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IL CANTICO DELLE CREATURE

E TUTTO ERA BUONO

San Francesco lo chia-mava "Cantico di Frate So-le" e con esso intendeva


convocare tutte le creature perché lo aiutassero a loda-re e ringraziare l'altissimo
on-nipotente buon Signore.

Le creature. Lamore meno impe-gnativo della trilogia Dio, uomo, crea-to?

Più facile no, più a rischio si per-ché può diventare un surrogato, un


compromesso. é difficile stabilire se è uno sconto a un amore impegnativo o se è
invece un naturale sconfino di una misura traboccante di amore.

Guardando ai nostri piccoli o gran-di attaccamenti alle creature nascono solo


dubbi (o certezze pericolose), guardando invece a Francesco c'è so-lo da
ammirare e imparare, perché ha saputo scorgere Dio in tutte le cose e ha
sperimentato che "tutto ciò che Dio ha creato è buono" (1 Tm 4,4).

Francesco non si sente né schiavo né padrone delle creature di Dio, ma fratello.


Significa cioè che nell'amore paterno di Dio gli uomini, gli animali, le piante e
tutte le cose sono un'unica famiglia.

Pertanto le bellezze create non limitano il suo amore, ma lo dilatano e lo


spingono verso l'alto. Si sen-te in cammino verso Dio non co-me viandante
solitario, ma in compa-gnia di tutto ciò che Dio ci ha dato per l'utilità di tutti. Di
qui la sua gioia incon-tenibile davanti alle creature sorelle, mentre benedice (dice
bene di ) Dio per mezzo di esse.

La sua sensibilità e il suo amore sopratutto non avrebbero mai soppor-tato di


tenere prigioniero o in gabbia un uccellino destinato a vivere e a can-tare
liberamente fra il verde degli albe-ri; né avrebbe mai tagliato un fiore, creato per
rallegrare la terra con il suo profumo e il suo colore.

Scrive Tommaso da Celano: "Se vedeva distese di fiori, si fermava a predicare


loro e li invitava a lodare e ad amare Iddio, come esseri dotati di ragione; allo
stesso modo le messi e le vigne, le pietre e le selve e le belle campagne, le acque
correnti e i giardi-ni verdeggianti, la terra e il fuoco, l'aria e il vento con
semplicità e purità di cuore invitava ad amare e a lodare il Si-gnore. E finalmente
chiamava tutte le creature col nome di fratello e di sorel-la, intuendone i segreti
in modo mira-bile e noto a nessun altro, perché ave-va conquistato la libertà della
gloria ri-servata ai figli di Dio" (Vita Prima, 81).
 

SPIRITUALITA' DELLA CREAZIONE

E' sempre il Celano, nella Vita Se-conda, raccoglie in sette brevi capitoli, con il
titolo "La contemplazione del Creatore nelle creature", una serie di episodi che
aiutano a definire la spiri-tualità della creazione che anima Fran-cesco.

"Nelle cose belle riconosce la Bel-lezza Somma, e da tutto ciò che per lui è
buono sale un grido: "Chi ci ha creati è infinitamente buono". Ha ri-guardo per le
lucerne, lampade e can-dele, e non vuole spegnerne di sua mano lo splendore,
simbolo della luce eterna. Cammina con riverenza sulle pietre, per riguardo a
colui, che è det-to Pietra.

Quando i frati tagliano legna, proi-bisce loro di recidere del tutto l'albero, perché
possa gettare nuovi germogli. E ordina che l'ortolano lasci incolti i confini
attorno all'orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendo-re dei fiori
cantino quanto è bello il Pa-dre di tutto il creato.

Raccoglie perfino dalla strada i pic-coli vermi, perché non siano calpesta-ti, e alle
api vuole che si somministri del miele e ottimo vino, affinché non muo-iano di
inedia nel rigore dell'inverno".

Fa rimettere in libertà un leprottino, che qualcuno gli aveva messo tra le mani, o
rigetta nell'acqua dei pescioli-ni tremolanti. In altra occasione riscat-ta con ìl
prezzo del suo mantello due agnellini che il pastore sta portando al mattatoio, i
cui belati gli hanno trafitto l'anima, e li rìconsegna al pastore, con la promessa di
risparmiare la loro vita.

L'AMORE DELLE CREATURE

Ma come lo ricambiano le creatu-re?

Quando il santo parla ai fratelli uc-celli o ai fratelli fiori invitandoli alla lo-de del
Sìgnore, sa benìssìmo che quel-le creature non lo possono compren-dere, ma
instaura con esse un rappor-to profondo di amore e di rispetto e parla al Creatore
attraverso esse. Ma davvero non lo possono comprendere?

Sempre il Celano dedica un capi-tolo della Vita Seconda (CXXV) alle ef-fusioni
di gratitudine delle creature al-le attenzioni di Francesco: "sorridono quando le
accarezza, danno segni di consenso quando le interroga, obbedi-scono quando
comanda" e cita una se-rie dì episodi.

Un pescatore regala a Francesco un uccellino acquatico: Francesco lo prende tra


le mani e lo invita a volare. Ma l'uccellino si accovaccia come se stesse nel nido.
Solo quando riceve la benedizione spicca il volo.

Delle api si erano rifugiate in un va-setto abbandonato nella celletta che il santo
si era costruito per pregare: "vo-levano indicare la dolcezza della c-
ontemplazione".

Una volta gli fu regalato un fagia-no, chiese ai frati: "Proviamo ora se fra-te
fagiano vuole rimanere con noi o se preferisce ritornare ai luoghi abituali e più
adatti a lui". Un frate lo portò lon-tano in una vigna, ma il fagiano ritornò
rapidamente da Francesco. Fu portato ancora più lontano ma ritornò ugual-mente.
Allora il santo ordinò che fosse nutrito, "mentre lo abbracciava e lo vez-zeggiava
con dolci parole"

Ma la storia non finisce qui. Lo pre-se infatti un medico e lo portò a casa sua, per
venerazìone verso ìl santo. Ma il fagiano, nella nuova dimora non toc-cò
assolutamente cibo. Quando fu ri-portato da Francesco "abbandonò ogni tristezza
e cominciò a mangiare gioio-samente". Bella anche la storia del fuo-co.

FRATE MIO FUOCO

Francesco era ammalato agli occhi e doveva essere sottoposto a un inter-vento


dolorosìssìmo: con un ferro ro-vente doveva essere cauterizzato dall'orecchio al
sopracciglio. Il Padre, rac-conta il Celano, per confortare il corpo già scosso dal
terrore, così parla al fuo-co: "Frate mio fuoco, di bellezza invi-diabile fra tutte le
creature, l'Altissimo ti ha creato vigoroso, bello e utile. Sii propizio a me in
quest'ora, sii cortese!, perché da gran tempo ti ho amato nel Signore. Prego il
Signore grande che ti ha creato di temperare ora il tuo ca-lore in modo che io
possa sopportare, se mi bruci con dolcezza".

Risultato: il santo non patì alcun dolore (Vita Seconda, CXXV).

Leggendo il meraviglioso Cantico della creature o di Frate Sole, sarem-mo


portati a supporre che esso sia scaturito in un mattino luminoso, quan-do la
bellezza della natura umbra, gli riempiva gli occhi e tutto il suo essere,
inebriandolo di dolcezza.
La realtà fu ben differente. Francesco era ormai verso la con-clusione della sua
vita e le sue mem-bra portavano i segni del dolore e del-la passione. Era quasi
cieco e fratello sole non splendeva più per lui; non riu-sciva a sopportare nè voci
né rumori, non si reggeva in piedi.

Chiara gli aveva fatto costruire un capanno nell'orto di san Damiano; li dopo
cinquanta giorni senza poter ri-posare per lo straziante dolore agli oc-chi, passò
una notte particolarmente difficile, tormentato sia nel corpo che nello spirito.
Pareva che tutte le crea-ture di Dio si fossero messe d'accordo per martoriarlo.

AI mattino chiamò i suoi frati e, co-me in un'estasi d'amore e di gioia, in-segnò


loro a cantare: Altissimo, onni-potente, bon Signore ...Laudato sie, mi Signore,
cum tucte le tue creature...

I tre compagni, che sono i testimo-ni diretti dell'episodio, aggiungono che da


allora in poi, quando il male lo ag-grediva con maggiore intensità, si fa-ceva
cantare il Cantico di Frate Sole con melodia da lui stesso composta "per poter
dimenticare l'acerbità dei do-lori e dei mali, rivolgendo la mente al-la lode di
Dio. E così fece fino al gior-no della morte" (Leggenda Perugina, 43).

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