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Raphael 

 MANDUKYA UPANISHAD 

COLLEZIONE VIDYA

Må…ƒ¥kya Upani@ad
con le Kårikå di Gauƒapåda e il commento di Âaækara

Edizione riservata per la Biblioteca dell’O.M.A.T. – Ne è vietata la diffusione in qualunque forma

 

Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Questo testo, essenzialmente metafisico, pone e risolve, alla luce dell'ajativada (non generazione),
i massimi problemi della molteplicità, della dualità e dell'unità e riveste particolare rilievo in
quanto Gauƒapåda e Âaækara, codificatori dell'Asparsa vada e del Vedanta advaita, si sono
incontrati sul piano dottrinario apportando un contributo notevole al pensiero filosofico e
metafisico.
Raphael

 

Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

SOMMARIO 

NOTA PER IL LETTORE ............................................................................................................................... 8


INTRODUZIONE ........................................................................................................................................... 10
Che cos'è l'Asparsa yoga ............................................................................................................................. 15
CAPITOLO PRIMO - AGAMA PRAKARANA .......................................................................................... 24
introduzione di Âaækara all’upanisad .................................................................................................... 25
Osservazioni preliminari di Âaækara...................................................................................................... 27
I .................................................................................................................................................................... 28
II .................................................................................................................................................................. 29
III ................................................................................................................................................................. 30
IV ................................................................................................................................................................. 32
V .................................................................................................................................................................. 33
VI ................................................................................................................................................................. 35
Kårikå di Gaudapada............................................................................................................................... 35
Introduzione di Âaækara al VII sutra dell'Upani@ad .............................................................................. 42
VII ............................................................................................................................................................... 44
Kårikå di Gaudapada............................................................................................................................... 47
VIII .............................................................................................................................................................. 51
IX ................................................................................................................................................................. 52
X .................................................................................................................................................................. 53
XI ................................................................................................................................................................. 54
Kårikå di Gaudapada............................................................................................................................... 54
XII ............................................................................................................................................................... 56
Kårikå di Gaudapada............................................................................................................................... 56
CAPITOLO SECONDO - VAITATHYA PRAKARANA ........................................................................... 59
CAPITOLO TERZO - ADVAITA PRAKARANA ....................................................................................... 80
CAPITOLO QUARTO - ALATASANTI PRAKARANA ......................................................................... 110
MÅ…D¥KYA UPANISAD E KARIKA (TESTO SANSCRITO) ............................................................... 152
VAITATHYA PRAKARANA ................................................................................................................. 157
ADVAITA PRAKARANA ...................................................................................................................... 161
ALATASANTI PRAKARANA ............................................................................................................... 167
 

 

Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Må…ƒukya Upani@ad con le Kårikå di Gauƒapåda e il commento di Âaækara

Le Upani@ad sono parte integrante dei Veda, rappresentano la Tradizione primordiale non umana
(apuruseya) e costituiscono il Vedanta stesso nella sua essenza.
I Í@i hanno "udito", "visto" e vissuto la Realtà suprema e l'hanno esposta, con il linguaggio
umano, nelle Upani@ad non per le menti analitiche e saggistiche, ma per stimolare la
coscienza dell'individuo a piegarsi su se stessa onde poterla trovare; non sono, dunque,
speculazioni teoriche fine a se stesse, ma rappresentano modalità di "contatto" e strumenti
di realizzazione. E se Upani@ad, come viene affermato rappresenta non solo ciò che è stato
"visto", ma anche il culmine della realizzazione del compilatore, studiando la Må…ƒ¥kya,
con le relative kårikå, possiamo comprendere a quali altezze siano giunti sia il compilatore
dell'Upani@ad, sia Gauƒapåda, sia lo stesso Âaækara, commentatore dell'Upani@ad e delle
kårikå.
La Må…ƒ¥kya Upani@ad costituisce l'opera più significativa e più profonda, in senso filosofico e
dottrinario tradizionale, dell'Advaita Vedanta. Rappresenta, da sola, il fondamento della
Realizzazione metafisica e, nella sua concisione, contiene la soluzione dell'Essere e del non-
essere, dell'Uno e dei molti, della Realtà come tale e dell'apparenza fenomenica in quanto maya.
Essa prende in esame i tre stati di Virat, Hiranyagarbha e Isvara dimostrando come questi non
siano altro che un semplice "movimento apparente", mentre la Realtà suprema è costituita dal
Quarto stato o Turiya.
I testi del Vedanta, pubblicati dalle Edizioni Asram Vidya, sono tradotti e commentati da Raphael
il quale, essendo approdato alla realizzazione metafisica, si è assunto il compito di presentare la
dottrina dell'Advaita e quindi l'Asparsa vada di Gauƒapåda perché, appunto, è essenzialmente di
ordine metafisico (paravidya).
Gauƒapåda e Âaækara sono naturalmente nel cuore di Raphael e la traduzione di questo testo
fondamentale per l'Advaita-Asparsa non poteva non trovare la sua più profonda attenzione e
considerazione.
Ciò che occorre tener presente è che questa Tradizione dell'Asparsa-Advaita è tutt'oggi operante e
viene trasmessa da quei discepoli che con la coscienza, e non con affermazioni semplicemente
verbali, sono uniti al sempre "vivente" Asram di Gauƒapåda.
Raphael ha tradotto e commentato quest'opera rimanendo fedele allo spirito della Tradizione
vedica ed ha, inoltre, steso delle note chiarificatrici con una metodologia concettuale aderente al
tipo di mente occidentale e alla sua particolare ricezione filosofica senza menomare, volgarizzare
o costringere in un "sistema" l'Advaita Vedanta.
E' da segnalare che Raphael ha curato un'altra edizione della Må…ƒ¥kyakårikå con annotazioni
esemplificate per coloro che per la prima volta si accostano al Vedanta Advaita e che non sono
introdotti nella vasta tematica filosofica induista e buddhista.
Se consideriamo che il più alto contributo filosofico della spiritualità dell'India è dato dalle
Upani@ad, riconosciamo quale merito può avere la pubblicazione di questo fondamentale classico
filosofico di cui si sentiva la mancanza nella nostra panoramica culturale-spirituale e quindi la
 

Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

necessità di una traduzione e presentazione in Italia dove esce, per la prima volta, in edizione
integrale.

 

Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Traduzione dal sanscrito e note di RAPHAEL

(Ordine Asram Vidya)


I proventi che si ricavano da questo libro - per il quale non si richiedono diritti d'autore - verranno
impiegati per la ristampa dell'opera.
@1976 Asram Vidya, via Azone 20 - 00165 Roma 1984 Seconda edizione

 

Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

AVVERTENZA

Per la trascrizione dei vocaboli sanscriti si è seguito il sistema comunemente adottato dagli
studiosi. Le singole lettere si leggono come in Italiano.
In particolare:
c è sempre dolce (es. cakra = ciakra)
j si pronuncia come la g di gente (es. jaina = giaina)
k, g sono sempre dure (es. giri = ghiri kim = chim)
y si pronuncia come nella parola ieri (es. yoga = ioga)
h, ¢ indicano un'aspirazione

Il segno - sulle vocali indica che la pronuncia della vocale dura due tempi (es. Vedånta =
Vedaanta)

Le consonanti contraddistinte da un segno diacritico vanno lette come segue:


†, ƒ hanno un suono simile all'inglese three ed al siciliano beddu

æ nasalizza la vocale precedente come nel francese sans.

§ si pronuncia come nell'italiano angolo


ñ si pronuncia come nell'italiano gnomo

® si pronuncia posponendole una i molto breve (es. Íg = Riga)

©, @ si pronunciano entrambe come nell'italiano sciare (es. Âiva = Sciva, Upani@ad = Upanisciad) 

   

 

Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

NOTA PER IL LETTORE

• I sutra con i numeri romani appartengono all'Upani@ad.


• Le kårikå di Gauƒapåda seguono la numerazione araba.
• Il commento di Âaækara all'Upani@ad e alle kårikå si trova dopo il sutra upanishadico
(qualche volta c'è anche una sua introduzione al sutra o alle kårikå) e dopo ogni kårikå.
• Le parentesi tonde sono nostre.
• Il testo sanscrito traslitterato della Må…ƒ¥kya Upani@ad e delle kårikå di Gauƒapåda si
trova alla fine del libro.

 

Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Possedere un semplice concetto filosofico o metafisico è una cosa, "realizzarlo" nella coscienza è,
invero, tutt'altra cosa. Tra le due: avere una semplice cognizione e realizzare quella cognizione,
corre l'abisso, un grande abisso... "senza sostegni".
Raphael  

 

Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

INTRODUZIONE

Ogni cultura possiede un linguaggio mediante cui trasmette la sua visione filosofica della vita.
Molti Í@i dell'India, già radicati nella società vedica, hanno composto diverse Upani@ad (alcune
risalgono a tremila anni fa) che esprimono la loro coscienzialità e la loro stessa realizzazione.
Allontanandosi dal ritualismo in cui si era confinata la casta sacerdotale, i Í@i anno compiuto
un'opera rivoluzionaria, pur conservando alcune delle acquisizioni ritualistiche.
Ai profani le Upani@ad presentano un simbolismo astruso, a volte incomprensibile, ma occorre
subito affermare che codesto simbolismo non è affatto gratuito. Ogni cultura ha il suo linguaggio,
si è detto, e il linguaggio dei Veda-Upani@ad ha una sua precisa configurazione. «Tutti i termini
dei Veda comportano un senso metafisicamente garantito... » dice il Prof. Olivier Lacombe nel
suo L'Absolu selon le Vedanta (Geuthner, Paris 1966).

 
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C'è da tener presente, d'altra parte, che questi testi sono di ordine tradizionale e i Í@i sono stati
spinti ad usare un certo linguaggio che è, appunto, della Tradizione. Essi non hanno scritto per la
mente analitica o saggistica dell'individuo, perché non era questo il loro compito, ma per volgere
la coscienza dell'essere su se stessa sì da trovare la verità ultima.
La tematica di questi grandi Veggenti-maestri upanishadici è questa: Che cos'è l'Essere-Sè che
siamo noi stessi?
Il loro metodo investigativo è a livello sperimentale e realizzativo. Ciò che il moderno scienziato
compie sull'oggetto, il Í@i - e il suo discendente - lo fa sul soggetto. Non perché egli vuole negare
l'oggetto, ma perché, tramite la sua investigazione, riconosce chela suprema Realtà dimora in noi
stessi.
La realtà non è fuori dell'Essere, ma entro l'Essere; quindi, i suoi sforzi sono diretti alla conquista
della verità del Sè, mentre lo scienziato cerca discoprire le indefinite espressioni fenomeniche
dell'Essere.
Tra lo scienziato e il Í@i non c'è, comunque, opposizione, ma diversa direzione di ricerca perché
diversa è la finalità. A volte c'è molta incomprensione tra Oriente tradizionale e occidente perché
si vuole giudicare con l'occhio della propria visione mentale.
Un oggettivista potrà considerare assurda la posizione coscienziale del Í@i, ma anche un
"ricercatore" dell'Essere potrà considerare una pura follia la posizione coscienziale
dell'oggettivista. Se la mente, invece di condannare, fosse più umile nel considerare e vedere le
cose nell'Equanime prospettiva, potrebbe trarne enorme profitto.
Le Upani@ad, per quanto innestate ai Veda, possono essere studiate da sole perché esprimono un
insegnamento autosufficiente. Esse formano un tutt'uno omogeneo in cui si raggruppano non delle
dottrine diverse, divergenti e in competizione tra loro, ma aspetti realizzativi che convergono in
una stessa visione della Realtà.
La ricerca upanishadica presenta due modalità: la dottrina e la pratica (sådhanå).
Nella Coscienza tradizionale non vi è posto per la semplice erudizione; la coscienza deve
realizzarsi coscienza, e, a certi livelli, la coscienza è coscienza; Aristotele afferma, appunto, che
conoscere è essere.
La Må…ƒ¥kya Upani@ad - come la Må…ƒ¥kya, la Prasna e qualche altra Upani@ad minore -
appartiene all'Atharvaveda e il suo nome, secondo Madhava, deriva dal fatto che fu rivelata da una
rana (månd¥ka), forma assunta dal dio Varuna. Essa mette in risalto la dottrina essenziale della
spiritualità indiana dal punto di vista prettamente metafisico, esponendo la visione dei vari stati
dell'Essere e della Non-dualità assoluta priva di nascita, e quindi, di causa-effetto.
Costituisce, da sola, il fondamento della Realizzazione metafisica perché, nella sua concisione,
contiene la soluzione dell'Essere e del non-essere, dell'Uno e dei molti, della Realtà come tale e
dell'apparenza fenomenica, in quanto maya.
L'Upani@ad - riconoscendo la difficoltà degli individui di realizzare, con un volo d'ala, la verità
ultima, che è al di là del tempo-causalità - propone un simbolo che possa facilitare sia la
comprensione della realtà metafisica chela stessa meditazione su di essa del discepolo. Questo
simbolo è AUM, il quale corrisponde ai tre aspetti del Brahman: lo stato di massa-grossolano,
rappresentato da A; lo stato sottile-energetico, rappresentato da U e lo stato causale o noumenico,
 
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rappresentato da M. Questi tre stati non sono altro che fenomeno, energia (sakti) a diversi gradi di
condensazione; non sono reali in se stessi perché non sono assoluti, formano l'apparenza
deformante e mutevole entro cui vive l'altrettanto apparente molteplicità degli enti che vanno e
vengono in un turbinio incessante (samsara). Così, lo stato grossolano o di massa, per usare un
termine della fisica, si risolve in energia-luce (questo fatto è stato già confermato dalla celebre
equazione di Einstein); l'energia-luce, a sua volta, si risolve nello stato noumenico, elementare,
germinale, radice di ogni apparente oggettività; e, infine, la stessa radice affonda la sua esistenza
nel Quarto, Turiya, Brahman nirguna o l'Assoluto, nella sua accezione più ampia, il solo che possa
dirsi essenzialmente reale.
Il metodo seguito dall'Upani@ad per accedere all'ultima verità (Turiya) consiste nell'analizzare
(vicara) tutte le nostre esperienze: il discepolo alla Realizzazione deve, in meditazione, far
risuonare le tre note o suoni, ciascuna delle quali corrisponde ad una modalità vitale, quindi ad
un'esperienza fenomenica, fino a perdersi nel Silenzio-Turiya che rappresenta, appunto, il sostrato
e il fondamento dello stesso suono.
Se maya, con il suo imprigionamento e il suo determinismo conflittuale, costituisce il "movimento
conformato" visto dalla visuale empirica, e quindi il fenomeno-serpente, secondo l'analogia di
Âaækara, allora meta del discepolo è comprendere, risolvere e trascendere il fenomeno-maya e
realizzare l'Essere nella sua ineffabile assolutezza.
Per la metafisica indiana l'Essere non può considerarsi "oggetto" di conoscenza sensoriale, ma di
realizzazione. Turiya-Assoluto non può essere concettualizzato, ma svelato; non può essere tema
di speculazione teorica e sistematica né denominato con qualche termine psicologico; di Esso si
può solo dire che E'.
Vi sono alcuni (potremmo anche dire molti) che, abituati unicamente a considerare un dato in
termini di soggetto-oggetto, quindi di dualità, non trovano interesse per la realizzazione; è anche
vero, però, che rimane più semplice rappresentarsi o immaginarsi la realtà che essere veramente la
Realtà.
E' sostenuto da molti che tutte le kårikå di Gauƒapåda del capitolo primo fanno corpo unico con
l'Upani@ad, la quale, così, è composta di dodici sutra e ventinove kårikå.
Madhavacarya, il promulgatore del Dvaita Vedanta, Kruanarayana, un commentatore della
Må…ƒ¥kya, appartenente alla scuola di Ramanuja (caposcuola del Visistadvaita: monismo
qualificato), Purusottama, nipote di Vallabhacarya, il grande Maestro dello Suddhadvaita (puro
monismo), che commentò i quattro capitoli, condividono quest'affermazione. Si può dire che
diversi esponenti delle varie scuole del Vedanta sono concordi su questa tesi. Alcuni ritengono che
i dodici sutra dell'Upani@ad, compilata certamente da un grande Í@i, si basino sulle kårikå di
Gauƒapåda, dimostrando con ciò che queste sono anteriori all'Upani@ad stessa.
Secondo Madhavacarya i dodici sutra dell'Upani@ad sono divisi in quattro parti; parte I, 1-6; parte
II, 7; parte III, 8-11 e parte IV, 12.
La presente opera viene chiamata comunemente, Må…ƒ¥kyakårikå o Gadapadakårikå e,
tradizionalmente, considerata Agamasastra. Il commento di Âaækara viene detto
Agamasastravivarana.
Le kårikå di Gauƒapåda (Maestro di Govinda, il quale, a sua volta, è stato Maestro di Âaækara)
sono divisi in quattro capitoli o prakarana e cercano di dare espressione formale ad una verità
 
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vissuta dal grande maestro advaita-asparsin:

1. Agama-prakarana, fondato sulle Scritture (sruti).


2. Vaitathya-prakarana, fondato sul carattere fenomenico o di apparenza dell'esperienza.
3. Advaita-prakaran, fondato sulla non-dualità.
4. Alata-santi-prakarana, fondato sull'estinzione del tizzone ardente (soluzione del triplice
fenomeno universale).

 
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Il primo capitolo affronta il problema della Realtà dal punto di vista della sruti (Tradizione non
umana), mentre gli altri espongono la stessa Realtà dal punto di vista della ragione intellettiva. In
altri termini, Gauƒapåda, sia dal punto di vista della sruti che da quello della ragione, ha voluto
dimostrare fondata questa verità vedica di ordine metafisico: la Realtà è senza secondo, senza
nascita, causa ed effetto. Quindi, l'Identità con l'assoluto Turiya può essere conseguita tramite
l'asparsa yoga, lo yoga del senza contatto o yoga prettamente metafisico. Asparsa significa al di là
di ogni condizionamento, di ogni rapporto, per cui può essere applicato convenientemente al
Brahman-Turiya-Nirguna. L'asparsa yoga, sostenuto dalla sruti, compendia l'intero insegnamento
di Gauƒapåda e di Âaækara, e coloro che sono qualificati per seguirlo possono trovarvi l'integrale
liberazione da ogni incompiutezza samsarica. Ma sarebbe vano l'accostarsi a quest'insegnamento
con il solo intento di appagare l'avidità di erudizione della mente o la sete investigativa di ordine
concettuale; anzi, si potrebbe avere maggiore confusione mentale e disordine psichico, oltre a
travisare molti passaggi del testo.

 
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CHE COS'È L'ASPARSA YOGA

«L'uomo - secondo Meuerson - fa della metafisica così come respira, senza pensarci».
E' insita nella natura umana la spontanea esigenza di trascendersi e di porre traguardi che sono
sempre al di là della sua stessa dimensione transeunte. La metafisica è nata col cosmo stesso
poiché ogni particella dell'universo è protesa verso la sua totale reintegrazione esistenziale.
L'uomo è un essere di inquietudine, ed è stato sempre impulsato a superarsi, ossia a scavalcare la
sua stessa condizione naturale, a conquistare un al di là spesso difficile a definirsi, ma che
rappresenta, in effetti, negazione o rifiuto di ogni limitazione e, quindi, negazione del mondo
composito finito delle apparenze.
«Il segreto del metodo - dice Cartesio - consiste nel ricercare in tutto, con cura, ciò che vi è di più
assoluto».
L'esigenza dell'Assoluto è esigenza primaria nella mente dell'uomo e implica che in tutti gli ordini
di realtà deve esserci un termine primo (adhi) che sia condizione di tutto il resto - e, come tale,
indipendente, almeno nel suo ordine - e che nel senso più proprio del termine possa considerarsi
assoluto e il solo assoluto, senza alcun secondo.
Si può notare che quella filosofia (soprattutto moderna e occidentale) che contesta all'uomo la
capacità di scoprire l'Assoluto, non fa che trasferire nel mondo dell'esperienza sensibile il carattere
di assolutezza.
Il metafisico va per la strada diritta della consapevolezza integrale e della reintegrazione
conoscitiva nell'Essere assoluto, da cui tutto promana ed emana. Più che interessarsi del mondo
fenomenico e strutturale, più che guardare come è fatto l'"oggetto-universo", le sue leggi e i suoi
fenomeni magici e deformanti, più che conquistare una potenza formale, egli si dirige all'Essere
assoluto principale, o Non-Essere, all'Indifferenziato, all'Ineffabile, all'Inconoscibile (per i sensi).
La metafisica s'interessa di ciò che è «al di là della fisica», della natura, delle forme grossolane,
sottili e causali, del sostanziale, dell'Uno stesso principiale, del Dio-persona; al di là dell'oggettivo
e del soggettivo, al di là di ogni possibile polarità. Ciò implica che la metafisica tratta
dell'Assoluto della Costante, dell'Infinito, del Non-Essere in quanto puro e unico Essere,
dell'Incondizionato, dell'Uno-senza-secondo (advaita).
La metafisica, così, va al di là del fisico, dello psichico e dello spirituale. tutto ciò che ha attinenza
con l'individuale, e quindi con il generale, si riferisce alla scienza; tutto ciò che ha attinenza con
l'universale, con l'unità trascendentale, con la Totalità si riferisce alla metafisica.
Se la metafisica è ricerca dell'Assoluto e della Realtà senza secondo, allora non può essere
schematizzata, concettualizzata o fatta rientrare incerti quadri mentali individuali. L'Assoluto, o la
Realtà suprema, non può essere circoscritto, rappresentato o portato sul piano di un relativismo
empirico, né può costituire proprietà esclusiva di un individuo o di un popolo.
Per la realizzazione metafisica, senza, dubbio, necessitano certe qualificazioni - prima fra tutte,
quelle che richiede una mente capace di sintesi e di comprendere l'atemporale. Gran parte degli
individui è aggiogata al tempo-spazio-causalità e, invero, è difficile uscirne fuori, ma se si vuole
 
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realizzare la conoscenza metafisica occorre volare, bisogna portarsi al di là del tempo e dello
spazio, al di là del contingente, dell'individuale e del generale; occorre, in altri termini, saper
rimanere senza sostegni. Da qui il nome asparsa che significa non-contatto, privo di relazione, di
rapporto e di sostegno. Da qui, altresì, la giusta attenzione che bisogna accordargli, avendo noi di
fronte un tipo particolare e speciale di conoscenza che non opera in modo conforme al conoscere
discorsivo o empirico comunemente usato. Essa costituisce la vera "Via del Fuoco" perché brucia
al suo tocco ogni possibilità oggettivamente di maya e perché l'ente si svela e si dimostra nella sua
autorisplendenza. Cogliere nell'immediatezza l'atemporalità significa non poggiare su alcuna
pratica empirica yogica o esercizio psicofisico, significa sprofondare di colpo nel Presente
onnicomprensivo o onnipervadente.
La Realizzazione metafisica può essere attuata tramite quel particolare tipo di mente che si può
chiamare mens informalis.
Da chi è stato presentato questo yoga metafisico? Da Gauƒapåda e da Âaækara, i due grandi
Maestri dell'advaita Vedanta.
Gauƒapåda nelle sue kårikå (IV, 2) afferma: «Saluto quello yoga - insegnato dalle stesse Scritture
- ben conosciuto come asparsa, libero da relazioni, benefico, generatore di beatitudine per tutti gli
esseri, esente da opposizioni e contraddizioni».
«Asparsa yogah - commenta il grande Âaækara - è lo yoga senza sparsa: contatto o relazione con
checchessia; è proprio della natura del Brahman (nirguna). I conoscitori del Brahman lo chiamano
con questo nome; in altri termini, è detto asparsa yoga quello libero da ogni relazione (causale).
Esso diviene una benedizione per tutti gli esseri. alcuni (aspetti dello) yoga, come ad esempio
l'austerità (tapas), sono comunque associati alla sofferenza, per quanto si dicano produttori di
felicità intensa; ma questo yoga non appartiene a simili categorie. Qual è, allora, la sua natura? E'
beatitudine per tutti gli esseri.
Possiamo dire che il godimento di un particolare tipo di oggetto può portare felicità, ma non
stabile benessere (il godimento di qualunque ordine e grado è sempre duale, quindi conflittuale);
questo yoga, invece, porta beatitudine e allo stesso tempo stabile benessere, poiché la sua natura è
al di là dell'impermanenza. Inoltre, esso è esente da opposizioni. Perché? Perché è privo di
contraddizione. A questo yoga, insegnato dalle Scritture, io porgo il mio saluto».

 
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«Questo yoga che viene denominato "asparsa" (senza alcun contatto), è difficile da
comprendere per molti yogi, perché essi, che sentono la paura (dell'annichilimento)
laddove non esiste, ne hanno timore». (III, 39).
«Asparsa yogah nama: questo è conosciuto - commenta sempre Âaækara - come lo yoga senza
contatto o sostegno poiché non ha relazione (con qualcosa), non è, quindi, il contatto con niente.
Comunque esso viene descritto nelle Upani@ad. Uno yoga di questo genere è difficilmente
accessibile agli yogi sprovvisti della vera conoscenza delle Upani@ad. L'idea è che questa verità
può essere realizzata solo a seguito di uno slancio il cui coronamento rappresenti la
consapevolezza dell'atman in quanto Realtà una (senza secondo). gli yogi hanno paura (di tale
yoga), mentre non ne dovrebbero avere; i non discriminanti temono, praticando questo yoga,
l'estinzione della loro individualità, per quanto (tale yoga) sia al di là di ogni timore».
Il termine asparsa yoga sembra avere una contraddizione perché asparsa significa: non contatto, e
yoga: contatto, unione di due cose. Il primo è in riferimento a ciò che è privo di relazione, il che
comporta la non-dualità assoluta, la quale, per la sua natura, non può avere alcun contatto con
"qualche cosa", poiché dal punto di vista dell'ultima verità non può esistere altro se non l'Assoluto
nella sua unica indeterminatezza. Il secondo termine, invece, implica relazione e contatto di due
dati: la creatura e il Creatore, il jiva individuale e Isvara, la coscienza individuale e quella
universale, ecc.
Gauƒapåda, alla via che porta all'Assoluto, all'Uno-senza-secondo, al Brahman nirguna, senza
alcuna eccezione, dà il nome di yoga, intendendolo nell'accezione di "metodo", modalità operativa
per eliminare gli ostacoli che impediscono alla Verità di svelarsi.
«La conoscenza dell'essere illuminato, la quale è onnipervadente, non ha rapporto con
alcun oggetto; così le anime non hanno rapporti con oggetti». (IV, 99).
Qui si mette in risalto come la Conoscenza (Brahman), che è onnipervadente e omogenea come
l'etere, non ha alcun rapporto con gli oggetti i quali non sono altro che rappresentazioni mentali.
Questo Brahman è non-nato, libero dalle differenze, senza secondo. Così, l'asparsa yoga imbocca
la strada che conduce direttamente alla realizzazione dell'Essere trascendente assoluto. Il suo
punto di vista è di ordine metafisico puro perché il suo volo si svolge al Principio non-duale, senza
scendere a un pur minimo livello di dualità. Costituisce l'autentica "Filosofia dell'Essere", in
quanto puro e unico Essere.
La difficoltà di cogliere l'assolutezza è grande perché non è con la mente, la quale opera nel
dominio del soggetto-oggetto, che si può comprendere la non-dualità assoluta. Vani sono gli sforzi
di colui che tende a porre l'Assoluto come semplice oggetto di rappresentazione mentale. Si può
dire che questo yoga, per essere veramente compreso, impone necessariamente e senza equivoci
un approccio d'identità. In altri termini, essendo uno yoga senza rapporto, è, ovviamente e
soprattutto, uno yoga senza sostegni. Così si esige un porsi immediato nel Sè, senza appoggiarsi
né ad oggetti esterni né a qualificazioni della stessa individualità come il sentire, il volere o il
conoscere empirico. Gli altri tipi di yoga richiedono necessariamente un'aspirazione, uno slancio
verticale, un impulso che parta sempre dall'individualità in quanto effetto, e si diriga verso la sua
trascendenza; abbisognano, quindi, del desiderio.
Nel sentiero metafisico puro non è più il desiderio a determinare, ma è la consapevolezza stessa di
"trovarsi", di Essere. Il discepolo non è spinto, è trattenuto; si può dire, necessitato non
all'acquisizione di qualcosa di inferiore o superiore, ma alla risoluzione di ogni istanza mayahica,
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

compresa quella dell'Unione comunemente intesa.


Il discepolo dell'asparsa yoga s'interiorizza e comprende l'Assoluto, che si dispiega in tutta la sua
maestà, nel segreto alveolo del proprio cuore. Al di là di ogni idea, concetto, ideale, idolo,
fenomeno, c'è Quello, che è la Totalità, non soggetto o dipendente da alcun concetto o
cambiamento. Il "Reintegrato metafisico" ha la virtù e il privilegio di vedere tutti i fenomeni della
vita alla luce dello Zero metafisico.
L'asparsa yoga porta alla liberazione o, meglio alla reintegrazione attiva (effettivamente non si
può parlare neanche di liberazione in questo tipo di yoga) e realizza quell'Essenza una,
indifferenziata e increata o quello stato acausale, immanifesto e impersonale da cui ogni universo-
oggetto è emerso quale catena di percezioni di luce mayahica. L'Essere è "questo o quello"
significa che quell'Essere non è. Sostenere ancora che possa essere diverso da ciò che è, significa
affermare che un dato è e al contempo non è. Inoltre, se l'Essere è "divenuto" questo o quello,
deve pur essere venuto o da un Essere o da un non-essere. Se viene da un non-essere si afferma
l'assurdo, perché dal nulla si crea; se viene dall'Essere, allora si deve convenire che l'Essere nasce
dall'Essere, il che significa che rimane sempre identico a se stesso nella sua indivisibilità e, in tal
caso, non si può parlare di "divenire" o "nascere" o trovarsi in altra condizione, perché l'Essere che
rimane identico a se stesso non subisce alcun movimento, alcuna nascita, alcun cambiamento.
Occorre un certo tipo d'intendere, non di ordine sensoriale, e considerare che ciò che è universale,
assoluto, aformale non può essere trasposto in una prospettiva dialettica particolare, né in una
concettualità razionale dogmatica. Il sentiero metafisico si pone sul piano dell'intelligenza
informale per cui la sfera emozionale ne è completamente esclusa. Questo tipo di yoga è quello
del puro intuire le cose o le apparenze, va al di là di ogni fenomenologia, di ogni ragione comune,
di ogni tipo di religione, di morale sociale mutevole e di esperienze sensoriali, essendo tutte queste
cose frutto di un conoscibile mediato. Le verità metafisiche non possono trovare schemi, concetti
o costrutti mentali analitici, poiché trascendono ogni esperienza fisica. D'altra parte, meditare ciò
che non risponde ad un dato sensoriale-formale non è facile; la mente sensoriale ha necessità di
concepire ogni realtà in relazione ad una forma, un'immagine, e il più delle volte la stessa
immagine imprigiona il pensatore che, invece, dovrebbe essere sempre indipendente. Il sentiero
metafisico presenta delle difficoltà poiché si deve abbandonare il normale e usuale processo
pensativo e spostarsi su condizioni di comprensione adimensionale, aformale inusitate. Richiede,
ovviamente, un abbandono dell'inconscio personale e collettivo.
Un prematuro accostamento a questo sentiero potrebbe paralizzare il normale processo percettivo
e pensativo sensoriale, senza conseguire l'accesso o la possibilità comprensiva superiore. Ne
risulterebbe un'inerzia mentale e una confusione senza limiti con stati di coscienza aberranti e
sfocianti in annichilimento della dinamica mentale rappresentativa.
Questo pericolo può rendersi acuto qui in Occidente poiché si propende più per un tipo di mente
sensoriale-formale, riconoscendole, fra l'altro, un valore unico e insostituibile. Quella metafisica è
certamente una strada che comprende l'Infinito con le sue virtuali possibilità manifestanti e
manifestate; ma questa comprensione è integrale Realizzazione in quanto si invera nell'adepto
un'Identità effettiva, cosciente, non teoretica(poiché in questo caso la conoscenza sarebbe solo di
ordine sensoriale o razionale-formale, quindi eruditiva), né virtuale perché tale condizione è
sempre esistita e non è venuta mai meno. All'asparsa yoga non si arriva per disciplina autoimposta
né per fede né per devozione né per qualunque azione mossa dall'espressione individuale-
sensoriale, ma per un'autoconsapevolezza interiore profonda, per cui ogni moto estrovertito
 
18 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

energetico tende ad esaurirsi, rendendosi lo spirito completamente affrancato. Una volta che il
Punto indiviso è raggiunto, la nozione di movimento traslatorio non esiste più; lo spirito,
eliminando la forma o spegnendosi il riflesso, rientra nella sua essenza, priva di causa, tempo e
spazio.
L'asparsa yoga rappresenta l'ultimo gradino e il traguardo di ogni esperienza e possibilità
realizzativa umana. al di là di ogni esperienza c'è il "momento" della comprensione totale della
nostra stessa essenza; è la maturità dell'equilibrio perfetto e della condizione preesistenziale.
L'individuo comune è legato ai concetti di tempo e spazio, quindi al manifesto, all'oggetto
evolvente; sono pochi coloro che possono svelare quell'eterno presente, alfa e omega di ciò che
comunemente si chiama mutamento. Il metafisico, non pago di aver conosciuto e trasceso il
soggetto-oggetto limitato, osa arrampicarsi fino all'ultimo gradino informale della scala vibratoria
universale per... scoprirsi.
L'asparsa yoga può considerarsi la più alta espressione del conoscere spirituale, quel conoscere,
anzi, quel comprendere per immedesimazione autoesistenziale che porta integralmente dall'irreale
al Reale, dalla morte alla Vita, dal finito all'Infinito, dal relativo (umano-divino) all'assoluto
inqualificato senza secondo, dalla differenziazione illusoria all'Identità suprema.
Il vero concetto del Nirvana può essere ben compreso solo da questi "Rientrati". Uno dei più
grandi metafisici è stato Âaækara, principale interprete del Vedanta advaita (uno-senza-secondo).
Molti antichi Í@i, Gauƒapåda e altri maestri delle Upani@ad appartenevano e appartengono
all'asparsa yoga, alla scottante "Via del Fuoco".
Le kårikå di Gauƒapåda sono state, a loro volta, oggetto di commento del grande Âaækara,
codificatore, come si è detto, dell'advaita Vedanta, a cui quest'opera appartiene. Ciò è di
particolare rilevanza poiché i due massimi esponenti advaita si sono incontrati sul piano
dottrinario, e non solo dottrinario, apportando un contributo veramente notevole alla metafisica
Vedanta. Âaækara ha commentato la Bhagavad-Gita, le Upani@ad maggiori e il Brahma-sutra, cioè
ha sottoposto a severa analisi ciò che viene definito la «triplice scienza», scienza su cui si basa
ogni Realizzazione spirituale indiana. Egli ha interpretato questi testi con l'aiuto della ragion pura.
La sua implacabile logica disorienta ogni empirismo. L'asparsa yoga non è un sistema filosofico
chiuso che vuole rivaleggiare con altre scuole ortodosse o eterodosse. Senza alcuna
contrapposizione, Âaækara fa comprendere alle altre scuole di pensiero che una Realtà unica e
senza secondo permea la totalità. Ogni «punto di vista» tradizionale (darsana) valido a condizione
che non venga dimenticata o trascurata la Realtà suprema (nirguna).
Il fatto che egli abbia voluto commentare le kårikå di Gauƒapåda dimostra quanto merito e quanto
interesse e peso esse debbano avere.
Poiché nel testo figurano spesso le scuole del Samkhya, Nyaya, ecc., si vuole dare sinteticamente
un quadro della loro visione per avere almeno un punto di riferimento.
La teoria della causalità del Samkhya (enumerazione), di Kapila, è così riassunta da Isvarakrsna:
«L'effetto è esistente (preesistente nella causa), poiché l'inesistente non può essere prodotto da un
qualunque altro oggetto: perché una possibilità può essere effettuata solo da chi ha la capacità di
produrla; perché l'effetto è coessenziale alla causa».
L'effetto è reale perché la causa è reale, e l'effetto non è altro che la trasformazione della causa.
Per il Samkhya sostenere che l'effetto ha la medesima natura della causa è fondamentale perché in

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

questo modo si può dimostrare che l'universo è della stessa natura della causa. tutte le realtà
oggettive non sono altro che le trasformazioni di una sostanza causale originaria. Qual'è questa
sostanza? E' Prakrti, elemento primigenio, fonte di ogni manifestazione. Ma essa non è pura
essenza, perché, se tutti gli effetti sono contenuti nella causa, allora questi, che costituiscono la
sfera dell'esperienza, devono esistere in Prakrti. Ciò implica che la stessa Prakrti deve contenere
aprioristicamente differenti tendenze; così il Samkhya postula tre attributi fondamentali di Prakrti
chiamati guna: sattva, rajas e tamas che rispondono al ritmo, al moto e all'inerzia; per cui, a
seconda delle loro differenti combinazioni, il mondo si sviluppa ed evolve. Anche a livello
psicologico le indefinite dualità: piacere-dolore, ignoranza-conoscenza, ecc., sono, a loro volta,
l'effetto delle varie combinazioni dei tre guna. L'universo, in definitiva, nasce dallo squilibrio di
tali guna.
Però, lo squilibrio, o l'azione delle varie modificazioni dei guna, presuppone l'esistenza di una
condizione di Prakrti in quiete oltre ad un secondo fattore che sia l'artefice-causa dello squilibrio.
In tal caso dev'esserci un altro principio di realtà, responsabile della messa in moto del principio
Prakrti. Questo secondo principio, per il Samkhya, esiste e si chiama Purusa, ed essendo il
soggetto supremo, esso è pura coscienza; i Purusa sono molteplici mentre Prakrti è una sola. così,
l'esistenza di Purusa spiega l'evoluzione di Prakrti.
Il Purusa è distinto da Prakrti, non ha alcuna relazione con essa, ma Prakrti, si può dire, viene
attivata per induzione con la semplice vicinanza di Purusa, come nel fenomeno della corrente
indotta. Prakrti, stimolata da Purusa, origina, come primo elemento, il mahat o buddhi. Questo
riflesso, divenendo consapevole di se stesso, produce il «senso dell'io» o ahamkara; dall'ahamkara
procedono la mente e gli organi dei sensi, poi gli organi motori e le cose prettamente materiali (in
tutto sono venticinque categorie).
L'errore di Purusa è di crearsi tutt'uno con la Prakrti, immedesimato, condividendone,
naturalmente, le indefinite modificazioni e, quindi, i conflitti. E' la posizione dello spettatore che
s'identifica con lo spettacolo. compito della realizzazione del Samkhya è quello di ridare al Purusa
la sua dignità di essere ciò che è. Da qui la sådhanå che si basa soprattutto sulla conoscenza.
Lo Yoga condivide la visione filosofica del Samkhya aggiungendovi il principio Isvara, il Dio-
persona; quindi, riconosce ventisei categorie primarie.
Il Nyaya (logica) di Gotama ha spostato la ricerca: invece di porsi il problema di «Che cosa è la
realtà», si è detto «Che cosa è la nostra conoscenza della realtà?». «Che cosa sappiamo della
nostra conoscenza?».
E' lo stesso problema che si è posto Kant con il suo Criticismo. La matematica e la fisica, nel
senso di conoscenza generale della natura, si chiede Kant, sono indiscutibilmente scienze in
quanto universalità e necessità, ma su che cosa si fondano questi caratteri? Per rispondere a tale
domanda occorre chiedersi non che cosa siano le cose, ma quale sia il nostro modo di conoscerle e
che valore esso abbia.
Così, la maggior parte della filosofia Nyaya riguarda il problema della conoscenza, mentre il
darsana Vaisesika che adotta le analisi del Nyaya sulla struttura della conoscenza, pone l'accento
sulla natura di ciò che è conosciuto e dà una concezione, per quello che riguarda la sfera
grossolana atomistica.
Nel Nyaya, l'analisi della conoscenza viene condotta sul soggetto, sull'oggetto conosciuto e sui

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

mezzi per conoscere l'oggetto è sia quello da conoscere che quello conosciuto. quindi, chiunque
desideri arrivare alla comprensione delle cose deve dirigere la sua attenzione ai quattro elementi
fondamentali sopra citati.
La conoscenza è la rivelazione di un oggetto e i mezzi di conoscenza rispondono alle differenti
cause alle quali si deve, appunto, la conoscenza di quel particolare dato. queste differenti cause
sono pratyaksa: la percezione che nasce al contatto dei sensi con l'oggetto; anumana: l'inferenza;
upamana: l'analogia; sabda: la testimonianza. Detto questo, il Nyaya passa a considerare il dato di
conoscenza ed elenca come oggetti: il sé, il corpo, i sensi e i loro oggetti, la conoscenza, la mente,
l'azione, le imperfezioni mentali, il piacere e il dolore, la sofferenza e la libertà della sofferenza.
Questi elementi implicano un soggetto di conoscenza e, dal punto di vista della loro realtà
esistenziale, comprendono sette categorie: la sostanza, la qualità, il moto, la generalità, la
particolarità, l'inerenza e la non esistenza.
Queste categorie sono i tipi di oggetti che corrispondono alle differenti specie di dati percepiti.
Dal momento che le percezioni risultano dal contatto di un io percipiente con i dati, le differenze
percettive debbono essere l'effetto di oggetti reali differenti. Così, le varie percezioni implicano
una realtà molteplice che sta di fronte al soggetto percipiente. In tal modo il Nyaya giunge ad una
dottrina di realismo logico nella quale il mondo oggettivo è concepito indipendentemente dal
pensiero e dal soggetto.
Il Sè, per trovare la liberazione, deve analizzare tutti i diversi aspetti della conoscenza e
dell'oggetto ed eliminare l'elemento coscienza che, per il Nyaya, è semplice attributo del Sè.
Eliminata la coscienza, causa del rapporto, rimane solo il Sè.
Il Vaisesika (carattere distintivo) di Kanada rivolge l'attenzione principalmente a visesa o al
particolare della realtà, cioè al mondo degli oggetti in quanto tali. Mentre il Nyaya prende in
considerazione la sfera degli oggetti nella sua relazione con la conoscenza, il Vaisesika guarda,
soprattutto, il piano oggettivo per quello che è, nella sua separata realtà. D'altra parte, questo
darsana si avvicina al Nyaya (come lo Yoga al Samkhya) perché le cose che sono della
conoscenza non possono non essere identiche a ciò che esse sono di per se stesse. Il Samkhya
parte dall'universale e arriva al particolare, il Vaisesika si pone, invece, sul piano del particolare.
Esso prospetta sei categorie che sono: dravya, la sostanza; guna, la qualità; karma, l'azione;
samanya, la comunanza di qualità; visesa, la particolarità o la differenza, cioè quello che
appartiene in proprio ad una determinata sostanza; samavaya, l'aggregazione o l'intima relazione
di inerenza da cui sono uniti sostanza e attributi. (Più tardi vi si aggiunge la non esistenza o
abhava).

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

L'insieme di queste sei categorie, comprendenti le sostanze e i loro attributi, costituisce bhava o
esistenza, in contrapposizione ad abhava che rappresenta la non esistenza.
Sono stati esposti solo alcuni concetti fondamentali dei quattro darsana fondati sui Veda, quindi
allineati con la Tradizione. Le visioni di queste scuole non sono da sottovalutare perché dal loro
punto di vista sono ineccepibili e, inoltre, rispondono a "gradi di coscienza" dell'individuo,
soprattutto se si tiene presente che questi darsana non hanno fatto una speculazione fine a se
stessa, ma la loro opera è rivolta a liberare la coscienza dell'individuo imprigionata dall'ignoranza.
quindi sono scuole con finalità pratiche, non esclusivamente teoretiche.
Il Vedanta non rifiuta il loro punto di vista coscienziale; non è d'accordo solo quando si vuole
sostenere che queste visioni rispondono alla verità ultima e portino quindi alla realizzazione
integrale. Quello che, per esempio, è il principio Prakrti o Pradhana per il Samkhya, per il Vedanta
non dualistico è, invece, maya, la stoffa-nebbia con cui sono foggiati i sogni degli uomini e degli
Dei.
Gli altri due darsana sono semplicemente due aspetti della Mimamsa. Il termine Mimamsa
significa riflessione profonda che, naturalmente, è rivolta allo studio dei Veda, in modo da
comprenderne il senso sia sul piano della sfera operativa che intellettiva. Così, la Mimamsa si
divide in Purva-Mimamsa o Karma-Mimamsa e Uttare-Mimamsa o Brahma-Mimamsa:
quest'ultima riguarda la conoscenza del Brahman supremo, perciò è di ordine metafisico e
comunemente viene denominata Vedanta, mentre la prima Mimamsa concerne lo studio dei riti,
dei mantra, ecc.
Vedanta significa «fine dei Veda» nel senso di conclusione e scopo; le Upani@ad, infatti, sulle
quali il Vedanta essenzialmente si fonda, formano l'ultima parte dei testi vedici e il loro contenuto
risponde al fine ultimo della Conoscenza tradizionale. Esse affrontano il problema della natura
dell'Essere e del non-Essere sotto una prospettiva completamente metafisica, sfrondata da tutte
quelle posizioni particolari e individuali che sono di ordine contingente ed empirico.
I darsana Samkhya-Yoga, Nyaya-Vaisesika e Karma-Mimamsa sostengono chela percezione ha
un suo fondamento reale; per essi tutto ciò che è percepito esiste indipendentemente dal fatto di
essere percepito. questa visione della vita, da un punto di vista filosofico, è considerata realista;
ciò implica che il mondo oggettivo, che l'esperienza percettiva rivela, è ritenuto reale e la sua
esistenza è indipendente dal fatto che esso sia percepito o meno. Inoltre, questi darsana
sostengono una componente pluralistica della realtà perché la concepiscono composta di diverse
categorie primarie. Ci si trova, quindi, di fronte a un realismo pluralistico comune a tante filosofie,
non solo orientali.
Il Vedanta advaita, o della non-dualità, cerca di superare le contraddizioni di tale filosofia e di
pervenire a una visione unitaria della vita.
Si vuole precisare, infine, che il testo: Upani@ad, Kårikå e commento di Âaækara, è un tutto
completo e profondamente spiegato, sì da non avere la necessità di altre considerazioni o appunti.
Se ci si è permessi di apporre delle note, a volte anche ampie, è solo per delucidare certi concetti,
poco noti al discepolo occidentale, di metafisica Vedanta e alcuni aspetti dei vari darsana e delle
filosofie orientali in genere menzionati nell'opera.
E', comunque, con profonda reverenza che il curatore si è accinto a presentare questo
fondamentale testo advaita ed è con grande umiltà che ha apportato le note esplicative.

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

OM. M'inchino a quell'Uno che è il migliore tra gli uomini, il quale, per mezzo della sua
conoscenza simile all'etere, e che non differisce dall'oggetto di conoscenza, ha realizzato i
dharma, paragonabili al cielo. OM.
R.

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

CAPITOLO PRIMO - AGAMA PRAKARANA

(Capitolo basato sulle Sacre Scritture)

OM. SALUTO A BRAHMAN

Invocazione di Âaækara

M'inchino a Brahman; è tramite Esso che (durante lo stato di veglia) si fa esperienza degli oggetti
grossolani; è Esso che permea tutto l'universo con i raggi onnipresenti della sua inalterabile
Coscienza, la quale abbraccia tutto ciò che è mobile e immobile.
E' tramite esso che (durante lo stato di sogno) si fa in se stessi esperienza della molteplicità degli
oggetti che il desiderio produce e ai quali la mente presta attenzione.
E' tramite Esso che (nel sonno profondo o sonno senza sogni) si fa esperienza della felicità che
attraverso la maya si può gustare.
E' Esso che, in termini di maya, si concepisce come il quarto (turiya) e che rappresenta il
Supremo, l'Immortale e l'Immutabile.
Possa Turiya:
• dopo essersi (apparentemente) identificato (per virtù di maya) con la totalità dell'universo e
aver esperito (nello stato di veglia) i molteplici oggetti grossolani;
• dopo essersi ancora illuminato con la sua stessa luce(nello stato di sogno) e aver esperito
gli oggetti sottili;
• dopo essersi, infine, ritirato in se stesso (nello stato del sonno profondo) risolvendo tutti gli
oggetti (grossolani e sottili), ed essersi affrancato da ogni distinzione e da ogni
differenziazione,
possa, dunque, questo Turiya, eternamente esente da ogni attributo, accordarci la sua protezione.
Introduzione di Âaækara all'Upani@ad

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

INTRODUZIONE DI ÂAÆKARA ALL’UPANISAD

Questi quattro capitoli (con le kårikå), che riassumono la quintessenza dell'insegnamento


vedantico, hanno inizio con le parole: “La lettera OM è tutto questo ecc.». Perciò non bisogna
occuparsi, in modo separato, del soggetto, dell'oggetto da perseguire e della loro relazione, perché
ciò che costituisce la relazione - soggetto e oggetto in quanto fine - è qui posto in modo evidente.
E' comunque opinione della dottrina che un autore, volendo esporre un trattato (prakarana),
dovrebbe brevemente menzionarli. Ora, si può dire che questo trattato possiede un soggetto poiché
svela il mezzo per raggiungere un certo fine (la Liberazione), per cui contiene la relazione
specifica; possiede, altresì, l'oggetto, fine da conseguire, e quindi indirettamente il soggetto
agendi1).
Qual'è, dunque, questa finalità? E' ciò che vogliamo spiegare: proprio come un uomo, colpito da
una malattia, riprende la sua salute quando riesce ad eliminare la causa, così il Sè,
(apparentemente) colpito dall'identificazione con la sofferenza, riprende il suo stato normale
quando svanisce (l'illusione della dualità, la quale si dimostra come universo fenomenico.
Il fine a cui tende (questo trattato è la realizzazione della non-dualità. Poiché la dualità
fenomenica è un'ideazione dell'ignoranza (metafisica), essa può essere sradicata tramite la
Conoscenza; quindi questo libro ha lo scopo di svelare la Conoscenza (vidya) di Brahman. Ciò
viene affermato dai testi vedici quali: «Perché laddove vi è, per così dire, dualità; laddove esiste
un secondo, là l'uno vede l'altro, l'uno conosce l'altro; ma laddove tutto questo (dualità) si è risolto
nell'atman, come potrebbe l'uno vedere l'altro e come l'uno conoscere l'altro?» (Brhadaranyaka
up.: II, IV, 14 - IV, III, 31).
Così, il primo capitolo, dedicato interamente a considerare il significato di OM, si basa sulla
Conoscenza Tradizionale (vedica)2 che offre la possibilità di realizzare la realtà del Sé.
Il secondo capitolo tende a dimostrare - per mezzo della pura ragione - la non realtà del mondo
fenomenico della dualità, eliminando la quale si raggiunge la non-dualità, proprio come la realtà

                                                             
1
Un prakarana espone un punto particolare di uno sastra; uno sastra, invece, espone un'intera tematica nella sua
molteplice configurazione. Un prakarana deve avere, soprattutto, tre elementi essenziali (anubandha):
- Il soggetto da trattare (visaya).
- La mutua relazione tra idea ed espressione, tra l'esposizione e la cosa esposta (sambandha).
- Il fine pratico cui deve mirare (prayojana), oltre a considerare l'attitudine del discepolo nei riguardi della
materia (adhikara).
2  Perconoscenza tradizionale si deve intendere Conoscenza realizzativa. Per la Tradizione, che è ordine non umano,
conoscere è essere. Inoltre, è conoscenza intuitiva, quindi immediata. Non è da confondere con la conoscenza intuitiva
sensibile: in questa rimane sempre la distinzione soggetto-oggetto. Conoscere ed essere, così, sono essenzialmente la
stessa cosa; sono due aspetti inscindibili di un'unica condizione. Aristotele formulò il principio dell'identità per mezzo
della conoscenza, dichiarando espressamente che «L'anima è tutto ciò che essa conosce» (De Anima). E' bene tener
presente questa nota nella riflessione-meditazione di questo testo. 
 
25 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

della corda viene svelata quando si elimina l'illusione del serpente, ecc., proiettata su di essa3.
Il terzo capitolo ha il fine di stabilire razionalmente la verità della non-dualità, in modo che questa
non venga negata dallo stesso processo argomentativo con cui viene accettata4.
Il quarto capitolo cerca di confutare, con gli stessi argomenti degli avversari, tutti i punti di vista
contrari all'insegnamento dei Veda e che si oppongono alla verità della non-dualità (advaita). E'
messa in evidenza l'inanità di simili punti di vista che si contraddicono l'un l'altro.

                                                             
3
Nel primo capitolo si espone la dottrina secondo le Scritture (sruti). Nel secondo capitolo si dimostra, con la
ragione intellettiva, come la sfera manifesta oggettiva e quella sottile siano non solo identiche, ma semplici fenomeni
evanescenti, eliminando i quali si svela la Realtà assoluta.
Âaækara usa l'immagina della corda e del serpente per chiarire questo punto: si osserva il serpente laddove invece c'è
una semplice corda; il serpente è un'ideazione-fenomeno sovrapposta alla realtà corda. Quando l'ideazione-fenomeno
scompare, la corda si svela in tutta la sua realtà. Quando l'ideazione-fenomeno scompare, la corda si svela in tutta la
sua realtà. L'ideazione-immagine viene dal serbatoio della subcoscienza (samskaravasana) e quel serbatoio rimane
senza origine per il fatto che ogni illusoria origine non ha un precedente con cui rapportarsi. 
4  Nel terzo capitolo si dimostra come la Realtà una e senza secondo non può essere negata o contraddetta da alcuna

argomentazione dialettica. 
 
26 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

OSSERVAZIONI PRELIMINARI DI ÂAÆKARA

In che modo la conoscenza del significato di OM diviene un aiuto per realizzare la natura
essenziale dell'atman? Ecco la spiegazione: certi passi della sruti, come i seguenti, affermano:
«Quello è OM... Questo mezzo (OM) è il migliore» (Katha up.:I, II, 15-17).
«O Satyakama, OM è in pari tempo il Brahman supremo e il Brahman non supremo» (Prasna p.:V,
2).
«Medita sull'atman in quanto OM» (Maitry up.: VI, 3).
«OM è Brahman» (Taittiriya up.: I, VIII, 1).
«Tutto questo (universo) è veramente OM» (Chandogya up.: II; XXIII, 3).
Ne consegue che come la corda è il sostrato dell'illusione-serpente, così l'atman-senza-secondo,
Realtà suprema, è il sostrato di proiezioni mentali, quali il soffio vitale (prana), ecc., che sono
irreali. quindi, è soltanto OM il sostrato di quell'illusione proiettiva la quale rappresenta gli oggetti
non reali, come il prana, ecc. OM possiede, dunque, lo stesso carattere essenziale dell'atman,
poiché è il nome che conviene a questo atman.
Tutte le rappresentazioni mentali, come il prana, ecc., le quali hanno l'atman come sostrato e che
sono denominate da parole - che sono poi modificazioni di OM - non esistono se non come
semplici nomi. Citiamo, a sostegno di quanto precede, i seguenti passi della sruti:
«... restando tutte le altre modificazioni null'altro che distinzioni di nome e di linguaggio...»
(Chandogya up.: IV, I, 4).
«Tutto questo (universo), ricollegato a Quello (Brahman), è tenuto insieme dal filo della parola e
dal susseguirsi dei nomi».
«Di tutti questi (oggetti, non si può fare l'esperienza) che per mezzo dei nomi», e così via. Per cui
l'Upani@ad (in questione) afferma:

 
27 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Hari OM! OM è tutto questo. (Segue infatti) una chiara spiegazione: cioè che è passato, presente
e futuro è realmente OM. E ciò che oltrepassa questa triplicità temporale, in verità, è sempre
OM.

Come tutti gli oggetti che vengono indicati con i nomi non differiscono dai nomi e, altresì, come
gli stessi nomi non differiscono in nulla da OM, così tutto ciò che è non può non essere che OM.
Allo stesso modo che una cosa è conosciuta con il nome che le è proprio, così il supremo Brahman
non può essere conosciuto che per mezzo del suo nome: OM. Questo supremo Brahman è,
realmente, OM.
Il presente capitolo offre la spiegazione di Quello, cioè OM, in quanto Brahman supremo e
Brahman non supremo. E se il sutra parla di una upavyakhyanam: spiegazione chiara, è perché
Om costituisce il mezzo per raggiungere Brahman, oltre ad essere la sua espressione più aderente.
Tutto ciò che è condizionato dalla triplice temporalità, bhutam: passato, bhavad: presente,
bhavisyad: futuro, rappresenta ugualmente OM per le ragioni già esposte.
Tutto ciò che è al di là da tale triplice temporalità, inferibile dai suoi effetti, ma non circoscritto
dal tempo, si chiama il non manifesto (avyakrta) e ciò, pure, in verità, è OM.
Benché il nome (abhidhana) e l'oggetto denominato (abhidheya) siano una sola e medesima cosa,
pure la spiegazione data nel testo: «OM è tutto questo», ne pone in evidenza il nome (OM).
Ora, il medesimo pensiero riappare (nel sutra seguente), ma questa volta è all'oggetto denominato
che si pone all'attenzione per far risaltare che nome e oggetto denominato, sotto ogni aspetto, sono
identici perché altrimenti potrebbe nascere il dubbio che tale identità sia solo in senso figurato
(come semplice convenzione), mentre lo scopo della conoscenza di questa identità (del nome e
della cosa nominata) è di trascendere simultaneamente, con un solo ed unico atto, l'illusione del
nome e quella dell'oggetto, sì da realizzare Brahman, il quale è al di là del nome e dell'oggetto. E
ciò è quanto la sruti afferma: «I quarti sono identici alle sillabe e le sillabe ai quarti» (Må…ƒ¥kya
up.: VIII): Per cui è detto:

 
28 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

II

Tutto ciò è certamente Brahman. Questo atman è Brahman e l'atman ha quattro quarti (pada).

Sarvam etat: tutto ciò di cui si è parlato (nel primo sutra) come riferentesi soltanto ad OM, è
Brahman, la cui esistenza è stata stabilita per mezzo dell'inferenza 5 , è ora indicato (nel presente
sutra) in modo diretto come ayam atma Brahma: questo atma è Brahma. Il termine ayam: questo,
accompagnato da un gesto della mano (verso la regione del cuore), è presentato come riferentesi al
Sé interiore (atman), e sah ayam atma: quest'atman. designato con OM; comprende
contemporaneamente il parabrahman e l'aparabrahman, catuspat: dalle quattro parti; queste ultime
non sono come le quattro zampe di una vacca, ma come i quattro quarti della moneta (karsapana)6.
Il Quarto (Turiya) viene realizzato solo quando si fondono i tre quarti, cioè: visva, taijasa e prajna.
La parola pada (piede) è utilizzata come causa strumentale, cioè: per mezzo della quale qualcosa
viene realizzata, mentre nel caso di Turiya, la parola pada significa l'oggetto stesso, cioè ciò che
viene realizzato. Ma l'atman come può avere quattro parti? Ecco la spiegazione dell'Upani@ad:

                                                             
5 La Realtà, o assoluto, può essere appresa tramite la deduzione; ad esempio, a livello empirico si può dedurre la causa
dalla presenza dell'effetto. Questo tipo di conoscenza è di ordine mediato; possiamo invece avere una conoscenza per
immediatezza o diretta (aparoksa jnana) tramite l'intuizione superconscia, quindi non di tipo sensoriale. 
6  Quest'apparente divisione è data semplicemente alla mente empirica per facilitare la comprensione della stessa

Realtà una. Parabrahman e aparabrahman rappresentano le due facce della stessa Realtà, viste dalla prospettiva
individuata; corrispondono al Brahman supremo senza attributi (nirguna) e al Brahman non supremo con attributi
(saguna). 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

III

Il primo quarto (pada) è vaisvanara, la cui sfera (di azione) è lo stato di veglia; esso è cosciente
degli oggetti esterni, ha sette membra e diciannove bocche; esperisce gli oggetti grossolani
(materiali).
(Vaisavanara) è consapevole della sfera attiva dello stato di veglia e degli oggetti esterni come
distinti da se stesso Questo, però, è il risultato dell'identificazione, causata dall'avidya, con tali
oggetti.
Il testo dice anche che vi sono sette membra; dichiara infatti: «Di questo vaisvanaratman la
regione splendente è la testa; il sole, l'occhio; l'aria, il soffio vitale; lo spazio, il tronco; l'acqua, i
reni; la terra, i piedi» (Chandogya up.: V, XVIII, 2) e, per completare l'analogia, l'ahavaniya (uno
dei tre fuochi del sacrificio agnihotra) è talvolta descritto come la sua bocca. e', dunque, chiamato
saptangah, poiché il suo intero corpo si compone di sette membra. Parimenti ha
ekonavimsatimukhah: diciannove bocche: cinque organi di percezione (buddhindriya), cinque
organi di azione (karmendriya) che, sommati, sono dieci, cinque funzioni del soffio vitale (prana),
quella mente che si associa agli organi sensoriali (manas), l'intelletto (buddhi), il senso dell'io
(ahamkara), la sostanza mentale (di cui si compongono tutte le formazioni sottili, il ricettacolo di
tutte le tendenze innate chiamato citta).
Queste sono, per modo di dire, le bocche, cioè le porte della percezione tramite cui vaisvanara
esperisce gli oggetti grossolani: come il suono, ad esempio. si chiama vaisvanara sia perché
conduce tutti gli enti, per vie diverse, (all'esperienza dei molteplici oggetti), sia perché comprende
in se stesso tutti i corpi grossolani degli enti.
Vaisvanara corrisponde a visvanara (essere totale, universale).
E' il primo quarto, poiché non è diverso dalla totalità dei corpi grossolani (totalità abitualmente
designata col termine di Virat). Si chiama primo quarto perché è per suo mezzo che i quarti
successivi possono essere conosciuti7.
Obiezione: Se la discussione verte sui quattro quarti dell'atman interiore, in riferimento al testo
che afferma: «Questo atman è Brahman», come avviene che le differenti regioni (di cui l'universo
è composto) siano descritte come le membra di questo atman?
Risposta: Ciò non è un errore, perché l'intenzione è di dimostrare che l'intero mondo fenomenico
(grossolano) e quello (sottile) degli dei (adhidaiva) contribuiscono alla costituzione delle quattro
parti; tale dimostrazione conduce alla non-dualità perché rimuovendo tutto il mondo fenomenico
si realizza il solo ed unico atman esistente in tutti gli esseri e tutti gli esseri (si svelano) atman8; in
                                                             
7 Occorre ricordare che questi «quarti» non hanno una successione temporale. Essi sono considerati dal punto di vista
empirico, come, dallo stesso punto di vista, si afferma che, tramite vaisvanara, si conoscono gli stati coscienziali di
sogno e sonno profondo. 
8
Il primo quarto è costituito da ciò che corrisponde a Virat: totalità delle forme grossolane fisiche. Il secondo quarto,
dalle forme sottili prende il nome di Hiranyagarbha, l'Anima universale.
Il terzo quarto, dal germe iniziale, causa prima o archetipo fondamentale allo stato non manifesto e comprende si
avirat che Hiranyagarbha; esso viene designato con il nome d'Isvara o Avyakrta (non manifestato o informale). Il
 
30 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

tal modo è anche confermato il significato del testo vedico: «Colui che vede tutti gli esseri nel Sé
e il Sé in tutti gli esseri» (Isa up.:6).
Diversamente il Sé interiore sarebbe circoscritto dal proprio corpo - come affermano alcuni: il
Samkhya9, ad esempio - e non vi sarebbe più posto per l'Advaita, che è la caratteristica particolare
della sruti (Må…ƒ¥kya up.: VII; Chandogya up.: VI, II, 1), poiché, se la dualità fosse ammessa,
non sussisterebbe più nessuna differenza fra l'Advaita, il Samkhya e altri darsana. Ora, lo scopo di
tutte le Upani@ad è di stabilire l'identità del tutto con l'atman.
E' dunque legittimo paragonare le diverse parti (superiori, intermedie, inferiori) dell'universo alle
sette membra che sono in rapporto con il Sé soggettivo (adhyatma) associato ad un corpo fisico,
perché, dal punto di vista di Virat (sintesi dell'universo grossolano) è identico all'aspetto
universale (adhidaiva), il quale include le regioni superfisiche. D'altronde è ciò che appare dalle
parole della sruti: «La tua testa cadrà...» (Chandogya up.: V, XII, 2)ecc.
L'identità (dell'adhyatma con l'adhidaiva), dal punto di vista di Virat, comporta l'identità delle
entità chiamate: Hiranyagarbha e taijasa (da una parte), Isvara (non manifesto) e prajna (dall'altra).
Il Madhu-brahmana (della Brhadaranyaka up.:II, V, 1) dichiara a questo proposito: «...questo
Purusa (universale), fatto di splendore e immortale, che risiede su questa terra, e l'essere
individuale risplendente ed immortale che risiede in questo corpo, sono sempre l'atman, sono il
Brahman, sono il Tutto».
E' un fatto indiscutibile che il Sé che dimora nel sonno profondo (prajna) è identico ad Isvara non
manifesto, perché tra essi vi è perfetta identità. Da ciò si deduce che la non-dualità segue la
risoluzione dell'illusoria dualità10.

                                                                                                                                                                                                          

Quarto (Turiya) è al di là di ogni possibile relazione causale e spazio-temporale; al di là, dunque, del manifesto e non
manifesto principale; rappresenta l sostrato di tutte le apparenze (Virat-Hiranyagarbha-Isvara). Risolvendo ogni quarto
in quello successivo partendo dal virat, si finisce per svelare Turiya, l'Assoluto privo di parti, quindi senza secondo. In
termini di filosofia platonica Isvara equivale al "Mondo delle Idee", Hiranyagarbha al mondo intelligibile e Virat al
mondo sensibile. (Per ulteriori ragguagli con la filosofia di Platone si veda: Iniziazione alla Filosofia di Platone, di
Raphael. Ed. Asram Vidya, 1984). 
9  Il darsana Samkhya sostiene la dualità di Purusa e Prakrti o Pradhana (essenza e sostanza, spirito e materia), sia a

livello adhyatma che adhidaiva (microcosmo e macrocosmo). Il Samkhya, in altri termini, prende in considerazione il
problema della causalità mayahica, come l'Advaita vedanta quello dell'acausalità brahmanica. 
10  Come nell'individuale (adhyatma) la coscienza jivaica si ritira dallo stato di veglia (vaisvanara) in quello di sogno

(tijasa) e poi in quello di sonno profondo o stato causale principale non manifesto (prajna), così nell'universale, alla
fine di una dissoluzione cosmica, la Coscienza jivaica si ritira da Virat in Hiranyagarbha e poi Isvara non manifesto.
Isvara (macrocosmo) è assimilato a prajna (microcosmo). Come in alto cos' in basso. 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

IV

Il secondo quarto (pada) è taijasa (il luminoso) la cui sfera di azione è lo stato di sogno; la
coscienza è, qui, interiorizzata. Esso ha sette membra e diciannove bocche ed esperisce gli
oggetti sottili.
Taijasa è chiamato svapnasthanah perché la sua sfera di attività è quella di sogno. La
consapevolezza di veglia, per quanto sia uno stato vibratorio mentale, è associata a molti mezzi
(conoscenza di relazione: soggetto-oggetto, ecc.) e sembra assorbita dagli oggetti apparentemente
esterni, lasciando nella memoria le corrispondenti impressioni.
Ora, sotto l'impulso dell'ignoranza, del desiderio e delle azioni passate, la mente è identificata con
le impressioni, alla stregua dell'immagine con la tela di un dipinto; essa fa la sua esperienza nello
stato di sogno come se si trattasse dello stato di veglia, ma senza alcun mezzo esterno. Ciò è in
accordo con l'affermazione: «(E quando egli si addormenta) portando con sé una parte delle
impressioni (che provengono dal mondo dello sato di veglia), egli le dissocia e le ricostruisce a
suo piacimento per fare l'esperienza del sogno con la usa propria luce» (Brhadaranyaka up.: IV,
III, 9). Allo stesso modo, l'Upani@ad dell'Athrva-Veda, dopo aver dato su questo punto la
spiegazione: «Tutti i sensi si fondono nella più alta divinità, la mente...», prosegue: «Allora,
questa divinità (la mente) esperimenta la sua grandezza nello stato di sogno» (Prasna up.:IV, 5).
Riguardo agli organi sensori, la mente è antah: interna, così taijasa viene chiamato antahprajnah:
cosciente di ciò che è interno, perché la sua coscienza si applica, durante il sogno, a degli stati
mentali che sono essi stessi il risultato di impressioni lasciate dallo stato anteriore di veglia.
E' chiamato taijasa perché diviene il soggetto, per quanto la sua coscienza (di sogno) sia esente da
qualsiasi oggetto (grossolano), e perché si presenta essenzialmente luminoso.
Visva (soggetto dello stato di veglia) ha l'esperienza degli oggetti esterni grossolani, mentre qui
(nello stato di sogno) esso si fonda unicamente su residue impressioni (vasana); per questo motivo
viene chiamato esperienza del sottile11.
La fine del sutra è identica a quella del sutra precedente. Taijasa è il secondo quarto (dell'atman).
                                                             
11
Viene enunciata la teoria del sogno, ma questo non è altro che l'analogia della stato sottile (tijasa) dove il jiva
(anima individuata) si ritira quando lascia il corpo fisico e lo stato grossolano (visva).
Tutto ciò che esiste nell'universo (micro e macrocosmo) non è che "sostanza" (prakrti per il Vedanta, cwra per il
Platonismo), e le indefinite forme, come i vari quarti, non sono altro che modificazioni o movimenti (maya =
movimento conformato) della sostanza. Una forma o un piano di esistenza non "escono" da prakrti per trovarsi in
un'altra condizione (quindi, le forme universali di ogni ordine e rado non sono distinte e separate dalla sostanza
primigenia), ma sono la stessa sostanza, come un gioiello non è che sostanza-oro che ha preso una determinata
configurazione. sotto questo punto di vista, non si può parlare di creazione nel senso di un "uscir fuori", di un
"nascere", di un "essere" per poi trovarsi diverso da tale essere. La forma ghiaccio non esce fuori dalla sostanza acqua,
la forma gioiello non esce fuori dalla sostanza oro e la forma elemento ferro non esce fuori dalla sostanza elettronica
di cui è fatta.
Ecco perché l'universo, nella sua sintesi grossolana e sottile, viene considerato un semplice fenomeno (maya) che
appare e scompare; come, appunto, quel fenomeno ghiaccio appare e scompare nella sua essenza-natura acqua. Tutto
ciò non costituisce panteismo perché v'è un aspetto trascendente che è Purusa. 
 
32 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Questo è lo stato di sonno profondo in cui il dormiente non gode più di alcun oggetto e non
esperimenta alcun sogno. Il terzo quarto (pada) è prajna la cui sfera di attività è, appunto, il
sonno profondo; in esso ogni cosa rimane indifferenziata; in verità, è un'unità di pura coscienza.
(In prajna) c'è pienezza di felicità e (il dormiente) gusta realmente questa felicità. E' la
condizione conoscitiva (degli altri due stati).
La proposizione incidentale: «In cui il dormiente...» ha principalmente lo scopo di far
comprendere lo stato di sonno profondo, dato che quest'ultimo, caratterizzato dall'assenza della
conoscenza del reale, è condizione comune ai due stati (veglia e sogno), i quali sono associati alla
presenza e all'assenza di oggetti percettivi; oppure si propone di distinguere lo stato susupti: di
sonno profondo dai due stati anteriori, perché il sonno, che vela la conoscenza della realtà, è il
tratto comune ai tre stati.
(Da tutto ciò) il termine yatra (in cui), potrebbe essere interpretato in due modi differenti: «nel
luogo in cui» e «nel tempo in cui» il dormiente non vede alcuna immagine di sogno, né desidera
alcun oggetto di godimento, perché nel sonno profondo non esistono - contrariamente agli altri
due stati - né esperienza onirica, la cui caratteristica consiste nel considerare le cose per quelle che
non sono, né desiderio.
Esso è chiamato susuptasthanah in quanto la sua sfera è lo stato di sonno profondo. Inoltre, è detto
ekibhutah: indifferenziato, perché le molteplici cose, che sono differenziate nei due stati (veglia e
sogno) e che non sono altro che modificazioni della sostanza mentale, diventano indifferenziate
(nello stato di sonno profondo) senza, comunque, perdere le loro caratteristiche, proprio come le
cose fenomeniche, che la luce del giorno rivela, diventano indifferenziate nel buio della notte.
questo stato e, dunque, chiamato prajnanaghanah in ragione dell'assenza di ogni molteplicità (dal
momento che nessuna differenza può essere percepibile). La parola eva (soltanto), significa
nient'altro che pura coscienza. Pertanto, la mente affrancata dalla sofferenza che proviene dagli
sforzi compiuti per il suo vibrare con gli oggetti (relazione soggetto-oggetto) è chiamata
anandamayah: piena di felicità, ma (questa) non (bisogna confonderla con)la Beatitudine, poiché
(il sonno profondo) non è Beatitudine assoluta. Proprio come nel linguaggio comune si dice che
un uomo, esente da ogni sforzo, è felice o anandabhuk: sperimentatore della felicità, così pure
questo (prajna) è chiamato anandabhuk perché è escluso da qualsiasi sforzo; la stessa sruti
dichiara: «Questa è la sua suprema felicità»(Brhadaranyaka up.: IV, III, 32).
Il sonno profondo è chiamato cetomukhah poiché è il passaggio che conduce agli altri due stati:
veglia e sogno.
Oppure, perché ceta (il soggetto che percepisce), caratterizzato dalla coscienza empirica, è anche
il passaggio che conduce all'esperienza del sogno e della veglia; da qui la sua denominazione di
cetomukhah.
Esso è detto prajna perché è cosciente del passato, del futuro e di tutte le cose. Inoltre, è chiamato
prajna, conoscitore per eccellenza, anche nel sonno profondo perché nei due stati anteriori vi è
sempre questo conoscitore, o ancora perché ha, come caratteristica specifica, la coscienza

 
33 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

indifferenziata, mentre negli altri due stati la coscienza, pur essendovi, rimane differenziata12.
Prajna, così descritto, è il terzo quarto (dell'atman).

                                                             
12
Susupti o prajna rappresenta la condizione del sonno profondo senza sogni o condizione germinale-causale-
essenziale senza sogni o condizione germinale-causale-essenziale del jiva. In questo stato il soggetto-oggetto, quindi
tutte le percezioni duali di veglia e oniriche, si risolve nella condizione potenziale. Il jiva, per assenza di contenuti
dualistici percettivi, si trova così in una pace che, però, sparisce non appena ritorna allo stato sogno-veglia.
D'altra parte, egli è costretto a ritornare perché in prajna vivono tutti i semi allo stato latente che, fino a quando non
vengono superati, sospingono all'oggettività sottile, grossolana oppure in entrambi gli stati. Quindi questa condizione
di susupti non va confusa con il quarto o Turiya, sostrato dei tre stati (sonno, sogno, veglia). chi realizza Turiya
(l'Uno-Uno di Platone) conquista quell'assoluta beatitudine di chi è libero da ogni traccia di identificazione con la
maya-avidya e dallo stesso processo di individuazione. In Turiya tutti i semi, vasana o samskara, sono distrutti. La
Realizzazione, appunto, consiste nel bruciare le radici dell'avidya che dimorano in prajna. 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

VI

Esso (prajna) è il Signore supremo, l'Onnisciente, l'Ordinatore interno, la Sorgente del tutto; in
esso originano e si dissolvono tutte le cose.
Nel suo stato naturale 13 , questo è il Signore (Isvara) della totalità, cioè dell'universo grossolano e
sottile. Isvara non è, come alcuni sostengono, un'entità distinta dall'universo14; la sruti dice infatti:
«O mio caro, la mente è legata al prana (prajna o Isvara)» (Chandogya up.: VI, VIII, 2).
Egli è onnisciente perché, attraverso tutti gli stati (veglia, sogno e sonno profondo), risiede, come
conoscitore, in ogni individualità.
Egli è antaryami, cioè, penetrando negli esseri li dirige (dall'interno); di conseguenza, è chiamato
la Sorgente del tutto perché è da esso che procede quest'universo, il quale, come detto
precedentemente, è caratterizzato dalla differenziazione.
Così tutte le cose hanno realmente in esso principio e fine.
Riguardo a tutto ciò, qui vengono esposte le kårikå (di Gauƒapåda):

KÅRIKÅ DI GAUDAPADA

1. Visva (primo quarto) pervade ogni cosa e fa l'esperienza degli oggetti esterni (grossolani),
taijasa (secondo quarto) fa esperienza di quella interni (sottili), prajna (terzo quarto)
esperimenta la totale coscienza (stato indifferenziato): da ciò si deduce che la medesima entità è
considerata triplice.
La kårikå deve essere compresa come segue: questo jivatman, che è puro e incondizionato, è
trascendente i tre stati - e ciò è provato dal fatto che egli passa ora nell'uno ora nell'altro - ed è
interrelato con essi tramite il ricordo dell'identità dell'io15.
La sruti conferma questo punto di vista con l'esempio del pesce di grandi dimensioni, ecc.16

2. Visva conosce mediante l'occhio destro, taijasa tramite l'organo interno dello strumento

                                                             
13 E' <naturale» perché rappresenta la condizione essenziale e noumenica dell'anima individuale. 
14  Alcuni filosofi e teologi sostengono che Isvara (Dio-persona) è totalmente trascendente e distinto dalla creazione.
L'Advaita vedanta sostiene che è trascendente e immanente; sempre, ovviamente, considerato dal punto di vista
empirico, quindi di maya. Dal punto di vista del Tutto-Uno tale dualità è frutto della rappresentazione della mente
individuata che non riesce a comprendere la Totalità. I termini trascendente e immanente sono semplici concetti di
relazione. 
15  Il jivatman, in quanto unità di coscienza, esperimenta i tre stati; costituisce il punto unificatore e relativamente

costante. L'identità di sé è il nucleo psichico intorno a cui roteano i ricordi e le esperienze nei tre mondi. 
16 Fa allusione a un passaggio della Brhadaranyaka upanisad in cui si dice che come un grosso pesce passa da una riva

all'altra senza essere toccato dalla corrente, così le indefinite esperienze dei tre stati non toccano minimamente
l'atman. 
 
35 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

mentale e prajna tramite lo spazio (akasa) nel cuore. Così (lo stesso jivatman) appare nel corpo
in modo triplice.
Questa kårikå cerca di dimostrare che la triplice modalità di visva (taijasa e prajna) può essere
afferrata integralmente nello stesso stato di veglia.
Visva, conoscitore degli oggetti grossolani, esperimenta tramite l'occhio destro, e ciò è in
conformità della sruti quando afferma: «La persona che risiede nell'occhio destro è conosciuta
come indha, che significa l'essere risplendente» (Brhadaranyaka up.: IV, II, 2).
Indha, che significa il risplendente cioè vaisvanara, l'equivalente di Viratatman (la totalità dei
corpi grossolani), il percipiente che risiede nel sole, è lo stesso del percipiente (visva) che risiede
nell'occhio.
Obiezione: Hiranyagarbha è differente dal conoscitore del campo (ksetra) individuale, vale a dire
dal corpo (grossolano); esso è l'ordinatore che dimora nell'occhio destro, il conoscitore e il signore
del corpo.
Risposta: Non è così, perché una tale distinzione è rifiutata dalla sruti quando dice: «Un solo
Essere risplendente si nasconde in tutte le creature» (Svetasvatara up.: VI, 11). Anche la smrti
afferma: «Considera che io sono il conoscitore del campo di tutti i campi, o Bharata... E' indiviso
eppure appare diviso...» (Bhagavad Gita: XIII, 2-16).
Benché visva sia uniformemente presente in tutti gli organi sensori, pure lo si associa all'occhio
destro perché visva utilizza proprio l'occhio destro per la percezione degli oggetti. L'entità che
dimora nell'occhio destro, dopo aver percepito le forme (esterne), chiude la palpebra ed evoca le
medesime forme nella sua mente, rivedendole, come nel sogno, sotto forma di impressioni. Così
questo stato (veglia) è simile a quello di sogno, per cui taijasa, il soggetto percipiente dentro la
mente (stato sottile), è esattamente il medesimo di visva (stato grossolano). Quando cessa l'attività
chiamata «ricordo», il percipiente (dei due stati precedenti: veglia e sogno) si unisce a prajna che
risiede akase ca hrdi: nello spazio del cuore, sì da diventare realmente un'unità di coscienza,
perché ivi ogni attività mentale è sospesa. La percezione e il ricordo sono, dunque, modificazioni
della mente e, in loro assenza, lo Spettatore rimane nel cuore, allo stato immanifesto, con il solo
prana com'è detto, appunto, nella sruti: «Prana ritira tutte queste cose in se stesso» (Chandogya
up.: IV, III, 3).
Dunque, taijasa è identico a Hiranyagarbha in quanto esistente nella mente, come ancora
affermato nella sruti: «Questo Purusa (Hiranyagarbha), costituito di mente, la cui realtà è luce,
risiede nell'interno del cuore» (Brhadaranyaka up.: V, VI, 1).

Obiezione: Il prana (energia vitale) è una realtà manifesta (percepibile) in un uomo che dorme
profondamente e i cui organi sensori sono immersi nel prana. Quindi, come si può dire che il
prana non sia manifesto?
Risposta: ciò non costituisce errore, perché il non manifesto è caratterizzato dall'assenza cognitiva
di tempo e spazio. Benché prana, nel caso di un essere che si identifichi con una forma particolare
di prana, sembri manifestato (nello stato di veglia o di sogno), tuttavia esso, durante il sonno
profondo, perdendo l'identificazione dovuta al condizionamento del corpo, risulta realmente
indifferenziato (quindi non formato o non manifestato).

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Come nel caso di coloro che si assimilano a determinati prana, il prana cessa di manifestarsi
nell'ora della morte, così nello stesso caso il prana raggiunge, nel sonno profondo, una condizione
analoga alla non manifestazione.
Questo prana (del sonno profondo) contiene, inoltre, il germe di un (futuro) effetto.
Il Testimone dei due - sonno profondo e non manifestazione (avyakrta) - è il medesimo; ed ancora
esso è identico ai testimoni (apparentemente) diversi che, da parte loro, s'identificano con il
condizionato (stati di veglia e sogno); di conseguenza, le espressioni che denotano attributi quali
«indifferenziato», «unità di coscienza», ecc., prima impiegati, possono appropriatamente
applicarsi a quest'unica entità.
Un'altra ragione espressa precedentemente rafforza quest'opinione.
Obiezione: Perché prana deve considerarsi non manifestato?
Risposta: Un brano della sruti risponde a tale domanda: «...perché la mente, mio caro, è
certamente legata al prana» (Chandogya up.: VI, VIII, 2).
Obiezione: In questa citazione la parola prana indica sat (esistenza infinita), cioè Brahman (e non
avyakrta) e la discussione verte precisamentre sul non manifestato; difatti, il testo al quale viene
fatta allusione comincia con queste parole: «All'inizio, mio caro, null'altro i era che l'Essere (sat),
Uno-senza-secondo» (Chandogya up.: VI, II, 1).
Risposta: Questa non è un'obiezione valida perché si ammette (in tale brano) che sat si trova in
uno stato di latenza o causa (di futuri effetti) dal quale procedono tutte le entità. Benché sat, vale a
dire Brahman, sia indicato con la parola prana, pure il Brahman che è definito con le due parole
sat e prana, non è il Brahman incausato. Se la sruti avesse voluto riferirsi al Brahman privo di
relazione causale (quindi nirguna), si sarebbe servita di espressioni come: «Non questo, non
questo» (Brhadaranyaka up.: IV, IV, 22; IV, V, 15). « Dal quale le parole recedono...» (Taittiriya
up.: II, IX, 1). « Ciò che è qualcosa di diverso sia dal smrti dichiara parimenti: «E' il sommo
Brahman, senza principio, noto come né esistente (sat) né non esistente (asat)» (Bhagavad Gita:
XIII, 12).
Se il testo avesse designato Brahman affrancato da ogni relazione causale (nirguna), allora coloro
che sono immersi nel sonno profondo o che si sono uniti a sat all'epoca di una dissoluzione
cosmica(pralaya) non potrebbero fare più ritorno al piano della coscienza relativa.
Oppure (stando alla vostra asserzione), i jiva, una volta liberi, tornerebbero al piano della
coscienza relativa (sì da originare il mondo dei nomi e delle forme), dato che l'assenza di seme o
di causa caratterizzerebbe tanto l'ignorante quanto il saggio (il non-liberato ed il liberato). Inoltre,
nell'assenza di qualsiasi seme (nel sonno profondo e nella dissoluzione cosmica) - seme che non
può essere distrutto che dalla conoscenza - la conoscenza stessa non avrebbe più senso. Di
conseguenza, la parola sat (del testo della Chandogya upanisad precedentemente citata), quando è
intesa dal punto di vista della causalità, è indicata con la parola prana, per cui è stata descritta in
tutte le Scritture come la Causa (prima); è anche per questa ragione che l'assoluto Brahman,
dissociato dal suo attributo causale, è stato indicato nei brani della sruti come: «Egli è al di là del
non manifesto, che è superiore al manifestato» (Mundaka up.: II, I, 2). «Dal quale le parole
recedono » (Taittitiya up.: II, IX, 1). «Non questo, non questo» (Brhadaranyaka up.: IV, IV, 22),
ecc.

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Quando il prana è assimilato a Turiya, allora lo si considera non più come la causa (de mondo
delle apparenze), ma come affrancato da tutte le relazioni fenomeniche; in altri termini, (è
considerato) sotto il suo aspetto unicamente reale. Certamente la condizione causale è anche
sperimentata nel corpo, perché essa è presente nell'uomo che esce dal sonno profondo quando,
appunto, afferma: «Non ho provato nulla (nel mio sonno profondo)». Quindi, si dice che un solo e
medesimo atman presenta nello stesso corpo una triplice modalità esistenziale17.

3. Visva fruisce degli oggetti grossolani, taijasa di quelli sottili e prajna sperimenta la
beatitudine. La fruizione è, dunque, triplice.
4. Visva gode del mondo grossolano, taijasa del sottile e prajna gode la felicità. Il godimento è,
dunque, triplice.
Le kårikå 3 e 4 sono state già commentate.

5. Colui che conosce il soggetto e l'oggetto di fruizione, associati a ciascuno dei tre stati, non è
più afflitto dagli oggetti (di questi stati) anche quando ne fa l'esperienza.

Nei tre stati di veglia, sogno e sonno profondo, un solo e medesimo oggetto d'esperienza 18 appare
sotto una triplice forma: grossolana, sottile e causale. Inoltre, il soggetto dell'esperienza (dei tre
stati), conosciuto (secondo il caso) come visva, taijasa e prajna, è descritto come un unico ente, in
ragione (da una parte) dell'unità di coscienza implicita nella condizione quale: «Sono quello»
(comune alle tre sfere) e (dall'altra parte) in ragione dell'identità del percipiente19.
Colui ce conosce questi due elementi (soggetto e oggetto di esperienza) che sembrano molteplici:
(il primo) in quanto percipiente, (il secondo) in quanto oggetto percepito, non può esserne più
influenzato, anche se fa esperienze, perché tutti gli oggetti (dei tre stati) sono sperimentati da un
solo e medesimo soggetto. Come il fuoco (nella sua essenza) non cresce né decresce, pur
consumando il proprio combustibile, così nulla è aggiunto o tolto alla natura del soggetto mentre

                                                             
17  Quando si esperimenta lo stato di veglia, sogno e sonno profondo sembra che a fare l'esperienza siano tre enti
diversi. In realtà l'ente è sempre uno e il medesimo; e solo un centro vitale identico a se stesso può avere continuità di
coscienza. I tre conoscitori apparenti: visva, taijasa e prajna sono un'unica entità (jivatman), anche perché risiedono
nello stesso corpo. Non si possono ammettere più entità in uno stesso corpo. Possono, comunque, sembrare tre perché
la coscienza s'identifica, in modo successivo, con uno dei differenti stati esistenziali, producendo, così, una scissura e
una distinzione. occorre considerare poi che, una volta risolta l'Ignoranza-avidya con la realizzazione nirguna, non c'è
più ritorno sul piano delle apparenze. la condizione del sonno profondo, si è già visto, non è paragonabile al nirguna
poiché essa è caratterizzata dalla causalità o seme (vasana), e così pure gli enti che si trovano nella posizione di
pralaya (dissoluzione ciclica delle apparenze), senza aver realizzato il nirguna, ritorneranno al risorgere delle
apparenze. Al nuovo emergere di una manifestazione-apparenza, prana elettrifica la sostanza (akasa) determinando il
movimento e, quindi, le forme. In termini platonici occorre distinguere tra Uno-Uno non qualificato e l'Essere (Mondo
delle Idee) che rappresenta una polarizzazione qualificata dell'Uno Supremo o Sommo Bene. 
18 Gli aspetti di sogno, quindi sottili e grossolani-fisici, non sono altro che idee a differenti livelli espressivi, come gli

elementi acqua e ferro non sono altro che elettroni a differenti livelli di condensazione. 
19 Allo stato di veglia si dice di aver sognato odi aver fatto un sonno profondo senza sogni. 

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

esperimenta l'oggetto20.

6. E' certo che la creazione appartiene a quelle entità che hanno un'esistenza (reale). Così, prana
manifesta tutti gli oggetti e Purusa crea separatamente i multiformi raggi di coscienza (jiva).
Nelle rispettive condizioni apparenti, consistenti di nomi e forme creati dall'ignoranza, l'origine
appartiene alle entità le quali sono differenti forme di visva, taijasa e prajna, che hanno (un
sostrato di)realtà. Ciò è evidente in questo passo: «Il figlio di una donna sterile on può nascere né
in modo reale, né tramite maya» (Cap. III, kårikå 28), poiché se la nascita derivasse dal non
esistente, allora Brahman stesso, il quale è al di là di tutte le relazioni empiriche, diverrebbe
ugualmente non esistente dal momento che verrebbe a mancare ogni tipo di conoscenza. E' un
fatto di esperienza comune che il serpente (al posto della corda), o altre cose del genere, il quale
appare tale in virtù della causa illusoria (maya), effetto dell'ignoranza (avidya), preesiste sotto
forma di corda, proprio perché nessuno ha mai potuto percepire l'illusione del serpente, del
miraggio, ecc., senza un corrispondente sostrato. Prima che si presentasse l'apparenza illusoria del
serpente, questo aveva già la sua causa nella corda; parimenti tutte le entità esistono, prima della
loro manifestazione, sotto forma di causa, cioè di prana 21 . Per questo la sruti afferma: «Al
principio tutto questo (il mondo delle apparenze) era realmente Brahman» (Mundaka up.: II; II,
11), e «Tutto questo (universo), al principio, esisteva in quanto atman» (Brhadaranyaka up.: I, IV,
1).
Pranah janayati: prana, dunque, manifesta tutte le forme; Purusa proietta gli innumerevoli centri
(particolari) di coscienza (jiva) alla stregua dei raggi multipli del sole riflessi nell'acqua, i quali si
dimostrano come visva, taijasa e prajna nelle più svariate forme di esseri animali, umani, ecc.
Purusa irradia questi raggi di coscienza chiamati «esseri viventi», che sono diversi dagli oggetti
inanimati, ma che hanno tutti la medesima natura del Purusa stesso: sono le scintille dello stesso
fuoco, i riflessi del sole sulla superficie dell'acqua.
Prana p il Sé causale produce tutte le altre entità (forme inanimate); a sostegno di ciò citiamo la
sruti: «Come il ragno emette e riassorbe il filo» (Mundaka up.: I, I, 7), e « Le piccole scintille
sprizzano dal fuoco in tutte le direzioni » (Brhadaranyaka up.: II, I, 20)22.

7. Alcuni pensatori considerano la creazione come il potere (della divinità), mentre altri la
paragonano ad un semplice sogno o ad una proiezione mentale (che può realizzare un mago).

                                                             
20  Colui che comprende che gli oggetti grossolani e sottili sono esperiti da un univo ente non potrà più considerarli
reali perché potrà notare come gli oggetti di veglia spariscono nello stato di sogno e quelli di sogno svaniscono nella
condizione di sonno profondo. Ora, un dato è Reale-assoluto se lo si trova sempre esistente e identico a se stesso in
ogni condizione, formale e no. 
21  Gli sloka dal 6 al 9 espongono alcune teorie che si riferiscono alla creazione. Lo sloka 6 dimostra che la

manifestazione non è vacuità, non è non esistente, come può essere il figlio di una donna sterile, essa è prodotta dal
prana, sostrato del mondo dei nomi e delle forme. Anche un'apparenza, per essere tale, deve avere un suo sostrato o
un punto di riferimento. Così, il miraggio ha come suo sostrato reale lo spazio del deserto. Ogni fenomeno non può
non avere, come realtà ultima, il suo noumeno. 
22  Dal punto di vista empirico si può avere l'universo sensibile e non sensibile, animato e inanimato, ma dal punto di

vista dell'ultima Realtà questa dualità è inesistente per il semplice fatto che rappresenta una categoria mentale, una
classificazione basata su aspetti di relazione. 
 
39 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Vi sono alcuni che, speculando sul concetto di creazione, concepiscono questa come l'effetto della
potenza di Dio; però coloro che mirano all'ultima verità non prestano alcun interesse alla teoria
della creazione. Infatti, la sruti afferma: «Indra (il Signore), assumendo forme diverse in virtù di
maya, è percepito come molteplice» (Brhadaranyaka up.: II, V, 19), Così, il mago lancia una corda
verso il cielo e con le braccia vi si arrampica fino a sparire agli sguardi (degli astanti), poi affronta
un combattimento nel corso del quale le sue membra vengono tagliate, le une dopo le altre,
cadendo a terra; infine, e all'improvviso, il mago si rialza (sano e salvo).
Gli astanti non manifestano alcun interesse a conoscere la reale natura dell'incantesimo del mago
perché da quell'evento inferiscono l'esistenza di un mago reale distinto dalla corda e dallo stesso
individuo che si è arrampicato lungo questa corda.
La manifestazione di sonno profondo, di sogno, ecc. è analoga al dispiegarsi della corda prodotta
dal mago e (gli enti empirici considerati come) prajna, taijasa e visa, corrispondenti
(rispettivamente) ai tre stati, sono simili all'individuo che sembra arrampicarsi lungo la corda.
Come il vero mago rimane (immobile) sul terreno, nascosto agli sguardi (degli astanti) perché
coperto dal velo dei suoi sortilegi (maya), così avviene per quella suprema Realtà designata col
nome di Turiya. Se ne deduce che quelle anime nobili che aspirano alla liberazione meditano solo
su Turiya e non sulla creazione che, in fondo, non ha alcun valore, essendo della medesima natura
del sogno o dell'incantesimo23.

8. «La creazione avviene per la volontà del Signore» affermano alcuni, mentre altri ce
considerano il tempo come reale affermano chela manifestazione deriva dal tempo.
La creazione è icchamatram: un atto del volere divino (pensano alcuni) perché tale volontà deve
necessariamente compiersi. Oggetti, quali una brocca, ecc., non sono altro che (la creazione del) la
volontà-pensiero (del vasaio). altri sostengono che la manifestazione procede dal tempo.

9. Alcuni pensano che la creazione esista affinché (il Signore) ne tragga godimento, mentre altri
l'attribuiscono ad un semplice gioco (del signore). Questo (atto di creazione) è inerente alla
natura dell'Essere risplendente; ma quale desiderio si potrebbe supporre in colui in cui tutto è
compiuto?
Alcuni ritengono che il Signore tragga godimento dalla manifestazione, altri considerano
quest'ultima un semplice gioco divino.
Questi due punti di vista sono confutati dalle parole: «Questo (atto di creazione) è inerente alla
natura dell'Essere risplendente»; oppure, tutti i punti di vista che riguardano la creazione sono
confutati dalla semplice affermazione «aptakamasya ka sprha: ma quale desiderio si potrebbe
supporre in colui in cui tutto è compiuto?».

                                                             
23 Si riferisce alla concezione teistica secondo la quale Dio è considerato come un potente Ente-persona che ha creato
l'universo. Vi sono fachiri, in India, che sono capaci di produrre straordinari fenomeni tali da sbalordire gli astanti. 
 
40 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Se la corda, ecc., appare quale serpente, ecc., la causa di ciò sta nell'ignoranza24.

                                                             
24
Le teorie sulla creazione, qui esposte, sono:
a) La creazione è il prodotto del prana.
b) La creazione è effetto della potenza divina.
c) La creazione è l'atto deliberato del volere del signore.
d) La creazione è il prodotto del tempo.
e) La creazione è stata fatta per il godimento dello stesso Creatore.
f) La creazione è un gioco del Dio-persona.
Sono teorie che hanno una base cosmologica e teologica. 
 
41 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

INTRODUZIONE DI ÂAÆKARA AL VII SUTRA DELL'UPANI@AD

Il quarto quarto che segue è descritto con le parole: «nantah prajnam: non cosciente degli oggetti
interni, ecc. », perché Quello, non ammettendo la descrizione o l'indicazione di concetti, essendo
questi impropri ad esprimerlo, può essere indicato in termini di negazione di attributi.
Obiezione: In questo caso, Turiya diviene pura sunya: vacuità.
Risposta: No, perché ogni rappresentazione, per quanto illusoria, non può sussistere senza un
sostrato. L'illusione di una moneta d'argento, di un serpente, di un uomo (in agguato) o del
miraggio, ecc., non può concepirsi senza un sostrato corrispondente, (nel nostro caso): conchiglia
di madreperla, corda, tronco d'albero, deserto, ecc.
Obiezione: Se fosse così, Turiya dovrebbe essere indicato con parole (positive) e non con
negazioni di attributi, poiché esso costituisce il sostrato di tutte le rappresentazioni mentali quali:
prana, ecc.; così le brocche, i vasi, ecc., in quanto contenitori di acqua, sono indicati con parole
(positive).
Risposta: La rappresentazione mentale diprana, ecc., (riferita a Turiya) è non reale quanto la falsa
nozione della moneta d'argento, riferita alla conchiglia di madreperla, ecc.
Una relazione fra il reale e il non reale non può essere espressa con parole, proprio perché essa è
non esistente. Turiya non potrebbe, come ad esempio la mucca, essere oggetto di conoscenza
perché la sua natura è omogenea e nel caso della mucca, ecc. - possedere nulla che somigli ad una
proprietà generica, poiché è sprovvisto di upadhi o di attributi; esso è libero da ogni qualità sia
generica che specifica, in quanto è Uno-senza-secondo. Né possiede alcuna attività, come nel caso
di un cuoco, poiché trascende ogni azione; né può essere designato per mezzo di attributi quali, ad
esempio, il colore azzurro, ecc., perché è senza attributi. Perciò se ne conclude che Turiya elude
ogni possibile descrizione verbale.
Obiezione: Se è così (Turiya) è simile alle corna di una lepre, per cui rimane privo di utilità.
Risposta: In effetti non è così perché la conoscenza di Turiya, in quanto atman, risolve ogni
desiderio rivolto agli oggetti i quali costituiscono il non-Sè, come la consapevolezza della
madreperla(scambiata per una moneta d'argento) risolve il desiderio di appropriazione della
moneta d'argento.
Quando si è realizzata l'identità di Turiya con l'atman non può esserci più ignoranza e di
conseguenza desiderio ed errate percezioni (con i loro effetti). D'altronde, tutte le Upani@ad
mirano a questa conclusione, come risulta dai seguenti brani: «Tu sei Quello» (Chandogya up.:
VI, IX, 4), «Questo atman (che risiede nel cuore) è Brahman» (Brhadaranyaka up.: II, V, 19),
«Quella è la Realtà la quale è l'atman» (Chandogya up.: VI, VIII, 9), «Egli è, in pari tempo,
all'esterno e all'interno, egli è anche senza causa» (Mundaka up.: II, II, 2), «Esso (atman) è tutto
ciò che è» (Chandogya up.: VII, XXV, 2), ecc.

 
42 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Questo stesso atman, costituente la Realtà suprema e che appare con attributi, è stato descritto
come dotato di quattro parti. La sua sovrapposizione irreale è stata attribuita all'ignoranza, come la
sovrapposizione del serpente alla corda; Esso consiste di quei tre quarti che sono i relazione tra
loro come il seme al germoglio. Dunque, nel sutra che segue, Turiya è considerato nella sua natura
non causale, nella sua suprema realtà, paragonabile alla corda, privo dei tre stati precedentemente
enumerati, i quali, invece, corrispondono al serpente, ecc. (sovrapposto alla corda).

 
43 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

VII

I Saggi pensano che il Quarto - che non ha conoscenza né del mondo interno (soggettivo) né di
quello esterno (oggettivo) né contemporaneamente di quello e di questo, e che, infine, non è
(nemmeno) un'unità di coscienza integrale poiché non è né cosciente né incosciente -- sia adrsta:
invisibile, avyavaharya: non agente, agrahya: incomprensibile, alaksana: indefinibile, acintya:
impensabile, avyapadesya: indescrivibile; esso è l'unica pratyayasara: essenza della conoscenza
di sé, senza alcuna traccia di manifestazione, pienezza di pace e di beatitudine senza dualità:
esso è l'atman e come tale deve essere conosciuto.

Obiezione: Si era posta la premessa di descrivere l'atman come composto di quattro parti. Ora,
dopo la descrizione stessa dei tre quarti, appare evidente che il Quarto risulta diverso da questi tre
che sono «coscienti del mondo interno, ecc.».
Di conseguenza, la negazione, che ha come scopo di indicare Turiya come nell'allusione: «Turiya
non è quello che è cosciente del mondo interno, ecc.», diviene futile.
Risposta: Non proprio, perché come la natura della corda si realizza non appena sono negate le
apparenze illusorie del serpente, ecc., così qui ci si propone di stabilire che è Turiya il Sé che
sussiste nei tre stati. E' la stessa dimostrazione della sruti (quando afferma): «Tu sei Quello»25.
Se Turiya dovesse differire realmente dall'atman - il quale sussiste nei tre stati - allora
l'insegnamento della scritture non dovrebbe avere alcun senso, dal momento che non potremmo
disporre di alcun mezzo capace di comprendere Turiya, oppure questo sarebbe ridotto ad un puro
vuoto26.
Come la corda viene scambiata erroneamente per un serpente, una ghirlanda di fiori, ecc., così
l'atman, nei tre stati, viene ritenuto, a torto, come dotato di attributi: coscienza del mondo
interiore, ecc. Dunque, la negazione dimostra la non realtà del mondo (interiore, ecc.) nell'atman.
Questi due risultati: negazione degli attributi (sovrapposti) e soluzione del mondo fenomenico si
producono simultaneamente; di conseguenza, per la realizzazione di Turiya, è inutile cercare altro
strumento di conoscenza o altra disciplina27. (Come prima si è detto) nel momento in cui svanisce
la rappresentazione del serpente riguardo alla corda, la natura reale di questa si rivela, e ciò si

                                                             
25 «Tu sei Quello». Quello è Turiya, e tu il Sé dell'ente. 
26  Quando al posto della corda si vede un serpente, la corda non cessa, comunque, di esistere perché la sua natura
appartiene al sempre Esistente (Assoluto); così, quando Turiya è visto come prajna, taijasa e visva esso non scompare;
ciò che, invece, appare e scompare sono le tre sovrapposizioni già menzionate perché non sono altro che semplice
fenomeno. La sruti, a volte, tratta la Realtà dal punto di vista fenomenico; a volte, dal punto di vista dell'Assoluto. Ma
vi è una sola Realtà, l'assoluto Turiya che appare fenomeno per il tramite di maya. 
27 Altra disciplina può essere lo yoga e ogni ascesi che implichi sforzo fisico o psichico. La Verità ultima si concede a

chi sa comprenderla nella sua possibilità extra spazio-temporale. anche lo Zen del Buddhismo prospetta questo tipo di
folgorante conoscenza sovrasensoriale. 
 
44 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

determina quando sorge la discriminazione tra la corda e il serpente28.


Coloro, però, che sostengono che la conoscenza oltre a dissipare le tenebre(ignoranza) - da cui, ad
esempio, un vaso è circondato - produce altra attività, ammettono di conseguenza che, ad esempio,
nel tagliare un tronco d'albero in due, il taglio, oltre a distruggere ogni relazione tra le due metà
dell'albero, scopo ultimo dell'operazione, esercita qualche altra azione sulle altre parti del
medesimo tronco.
Se è vero che lo strumento conoscitivo impegnato nel separare una brocca dall'oscurità (che la
cela) raggiunge il suo scopo semplicemente allontanando l'oscurità indesiderata, e altresì l'atto del
tagliare il tronco tende a togliere l'adesione tra le due parti del legno da dividere, è anche vero che
nel caso di Turiya lo strumento conoscitivo ha il solo scopo di superare le idee come: «Conscio
del mondo interiore, ecc.» sovrapposte al Sé, sì da procurare l'annullamento della distinzione tra il
conoscitore (conosciuto e conoscenza) ed escludere ogni altra azione nei riguardi di Turiya29.
In tal modo si può dire: « La dualità si dilegua quando la Verità suprema (non-dualità) viene
realizzata». Infatti la cognizione empirica, una volta trascesa la dualità non può sussistere un solo
istante; se ciò dovesse avvenire ne seguirebbe una regressione all'infinito, per cui la dualità non
avrebbe mai fine. E' dunque stabilito che la scomparsa di attributi non reali, quali: «Cosciente del
mondo interno, ecc.», sovrapposti all'atman, risulta concomitante al sorgere della conoscenza, la
quale rappresenta il mezzo valido per risolvere la dualità30.
Con la frase nantah prajnam: non conscio del mondo interiore, viene eliminato taijasa. Con na
bahisprajnam: non conscio del mondo esteriore, viene eliminato visva. Con na ubhayatah prajnam:
non conscio dell'uno e dell'altro, è abolito lo stato intermedio tra sogno e veglia. Con na
prajnanaghanam: non un'entità di coscienza, è negato lo stato di sonno profondo, perché questo
consiste in uno stato di latenza in cui ogni cosa diviene indistinguibile31.
Con na prajnam: non semplice coscienza, è negata la consapevolezza distintiva di cose separate32.
Con na aprajnam: non incoscienza, è negata l'insensibilità.

Obiezione: Se è così, poiché attributi quali: «Cosciente del mondo interiore, ecc.», sono percepiti
                                                             
28  La discriminante tra reale e irreale (viveka-vicara) produce due effetti di cui uno è in diretta relazione col suo
operare e l'altro risulta esserne una conseguenza. Con il primo il velo oscurante viene dissipato, con il secondo si svela
la realtà che è sempre esistita dietro il velo, per cui essa può essere vista nella sua totalità e integralità. 
29  In altri termini, quando il conoscente, la conoscenza e il conosciuto divengono uno si è al di là della conoscenza

empirica e, quindi, al di là di ogni possibile dualità. Ma la dualità - come dice il testo - si dilegua quando la verità
viene realizzata, quindi semplicemente pensata o concettualizzata. 
30 La conoscenza che opera sul piano del soggetto-oggetto non porta alla realizzazione di Turiya. la conoscenza, di cui

parla la stessa Scrittura, è semplicemente un mezzo per eliminare i veli oscuranti la coscienza. Turiya si rivela
nell'immediatezza dell'illuminazione, si dimostra come folgorazione, poiché non dipende da spazio-tempo-causa, né
da procedimenti di logica intellettiva, deduttiva o induttiva, né da esercizi o tecniche psicofisiche. La stessa tecnica è
di ordine empirico e, come tale, costituisce solo un aiuto per rimuovere certi ostacoli nell'infraumano; il che è già
tanto. 
31  Se ci si pone nella condizione dello stato di veglia, si considera lo stato di sonno profondo come anteriore nel

tempo. In tale stato dimorano, in modo potenziale, i germi di future oggettivazioni. Occorre sempre sottolineare che il
sonno profondo, con la sua totale massa di semi potenziali, non ha niente a che fare con Turiya, l'Assoluto
incondizionato. Prajna è l'Uno in quanto inizio della serie; Turiya è, invece, lo Zero metafisico ed è al di là dello
stesso numero, o, ancora, è la radice del numero. 
32 E' l'onniscienza, attributo del Principio ishavarico o Dio-persona, l'Uno principale a livello universale. 

 
45 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

in quanto inerenti all'atman, come è possibile che essi, con un semplice atto di negazione, possano
scomparire alla stregue del serpente sovrapposto alla corda?
Risposta: Benché gli stati (di veglia, sogno e sonno) appaiano tutt'uno con la coscienza-testimone,
essi si escludono l'un l'altro come le apparenze serpente, filo d'acqua, ecc., sovrapposte alla corda.
Ma la coscienza-testimone è immutabile in tutti gli stati, per cui ne consegue che essa sola è
reale33.

Obiezione: Però (la coscienza-testimone) non esiste nel sonno profondo.


Risposta: Non è così. Lo stato di sonno profondo è un fatto d'esperienza, come afferma la sruti:
«La conoscenza del conoscitore non può mai essere perduta»(Brhadaranyaka up.: IV, III, 30).
Di conseguenza, Turiya è invisibile (non percepito) e, poiché è invisibile, è fuori di ogni contatto
sensoriale e inafferrabile dagli organi di azione; non è inferibile perché non ha un contenuto logico
di inferenza, per cui è impensabile e, perciò, è acntyam: indescrivibile34.
Per scoprire Turiya si deve isolare quella coscienza, sempre identica a se stessa, dai tre stati di
veglia, di sogno e di sonno profondo; coscienza la cui natura è omogeneità.
Oppure, le parole della sruti possono anche significare che lo scoprire l'atman senza-secondo è
l'unico modo per realizzare Turiya e che, di conseguenza, Turiya rappresenta l'essenza
coscienziale dell'atman. Infatti, la sruti afferma ancora: «Si dovrebbe meditare su di Lui (Turiya)
in quanto atman» (Brhadaranyaka up.: I, IV, 7).
Alcuni attributi quali: «Cosciente del mondo interiore, ecc.» inerenti a ciascuno dei tre stati (visva,
taijasa, prajna), sono stati negati. ora, descrivendo Turiya come: «L'estinzione di ogni fenomeno,
ecc. » si vogliono negare tutti i possibili attributi inerenti ai tre stati. Turiya è così pace eterna,
cioè senza cambiamento e, parimenti, beatitudine eterna. Poiché esso è advaitam: non-duale, cioè
libero da idee illusorie di differenziazione, è chiamato caturtham: il Quarto perché è
completamente al di là dei tre quarti, i quali non sono che semplici apparenze35.

                                                             
33
Gli stati di veglia, sogno e sonno profondo, alla stregua del serpente, ghirlanda, ecc., sono sovrapposti alla pura
coscienza. Ora, dal momento che essi sono in continuo mutamento e in contraddizione, si deve dedurre che non
costituiscono assolute realtà. se il sostrato-Turiya rimane sempre presente e identico a se stesso - mentre questi tre
stati sono e non sono - allora lo stato di realtà assoluta va riferito a Turiya e non alle sue sovrapposizioni.
Così, se dei miraggi appaiono e scompaiono nello stesso spazio-deserto, e se si vuole dare un ordine di realtà ad
entrambi, il valore di realtà assoluta va dato solo allo spazio-deserto. 
34 Turiya essendo, in fondo, l'Assoluto incondizionato e inqualificato, può essere descritto semplicemente in termini di

negazione; negazione, naturalmente, di attributi, di qualificazioni, di sovrapposizioni; negazione di qualunque limite


concepibile empiricamente. quando la sruti sostiene che Turiya, o Brahman nirguna, è sat-cit-ananda, questi termini
non devono essere considerati attributi, ma semplici dati consustanziali a Turiya o, come affermano altri, descrizioni
fatte da un punto di vista empirico; così, gli stessi nomi di Turiya, Brahman, ecc., essendo appunto dei nomi,
appartengono ovviamente al mondo qualificato. Queste considerazioni saranno riprese più in là. 
35 Turiya è detto il quarto, ma senza alcun riferimento a relazioni numeriche. Dal momento che visva, taijasa e prajna

sono considerati come primo, secondo e terzo, Turiya non poteva, quindi, essere il quarto. L'atman può essere
realizzato quando le varie sovrapposizioni vengono trascese. Così, la pura energia elettronica può essere realizzata
quando la massa condensata, a vari livelli, viene risolta. Gli atomi, le molecole e il tessuto esterno sono
sovrapposizioni alla pura energia elettronica; se, appunto, si eliminano queste sovrastrutture, si ha l'energia
indifferenziata, al di là dei nomi e delle forme. 
 
46 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

«Quello, in verità, è l'atman che dev'essere realizzato»; quest'affermazione ha lo scopo di


dimostrare chela dichiarazione della sruti: «E tu stesso sei questo atman» (Chandogya up.: VI,
VII, 7) si riferisce all'atman considerato come la corda, la quale differisce dal serpente, dal filo
d'acqua, dal solco sul terreno, dal bastone, ecc., semplici apparenze sovrapposte ad essa.
Quell'atman descritto dalla sruti come: «Pur non visto rimane il Veggente... la visione non sfugge
mai al Veggente» (Brhadaranyaka up.: III, VII, 23; IV, III, 23), (occorre tener presente che) viene
definito così dal punto di vista del precedente stato che è quello dell'ignoranza (da chi si pone dal
punto di vista dei tre stati) in quanto la dualità non può sussistere all'apparire della conoscenza-
realizzazione36.

KÅRIKÅ DI GAUDAPADA

10. Nell'immutabile Signore non-duale e supremo hanno fine tutte le sofferenze. Questo Turiya
risplendente è considerato la sorgente onnipervadente di tutte le entità.
Con (la realizzazione di) isanah (l'Ordinatore, cioè Turiyatman) tutte le sofferenze determinate dai
tre stati: prajna, taijasa e visva cessano. La parola prabhuh (Signore) è rapportata a isanah perché
egli è il Signore che produce l'estinzione delle sofferenze. Avyayah vuol dire inalterabile, cioè che
non si allontana dalla proprio natura. Che cosa significa ciò? Significa che Turiya è senza-secondo
perché tutte le altre entità sono non reali, come la rappresentazione del serpente, ecc., immaginata
nella corda. E' riconosciuto come deva (risplendente), come Turiya (il Quarto), come vibhuh, cioè
come la sorgente onnipervadente tutti gli enti37.

11. Visva e taijasa sono condizionati dalla causa e dall'affetto; prajna, invece, dalla causa. Ma
in Turiya non esistono né causa né effetto.

Karya o l'effetto è ciò che è prodotto, karana o la causa è ciò che agisce, cioè è lo stato nel quale

                                                             
36
Quando si parla di Testimone, Veggente, ecc., riferiti a Turiya, si può ancora cadere nell'errore se Lo si considera
come un soggetto che sta di fronte all'oggetto.
E' bene tener presente, meditando questa Upani@ad, che ogni riferimento a Turiya in termini di dualità o
qualificazioni, è puramente accidentale per il semplice fatto che in ogni spiegazione concettuale non si può fare a
meno di usare certi termini che possono risultare ambigui all'individuo non attento. Questo viene ripetuto spesso
lungo la trattazione della Upani@ad perché ha molta importanza. 
37  Turiya è sempre presente nei tre stati come la corda è sempre presente quando è vista come serpente, ghirlanda,

bastone, ecc. Il conflitto emerge proprio perché non si scorge la realtà dietro l'illusoria ideazione. La maya è quella
possibilità che fa apparire una cosa diversa da quella che è, e ciò determina errore e smarrimento. Ma la maya-
ignoranza può essere distrutta col fuoco della conoscenza. Bisogna tener presente che la sofferenza-dolore di cui
parlano le Upani@ad non riguarda una questione semplicemente psicologica. Se l'accento è posto sul piano del dolore
non è perché l'Oriente tradizionale ha paura del dolore e vuole fuggirlo a tal punto da inventare strumenti di evasione.
Il problema del dolore è un problema eminentemente filosofico, è una constatazione inconfutabile, ma mentre
l'Oriente tradizionale lo ha risolto con la realizzazione dell'Essere, l'Occidente l'ha risolto con la fuga, offrendo all'io
"oggetti" materiali di evasione e di stordimento. In una breve nota non si può sviluppare interamente questa tematica
che, certo, sarebbe opportuno mettere a punto. 
 
47 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

l'effetto resta potenziale. Visva e taijasa, come descritti in precedenza, sono condizionati dalla
causa, dall'effetto e caratterizzati dall'assenza di percezione e dall'errata percezione della realtà. Lo
stato di prajna è condizionato dalla sola causa e caratterizzato dalla non percezione della realtà. Di
conseguenza, né la causa né l'effetto, determinati dall'assenza di percezione e dall'errata
percezione della realtà, esistono in Turiya né sono possibili38.

12. Prajna non conosce né l'io né il non-io, né la verità né l'errore, ma Turiya, essendo il
Testimone eterno ed universale, comprende il tutto.
Come avviene che prajna sia condizionato dalla causa? E ancora, come avviene che le due
condizioni di non percezione e di percezione errata della realtà non esistano in Turiya? Prajna, a
differenza di visva e taijasa, non percepisce la dualità e nessuna cosa che sia esterna a se stesso o
diversa da se stesso e, inoltre, nulla che sia nato dalla causa chiamata avidya, per cui è
condizionato solo dall'assenza di discernimento della realtà, che, a sua volta, determina l'errata
percezione. Poiché Turiya - il Testimone eterno ed universale - esiste sempre, esso non è, per il
semplice motivo che nulla esiste all'infuori di se stesso, associato alla condizione causale, che è
caratterizzata dal non discernimento della realtà. Di conseguenza, la percezione errata, effetto del
non discernimento del reale, non può trovarsi in Turiya, come non è possibile scoprire nel sole,
che per natura è sempre luminoso, qualsiasi cosa si opponga alla sua luce: oscurità, ad esempio,
oppure altra luce che differisca dalla sua. Ciò è confermato dalla sruti quando afferma: «La
visione non sfugge mai al Veggente». Oppure la frase potrebbe intendersi in questo modo: Turiya
è designato come il Testimone eterno ed universale, perché è sempre presente nei tre stati e perché
i diversi riflessi-io dei vari stati, che sono poi quelli che percepiscono, non hanno esistenza
propria, Tale interpretazione è convalidata anche da questo brano della sruti: «Nessun altro
Testimone esiste all'infuori di lui» (Brhadaranyaka up.: III, VIII, 11).

13. L'assenza di dualità è comune sia a prajna che a Turiya. Ma prajna è associato al sonno-
seme (bija-nidra), mentre questo sonno non esiste in Turiya.
Il versetto si propone di chiarire questo dubbio: essendo prajna e Turiya caratterizzati dalla non-
dualità, com'è che solo prajna è legato alla causa? Questo dubbio è inconsistente perché la frase:
«Associato al sonno sotto forma di causa» significa che nidra: il torpore (in prajna) favorisce
l'assenza di conoscenza della verità e rappresenta la causa della differenziazione; dunque, prajna e
yutah: associato al bijanidra: torpore principale, mentre Turiya è il Testimone eterno e universale
in cui non esiste torpore. Da ciò si deduce che Turiya è libero dalla schiavitù che si esercita sotto

                                                             
38
Lo stato di prajna, in cui vi è ignoranza della Realtà, porta conseguentemente in taijasa e potrebbe portare anche in
visva, e in entrambi gli stati si ha l'effetto dell'errata percezione e dell'errata visione delle cose. In prajna la coscienza
esprime se stessa nella sua integralità, fuori da ogni dualismo, ma è la coscienza-atma condizionata, determinata,
qualificata, non è l'atman incondizionato e non-qualificato.
Da un punto di vista filosofico la causa del dolore risiede nell'Ignoranza (avidya) e fino a quando l'Ignoranza non
viene trascesa ogni possibile appagamento che si concede l'io è un semplice mezzo di evasione, senza per altro
cogliere il problema di fondo. 
 
48 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

forma di relazione causale39.

14. I primi due (visva e taijasa) sono associati alle condizioni di sogno e di sonno; prajna alla
condizione di sonno senza sogni, ma i conoscitori non scorgono in Turiya né sogno né sonno.
Svapna: il sogno consiste nell'errata percezione (della realtà), analogamente a quando si vede il
serpente al posto della corda. Nidra: il sonno (torpore), invece, è stato precedentemente definito
come oscurità, essendo caratterizzato dall'assenza di discernimento della realtà. Ora, visva e tajasa
sono associati, appunto, alle condizioni di sogno e di sonno, per cui sono condizioni da causa ed
effetto (Cap. I, kårikå 11), mentre prajna è associato al sonno senza sogni e condizionato dalla sola
causa.
I conoscitori del Brahman non vedono né l'una né l'altro in Turiya, come non è possibile percepire
l'oscurità nello stesso sole. Perciò Turiya trascende le due condizioni di causa ed effetto.

15. Il sogno si applica ad un percepire errato e il sonno all'ignorare la realtà. Quando questi due
fattori vengono rimossi si raggiunge lo stato di Turiya.
Svapnah: nello stato di sogno si ha una conoscenza errata della realtà come quando si percepisce
un serpente al posto della corda. Nidra: il sonno-torpore, caratterizzato dall'assenza percettiva
della realtà, rappresenta un sottofondo comune ai tre stati. E poiché visva e taijasa hanno come
tratti comuni svapna: il sogno e nidra: il sonno, essi formano, così, una sola e medesima cosa.
Questo sonno-torpore costituisce lo stato di offuscamento che è il sogno, ma nel terzo stato l'errore
prende la forma del solo sonno, consistente nel non percepire la realtà. Di conseguenza, quando
questi due stati - che corrispondono alla causa e all'effetto e che sono caratterizzati l'uno dalla non
percezione, l'altro dalla conoscenza errata (della realtà) - spariscono con la comprensione della
Realtà suprema, allora si realizza Turiya (in cui si trascende la causa e l'effetto).

16. Quando il jiva dormiente, sotto l'influsso della maya senza origine, si sveglia dal suo sonno,
realizza Colui che è privo di nascita, di dualità, di sogno e di sonno.
Il jiva, anima individuata che trasmigra sotto l'influenza del sonno - che rappresenta maya, la
quale è senza origine40 - e che ha la doppia possibilità di non discernere la realtà e di conseguenza
di percepire cose errate, si esprime in termini come: «Questo è mio padre, questo è mio figlio o
mio nipote, questo è il mio campo e questo è il mio gregge, io sono il loro padrone; io sono felice
o infelice, ho sofferto per una perdita e ho guadagnato altrove, ecc.».
Un simile jiva, così addormentato, viene risvegliato dal misericordioso guru che ha realizzato la
verità del Vedanta con queste parole: «Tu non sei questo», la cui natura appartiene alla sfera della
                                                             
39  Seprajna è il dato mayahico allo stato germinale, Turiya, testimone del tutto, è il sostrato completamente libero su
cui si intessono i chiaro-scuri fenomenici. Prajna è la prima determinazione qualificata del Non-Essere o Essere
metafisico. 
40  Maya è senza origine perché viene considerata dal punto di vista del condizionato e empirico. Così, nel sonno non

possiamo stabilire l'inizio temporale del sogno. Inoltre, quando in prajna si perde la coscienza degli altri due stati, si
perde altresì ogni tipo di percezione relazionale. Quindi, per quanto senza inizio, maya può essere eliminata con un
termine certo. 
 
49 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

causa e dell'effetto, ma «Tu sei Quello». Quando il jiva trascende il torpore, scopre la sua reale
natura. Qual è questa natura? Quello (atman) e ajam: il non-nato, al di là della causa e dell'effetto,
vale a dire esente da ogni cambiamento; Quello è anidram: senza sonno, perché non vi è in esso né
sogno né causa, i quali rappresentano l'avidya, caratterizzata da nascita, crescita, declino, morte,
ecc.
Turiya è esente da sogno e sonno e può essere realizzato dal jiva che riconosce se stesso come
turiyatman, senza nascita e senza secondo.

17. Se il mondo fenomenico avesse una qualsiasi esistenza, allora cesserebbe di esistere, ma
questa molteplicità, che è maya, non è altro che non dualità, la quale è la sola realtà.
Se la conoscenza della non-dualità si ottiene dopo che viene negato il mondo fenomenico, com'è
possibile accettare la non-dualità finché quest'ultimo persiste?
Ecco la Risposta: invero, ciò sarebbe impossibile se il mondo avesse esistenza (reale e assoluta),
ma, non essendo altro che rappresentazione mentale, paragonabile all'immaginazione del serpente
al posto della corda, non può dirsi che esista realmente; infatti, se avesse un'esistenza, senza
dubbio cesserebbe di essere. Ma il serpente immaginato per un'errata visione al posto della corda
non ha alcuna reale esistenza; di conseguenza, esso non sparisce quando si realizza la giusta
comprensione, come non sparisce la rappresentazione illusoria evocata dal mago 41 . Parimenti,
questa dualità non è altro che maya, chiamata anche mondo fenomenico.
Turiya è paramarthatah: la sola Realtà suprema, è advaitam: non-dualità, come la corda e il mago;
per cui non vi è un reale mondo molteplice che debba apparire o scomparire.

18. La conoscenza distintiva viene a cessare in quanto immaginata da un essere particolare.


Questa spiegazione ha per scopo di facilitare l'insegnamento; la dualità cessa di esistere quando
viene conseguita la realizzazione.
Obiezione: In che modo la dualità, implicita nelle idee di istruttore, di discepolo e di istruzione
potrebbe sparire?
Risposta: Se tali idee fossero mai state concepite reali d un uomo, la diversità interromperebbe la
non-dualità. La diversità, però, è come l'illusione (suscitata dal mago o quella) del serpente
immaginato al posto della corda; così debbono considerarsi le idee di istruttore, di discepolo e di
istruzione. Queste idee servono solo a facilitare l'insegnamento e quando l'insegnamento è stato
assimilato dvaitam na vidyate: la dualità (apparente) non sussiste più42.

                                                             
41  In altri termini, la maya, o universo fenomenico, non è una realtà sostanziale la cui sparizione è subordinata
all'intervento di un'altra realtà sostanziale. Così, per eliminare il serpente che si vede al posto della corda, non occorre
altro che aprire l'occhio, della visione. Per far sparire una rappresentazione mentale, occorre solo fermare la mente. 
42  Si parla spesso - per facilitare la comprensione di certe cose al discepolo che inizialmente vive sotto l'illusione

dell'avidya - in termini di dualità. Tutti i jiva, a qualunque dimensione possano trovarsi, non sono altro che quel
»serpente» sovrapposto al Brahman. si può dire: tutti i jiva non sono altro che Brahman, visto sotto certe prospettive,
come quel serpente non è altro chela corda vista sotto l'angolazione di un particolare sistema di coordinate. 
 
50 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

VIII

Questo è l'unico atman (descritto precedentemente come avente quattro quarti), la cui natura,
dal punto di vista delle sillabe, è identica ad OM. La parola OM, composta di parti, è ora
considerata per quello che concerne i suoni (o le lettere: matra). Dunque, i quarti sono identici
alle sillabe (le parti) e le sillabe ai quarti. Le sillabe sono: A. U. M.
Col Verbo OM (A+U=O) il rilievo è dato a ciò che è indicato con nomi diversi; il Verbo OM,
precedentemente spiegato in quanto atman e composto di quattro quarti, rappresenta lo stesso
atman descritto adesso con le sillabe, in cui il rilievo è dato al nome.
Qual è questa sillaba? E' quella di cui si è detto: Omkarah, cioè OM. Questo nome, diviso in parti,
è considerato in riguardo alle lettere o sillabe. Quali lettere? Quelle che costituiscono i quarti
dell'atman e che rappresentano le sillabe di OM. E quali sono queste sillabe? Queste sillabe sono:
A, U, M43.

                                                             
43  Nelprimo sutra dell'Upani@ad è stato detto che «OM è tutto questo»; cioè, Brahman è tutto questo e l'accento era
posto sul nome; adesso l'accento è posto sulle sillabe che compongono il nome AUM (A + U foneticamente si
risolvono in O). Le sillabe o le lettere sono identiche ai quarti. 
 
51 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

IX

Vaisvanara, la cui sfera (di attività) è lo stato di veglia, è designato dalla lettera A, che è la
prima misura e quella che pervade tutto. Colui che conosce ciò consegue tutte le cose
desiderabili e diventa il primo.
I punti di somiglianza tra vaisvanara e AUM sono messi in evidenza come segue: colui che è
vaisvanara, la cui sfera (di attività) è lo stato di veglia, è anche la prima lettera di AUM. Per quale
similarità? Ecco la spiegazione: per la similarità della pervadenza; apteh significa pervadenza.
Tutto il linguaggio è pervaso dal suono A, secondo quanto afferma la sruti: «Il sonno A è
veramente tutto il linguaggio articolato». Similmente, secondo il testo vedico, l'intero universo è
pervaso da vaisvanara: «Il capo di questo Sé, che è vaisvanara, è davvero il cielo, ecc.»
(Chandogya up.: V, XVIII, 2). E noi abbiamo già dato l'identità della parola con la cosa designata.
La parola adimat significa primo. Così la lettera A e vaisvanara sono i primi di una serie, e, data
questa similarità, vaisvanara è identico alla lettera A.
Il frutto conseguito da un conoscitore di quest'identità è il seguente apnoti ha vai sarvan kaman:
egli consegue sicuramente tutte le cose desiderabili e diviene il primo fra i grandi; colui che
conosce in tal modo, conosce l'identità come già menzionato.

 
52 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Taijasa, la cui sfera (di attività) è lo stato di sogno, è designato dalla lettera U, che è la seconda
misura (di AUM), in ragione della sua superiorità e della sua posizione intermedia. Colui che
conosce ciò acquista una conoscenza superiore e realizza l'armonia con il tutto. Non uno della
sua discendenza potrà ignorare il Brahman.
Colui che è taijasa, che ha come svapnasthanah: sfera (di attività) il sogno, è anche U, dvitiya
matra: la seconda lettera di AUM. Per quale similarità? Ecco la spiegazione: a causa della loro
superiorità. La lettera U è, quindi, superiore ad A; parimenti taijasa è superiore a visva. L'altra
similarità è questa: la lettera U è posta tra la lettera A e la lettera M; così taijasa è collocato tra
visva e prajna; di conseguenza, la condizione di medianità determina taijasa e la lettera U.
L'effetto di una tale identità è caratterizzato da un superiore sapere, e il conoscitore è trattato da
tutti con equanimità; né i suoi nemici né i suoi amici gli portano invidia e, inoltre, non nascerà
alcuno nella sua famiglia che non diventerà un conoscitore del Brahman44.

                                                             
44  La sfera sottile è superiore a quella grossolana perché in essa si può comprendere che ogni oggetto non è altro che
un'ideazione o proiezione mentale. queste tre sfere sono fatte di un'unica sostanza a differenti livelli vibratori e di
densità. Quindi, secondo la Tradizione, si ha una sfera universale fisica, iperfisica e noumenica. La stessa scienza oggi
sta cominciando a muoversi nell'ipefisico, ma è solo ai primi passi. Per maggiori ragguagli sulla condizione sottile
dell'individuo e su queste tre sfere esistenziali si vedano: L'uomo alla ricerca dell'immortalità dello Svami Nikilananda
(Ed. Astrolabio, Roma 1968), L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta e Gli stati molteplici dell'Essere di R.
Guenon (Ed. Studi Tradizionali, Torino 1965). 
 
53 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

XI

Prajna, la cui sfera (di attività) è lo stato di sonno profondo, è designato dalla lettera M, che è la
terza misura (di AUM) ed è altresì ciò in cui tutto si dissolve. Colui che così conosce è in grado
di misurare tutto (il triplice mondo) e diventa il punto di assorbimento.
Colui che è prajna, associato susuptasthanah: al sonno profondo, è anche M, trtiya matra: la terza
lettera di AUM. Per quale similarità? Per la caratteristica inerente alla misura. La parola miti del
testo significa «misura». Come l'orzo viene misurato con il recipiente chiamato prastha, così visva
e taijasa sono per così dire, misurati tramite prajna, tanto durante il loro dispiegamento quanto
durante il loro dissolvimento, poiché alternativamente emergono da prajna e s'immergono in
prajna.
Se dopo la pronuncia del suono AUM si emettono ancora una volta i suoni (o lettere), A e U
sembrano via via inabissarsi in M e sorgere da M.
Un'altra caratteristica comune è descritta dalla parola apiteh che significa: una cosa è tutt'uno con
un'altra. quando la parola AUM viene pronunciata, i suoni A e U si uniscono e si fondono, in
qualche modo, nell'ultimo suono (o lettera) M; ugualmente visva e taijasa si uniscono in prajna nel
sonno profondo.
Di conseguenza, prajna e la lettera M sono, data la base comune che le sottintende, perfettamente
identiche. L'essere che possiede questa conoscenza si dice che misuri l'intero universo, cioè ne
conosca la realtà (noumenica). Inoltre, egli diviene il "punto" di assorbimento dell'universo stesso,
cioè realizza il Sé in quanto stato causale(Isvara).
L'accenno fatto qui ai risultati secondari di tale conoscenza ha come scopo di lodare i mezzi (di
conoscenza) primari45.

KÅRIKÅ DI GAUDAPADA

19. Quando l'identità di visva con la lettera A è compresa, si realizza altresì la caratteristica di
essere primi e onnipervadenti.
Quando si descrive visva simile ad A, è per il fatto che sono entrambi «primi». Difatti,
                                                             
45
Prajna è la causa germinale del dispiegamento di taijasa e di visva. Questi due stati emergono da prajna e in prajna
ritornano; inoltre, taijasa e visva sono fatti della stessa "stoffa" di prajna, come le idee sono fate della stessa stoffa
della sostanza mentale. Un'analogia potrebbe essere questa: il nucleo atomico rappresenta prajna, l'atomo (quale
prototipo della realtà fisio-chimica) taijasa, la molecola e il tessuto molteplice visva. IL riconoscimento del nucleo
atomico ci fa comprendere la "misura" della materia, la struttura dell'universo grossolano; prajna, invece, ci dà la
"misura" non solo del grossolano, ma anche del sottile; Turiya è al di là di ogni composto, come l'energia
indifferenziata elementare è al di là di ogni composto atomico-molecolare.
E come una stella e un pianeta sono venuti dall'informale e all'informale ritornano, così tutti e tre i suddetti livelli
dall'informale sono venuti e all'informale fanno ritorno.

 
54 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

matrasampratipattau, nel testo, significa: quando, l'identità di visva con il suono A è compresa.
Inoltre, un'altra ragione d'identità è la loro capacità di onnipervadenza.

20 Quando si comprende l'identità di taijasa con la lettera U, si svela chiaramente l'utkarsah: la


superiorità del sottile e dello stato mediano (di U in riferimento ad A ed M, e di taijasa in
riferimento a visva e prajna) sul grossolano.
Taijasa utvaijnane: quando si descrive taijasa simile al suono U, si riconosce chiaramente la
superiorità (di ciascuno in riferimento alla loro sfera). Lo stato intermedio (lo si riconosce) anche
in modo evidente. tutto questo è stato spiegato precedentemente.

21. Quando si comprende l'identità di prajna con la lettera M, si svela chiaramente mana
(misura conoscitiva dei mondi) e laya, il riassorbimento.
Per quanto riguarda l'identità di prajna con M, le caratteristiche comuni sono che ciascuno di essi
rappresenta la misura della totalità e ciò in cui tutto si dissolve.

22. Colui che, senza esitazioni comprende le similarità dei tre stati è un grande saggio, salutato e
venerato da tutti gli esseri.
Colui che comprende senza alcuna esitazione la similarità dei tre stati è un conoscitore del
Brahman ed è altresì venerato e onorato nel mondo.

23. La lettera A conduce a visvam la lettera U a tijasa e la lettera M a prajna. Ma nell'amatra


(non misurabile in quanto non soggetto ad esperienza) non rimane più niente da raggiungere.
Riconosciuta l'identità dei quarti dell'atman con i suoni (lettere) di AUM, colui che realizza la
natura del suono AUM quale è stata ora descritta e che medita su di essa, raggiunge visva con
l'aiuto della lettera A.
Bisogna intendere con ciò che chi medita su AUM, prendendo A come supporto, diviene
vaisvanara. Parimenti, colui che medita su U diviene taijasa. E, infine, il suono M conduce a
prajna; ma quando, a sua volta, il suono M si estingue, la causalità stessa si supera,, per cui na
vidyate: non rimane più nulla che debba essere compiuto46.

                                                             
46  Turiyaè al di là del suono, essendo al di là di ogni misura, di ogni lettera e di ogni nome. Turiya è il silenzio o lo
Zero metafisico, è al di là del formale e dello stesso informale, intendendo con questo termine la causa prima non
ancora manifesta. In Turiya si risolvono tutte le possibili antinomie, le antitesi e le dualità. Così, il dualismo dei
mondi sensibile e intelligibile, il dualismo cartesiano delle sostanze pensate ed estesa, il dualismo leibniziano dei
mondi attuale e possibile, il dualismo kantiano di noumeno e fenomeno, ecc., si risolvono in Turiya, nell'Unità
metafisica 
 
55 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

XII

L'AUM privo di parti (e di lettere), che è inafferrabile (tramite i sensi), estinzione di ogni
apparenza, piena beatitudine, non duale, è Turiya. L'AUM è così certamente il Sé. Colui che
conosce ciò immerge il sé(microcosmo) nel Sé (Brahman).
Il Silenzioso è ciò che amatrah: non ha parti (né suoni né lettere). Questo AUM senza parti è
caturthah: il quarto, Turiya, cioè il puro atman, avyavaharyah: al di là delle relazioni empiriche dei
nomi e delle cose nominate che sono semplicemente forme discorsive. E' l'estinzione dei
fenomeni, è sivah: piena felicità, e, di conseguenza, advaitah: non-dualità. AUM, così compreso,
ha tre suoni rispettivamente identici ai tre quarti; AUM è, dunque, identico all'atman. Colui che
realizza quest'identità immerge il suo proprio sé (individuale) nel Sé (universale), il quale è la
Realtà suprema. Coloro che conoscono Brahman, vale a dire coloro che accedono alla più alta
verità, si assorbono nel Sé perché hanno estinto il terzo stato, quello causale; quindi, non possono
più rinascere poiché in Turija non vi sono cause latenti. Il serpente illusorio che, per la
discriminazione effettuata, si è riassorbito nella corda, non potrà più riapparire a quelle persone
che hanno saputo discernere.
Per gli uomini d'intelletto non discriminante, che si considerano semplici aspiranti rinunciatari e
sul sentiero della virtù e che conoscono le caratteristiche comuni ai suoni e ai quarti - quali sono
state precedentemente descritte - per essi che meditano correttamente su AUM, questa sillaba
diverrà un miracoloso mezzo per realizzare Brahman 47 . Ciò viene affermato con le parole della
seguente kårikå: «Vi sono tre stadi di vita...» (Cap. II, 16).

KÅRIKÅ DI GAUDAPADA

24. OM dev'essere conosciuto quarto per quarto perché i quarti sono identici alle lettere (suoni).
Una volta che si è afferrato (il significato di) OM, quarto per quarto, non si deve più pensare a
nessun'altra cosa.
A causa della suddetta somiglianza i quarti sono le lettere (suoni) e le lettere sono i quarti.
Compreso il senso di Omkaram quarto per quarto, non si deve più pensare ad alcun oggetto, sia
esso grossolano o sottile, perché (il conoscitore di Omkara) trascende tutti i desideri.

25. La mente dev'essere in identità con OM poiché OM è Brahman esente da paura. Chi è
assorto in OM rimane affrancato da ogni sentimento di timore.
Si deve concentrare la mente su OM, il quale, come già spiegato, è la Realtà suprema. Pranavah:
OM è Brahmanirbhayam: Brahman privo di timore, e colui che è costantemente immerso in OM
                                                             
47  Agli aspiranti, in genere, riesce difficile meditare sull'OM silenzioso; quindi, per loro, sarebbe più opportuno
procedere per gradi e comprendere prima di tutto i tre stati; poi, cercare di distaccarsene per cadere in Quello, privo di
parti e di suono. 
 
56 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

trascende ogni paura, come afferma anche la sruti nel passo seguente: «IL Conoscitore di
Brahman non ha paura di nulla»(Taittiriya up.: II, IX, 1).

26. Il pranava OM è sicuramente il Brahman non supremo e anche il Brahman supremo. OM è


senza causa, senza effetto, senza interno e senza esterno, esso è imperituro.
Pranavah: OM è, allo stesso tempo, il Brahman non supremo (apara) e il Brahman supremo
(para)48. Quando, dal punto di vista dell'ultima verità, suoni e quarti si fondono (nell'OM privo di
suono), OM diviene allora perfettamente identico al Brahman supremo. Perciò si dice apurvah:
senza causa, senza secondo, perché non esiste nulla che sia differente da esso e perché, inoltre,
nulla esiste al di fuori di esso; né è legato ad alcun effetto; dunque, esso è senza causa e risiede
all'interno e all'esterno di ogni cosa; esso è ancora senza nascita ed è un'unità di Coscienza
omogenea simile al sale sciolto nell'oceano.

27. Il pranava OM è, in verità, l'inizio, lo stadio mediano e la fine di ogni cosa. Conoscendo il
pranava in tal modo si consegue immediatamente l'identità.
Om è adi: l'inizio, madhya: lo stato intermedio e anta: la fine di tutto; cioè, ogni cosa origina, si
sostiene e si dissolve in OM.
Il rapporto del mago o altro (corda, deserto, ecc.), che non subisce mutamento alcuno, con
l'elefante illusorio o il serpente, il miraggio, ecc. è identico al rapporto dell'OM con l'universo
manifestato o con una delle sue parti, per esempio l'etere. Bisogna intendere con ciò che l'uomo
che conosce così OM, quindi il Sé, che, come il mago, ecc., non subisce mutamento, realizza
immediatamente la sua identità con l'atman.

28. Si deve comprendere che il pranava OM è Isvara che risiede nel cuore di tutti. Meditando
sull'onnipervadente OM l'uomo intelligente non soffre più.
Si deve conoscere il pranava OM in quanto Isvara presente in ogni cuore, che è la sede della
memoria e della percezione di ogni cosa. Il discepolo dotato di discernimento, realizzando che
OM (come l'akasa) penetra tutte le cose, ovvero realizzando l'identità di OM con l'atman, sfugge
alla legge della trasmigrazione; quindi, venendo a mancare la causa del conflitto, non è più colpito
dalla sofferenza. La stessa sruti afferma. «Il Conoscitore dell'atman trascende la sofferenza»
(Chandogya up.: VII; I, 3).

29. Colui che riconosce l'OM senza misura è beato e senza dualità. Colui che conosce OM è il
vero osaggio e nessun altro.
                                                             
48  Se
ci si pone da un punto di vista empirico (maya), si trova che ogni cosa ha una causa e un effetto, e per venire
incontro a quanti sono ancora condizionati dalla maya, le Scritture propongono il concetto di Isvara o Brahman
saguna, quale causa prima del mondo fenomenico. Dal punto di vista dell'ultima verità, però, non c'è né effetto né
causa, perché questi concetti sono creati dalla mente che distingue e che non sa cogliere la Totalità o l'Intero senza
moto, quindi senza nascita né morte. Nel microcosmo, Isvara corrisponde al jiva sul piano di prajna e il jiva
rappresenta, con i suoi involucri, quel serpente sovrapposto alla corda. 
 
57 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Amatrah (OM), al di là di ogni misura, è Turiya. Difatti, matra vuol dire misura, e ciò che ha una
misura o una grandezza illimitata è chiamato anantamatrah poiché nessuno potrebbe determinare
la grandezza o la misura. Inoltre, esso è beatitudine perché è non-duale. solo colui che conosce
OM, secondo la spiegazione precedente, è un vero Munih (silenzioso, saggio) poiché ha realizzato
la Realtà suprema, e nessun altro per quanto detto nelle scritture49.

                                                             
49  Solocolui che ha realizzato Brahman «conosce» Brahman, non colui che ha una semplice erudizione dell'OM
onnipervadente. 
 
58 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

CAPITOLO SECONDO - VAITATHYA PRAKARANA

(Della non-realtà assoluta dell'esperienza empirica)

1. I Saggi affermano la non realtà degli oggetti-eventi visti nella condizione di sogno sia perché
essi sono situati all'interno (del soggetto dormiente), sia perché sono spazialmente circoscritti.
E' stato dichiarato precedentemente che «La dualità cessa di esistere quando viene conseguita la
realizzazione» (I, kårikå 18), e ciò è in armonia con la sruti quando afferma: «All'inizio null'altro
vi era che l'Essere uno e senza secondo» (Chandogya up.: VI, II; 1). Dunque, quest'affermazione
si fonda unicamente sull'autorità della Scrittura, ma è ugualmente possibile dimostrare, con l'aiuto
della ragione, la non realtà (ultima) della dualità; così, il secondo capitolo tratta della non realtà
della dualità.50
Il termine vaitathyam indica che una cosa è non reale o che ha una falsa apparenza. A che cosa è
attribuita questa falsa apparenza? Sarvabhavanam: a tutti gli oggetti - interni o esterni - che si
percepiscono in svapne: sogno 51 ; questa è la conclusione dei saggi, di colore che sono esperti
nell'uso dei mezzi di conoscenza.
La non realtà è dimostrata dal fatto che gli oggetti percepiti in sogno sono contenuti nel soggetto
percipiente; tutte le forme come: montagne, elefanti, ecc., viste durante il sogno, si trovano
all'interno e non all'esterno del corpo del sognatore; di conseguenza esse non possono essere che
semplici apparenze.
Obiezione: Quest'inferenza (esistenza all'interno di un corpo) è invalidata dalla percezione di
brocche (vere), ecc. dentro una casa, ecc.52
Risposta: (Sono semplici apparenze) a causa della loro limitazione, esse sono confinate entro uno
spazio circoscritto. Infatti, è impossibile che una montagna, un elefante, ecc., possano trovare
posto in uno spazio così ristretto, precisamente nei nervi che, a loro volta sono all'interno del
corpo del dormiente. Una montagna sicuramente non può esistere all'interno di un corpo (umano).
Obiezione: Non è sostenibile che le cose viste in un sogno abbiano uno spazio limitato poiché
colui che dorme in un paese dell'oriente è visto in un paese del nord.
A tale obiezione il testo risponde:

                                                             
50  Nel primo capitolo il carattere non-duale della Realtà è stato dimostrato con l'aiuto della sruti (Scrittura rivelata o

Tradizione non umana), in questo secondo capitolo si dimostra soprattutto come le esperienze duali dello stato di
veglia e sogno, che sono identiche, siano non reali, e ciò dal punto di vista della ragione. Comunque, il concetto di
"irreale" nella dialettica del Vedanta va inteso in rapporto alla Realtà suprema. dal secondo capitolo in poi l'asparsa-
yoga non soltanto si rivolge a coloro che seguono la sruti, ma anche a coloro che non la riconoscono come tale.
L'asparsa, essendo metafisica pura, rimane libero da presupposti dogmatici. 
51 Nel sogno come nella veglia si possono percepire dati soggettivi come ansia, felicità, desideri, ecc., e dati oggettivi

come montagne, elefanti, case, ecc. Dal punto di vista della veglia, il sogno, a livello soggettivo e oggettivo, rimane
sempre di ordine soggettivo. Dal momento che le montagne e gli elefanti non possono entrare nel corpo del
dormiente, si deve inferire che non sono reali. 
52  Il fatto che degli oggetti siano posti all'interno di altri, sostengono gli oppositori, non significa che essi debbano

essere non reali. Ad esempio, una brocca situata all'interno di una casa è reale. 
 
59 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

2. Per mancanza di tempo è impossibile che il dormiente sperimenti qualche cosa andando sul
posto (dell'evento); infatti al risveglio egli non si trova sul posto (di quell'evento).
Colui che sogna non abbandona realmente il suo corpo per andare alla lontana scena del suo
sogno; si constata, infatti, che appena un uomo si addormenta percepisce, per così dire, degli
oggetti che sembrano situati a molte miglia dal luogo dove sta riposando, per cui sarebbe
necessario un viaggio di almeno un mese, cosa che il dormiente non può fare durante il suo breve
sogno. Inoltre, al risveglio egli si ritrova nello stesso luogo del suo sogno.
Se durante il sogno si fosse realmente trasferito colà e vi avesse effettivamente percepito gli
oggetti sognati, è in quel luogo che si sarebbe dovuto risvegliare, eventualità che non si è mai
verificata (l'esperienza di sogno è "movimento apparente").
Di notte, se le cose si osservano come allo stato di veglia, quando al risveglio il sognatore viene in
contatto con i suoi amici egli dovrebbe essere riconosciuto da costoro. Però questo non si è mai
verificato perché, altrimenti, quelle stesse persone avrebbero potuto dire a loro volta: «Noi ti
abbiamo visto il tale giorno, nel tale luogo». Di conseguenza, durante il sogno, il dormiente non
cambia luogo53. Le cose viste in sogno sono non reali a causa di questa ulteriore ragione:

3. Inoltre, la non realtà di un carro, ecc. (percepito nel sogno) è interpretata dalla sruti dal
punto di vista del ragionamento. Si dice quindi che la falsa apparenza del sogno, dimostrata
tramite il ragionamento, è convalidata dalla stessa sruti.
Inoltre, la non esistenza degli oggetti di sogno, che la sruti afferma nei brani quali: «Qui non vi
sono carri né animali da aggiogare...» (Brahdaranyaka-up.: IV, III; 10), è considerata dal punto di
vista della ragione o della logica. Secondo i conoscitori del Brahman, ahuh: è riconosciuto il
carattere fenomenico (degli oggetti di sogno) perché questi sono percepiti all'interno dello spazio
limitato del corpo e la sruti non fa che accettare quest'affermazione, mentre sostiene che nel sogno
l'atman brilla della sua propria luce.

4. Come gli oggetti di sogno sono non-reali, così - per la stessa ragione - sono non-reali gli
oggetti allo stato di veglia. La differenza (tra il sogno e la veglia) è che (per il sogno) si tratta di
uno spazio ristretto e che gli oggetti esistono entro il corpo.
La premessa principale consiste nel sostenere la non realtà degli oggetti che vengono percepiti
nello stato di veglia. «Percezione»: ecco la base dalla quale procede l'inferenza. Gli oggetti (dello
stato di veglia) sono simili a quelli che vengono percepiti nello stato di sogno, e l'affermazione
sarebbe: «Come un oggetto visto in un sogno». Il rapporto esistente tra l'affermazione e la
premessa da dimostrare è espresso in questo modo: come gli oggetti percepiti nel sogno sono non
reali, così gli oggetti nello stato di veglia sono non reali per il fatto di essere anch'essi percepiti.

                                                             
53
La non realtà del sogno è dimostrata, ovviamente, dal punto di vista della veglia. L'universo di sogno, per il
sognatore, è reale quanto l'universo di veglia per il percipiente sveglio. Ciò implica che l'Advaita non nega il mondo
in assoluto, ma lo considera come un "grado di verità" che si annulla di fronte all'Assoluto.
Così, preso a sé, ognuno dei tre stati (veglia, sogno e sonno profondo) è vero; ma, se visti dalla prospettiva di Turiya,
tutti e tre non hanno alcun grado di verità. 
 
60 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Gli oggetti percepiti come esistenti nel sogno differiscono da quelli percepiti nello stato di veglia
solo perché i primi samvrtatvena: si collocano in uno spazio limitato e antahsthanat: all'interno del
corpo. Il tratto comune ai due stati è caratterizzato dal fatto di essere «percepiti» e di essere
ingannevoli54.

5. Per l'identità della percezione, riconosciuta per inferenza, i saggi dicono che gli stati di sogno
e di veglia sono della stessa natura.
L'identità degli stati di veglia e sogno è dimostrata dal ragionamento empirico secondo il quale nei
due stati l'esperienza dei dati è associata alla relazione del soggetto-oggetto.
Questa kårikå è un corollario di ciò che era stato dimostrato precedentemente per mezzo
dell'inferenza55.

6. Ciò che è non-reale al principio e alla fine dev'essere necessariamente non reale
nell'intervallo. Per quanto gli oggetti (di veglia) siano della stessa natura irreale (di quelli di
sogno), tuttavia vengono considerati reali.
Le cose diverse osservate nello stato di veglia sono irreali (dal punto di vista di Turiya) per
l'ulteriore ragione che esse non esistono né all'inizio né alla fine. Un dato, per esempio un
miraggio, il quale non esiste all'inizio e alla fine, non esiste neppure nel mezzo. Ciò è una
constatazione di verità. Perciò tutte le innumerevoli cose viste nello stato di veglia, data la loro
non esistenza all'inizio e alla fine, sono non reali essendo esse simili a cose irreali come il
miraggio. Eppure, vengono percepite come se fossero reali dagli ignoranti che non conoscono
l'atman56.
Obiezione: L'asserzione che gli oggetti-eventi, visti nello stato di veglia, siano non reali alla
stregua di quelli dello stato di sogno è errata perché gli oggetti dell'esperienza di veglia, per
esempio cibo, bevande, veicoli, ecc., servono ad un fine determinato, placano la fame o la sete e
                                                             
54  A proposito delle condizioni di sogno e veglia si veda: la nota n.4 di Raphael alla Sarvasara upanisad in Cinque
Upani@ad: Isa, Kaivalya, Sarvasara, Brahmabindu, Atharvasira (Traduzione dal sanscrito e commento di Raphael.
Edizioni Asram Vidya, Roma 1974). 
55  Secondo la logica indù si hanno tre tipi di conoscenza: paramarthika (suprema), vyavaharika (empirica, quindi

relativa) e pratibhasika (illusoria). Secondo la visione dell'asparsa, l'universo è di ordine empirico, quindi fenomenico,
non illusorio-inesistente. Âaækara spiega ciò dicendo che l'universo non è come un «figlio di una donna sterile» o
come «le corna di una lepre», ma come il fenomeno del sogno e la proiezione-fenomeno del fachiro. Le esperienze di
veglia e sogno sono identiche perché identica è la loro matrice: la percezione empirica sensoriale; quindi, esse sono
caratterizzate dalla relazione soggetto-oggetto. In relazione ai gradi di conoscenza si veda ancora: Iniziazione alla
Filosofia di Platone, di Raphael, (Ibid.) 
56
Ogni dato empirico è non esistente prima del suo apparire e non esistente dopo la sua scomparsa, quindi appare e
scompare, per cui si deve riconoscere che ci sono momenti in cui esso non è. Ora «Di ciò che non esiste non dà venire
all'essere, dell'essere non vi è cessazione di esistenza». «Prima della sua apparizione esso non poteva esistere (il
corpo), né dopo la sua scomparsa potrà mai essere; la sua parabola è solo un lampo» (Bhagavad-Gita: II, 16;
Vivekacudamani: sutra 155. Traduzione dal sanscrito e commento di Raphael, Edizioni Asram Vidya).
Che cos'è ciò che, senza un antecedente né un susseguente, appare ai nostri occhi? Un dato che non abbia un prima o
un dopo che cosa potrebbe rappresentare? Ciò che non è stato e non sarà, può mai essere? Un dato, secondo
Gauƒapåda, può veramente dirsi reale-assoluto se fu, è e sarà sempre, in altri termini se non ha nascita, crescita e
distruzione; se non ha causa, tempo e spazio. 
 
61 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

permettono di andare avanti e indietro; ciò non può dirsi per gli oggetti percepiti durante il sogno.
Di conseguenza, concludere che gli oggetti percepiti nello stato di veglia siano non reali come gli
oggetti veduti nello stato di sogno è un'affermazione errata.
Risposta: Non siamo dello stesso parere.
Obiezione: Perché?
Risposta: Perché:

7. La loro utilità è contraddetta dal sogno. Perciò dato che tutti (gli oggetti di veglia e di sogno)
hanno un inizio e una fine, sono giustamente considerati non reali.
L'utilità di un dato come mezzo per raggiungere un fine determinato, utilità che (nello stato di
veglia) attribuiamo al cibo, alle bevande, ai veicoli, ecc., è contraddetta dallo stato di sogno. UN
individuo nello stato di veglia mangia e beve, soddisfa la sua fame ed estingue la sua sete, ma
appena si addormenta si sente (nel sogno) tormentato dalla sete e dalla fame come se avesse
digiunato e fosse rimasto senza bevande per un intero giorno ed un'intera notte. E può avvenire
anche l'inverso: lo stesso individuo, che ha bevuto e mangiato durante il sogno, si sveglia affamato
e assetato. Di conseguenza, gli oggetti percepiti nello stato di veglia sono contraddetti dallo stato
di sogno. Noi pensiamo, dunque, che la non realtà degli oggetti degli stati di veglia e sogno sia al
di là di ogni dubbio. Perciò, dal momento che questi posseggono una base comune, cioè quella di
avere un inizio e una fine, debbono considerarsi non reali57.
Obiezione: Voi sostenete la non realtà degli oggetti percepiti durante lo stato di veglia basandovi
sulla similarità che questi hanno con quelli che sono percepiti nello stato di sogno, però una tale
asserzione non è conforme alla verità.
Risposta: Perché?
Obiezione: La spiegazione non si adatta ai due casi.
Risposta: Come?
Obiezione: Gli oggetti che si vedono nello stato di veglia non si vedono più nello stato di sogno.
Risposta: Allora esponete le esperienze del sogno.
Obiezione: Nel sogno un individuo vede degli oggetti che abitualmente non vede nello stato di
veglia; per esempio (nel sogno) pensa di possedere otto braccia e di sedere sopra un elefante con
quattro zampe. Capita anche, in sogno, di vedere oggetti grotteschi e quest'evento, appartenendo
ad un ordine diverso dall'illusione, deve considerarsi reale. Di conseguenza, l'analogia non è
valida, per cui non è esatto affermare che le esperienze di veglia siano altrettanto irreali quanto
                                                             
57  Sesi afferma che allo stato di veglia tutti gli oggetti servono ad uno scopo, ciò tuttavia non costituisce una prova
decisiva della loro realtà per il semplice fato che anche nello stato di sogno quegli oggetti percepiti servono allo scopo
del sognatore. I due dati, presi a sé, hanno una loro precisa finalità; è solo quando si guarda il sogno dallo stato di
veglia che si può dire di avere semplicemente sognato. Ma la condizione di sogno deve essere esaminata dalla visuale
del sognatore percipiente, non da quella del percipiente svegliato. Il sognatore ha, dunque, la sua propria nozione di
tempo, spazio, finalità e forma, come altresì lo svegliato ha la sua percezione di tempo, spazio, finalità e forma, e
queste due condizioni, per quanto identiche, si contraddicono essendo sottoposte alla legge della percezione (soggetto-
oggetto). 
 
62 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

quelle di sogno.
Risposta: LA vostra conclusione non è esatta perché pensate che gli oggetti percepiti durante il
sogno siano straordinari (quindi differenti da quelli dello stato di veglia).
Obiezione: Qual è allora la natura di questi oggetti?
Ecco la Risposta:

8. Gli oggetti (percepiti dal sognatore), che di certo s'incontrano raramente (nello stato di
veglia), debbono la loro esistenza alle condizioni (particolari) nelle quali il soggetto percipiente
esercita la sua attività mentale, come avviene per gli abitanti del cielo. Il sognatore fa
l'esperienza di tali oggetti come un individuo ben informato esperimenta gli oggetti di questo
mondo (di veglia).
Essi debbono reputarsi peculiari alle circostanze in cui si trova il soggetto percipiente (il
sognatore) associato allo stato particolare di sogno.
Yatha svarganivasinam: come gli abitanti del cielo, quali Indra ed altri, hanno la caratteristica di
essere dotati d'innumerevoli occhi, ecc. (caratteristica inerente alla loro esistenza nel cielo), così
colui che sogna assume delle caratteristiche grottesche (che provengono dalla condizione
particolare dello stato di sogno).
Queste esperienze (di sogno) non sono assolutamente reali, mentre il soggetto che percepisce è
reale.
Il sognatore che vive la condizione del suo stato percepisce tutti quegli oggetti onirici insoliti o
anormali, ma tali oggetti non sono che semplici immagini della sua mente. Avviene ugualmente
per quel viaggiatore il quale, durante lo stato di veglia, essendo ben informato riguardo alla via da
seguire per raggiungere un paese straniero, percepisce degli oggetti che sono peculiari a tale
paese. Di conseguenza, la percezione del serpente al posto della corda, il miraggio nel deserto,
ecc., percezioni dovute alle condizioni del soggetto che percepisce, sono altrettanto non reali
quanto gli oggetti percepiti nel sogno. Quindi, l'analogia col sogno è giusta58.

                                                             
58
Ogni oggetto-evento è peculiare alla condizione spazio-temporale o al particolare sistema di coordinate che si sta
sperimentando. Se i dati che si sperimentano nello stato di sogno non sono reali-assoluti, lo è, invece, il Testimone il
quale è consapevole del cambiamento e, quindi, dell'apparire e scomparire di questi dati. Ciò può essere applicato
anche alo stato di veglia. Non si può non constatare, come fatto indiscutibile, che le cose del mondo fenomenico
cambiano incessantemente.
Non c'è altra realtà che «quanti di luce» separati e istantanei. Il flusso universale, di cui si ha esperienza nell'universo
fenomenico, non è niente di più che una sequenza di cose-eventi momentanei, sfuggenti; una forma (quella che si dice
materiale) è un apparire-scomparire, non fa in tempo a concretizzarsi che già sparisce nell'informale. L'esistenza ha in
sé l'annientamento, essa è una moneta a due facce: da una parte c'è la vita, dall'altra la morte; ma vita-morte, nascita-
annientamento, come si vedrà più in là sono "movimento apparente", sono maya. Anche nel sogno si ha una serie di
cose-eventi che sono rappresentate dal movimento, ma questo, come si può riconoscere facilmente, è apparente, non
reale. L'unico dato reale è la Coscienza testimone immutabile che percepisce le indefinite espressioni di vita.
 
 
63 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

9. Nello stato di sogno, ciò che viene percepito dalla mente come soggettivo è non-reale, e ciò
che è percepito come oggettivo è ritenuto reale. Però, entrambi gli oggetti-eventi percepiti sono
non-reali.
Confutata la tesi (dell'avversario) secondo la quale non vi è somiglianza tra gli oggetti dello stato
di veglia e quelli insoliti dello stato di sogno, ora le kårikå procedono a dimostrare la similarità
(non reale) degli oggetti dei due stati di veglia e sogno.
Nello stato di sogno qualsiasi cosa sperimentata dalla coscienza all'interno della mente è asat (non
reale) perché cessa di essere percepita non appena l'immaginazione finisce; nello stesso sogno,
poi, oggetti, quali una brocca, ecc., appresi dalla mente e percepiti dagli organi sensori, come ad
esempio gli occhi, ecc., sono considerati sat (reali) in quanto situati all'esterno (della mente).
Benché tutte le esperienze di sogno (viste dallo stato di veglia) si dimostrino non reali, esse
nondimeno si presentano (le une) come reali, (le altre) come non reali. Tuttavia i due tipi di dati -
siano essi percepiti all'interno o all'esterno del coscienza - sono non reali59.

10. Nello stato di veglia, ciò che è immaginato come soggettivo dalla mente è non-reale, e ciò
che viene sperimentato come oggettivo è reale. Però, entrambi gli oggetti-eventi percepiti sono
non-reali.
Allo stesso modo nell'esperienza di veglia gli oggetti percepiti dalla coscienza all'interno della
mente sono ritenuti immaginari, mentre quelli percepiti all'esterno della mente sono ritenuti reali;
ma gli oggetti, siano interni o esterni, non sono altro che modificazioni della mente60. Le altre parti
della kårikå sono già state spiegate.

11. Se tutti gli oggetti percepiti nei due stati (veglia e sogno) sono non reali, chi, dunque,
conosce questi oggetti? Chi è il loro creatore?

L'avversario sostiene questo ragionamento, se gli oggetti conosciuti nei due stati di veglia e di
sogno sono non reali (asat), chi è, dunque, il conoscitore di questi oggetti che si trovano gli uni
all'interno (soggettivi)? e gli altri all'esterno (oggettivi)? Chi è l'autore che immagina? In altri
termini, qual'è il supporto della memoria e della conoscenza?
Se voi rispondete che non esiste tale supporto, allora bisogna concludere che l'entità, quale può
                                                             
59 Si veda la nota 51. 
60
Nello stato di veglia si hanno dati soggettivi e oggettivi, quelli soggettivi non vengono considerati reali perché
appunto peculiari allo stato d'animo del solo percipiente (dati particolari), mentre quelli oggettivi vengono considerati
reali perché percepiti da tutti (dati generali). In fondo, ciò si verifica anche nella condizione di sogno: una moltitudine
di persone vede la stessa montagna o lo stesso elefante, ecc. La differenza, comunque, è questa: nello stato di sogno il
soggetto-oggetto viene proiettato dal jiva individuale, mentre nello stato di veglia il soggetto-oggetto viene proiettato
dal Jiva Principale (Isvara, coscienza o mente universale); ma quando il jiva individuale si risolve nel Jiva universale
comprende che il soggetto-oggetto universale è ugualmente interno alla sua coscienza, quindi, non distinto dalla
mente universale.
Le idee di soggetto-oggetto, di dentro-fuori, di sopra-sotto, di veglia-sogno-sonno profondo, ecc. sono modificazioni
del pensiero empirico; esse non sono altro che concetti distintivi utili alla comprensione per la mente individuata. 
 
64 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

essere l'atman o il Sé, non esiste.


(La risposta è):

12. L'atman autorisplendente, con il potere della sua propria maya, appare oggetto. Il Sé solo è
il supporto della conoscenza degli oggetti; tal è la conclusione del Vedanta.
Devah atma: è l'atman autorisplendente che svamayaya: con il potere della sua maya determina
l'apparizione dei diversi oggetti di cui si parlerà in seguito. Ciò avviene come quando si proietta
l'immagine del serpente sulla corda, ecc. Non vi è null'altro(che il Sé) come supporto della
conoscenza e della memoria. La chiara conclusione del Vedanta è di dimostrare che la conoscenza
e la memoria hanno un supporto, contrariamente a quanto sostengono i nichilisti61.
Il Sé come produce le sue proiezioni? Ecco come il fenomeno è descritto:

13. Quando la mente, sorretta dal Signore (atman), si dirige verso l'esterno, immagina la
molteplicità degli oggetti (quale il suono, ecc.) i quali si trovano già dentro di essa (sotto forma
di vasana o samkalpa). Quando si dirige verso l'interno immagina in se stessa diverse idee (in
quanto oggetti interni).
La parola vikaroti significa: immaginare o far apparire differenti forme. La mente, diretta dal
prabhuh: Signore, dirigendosi verso l'esterno immagina, sotto molteplici forme, numerosi oggetti
percepiti nel mondo (esterno-grossolano). quali i suoni, ecc. e altri ancora; gli uni (relativamente)
permanenti (come la terra, ecc.) e gli altri impermanenti, i quali durano fin quando perdura
l'immaginazione creatrice.
Questi oggetti hanno la natura di idee sottili (vasana) e non sono ancora pienamente manifestati.
Parimenti la mente diretta dal signore, dirigendosi verso l'interno, immagina idee molteplici che
sono soggettive.

                                                             
61  I
nichilisti affermano che tutto si riduce al nulla, sia il soggetto, sia l'oggetto, sia il sostrato dei due. Ora, simile
affermazione è confutata dal Vedanta, il quale sostiene che tutto si può negare tranne il Testimone ultimo che sta
negando; tutto si può mettere in dubbio tranne il Soggetto ultimo che sta dubitando, tutto si può vedere apparire e
scomparire tranne il Testimone cosciente ditale altalena samsarica. 
 
65 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

La parola prabhuh nel testo designa il signore, Isvara, cioè il Sé62.


Un dubbio potrebbe aversi quando si afferma che, come nel sogno, ogni cosa non è altro che
modificazione di pensiero e ciò perché, a differenza delle creazioni soggettive, come il desiderio,
ecc., che sono circoscritte dalla mente, gli oggetti esterni si determinano l'un l'altro(da due punti
successivi della durata).
Questo dubbio non ha alcun fondamento, perché:

14. Gli oggetti che sono percepiti come interni durante il tempo in cui perdura il pensiero e gli
altri percepiti dai sensi all'esterno e che si riferiscono a due punti della durata, non sono che
delle modificazioni mentali; non ci è altro fattore che permetta di differenziarli.
L'affermazione precedente: «Cittakalah hi ye antah tu: gli oggetti che sono percepiti come interni
durante il tempo in cui perdura il pensiero», si applica ai pensieri(soggettivi) che sono determinati
dalla mente; questi pensieri-oggetti hanno una durata corrispondente alla loro stessa ideazione. In
altri termini, tali pensieri-oggetti sono percepiti nell'istante stesso in cui sono pensati.
L'altra affermazione: «Gli altri... e che dvayakalah si riferiscono a due punti della durata», si
applica agli oggetti esterni conosciuti in relazione ad altri oggetti che si trovano in un altro punto
del tempo e che, a loro volta, conoscono i primi.
Si dice, così, che tali oggetti si determinano o si condizionano reciprocamente. Per esempio si dice
che: «Quel tale uomo è presente mentre la tale mucca viene munta». Ciò significa che la mucca
viene munta mentre l'uomo è presente e che l'uomo è presente mentre la mucca viene munta.
Un altro esempio è questo: «Quello (che è assente) è come questo (che è presente) e questo è
come quello». Così, gli oggetti percepiti come esterni sono correlati, per cui sono conosciuti come
riferimenti a due punti della durata (del tempo). Ma i pensieri-oggetti percepiti come interni, la cui
durata è in relazione alla modificazione della mente, e quelli esterni, che si riferiscono a due punti

                                                             
62
L'atman, tramite la maya, appare jiva sperimentatore, il quale immagina la differenziazione. si ha così:

• jiva = soggetto Atman: maya

• universo = oggetto
Il jiva non è altro, dunque, che un momento-riflesso fenomenico mayahico, è l'agente sperimentatore, il soggetto
dell'esperienza; è un raggio di luce che prende diverse colorazioni a seconda della sua direzione immaginativa. altresì,
il jiva di sogno non è+ che un movimento della mente, la quale è la sola ad essere reale-assoluta (in relazione a quel
jiva), perché il jiva sognante (soggetto) e l'universo di sogno (oggetto) appaiono e scompaiono. anche qui si può
avere:

• jiva di sogno = soggetto Essere: sonno-maya

• Universo di sogno = oggetto


ma il soggetto e l'oggetto sono in movimento apparente, immagini, come quelle del cinema proiettate su una tela. Il
disconoscimento del soggetto-jiva, quale riflesso dell'atman, avviene sempre per opera della maya; il jiva, così, pensa
di essere quello che in effetti non è, immaginando reale anche l'oggetto che ha di fronte. Per il Vedanta l'io e il non-io
sono entrambi non reali, sono dati inventati dalla mente sognante che non comprende il suo stesso moto. Con questa
prospettiva esso non è solipsista. C'è da considerare che queste spiegazioni sono date dal punto di vista empirico. Dal
punto di vista dell'atman non esiste alcun jiva. 
 
66 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

successivi della durata, sono ugualmente delle semplici modificazioni mentali. Infatti la
caratteristica inerente agli oggetti esterni di riferirsi a due punti del tempo, costituisce un'altra
rappresentazione mentale. Anche quest'ultimo caso può aversi nella condizione di sogno63.
15. (Tanto) gli oggetti che esistono all'interno della mente (in quanto soggettivi) e che vengono
designati come non visibili oggettivamente, quanto quelli che esistono all'esterno visibili
oggettivamente non sono altro che semplici rappresentazioni mentali; l'unica differenza proviene
dai differenti organi sensori.
Il fatto che i pensieri -oggetti interni non siano visibili oggettivamente e gli altri siano percepiti
tramite un organo sensoriale, gli occhi ad esempio, ecc., e considerati oggetti grossolani non è
dovuto alla differente realtà della natura degli oggetti perché anche nella condizione di sogno si fa
una situazione simile.
Qual è allora la causa di una tale distinzione? La distinzione è dovuta semplicemente all'uso degli
organi sensori (tramite cui questi oggetti vengono percepiti), quindi si conclude che gli oggetti
percepiti nello stato di veglia, come quelli percepiti nel sogno, sono delle rappresentazioni
mentali64.

16. Sono immaginati dapprima il jiva e, in seguito, i differenti oggetti interni ed esterni. Dalle
impressioni suscitate dalla memoria, (il jiva) ottiene la corrispondente conoscenza.
Qual è la fonte delle proiezioni dei diversi enti soggettivi o oggettivi caratterizzati dalla causa e
dall'effetto? Ecco la spiegazione: il jiva è della stessa natura della causa e dell'effetto; inoltre, esso
è condizionato da nozioni quali: «Io agisco e mie sono le conseguenze di felicità e infelicità».
Come s'immagina un serpente al posto della corda, così il jiva sovrappone la sua immagine
all'atman, il quale è al di là di ogni causa-effetto. In seguito, come effetto della conoscenza (del
jiva), vengono immaginate differenti cose oggettive e sottili, per esempio prana, ecc., le quali
costituiscono i fattori di agente, strumento (azione) e risultato (dell'azione). Qual è la causa di
questa immaginazione-proiezione? Ecco la spiegazione: il jiva, che è un riflesso immaginativo con
la possibilità di determinare altre immagini, possiede una memoria conoscitiva che risponde alle
                                                             
63
Gli oggetti di sogno, che sono pensieri formali, esistono fino a quando la mente è in funzione, mentre gli oggetti
esterni esistono anche se la mente cessa di pensare-immaginare. Ci si può anche esprimere in questo modo: la durata
temporale degli oggetti interni è relativa solo alla proiezione immaginativa del soggetto mentre quelli esterni hanno
una durata maggiore della percezione individuale. In altri termini, si vuole affermare la realtà o meno di un dato
prendendo in considerazione la semplice temporalità. Ma per l'advaita-asparsa il tempo è esso stesso maya. è relativo
alla condizione coscienziale dell'ente percettivo.
Nel campo delle coordinate del sogno un attimo è visto, sotto la prospettiva di veglia, come un lungo periodo di
tempo; molti avvenimenti che, nella condizione di veglia, richiederebbero per la loro realizzazione un tempo
abbastanza lungo, si svolgono, invece, in modo subitaneo nello stato di sogno. si può dire che il tempo del jiva
notturno individuale è rapportato al suo particolare stato coscienziale e al suo sistema di coordinate, mentre il tempo
del Jiva universale (Isvara) è rapportato al suo stato coscienziale.
Da ciò ne consegue che il sogno microcosmico e quello macrocosmico sono soggetti al tempo, il quale è maya. Una
stella appare, cresce e scompare, come appare, cresce scompare ogni ideazione formale del jiva individuale. Se poi il
sogno-oggetto individuale dura per il tempo x e quello universale per il tempo z ciò ha poca importanza. 
64  Il mondo individuale non è altro che l'irradiazione del mentale jivaico, così l'universo intero non è altro che

l'irradiazione del mentale universale ishavarico; la loro natura è identica perché identica è la loro matrice, considerato
che la mente individuale non è altro che una parte di quella universale. 
 
67 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

sue impressioni mentali; in altri termini, alla conoscenza di questo jiva fa seguito un ricordo
corrispondente a tale conoscenza; così dalla percezione di qualche immagine come causa ne
risulta l'effetto, poi sorge il ricordo della causa e dell'effetto, da questa (consapevolezza di
relazione causale) consegue la memoria della causa e dell'effetto e da ciò segue la loro percezione
come pure la consapevolezza dell'azione dell'agente e dell'effetto.
Tale consapevolezza è seguita ancora da un ricordo corrispondente, seguito nuovamente da
appropriati stati di coscienza. In questo modo il jiva immagina le molteplici cose soggettive e
oggettive rappresentanti a turno le cause e gli effetti65.
Nella kårikå precedente è stato detto che l'immaginazione del jiva (rappresentazione ideale del
jiva) è la fonte di tutte le altre immaginazioni (rappresentazioni mentali). qual è la causa di questa
idea del jiva? Ecco la spiegazione:

17. Come la corda, la cui natura non è stata ben accertata, è immaginata nella penombra come
serpente, un filo d'acqua, ecc., così l'atman viene immaginato (in vari modi).
Noi constatiamo, per esempio, che nella penombra una corda viene erroneamente immaginata
come serpente, un filo d'acqua, un bastone, ecc., perché la sua vera natura non è stata determinata,
altrimenti l'immagine del serpente, ecc., non avrebbe potuto formarsi come nel caso delle dita
della nostra mano (che non scambiamo mai per un latro oggetto); similmente, l'atman viene
immaginato sotto molteplici forme, come jiva, prana, e così via, proprio perché non è stato
conosciuto nella sua vera essenza che è pura coscienza, esistenza e non dualità, al di là di ogni
relazione causale la quel è, invece, caratteristica del mondo fenomenico.
Questa è la conclusione di tutte le Upani@ad66.

                                                             
65
Come avviene il processo di irradiazione? L'atman, quale polo immutabile, irradia un "raggio di luce" e
l'immagine-jiva prende consapevolezza di sé (consapevolezza che le deriva dalla coscienza pura dell'atma)e, a sua
volta, immagina differenti aspetti formali. E' la condizione di Narciso che si specchia nell'acqua, in questo caso, funge
da maya. Così, tramite maya, il soggetto appare oggetto. La direzione del jiva è varia potendosi esplicare, nell'ambito
della sua natura, in indefinite modalità operative.
Come avviene la sua attivazione lungo un certo stato esistenziale? Una vasana (tendenza subconscia) entra nel campo
della coscienza impulsando il jiva a prendere particolari direzioni di comportamento. Se le vasana vengono risolte, il
jiva vive del suo intrinseco volere esprimendosi, quindi, liberamente, come prima si accennava, in molteplici
possibilità. La sua apparente schiavitù è determinata dall'identificazione e assimilazione costante ai suoi contenuti
proiettivi fino a cristallizzarli. Così, egli può essere reso prigioniero dalla potenza delle sue stesse ideazioni. Ci
spiegheremo meglio: l'immagine animata (jiva), essendo un particolare movimento, può dirigersi verso indefinite
possibilità.
Che cosa l'imprigiona in un particolare stato? Quando esperimenta un moto di coscienza ha delle esperienze che
cristallizza nella sua spazialità vivente: così, lentamente, essa è sempre più condizionata dalla sua memoria, e ogni
cosa che vede la interpreta in funzione di questa sua memoria; pertanto, pur potendo vivere innumerevoli espressioni
di coscienza, spesso si immobilizza lungo una certa definita espressione, rendendola assoluta. Ciò implica, anche, che
accetta come reale un riflesso. Quando comprende il suo particolare moto, si sveglia e con questo atto svanisce esa
stessa, come soggetto sperimentatore, e svanisce anche l'oggetto. In riferimento a ciò si veda di Raphael: La Filosofia
dell'Essere, ultimo capitolo. (Edizioni Asram Vidya, Roma 1983). 
66  Quando il jiva, quale semplice riflesso dell'atman, si identifica con i vari contenuti oggettivati, considera questi

come realtà assoluta; da qui l'errore fondamentale. Tutte le sue proiezioni non sono altro che divenire e processo;
 
68 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

18. Quando si è accertata la vera natura della corda, tutte le immaginazioni sovrapposte (alla
corda) svaniscono e rimane solo e nient'altro che la corda. Ciò avviene anche per l'atman.
Quando si perviene alla consapevolezza che non esiste nient'altro che la corda, tutte le
immaginazioni ad essa sovrapposte svaniscono e si riconosce effettivamente che esiste solo la
corda senza secondo. ciò è rilevato anche dalla sruti che, simile alla luce solare, illumina con
queste frasi: «Non questo, non questo... » (Brhadaranyaka up.: IV, IV, 22). Essa definisce il sé
come privo di tutti gli attributi fenomenici e porta alla conoscenza della vera natura dell'atman:
«Tutto questo è soltanto l'atman» (Chandogya up.: VII, XXV, 2); «Quello è senza causa e senza
effetto, senza interiorità e senza esteriorità»(Brhadaranyaka up.: II, V, 19); «Esso è esteriore,
interiore, senza principio» (Mundaka up.: II, II, 2); «Quello è incorruttibile, indistruttibile, senza
morte, senza paura» (Brhadaranyaka up.: IV, IV, 25); «Uno e senza secondo»(Chandogya up.: IV,
II, 1)67.
Se con la verità accertata si riconosce che l'atman è soltanto uno, come lo si può immaginare sotto
forma di innumerevoli oggetti, per esempio prana, ecc., aventi le caratteristiche dell'esperienza
fenomenica relativa? Ecco la spiegazione:

19. L'atman è immaginato come prana e altre indefinite cose. Ciò è dovuto alla maya del
risplendente (atman) tramite cui esso si svela.
Maya tasya devasya: il fatto è dovuto alla maya inerente al risplendente atman.
Come, per mezzo del fenomeno illusorio (maya) suscitato dal mago, il cielo limpido sembra
trasformato in alberi fioriti, così questo luminoso atman sembra, in qualche modo, trasformato
dalla sua stessa maya. »La mia maya non può essere superata facilmente» (Bhagavad-Gita: VII,
14)68.

20. Coloro che conoscono il prana, chiamano prana la realtà-atman 69 ; coloro che conoscono i

                                                                                                                                                                                                          

scambia, quindi, la realtà fenomenica proiettiva con l'atman. Sotto questa prospettiva egli immagina l'assoluto atman
in vari modi proprio perché la verità fenomenica è molteplice. 
67
Quando il jiva si sveglia dalla sua condizione di immedesimazione con le sue stesse ideazioni, scopre che vi è solo
una realtà: il sole centrale eternamente immutabile, di cui egli non è che un semplice riflesso, un'immagine proiettata.
Un'analogia può essere fatta on la condizione di sogno ove, appunto, il jiva notturno non è altro che una proiezione o
irradiazione della mente. Questo jiva pensa di agire, di creare rapporti, di vivere e morire, e non comprende di essere
soltanto un riflesso o raggio mentale dell'ente dormiente, il solo che abbia una realtà assoluta.
Il jiva ha tre modalità di essere: l'una quella di immaginare e, conseguentemente, di identificarsi con l'immagine;
l'altra è quella di immaginare, ma senza identificarsi e cristallizzare (è la condizione ottimale nel mondo della maya);
la terza è quella di svegliarsi completamente e risolversi. 
68  Che cos'è che determina l'identificazione del jiva notturno con i vari oggetti percettivi che mutano continuamente?

E' la maya-avidya, e, nel caso specifico, il sonno. Il sonno vela, appunto, il dormiente, per cui la sua proiezione
assume carattere di realtà. Il jiva, così, considera reale ora un dato ora un altro, a seconda della sua proiezione
coscienziale. 
69 Prana è qui assimilato a prajna, quale causa prima. E' il punto di vista degli adoratori di Hiranyagarbha e anche dei

Vaisesika. 
 
69 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

bhuta, chiamato realtà i bhuta 70 ; coloro che conoscono i guna, chiamano realtà i guna 71 ; coloro
che conoscono i tattva, chiamano realtà i tattva72.
21. I conoscitori dei quarti (pada) chiamano realtà-atman i quarti 73 e quelli che conoscono gli
oggetti dei sensi considerano i sensi-oggetti la realtà 74; i conoscitori dei loka considerano realtà
i loka75 e gli adoratori dei deva considerano realtà solo i deva76.
22. Coloro che conoscono i Veda chiamano realtà i Veda 77 ; mentre i sacrificatori chiamano
realtà i sacrifici (yajna) 78 ; coloro che hanno la sola comprensione del soggetto che gode 79
oppure dell'oggetto di godimento 80 considerano realtà rispettivamente colui che gode o l'oggetto
di godimento.
23. I conoscitori della sfera sottile designano la realtà come sottile; i conoscitori della sfera
grossolana chiamano la realtà grossolana; coloro che adorano una Persona, sotto qualunque
forma, considerano realtà la Persona, e coloro che non credono ad alcuna forma chiamano
realtà la vacuità81.
24. I conoscitori del tempo chiamano realtà il tempo 82 ; i conoscitori delle direzioni chiamano
                                                             
70  E'la categoria dei materialisti, come i Carvaka, per esempio, che credono solo nei butha. I butha sono gli elementi
sottili (aria, fuoco, acqua e terra) che compongono le indefinite forme. 
71 Sono i seguaci del Samkhya i quali sostengono che la manifestazione ha origine dallo squilibrio dei tre guna: sattva,

rajas e tamas. 
72  Sono gli adoratori shivaiti. Gli Saiva enumerano tre categorie di tattva: il Sé, l'avidya e Âiva come causa

dell'universo. 
73
Cioè: visva, taijasa e prajna. Ma queste categorie non sono altro che il serpente sovrapposto alla corda. L'atman è
indivisibile, incondizionato e inqualificato, quindi non può essere diviso in parti. Se in questo trattato Gauƒapåda
parla di quarti è perché si rivolge a coloro che si trovano ancora sotto l'impressione dell'avidya.
D'altra parte. la conclusione di questo grande Maestro è che esiste, dal punto di vista dell'assolutezza, solo l'atman
senza secondo. 
74 Sono gli oggettivisti ed empiristi, anche i seguaci di Vatsyayana ed altri, che considerano gli oggetti dei sensi come

realtà. Ma questi oggetti, essendo produzione, fenomeno e cambiamento, non possono considerarsi la verità ultima. 
75  Fa allusione ai Pauranika che si appoggiano alla mitologia. Essi considerano i tre mondi (loka): celeste, intermedio

e terrestre (bhuh, bhuvah, svah) come la realtà totale, ma questi mondi, essendo perituri, non possono essere l'assoluto
Brahman-atman. 
76  Sono i Karma-miamsaka o quelli che si appoggiano esclusivamente alla liturgia Vedica. Essi considerano i diversi

Dei: Indra, Agni, ecc., come i creatori dell'universo e i foggiatori del destino umano; quindi, con riti, si rivolgono alla
Divinità per trarne benefici. Ma questi Dei, come altre cose del mondo celeste e terrestre, sono essi stessi produzione e
ideazione del mentale universale, perciò non possono essere l'ultima verità. 
77 Sono i quattro Veda: Rg, Yajur, Sama e Atharva. 
78 Sono coloro, come Budhayana e altri, che pongono l'accento esclusivamente sul sacrificio. 
79  Si riferisce al Samkhya. Secondo questo darsana il Purusa eterno e non agente stimola, per induzione, la Prakrti a

creare condizioni tali da trarne godimento; ma come può questo Purusa essere l'atman inqualificato se è costretto a
trarre godimento da oggetti finiti? 
80  Sono coloro che pensano chela realtà sia un qualunque dato oggettivo. Possono considerarsi oggettivisti assoluti

(l'oggettivismo assoluto è all'opposto del soggettivismo dei Vijnanavadin). 


81 C'è chi crede che l'atman sia qualcosa di sottile (Hiranyagarbha) o di grossolano (Virat), oppure che sia una persona

(Âiva, Visnu, ecc.); e chi non crede in niente lo designa col nome di vacuità o di nulla. 
82  Il tempo è divenire, processo, e molti adorano il Dio che "diviene", che cambia. Questa dottrina è insegnata anche

dagli evoluzionisti che danno all'Assoluto l'attributo della temporalità; per loro lo stesso uomo è in continuo
progresso, in perenne mutamento e sviluppo senza mai raggiungere un fine. Il tempo e il divenire sono portati ad
assolutezza, ma ciò è contro la stessa ragione empirica; il movimento temporale presuppone il senza-tempo, il polo
immobile, il punto al centro; in altri termini, il tempo è una verità di relazione e un semplice oggetto di percezione.
Gli adoratori del tempo sono anche gli astrologi. 
 
70 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

realtà le direzioni 83 ; i conoscitori della discussione chiamano realtà la discussione 84 e i


conoscitori dei mondi chiamano realtà i mondi85.
25. I conoscitori del manas(mente) chiamano realtà il manas; quelli che conoscono la buddhi
chiamano realtà la buddhi; i conoscitori di citta chiamano realtà citta 86 e coloro che conoscono
il dharma e l'adharma chiamano realtà il dharma o l'adharma87.
26. Alcuni affermano che la realtà è costituita da venticinque categorie, altri da ventisei, altri
ancora da trentuno e, infine, altri pensano che esse siano innumerevoli88.
27. Coloro che conoscono le relazioni umane chiamano realtà il godimento che deriva da tali
relazioni89; coloro che conoscono gli asrama, la chiamano asrama90; i grammatici la chiamano il
maschile, il neutro e il femminile, e altri la conoscono come para(supremo) e come apara (non
supremo)91.
28. I conoscitori della creazione considerano realtà la creazione; i conoscitori del dissolvimento
(laya) descrivono la realtà come dissolvimento e coloro che credono alla conservazione la
chiamano conservazione 92 . Tutte queste idee non sono altro che immagini proiettate (dal
jivatman)93.
Prana significa prajna (il jiva associato al sonno profondo) o bijatman (il Sé seme o causale).
Tutte le entità che trovano la loro sussistenza o conservazione vitale non sono che diversi effetti
del prana; queste idee ed altre dello stesso genere, che sono familiari alle persne comuni e che
ciascuna di esse immagina per suo proprio conto, assomigliano all'immagine del serpente, ecc.,
sovrapposto alla corda. a causa dell'ignoranza tali idee sono immagine nell'atman, il quale è al di
là di ogni immaginazione; esse, che non hanno fondamento, sono l'effetto dell'errata comprensione
della reale natura dell'atman. Questo è, in sintesi, il concetto dei presenti versetti; non tenterà,
                                                             
83 Alcuni sostengono che a realtà è costituita dalle direzioni (disa) o dalle varie regioni o spazi. 
84  Gliadoratori delle discussioni, dottrine o teorie (coloro che credono ai mantra (mantravada), ai metalli come causa
di salute, all'occultismo, alla magia, alle voci profetiche, ecc.) considerano realtà queste teorie. 
85 Vi sono delle dottrine le quali sostengono che l'atman è diviso in sette sfere: tre superiori, tre inferiori e la terra che

sta nel mezzo. Altre lo dividono in quattordici sfere, ecc. Queste sfere corrispondono a gradi di coscienza. 
86
C'è che pensa che la realtà sia la mente sensoriale; chi, l'intelligenza pura o l'intelletto superiore (alcuni seguaci del
Buddhismo); chi, invece, pensa che debba essere citta, funzione soggettiva dell'organo interno (antahkarana) con cui
sono ideate le forme oggettive.
Ne sono rappresentati gli Yogacarana e i Vijnanavadin. 
87 Si
riferisce ai Mimamsaka che considerano realtà il dharma e l'adharma. 
88
Secondo il Samkhya esistono venticinque tattva o categorie: Purusa, Prakrti, Mahat, ahamkara, manas, i cinque
tanmatra, i cinque sensi di percezione, i cinque organi di azione (jnanendriya e karmendriya), i cinque mahabhuta.
Secondo lo Yoga di Patanjali le categorie sono ventisei, le venticinque del Samkhya più il principio del Dio Isvara. I
Pasupata aggiungono alle venticinque categorie del Samkhya altre sei, e cioè: raga, avidya, kala, kala, maya e niyati.
 
89  Si riferisce a quelle persone come i Lakavida o Laukika che considerano il piacere delle relazioni come la sola
realtà. 
90 Si riferisce a coloro che considerano la realtà come gi stati di vita religiosa. 
91  Para (supremo) e apara (non supremo). Alcuni pensano che l'atman sia diviso in due parti, ma un'entità soggetta a

divisione non può essere l'ultima verità. 


92  I Pauranika sostengono, appoggiandosi ai Purana che la realtà ha una nascita, una crescita-conservazione e una

dissoluzione. 
93  Tutte queste concezioni hanno in comune una cosa: sono rappresentazioni mentali proiettate sulla realtà sempre

identica a se stessa. Costituiscono quel serpente, ghirlanda, bastone, filo d'acqua, ecc. sovrapposti alla corda. 
 
71 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

dunque, di spiegare in particolare ogni parola delle kårikå che iniziano con prana (kårikå 20-29)
perché i significati dei termini sono chiari e ogni ulteriore spiegazione sarebbe superflua.

29. Un individuo non segue altro che l'oggetto di conoscenza presentatogli. Così, la forte
aspirazione ad esso crea l'identità.
In breve, qualunque sia l'idea o l'interpretazione di cose quali: prana, ecc., presentate in quanto
realtà dal guru o da qualsiasi latra persona degna di fiducia, il discepolo vede tale oggetto-idea
come la sola essenza (Brahman), oppure comprende che lui stesso è Quello e che Quello è il suo
proprio Sé.
Qualsiasi idea relativa all'atman che venga rivelata al discepolo, gli appare come l'unica essenza e
lo protegge, o, in altri termini, lo salvaguardia da tutte le altre idee. Questo assorbimento
(nell'essenza) lo avvicina fino a pervenire all'identità.

30. Benché esso (atman) non sia differente da tutte queste cose, sembra comunque esserlo. Colui
che comprende veramente ciò, interpreta (i Veda) in modo corretto.
Per quanto l'atman non sia distinto da queste cose, come il prana, ecc., tuttavia l'ignorante lo
considera distinto; così le immagini di serpente, ecc., sono considerate (dall'ignorante) distinte
dalla corda.
Ma, per il conoscitore della Verità, il prana, ecc., non esiste indipendentemente dall'atman, come
non esiste indipendentemente dalla corda il serpente, ecc., immaginato erroneamente nella corda
stessa.
La sruti concorda quando afferma: «...tutto ciò che esiste è realmente l'atman»(Brhadaranyaka up.:
II, IV, 6). Colui che conosce veramente, tramite i testi vedici e il ragionamento, che prana o altro,
immaginato erroneamente nell'atman, non esiste indipendentemente dall'atman, come non esiste il
serpente indipendentemente dalla corda, e che considera l'atman per sempre puro ed esente da
queste rappresentazioni mentali, interpreta in modo corretto la sruti nei rispettivi contesti 94 e

                                                             
94
L'universo-fenomeno non è distinto dall'atman, come, in fondo, il mondo notturno del dormiente non è distinto
dalla mente del sognatore.
Il serpente immaginato al posto della corda non è altro che la stessa corda, vista sotto una certa prospettiva. Il non
saggio pensa che qualcosa - jiva, universo, ecc. - sia nata, sia venuta in esistenza, abbia una sua realtà intrinseca,
assoluta; sta qui l'errore. Nessuna cosa è nata, nel senso di venir fuori, uscir fuori, sì da possedere una sua autonoma e
assoluta realtà. In riferimento alla creazione del mondo si hanno queste teorie:
a) creazione ex nihilo
b) emanazione dallo stesso Ente-Dio (arambhava-vada)
c) evoluzione sorretta dalla causa-effetto (Samkhya).
La prima teoria appartiene soprattutto a certe religioni occidentali. La seconda sostiene che l'universo non è altro che
il dispiegamento della potenza della divinità: come il ragno dispiega la sua tela, così Dio dispiega il suo universo. La
terza sostiene che Prakrti, sostanza primigenia e polo negativo, sotto lo stimolo di Purusa, polo positivo, inizi il suo
atto creativo. 
 
72 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

comprende che un certo brano ha un significato diverso da un altro95.


Nessuno, ad eccezione del conoscitore dell'atman può comprendere il vero significato dei Veda:
«Nessun uomo, se non si è elevato alla conoscenza dell'atman, può trarre profitto dai suoi sforzi»
(Manu: IV, 82).

31. Come il sogno, la proiezione magica del mago e la città di Gandharva che si vede nel cielo
sono ritenuti non reali, così quest'intero universo è considerato non reale da coloro che sono
versati nel Vedanta.
La non realtà della dualità è dimostrata dal ragionamento e dalla testimonianza 96 del Vedanta per
cui si può affermare che il sogno e la proiezione magica del mago, per quanto non reali nella loro
vera natura, sono ritenuti reali dall'ignorante. Gandharvanagaram: come la città (immaginario) di
Gandharva nel cielo con i suoi negozi pieni di mercanzie, con le sue case, i suoi palazzi, i suoi
giardini e con uomini e donne affaccendati la si vede svanire all'improvviso, oppure come
l'universo del sogno o la proiezione immaginaria del mago, per quanto visibili all'occhio
sensoriale, sono, in fondo, non reali; così, la dualità dell'universo è non reale. Una simile
affermazione dove la si trova? Nelle Upani@ad dove è detto: «Qui non esiste più alcuna
pluralità...»; «...come Indra, tramite la sua maya, procede secondo forme infinite...»
(Brhadaranyaka up.: IV, IV, 19; II, V, 19); «All'inizio vi era soltanto l'atman, esso solo»; «In
verità all'inizio non esisteva altro che il Brahman, l'unico»; «Si ha paura di un secondo
ente»(Brhadaranyaka up.: I, IV, 17, 11, 2); «Ma non esiste in Esso un secondo, un oggetto diverso
da Esso e separato... »; «Ma quando tutto si è risolto nell'atman...» (Brhadaranyaka up.: IV, III, 23
- V, 15). In questi passi e in altri coloro che vedono l'essenza delle cose - cioè gli illuminati -
riconoscono la non realtà dell'universo. Questo punto di vista è sostenuto anche dalla smrti di
Vyasa laddove afferma: «Questo universo è visto (dal saggio) come non reale, come un solco
nella penombra al posto della corda o come una bolla d'acqua, priva di beatitudine, che è soggetta
a dissolversi».

32. La suprema verità è questa: non vi è né nascita né dissoluzione, né aspirante alla liberazione
né liberato, né alcuno che sia in schiavitù.
Questa kårikå riassume il significato dell'intero capitolo. Quando ci si accorge che la dualità è non
reale e l'atman è la sola Realtà suprema, allora si riconosce che tutte le azioni di ordine
convenzionale o prospettate tramite gli scritti (Scritture) appartengono al dominio dell'ignoranza;
così ci si accorge che (dal punto di vista della verità ultima) non vi è na nirodhah: né dissoluzione
- nirodha è equivalente a nirodhana: cessazione - né utpattih: nascita o origine, né baddhah: jiva,
vale a dire nessun'anima individuata, trasmigrante, né mumksuh: aspirante alla liberazione, né un
muktah: liberato.
                                                             
95 I Veda si possono considerare sotto un duplice aspetto: quello che si riferisce alla pura conoscenza (jnanakanda), la
quale comprende le Upani@ad, e quello che prospetta la realtà dal punto di vista causale, relativo o empirico (karma-
kanda). Il primo, che è di ordine metafisico, va per la via diretta del brahman-assoluto e incondizionato (paravidya); il
secondo, che opera tramite il ritualismo, va verso il mondo degli Dei (aparavidya). Il primo aspetto è rappresentato dal
Vedanta e il secondo dalla Pruva-Mimamsa. 
96  La dimostrazione conforme a ragione, la testimonianza diretta del Realizzato e l'aderenza alle Scritture tradizionali

sono i tre fattori che rendono valido un insegnamento. 


 
73 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Non essendoci nascita e dissoluzione, come possono esistere la schiavitù ed altre cose del genere?
Iti esa paramarthata: questa è la più alta verità.
Ma, com'è possibile sostenere l'assenza di creazione e dissoluzione? La risposta è questa: a causa
dell'assenza di dualità. L'assenza di dualità è indicata in certi brani della sruti quali: «Come un
unico oceano, il Veggente è privo di secondo...> (Brhadaranyaka up.: IV, III, 32); «Da una morte
passa ad un'altra colui che vede la molteplicità » (Brhadaranyaka up.: IV, IV, 19; Katha up.: II, IV,
10); «L'atman è tutto ciò che è»; «Null'altro vi è che l'Essere unico e senza secondo » (Chandogya
up.: VII, XXV, 2; VI, II, 1); «Questo Brahman, questo potere, questi mondi, questi Dei, queste
creature, tutti questi oggetti, tutto ciò che esiste è atman» (Brhadaranyaka up.: IV, V, 7).
Nascita e dissoluzione possono essere attribuite a ciò che è esistente e non a ciò che non esiste,
come ad esempio «le corna di una lepre».
Né può il Non-duale avere nascita e dissoluzione 97 . Sostenere che Quello sia senza secondo e
contemporaneamente soggetto alla nascita e alla morte, implicherebbe una contraddizione. E per
quel che riguarda l'esperienza empirica di prana, ecc., è già stato affermato che è una semplice
sovrapposizione all'atman, come il serpente immaginato al posto della corda. Una tale
rappresentazione mentale, cioè l'immaginare un serpente al posto della corda, non nasce dalla
corda nè può dissolversi nella corda98; essa non può né essere prodotta dal serpente immaginato né
dissolversi nella mente 99 , né ancora dissolversi contemporaneamente nella corda e nella mente 100 .
Similmente, la dualità non è altro che un'immagine mentale 101 ; infatti, essa non si percepisce più
quando l'attività mentale è dominata consciamente o quando è sospesa nel sonno profondo; di
conseguenza, è stato giustamente affermato che - in assenza della dualità - la più alta verità
consiste nella non esistenza della nascita, dissoluzione, ecc.
                                                             
97
Queste idee di nascita, crescita, morte, azione, ecc. implicano cambiamento e, se prese nella loro assolutezza,
implicano ancora modificazioni di natura, trasformazione dello stesso Essere. Ma l'Essere, nella sua assolutezza, non
può modificarsi o trovarsi ad un tratto diverso da ciò che è. La nascita presuppone una non esistenza anteriore e una
non esistenza posteriore; essa si determina tramite un apparire e uno scomparire. Dal punto di vista della Realtà
suprema non si può concepire l'Essere che appare e scompare; il divenire dell'Essere è impossibile poiché l'Essere in
quanto tale è. Ciò che appare e scompare sono le sue eventuali irradiazioni formali empiriche che per essere, appunto,
delle semplici immagini si accendono e si spengono. questo fenomeno di chiaro-scuro non può neanche dirsi che sia
nato, nel senso di uscir fuori dall'Essere, poiché l'Essere, che è totalità, non può contrapporsi ad altra totalità.
Tutto il relativo empirico è costituito dal mondo dei nomi e delle forme, cioè dalle determinazioni di accensione e
spegnimento, dal continuo-discontinuo, dal chiaro-scuro il cui sostrato è rappresentato dall'Essere eternamente libero
e sempre identico a se stesso. La maya fa apparire l'Essere come divenire e il divenire come Essere: ciò costituisce
quell'errore (avidya) metafisico che verte sulla natura dell'Essere. L'individuo empirico è una proiezioni formale che
appare e scompare, ma al di là di questo processo di chiaro-scuro esiste la realtà più profonda e autentica che è
l'Essere.
«Tu sei quello» è il matra più risolutivo e filosoficamente ineccepibile che l'advaita-asparsa ha potuto dare l'umanità
travagliata dal conflitto della dualità illusoria.
Gauƒapåda e Âaækara hanno svelato una meravigliosa metafisica dell'Essere il quale, nella sua profonda essenza, è
non-duale. 
98 Âaækara, con questa asserzione, confuta la tesi dei realisti. 
99 Viene confutata la tesi degli idealisti. 
100  Viene confutata la teoria secondo la quale la percezione è il risultato combinato dell'attività mentale e dell'oggetto

esterno. Sia la mente che l'oggetto sono riflessi e proiezioni che non hanno una realtà intrinseca e assoluta. 
101 La dualità è suscitata dalla mente individuata che, ponendosi dal suo particolare punto di vista, può solo conoscere

tramite la percezione del soggetto-oggetto. 


 
74 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Obiezione: Se il caso è tale, allora le Scritture dovrebbero avere il solo obiettivo di provare la non
esistenza della dualità e non quella di affermare l'esistenza del non-duale, dato che i due obiettivi
sono contraddittori 102 . E, considerando che il non-duale non può essere provato e che la dualità è
inesistente, si perverrebbe inevitabilmente al nichilismo.
Risposta: Quest'obiezione non si accorda con la ragione. Perché tornare su una questione già
risolta? Non abbiamo dimostrato che le immaginazioni, ad esempio quella del serpente nella
corda, ecc., non possono formarsi senza un sostrato?
Obiezione: L'analogia è irrilevante perché la corda, sostrato del serpente immaginario è essa stessa
un'immagine non esistente.
Risposta: Ciò non è esatto, perché anche quando l'immagine mentale sparisce, il sostrato, che non
è rappresentato, continua ad esistere proprio per la sua condizione non immaginata.
Obiezione: Si può ancora replicare che il sostrato non-duale è non reale come il serpente
immaginato al posto della corda.
Risposta: Ciò pure è inesatto, perché l'atman è sempre non immaginato. Come la corda, l'atman
non è l'oggetto della nostra immaginazione; la sua esistenza reale sussisteva anche prima che noi
riconoscessimo la non realtà del serpente. D'altronde, l'esistenza del soggetto che immagina
precede necessariamente l'immaginazione stessa e, di conseguenza, non sarebbe ragionevole
sostenere che un tale soggetto era non esistente.
Obiezione: Se le Scritture non possono farci comprendere la vera natura dell'atman (natura che
secondo voi è non-dualità), come possono affrancarci dalla nozione di dualità?103.
Risposta: Per mezzo dell'ignoranza la dualità è sovrapposta all'atman, come il serpente è
sovrapposto alla corda.
Obiezione: Come può avvenire ciò?
Risposta: Tutti i concetti come: «Io sono felice, infelice, ignorante, io sono nato o sono morto, io
sono sfinito, incarnato, io vedo degli oggetti, sono manifesto o immanifesto, sono colui che agisce
o colui che gode, sono condizionato o incondizionato, sono indebolito, invecchiato, quello è mio,
ecc.» sono sovrapposti all'atman, ma l'atman sottostà a tutti questi concetti, è invariabilmente
presente in essi, proprio come una corda sottostà a tutte le sue diverse apparenze: serpente, filo
d'acqua, ecc.
Quindi, la natura dell'atman non ha bisogno di essere dimostrata dalle Scritture poiché si dimostra
da sé. La funzione delle Scritture è di mettere in evidenza ciò che non è ancora conosciuto perché
se esse dovessero riaffermare qualcosa di già conosciuto, perderebbero la loro funzione104.
L'atman non è riconosciuto nella sua propria condizione naturale a causa degli annebbiamenti
quali: la nozione di felicità, ecc. sovrapposti dall'ignoranza. Poiché la realizzazione della vera
natura (dell'atman) è la metà più alta, le Scritture tendono a rimuovere dal Sé le nozioni di felicità,

                                                             
102 Dal momento che si impiegano gli stesi mezzi per affermare l'una e confutare l'altra. 
103  In altri termini, le Scritture si esprimono sul piano della dualità; ora, se la dualità è non reale devono essere
considerate non reali anche le Scritture. 
104  Il fine delle Scritture non è quello di dimostrare l'atman o la realtà ultima che, essendo non-duale, non ha bisogno

di dimostrazione, svelandosi da sé ma di far riconoscere l'errore di prospettiva del jiva che osserva le cose. 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

ecc., portando invece alla consapevolezza della natura non felice (senza attributi) dell'atman; così,
abbiamo le seguenti dichiarazioni: «Non questo, non questo»(Brhadaranyaka up.: IV, IV, 22);
«L'atman non è grossolano né sottile...» (Brhadaranyaka up.: III, VIII, 8); ecc. Mentre la nozione
di atman permane (in tutti gli stati di coscienza), la qualità «infelicità», ad esempio, non è presente
nella coscienza simultaneamente alla qualità «felicità», perché se fosse così, un'esperienza
particolare: «Quella di essere felice» non potrebbe in alcun caso essere sovrapposta all'atman,
come il freddo non potrebbe essere associato al fuoco, la cui caratteristica essenziale è il calore.
Attributi specifici, per esempio quello di essere felice, sono, dunque, immaginati nell'atman, il
quale, senza dubbio, è esente da qualsiasi attributo. L'insegnamento della sruti che parla
dell'assenza di felicità, ecc., nell'atman ha il semplice scopo di rimuovere le nozioni particolari di
felicità, ecc., dal Sé (privo di ogni attributo).
A sostegno di ciò vi è questo aforisma degli agama: «La validità della Scrittura è provata perché
questa nega qualsiasi attributo positivo nei riguardi dell'atman»105.

33. Questo (atman) viene immaginato sotto l'aspetto di molteplici oggetti non reali e nello stesso
tempo viene riconosciuto come non-duale. questi molteplici oggetti (bhava) vengono immaginati
nella stessa non-dualità, di conseguenza solo la non-dualità è favorevole(costituisce la
beatitudine).
Ecco come questa kårikå dev'essere compresa: come una corda viene immaginata serpente,
bastone, filo d'acqua, o oggetti simili - per quanto tutti questi oggetti non siano in alcun modo
distinti dalla corda, la quale sola persiste, dato che si parla di questa stesa corda sia nel caso del
serpente, filo d'acqua o altro - così questo atman viene immaginato sotto aspetti molteplici, prana
per esempio, ecc., tutti non reali, i quali vengono percepiti a causa dell'avidya e non dal punto di
vista della Realtà suprema. Se la mente non entra in attività (movimento), non si possono
percepire oggetti, però nessun movimento può essere attribuito all'atman. Di conseguenza, i
diversi oggetti che la mente percepisce come esistenti quando si trova in movimento, non possono
essere considerati come esistenti nella Realtà suprema. Dunque, è sempre questo atman (senza
secondo) che, nella usa perenne ed identica natura, viene immaginato come molteplici oggetti non
reali, quali prana, ecc., e inoltre tali oggetti vengono immaginati come esistenti nella sua natura di
non-dualità e assoluta Realtà. Esso è il sostrato di ogni cosa, come la corda rappresenta il sostrato
della rappresentazione mentale del serpente.
D'altra parte, quelle entità percepite, cioè prana, ecc., vengono immaginate nell'atman non-duale e
assoluta Realtà perché, d'altra parte, nessuna immagine può essere percepita senza sostrato. Poiché
la non-dualità è (dal punto di vista empirico) il sostrato di tutte le immagini formali ed è
eternamente non mutevole, così esa sola rappresenta la condizione favorevole persino nello stato

                                                             
105 Si è soliti dare al jiva gli attributi di positivo e negativo; ora, questa è una tesi contraddittoria. 
 
76 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

di immaginazione (cioè nell'esperienza empirica)106.


Le immaginazioni (o proiezioni formali distinte dal sostrato) sono causa di conflitto e generano
paura, come nel caso dell'immagine-serpente percepita al posto della corda. La non-dualità,
invece, è esente da paura; quindi, è portatrice di beatitudine107.

34. Questo mondo molteplice non esiste né in modo autonomo né in dipendenza di altro. Né le
cose fenomeniche esistono in quanto diverse o non diverse (l'una dall'altra o dal Sé). Tal è la
dichiarazione dei conoscitori della Verità.
Perché la non-dualità viene chiamata favorevole (beatitudine)? Lo stato sfavorevole (dolore) si ha
quando si percepisce la diversità, cioè quando vi è differenza tra una cosa e l'altra, ma quando
idam: questo, il molteplice mondo fenomenico consistente di prana, ecc., viene considerato dalla
prospettiva dell'atman supremo, allora la realtà non-duale e assoluta non è più multipla o
differente nell'essenza. Così un serpente-immagine (e quindi bastone-immagine, ghirlanda-
immagine, ecc., che costituiscono la molteplicità delle cose-apparenze) cessa di avere una
esistenza propria e separata quando, con l'aiuto di una lampada, si scopre che esiste solo la coda.
Inoltre, questo mondo non potrà mai esistere di assolutezza sotto l'aspetto di prana, ecc., perché
non è altro che una forma-immagine, come quel serpente sovrapposto alla corda; perciò, tutti
questi diversi oggetti: prana, ecc., non esistono in quanto entità distinte le une dalle altre come,
appunto, un bufalo può sembrare distinto da un cavallo. L'idea stessa di distinzione (dualità),
essendo irreale, porta a concludere che non vi è nessuno che possa esistere separato dall'altro o dal
Sé supremo.
I brahmana, i conoscitori del Brahman, realizzano la Realtà suprema in questo modo. Di
conseguenza, la kårikå vuole significare che solo la non-dualità, poiché libera dalla causa del
conflitto, è veramente favorevole (fonte di beatitudine)108.
                                                             
106
Occorre ricordare che questa disamina della non generazione viene condotta dal punto di vista - se così ci si può
esprimere, per il semplice fatto che in Turiya non ci sono punti di vista - dell'atman assoluto. Un'onda che emerge e si
propaga sulla superficie dell'oceano non è distinta né, quindi, è nata (uscir fuori) dall'oceano; essa non è altro che
l'oceano stesso, una sua irradiazione, una sua proiezione, e la profondità dell'oceano non minimamente toccata da quel
semplice "accidente", fenomeno periferico.

Il fenomeno ghiaccio non è "uscito" dalla realtà acqua, è sempre la realtà acqua che può apparire ghiaccio, vapore
acqueo, ecc. Ora, Brahman "appare" questo e quello, ma, in fondo, è sempre Brahman il quale né esce fuori di sé né
subisce cambiamento di natura-realtà. 
107
L'invenzione della nascita, della crescita e della morte, ha portato l'individuo a vivere sotto l'incubo della
precarietà, dell'incertezza e dell'effimero, in altri termini, della paura. L'uomo è pressato continuamente dalla paura di
perdere la salute, il denaro, il lavoro, le persone amate, i piaceri, ecc., dalla paura radicata nel dubbio, dalla paura
dell'annichilimento di se steso; dalla paura del futuro, della... vita, della solitudine; dalla paura della paura stessa.
d'altra parte, non può on essere così, perché la pura, l'ansia e l'incertezza nascono dalla natura stessa dell'individualità
fenomenica che è, appunto, relativa, peritura e quindi precaria. L'individuo cerca di affogare questa paura inconscia, e
spesso anche conscia, in mille compensazioni: politica, ricchezza, auto affermazione, erudizione, stordimento nelle
indefinite altre passioni compensatorie. Ma l'essere che si è ritrovato è in pace con se steso e non ha bisogno di
compensazioni, neppure di quelle che il profano reputa virtuose.
 
108
Quando si dice che il serpente non è altro che la corda, occorre saper interpretare quest'affermazione. Nelle
 
77 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

35. Questo atman non-duale, che è di là da ogni immaginazione ed è affrancato dalla


molteplicità fenomenica, viene pienamente realizzato dai Muni (saggi) che si sono liberati dal
desiderio, dalla paura, dalla collera, e sono versati nel significato dei Veda.
Questo Sé viene realizzato dalle persone costantemente contemplative (silenziose nei riguardi del
mondo fenomenico), da coloro che sanno discriminare e che trascendono l'attaccamento, la paura,
l'ira, ecc., da coloro che comprendono i segreti dei Veda, dalle anime illuminate e da coloro che
sono sempre dediti allo scopo dei Veda109.
Questo atman è nirvikalpah: privo di qualsivoglia attributo, prapancopasamah: (privo) di ogni
differenziazione fenomenica, perciò esso è advayah: senza un secondo.
Il Sé supremo non può essere realizzato che dai samnyasin (rinunciatari), liberi da difetti,
illuminati e che sono dediti alla verità delle Upani@ad, e non dai logici e altri i cui cuori sono
contaminati da attaccamento, ecc., e le cui filosofie sono offuscate dalle loro particolari
opinioni110.

36. Di conseguenza, conosciuto in tal modo l'atman e concentrato sulla non-dualità, il saggio si
comporta nel mondo come se fosse (in apparenza) di tardo intelletto.
Avendo conosciuto che la non-dualità è favorevole, libera la paura in virtù della sua peculiare
natura ed esente da ogni male, si dee fissare la mente advaite: sulla non-dualità utilizzando ciò che
si è appreso. Avendo assimilato questa non-dualità, avendo realizzato direttamente e
immediatamente l'atman - che è libero dalla fame, ecc., senza nascita e fuori di tutti i rapporti
convenzionali - avendo raggiunto la consapevolezza: «Sono il Brahman supremo», ci si deve
comportare, nel mondo, come un uomo di intelletto tardo, cioè senza mettersi in mostra
proclamandosi: io sono così e così (cioè, non lasciando dietro di sé alcuna traccia).

37. Il Rinunciatario (il Realizzato) si mantiene al di sopra di tutte le lodi, di tutti i saluti; è libero
dal rituale. Egli prende come sostegni il corpo (perituro) e l'atman (indistruttibile) e si affida alle
                                                                                                                                                                                                          

tenebre si vede una corda e la si prende per serpente; se si illumina l'oggetto si constata che il serpente, semplicemente
immaginato, è invece una corda. Per chi, dunque, vive nelle tenebre, quella corda non è altro che il proprio serpente,
ma in effetti la corda non è il serpente, la corda è stata sempre corda e rimarrà corda.
Allora si può dire che quel serpente immaginato si riferisce alla corda, mentre la reale corda non è identica al serpente.
Così, l'atman senza secondo viene raffigurato come jiva umano, subumano o divino. Ma questo indefiniti jiva (nel
caso della corda: bastone, ghirlanda, serpente, ecc.) non sono altro che l'atman senza secondo, la sola realtà assoluta.
Questo scambiare la realtà per il relativo, l'uno per i molti, l'eternamente non-nato per il nato, ecc., porta nel conflitto
e nel dolore. L'immaginare è frutto dell'avidya e cercare la causa dell'avidya è ancora avidya. Quando viene illuminata
la corda, il serpente immaginato sparisce e contemporaneamente sparisce l'istanza-immagine di cercare la causa che
ha originato quel serpente mayahico. Così si può dire chela realtà, quando si svela, incenerisce tutte le immaginazioni,
compresa quella inerente alla causa della stessa avidya-ignoranza.
109 Per realizzare la verità ultima occorrono certe qualificazioni che il discepolo dee possedere. 
110 La realtà non può essere compresa dai logici i quali si servono della conoscenza duale (soggetto-oggetto); essa non
può essere oggetto di rappresentazione mentale o di apprendimento analitico e discorsivo; la realtà è frutto di
realizzazione, di identità. 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

circostanze (per le necessità del corpo fisico).


Quale regola di condotta deve, quindi, adottare un tale saggio in questo mondo?
Ecco ciò che viene dichiarato: egli deve astenersi dalle formalità quali la lode, il saluto, ecc. e
liberarsi da ogni desiderio verso gli oggetti esterni; in altri termini, deve condurre la vita di un
samnyasin, secondo quanto afferma il testo vedico: «Allorché conoscono questo atman, i
brahmana cessano di desiderare... e quindi conducono vita da rinunciatari...» (Brhadaranyaka up.:
III, V, 1), e il testo smrti: «Coloro i cui errori sono stati distrutti dalla conoscenza, che hanno la
mente concentrata su Quello, che sono immersi in Quello, fondati in Quello e dediti solo a Quello,
vanno là dove non ritorneranno mai più» (Bhagavad-Gita: V, 17).
Cala, del testo, significa «mutevole» e riguarda il corpo che è soggetto a continui cambiamenti,
mentre acala significa «immutabile» e riguarda il Sé. Ogni volta che, per caso, si è spinti
all'attività per qualche cosa, per esempio per nutrirsi, e si pensa a se stessi come "io",
dimenticando la realtà del Sé - che è il solo sostegno e la vera dimora, e che, per sua intrinseca
natura, è immutevole come l'akasa -, allora cala: il corpo mutevole, diviene il proprio niketa:
sostegno. L'uomo illuminato, che ha come unico sostegno l'immutabile, pur rimanendo nel
mutevole, e che non dipende più da oggetti esterni, si affida interamente alle circostanze, nutre il
suo corpo e lo veste con quello che può trovare.

38. Dopo aver conosciuto la verità tanto nel contesto individuale quanto in quello universale, si è
tutt'uno con la Realtà, la quale è eterna beatitudine.
Le entità esterne come la terra e quelle personali come il corpo sono non reali come è non reale
quel serpente immaginato al posto della corda, o quegli oggetti che si vedono nel sogno o che
nascono dal potere proiettivo mentale del mago.
La sruti afferma i fatti: «...non è che una creazione del linguaggio, una modificazione, un nome»
(Chandogya-up.: VI, IV, 2). L'atman - com'è indicato ancora nella sruti - è, allo stesso tempo,
all'esterno e all'interno, è senza nascita, senza causa e senza effetto, senza interiorità, senza
esteriorità, omogeneo, penetrante tute le cose come l'akasa, sottile, senza moto, senza attributi,
senza parti, senza attività. «Esso è la sola realtà, esso è l'atman e tu stesso sei (questo atman)»
(Chandogya-up.: VI, XII, 3).
Dopo aver visto la realtà in tal modo, quest'uomo diviene tutt'uno con essa, e trae tutta la sua
beatitudine dal Sé e non più dagli oggetti esterni, mentre un individuo il quale ignora la realtà
crede che il Sé muti a seconda delle modificazioni mentali o accetta l'idea che il corpo sia il Sé
esclamando: «Adesso ho perduto la conoscenza del Sé»; oppure, quando riesce a concentrare la
sua mente, crede di essere felice e tutt'uno con il Sé affermando questa volta: «Adesso sono
tutt'uno con l'essenza della Realtà».
Il conoscitore del Sé si astiene da tale dichiarazione poiché l'atman è per sempre uno e
immutabile, e in nessun caso una cosa può perdere la sua vera natura. In altri termini, la certezza:
«Sono Brahman» non può venir meno e la coscienza rimane incrollabilmente stabile nell'essenza
del Sé. La smrti sostiene quest'interpretazione nei brani quali: «I saggi sono quelli che vedono con
lo stesso occhio un brahmana... un cane, uno svapake»; «Colui che vede in tutte le creature il
Signore supremo...» (Bhagavad-Gita: V, 18 e XIII, 27).

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

CAPITOLO TERZO - ADVAITA PRAKARANA

(Della non-dualità)

Nel determinare la natura di OM (Cap. I) è stato affermato, come semplice asserzione, che l'atman
rappresenta il superamento del mondo fenomenico, la beatitudine e l'Uno-senza-secondo. Inoltre,
è stato dimostrato che: «La dualità cessa di esistere quando viene conseguita la realizzazione» (I,
18); infine, nel capitolo «Della non realtà... » è stata provata l'assenza di qualsiasi dualità, sia con
l'analogia del sogno, della proiezione del mago e della città fra le nuvole, ecc., sia per mezzo della
ragione, sostenuta dal fatto che: «le cose sono percepite» e «hanno un principio e una fine», ecc.
(Ora si pone una domanda:) la non-dualità può essere stabilita solo con l'autorità delle sacre
Scritture (Tradizione) oppure anche con la logica? La risposta è che la non-dualità può essere
dimostrata anche con la logica. Il capitolo «Della non-dualità» (advaita) inizia col sostenere come
ciò possa essere possibile. Nel capitolo precedente è stato sostenuto che l'intero mondo della
molteplicità - compreso l'oggetto della devozione e la devozione stessa - è non reale e che l'atman
senza secondo costituisce la più alta realtà. (La logica di cui si parla risponde alla dialettica
platonica).

1. L'aspirante, sottoponendosi a esercizi devozionali, vive sotto l'impressione del Brahman


manifestato. (Però, pensa che) prima della creazione Brahman non era nato. Quindi, un tale
aspirante non può essere limitato nella sua visione.
Upasanasritah (del testo) significa adoratore che ricorre a upasana, cioè a esercizi devozionali
quali mezzi per la sua liberazione. Ecco la convinzione (di tale adoratore): «Io sono un adoratore e
Brahman è oggetto della mia adorazione. Per quanto io sussista nel Brahman condizionato, per
mezzo della mia devozione raggiungerò, dopo la morte del mio corpo, ajam brahma: il Brahman
incondizionato. Prima della manifestazione la totalità, compreso me steso, non era che il Brahman
non-nato. Quindi, per mezzo dei miei esercizi devozionali ritornerò ad essere ciò che ero
essenzialmente prima della mia nascita, per quanto adesso mi trovi nel jate brahmani: Brahman
condizionato».
L'aspirante, per il fatto che si dedica a tali esercizi devozionali e che riconosce solo un aspetto
parziale di Brahman, smrtah: è considerato, tena: per questa ragione, krpanah: limitato nella sua
visione da coloro che considerano Brahman senza nascita (Brhadaranyaka up.: III, VIII, 10).
L'Upani@ad della Sezione Talavakara (Kena) concorda con questo modo di vedere (quando
afferma): «Ciò che il linguaggio non può esprimere, ma per mezzo del quale si esprime il
linguaggio, sappi che questo solo è Brahman e non ciò che le persone adorano come un oggetto...»
(Kena up.: I, 4)111.

                                                             
111  Alcune dottrine asseriscono che il non-nato possa nascere, che l'incondizionato si trovi ad un tratto condizionato,
che l'Assoluto cada nel relativo e, di conseguenza, esse sostengono un assurdo metafisico, oltre ad introdurre
nell'Unità assoluta la dualità. Un dualista crea una distanza tra sé e l'Unità e poi esercita atti devozionali, esercizi vari,
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

2. Ora io parlerò di Quello (Brahman) esente da limitazioni, non-nato e sempre nello stato di
equilibrio (identico a se stesso), e ascoltare come, in nessun modo, nulla sia nato per quanto
sembri esser nato.
L'essere che, incapace di realizzare l'atman, il quale è contemporaneamente senza interiorità,
senza esteriorità e senza nascita, s'immagina, a causa della sua ignoranza, di essere privo di ogni
potere e si esprime in questo modo: «Sono nato, sono caduto nel Brahman condizionato (Brahman
saguna), per, grazie ad una mia ardente devozione verso Brahman, diventerò Brahman
(incondizionato o nirguna)», pensando in questo modo un tale aspirante diviene uno spirito
limitato. Perciò, descriverò Brahman infinito, senza nascita e libero da infelicità. La ristrettezza
dello spirito (che immagina la dualità) è messa in evidenza dalla stessa sruti: «Dove si vede un
altro, si ode un altro, si conosce un altro, vi sono limitazioni, morte e irrealtà». «Non è che una
creazione del linguaggio, una modificazione, un nome... » (Chandogya up.: VII, XXIV, 1; VI, IV,
2).
Ma, all'opposto della concezione (del Brahman) di questo aspirante, ecco il Brahman in quanto
infinito che è all'interno e all'esterno e senza limitazioni. Descriverò, dunque, questo Brahman
privo di ogni condizionamento, realizzando il quale l'uomo si libera da ogni infelicità causata
dall'ignoranza. Esso è ajati: non-nato, samatam gatam: stabilito in uno stato di equilibrio perfetto.
Come è possibile ciò? Perché in esso non vi è niente di eterogeneo che possa scaturire dalla
presenza diparti. Per affermare che un dato è nato occorre che sia composto di parti, ma poiché
l'atman è indivisibile (quindi senza parti) non cessa mai di essere identico a se stesso; in altri
termini, esso non potrebbe nascere sotto una modalità formale perché non vi è alcun movimento di
parti (essendo, appunto, omogeneo).
Di conseguenza, è senza nascita, esente da infelicità. Adesso, ascoltate come, in effetti, e sotto
ogni aspetto, qualsiasi cosa, anche piccola, non abbia mai avuto nascita, per quanto sembri averla
avuta alla stregua del serpente nato dalla corda, per virtù dell'ignoranza. L'affermazione (nella
kårikå precedente) era: «Ora io parlerò di Quello esente da limitazioni, non-nato»; adesso viene
detto: «Addurrò la ragione e l'analogia per provare questo».

3. La spiegazione circa la nascita è questa: il Sé è considerato esistente, sotto la forma di anime


individuali, alla stregua dello spazio-etere esistente nelle brocche; quindi il Sé esiste nella forma
delle cose composte proprio come lo spazio-etere esiste nelle brocche, ecc.
L'atman supremo, essendo come lo spazio sottile, senza parti e onnipenetrante, viene paragonato
all'etere. D'altra parte, quel Sé supremo, simile all'etere, viene indicato come jivaih: individualità
vivente in quanto conoscitore individuale del corpo, ecc., allo stesso modo di una quantità di etere
racchiusa in una brocca. L'interpretazione può essere anche questa: come l'etere racchiuso nelle

                                                                                                                                                                                                          

riti, ecc., per ottenere, dalla sua controparte-unità che chiama Dio-persona, la salvezza, la riabilitazione di sé e
l'annullamento di quella distanza; salvezza che, il più delle volte, egli immagina di realizzare dopo la sua morte, dopo
l'annientamento del suo stato fisico manifesto. Ma l'Assoluto o la Realtà suprema, tra le altre cose, non può dipendere
da fattori contingenti ed empirici. La realizzazione della Realtà non rappresenta il culmine di un'ascesi che rientri
nella sfera di un'azione meccanica, L'Assoluto non dipende da tempo-spazio e causa per cui nessun movente di ordine
empirico può mai portare all'Assoluto. Questo si dimostra da sé quando il velo dell'ignoranza viene rimosso, e il velo
dell'ignoranza può essere rimosso solo con la conoscenza svelatrice del Sé. Tutt'al più le pratiche devozionali e i riti
possono costituire uno stadio preparatorio e purificatorio, ma non risolutivo. 
 
81 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

brocche, ecc., non è altro che l'etere illimitato (mahakasa), così le individualità viventi
costituiscono il Sé supremo. Dunque, la creazione o la manifestazione dei jiva rapportata all'atman
supremo, secondo le Upani@ad, è paragonabile alla creazione o alla manifestazione dell'etere
racchiuso nelle brocche, e quest'etere particolarizzato non è altro che l'etere illimitato: da ciò si
deduce che questa creazione o manifestazione non può essere reale.
Come da questo etere sono prodotti oggetti multipli grossolani, brocche, ecc., così dal Sé supremo,
paragonabile allo spazio-etere, sono prodotte le cose composte quali la terra, ecc., come pure corpi
e i sensi dei jiva; ma tutti questi composti non sono che semplice immaginazione simile a quella
del serpente sovrapposto alla corda.
Quando la sruti, allo scopo di illuminare il non conoscitore, parla di creazione o di manifestazione
(dei jiva) come procedenti dell'atman, essa accetta ciò come un fatto spiegandolo con l'analogia
dell'etere112.

4. Come l'etere confinato entro le brocche, ecc., si fonde completamente quando avviene la
disintegrazione delle brocche, ecc., (nell'etere illimitato), così i jiva si fondono nell'atman113.
Come l'etere nella brocca, ecc., viene in essere con la creazione della brocca, ecc., e come l'etere
entro la brocca si fonde (nell'etere infinito) con la distruzione della brocca, ecc., così i jiva
vengono in essere con la creazione o manifestazione dell'aggregato corporeo, ecc., e spariscono
nel Sé supremo con la soluzione dell'aggregato corporeo, ecc. Ma ciò non è propriamente esatto se
si vogliono vedere le cose dal punto di vista dell'Assoluto.

5. Come tutti gli spazi-etere racchiusi nelle varie brocche non si oscurano quando uno degli
spazi-etere, così limitato, viene contaminato dalla polvere, dal fumo, ecc., così accade agli
individui circa la felicità, ecc.
I dualisti sostengono114: «Se c'è un solo atman in tutti i corpi, allora la nascita, la morte, la felicità,
ecc. di un solo atman (jiva) debbono influire su tutti gli enti, oltre ad esserci confusione riguardo
all'azione e ai conseguenti risultati».
Si risponde, come l'etere racchiuso in una brocca, per quanto contaminato da polvere, da fumo,
ecc. non può contaminare l'etere racchiuso in altre broche, così l'insieme dei jiva non è toccato
sukhadibhih: dalla felicità ecc. (di un solo jiva)115.

                                                             
112  Qualche volta sruti parla di creazione per venire incontro a coloro che ancora non hanno sviluppato l'intuizione
superconscia. Così, considera il jiva, anima vivente, come l'etere racchiuso in una brocca, ma l'etere nella brocca è
della stessa natura dell'etere fuori della brocca, e il vaso non è altro che un riflesso dello stesso etere. 
113 Quando le sovrapposizioni (i vari corpi) sono trascese. 
114 Come potrebbero essere i sostenitori del Samkhya. 
115
L'etere (il jiva) racchiuso nella brocca, che rappresenta un upadhi, non può essere toccato dalla sperimentazione
altrui perché si crede scisso e separato dagli altri. Questa sua immaginazione (l'energia segue il pensiero) lo salva dal
percepire qualificazioni di altri che si considerano contemporaneamente separati e assoluti. Ma può anche cadere
vittima dell'inconscio collettivo e ritenersi con tutte le caratteristiche inerenti a quell'espressione di vita.
Il fatto di essere un'unità separata dal contesto, con una sua vita autonoma e assoluta, non risponde a verità. Così, fino
a quando il sognatore si crede jiva sognante in un universo di sogno, sia l'uno che l'altro possono considerarsi reali
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Obiezione: Ma non avete detto che il Sé è uno solo?


Risposta: Proprio così, non avete sentito che un solo ed unico atman, come l'etere onnipervadente,
dimora in tutti gli aggregati (corpi, ecc.)?
Obiezione: Se vi è un solo atman questo deve sperimentare il dolore e la felicità in ogni tempo e
spazio.
Risposta: (In verità) quest'obiezione non dovrebbe essere sollevata dai Samkhya; per essi, infatti,
il dolore e la felicità non sono attribuiti all'atman ma alla buddhi. Inoltre, non vi è alcun
fondamento nel considerare l'atman, che è della natura della pura coscienza, come molteplice.
Obiezione: Nell'assenza della molteplicità la teoria Samkhya, secondo la quale Pradhana agisce
per i fini di altre entità (Purusa), non ha alcun fondamento.
Risposta: Non è così, perché qualsiasi azione compiuta da Pradhana non può essere collegata in
modo inseparabile al Sé. Se la schiavitù e la liberazione, conseguenze degli atti compiuti da
Pradhana, fossero inseparabilmente inerenti ai multipli Purusa, la teoria secondo la quale Pradhana
agisce sempre per le finalità di un altro, non si armonizzerebbe più con l'unicità e l'onnipresenza
del Sé; perciò, sarebbe logico supporre una molteplicità di anime (Purusa).
Ma i Samkhya negano che lo scopo perseguito, schiavitù o liberazione; possa mai essere
inseparabilmente associato al Purusa; anzi, essi sostengono che i Purusa sono pura coscienza e
senza attributi. Di conseguenza, se Pradhana agisce per altri, ciò è dovuto alla semplice presenza
del Sé e non alla molteplicità dei Purusa. Quindi questo fatto non può essere un argomento logico
per inferire l'esistenza di molti Purusa. E i Samkhya non hanno nessun'altra prova per convalidare
la loro teoria secondo cui ogni Purusa è diverso da tutti gli altri. Se si sostiene che Pradhana, da
sola, in virtù della presenza dell'Uno supremo e non per altra sua qualità specifica, sia sottoposta
alla schiavitù e alla liberazione, e che (Pradhana) crei attività per la semplice esistenza dell'Uno,
che è pura coscienza, allora il presupporre una molteplicità di Purusa e il rifiuto del vero
significato dei Veda, sono conseguenza dell'ignoranza116.
Per quanto riguarda il punto di vista dei Vaisesika 117 ed altri, i quali asseriscono che il desiderio,
ecc. è inerente al Purusa, ciò è altrettanto insostenibile perché i samskara (impressioni
subconscie), che sono la causa dei ricordi, non possono rimanere localizzati inseparabilmente nel
Sé che non ha sede. Se si replica che la memoria scaturisce dal contatto dell'atman con la mente, si
può rispondere che, in questo caso, non vi sarebbe una regola fissa riguardante il processo della
memoria; oppure vi sarebbe la possibilità che tutti i ricordi si presentassero simultaneamente.
Inoltre, le anime che sono prive di tatto, ecc., e che appartengono ad una diversa categoria, non
possono ovviamente entrare in contatto con la mente. Ancora, i Vaisesika non ammettono che i
                                                                                                                                                                                                          

(verità empirica), ma se la conoscenza viene a dissipare il velo di sonno-maya che fa apparire quel jiva, allora si
scopre che il sognatore (soggetto) e lo stesso universo di sogno (oggetto) spariscono come nebbie al vento. 
116  Secondo il darsana Samkhya, l'atman o purusa è pura coscienza, mentre prakrti o pradhana è incosciente e dotata

dei tre guna: sattva, rajas e tamas, che sono apportatori di sofferenza o di felicità. Tutte le modificazioni di prakrti
sono in funzione del purusa. I purusa sono molteplici e la prakrti è una sola; quando essi percepiscono le
modificazioni di piacere-dolore della pradhana, pensano che queste siano inerenti a essi stessi. Da qui la loro schiavitù
e da qui la loro istanza di liberazione. 
117  I sostenitori del darsana Vaisesika considerano la realtà suddivisa in sei categorie o padartha indipendenti l'una

dall'altra. Il principio sostanza (dravya), che corrisponde all'atman, ha a sua volta degli attributi di cui uno è il
desiderio (iccha). 
 
83 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

(sei) principi - cioè: sostanza, qualità, azione, generalità, particolarità e inerenza o specie -
possano esistere indipendentemente dal principio sostanza dravya); se tutte queste categorie
fossero totalmente indipendenti le une dalle altre, il contatto tra l'atman e il desiderio, ecc., e tra i
vari principi e la sostanza diverrebbe un'assurdità.
Obiezione: Il contatto caratterizzato da un'inerenza inseparabile è possibile nel caso in cui si provi
che tale contatto è innato.
Risposta: questa tesi non è valida, perché, dal punto di vista della ragione, non può ammettersi
una simile relazione. In effetti, l'atman etereo è anteriore ai transitori desideri, ecc. Se poi si
considera una relazione inseparabile e innata con l'atman, allora sorge la possibilità che il
desiderio, ecc. divenga altrettanto permanente quanto le modalità innate dell'atman, come
l'infinitezza, ecc.; ipotesi assai poco desiderabile perché se fosse così non vi sarebbe nemmeno più
posto per la liberazione. Inoltre, se la relazione fosse distinta dalla sostanza, bisognerebbe
riportarsi ad un nuovo fattore che avesse la proprietà di produrre questa relazione tra l'inerenza
(samavaya) e la sostanza (dravya) e fra la sostanza e la qualità (guna).
Obiezione: Se l'inerenza (samavaya) è una condizione eterna e inseparabile, non occorre
premettere un'altra relazione (con la sostanza-Sè).
Risposta: In questo caso l'atman e l'inerenza, data la loro relazione inseparabile e costante, non si
differenzierebbero più l'uno dall'altra. Se, d'altra parte, la relazione dell'inerenza fosse
completamente diversa dall'atman e gli attributi stessi fossero diversi dalla sostanza, il caso
possessivo non potrebbe più essere impiegato per indicare il loro scambievole rapporto, il quale
non è ammissibile se i due termini, collegati dal possesso, non sono totalmente diversi l'uno
dall'altro.
Se poi l'atman fosse inseparabilmente collegato con delle categorie - quali il desiderio, ecc., che
hanno tute un inizio e una fine - l'atman stesso sarebbe impermanente come i corpi e i frutti delle
azioni. Infine, se si ammettesse che l'atman, come il corpo grossolano, ecc., fosse costituito diparti
e subisse dei cambiamenti, queste due imperfezioni, che sono sempre associate al corpo, ecc., si
applicherebbero necessariamente all'atman. si può dunque concludere che, come l'etere, a causa
del velo dell'ignoranza, è considerato contaminato dalla polvere e dal fumo, così l'atman, a causa
del mentale ignorante, sembra esso stesso associato alle contaminazioni della sofferenza e della
felicità, ecc. Essendo tale il caso, le nozioni di schiavitù e di liberazione - nozioni di natura
totalmente empirica - non contraddicono in alcun modo la natura permanente dell'atman. D'altra
parte, tutte le scuole di pensiero riconoscono che l'esperienza relativo è causata dall'ignoranza,
mentre negano ogni esperienza dal punto di vista della Realtà assoluta. Così la supposizione dei
logici che giustifica una pluralità di atman è completamente gratuita.

6. Benché le forme, le azioni e i nomi differiscano qua e là, tuttavia non si produce alcuna
differenza nello spazio-etere (che rimane unico). così avviene in riguardo ai jiva.
Obiezione: Se l'atman è uno solo, come si spiega la varietà delle esperienze che mettono in risalto
proprio la pluralità nell'atman? Come è possibile spiegare la pluralità quale effetto dell'ignoranza?
Risposta: Nella nostra esperienza comune, a proposito dell'etere (il quale è unico), noi troviamo
un'innumerevole varietà di forme: le une sono grandi, le altre piccole, ecc., poiché, secondo i casi,
l'etere è racchiuso sia in una brocca, sia in una giara, sia in una casa, ecc.
 
84 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Inoltre, distinguiamo diverse funzioni: andare a prendere dell'acqua, conservare dell'acqua,


dormire, ecc.; infine, impieghiamo nomi diversi per designare l'etere-spazio racchiuso in una
brocca (ghata), in una giare, in una casa, ecc., ma tutte queste differenze, che sono implicite in
azioni convenzionali e che comprendono dimensioni, ecc., non sono reali perché akasasya na
bhedah asti: l'etere esclude ogni diversità, né vi può essere alcun rapporto empirico basato sulla
molteplicità dell'etere, a meno che vi siano gli accessori condizionanti (upadhi).
Come nell'esempio citato, i jiva, che possono essere paragonati ognuno all'etere racchiuso in una
brocca, sono considerati distinti quando sono condizionati dai velamenti dei corpi. Tale è la
conclusione dei Saggi.

7. Come lo spazio-etere racchiuso nella brocca non è né una trasformazione né una parte
dell'etere (universale), così il jiva non è né una trasformazione né una parte del Sé supremo.
Obiezione: L'esperienza della diversità (delle forme e delle funzioni), riguardo a questi spazi-etere
nelle brocche, ecc., segue uno schema logico (di realtà).
Risposta: Ciò non concorda con i fatti. L'etere racchiuso nella brocca non può essere una
trasformazione (della natura) dell'etere stesso, come il gioiello d'oro non è la trasformazione (della
natura) dell'oro o la schiuma, la bolla, l'umidità, ecc. non sono trasformazioni (della natura)
dell'acqua. Né il contenuto di etere nella brocca può essere paragonati ai rami o alle altre parti di
un albero.
Come l'etere nella brocca non è parte nè trasformazione dello stesso etere, così il jiva - analogo al
contenuto di etere della brocca - non è una trasformazione né una parte dell'atman, Realtà ultima,
il quale può essere paragonato all'etere infinito. Di conseguenza, l'esperienza relativa, fondata
sulla pluralità degli atman, è (dal punto di vista della verità ultima) considerata non reale.
La diversità delle esperienze che risulta dalle forme, dalle funzioni, ecc., ha come causa le
differenze che noi immaginiamo nell'etere contenuto nella brocca, ecc., proveniente della
percezione multipla dei jiva, la quale è dovuta ad attributi che limitano. Così, contaminazioni
come la sofferenza, l'azione e il risultato dell'azione (frutto dell'ignoranza) non hanno alcuna
realtà.
Per rendere più chiaro questo pensiero il testo cita un esempio:

8. Come l'ignorante può pensare che l'etere venga oscurato dalla polvere, ecc., così anche il Sé
sembra offuscarsi agli occhi del non conoscitore.
Come nell'esperienza comune le persone che non discriminano immaginano che il cielo (spazio-
etere) bhavati: divenga menomato dalle nuvole, dalla polvere, dal fumo, ecc., mentre per le
persone che usano la discriminazione il cielo non può essere menomato (da simili impurità), così
per i non illuminati - per coloro che non comprendono il Sé dimorante nel profondo del proprio
essere, e non per coloro che sanno comprenderlo - l'atman diviene contaminato dalle impurità
dell'azione e dai suoi risultati.
Come, ancora, il deserto non possiede onde né schiuma, ecc., per quanto le creature torturate dalla
sete gli attribuiscano erroneamente tali attributi, così l'atman non è mai contaminato dalle impurità

 
85 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

della sofferenza, ecc., che, per errore, gli assegna l'ignorante118.

9. Per ciò che riguarda la sua nascita, la sua morte, il suo andare e venire (trasmigrazione) o la
sua esistenza in corpi multipli, l'atman non differisce in nulla dallo spazio-etere.
L'idea implicita è che l'origine, la morte, ecc. dell'atman, in tutti i corpi, sono simili all'origine, alla
distruzione, all'apparizione, alla sparizione e all'esistenza del contenuto di etere-spazio nella
brocca119.

10. Tutti gli aggregati corporei, ecc., analoghi alle brocche di cui si parla nel testo, sono
prodotti dalla maya dell'atman alla stregua dei corpi che noi percepiamo nel sogno o come
quelli proiettati dal mago.
In altri termini, questi (corpi, ecc.) non sono reali (dal punto di vista della verità ultima). E se
s'immaginano aggregati corporei e sensoriali di Dei o di altri adhikya: superiori a corpi, ad
esempio, delle bestie, ecc., oppure samya: uno stato di eguaglianza (fra gli esseri creati), la loro
possibilità non può essere dimostrata validamente, per cui essi non sono in realtà, ma delle
immaginazioni create dall'ignoranza120.
Ecco ora delle dichiarazioni della sruti che tendono a dimostrare ugualmente l'esistenza della
realtà dell'atman senza secondo.

11. E' stato chiarito, con l'esempio dello spazio-etere, che l'essere individuato con le (cinque)
guaine, incominciando da quella fisica grossolana, ecc., ampiamente trattate nella Taittiriya
upanisad, non è altro che il Sé supremo.
(Le guaine) rasadayah: come quella fatta di cibo (annamaya kosa), quella dell'energia vitale
(pranamaya kosa), ecc., sono così designate perché paragonate al fodero di una spada, le prime
poste all'esterno. Esse sono state vyakhyatah: ampiamente trattate nella Taittiriya up. (II, dal I al
VI). Quello è il Sé tesam: di tutte queste guaine; è causa di Quello che queste (cinque) guaine
vengono all'esistenza, e l'anima vivente è chiamata jivah perché è la fonte della vita. Ma chi è
Quello? Quello è parah: il Supremo (Brahman) stesso, precedentemente descritto nel testo come:
«Brahman è verità, conoscenza e infinito» (Taittiriya up.: II, 1); Brahman dal quale, come è già
stato affermato, sono emersi - per mezzo della sua maya, come nel sogno o nella proiezione del
mago (III, 10) - per primo lo spazio (entro il vaso) e poi le cose composte chiamate guaine, a
partire da quella (grossolana) fatta di cibo.
Noi abbiamo descritto questo atman, in quanto etere, in un brano che dice: «Il Sé è considerato...
                                                             
118  Tutte le qualificazioni inerenti all'elemento ferro (pesantezza, corrosione, durezza, ecc.) non possono essere
attribuite alla massa elettronica sottostante di cui è fatto; così, tutte le qualificazioni formali del jiva non possono
essere attribuite all'atman. 
119  La trasmigrazione, che è movimento, non è in relazione all'atman, ma al jiva mayahico. L'Assoluto-Infinito non

può né nascere né trasmigrare né perire. 


120 Tutte le forme, a qualunque dimensione e grado possono appartenere, non sono altro che proiezioni simili a quelle

del mago o a quelle prodotte nel sogno dalla mente. Il concetto di forma-corpo è verità di relazione, quindi relativa ed
empirica, non assoluta. 
 
86 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

alla stregua dello spazio-etere... » (III, 3). L'idea è che il Sé non può essere appreso dai sensi né
dalle disquisizioni dei logici121.

12. Con riferimento ai differenti contesti duali è dimostrato che l'etere, che pervade la terra, è
identico a quello che pervade un qualsiasi organismo; è in questo modo che nel Madhu Brahman
(capitolo della Brhadaranyaka upanisad) si descrive tale Brahman.
Inoltre, è stato rilevato, con riferimento ai contesti duali - corporeo e sottile - che l'essere
immortale e risplendente che abita la terra, ecc. e che costituisce il Conoscitore, non è altro che il
Brahman supremo (Brhadaranyaka up.: II, V, 1-14).
Dov'è fatta questa descrizione? Nel Madhu brahmana, ove si parla della conoscenza del Brahman
che porta alla beatitudine; essa viene descritta come il nettare, causa dell'immortalità, chiamato
madhu (il miele). Questo Brahman è simile all'akasa: etere, come dimostrato già mediante
l'inferenza, e pervadente la terra e lo stomaco (organismo vivente).

13. Il fatto che l'identità del jiva con l'atman venga messa in evidenza (dalla sruti), mentre viene
condannata la molteplicità, rimane di facile comprensione solo se si accetta questo punto di
vista.
Le Scritture e i Saggi, come Vyasa, ecc., glorificano l'identità del jiva col Sé supremo, eliminando
così ogni differenza, e a questa conclusione si perviene anche tramite il ragionamento sostenuto
dai Veda. Inoltre, le esperienze della molteplicità che sono naturali (per il non illuminato) e
comuni a tutte le creature - esperienze immaginate dai sofisti che vanno al di là del significato
delle Scritture - sono condannate sia dai conoscitori del Brahman che dalla sruti: » Nono esiste più
in Lui un secondo, un oggetto diverso e separato che Egli possa vedere».
«La paura nasce dalla dualità» (Brhadaranyaka up.: IV, III, 23; I, IV, 2); «Allorché si crea un
intervallo, una differenza, nasce la paura» (Taittiriya up.: II, VII, 1); «Tutto ciò che esiste è
atman» (Brhadaranyaka up.: II, IV, 16); «Va di morte in morte colui che vede in questo mondo la
pluralità»(Katha up.: II, IV, 10).
Ciò che è stato detto (l'interpretazione non dualista) diviene così di facile comprensione, ma le
concezioni errate che i sofisti propongono, oltre a mancare di chiarezza, non possono essere
accettate se vengono approfondite.

14. La distinzione tra il jiva e l'atman, descritta (nei testi vedici) prima che (nelle Upani@ad) si
parlasse della creazione, va considerata solo in senso secondario e si riferisce ad un risultato
futuro (cioè l'unità), perché nel senso primario tale distinzione è fuori posto.

                                                             
121
Come il nucleo atomico - è un'analogia - per quanto se ne stia equidistante e inalterato nella sua sede, produce
l'atomo, la molecola e il tessuto, così l'atman, per quanto dimorante in se stesso e inalterato, manifesta le varie guaine-
apparenze o rivestimenti qualitativi che prendono sembianze di essere animale, umano, ecc. L'atman è il sole centrale
e i pianeti sono le varie guaine di espressione che appaiono tramite maya.
Per le guaine-corpi, le loro qualificazioni, ecc., si veda la Bhagavad Gita, cap. II, 30. (Ibid.). 
 
87 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Obiezione: Anche prima dei testi upanishadici (Jnanakanda), in quella parte che tratta della
creazione e relativa ai riti (Karmakanda) dei Veda, è stata affermata la distinzione tra il jiva e il Sé
supremo. Così si hanno asserzioni come queste: «Desideroso di quello, Lui, il supremo, ha
sostenuto il cielo e la terra, ecc.» (Rg Veda: X, CXXI, 1). In questo caso come è possibile -
quando si presenta un disaccordo nei Veda tra la parte riguardante i riti (Karmakanda: Samhita e
Brahman) e quella riguardante la conoscenza (Jnanakanda: Upani@ad) - trarre la conclusione che
l'identità del jiva col Sé supremo, quale risulta dall'ultima parte dei Veda (Upani@ad), sia la sola
ragionevole e la sola esatta?
Risposta: La distinzione (tra il jiva e il paramatman) descritta nel Karmakanda e anteriore alle
dichiarazioni delle Upani@ad che trattano della creazione dell'universo, quali: «Quello da cui si
svelano tutti gli esseri...» (Taittiriya up.: III, I, 1), «Come da un fuoco volano piccole scintille...»
(Brhadaranyaka up.: II, I, 20); «Da questo supremo Sé è nato lo spazio-etere...» (Taittiriya up.: II,
I, 1); »Allora essere deliberò... e così produsse il fuoco...» (Chandogya up.: IV, II, 3), ecc. non è
l'ultima verità.
Obiezione: Perché allora?
Risposta: Questa dichiarazione non ha che un significato relativo perché la distinzione (tra il jiva e
il paramatman, implicita in questi passi) è simile alla separazione tra l'etere indifferenziato e
quello nella brocca. In fondo, essa viene enunciata per un avvenimento futuro, come nella frase:
«Egli cuoce il cibo». I testi che parlano della distinzione (tra il jiva e il paramatman) non possono
considerarla in nessun modo assoluta, perché essi, che trattano solo della molteplicità del Sé,
ripetono semplicemente le esperienze distintive di coloro che ancora sono soggiogati dall'avidya.
Così, nelle Upani@ad, i passi che riguardano la creazione, la trasformazione, ecc., tendono a
stabilire (in ultima analisi) l'identità del jiva con il sé supremo, come, d'altra parte, si può
apprendere da frasi quali: «Tu sei Quello» (Chandogya up.: VI, VIII - XVI); « (Chi pesa:) altri è il
Dio e altri sono io, costui non sa» /Brhadaranyaka up.: I, IV, 10), ecc. Perciò, la ripetizione
percettiva della molteplicità viene fatta dai Veda nel senso secondario perché il compito di
dimostrare l'unità (del tutto) è dato alle Upani@ad. O, ancora, la dichiarazione: «Uno-senza-
secondo» (Chandogya up.: VI, II, 2) è stata fatta ancor prima di quella della creazione e introdotta
in testi come: «Esso (il Sé) deliberò... e così produsse il fuoco» (Chandogya up.: VI, II, 2-3), ecc.,
ma il grado supremo di unità è raggiunto in frasi come queste: «Quello è la realtà, quello è l'atman
e tu sei Quello» (Chandogya up.: VI, VII-XVI).
Dunque, se la non identità del jiva con l'atman è descritta in certi passi, bisogna vedere in ciò un
senso metaforico e secondario come nella frase: «Egli cuoce il cibo»; infatti la cosa considerata in
questa frase è l'unità che deve dimostrarsi nel futuro.
Obiezione: Per quanto prima della creazione ogni cosa era non nata e quindi Uno-senza-secondo,
tuttavia ci fu un tempo in cui tute queste nacquero e gli individui stessi divennero differenziati.
Risposta: non è così perché i testi vedici che trattano della creazione hanno ben altro significato.
Tale obiezione è stata confutata precedentemente con l'affermazione che gli attributi (prana, ecc.),
come il sogno, sono il prodotto della maya e che la nascita, la differenza, ecc. degli individui sono
simili alla quantità di etere-spazio racchiuso nelle broche (III, 9-10)Se la kårikå si riporta ancora
una volta le dichiarazioni dei testi vedici relative alla creazione, alla differenziazione, ecc., è allo
scopo di provare che tali dichiarazioni hanno unicamente il fine di determinare l'identità del jiva
con Brahman.
 
88 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

15. La creazione che - con l'aiuto degli esempi della terra, dell'oro, delle scintille, ecc. - è stata
esposta in vari modi, viene semplicemente menzionata per generare l'idea (dell'unità), ma non vi
è certamente alcuna molteplicità.
La creazione esposta in modi diversi, con l'aiuto di esempi come la terra, l'oro, le scintille, ecc.,
non ha altro scopo che farci comprendere l'identità del jiva con Brahman.
Avviene precisamente come la storia degli organi della parola, ecc. che furono colpiti da infermità
dagli asura (demoni), storia intessuta intorno ad un dialogo con prana nella quale l'intenzione è
quella di creare l'idea della superiorità del prana (Chandogya up.: I, II; Brhadaranyaka up.:I, III, 6;
Prasna up.: II).
Obiezione: Anche questo è inaccettabile.
Risposta: Non proprio, perché la storia relativa al prana, ecc. è riferita in vari modi in differenti
parti dei Veda. Se questo aneddoto dovesse essere considerato letteralmente vero, non si dovrebbe
trovare che una sola versione in tutti i testi che lo citano e questi non avrebbero potuto dare
versioni di natura contraddittoria ed eterogenea; invece, nei Veda s'incontrano versioni diverse; di
conseguenza, i passi vedici che riferiscono le diverse storie del prana non possono, dunque, essere
intese in senso letterale. allo stesso modo debbono intendersi le dichiarazioni che trattano della
creazione.
Obiezione: Poiché vi sono vari cicli della creazione, le dichiarazioni dei testi vedici, che trattano
delle diverse storie (di prana, ecc.) ed anche della creazione, sono divergenti per ciò che riguarda i
rispettivi cicli.
Risposta: Quest'ipotesi non è accettabile perché esse non hanno altro scopo, come abbiamo già
detto, che quello di illuminare il nostro intelletto. Nelle dichiarazioni dei testi vedici, riguardanti la
creazione o il prana, non si potrebbe scoprire altra utilità.
Obiezione: (Le dichiarazioni) sono descritte come oggetto di meditazione per raggiungere l'auto
identificazione.
Risposta: Ciò non è esatto perché nessuno potrà raggiungere tale identità tramite la discussione
(nel caso di prana) o per mezzo della creazione e della dissoluzione.
Perciò, le dichiarazioni dei testi vedici circa la creazione, ecc., hanno semplicemente o scopo di
predisporre la mente all'illuminazione sull'unità del jiva. Di conseguenza, non vi è nessuna
molteplicità causata dalla creazione.
Obiezione: Se in conformità a certi passi vedici quali: «L'atman senza secondo» (Chandogya up.:
VI, II, 2), ecc., il Sé supremo, perennemente puro, intelligente e libero, è la sola realtà nel senso
più alto e tutto il resto è non reale, allora perché nei testi vedici vi sono forme di meditazione
come: «Mia cara, il Sé dovrebbe essere visto» (Brhadaranyaka up.: II, IV, 5); «L'atman è privo di
errore... bisogna conoscere...»(Chandogya up.: VIII, VII, 1), ecc.? E, ancora, perché sono prescritti
iriti (karman) come, ad esempio, l'agnihotra?

Si ascolti questa Risposta:

 
89 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

16. Vi sono tre stadi (asrama) di vita (il quarto è quello del samnyasin) che corrispondono a (tre
gradi di comprensione): inferiore, medio e superiore. questa meditazione è raccomandata a
coloro (che non sono ancora illuminati) per semplice compassione.
Il termine asramah, che significa stadio di vita, si riferisce a quelle persone cui competono i doveri
delle Scritture corrispondenti a un determinato stadio. La parola indica anche coloro che
appartengono ai differenti ordini sociali ognuno dei quali segue la sua particolare via; essi sono
trividhah: di tre specie, hina madhyama utkrsta drstayah: persone che possiedono una facoltà
divisione inferiore, media e superiore: cioè sono dotate di mente incapace, semicapace e buona.
Questa meditazione sui riti è stata impartita per quelli che hanno intelletto incapace e semicapace,
legati agli stadidivita, ecc., e non per le persone di intelletto superiore le quali conoscono già che il
Sé è Uno-senza-secondo. (Questa meditazione) è stata data dai benevoli Veda per compassione
(alle prime due classi di persone) che percorrono il sentiero della virtù acciocché possano
raggiungere questa visione superiore di unità (atmica) come, appunto, è posto in rilievo dai testi
vedici quali: «Quello che non può essere pensato dalla mente, ma ciò per mezzo del quale la
mente è in grado di pensare, sappi che Quello è Brahman e non ciò che questa folla viene ad
adorare (come un oggetto) qui » (Kena up.: I, 5); «...e tu stesso sei questo (atman)». »Esso (atman)
è tutto ciò che è...» (Chandogya up.: VI, VIII, XVI; VII, XXV, 2), ecc.122.
La conoscenza perfetta consiste nella realizzazione del sé non-duale e ciò è confermato dalle
Scritture e dal retto ragionamento, mentre qualunque altra argomentazione è sbagliata, trovandosi
fuori della verità. Vi è, ancora, un'altra ragione per sostenere che le teorie dei dualisti sono non
reali: queste infatti poggiano su opinioni contraddittorie quali piacere, non-piacere, ecc.
Obiezioni: In che senso?
                                                             
122
L'insegnamento tradizionale, essendo di ordine sintetico, assomma la conoscenza totale noumenica, trattando così
della realtà dal punto di vista di virat (scienza delle energie cristallizzate), di Hiranyagarbha (scienza delle energie
dinamiche, superfisiche e sottili), d'Isvara (scienza dei principi primi o ontologica) e di Turiya (metafisica pura).
I primi tre unti di vista soddisfano particolari tipi di mente ancora non completamente risvegliati offrendo loro un
certo grado di verità che può essere adeguatamente recepito.
l quarto punto di vista è prettamente metafisico e riservato a persone che hanno un intelletto capace o una mens
informalis. La metafisica è un insegnamento che riguarda i Grandi Misteri; anticamente non era di dominio pubblico,
e per quanto oggi venga data con maggior larghezza, tuttavia sono pochi quelli che in essa possono intuire certe
implicanze.
L'insegnamento dell'asparsa, e quindi dell'Upani@ad in questione, riguarda la metafisica pura, per cui la verità è svelata
dalla prospettiva di Turiya, del Quarto, del Brahman nirguna. Gauƒapåda commenta questa Upani@ad attenendosi alla
sruti e alla stessa ragione, nei limiti in cui questa può essere di valido aiuto nel caso specifico.
In riferimento ai darsana - che compendiano la problematica conoscitiva dell'Essere e del non-Essere - si può dire che
il Nyaya, il Vaisesika, il akhya e la Karma Mimamsa rispondono alla visione (vedere in senso vedico) di Virat e
Hiranyagarbha (dualismo); lo Yoga e il Vedanta Visistadvaita di Ramanuja rispondono alla visione di Isvara
(monismo) e l'Advaita vedanta di Gauƒapåda e Âaækara risponde alla visione prettamente metafisica (non-dualità,
advaita o asparsa). Così, questa Upani@ad, che è la quintessenza dell'insegnamento indù tradizionale, può soddisfare
diverse coscienze a differenti stadi di sviluppo; Gauƒapåda, però, la vede dalla prospettiva della metafisica pura che è
quella di Turiya, per cui le conclusioni non possono non essere che di ordine esclusivamente metafisico.
 
 
90 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Risposta: Ecco la Risposta:

17. I dualisti - attaccati alle loro investigazioni, che portano a certe conclusioni - sono in
contraddizione. Ma questa visione(non-duale) non è in contraddizione con alcuno.
Dvaitinah: i dualisti che seguono l'opinione di Kapila, di Kanada, del Buddha, di Arhat e di altri,
si attaccano profondamente a quelle metodologie di ricerca che portano alle loro personali
conclusioni.
Essi pensano, così, che il loro modo di vedere debba rappresentare la verità ultima e che ogni altra
visione debba ritenersi falsa; di conseguenza, amano teneramente le loro proprie credenze e
detestano quelle che considerano contrarie.
Perciò, oscillando tra le cose che piacciono e non piacciono, conseguenza dell'aderire alle proprie
convinzioni, si contraddicono reciprocamente.
Come le diverse membra di un uomo: mani, piedi, ecc., non entrano in conflitto le une con le altre,
così il nostro modo di vedere conforme ai Veda, cioè il riconoscimento dell'unità dell'atman in
tutti gli esseri, non entra in conflitto con le teorie particolareggiate le quali, invece, si
contraddicono reciprocamente123.
Quindi, ciò che si vuole affermare è ce la perfetta visione consiste nel realizzare il Sé come Uno-
senza-secondo, perché questo (tipo di realizzazione) trascende l'attrazione e l'avversione.
Ora, viene posto in evidenza perché questa realizzazione conoscenza non è in conflitto con le altre
conoscenze.

18. Poiché la non-dualità è l'ultima verità, si può dire chela dualità sia un accidente della non-
dualità. Ma i dualisti affermano la dualità in entrambi i casi (nell'assoluto e in ciò che chiamano
relativo), perciò la posizione non dualista non si oppone a quella dualista.
La non-dualità è la Realtà suprema poiché la dualità o eterogeneità, secondo queste parole
vediche, è un accidente della non-dualità: «All'inizio, mio caro, null'altro vi era se non l'Essere
(Sat),m Uno-senza-secondo».
Oppure: «All'inizio vi era il Non-Essere, Uno-senza-secondo; da questo Non-Essere si irradiò
l'Essere... Esso creò il fuoco...» Chandogya up.: VI, II, 1-3). Inoltre, secondo il giusto
ragionamento, riconosciamo chela dualità non si percepisce nel samadhi e nel sonno profondo
quando la mente cessa di agire. Perciò la dualità è irradiata dalla non-dualità. Ma per i dualisti non
vi è altro che dvaitam: dualità da entrambi i punti di vista della realtà e della non realtà.

                                                             
123
Come la molteplicità apparente si risolve nell'unità, così tutti i punti di vista si risolvono nell'unico punto di vista
metafisico. L'asparsa yoga, ponendosi dalla prospettiva prettamente metafisica, non può contrapporsi né escludere
alcun punto di vista di ordine particolare, perché ogni particolare non è altro che la verità totale vista dai jiva sotto
certe angolazioni.
Per l'asparsa la stessa creazione-manifestazione esiste e non esiste; dalla visuale da cui ci si pone essa può essere
affermata o negata. Per ulteriori chiarimenti di questo concetto essi veda di Âaækara: Aparolsanubhuti, sutra 58.
(Traduzione dal sanscrito e commento di Raphael. Edizioni Asram Vidya, Roma 1975). 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Per quanto queste persone, indotte in errore, abbiano una visione dualista (della realtà) e noi, liberi
dall'errore, abbiamo vedute non dualiste - in conformità anche ai testi vedici come, ad esempio,
laddove si dice: «Indra con la sua maya proietta forme molteplici »; »Non esiste in Lui un
secondo, un oggetto diverso da lui e separato che Egli possa vedere» (Brhadaranyaka up.: II, V,
19; IV, III, 23) - tuttavia il nostro punto di vista non contrasta con il loro. Questo punto di vista
può essere così illustrato: un uomo amorevole ce cavalca un focoso elefante non sprona il suo
animale contro l'insensato che, stando solo a terra gli lancia questa sfida: «Anch'io sono sopra un
elefante, spingete il vostro contro il mio»124.
Da quanto sopra risulta che, dalla visione della realtà, il conoscitore del Brahman è il Sé dei
dualisti stessi e che, quindi, il nostro modo di vedere non dualista non si oppone a quello degli
altri.
(Si potrebbe obiettare che) se la dualità è l conseguenza della non-dualità, si deve sostenere chela
dualità, per le medesime ragioni della non-dualità, dev'essere essa pure la Realtà suprema. Per
dissipare questo dubbio viene detto:

19. E' per virtù di maya - con l'esclusione di ogni altra possibilità - che questo Non-nato
(Brahman senza secondo) può differenziarsi Se la differenziazione dovesse essere reale, allora
l'immortale diverrebbe mortale.
Mayaya: per virtù di maya, la Realtà suprema appare differenziata, come la luna appare multipla
all'uomo il cui organo visivo è difettoso; e, ancora, come la corda appare (agli occhi del non
conoscente) serpente, filo d'acqua, ecc.; ma questa molteplicità non è reale poiché l'atman è senza
parti.
Si può dire che un oggetto composto di parti subisca una modificazione quando avviene un
mutamento in una delle sue parti; è così, per esempio, che l'argilla viene trasformata in brocche, in
giare, ecc. Di conseguenza, questa kårikå si propone di dimostrare che l'atman senza parti e ajam:
senza nascita non può ammettere alcuna distinzione, se non per virtù di maya. Tattvatah
bhidyamane: se le apparenze della molteplicità fossero reali, l'atman senza secondo, per sempre
ajam: non-nato e per la sua stessa natura amrtam: immortale, vrajet martyatam: diverrebbe
mortale; sarebbe a dire che il fuoco diverrebbe il freddo.
D'altra parte, questo rovesciamento della natura non è possibile perché si oppone ad ogni valida
evidenza. di conseguenza, la realtà, cioè l'atman, il quale non è soggetto a mutamento e a nascita,
appare molteplice soltanto per virtù di maya; così la dualità non è la verità ultima.

20. I dualisti affermano la nascita di ciò che è non-nato. Ma come può ciò che è non-nato e
immortale divenire mortale?
Alcuni commentatori delle Upani@ad, i quali amano discorrere e farsi passare per conoscitori del
Brahman, affermano che la Realtà-atman, la quale è eternamente non-nata e immortale, abbia una

                                                             
124  Spessosi è preda di rappresentazioni allucinatorie e si pensa, naturalmente, di essere nel vero; ora, chi è scevro di
illusioni non ha interesse a rispondere a un'affermazione condizionata dalla maya, perché nell'impostazione del
problema egli può notare un vizio in partenza. 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

nascita reale. Se, secondo essi, l'atman diviene nato, dobbiamo attribuirgli la distruzione, ma come
è possibile che l'atman, che per sua natura è bhavah: entità positiva, cioè ajatah: non-nato (senza
mutamento) e immortale, divenga mortale? L'atman non può, in alcun modo, divenire mortale,
cambiando così di natura.

21. L'immortale non può divenire mortale, né il mortale divenire immortale perché non può
aversi cambiamento di natura.
Poiché nell'esperienza comune amrtam na bhavati martyam: l'immortale non può divenire mortale,
né il mortale divenire amrtam: immortale, non è possibile, di conseguenza, che un dato cambi
natura divenendo diverso (da ciò che è), proprio come il fuoco non può mutare la sua natura di
calore.

22. Un uomo, il quale crede che un ente di natura immortale divenga mortale, come può
sostenere ad un tempo che l'immortale, essendo prodotto (manifestato), conservi ancora la sua
natura immortale?
Il dualista, il quale ritiene che l'entità positiva di natura immortale divenga mortale o che, in altri
termini, varchi realmente la soglia della nascita, sostiene un'ipotesi infondata. Come può egli
affermare che questa entità sia amrtah: di natura immortale se ammette, in pari tempo, che esa
subisce la nascita?
Oppure, come può l'immortale, allo stesso tempo, conservare la sua natura mortale e immutabile e
subire un mutamento? Ciò non è possibile. Coloro i quali asseriscono che l'atman abbia una
nascita - vale a dire che sia soggetto a reale mutamento - non possono più parlare dell'atman
immortale. Secondo queste persone tutto è soggetto alla morte e, di conseguenza, non vi è più
posto per la liberazione125.

                                                             
125
In che modo si può sostenere la dualità e quindi la molteplicità delle cose? Diverse teorie, contrapposte tra loro,
tentano di sostenere la tesi della dualità. Ci sono i dualisti puri i quali asseriscono che l'esistenza è la combinazione di
due principi coeterni, separati e infiniti (teoria del Samkhya e di altri). Questa teoria, però, sfida la stessa logica;
infatti, i due principi non possono essere entrambi infiniti perché si escluderebbero a vicenda o si confonderebbero; se
poi uno dei due fosse assoluto, allora l'altro sarebbe un effetto; se, ancora, entrambi fossero relativi si verrebbe a
sostenere che il relativo, che ovviamente è dipendente da qualche altra cosa, si determina da sé ed esiste di per se
stesso, il che ci porterebbe ad un assurdo. La dualità assoluta, nell'impossibilità di esistere in se stessa, non può essere
accettata come realtà ultima.
Vi sono i monisti o i teisti i quali affermano che l'Uno si è moltiplicato; in altri termini, ritengono che tutto il relativo
empirico, che per loro è reale, sia prodotto dall'assoluta Unità.
Con questa prospettiva ci troviamo di fronte ad altre difficoltà: com'è possibile che l'Uno, se veramente tale, diventi i
molti? Com'è possibile che il Perfetto, se veramente è tale, possa produrre l'imperfetto? Com'è possibile che
l'Immortale, se veramente è tale, possa diventare mortale? Com'è possibile che l'Infinito, se veramente è tale, possa
trasformarsi in finito empirico? com'è possibile che dal senza tempo possa nascere il tempo? Sostenere questa tesi
significa introdurre nell'Infinito il concetto di finito, significa portare all'Unità due ordini di realtà: l'empirica e
l'assoluta, significa porre nel Principio la possibilità di una contraddizione, il che equivale ad annullare lo stesso
Principio. Inoltre, questo tipo di monismo è panteistico.
Altre teorie postulano che la dualità manifesta è nata ex nihilo. Ma come è possibile affermare che un dato possa
 
93 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Obiezione: Coloro i quali, riguardo a Brahman, non ammettono la nascita sono incapaci di
giustificare i passi in cui i testi vedici sostengono la nascita.
Risposta: E' vero che vi sono dei testi vedici che sostengono la nascita, ma essi hanno un
significato assai diverso da quello che si attribuisce loro. Noi diciamo che rispondono all'esigenza
di creare l'idea di unità (III, 15). per quanto a tale obiezione sia stata data una risposta
precedentemente, tuttavia si ritorna ancora sull'argomento solo per dissipare i dubbi relativi alle
possibilità d'interpretazione delle Scritture circa l'oggetto del nostro studio.

23. I testi vedici parlano esplicitamente di nascita e di maya, ma solo ciò che è sostenuto dalla
sruti e convalidato dalla ragione deve ritenersi corretto, e nient'altro.
Sama srutih: i testi sruti parlano esplicitamente sia della nascita che di maya, considerata alla
stregua della proiezione del mago.
Obiezione: Se le parole consentono due interpretazioni, una metaforica e l'altra diretta, è
ragionevole comprendere le parole secondo il loro significato diretto.
Risposta: Non siamo d'accordo. La parola «nascita», se non intesa in termini di proiezione, è, per
noi, priva di ogni significato.
Qualsiasi nascita, sia essa metaforica o effettiva, può solo riferirsi ad una possibilità apparente di
cui avidya è la causa. I testi vedici dichiarano infatti: «Esso (atman) è all'interno, all'esterno e
realmente senza nascita»(Mundaka up.: II, II, 2). Quindi, ciò che è definito dai Veda, e sostenuto
                                                                                                                                                                                                          

nascere dal "nulla"? Ciò significa, altresì, che possa esservi un'esistenza senza un Principio. Dal nulla, nulla si crea,
per cui un dato non può non avere un principio.
L'ajati-vada, trattata in questo testo, va al di là del dualismo e dello stesso monismo, prospettando l'Unità-senza-
secondo, l'Uno metafisico o, meglio, lo Zero metafisico il quale è senza tempo-spazio-causa.
Se, dunque, due assoluti non possono coesistere; se l'assoluto, in quanto tale, non può ovviamente trovarsi tutto a un
tratto non-assoluto e quindi relativo; se l'Assoluto non può nascere dal nulla, allora ciò che si vede e si classifica con
un nome e una forma che cos'è? L'ajati risponde: è un "movimento apparente"; una mera parvenza, un fenomeno che
appare e scompare in virtù di maya; è un "serpente" proiettato dalla potenza mayahica dello stesso Assoluto. E' come
quel castello nell'aria proiettato dalla potenza dello stesso mago, è come quell'evanescente sogno proiettato dal
soggetto dormiente velato da sonno (maya).
La storia è il processo dell'apparire e scomparire dei fenomeni; il jiva stesso rappresenta l'apparizione-sparizione sullo
schermo totale dell'Essere. Lo schermo in sé è la certezza nel suo aspetto trascendentale, è lo stato in cui lo stesso
apparire e scomparire non appare e non scompare.
Si può, ancora, dare un esempio considerando le forme fisiche oggettive che si vedono con gli occhi sensoriali.
Energia indifferenziata (akasa = Forza che determina il moto (maya) = Atomo fisico
Si ha, quindi, che l'energia informale indifferenziata, tramite il potere elettromagnetico o suo equivalente, fa apparire
l'atomo («Con il potere della sua propria maya Brahman appare universo»). L'atomo, si può dire, esiste e non esiste,
appare e scompare; è, eppure non è: ciò costituisce una constatazione di fatto, non è una teoria o una congettura. Non
si conosce la natura dell'elettricità, ma la si può riconoscere tramite i suoi effetti; così, non si può conoscere la natura
della maya, ma la si riconosce mediante i suoi effetti. La maya, però, non è una realtà sostanziale e assoluta, non è una
causa reale, lo si può dedurre dall'aleatorietà dell'effetto: sparito l'effetto, sparisce anche la causa; si può, così, asserire
che causa ed effetto sono maya. E' ciò che si dimostrerà nel quarto capitolo.
 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

dal giusto ragionamento, come: «Egli è Uno-senza-secondo ed esente da nascita e da morte»


rappresenta il solo significato valido con esclusione di qualsiasi altro. Ciò è quanto è stato
espresso nelle kårikå precedenti. occorre, inoltre prendere atto di queste affermazioni molto
esplicite:

24. Poiché viene affermato: «Qui non vi è molteplicità», «E' in virtù di maya che Indra...», «Il Sé
senza esser nato appare multiplo», ne consegue che Esso (atman)è nato per opera di maya.
Se la creazione fosse reale, la molteplicità dovrebbe essere altrettanto reale e non ci dovrebbe
essere alcun testo che dimostri la loro irrealtà. ma, in effetti, vi è un testo che dice: «Quaggiù non
esiste alcuna diversità...» (Katha up.: II, IV, 11). quest'affermazione ha lo scopo di negare,
appunto, la dualità. Perciò la creazione, immaginata come un aiuto per la comprensione della non-
dualità, è altrettanto non reale quanto il dialogo di prana (III, 15) 126 . E questo modo di vedere è
ancora confermato dall'uso della parola maya che implica la non realtà (della nascita) nelle
seguenti citazioni: «Indra, per mezzo di maya ha assunto forme multiple» (Brhadaranyaka up.: II,
V, 19).
Obiezione: Il termine maya denota la conoscenza.
Risposta: Ciò è vero, ma la parola maya è usata per indicare la conoscenza sensoriale che è di
ordine relativo (fallace) così mayabhih (nella Brhadaranyaka up.: II, V, 19) significa «per mezzo
della conoscenza sensoriale», la quale è illusoria, come è provato dai testi vedici: «Benché non
nato, l'atman appare esser nato sotto forme multiple». Perciò, certamente, è per mezzo della maya
che l'atman sembra nascere. La parola tu (certamente), nella kårikå, viene adoperata per dare
maggior enfasi (al concetto) volendo indicare «certamente, per mezzo di maya». D'altra parte lo
stato senza nascita e lo stato di nascita non possono essere attribuiti ad un solo ed unico ente più di
quanto il fuoco non possa essere, allo stesso tempo, caldo e freddo. Inoltre, alcuni passi della sruti
quali il seguente: «Come potrebbero ancora esistere la confusione e la sofferenza quando si
realizza l'Uno-senza-secondo?» (Isa up.: 7), dimostrano che la conoscenza dell'unicità dell'atman
è, con esclusione di ogni altro dato, la vera conclusione della sruti riguardo ai risultati che essa
porta al conoscitore. Ancora, questo punto di vista della pluralità, implicita nella creazione, è
considerato in passi della sruti quali: «Va di morte in morte colui che vede qui la molteplicità»
(Katha up.: II, IV, 11).

25. Con la confutazione (dell'adorazione) di sambhuti viene negata la nascita. Nel testo: «Chi lo
produce?» viene esclusa ogni causa di nascita.
La creazione viene negata a causa della confutazione dell'adorazione dell'Uno maestoso, come nel
testo: «Entrano in spesse tenebre coloro i quali adorano sambhuti» (Isa up.: 12). D'altra parte, se
sambhuti((Hiranyagarbha) fosse assolutamente reale, una disapprovazione in termini così

                                                             
126  Lasruti ha descritto metaforicamente la contesa tra prana e gli organi sensori per dimostrare la superiorità del
primo sui secondi; così la stessa sruti ha descritto l'unità dell'atman e la molteplicità per dimostrare la superiorità del
primo. 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

categorici non sarebbe ragionevole127.


Obiezione: Qui la disapprovazione di sambhuti ha come scopo il porre sul medesimo piano
sambhuti e vinasa, come avviene nel passo seguente: «S'impigliano in cieche tenebre coloro che si
lasciano guidare dalla non conoscenza (avidya)». (Isa up.: 9)128.
Risposta: In effetti, è vero che la disapprovazione della meditazione su Hiranyagarbha ha lo scopo
di mettere sul medesimo piano la meditazione sulla Divinità - cioè Hiranyagarbha - e i riti ai quali
ci si riferisce con la parola vinasa, però come i riti, chiamati vinasa, vengono fatti per trascendere
la morte - consistente nelle tendenze naturali generate dall'ignoranza - così pure l'assimilazione
della meditazione ai riti sugli Dei, che viene condotta per la purificazione della mente, costituita
da un duplice slancio (di fini e mezzi) nel quale si trasformano gli impulsi creati dal desiderio per i
frutti dell'azione, è consigliata per condurre oltre la morte. Solo così un uomo sarà santificato
dall'impurità della morte, caratterizzata da tale duplice slancio. Perciò questa avidya, associata alla
meditazione sugli Dei e ai riti, tende a condurre oltre la morte. Quindi, la conoscenza dell'unità del
Sé supremo sorge inevitabilmente in chi è distaccato dal mondo, impegnato nella verità delle
Upani@ad e che va al di là della morte, la quale non è altro che (una forma di) avidya qualificata
dal duplice slancio. Così, la conoscenza di Brahman, che è il mezzo per raggiungere l'immortalità
ed è (dal punto di vista empirico) susseguente allo stato d'ignoranza rapportato a una stessa
persona (che ancora vive nell'ignoranza), è momentaneamente posta sul medesimo piano
dell'ignoranza. Conseguentemente, poiché l'adorazione di Hiranyagarbha ha il fine di servire uno
scopo diverso da quello della conoscenza di Brahman che conduce all'immortalità, la negazione di
Hiranyagarbha non viene utilizzata che per pronunciare la sua condanna perché non ha
un'influenza diretta sulla realizzazione, per quanto sia un mezzo di purificazione.
Dunque, dalla disapprovazione dell'adorazione di sambhuti o Hiranyagarbha ne consegue che
Esso ha soltanto un'esistenza relativa, per cui la creazione, (simbolizzata da Hiranyagarbha e)
chiamata (dal punto di vista empirico) immortalità, viene negata se ci si pone dalla prospettiva
dell'assoluta unità del Sé.
Posto così il problema: «Kah nu enam janayet: chi davvero sarebbe in grado di provocare la
venuta in esistenza del jiva?» (Brhadaranyaka up.: III, IX, 28, sloka 7). Solo la maya può far
apparire come creatura il jiva, il quale, non appena l'ignoranza viene sradicata, riacquista la sua
natura originaria (brahmanica); nessuno potrebbe nuovamente creare un serpente sovrapposto alla
corda dopo che questo è stato rimosso dal potere della discriminazione.
Le due parole kah nu (chi davvero?) del testo, dato che rivestono la forma interrogativa-negativa,
confutano karanam pratisidhyate: la nozione di causalità.
La presente kårikå dimostra che non può esservi causa per un dato la cui nascita appaia tramite la
magia dell'ignoranza. Ciò è anche in armonia col seguente testo vedico: «Questo atman non nasce
e non muore, non proviene da nessuna parte, non diviene qualcosa. Non nato, costante, eterno,

                                                             
127  Bhuti o aisvarya significa potere e sambhuti colui che possiede questo potere. Il principio che risponde a
Hiranyagarbha (il germe d'oro) iene designato sambhuti in quanto costituisce la matrice di ogni irradiazione
universale. Nel contesto Vedanta, con tale principio viene indicata la totalità dei corpi sottili. 
128  Il testo dell'Isa Upani@ad è questo: «S'impigliano in cieche tenebre coloro che si lasciano guidare dalla non

conoscenza. Altrettanto s'impigliano nell'oscurità più profonda coloro che sono attratti dalla conoscenza.». 
 
96 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

questo (Essere) Antico non è ucciso quanto il corpo viene ucciso» (Katha up.: I, II, 18)129.
26. Data la natura inafferrabile (del Brahman), il passo della sruti: «Questo Sé è ciò che è stato
descritto come non questo, non questo» nega tutte le idee (dualiste) che cercano di descrivere
(Brahman). Perciò l'atman è senza nascita e si autosvela.
L'Upani@ad, affermando che il Sé - presentato per mezzo di una negazione di tutti gli attributi con
le parole: «Non questo, non questo» (Brhadaranyaka up.: II, III, 6) - è difficile da comprendere,
tenta di definire questo atman con altri mezzi e poi confuta tutto ciò che precedentemente era stato
descritto (come mezzo per accedere all'atman). Dichiarando: «Questo è quel Brahman descritto
come non questo, non questo» (Brhadaranyaka up.: III, IX, 26) dimostra la natura incomprensibile
dell'atman e confuta l'idea che esso possa essere capito dalla mente. Coloro (si riferisce agli
esponenti del Nyaya) che non vedono che i mezzi (ritenuti idonei per la realizzazione dell'atman)
non hanno che un solo scopo, cioè il riconoscimento del fine, ma commettono un errore quando
pensano che il mezzo suggerito abbia la medesima realtà del fine (da raggiungere). Per evitare
questo errore, la sruti nega la realtà del mezzo adducendo come ragione l'incomprensibilità (del
Sé). Come risultato, la realtà dell'atman, che si estende a tutto ciò che è all'esterno e all'interno ed
è ajam: senza nascita, prakasate: si svela da se stessa a colui che comprende che i mezzi servono
solo al conseguimento del fine e che il fine (atman) ha sempre la stessa natura immutabile (in altri
termini, non bisogna scambiare il mezzo per il fine).
E' così che, in centinaia di passi, i testi vedici proclamano, come conclusione, che l'atman, il quale
esiste contemporaneamente all'interno e all'esterno e che è senza nascita, è l'Uno-senza-secondo e
che all'infuori del Sé non esiste alcunché130. Ora, si dice che queste affermazioni sono convalidate
dalla ragione.

27. La nascita di un dato che già esiste può ragionevolmente essere possibile solo tramite la
maya e non in senso reale. Chiunque crede che le cose nascano in senso reale, può riferirsi solo
alla nascita di ciò che è già nato.
Si avrebbe il diritto di ritenere che se la realtà, cioè il Sé, fosse eternamente incomprensibile, essa
sarebbe non esistente.
Questo modo di vedere non sarebbe corretto, perché l'effetto è percepibile. Come gli effetti, cioè
la creazione (di nuovi dati), sono opera mayaya: della proiezione di un mago, il quale esiste
realmente, così la percezione degli effetti - sotto forma dell'universo creato - ci porta ad inferire
l'esistenza dell'atman, Realtà suprema, il quale, in qualche modo è come il mago, il sostrato della
                                                             
129 Per ulteriori chiarimenti sull'interpretazione dei termini conoscenza e ignoranza, che si trovano nell'Isa upanisad, si
rimanda allo studio del commento di Raphael relativo all'Isa in cinque Upani@ad (Ibid.). 
130
La Brhadaranyaka upanisad (II, III, 1) afferma: «Vi sono, in verità, due aspetti del Brahman, l'uno formale e
l'altro informale; l'uno mortale e l'altro immortale; l'uno mobile e l'altro immobile...»>.
Ciò implica, anche secondo altre dichiarazioni della sruti, che Brahman può essere supremo, senza attributi, senza
tempo-spazio-causa, oppure non supremo, con attributi o qualificazioni sovrapposte. A quei discepoli che non hanno
ancora la capacità di immettersi nell'informale incausato, si consiglia di meditare sul Brahman formale, più accessibile
alle loro menti. Ma il non supremo è solo un'immagine mayahica del Reale, non il Reale in sé.
Così, analogicamente parlando, si ha l'energia informale indifferenziata e l'energia atomo formale, ma in effetti vi è
solo una realtà: l'energia. 
 
97 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

proiezione che noi percepiamo sotto forma dell'universo creato. La creazione universale non può
provenire che da una realtà, cioè da una causa esistente, come la produzione di effetti quali
l'elefante, ecc., suscitati dalla mente (deve necessariamente provenire da un mago-fachiro che
esiste)131.
Non si può sostenere, però, che l'atman senza nascita si trovi (ad un tratto) con una nascita reale.
(La presente kårikå) si presta ad un'altra interpretazione: come un ente realmente esistente, una
corda per esempio, ecc., non può che per mezzo di maya - e in realtà - trasformarsi in serpente,
ecc., così il reale e incomprensibile atman può apparire ai nostri occhi sotto forma di universo; ma
dal punto di vista della realtà, l'atman senza nascita (quindi eternamente esistente) non può avere
una nascita in senso reale. Il confutante, il quale afferma che l'atman non nato - Realtà suprema -
sia realmente nato sotto forma di universo, afferma implicitamente che il non-nato diventa nato;
una tale asserzione, però, rappresenta una contraddizione in termini.
Così, propugnando jatam: la nascita di ciò jayate: che è già nato, egli si trova in presenza di una
regressione all'infinito. Perciò viene affermato chela realtà, cioè l'atman, è senza nascita e per
sempre una.

28. Una non realtà non può nascere né come realtà né come maya; ad esempio, il figlio di una
donna sterile non può nascere né in modo reale né tramite maya.
Per coloro che pensano che tutto sia irreale, la creazione di una cosa inesistente no è possibile né
nella realtà né tramite maya, perché nell'esperienza empirica non si constata nulla di simile. Così
né in modo reale né tramite maya si è mai visto nascere un figlio da una donna sterile. Quindi la

                                                             
131  Si vuole sostenere che esiste solo l'effetto, negando quindi il Brahman. Ma l'effetto presuppone un cusa, così,
dall'effetto "proiezione" possiamo inferire la causa "sostrato". D'altra parte, se una Realtà è tale, come può venire
all'esistenza? Essa è già eterna esistenza. Se si vede qualcosa al di là di quell'esistenza ciò non può essere che un mero
riflesso. 
 
98 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

teoria della non esistenza (nichilismo assoluto) delle cose è in verità insostenibile132.
Come è, dunque, possibile che la realtà nasca tramite maya?
Ecco la Risposta:

29. Come nello stato di sogno la mente, tramite il movimento mayahico, presenta l'apparenza
della dualità, così nello stato di veglia la mente, tramite lo stesso movimento mayahico, sembra
produrre la dualità.
Come il serpente immaginato nella corda è reale quando è visto come corda, così manas: la mente
è reale quando è vista come il Sé, coscienza suprema.
Come nello stato svapne: di sogno la mente, tramite il movimento mayahico, appare duale, cioè
sotto forma di soggetto percipiente e oggetto percepito alla stregua del serpente che appare
distinto dalla corda, così jagrat: nello stato di veglia, manas: la mente, tramite il movimento di

                                                             
132
Una Realtà, se è tale, non può nascere perché essa vive ab aeterno; una non realtà non può nascere perché il
niente non può produrre qualcosa, un meno non può dare un più.
Come si può notare, Âaækara e Gauƒapåda on negano il mondo, non dicono che tutto è inesistente come il figlio di
una donna sterile o le corna di una lepre (teoria, questa, dei nichilisti); essi sostengono, invece, che il mondo
sensoriale è un semplice fenomeno che appare per opera della maya. L'Advaita-asparsa, allora, insegna la filosofia del
fenomenismo? Tutt'altro. Il fenomenismo filosofico nega ogni realtà alla cosa in sé, alla sostanza in quanto realtà
stabile, e non ammette nulla di reale fuori del fenomeno. Esso considera persino la categoria del soggetto, cui si
attribuiscono le qualità, come un semplice aggregato di altre qualità fenomeniche; in altri termini, anche il soggetto è
un fenomeno. Il fenomenico postula, contraddittoriamente, un relativismo assolutistico.
Sempre da un punto di vista filosofico, un fenomeno può essere inteso come "apparenza", vale a dire come la
manifestazione di un'esistenza invisibile e permanente; come una semplice "rappresentazione", cioè l'apparizione
stessa è senza alcuna esistenza sottostante; e come "cangiamento", nel senso di ciò che comincia ad essere per cessare
di essere, quindi esso costituisce il processo del divenire.
Kant adopera la parola fenomeno nel senso di "apparenza" che nasce dall'intuizione sensibile e dietro la quale sta
qualche cosa che esiste in sé, e che, in quanto oggetto di una possibile intuizione puramente intellettiva, si può
chiamare noumeno. Così, il fenomeno (parvenza, apparenza), per Kant, è contrapposto al Noumeno (Realtà in sé, cos
in sé).
L'advaita, per la sua particolare posizione filosofica, si pone il problema della realtà ultima delle cose, il dato
dell'Assoluto in quanto tale; il suo compito è di trovare in tutte le antinomie della dialettica le contraddizioni le
antitesi della vita oggettiva e soggettiva, l'universalmente valido, l'invariante, il costante, il «ciò che è» nella sua
assolutezza.
Affermare che ciò che appare e scompare, ciò che è e non è - quindi sostenere che la "materia" appare, evolve e
scompare - debba considerarsi una realtà assoluta, significa non vedere, significa voler rifiutare la certezza della
relatività dello stesso io. Asserire che l'universo empirico debba costituire la costante, il «ciò che è», l'universalmente
valido significa non voler arrendersi alla stessa evidenza, vuol dire voler disconoscere un puro assioma.
Se dunque, si domanda l'Asparsa-advaita, l'universo fenomenico non costituisce la "costante", allora che cosa si sta
percependo e che cosa esso rappresenta di fronte alla Realtà ultima? Fenomeno, per l'asparsa, è sinonimo di apparenza
(non di illusione-niente) dietro cui soggiace la Realtà-costante e a cui vanno ricollegati tutti i vari sistemi di
coordinate esistenziali.
Fenomeno è, ancora per l'asparsa, sinonimo di "movimento conformato apparente"; apparente, naturalmente, dal
punto di vista della Costante. 
 
99 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

maya, appare duplice133.

30. Non vi è alcun dubbio che nel sogno la mente, per quanto una, appaia duale (soggetto-
oggetto); così, nello stato di veglia la mente, per quanto una, appare scissa.
Non vi è dubbio che il serpente è identico alla corda, come manas: la mente è advayam: senza
secondo e identica al Sé, per quanto svapne: nel sogno essa appaia duale. Durante il sogno, gli
oggetti che vengono percepiti, per esempio elefanti, ecc., e i mezzi di percezione, per esempio,
occhi ecc., non hanno un'esperienza indipendente dalla coscienza. Nello stato di veglia il caso è
analogo perché nei due stati vi è solo la coscienza suprema reale e una.
E' stato detto precedentemente che, come avviene con la corda-serpente, è solo la mente ad
apparire in quanto dualità, ma dov'è la prova? Il testo propone dimostrazioni sostenute da
un'inferenza che osserva il principio delle variazioni concomitanti134.

31. Questa molteplicità - compreso ciò che si muove e ciò che non si muove - percepita dalla
mente, è sempre rappresentata dalla stessa mente perché la dualità non viene più percepita
quando la mente cessa di operare.
«Idam dvaitam manodrsyam: questa dualità, percepita dalla mente, non è altro che la stessa
mente».
Indichiamo ora la ragione da cui procede l'inferenza: la dualità viene percepita finché agisce la
mente e, come il serpente svanisce nella corda, così essa svanisce quando la mente cessa di agire
(quando il pensiero si risolve nel suo sostrato, la mente). Quando invece vi è conoscenza acquisita
per mezzo della discriminazione, degli esercizi ripetuti e della rinuncia, o quando la mente entra
nella condizione di sonno profondo la dualità non viene più percepita. Di conseguenza, data la non
esistenza della dualità, s'inferisce che essa è non reale. La mente come viene ridotta al silenzio?
Ecco la Risposta:

32. Quando la mente - come conseguenza della realizzazione della verità, che è il Sé - non pensa
più, cessa di essere mente e, nell'assenza di cose da percepire, diviene non percipiente.
Come l'argilla, la verità, cioè l'atman, è la sola realtà, secondo l'affermazione del testo vedico:
«Tutte le modificazioni sono semplicemente distinzioni di nomi; solo l'argilla è reale>
                                                             
133  Nello stato di sogno il soggetto, l'oggetto e la conoscenza di relazione appaiono distinti e contrapposti, però nello
stato di veglia si può riconoscere che quei tre aspetti non sono altro che la mente, la quale è unica e sola. Così, al
livello di veglia si ha lo stesso fenomeno di separare e rendere multiplo quello che, invece, è un'unità senza nascita e
morte. Il serpente che sembra distinto dalla corda non è che la corda vista sotto certe prospettive; quindi, il serpente
non è uscito dalla corda per avere una sua realtà autonoma e assoluta. L'atomo non è altro che energia, vista sotto
certe angolazioni, ed esso non è mai uscito dalla realtà energia. L'errore fondamentale è credere che l'atomo sia
distinto dall'energia sì da avere una sua realtà autonoma, intrinseca, a sé; l'atomo non è puro nulla, ma un semplice
fenomeno. 
134  Questo metodo, che porta il nome tecnico di bhagatyaga-laksana, permette di scoprire l'invariante discriminando

ciò che è variante. Riconoscendo i fattori mutevoli, e scartandoli, si libera l'elemento che non è soggetto a
cambiamento. 
 
100 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

(Chandogya up.: VI, I, 4). La realizzazione della realtà dell'atman è prospettata dalle istruzioni
delle Scritture e del Maestro e la mente, pervenuta a queste realizzazioni, cessa di pensare perché
non c'è più nulla a cui pensare; quindi essa diviene come il fuoco che non arde più per mancanza
di combustibile; inoltre, in questa condizione la mente cessa persino di essere mente e, per
mancanza di oggetti da conoscere, si libera da qualsiasi cognizione.
Se la dualità è non reale, come si realizza la conoscenza del Sé? Ecco la Risposta:

33. La conoscenza non concettuale, che è senza nascita, non è diversa dal conoscibile. Brahman
eterno e non-nato, è allora l'unico oggetto di conoscenza; così, solo il non-nato conosce il non-
nato.
I conoscitori di Brahman descrivono la conoscenza, che è priva di ogni immaginazione e perciò
ajam: senza nascita, come non differente in nulla dal conoscibile identificato con il Brahman, la
realtà assoluta.
Ciò è anche sostenuto dai Veda in passi quali: «La conoscenza non sfugge al Conoscitore»
(Brhadaranyaka up.: IV, III, 30) come il calore non può sfuggire al fuoco; «Brahman è conoscenza
e beatitudine...» (Brhadaranyaka up.: III, IX, 28, sloka 7); «Brahman è realtà, conoscenza e
infinito» (Taittiriya up.: II, I, 1). La frase Brahman jneyam significa che il contenuto di quella
conoscenza non differisce da Brahman, come il calore non differisce dal fuoco.
L'essenza del sé, cioè l'oggetto della conoscenza, non conosce realmente se stesso che per mezzo
di una conoscenza innata la cui natura è quella dell'atman. Brahman, che è come un'unità
omogenea di eterna coscienza, non trae la sua propria conoscenza da alcuno strumento estraneo,
alla stregua del sole che, avendo una luce costante, non ha bisogno di nessuno strumento per
illuminarsi135.
E' stato detto precedentemente che la mente, liberata da ogni immaginazione - conseguenza della
conoscenza della verità, che è poi Brahman - diviene pacificata, tranquilla e ritirata dal momento
che sono venuti meno tutti i sostegni, come il fuoco che non ha più combustibile. Si è concluso,
inoltre, che la molteplicità sparisce quando la mente cessa di operare.

34. Si deve conoscere il comportamento chela mente adotta quando è pacificata, cioè quando è
libera da ogni immaginazione ed è dotata di discriminazione. La condizione della mente nel
sonno profondo è di tutt'altra natura e non può essere paragonata alla precedente.
Gli yogi, in particolare, devono osservare il comportamento di manasah: la mente adotta quando
viene pacificata, quando è esente da ogni immaginazione e è capace di discriminazione.
Obiezione: Nell'assenza di ogni possibile consapevolezza, la mente, nello stato di sonno profondo,
si comporta esattamente allo stesso modo della mente pacificata. Che cosa si potrebbe ancora
osservare quando manca la consapevolezza?
Risposta: La vostra osservazione non è valida perché il comportamento della mente susupte:
                                                             
135  Il
conoscitore, la conoscenza e il conosciuto non sono altro che un unità e quest'unità è Brahman che, appunto, si
conosce da se stesso e per se stesso. 
 
101 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

durante il sonno profondo è diverso, essendo essa sotto il velo della maya e dominata ancora dalle
tendenze latenti che sono i semi di ulteriori errate azioni.
Il comportamento della mente pacificata è, dunque, diverso perché l'ignoranza, che produce quelle
attività negative, è stata distrutta dal fuoco della realizzazione del Sé; quindi, è stata rimossa la
causa di tutte le afflizioni; pertanto le due condizioni (mente di sonno profondo e mente conscia
silenziosa) non sono identiche. Questa distinzione è bene conoscerla, ed è ciò che la presente
kårikå cerca di mettere in evidenza136.
Si indica ora la ragione che giustifica la differenza di comportamento che è stata appena stabilita
(tra la mente di un dormiente e quella di un asparsin).

35. La mente si assopisce durante il sonno profondo, mentre ciò non avviene quando è stata
pacificata. La mente (di un asparsin) diviene identica al Brahman, esente da paura e dotata della
luce onnipervadente della conoscenza.
Nella condizione susupte: di sonno profondo la mente, portando con sé tutte le sue tendenze e
impressioni che sono i semi delle sue esperienze nello stato d'ignoranza, ritorna allo stato seminale
o virtuale caratterizzato dall'indifferenziazione dovuta all'oscurità, mentre quando è pacificata
dalla conoscenza che sorge dalla discriminazione, la mente (di un asparsin) non ritira in se stessa
tutte le attività: cioè non si riassorbe nella condizione oscura della virtualità; quindi, la mente del
dormiente, che entra nel sonno profondo e quella di un asparsin, perfettamente pacificata, non
sono identiche. quando la mente si libera da tutte le idee di soggetto-oggetto, create dall'ignoranza,
si realizza come Brahman supremo, non-duale, e si emancipa da ogni timore, perché in questo
stato non vi è percezione di dualità che generi inquietudine (Brhadaranyaka up.: I, IV, 2).
Brahman è quell'entità quiescente e senza paura, conoscendo la quale non si ha più timore di nulla
(Taittiriya up.: II, IX, 1).
L'idea può avere ancora questo sviluppo: jnana significa conoscenza, vale a dire coscienza, che è
la natura stessa dell'atman, e Brahman, che ha quella conoscenza come suo alokah: luce
                                                             
136
Occorre distinguere due posizioni d coscienza che apparentemente potrebbero sembrare identiche; l'una è riferita
al samadhi yogico, comunemente inteso, e l'altra alla mente-coscienza dell'asparsin.
Molti yogi tentano di raggiungere, tramite particolari esercizi fisici o psichici, il prajna-samadhi, facendo sgusciare la
loro coscienza fuori dei veicoli grossolano e sottile stabilizzandosi in prajna o nel proprio stato germinale-noumenico.
Questo tipo di samadhi, per quanto elevato, non risolve completamente il problema della liberazione integrale perché
non avendo, appunto, bruciato i ceppi della stessa ignoranza che dimorano proprio in prajna, questi yogi sono costretti
a ritornare sul piano sottile e grossolano esperimentando la dualità-conflitto; in altri termini, attuano solo una fuga dal
mondo duale percettivo, senza risolvere il problema dell'avidya. Ad un livello inferiore ciò rappresenta la condizione
di molti medium che entrano in trance, senza per questo aver realizzato la Liberazione. L'asparsin, invece, con la
spada della discriminazione-discernimento o Conoscenza, avendo distrutto i semi della stessa ignoranza-avidya
(l'illusione della dualità) a livello germinale, consegue lo stato di mente pacificata. E questo stato pacificato e di
beatitudine non riguarda una delle tre condizioni esistenziali (visva, taijasa o prajna), ma tutte le condizioni.
Dell'asparsin si dice, allora, che il suo samadhi è ad «occhi aperti», perché anche a livello di visva vede Brahman e
solo Brahman. Si può ancora dire che alcuni yogi inibiscono soltanto le loro vrtti mentali, senza trascendere lo stato
subconscio, al contrario dell'asparsin, che, com'è stato detto, tramite il discernimento superconscio perviene alla
Realtà, realizzandosi, quindi, Realtà senza secondo.
 
 
102 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

(espressiva), è jnanalokam: luce di conoscenza. Ciò implica che Brahman è unità di coscienza, la
quale, simile allo spazio-etere, è onnipervadente.

36. Brahman è senza nascita, senza sonno e senza sogno, senza nome e senza forma, eternamente
risplendente e onnisciente. Nessun'azione rituale può mai essere esercitata (in riferimento al
Brahman).
Brahman è senza causa, quindi senza nascita; è allo stesso tempo all'interno e all'esterno. Abbiamo
detto che la nascita è causata dall'ignoranza, come nel caso della corda scambiata per serpente, e
quest'ignoranza ha termine quando, secondo l'insegnamento (della non-dualità), si realizza la
realtà dell'atman. siccome Brahman è senza nascita, di conseguenza è anidram: senza sonno,
perché questo è maya senza inizio, sonno caratterizzato dall'ignoranza. E, ancora, poiché è sempre
sveglio nella sua natura non-duale, esso è affrancato dal sonno e, altresì, dal sogno 137 . Dal
momento che il suo nome e la sua forma sono una creazione dell'avidya e si risolvono al tocco del
risveglio conoscitivo, come avviene con l'illusione del serpente, esso non può essere nominato, né
descritto sotto nessuna forma. Così abbiamo che Brahman è anamakam arupakam: senza nome e
senza forma, come viene confermato in alcuni passi della sruti; per esempio: «Da cui recedono le
parole» (Taittiriya up.: II, IV, 1 - II, IX, 1). Del resto, esso è sakrt vibhatam: sempre risplendente,
cioè è della natura stessa della luce perché è esente da ogni aspetto di manifestazione e non
manifestazione, i quali sono caratterizzati dalla percezione errata o dalla non percezione. la
percezione errata e la non percezione sono (fra esse) come il giorno e la notte, e l'oscurità è la
caratteristica propria dell'ignoranza: ecco quali sono le cause della non manifestazione, e tutte
queste cause non esistono nell'atman 138 . Inoltre, il Sé ha sempre la natura della luce che è eterna
coscienza; di conseguenza è logico dedurre che esso sia costantemente risplendente e sarvajnam:
onnisciente.
Per la realizzazione di un tale Brahman, (al discepolo) non può essere indicata nessuna azione
(rituale), contrariamente ad altri (discepoli) i quali debbono esercitare la concentrazione, ecc.
(La kårikå si propone così di dimostrare che) dopo la distruzione dell'ignoranza non è più possibile
prescrivere alcuna pratica (per la realizzazione di Brahman) poiché Brahman è perennemente
puro, intelligente e libero139.
ora viene spiegata la ragione per la quale (Brahman) è definito senza nome, ecc. secondo la
                                                             
137
Il sonno profondo o torpore (nidra) è la radice dell'avidya, per cui lo stato conseguente di sogno (svapna) è
caratterizzato dalla conoscenza erronea degli oggetti. Brahman è al di là sia di svapna che di nidra perché è al di là di
ogni causalità.
Come si è già visto, realizzando il samadhi sul piano del sonno profondo o prajna, si è di fronte all'avidya, anzi si è sul
piano in cui essa nasce. 
138
Prajna-sonno profondo è lo stato latente, in potenza, non ancora manifesto, mente taijasa e visva costituiscono il
manifesto sottile e grossolano. Così, anche questa coppia di opposti, come quella di non-conoscenza e conoscenza
erronea o empirica, appartiene al mondo dell'avidya.
 
139 Se Brahman è incausato, senza nome e senza forma, allora non ci si può accostare ad esso con nessun atto o azione
che implichi personificazione di qualcosa. Alla Realtà ci si avvicina eliminando semplicemente il velo oscurante che
la nasconde. Ogni atto, azione, pratica yogica, rituale, ecc., può servire solo come mezzo preparatorio e di
purificazione della mente, ma dopo la Realizzazione non rimane più altro da fare. 
 
103 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

descrizione precedente.

37. L'atman è libero da ogni espressione verbale e da ogni operazione mentale. E' supremamente
sereno, eterno splendore, divino assorbimento, immutabile e senza paura.
La parola abhilapah, che significa «espressione», indica qui lo strumento per mezzo del quale
sono generati tutti i suoni, ma Brahman è sarvabhilapavigatah: al di là della parola e dell'organo
della parola. L'atman trascende tutti gli organi esterni dei sensi e tutte le attività dell'organo
interno (antahkarana), vale a dire del mentale; la parola cinta, del testo, si riferisce al mentale, cioè
all'organo interno del pensiero, perché la sruti afferma: «In verità il Purusa è senza prana, senza
mente, puro e al di là dell'imperituro » (Mundaka up.: II, II, 2). Essendo privo di tutti gli oggetti
esso è suprasantah: assolutamente tranquillo, è sakrjjyotih: luce eterna; in altri termini, l'atman è
della natura della coscienza, realizzabile per mezzo dell'intuizione che sorge dal più profondo
samadhi o divino assorbimento 140 . Oppure è ancora indicato col termine samadhi perché esso è
oggetto di contemplazione immutabile, ed essendo senza movimento, è senza paura.
Dato che Brahman è stato descritto in quanto samadhi senza movimento e privo di timore, adesso
viene detto:

38. Quando la mente cessa di operare non vi è più niente che possa essere accettato rifiutato, per
cui la conoscenza si risolve nell'atman senza nascita e senza cambiamento.
In Brahman, non vi è più nulla da acettare e nulla da rifiutare, perché l'accettare e il rifiutare sono
possibili solo dove esiste mutamento o possibilità di mutamento, ma queste due ipotesi sono
entrambe escluse nei confronti di Brahman sia perché in esso nulla vive che possa causare un
mutamento, sia perché è senza parti; perciò in Brahman non è possibile accettare o rifiutare
qualche cosa. Come si potrebbe avere accettazione o rifiuto quando la mente, con la sua attività
(duale), non esiste più? Quando (a seguito di un tale stato) sorge la consapevolezza della realtà del
sé, allora la conoscenza, per mancanza di oggetti (da conoscere), si onde con l'atman, come il
calore del fuoco (nell'assenza di combustibile) si riassorbe nel fuoco. Dunque, Esso è ajati: senza
nascita e gatam samatam: armonizzato. Ecco la conclusione ultima sorretta, allo stesso tempo, dal
ragionamento e dall'autorità delle Scritture, e altresì la conferma alla premessa fatta in precedenza:
«Ora io parlerò di Quello esente da limitazioni, non nato e sempre nello stato di equilibrio...»(III,
2).
Qualsiasi altra cosa che non sia la realizzazione dell'atman è soggetta a conflitto-infelicità, come
viene dichiarato nel testo vedico: «Oh Gargi, colui che parte da questo mondo senza conoscere
tale Indefettibile sarà infelice» (Brhadaranyaka up.: III, VIII, 10).
La deduzione, quindi, è questa: comprendendo tutto ciò si diviene un brahmana (conoscitore del
Brahman) e tutti i doveri vengono adempiuti.
                                                             
140  Il samadhi dell'asparsin avviene quando questi crea l'Identità con Brahman-nirguna. Quando egli risolve la
triplicità: soggetto conoscente, conoscenza e oggetto conosciuto nell'Unità onnipervadente, allora si trova nel vero
samadhi, il quale è conoscenza di identità. per l'asparsin conoscere è essere. Ciò implica che lo studio, la
comprensione e l'assimilazione di questo testo upanishadico portano al più alto samdhi che si conosca: quello
nirvikalpa o nirguna. 
 
104 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Per quanto la Realtà suprema sia tale, tuttavia:

39. Questo yoga, che viene denominato "asparsa" (senza alcun contatto), è difficile da
comprendere per molti yogi perché essi, che sentono la paura laddove non esiste, ne hanno
timore.
Asparsa yogah nama: questo è conosciuto come lo yoga senza contatto o sostegno poiché non ha
relazione (con qualcosa), non è, quindi, in contatto con niente. Comunque esso viene descritto
nelle Upani@ad. Uno yoga di questo genere è difficilmente accessibile agli yogi sprovvisti della
vera conoscenza delle Upani@ad. L'idea è che questa verità può essere realizzata solo a seguito di
uno slancio il cui coronamento rappresenti la consapevolezza dell'atman in quanto Realtà una.
Yoginah bhayadarsinah abhaye asmat bibhyati: gli yogi hanno paura (di tale yoga) mentre non ne
dovrebbero avere; i non discriminanti temono, praticando questo yoga, l'estinzione della loro
individualità, per quanto (tale yoga) sia al di là di ogni timore141.
Coloro che ritengono la mente e gli organi sensori come un serpente sovrapposto alla corda,
quindi senza alcuna realtà indipendente da Brahman, creano l'identità con Brahman, senza alcun
timore, godendo in modo naturale la pace eterna, chiamata emancipazione, la quale no dipende da
alcun altro fattore, secondo la nostra affermazione: «Nessuna azione... Può mai essere
esercitata...»(III, 36).
Ma gli altri yogi che sperimentano il sentiero (che conduce alla verità), che sono dotati di un
intelletto inferiore o semicapace e che considerano la mente distinta dall'atman, per quanto
                                                             
141
Il termine yoga significa unione la quale implica rapporto e contatto di due dati; si può parlare, dunque, di yoga
nel casi che si voglia porre l'accento sul principio di relazione, m con l'asparsa (non contatto,,non relazione) fino a che
punto si può parlare di yoga? Gauƒapåda ha dato a questo suo insegnamento il nome di yoga inteso nel senso di
semplice sådhanå, di procedimento basato sul discernimento intuitivo della verità.
L'asparsa yoga, inoltre, occorre ricordarlo, non costituisce un insegnamento extra tradizionale o individualista, esso è
l'essenza delle Upani@ad e della Må…ƒ¥kya in particolare. La più alta realizzazione upanishadica è di ordine asparsa
perché svela il Brahman nirguna senza attributi, incausato, senza sostegno o contatto. Nessuna disciplina di ordine
empirico-relativo potrà mai svelare l'assoluto Brahman perché l'Assoluto, come già si è detto, non può rappresentare il
culmine di uno sforzo, di esercizi, di formule meccaniche, di riti, e così via, per quanto questi mezzi abbiano il loro
valore a certi livelli della sådhanå. Così ogni realtà empirica non evolve verso l'Assoluto perché, diversamente, questo
rimarebbe determinato e condizionato da quella. Brahman si svela nell'autocomprensione, nella stessa consapevolezza
di essere, nel riconoscimento immediato della realtà che siamo noi stessi, nella soluzione di ogni realtà empirica.
I vari tipi di yoga classici possono portare a grandi mete spirituali e a profondi samadhi, ma si fermano nell'infra-
universale, nell'infranaturale, duale o principale; l'asparsa yoga, invece, vola verso le cime incontaminate dell'assoluto
Brahman nirguna privo di qualunque relazione, contatto e sostegno. Brahman è uno-senza-secondo perché la realtà
non può non essere una e incondizionata, e tutte le espressioni empiriche non sono altro che aspetti vari dell'illusione-
maya. L'asparsa yoga sostiene che le verità empiriche non evolvono verso qualche cosa, ma, invece, spariscono come
per incanto allo sbocciare della conoscenza dell'atman. Così, la sådhanå di questo yoga può consistere solo in quello
che si può definire risveglio. Questa Upani@ad, infatti, cerca di risvegliare la coscienza del dormiente.
Che pochi siano adatti a questo tipo di yoga, in cui vengono a mancare tutti i sostegni, non v'è dubbio, ma è anche
vero che le più alte vette realizzative dell'essere implicano ardire, doti eccezionali, fermezza, umiltà e sete di
conoscenza: caratteristiche alquanto rare nell'individuo comune, oberato da preconcetti di ogni tipo e da appoggi
compensativi consci e inconsci.
 
 
105 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

associata ad esso, per costoro che non possiedono la realizzazione del Sé, che è la realtà, (si
afferma):

40. Per tutti questi (che non seguono l'asparsa) la mancanza di timore, la distruzione
dell'infelicità, il risveglio (del Sé) e la pace eterna dipendono solo dalla disciplina mentale.
Per questi yogi la mancanza di timore e la rimozione dell'infelicità dipendono dalla semplice
disciplina della mente. Per le perone non discriminanti non vi può essere estinzione della
sofferenza, perché la mente, (considerata) collegata all'atman, ridiviene attiva. Inoltre, la loro
conoscenza del Sé dipende ancora dalla disciplina mentale e, parallelamente, la pace eterna,
indicata come moksa (Liberazione), dipende anche, nel loro caso, dalla disciplina mentale142.

41. La mente può essere dominata da uno sforzo incessante come quello che sarebbe necessario
per vuotare un oceano, goccia a goccia, con l'aiuto di un filo d'erba kusa.
Come un uomo (con grande pazienza) può sforzarsi di vuotare un oceano prosciugando le sue
acque goccia a goccia con l'aiuto di un filo d'erba kusa, così può dominare la mente con una
diligenza che non conosce né stanchezza né impazienza. E' solo la diligenza che non conosce
stanchezza il mezzo per calmare la mente? Rispondiamo in modo negativo.

42. Sia che la mente rimanga dispersiva a causa degli oggettivi desiderio o di godimento, oppure
che trovi la sua soddisfazione nel sonno, essa dev'essere riportata sotto controllo con l'impiego
dei mezzi appropriati, perché lo stato di sonno è altrettanto nocivo quanto lo stato di desiderio.
Con uno sforzo instancabile si devono seguire quei mezzi adeguati per concentrare la mente
sull'atman ogni volta che essa viene trascinata dagli oggetti del desiderio e del godimento.
La parola laya del testo indica susupti, vale a dire il sonno profondo in cui ogni cosa s'immerge.
Per quanto la mente nel sonno profondo sia suprasannam: molto quieta, tuttavia dev'essere
controllata. Se si chiedesse: «Se essa è totalmente in pace perché dovrebbe essere disciplinata?»,
la risposta sarebbe: «Perché lo stato di sonno è dannoso quanto il desiderio». L'idea implicita è
questa: come la mente, quando è occupata dagli oggetti di desiderio, dev'essere controllata, così
dev'essere controllata nello stato di sonno143.

                                                             
142  Moltiyogi pensano che la sofferenza dipenda dall'attività della mente distaccata dall'atman, per cui si applicano
solo ad inibire le vrtti o le varie modificazioni mentali. Fino a quando non si risolvono le istanze subconscie che
determinano quelle vrtti non si può pensare di trascendere la sofferenza, che, d'altra parte, può essere effettivamente
trascesa con la comprensione della causa della sofferenza. Ora, la causa della sofferenza è l'avidya e questa può essere
risolta con la conoscenza della natura dell'Essere. 
143
Vi sono, soprattutto, quattro ostacoli che is frappongono alla soluzione della mente: laya, tipo di samadhi
rispondente allo stato del sonno profondo (prajna); viksepa, dispersione di pensiero; raga, attaccamento ad una fase
della sådhanå e, infine, il godimento (bhoga) che si può accompagnare ad un successo temporaneo o ad un particolare
potere psichico.
Per l'asparsa yoga ogni tipo di samadhi, che rimanga nell'infraindividuale e universale, deve essere compreso,
dominato e trasceso perché, in fondo, è prodotto dalla sakti-mente che è maya. 
 
106 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

43. Si deve distogliere il pensiero dal godimento che proviene dal desiderio, ricordando
costantemente che ogni piacere è accompagnato da sofferenza. consapevoli in ogni istante del
non-nato, il nato (cioè la molteplicità) cesserà di essere percepito.
Qual è il mezzo per controllare la mente? Ecco la risposta: ricordando il fatto che ogni dualità,
causata dall'ignoranza, è duhkham: contaminata dalla sofferenza, si deve ritirare la mente dal
godimento proveniente dal desiderio, risolvendosi nel non attaccamento assoluto.
Comprendendo, per mezzo degli insegnamenti della Scrittura e dei Maestri (acarya), che sarvam:
tutto è realmente Brahman senza nascita, svanisce la percezione della molteplicità che si oppone
all'Uno-senza-secondo144.

44. Si deve risvegliare la mente che si trova nello stato di sonno profondo, si deve riportare alla
tranquillità la mente distratta, si deve riconoscere che (nello stato intermedio) la mente contiene
in se stessa virtualmente dei desideri. Non si deve disturbare, però, la mente armonica.
Quando la mente è sprofondata laye: nel sonno profondo, occorre svegliarla con la conoscenza e il
distacco, praticando la discriminazione che conduce alla conoscenza del Sé.
La parola citta del testo ha il medesimo significato di manas: mente, la quale dev'essere riportata
allo stato di tranquillità se è distratta dagli oggetti multipli del desiderio. Quando, con una pratica
incessante, la mente viene risvegliata dal sonno profondo e ritirata dagli oggetti senza essere
ancora incrollabilmente stabilita nell'equilibrio, quando rimane in uno stato intermedio, allora
bisogna convenire che essa è colorata da un impulso latente di desiderio, per cui deve essere
ricondotta alla quiete. Ma quando la mente diviene equilibrata, in altri termini, quando è sul punto
di realizzare questo stato, non la si deve disturbare con il riproporle oggetti esterni.

45. Non si deve godere felicità in quello stato ma, per mezzo della pratica della discriminazione,
si deve raggiungere il distacco. Quando la mente, che dimora in una condizione di stabilità
(armonia), è impulsata ad uscire (da simile condizione) si deve riportarla in se stessa.
Il ricercatore non deve assaporare la felicità che provano (alcuni) yogi (che hanno come fine solo
il samadhi), cioè non deve avere alcun attaccamento a tale felicità. che cosa deve dunque fare?
Distaccarsi usando prajnaya: la discriminazione. Deve dire: qualsiasi sensazione di felicità
sensoriale percepita proviene dall'ignoranza, quindi è non reale.
In ogni modo, dopo essere stata sottratta alla felicità e stabilizzata nello stato di serenità, se la
mente manifesta ancora una tendenza a riportarsi sugli oggetti (per molti subconsci) occorre
dominarla facendo uso dei mezzi descritti precedentemente e, con diligenza, fari assorbire
dall'atman; in altri termini, bisogna pervenire a realizzare lo stato di pura conoscenza-coscienza.

                                                             
144
Ogni movimento psichico contiene il germe del non compiuto. Se si vuole superare il divenire psichico ad ogni
livello esistenziale, divenire caratterizzato dalla dualità e quindi dalla distinzione, occorre comprendere che andando
non si arriva mai, per cui la compiutezza può svelarsi quando il jiva sognante si ferma e si risolve.
Ogni desiderio è un atto di non-compiutezza, e il desiderio si trascende con la sua cessazione.
 
 
107 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

46. Quando la mente non cade nel sonno profondo perdendosi, quando non si disperde (tra gli
oggetti), quando rimane senza moto e non proietta immagini sensorie, allora essa si risolve in
Brahman.
Quando la mente, posta sotto controllo con i metodi precedentemente accennati, non cade nel
sonno profondo perdendosi, né si disperde tra gli oggetti; quando essa, come la fiamma di una
lampada tenuta al riparo dal vento, rimane senza moto né appare più sotto forma di oggetto:
quando la mente assume tali caratteristiche, allora si realizza come Brahman145.

47. Questo (Brahman) che riposa in se stesso, è estinzione di ogni sofferenza, è inesprimibile, è
suprema beatitudine senza nascita, è identico al conoscibile non nato, è onnisciente.
La beatitudine summenzionata, che è la Realtà suprema e che caratterizza la conoscenza
dell'atman, è centrata nel Sé; essa è santam: completa serenità o, in altri termini, estinzione di
qualsiasi sofferenza. Essa è akathyam: indescrivibile, è uttama sukham: la più alta beatitudine,
essendo insuperabile e aperta alla visione dei veri yogi; è ajam: non-nata, dissimile dalla felicità
che proviene da percezioni empiriche. E poiché nella sua natura onnisciente è identica ajena: al
non-nato e jneyena: alla cosa da conoscere, paricaksate: la si chiama sarvajnam: onnisciente Uno,
il Brahman.
Tutte queste idee relative alla disciplina della mente, ecc. - secondo le quali quest'ultima si
svilupperebbe seguendo un processo paragonabile alla creazione delle forme tratte sia dall'oro che
dall'argilla - come quelle relative agli esercizi di devozione indicati in quanto mezzi di
realizzazione della verità ultima, non sono considerate supremamente vere in se stesse. la verità, in
riguardo alla realtà ultima, è:

48. Nessun jiva è mai nato, perché non esiste alcuna causa che possa produrne la nascita.
Questa è la suprema verità: nessuna cosa è mai nata.
Nessun jiva, in quanto agente o in quanto beneficiario dell'azione, jayate: è mai nato. Di
conseguenza, non esiste alcuna causa che sia in grado di produrre l'atman, il quale, per natura, è
senza nascita e senza secondo. In altri termini, nessun jiva è mai nato poiché non vi è una causa
che possa produrlo.
Di tutte le verità (relative), precedentemente descritte in quanto mezzi, etat: questa sola la verità
suprema: na kincit jayate: mai alcuna cosa è nata in questo Brahman o da questo Brahman, il

                                                             
145  Perl'asparsin la mente e gli organi sensoriali no sono altro che il serpente sovrapposto alla corda, quindi sono
Brahman visto sotto certe prospettive. così, quando si scopre che la mente non è che questo serpente illusorio, che a
sua volta produce illusione, allora la coscienza rientra in se stessa e la mente si risolve nel Brahman. Quindi, mentre
gli yogi del tipo classico prospettato da Patanjali cercano soltanto di inibire la mente con varie discipline, l'asparsin
risolve la stessa mente. 
 
108 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

quale costituisce uttaman satyam: l'ultima realtà146.

                                                             
146
Ogni disciplina che implichi rapporto, contatto e unione è caratterizzata dalla dualità, e la dualità, una volta
ammessa, non può essere risolta con nessuna pratica yogica empirica perché ogni tipo di azione parte da un
presupposto sbagliato; ciò che occorre, invece, è rimuovere proprio il presupposto.
Poiché la Realtà è non-duale, assoluta e incondizionata, la si può realizzare con il risveglio dal sonno velante di maya.
Il jiva non è mai nato perché è la stessa Realtà vista sotto certe prospettive. Se la Realtà è una senza secondo, vi sono,
come si è già accennato, aspetti vari della illusione-maya. Occorre risvegliarsi dal sonno sia della falsa realtà dei
sogni, sia della non meno erronea realtà della verità empirica. Se con il discernimento intuitivo si elimina la forma
immagine mayahica del jiva-serpente e di ogni possibile modalità proiettiva, Brahman appare d'un tratto nella sua
assoluta non-dualità. 
 
109 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

CAPITOLO QUARTO - ALATASANTI PRAKARANA

(Dell'estinzione del tizzone ardente)

La non-dualità, proposta come premessa quando è stato considerato il significato di OM, è stata
ritenuta vera; quindi, con l'aiuto delle Scritture e con lo stesso ragionamento, nel capitolo sulla
non-dualità è stato dimostrato chela differenziazione non è reale.
Da ciò si può concludere che la non-dualità «è la più alta verità»(III, 48). I realisti e i nichilisti si
oppongono a questo punto di vista, per quanto suffragato dalle Scritture. E' stato detto che la loro
filosofia è errata perché è influenzata dall'attaccamento alle loro proprie opinioni e perché si
contraddicono reciprocamente, mentre la filosofia advaita viene esaltata perché è scevra da simili
incongruenze.
Ora ha inizio il capitolo intitolato Alatasanti, l'estinzione del tizzone ardente, che ha lo scopo di
dimostrare come quelle filosofie (dei dualisti e dei nichilisti) siano parziali e contraddittorie, e di
concludere, con l'aiuto del metodo delle variazioni concomitanti, che la non-dualità è vera.
Il primo versetto dà il saluto al promulgatore della scuola della non-dualità, dà il saluto al
promulgatore della scuola della non-dualità, identificandolo con la non-dualità stessa. Il saluto al
proprio guru, all'inizio di un'opera, risponde al desiderio dell'autore di condurre la sua impresa a
buon fine.
1. M'inchino a quell'Uno che è il migliore fra gli uomini, il quale, per mezzo della sua
conoscenza, simile all'etere, che non differisce dall'oggetto del conoscere, ha realizzato i dharma
(jiva) paragonabili al cielo (infinito).
Akasakalpa, del testo, significa «somigliante allo spazio-etere». Così, jnanena akasakalpena vuol
dire «per mezzo di una conoscenza paragonabile allo spazio-etere». Quale può essere lo scopo di
una conoscenza che assomigli allo spazio-etere? Quella che permette di scoprire la natura dei
dharma. Qual'è la natura di questi dharma? Questi sono della natura del cielo (infinito). Vi è
un'altra definizione di questo conoscenza; essa è jneyabhinna: non differente dagli oggetti di
conoscenza, cioè i dharma non differiscono dall'atman, come il calore non differisce dal fuoco,
oppure come la luce non differisce dal sole147.
Saluto Lui, il Signore chiamato Narayana, il migliore tra gli esseri caratterizzati da due gambe,
cioè la suprema Persona fra tutte le altre denominate con la frase «due gambe»148.
                                                             
147  Il
conoscitore, la conoscenza e il conosciuto sono la stessa cosa. questi tre dati, presi separatamente, non possono
avere una loro intrinseca realtà perché, diversamente, verrebbero a mancare la connessione e il rapporto tra soggetto e
oggetto, tra conoscenza e soggetto di conoscenza, e così via. 
148
Si afferma che Gauƒapåda, ritiratosi nel badarikasrama nel cuore dell'Himalaya e dopo debita preparazione, abbia
evocato sotto forma umana, il possente signore Narayana che gli ispirò l'asparsa yoga o dottrina della non-dualità;
dottrina già delineata nella sruti, ma che non veniva riconosciuta da vari yogi e ricercatori perché nessuno di costoro
s'innalzava con la coscienza al vertice della realizzazione advaita. Ogni darsana o Upani@ad non è altro che il frutto
della realizzazione del compilatore stesso.
Ci sono Í@i che hanno veduto (in senso vedico) la differenziazione vitale e l'hanno promulgata, altri che hanno veduto
 
110 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Con il saluto al Maestro viene anche indicato che lo scopo di questo capitolo è di stabilire, per
mezzo della confutazione degli opposti punti di vista, la filosofia della Realtà suprema la quale è
priva delle distinzioni di soggetto conoscente, conoscenza e sconosciuto.
Per esaltare lo yoga (asparsa), insegnato dalla filosofia del non-dualismo, segue ora un saluto ad
esso.

2. Saluto quello yoga - insegnato dalle stesse Scritture - ben conosciuto come asparsa, libero da
relazioni, benefico, generatore di beatitudine per tutti gli esseri, esente da opposizioni e
contraddizioni.
Asparsa yogah è lo yoga senza sparsa: contatto o relazione con checchessia; è proprio della natura
del Brahman 149 . I conoscitori del Brahman lo chiamano con questo nome, in altri termini, è detto

                                                                                                                                                                                                          

l'unità del tutto e altri ancora che hanno veduto la non-dualità, l'Uno-senza-secondo o asparsa yoga. Gauƒapåda,
spingendosi sulle più alte vette della realizzazione, ha visto che la verità ultima non può né nascere né morire, e, con
l'aiuto del Principio-Narayana, ha potuto svelare agli uomini l'asparsa, lo yoga senza contatto o relazione, lo yoga
metafisico puro. Esso supera tutti i tipi di yoga classici; non si serve di posizioni o di esercizi meccanici di
qualsivoglia natura, né di acquisizioni samadhiche che rientrano nell'infranaturale, ma usa come mezzo di approccio il
discernimento intuitivo diretto", la ragion pura, che è di ordine sovrasensoriale; in altri termini, scavalca di colpo ogni
strumentalità indiretta e mediata dall'individualità.
La maggior parte degli aspiranti e discepoli parte da motivazioni individuali e con strumenti che appartengono alla
sfera dell'individuale: volontà, sentimento e azione, ma il discepolo dell'asparsa è capace di penetrare direttamente
nell'essenza della Realtà perché non minimamente influenzato da qualificazioni individuali. L'asparsin non deve
lottare contro il vagare dei pensieri, contro il concettualizzare distintivo egoico, contro reazioni emotive; la sua
coscienza vola verso gli universali avendo in se, come nota dominante, la ricerca della totalità, la quale può essere
compresa e vissuta solo da una coscienza che si esprime in termini di totalità. Vi sono alcuni che, avendo sviluppato il
ragionare empirico, pensano di essere adatti a questi voli metafisici, ma non è così. Tutt'al più possono avere una
mente filosofica concettuale, tipica generalmente dell'uomo occidentale, per cui si hanno due risultati: ideazione
intellettiva-oggettiva della realtà, quindi semplice gioco mentale per dimostrare a parole certe cose; estraneità della
coscienza al gioco mentale, per cui quella coscienza rimane tale e quale a prima.
Il Presente testo insegna l'asparsa vada e, in quanto via o metodo, non è dialettica mentale, ma sperimentazione
coscienziale; non è interpretazione concettuale di dati, ma "vista" o identità di conoscenza.
Si tenga ancora presente che Gauƒapåda segue il testo di un'Upani@ad (il primo capitolo delle sue kårikå è parte
integrante dell'Upani@ad stessa) che è la più significativa e sinteticamente completa, e un'Upani@ad, come si è notato,
non è frutto d'uno speculare fine a se stesso, ma la sperimentazione diretta di una verità.
L'asparsa, senza dubbio, è per pochi, anche perché pochi sono disposti a rimanere "senza sostegni". L'individuo va
ansiosamente in cerca di sostegni, di appoggi, di contatti materiali o psichici, terreni o celesti, perché on è capace di
uscire dall'infraindividuale e dallo stesso infrauniversale o "naturale". La paura dell'annientamento, del perdersi, del
non trovarsi più è potentemente radicata nell'individualità samsarica e solo un atto di ardire, d'impavidità, di ardore
per la verità ultima e di ascesi potrà infrangere la catena dell'incompiutezza egoica. Gauƒapåda stesso afferma nelle
sue kårikå che molti yogi di tipo classico non si accostano a questo yoga perché hanno... paura, temono...
L'asparsa è certamente per gli arditi, per coloro che non temono, che hanno relegato la paura ai margini del pensiero,
per gli "adulti", per coloro che innanzitutto e soprattutto amano la verità. 
149  poiché l'assoluto Brahman è al di là di ogni relazione, di ogni dualità, di ogni conoscenza distintiva, ecc.,

Gauƒapåda addita un tipo di yoga che ha la stessa natura del Brahman. Se noi siamo Brahman, allora per cadere in
Quello dobbiamo abbandonare tutti i possibili sostegni o le relazioni che ci siamo creati. Ogni appoggio terreno o
celeste non costituisce altro che realizzazione nell'infranaturale. Si realizza l'asparsa-yoga quando il soggetto, l'oggetto
e la stessa conoscenza si risolvono nell'unità metafisica. 
 
111 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

asparsa yoga quello libero da ogni relazione. Esso diviene sarva sattva sukhah: una benedizione
per tutti gli esseri. Alcuni (aspetti dello) yoga, come ad esempio l'austerità (tapas), sono comunque
associati alla sofferenza, per quanto si dicano produttori di felicità intensa; ma questo yoga non
appartiene a simili categorie. Qual è, allora, la sua natura? E' beatitudine per tutti gli esseri.
Possiamo dire che il godimento di un particolare tipo di oggetto può portare felicità, ma non
stabile benessere (il godimento di qualunque ordine e grado è sempre duale, quindi conflittuale);
questo yoga, invece, porta beatitudine e allo stesso tempo stabile benessere, poiché la sua natura è
al di là dell'impermanenza. Inoltre, esso è avivadah: esente da opposizioni. Perché? Perché è
aviruddhah: privi di contraddizione. a questo yoga, insegnato dalle Scritture, io porgo il mio
saluto150.

3. Alcuni ricercatori sostengono la nascita di una cosa già esistente. Altri sostengono, invece, la
nascita di ciò che non esiste.
Alcuni disputanti, cioè i Samkhya, sostengono la nascita di una cosa già esistente altri dualisti cioè
i Vaisesika e i Naiyayika, saggi e orgogliosi della loro conoscenza, si contrappongono sostenendo
la nascita di una cosa che non esiste. Tentano, così, di sopraffarsi appoggiandosi su semplici basi
dialettiche.
Ora si dimostra ciò che viene asserito dalle due parti in modo così contraddittorio.

4. Un dato che già esiste non può rinascere e un dato che non è mai esistito non può venire in
esistenza. Nel dire queste cose, tali persone dimostrano di essere non dualiste, quindi affermano
l'assenza della nascita.
«Kim cit: qualunque dato che sia bhutam: preesistente, na jayate: non può nascere per il semplice
fatto che già esiste. E' il caso dell'atman (il quale, preesistendo, non può rinascere)».
Parlando così il sostenitore della tesi che l'effetto nasca da una causa inesistente confuta l'opinione
del Samkhya secondo il quale l'effetto, preesistente nella causa, viene all'esistenza. Similmente,
anche il Samkhya nell'affermare che «abhutam: il non esistente na eva jayate: non può mai nascere
perché, in effetti, non esiste», confuta la teoria di quelli che sostengono chela creazione avrebbe
una causa non esistente151.

                                                             
150  Questo tipo di yoga è per coloro che vogliono pervenire alla soluzione integrale del loro problema. Esso non
concede alcuna debolezza, non offre alcun godimento terreno o celeste perché, appunto, qualunque godimento rimane
sempre nell'ambito temporale, quindi impermanente. 
151
I dualisti Samkya sostengono che l'effetto (universo), in quanto realtà, nasce da una causa reale che preesiste.
I dualisti Nyaya e Vaisesika confutano questa tesi sostenendo, a loro volta, che se l'effetto non è altro chela causa,
causa che è già esistente, allora non può concepirsi che una causa già esistente nasca un'altra volta.
Se B è uguale ad A ed A è già esistente, B non può nascere perché, in fondo, è anch'esso sempre esistente. D'altra
parte, se B è uguale ad A, come si possono distinguere i due? Se B nella sua natura fosse diverso da A, come potrebbe
nascere da A che ha un'altra natura? Come può darsi un effetto completamente diverso, indipendente e non rapportato
alla causa? Se B è uno svelamento di A, allora B non nasce perché esiste solo A il quale semplicemente si svela, e
questo A è unico e semplice per cui il realismo pluralistico del Samkya non può essere ammesso. In altri termini, non
c'è un ente contrapposto ad un non-ente, né può darsi un ente reale contrapposto ad un altro ente reale. >Inoltre, se
 
112 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Con le loro asserzioni, che si contraddicono, essi dimostrano di essere advayah: non dualisti;
infatti, contestandosi reciprocamente sulla nascita del preesistente o del non esistente, si portano
nella sfera del ragionamento dei non dualisti, rivelando così, implicitamente, l'assenza della stessa
nascita.

5. Noi approviamo la teoria della non creazione che, in fondo, anch'essi affermano (con le loro
conclusioni) e non vogliamo questionare. Ascoltiamo, dunque, questa (filosofia)che è libera da
ogni controversia.
Dicendo «lasciate che sia così» noi semplicemente approviamo l'assenza di nascita, dimostrata da
essi. Noi non vogliamo ingaggiare una discussione con loro né pro né contro.
Perciò, o discepoli, comprendete la filosofia dell'ultima verità propugnata da noi e che è
avivadam: al di là di ogni disputa.

6. I disputanti (dualisti), in realtà, sostengono la nascita di un'entità positiva mai nata. Ma come
può un'entità positiva che è non-nata e immortale divenire mortale?
Vadinah: i disputanti sono coloro che sostengono sia la rinascita dell'ente preesistente sia la
nascita proveniente da una causa inesistente. Questa kårikå è stata commentata sufficientemente
(III, 20).

7. L'immortale non può divenire mortale, né il mortale può divenire immortale perché un dato in
nessun modo può cambiare la propria natura.
8. Se una persona crede che un'entità positiva immortale possa venire in esistenza, come può
sostenere, poi, che quell'entità immortale e immutabile possa conservare ancora la sua natura
immortale?
Le kårikå, già spiegate precedentemente (III, 21-22), vengono citate qui per confermare l'assenza
                                                                                                                                                                                                          

non c'è effetto non può esserci neanche causa perché essi sono correlati. Così, non c'è oggetto se non c'è soggetto e
viceversa. Una causa esiste in relazione ad un effetto e un effetto esiste in relazione ad una causa, e se uno dei due
termini viene a mancare deve mancare anche l'altro.
Se B è un relativo che nasce da A, altrettanto relativo, si ha una regressione all'infinito, senza soluzione del problema
(si veda kårikå 14). Se si afferma che B è un relativo che nasce da A in quanto assoluto, si sostiene la relatività
dell'assoluto, la finitezza dell'infinito, ecc. Ma una simile tesi è insostenibile perché l'assoluto è veramente tale sarà
sempre assoluto, non potendo subire modificazioni o cambiamenti. Una realtà è tale se è «costante».
Se si sostiene che A e B esistono simultaneamente, si risponde che non può aversi una simultaneità di nascita-morte,
di luce-tenebra, ecc., perché non è possibile che il dato A contenga simultaneamente il dato B; in altri termini, non è
concepibile che una stessa realtà abbaia due nature contrapposte perché si autoescluderebbe e autoannullerebbe.
I darsana Nyaya e Vaisesika ritengono invece che la nascita dell'universo, che è reale, non abbia una causa. I Samkhya
confutano questa tesi asserendo che la realtà non può nascere da una non realtà, dall'inesistente, o dal nulla. Se
l'universo nasce, cresce e sparisce, dicono i Samkhya, deve pure avere una causa efficiente e strumentale che
determini simili processi. si tenga presente che questi tre darsana ammettono la realtà dell'universo oggettivo come
reale e distinto dal soggetto percipiente, quindi il loro scopo è di dimostrare come e da chi questa realtà oggettiva sia
venuta all'esistenza. 
 
113 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

di nascita rivelata attraverso le conclusioni cui portano le contraddizioni delle altre scuole di
pensiero. D'altra parte, la natura di un dato, che nel senso comune del termine, non può mutare.
Che cosa s'intende per natura di una cosa?
Ecco la Risposta:

9. Con la parola natura si deve intendere ciò che è acquisito permanentemente o è intrinseco,
connaturato; ciò che non prodotto, ciò che è immutabile ella sua caratteristica.
Samsiddhih significa «completo compimento» di questa natura, come è samsiddhiki: la natura
degli yogi i quali sono dotati di poteri supernormali sì da divenire a volontà come atomi, ecc.
Così, in questi yogi quella natura non può mutare né oggi né domani; in altri termini, è
permanente. Ugualmente le caratteristiche intrinseche di una cosa, per esempio il calore o la luce
del fuoco, ecc., non mutano né nel tempo né nello spazio. così pure ciò che è connaturato, per
esempi o la capacità di un uccello di volare nell'aria, è chiamato natura o prakrti.
Tutto ciò che non è prodotto da qualche fattore estraneo (al dato stesso), per esempio la tendenza
dell'acqua a scorrere verso il basso, è chiamato ancora natura o prakrti. e, infine, qualsiasi altro
dato che rimanga identico a se stesso deve essere conosciuto come tale, cioè come prakrti:
natura152.
L'idea della kårikå è questa: se la natura delle cose empiriche immaginate non si trasforma, a
maggior ragione non vi può essere mutamento nella natura immortale dell'ultima realtà,
intrinsecamente senza nascita.
Qual è la base di questa prakrti nella quale i disputanti immaginano dei mutamenti? Qual è anche
l'errore di una tale asserzione? La risposta è questa:

10. Tutti i jiva sono intrinsecamente liberi dalla vecchiaia e dalla morte, ma immaginando
(queste qualificazioni) e identificati con simili idee, essi rinascono per la forza del loro pensiero,
allontanandosi dalla loro natura.
Le parole jara marana nirmuktah significano affrancati da tutti i mutamenti fisici inerenti alla jara:
vecchiaia e alla marana: morte.
Chi sono costoro (esenti da simili mutamenti)? Sarve dharmah: tutti i dharma(jiva). Per quanto
nella loro natura i jiva siano intrinsecamente affrancati (da tali mutamenti), tuttavia, immaginando
la vecchiaia e la morte nel Sé, come si può immaginare un serpente al posto di una corda, essi
cadono, cioè si allontanano dalla propria natura. In altri termini, a causa di quell'immagine-
pensiero della senilità e della morte e dell'assorbimento in esse (si considerano mutevoli)153.

                                                             
152  Così ogni forma che si può ricavare dall'oro non è altro che oro, appartenendo alla natura dell'oro. E il sostenere
che la natura della forma-oro sia dissimile dall'oro, significa postulare una contraddizione e, quindi, un annullamento
della stessa natura. 
153  La natura immortale dell'essere non può né trasformarsi nella mortalità né svanire, ma può essere semplicemente

velata dalla potenza proiettiva del jiva stesso. «La natura suole nascondersi», ma la natura è, e nessun jiva può
ritenersi fuori di tale natura. Così, un soggetto può pensarsi quello che vuole: mortale, non mortale, grande, piccolo,
ecc., ma non può essere diverso da ciò che è. 
 
114 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Il Vaisesika dimostra come i Samkhya, sostenendo la teoria dell'esistenza dell'effetto nella causa,
parlano illogicamente:

11. Se la stessa causa non altro che l'effetto si sostiene implicitamente chela causa è nata in
quanto effetto; ora, come può essere senza nascita un dato che si trasforma in effetto' E come
può essere eterno quando soggiace alla disintegrazione?
Il disputante (rileva che, secondo il Samkhya) karanam: la stessa causa (materiale), quale può
essere l'argilla, è, in fondo, karam: l'effetto, cioè essa si trasforma in effetto; così dal suo punto di
vista la causa, per esempio pradhana (prakrti), per quanto senza nascita, è sottoposta a nascita in
quanto effetto, per esempio come mahat e altro154.
Se, come essi (Samkhya) dicono, pradhana nasce come mahat e altro, come è possibile affermare,
nello stesso tempo, che essa sia ajam: senza nascita?
L'affermare che un dato (causa) non è nato eppure è nato (come effetto), è una contraddizione.
Inoltre, essi (i sostenitori del Samkhya) ritengono che pradhana sia eterna e, contemporaneamente,
sia frammentaria (quindi soggetto a dissoluzione). Un dato composto: un vaso, per esempio, che è
soggetto ad una disintegrazione parziale, non può essere visto come eterno (in quanto si rompe). Il
testo si propone di dimostrare che vi è contraddizione se si afferma che la brocca è sottoposta
parzialmente al mutamento (frantumazione) e allo stesso tempo è eterna e senza nascita.
Per chiarire meglio tutto ciò si dice:

12. Se (come voi affermate) l'effetto non è diverso dalla causa, allora anche l'effetto dev'essere
senza nascita. e se poi l'effetto nasce come può la vostra causa essere ancora eterna, essendo
identica al suo effetto che è soggetto alla nascita?

Se è vostra intenzione sostenere che vi è identità dell'effetto con la causa, la quale è senza nascita,
allora ne consegue che l'effetto dev'essere altrettanto senza nascita. Ma sicuramente ci è
contraddizione nell'asserire che un dato è effetto e, nel medesimo tempo, senza nascita. Inoltre, se
l'effetto e la causa sono identici, come può la vostra causa che non è diversa, appunto, dall'effetto,
il quale è soggetto a nascita, essere ancora eterna? Non è certamente possibile immaginare che la
metà di una gallina possa essere arrostita mentre l'altra metà continua a deporre le uova. Inoltre:

13. Quel disputante certamente non ha alcuna spiegazione valida per sostenere che l'effetto è
nato da una causa che è pure nata, ciò ugualmente non porta ad alcuna soluzione.
Quel disputante 155 , secondo il quale l'effetto è prodotto da una causa non-nata, non porta alcuna

                                                             
154  Il Samkhya sostiene che dalla causa prakrti o pradhana nasce il mahat, la mente cosmica; dal mahat l'ahamkara, il
senso dell'io, e così via. 
155  Il Samkhya, si è visto, sostiene che l'effetto, l'universo, è nato da una causa eternamente non-nata, eterna; in altri

termini, sostiene che l'assoluto è diventato relativo, il non-nato, nato. Ma, ovviamente, questa tesi è insostenibile
 
115 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

valida argomentazione. Così, in assenza di qualsiasi spiegazione valida, ne consegue


implicitamente che nulla può nascere dal non-nato. D'altra parte, se si ottiene che l'effetto prodotto
provenga da una causa nata, allora, poiché quest'ultima deve derivare da un'altra causa che sia
nata, non si potrà avere alcuna soluzione; o, in altri termini, questo condurrà ad una regressione
all'infinito156.
Il testo vedico: «Ma quando tutto si risolve nell'atman... chi e mediante quale cosa si potrà
conoscere?»(Brhadaranyaka up.: II, IV, 14), dichiara, dal punto di vista della verità ultima,
l'assenza di ogni dualità.

14. Come può l'assenza d'inizio essere dichiarata, nei riguardi della causa e dell'effetto, da
coloro che sostengono che l'effetto è l'origine della causa e la causa è l'origine dell'effetto?
I disputanti affermano che l'effetto, cioè l'aggregato di corpo e sensi, ecc., costituisce l'inizio del
merito, ecc., e similmente la causa - cioè il merito e il demerito ecc., - costituisce l'inizio
dell'effetto, cioè l'aggregato del corpo e dei sensi, ecc. Così, mentre da una parte si premette un
inizio per la causa e l'effetto, perché questi sono reciprocamente la causa e l'effetto l'uno dell'altro,
dall'altra si asserisce che la causa e l'effetto sono senza inizio157.
Ma una tale posizione implica contraddizione; l'atman, che è eterno e immutabile, non può
divenire né causa né effetto.
In che senso il loro ragionamento è contraddittorio? E' quello che adesso viene esposto:

15. Coloro i quali sostengono che l'effetto è la causa della causa e la causa è la causa
dell'effetto, descrivono l'evoluzione come se la nascita del padre dovesse essere imputata al
figlio.
Coloro i quali asseriscono che la causa sia prodotta dall'effetto, che è esso stesso prodotto dalla
causa, cadono in una contraddizione assurda analoga a quella di dire che il padre sia nato dal
figlio.

16. Se c'è la possibilità della causa-effetto, voi dovete determinare l'ordine secondo il quale
causa ed effetto si succedono perché, se entrambi appaiono simultaneamente, non vi può essere
una relazione causale in quanto essi si troverebbero nella stessa condizione delle due corna di
una mucca.
Se si sostiene che la contraddizione precedentemente segnalata è priva di valore, allora, se
                                                                                                                                                                                                          

perché il senza tempo e il non-nato, se veramente sono tali, non possono ad un tratto trovarsi nel tempo e con la
nascita. 
156  Se l'effetto è nato da una causa già nata, questa non è causa, ma un altro effetto di una causa preesistente per cui,

ponendo la questione in questi termini, ci si trova in presenza di ciò che i logici chiamano regressio in infinitum. 
157  Si sostiene che la causa - ad esempio il corpo, i sensi, ecc. - produce l'effetto costituito dal merito (dharma) o dal

demerito (adharma) e che il merito o il demerito costituiscono, a loro volta, la causa di un futuro corpo sensoriale.
Così si ha che la causa produce l'effetto produce la causa, e questa alternanza di nascita e morte è senza inizio. Ciò è
anche il modo di vedere dei Mimamsaka e, per quanto alla mente empirica tutto questo potrebbe sembrare giusto,
tuttavia viene a mancare proprio la dimostrazione della causalità di tale perpetuo divenire-processo. 
 
116 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

(veramente) vi è una possibilità di causa ed effetto, occorre altresì trovare una sequenza nei
confronti dell'origine, cioè la causa deve precedere e l'effetto seguire. Ciò risulta necessario
perché, se vi dovesse essere un'origine simultanea della causa e dell'effetto, vi sarebbe
l'impossibilità di collegarli in modo conseguenziale, come nel caso delle corna di una mucca che
crescono contemporaneamente.
Come potrebbe non esservi una relazione causale?
Ecco la Risposta:

17. Non potete stabilire quella causa originata dall'effetto. Così, la causa che non è venuta in
esistenza non può produrre un risultato.
La causa on può avere alcun riconoscimento se deve trarre la sua origine da un effetto che ancora
deve nascere, per cui essa è senza esistenza, come sono inesistenti le corna della lepre.
In che modo la vostra causa, che ancora deve nascere sostanzialmente - per cui è inesistente come
le corna di una lepre - può produrre un risultato? perché non è possibile che due cose, le quali
dipendono (simultaneamente) l'una dall'altra e sono analoghe alle corna di una lepre, possono
essere collegate in modo causale o in qualsiasi altro modo158.

18. Se l'esistenza della causa dipende dall'effetto e l'esistenza dell'effetto dipende dalla causa,
allora quale delle due (possibilità esistenziali) è nata per prima, in modo da stabilire che l'una
dipende dalla nascita dell'altra?
Se, dopo aver sostenuto l'impossibilità di qualsiasi relazione tra la causa e l'effetto, affermate
ancora chela causa e l'effetto sussistono per mutua interdipendenza, allora dite chi dei due - causa
o effetto - è anteriore all'altro in modo da riconoscere che l'uno dipende dall'altro.

19. L'incapacità di rispondere a questa domanda dipende dalla vostra ignoranza e


dall'impossibilità di fornire una sequenza di successione. Così i Saggi mettono in evidenza ajati,
l'assenza di nascita.
Se pensate di non avere una risposta, allora questa vostra incapacità significa mancanza di
conoscenza; oppure incapacità di fornire una sequenza che delinei la causa dall'effetto. così, dal
momento che qualsiasi relazione tra la causa e l'effetto non può essere stabilita, l'assenza di nascita
o l'emergenza di ogni cosa risulta evidente per quelle perse sagge che si trovano fra gli stessi
disputanti, i quali riconoscono impossibili i punti di vista l'uno dell'altro.
Obiezione: Noi abbiamo parlato della relazione causale esistente tra la causa e l'effetto, mentre voi
avete sollevato delle obiezioni che sono solo un gioco di parole, come quelle riguardanti la nascita
del padre dal figlio e le due corna di una mucca, ecc. Però noi non abbiamo mai asserito che un
effetto venga prodotto da una causa non esistente, né che la causa sia prodotta da un effetto non
riconosciuto. che cosa abbiamo detto allora? Abbiamo ammesso chela causalità ha una relazione
                                                             
158  Se
la causa dovrà nascere da un effetto ancora non esistente, non si potrà parlare di causa capace di produrre
determinati effetti. 
 
117 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

come quella del seme con il germoglio.


A questo proposito ecco la nostra Risposta:

20. Ciò che è conosciuto come l'immagine del seme e del germoglio rimane sempre da
dimostrare. Un esempio che non abbia una prova valida non può essere utilizzato per stabilire
un'ipotesi di relazione causale.
L'esempio da voi riportato a sostegno della relazione causale, conosciuto come quello del seme e
del germoglio, è sullo stesso piano della nostra proposizione maggiore (deve cioè essere provato).
Obiezione: Non è una questione di esperienza la dimostrazione chela relazione causale tra il seme
e il germoglio sia senza inizio?
Risposta: Non è esatto perché si ammette che il primo abbia un inizio come il secondo. Proprio
come un nuovo germoglio, nato ora da un seme isolato, ha un inizio e un altro seme nato da un
altro germoglio ha anche un inizio, in conseguenza della successione della nascita, così i germogli
precedenti, come questi semi, devono aver auto un inizio. Quindi, poiché ognuno dell'intera catena
di semi e germogli ha un inizio, è illogico asserire l'eternità per uno qualsiasi di essi. così pure è il
caso nei confronti delle cause e degli effetti. Se ora si discute chela catena di cause ed effetti sia
senza un inizio, noi diciamo che non è possibile, perché nessuna unità di una tale serie può essere
sostenuta. Coloro che parlano della mancanza d'inizio di simile successione, rifiutano di
riconoscere l'esistenza di un'entità unitaria chiamata sia una serie di semi, sia una serie di
germogli, indipendentemente dal seme e dalla pianta. Perciò è stato detto giustamente: «Come può
l'assenza di inizio essere dichiarata nei riguardi della causa e dell'effetto?» (IV, 14). Quindi,
poiché la vostra opinione implica assenza di logica non abbiamo sollevato alcuna difficoltà
verbale riguardo alla conclusione. Anche nell'esperienza usuale, gli esperti nei mezzi validi di
prova per porre la relazione tra i due termini, maggiore o minore, di un sillogismo non fanno mai
uso del termine medio o dell'illustrazione di una cosa ancora da stabilire.
Il vocabolo hetuh o termine medio, è utilizzato nel testo nel senso di illustrazione perché è questo
che porta a stabilire una proposizione.
Si dimostra ora come i Saggi mettono in evidenza l'assenza della nascita.

21. L'ignoranza relativa all'antecedente e susseguente causa ed effetto prova chiaramente


l'assenza della creazione in quanto, se è vero che una cosa nasce, allora perché non trova la
causa antecedente?
Il fatto stesso che vi è ignoranza relativa all'antecedente e susseguente causa ed effetto è
un'indicazione della mancanza di nascita. Se un'entità nasce, perché la sua causa antecedente non
viene trovata? Se si accetta la sua nascita per necessità dev'essere conosciuta anche la sua causa
perché il generatore e il generato sonointerrelati.

22. Un dato, qualunque esso sia, non nasce da se stesso né da qualcos'altro (né da entrambi
contemporaneamente). Una cosa non può assolutamente nascere se già esisteva, oppure (nulla
può nascere) da ciò che non esisteva prima, né (può nascere alcuna cosa) contemporaneamente
 
118 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

dal già esistente e dal non esistente.


Per questa ulteriore ragione non può nascere assolutamente nulla poiché un dato non può originare
da sé, (oppure) da un altro dato. Nessuna cosa che sia sat: già esistente, o asat: non esistente,
oppure sat-asat: assieme esistente e non esistente nasce. In alcun modo può aversi la nascita di un
simile dato159. Esempio: come una brocca non può nascere da se stessa, così nulla, che non venga
in esistenza da sé, può nascere svaah: dalla propria forma.
Né essa nasce paratah: da un'altra che sia diversa da sé, proprio come una stoffa non nasce da un
vaso o da un'altra stoffa. Similmente, un dato non nasce né da sé né da un altro dato, proprio come
una brocca o una stoffa non nascono d una brocca o da una stoffa, perché questo implicherebbe
una contraddizione160.
Obiezione: Una brocca è prodotta dall'argilla e un figlio dal padre161.
Risposta: e' vero, glki ignoranti hanno tali nozioni e adoperano parole quali «esso esiste», «esso
nasce». Proprio queste parole, come le nozioni (corrispondenti), vengono esaminate dalle persone
discriminanti per accertare se sono vere o false, e le loro conclusioni sono che le cose, quali la
brocca o n figlio, ecc., non sono altro che pure espressioni verbali come viene anche confermato
dal testo vedico: «Restando tute le diverse modificazioni nell'altro che distinzioni di linguaggio»
(Chandogya up.: VI, I, 4).
Se una cosa già esiste, allora proprio perché esiste non può nascere una seconda volta; esempio del
padre e dell'argilla avvalora la nostra tesi. Se una cosa non esiste, allora per il fatto della sua non
esistenza non può venire all'esistenza, come dimostra l'esempio delle corna della lepre. Se le cose
fossero al medesimo tempo esistenti e inesistenti, esse non potrebbero più venire in esistenza (si
annullerebbero) perché tali idee contraddittorie non potrebbero essere associate a una sola e
medesima cosa. Quindi, viene affermato che assolutamente nulla può nascere.
Per quanto concerne coloro i quali sostengono chela nascita e l'effetto di azioni accessorie (la
causa, l'effetto e l'atto) non sono che la stessa cosa e che il tutto si risolva in un'esistenza
temporanea, sono ben lontani dal seguire la ragione, perché (secondo tale teoria) una cosa non può
essere conosciuta come «è questa» dal momento che (avendo essa una vita istantanea) cessa di
esistere immediatamente dopo essere stata percepita, né è più possibile ammettere che sorga un
ricordo della cosa per l'assenza di ogni cognizione di questo genere162.
                                                             
159 Si
dimostra l'impossibilità della nascita in riferimento alla causa. 
160 Si
dimostra l'impossibilità della nascita in riferimento all'effetto. 
161
La brocca non nasce, ma rappresenta una semplice modificazione della stessa argilla; è l'argilla sotto l'aspetto
formale.
Il figlio non è altro che la combinazione di certi fattori già preesistenti nel padre-madre, e biologicamente appartiene
alla stessa natura-sostanza del padre-madre. In senso filosofico, non si può parlare di nascita, ma di proliferazione,
irradiazione di identiche cellule biologiche, emanazione di spermatozoi-ovuli da parte del padre-madre, modificazione
di una parte della sostanza biologica del padre-madre. Tutti gli enti animati e inanimati costituiscono proliferazioni
formali, con differenti combinazioni, della stessa sostanza elettronica, e mai essi sono usciti o possono uscire da tale
sostanza elettronica. Ci si ritrova, così, all'esempio dell'argilla e della brocca e alla visione del Samkhya secondo cui
l'effetto si trova già nella causa (satkaryavada), anzi esso è la causa modificata. Tutto ciò risponde al testo vedico
quando afferma che tutti gli enti non rappresentano altro che semplici distinzioni di nomi e forme. 
162  Questa teoria appartiene all'idealismo soggettivo di alcune scuole buddhiste, secondo le quali gli oggetti esterni

non esistono realmente perché sono semplicemente delle pure ideazioni. Percependo delle proiezioni mentali, ed
essendo esse le sole realtà, viene negato il mondo oggettivo. Un'idea nasce da un'altra idea e così di seguito, e ogni
 
119 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Inoltre, asserendo che la causa e l'effetto sono senza inizio, siete costretti a riconoscere che la
causa e l'effetto sono senza nascita. Se poi chiedete che cosa intendiamo dire, la risposta è:

23. La causa non può nascere da un effetto che è senza inizio, d'altra parte un effetto non può
nascere da una causa senza origine perché una cosa che non ha causa certamente non ha
nascita.
Dall'effetto senza inizio, la causa non può nascere. Non si vorrà certamente dire che da un effetto
senza inizio, che non è nato, possa nascere una causa163. Né ancora si vorrà dire che l'effetto possa
nascere, senza alcuna ragione, da una causa che non è nata e che, quindi, è senza inizio 164 . Se si
asserisce in modo virtuale l'assenza di nascita della causa e dell'effetto, si accetta
conseguentemente la loro assenza di nascita. E' così perché qualsiasi cosa priva di una causa non
può esistere; infatti, si ammette la nascita di un dato solo se ha una causa.
Si solleva di nuovo un'obiezione per dare maggiore rilievo a ciò che è stato detto.

24. (Dobbiamo ammettere) che la conoscenza ha i suoi oggetti poiché, in caso contrario,
avremmo un annullamento della dualità. E l'esistenza degli oggetti, sostenuta da altri pensatori,
è anche ammessa per il fatto che esperimentiamo il dolore.
Prajnapti significa conoscenza, percezione del suono, ecc. Questa conoscenza possiede nimitta:
una causa, cioè oggetto. Così, sanimittatvam vuol dire che, a parte la sua propria esistenza
soggettiva, essa ha un oggetto, un riferimento obbiettivo. Questo è ciò che noi ammettiamo. La
percezione del suono e il resto non possono essere privi di contenuti perché sono in relazione a
oggetti, altrimenti (nell'assenza di oggetti) ne risulterebbe un vuoto come conseguenza
dell'annullamento della dualità, consistente in esperienze quali il suono, il tatto, il colore blu,
giallo e rosso. Né può essere detto che la dualità non esisteva, perché essa viene direttamente
percepita (da tutti). Conseguentemente, per il fatto che la dualità viene percepita, l'esistenza di
oggetti esterni, a parte la conoscenza di questi come sostegni altre scuole, viene ammessa.
poiché la natura della conoscenza soggettiva è essenzialmente di semplice illuminazione, essa non
può accogliere in se stessa la minima diversità, a meno che quella varietà non sia negli oggetti
corrispondenti, per esempio colore blu, giallo, ecc., proprio come un cristallo non può avere
nessuna varietà a meno che non venga in relazione con upadhi: elementi limitanti, quali il colore
azzurro, ecc. Gli oggetti esterni sono considerati dalle altre scuole come aventi un'esistenza a
causa dell'ulteriore ragione che (procurano) sofferenza. La sofferenza che sorge, ad esempio, da
una bruciatura, ecc., è un dato di esperienza. Se, a parte la coscienza, non vi fosse nulla di
                                                                                                                                                                                                          

idea ha un'esistenza istantanea. Nel momento in cui un'idea si percepisce essa scompare senza lasciare alcuna traccia,
dando il posto ad un'altra idea-istante. Così la causa, l'effetto e l'atto esistenziale costituiscono un'idea-identità,
un'inscindibile unità. Ma se tutto è idea e l'idea è un "istante" che nasce e muore senza lasciare traccia, allora come si
può stabilire la relazione causale? E fino a che punto si può parlare di "esperienza" basata sul ricordo se lo stesso
percipiente è un'idea-istante? 
163 Se l'effetto non-nato produce una causa non è un effetto. Un effetto, poi, per la sua intrinseca natura, deve avere un

inizio. Se la causa nasce da un effetto, essa stessa non può dirsi senza inizio, né può dirsi causa. 
164  Non si può accettare l'idea di un effetto che nasca da una causa inesistente o da una causa senza nascita perché il

non-nato non può produrre il nato. Di conseguenza, senza saperlo, chi sostiene ciò ammette l'impossibilità della
nascita, cioè riconosce l'ajati. 
 
120 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

estremamente presente a causare una bruciatura, la sofferenza non potrebbe essere sperimentata.
Ma, di fatto, viene sperimentata; si deduce da ciò che esiste un oggetto esterno.
Inoltre, non vi può essere nessun dolore nella coscienza-conoscenza soggettiva come tale, la quale
si trova solo in determinate circostanze e non sempre165.
Riguardo a questo la risposta è:

25. In conformità della ragione empirica, una causa deve essere attribuita all'impressione
soggettiva; ma dal punto di vista della realtà (suprema), si sostiene che il dato esterno non
costituisce una causa (di percezione).
E' vero che voi attribuite una causa all'esperienza soggettiva, in ragione di argomenti quali
l'esistenza della diversità (nella sfera oggettiva) e l'impressione della sofferenza. In ogni modo, per
il momento, mantenete salda la vostra posizione e cioè: gli oggetti esterni sono la base
dell'esperienza soggettiva.
Obiezione: Che cosa deducete da tutto questo?
Risposta: Noi sosteniamo che la causa - una brocca o qualsiasi altra cosa che si supponga sia la
base dell'esperienza - non è affatto una causa né rappresenta il sostrato della diversità.
Obiezione: Perché?
Risposta: Noi ci poniamo adesso dal punto di vista della realtà, cioè della verità ultima. Quando la
reale natura dell'argilla viene conosciuta si comprende che una brocca non può esistere
indipendentemente dal filo né il filo indipendentemente della stoffa. Così, se la realtà viene
investigata di grado in grado fino a quando non cessano le stesse parole e le nozioni (arrivando
quindi al sostrato ultimo), non possiamo più percepire alcuna causa esterna di conoscenza.
Il termine bhutadarsanat, interpretato da noi come «la reale natura», può anche essere compreso
come abhutadarsanat, perché l'oggetto esterno è irreale. In considerazione di questa ultima
interpretazione, non ammettiamo come causa gli oggetti esterni dal momento che essi sono illusori
quanto il serpente che viene percepito al posto della corda166. Inoltre, la causa non è una vera causa
                                                             
165  Questa kårikå esprime la teoria del dualismo filosofico. La conoscenza non si può avere se non c'è un oggetto
esterno da conoscere. Le impressioni sensoriali sono sempre prodotte dal contatto con la realtà esterna; la stessa
diversità che si ha nella conoscenza-coscienza non si potrebbe sperimentare se non ci fosse la differenziazione della
stessa realtà esterna. Quindi dall'esperienza di una conoscenza, quale quella di un colore, di un suono, di una forma,
ecc., si può inferire l'esistenza di oggetti esterni multipli e indipendenti dal soggetto percipiente. Tali oggetti possono
apportare nel soggetto percipiente anche delle impressioni di sofferenza o di felicità. 
166
Qual è la posizione dell'asparsa-yoga di fronte alla percezione conoscitiva o conoscenza? Prima di tutto occorre
considerare che l'asparsa, essendo un metodo di realizzazione, non offre una "teoria della conoscenza" su basi
intellettuali, ma uno svelamento della realtà che si sperimenta, perché esso è, appunto, il risultato di sperimentazioni
dirette di Realizzati. si dà qui un breve cenno in proposito essendo questa una modesta nota al passo di Âaækara e
Gauƒapåda.
Per coloro che si trovano sotto il velo della maya-avidya l'oggetto esterno, distinto dal soggetto, esiste ed è reale. Su
ciò l'asparsa-yoga è d'accordo con il realismo oggettivista filosofico. Ma per l'asparsa questa realtà oggettiva non è
assoluta perché è frutto di un certo modo di vedere, costituisce un particolare punto di vista che può essere tenuto
presente solo in determinate condizioni. Sotto altre prospettive, infatti, l'oggetto esterno, rimossa una parte di velo
mayahico, risulta essere semplicemente una modificazione del suo sostrato. Per esempio, tutti gli elementi, come
 
121 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

perché è il contenuto di una percezione errata e, come tale, cessa di esserlo quando l'errore viene
rimosso. Nel sonno profondo, nel divino assorbimento e nello stato di liberazione, in cui non vi è
percezione errata, le persone non hanno conoscenza degli oggetti esterni, ma solo (la coscienza)
del Sé. Una cosa percepita da un pazzo non è percepita da altri che sono sani di mente. Quindi
vengono distrutte le argomentazioni basate sulla percezione della dualità e sull'esperienza del
dolore.

26. La mente non entra in rapporto con gli oggetti (esterni), così pure non entra in rapporto con
le apparenze ideali degli oggetti perché, secondo le ragioni addotte, un oggetto non ha esistenza
reale e le idee-apparenze non sono distinte dal mentale.
Dal momento che non vi è un dato esterno, la mente non entra in contatto con l'oggetto, né entra in
contatto con le idee che appaiono oggetti perché esse sono una modificazione della mente; ciò è
evidente nel sogno poiché, secondo il ragionamento precedente (vedi Cap.II), un oggetto è
inesistente anche nello stato di veglia come lo è un oggetto di sogno.
Né l'ideazione, che appare come oggetto, è diversa dalla mente; in fondo, è sempre la mente che,
come nel sogno, appare in quanto oggetti quali una brocca, ecc.167
Obiezione: Se la mente appare in quanto brocca, per quanto non reale, allora dev'esserci una
conoscenza sbagliata. E se questa è la conclusione, voi dovreste indicare in qualche modo Qual è
                                                                                                                                                                                                          

ferro, azoto, uranio, ecc., eliminando il velo mayahico, non sono altro che combinazioni elettroniche, quindi
modificazioni proporzionate della sostanza elementare elettronica (questo velo oggi lo si è strappato). Così gli
elementi, visti dalla "coscienza elettronica", non sono esterni a tale coscienza, come le indefinite forme oniriche non
sono esterne alla mente creatrice, per quanto al sognatore sembrino tali. su questo punto, invece, l'asparsa è d'accordo
con l'idealismo filosofico (Berkley). Ma se si strappa l'intero velo mayahico, allora si scopre che tuta la
manifestazione, o ciò che con tale termine si vuole intendere (spettacolo o oggetto), non è altro che un chiaro-scuro,
un continuo-discontinuo, un noumeno-fenomeno di Quello, di Turiya, eternamente non-nato; fenomeno non reale a sé
stante come non possono essere reali-assoluti il sogno notturno, gli stessi elementi chimici, e ogni cosa nell'universo.
Quindi, la stessa mente non è che un chiaro-scuro che appare e scompare poiché non è mai nata come realtà
indipendente (con ciò viene superato l'idealismo soggettivo). Si può notare che l'asparsa contempla tre gradi di
conoscenza-verità: quella che è frutto dell'avidya (conoscenza sensoriale), della vidya (conoscenza sovrasensoriale) e
di Turiya (Conoscenza-Identità suprema).
Per l'asparsa ogni dualità è polarità che si risolve nell'unità metafisica. Il manifesto ed il non manifesto informale, la
conoscenza (vidya) e la non conoscenza (avidya), il soggetto e l'oggetto e tutte le polarità psicologiche individuali:
bene-male, odio-amore, sofferenza-felicità, ecc. si risolvono nell'unità metafisica per il semplice fatto che non sono
reali assolute. Viene anche superato, così, il difficile problema di tute le filosofie che consiste nel ricondurre,
conciliare e rapportare la dualità all'unità. Per l'advaita-asparsa non c'è niente di reale assoluto fuori del Brahman,
quindi ogni possibile conoscenza poggia su cose-eventi che, in definitiva, non sono. Il problema della conoscenza
appartiene a coloro che considerano due ordini di realtà uguali e distinti nell'universo. E' per tale ragione che questo
tipo di yoga non si contrappone a niente e a nessuno; infatti, avendo realizzato una visione sintetica e unitiva della
realtà, comprende che, per quanto questa sia una e senza secondo - e non esserlo - esistono, tuttavia, differenti verità
parziali o punti di vista dell'unica Realtà suprema. dunque, molte verità di un'unica Realtà che, nel tempo spazio,
possono essere legittime e giuste, ma non assolute. Per maggiori chiarimenti si veda Aparoksanubhuti e Iniziazione
alla Filosofia di Platone. (Ibid.)
167  Nel sogno non ci sono né oggetti né idee distinte dalla mente del sognatore, così nell'universo di veglia non sono
né oggetti né idee distinte dal Brahman-Turiya. Il soggetto e l'oggetto di ogni dimensione e grado non esistono di per
sé, distinti dal loro sostrato comune, come, appunto, gli elementi fisici non esistono indipendentemente dagli elettroni
di cui sono fatti. 
 
122 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

la giusta conoscenza che giustifichi quell'errore168.


Ecco la nostra Risposta:

27. La mente in nessuno dei tre stati temporali (passato, presente, futuro) entra in contatto con
gli oggetti esterni. (D'altra parte) non essendovi oggetti esterni, come vi può essere una falsa
percezione di essi senza alcun rapporto causale?

Nei tre stadi (passato, presente e futuro), la mente non entra mi in rapporto con alcuna causa, cioè
con oggetti esterni. Se dovesse entrare in rapporto con qualche oggetto in un qualsiasi momento,
tale rapporto darebbe l'idea della conoscenza esatta dal punto di vista della realtà, e nei confronti
di tale conoscenza l'ideazione della brocca, ecc., potrebbe ritenersi conoscenza errata. Ma la mente
non ha mai alcun rapporto con oggetti esterni. Perciò, come vi può essere, per quella mente,
un'errata conoscenza se non vi è un oggetto in quanto causa? In altri termini, non vi è affatto falsa
conoscenza perché è la natura della stessa mente ad assumere delle modificazioni come, ad
esempio, una brocca, ecc., per quanto questa non abbia realtà assoluta.
Il testo che ha inizio con: «in conformità alla ragione empirica una causa dev'essere
attribuita...»(IV, 25), e che rappresenta il punto di vista degli idealisti soggettivi, è approvato dal
Maestro (Gauƒapåda) perché confuta la visione di coloro che credono negli oggetti esterni. Però
egli impiega adesso lo stesso argomento (degli idealisti) come «termine medio» per demolire il
loro punto di vista169.

28. La mente quindi non ha nascita, né hanno nascita le cose che essa percepisce. Coloro che
percepiscono la nascita della loro mente sono simili a coloro che vedono le orme degli uccelli
impresse nell'aria.
Dal punto di vista della realtà noi pure approviamo l'argomentazione degli idealisti soggettivi, i
quali affermano che la mente appare brocca, per quanto nella realtà non si alcuna brocca. Però è
pure ragionevole ammettere che la mente stessa, a sua volta, sembra esser nata mentre non vi è

                                                             
168
Si vuole rendere positiva e reale l'ignoranza (avidya), la quale è la causa della conoscenza sbagliata (empirica).
L'ignoranza esiste in quanto esiste la conoscenza; questa polarità è una moneta con due facce.
169
Una conoscenza-ignoranza, per essere positiva e reale, dovrebbe avere un oggetto altrettanto reale, positivo e
autoesistente. In fondo, il soggetto, l'oggetto e la stessa conoscenza-ignoranza di rapporto non sono delle realtà
assolute, per cui sia la conoscenza che l'ignoranza, comunemente intese, appartengono ambedue alla sfera dell'avidya.
L'avidya non è l'ignorare qualche cosa su dati fenomenici ed empirici, ma è l'ignoranza che verte sulla "natura
dell'Essere". Così questo tipo di avidya non ha un termine di paragone, non è un dato di relazione perché costituisce
un'ignoranza di ordine metafisico. Cercare la causa dell'avidya è cadere ancora nell'illusione della causalità, è il
serpente che si morde la coda.
Per maggiori chiarimenti si veda l'opera già citata (Aparoksanubhuti, pag.60 e segg.), ove sono messi in evidenza tre
tipi di errori, quello che poggia sulla natura della realtà in sé, quello che verte sulla descrizione o erudizione di un
oggetto-evento e quello che si fonda sull'errata percezione derivata dalla limitatezza dei mezzi sensori.
 
 
123 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

alcuna nascita. Perciò, la mente non nasce, come non nascono le cose percepite dalla mente.
Quindi, coloro (gli idealisti) che percepiscono la nascita di quella mente che reputano transitoria,
piena di sofferenza, di vuoto, e senza ego (anatta), ecc., presumono di conoscere tramite quella
stessa mente la cui natura sfugge a qualunque conoscenza. Essi possono essere paragonati a quelli
che vedono le impronte degli uccelli nello spazio; (possiamo dire che) sono più spinti dei
dualisti 170 . Per quanto concerne, poi, i nichilisti, volendo considerare non esistente la percezione
del mondo sensibile a tal punto da dichiarare che tutto questo universo - comprese le loro stesse
esperienze - non esiste affatto, sono ancora più audaci degli idealisti; sono come coloro che
vogliono comprimere il cielo nel pugno della propria mano.
Per le suddette ragioni viene affermato che Brahman è uno e non ha nascita. Ora, il presente
versetto intende dare la conclusione di ciò che è stato presentato all'inizio come proposizione.

29. Ciò che non-nato, (secondo i disputanti) nasce. Poiché l'assenza di nascita rappresenta
proprio la sua natura, si può concludere che, in nessun modo, una cosa può cambiare di natura.
I disputanti immaginano che la mente-coscienza non-nata, la quale non è altro che il Brahman,
possa nascere; perciò (per loro) ajatam: il non-nato jayate: nasce. Poiché la mancanza di nascita
rappresenta la sua natura, dobbiamo concludere che la trasformazione di quella natura,
caratterizzata dall'assenza di nascita, non può avvenire in alcun modo.
Qui vi è un altro vizio nell'argomentazione di coloro i quali sostengono che l'atman sia soggetto
alla schiavitù e alla liberazione:

30. Inoltre, se (come alcuni sostengono) il mondo fosse senza inizio esso dovrebbe essere
imperituro. così, non potrebbe esserci liberazione la quale ha un inizio.
Samsarasya:il mondo (la schivitù) è senza inizio o senza origine determinata; il suo termine non
potrebbe essere stabilito da alcun ragionamento perché nell'esperienza comune non si vede alcuna
cosa che, senza inizio, abbia una fine.
Obiezione: Si vede comunque una continuità all'infinito della sequenza seme-germoglio (per
quanto tale sequenza abbia un inizio).
Risposta: Non è così, perché è stato confutato quando abbiamo rilevato che una sequenza (seme-

                                                             
170
Le kårikå, dal 25 al 27, espongono la visione degli idealisti soggettivi e Gauƒapåda ne condivide le risultanze, ma
non in assoluto. Infatti, in questa kårikå, traccia il suo reale punto di vista che il superamento dell'idealismo
soggettivo. Gauƒapåda non condivide neppure il nichilismo assolutista di altre scuole buddhiste le quali asseriscono
che tutto è vacuità, persino il soggetto percipiente. Se tutto è vacuità ci dev'essere un soggetto percipiente che affermi
tale vacuità, quindi il soggetto non può essere vacuità, diversamente si arriverebbe a questo assurdo: la vacuità
afferma la vacuità, il niente afferma il niente.
«Di tutto si può dubitare tranne del soggetto che sta dubitando».
Così, si può sostenere che l'asparsa-yoga non è né nichilista né realista oggettivista né idealista (per quanto di queste
due ultime dottrine condivida le risultanze a certi livelli) perché è essenzialmente di ordine metafisico puro. 
 
124 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

pianta) non costituisce una cosa sola (IV, 20)171.


Similmente, non può esserci eterna liberazione se si sostiene che questa abbia un inizio
determinato, quando, cioè, si acquisisce l'illuminazione, perché gli oggetti, quali una brocca, ecc.,
che hanno un inizio, hanno ugualmente una fine.
Obiezione: La liberazione, per il fatto stesso che non è una sostanza, non può essere paragonata
alla distruzione di una brocca, così il nostro punto di vista non presenta alcun vizio
argomentativo172.
Risposta: In tal caso vi contraddite. Precedentemente avete, infatti affermato chela liberazione ha
esistenza positiva dal punto di vista della realtà ultima. Invece, (la liberazione) non può avere
inizio proprio perché è inesistente, come le corna di una lepre.

31. Ciò che non-esistente all'inizio e alla fine, dev'essere necessariamente (non esistente) nello
stadio intermedio. Per quanto gli oggetti siano non reali, tuttavia sono visti come reali.
32. La loro utilità (nell'esperienza di veglia) è contraddetta dal sogno. Perciò, per il fatto che (gli
oggetti) hanno un inizio e una fine sono giustamente considerati reali
Questi versetti, che sono stati spiegati nel capitolo »Della non realtà...». vengono citati qui a
proposito della non esistenza della schiavitù e della liberazione173.

33. Tutti i dati sono non reali nel sogno poiché sono visti all'interno del corpo; come possono
sussistere tali dati entro questo stretto spazio?
L'argomento sollevato quando è stato detto (IV, 25): «Ma, dal punto di vista della realtà
(suprema), si sostiene che il dato esterno non costituisce un causa (di percezione)» viene elaborato
in questa kårikå.

34. Non è possibile sostenere che un dormiente esca (dal corpo) per sperimentare oggetti, a
causa dell'incompatibilità di tempo-spazio che comporterebbe il viaggio. Inoltre, nessuno da
sveglio continua (ad essere) nel luogo del sogno.
L'idea implicita è che nel sogno non vi è un andare in qualche luogo, perché il tempo che si
richiederebbe e la distanza che si determinerebbe con il viaggiare, come sono riconosciuti nello
stato di veglia, non possono essere validi nello stato di sogno.

                                                             
171  La semenza e l'albero non costituiscono un'unità. Sono sempre prodotti separati per cui si può stabilire per essi
un'origine determinata. 
172  Molte scuole sostengono che l'essere, entrato in schiavitù (la quale è considerata reale-sostanziale), può uscirne

con la liberazione; ma, mentre la brocca è di materia sostanziale, la liberazione non è della stessa natura della brocca. 
173  Un dato non esistente, quindi non reale all'inizio e alla fine, non può essere considerato reale solo nel suo

intermezzo. Un dato è o non è reale nella sua integralità. così, la stessa liberazione, prospettata da certe scuole, se non
è esistente all'inizio né esistente e reale alla fine, non può esserlo nell'intermezzo. Se poi la liberazione ha un inizio
effettivo deve avere anche una fine, e allora non è liberazione assoluta. 
 
125 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

35. Una discussione con amici ed altri (nel sogno) non ha una conferma nello stato di veglia, e
qualsiasi cosa acquisita nel sogno non la si ha più al risveglio.
Avendo discusso (nel sogno) con amici ed altri, (l'individuo) appena uscito dal sonno
naprapadyate: non ha più una conferma di quella discussione.
Così qualsiasi oro, ecc., avuto (nel sogno) non lo si vede più al risveglio. questa è un'altra
dimostrazione che non si va, durante il sogno, in nessun luogo.

36. Inoltre, nel sogno il corpo è non reale perché c'è un altro corpo visto da altri. Come nel caso
del corpo (di sogno) così è per ogni cosa percepita mediante la mente, essa cioè è priva di realtà.
Il corpo che viaggia svapne: nel sogno è non sostanziale (non-reale) perché c'è l'altro corpo
distinto da quello onirico (il sostrato). Come il corpo visto nel sogno è non reale, così tutte le cose
percepite tramite i sensi, nello stato di veglia, sono non reali proprio perché esse sono tutte
modificazioni percettive mentali. Il significato dell'argomentazione è che lo stato di veglia è pure
non reale, essendo simile allo stato di sogno. Le cose sono non reali a causa di questa ulteriore
ragione174.

37. Poichè un sogno viene sperimentato alla stregua dello stato di veglia, si sostiene che il primo
                                                             
174
Nel capitolo secondo si è dimostrato che lo stato di sogno e di veglia presentano le stesse caratteristiche e
modalità esistenziali: soggetto e oggetto, conoscenza-coscienza, percezione sensoriale, ecc. Se identiche sono le
caratteristiche operative psicologiche e le modalità espressive e di comportamento, allora in che senso si è portati a
considerare l'uno un'illusione e l'altro una realtà? E da quale punto di vista o posizione coscienziale si può sostenere la
validità dell'uno o dell'altro? Si giudica lo stato di sogno dal punto di vista dello stato di veglia?
Ciò non è valido perché non si può valutare un dato dalla posizione coscienziale di un altro dato e dal particolare
sistema di coordinate di quest'ultimo. Un dato va visto non partendo da considerazioni o posizioni mentali
pregiudizievoli, quindi viziate; esso va visto per quello che è.
Se si studia la condizione tridimensionale dalla posizione coscienziale della bidimensionalità non la si potrà mai
comprendere e conoscere. Quale di queste due è reale: la sofferenza che si prova in sogno o quella che si prova allo
stato di veglia? Poiché si è intrappolati dalla semplice rappresentazione mentale della realtà più che dalla realtà in sé,
si reputa o s'immagina che debba essere reale la sofferenza dello stato di veglia. Ma questa valutazione la si può fare
solo quando ci si trova nello stato di veglia; chi oserebbe dire di non soffrire nel sogno quando quella sofferenza è
stata così intensa da riportarci allo stato di veglia? L'asparsa-yoga sostiene: quando da una certa prospettiva, ad
esempio A, si sperimenta un dato, esso appare reale; quando, invece, dalla prospettiva U si valuta la sperimentazione
A, questa appare non reale, mentre appare reale la sperimentazione U (tutto questo non è una "teoretica della
conoscenza", ma un dato di fatto, una constatazione coscienziale, una visione diretta di ciò che accade dentro e fuori
di noi). Quando si valutano A e U dalla posizione coscienziale di M, allora sia A che U sono non reali; e quando, a
sua volta, M cessa d operare ci si trova nell'onnipervadente assoluto Brahman-Turiya.
Se, poi, si afferma che le due esperienze A e U sono entrambe reali, si deve avere un terzo punto di riferimento che
unifichi e comprenda questa dualità vitale, diversamente ci si troverebbe di fronte una dualità incolmabile e
inconciliabile; si ripropone, quindi, quel terzo stato M.
Ma, dopo quello che si è detto precedentemente, si deve sperimentare il dato M perché è dalla posizione coscienziale
di M che si può comprendere M. Ora, gli asparsin, avendo sperimentato la posizione coscienziale M, dicono che, da
tale prospettiva, sia A che U spariscono, si dissolvono e non esistono, alla stregua di U-sogno che sparisce come
nebbia al vento quando ci si trova in A-veglia, o viceversa. Lo yoga non è semplice dialettica; prima di tutto
esperimenta e poi elabora sinteticamente metodi per far pervenire alla realtà, o meglio, svelare la realtà. 
 
126 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

è il risultato di quest'ultimo. In realtà, però, lo stato di veglia è considerato tale solo d


quell'essere che sogna poiché esso è la causa del suo particolare sogno.
Poiché il sogno viene sperimentato alla stregua dello stato di veglia, che è caratterizzato dalla
relazione soggetto-oggetto, si sostiene, allora, che il sogno è l'effetto dello stato di veglia; in altri
termini, il sogno viene considerato un prodotto dello stato di veglia.
Così, poiché il sono ha come causa lo stato di veglia, si deve convenire che lo stato di veglia è
vero solo per essere che sogna, ma non può essere valido per gli altri.
Come un sogno, finché appare sotto forma di oggetti, è reale per il solo sognatore, similmente le
cose dello stato di veglia, che appaiono come oggetti d'esperienza comune, sono veri per il solo
jiva che sogna, in quanto concepiti da lui come causa del suo sogno. In realtà, però, come gli
oggetti del sogno, così quelli dello stato di veglia non sono oggetti di esperienza comune a tutti, né
essi hanno esistenza (assoluta)175.
Obiezione: anche se gli oggetti dello stato di veglia sono la causa di quelli dello stato di sogno essi
non sono privi di realtà come quelli del sogno perché il sogno è estremamente labile, mentre lo
stato di veglia è stabile176.
Risposta: Ciò è esatto per le persone prive di discriminazione, ma coloro che discriminano
riconoscono che nessuna cosa ha un'origine. Perciò:

38. Poiché la nascita non è un fatto dimostrato, la sruti afferma che ogni cosa è senza nascita.
inoltre, l'irreale non può nascere dal reale.
Dato che la nascita non è un fatto accertato, il testo della sruti: «Coesistente con ogni cosa interna
ed esterna e senza nascita» (Mundaka up.: II, II, 2), udahrtam: afferma che sarvam ajam: ogni cosa
è senza nascita o, in altre parole, il Sé è tutto. E le vostre ulteriori congetture, che il sogno non
reale abbia origine dal reale stato di veglia, sono pure insostenibili, perché non vi è alcuna nascita
di cosa inesistente, così un dato inesistente, come ad esempio le corna di una lepre, non può mai

                                                             
175 Sipuò credere che lo stato di veglia debba essere reale, in senso generale, perché tutti ne sono consapevoli; mentre
si può ritenere lo stato di sogno un evento individuale, privato, che riguarda solo il sognatore. Anche questo non è
valido perché il soggetto di sogno esperimenta in compagnia di altre persone, vive e si muove con altre persone, è
sollecitato al piacere e al dolore da altre persone. si è detto precedentemente che la molteplicità è esperita anche nel
sogno. D'altra parte, si deve convenire che allo stato di veglia l'esperienza è sì di ordine generale, ma non universale e
il generale rientra sempre nel relativo e particolare. Così la conoscenza empirica sensoriale dello stato di veglia è di
ordine generale, non universale. L'essere umano investiga e interpreta la vita dalla sua particolare posizione
coscienziale la quale è una delle indefinite modalità che la vita totale esprime. Fino a quando l'individuo si ostina a
vedere le cose semplicemente dal suo sistema di coordinare la verità totale gli sfugge. 
176
Ogni stato di coscienza è correlato al suo particolare tempo e al suo particolare spazio; in altri termini, al suo
sistema di coordinate.
Inoltre, non si può stabilire un ordine di realtà basandosi sul fattore temporale né tampoco su quello spaziale. 
 
127 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

venire all'esistenza177.
Obiezione: Non avete precedentemente affermato che il sogno è un effetto dello stato di veglia?
Quindi, come si può dire che la nascita non sia un fatto ben stabilito?
Risposta: In riferimento a ciò ascoltate quello che noi intendiamo per relazione causale:

39. Colpito emotivamente dall'apparente realtà degli oggetti dello stato di veglia un individuo
rivede questi medesimi oggetti nel sogno. Ed avendo visto oggetti non reali nel sogno non li vede
poi nello stato di veglia.
Jagarite: Nello stato di veglia un individuo drstva: vede un oggetto asat: non reale, come il
serpente immaginato al posto della corda e, devenendo emotivamente turbato, osserva poi (tale
oggetto) anche nel sogno, immaginando così la dualità soggetto-oggetto come nello stato di
veglia. Inoltre, a meno che non si ricorda all'immaginazione, asat: l'irrealtà vista svapne: nel sogno
non la si vede nello stato di veglia. La parola ca, nel testo, indica che la relazione causale non è
regolarmente osservata tra lo stato di veglia e quello di sogno. così alcune cose che vediamo nello
stato di veglia, a volte, non sono conosciute da noi nello stato di sogno. di conseguenza, non è dal
punto di vista della verità ultima che si può dichiarare che la condizione di veglia è la causa del
sogno178.

40. L'irreale non può avere l'irreale come causa, né il reale può nascere dal reale, né ancora il
reale può nascere dall'irreale, né infine, il non reale può nascere dal reale.
na asti asat: non vi può essere un dato irreale che possa avere come sua causa un altro dato
irreale: così una città nell'aria non può avere come causa un altro dato non reale, come ad esempio
le corna di una lepre 179 ; né vi può essere un'entità reale, una brocca, che possa essere prodotta da
un dato non reale, per esempio le corna di una lepre 180 . Così pure non può esservi un dato reale,
per esempio un vaso, che sia il prodotto di un altro dato reale (già esistente), per esempio una
brocca 181 . Come può concepirsi una non realtà prodotta da una realtà? 182 . Inoltre, non vi è
                                                             
177
Se si sostiene che lo stato di veglia reale susciti lo stato di sogno illusorio, si risponde che una realtà non potrà
mai produrre un'irrealtà o un'illusione.
Ma, allora, Brahman-Realtà non ha creato l'universo-illusione non realtà? Da quanto si è esposto in questo testo
dovrebbe apparire chiaro che Brahman non ha creato niente perché una realtà, se è tale, non ha bisogno di
modificazioni o altro. Brahman può solo apparire, tramite la maya, questo o quello. 
178 Non è possibile dimostrare la relazione causale tra lo stato di veglia e quello di sogno; i due stati non rappresentano

una continuità di coscienza. Gli oggetti di sogno non si trovano, poi, allo stato di veglia e viceversa; viene anche a
mancare la continuità di relazione di certi eventi sogno-veglia e veglia-sogno. In altri termini, una causa prodotta nello
stato di veglia non determina il suo effetto nel sogno e viceversa. 
179 Viene confutata la tesi nichilista. 
180 Viene confutata la tesi del Nyaya. 
181 Viene confutata la tesi del Samkhya. 
182
Viene confutata la tesi di alcuni vedantini i quali affermano che Brahman-Realtà sia la causa dei fenomeni
illusori. Quindi, una realtà avrebbe prodotto un'illusione non realtà.
Le quattro scuole filosofiche menzionate nella kårikå 40 ammettono, ognuna secondo il proprio punto di vista, la
 
128 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

alcun'altra specie di relazione causale possibile o immaginabile (oltre questi casi). Di


conseguenza, le persone discriminanti arrivano alla conclusione che sia impossibile dimostrare la
relazione causale di qualsiasi cosa.
Ancora, per rimuovere ogni traccia di relazione causale tra lo stato di veglia e quello di sogno, si
sostiene:

41. Come qualcuno nello stato di veglia, per mancanza di discriminazione, può essere in contatto
con gli oggetti illusori credendoli reali, così nel sogno, a causa di una conoscenza errata, si
possono vedere oggetti (reali) che sono della natura del sogno.
Come qualcuno, per mancanza di retto conoscere, jagrat: nello stato di veglia può immaginare
oggetti impensabili - come ad esempio un serpente, ecc., proiettato su una corda - e considerarli
reali, così nel sogno, per mancanza di retta discriminazione, immagina o visualizza oggetti - come
elefanti, ecc. - che appartengono solo allo stato di sogno prendendoli per reali.

42. Il processo causale della creazione è stato descritto dai Saggi per amore di coloro che,
costretti dall'esperienza e dal comportamento (inerente al loro stato), sogliono affermare
l'esistenza reale dell'universo atterriti dalla non manifestazione assoluta dell'ente.
Per quelli che esperimentano e seguono il comportamento adeguato ai doveri dell'ordine sociale e
agli stati di vita183 e credono alla realtà degli oggetti sperimentati, per amore, appunto, di costoro -
che in fondo sono seri nel loro sforzo, fedeli, ma di mente limitata - i Saggi non dualisti hanno
parlato di jatih: creazione.
La teoria creazionistica, comunque, è stata descritta con l'idea che sia accettata da questi solo in
via preliminare perché gradatamente, nel praticare il Vedanta, la conoscenza circa il Sé non-nato e
non-duale si svela in loro spontaneamente. Ma i Saggi non hanno parlato (in riferimento alla
creazione) dal punto di vista della verità ultima. E ciò è giusto, perché queste persone non
discriminanti (alle quali è rivolto tale inferiore insegnamento) sono devote al comportamento
vedico 184 , mentre, a causa del loro intelletto non troppo dotato, sono sempre atterrite dal reale
senza nascita; temono, cioè, che questo porti al loro annichilimento.
E' stato detto precedentemente (III, 15): «Non ha altro scopo che farci comprendere l'identità (del
jiva con Brahman)».

43. Coloro i quali sono atterriti dal non-nato, contando sulla loro esperienza della dualità,
deviano dal retto sentiero, ma gli errori che sorgono dall'accettare la creazione non portano
frutti perché l'errore è insignificante.
                                                                                                                                                                                                          

causalità. Si può dire che questa kårikå mette in evidenza ciò che non è Brahman o la Realtà suprema.
183  I quattro ordini sociali sono: Brahmana, Ksatriya, Vaisya e Sudra. I quattro stadi di vita o asrama sono:
Brahmacarya (studente), Grhastha (stadio del capo famiglia), Vanaprastha (anacoreta), Samnyasa (stadio della
rinuncia). 
184  Questi studenti sono attaccati semplicemente al significato letterale dei Veda, senza comprenderne lo spirito più

profondo. 
 
129 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Coloro che, contando sull'esperienza empirica quale comportamento adeguato, rimangono atterriti
dal non-nato si allontanano dal Sé non-duale. Nel caso di queste persone che temono il non-nato,
ma hanno la fede e seguono il giusto sentiero, gli errori che emergono dal riconoscimento della
nascita non portano frutti, perché esse in fondo percorrono la via della discriminazione. Se
qualche leggera contaminazione di errore ancora sussiste, sì da impedire la loro completa
illuminazione, tuttavia tale macchia è insignificante185.
Obiezione: Dato che la percezione e l'adeguato comportamento sono prove valide, le cose
comprese nella dualità esistono effettivamente.
Risposta: Non è così perché le percezioni e l'adeguato comportamento non sono universalmente
veri. Infatti viene dimostrato:

44. Come un elefante, nato dall'arte del mago, è considerato reale perché viene percepito e
perché il suo comportamento è adeguato (a quello di un elefante), così si dice che un dato
percepito sia reale.
Come un elefante illusorio evocato dal mago, per quanto non esistente nella realtà, viene percepito
come reale a tal punto che le persone si comportano verso di esso come se si trattasse di un vero
elefante, sì da legarlo, cavalcarlo, ecc., così - a causa della particolare percezione e di un
determinato comportamento - si dice che davvero esiste la dualità che rappresenta la diversità.
Ciò significa quindi che la percezione e l'uso di attributi di un oggetto non possono essere
considerati prove risolutive per stabilire l'esistenza di un dato.
Qual'è dunque il dato assolutamente reale che è il sostrato186 di tutte le idee non reali, come quella
di creazione, ecc.? Ecco la Risposta:

45. E la coscienza - senza nascita, senza moto e non grossolana, e allo stesso tempo tranquilla e
non duale - che sembra nascere, muoversi ed avere qualità.
Per quanto senza nascita, sembra nascere; così, per esempio, diciamo: «Devadatta è nato, egli
sembra muoversi, egli viene». Inoltre, sembra avere attributi, perciò affermiamo: «Quel Devadatta
è bello o alto». Devadatta appare, dunque, come se fosse nato, come se si dovesse muovere o
dovesse essere bello o alto, ma in realtà egli è senza nascita, senza mutamento e non materiale.
Che cosa corrisponde a tale descrizione? Vijnanam: la coscienza, la quale è quiescente, essendo

                                                             
185 L'asparsa-yoga non condanna né combatte i dualisti, ma li ritiene semplicemente imperfetti conoscitori della Realtà
suprema. L'asparsin è uno yogi che tutto comprende e se comprende non si contrappone ad alcuno; ciò non è
sufficiente tolleranza, ma riconoscimento che nel tempo-spazio tutti possono aver ragione e tutti bisogna dare la
libertà di esprimere il proprio punto di vista. La coscienza senza circonferenza dell'asparsin ha in sé tutti i punti di
vista particolari perché, essendo Brahman, non può non contenere in sé la totalità. 
186  Quando si parla di "sostrato" e di termini come atman, Brahman, ecc., ci si vuole riferire alla visuale empirica;

quindi, occorre avere l'accortezza di non essere intrappolati da concetti mentali limitati e correlati. Le argomentazioni
di Gauƒapåda e Âaækara sono rivolte più a dimostrare ciò che non è che ciò che è la Realtà suprema perché il voler
parlare della Realtà significa non aver compreso. «Il Tao che può dirsi Tao non è l'eterno Tao; il nome che può essere
nominato non è l'eterno nome»(Tao Te Ching: 1). 
 
130 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

priva di nascita, ecc., e senza un secondo187.

46. Così la mente-coscienza è non-nata e le anime sono altresì senza nascita. Coloro i quali
conoscono ciò non cadono nell'errore-sofferenza.
Così, per le ragioni esposte precedentemente, la coscienza-mente non è soggetto alla nascita,
altresì dharmah: le anime sono considerate senza nascita dai conoscitori del Brahman. Il plurale
dharmah è usato metaforicamente poiché il Sé non-duale appare molteplice secondo la differenza

                                                             
187
Per quanto, ad esempio, il sogno sia caratterizzato dal movimento, dall'andare e venire, ecc., tuttavia costituisce
un "movimento apparente". Eppure, sperimentando la vita di sogno, chi potrebbe sostenere che in essa non esista
movimento?
La maya è proprio questo moto apparente, e le indefinite forme universali, di ogni ordine e grado, non sono altro che
l'effetto delmovimento. maya, dunque, è "movimento conformato", ma tale moto non è realtà assoluta. quando in
questo testo, è bene ripeterlo, si parla di illusione o si dice che l'universo formale è illusorio occorre tener presente il
significato di maya per evitare di essere fuorviati. Il serpente che si vede al posto della corda e la città costruita dal
mago nell'aria sono reali oppure irreali? L'asparsa risponde: né l'uno né l'altro; se fossero reali assoluti non potrebbero
nè nascere né cessare di essere; se fossero non reali in senso assoluto sarebbero completamente inesistenti. La maya,
si dice, è anirvavaniya, cioè indescrivibile, proprio perché è maya; essa è una constatazione di fatto e basta. La maya
può essere eliminata ma non descritta perché nel momento in cui la si osserva... sparisce. Quando l'essere sognante si
sveglia, la maya sparisce. L'ignoranza, suo equivalente a livello individuale, è reale e non reale; esiste, eppure può
essere vinta; e nel momento in cui la si conosce essa cessa di esistere. Così, quando si afferma che l'universo è maya
si cade in un paradosso perché implicitamente si sostiene che esso esiste eppure non esiste: dipende dalla visuale da
cui ci si pone. Dallla prospettiva di Turiya, l'universo è moto apparente; da quella empirica, invece, è movimento
conformato che, per l'occhio sensoriale, è reale.
L'asparsa-yoga, e quindi la Må…ƒ¥kya Upani@ad che ne è l'essenza, non nega il mondo, né si disinteressa dei jiva
sognanti, ma nega: 1) l'assolutezza o realtà assoluta delle forme perché, in fondo, queste costituiscono un movimento
apparente, 2) la nascita con la relativa equazione di causa-effetto perché il mondo non è nato nel senso di venir fuori
con una vita autonoma e distinta dal sostrato (si tenga presente che l'asparsa-advaita non è panteistico; è un
controsenso e mancanza di conoscenza sostenere che una visione metafisica - visione che trascende la natura ad ogni
livello - sia panteistica).
Afferma, invece, la Realtà ultima e assoluta, il solo dato di cui si possa dire che è veramente reale; Realtà non-nata,
non soggetta a movimento, a relazione; Realtà che non poggia su alcun sostegno perché è incondizionata, e questa
Realtà siamo noi stessi. La conclusione dell'asparsa non è nè negativista né positivista perché questa coppia di opposti
appartiene al mondo della relazione e del concetto. La Realtà assoluta è, e aggiungervi qualche cosa significherebbe
darle attributi che appartengono al mondo dell'empirico e al relativo. La finalità di questo yoga upanishadico è quella
di togliere al viandante, affranto dal conflitto piacere-dolore, tutti i veli mayahici, tutti i sostegni concettuali, e
restituirgli la vera e autentica dignità di Essere. La sådhanå dell'asparsa opera sul piano del discernimento intuitivo più
che su appoggi psicofisici e porta alla realizzazione metafisica pura.
 
 
131 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

dei corpi188.
Coloro i quali, dopo aver rinunciato a tutte le brame per gli oggetti esteriori, sanno comprendere
che la coscienza, o il Sé, libera dalla nascita, ecc., è la realtà non-duale, non cadono nuovamente
nella sofferenza e nell'oscurità dell'ignoranza come viene confermato dal versetto vedico: «Quale
illusione e sofferenza vi può essere per colui che realizza l'unità?»(Isa up.: 7).
Per spiegare ancora la realizzazione del Sé, di cui si è parlato sopra, il testo procede:

47. Come il movimento di un tizzone ardente sembra avere una linea dritta o curva, così la
coscienza in movimento appare essere il conoscitore e il conosciuto.
Come nell'esperienza comune il movimento di un tizzone ardente sembra avere una linea dritta,
curva e così via, così si ha l'apparenza del percepito e del percipiente, cioè l'apparenza dell'oggetto
e del soggetto 189 . Che cosa dunque appare? Vijnanaspaditam: il movimento della coscienza
proiettato dall'ignoranza; infatti, la coscienza immobile non può avere movimento, come è stato
detto precedentemente (IV, 45), essa è «senza nascita e senza moto».

48. Come il tizzone ardente quando non è in moto diviene libero dalle apparenze e dalla nascita,
così la coscienza quando non in movimento rimane libera dalle apparenze e dalla nascita.
Come quel tizzone ardente quando non è in movimento - quando cioè non è soggetto a nascita
divenendo dritto, ecc. - rimane anabhasam ajam: libero dalle apparenze e quindi dalla nascita, così
la coscienza, la quale risulta in movimento a causa dell'ignoranza, diviene libera dal cambiamento
- cioè dalla nascita - quando l'ignoranza viene a cessare190. Ancora:

49. Quando il tizzone ardente è in moto, le apparenze (erroneamente percepite) non gli
provengono da nessuna parte. Né esse vanno in alcun altro luogo quando il tizzone ardente è
                                                             
188
L'asparsa-yoga sostiene l'Uno-senza-secondo e questa realtà ultima è al di là dell'uno matematico stesso perché
l'uno implica anche i molti; l'uno è termine di relazione, è l'inizio o l'origine della serie, ma l'Uno-senza-secondo o
Turiya non ha alcuna origine né alcuna fine. Sotto questa prospettiva l'asparsa non è né di ordine religioso né
teologico né filosofico, con l'accezione che si dà in Occidente a questa parola. L'asparsa, si è già detto, è metafisica
pura e la realizzazione che ne consegue appartiene a quest'ordine; è bene ripeterlo perché riveste estrema importanza.
Gli individui, in genere, si accostano alla verità sotto il profilo religioso-ritualistico, ontologico-teistico e filosofico
concettuale; l'asparsa va ala di là di tutti questi approcci, va al di là anche di tutti i tipi di yoga classici che si
appoggiano all'azione, al sentimento e alla volontà, cioè su aspetti infraindividuali.
Per questo tipo di yoga occorre una mens informalis, la sola che possa svelare la suprema Realtà metafisica.
 
189
Si osservano varie forme luminose e si pensa che esse esistano realmente, invece non sono altro che un tizzone
ardente in movimento, cessato il quale, le forme spariscono senza lasciar traccia. Una forma fisica, ad esempio, non è
che un movimento conformato elettronico e quando esso cessa, quella forma sparisce.
Questo genere di movimento è maya che fa «apparire le cose che non sono». 
190 Il
jiva-soggetto è un nucleo-moto, l'oggetto è un altro nucleo-moto, così può anche dirsi della nascita e della morte,
ecc. Questi movimenti, risolvendosi, spariscono completamente. L'asparsa-yoga non può essere tacciato di solipsismo
perché anche i nuclei-moto io e non-io sono prodotti dall'ignoranza. 
 
132 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

fermo, né ad esso ritornano.


Quando lo stesso tizzone ardente è in movimento, le apparenze di linea dritta, curva, ecc., non gli
provengono da alcuna parte né esser vanno in alcun altro luogo quando è fermo, né ancora entrano
nel tizzone quando non è più agitato191. Inoltre:

50. Le apparenze non provengono dal tizzone ardente a causa della loro mancanza di
sostanzialità. anche neo confronti della coscienza avviene così perché le apparenze sono sempre
identiche.
Le apparenze non provengono dal tizzone ardente, come qualcosa che entra o esce da un oggetto,
perché sono prive di sostanzialità, cioè non hanno realtà. La frase va così spiegata: la qualità di
dravya: sostanza è dravyatva; dravyatvabhava è l'assenza di sostanza, e yogatah significa «per il
motivo di».
L'entrare p l'uscire sono possibilità che appartengono solo a cose sostanziali.
Le apparenze, invece, della nascita, ecc., presenti nella coscienza, vanno considerate anche in tal
modo (come quelle del tizzone), perché hanno sempre la stessa natura.
Ora, si dimostra come (le apparenze) sono simili (nei due casi):

51. Quando la coscienza è in movimento (come nel sogno e nella veglia) le apparenze (percepite)
non giungono ad essa da nessuna parte. Né esse vanno in qualche altra parte quando la
coscienza è in riposo (nel sonno profondo), né entrano in essa.
52. Né ancora sono nella stessa coscienza perché sono prive di sostanzialità, esse risiedono di là
dalla comprensione perché sono senza alcuna relazione di causa-efffetto.
Ogni cosa che concerne la coscienza è simile (all'esempio) del tizzone ardente, ma la coscienza ha
la peculiarità di essere eternamente senza moto 192 . Si pongono, cioè, in evidenza le apparenze,
come quelle della creazione, ecc., nella coscienza senza moto che sono sada eva acintyah:
perennemente al di là della comprensione. Karyakaranata abhavat: non avendo alcun nesso logico
di causa ed effetto (tra apparenze e coscienza) esse sono quindi non esistenti. Come il tizzone

                                                             
191
Le forme che appaiono con il movimento del tizzone non provengono da nessuna parte esterna ad esso, né si
dirigono verso qualche luogo, ne hanno qualche particolare meta (evoluzione), né, ancora, entrano o si riassorbono nel
tizzone. La comprensione di questo fenomeno può spiegare l'indescrivibilità della maya. Turiya, in fondo, non ha
prodotto niente di sostanziale-reale che possa dirsi esistente nell'accezione che si dà a questa parola. L'Assoluto non
crea, né può creare perché l'azione, come la s'intende, è l'effetto di un'incompiutezza, di una "mancanza", di un
"tendere verso".
Il serpente che si vede al posto della corda, come si è visto nelle kårikå precedenti, né nasce, né si riassorbe nella
corda, perché la corda non ha prodotto niente; il serpente non è qualcosa di sostanziale, di reale che possa dirsi di
essere, con una sua direzione, finalità, ecc. si può dire solo che è maya, e la maya non evolve verso qualche cosa, né
ha impulso finalistico; essa sparisce al tocco della consapevolezza della corda, come il sogno notturno svanisce al
tocco del risveglio.
 
192 Perché è al di là del tempo-spazio-causalità. 
 
133 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

ardente è associato a diverse figure: linea dritta, curva, ecc., per quanto queste non abbiano
un'esistenza reale, così la pura coscienza è associata alle nozioni di nascita, sviluppo, ecc., per
quanto anche queste siano non reali.
E' stato affermato che il reale, cioè l'atman, è uno e non-nato. Ora, per coloro che immaginano la
causalità si dice:

53. Una sostanza può essere la causa di un'altra sostanza e un dato può essere la causa di un
altro dato diverso da se stesso. Ma le anime(jiva) non possono essere considerate né come
sostanze né come qualcosa di diverso da altra cosa.
Una sostanza può essere la causa di un'altra sostanza; un oggetto può essere la causa di un altro
oggetto, ma non può essere la causa di se stesso. Né una non sostanza può essere la causa di se
stesso. Né una non sostanza può essere - da sola - la causa di qualche cosa. Né è logico in alcun
modo considerare le anime come sostanze né come qualcosa di diverso dalla sostanza. Di
conseguenza, l'atman non può essere né causa né effetto di qualche cosa.

54. In questo modi gli enti esterni non sono prodotti dalla coscienza, né la coscienza è prodotta
dagli enti esterni. quindi i Saggi confermano l'assenza di causa e di effetto.
Così, secondo le ragioni addotte, la coscienza è proprio l'essenza del Sé che è identico alla
coscienza; di conseguenza, dharmah: gli enti esterni non sono prodotti dalla coscienza, né la
coscienza è prodotta dagli enti esterni. Tutti gli enti sono le semplici apparenze di ciò che è
essenzialmente la coscienza. in verità, un effetto non viene originato da una causa né una causa da
un effetto. In questo modo i conoscitori del Brahman affermano la mancanza di nascita della causa
e dell'effetto.
Che cosa avviene a coloro che persistono nel credere nella causa e nell'effetto? Ecco la Risposta:

55. La causa e l'effetto emergono quando vi è rappresentazione mentale della causalità. Quando
la rappresentazione cessa, cessa altresì la causalità.
Finché l'attenzione è concentrata sulla causa e sull'effetto con l'idea «Io sono colui che produce le
cause chiamate virtù o vizio, merito o demerito, esse mi appartengono, io godrò i loro frutti per
essere nato in qualche tempo e in qualche luogo tra le creature»; finché la causalità è sovrapposta
al Sé, finché la mente se la rappresenta, finché causa ed effetto, merito e demerito con i loro frutti
sorgono nel campo della mente, essi sono attivi senza interruzioni. Quando questa preoccupazione
della causalità, dovuta all'ignoranza, viene rimossa per mezzo della realizzazione della non-
dualità 193 - come affermato precedentemente quando si è parlato del potere di un incantesimo,
l'impiego di medicine, ecc., i quali hanno la virtù di annullare la cattiva influenza di uno spirito e
di esorcizzare un malato - allora, dato che viene annullata quella rappresentazione, la causa e
                                                             
193  Siparla di realizzazione della non-dualità, non di concettualizzazione e dimostrazione dialettica. Le Upani@ad
costituiscono filosofia realizzativa o, meglio, metafisica realizzativa; chi vuole speculare sulla realtà più che essere la
realtà (perché, appunto, si può essere realtà, senza speculare sulla realtà) farebbe bene ad orientarsi verso i "sistemi
filosofici" dell'Occidente che, senza dubbio, hanno molto materiale interessante da sottoporre alla mente. 
 
134 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

l'effetto cessano di esistere.


Quali conseguenze possono aversi se si crede nella causa e nell'effetto? La risposta è:

56. Finché vi è rappresentazione mentale della causalità, la ruota senza fine delle nascite e delle
morti continua a girare. Ma quando il pensiero della causalità viene risolto, nascite e morti
cessano di prodursi.
Finché la rappresentazione mentale della causalità non viene rimossa per mezzo della perfetta
conoscenza (realizzazione), lo stato profano samsarico continua a sussistere.
Ma quando la credenza nella causalità viene risolta si trascende lo stato profano samsarico194.
Obiezione: Dato che non vi è null'altro che il Sé non-nato, come potete dire che vi sono fenomeni
come l'origine e la distruzione della causa e dell'effetto oltre a quello del mondo?
Ecco la Risposta:

57. Ogni cosa nasce per l'illusoria visione empirica, perciò non vi è nulla di permanente. Dal
punto di vista della realtà ogni cosa è (l'atman) senza nascita, quindi non può esservi una
condizione chiamata annientamento.
Ogni cosa è prodotta dall'errata percezione empirica, che è effetto dell'ignoranza. perciò, entro la
sfera dell'ignoranza non vi è certamente nulla che sia costante (reale); per questo si dice che il
mondo è caratterizzato dall'origine e dalla distruzione, ma sadbhavena: dal punto di vista della più
alta realtà sarvam ajam: ogni cosa è sempre (il Sé) senza nascita, per cui, non essendovi creazione,
non può esservi sicuramente nessun annientamento di causa-effetto195.

58. Gli enti che nascono, in realtà non nascono perché la loro nascita è vista attraverso la maya
e questa stessa maya non ha alcuna realtà assoluta.
Gli enti ed altre cose, i quali sono nati, in realtà non sono nati. la parola del testo: iti, cioè di questa
specie, indica il punto di vista empirico menzionato precedentemente (IV, 57), quindi il significato
è: gli enti che sono di questa specie sono nati (semplicemente) dal punto di vista empirico, ma essi
in realtà non sono nati.
Per quanto riguarda la creazione degli enti di cui sopra, visti dalla visuale empirica, essa deve
intendersi come effetto di maya, come semplice proiezione ideale.
Obiezione: Allora si deve ammettere un'entità reale chiamata maya?
Risposta: Non proprio. La maya non esiste come entità reale; il termine, in fondo, si riferisce a
qualcosa di non esistente. Difatti si dimostra ora come la nascita possa essere paragonata all'atto
magico proiettivo:

                                                             
194 La nascita e la morte (samsara) sono viste, ovviamente, dal punto di vista empirico mayahico. 
195 Adesso c'è un vedere le cose dal punto di vista prettamente metafisico. 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

59. Da un seme illusorio (fenomenico) nasce un germoglio ugualmente illusorio; questo non è né
eterno né distruttibile. Avviene così per tutti gli enti.
Come da un seme illusorio, per esempio di mango, nasce una pianta ugualmente illusoria la quale
non è né eterna né distruttibile perché, in fondo, non ha esistenza, così avviene per la nascita e la
morte degli enti.
L'idea è che, dal punto di vista della verità ultima, per gli enti non vi può essere vera nascita o
morte196.

60. Considerando tutti gli enti senza nascita, conseguentemente non trovano postole nozioni di
eterno e non eterno. Nessuna affermazione assoluta può essere fatta nei confronti di enti per i
quali non si trovano neanche adeguate espressioni verbali.
Ma dal punto di vista dell'ultima verità i termini eterno e non eterno non si applicano all'ente senza
nascita la cui essenza, fuori del tempo, è coscienza omogenea.
Il termine varnah, per derivazione, significa ciò per mezzo del quale un oggetto viene denominato.
E, in riguardo all'ente, le parole non si adattano.
Nei confronti dell'atman non può essere pronunciata nessuna affermazione assoluta come ad
esempio: questo è proprio così, oppure: esso è eterno o non eterno197.
Anche la sruti dichiara: «Dal quale le parole recedono... »(Taittiriya up.: II, IV, 1).

61. Come nel sogno la mente si modifica producendo l'apparenza della dualità, così nello stato
                                                             
196  Vi sono dei fachiri capaci di "proiettare" mentalmente un seme, poi farlo diventare albero con rami e frutti e,
infine, raccoglierne i frutti. Però quest'evento non ha una sua realtà assoluta; si può dire che è un semplice fenomeno
che appare e scompare, che è e non è; comunque, non è un niente con l'accezione che si dà a questo termine. 
197
Tutte le verità di relazione che la mente discorsiva può trovare cadono di fronte all'assoluto atman.

Ecco perché la sruti afferma: dal quale le parole recedono, di fronte a cui si fermano. Infatti, l'atman non può essere
chiuso in un concetto o in una parola e lo stesso termine atman, si è detto precedentemente, può essere imprigionante
se non si comprende che è un simbolo racchiudente una verità che va realizzata.
La mente empirica può rimanere perplessa e anche insoddisfatta perché la sua natura è quella di conoscere tramite
immagini mentali; non possedendo alcuna "immagine mentale", ad esempio della maya (o di Turiya), resta frustata.
Ma se ogni movimento in natura non è definibile, come si può definire con un'immagine mentale un non definibile?
Non solo le cose del mondo mutano incessantemente, ma è soggetta a cangiamento la stessa mente-pensiero, per cui,
mutando il suo parametro referenziale, le cose mutano anch'esse o possono persino scomparire dalla scena. Nessuna
cosa ha un'autoesistenza determinata, precisa ed intrinseca, e questa mancanza di determinatezza non consente di
definire la maya. Nel momento in cui si cerca di osservarla, essa svanisce. Nel momento in cui si vuole cogliere il
movimento del sogno con la consapevolezza della veglia, quel movimento svanisce completamente. Nel momento in
cui, con l'osservazione adeguata, si tenta di afferrare la posizione spazio-temporale dell'elettrone, esso non si trova più
al suo posto; ha già subito un movimento, una accelerazione; ha alterato il suo nesso di relazione.
Ma, in fondo, dice l'asparsa, non ha importanza avere un'immagine mentale della maya; è importante prendere
consapevolezza del suo meccanismo operativo e trascenderla, perché, appunto, la finalità dell'asparsa è si di ordine
metafisico, ma rimane sempre di aspetto realizzativo, pratico, positivo, sperimentale. L'asparsa è filosofia che
rivoluziona la coscienza, è metafisica che trasfigura.
 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

di veglia la mente si modifica producendo nozioni duali.


62. Non vi è dubbio che nel sogno la mente, benché una, appaia sotto aspetti duali, così pure
nello stato di veglia essa, per quanto una, sembra caratterizzata dalla dualità.
La coscienza assoluta la quale è, in realtà, non-duale diventa oggetto di linguaggio per le attività
della mente empirica, ma in verità essa è al di là del linguaggio. i versetti sono stati spiegati
precedentemente (III, 29-30).

63. I jiva, nati da un uovo, dalla fermentazione, ecc., che lo sperimentatore del sogno vede come
esistenti in tutte le dieci direzioni (dello spazio) mentre vaga nel mondo dei sogni, sono soltanto
oggetti di percezione del suo mentale.
64. (Quelle forme) non esistono indipendentemente dalla sua mente; similmente viene ammesso
che la mente di colui che sogna non è oggetto di percezione che per colui che sta sognando.
Nel sogno, lo sperimentatore mentre si muove osserva delle creature come se fossero esistenti in
tute le dici direzioni, cioè quelle nate da uova, quelle nate dalle fermentazioni, ecc.
Obiezione: E allora che cosa ne consegue?
Risposta: Quelle creature sono semplicemente dati di percezione dello sperimentatore di sogno.
Perciò non esistono indipendentemente dalla coscienza di colui che sogna. E' solo la mente che
viene immaginata come le diverse creature; similmente, anche quella mente dello sperimentatore
di sogno non è altro che un oggetto di percezione per colui che sogna. perciò la mente non è
separata dal sognatore.

65. Gli enti - siano essi nati da uova o da fermentazione - che lo sperimentatore dello stato di
veglia vede come esistenti in tutte le dieci direzioni (dello spazio) mentre vaga nella sfera dello
stato di veglia, sono soltanto oggetti di percezione.
66. (Tali oggetti) non esistono indipendentemente dal suo mentale. Così la mente dello stato di
veglia non è altro che un oggetto di percezione per colui che è sveglio.
Gli enti che un uomo vede da sveglio non sono indipendenti dalla sua mente perché vengono
percepiti tramite questa, proprio come gli enti percepiti dalla mente del sognatore.
Inoltre, quella stessa mente percipiente non è distinta dallo sperimentatore perché è ugualmente
percepita da lui come avviene, appunto, nello stato di sogno198.
Quando rimane della kårikå è stato già spiegato.

67. Entrambi (la mente e l'ente) si percepiscono reciprocamente. Se si domanda se l'una esista
indipendentemente dall'altro, la risposta è no; entrambi sono ugualmente indiscernibili
separatamente perché l'uno non può essere conosciuto che dall'altro.
                                                             
198  Gli
oggetti esterni non sono altro che modificazioni mayahiche del mentale universale di cui il jiva individuale è
un momento coscienziale; a sua volta, il mentre universale non è altro che un riflesso del Brahman-atman. 
 
137 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Entrambi - mente ed enti - cioè la mente e le sue modificazioni sono oggetti di percezione l'uno
dell'altro. La mente non esiste che in funzione degli enti e gli enti non esistono che in funzione
della mente. Quindi viene asserito che assolutamente nulla, mente e cose percepite, può esistere.
Quando si chiede: essi esistono? La risposta del Saggio è na: no. Nel sogno, né un elefante né il
soggetto mentale percipiente esistono, così nello stato di veglia la dualità non esiste agli occhi dei
Saggi.
Come è possibile tutto questo? Sia la mente che gli oggetti percepiti sono privi di qualsiasi
possibilità di dimostrazione. L'una e gli altri vengono recepiti semplicemente a causa di un
rapporto reciproco. Non vi può essere nessuna conoscenza del vaso mettendo da parte l'idea del
vaso, né vi può essere alcuna comprensione dell'idea del vaso mettendo da parte il vaso. In questo
caso è implicito che non vi è nessuna distinzione tra i due, cioè tra l'uno che è lo strumento di
conoscenza e l'altro che è il suo oggetto199.

68. Come un ente visto in sogno è sottoposto alla nascita e alla morte, così tutti questi enti
appaiono e scompaiono.
69. Come un ente evocato dall'immaginazione del mago è sottoposto a nascita e morte, così tutti
questi enti appaiono e scompaiono.
70. Come un ente creato con un qualsiasi artificio è sottoposto alla nascita e alla morte, così
questi enti appaiono e scompaiono.
Il termine mayamayah significa ente creato dall'immaginazione di un mago e l'altro termine
nirmitakah significa creato da incantesimi, artifici, ecc. Come nel sogno, gli enti creati da uova,
ecc., o tramite artificio e magia, ecc., nascono e muoiono, così gli enti quali gli esseri umani, i
quali sono semplicemente percepiti dalla mente, appaiono e scompaiono200.

71. Assolutamente nessun ente è mai nato perché nessuna causa vi è stata per tale nascita. la
verità ultima è ce assolutamente niente è nato.
E' stato detto che la nascita, la morte, ecc. degli enti nella sfera empirica grossolana sono le stesse
che si hanno nello stato di sogno, per cui la verità ultima è proprio quella che asserisce la non
causalità della nascita. la rimanente parte è stata spiegata precedentemente (III, 48).

72. Questa dualità, caratterizzata dal soggetto-oggetto, è una semplice modificazione mentale.
Ma (dal punto di vista della realtà suprema) la mente non entra in contatto con nessun oggetto
esterno indipendente, perciò essa è senza relazione (asparsa).
                                                             
199 Nel sogno, sia il soggetto sperimentatore che l'oggetto da sperimentare sono immagini luminose della stessa mente
la quale apparentemente si scinde dimostrandosi come soggetto e oggetto, oltre che come aspetto di rapporto, quindi
di conoscenza. così soggetto, oggetto e conoscenza non sono altro che una stessa cosa. Tutte le dualità, o meglio
polarità vitali, sono identiche perché identica è la loro matrice. 
200 E' solo in questo senso che si può, quindi, parlare di nascita e di morte. Ma tale nascita-morte non può essere reale

come, appunto, non è reale la nascita-morte dello sperimentatore di sogno. Dire che un personaggio onirico sia
veramente morto rappresenta un assurdo, ma per l'asparsin è altrettanto assurdo parlare della propria morte (quella che
si percepisce allo stato di veglia) e di quella degli altri. 
 
138 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

La dualità, caratterizzata da soggetto e oggetto, è cit-taspanditam eva: in verità una vibrazione


(modificazione) della mente. ma dal punto di vista dell'ultima verità, citttam: la mente non è altro
che l'atman, quindi è nirvidayam: senza oggetto. Ne consegue che essa è senza relazioni, come
d'altra parte si deduce dal testo vedico: «Perché questo Essere infinito è senza relazioni»
(Brhadaranyaka up.: IV, III, 15-16).
Colui che percepisce oggetti esterni distinti entra in relazione con tali oggetti, ma, dal momento
chela mente è senza oggetti (distinti), essa non ha rapporti201.
Obiezione: Se la mancanza di relazioni della mente proviene dal fatto che essa è senza oggetti,
allora non vi può essere libertà dalla relazione perché esistono oggetti quali il Maestro, la Scrittura
e il discepolo.
Risposta: La nostra analisi non presenta alcun difetto.
Obiezione: Perché?
Ecco la Risposta:

73. Ciò che dal punto di vista empirico appare immaginario non ha alcuna (reale) esistenza dal
punto di vista della realtà assoluta. Così, qualsiasi cosa sostenuta dal punto di vista empirico da
altre scuole di pensiero, non ha realtà assoluta.
Un oggetto, per esempio una Scrittura, il quale esiste in modo empirico, è immaginato come
mezzo per realizzare la realtà ultima. Di conseguenza, la Scrittura, ecc., che non esiste se non in
virtù di particolari esperienze empiriche, non ha esistenza alcuna paramarthena: dal punto di vista
della realtà suprema.
E' stato detto precedentemente: «La dualità cessa di esistere quando viene conseguita la
realizzazione» (I, 18). E qualsiasi cosa esistente, per quanto sostenuta dal punto di vista empirico
di altre scuole di pensiero, quando viene considerata dalla prospettiva della suprema verità è non
reale. Perciò viene detto a ragione: «Essa è senza relazione» (IV, 72).
Obiezione: Supponendo che le Scritture abbiano soltanto un'esistenza empirica, l'idea stessa di
senza nascita dovrebbe essere ugualmente empirica.
Risposta: E' la verità.

74. Come (i dualisti) sostengono che, dal punto di vista empirico, l'anima è sottoposta alla
nascita, così (i non-dualisti), sempre attenendosi a questo punto di vista, sostengono che l'anima
è senza nascita; però, dalla visuale dell'ultima verità, non possiamo parlare neanche di senza
nascita.
In armonia con il punto di vista empirico, sostenuto anche dalle Scritture, ecc. che considerano il
non-nato nato, si dice che l'atman sia ajah: non nato. Ma, paramarthena: dal punto di vista della

                                                             
201 Di qui il nome asparsa: senza relazione, senza contatto perché, appunto, non c'è un secondo distinto e separato cui
riferirsi o creare un rapporto. Quando la mente riconosce che gli oggetti ideali sono i suoi stessi prodotti con chi potrà
contrapporsi o a chi potrà rapportarsi? 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

verità ultima, non può dirsi che esso sia senza nascita202.

75. Vi è un evidente intenso desiderio per i falsi oggetti, ma la molteplicità non esiste.
Realizzando la non esistenza della molteplicità si diviene liberi dal desiderare intensamente cose
non reali, per cui non si è sottoposti alla nascita.
Il termine abhinivesah significa persistente attaccamento. Poiché non esiste alcun oggetto, ne
consegue che ci troviamo di fronte ad una rappresentazione mentale della molteplicità, per quanto
essa sia inesistente203.
Dvayam na vidyate tatra: la dualità non esiste e, poiché un attaccamento all'irrealtà è la sola causa
della nascita, ne consegue che coloro che realizzano la non esistenza della dualità diventano liberi
dalla causa, spogliati dal desiderio intenso per la dualità irreale e quindi non più sottoposti alla
nascita.

76. Quando la mente non percepisce le cause superiori, medie e inferiori, allora si affranca dalla
nascita. Perché, come potrebbe esserci effetto senza alcuna causa?
Le cause più alte (superiori) sono quei doveri prescritti per gli ordini sociali e gli stadi di vita e
compiuti da persone non attaccare ai risultati. Esse conducono al conseguimento degli stati
coscienziali degli Dei ed altri; sono atti puramente virtuosi. le cause intermedie consistono in quei
doveri associati a certe pratiche estranee alla religione e la cui osservanza permette ad un essere di

                                                             
202
Si può notare la sollecitudine di Gauƒapåda di far comprendere il vero punto di vista metafisico. Nascita e non
nascita, movimento e immobilità, mortale e immortale, reale e irreale, ecc., sono sempre verità di relazione, quindi
emiriche. La Realtà suprema può semplicemente dirsi non-duale. Chi comprende veramente questo termine «non-
duale» non incorre nella concettualizzazione relazionata della mente discorsiva.
Sia il neti-neti (non questo, non questo), che l'iti-iti (questo, questo) dell'advaita (in altri termini il no e il si) si
risolvono nella non-dualità, che è la realtà senza secondo, senza nome; è la sillaba M (dell'AUM) silenziosa, senza
suono. 
203
Per l'asparsin ogni desiderio viene meno, non perché esso venga inibito, ma perché riconosce consapevolmente
che ogni dato è un semplice apparire e scomparire. La maggior parte degli individui, purtroppo, è assetata e costretta
da indefiniti appetiti e la storia dell'umanità è storia di conquiste, di accumulo, di brame e di violenza ad ogni livello.
Quando all'uomo si toglie il sostegno acquisitivo oggettivo egli può crollare e naufragare sul piano dell'incertezza e
dello smarrimento; altri, pur di non veder svanire le loro conquiste aleatorie e i loro "ideali", sono capaci di ideare una
filosofia compensatoria, sono disposti a inventare la stessa verità.
Si può dire che la maggioranza del genere umano, alla ricerca di desideri, ha costretto e costringe altri a seguire la
filosofia dell'appagamento sensoriale mayahico e ha costruito e costruisce la portentosa "macchina forgiatrice di cose"
per offrire ai deboli non illuminati l'illusione del momento.
L'asparsin, in fondo, non rinuncia alle cose del mondo perché - dal punto di vista della verità ultima, ed è quella che
solo conta per l'asparsin - queste cose... non sono. La posizione coscienziale del samnyasin-asparsin non è la rinuncia
come comunemente s'intende poiché questo termine presuppone un qualcosa a cui si deve rinunciare. Si può invece
dire che l'atteggiamento dei dualisti è vera rinuncia, abbandono, è distacco dalle cose del mondo e dal mondo perché
per loro i dati oggettivi sono reali, ma per l'asparsin non v'è alcuna rinuncia, fuga o distacco da attuare: il mondo, con
le sue espressioni vitali, non è altro che lo stesso Brahman e quando si realizza il Brahman non ci sono più cose da cui
distaccarsi, esse sono sparite.
 
 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

innalzarsi fino allo stato umano, ecc. le cause inferiori sono quelle tendenze particolari conosciute
come completamente irreligiose e portano alla nascita tra gli esseri subumani, ecc.
Ma quando la mente realizza l'atman, che è Uno-senza-secondo e libero da ogni immaginazione,
non percepisce più quelle cause - superiore, intermedia e inferiore - proprio perché sono
immaginate tramite l'ignoranza (avidya), come certi fenomeni visti nel cielo dai bambini non
vengono percepiti da un uomo discriminante. Allora la mente (il jiva) non subisce più la nascita
nella forma di Dei e altri, le quali forme costituiscono gli effetti di ordine superiore, medio e
inferiore. Quando non vi è nessuna causa, non vi è altresì alcun effetto, proprio come in mancanza
del seme il fiore non può nascere.
E' stato detto che la coscienza non ha nascita in assenza di cause; ora viene spiegato in che cosa
consiste questa mancanza di nascita della coscienza204.

77. La mancanza di nascita che la coscienza raggiunge quando è libera dalla causa è costante e
assoluta; un tale stato di senza nascita preesisteva alla sua liberazione.
La mancanza di nascita chiamata liberazione viene attribuita alla mente-coscienza che è senza
causa e libera da effetti empirici quali virtù e vizio; essa è per sempre e in tutte le circostanze
sama: costante, advaya: non duale e assoluta. E questo stato ajatasya. appartiene al senza nascita,
alla coscienza che è stata sempre senza nascita. Anche prima della realizzazione della più alta
conoscenza, la nozione di dualità e quella di nascita non erano altro che semplici rappresentazioni
ideali. Di conseguenza, la non evoluzione del mentale, il quale è eternamente libero da mutamento
e nascita, è costante e assoluta. In altri termini, non può dirsi che questa non evoluzione o questa
liberazione esistono alcune volte e altre no; esse sono sempre esistite e non cambiano mai205.

78. Dopo aver realizzato l'assenza di causalità in quanto verità ultima, si accede allo stato di
liberazione che è esente da dolore, da desiderio e da paura.
Da quanto è stato detto si può riconoscere l'assenza di dualità, dualità che è causa di nascita, ecc.,
e si può realizzare l'assenza di causa in quanto verità ultima. Inoltre, si cessa di vedere la realtà di
qualsiasi cosa in quanto causa - per esempio il merito religioso, ecc. - che permetta ad un essere di
accedere alla chi era degli Dei, ecc. dopo aver così superato ogni desiderio, si raggiunge lo stato
della conoscenza o liberazione, la quale è esente da desiderio, da sofferenza, da ignoranza e da
paura. Ciò implica l'uscita dalla nozione di nascita e morte.
79. E' a ragione del suo attaccamento agli oggetti non reali che il mentale(jiva) insegue tali

                                                             
204
A seconda delle azioni e dei meriti acquisiti il jiva può prendere una forma divina, umana o subumana. Ma ogni
forma non è altro che limitazione, movimento conformato che ottenebra e vela lo splendore dell'atman. Ogni
acquisizione formale è frutto di avidya.
«Come perisce qui in basso ciò che si è acquisito con l'azione, così perisce lassù ciò che è acquisito mediante il
merito» (Chandogya-up.: VIII, I, 6). 
205  Quando si parla di non evoluzione o liberazione si deve ricordare che questi eventi sono visti dalla prospettiva

individuata. IL Sé, eternamente libero, non è soggetto né a schiavitù né a liberazione né a trasmigrazione. Non c'è
un'entità reale che debba essere liberata, né c'è una forma reale, intrinsecamente autonoma, che sia nata e debba
evolvere. 
 
141 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

oggetti, ma torna alla sua intrinseca natura quando cessa di attaccarsi ad essi (riconoscendo la
loro non realtà assoluta).
L'attaccamento agli oggetti irreali è dovuto alla convinzione che esiste la dualità per quanto sia
non esistente. E' in ragione di un tale attaccamento - che è della natura dell'illusione, creata
dall'ignoranza - che quella mente insegue l'irreale. Perciò, quando realizza la non esistenza della
dualità negli oggetti, essa diviene distaccata, ritirandosi da quegli oggetti non reali.

80. Quando la coscienza si è distaccata (dagli oggetti) e non entra più inattività, consegue lo
stato di quiete. Così il Saggio, realizzando tale quiete, raggiunge la vera armonia, che è senza
nascita e non-duale.
Quando la coscienza si è distaccata dagli oggetti della dualità per il riconoscimento dell'assenza di
oggetti, non entra più in alcuna attività, ne consegue uno stato di non moto, che è proprio della
natura del Brahman. Poiché questo stato non viene raggiunto che dai Saggi, i quali hanno
realizzato la verità ultima, esso è di conseguenza lo stato più alto, il più armonico, senza alcuna
differenziazione, ajam advayam: senza nascita e non-duale.
Si descrive ancora ciò che è realizzabile dal Saggio:

81. Questa (Realtà) è senza nascita, senza sonno, senza sogni e autorisplendente perché l'atman
è sempre risplendente per sua natura.
Quello (atman) è pienamente illuminato da se stesso, quindi è per natura autorisplendente.
Quest'entità chiamata il Sé è altresì risplendente per sempre a causa, appunto, della sua particolare
natura.
Adesso si dimostra perché questa Realtà suprema, per quanto se ne parli, non sia affermata dalle
persone comuni.

82. A causa del desiderio per qualunque oggetto, il Signore (atman) si presenta facilmente
nascosto, per cui viene scoperto con difficoltà.
Poiché asau bhagavan: quel signore, il Sé non-duale, diviene facilmente offuscato dal desiderio di
afferrare la falsa realtà duale degli oggetti - e l'offuscamento è la conseguenza della percezione
della dualità - esso difficilmente viene scoperto e rivelato. Così, la conoscenza della realtà
suprema costituisce una rarità; ecco perché è difficile comprenderla, per quanto le Upani@ad ne
parlino e, vari modi, anche i maestri, secondo la dichiarazione della sruti: «Meraviglioso è
l'amabile Istruttore, meraviglioso è colui che ne viene istruito»(Katha up.: I, II, 7).
Se l'attaccamento appassionato degli eruditi alle idee anche sottili, come quelle di esistenza o non
esistenza del Sé, ecc., non ha altra utilità che quella di frapporre una barriera fra loro stessi e il Sé
supremo, allora perché meravigliarsi se la passione, sotto forma di preoccupazione intellettuale,
rende ancor più ottuso l'intelletto sì da essere incapaci di svelare l'atman? Il prossimo versetto
mette in evidenza il contenuto della presente kårikå.

 
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Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

83. Asserendo che il Sé «esiste», «non esiste», «esiste e non esiste», o ancora «non esiste in
modo assoluto», l'uomo non discriminante certamente lo vela tramite idee di mutevolezza, di
immutabilità, di mutabilità e immutabilità, e di non esistenza assoluta.
Alcuni disputanti accettano l'idea che il Sé esiste 206 . Altri, cioè coloro che credono nella
transitorietà delle cose, affermano che esse non esiste 207 . Altri ancora, che credono a una
semitransitorietà e che sono, in fondo, nichilisti, parlano sia dell'esistenza che della non esistenza
del Sé, per cui concludono che esso esiste e non esiste208.
Il nichilista assolto dice: esso non esiste, esso non esiste 209 . Coloro i quali affermano che l'atman
esiste, lo reputano mutevole, ma diverso dalle cose impermanenti quali una brocca; quelli che
asseriscono che l'atman è non esistente si basano sulla sua natura costantemente mutevole; coloro i
quali dichiarano che l'atman è esistente e non esistente, lo considerano di entrambe le specie
perché esso si riferisce sia la mutevole che all'immutabile. Infine, gli ultimi ritengono il Sé
abhavah: non esistente in assoluto. Così le quattro categorie esaminate sostengono: chi l'esistenza,
chi la non esistenza, chi contemporaneamente l'esistenza e la non esistenza, chi, infine, la non
esistenza assoluta (dell'atman); ma queste teorie provengono da pregiudizi quali il mutamento,
l'immutabilità, la contemporaneità di esistenza e non esistenza e la negazione assoluta. quindi,
queste persone sono balisah: non discriminanti e con le loro teorie velano sicuramente il signore
(il Sé). L'idea implicita è che se questi sedicenti eruditi, data la loro non realizzazione della verità
suprema, agiscono da ignoranti, che cosa si potrà dire allora di coloro che sono totalmente privi
d'intelletto 210 ? Di quale natura è, dunque, la Realtà suprema, conoscendo la quale ci si libera
dall'ignoranza e si diviene illuminati?
La risposta è:

84. Queste (esposte) sono le quattro teorie alternative e, a causa del nostro attaccamento a una
di esse, il Signore (atman) rimane velato alla visione. Colui che vede il signore come non toccato
da queste (sovrapposizioni) è onnisciente.
Con l'accettazione di queste quattro teorie alternative, cioè: «esso esiste», «esso non esiste», e così
via, menzionate precedentemente e che rappresentano le conclusioni raggiunte dai disputanti
dogmatici, il Signore rimane sempre velato.
Quegli, il Saggio riflessivo che realizza il Signore, il quale è velato a quei sofisti, rimane non

                                                             
206  Si accenna alla scuola Vaisesika, secondo la quale l'atman è distinto dal corpo, dal prana e costituisce lo
sperimentatore della felicità e della sofferenza. 
207  Si tratta della scuola Ksanika vijnana vadin dell'idealismo soggettivo secondo la quale tutto è coscienza che

cambia da un momento all'altro perché è impermanente; quindi si esclude la possibilità di concepire una realtà stabile,
permanente e identica a se stessa. 
208  E' la scuola Jaina secondo la quale l'atman esiste, è distinto dal corpo, ma si risolve con la soluzione del corpo

stesso. 
209 Sono nichilisti in senso assoluto. 
210
Ogni teoria che sia frutto della mente si basa sul rapporto soggetto-oggetto, quindi è una conoscenza di relazione.

L'atman-assoluto sfugge a qualunque determinazione mentale; costruire teorie intellettive intorno all'Assoluto
significa allontanarsi sempre più dall'Assoluto. Si è visto altrove che la Realtà assoluta non può divenire oggetto di
percezione quindi di conoscenza oggettiva, essa va solo realizzata, e l'asparsa-yoga dell'Upani@ad ne addita la relativa
sådhanå. 
 
143 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

toccato da quelle teorie. Colui che ha realizzato l'Essere onnipervadente, presentato e trovato solo
nelle Upani@ad, e sarvadrk: onnisciente o, in altre parole, egli è un uomo veramente illuminato.

85. Quale sforzo si potrebbe ancora fare dopo aver raggiunto l'onniscienza nella sua pienezza e
lo stato non-duale del brahmana, stato senza inizio, evoluzione e fine?
Avendo raggiunto - come indicato nel testo vedico: «Ma colui il quale, o Gargi, abbandona questo
mondo dopo aver conosciuto tale Immutabile, costui è veramente un Brahman (conoscitore di
Brahman)»; «Questa è la gloria eterna di un brahmana, essa non cresce né decresce per mezzo di
opere» (Brhadaranyaka up.: III, VIII, 10; IV, IV, 23) - l'onniscienza nella sua pienezza e lo stato
non duale del Brahman, stato che non ha inizio né evoluzione né fine, vale a dire origine, crescita
e dissoluzione, quale ulteriore azione (il Realizzato) potrebbe determinare? L'idea è che qualsiasi
azione (o desiderio) diviene inutile, come afferma anche la gita (III, 18): «Né l'azione né la non
azione possono mai interessare un simile essere in questo mondo, egli non dipende più da
alcuno»211.

86. Questa realizzazione (del Brahman senza nascita) conferisce ai brahmana una quiete
naturale e spontanea. Avendo conosciuto ciò, l'uomo illuminato si stabilisce (definitivamente)
nella pace.
Questa continuità nello stato di identità con il Sé conferisce una quiete naturale ai brahmana. E' la
loro vera quiete ed è anche chiamata a loro naturale pace mentale. Damah: l'autocontrollo
scaturisce anche da questa realizzazione. Questo loro equilibrio è spontaneo perché Brahman è,
per natura assoluta tranquillità. Avendo conosciuto Brahman in tal senso, l'uomo illuminato
raggiunge la pace, vale a dire rimanere stabile in tale tranquillità, che è spontanea essendo appunto
l'essenza del Brahman. così, poiché le filosofie dei sofisti sono in conflitto l'una con l'altra, esse
conducono allo stato samsaico e sono condizionate da ostacoli quali l'attrazione e la repulsione.
Sono perciò false filosofie. Dopo aver provato questo fatto, servendoci della loro stessa logica
empirica, possiamo concludere che quella filosofia, che è libera da tute e quattro le
argomentazioni (dei sofisti), deve risultare la più perfetta. ora, quella della non-dualità è esente da

                                                             
211  L'onniscienza che si realizza è di ordine sintetico, essenziale e non quantitativo; l'onniscienza non è un accumulo
di nozioni perché non si riferisce all'individuale. A chi ha compreso l'unità e l'essenzialità del tutto, che cosa rimane
da compiere? L'individualità esiste proprio perché non si è compreso, ma quando si realizza l'onnicomprensione
l'individualità sparisce e sparisce anche il suo andare e venire, il suo cercare e tutta la sua sete compensatoria di
godimento. Chi si è liberato dal processo individuato, non soltanto umano, è Realtà senza secondo. 
 
144 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

tali errori, e per la sua stessa natura è completa serenità212.


Con la seguente kårikå inizia la dimostrazione del nostro procedimento per raggiungere la verità.

87. Lo stato comune (di veglia) è quello della dualità, la quale consiste di cose della realtà
empirica adatte ad essere sperimentate. L'ordinario stato (di sogno) è quello in cui si ammette
l'esperienza duale per quanto gli oggetti non siano reali.
La parola savastu implica oggetti che vengono percepiti nell'esperienza empirica; così il termine
sopalambham suggerisce l'idea che un soggetto ne faccia esperienza. questi termini, descritti
anche dalle Scritture, si rivolgono al mondo della dualità, fonte di ogni azione.
Questo mondo è caratterizzato dalla relazione soggetto-oggetto. Esso è lo stato ordinario comune
o, in altri termini, lo stato di veglia che dalle Upani@ad è considerato tale.
Ciò che è avastu: insostanziale, privo di esistenza empirica (di veglia), sopalambham: associato
all'esperienza ideale delle cose - per quanto di fatto non vi siano oggetti - è ritenuto lo stato di
sogno, stato che è comune a tutti gli esseri e che si differenzia dallo stato di veglia perché è sottile
mentre l'altro è grossolano.

88. La Tradizione sostiene che vi è un altro stato senza contenuto e senza esperienza. Così sono
proclamati dai Saggi anche il conscibile, la conoscenza e l'oggetto conosciuto.
Ciò che è avastu: non sostanziale è anupalambham: privo di esperienza o, in altri termini, ciò che è
privo di soggetto e oggetto, è ritenuto dalla Tradizione come lokattaram: al di là dell'usuale
esperienza empirica, perciò è sovra-sensibile perché, mentre l'esperienza normale consiste di
soggetto e oggetto, in tale stato vi è invece un'assenza di questa dualità; esso costituisce il seme di
ogni possibilità e viene denominato stato di sonno profondo.
Jnanam: la conoscenza è quella tramite cui viene riconsociuta la realtà suprema e la comprensione
dello stato normale, dello stato senza oggetti e di quello sovrasensibile. Jneyam: l'oggetto di
conoscenza assomma solo questi tre stati perché logicamente non vi è oggetto di conoscenza al di
sopra di essi, e in questi stati figurano gli oggetti immaginati da tutti quei sofisti (di cui abbiamo
parlato).
Il fine della realizzazione è la Realtà suprema, chiamata anche il Quarto, cioè la realtà non-duale,
senza nascita, che è il Sé. Coloro che hanno «veduto» la Realtà suprema hanno considerato questi

                                                             
212
Colui che segue l'asparsa non ha bisogno, come avviene per altri tipi di yoga, di praticare certe virtù o dominare
aspetti psichici qualitativi per evitare che la forza egoica prenda il sopravvento. L'asparsin raggiunge ogni tipo di virtù
con la comprensione illuminante che la molteplicità universale non è altro che maya imprigionante. Poggiando su se
stesso in quanto atman, egli scopre che tutto è Brahman, quindi unità, e non vi può essere superbia, invidia,
acquisizione, senso di potere materiale, psichico o altro attributo dell'individualità perché tute queste qualità implicano
dualità, quindi incompiutezza. Chi è privo di desiderio, nella sua indefinita espressione, ha raggiunto il Centro e
questo rappresenta l'alfa e l'omega di ogni cosa. Per chi riposa in se stesso, con se stesso e per se stesso - in quanto
Brahman - non c'è più il minimo impulso ad appetire e afferrare.
Chi vive nel Silenzio onnipervadente non può giudicare, comparare, distinguere e contrapporsi, ma vede il tutto con
l'occhio dell'equanimità e dell'unità. 
 
145 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

diversi stati, dal comune grossolano fino al Sé, come il fine della conoscenza213.

89. Quando viene conosciuta la triplicità oggettiva in successione e quando la Realtà suprema
diviene autorivelata, allora, per l'essere di elevato intelletto, si svela eternamente lo stato di
onniscienza.
Jnane: quando la conoscenza, quella del normale grossolano, ecc., viene acquisita e quando gli
oggetti dei tre stati vengono conosciuti in successione - cioè gli oggetti grossolani comuni; poi,
quando questi non sono più presenti, quelli comuni sottili; e, nell'assenza di entrambi, quelli
seminali del sovrasensibile, per cui i tre stati vengono eliminati e la Realtà suprema, il quarto non-
duale senza nascita e senza timore, oramai è realizzata in modo spontaneo - allora per l'essere di
elevato intelletto si svela qui, in questo mondo 214 , lo stato di onniscienza e ciò per sempre, in
quanto la sua realizzazione si riferisce alla trascendenza dell'intero universo, vale a dire, una volta
conosciuto il quarto non lo si abbandona più.
A differenza della conoscenza dei sofisti, non vi è nessuna apparizione o sparizione per la
conoscenza di chi ha realizzato la Realtà suprema.
Per il fatto che gli stati comune grossolano, sottile, ecc. siano stati presentati come oggetti da
conoscere in successione, qualcuno potrebbe trarre la conclusione che essi abbiano un'esistenza
reale.
Quindi viene detto:

90. Le cose da evitare, quelle da conoscere, quelle da accettare e quelle da rendere inefficaci,
debbono essere comprese fin dall'inizio. Le tre condizioni, tranne quella della realizzazione, sono
tradizionalmente considerate come fantasie prodotte dall'ignoranza.
Sono da respingere i tre stati, iniziando d quello comune (di veglia). Cioè, come dobbiamo
respingere il serpente illusorio sovrapposto alla corda, così non dobbiamo prendere in
considerazione la veglia, il sogno e il sonno profondo perché non sono il Sé. Ciò che dev'essere
conosciuto (realizzato) in questo contesto è la suprema realtà libera da quelle quattro teorie (dei
                                                             
213  La sådhanå dell'asparsa consiste, dunque, nel considerare gli oggetti grossolani (Virat)., sottili, quindi superfisici
(Hiranyagarbha), germinali o noumenici (Isvara) come appartenenti al dominio della relazione, della dualità, del
rapporto e del contatto; ciò implica, dalla prospettiva metafisica, che essi riguardano la sfera della non realtà. La realtà
per chiamarsi tale deve, naturalmente, essere non-duale, non relazionata, non rapportata; in altri termini, deve essere
asparsa. 
214
Caratteristica dell'asparsa è chela liberazione integrale può essere conseguita anche dimorando in un corpo fisico
(jivanmukta) perché l'atman non dipende da spazio-tempo e causalità. Quando la coscienza, tramite la conoscenza
risolutiva, si ritira in se stessa perché ha riconosciuto il mondo della dualità (grossolano, sottile e germinale) privo di
realtà assoluta, allora scopre il Quarto, Turiya, l'Uno-senza-secondo.
Tutte le esperienze e tutte le forme, di qualunque ordine e grado, sono incluse nei tre stati per cui l'asparsa fa una
disamina di tali esperienze per vedere se rispondono alla Realtà assoluta. E' il metodo vicara. Da un punto di vista
intuitivo, razionale e sperimentale l'asparsa afferma che tutte queste sperimentazioni sono frammentarie, relazionate,
quindi conflittuali. Così, arriva a trascenderle e a svelare la Realtà suprema non-duale, fondamento di ogni essere e
non essere, di ogni chiaro-scuro e possibile polarità.
 
 
146 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

sofisti). Le cose che debbono essere accettate dal discepolo, dopo aver rinunciato al triplice
desiderio (quello che si riferisce alla discendenza, all'attaccamento dei beni terreni e a quelli
celesti), sono le discipline chiamate: sapienza e il frutto che proviene dalla conoscenza e dalla
meditazione. Infine, le cose che debbono essere rese inefficaci, cioè le impurità come l'attrazione,
la repulsione, l'inganno, ecc., sono chiamate anche passioni. tutte queste cose, cioè quelle che
debbono essere evitate, realizzate, accettare e rese inefficaci, debbono essere ben conosciute dal
discepolo fin dall'inizio. Ma esse - all'infuori di ciò che si deve realizzare, cioè Brahman, unica
realtà - vengono percepite in ragione della nostra immaginazione.
A quale conclusione giungono i conoscitori del Brahman in riguardo a queste tre cose che
rispettivamente debbono essere evitate, accettate e rese inefficaci? Dal punto di vista dell'ultima
realtà tali aspetti non esistono215.

91. Tutti i dharma devono essere conosciuti come appartenenti alla natura dell'akasa ed eterni.
Non devono, quindi, essere considerati minimamente multipli in nessun luogo.
Sarve dharmanh: tutte le anime jneyah: debbono essere considerate, da coloro che aspirano alla
liberazione, akasavat prakrtya: analoghe alla natura dell'etere, cioè informali, libere da
contaminazione, onnipervadenti ed eterne. Perché nessun'idea errata di molteplicità possa venire
formulata dall'uso dei termini sarve dharmah: tutti i dharma, il secondo versetto della kårikå ha lo
scopo di allontanare una simile idea: la pluralità non esiste minimamente in nessun luogo.
In quanto al fatto che le anime siano oggetto di cognizione cioè pure è in armonia solo con
l'esperienza empirica, ma non con la verità ultima.

92. Tutte le anime sono, per la loro stessa natura, risplendenti fin dall'origine ed eternamente
immutabili. Colui che ha realizzato questa visione si è liberato dal bisogno di ulteriore
conoscenza e svela l'immortalità.
Come il sole è sempre risplendente, così tutte le anime sono, per la loro stesa natura,
autoilluminate fin dall'inizio; cioè sono eternamente della natura della coscienza, quindi è inutile
ogni sforzo per accertare la loro identità o, in altri termini, esse sono eternamente le stesse per cui
non è possibile affermare: «E' così» oppure «non è così». Come il sole è sempre indipendente da
qualsiasi altra luce, sia nei confronti di se stesso che degli altri, così colui che cerca la liberazione
si trova libero da qualsiasi bisogno di conoscenza, sia nei riguardi di se stesso che degli altri.
Quindi, come sopra indicato, quell'essere diventa idoneo per l'immortalità, cioè egli è in grado di
raggiungere la liberazione. Similmente non vi è alcun bisogno di portare tranquillità nel Sé; ciò è
messo in evidenza dalla kårikå seguente:

                                                             
215
La preoccupazione continua di Gauƒapåda e Âaækara è quella di far comprendere che certe cose sono dette
semplicemente dal punto di vista empirico e quindi duale.
Concettualizzare una visione metafisica della realtà non è possibile; d'altra parte, dovendo parlare ad individui sotto il
velo della maya, bisogna usare il linguaggio dell'avidya. 
 
147 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

93. Le anime sono fin dall'inizio, tranquille, non nate e, per loro propria natura, completamente
distaccate, non differenti, come la stessa realtà è senza nascita, uniforme e pura.
Poiché fin dall'inizio tutte le anime sono adisantah: tranquille, pacificate, anutpannah prakrtya eva
sunirvrtah: senza nascita, identiche nella loro natura, samabhnnah: eguali e non differenti, e,
ancora, poiché la realtà del Sé è ajam: senza nascita, samyam: equilibrata e visaradam: pura, non
vi può essere alcuna cosa, quale la pace e la liberazione, che debba essere ottenuta. Per quanto un
atto possa essere compiuto, tuttavia non può provocare il benché minimo mutamento nel Sé, che
rimane sempre identico a se stesso.
Coloro che hanno afferrato la verità ultima, come precedentemente descritta, sono le sole persone
al mondo che non sono da comparire, mentre le altre sì. Ciò viene affermato nella kårikå seguente:

94. Non ci può essere perfezione per le persone che hanno idee di molteplicità, che camminano
sul sentiero della dualità e che parlano della pluralità. quindi, tradizionalmente, esse sono
considerate degne di compatimento.
Esse hanno idee di dualità, seguono la dualità e quindi si confinano nel mondo. Chi sono costoro?
Sono coloro i quali parlano di una molteplicità di cose o, in atri termini, i dualisti. Perciò queste
persone sono tradizionalmente considerate karpanah: da compatire. D'altra parte, non vi è nessuna
perfezione per quelli che vagano nel mondo della dualità, la quale dualità è creata dall'ignoranza.
Di conseguenza, è giusto che essi siano oggetto di commiserazione.
Il versetto seguente dice che la natura della verità suprema è al di là della percezione di coloro che
non hanno l'espansione di cuore richiesta, che sono al di fuori del Vedanta, che sono di mente
limitata e d'intelletto ottuso.

95. Possederanno l'insuperabile conoscenza solo coloro che sono fermi nella loro convinzione
riguardo a ciò che è senza nascita e costante. Ma l'uomo comune non può afferrare questa
realtà.
Quelle rare persone - siano esse donne o sudra - che rimangono ferme sulla natura della Realtà
suprema senza nascita e costante, possiedono grande saggezza; in altri termini, sono dotate di una
conoscenza insuperabile. Ma le altre, le quali non dispongono che di un intelletto mediocre, non
possono comprendere; cioè non possono pervenire alla realizzazione dei Saggi ed afferrare la
natura della suprema Realtà. Infatti, anche la smrti afferma: «Come non è possibile disegnare il
volo degli uccelli nel cielo, così anche gli Dei sono imbarazzati nel cercare di seguire il volo di
coloro che hanno realizzato l'identità con il Sé di tutti gli esseri il quale è fonte di beatitudine e
privo di scopo.
Costoro non lasciano alcuna traccia dietro di sé, come gli uccelli che volano nell'aria»
(Mahabharata, Sa: 239, 23-24)216.
Il versetto che segue dice in che cosa consiste la loro grande conoscenza:

                                                             
216 «Un buon camminatore non lascia impronte» (Tao Te Ching: 27). 
 
148 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

96. E' sostenuto (dalla Tradizione) che la stessa conoscenza, inerente alle anime senza nascita, è
non-nata e senza relazioni. Poiché essa non ha alcuna relazione oggettiva si dice che è
incondizionata.
E' sostenuto (dalla Tradizione) che jnanam: la conoscenza, inerente ai dharma non nati e stabili, è
ajam: senza nascita, immutabile, come la luce e il calore del sole. Perciò essa, non essendo
associata a nessun altro oggetto, ajam isyate: è considerata non-nata. E poiché tale conoscenza non
è in relazione con alcun oggetto, è paragonata all'etere incondizionato217.

97. Se la persona non discriminante mantiene in se stessa la più debole nozione di nascita, ecc.,
vi è sempre un attaccamento; inutile allora parlare di distruggere lo schermo velante.
Se da alcuni individui non discriminanti, in accordo con le altre scuole di pensiero (dualiste),
viene ammessa una pur modesta origine di oggetti interni o esterni, allora vi è attaccamento. In
questo caso si deve dire che non vi può essere nessun dissolvimento del velo annebbiante.
Obiezione: Asserendo che non vi può essere nessuna rimozione dell'annebbiamento, voi, in altri
termini, accettate come vostra conclusione l'annebbiamento (in quanto dato reale).
Risposta: Non è così. Infatti:

98. Nessun'anima si trova sotto alcun velo; tutti i dharma sono, per loro natura, puri, illuminati e
liberi dall'eternità. Così (essendo dotati, per natura, del potere della conoscenza) si dice che
conoscono.
Sarve dharmah alabdhavaranah: tutte le anime non hanno mai avuto alcun velo di annebbiamento,
né alcun legame di ignoranza, ecc.; vale a dire, esse sono esenti da schiavitù; sono,
prakrtinirmalah: nella loro natura; pure, buddhah tatha muktah: illuminate e libere dall'eternità.
Ora, se presentano queste peculiarità, perché si dice che conoscono? La risposta è: esse hanno il
potere latente di conoscere; in altri termini, la loro natura è conoscenza. E' come dire: «Il sole
risplende», ma la sua natura è proprio quella dello splendore costante, o ancora: «Le colline stanno
ferme» perché la loro natura è quella dell'immobilità218.

99. La conoscenza dell'essere illuminato, la quale è onnipervadente, non ha rapporto con alcun
oggetto; così le anime non hanno rapporti con gli oggetti. Questo punto di vista non è stato
espresso dal Buddha.

                                                             
217  La conoscenza dell'asparsa non è conoscenza di accumulo, di quantità e di relazione. E' conoscenza metafisica,
innata nell'atman incondizionato. Ogni conoscenza empirica è conoscenza di cose-eventi le quali non sono altro che il
serpente sovrapposto alla corda: dunque, è conoscenza relativa e non assoluta. La conoscenza dell'asparsa-advaita è
quella che verte non sulle cose-eventi, ma sulla natura stessa della realtà ultima e questa conoscenza è coscienza
dell'Essere. 
218 La conoscenza è consustanziale all'atman, non costituisce quindi un attributo. L'atman è sat, cit, ananda, ma questi

fattori non devono essere considerati qualificazioni, bensì natura intrinseca dello stesso atman. Così, quando
affermiamo che l'individuo è vita, il fattore vitale non è un suo attributo; la vita è l'individuo stesso e questo è quella: i
due dati non possono essere scissi. Dalla prospettiva metafisica non c'è alcun annebbiamento reale; la maya, si è visto,
non è una realtà assoluta. 
 
149 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Come jnanam: la conoscenza di buddhasya: colui che è illuminato ed ha realizzato la realtà ultima
dell'Onnipervadente o di colui che non ha separazioni o scissure come l'etere o, ancora, di colui
che è assoluta intelligenza non ha rapporto con altri oggetti - cioè la sua conoscenza è tutt'uno con
lui, come la luce del sole è tutt'uno con lo stesso sole - così tutte le anime non hanno rapporto con
altre cose perché esse sono analoghe all'etere onnipervadente. Il termine «conoscenza» che è stato
introdotto - «Per mezzo della conoscenza simile all'etere» (VI, 1) - ha l valore summenzionato;
non ha relazione, quindi, con altre cose e appartiene a colui che è illuminato, il quale, in virtù della
sua identità con la conoscenza stessa, è onnipervadente. Come la realtà del Sé non è altro che
Brahman, così queste anime sono esenti da cambiamenti, sono immutabili, senza parti, eterne,
non-duali, non attaccate, invisibili, impensabili e al di là della fame, ecc., com'è detto nel testo
vedico: «Perché la visione del Testimone non può mai essere perduta» (Brhadaranyaka up.: IV,
III, 23).
Che la natura della realtà suprema sia libera dalle differenze del percipiente, della percezione e del
percepito e, ancora, sia senza un secondo non è stato espresso dal Buddha, per quanto un certo
accostamento al non-dualismo fosse implicito nella sua negazione degli oggetti esterni e nella sua
affermazione della sola coscienza. Ma questa non dualità, che è l'essenza della realtà ultima, può
essere appresa solo tramite le Upani@ad219.
Alla fine del trattato viene rivolto un saluto per rendere lode alla conoscenza della Realtà
Suprema.

100. Dopo aver realizzato quello stato (di Realtà suprema) che è inscrutabile, profondo, senza
nascita, uniforme, puro e non-duale, noi gli rendiamo omaggio.
Il termine durdarsam significa ciò che può essere visto con difficoltà, vale a dire imperscrutabile,
essendo (lo stato di realtà) privo delle quattro caratteristiche (enunciate dai sofisti) dell'esistenza,
non esistenza, ecc.(VI, 83). Quindi, per le persone non discriminanti tale stato è atigambhiram:
profondo e insondabile come un oceano; inoltre, esso è ajam: senza nascita, samyam: uniforme,
visaradam: santo (puro), e ananatvam: non-duale. E, avendolo realizzato tramite l'identità, noi gli
rendiamo omaggio usando il linguaggio della sfera empirica, per quanto esso sia al di là di ogni
espressione empirica220.

                                                             
219 Questo sentiero asparsa è la paravidya (conoscenza suprema), è la via delle Upani@ad, della folgorazione atmica, è
la conoscenza che osa trascendere il manifesto e l'immanifesto, il fenomeno e il noumeno, il dolore e la felicità di ogni
ordine e grado, è il sentiero che sfida le gerarchie umane e divine, è quello che ardisce strappare il totale velo
dell'incompiutezza mayahica, è la conoscenza della liberazione integrale. 
220 Ancora una volta viene messo in rilievo che certe espressioni possono essere usate solo dal punto di vista empirico

e duale. L'atman non può essere oggetto né di saluto né di adorazione, né di altro. L'atman è realtà ultima in cui si
risolvono tutte le antinomie verbali e concettuali. 
 
150 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

Saluto del commentatore Âaækara:

1. M'inchino profondamente a questo Brahman, il quale, benché senza nascita, appare esser nato
tramite il suo potere imperscrutabile; benché sempre in riposo appare in movimento; benché uno,
appare multiplo a coloro la cui visione è divenuta deformata dalla percezione dei diversi attributi
degli oggetti, questo Brahman distruttore di ogni timore per coloro che in lui trovano rifugio.
2. Saluto, prostrandomi, il Maestro del mio Maestro, il più venerabile tra i venerabili, il quale,
vedendo le creature affogate nell'oceano di questo mondo - oceano infestato da paurosi squali
quali la nascita e la morte - ha dato, per compassione degli esseri, questo nettare, difficile da bere
persino dagli Dei221 e che giace nelle profondità dell'oceano che sono i Veda, Veda che egli svela
con la potenza del suo intelletto illuminato.
3. Con tutto il cuore offro l'omaggio al mio Maestro il quale distrugge la paura della
trasmigrazione. Con la luce del suo intelletto illuminato ha dissipato l'oscurità delle illusioni in cui
si trovava la mia mente e ha spezzato per sempre la mia paura dell'apparire e dello sparire nel
terribile mare del samsara. Coloro che trovano rifugio ai suoi piedi possono realizzare l'infallibile
conoscenza delle Upani@ad, la pace e l'umiltà.

OM
OM OM

                                                             
221
L'asparsa è difficile persino per gli Dei - le gerarchie superumane - perché anch'essi vivono in uno di quei tre stati
già menzionati; stati che rappresentano il serpente sovrapposto alla corda.
Il messaggio dell'Upani@ad, di Gauƒapåda e Âaækara è un invito che si basa non sulla fuga, rinuncia o
contrapposizione al mondo, ma sul riconoscimento della Realtà qual è nella sua espressione suprema. I due grandi
Maestri dicono agli aspiranti asparsin che non possono modificare se stessi se prima non cercano di modificare la
propria visione della Realtà.

 
151 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

MÅ…D¥KYA UPANISAD E KARIKA (TESTO SANSCRITO)

AGAMA PRAKARANA

I
om ity etad aksaram idam sarvam tasyopavyakhyanam bhutam bhavad bhavisyad iti sarvam
omkara eva | yac canyat trikalatitam tad apy omkara eva. ||

II
sarvam hy etad brahmayam atma brahma so'yam atma catuspad ||

III
jagaritasthano bhisprajnah saptanga ekonavimsatimukhah sthulabhug vaisvanarah prathamah
padah ||

IV
svapnasthano 'ntahprajnah saptanga ekonavimsatimukhah praviviktabhuk taijaso dvitiyah padah ||

V
yatra supto na kancana kamam kamayate na kancana svapnam pasyati tat susuptam |
susuptasthana ekibhutah prajnanaghana evanandanmayo hi anandabhuk cetomukhah prajnas
trtiyah padah ||

VI
esa sarvesvara esa sarvajna eso 'ntaryami esa yonih sarvasya prabhavapyayau hi bhutanam ||

1
bahisprajno vibhur visvo hy antahprajnas tu taijasah | ghanaprajnas tatha prajna eka eva tridha
smrtah ||

2
daksinaksimukhe visvo manasi antas tu taijasah | akase ca hrdi prajnas tridha dehe vyavasthitah ||

 
152 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

3
visvo hi sthulabhun nityam taijasah praviviktabhuk | anandanbhuk tatha prajnas tridha bhogam
nibodhata ||

4
sthulam tarpayate visvam praviviktam tu taijasam | anandas ca tatha prajnam tridha trptim
nibodhata ||

5
trisu dhamasu yad bhojyam bhokta yas ca prakirttitah | vedaitad ubhayam yas tu sa bhunjano na
lipyate ||

6
prabhavah sarvabhutanam satam iti viniscayah | sarvam janayati pranas ceto'msun purusah prthak

7
vibhutim prasavam tv anye manyante srsticintakah | svapnamayasvarupeti srstir anyair vikalpita ||

8
icchamatram prabhoh srstir iti srstau viniscitah | kalat prasutim bhutanam manyante kalacintakah ||

9
bhogartham srstir ity anye kridartham iti capare | devasyaisa svabhavo 'yam aptakamasya ka sprha
||

VII
nantahprajnam na bahisprajnam nobhayatahprajnam na prajnanaghanam na prajnam naprajnam |
adrstam avyavaharyam agrahyam alaksanam acintyam avyapadesyam ekatmapratyayasaram
prapancopasamam santam sivam advaitam caturtham manyante sa atma sa vijneyah ||

10
nivrtteh sarvaduhkhanam isanah prabhur avyayah | advaitah sarvabhavanam devas turyo vibhuh
smrtah ||
 
153 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

11
karyakaranabaddhau tav isyete visvataijasau | prajnah karanabaddhas tu dve tu turye na sidhyatah

12
natmanam na params caiva na satyam napi canrtam | prajnah kincana samvetti turiyah sarvadrk
sada ||

13
dvaitasuagrahnam tulyam ubhayoh prajnaturyayoh | bijanidrayutah prajnah sa ca turye na vidyate
||

14
svapnanidrayutav adyau prajnas tv asvapnanidraya | na nidram naiva ca svapnam turye pasyanti
niscitah ||

15
anyatha grhnatah svapno nidra tattvam ajanatah | viparyase tayoh ksine turiyam padam asnute ||

16
anadimayaya supto yada jivah prabhdhyate | ajam anidram asvapnam advaitam budhyate tada ||

17
prapanco yadi vidyeta nivarteta na samsayah | mayamatram idam dvaitam advaitam paramarthatah
||

18
vikalp vinivarteta kalpito yadi kenacit | upadesad ayam vado jnate dvaitam na vidyate

VIII
so 'yam atma 'dhyaksaram omkaro 'dhimatram pada matra matras ca pada akara ukaro makara iti ||

IX
 
154 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

jagaritasthano vaisvanaro 'karah prathama matrapter afimattvad vapnoti ha vai sarvan kamn adisca
bhavati ya evam veda ||

X
svapnasthanas taijasa ukaro dvitiya matrotkarsad ubhayatvad votkarsatiha vai jnanasantatim
samanas ca bhavati nasyabrahmavit kule bhavati ya evam veda ||

XI
susuptasthanah prajno makaras trtiya matra miter apiter va minoti ha va idam sarvam apitis ca
bhavati ya evam veda ||

19
visvasyatvavivaksayamadisamanyamutkatam | matrasampratipattau syadaptisamanyameva ca ||

20
taijasasyotvavijnana utkarso drsyate sphutam | matrasampratipattau syadubhayatvam tathavidham

21
makarabhave prajnasya manasamanyamutkatam | matrasampratipattau tu layasamanyameva ca ||

22
trisu dhamasu yastulyam samanyam vetti niscitah | sa pujyah sarvabhutanam vandyascaiva
mahamunih ||

23
akaro nayate visvamukarascapi taijasam | makarasca punah prajnam namatre vidyate gatih ||

XII
amatras caturtho 'vyavaharyah prapancopasamah sivo 'dvaita evam omkara atmaiva samvisaty
atmanatmanam ya evam veda ||

24
omkaram padaso vidyatpada matra na samsayah | omkaram padaso jnava na kimcidapi cintayet ||
 
155 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

25
yunjita pranave cetah pranavo brahma nirbhayam | pranave nityayutkasya na bhayam vidyate
kvacit ||

26
pranavo hyparam brahma pranavasca parah smrtah | apurvo 'nantaro 'bahyo 'naparah pranavo
'vyayah
27
sarvasya pranavo hyadirmadhyamantastathaiva ca | evam hi pranavam natva vyasnute
tadanantaram ||

28
pranavam hisvaram vidyat sarvasya hedi samsthitam | sarvavyapinamomkaram matva dhiro na
socati ||

29
amatro 'nantamatrasca dvaitasyopasamah sivah | omkaro vidito yena sa munirnetaro

 
156 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

VAITATHYA PRAKARANA

1
vaitathyam sarvabhavanam svapna ahurmanisinah | antahsthanattu bhavanam samvrtatvena hetuna
||

2
adirghatvacca kalasya gatva desanna pasyati | pratibhuddhasca vai sarvastasmindeso na vidyate ||

3
abhavasca rathadinam sruyate nyayapurvakam | vaitathyam tena vai praptam svapna ahuh
prakasitam ||

4
antahsthanattu bhedanam tasmaccagarite smrtam || yatha tatra tatha svapne samvrtatvena bhidyate
||

5
svapnajagaritasthane hyekamahurmanisinah | bhedanam hi samatvena prasiddhenaiva hetuna ||

6
adavante ca yannasti vartamane 'pi tattatha | vitathaih sadrsah santo 'vitatha iva laksitah ||

7
saprayojanata tesam svapne vipratipadyate | tasmadadyantavattvena mithyaiva svahu te smrtah ||

8
appurvam sthanidharmo hi yatha svarganivasinam | tanayam preksate gatva yathaiveha susiksitah
||

9
svapnavrttavapi tvantascetasa kalpitam tvasat | bahiscetogrhitam sad drstam vaitathyametayoh ||

 
157 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

10
jagrad vrttavapi tvantascetasa kalpitam tvasat | bahisce togrhitam sadyuktam vaitathyametayoh ||

11
ubhayorapi vaitathyam bhedanam sthanayoryadi | ka etan budhyate bhedan ko vai tesam
vikalpakah ||

12
kalpayatyatmana 'tmanamatma devah svamayaya | sa eva budhyate bhedaniti vedantaniscayah ||

13
vikarotyaparanbhavanantascitte vyavasthitan | niyatanisca bahiscitta evam kalpayate

14
cittakala hi ye 'ntastu dvayakalasca ye bahih | kalpita eva te sarve viseso nanyahetukah ||

15
avyakta eva ye 'antas tu sphuta eva ca ye bahih | kalpita eva te sarve visesas tv indriyantare ||

16
jivam kalpayate purvam tato bhavan prthagvidhan | bahyan adhyatmikams caiva yathavidyas
tathasmrtih ||

17
aniscita yatha rajjur andhakare vikalpita | sarpadharadibhir bhavais tadvad atma vikalpitah ||

18
niscitayam yatha rajjvam vikalpo vinivartate | rajjur eveti cadvaitam tadvad atmaviniscayah ||

19
pranadibhir anantais tu bhavair etair vikalpitah | mayaisa tasya devasya yayayam mohitah svayam
 
158 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

||

20
prana iti pranavido bhutaniti ca tadvidah | guna iti gunavidas tattvaniti ca tadvidah ||

21
pada iti padavido visaya iti tadvidah | loka iti lokavido deva iti ca tadvidah ||

22
veda iti vedavido yajna iti ca tadvidah | bhokteti ca bhoktrvido bhojyam iti ca tadvidah ||

23
suksma iti suksmavidah sthula iti ca tadvidah | murta iti murtavido 'murta iti ca tadvidah ||

24
kala iti kalavido disa iti ca tadvidah | vada iti vadavido bhuvananiti tadvidah ||

25
mana iti manovido buddhir iti ca tadvidah | cittam iti cittavido dharmadharmau ca tadvidah ||

26
pancavimsaka ity eke sadvima iti capare | ekatrimsaka ity ahur ananta iti capare ||

27
lokallokavidah prahur asrama iti tadvidah | stripumnapumsakam laingah paraparam athapare ||

28
srstir iti srstivido laya iti ca tadvidah | sthitir iti sthitividah sarvam ceha tu sarvada ||

29
yam bhavam darsayed yasya tam bhavam sa tu pasyati | tam cavati sa bhutvasau tadgrahah
samupaiti tam ||
 
159 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

30
etair eso 'prthagbhavaih prthag eveti laksitah | evam yo veda tattvena kalpayet so 'visankitah ||

31
svapnamaye yatha drste gandharvanagaram yatha | tatha visvam idam drstam vedantesu
vicaksanaih ||

32
na nirodho na cotpattir na baddho na ca sadhakah | na mumuksur na vai mukta ity esa aramarthata
||

33
bhavair asadbhir evayam advayena ca kalpitah | bhava apy advayenaiva tasmad advayata siva ||

34
natmabhavena nanedam na svenapi kathancana | na prthan naprthak kincid iti tattvavido viduh ||

35
vitaragabhayakrodhair munibhir vedaparagaih | nirvikalpo hy ayam drstah prapancopasamo
'dvayah ||

36
tasmad evam viditvainam advaite yojayet smrtim | advaitam samanuprapya jadaval lokam acaret ||

37
nistutir nirnamaskaro nihsvadhakara eva ca | calacalaniketas ca yatir yadrcchiko bhavet ||

38
tattvam adhyatmikam drstva tattvam drstva tu bahyatah | tattvibhutas tadaramas tattvad apracyuto
bhavet ||

 
160 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

ADVAITA PRAKARANA 

1
upasanasrito dharmo jate brahmani vartate | prag utpatter ajam sarvam tenasau krpanah smrtah ||

2
ato vaksyamy akarpanuam ajati samatam gatam | yatha na javate kincij jayamanam samantatah ||

3
atma hy akasavaj jivair ghatakasair ivoditah | ghatadivac ca sanghatair jatav etan nidarsanam ||

4
ghatadisu pralinesu ghatakasadayo yatha | akase sampraliyante tadvaj jiva ihatmani ||

5
yathaikasmin ghatakase rajodhumadibbir yute | ma sarve samrayujyante tadvaj jivah sukhadibhih ||

6
rupakaryasamakhyas ca bhidyante tatra tatra vai | akasasya na bhedo 'sti tadvaj jivesu nirnayah ||

7
nakasasya ghatakaso vikaravayavau yatha | naivatmanah sada jivo vikaravayavau tatha ||

8
yatha bhavati balanam gaganam malinam malaih | tatha bhavaty abuddhanam atmapi malino
malaih ||

9
marane sambhave caiva gatyagamanayor api | sthitah sarvasariresu akasenavilaksanah ||

10
 
161 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

sanghatah svapnavat sarve atmamayavisarjitah | adhikye sarvasamye va nopapattir hi vdyate ||

11
rasadayo hi ye kosa vyakhyatas taittiriyake | tesam atma paro jivah sayatha samprakasitah ||

12
dvayor dvayor madhujnane param brahma prakasitam | prthivyam udare caiva yathakasah
prakasitah |

13
jivatmanor ananyatvam abhedena prasasyate | nanatvam nindyate yac ca tad evam hi samanjasam
||

14
jivatmanoh prthaktvam yat prag utpatteh prakirtitam | bhavisyadvrttya gaunam tan mukhyatvam
na hi yujyate ||

15
mrllohavisphulingadyaih srstir ya coditanyatha | upayah so 'vataraya nasti bhedah kathancana |

16
asramas trividha hinamadhyamotkrstadrstayah | upasanopadisteyam tadartham anukampaya ||

17
svasiddhantavyavasthasu dvaitino niscita drdham | parasparam virudhyante tair ayam na
virudhyate ||

18
advaitam paramartho hi dvaitam tadbheda ucyate | tesam ubhayatha dvaitam tenayam na
virudhyate ||

19
mayaya bhidyate hy etan nanyathajam kathancana | tattvato bhidyamane hi martyatam amrtam
 
162 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

vrajet ||

20
ajatasyaiva bhavasya jatim icchanti vadinah | ajato hy amrto bhavo martyatam katham esyati ||

21
na bhavaty amrtam martyam na martyam amrtam tatha | prakrter anyathabhavo na kathancid
bhavisyati ||

22
svabhavenamrto yasya bhavo gacchati martyatam | krtakenamrtas tasya katham sthasyati niscalah
||

23
bhutato 'bhutato vapi srjyamane sama srutih | niscitam yuktiyuktam ca yat tad bhavati netarat ||

24
neha naneti camnayad indro mayabhir ity api | ajayamano bahudha mayaya jayate tu sah ||

25
sambhuter apavadac ca sambhavah pratisidhyate | ko nv enam janayed iti karanam pratisidhyate ||

26
sa esa neti netiti vyakhyatam nihnute yatah | sarvam agrahyabhavena hetunajam prakasate ||

27
sato hi mayaya janma yujyate na tu tattvatah | tattvato jayate yasya jatam tasya hi jayate ||

28
asato mayaya janma tattvato naiva yujyate | bandhyaputro na tattvena mayaya vapi jayate ||

29
 
163 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

yatha svapne dvayabhasam spandate mayaya manah | tatha jagrad dvayabhasam spandate mayaya
manah ||

30
advayam ca dvayabhasam manah svapne na samsayah | advayam ca dvayachasam tatha jagran na
samsayah ||

31
manodrsyam idam dvaitam yat kincit sacaracaram | manaso hy amanibhave dvaitam nopalabhyate
||

32
atmasatyanubodhena na sankalpayate yada | amanastam tada yati grahybhave tadagrahat ||

33
akalpakam ajam jnanam jneyabhinnam pracaksate | brahma jneyam ajam nityam ajenajam
vibhudhyate ||

34
nigrhitasya manaso nirvikalpasya dhimatah | pracarah sa tu vijneyah susupte 'nyo na tastamah ||

35
liyate hi susupte tan nigrhitam na liyate | tad eva nirbhayam brahma jnanalokam samantatah ||

36
ajam anidram asvapnam anamakam arupakam | sakrdvibhatam sarvajnam nopacarah, kathancana ||

37
sarvabhilapavigatah sarvacintasamutthitah | suprasantah sakrjjyotih samadhir acalo 'bhayah ||

38
graho na tatra notsargas cinta yatra na vidyate | atmasamstham tada jnanam ajati samatam gatam ||

 
164 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

39
asparsayogo namavai durdasah sarvayogibhih | yogino bibhyati hy asmad abhaye bhayadarsinah ||

40
manaso nigrahayattam abhayam sarvayoginam | duhkhaksayah prabodhas capy aksaya santir eva
ca ||

41
utseka udadher yadvat kusgrenaikabinduna || manaso nigrahas tadvad bhaved aparikhedatah ||

42
upayena nigrhniyad viksiptam kamabhogayoh | suprasannam laya caiva yatha kamo layas tahta ||

43
duhkham sarvam anusmrtya kamabhogan nirvartayet | ajam sarvam anusmrtya jatam naiva tu
pasyati ||

44
laye sambodhayec cittam viksiptam samayet punah | sakasayam vijaniyac champraptam na
vicalayet ||

45
nasvadayet sukham tatra nihsangah prajnaya bhavet | niscalam niscarac cittam ekikuryat
prayatnatah ||

46
yada na liyate cittam na ca viksipyate punah | aninganam anabhasam nispannam brahma tat vada ||

47
svastham santam sanirvanam akathyam skham uttaman | ajam ajena jneyena sarvajnam
paricaksate ||

48
 
165 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

na kascij jayate jivah sambhavo 'sya na vidyate | etat tad uttamam satyam yatra kincin na jayate ||

 
166 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

ALATASANTI PRAKARANA 

1
jnanenakasakalpena dharman yo gaganopaman | jneyabhinnena sambuddhas tam vande dvipadam
varam ||

2
asparsayogo vai nama sarvasattvasukho hitah | avivado 'viruddhas ca desitas tam namamy aham ||

3
bhutasya jatim icchanti vadinah kecid eva hi | abhutasyapare dhira vivadantah parasparam ||

4
bhutam na jayate kincid abhutam naiva jayate | vivadanto 'dvaya hy evam ajatim khyapayanti te ||

5
khyapyamanam ajatim tair anumodamahe vayam | vivadamo na taih sardham avivadam nibodhata
||

6
ajatasyaiva dharmasya jatim icchanti vadinah | ajato hy amrto dharmo martyatam katham esyati ||

7
na bhavaty amrtam martyam na martyam amrtam tatha | prakrter anyathabhavo na kathancid
bhavisyati ||

8
svabhavenamrto yasya dharmo gacchati martyatam | krtakenamrtas tasya katham sthasyati
niscalah ||

9
samsiddhiki svabhaviki sahajapy akrta ca ya | prakrtih seti vijneya svabhavam na jahati ya ||
 
167 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

10
jaramarananirmuktah sarve dharmah svahavatah | jaramaranam icchantas cyavante tanmanisaya ||

11
karanam yasya vai karyam karanam tasya jayate | jayamanam katham ajam bhinnam nityam
katham ca tat ||

12
karanad yad ananyatvam atah karyam ajam yadi | jayamanad dhi vai karyat karanam te katham
dhruvam ||

13
ajad vai jayate yasya drstantas tasya nasti vai | jatac ca jayamanasya na-vyavastha prasajyate ||

14
hetor adih phalam yesam adir hetuh phalasya ca | hetoh phalasya canadih katham tair upavarnyate
||

15
hetor adih phalam yesam adir hetuh phalasya ca | tatha janma bhavet tesam putraj janma pitur
yatha ||

16
sambhave hetuphalayor esitavyah kramas tvaya | ygapat sambhave yasmad asambandho visanavat
||

17
phalad utpadyamanah san na te hetuh prasidhyati | aprasiddhah katham phalam utpadayisyati ||

18
yadi hetoh phalat siddhih phalasiddhis ca hetutah | katarat purvam utpannam yasya siddhir
apeksaya ||

 
168 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

19
asaktir aparijnanam kramakopo 'tha va punah | evam hi sarvatha buddhair ajatih paridipita ||

20
bijankurakhyo drstantah sada sadhyasamo hi nah | na ca sadhyasamo hetuh siddhau sadhyasya
yujyate ||

21
purvaparaparijnanam ajateh paridipakam | jayamanad dhi vai dharmat katham purvam na grhyate ||

22
svato va parato vapi na kincid vastu jayate | sad asat sadasad vapi na kincid vastu jayate ||

23
hetur na jayate anadeh phalam vapi svabhavatah | adir na vidyate yasya tasya jatir na vidyate ||

24
prajnapteh sanimittatvam anyatha dvayanasatah | samklesasyopalabdhes ca paratantrastita mata ||

25
prajnapteh sanimittatvam isyate yuktidarsanat | nimittasyanimittatvam isyate bhutadarsanat ||

26
cittam na samsprsatyartham narthabhasam tathaiva ca | abhuto hi yatas cartho narthabhasas tatah
prthak ||

27
nimittam na sada cittam samsprsaty adhvasu trisu | animitto viparyasah katham tasya bhavisyati ||

 
169 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

28
tasman na jayate cittam cittadrsyam na jayate | tasya pasyaanti ye jatim khe vai pasyanti te padam
||

29
ajatam jayate yasmad ajatih prakrtis atah | prakrter anyathabhavo na kathancid bhavisyati ||

30
anader antavattvam ca samsarasya na setsyati | anantata cadimato mokasasya na bhavisyati ||

31
adav ante ca yan nasti vartamane'pi tat tatha | vitathaih sadrsah santo 'vitatha iva laksitah ||

32
saprayojanata tesam svapne'pi vipratipadyate | tasmad adyantavattvena mithyaiva khalu te smrtah
||

33
sarve dharma mrsa svapne kayasyantar nidarsanat | samrte 'smin pradese vai bhutanam darsanam
kutah ||

34
na yuktam darsanam gatva kalasyaniyamad gatau | pratibuddhas ca vai sarvas tasin dese na
vidyate ||

35
mitradyaih saha sammantrya prabuddho na prapadyate | grhitam capi yat kincit pratibuddho na
pasyati ||

36
svapne cavastukah kayah prthag anyasya darsanat | yatha kayas tatha sarvam cittadrsyam
avastukam ||

 
170 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

37
grahanaj jagaritavat taddhetuh svapna isyate | taddheutvac ca tasyaiva saj jagaritam isyate ||

38
utpadasyaprasiddhatvad ajam sarvam udahrtam | na ca bhutad abhutasya sambhavo 'sti kathancana
||

39
asaj jagarite drstva svapne pasyati tanmayah | asat svapne 'pi drsttva capratibuddho na pasyati ||

40
nasty asaddhetukam asat sad asaddhetukam tatha | sac ca saddhekam nasti saddhetukam asat kutah
||

41
viparysad yatha jagrad acintyan bhutavat sprset | tatha svapne viparyasad dharmams tatraiva
pasyati ||

42
upalambhat samacarad astivastutvavadinam | jatis tu desita buddhair ajates trasatam sada ||

43
ajates trasatam tesam upalambhad viyanti ye | jatidosa na setsyanti doso'py alpo bhavisyati ||

44
upalambhat samacaran mayahasti yathocyate | upalambhat samacarad asti vastu tathocyate||

45
jatyabhasam calabhasam vastvabhasam tathaiva ca | ajacalam avastutvam vijnanam santam
advayam ||

46
evam na jayate cittam evam dharma ajah smrtah | evam eva vijananto na patanti viparyaye ||
 
171 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

47
rjuvakradikabhasam alataspaditam yatha | grahanagrahakabhasam vijnanaspanditam tatha ||

48
aspandamanam alatam anabhasam ajam yatha | aspandamanam vijnanam anabhasam ajam tatha ||

49
alate spandamane vai nabhasa anyatobhuvah | na tato 'nyatra nispandan nalatam pravisanti te ||

50
na nirgata alatat te dravyaatvabhavayogatah | vijnane 'pi tathaiva syur abhasasyaviesatah ||

51
vijnane spandamane vai nabhasa anyatobhuvah | na tato 'nyatra vijnanan na vijnanan visanti te ||

52
na nirgatas te vijnanad dravyatvahavayogatah | karyakaranatabhavad yato 'cintyah sadaiva te ||

53
dravyam dravyasya hetuh syad anyad anyasya caiva hi | dravyatvam anyabhavo va dharmanam
nopapadyate ||

54
evam na cittaja dharmas cittam vapi na dharmajam | evam hetuphalajatim pravisanti manisinah ||

55
yavad hetuphalavesas tavad hetuphalodbhavah | ksine hetuphalavese nasti hetuphalodbhavah ||

 
172 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

56
yavad detuphalavesah samsaras tavad ayatah | ksine hetuphalavese samsaro na prapadyate ||

57
samvrtya jayate sarvam sasvatam tena nasti vai | sadbhavena hy ajam sarvam ucchedas tena nasti
vai ||

58
dharma ya iti javante samvrtya te na tattvatah | janma mayopamam tesam sa ca maya na vidyate ||

59
yatha mayamayad bijaj jayate tanmayo 'nkurah | nasau nityo na cocchedi tadvad dharmesu yojana
||

60
najesu sarvadharmesu sasvatasasvatabhidha | yatra varna na vartante vivekas tatra nocyate ||

61
yatha svapne dvayabhasam cittam calati mayaya | tatha jagrad dvayabhasam cittam calati mayaya
||

62
advayam ca dvayabhasam cittam svapne na samsayah | advayam ca dvayabhasam cittam jagran na
samsayah ||

63
svapnadrk pracaran svapne diksu vai dasasu sthitan | andajan svedajan vapi jivan pasyati yan sada
||

64
svapnadrkcittadrsyas te na vidyante tatah prthak | tatha taddrsyam evedam svapnadrkcittam isyate
||

 
173 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

65
caran jagarite jagrad diksu vai dasasu sthitan | andajan svedajan vapi jivan pasyati yan sada ||

66
jagracciteksaniyas te na vidyante tath prthak | tatha taddrsyam evedam jaagratas cittam isyate ||

67
ubhe hy anyonyadrsye te kim tad astiti cocyate | loksanasunyam ubhayam tanmatenaiva ghyate ||

68
yatha svapnamayo jivo jayate mriyate 'pi ca | tatha jiva ami sarve bhavanti na bhavanti ca ||

69
yatha mayamayo jivo jayate mriyate 'pi ca | tatha jiva ami sarve bhavanti na bhavanti ca ||

70
yatha nirmitako jivo jayate mriyate 'pi ca | tatha jiva ami sarve bhavanti na bhavanti ca ||

71
na kascij jayate jivah sambhavo 'sya na vidyate | etat tad uttamam satyam yatra kincin na jayate ||

72
cittaspanditam evedam grahyagrahakavad dvayam | cittam nirvisayam nityam asangam tena
kirttitam ||

73
yo 'sti kalpitasamvrtya paramarthena nasty asau | paratanto 'bhisamvrtya syan nasti paramarthatah
||

74
ajah kalpitasamvrtya paramarthena napyajah | paratantro 'bhinispattya samvrtya jayate tu sah ||

 
174 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

75
abhutabhiniveso 'sti dvayam tatra na vidyate | dvayabhavam sa buddhavaiva nirnimitto na jayate ||

76
yada na labhate hetun uttaadhamamadhyaman | tada na jayate cittam hetvabhave phalam kutah ||

77
animittasya cittasa yanutpattih samadvaya | ajatasyaiva sarvasya cittadrsyam hi tad yatah ||

78
buddhva 'nimittatam satyam hetum prthag anapnuvat | vitasokam tada 'kamam abhaya padam
asnute ||

79
abhutabhinivesad dhi sadrse tat pravartate | vastvabhavam sa buddhvaiva nihsangam vinivartate ||

80
nivrttasyapravrttasya niscala hu tada sthitih | visayah sa hi buddhanam tat samyam ajam advayam
||

81
ajam anidra asvapnam prabhatam bhavati svayam | sakrd vibhato hy evaisa dharmo dhatuh
svabhavatah ||

82
sukham avriyate nityam duhkham vivriyate sada | yasya kasya ca dharmasya grahena bhagavan
asau ||

83
asti nasty asti nastiti nasti nastiti va punah | calasthirobhayabhavair avrnoty eva balisah ||

 
175 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

84
kotyas catasra etas tu grahai yasam sadavrtah | bhagavan abhir asprsto yena drstah sa sarvadrk ||

85
prapya sarvajnatam krtsnam brhamanyam padm advayam | anpannadimadhyantam kim atah param
ihate ||

86
vipranam vinayo hy esa samh prakrta ucyate | damah prakrtidantatvad evam vidvan samam vrajet
||

87
savastu sopalambham ca dvayam laukikam isyate | avastu sopalambham ca suddham laukikam
isyate ||

88
avastv anupalambham ca lokottaram iti smrtam | jnanam jneyam ca vijneyam sada buddhaih
prakirttitam ||

89
jnane ca trividhe jneye kramena vidite svayam | sarvajnata hi sarvatra bhavatiha mahadhiyah ||

90
heyajneyapyapakyani vijneyany agrayanatah | tesam anyatra vijneyad upalambhas trisu smrtah ||

91
prakrtyakasavaj jneyah sarve dharma anadayah | vidyate na hi nanatvam esam kvacana kincana ||

92
adibuddhah prakrtyaiva sarve dharmah suniscitah | yasyaivam bhavati ksantih so 'mrtatvaya
kalpate ||

93
 
176 
Raphael   MANDUKYA UPANISHAD 

adisanta hy anutpannah prakrtaiva sunirvrtah | sarve dharmah samabhinna ajam samyam


visaradam ||

94
vaisaradyam tu vai nasti bhede vicarantam sada | bhedanimnah prthagvadas tasmat te krpanah
smrtah ||

95
aje samye tu ye kecid bhavisyanti suniscitah | te hi loke mahajnanas tac ca loko na gahate ||

96
ajesv ajam asamkrantam dharmesu jnanam isyate | yato na karmate jnanam asangam tena kirtitam
||

97
anumatre'pi vaidharmye jayamane 'vipascitah | asangata sada nasti kim utavaranacyutih ||

98
alabdhavaranah sarve dharmah prakrtinirmalah | adau buddhas tatha mukta budhyanta iti nayakah
||

99
kramate na hi buddhasya jnanam dharmesu tayinah | sarvadharmas tatha jnanam naitad buddhena
bhasitam ||

100
durdarsam atigambhiram ajam samyam visaradam | buddhva padam ananatvam namaskurmo
yathabalam

 
177 

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