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La torre - o della qualunquista e dell'accademico

di Furio Detti, docente di scuola media inferiore

Forse pochi sanno che la "Morte", il tredicesimo arcano maggiore dei tarocchi, non indica la morte fisica, la rovina
ultima dell'uomo, ma che questo presagio di minaccia concreta è affidato al sedicesimo arcano, la Torre.
Praticamente quella di Babele.

Nel suo piccolo l'articoletto 1 che vi segnalo come fonte, e pongo in calce per correttezza e diritto di citazione,
denuncia un'arroganza di fondo e una banalità che purtroppo sono non solo propalate da una professionista del
settore, ma "certificate" da un accademico di fama, il che mi preoccupa veramente perché mostra a quale livello e
sostanza siano ridotte in questi giorni l'arte della critica e della discussione logica, accecate da una miopia tipica di
troppe torri d'avorio culturali. Torri da cui alla fine e alla prova dei fatti si cade rovinosamente.

Da qui l'incipit.

Veniamo al sodo.

Cesare Segre recensisce sul Corriere dela Ser(v)a l'ultimo libro della Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla
libertà di non studiare. (edito da Guanda). Non commenterò il libro, non l'ho letto ma mi precipito a farlo. Né
commenterò i punti sollevati da Marco Imarisio, di cui Segre fa tesoro. Commenterò però quanto Segre afferma, in
sintonia, pare, con i contenuti della Mastrocola.

Per Segre e la Mastrocola, con cui Segre concorda, i due che avrebbero rovinato la scuola sarebbero Don Milani e
Rodari. Già qui affermare che i guai di cui la scuola risente, ammesso che siano reali e nel contesto di una società
postfordista, radicalmente diversa dal mondo ancora agricolo e in via di industrializzazione dell'Italia dei Cinquanta
(quello dei nostri due Gianni&Pinotto), dipenderebbero prevalentemente da due individui è di per sé comico. Come se
il mondo degli allievi e dei docenti si fosse fermato ai problemi e alla soluzione dei problemi che Rodari e Milani
denunciavano, e quindi alle ricette da loro suggerite, senza che la società nel frattempo si fosse frammentata,
sradicata, tecnologizzata e disumanizzata, sottoponendosi ancora più pervasivamente alle indifferenti leggi del
mercato e del sistema produci-consuma-crepa. Certo, Segre non è così tonno da non dirci che Don Milani e Rodari
siano stati soli, essi anzi appoggiavano "tendenze già in atto", quelle del famigerato Sessantotto. Segre mitiga appena
la legnata ideale tirata in testa al terribile duo, riconoscendo loro un ruolo "autorevolissimo". Qui, come sul
Sessantotto, gli darei pure ragione (al grosso, come si dice), ma.... Segre sta parlando degli studenti di questi ultimi
decenni, ecco che si svelano la sua miopia e quella della Mastrocola.

Invece di dare la colpa a due modelli didattici, per quanto fallibili, Segre avrebbe dovuto, sfruttando magari l'altezza
delle torri che un accademico illustre frequenta, allargare lo sguardo e capire che le magagne - se magagne erano -
della didattica dei nostri due e dei docenti che li hanno seguiti si sono confrontate con le magagne scalarmente più
grandi di una società che progressivamente e spesso in nome della mamma-TV e del mercato, nel corso degli anni
Sessanta-Settanta-Ottanta ha eroso dal punto di vista della considerazione collettiva il valore della cultura. Gli Italiani
leggono sempre meno, gli Italiani guardano troppa TV, gli Italiani non fanno più conversazione che non sia quella
crassa, non documentata e ostentatamente ignorante replica del modello rissoso e urlato imposto dal media principe.
Se nelle famiglie si abdica al dialogo non ci si allena alla logica, se nelle famiglie si preferiscono contenuti già pronti,
o si ragiona per slogan televisivi e giornalistici, è difficile che a scuola non si chieda lo stesso piatto precotto, se nelle
famiglie un bambino mediamente non legge e può scegliere solamente tra 30 libri che non siano quelli scolastici (che
spesso fanno pure ciccia nella magra statistica familiare) è difficile che si innamori spontaneamente di una biblioteca
...e dello studio. Questo Rodari però l'aveva detto (!) e denunciato la precarietà del lavoro presso i ceti più poveri già
prima che apparisse il crimine sociale legalizzato del precariato con i suoi Cococo, Cocopro, lavoro a chiamata, ecc....
Che hanno fatto e stanno facendo il vero disastro là fuori (altro che Gianni&Pinotto-Rodari&DonMilani).

Segre, invece, sembra condannare di per sé la logica rodariana della "lezione breve" con i bambini. La domanda che
porrei intanto a Segre è: vuole ritornare alla scuola in cui il maestro parla per un'ora e gli altri copiano? Se è così, beh,
direi che siamo proprio fuori da ogni buonsenso didattico. Ma fuori come i terrazzi! Se no, si spieghi meglio, che non si
capisce.

Ma c’è in ballo decisamente di più.

La critica più grande che muovo a Segre, su Rodari, è il non voler capire che l'alternativa non è tra il pacco A -
didattica unidirezionale, passività nella ricezione, accoglienza della "letteratura" come metro unico di valore e

1
Fonte: C. Segre, La didattica "facile" che ha cancellato la capacità di studiare., Corriere della Ser(v)a, 25 febbraio
2011. Da notare, non sia accessorio il rilievo, la dicitura "Dibattito" sul pezzo che invece è l'esposizione perentoria di
una sola campana. Che razza di dibattito sia ce lo dovrebbe spiegare la redazione di un giornale normale.
tesoretto di contenuti, metodo per lo più deduttivo - e il pacco B - giocate e basta, lezioni di 20 minuti, lessico
semplificato a ogni costo, metodo induttivo e empirico... - alternativa esclusiva e perentoria che Segre ci ammanisce
dall'alto della sua ziggurat. Bensì che è possibile fare sistema dei due "pacchi"; anzi, che l'unica strada sensata che
abbia speranza di fronte a uno sfacelo educativo sia proprio quella di miscelare gradualmente le due metodologie.
Iniziando però dal gioco. Iniziando dall'esperienza quotidiana, iniziando dal territorio il cui crimine della
valorizzazione è attribuito a Don Milani, iniziando dal concreto e non da Virgilio, o meglio e magari, non da Virgilio
così come ce lo hanno portato fino agli anni '50. Iniziando e risalendo aggiungendo lentamente mattoni, nozioni,
materia, approfondimento.

Chiunque provi a spiegare Virgilio, alle scuole secondarie inferiori, con la famigerata "parafrasi" (che odio e che
andrebbe sostituita con qualcosa di equivalente ma molto diverso ma ancora non ho trovato alternative migliori), si
accorge immediatamente che il messaggio non arriva. Non arriva non tanto perché i ragazzi non hanno voglia di
leggere quelle 12-13 righe di traduzione, per giunta e quindi già una prima sconfitta del senso, ma perché il mondo, il
contesto, il sistema culturale e di valori, le "cose" di cui parla Virgilio per loro sono più aliene e ignote di un drone di
Guerre Stellari. Anzi, è più facile che epica per loro siano Stargate e i telefilm relativi che non la già datata saga di
Lucas; è più facile per loro capire un ninja che il ("pio" = capace di pietas) Enea. E qui casca l'asino. Perché se io
avessi un ciuco capace di mangiare sassi potrei anche arrabbiarmi perché il ciuco non volesse mangiarli, potendo
farlo. Ma un ciuco mangia fieno, carote, mele... e per i miei "ciuchini" - lo dico con amore e affetto e senza alcun
intento denigratorio per i miei ragazzi, ché non ne avrei neppure per i somari veri - Virgilio è un sasso. Che non
possono mangiare neppure se volessero, almeno così come è. Perché loro sono lontani culturalmente anni luce dai
valori, dalle aspettative, dalle priorità di Virgilio. Così come sono lontani anni luce dal furore romantico del pro Patria
mori o dall'amore come sentimento e desiderio di bellezza in Foscolo o dal "pessimismo" di un Leopardi. Stanno
altrove i nostri ragazzi, sono altri giovani, non quelli del Risorgimento.

Ma qui si dirà: Virgilio è immortale, è universale. Sicuro, per questo ha ancora senso studiarlo, ma per arrivare
all'astrazione, ossia capire che l'eroismo di Enea è (quasi) lo stesso eroismo, poniamo del soldato Fritz o Jacques, alla
battaglia della Somme, per astrarre l'umanità e la civiltà che emergono dalle pene dell'esule troiano, occorre capire e
digerire a monte, o perlomeno insieme, un mucchio di sassi: cose come etica e virtù della guerra a Roma, idea di
essere portatori dell'unica cultura possibile a fronte dei "barbari" (all'epoca i Romani incassavano la prima di una serie
di sconfitte a opera di barbari col povero Varo), coscienza dei doveri di cittadino, cosa sia un condottiero di un popolo
di contadini-guerrieri, cosa siano "patria" e Italia. Quanta roba, quanta buccia!

Allora io non ho altri strumenti, davanti a sta roba astrusa per far loro forare la buccia dura del contingente e dello
specifico per arrivare all'astratto e universale, che il gioco. Il richiamo alla loro realtà, non a quella delle letterature.
Faccio loro leggere senza commenti il testo. Lo faccio leggere in coro, lo leggo in prosodia latina per far sentire loro il
"suono" originale. Perché la poesia è ritmo e suono e non scialba disamina di modelli perfetti. E poi la banale
domanda: nel Proemio c'è il nome di una squadra di calcio. Trovatemela! C'è stato chi mi ha detto "Juventus" solo
perché Virgilio era latino... simpatica idea, ma non quello che cercavo. Poi finalmente dopo diversi tentativi arriva la
risposta: la nazionale, l'Italia. Italia, la grande "novità" virgiliana, il senso, uno dei sensi forti dell'opera, l'idea di
nazione, non solo Roma, non Lazio, ma Italia. Da qui un richiamo ai 150 anni dall'unità... eccetera eccetera. Una
breve discussione su "Juventus" e poi si prosegue la lezione.

Ma ci vogliono 15 minuti in tutto per arrivare solo a questo. Ci sarei arrivato molto prima dicendo: "L'idea di Italia si
trova in Virgilio... e blah blah blah..." ci mettevo 40 secondi, ma state tranquilli che nelle teste di questi ragazzi che
non sono quelli di Don Milani, che non sono quelli di Rodari, ma quelli di adesso l'dea sarebbe sopravvissuta cinque
minuti scarsi e poi boh. Annegata, staccatasi dopo un'etichetta incollata con malagrazia e a forza su un cervello. Io,
secondo Segre e, chissà, la Mastrocola avrei "perso" giocandoci intorno 14 minuti e 20 secondi. Ma sono certo, forse
sbagliando, ai posteri...., che anche tra qualche tempo i miei allievi si ricorderanno di Virgilio e della "nazionale"...
osando supporre che la cosa si tiri dietro anche la nozione di "nazione". Di cui comunque do sempre la definizione
precisa. Dopo. E faccio copiare appunti, dopo, ma anche scriverli ai ragazzi, e li faccio giocare coi dadi e coi giochi di
ruolo se serve a far loro immaginare un'epoca diversa e se mi accorgo che non arrivano a immaginarla dai libri o dalle
mie sole parole. E con i fagioli ho fatto capire, o almeno ci ho provato seriamente, la disuguaglianza tra Patrizi e
Plebei a Roma nelle lotte sociali - i fagioli erano sacchi di grano in una simulazione di 20 anni di ipotetica guerra a
Roma. Alla fine un ragazzo di quinta elementare che faceva il plebeo ha detto, un po' incavolato, contandosi i fagioli
in mano, le ricchezze rimaste: "Ma così ci guadagnano solo loro", e indicava i 3 compagni su 15 scelti per fare i patrizi,
che avevano il banco invaso da fagioli-sacchi di grano, che prima della simulazione erano più equamente distribuiti.

"Ma così ci guadagnano solo loro", la disuguaglianza sociale come processo, non teoria (la scuola teoretica di Segre)
fatta capire, e capita, con un gioco. Lui se la ricorderà. Io non gioco soltanto, ma gioco abbastanza, e probabilmente
troppo per gli standard dei nostri Segre e Mastrocola. Mi scuso qui e più avanti per l'autoreferenzialità, ma come
Hemingway credo che si possa e debba scrivere con vera cognizione solo di quello che si conosce in prima persona.
Posso confermare però, al di là dei miei personali meriti e demeriti, che nella scuola italiana ci sono molti insegnanti
che giocano, sperimentano, discutono fanno bene i famigerati laboratori, non solo enormemente meglio del
sottoscritto, e non solo con la massima serietà ma anche rubando ore non retribuite al tempo personale, parlandone
accanitamente anche a pranzo fuori casa e suscitando l'apprezzata curiosità di quattro adulti nella stessa osteria.
Docenti anche precari che si sbattono come poveri stronzi - qui voglio usare un lessico forte e me ne frego - per
inventare strade alternative per far dire ogni tanto anche fosse solo a tre allievi su venti: "Io mi diverto a venire a
scuola". Cosa che per me, oddio! Gli anni peggiori, dopo quelli del precariato dai trenta in su. Perché magari, c'è la
speranza che divertendosi qualcuno di questi cervelli vada oltre, ami lo sforzo e trovi in sfide sempre più dure anche
un divertimento maggiore. Non una croce ultrapallosa come lo fu per me salvo eccezioni in una scuola confessionale,
rigida, tradizionalissima, e cara, carissima, almeno così sembra, ai nostri Segre e Mastrocola.

Tornando al nostro Segre, che accusa sparando a zero sulle lauree facili, egli si dimentica che fu proprio il mercato,
promotore di questa crociata sulla severità a lamentare la scarsa produttività degli Atenei, forzandoli a un modello
non virtuoso ma vizioso, imponendo la logica bottegaia "più laureati=più prodotto=meglio", esattamente la logica che
tratta un ente formativo come una fabbrica/azienda che più bulloni sforna, migliore è. In regime naturalmente di
concorrenza. Senza capire che in una realtà pesantemente disonesta e viziata la concorrenza diviene non selezione
dei migliori ma gara senza cervello né merito. Le cose, diciamole tutte, e le paternità delle logiche viziose iniziamo a
attribuirle correttamente e non solo o sempre ai soliti Don Milani/Rodari. Segre riprende in modo acritico e gratuito le
parole d'ordine della Mastrocola: "smanettamento collettivo" chiaramente con l'implicita idea che esista, come unica
alternativa antipodica e di per sé virtuosa la figura dell'artefice singolo, dimenticando ancora che se abbiamo avuto
artefici singoli e geniali, lo sono stati anche e più spesso del previsto perché hanno messo le mani sul patrimonio -
collettivo - di tentativi e errori degli "smanettoni" che non ci erano riusciti prima. L'idea medievale - si anche il
sottoscritto è antiquato e muffito, e pure gentiliano senza paura di affermarlo - di grandezza del nano in groppa ai
giganti. Non voglio fare un elogio del collettivismo e una denigrazione dell'individualismo, né il contrario, anche se in
cuor mio parteggio un po' per i cavalli scossi o i cavalieri isolati.

Altra parola magica mastrocoliana: invasamento tecnologico. Che è proprio il cavallo da battaglia della
modernizzazione e della "Gelminizzazione". Concordo con Segre nella misura in cui alla tecnologia è dato troppe volte
il ruolo feticcio, secondo cui basti ficcare una LIM in una classe per risolvere i problemi. Boiata colossale. Ma
sostenuta ossessivamente guarda caso e a spron battuto proprio da chi vorrebbe il ritorno della Tradizione a scuola.
Prima di usare uno strumento il sottoscritto fa teoria: con matita, carta e cartone. Ci si trova a parlare in una delle
famigerate compresenze di computer e si scopre che si può far vedere come lavora un PC senza PC ma con tre scatole
- interfaccia I/O Input-Output, Ram, Memoria di Massa - e una serie di post-it. La famigerata scuola pregelminiana
delle compresenze, ore si dice buttate a sperimentare e far laboratorio. Saper fare.

Su una cosa sola concordo con Segre e probabilmente con la Mastrocola: senza il mattone delle nozioni la pratica del
saper fare non serve. Occorre pane per mangiare. Acqua per bere. Le nozioni sono il pane e l'acqua, indispensabili,
insostituibili, fondamentali. Lo ripeto: fondamentali. Avere il metodo ma non la materia prima non serve ed è
altrettanto inutile che avere la testa zeppa di nozioni ma non saperle usare criticamente. Ma se le nozioni sono il
cibo, la scuola del saper fare, dei laboratori, del gioco è la tavola, il bicchiere, il posto dove mangiare. La casa-dove-
mangi. O meglio: è lo stomaco per digerirli, quei sassi! Senza questo ti riempi la pancia e basta. O crepi di
congestione.

Ma non mangi.

Ci si accorgerebbe fra le altre cose davvero, a guardare le due didattiche insieme, della differenza tra nutrire la
mente e lo spirito, tra il vero "mangiare" e riempirsi, stoppinarsi contenuti passivi e perdere l'allenamento a riflettere
e allo sforzo cognitivo. Ci si accorgerebbe che il primo nemico del "pio" Enea, oggi, è quella società liberale e liberista
di mercato che preferisce un consumatore vivo a un idealista morto, un moderato acquirente a un eroe radicale e
contestatore di questo sistema folle e disumano. Quel mercato che oggi - non ci sorprenda il nesso - spinge - a parole -
per la Tradizione. Mentre la sfascia, consapevolmente, nei fatti.

Ecco ogni tanto Segre dovrebbe scendere dalla torre, nelle classi in cui ci sono se va bene 25 alunni (ma anche 35) di
cui un terzo stranieri e quindi ancora più lontani dalla "letteratura" divina di Virgilio, dal suo "pio" Enea e da una
Mastrocola che, pare, il dubitativo è d'obbligo non avendone letto l'ultima fatica, non tener conto che i tempi delle
torri d'avorio e della bella letteratura maestra di vita d'opre e civiltà sono se non stramorti molto, molto, trasformati.
Li si può recuperare a gloria e beneficio dei cervelli futuri? Sicuro ma a una condizione chiara e nitida.

Scendere dalla torre prima che crolli, confrontarsi col nemico e col mondo, e fare un bel bagno di realtà.

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