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1. Cenni di Termochimica
1.1. La temperatura adiabatica di fiamma
1.2. La combustione in aria
1.3. Combustibili convenzionali
2. Fonti di dati termodinamici
2.1. Metodi di stima
3. Meccanismo della combustione: combustione dell’idrogeno
4. Infiammabilità: introduzione
5. Limiti di Infiammabilità
5.1. Determinazione dei limiti di infiammabilità.
6. Punto di infiammabilità (flash point)
7. Parametri che influenzano le caratteristiche di infiammabilità
7.1. Natura del comburente
7.2. Temperatura
7.3. Pressione
7.4. Aggiunta di inerti
8. Miscele di combustibili
8.1. Limiti di infiammabilità di miscele a più componenti.
8.2. Punto di infiammabilità di miscele
9. Diagrammi di infiammabilità
9.1. Ossigeno minimo
10. Energia di accensione e sorgenti di innesco
10.1.Energia di accensione
10.2.Sorgenti di innesco
10.3.Autoaccensione
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TERMODINAMICA DELLA COMBUSTIONE
1. Cenni di Termochimica
La termodinamica chimica ci dice che il calore scambiato a pressione costante è una funzione di
stato, l’entalpia. Pertanto a ciascuna reazione chimica condotta a pressione e temperatura costante è
possibile associare un ben preciso valore di variazione di entalpia.
Per stabilire una scala assoluta delle entalpie è stata adottata la convenzione di attribuire a
ciascuna sostanza chimica un contributo pari alla variazione di entalpia associata alla reazione in cui
tale sostanza, in uno stato fisico predeterminato, si forma a partire dagli elementi nel loro stato fisico
o
stabile alla temperatura di interesse e 1 bar. Si parla allora di entalpia standard di formazione ( ∆H f )
che, considerando come esempio la molecola del propano a 25oC, corrisponde alla reazione :
3 C(grafite, 25oC, 1 bar) + 4 H2(g, 25oC, 1 bar) → C3H8(g, 25oC, 1 bar) (1)
o o
I dati di ∆Hf delle singole sostanze permettono di calcolare i calori standard di reazione ( ∆H r )
attraverso la relazione:
∆H r = ∑ νi ∆H f ,i
o o
i (2)
dove νi sono i coefficienti di reazione (positivi per i prodotti, negativi per i reagenti).
I calori standard di formazione a loro volta sono stati determinati generalmente a partire da
calori di combustione (∆Hc), che sono facilmente ricavabili da misure sperimentali calorimetriche
(bomba calorimetrica di Mahler [1]). La reazione di combustione del propano a 25oC sarà:
Nei casi in cui la combustione avviene in un recipiente chiuso, a volume costante, il calore
ceduto risulta uguale alla variazione di energia interna, ∆Uc. Entalpia ed energia interna di
combustione sono legate dalla relazione:
I calori di combustione della tabella 1 sono dati isotermi, calcolati cioè nell’ipotesi che con una
opportuna dispersione termica i prodotti della combustione si trovino alla stessa temperatura iniziale
dei reagenti. Nella pratica, il calore della combustione va a riscaldare i prodotti della combustione
stessa portandoli ad alta temperatura (da 1500 a 2500 oC). Un dato importante è allora la temperatura
massima di fiamma che rappresenta la temperatura limite cui verrebbero riscaldati i
2
Tabella 1. Calori di combustione, ∆Hc, di combustibili scelti a 25oC. (rif. 2, cap. 1-5).
prodotti nella ipotesi di una perfetta adiabaticità del sistema. Tale temperatura si può ricavare
risolvendo nell’incognita T l’equazione:
T
∫ ( ∑ n i Cp, i) dT
Qc = nc |∆Hc| - nw |∆Hvap| = To i (4)
Tabella 2. Temperatura (K) a cui è dissociata una data frazione di gas puro a P = 1 atm. (rif. 2, pag.
1-92.)
Ove si ravvisasse la necessità di fare calcoli precisi delle temperature di fiamma, che tengano
cioè conto di tutti gli equilibri di reazione, esistono programmi di calcolo appositi. (vedi ad es. il rif.
2, pag. 1-97).
da cui appare che in una esperienza adiabatica il calore di combustione dovrà riscaldare anche 18,8
moli di N2, realizzando così una temperatura di fiamma più bassa.
Tabella 3. Composizione dell’aria secca.[4]
azoto 78,08 79
ossigeno 20,95 21
argon 0,93 -
anidride carbonica 0,03 -
altro (He, Ne, CH4 etc.) 0,01 -
4
Fig.1.Temperature adiabatiche di
fiamma a pressione costante di
miscele combustibile-aria. (rif. 2,
cap. 3-16).
Nella figura 1 sono mostrate le temperature massime di fiamma a pressione costante di miscele
con aria di alcuni gas e vapori, al variare della concentrazione della miscela. Le barre verticali
stabiliscono la posizione della concentrazione stechiometrica, indicando chiaramente che il massimo
dell’effetto termico si realizza in corrispondenza di tale concentrazione. Le temperature
cambierebbero di poco se venissero calcolate per un processo a volume costante. Ciò significa che in
una combustione in un recipiente chiuso con uno qualunque di questi combustibili si
raggiungerebbero temperature comprese fra 1500 e 2500 oC, il che comporterebbe un aumento di
pressione, rispetto al valore iniziale, di un fattore 5-8, con evidenti pericoli di scoppi del recipiente.
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Quando si dispone di dati sperimentali precisi si distingue fra potere calorifico superiore,
relativo alla combustione con formazione di acqua liquida, e quello inferiore, diminuito della quota
relativa alla vaporizzazione dell’acqua (∆Hvap = 44,01 kJ/mole a 25oC).
I combustibili gassosi vengono classificati in genere in termini del loro contenuto percentuale
dei singoli gas. La loro reazione stechiometrica di combustione si può quindi sempre scrivere come
la combustione di una ipotetica molecola media, in cui il numero di atomi di carbonio e di idrogeno
è la media pesata dei numeri presenti nei singoli componenti. Ad esempio una miscela gassosa
contenete il 40% (in volume) di propano e il 60% di butano si può considerare equivalente ad una
mole di un composto di formula C3,6H9,2, la cui reazione di combustione in aria sarà:
C3,6H9,2 + 5,9 (O2 + 3,76 N2) = 3,6 CO2 + 4,6 H2O + 22,18 N2 (6)
1kg benzina (≅C69,2H170) + (69,2 + 170/4) (O2 + 3,76N2) = 69,2 CO2 + 85 H2O + 420 N2 (7)
Il potere calorifico di questo combustibile, salvo stime qualitative, potrà essere frutto solo di
una misura sperimentale.
Dati termodinamici relativi alle proprietà termodinamiche di sostanze pure, in particolare quelli
qui pertinenti come calori standard di formazione e capacità termiche a pressione costante, possono
essere trovati in diversi testi ormai classici [3,8-17]. Di seguito vengono riportati alcuni siti Web per
il reperimento di dati chimico-fisici “online”. Nell’ambito delle lezioni del Prof. Conti verrà
presentato il programma IG (Ideal Gas Properties) del Texas Research Center (TRC, Texas A&M
University).
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Y = Σ ni Bi (11)
Dove Bi è il contributo del gruppo i ed ni è il numero di volte in cui tale gruppo compare nella
molecola. Il metodo presuppone di definire prioritariamente la natura di tutti i gruppi in cui
scomporre le molecole e successivamente di calcolare i valori dei contributi Bi attraverso un metodo
di minimi quadrati che realizza il miglior fitting dell’equazione (11) a un grande insieme di dati
sperimentali.
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Il metodo più completo di dati e di definizione dei gruppi è quello dovuto a Benson [18], che
permette di valutare i calori di formazione, le entropie e le capacità termiche di sostanze organiche
in fase gassosa. Il metodo è però abbastanza sofisticato, nel senso che distingue il contributo di un
singolo gruppo in funzione della natura del suo vicino più prossimo. Ad esempio il gruppo CH2 avrà
contributi diversi a seconda che sia legato a due carboni ((C)-CH2-(C)) oppure ad un carbonio e un
ossigeno ((C)-CH2-(O)), ad un carbonio ed un azoto ((C)-CH2-(N)) etc. Naturalmente questo grado di
sofisticazione della procedura richiede la definizione di un alto numero di gruppi, il ché da un lato
permette di riprodurre meglio i dati sperimentali, e quindi anche fare previsioni più accurate,
dall’altro rende più lambiccata la sua applicazione.
Con il metodo di Benson si possono prevedere dati di ΔHf con una precisione che nell’80% dei
casi arriva all’1%. Per una comoda applicazione del metodo è disponibile da alcuni anni un software
per PC del National Institute of Standards and Technology (NIST)[19], in cui per avere il dato
termodinamico è sufficiente fornire la formula molecolare. In una recente monografia [20], di cui è
disponibile anche una versione computerizzata [21], sono riportati i contributi di gruppo anche per
le sostanze in fase condensata (liquido e solido), il che significa che con una certa approssimazione
godono delle caratteristiche di additività anche i calori di vaporizzazione e di sublimazione.
Qualora uno fosse interessato a stime più grossolane, ma raggiungibili con maggiore facilità,
può ricorrere alla tabella di Medard [22], che permette di calcolare i ΔHf di sostanze liquide e
gassose. Tale tabella, riportata anche nel rif. 7, definisce contributi di gruppo non differenziati
rispetto agli atomi adiacenti.
A tutt’oggi una completa descrizione del meccanismo con cui procedono le reazioni di
combustione, cioè una classificazione esaustiva di tutte le singole reazioni microscopiche che
avvengono con identificazione di tutti gli intermedi presenti, non è stata ancora realizzata.
D’altra parte è accertato che tali reazioni procedono attraverso la formazione di specie molto
reattive, atomi o radicali, ed è il bilancio di massa (e termico) delle loro reazioni di creazione e
scomparsa che determina la possibilità di controllarne la velocità.
Le reazioni di combustione procedono con un meccanismo “a catena”, in cui ad una iniziale
reazione di produzione di radicali (inizio catena) segue una serie di reazioni in cui i radicali
reagiscono con molecole neutre formando altri radicali (propagazione di catena) oppure reagiscono
tra di loro ricombinandosi (terminazione di catena).
A volte queste reazioni a catena sono ramificate, nel senso che nella fase di propagazione si può
avere una creazione di radicali superiore a quelli consumati, cioè una loro moltiplicazione. E’ questo
il caso tipico della reazione :
H2 + ½ O2 = H2O (9)
8
Un ciclo completo di questa reazione produce un aumento di due H. Se la loro ricombinazione
secondo la reazione (10e) non è efficace, la reazione globale aumenta di velocità esponenzialmente
portando ad una esplosione.
La figura 2 mostra in quali campi di temperatura e pressione una tale reazione è esplosiva. E’
interessante notare che in un ristretto campo di temperatura (nel caso specifico tra 450 e 600oC)
all’aumentare di P il sistema cambia comportamento per ben tre volte. A pressione molto bassa il
sistema non è esplosivo perché la reazione (10e) avviene con sufficiente velocità sulle pareti del
contenitore (M = pareti). Quando si raggiunge il primo limite ciò non è più vero e la reazione diventa
esplosiva. Al crescere di P si raggiunge il secondo limite, ove la reazione (10e) ridiventa
molto efficace in fase gassosa (M = molecola gas inerte) Il terzo limite di solito è un limite termico,
legato al fatto che a P molto alta la reazione globale, esotermica, è così veloce che non riesce a
dissipare il calore prodotto e causa un aumento vertiginoso della temperatura.
Nel caso particolare della reazione (9) il terzo limite sembra anche legato alla formazione del
radicale perossidrile, HO2 (vedi rif 4, pag. 185)
9
4. Infiammabilità
In figura 3 viene confrontato il diagramma di stato di una sostanza pura, a seconda del caso che
possa o meno presentare il fenomeno della combustione. La parte A si riferisce al classico
diagramma che mostra le regioni di esistenza delle tre fasi (solido, liquido e vapore) al variare di
pressione e temperatura. La parte B mostra il caso di un combustibile liquido infiammabile. Lungo
la curva di equilibrio liquido-vapore si registrerà un intervallo di tensioni di vapore in cui la
eventuale miscela del vapore combustibile con aria, in presenza di adeguato innesco, diventa
infiammabile. TL rappresenta la minima temperatura a cui il liquido si può infiammare.
All’aumentare della temperatura il campo delle miscele infiammabili generalmente si allarga, e le
due curve AB e CD rappresentano i limiti inferiore e superiore di infiammabilità, il primo detto
anche limite povero (in combustibile), il secondo ricco.
La presenza di questi due limiti è ovviamente legata al meccanismo di combustione e quindi,
come si è visto per la reazione di formazione di H2O, alla velocità relativa delle reazioni che portano
alla formazione e comparsa delle specie attive, i radicali. La regione di formazione di miscele
infiammabili presuppone anche che, nell’ipotesi di omogeneità spaziale nella composizione della
fase vapore, la fiamma una volta formata sia in grado di propagarsi nello spazio. Ciò può essere
causa di eventuali esplosioni.
A più alta temperatura si può raggiungere il valore Ta, a cui la miscela può prendere fuoco
anche in assenza di un innesco esterno.
La parte C mostra l’analogo campo di esistenza delle miscele infiammabili per un combustibile
solido, dove però il caso più comune è che le miscele infiammabili si formano non lungo la linea di
sublimazione, bensì lungo la linea che delimita la stabilità del combustibile nei riguardi di possibili
composti di decomposizione.
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D
C
Fig. 3. Diagramma di fase per: (A) liquido inerte; (B) liquido combustibile; (C) solido
combustibile (rif. 2. cap. 2-10).
5. Limiti di Infiammabilità
Miscele combustibile-aria sono infiammabili o esplodibili (i due termini sono sinonimi) solo
all’interno di un intervallo di concentrazioni definito dal limite inferiore Li e dal limite superiore Ls.
Per definizione, questi due limiti rappresentano la minima e la massima concentrazione di
combustibile (solitamente espressa come percentuale in volume nella miscela combustibile-aria) che
può sostenere la propagazione della fiamma. Questi limiti vengono anche indicati come “lower
(lean) and upper (rich) flammable limits” (LFL, UFL) oppure come “lower and upper explosion
limits“ (LEL, UEL). All’interno dei suddetti limiti una sorgente casuale di energia (surriscaldamenti,
scariche elettriche, fiamme libere, ecc.) o l'autoaccensione della miscela possono innescare
localmente reazioni indesiderate di combustione che, se si propagano attraverso l'intera miscela,
provocano incontrollabili aumenti di temperatura e di pressione con danni rilevanti.
Nella Tabella 5 sono riportate le caratteristiche di infiammabilità di alcuni gas e vapori, assieme
alle composizioni stechiometriche in volume delle corrispondenti miscele combustibile-aria (Cst).
La compilazione più completa si trova nel rif. 24.
Molti combustibili hanno un intervallo di infiammabilità abbastanza ristretto; è allora
relativamente facile evitare di manipolarli in condizioni pericolose. Altri hanno un intervallo tanto
esteso che soltanto loro miscele molto "ricche" o molto "povere" di combustibile si trovano al di
fuori dei limiti pericolosi.
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Tabella 5 - Limiti di infiammabilità di alcuni gas e vapori a temperatura
e pressione ambiente in presenza di aria come comburente. [2,4,25]
Li Ls Cst a Li Ls Csta
v/v % v/v % v/v % v/v % v/v % v/v %
Idrocarburi Idrocarburi
Metano 5 15 9,50 Etilene 2,7 37 6,53
Etano 3 12,4 5,67 Propene 2,4 11 4,46
n-Propano 2,1 9,5 4,02 1-Butene 2,0 9,6 3,37
n -Butano 1,8 8,4 3,13 Butadiene 2,0 9,6 3,67
n -Pentano 1,4 7,8 2,56 Acetilene 2,5 100 7,75
n -Esano 1,2 7,4 2,16 Benzene 1,3 7,9 2,72
n -Eptano 1,0 6,7 1,87 Toluene 1,2 7,1 2,27
n -Ottano 0,9 1,65 o-Xilene 1,1 6,4 1,96
n -Nonano 0,8 1,48 Etilbenzene 1,0 6,7 1,96
n -Decano 0,7 5,6 1,33 Stirene 1,1 6,1 2,06
Alcoli Eteri
Metanolo 6,7 36 12,25 Metilico 3,4 18 6,53
Etanolo 3,3 19 6,53 Etilico 1,9 48 3,37
n-Propanolo 2,2 14 4,45 i-Propilico 1,4 21 2,28
n-Butanolo 1,7 12 3,37 Vinilico 1,7 27 4,03
Ossido di etilene 3,0 100 7,75
Ossido di propilene 2,8 37 4,99
Aldeidi Chetoni
Acetaldeide 4,0 60 7,73 Acetone 2,6 31 4,97
Acroleina 2,8 31 5,66 Metil etil chetone 1,9 10 3,67
Crotonaldeide 2,1 16 4,03
Acidi/Anidridi Esteri
Ac. acetico 5,4 9,50 Acetato metile 3,2 16 5,65
Anid. acetica 2,7 10 4,99 Acetato etile 2,2 11 4,02
Anid. ftalica 1,2 9,2 2,72 Acetato vinile 2,6 13,4 4,46
Ammine Inorganici
Metilammina 4,2 21 8,54 Ammoniaca 15 28 21,9
Dimetilammina 2,8 14,4 5,31 Idrazina 4,7 100 17,4
Trimetilammin 2,0 12 3,85 Idrogeno 4,0 75 29,6
a
Etilammina 3,5 14 5,31 Ossido di carbonio 12,5 74 29,6
Dietilammina 1,6 10 3,02 Solfuro di carbonio 4,0 44 4,99
a
concentrazione stechiometrica del combustibile in aria.
Nei casi in cui il limite di infiammabilità superiore si spinge fino al 100% significa che si tratta
di sostanze instabili, che possono decomporsi, con esplosione, anche in ambiente anaerobico.
La figura 4 mostra come varia Li con il peso molecolare per semplici idrocarburi. Di fatto la
curva coincide con una concentrazione costante di circa 48 mg/litro, il che vuol dire che
praticamente tutte le miscele alcano-aria diventano infiammabili quando l’idrocarburo,
indipendentemente dalla sua individualità, raggiunge tale concentrazione minima.
12
Fig. 4. Limite inferiore di
infiammabilità di alcani in
funzione del peso molecolare. (rif.
2, cap. 2-9).
Un’altra correlazione trovata per gli alcani consiste nella proporzionalità inversa tra i valori di
Li e le entalpie di combustione (rif. 5, vol. VI, pag. 49).
La possibilità di calcolare dal punto di vista teorico i limiti di infiammabilità non è ancora
attuale. Essa prevederebbe di conoscere con esattezza tutti i parametri termodinamici e cinetici del
modello in grado di spiegare il fenomeno della combustione. Pertanto essi sono in genere frutto di
misure sperimentali.
La determinazione sperimentale viene fatta esponendo all’effetto di una fiammellina pilota
miscele preformate di combustibile e comburente (rif. 2, cap. 2-9). L’apparato consiste in un tubo
trasparente verticale del diametro interno di 5 cm e lunghezza 1,5 m. Il tubo è chiuso in alto e aperto
all’aria nella estremità inferiore. La miscela viene esposta alla fiamma dal basso e si osserva per
quali miscele, a concentrazione crescente di combustibile, la fiamma riesce a propagarsi fino
all’estremità superiore. Si è osservata l’importanza del fattore “gravità”, nel senso che i due limiti si
avvicinano leggermente se si fa propagare la fiamma dall’alto in basso. A volte le prove vengono
eseguite in cilindri completamente chiusi, permettendo quindi di verificare la propagazione della
fiamma in presenza dell’aumento di pressione legato alla combustione a volume costante. In tali casi
si parla più correttamente di “limiti di esplodibilità” Di fatto tali limiti cambiano poco, specialmente
quello inferiore.
I limiti di infiammabilità vanno presi come valori cautelativi, non esatti, in quanto possono
variare leggermente a seconda delle condizioni sperimentali e del tipo di test di misura.
Nei casi in cui il dato sperimentale non esiste, o comunque è di difficile determinazione a causa
della reattività e/o tossicità del combustibile, sono state proposte delle relazioni empiriche atte a
stimare i limiti di infiammabilità con una certa approssimazione. Un criterio molto semplice sfrutta
l’osservazione che i rapporti tra il limite di infiammabilità e la concentrazione stechiometrica risulta
abbastanza costante per diverse classi di combustibili (vedi tabella 6). Ad esempio, usando un
rapporto medio Li/Cst ∼ 0.55, il limite inferiore di infiammabilità di un combustibile può essere
valutato con buona approssimazione come Li = 0.55 ·Cst.
13
Tabella 6 - Correlazioni empiriche dei limiti di infiammabilità.a
a
metodo di Jones e Lloyd, rif. 24, pag. 21.
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La relazione tra il punto di infiammabilità e il limite inferiore di infiammabilità è illustrata
nell'esempio seguente per l'alcol etilico, il cui limite di infiammabilità in aria è pari al 3,3% in
volume.
Alla pressione di 760 mm Hg, il limite inferiore corrisponde ad una tensione di vapore di 760 x
3,3/100 = 25,08 mm Hg. Dalla figura 5, che riporta la curva della tensione di vapore di alcuni
combustibili liquidi in funzione della temperatura, si vede che, per l'alcol etilico, il valore della
tensione di vapore corrisponde alla temperatura di 12,7 °C, che è in pratica il punto di
infiammabilità.
In altre parole, se l'alcol etilico liquido entra in contatto con l'aria sotto i 12 °C, i suoi vapori
non formano miscele infiammabili (la quantità di combustibile è insufficiente, siamo al di sotto del
limite inferiore). Alla temperatura del punto di infiammabilità la concentrazione dei vapori
infiammabili in aria corrisponde approssimativamente al limite inferiore.
Uno studio accurato delle relazioni tra limiti e punti di infiammabilità, con esempi sulla criticità
dei dati di tensioni di vapore, è stato fatto da Coffee [27].
I valori sperimentali del punto di infiammabilità dipendono in misura talvolta notevole
dall'apparecchiatura utilizzata e dalle modalità seguite nella loro determinazione. Si utilizzano
numerosi metodi, sia perché i punti di infiammabilità variano in un intervallo molto ampio, sia
perché i procedimenti sono stati codificati in maniera indipendente in vari paesi.
Per valutare la pericolosità di un particolare combustibile devono essere note tutte le sue
pertinenti proprietà. Per i solventi le più importanti sono: tensione di vapore, volatilità, densità del
vapore, intervallo di infiammabilità, punto di infiammabilità, temperatura di autoaccensione. Però va
ricordato che i ragionamenti fatti finora postulano situazioni in cui il liquido è in equilibrio col
vapore e quindi all’atto pratico valgono soltanto per ambienti chiusi oppure in ambienti aperti ma in
zone molto confinate (es. all’interfaccia liquido-aria). In generale sono molto importanti anche
fattori cinetici, conseguenti a disomogeneità di concentrazione e/o temperatura.
Il semplice esempio seguente mostra gli effetti di alcune di queste proprietà sull'infiammabilità
di specifiche miscele vapori-aria. Consideriamo tre bicchieri contenenti cherosene, benzina e JP-4
(un combustibile per aviogetti) in aria a temperatura ambiente (Fig.6).
17
7.2. Temperatura
La temperatura influenza notevolmente le caratteristiche di infiammabilità, in quanto agisce
sulla tensione di vapore, sulla velocità di reazione, sui limiti di infiammabilità, sulla velocità di
propagazione della fiamma, sulla tendenza all'autoaccensione, ecc.
7.3. Pressione
Anche la pressione influenza la velocità di reazione, la velocità di propagazione della fiamma e
i limiti di infiammabilità. In generale pressioni più alte tendono ad allargare l'intervallo di
infiammabilità, pressioni più basse a restringerlo. Con la riduzione della pressione, i limiti di
infiammabilità si avvicinano tra loro: a livelli di pressione molto bassi la propagazione della fiamma
può risultare talmente ostacolata che la miscela diventa non esplosiva. Aumentando la pressione,
invece, l'intervallo di infiammabilità si estende, soprattutto come conseguenza dell'innalzamento del
limite superiore. In pratica, tuttavia, l'effetto della pressione sui limiti di infiammabilità non è
sempre facilmente prevedibile, in quanto non si esercita sempre nello stesso senso ma è alquanto
specifico di ciascuna miscela.
I limiti di infiammabilità dell'etilene in aria al variare della pressione, a temperatura ambiente,
sono mostrati in figura 8. Anche in questo caso l'intervallo di infiammabilità si allarga, innalzandosi
fortemente il limite superiore; il limite inferiore viene invece scarsamente influenzato.
18
Fig. 8. Limiti di infiammabilità dell’etilene
al variare della pressione a temperatura
ambiente [26].
L'intervallo di infiammabilità di un gas o di un vapore con l'aria è sempre meno esteso di quello
dello stesso combustibile con l'ossigeno; l'azoto presente nell'aria e che non reagisce chimicamente
nella combustione, è dunque da considerare un diluente che diminuisce l'infiammabilità. La presenza
di gas inerti (N2, CO2, ecc.) abbassa notevolmente il limite superiore di infiammabilità del
combustibile, senza far variare sensibilmente quello inferiore. In tal modo il campo di
infiammabilità si restringe sempre più; continuando nell'aggiunta dell’inerte fino a che i due limiti
praticamente coincidono si delimita il "diagramma di infiammabilità" entro il quale tutti i punti cor-
rispondono a miscele la cui composizione permette la propagazione della fiamma; al di fuori tutti i
punti corrispondono a miscele non infiammabili (Fig. 9).
Si può fornire la seguente spiegazione: al limite inferiore, nella miscela c'è più ossigeno di
quello che è necessario per la combustione. Perché una fiamma si propaghi, l'eccesso di ossigeno
deve essere portato alla temperatura della fiamma pur senza che esso prenda parte alla reazione (non
contribuisce quindi alla conservazione della fiamma tramite il calore di reazione). Perciò è
irrilevante per la posizione del limite inferiore se si sostituisce questo ossigeno non necessario alla
combustione con il gas inerte, considerando che le capacità termiche di questi gas non differiscono
molto.
Al limite superiore invece c'è meno ossigeno di quanto sarebbe necessario per la combustione
di tutto il combustibile presente. Se nella miscela si fa variare, a vantaggio o a svantaggio del gas
inerte, la concentrazione dell'ossigeno, varia la quantità di combustibile che può essere bruciata in
una fiamma e conformemente a ciò anche il valore del limite di infiammabilità. I diagrammi di
infiammabilità verranno discussi in dettaglio più avanti.
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Fig. 9 - Influenza dell'aggiunta di gas inerti,
vapor d'acqua e inibitori sui limiti di
infiammabilità di miscele metano-aria [26].
Un gas inerte è tanto più efficace nel diminuire l'infiammabilità quanto più è alto il suo calore
specifico. Nella Tabella 9 sono confrontati i valori massimi di gas inerti da aggiungere all'aria per
ridurre l'infiammabilità del metano e le loro capacità termiche. Il più basso limite dell’elio rispetto
all’argo, praticamente a parità di Cp, è dovuto alla sua molto alta conducibilità termica.
8. Miscele di combustibili
Quando il combustibile non è un composto singolo ma una miscela di più solventi e quindi non
si trovano dati sperimentali sui limiti di infiammabilità, si può ricorrere a calcoli che si basano su
criteri di additività, partendo dai limiti dei singoli composti. Una regola molto usata è quella di Le
Chatelier, nota come legge delle miscele. L'equazione è la seguente:
100
Li = χj (12)
∑
j Li, j
20
dove χj sono le concentrazioni (v/v %) dei singoli componenti nella miscela combustibile (esclusa
l’aria), e Li,j sono i rispettivi limiti inferiori di infiammabilità. L’equazione (12) assume in pratica
che ci sia additività non dei limiti di infiammabilità, ma dei loro inversi. Essa è un caso particolare di
una regola generale di additività di proprietà fisiche o chimico-fisiche del tipo
L’eq. (13) è molto usata per materiali solidi (vedi rif. 2, cap. 1-10) per i quali esistono
correlazioni in grado di predeterminare m. Il caso della additività normale (media pesata della
proprietà dei singoli componenti) si verifica con m = 1, mentre il caso di m = -1 corrisponde appunto
alla additività della proprietà inversa.
100
Li = ------------------------------------------------ = 4,2%
80/5,0 + 15/2,9 + 4,0/2,1 + 1,0/1,8
Con calcoli analoghi si ricava il limite superiore. L’equazione (12) risulta applicabile anche a
miscele combustibili contenenti un gas inerte: basta porre uguale a zero nella somma al
denominatore il contributo di tale gas (rif. 4, pag. 374).
Nel caso di miscele di combustibili liquidi, in equilibrio con i rispettivi vapori, la valutazione
dei limiti di infiammabilità è più complessa in quanto le proporzioni relative dei singoli costituenti
in equilibrio con il liquido ad una data temperatura non sono le stesse della fase liquida. La
composizione dei vapori è una funzione della tensione di vapore dei singoli componenti, della loro
frazione molare nella fase liquida, e del probabile comportamento non ideale delle miscele. Se si
assume l'equilibrio liquido-vapore, è possibile calcolare la composizione vapore-aria sopra una
miscela liquida combinando la legge di Dalton e quella Raoult generalizzata, e quindi valutarne
l'infiammabilità mediante la legge di Le Chatelier. L'equazione generale è la seguente:
yj γ j x j Poj
1 yj =
=∑ con (14)
Li j Li, j ∑ γ j x j Poj
j
dove Li = limite inferiore di infiammabilità della miscela in aria, e xj, γj , P oj e Li,j sono
rispettivamente la frazione molare, il coefficiente di attività, la tensione di vapore ed il limite di
21
infiammabilità del componente j. Un'equazione analoga vale ovviamente anche per il limite su-
periore.
Nel caso in cui non siano noti i coefficienti di attività dei componenti è possibile fare comunque
una stima di Li assumendo per tutti i componenti γj = 1. La stima risulta buona soltanto quando tutti
i componenti hanno struttura chimica molto simile, che è il caso di una miscela che si comporta
quasi idealmente.
In sostanza il criterio di additività dalla legge di Le Chatelier deve essere considerato con
prudenza, specie nell’approssimazione del comportamento ideale delle miscele liquide. A volte ad
esempio può esserci un effetto sinergico dei vari componenti e il limite della miscela risulta più
basso di quello previsto. La maggior cautela va usata in particolare quando uno dei costituenti è un
vapore tipo etere o acetone, capace di dar luogo al fenomeno delle fiamme fredde. Dall'esame della
letteratura, la legge di Le Chatelier (nell’approssimazione γi = 1) porta comunque a previsioni
accettabili per alcune miscele binarie e ternarie riportate in tabella 10.
Tabella 10 - Miscele di solventi per le quali è valida la legge di Le Chatelier (eq. 14, γ = 1) [26].
22
punti di flash di miscele liquide infiammabili, usando il metodo UNIFAC per il calcolo dei
coefficienti di attività, sono forniti da Gmehling [28].
Un caso particolare si ha con miscele di liquidi classificate come non infiammabili ma che lo
possono diventare dopo un certo tempo. Per esempio, è possibile aggiungere sufficiente tetracloruro
di carbonio al benzene in modo che la miscela non sia più infiammabile. Tuttavia, ristagnando la
miscela in un recipiente aperto, il residuo mostrerà prima un altro punto di infiammabilità, che si
abbasserà progressivamente fino a avvicinarsi a quello del benzene, a causa della evaporazione
preferenziale del composto alogenato.
I componenti non infiammabili solitamente hanno un effetto inibente, nel senso che l'intervallo
di infiammabilità della miscela risulterà più ristretto o addirittura annullato. Una particolarità è
rappresentata dalle soluzioni acquose. Nella Tabella 11 è riportata la variazione del punto di
infiammabilità dell'alcol etilico in funzione della percentuale di acqua presente nella miscela.
Tabella 11. Variazione del punto di infiammabilità dell'alcol etilico in miscela con acqua in
funzione della percentuale in peso [26].
100 - 12
95 5 17
80 20 20
70 30 21
60 40 22
50 50 24
40 60 26
30 70 29
20 80 36
10 90 49
5 95 62
Il potere inibente della fiamma da parte di sostanze inerti (vedi ad es. Fig. 9) può derivare da
semplici ragioni fisiche (raffreddamento, diluizione) o da un effetto di tipo chimico (es. sequestro dei
radicali). Quando la sostanza inibente è presente in fase liquida l’effetto di soppressione della
fiamma dipende dalla sua volatilità e dall’entità del suo potere inibente nella fase vapore. Per
miscele di questo tipo il calcolo del punto di infiammabilità presuppone anche la conoscenza
quantitativa di tale potere inibente.
Il metodo di Thorne [29] permette di fare questa valutazione a partire dalla conoscenza
approssimata di tale effetto, rappresentato dalla pendenza k della retta LL’ (vedi Fig. 10) che simula
in un generico diagramma di infiammabilità lo spostamento del LEL con la concentrazione di
additivo inerte aggiunto al combustibile c. Valori di k alti corrispondono ad un basso potere inibente,
e viceversa.
23
L'
L U
yc
Nella figura 10 L e U sono i limiti
di infiammabilità della miscela in assenza di additivo.
L’equazione della retta LL’ è:
ya = k (yc – L) (15)
con yi la concentrazione di i (i = a,c) nella fase gas. Applicando le leggi di Dalton e Raoult
(completa) si può scrivere:
x a γ a P oa x c γc P oc
= k( − L) (16)
PT PT
γ a P oa + kL PT
x c γc = (17)
γ
( a γ Poa + k P oc)
c
Nel caso pratico che la volatilità dell’additivo sia trascurabile la eq. (18) si riduce a
L PT
xc = o (19)
Pc
che non è altro che la combinazione delle leggi di Raoult (ideale) e Dalton. La (19) prevede una
azione inibente della fiamma per semplice effetto di diluizione.
24
9. Diagrammi di infiammabilità
Fig. 11. Diagrammi di infiammabilità del sistema metano-ossigeno-azoto a 1 atm e 26oC: (a) a
tre assi; (b) a due assi.(rif. 2, cap. 2-9).
25
Fig. 12. Limiti di infiammabilità di Fig. 13. Percorso di diluizione di una miscela
miscele esano/inerte/aria a 25oC e 1 metano/azoto/ossigeno (rif.2, cap. 2-9)
atm. (rif. 2, cap. 2-9)
Una terza possibile rappresentazione è quella di figura 12, dove la scala dell’asse della sostanza
inerte include soltanto la concentrazione in eccesso rispetto alla concentrazione di inerte già presente
nell’aria. In pratica tale rappresentazione equivale a selezionare nel grafico di figura 11b la regione
sulla destra della linea dell’aria. Nell’ipotesi che l’inerte aggiunto sia sempre azoto, la figura 12
permette di evidenziare il cosiddetto “punto di azoto”, NP, che indica la massima % di azoto
compatibile con la propagazione della fiamma. In questa figura è mostrata anche la retta che
rappresenta la concentrazione stechiometrica di combustione: il punto SL rappresenta appunto la
miscela stechiometrica più diluita in grado propagare la fiamma distante dalla sorgente di
accensione.
I diagrammi di infiammabilità sono anche utili per sviluppare una strategia di diluizione di
miscele ricche in combustibile onde evitare rischi di incendio. Supponiamo che una perdita di
metano abbia riempito un ambiente fino alla concentrazione finale del 30% in volume, realizzando
quindi una miscela rappresentata dal punto B della figura 13. Se uno si limitasse a far entrare aria nel
locale, il punto B si muoverebbe lungo il segmento BA, così attraversando la zona di infiammabilità
e correndo il rischio che un qualunque innesco faccia partire un incendio. Allora è meglio immettere
nel locale azoto puro, muovendosi sul segmento BN, fino a raggiungere la miscela di tipo C, cioè la
miscela che con la minima aggiunta di azoto permette, con successiva diluizione con aria, di
muoversi lungo il segmento CA che è solo tangente alla regione di infiammabilità.
Lo stesso problema visto sul grafico che rappresenta solo l’eccesso di azoto usato come diluente
dell’aria di partenza, è mostrato nella figura 14. Una eventuale miscela di partenza di composizione
e (10% metano, 45% diluente, 45% aria) deve essere diluita previamente con azoto fino a portarsi
sulla retta ah, che rappresenta le miscela con la quantità minima di inerte aggiunto che non
attraversa la zona di infiammabilità.
26
Fig. 14. Diagramma di infiammabilità di miscele metano/aria/azoto [7].
Tutte le miscele che giacciono sulle rette parallele al lato CN del triangolo (ossidante zero)
hanno un contenuto costante di ossigeno (in quanto è costante la somma inerte + combustibile); la
retta tangente al diagramma di infiammabilità è quella che dà la concentrazione minima di ossigeno.
Al di sotto del valore critico dell'ossigeno minimo, nessuna miscela combustibile-aria-diluente
risulta infiammabile.
27
Fig. 15. Determinazione grafica
dell’ossigeno minimo [7].
Nell’esempio in questione la retta tangente rappresenta una serie di miscele in cui la somma
costante di combustibile e diluente vale 75% circa. L’ossigeno minimo sarà pertanto quello
contenuto nel residuo 25% di aria, cioè 25 x 0,21 = 5,25%.
È noto che l'energia di accensione varia al variare della concentrazione del combustibile e tende
ad un minimo in prossimità della concentrazione stechiometrica; inoltre l'energia di accensione
aumenta drasticamente in prossimità delle concentrazioni corrispondenti ai limiti di infiammabilità.
L’energia minima necessaria per avviare la combustione è fornita in tabella 12. E’ evidente il basso
valore di tali energie di innesco: basti pensare che una energia di 1 mJ, valore medio dei dati della
tabella, viene liberato dalla semplice caduta di un corpo della massa di 1g da una altezza di 10 cm!
28
Tabella 12. Energia minima di accensione di alcuni vapori.[7,26]
10.3 Autoaccensione
29
Tabella 13. Temperatura di autoaccensione di alcuni solventi (°C).a
La temperatura di autoaccensione può essere definita solo tenendo conto del sistema in cui la
determinazione viene effettuata. Così, sperimentando in sistemi in flusso, in sistemi statici, in
reattori di differenti materiali ecc. si ottengono differenti temperature di autoaccensione. Questa
dovrebbe essere la ragione per cui fonti diverse possono riportare dati diversi. Per dare una idea della
variabilità dei dati di letteratura sono riportati in tabella tra parentesi alcuni dati di una diversa
sorgente.
La temperatura di autoaccensione risente degli stessi fattori che influenzano la velocità delle
reazioni in fase gassosa:
• volume del reattore e sua geometria (rapporto superficie /volume)
• stechiometria (rapporto combustibile/ossigeno)
• presenza di inerti (N2, CO2, vapor d'acqua, ecc. )
• pressione
• ritardo all'accensione
• presenza di additivi (promotori, inibitori)
• effetti superficiali (catalisi)
• stato fisico del combustibile (nebbia, vapore).
Così, per es., una miscela contenente 1,5-3,75 -7,65 % in volume di pentano in aria si infiamma
rispettivamente a 548-502-476 °C.[26] Date le notevoli differenze riscontrate dai diversi AA è buona
norma, per garantire il più alto margine di sicurezza, scegliere tra i valori riportati in letteratura, per
una data sostanza, quello più basso.
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