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Quando ti metterai in viaggio per Itaca

devi augurarti che la strada sia lunga,

fertile in avventure e in esperienze.

I Lestrigoni e i Ciclopi

o la furia di Nettuno non temere,

non sarà questo il genere di incontri

se il pensiero resta alto e un sentimento

fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,

né nell’irato Poseidone incapperai

se non li porti dentro

se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.

Che i mattini d’estate siano tanti

quando nei porti – finalmente e con che gioia –

toccherai terra tu per la prima volta:

negli empori fenici indugia e acquista

madreperle coralli ebano e ambre

tutta merce fina, anche profumi

penetranti d’ogni sorta;

più profumi inebrianti che puoi,

va in molte città egizie

impara una quantità di cose dai dotti

Sempre devi avere in mente Itaca –

raggiungerla sia il pensiero costante.


Soprattutto, non affrettare il viaggio;

fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio

metta piede sull’isola, tu, ricco

dei tesori accumulati per strada

senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,

senza di lei mai ti saresti messo

in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.

Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso

già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Costantino Kavafis
IL SEME E IL PANE

Dal Vangelo di Giovanni (12,23-28.30-33)

In quel tempo Gesù disse: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità
io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto.

ALL’INIZIO IL SEME

L’Eucaristia comincia da lontano: dal chicco piantato con fiducia; dal chicco che accetta di
scomparire sottoterra e marcire. È il simbolo della vita di Gesù̀ , ma anche di ogni persona che
si realizza nel dono di sé.

«Or come si riuniva una gran folla e la gente di ogni città accorreva a lui, egli disse in parabola:
«Il seminatore uscì a seminare la sua semenza; e, mentre seminava, una parte del seme cadde
lungo la strada: fu calpestato e gli uccelli del cielo lo mangiarono. Un'altra cadde sulla roccia:
appena fu germogliato seccò , perché non aveva umidità . Un'altra cadde in mezzo alle spine: le
spine, crescendo insieme con esso, lo soffocarono. Un'altra parte cadde in un buon terreno:
quando fu germogliato, produsse il cento per uno». Dicendo queste cose, esclamava: «Chi ha
orecchi per udire oda!»

IL CHICCO DI GRANO

Il Signore sorprende sempre: valorizza ciò che è semplice e povero, feconda il mondo con tanti
piccoli germi di vita che racchiudono possibilità insperate.

Piccola è la goccia di rugiada

e rinfresca le foglie assetate.

Piccolo è il chicco di grano

e riempie le tavole di pane.

Piccolo è l’acino d’uva

e riempie di vino i bicchieri.

Piccola è la pietra preziosa

e adorna la corona del re.

Piccolo è l’uomo alla nascita

e nulla è più grande di lui.


Piccola cosa è un desiderio

e può cambiare la vita.

Piccola cosa è un’idea

e può commuovere il mondo.

Piccola cosa è un bastone

e sostiene il peso dell’anziano.

Piccola cosa è il sorriso

e riempie di felicità chi è triste.

Piccola cosa è un bicchiere d’acqua fresca

e Dio non lo lascerà senza ricompensa.

(JORGE GUILLEN)

Semina, semina l’importante è seminare: poco, molto, tutto il grano della speranza.Semina il
tuo sorriso, perché tutto splenda intorno a te. Semina le tue energie, la tua speranza per
combattere e vincere la battaglia quando sembra perduta. Semina il tuo coraggio per
risollevare quello degli altri. Semina il tuo entusiasmo per infiammare il tuo prossimo. Semina
i tuoi slanci generosi, i tuoi desideri, la tua fiducia, la tua vita. Semina tutto ciò che c’è di bello
in te, le piccole cose, quelle che sembrano non essere importanti. Semina, semina e abbi
fiducia, ogni chicco arricchirà un piccolo angolo della terra.
II PARTE

Io, un Chicco di Grano.

“Perché́ la personalità̀ di un uomo riveli qualità̀ veramente eccezionali, bisogna avere la


fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni.

Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l'idea che la dirige è di una generosità̀ senza pari, se
con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più̀ ha lasciato sul
mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d'errore, di fronte a una personalità̀
indimenticabile.”

Una quarantina circa di anni fa, stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente
sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza.

Si trattava, quando intrapresi la mia lunga passeggiata in quel deserto, di lande nude e
monotone, tra i mille due e i milletrecento metri di altitudine. L'unica vegetazione che vi
cresceva era la lavanda selvatica.

Attraversavo la regione per la sua massima larghezza e, dopo tre giorni di marcia, mi trova- vo
in mezzo a una desolazione senza pari. Mi accampai di fianco allo scheletro di un villaggio
abbandonato. Non avevo più̀ acqua dal giorno prima e avevo necessità di trovarne.
Quell'agglomerato di case, benché́ in rovina, simile a un vecchio alveare, mi fece pensare che
dovevano esserci stati, una volta, una fonte o un pozzo.

C’era difatti una fonte, ma secca. Le cinque o sei case, senza tetto, corrose dal vento e dalla
pioggia, e la piccola cappella col campanile crollato erano disposte come le case e le cappelle
dei villaggi abitati, ma la vita era scomparsa.

Era una bella giornata di giugno, molto asso- lata ma, su quelle terre senza riparo e alte nel
cielo, il vento soffiava con brutalità̀ insopportabile. I suoi ruggiti nelle carcasse delle case
erano quelli d'una belva molestata durante il pasto.

Dovetti riprendere la marcia. Cinque ore più̀ tardi, non avevo ancora trovato acqua e nulla mi
dava speranza di trovarne. Dappertutto la stessa aridità̀ , le stesse erbacce legnose. Mi parve di
scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi. La presi per il tronco d'un albero
solitario. A ogni modo mi avvicinai. Era un pastore. Una trentina di pecore sdraiate sulla terra
cocente si riposavano accanto a lui.

Mi fece bere dalla sua borraccia e, poco più̀ tardi, mi portò nel suo ovile, in una ondulazione
del pianoro. Tirava su l'acqua, ottima, da un foro naturale, molto profondo, al di sopra del
quale aveva installato un rudimentale verricello.

L'uomo parlava poco, com'è nella natura dei solitari, ma lo si sentiva sicuro di sé e confidente
in quella sicurezza. Era una presenza insolita in quella regione spogliata di tutto. Non abitava
in una capanna ma in una vera casa di pietra, ed era evidente come il suo lavoro personale
avesse rappezzato la rovina che aveva trovato al suo arrivo. Il tetto era solido e stagno. Il
vento che lo batteva faceva sulle tegole il rumore del mare sulla spiaggia.
La casa era in ordine, i piatti lavati, il pavimento di legno spazzato, il fucile ingrassato; la
minestra bolliva sul fuoco. Notai anche che l'uomo era rasato di fresco, che tutti i suoi bottoni
erano solidamente cuciti, che i suoi vestiti erano rammendati con la cura minuziosa che rende
i rammendi invisibili. Divise con me la minestra e, quando gli offrii la borsa del tabacco, mi
rispose che non fumava. Il suo cane, silenzioso come lui, era affettuoso senza bassezza.

Il pastore che non fumava prese un sacco e rovesciò sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise
a esaminarle l'una dopo l'altra con grande attenzione, separando le buone dalle guaste. Io
fumavo la pipa. Gli proposi di aiutarlo. Mi rispose che era affar suo. In effetti: vista la cura che
metteva in quel lavoro, non insistetti. Fu tutta la nostra conversazione.

Quando ebbe messo dalla parte delle buone un mucchio abbastanza grosso di ghiande, le
divise in mucchietti da dieci. Così facendo, eliminò ancora i frutti piccoli o quelli leggermente
screpolati, poiché́ li esaminava molto da vicino. Quando infine ebbe davanti a sé cento ghiande
perfette, si fermò e andammo a dormire.

Gli domandai l'indomani il permesso di riposarmi per l'intera giornata da lui. Lo trovò del
tutto naturale o, più̀ esattamente, mi diede l'impressione che nulla potesse disturbarlo. Quel
riposo non mi era affatto necessario, ma ero intrigato e ne volevo sapere di più̀ . Il pastore fece
uscire il suo gregge e lo portò al pascolo. Prima di uscire, bagnò in un secchio d'acqua il sacco
in cui aveva messo le ghiande meticolosamente scelte e contate.

Notai che in guisa di bastone portava un'asta di ferro della grossezza di un pollice e lunga un
metro e mezzo. Feci mostra. di voler fare una passeggiata di riposo e seguii una strada
parallela alla sua. Il pascolo delle bestie era in un avvallamento. Lasciò il piccolo gregge in
guardia al cane e salì verso di me. Temetti che venisse per rimproverarmi della mia
indiscrezione ma niente affatto, quella era la strada che doveva fare e m'invitò ad
accompagnarlo se non avevo di meglio. Andava a duecento metri da lì, più̀ a monte. Arrivato
dove desiderava, cominciò a piantare la sua asta di ferro in terra. Faceva così un buco nel
quale depositava una ghianda, dopo di che tura- va di nuovo il buco. Piantava querce. Gli
domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose di no. Sapeva di chi era?

Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse proprietà̀ di gente che non se
ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari. Piantò così le cento ghiande con
estrema cura.

Dopo il pranzo di mezzogiorno, ricominciò a scegliere le ghiande. Misi, credo, sufficiente


insistenza nelle mie domande, perché́ mi rispose. Da tre anni piantava alberi in quella
solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei
ventimila, contava di perderne ancora la metà , a causa dei roditori o di tutto quel che c'è di
imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero
cresciute in quel posto dove prima non c'era nulla.

Fu in quel momento che mi interessai dell'età̀ di quell'uomo. Aveva evidentemente più̀ di


cinquant'anni. Cinquantacinque, mi disse lui. Si chiamava Elzéard Bouffier. Aveva posseduto
una fattoria in pianura. Aveva vissuto la sua vita.
Aveva perso il figlio unico, poi la moglie. S'era ritirato nella solitudine dove trovava piacere a
vivere lentamente, con le pecore e il cane. Aveva pensato che quel paese sarebbe morto per
mancanza d'alberi. Aggiunse che, non avendo altre occupazioni più̀ importanti, s'era risolto a
rimediare a quello stato di cose. L’anno seguente, ci fu la guerra del ' 14, che mi impegnò per
cinque anni. Un soldato di fanteria non poteva pensare agli alberi. A dir la verità̀ , la cosa non
mi era nemmeno rimasta impressa; l'avevo considerata come un passatempo, una col- lezione
di francobolli, e dimenticata.

Finita la guerra, mi trovai con un'indennità̀ di congedo minuscola ma con il grande desiderio
di respirare un poco d'aria pura. Senza idee preconcette, quindi, tranne quella, ripresi la
strada di quelle contrade deserte.

Il paese non era cambiato. Tuttavia, oltre il villaggio abbandonato, scorsi in lontananza una
specie di nebbia grigia che ricopriva le cime come un tappeto. Dalla vigilia, m'ero rimesso a
pensare a quel pastore che piantava gli alberi. Diecimila querce mi dicevo, occupano davvero
un grande spazio. Avevo visto morire troppa gente in cinque anni per non immaginarmi
facilmente anche la morte di Elzéard Bouffier, tanto più che, quando si ha vent'anni, si
considerano le persone di cinquanta come dei vecchi a cui resta soltanto da morire. Non era
morto. Era anzi in ottima forma. Le querce del 1910 avevano adesso dieci anni ed erano più
alte di me e di lui. Lo spettacolo era impressionante. Ero letteralmente ammutolito e, poiché
lui non parlava, passammo l'intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua fo- resta.
Misurava, in tre tronconi, undici chilometri nella sua lunghezza massima. Se si teneva a mente
che era tutto scaturito dalle mani e dall'anima di quell'uomo, senza mezzi tecnici, si
comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre
alla distruzione. Le querce erano fitte e avevano passato l'età̀ in cui potevano essere alla
mercé dei roditori; quanto ai disegni della Provvidenza stessa per distruggere l'opera creata,
avrebbe dovuto ormai ricorrere ai cicloni. Bouffier mi mostrò dei mirabili boschetti di betulle
che datavano a cinque anni prima, cioè̀ al 1915, l'epoca in cui io combattevo a Verdun. Le
aveva piantate in tutti i terreni dove sospettava, a ragione, che ci fosse umidità quasi a fior di
terra. Erano tenere come delle adolescenti e molto decise.

Il processo aveva l'aria, d'altra parte, di funzionare a catena. Lui non se ne curava; perseguiva
ostinatamente il proprio compito, molto semplice. Ma, ridiscendendo al villaggio, vidi scorrere
dell'acqua in ruscelli che, a memoria d' uomo, erano sempre stati secchi. Era la più
straordinaria forma di reazione che abbia mai avuto modo di vedere. Quei ruscelli avevano già
portato dell'acqua, in tempi molto antichi.

A partire dal 1920, non ho mai lasciato passare più̀ d'un anno senza andare a trovare Elzéard
Bouffier. Non l'ho mai visto cedere né dubitare. Eppure, Dio solo sa di averlo messo alla prova!
Non ho fatto il conto delle sue delusioni. È facile immaginarsi tuttavia che, per una simile
riuscita, sia stato necessario vincere le avversità̀ ; che, per assicurare la vittoria di tanta
passione, sia stato necessario lottare contro lo sconforto. Nel 1933, ricevette la visita di una
guardia forestale sbalordita. Il funzionario gli intimò l'ordine di non accendere fuochi
all'aperto, per non mettere in pericolo la crescita di quella foresta naturale Era la prima volta,
gli spiegò quell'uomo ingenuo, che si vedeva una foresta spuntare da sola.

Nel 1935, una vera e propria delegazione governativa venne a esaminare la foresta naturale.
Un capitano forestale mio amico faceva parte della delegazione. Gli spiegai il mistero. Un
giorno della settimana seguente, andammo insieme a cercare Elzéard Bouffier. Lo trovammo
in pieno lavoro, a venti chilometri da dove aveva avuto luogo l'ispezione.

Quel capitano forestale non era mio amico per nulla. Conosceva il valore delle cose. Seppe
restare in silenzio. Offrii le uova che avevo portato in regalo. Dividemmo il nostro spuntino in
tre e restammo qualche ora nella muta contemplazione del paesaggio.

La costa che avevamo percorso era coperta d'alberi che andavano da sei a otto metri di
altezza. Mi ricordavo l'aspetto di quelle terre nel

1913, il deserto... Il lavoro calmo e regolare, l'aria viva d'altura, la frugalità̀ e soprattutto la
serenità̀ dell'anima avevano conferito a quel vecchio una salute quasi solenne. Era un atleta di
Dio. Mi domandavo quanti altri ettari avrebbe coperto d'alberi. Prima di partire, il mio amico
azzardò soltanto qualche suggerimento a proposito di certe essenze alle quali il terreno
sembrava adattarsi. Non insistette. «Per la semplice ragione» mi spiegò poi, «che quel signore
ne sa più̀ di me». Dopo un'ora di cammino, dopo che l'idea aveva progredito in lui, aggiunse:
«Ne sa di più̀ di tutti. Ha trovato un bel modo di essere felice!»

granelli di senape: il seme più piccolo da cui nasce la pianta più folta.
LA MONETA
Lettera ai Romani 5:12-21 NR06

Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato
la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato… Poiché, fino
alla legge, il peccato era nel mondo, ma il peccato non è imputato quando non c’è legge. Eppure,
la morte regnò, da Adamo fino a Mosè, anche su quelli che non avevano peccato con una
trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Però, la
grazia non è come la trasgressione. Perché se per la trasgressione di uno solo molti sono morti, a
maggior ragione la grazia di Dio e il dono della grazia proveniente da un solo uomo, Gesù Cristo,
sono stati riversati abbondantemente su molti. Riguardo al dono non avviene quello che è
avvenuto nel caso dell’uno che ha peccato; perché dopo una sola trasgressione il giudizio è
diventato condanna, mentre il dono diventa giustificazione dopo molte trasgressioni. Infatti, se
per la trasgressione di uno solo la morte ha regnato a causa di quell’uno, tanto più quelli che
ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo di
quell’uno che è Gesù Cristo. Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a
tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa
a tutti gli uomini. Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi
peccatori, così anche per l’ubbidienza di uno solo i molti saranno costituiti giusti. La legge poi è
intervenuta a moltiplicare la trasgressione; ma dove il peccato è abbondato, la grazia è
sovrabbondata, affinché, come il peccato regnò mediante la morte, così pure la grazia regni
mediante la giustizia a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.

Adamo e Cristo: dal peccato (originale) alla libertà.

nell'odierna catechesi ci soffermeremo sulle relazioni tra Adamo e Cristo, delineate da san
Paolo nella nota pagina della Lettera ai Romani (5,12-21), nella quale egli consegna alla Chiesa
le linee essenziali della dottrina sul peccato originale. In verità , già nella prima Lettera ai
Corinzi, trattando della fede nella risurrezione, Paolo aveva introdotto il confronto tra il
progenitore e Cristo: “Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la
vita... Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito
datore di vita” (1 Cor  15,22-45). Con Rm  5,12-21 il confronto tra Cristo e Adamo si fa più
articolato e illuminante: Paolo ripercorre la storia della salvezza da Adamo alla Legge e da
questa a Cristo. Al centro della scena non si trova tanto Adamo con le conseguenze del peccato
sull'umanità , quanto Gesù Cristo e la grazia che, mediante Lui, è stata riversata in abbondanza
sull'umanità . La ripetizione del “molto più ” riguardante Cristo sottolinea come il dono
ricevuto in Lui sorpassi, di gran lunga, il peccato di Adamo e le conseguenze prodotte
sull'umanità , così che Paolo può giungere alla conclusione: “Ma dove abbondò il peccato,
sovrabbondò la grazia” (Rm  5,20). Pertanto, il confronto che Paolo traccia tra Adamo e Cristo
mette in luce l’inferiorità del primo uomo rispetto alla prevalenza del secondo.

D’altro canto, è proprio per mettere in evidenza l'incommensurabile dono della grazia, in
Cristo, che Paolo accenna al peccato di Adamo: si direbbe che se non fosse stato per
dimostrare la centralità della grazia, egli non si sarebbe attardato a trattare del peccato che “a
causa di un solo uomo è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte” (Rm  5,12). Per questo
se, nella fede della Chiesa, è maturata la consapevolezza del dogma del peccato originale è
perché esso è connesso inscindibilmente con l’altro dogma, quello della salvezza e della
libertà in Cristo. La conseguenza di ciò è che non dovremmo mai trattare del peccato di
Adamo e dell’umanità in modo distaccato dal contesto salvifico, senza comprenderli cioè
nell’orizzonte della giustificazione in Cristo.

Ma come uomini di oggi dobbiamo domandarci: che cosa è questo peccato originale? Che cosa
insegna san Paolo, che cosa insegna la Chiesa? È ancora oggi sostenibile questa dottrina? Molti
pensano che, alla luce della storia dell'evoluzione, non ci sarebbe più posto per la dottrina di
un primo peccato, che poi si diffonderebbe in tutta la storia dell'umanità . E, di conseguenza,
anche la questione della Redenzione e del Redentore perderebbe il suo fondamento. Dunque,
esiste il peccato originale o no? Per poter rispondere dobbiamo distinguere due aspetti della
dottrina sul peccato originale. Esiste un aspetto empirico, cioè una realtà concreta, visibile,
direi tangibile per tutti. E un aspetto misterico, riguardante il fondamento ontologico di
questo fatto. Il dato empirico è che esiste una contraddizione nel nostro essere. Da una parte
ogni uomo sa che deve fare il bene e intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello stesso tempo,
sente anche l'altro impulso di fare il contrario, di seguire la strada dell'egoismo, della violenza,
di fare solo quanto gli piace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il
prossimo. San Paolo nella sua Lettera ai Romani ha espresso questa contraddizione nel nostro
essere così: «C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti, io non
compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (7, 18-19). Questa contraddizione
interiore del nostro essere non è una teoria. Ognuno di noi la prova ogni giorno. E soprattutto
vediamo sempre intorno a noi la prevalenza di questa seconda volontà . Basta pensare alle
notizie quotidiane su ingiustizie, violenza, menzogna, lussuria. Ogni giorno lo vediamo: è un
fatto.

Come conseguenza di questo potere del male nelle nostre anime, si è sviluppato nella storia
un fiume sporco, che avvelena la geografia della storia umana. Il grande pensatore francese
Blaise Pascal ha parlato di una «seconda natura», che si sovrappone alla nostra natura
originaria, buona. Questa “seconda natura” fa apparire il male come normale per l'uomo. Così
anche l'espressione solita: «questo è umano» ha un duplice significato. «Questo è umano» può
voler dire: quest'uomo è buono, realmente agisce come dovrebbe agire un uomo. Ma «questo
è umano» può anche voler dire la falsità : il male è normale, è umano. Il male sembra essere
divenuto una seconda natura. Questa contraddizione dell'essere umano, della nostra storia
deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio di redenzione. E, in realtà , il desiderio che il
mondo sia cambiato e la promessa che sarà creato un mondo di giustizia, di pace, di bene, è
presente dappertutto: in politica, ad esempio, tutti parlano di questa necessità di cambiare il
mondo, di creare un mondo più giusto. E proprio questo è espressione del desiderio che ci sia
una liberazione dalla contraddizione che sperimentiamo in noi stessi.

Quindi il fatto del potere del male nel cuore umano e nella storia umana è innegabile. La
questione è: come si spiega questo male? Nella storia del pensiero, prescindendo dalla fede
cristiana, esiste un modello principale di spiegazione, con diverse variazioni. Questo modello
dice: l'essere stesso è contraddittorio, porta in sé sia il bene sia il male. Nell'antichità questa
idea implicava l'opinione che esistessero due principi ugualmente originari: un principio
buono e un principio cattivo. Tale dualismo sarebbe insuperabile; i due principi stanno sullo
stesso livello, perciò ci sarà sempre, fin dall'origine dell'essere, questa contraddizione. La
contraddizione del nostro essere, quindi, rifletterebbe solo la contrarietà dei due principi
divini, per così dire. Nella versione evoluzionistica, atea, del mondo ritorna in modo nuovo la
stessa visione. Anche se, in tale concezione, la visione dell'essere è monistica, si suppone che
l'essere come tale dall'inizio porti in se il male e il bene. L'essere stesso non è semplicemente
buono, ma aperto al bene e al male. Il male è ugualmente originario come il bene. E la storia
umana svilupperebbe soltanto il modello già presente in tutta l'evoluzione precedente. Ciò che
i cristiani chiamano peccato originale sarebbe in realtà solo il carattere misto dell'essere, una
mescolanza di bene e di male che, secondo questa teoria, apparterrebbe alla stessa stoffa
dell'essere. È una visione in fondo disperata: se è così, il male è invincibile. Alla fine, conta solo
il proprio interesse. E ogni progresso sarebbe necessariamente da pagare con un fiume di
male e chi volesse servire al progresso dovrebbe accettare di pagare questo prezzo. La
politica, in fondo, è impostata proprio su queste premesse: e ne vediamo gli effetti. Questo
pensiero moderno può , alla fine, solo creare tristezza e cinismo.

Preghiera di Fede e Luce


Signore, Tu sei venuto sulla nostra terra,
per rivelarci tuo Padre, nostro Padre,
e per insegnarci ad amarci gli uni gli altri.
Inviaci lo Spirito Santo che ci hai promesso.
Egli faccia di noi,
in questo mondo di guerra e di divisione,
degli strumenti di pace e d’unità .
Gesù , Tu ci hai chiamati a seguirti
in una comunità Fede e Luce.
Noi vogliamo dirti di «sì».
Vogliamo vivere un’alleanza d’amore
in questa famiglia che Tu ci hai donata,
per condividere le nostre sofferenze e le nostre difficoltà ,
le nostre gioie e la nostra speranza.
Insegnaci ad accogliere le nostre ferite, la nostra debolezza
perché in esse si manifesti la tua potenza.
Insegnaci a scoprire il tuo volto e la tua presenza
in tutti i nostri fratelli e sorelle, specialmente i più deboli.
Insegnaci a seguirti sulle strade del Vangelo.
Gesù , vieni ad abitare in noi e nelle nostre comunità
come Tu hai inizialmente abitato in Maria.
Ella è stata la prima ad accoglierti.
Aiutaci ad essere sempre in piedi, con lei,
ai piedi della croce, vicini ai crocifissi del nostro mondo.
Aiutaci a vivere della tua Resurrezione.
IL SALE
Dal vangelo secondo Matteo
“Voi siete il sale della terra, ma se il sale perde il suo sapore, come potrà recuperarlo? Non
serve più a nulla se non a essere gettato fuori perché sia calpestato dalla gente. “Voi siete la
luce del mondo. Una città non può essere nascosta quando si trova su un monte.  Non si
accende una lampada per metterla sotto un recipiente, ma su un piedistallo, e così fa luce su
tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini. affinché
vedano le vostre opere eccellenti e diano gloria al Padre vostro che è nei cieli.”

"Se l'è andata a cercare, non gli sono bastate le gambe?". Che ne pensate di questi commenti su
Alex Zanardi? C'è una base di verità o sono commenti infondati?
La base di verità c'è ed è evidente. Materialmente, è innegabile che se l'è andata a cercare. Ma
non credo che lui se ne lamenti, anche adesso. Zanardi non è mai stato il tipo da stare a casa a
letto.
Tante persone si sforzano di vivere come se dovessero — o potessero — vivere per sempre.
Altre ancora vogliono arrivare integre alla bara perché ci tengono a conservarsi un bel
cadavere integro in previsione del Giudizio Universale.
Invece, ci sono persone per cui la vita merita di essere vissuta solo se fai cose, incluso correre
con una hand-bike e rischiare di essere travolto da un tir.
Zanardi ha superato i cinquant'anni. È stato campione di Formula Uno. Ha avuto un incidente
che gli ha completamente fottuto non soltanto una vita normale, ma una vita da superstar —
con le prerogative di una vita da superstar!
Di fronte alla perdita, non ha mai avuto nessuna intenzione di passare il resto della vita
immobile, da paralitico. Si è riproposto anzi al pubblico come, credo, una delle più grandi
icone disabili della storia italiana.
Quando ha perso la sua mobilità , ha spinto al massimo la mobilità che gli restava, fino ad avere
un altro incidente. Se l'è giocata così. Meglio un rimorso che un rimpianto. È carattere. Che
problema c'è?
Se dovesse riuscire a rimettersi in condizioni di salute sufficienti a muoversi, quello là è uno
che morirà in movimento! Tanto per ribadire il punto.
Quando morirà , probabilmente, sarà contento così. Non lo conosco, ma la sua immagine
pubblica non è quella di un timido. Ha fatto la sua vita, meglio di tanti altri.
A forza di vivere si muore, in ogni caso! Lo sappiamo tutti, ma in pochi riescono a portare
questo fatto spiacevole della vita alle estreme conseguenze.
Vincenzo Chiaravalle.
LA FORCOLA
Una vecchia leggenda Cherokee racconta che un giorno il capo di un grande villaggio decise
che era arrivato il momento di insegnare al nipote preferito cosa fosse la vita. Lo portò nella
foresta e lo fece sedere ai piedi di un grande albero e gli spiegò :
- Figlio mio, nella mente e nel cuore di ogni essere umano si combatte una lotta incessante.
Anche se io sono vecchio capo, guida della nostra gente, che mi considera saggio, quella lotta
avviene anche dentro di me. Se non ne conosci l'esistenza, ti spaventerai e non saprai mai
quale direzione prendere. Magari, qualche volta nella vita vincerai, ma poi, senza capire
perché, all'improvviso ti ritroverai perso, confuso e in preda alla paura, e rischierai di perdere
tutto quello che hai faticato tanto a conquistare.
Crederai di fare le scelte giuste per poi scoprire che erano sbagliate. Se non capisci le forze del
bene e del male, la vita individuale e quella collettiva, il vero sé e il falso sé, vivrai sempre in
grande tumulto.
È come se ci fossero due grandi lupi che vivono dentro di ognuno: uno bianco, l'altro nero.
Il lupo bianco è buono, gentile e innocuo. Vive in armonia con tutto ciò che lo circonda e non
arreca offesa quando non lo si offende. Il lupo buono, ben ancorato e forte nella comprensione
di chi è e di cosa è capace, combatte solo quando è necessario, e quando deve proteggere sé
stesso e la sua famiglia. Anche in questo caso lo fa nel modo giusto. Sta molto attento a tutti gli
altri lupi del suo branco e non devia mai dalla propria natura.
Ma c'è anche un lupo nero che vive in ognuno, ed è molto diverso. E rumoroso, arrabbiato,
scontento, geloso e pauroso. Le più piccole cose gli provocano eccessi di rabbia. Litiga con
chiunque, continuamente, senza ragione. Non riesce a pensare con chiarezza poiché avidità ,
rabbia e odio in lui sono troppo grandi. Ma la sua è rabbia impotente, figlio mio, poiché non
riesce a cambiare niente. Quel lupo cerca guai ovunque vada, e li trova facilmente. Non si fida
di nessuno, quindi non ha veri amici.
A volte è difficile vivere con questi due lupi dentro di sé, perché entrambi lottano
strenuamente per dominare l'anima.
Il ragazzo chiese ansiosamente:
- Quale dei due lupi vince, nonno?
Con voce ferma, il capo rispose:
- Tutti e due, figlio mio. Se scelgo di nutrire solo il lupo bianco, quello nero mi aspetta al varco
per approfittare di qualche momento di squilibrio, o in cui sono troppo impegnato e non
riesco ad avere il controllo di tutte le responsabilità . Il lupo nero allora attaccherà il lupo
bianco. Sarà sempre arrabbiato e in lotta per ottenere l'attenzione che pretende. Ma se gli
presto un po' di attenzione perché capisco la sua natura, se ne riconosco la potente forza e gli
faccio sapere che lo rispetto per il suo carattere, e gli chiederò aiuto se la nostra tribù si
trovasse mai in gravi problemi, lui sarà felice. Anche il lupo bianco sarà felice. Così entrambi
vincono. E tutti noi vinciamo.
Confuso, il ragazzo chiese:
- Non capisco, nonno, come possono vincere entrambi?
Il capo indiano continuò :
- Il lupo nero ha molte importanti qualità di cui posso aver bisogno in certe circostanze. E'
temerario, determinato e non cede mai. È intelligente, astuto e capace di pensieri e strategie
tortuose. Sono caratteristiche importanti in tempo di guerra. Ha sensi molto acuti e affinati
che soltanto chi guarda con gli occhi delle tenebre può valorizzare. Nel caso di un attacco, può
essere il nostro miglior alleato.
Il capo Cherokee tirò fuori due pezzi di carne dalla sacca e li gettò a terra: uno a sinistra e uno
a destra.
Li indicò , poi disse:
- Qui alla mia sinistra c'è il cibo per il lupo bianco, e alla mia destra il cibo per il lupo nero. Se
scelgo di nutrirli entrambi, non lotteranno mai per attirare la mia attenzione e potrò usare
ognuno dei due nel modo che mi è necessario. E, dal momento che non ci sarà guerra tra i due,
potrò ascoltare la voce della mia coscienza più profonda, scegliendo quale dei due potrà
aiutarmi meglio in ogni circostanza.
Se capisci che ci sono due grandi forze dentro di te e le consideri con uguale rispetto, saranno
entrambi vincenti e convivranno in pace. La pace, figlio mio, è la missione dei Cherokee, il fine
ultimo della vita. Un uomo che ottiene la pace interiore ha tutto. Un uomo che è lacerato dalla
guerra che si combatte dentro di lui è niente.

La scelta
Da grande suonerò la Pastorale
Ora sul piano resto curvo come un pastorale
Mio padre è d’umore un po’ grigio, mi vuole prodigio
Ma sono solo un bambino e c’è rimasto male
Padre lascia stare l’alcool, ti rovini
Sei severo quando faccio tirocini
Io sono romantico ma pure tu
Mi vedi solo come un mazzo di fiorini
Sono Ludovico, culto, mito
Donne mi scansano come avessi avuto il tifo
Troppi affanni, a trent’anni ho perduto udito
Tu mi parli e mi pari un fottuto mimo
Se la mettiamo su questo piano la mia vita ha senso se la mettiamo su questo piano
Quindi prendo lo sgabellino e lascio la corda
Canto l’”Inno alla gioia”
Perché vedo l’abisso ma su questo, plano
Scrivo mille lettere, faccio rumore
Lotto col silenzio ma ce la farò
Tengo la mia musica, lascio l’amore
Io sarò immortale, la mia amata no
E sono contento della scelta che ho fatto
Nemmeno un rimorso, nemmeno un rimpianto
Sì, sono contento, che bella scoperta
Non serve nient’altro che fare una scelta
Patetica, eroica, patetica, eroica, patetica, eroica
Questa è la mia vita non dimenticarlo
Patetica, eroica, patetica, eroica, patetica, eroica
Questa è la mia vita non dimenticarlo
Questa è la mia vita non dimenticarlo
Mi chiamo Marco, sento il gelo dei riflettori
Vorrei rimanerne fuori ma il mondo vuole che vada in tour
Entro in classifica perché la fama è cieca
Così cieca che in fondo non mi riguarda più
È un buon lavoro, incasso da molto
Vale come un disco d’oro in cassa da morto
Voglio fissare mio figlio, il tempo passa e m’accorgo
Che sto fissando un foglio tipo carta da forno
Ehi, sono Marco, new romantico
Sotto palco scompaio, puff come borotalco
Che guaio, bruciano il mio contratto
Ché il sound è cupo, rarefatto
Ho preparato un ritiro veloce
La mia famiglia è più importante di un giro di note
E questi parlano, parlano mentre io
Sto ricucendo la vita con un filo di voce
E non lascio lettere, niente rumore
Amo il mio silenzio e non comprendi quanto
Grazie per gli applausi ma ho scelto l’amore
Questa è la mia vita non dimenticarlo
E sono contento della scelta che ho fatto
Nemmeno un rimorso, nemmeno un rimpianto
Sì, sono contento, che bella scoperta
Non serve nient’altro che fare una scelta
Patetica, eroica, patetica, eroica, patetica, eroica
Questa è la mia vita non dimenticarlo
Patetica, eroica, patetica, eroica, patetica, eroica
Questa è la mia vita non dimenticarlo
Questa è la mia vita non dimenticarlo
O continuare gli accordi o game over
Guardare il mondo da sobri o in hangover
Mi dico giocati il jolly, per dove? O Mark o Bee
Casa e famiglia o canzoni e le prove
O con i figli o tra i corni e le viole
Mi dico giocati il jolly, per dove? O Mark o Bee

Il brano, "La scelta", racconta il dualismo vissuto da Caparezza, tra l'acufene che gli stava
impedendo di poter continuare a fare ciò che ama, al dubbio sull'abbandono della musica per
una crescita familiare: a raccontarlo nel singolo ci sono due figure imponenti, da una
parte Ludwig van Beethoven e dall'altra parte Mark Hollis dei Talk Talk. Due strofe in cui
Caparezza gioca e si mimetizza, prima nei panni del compositore tedesco, della sua forza nel
continuare a suonare anche dopo esser diventato sordo a 30 anni, poi nei panni del frontman
dei Talk Talk, che all'apice della sua carriera rinunciò a tutto, per dare priorità alla sua
famiglia. Il brano fotografa nel ritornello, lo stimolo avuto dallo stesso artista pugliese nel
procedere oltre questo impasse artistico, attraverso una presa di posizione, la scelta: "E sono
contento della scelta che ho fatto, nemmeno un rimorso, nemmeno un rimpianto. Sì, sono
contento, che bella scoperta, non serve nient’altro che fare una scelta".

Esiste un solo modo per venire fuori dall’impasse: fare una scelta, prendere una decisione.
Ho immaginato di trovarmi davanti ad un bivio, due sentieri che si diramano dal bosco,
ciascuno piantonato da un guardiano.
Il primo è Beethoven, un musicista che ha composto fino alla morte nonostante sia stato
continuamente bersaglio delle avversità , nonostante il destino gli abbia impedito di godere del
proprio talento rendendolo sordo a 30 anni.
Il secondo è Mark Hollis, leader dei Talk Talk, scomparso di recente, personaggio schivo,
introverso, che all’apice del successo ha deciso di abbandonare i riflettori per dedicarsi alla
famiglia. “Non posso andare in tour ed essere un buon padre allo stesso tempo” avrebbe detto
durante un’intervista. Io amo entrambi gli artisti, nella stessa maniera.
Non c’è nota né parola di questo nuovo brano che non rimandi alla vita dell’uno o dell’altro.
Se finora ora non ve ne ho parlato è perché ero curioso delle vostre reazioni e, come al solito,
mi avete sbalordito. Oggi mi sono imbattuto nell’analisi del testo su genius.com e devo dire
che, contrariamente alle mie previsioni, non c’è nulla che vi sia sfuggito.
Non mi resta dunque che rivelarvi due ultime curiosità di natura esclusivamente musicale.
1: E’ possibile suonare “Per Elisa” di Beethoven sulle strofe e “Such a shame” dei Talk Talk sui
ritornelli.
2: Il bridge della seconda strofa (quella dedicata a Mark Hollis) è ritmicamente ispirato
all’inizio di “I believe in you” dei Talk Talk.
Tentazione nel deserto (Matteo 4,1-11)
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver
digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli
disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta
scritto:
Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
5
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse:
«Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù ; sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra».
7
Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
8
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la
loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi
adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:
Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
11
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
LA LUCE
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «14 Avverrà come a un uomo che,
partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque
talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16 colui
che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche
quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un
solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo
molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui
che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: «Signore, mi hai consegnato
cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque». 21 «Bene, servo buono e fedele - gli disse il
suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo
padrone». 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, mi hai
consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». 23 «Bene, servo buono e fedele - gli
disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del
tuo padrone». 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse:
«Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai
sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sottoterra: ecco ciò che è
tuo». 26 Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho
seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e
così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a
chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non
ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà
pianto e stridore di denti»

Esiste anche il crepuscolo, subito dopo il tramonto e prima dell’alba, a cavallo tra giorno e
notte tra il bene e il male, quello stato in cui piuttosto che rischiare di fare del bene o del male
io mi rifugio nell’inazione, io non voglio rischiare di soffrire o di far soffrire gli altri, troppo
rischioso.
Come si legge nel fumetto il crepuscolo è un loop di una giornata che si ripete all’infinito così
hai la piena garanzia di non soffrire, ma anche la garanzia che non potrai mai fare del bene al
tuo prossimo o il problema che potresti stare male o soffrire.
Nella tradizione cristiana tutto questo ha un nome preciso, ignavia, e Dante nella sua divina
commedia colloca i peccatori nell’antinferno, luogo distinto dall’inferno.

Ma se una persona non soffre non ha più senso cantare e ridere, anche nei momenti più
difficili, non ci sono! Quei momenti di felicità spensierata che tante volte ci siamo ritrovati a
condividere, mancano in questo crepuscolo.
Nel crepuscolo tu sei disilluso ed è diffusa l’idea che le cose sono e rimarranno per sempre
così e non c’è verso di cambiarle perché cambiare, orrore, è pericolosissimo e c’è rischio di
andare a finire male! A che pro conoscere nuove persone, nuovi amici e fidanzati che
potenzialmente, potrebbero deluderti e sfruttarti. A che pro amare il prossimo se quello ti
insulta e ti vuole costantemente fregare. A che pro attivarsi per ripristinare l’ecosistema
pianeta terra, tanto verrà inquinato sempre di più . A che pro vaccinarsi, potrei soffrire per gli
effetti collaterali e addirittura morire. A che pro modificare il proprio lavoro, potresti non
trovare altro e rimanere disoccupato. A che pro impegnarsi per cambiare le cose potresti non
ottenere nulla e quindi soffrire inutilmente. A che pro preoccuparsi che metà della
popolazione muore di fame e i migranti muoiono nel mare. Perché mai dovrei sbattermi per
cercare di cambiare le cose?

Purtroppo, non vivremo in eterno e quindi non abbiamo tutto il tempo materiale per rendere
il mondo perfetto, ma solo un pochino migliore di come lo abbiamo trovato, quindi è
materialmente impossibile essere buoni al 100% ed essere pieni di luce che contagia gli altri.
Possiamo però testimoniare che ci prendiamo cura della strada sotto casa, che col mio studio
aumento le conoscenze a disposizione dell’umanità , che ci prendiamo cura dei senzatetto
prestando le nostre forze e il nostro tempo, l’idea stessa del servizio scout! Oppure più
semplicemente dispensando un sorriso sincero, non mendace, quando uno sconosciuto ne ha
bisogno o cercare di ricordarsi tutti i nomi delle persone che incontri così la prossima volta le
farai sentire importanti, utili.

Anche se non siamo una lampadina accesa al 100% riusciamo ad esserlo al 10% e con quel
10% illuminare gli altri che forse erano rimasti intrappolati nel crepuscolo o nel buio pesto.
Hai mai illuminato il cammino di qualcun altro?
Ape esploratrice
LA BIBBIA
Or avvenne, dopo la morte di Mosè, servo dell'Eterno, che l'Eterno parlò a Giosuè, figliuolo di
Nun, ministro di Mosè, e gli disse: ‘Mosè, mio servo è morto; or dunque lèvati, passa questo
Giordano, tu con tutto questo popolo, per entrare nel paese che io do ai figliuoli d'Israele. Ogni
luogo che la pianta del vostro piede calcherà, io ve lo do, come ho detto a Mosè, dal deserto, e dal
Libano che vedi là, sino al gran fiume, il fiume Eufrate, tutto il paese degli Hittei sino al mar
grande, verso occidente: quello sarà il vostro territorio. Nessuno ti potrà stare a fronte tutti i
giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò teco; io non ti lascerò e non ti
abbandonerò. Sii forte e fatti animo, perché tu metterai questo popolo in possesso del paese che
giurai ai loro padri di dare ad essi. Solo sii forte e fatti risolutamente animo, avendo cura di
mettere in pratica tutta la legge che Mosè, mio servo, t'ha data; non te ne sviare né a destra né a
sinistra, affinché tu prosperi dovunque andrai. Questo libro della legge non si diparta mai dalla
tua bocca, ma meditalo giorno e notte, avendo cura di mettere in pratica tutto ciò che v'è scritto;
poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai. Non te l'ho io comandato? Sii
forte e fatti animo; non ti spaventare e non ti sgomentare, perché l'Eterno, il tuo Dio, sarà teco
dovunque andrai’.
Giosuè 1-10

La Bibbia non è un racconto unico con un gruppo di personaggi che agiscono seguendo una
trama lineare. E’ una raccolta di decine di libri diversi, ognuno con il suo tema ed il suo stile
letterario. Il periodo in cui vissero le persone di cui la Bibbia riferisce il nome e le imprese era
diverso dal nostro; gli usi e la cultura che costituiscono lo sfondo degli avvenimenti
potrebbero sembrare totalmente estranei all’esperienza dei lettori moderni. in effetti il
mondo della Bibbia era una società pretecnologica: i viaggi erano lenti ed il lavoro faticoso;
l’ambiente era agricolo-pastorale. Le immagini che gli scrittori biblici usano per rappresentare
l’azione di Dio e i problemi scottanti della vita e della morte provengono direttamente dai
campi di grano e dai campi di battagli del Medio Oriente di molti secoli fa. Così alcuni sono
stati portati a ritenere che la Bibbia sia solo il racconto di un tempo passato, interessante, ma
senza alcun riferimento alla vita di oggigiorno. Ma non è così: le persone di cui la Bibbia
riferisce il nome e le imprese non sono in effetti molto diverse dalle persone del nostro tempo
e di qualsiasi altro tempo. Ne vogliamo dare un esempio, parlando brevemente di un fatto
capitato al famoso re Davide (un personaggio di circa 3000 anni fa). Quando era all’apice della
sua potenza, questo re si comportò come uno dei tanti deposti orientali suoi contemporanei,
macchiandosi di adulterio e di omicidio. L’episodio, arcinoto, è quello di Davide e Betsabea.

Betsabea era la moglie di un valoroso ufficiale di Davide, ma il re se ne invaghì e se la prese


per sé, mentre il marito era in guerra. Rimasta incinta la donna, per evitare uno scandalo,
Davide diede ordine che l’ufficiale venisse messo in un punto molto esposto agli attacchi del
nemico. Il piano perverso si compì a puntino e l’ufficiale rimase ucciso. Così Davide poté avere
quella donna tutta per sé. E a suo tempo nacque il bambino, senza che nessuno trovasse nulla
da ridire. Tutto sembrava accomodato, ma non fu così, perché quei peccati ebbero
conseguenze terribili per Davide… (dalla Bibbia, 2° libro di Samuele, cap. 11 e seg.)
La Bibbia dice lapidariamente che “quello che Davide aveva fatto dispiacque al Signore“.
Dunque, Dio aveva lasciato Davide libero di agire, aveva osservato e disapprovato, ed ora gli
manda il conto da pagare. Il messaggero del Signore è in questo caso un profeta, di nome
Natan, che affronta Davide raccontandogli una storia. Apparentemente sembra che sia la
storia di un altro: un uomo ricchissimo, a cui non manca nulla, ad un certo punto si
impadronisce dell’unico agnello di un poveretto. Davide si indigna nell’ascoltare le parole di
Natan ed esclama, su tutte le furie: “Giuro, quant’è vero Dio, che chi ha fatto questo merita la
morte!”. Ed il profeta allora, di rimando a lui: “Tu sei quell’uomo!”.

Così dunque parla la Bibbia, nel corso dei secoli ed anche oggi. Ci racconta la storia di uomini
vissuti millenni prima di noi, in condizioni tanto diverse; eppure, quelle storie parlano di noi
ed a noi. Da ogni pagina della Bibbia ci sentiamo arrivare addosso questa accusa: “Tu sei
quell’uomo!”.

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