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Varvaro Alberto. La teoria dell' archetipo tristaniano. In: Romania, tome 88 n°349, 1967. pp. 13-58;
doi : 10.3406/roma.1967.2595
http://www.persee.fr/doc/roma_0035-8029_1967_num_88_349_2595
1. Nelle p. 321-395 del vol. II Bédier stampa « le parti antiche del romanzo
in prosa francese », utilizzando il ms. 103 del fondo francese délia
Bibliothèque Nationale di Parigi, tranne che per l'appuntamento spiato, mancante
in questo manoscritto e tratto dal 757 della Bibl. Nat.
LA TEORÍA DELL ARCHETIPO TRISTANIANO 21
di attestazione plurima e quelli giudicati secondari rimanevano
isolati; anche le apparenti eccezioni scomparivano ad un
secondo esame. Unica eccezione era quella del gruppo Béroul-
Eilhart, riunito anche in varianti meno soddisfacenti di quelle
concorrenti. Il risultato è l'indipendenza dei testimoni fra di
loro, come risulta dallo stemma seguente l :
\
Folk Tristan y Thomas Romanzo in prosa
(T)
Eilhart
(O)
1. Non senza qualche incongruenza e non senza utilizzare anche altri testi,
soprattutto Fb da cui trae addirittura lo schema narrativo, nía anche Wace e
forse Marie de France : cfr. l'ediz. Hoepffner cit., p. 7-12 e 1 5-19.
2. È ben vero che Gottfried utilizza a volte Eilhart, contaminándolo con
Thomas (cfr. G. Ehrismann, Geschichte der deutschen Literatur bis %um
Ausgang des Mittelalters, 1 1/2, I, München, 1954, p. 302), ma poiché la conta-
minazione è con un testo estraneo alla tradizione di Thomas il suo contri-
buto rimane immediatamente isolato in sede di confronto congli altri derivati
e non disturba la ricostruzione.
3. Il succeso di Thomas risulta dal numero e dalla vastissima area di di-
spersione dei suoi derivati. Quello di Béroul lascia tracce nella Folie di Berna
e in un gruppo di testi del romanzo in prosa fra cui il ms. 103, nonché in
parecchie citazioni indirette. La fortuna del romanzo in prosa è testimoniata
dal numero dei manoscritti e dalle versioni in varie lingue e dura fino
ilMfirn tiiwÉfiin i ni iri ifiHi« iUttirii ihaniirliH^KgMiiÍMriSi¡gáBMinfiSí tManaiiiiiS Uitjac JiiBniw linimrr '~,'"'->-^-^Tiitt^iiiin«,ii"~h-"*-¿* *J~a-
i
LA TEORÍA DELL'aRCHETIPO TRIST ANIANO 2$
Esaminiano il caso del romanzo in prosa. S'è sostenuto con
molta tenacia ma senza ombra di prova che esso è basato su
una o più fonti assai antiche '. Sia pure; ma la sua stesura è
comunque duecentesca ed avviene in un ambiente, quello
anglonormanno, ormai saturo della leggenda nelle sue varie
versioni, onde un tratto qualsiasi delle pretese fonti arcaiche
puö essere stato sostituito dagli estensori, che lavoravano tanto
liberamente da trasformare il racconto tristaniano in una summa
di avventure cavalleresche di ogni genere e dai più diversi
protagonist^ con una variante proveniente da altra fonte, né
è detto che la fonte secundaria debba esser stata una sola e
neppure che fosse un testo preciso e non piuttosto la cognizione
delle versioni più diverse ed il loro confuso ricordo. Orbene,
è stato riconosciuto da tempo che il romanzo in prosa utilizza
Thomas. Lo stabili il Röttiger nel 1897 2, lo ammise il Kele-
mina nel 1910 3 e più tardi il Vinaver ha indicato tutta una
serie di tratti che R deriverebbe da T4. Non minore pare
l'influsso di Beroul, da cui deriverebbe direttamente per la
parte finale proprio il testo del ms. parigino 103 (quello usato
da Bédier) ; ma anche per il testo originale si sono avanzad
vari accostamenti, in ultimo e più consistentemente che mai ad
opera del Delbouille *. Addirittura entrerebbe in gioco anche
la Folie di Oxford, la cui utilizzazione nel romanzo in prosa è
sostenuta dallo Hoepffner 6.
1. È a->sai strano che Bédier non abbia discusso le idee di Röttiger, che
.
conosceva bene, non solo per il ms. 103 ma neppure per il romanzo nel
testo originario.
2. Cfr. i vv. 835-846 del frammeiito. Douce (ediz. Wind ', p. 119) che
citeremo e commenteremo più avanti. L'éditrice suppone che la conoscenza
di versioni diverse sia alla base di due incongruenze nel racconto di Thomas,
al v. 16 del frammento di Torino (p. 70 e nota) e soprattutto al v. 727 del
frammento Douce (p. 114 e nota).
3. Poco verosimile è l'ipotesi del Delbouille (op. cit., p. 273 nota) che
possa trattarsi semplicemente di « amis de Thomas... ou de témoins
appelés à l'appui de sa thèse ».
LA TEORÍA DELL ARCHETIPO TRISTANIANO 2"]
semplici incognite l, ma non si puô cancellare il sospetto che
ambedue o almeno Li Kievres, che sembra aver avuto gran
fama proprio per il suo romanzo tristaniano, possano essere
stati fattori notevolissimi di contaminazione.
Insomma, se i derivad dell'archetipo bédieriano hanno
attinto, oltre che all'archetipo stesso, anche ad altre fonti, i
casi possono essere due : o la contaminazione è avvenuta all'inter-
no della tradizione che risale all'archetipo o è avvenuta con
testi indipendenti da esso. A differenza che nel caso di Gottfried
la seconda possibilité non è più favorevole della prima per la
nostra ricostruzione dell'archetipo : infatti uno stesso elemento
di provenienza estranea puô aver cancellato in più di una
versione rimastaci il corrispondente elemento originario,
creando una maggioranza ingannevole e penetrando, con le
carte apparentemente in regola, nella ricostruzione di Bédier.
Né si potrebbe ricorrere in questo caso al giudizio di relativa
recenziorità, già cosi delicato e fragile, perché la tradizione
estravagante appunto perché anteriore all'archetipo è arcaica
-per definizione. È assai strano che Bédier abbia ammesso una
qualche tradizione estranea all'archetipo, scarsa ma attiva su
quasi tutti i nostri testi (dato che Petitcrû è in Thomas, l'al-
lusione a Gamarien nella Folie di Berna, l'allusione ad Artù,
l'uccisione dei baroni e le orecchie di Marco in Beroul), e non
si sia reso conto di come essa guastasse irreparabilmente il suo
stemma iimpido e confortante.
Ma se lo stemma deve diventare più complesso, se si deve
ammettere che la tradizione è più intricata di quanto credesse
Bédier, allora cade la possibilità di una ricostruzione meccanica
dell'archetipo perché non si verifica il presupposto a di Paul
Maas, il quale scrive poco più avanti : « Contro la
non si è ancora scoperto alcun rimedio » (p. 62). La
ricostruzione bédieriana risulta dunque priva di corretto
filológico.
Non pare dubbio che qui il poeta non si afHdi a ricordi con-
fusi bensi segua con una certa precisione una qualche versione
della storia tristaniana nella sua interezza. Vediamo dunque se
essa è identificabile. L'episodio del capello d'oro portato a
Marco da una rondine (a) è nel romanzo di Eilhart e nella Folie
di Berna ; Thomas vi accenna ma soltanto per confutarlo reci-
samente. Il pericoloso viaggio in Irlanda (b) è in Thomas ed è
in Eilhart. La caccia silenziosa di Hudain (c), presente Govre-
naus, è in tutti i testi, ma soltanto in Thomas gli amanti
vivono e sono sorpresi en la roche (ß), mentre in Eilhart ed in
Béroul, che pur conosce il soçterrin perrin (vv. 3351-3352),
essi sono in una loggia di rami, e soltanto in Thomas Marco
i . Si è pensato a mescolanza di fonti per i riflessi del Tristano anche nel Cli-
gèsdiï Chrétien de Troyes : cfr. A. Fourrier, op. cit., passim e particolarniente
p. 152-153. Anche 1'autore della Mort Artu conoscerebbe sia Thomas che
Béroul : cfr. J. Frappier, Étude sur la Mort le Roi Artu, Genève-Paris, 1961,
p. 188-195.
2. Cit. nella nota 2, p. 16.
38 A. VARVARO
esempio il primo ricamo di Wienhausen, un monastero cister-
cense nei pressi di Hannover. In esso, che risale al primo quarto
del sec. xiv, si segue fundamentalmente la versione di Eilhart,
ma la scena in cui a confusione del siniscalco d'Irlanda viene
prodotta la testa del drago priva di lingua par derivare piuttosto
da Gottfried e la guarigione di Tristano per opera insieme di
Isotta e di Brengania non è in Eilhart, dove l'eroe è guarito
a distanza, e neppure in Gottfried, anche se qui Isotta cura
Tristano direttamente ; del resto in nessuna versione Tristano
suona la viola, che è lo strumento che il ricamo gli attri-
buisce invece della consueta arpa, ed in nessuna l'esecuzione
musicale dello straniero ferito viene ascoltata dall'alto di una
torre della capitale irlandese da Isotta e Brengania, come qui
accade. Si aggiunga che la forma Tristram che appare nel ricamo
è estranea ai due romanzi tedeschi '.
E importante che la stessa miscela di tratti apparentemente
di origine diversa si ritrovi in un altro lavoro tedesco dello
stesso secólo, la tovaglia conservata ad Erfurt ma proveniente
da un monastero benedettino di Würzburg, tovaglia che i
Loomis ritengono del 1370 circa. Anche qui la maggior parte
della storia sembra ricavata da Eilhart ed anche qui appare la
testa del drago ; ma si aggiunge che colui che altrove è il
siniscalco viene qui chiamato der rote ritter, proprio come nel
terzo ricamo di Wienhausen (1340 circa), dove si legge de rode
ridder. Questa coincidenza a parère dei Loomis « makes it
that once existed a romance in which the false seneschal
bore that name » (p. 54), ma l'ipotesi non è assolutamente
necessaria perché la scena 17 della stessa tovaglia ci mostra
come « the Red Knight's head is struck off in the presence of
the King and of another knight » (ivi) e questo particolare,
estraneo a tutti i romanzi in versi, ci fa ricordare che nel
romanzo in prosa il siniscalco, che si chiama Aguynguerren le
Roux, viene « hué et pris et destruit » (ediz. Bédier, p. 335) :
si puô dunque pensare che la contaminazione sia ancora più
vasta ed includa anche il romanzo in prosa. Ma nella successiva
scena dell'appuntamento spiato puô vedersi come sull'albero
insieme a Marco si trovi anche il nano, particolare che non
nella sua ediz., Paris, 1959, p. 141, sana aggiungendo all'inizio E. Si noti
ancora che al v. 3 il ms. S dice : « l'aventure vos acont ».
1. Il dunt del v. 4 non è del tutto chiaro. Il Battaglia traduce «quando»,
il Neri rende de quei e dunt con « in quale occasione » ; Warnke (nel glos-
sario) lo intende come indicazione del punto di partenza e lo mette
insieme a Guigemar, v. 20, ed Aüstic, v. 2 (meno bene Eliduc, v. 26), che
hanno il tipo « li contes... dunt unt fait les lais ». Preferisco questa inter-
pretazione.
2. Cfr. L. Foulet, Thomas and Marie in their relations to the Conteurs, in
«Modem Language Notes», XIII, 1908, p. 205-208.
3. Quattro mss. ci conservano il lai lirico duecentesco « Par courtoisie
despueil», chiamandolo « Lai du Chievrefeuil »; il ms. C lo assegna esplici-
tamente a « Tristan » ed è chiaro che nome ed attribuzione sono derivati dal
più antico lai musicale. Cfr. G. Raynaud-H. Spanke, Bibliographie des Altfran-
Zösischen Liedes, Leiden, 1955, n° 995 ; J. Maillard, Évolution et esthétique du
仫S«sii(»>*tfc^i^Ä3w^
lai lyrique. Des origines à la fin du XVIe siècle, Paris, 1963, p. 79, n° 60 (a
p. 117 afferma, senza sicuro fondamento, che il testo è dell'ultimo decennio
del sec. xn), e dello stesso, Le lai et la note du Chèvrefeuille, in « Música
Disciplina», XIII, 1959, p. 3-13- Cfr. anche la nota seguente.
1. Renart, travestito da guillare, elenca fra gli altri lais bretons anche quello
del chevrefoil (ediz. Martin, I, v. 2392 ; ediz. Roques, v. 2437 e varianti) ; il
romanzo provenzale Flamenca menziona al v. 591 il « lais del Cabrefoil » ;
nel Tristan ménestrel l'eroe stesso suona «le lai del Chievrefueil » (v. 761) ;
nel poema épico Yon ou la Venjance Fromondin (ediz. S. R. Mitchneck, New
York, 1935, vv. 642-645) i giullari « De Chievrefueil vont le sonet disant,/
Que Tristans fist, que Ysent ama tant ».
2. Cfr. Warnke, op.cit., p. xxvin. Lo stesso studioso (p. xxxn), sulla
base del testo di Flamenca, pensa che nell'esecuzione dei lais collaborasse«)
narratore e suonatore. Marie stessa usa la parola raisun, che corrisponde al
provenzale razo (« le cunte e tute la raisun », Eliduc, v. 2). In Chaitivel, v. 2
ella dice : « un lai dunt jo oï parler », che è frase che potrebbe riferirsi ad
un testo ; ed accennano chiaramente ad un testo sia Thomas che Gottfried
(cfr. Warnke, p. xxix e liv). Non abbiamo il minimo indizio che questo
testo narrativo giungesse a Marie in forma scritta (cfr. Warnke, p. xlii),
e anzi le ripetute affermazioni della poetessa sulla vérité del suo racconto
(Guigemar, v. 19 ; Bisclavret, v. 316 ; Dous Amanz, v. 7 ; Eliduc, v. 4, oltre
lo stesso Chievrefueil) sembrano accennare ad una variabilità dell' aventure,
confermata esplicitamente dalla chiusa del lai Gurun, di cui ci rimane soltanto
la traduzionenorrese (cit. da Warnke, p. xliii) : « Molti narrano questa
con altre parole, ma io la lessi proprio cosi come adesso ve l'ho raccon-
tata ». Cfr. ànche il recente volume di H. Baader, Die Lais, Frankfurt,
1966.
42 A. VARVARO
sarebbe lacile sistemare l'episodio nel complesso della storia
quale ci è tramandata dai romanzi : la situazione di fondo fa
alla definitiva separazione degli amanti, ma Isotta parla di
una prossima rappacificazione con Marco e del ritorno di
a corte. Tutto conferma l'opinione di Gaston Paris : « II
faut admettre que les auteurs des lais ne s'attachaient pas
à telle ou telle version, mais intercalaient leurs petites
compositions dans le cadre général fourni par la légende1 ».
Anche Béroul ci dà qualche indicazione sulla diífusione della
leggenda. La più importante la troviamo nell'episodio della
liberazione di Isotta dai lebbrosi, capeggiati da Yvain, per opera
di Tristano e Governale :
Li contor dïent que Yvain 1265
Firent a nier, qui sont vilain ;
N'en sevent mie bien l'estoire,
Berox l'a mex en sen memoire :
Trop ert Tristran preuz et cortois
A ocirre gent de tes lois 3. 1270
Non c'è dubbio che qui il poeta prevarichi coscientemente
la tradizione, tenendo fuori Tristano dalla mischia con gli spre-
gevoli lebbrosi proprio per non contaminare l'idéale dell'eroe
preux et cortois ; ed è appunto per coprire l'innovazione che egli
si affretta ad affermarla più autentica della versione comune ed
a garantirla con i'autorità del suo nome 4. Ma quel che a noi
qui importa è il riferimento chiaro ed esplicito ai contor, ai
« contastorie » che divulgano la leggenda e che evidentemente
lo fanno oralmente, dato che « l'ont en lor memoire » peggio
di Béroul. Si noti che il poeta non ritiene necessario smentire
un testo scritto, certo perché non lo considera altrettanto diffuso
ed autorevole, almeno presso il suo pubblico. Non perché lo
ritenga inesistente : all' inizio dell'episodio della sorpresa nella
capanna egli dirá:
Ne, si conme l'estoire dit,
La ou Berox le vit escrit, l19®
1. In « Romania », XXV, 1896, p. 537. Cfr. anche Warnke, op. cit., p. lix
e CLXV nota.
2. Tristano e Governale.
3. Ediz. Ewert, p. 38.
4. Cfr. Varvaro, op. cit., p. 92-93.
»é*í¡ímí«i«^^
tanto più che non pare che il poeta abbandoni la sua fonte
scritta francese per affidarsi a varianti orali che, almeno cosi
presto, in Germania non dovevano certamente abbondare.
Troviamo due dichiarazioni più esplicite ed articolate ail' ini-
zio ed alla fine del romanzo. È vero che in entrambi i casi
Eilhart sembra parlare in proprio, ma non è affatto assurdo
pensare, ricordando anche analoghi casi in Gottfried von Strassburg,
ehe egli abbia tradotto integralmente la fonte sostituendo sol-
tanto il suo nome a quello delP ignoto poeta francese. Ma ecco
la teoría dell archetipo tristaniano 49
il primo passo, che è forse più interessante per la chiara
coscienza del carattere biográfico del poema :
ich sage ûch, wolt ir swîgen stille 31
(wen ez ist mîn wille
daz ich ûch an alle valscheit
hie künde die rechten wârheit),
als ich daz an dem bûche vant, 35
wie der here Tristrant
zu disir werlde erst bequam,
und sín ende wedir nam,
und swaz he wundirs î beging.
(« io vi raeconto, se voleté rimanere in silenzio (ed è mia volontà di
narrarvi la precisa verità senz'ombra d'inganno), come io lo trovo nel libro,
in qüal modo don Tristano sia venuto in questö mondo e sia giunto a
morte e quali meraviglie gli accaddero »).
Qui potrebbe pero trattarsi non di un accenno alla fonte ma
di una semplice formula inserita in vista della recitazione,
immaginando il giullare che accenna al libro che tiene in mano.
Testimonianza più convincente è invece l'ultima :
von Hôbergin her Eilhart 9446
liât uns diz bûchelîn getichtet
und uns der mere berichtet,
wie [der kûne] Tristrant irstarp
und wie he geborn wart # 945O
und wie ez umme sîn lîp quan,
nû saget lichte ein ander man,
ez si andirs hîr umme komen :
daz habe wir alle wol vornomen,
daz man daz ungelîche saget : 945 5
Eilhart des guten zûg habet,
daz ez recht alsus erging.
(« Eilhart von Oberg ha rimato per noi questo libretto e ci ha narrato la
leggenda come il prode Tristano mori e come fu mes so al mondo e come
giunse alla fine. Ora qualcun' altro dice fácilmente che le cose sono ándate
diversamente : tutti noi sappiamo bene che se ne danno versioni diverse :
Eilhart conosce quella buona, che ando proprio cosi »).
Sia di Eilhart o risalga alla fonte, questo passo conferma
assai bene la natura mutevole della leggenda quale ci risulta
da tutte le altre versioni, senza dirci nulla di preciso sulla tradi-
zione di cui si serve la fonte francese del poeta tedesco.
Romania, LXXXVIH. 4
50 A. VARVARO
L'esame di questi passi di origine assai diversa ci permette di
affermare che non c'è in essi nulla che confermi la teoria di
un unico archetipo letterario e délia derivazione da esso di tutta
la tradizione tristaniana ; anzi ne risultano le differenze profon-
dissime fra la situazione letteraria del sec. xn e quella dei tempi
moderni, che Bédier tendeva in vece a considerare identiche.
Tutti i nostri poeti riconoscono che la diffusione délia Icggenda
è principalmente orale, dovuta alPopera di narratori professio-
nisti, i contor; essi conoscono anche testi scritti, siano poi deri-
vati dail'attività giullaresca o composti in funzione di quella o
da essa del tutto indipendenti. Affiora anche la coscienza délia
vitalità o almeno del tono nettamente folcloristico di qualche
tratto délia leggenda. È evidente perció che la tradizione
tristaniana doveva essere estremamente articolata, tanto più che
probabilmente nessuno dei nostri poeti è esso stesso un recita-
tore di professione, o comunque nelPatto della composizione
dei testi che conosciamo si pone senz'altro ad un livello più
riflesso e meditato, e perció i nostri testi vengono a costituire
un piano della vita tradizionale della leggenda diverso da quelli
di cui essi stessi fanno cenno. Questa complessità concorda
perfettamente con quanto sappiamo della vita letteraria del
sec. xii, che non conosceva veré soluzioni di continuità dal
livello folcloristico a quello della produzione più calcolata ed in
cui occupa un posto centrale l'attività giullaresca, che è quasi
la cerniera fra i vari livelli ed insieme fra essi ed il pubblico '.
i. Uso le voci Alter der Sage e Alter des überlieferten Fakts del
Handwörterbuch der Sage, hgg, von W.-E. Peuckert, fase. Ill, Göttingen, 1963,
entrambe fírmate dallo stesso Peuckert.
la teoría dell'archetipo tristaniano 53
beschränkt, wenn nur von Bauern, Bauernschicksalen oder
-abenteuern die Rede ist, und wenn der geographische Raum
derjenige des Dorfes ist » '. Egli parla dunque delle saghe più
umili e semplici, dei racconti del villaggio cui la coscienza col-
lettiva di una realtà mitica conferisce valore di storia. Ben altra
cosa sono le nostre narrazioni, ma non per questo la distinzione
di Peuckert è meno fruttuosa : noi possiamo paragonare alle sue
« tradizioni » i motivi della narrativa popolare ed alle sue « saghe »
i racconti organizzatt. Selostudioso tedesco, espertissimo com>
scitore della narrativa popolare, riconosce Gestalt alla saga uel
senso da lui precísate, come la si potra negare a racconti di
ámbito e respiro assai più vasti ?
Ma è proprio questo l'errore di molti studiosi romantici e
contemporanei : la difEdenza e la sottovalutazione della
narrativa popolare. Questi studiosi sembrano ignari di quanto ci hanno
insegnato i grandi raccoglitori di racconti popolari e di quanto
ci mostra il frutto del loro lavoro. I narratori che creano e diffon-
dono il genere hanno spesso una personalità notevolissima.
Giuseppe Pitre, ad esempio, dava un ritratto vivissimo ed
estremamente positivo della sua fonte principale, Agatuzza
Messia, sia pur sottolineando in maniera típicamente ottocen-
tesca più la ricchezza lingüistica che la capacita di costruire
racconti complessi, quale risulta indiscutibile dai testi da lei
dettati*. Lo studioso russo M. Asadowskij dice di un narratore
a nome Medwidew : «èun narratore di eccezionale talento e
per lui l'esatta ripetizione del racconto e di tutti i suoi partîco-
lari è di grande importanza. Egli narra ogni cosa senza fret ta,
elaborando ogni dettaglio e curandosi di produrre l'effetto yo-
luto. Egli non mi riferi molti racconti, quattro in tutto, ma i suoi
testi erano cosi am pi e particolareggiati da oceupare un numero
di pagine pari a quello di dieci fiabe dette da Winocurowa3 ».
t. Cito da W.-E. Peuckert, Sagen. Geburt und Antwort der mythischen Welt,
Berlin, 1965, p. 19-20.
2. Or. G. Pitre, Fiabe, novelle e racconti popolari sicüiani, I, Palermo,
1876, p. xvn-xx, ehe scrive Fra l'altro : «Essa ha parola facile, frase
efficace, maniera attraente di raccontare, che ti fa indovinare della sua straor-
dinaria memoria e dello ingegno che sorti da natura » (p. xvn).
3. Cito da S. Lo Nigro, Tradi^ione t inven^ione nel racconto popolare, Firenze,
1964, p. 6, nota 2.
54 A. VARVARO
La persistenza dei singoli racconti è senza dubbio dovuta
proprio all'ingegno straordinario di questi narratori che, non lo
si dimentichi, non solo li ricordano e li ripetono ma H hanno
essi stessi organizzati, hanno dato loro una Gestalt. È forse
questo il punto che più difficilmente convince. Ma un esperto
conoscitore délia narrativa popolare scozzese come K. Jackson '
elenca fra le ragioni délia ' indistruttibilità ' del racconto popolare
proprio « the logic of its interlocking construction » in cui ogni
episodio è necessariamente collegato a quanto precede ed a
quanto segue. Una trama complessa e ben costruita non è
aífatto un'eccezione ed un buon narratore ne puô ricordare senza
difficoltà e senza gravi corruttele a dozzine 2. Ed è usuale che i
narratori più sperimentati combinino in nuove unità storie o
motivi in origine indipendenti. Nota ancora il Jackson che un
tipo cui sono assai vicine alcune parti del Tristano come il
Dragon-Slayer, ad esempio, è spesso inserito in un altro tipo
difïusissimo, The Two ¿froíforj, anch'esso utilizzato nella lettera-
tura antico-francese in Ami et Amile '.
Queste narrazioni popolari vivono in un'atmosfera di
incultura solo per la nostra falsa prospettiva di studiosida tavolino.
La verità è che in determinate situazioni sociali il contastorie
1. Che dedica il suo libro « to the memory of three friends » uno dei
quali èil grande celtista Ifor L. Evans e l'altra « Peig Sayers storyteller ».
2. Cfr. K. Jackson, The International Popular Tale and Early Welsh
Tradition, Cardiff, 1961, p. 56-57. Egli spiega la capacita dei contastorie di
ricordare tanti racconti spesso assai lunghi e complessi con queste ragioni : 1)
essi sono intelligent ed hanno buona memoria; 2) sono moho interessati
al loro lavoro ; 3) si tengono continuamente in esercizio narrando abitual-
mente ; 4) sono corretti ed aiutati dagli ascoltatori, che molto spesso già
conoscono la storia. La partecipazione del publico è assai importante per la
conservazione del racconto : « thus people who are not themselves capable
of reciting tales may nevertheless do much to keep them intact » (p. 56).
Jackson sottolinea che i racconti popolari dei popoli primitivi sono tutt'altra
cosa : essi mancano di costruzione e perciô si deteriorano assai rápidamente.
Si noti che per qua'nto la Gestalt di Peuckert sia altra cosa dal plot di Jackson
(che è in fondo il «tipo » dei folcloristi finlandesi) i due concetti si integrano
bene e la loro somma vale a caratterizzare più precisamente il racconto «
formato ».
3. Jackson, op. cit, p. 63-64. E si veda naturalmente il volume del Propp
cit. nella nota 2, p. 56.
LA TEORÍA DELL ARCHETIPO TRISTANIANO 55
ha una posizione rilevante e serve un publico che non è di
bensi include tutta la comunità. Dice sempre il Jackson : i
contastorie « represent the intelligentsia of the old rural Gaelic
tradition ; men of high intelligence, with keen minds and
sharpened by practice, devoted to stories and legends, the
enthusiastic guardians of their inherited oral Gaelic literature,
and true artists in their craft. They are men widely educated in
the old oral learning of their people, though generally illiterate
in their own language and not infrequently in English as well,
at any rate until recent times. They play, or usued to play, a
highly important part in the life of their community because
they were the focus of its intellectual activity ; they held a
sort of unofficial position as if unpaid professional men, which
gave them a standing in the neighbourhood1 ».
La situazione era certamente análoga nel sec. xn. Anzi essa
era ancor più favorevole, perché la circolazione di queste forme
narrative non era limitata, come oggi nei pochi angoli di Europa
dove rimangono vitali, ad ambienti rustici ma abbracciava pra-
ticamente tutta la società, senza che si debbano escludere neppure
gli ambienti di cultura latina2. Inoltre la letteratura orale non
era patrimonio esclusivo dei « professionisti non pagati » ma era
raccolta ed in certo modo cristallizzata e più velocemente
diffusa dai «professionisti pagati», i giullari.
Tornando adesso al Tristano, noi pensiamo che la leggenda,
attorniata certamente da un vasto alone di «tradizioni» (nel
senso di Peuckert) che a volte furono occasionalmente recuperate
dagli scrittori*, abbia acquistato ad un certo punto una forma
precisa, sia divenuta a saga » con una Gestalt più solida e dura-
tura che altre sia per il fascino e l'esemplarità della storia sia
proprio perché il racconto aveva la semplicità della biografía e
si stringeva attorno ad un tema essenziale, l'amore dei due
protagonisti. E difficile dire dove ed a che livello le tradizioni
1. Del Bédier si vedano ad es. le p. 179 ss. del vol. II della sua ediz. di
Thomas ; del Golther basti il volume cit. Tristan und Isolde, dove sono
ricordati i lavori anteriori dello stesso studioso.
2. Cfr. V. Ja. Propp, Morfología della fiaba, con un intervento di C. Lévi-
Strauss e una replica dell'autore, Torino, 1966.
LA TEORÍA DELL ARCHETIPO TRIST ANI ANO 57
solimorum et de obsidione Antiochie et de Arabicis et Babilonicis et de
ultramarinarum partium gestis ad aurium delectationem ei referebat ; et cogna-
tum suum Walterum de Clusa nominatum, qui de Anglorum gestis et fabulis,
de Gormundo et Ysembardo, de Tristano et Hisolda, de Merlino et Merchulfo
et de Ardentium gestis et de prima Ardee constructione... diligenter edoce-
bat, familiares sibi et domésticos secum retinebat et libenter ëos audiebat 1.
Una volta che il cattivo tempo costrinse in casa Amoldo ed i
suoi per due giorni ed una notte essi passarono il tempo raccon-
tando ognuno le storie del proprio repertorio 2. Come si vede
la situazione era quella registrata dai folcloristi moderni : i
« professionisti non pagati » esistevano anche nel medioevo.
Tutto ciô conferma la complessità dell'ambiente cultúrale in
cui nasce la tradizione tristaniana, cui in area francese si aggiunse
un elemento nuovo, della cui esistenza in area céltica in un
periodo anteriore non c'è prova : l'elaborazione letteraria. C'è
un momento, verso la meta del sec. xn, in cui la leggenda si fa
letteratura, poesia. Ed è il momento, è chiaro, più importante,
decisivo per noi storici della letteratura, ma che non ci autorizza
a dimenticare o sottovalutare tutto il resto. Ci fu, certo, un
primo poema 5, ma esso non poté avère la funzione che Bédier
attribui all'archetipo; esso dovette serviré da esempioe modello
per gli altri, ma la tradizione era li, attingibile a tutti, viva di
una sua interna complessità :ogni poeta poteva imitare i predeces-
sori ma anche rifarsi ai giullari o alla saga o alle tradizioni. La
vitalità della leggenda in tutti i suoi livelli spiega perché non
sia possibile stabilire uno stemma soddisfacente dei testi letterari.
Anche quando un poeta decideva in linea di principio di seguiré
una determinata fonte letteraria egli pero non cancellava dalla
sua memoria le altre e di verse forme della leggenda dicui aveva
cognizione (« tutti noi sappiamo bene che se ne danno versioni
diverse», dice Eilhart, cui fa eco Thomas : «ici diverse la
matyre ») e non rinunziava al suo diritto di utilizzarle a
discrezione. In questa situazione la fonte letteraria non si