atti a farla germogliare negli altri.

Il primo è per affermazione, l'altro è per negazione. Si può affermare la propria autorità
esclusivista, direttamente e perentoriamente, concentrandosi solo su se stessi. Si può
cercare, invece, di svuotare e negare il possibile contendente; in altri termini, atterrando e
negando tutti gli altri si finisce col rimanere soli sul campo di battaglia. Si applica, cioè, il
neti neti a livello dell'io, purtroppo; paradosso dell'intelligenza egoica.

Con il metodo del neti neti, il Vedanta esclude tutto ciò che non è (maya) per arrivare,
appunto, a ciò che è (atman).

Orbene, alcuni consciamente o inconsciamente, il che è lo stesso, negano ed escludono i


vari contendenti (la mente opina: non è lui, non è lui nel vero) fino al punto in cui
rimangono soli; ed è quello che l'io desidera: essere l'unico, assoluto e incontrastato
arbitro; essere l'unico attore, con la parte di monologo, sul grande palcoscenico del mondo.
Ciò è estensibile anche ad alcune religioni politiche e spirituali assolutiste.

Con la prima modalità abbiamo autoaffermazione per isolamento (non si tiene conto degli
altri), con la seconda abbiamo autoaffermazione mediante un processo eristico, di sofistica
escludente, mortificante, di azzeramento degli altri.

Questa seconda modalità è peggiore della prima.

 
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A certi livelli si uccide il secondo fisicamente, e con mezzi materiali (conosciamo già
questa modalità brutale); ad altri livelli si uccide con la mente fustigatrice. Ma è la stessa
cosa; anzi, la morte con la mannaia manasica (mentale) è di ordine più sadico, anche se
apparentemente meno brutale. La volontà di uccidere viene oggettivata, espressa,
palesata, e l'io-bambino, sadicamente, si gratifica, vive e si espande.

La bestia attacca per fame, ma l'uomo-individuo, presentando volto di angelo, attacca per
il piacere di attaccare. L'attacco fisico o manasico è sempre frutto di un'incompiutezza, di
una lacuna psichica, di frustrazioni, di una subcoscienza non risolta, di fanatismo. Non c'è
cosa peggiore che ergersi a giudici, ad arbitri, a difensori, a giustizieri. Non c'è cosa
peggiore che impugnare la mannaia omicida in nome del contributo chiarificatore, del
dharma da difendere a tutti i costi, dell'esigenza di dimostrare, della missione di fustigare.

La Verità non ha bisogno di dimostrazioni né di banditori; essa si palesa e si dimostra da


sé a colui che è pronto a recepirla.

Chi è, svela semplicemente lka Realtà e basta; chi è, non si pone neanche il problema di
fare o non fare, di salvare o dimostrare, di difendere o offendere, di essere questo o quello.

Chi è, vive solo di compiutezza e di pienezza, ed è di là dall'offesa e dall'elogio, di là dallo


stesso bene-male, di là da tutti i guru (questi sono solo strumenti e alcuni, identificandosi a
essi, più che difendere la Dottrina sono occupati a difendere lo strumento); chi è, ha
cessato di contrapporsi perchè vive, meglio, è in quell'Unità senza secondo in cui,
appunto, non vi è ombra di dualità e di fanatismo. Bene, miei cari, osate andare per la
strada dritta della realizzazione dell'Essere e non attardatevi in dimensioni mentali
egoiche o psichiche evocatrici di illusioni. Lasciate girare la ruota del divenire ad altri,
perchè è il loro karma, ma voi fermate questa ruota e inchiodatevi nel senza-tempo.

D. E allora che cosa bisogna fare se altri agiscono in modo scomposto, se arrivano persino all'attacco
personale? La reazione spesso attira reazione, soprattutto quando alcuni fatti capitano in un
ambiente dove dovrebbero essere ritenuti assurdi. Quale potrebbe essere la giusta posizione della
coscienza?

R. Non emerge da quanto abbiamo detto? Non dico di porgere l'altra guancia, perchè
questo stato coscienziale è molto avanzato e mal compreso, ma di intervenire con
compostezza, con dignità, con pacatezza e, laddove è possibile, di trascendere, perchè il
più delle volte la reazione critica non merita neanche una risposta. Ci sono certi
atteggiamenti mentali ambigui, fanatici, cinici che si condannano da sé, senza alcun'azione
specifica di risposta, senza un muoversi, senza uno scendere.

Scrive R. Guenon: Chi è qualificato per parlare in nome di una dottrina tradizionale, non deve
discutere con i profani e non deve indulgere in una qualsiasi polemica. Egli deve solo esporre la
 
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dottrina così come è a coloro che possono comprenderla, denunciando in pari tempo l'errore
dovunque esso si trovi, facendolo risultare tale col proiettare su di esso la luce della conoscenza vera.
La sua funzione non è di suscitare una lotta e di compromettere con essa la dottrina, ma di
formulare quel giudizio di cui egli ha la facoltà, se davvero possiede i princìpi che debbono ispirarlo
infallibilmente. Il dominio della lotta è quello dell'azione, è cioè il dominio individuale e temporale;
il motore immobile desta e dirige il movimento senza essere da questo trasportato (R. Guenon, La
crisi del mondo moderno).

D. Mi sovviene un aforisma de: La Via del Fuoco, letto su un numero del periodico Vidya, che
potrebbe fare al nostro caso: Se veramente sei sulla strada della Vidya, scrivi sul muro della tua
cameretta: qui si è intenti a morire, non ad offendere.

D. Se me lo consente, prendo lo spunto dalla sua frase: la mente egoica è un potere psichico. Così,
avendo io una modesta possibilità di ricezione telepatica, rimango perplesso quando leggo, o mi
dicono, che il potere telepatico impedisce la Realizzazione. E' vero?

R. Non esageriamo. Qualunque potere psichico può essere di ostacolo se il movente non è
in armonia con l'ascesi che si compie. Diremo, non è il potere in se stesso che imprigiona, è
l'uso che se ne fa. Anche il potere manasico, ovviamente, non è di ostacolo se viene usato
rettamente.

 
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INIZIAZIONE E RITO. 

D. Per anni ho girato in tanti paesi alla ricerca di qualcuno che mi desse l'iniziazione. Ho
frequentato gruppi esoterici, occultistici, ecc., senza risultato. Finalmente ho incontrato uno Swami
indiano che mi ha dato l'iniziazione con un particolare rito; però apprendo da un mio amico che non
v'è nessuno oggi che possa dare l'iniziazione ad un Occidentale. Mi vuole dare qualche
delucidazione in merito? E' vero questo?

R. Era più interessato alla preparazione o all'iniziazione propriamente detta?

D. Vede, il mio problema è complesso e semplice nello stesso tempo. Ma non vorrei parlare troppo di
alcune mie peripezie perché potrebbero non interessare.

Se mi potesse dare qualche indicazione, mi libererebbe da una perplessità.

R. Non comprendo perché la sua iniziazione non dovrebbe essere valida. Mi scusi se
chiedo questo: lo Swami era veramente tale?

D. Sì. Sono stato anche in India nel suo asram.

R. E allora di che cosa deve temere? Cerchi di andare avanti nella sua ascesi e segua i
consigli del suo Istruttore.

D. Vede, l'amico di cui ho parlato prima mi dice che per un Occidentale l'iniziazione è impossibile.
Per ricevere l'iniziazione da uno Swami o da un Guru indiano o da un Lama tibetano, bisogna
essere indiani o tibetani. Dal momento poi che in Occidente non vi sono organizzazioni iniziatiche,
al discepolo occidentale ogni strada viene ovviamente preclusa.

R. Se non erro lei dice che esistono le iniziazioni nazionali e anche regionali? C'è
l'iniziazione indiana, tibetana, araba-palestinese, africana, italiana, ecc.? Insomma
l'universale diventa razzista? Lei pensa che l'iniziazione sia un fatto di territorio, di
colorazione di pelle, di appartenenza ad un organismo politico o sindacale? Lei pensa che
la vera diksa sia in riferimento agli ordini sociali, considerati sotto l'aspetto
dell'ereditarietà familiare? Non vorrei che confondesse quella che è una semplice
cerimonia d'aggregazione di un individuo ad un'organizzazione sociale, che è poi di
ordine esteriore, essoterico, orizzontale e particolare, con la vera iniziazione che è di
ordine verticale e prescinde da ogni ordinamento sindacale o corporativo. Vi sono
cerimonie d'investitura e vi è l'Iniziazione spirituale. V'è da tener presente, poi, che le
 
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qualificazioni delle persone appartenenti ai vari ordini sociali sono il risultato della
combinazione dei tre guna.

In altri termini, un nato due volte, non è tale perchè ha ricevuto il certificato o l'attestato
del suo ordine, né perchè è nato da un particolare genitore, ma perchè possiede quelle
qualificazioni rispondenti ai guna che lo fanno essere veramente quello che è. Vi sono nati
due volte pure in Occidente anche se non hanno l'investitura sindacale indiana o tibetana.
Un genio non è tale perchè ha ottenuto l'investitura del titolo di professore da qualche
università: l'investitura può essergli utile semplicemente per essere abilitato all'esercizio
della sua attività in un determinato contesto sociale, perchè la si richiede espressamente,
ma per sé può fare anche a meno di certificati burocratici.

Il Buddha poteva anche non curarsi (e in effetti così fece) dei vari ordini sociali perchè
nessuno gli poteva impedire di essere ciò che veramente era. Con questo, attenzione, non
vogliamo disconoscere la funzione degli ordini sociali, anzi a tale riguardo possiamo dire
che per quanto oggi in India essi siano stati aboliti, tuttavia nessuno può annullare lo
status coscienziale di un individuo.

Insistiamo quindi sulle qualificazioni, che sono di ordine interiore, verticale e coscienziale,
più che su aspetti esteriori, orizzontali, familiari e ritualistici. Ricordiamoci che l'influsso
spirituale è universale, e ciò che conta per la sua discesa è una coscienza preparata; sono
dunque le qualificazioni quelle che si richiedono per la vera Iniziazione. Bisogna pure
ricordare che il Sé non ha bisogno di iniziazioni, né deve ricevere qualcosa dall'esterno. E'
l'individualità che deve riorientarsi e prepararsi a ricevere l'influsso sovraindividuale. E
per stimolare l'individualità a certe possibilità le strade sono tante e possono anche non
seguire la prassi comune. V'è, ad esempio, un passo nell'Evangelo che ha una sua
connotazione profondamente esoterica:"Laddove due o tre sono riuniti nel mio nome io
sono ivi in mezzo ad essi.

Un gruppo di persone qualificate posto in certe condizioni può far discendere l'influsso
spirituale sì da determinare effetti specifici nella coscienza dei suoi membri.

D. Penso che molti si trincerino in un dogmatismo teologico per creare un alibi alla loro incapacità
di comprendere lo spirito di certe cose. D'altra parte, il Buddha, Gesù e lo stesso Samkara non sono
venuti per infrangere i dogmi dei farisei, dei tradizionalisti, dei farneticanti del rito e del
formalismo? Inoltre, ho conosciuto degli Swami occidentali regolarmente inseriti negli Ordini
monastici indiani e anche tibetani.

R. A volte certe forze della controiniziazione tentano proprio di portare il discepolo in un


vicolo cieco. Con la scusa che non si è indiani, arabi o israeliti, questi gruppi, usando
semplicemente il loro potere manasico, inchiodano l'allievo ben intenzionato, e a volte

 
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anche qualificato, a disertare la spiritualità; lo portano in una condizione di angoscia o di


complesso dell'iniziazione.

D. Sono dei tradizionalisti che sostengono queste cose.

R. Non tutti. In ogni modo, le forze antitradizionali non stanno fuori della Tradizione, ma
dentro. Sono proprio esse che sviano e creano confusione, soprattutto se sono ben
addottrinate, se fanno leva sul manas (mente) sviluppato, se hanno un ricco vocabolario
capace di impressionare probandi ancora deboli, e si ostinano a inquadrare certe cose
entro schemi fissi, rigidi, farisaici.

D. Il mio problema è un altro. Non mi sono posto in condizione di essere iniziato dagli ordini
orientali perchè mi sembra di tradire la mia condizione spirituale di occidentale. E' un
atteggiamento sbagliato?

R. Dobbiamo ricordarci che vi è una sola Filosofia dell'Essere con differenti modalità di
adattamento.

Partendo da questo princìpio non vi è motivo di esagerare con certe impostazioni di


ordine sentimentale. Vi possono essere rami di questa Filosofia più o meno conformi alla
nostra costituzione spirituale. Se poi costatiamo che in quest'epoca alcuni rami
tradizionali, in determinate zone planetarie, hanno perso la loro efficacia e operatività, è
logico supporre che i ricercatori debbano rivolgersi altrove. Quindi non è questione di
abiurare la propria fede, ma di armonizzarsi con quella Dottrina che è più aderente
all'aspirazione. Non è il caso di sottolineare che ci siamo espressi in termini di
armonizzazione coscienziale con un ramo tradizionale e non di semplice aderenza per
curiosità sentimentale o intellettiva.

Se si tenesse sempre presente il princìpio dell'unità della Dottrina, si potrebbe avere


maggiore osmosi spirituale tra i vari rami, ma i fanatici della lettera, della forma e del
territorio, purtroppo, sono sempre all'opera per difendere l'esclusivismo e sostenere che il
mio è superiore al tuo. Parlare di campanilismo nell'ambito della Tradizione è
un'assurdità.

D. Allora non occorrono l'iniziazione e la sadhana?

R. Non andiamo adesso dall'altra parte; gli estremismi non rappresentano la saggezza.
L'iniziazione è una realtà ed ha una sua specifica ragion d'essere.

 
99 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Non siamo nel satya yuga, poi, o età dell'oro.

Comunque diciamo che: Tu sei Brahman, e le possibilità del Braman sono tante.

Quasi tutti gli Ordini iniziatici dell'India e dell'oriente in genere, riconoscono, per esempio,
la sambhavi-diksa, l'iniziazione data direttamente da Siva o da Visnu. E' un evento raro,
ma è possibile; dipende dallo status coscienziale del neofita. Non tutti sono allo stesso
grado di risveglio. Vi sono persone che entrano nella dimensione umana con uno stato
coscienziale tale che basta un semplice sguardo dell'Istruttore o Maestro spirituale, o una
stimolazione dello stesso ambiente, per far scattare in loro l'Influsso o Presenza spirituale
sovraindividuale.

Sarebbe opportuno, però, fare qualche precisazione. In Oriente, in linea generale,


l'Iniziazione avviene per via diretta, vale a dire da Maestro a discepolo. Un guru che abbia
conquistato la coscienza universale (e questi dovrebbe essere considerato il vero guru),
trasmette direttamente l'Influsso al discepolo; ma perchè ciò possa avvenire occorrono due
condizioni indispensabili: le qualificazioni del discepolo e lo stato di effettiva realizzazione
del guru.

La trasmissione può effettuarsi anche nel tempo (da qui la vicinanza dei Saggi come
fattore di stimolo realizzativo di cui si parla nei testi); il discepolo qualificato
gradatamente si accorda sulla nota del suo guru, stabilendo così una specie di cordone
ombelicale mediante cui l'Influsso circola ed opera.

Siamo costretti a dare una sintesi di un intero processo iniziatorio che è molto complesso,
interessante e bello.

In Occidente, sempre in linea generale, l'Iniziazione avviene per via indiretta, nel senso
che è un'Istituzione iniziatica nel suo complesso, regolarmente funzionante, a darla.
L'Istituzione è rappresentata da un raggruppamento di persone che, con un particolare
rito, fa scattare certe possibilità. Possiamo dire che in Occidente l'iniziazione avviene per
un atto magico-ritualistico, mentre in Oriente si determina per l'incontro di due cuori
qualificati, anche se il guru è pur sempre unito alla catena dei suoi predecessori.

Per quanto riguarda la prassi e il rito, essi possono differire da un'organizzazione all'altra;
i riti indiano, tibetano e occidentale possono essere dissimili, ed è sotto questa prospettiva
che possiamo dire che sono diversi da un paese all'altro; ma l'influsso spirituale è uguale
dappertutto e le qualificazioni del discepolo, indipendentemente dalla forma d'iniziazione
che riceve, sono sempre le stesse.

Un rito d'iniziazione massonico è diverso da un rito d'iniziazione islamico, ebraico,


vedanta, tibetano e così via. Ma tutti attingono allo stesso Influsso, alla stessa Cit-
conoscenza-coscienza. L'Essere può svelarsi di là dal rito, per quanto il rito possa essere
opportuno a certi livelli, e indispensabile ad altri. Ma ciò che soprattutto vorremmo dire è
 
100 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

questo: preparatevi all'evento, acquisite le adeguate qualificazioni, senza tergiversazioni,


senza rinvii, senza essere disturbati dai dogmatici, dai recensori e dai farisei. Preparate
l'aura in modo adeguato affinchè l'Influsso spirituale possa essere attirato. Purezza di
movente, aspirazione alla trascendenza, superamento dello psichismo, compostezza
coscienziale sono alcuni dei fattori necessari per accostarsi all'iniziazione.

D. In una serie di conversazioni come queste, un Lama tibetano ha detto che l'iniziazione è
l'incontro di due menti (Maestro-discepolo). E' dello stesso parere?

R. Sì. Quando certe sintonizzazioni avvengono, si determinano effetti specifici secondo


precise leggi.

D. Mi perdoni se prolungo il discorso, però vorrei dire una cosa: in che senso si può parlare di rito
nella realizzazione metafisica tipo advaita, asparsa, zen e taoista?

R. Sì, comprendo. Diciamo, per concludere, che le possibilità e le modalità di realizzazione


sono tante; ma è anche bene sottolineare che qualcuno può illudersi, se crede
semplicisticamente che una mattina possa alzarsi d'un tratto con la coscienza risvegliata,
come s'illude colui che rifiuta in modo assoluto ogni forma di rito, soprattutto in questo
periodo oscuro.

D. Se nessuna cosa è mai nata e nessun ente è quindi esistente, né può esserci alcun agire, in che
modo si può parlare di azione e di rito, d'iniziazione e liberazione, di caste e di affiliazione?

R. Ripetiamo che vi sono delle persone che entrano nella dimensione umana con uno
speciale status coscienziale. Una coscienza reintegrata certamente ha compreso, e chi ha
compreso si è fermato; per chi ha compreso, il movimento è svanito, l'andare è cessato. Il
Sé è di là dal rito, dall'iniziazione, dagli ordini sociali e dalla stessa liberazione.

D. Mi perdoni una domanda: la Filosofia dell'Essere perchè è eterna e non-umana? Non comprendo
lo spirito di quest'affermazione. Gli amici perdonino la mia ignoranza.

R. Se dico: prima che l'uomo nascesse, già nel sole l'idrogeno si trasformava in elio, mi
comprende? Se diciamo che l'Essere era prima dell'uomo empirico, adesso dovrebbe
comprendere. La Verità è l'Essere stesso e quindi essa non è umana, ma l'uomo può
recepirla, svelarla e incarnarla. Ecco perchè parliamo di Conoscenza principale, metafisica,
di Philosophia perennis. Vede, tutte le verità scientifiche scoperte dall'uomo esistevano

 
101 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

già; la legge di gravitazione universale non l'ha inventata Newton, egli l'ha solo scoperta,
svelata; quella legge esisteva anche prima che l'uomo nascesse su questa terra.

 
102 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

SOLUZIONE DEL COMPLESSO ENERGETICO. 

D. Considero quanto è stato detto in riferimento alla politica e alla scienza come relativo e di
secondaria importanza, almeno per me. Riconosco che ogni individuo ha l'imprescindibile fine di
ritrovare se stesso.

Tutte le legislazioni sociali sono semplici tentativi per mettere d'accordo i vari io in conflitto. Ma
non ci sono legislazioni o ideologie politiche che possano dare la conoscenza del Sé o dell'Essere; esse
si riferiscono al mondo dell'individuale che io voglio risolvere e trascendere; quindi, lasciando il
problema sociale a coloro ai quali esso è più congeniale, le chiedo questo: se inibisco con la volontà
una mia istanza di ordine istintuale, emozionale, ecc., perchè la riconosco assurda, quali possono
essere le conseguenze psicologiche? Tenga presente che in me c'è consapevolezza dell'azione e anche
propensione verso uno scopo.

R. Abbiamo parlato qualche volta di una problematica politica e la politica opera sul piano
del divenire e del contingente. Il nostro problema qui è di trascendere il divenire, e se non
fissiamo sull'Essere il nostro sguardo, senza accorgercene saremo assorbiti e coinvolti
dagli avvenimenti storici. L'Essere è di là dalla storia, e l'Insegnamento è sovrastorico.
L'Essere è di là dal tempo e dallo spazio, di là dal processo, di là dalla causa-effetto.

Se non teniamo la mente ferma sull'essere, parleremo sempre di cicli temporali, di storia
politica, di ideologie economiche, di morte e di rinascita, ecc. Lo jnanin coglie il Tutto
nell'eterno presente che è fuori, appunto, del tempo-spazio, causa-effetto. Capisco che la
vostra sensibilità emotiva vi sospinge verso le cose che vanno e che vengono, ma vi dico:
osate guardare nelle profondità di voi stessi, volate verso la vostra controparte divina,
innalzatevi, con un volo d'aquila sul sovrastorico e raggiungete la pienezza dell'Essere.

Esaminiamo la domanda del fratello. Avendo parlato in precedenza di artha e kama,


possiamo rispondere adesso con maggiore ampiezza. Facciamo dunque un passo indietro:
dharma, artha, kama e moksa costituiscono lo scopo e il sottofondo motivanti della
condotta umana, ma in quante tappe possiamo articolarli? La Filosofia dell'Essere ne
indica quattro, che rappresentano precisi stadi di coscienza dell'individuo: brahmacarin
(studente), grhastha (capo famiglia), vanaprastha (anacoreta contemplativo) e samnyasin
(rinunciatario); essi sono anche denominati asrama. Mi attengo alla terminologia indù, ma
queste cose sono di ordine sovranazionale.

Chi ha delle idiosincrasie per l'Oriente potrebbe detestare certi termini, ma vi prego di
andare di là da questi; un nome bisogna pur darlo a particolari esperienze o modalità di
vita; tendiamo verso l'universalità e alcune lingue dispongono di particolari termini tecnici
che, purtroppo, altre non hanno.

Comprendiamoci piuttosto e non creiamo resistenze per cose insignificanti.


 
103 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D'altra parte, la Filosofia non è un romanzo da leggere nei ritagli di tempo.

Dunque, lo stadio dello studente è caratterizzato dall'apprendistato; quello del


capofamiglia, dal senso dell'autodeterminazione, della responsabilità della famiglia o del
lavoro, dei rapporti sociali, ecc.; quello dell'anacoreta, dal rientro in se stesso, dal
riorientamento delle proprie energie, dall'istanza di avvicinarsi a moksa; quello del
rinunciatario, dal distacco da tutto il mondo del divenire. Ora, ogni stadio di vita implica
un preciso dharma, per cui il dharma dello studente non è quello del capofamiglia, e così
di seguito. Diremo che ogni stadio comprende una precisa sperimentazione coscienziale.
Senza dilungarci, potete capire da voi stessi tutta l'implicanza e l'armonia dell'assieme.

Occorre sottolineare che, secondo la Filosofia dell'Essere, l'individuo, e quindi l'umanità, è


qui per un preciso scopo: conoscersi, comprendersi, essere.

Non è dunque qui per considerarsi Prìncipe, imprenditore o lavoratore manuale; non è qui
per fare soldi e accumulare ricchezza, usare violenza, o semplicemente per mangiare e
copulare. Il suo imperativo categorico è proprio quello di ritrovarsi come totalità o unità,
di uscire dalla frammentarietà e incompiutezza in cui si trova.

Per fortuna, egli è più di un complesso di forza-lavoro o di desiderio che tende a stordire.
Se non comprendiamo ciò, non potremo capire perchè la Filosofia dell'Essere concepisca la
politica, la religione, la filosofia, ecc. in un certo modo. Diremo che non potremo capire
neanche la filosofia di Parmenide, di Pitagora, di Platone, di Plotino, e così via.

Non siamo qui per agire e determinarci sul piano del divenire producendo altro divenire-
prigione, ma per trascendere il divenire stesso, far cessare il nostro moto imprigionante
realizzandoci Motore immobile.

In riferimento ai vari asrama c'è da ricordare che in alcuni scritti di Raphael si possono
cogliere stimolazioni dirette al brahmacarin, al grhastha, al vanaprastha e al samnyasin.

Possiamo così riconoscere come la Metafisica o Filosofia dell'Essere non sia un'utopia, non
sia un contemplare il cielo stellato o le nuvole in attesa che qualche barbuto Dio nascosto
vi faccia capolino per levarci dai pasticci in cui ci siamo cacciati.

Ritorniamo alla domanda e soffermiamoci su due punti: primo, il complesso energetico va


trattato a seconda del preciso stadio di vita perchè, appunto, è soggetto a variazione;
secondo, non è questione d'inibizione, ma di soluzione delle energie, per quanto la
modalità scelta dal nostro fratello potrebbe anche andare; là dove ci sono consapevolezza,
scopo e intelligenza, non c'è mai inibizione.

 
104 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Come faccio a riconoscermi in uno di questi stadi di vita? Presumo che, trattandosi di stadi
coscienziali, non seguano necessariamente l'età biologica.

R. Certamente. Senza dubbio certe cose riguardano la sadhana e il rapporto diretto


discepolo-istruttore; una sadhana non può essere fatta da soli, soprattutto inizialmente,
per cui al discepolo vengono date opportune indicazioni.

D. In questo senso l'energia del sesso andrebbe vagliata adeguatamente?

R. Direi di sì. Il problema del sesso varia a seconda dell'età psicologica e fisica, a seconda
che riguardi l'uomo o la donna, a seconda della conformazione psicofisica del momento,
della precisa richiesta fisiologica e psicologica, del funzionamento di alcuni centri o cakra
sopra il diaframma, ecc.

D. Allora la questione del sesso non è tanto semplice come si potrebbe pensare.

Alcuni liquidano il problema con due parole: alla liberazione si arriva con la castità; oppure,
all'opposto: alla liberazione si arriva facendo continuamente del sesso; alcune vie tantriche
predicano questo con la scusa di ritenere lo sperma.

R. Il sesso va inquadrato in tutto il contesto psicofisiologico e anche spirituale del soggetto.


Come tutte le cose, poi, è un'energia né buona né cattiva: ha una sua precisa funzione e
serve a certi scopi specifici.

D. Si possono seguire cicli aderenti alla stessa natura, al pulsare della vita cosmica?

R. Certo, anzi il sesso dovrebbe essere compreso, dominato, direzionato e ritmato: questa è
la sequenza. A certi livelli può essere trasceso. Non solo un certo tipo di tantrismo, ma
ogni tipo di yoga affronta intelligentemente il problema del sesso. Ricordiamo comunque
che il sesso fisiologico rappresenta un simbolo di ordine universale. Spesso, e purtroppo, il
simbolo viene svuotato del suo reale contenuto; da qui la giusta comprensione a cui si
accennava prima.

D. Perchè tanta drammaticità sul sesso, almeno qui in Occidente?

R. Vede, l'energia sessuale, come quella manasica (mentale) e kamasica (del desiderio), per
quanto in sé innocente, può essere adoperata in modo corretto o sbagliato. Purtroppo
l'individuo ha prostituito questo simbolo, come prima dicevamo, l'ha svuotato del suo
 
105 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

contenuto più profondo, e oggi siamo arrivati a usare il sesso peggio degli animali; infatti,
questi hanno precisi ritmi biologici che vengono salvaguardati, oltre al fatto che, non
avendo l'immaginazione e il desiderio di speculazione, non possono prospettarlo come lo
prospettano gli esseri umani, soprattutto in questi ultimi tempi.

D. Credo che il sesso sia decisamente di ordine individuale. Non si può generalizzare o dettare
norme comuni. Non crede?

R. Sono d'accordo. Come per tutte le altre energie, occorre esaminare lo stato coscienziale
del soggetto. Un ventenne, per parlare in termini di età biologica, può anche tentare, ad
esempio, di trascendere il sesso, mentre per un quarantenne può essere opportuno non
interromperlo ancora completamente. Dipende anche dall'intento del neofita.

D. Alcuni gruppi, volendo demolire ogni istituzione del passato e non desiderando inibire alcuna
energia intraindividuale, sostengono che la migliore strada per la realizzazione sia quella di tuffarsi
sul piano dell'esperienza e del vissuto. Vogliono ritornare alla religione istintiva dei primordi.

Pensa che ciò sia giusto?

R. Andiamo di là dal giusto e non-giusto. Diciamo che taluni possono non comprendere il
problema di fondo e cercano di liberare solo energie subconscie.

Vale a dire, più che unirsi alla supercoscienza si fondono con la subcoscienza che
rappresenta il passato cristallizzato. Vogliono demolire le istituzioni cristallizzate esterne e
diventano poi schiavi di contenuti e complessi energetici subconsci ormai
istituzionalizzati.

Un preconcetto, di qualunque natura e grado, è sempre un'istituzione che preme per


manifestarsi.

Se parliamo dei primordi, quando l'uomo era più divino che umano (satya yuga), allora
siamo d'accordo, ma se parliamo dei primordi della storia dell'io, dell'individuo decaduto
e metallizzato (kali yuga), potrei dissentire.

Uno dei tanti pericoli della droga sta proprio nel fatto che, disinibendo alcuni veli
protettivi psichici, la coscienza sprofonda nel mondo degli inferi senza essere preparata,
ma l'Illuminazione non si trova in tale sfera.

La droga può dare una maggiore consapevolezza momentanea di determinati fattori


dell'individualità, può offrire un io apparentemente più forte, più euforico, più capace, più
dilatato, più percettivo, ma, ripeto, non è questo il problema della Via iniziatica.

 
106 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

In ogni modo ritengo ragionevole che energie inibite per molto tempo debbano trovare la
loro intelligente espressione. Abbiamo parlato di stadi di vita e ogni stadio ha le sue
precise espressioni energetiche; ma ciò che conta soprattutto è il comprendere la propria
costituzione, non soltanto quella attinente al corpo fisico grossolano, ma la costituzione
nella sua integralità.

V'è anche da considerare che oggi molti gruppi reagiscono a quella che è stata una morale
inibitoria che non risponde più. Cercano così la realizzazione dell'io, una maggiore
espressione di libertà dell'io. Per la Realizzazione non è questione di disinibire le energie
sessuali (il più delle volte è a questo tipo di energie che ci si vuole riferire) o psichiche di
autoaffermazione, ecc., né di reagire indiscriminatamente a ogni forma di autorità, per
quanto tutto ciò possa essere preso in debita considerazione, ma di avere vere istanze di
trascendenza dello stesso io.

Bisogna distinguere tra quella che può risultare una benefica terapia a sfondo psicologico e
un preciso iter iniziatico o realizzativo, tra quella che è una semplice educazione
psicologica sessuale, cosa ottima soprattutto nel momento attuale, e una soluzione polare.
Ricordiamo che advaita significa non-dualità.

D. A me hanno detto di essere passivo, di abbandonarmi al guru. Mi sto ponendo in una situazione
sbagliata?

R. Bisogna dire sinceramente che non c'è cosa peggiore dell'abbandono prematuro.

Spesso si vuole attuare una condizione che è molto avanzata. Si vuole abbracciare il
Divino, abbandonandosi prima di partire.

Un'ascesi è divisa in due fasi, l'una è di ordine attivo e l'altra più che passiva è, diremo, di
ricettività, di attesa cosciente, di disponibilità.

L'opera di trasformazione, di conquista, di controllo, ecc., è di ordine attivo, solare;


quando l'io viene posto nel silenzio, allora l'individuo, come tale, non può fare più niente;
è l'universale che assorbe il particolare, è la luce suprema che è posta in condizione di
riassorbire il riflesso, è l'Essere in sé che risolve completamente il suo raggio diffusore. La
ragione umana, la razionalità empirica può avere una sua relativa validità solo nell'ordine
individuato, per cui non può afferrare l'Essere.

Se incominciamo ad abbandonarci prima di aver compiuto l'opera di soluzione dell'io, non


facciamo altro che abbandonarci al mondo intermedio, quello psichico, delle ombre, dei
fantasmi, della stessa medianità. Sotto questa prospettiva si diventa oggetti passivi di
qualche entità, di qualche idolo, di qualche potere psichico.

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

L'abbandono non è una cosa facile, per quanto possa sembrarlo; anzi, è l'ultimo passo che
una coscienza, maturata al fuoco della purificazione, possa fare.

Quando la mente ha raggiunto il suo estremo limite di impossibilità a cercare, desiderare e


possedere, quando ogni sforzo è cessato, allora, come frutto maturo, essa si abbandona
senza alcuna resistenza, senza tergiversazioni, senza rimpianti. In questo abbandono c'è
isolamento (kaivalya) da ciò che precede e da ciò che segue; ciò implica che la coscienza,
essendosi ripiegata su se stessa, ha cessato di avere prospettive, ha cessato di muoversi.

Molti sono attaccati allo stesso Insegnamento, ai concetti metafisici, all'elaborazione della
Dottrina; curano meticolosamente di essere attenti alle idee che devono esprimere, e così
via. Ma viene un giorno, se sono arrivati veramente a maturità, in cui devono
abbandonare tutta la terminologia dottrinaria e cercare di capire, per via diretta, la verità
che l'idea incorpora. Quando si passa dal concetto alla sperimentazione, le formule non
servono più e se non si è pronti a eliminare questi sostegni, la mente vi si aggrappa
disperatamente, procrastinando quell'indispensabile abbandono che deve verificarsi
quando si vuole praticamente, e non teoricamente, valicare l'abisso.

D. Molti si accostano alla Filosofia dell'Essere con la mente; a queste persone non può capitare
quello che abbiamo detto in riferimento alla politica e alla scienza? Devo dire che è successo anche a
me, ma sto rettificando la mia posizione.

R. E' vero, profondamente vero. Non è il caso di essere pessimisti, ma anche in questo
campo i più oggettivano quello che invece non dovrebbe essere oggettivato. In verità se
molti guru, soprattutto orientali, insistono nel dire di non usare la mente, di uccidere la
mente, fino a portare alcuni discepoli all'idiozia, è perchè avvertono il pericolo della mente
la quale può operare nel campo dell'ascesi come opera nel campo mondano. Da qui il
cambiamento radicale di rotta. Bisogna fare comunque attenzione: ogni cosa deve trovare
il suo giusto posto; la via di mezzo è quella della saggezza.

Occorre riconoscere che la mente può crearsi il suo idolo-divinità, il suo idolo-qualità di
bontà, di fratellanza, ecc., mentre la coscienza rimane immutata. Ci sono persone che
adorano la proiezione dell'Amore, della Conoscenza, della Volontà mentre la loro
coscienza non è né amorevole, né assetata di conoscenza, né volitiva.

Fino a quando creiamo l'altro, creiamo l'idolo e l'alienazione. Solo nell'Uno-senza-secondo


vi è realtà ed espressione di realtà. Tu sei Quello, tu sei l'Essere, ma, finchè non si realizza
questo stato, bisogna fare molta attenzione perchè si possono creare dei sostituti, dei
surrogati che, senza dubbio, ritardano la presa di consapevolezza di sé in quanto puro
Essere.

 
108 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

L'erudizione è un altro grande idolo che ha molti adoratori e fedeli. L'erudito pensa di
essere mentre non è; ed è difficile farglielo comprendere perchè generalmente è
orgoglioso, critico, con la mente spesso iperstimolata; ha in mano un potere oggettivo
psichico a cui non vuole rinunciare. L'erudizione dà sicurezza all'io relativo e limitato.

D. Vorrei porre una domanda, ma non so se facciamo tardi. Comunque la pongo, e se non c'è tempo
pazienza. In quest'ultimo scorcio di secolo si è imposto un problema che riguarda in modo più
immediato la donna. Esiste cioè il problema della donna considerata come oggetto da parte
dell'uomo o, meglio, del maschio.

La società del divenire cerca di risolvere tale problema nel modo che le è proprio; come vede invece la
questione la Filosofia dell'Essere?

R. Così giovane e s'interessa di tali problemi?

D. Forse proprio perchè sono una ragazza.

R. Mia cara, per la Filosofia dell'Essere il problema non sussiste perchè essa, considerando
ogni individuo come l'espressione triplice di corpo-anima-spirito, o, parlando in termini
vedantici: sthula sarira, jiva e atman, pone il rapporto ad un triplice livello esistenziale.
Così, la donna, come l'uomo, oltre ad essere corpo è anche anima-jiva, con una sua
traiettoria e con un suo stato coscienziale, e a livello dell'anima le stesse polarità fisiche
scompaiono. Io e lei siamo due gocce dello stesso oceano; a livello dell'Essere, poi, siamo
una stessa Realtà. Se si vive questa visione, le cose non possono non cambiare nei rapporti
tra i sessi.

Diremo che la donna, come l'uomo, prima che corpo è anima. Inoltre, per la Filosofia
dell'Essere la direzione delle individualità è verso la conquista dell'Essere-unità; quindi è
direzione verticale, di trascendenza, non di gratificazione e di acquisizione. La Filosofia
dell'Essere è inerente al Sé; quella del divenire è inerente all'io empirico appropriativo ed
essa, concependo l'essere come semplice corpo-io, non può risolvere il problema del
rapporto uomo-donna.

Sul piano del corpo, preso a sé stante, esistono solo istinto e necessità fisiologica. In una
società corporale, permettete questi termini, può esserci unicamente rapporto di
accoppiamento, di possesso e di utilitarismo. Sul piano fisico, si sa, due corpi non possono
fondersi: è sul piano dell'anima che può esserci fusione e quindi amore. Per la Filosofia
dell'Essere l'amore è uno stato di coscienza in cui l'io è assente. L'orientamento della
filosofia del divenire è orizzontale, di quantità, di espansione e di gratificazione dell'io; lo
vediamo a livello dei beni di consumo e, purtroppo, lo notiamo altresì a livello dello stesso
 
109 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

sesso: oggi c'è anche un consumismo del sesso che, presto o tardi, non potrà non
determinare saturazione, stanchezza e inflazione.

D. Se ho ben capito, con la Filosofia dell'Essere la problematica corporale si sposta a quella


dell'anima?

R. La filosofia del divenire concepisce l'istinto sessuale come fattore determinante.


Secondo la Filosofia dell'Essere due individui s'incontrano prima di tutto sul piano
dell'anima. E' da questa sede che si tenta poi di coordinare, integrare, armonizzare ed
esprimere l'istinto-sentimento-pensiero. In altri termini occorre distinguere tra
accoppiamento ed unione.

D. La violenza sessuale esiste perchè la filosofia del divenire si esprime tramite l'io?

R. Sì. La violenza è frutto di reazione, di acquisizione, di possesso.

Nell'amore non c'è reazione né acquisizione, ma donazione, abbandono, contemplazione.


La società del divenire è senza amore, senza rapporto, senza comunicazione perchè si
fonda sull'io separativo e sui suoi attributi.

D. Il Raja yoga di Patanjali dice che attraverso otto mezzi si possono equilibrare i tre guna e
realizzare così kaivalya; è un procedimento empirico e di sperimentazione che sto meditando.
L'Asparsa yoga, invece, di che cosa si serve? Quali mezzi usa per realizzare il nirguna Brahman?
Che differenza c'è tra il raja-yogin e lo jnanin?

R. Se studia e medita l'Aparoksanubhuti (Samkara, Autorealizzazione) troverà i mezzi


advaita per risolvere il complesso energetico egoico e realizzare quindi Brahman; inoltre,
in tale libro troverà esposta la differenza tra i due metodi.

Comunque, tra di essi non vi è contrapposizione; sono metodi diversi, ma l'obiettivo


comune è il moksa. L'Asparsa è metafisica realizzativa e si serve della comprensione
intuitiva per riconoscere la realtà. Chi conosce veramente, non può non essere; la
conoscenza, non l'erudizione, è catartica, è trasformatrice. Se comprendiamo che il mondo
dei nomi e delle forme non è altro che fenomeno evanescente, da esso ci discostiamo
perchè non è quell'assoluta realtà di cui andiamo in cerca. Noi dobbiamo realizzare
l'Essere nel suo aspetto nirguna, che poi è la vera costante assoluta; tutto ciò che non è
Essere possiamo trascenderlo perchè è solo un riflesso mayahico. Diremo ancora che il
Raja yoga opera soprattutto con la volontà e attua una trasformazione graduale della
coscienza; l'Asparsa opera soprattutto con la buddhi sattvica, intuizione superconscia, per
 
110 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

sceverare il Vero assoluto dal non-Vero e realizzare quindi istantaneamente l'Essere nel
suo stato incondizionato.

Lo Svami Siddhesvarananda scrive: Lo jnana rappresenta la conoscenza pura, quella


dell'Uno-senza-secondo. Essa non implica un atteggiamento religioso perchè a priori
esclude ogni nozione appartenente al mondo delle esistenze e delle differenze. I
conoscitori del Sé guardano con visione equamine un brahmana dotato di sapienza e
umiltà, una vacca, un elefante, un cane e un paria.

Lo jnanin risale incessantemente all'Essere, non rimane in nessuno degli esistenti (per
usare la terminologia esistenzialista). Tutti gli esistenti (stati di coscienza) attraverso i quali
passa il mistico, visioni di Dio, ascolto delle Sue parole, la stessa beatificazione, non sono
che esistenti, cioè proiezioni attraverso le quali l'Essere si manifesta, ma non sono l'Essere.

Per lo janin che ha realizzato l'Essere, essi non sono che spettacoli, drsya, e non ne rimane
impressionato perchè partecipa a ciò che è la loro vera natura, a quell'Essere unico in cui
egli si è stabilizzato. (Svami Siddhesvarananda, Pensiero indiano e Mistica carmelitana).

Nel nostro contesto, più che di Essere dovremmo parlare di Non-Essere in quanto l'Essere
è già determinazione; ma, sorvolando le sottigliezze metafisiche, che per altro sono state
già proposte altrove, possiamo parlare ugualmente di Essere puro in riferimento
all'Incondizionato. Se diciamo anche Non-Essere non è per negare l'Essere, ma perchè
l'Incondizionato nirguna può comprendersi solo in termini di non questo, non questo,
secondo l'indicazione dell'Upanisad.

Il Vedanta advaita, sapete, ha due termini per designare i due aspetti: Brahman
saguna=Essere; Brahman nirguna=Incondizionato Non-Essere; oppure Brahman non-
supremo e brahman supremo, ma siamo sul piano dei semplici nomi.

D. Ho letto molti libri sullo yoga e sui darsana, ho cercato di penetrare tutta la Dottrina e sono
arrivato ad una sintesi che ho corroborato soprattutto studiando e meditando l'Asparsa esposto
nella Mandukya Upanisad. Sono lieto di essere in armonia con il mio intento; penso che non vi sia
espressione più alta di una costante che rappresenti l'unità e il centro polare di ogni cosa manifesta
e no. Non posso concepire una Realtà molteplice, la stessa scienza è già arrivata a riconoscere
l'unità della vita materiale.

Da un paio d'anni questa visione mi è sempre vicina, la riconosco sempre valida e ne sono felice.
Però, ogni tanto mi scopro con degli atteggiamenti che, in verità, non sono aderenti a essa. Così, da
una parte accetto la costante, e non potrei non affermarla, dall'altra osservo una psiche che vive il
condizionato fino ad un punto che mi domando se veramente ho compreso, se veramente ho
accettato questa costante.

 
111 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Che cos'è questo qualcosa dentro di me che mi costringe nel limite e nel fenomeno? Che cosa posso
fare per liberarmene?

R. Per il momento non deve spaventarsi; è una condizione comune a tanti.

Abbiamo detto spesso che la Filosofia dell'Essere è prassi e teoria. Questi due aspetti non
sono scissi o opposti; non sono due momenti disgiunti; essi si compenetrano a vicenda,
non dobbiamo dimenticarlo.

Se si ha una buddhi (intuizione) sviluppata, se si ha un manas (mente selettiva)


armonizzato, la teoria può essere agevolmente afferrata. Se non vi sono però un'adeguata
volontà e una potente sete di essere la visione, può avvenire che la teoria prenda il
sopravvento sulla prassi che rimane così relegata in second'ordine. E' il caso tipico di molti
pandit, di eruditi, di culturalisti, i quali, per quanto sappiano, in verità non sono. Se invece
si possiede una volizione predominante, grande aspirazione, ma una buddhi ancora
quiescente, allora si ha un atteggiamento di fare, di imporsi comportamenti anche
psicologici, di violentarsi; ma, mancando la visione, si può cadere in molti errori e persino
in deviazioni.

Un tecnicismo imposto senza una visine intelligente può portare lontano. Molti visionari,
psichici, mistici emotivi potrebbero uscire dalla loro condizione deviata se sviluppassero
adeguatamente il manas e la buddhi. Dunque, teoria e prassi non sono disgiunte e laddove
lo sono vi è necessariamente qualche deviazione.

Dopo questa premessa che mette a punto il problema, esaminiamo più da vicino la
domanda: che cosa è questo qualcosa che mi costringe? Quando la coscienza dell'oggi
comprende certe verità, non può ovviamente disconoscerle e cerca di assimilarvisi, ma nel
tradurle in pratica incontra delle resistenze che, malgrado la sua ferma determinazione,
spesso la fanno deviare dalla verità intravista. La coscienza comprende di dover seguire
una determinata condotta, ma un qualche cosa che è dentro la sua spazialità psichica, le
impedisce di farlo. Il quadro clinico, diciamo così, si presenta in questo modo, non le
sembra?

D. Si, direi che è la condizione che ho esposto precedentemente.

R. Bene, che cosa è questo qualche cosa che impedisce di essere ciò che si vorrebbe essere?
Alcune religioni parlano di un demonio che tenta di portar fuori rotta l'individuo; altre
parlano di male individuale e universale, di potenza della materia costringente, di avidya,
ecc.

Mi vuole aiutare in questo dialogo?

 
112 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

D. Sì, volentieri.

R. Se lei decidesse di alzarsi domattina, poniamo alle quattro, che cosa si potrebbe opporre
a questa decisione consapevole?

D. La piacevolezza di dormire, di rimanere a letto, l'inerzia psichica che non mi danno la forza di
alzarmi. Mi sembra questo.

R. Dunque, è la piacevolezza del dormire, del poltrire. Ancora, se lei decide di essere
gentile con tutti e poi di fronte a qualche offesa non lo è più, che cosa ha fatto cambiare il
suo atteggiamento?

D. La reazione dell'io. Di fronte a particolari eventi scattano meccanismi subconsci.

R. Ecco la parola chiave: subconscio. Non andiamo quindi oltre e soffermiamoci su questo
termine. Che cosa intendiamo generalmente con subcoscienza?

D. La subcoscienza è il ricettacolo dei nostri atti, delle nostre tendenze; è il nostro passato.

R. E', dunque, l'accumulo delle nostre tendenze, è la forza cristallizzata del nostro passato;
è la parte di noi che si muove sotto forma reattiva, istintiva, automatica perchè, appunto, è
cristallizzazione di movenze; è un cervello elettronico che, se gli viene toccato un tasto
(ricezione di un impulso), risponde automaticamente elaborando da sé la reazione
(risposta all'impulso).

Queste movenze cristallizzate sono ovviamente costruzioni spazio-temporali; le nostre


abitudini sono movenze reiterate che lentamente si cristallizzano divenendo, appunto,
abitudini, consuetudini, diremo un habitus, un'assuefazione.

L'animale è determinato soprattutto dall'impulso subcoscio, l'individuo dovrebbe invece


essere guidato dall'intelligenza. L'animale di fronte ad uno stimolo risponde in modo
automatico (riflesso condizionato), l'uomo dovrebbe rispondere con intelligenza, con
discriminazione e discernimento intuitivo superconscio.

E' importante, dunque, comprendere che la subcoscienza è l'effetto, il risultato di una


particolare direzione mentale e di un conseguente comportamento che lentamente, per la
loro reiterata espressione, hanno preso corpo, vita, esistenza.

 
113 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Facciamo un esempio: ci troviamo a camminare e abbiamo di fronte due strade che


chiameremo A e B (possono essercene altre, comunque); oggi siamo liberi di prendere
l'una o l'altra, per cui in libertà decidiamo di incamminarci lungo la strada B. Avendo
questa strada trovato adeguata risposta nelle nostra coscienza, continuiamo a percorrerla
tutti i giorni fino a quando la coscienza cristallizza, rende formale una porzione di sé, si
assuefà, si identifica con l'evento dimenticando il punto di origine. A questo stadio scatta
un meccanismo: alla libertà decisionale originaria si sostituisce la necessità di compiere un
atto, quello di andare per la strada B. Ormai la forza dell'abitudine, come una droga, ci
sospinge a seguire una determinata via. Così la nostra coscienza, originariamente libera
nel suo moto vitale, si è determinata, si è cristallizzata, si è costretta; in altri termini, è
caduta sotto la legge della necessità e della determinazione.

Che cosa può accadere adesso a questa coscienza che si è necessitata?

D. Sono estremamente attento; in me sta albeggiando qualcosa di nuovo, non vorrei interferire.

R. Allora procediamo; fino a quando la coscienza è sintonizzata con quella espressione


vitale, e nel nostro caso con quel particolare percorso, non accade niente: tutto procede a
gonfie vele; il percorso sembra bello, meraviglioso e se qualcuno l'offende, l'oltraggia o
incomincia a reputarlo non idoneo, noi lo difendiamo, diciamo che costui non ha capito
niente, che si trova fuori della realtà (percorso B), che è un poveraccio da compatire, e se
quello insiste e tenta di dimostrare quanto afferma, noi cerchiamo con tutti i mezzi di
respingerlo; al limite di rinchiuderlo in un manicomio.

Consideriamo che il soggetto in risveglio siamo noi stessi; e allora che cosa potrà avvenire
come conseguenza della nostra istanza? Due cose: nel tempo-spazio gli ostacoli (dolore)
che ci si parano di fronte sono tali e tanti che incomincia a balenarci il sospetto che
qualcosa non vada per il suo verso; lentamente gli impedimenti ci ributtano indietro, ci
fanno rientrare in noi stessi, ci fanno meditare, e ciò ci sospinge verso la fonte da dove,
liberi, siamo partiti; cioè ci sospinge verso il punto di partenza (necessità inevitabile
perchè il centro coscienza tende sempre a riprendere la sua posizione originaria; così le
irrequietezze dell'individuo nascono proprio perchè ha perso il punto centrale di
riferimento). Oppure può avvenire, cosa più difficile, che un atto di immediata
consapevolezza, di totale comprensione ci faccia riconoscere che stiamo procedendo in
modo sbagliato, se non del tutto, almeno in parte.

E' solo in questa fase di riconoscimento che la coscienza è pronta ad ascoltare, ad essere
più umile nelle sue affermazioni, più disponibile per la realizzazione, non prima.

Se voi andaste ad un congresso filosofico a predicare la strada A, C o D, quando i


componenti del congresso riconoscono solo la strada B e ne sono anche fieri ed entusiasti,

 
114 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

ne uscireste a brandelli; diremo che vi avrebbero sospinto a prendere la parola la vostra


inconscienza o il vostro coraggio consapevole o la vostra missione che potrebbe però
risultare tragica. Ne sanno qualcosa tutti coloro che la pensano in modo diverso
dall'opinione corrente e generale.

Ammettiamo adesso che il risveglio nella nostra coscienza ci sia stato e che abbiamo avuto
la visione giusta; è ovvio che a questo punto la coscienza vuol essere quella visione; però
nell'attuarla si accorge di alcune resistenze, di forze inerziali che la sospingono a rifare la
strada abituale e a ripetere il comportamento.

Ritorniamo alla domanda: che cosa ci costringe? Penso che adesso abbiamo chiara la
risposta; ciò che ci costringe è l'abitudine inconscia, automatica; è l'assimilazione al
contenuto B, è la forza consolidata; in altri termini, è una parte della nostra stessa
coscienza che vuole operare in modo contrapposto all'altra (nascita della dualità).

Il demonio, il male, ecc., siamo noi stessi, sono una parte della nostra coscienza; essi non
sono fuori di noi, ma dentro, profondamente dentro, annidati e coltivati così bene che,
quali potenti forze operanti, cercano di coartare la libera volontà dell'essere risvegliato.
Ecco perchè giorni fa dicevamo che non c'è giustizia e l'armonia interindividuale. Ora,
come si può riconquistare la perduta libertà? Come si possono cancellare abitudini che
risalgono alla notte dei tempi? Come uscire da un mondo di ristrettezze, di conflitto, di
dolore, di dualismo e di unilateralità? Come ritornare punto al centro, all'origine, allo stato
primordiale, allo stato puro, edenico, ecc., secondo le varie accezioni usate dalla Filosofia
dell'Essere? Da qui la sadhana, che rappresenta il percorso inverso, che rappresenta
l'insieme della teoria e della prassi, l'ascesi per tornare in libertà, per tornare al punto di
partenza. Non è il caso di dire che tutto questo dimostra anche come l'individuo non sia
evoluto ma involuto, e che suo compito immediato sia quello di risvegliarsi a ciò che
veramente è.

L'iniziazione consiste nel mettere il seme del risveglio nel terreno preparato, qualificato;
ma tocca al discepolo portarlo a maturazione.

La sadhana rappresenta proprio questo atto concreto, questa via di fattiva realizzazione.

D. Intuisco che quando ero libero di decidere potevo scegliere tra diverse strade. Mi chiedo chi me
l'ha fatto fare a prendere questa via; mi accorgo di aver preso la strada sbagliata. D'altra parte i
conti mi tornano. Anni addietro ero libero di prendere certe decisioni piuttosto che altre; anzi, devo
dire che ero libero di non prenderle affatto, e magari l'avessi fatto, ebbene ho preso una decisione che
poi mi ha arrecato molta sofferenza e mi ha imprigionato; ancora oggi ne ho le conseguenze; mi
perdoni l'espressione, ma ho maledetto spesso il momento in cui ho preso quella determinazione.

Posso uscire da questa strada di dolore e starmene finalmente in pace, per i fatti miei?
 
115 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

R. Capisco lo stato coscienziale di chi sta risvegliandosi al riconoscimento che noi non
siamo la strada B, capisco anche i sentimenti che spesso entrano in giuoco con reazioni
particolari, ma dobbiamo cercare di comprendere sempre meglio, e di essere quella
comprensione.

Possiamo dire alcune cose in relazione alla sua domanda. Prima di tutto si supera una
strada solo dopo averla assimilata ed esaurita. Così, un'esperienza diventa assurda solo
quando è stata trascesa, quando vi è più risposta.

La strada B, tanto per ritornare al nostro esempio, all'inizio ci andava bene, diversamente
l'avremmo cambiata a tempo opportuno, quando cioè potevamo farlo con tutta
tranquillità. Attenzione, dunque, perché voi oggi non vi date pace per aver percorso una
strada che reputate sbagliata, ma vi prego di notare il termine oggi. L'errore poi non sta
nell'aver percorso la strada B, ma nell'aver assimilato la coscienza a tale strada, nell'aver
creato subcoscienza, cristallizzato l'evento come fosse assoluto. L'errore sta nell'essersi
persi nel particolare.

Il Realizzato non è colui che sfugge le varie strade; se lo crede può anche seguirle, ma non
s'identifica, non si perde, non si annulla in esse, non crea subcoscienza; quindi è libero
dalle leggi che creano necessità.

D. Significa essere nel mondo, ma non del mondo?

R. Esatto, questa è la condizione ottimale di chi sperimenta pur non-sperimentando


(azione senza azione del Gita).

Scusate se insisto, ma lo faccio perchè molti di voi, soprattutto all'inizio della sadhana, si
consumano il cervello per capire il perchè della caduta. In termini spiccioli, siamo caduti
perchè ci è piaciuto cadere. L'Essere è libero di essere e non-essere.

D. Potevo, ad esempio, prendere la strada A, C o D?

R. Sì. Nessuno ci ha costretto a prendere una strada anziché un'altra, come nessuno ci
costringe a continuare sulla stessa strada. Il mondo dei nomi e delle forme non è altro che
una molteplicità di espressioni (strade) vitali. Una di esse è, appunto, quella umana.
Nessuno ci ha costretto a percorrere la via degli uomini se non la nostra libera decisione
(libero arbitrio). Né possiamo dire, d'altra parte, che la via degli uomini sia migliore o
peggiore, superiore o inferiore ad un'altra: è una via tra le tante, e basta. Può diventare
migliore o peggiore a seconda della nostra risposta e della direzione energetica che
imprimiamo ai nostri atti.

 
116 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Direi che sbagliamo anche quando ci esprimiamo in termini di superumano e subumano,


soprattutto in riferimento ad aspetti etici o di superiorità o inferiorità manasica. ecc. Ogni
strada, o espressione di vita, ha le sue peculiarità che la fanno essere ciò che è. Non
potremmo aggiungervi altro; se lo facessimo saremmo impulsati dal desiderio di
assegnare ad un'espressione di vita le attribuzioni di un'altra: ma ciò non è conforme a
ragione. La terra va compresa e studiata dalla prospettiva della sua natura di terrestrità,
non dal punto di vista di Sirio o di Vega.

D. Trovo giusto, almeno per me, quello che dice; all'inizio anch'io mi tormentavo sul perchè sono
qui; oggi ho superato questa domanda e ammetto che, con quella stessa libertà con cui ho deciso di
venire, posso anche andarmene. In fondo, quella libertà, o autodeliberazione, non è stata distrutta
ma affievolita, obnubilata dall'identificazione con la parte: ecco i concetti di maya e avidya che
coprono, velano la nostra coscienza libera. Mi corregga se sbaglio. La condizione nirguna, vorrei
adesso sapere, è quella in cui si rimane fuori di tutte le possibili strade?

R. Dice delle cose interessanti; mi aguro che tutti abbiano ascoltato.

Malgrado che la subcoscienza, ormai cristallizzata e inerziale, possa fare i capricci, tuttavia
nessun ostacolo può opporsi ad una coscienza risvegliata, ad una volontà che abbia
deliberato di Essere. La posizione nirguna è quella a cui ha accennato.

All'inizio ci troviamo nel non-manifesto, quindi di là dalle possibili modalità manifestate


(le varie strade o sentieri, ecc.), e in tale stato possiamo anche rimanere se lo desideriamo.
In altri termini, siamo liberi non solo di prendere l'una o l'altra via manifesta, ma anche di
non prenderne alcuna. Possiamo denominare quest'ultima modalità Punto X.

Vede, il nostro amico poc'anzi ha detto delle cose importanti che possono aiutarci nella
comprensione di quanto stiamo sostenendo. Ha detto che aveva la libertà delle sue scelte,
anzi era addirittura libero di non fare alcuna scelta così da rimanere tranquillo nello stato
originario. Ecco la nostra duplice possibilità: rimanere nirguna, Punto X, oppure
esperimentare A, B, C, ecc., a seconda della nostra particolare direzione. E' ovvio che
contemporaneamente non possiamo vivere due espressioni di vita. Una determinazione è
una determinazione, è una particolarità.

L'Asparsa yoga e il Vedanta advaita sono quei sentieri del ritorno che portano
all'Incondizionato, al puro e infinito Essere. Sono sentieri completamente risolutori,
metafisici, perchè, appunto, hanno attinenza con il Non-manifesto, con la Realtà suprema,
non soggetta a cambiamento.

Per la metafisica asparsa il nome Realtà assoluta può essere dato solo al Brahman nirguna,
senza attributi, al Punto X del nostro esempio in quanto tutte le altre possibilità sono solo
sue determinazioni spazio-temporali. Certo, questo tipo di yoga, avendo una mèta così
 
117 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

alta e risolutiva, è di pochi, e molti yogi, dice Gaudapada stesso, fuggono atterriti al
pensiero di perdersi; quindi, hanno timore di estinguere l'io, vale a dire l'individualità
nelle sue varie estensioni. Asparsa significa senza sostegno, senza relazione, senza contatto
perchè, Brahaman nirguna essendo l'Assoluto, non è in rapporto con alcuna cosa; da qui
l'espressione Unità senza secondo.

D. Mi può dare un quadro sintetico delle posizioni coscienziali di queste strade in modo che abbia
un seme di meditazione?

R. Io sono questo (questo rappresenta una delle strade). Io sono (rappresenta l'essere nel
suo stato principale, non-formale). Il terzo stadio rappresenta la Coscienza pura nella sua
indeterminatezza, priva quindi della stessa determinazione dell'Io sono in quanto essere
che riflette se stesso: rimane solo Turiya, Quello.

D. Mi rimane inconcepibile questa condizione statica, se penso che ho davanti a me la vita che è
dinamismo, movimento, pathos, che è pulsante ed emozionale.

R. Difatti alcuni filosofi rifiutano la Realtà non manifesta perchè la ritengono... fredda,
statica, senza vita, e cose di questo genere. Ciò dimostra, come prima si accennava, che si
vuole giudicare una posizione esistenziale con i paradigmi di un'altra posizione
esistenziale; oppure, vivendo una polarità di vita ed essendo assimilati a questa polarità,
non si è capaci di comprenderne altre. Vede, per noi esseri umani, il monotono aleggiare
delle rondini può costituire un assurdo, un non senso, al limite, una follìa; ma di certo le
rondini avranno tutt'altre idee.

D. Ha parlato prima di ritorno al Centro, allo stato edenico, ecc. Io m'ispiro alla Dottrina cristiana
e vorrei sapere se quel Centro originario rappresenta Adamo prima della caduta e le varie strade che
ha prospettato, l'Albero del bene e del male. Se m'illumina su questo punto posso comprendere
meglio quanto abbiamo detto.

R. Sì, è la stessa cosa. Adamo, caduto sul piano della differenziazione, deve riorientarsi
verso la natura dell'Essere. Le vaire strade rappresentano le indefinite possibilità che
l'Albero del bene e del male (dualità) può offrire.

D. Oggi riconosco con maggior evidenza che solo la Conoscenza opera una vera catarsi, solo la
Conoscenza mi indica la direzione che devo prendere per pervenire all'Essere. In passato la
dialettica era l'arte per raggiungere e cogliere il vero mediante il dialogo con se stessi o con altri.
 
118 
Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

Plotino pone al primo posto questo tipo di dialettica, cioè la filosofia; Platone dice: Colui che sa
interrogare e rispondere, come lo chiameremo se non dialettico?.

Non c'è altra via per me che la filosofia realizzativa o la dialettica operativa, ma mi è dato sapere che
anche l'abbandono alla Sakti, ad Isvara, ecc., porta alla liberazione; pure Patanjali parla di questa
condizione in un suo sutra. Mi chiedo: in che modo l'abbandono ad Isvara può rappresentare una
via di ritorno se viene a mancare la consapevolezza del conoscere?

R. Forse lei era assente; abbiamo già risposto a questa domanda. Cercheremo comunque di
completare il quadro che abbiamo dato precedentemente.

L'abbandono è duplice; ci si può abbandonare al mondo del divenire e a quello dell'Essere.

Se ci si abbandona al mondo del divenire, si segue la linea di minor resistenza, non si


devono avere inibizioni psicologiche, ci si tuffa nella vita formale (da qui le diverse
psicologie che cercano di liberare i vari processi istintuali); si nasce, si cresce, si ama, si
odia, ci si accoppia, si fa dello sport, della politica, della beneficenza, ecc.; in altri termini,
ci si abbandona al mondo dell'istinto, del sentimento e dell'immaginazione. Più che vivere,
ci si lascia vivere; più che pensare e programmare, si è pensati.

La filosofia esistenzialista, se non erro, mira a questo; ha un tale atteggiamento. Se il


divenire fosse la realtà assoluta, questo atteggiamento sarebbe il più saggio, oltre ad essere
la fonte della beatitudine. Ma poichè il divenire formale non è la realtà assoluta, allora
donarsi ad esso significa vivere sotto l'imperio della relatività, significa abbandonarsi al
mondo della necessità, e la necessità è costrizione, è conflitto, prima o poi. Diremo che il
divenire non porta all'Essere. La realizzazione non è questione di evoluzione temporale.

Se invece l'abbandono è nei riguardi dell'Essere, allora le cose cambiano. Alla linea di
minor resistenza si sostituisce quella di maggior resistenza, all'abbandono al desiderio-
istinto, ecc., si sostituisce l'abbandono all'assenza di desiderio.

D. Questa però è una via di sacrificio, non di abbandono gioioso. L'abbandono ad Isvara o a Siva è
invece motivato da letizia.

R. Allora dobbiamo dire che c'è gioia e letizia laddove c'è amore.

Se si ama Siva più di se stessi (come individualità), l'io muore dolcemente. Un cuore
ardente e appassionato, un cuore traboccante d'amore è là dove sta l'Amato. Se riuscite ad
amare l'Essere più di voi stessi, con Esso vi unirete fino ad essere Unità.

Sotto la legge dell'amore ogni morte è vita, ogni olocausto è conquista, ogni atto o gesto è
donazione. Quando ci si unisce all'Amato, che è di là dal contingente, il divenire sparisce

 
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Raphael  LA FILOSOFIA DELL’ESSERE

completamente, perde consistenza, valore, significato, diremo che non lo si vede neanche.
Questo è il vero concetto di Sacrificio. Il Cantico dei Cantici può insegnare qualcosa.

Certo, parliamo di amore consapevole, intelligente, comprensivo, non di amore cieco,


sordo, che ottunde anzichè aprire la mente e lo stesso cuore. Nella maggior parte dei casi
l'amore è ottuso, inintelligente perchè è amore di sé.

L'individualità ama se stessa e negli altri vede solo l'oggetto del suo comportamento, della
sua compensazione, del suo godimento; da qui l'asservimento dell'oggetto, la proprietà
dell'oggetto. L'io è un mostro di avidità, e a volte si presenta col volto di angelo per
attrarre la vittima con maggior facilità.

Dunque, rispondendo alla domanda del nostro amico, diremo che se nell'abbandono non
ci sono né amore né giusta conoscenza dell'Amato, l'abbandono può essere pericoloso. Sul
piano dell'Amore occorre purificare il sentimento; sul piano della Conoscenza occorre
purificare la mente; sul piano della Volontà occorre purificare il desiderio.

Se non ci sono un'adeguata purificazione e un'intelligente sadhana, nella sfera della mente
si possono avere giuoco concettuale e sofismo filosofico; in quella del sentimento,
misticismo visionario e fanatismo emotivo, e in quella della volontà, atteggiamento
autoaffermativo, esclusivista e distruttore.

D. Dal momento che l'individualità si esprime in modo triplice, non può usare tutti e tre i suoi
aspetti espressivi?

R. Sì, certo. Diremo che non si è mai su una sola linea. Ma può avvenire che l'istanza
originaria che determina l'evento parta da uno dei tre aspetti: l'amore coinvolge la
conoscenza e la volontà, oppure la conoscenza coinvolge l'amore e la volontà, e così via.

I tre aspetti non sono scissi, la stessa individualità non è a scompartimenti stagni; anzi,
possiamo affermare che una conoscenza che non porti in sé l'amore difetta di qualcosa. La
conoscenza più l'amore danno la saggezza; e la saggezza, caratterizzata dalla volontà,
passa dall'astrattezza alla concretezza, dalla potenza all'atto.

FINE.

 
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