Il colle ameno
1
di Alice Pivetti
Sono le sette di sera passate, il Sole cocente di questa settimana di luglio si prepara dolcemente a
lasciare il posto all’amica Luna. Sul colle tutto tace e regna un silenzio incantato. Le operose api
hanno vagato tutto il giorno alla ricerca di nettare e dopo essersi posate su diversi fiori, si preparano
a tornare al loro alveare. Intanto la lumaca, decide di uscire dal proprio guscio per provare a cercare
un nuovo riparo per il giorno avvenire, dirigendosi così verso il punto più fresco del colle, quello
sotto il grande salice piangente..in un attimo sente subito il profumo avvolgente dell’edera e del
terreno umido. Infine i tre passerotti, pongono fine alla loro danza nel cielo e si posano sul ramo
dell’imponente betulla, per poter passare una notte tranquilla. Nel frattempo il sole ha abbandonato
il cielo e alla luce arancione e calda, si sostituisce quella chiara e diafana della luna, accompagnata
da una leggera brezza. Sembra che il tempo nella natura si sia fermato, si percepisce solo lo
scricchiolio delle foglie causato dal passaggio del vecchio riccio.. che sembra tuttavia preannunciare
qualche nuovo movimento.. Eh sì, allo scoccare della mezzanotte ecco comparire le vere
protagoniste, eccole lì volteggiare nel buio, creando una scia scintillante ed esuberante..sono proprio
loro, le lucciole. Nel colle arrivano allora il saggio gufo, il timido ghiro e la misteriosa falena pronti
per far ripartire la vita, quella notturna, speciale e magica.
Festival
2
di Luisa Mc Sala
Avevo un segreto. Lo svelavo una volta l'anno; allora indossavo una tunichetta di seta cruda color
verde salvia, corta, senza maniche, senza tasche. Ai piedi sandaletti di gomma color lilla. Mi
incamminavo lungo il sentiero di ghiaia che da casa P.T. conduceva al mio luogo misterioso, oltre il
grande cedro deodora che non mi guardava mai perché sapeva tutto di me. Era un po' geloso, ma
solo per gioco. Malandrina giungevo al mio posticino. Il mio arrivo era la chiave che apriva il
gioco. Dalla mia mano serrata a pugno che si apriva come un tulipano, facevo scendere polvere di
zafferano, di curcuma e pepe rosa, da quell'istante le piantine intorno a me si rianimavano
vivacemente. "Ciao" intonava la menta, e in coro mi salutavano la ruta, la lavanda blu, la Melissa, il
timo, l'erba cipollina che si dimenava con i cappellini viola e le foglie di lampone ondeggiavano
rimproverandomi il ritardo. I lamponi si inturgidivano per l'impazienza. Sorridevo loro e
cominciavo scuotendo braccia, mani, dita. Ridevano. Le mie ombre cinesi facevano impazzire tutto
il giardino botanico. Raramente indovinavano le mie creazioni. La menta, la più perspicace
indovinava varie volte. Il muretto scrostato sul quale le proiettavo infondeva movimento. La
Melissa, per sfizio, chiedeva animali esotici e per l'eccitazione e per indurmi a starnutire , emanava
intensamente la sua fragranza . Il tempo lì trascorreva troppo rapido, è una volta scaduto, passavo
da ognuna di loro sfiorandole lievemente. "Alla prossima" . Sono certa che il Timo era triste, lui
adorava agitarsi per indovinare. Sapevamo tutti che il gioco era possibile proprio perché
incardinato...
3
Sono sempre lì
di Patrizia Morganti
Molti anni fa realizzammo un sogno: trasferirci dalla periferia di una grande città in campagna, nel
cuore della Toscana. Intorno alla nostra proprietà c’erano molti sentieri ed io ne preferivo
particolarmente uno, che percorrevo immergendomi nella natura,un giardino assolutamente
naturale. Un giorno, a metà del percorso udii provenire dalla cima del pino più alto, che si stagliava
dalla vegetazione di cespugli e ginestre, il canto melodioso di una voce che somigliava al suono di
un flauto ma che proveniva da una gola umana… mi ricordai delle parole di Castañeda ,che
descriveva in questo modo il parlare degli spiriti della natura e raccomandava di allontanarsi
velocemente senza girarsi. Così feci e, arrivata all’angolo del sentiero mi fermai e attesi che il suono
si dissolvesse, sfumandosi dolcemente dopo pochi minuti. Qualche anno dopo, il mio medico
condotto, che si appassionava di archeologia, ci disse che a pochi passi da noi c’erano i resti di un
tempietto dedicato a una divinità silvestre. Lo cercammo per molto tempo ma,non riuscendo a
trovarlo, lo invitai ad accompagnarmi sul luogo… poi mi diedi della stupida perché i resti del
piccolo santuario , una buca di coccio pesto quasi invisibile, si trovavano ai piedi del grande pino.
Gli uomini possono dimenticare, ma gli spiriti restano fedeli alla loro casa!
4
Il bosco di bru
di Bruna Roncoroni
Un vecchio sambuco abitava sulla riva di un laghetto vicino ad un bosco di castagni e roveri
secolari. Nessuno si avvicinava a lui o soleva riposare sotto i suoi rami perche' si riteneva abitato da
streghe o strani esseri che si divertivano a far dispetti.Come far sparire cappelli e grembiuli, cosi' di
colpo,con folate che li portavano lontano sull'acqua o nei campi.Quindi nessuno si avvicinava
tranne un piccolo musino biondo che amava i sambuchi.Fin dal loro primo incontro sapeva che non
erano esseri malvagi, quei piccoli folletti alati che lo abitavano, ma fate, e quei dispetti innocenti
erano solo stratagemmi per tener lontani i piu,'dalla loro casa. Amava i sambuchi la loro voce e il
loro profumo, amava soprattutto il Vecchio che sapeva raccontare storie.Bastava infilarsi la',sotto i
rami piu' bassi, rannicchiarsi sull'erba tenera e lui iniziava, con la sua voce a scatti e scricchiolii, a
raccontare.Raccontava del bosco e del lago prima, molto prima che gli uomini arrivassero a
coltivare tutt'intorno. Cantava del ghiro e il pipistrello, dei piccoli merli caduti dal nido. Dei doni
infiniti,le castagne,i mughetti, le ghirlande di agrifoglio.Parlava e parlava di notti innevate ,dello
spuntar di lune e stelle comete, del potere dei venti , della ricchezza della terra,dei misteri nascosti
in nuvole spumeggianti.Stava regalando l' infinito mondo e la magia, a lei,piccolo muso biondo,
sempre piu' persa, la' sotto, nella bellezza del creato. Ora che gli anni sono trascorsi, che il vecchio
nonno e' stato inghiottito dal lago, non ci sono piu' le fate a proteggere il bosco ma cattedrali di rovi,
ancora sento la magia e amo i sambuchi. Sento quella voce che racconta cio' che e' stato e che puo'
ancora tornare, si , mi basta chiudere gli occhi , ed entrare.
5
Giallo Respiro
di Giammarco Fida
Il giardino era lì immobile, sembrava che neanche al vento interessasse attraversare lo spettro dei
suoi alberi. Al centro del giardino c'era il vecchio Limone il leader di quel posto ormai dimenticato
da tutti. Per anni ogni mattina si era posto sempre la stessa domanda: " ma se fossi nato in un
giardino del nord le cose sarebbero andate diversamente oppure tutto sarebbe stato uguale e
immodificabile?" Non aveva mai accettato di aver subito un abbandono lui che aveva i limoni di un
giallo intenso da far invidia all'alba più bella. Era rimasto solo dopo l'ultimo incendio doloso. La
mano dell'uomo aveva ancora una volta usurpato la Natura. Sembrava un soldato a fine battaglia,
ferito, sanguinante ma vivo e ancora in piedi mentre intorno a lui c'erano i cadaveri dei suoi
compagni. Aveva avuto modo di guardare negli occhi il nemico e urlargli in faccia il proprio odio il
proprio dolore. Lui non era scappato non si era venduto come i proprietari del giardino. Era l'ultimo
baluardo di quell'avamposto, l'ultimo respiro che dava ossigeno al giardino. Al calar della sera
quando l'aria era più fresca e leniva le sue ferite Limone chiudeva gli occhi ma non dormiva,
riposava, i battiti del suo cuore tornavano regolari ma il suo corpo era pronto ad un'altra battaglia
dalla quale sapeva già che sarebbe tornato vincitore.
6
La quercia e il filo d’erba
di Martha Buga
Una maestosa Quercia sentì un giorno tra le sue radici qualcosa che quasi le dava fastidio; era un
minuscolo Filo d’erba e notò che la stava guardando. -Cosa vuoi microbo?- chiese arrogante. -Come
siete bella!- rispose umile il Filo d’erba- chissà cosa potete mai vedere da lassù… -Davvero lo vuoi
sapere?- disse la Quercia -Io da quassù posso vedere oltre tutti gli alberi del giardino, posso
scorgere il primo raggio di sole all’aurora e, al tramonto salutarne l’ultimo. Posso sfiorare le nuvole
nelle umide giornate autunnali, sentire la brezza passarmi tra le fronde, sfidare i venti più terribili e
resistere alle piogge più violente!- Parlava e sentiva nella sua imponenza, di poter dominare il cielo
in tutta la sua immensità. Poi abbassò lo sguardo, vide l’intensità degli occhi del Filo d’erba. Un
brivido percorse il suo tronco e fece fremere le sue foglie. Allora disse piano: -e tu?- -io?- rispose il
Filo d’erba - ma io…- E pensò alla sua esistenza, minuscola in un universo immenso e
irraggiungibile poi, subito dopo il pensiero si fece chiaro e la sua voce squillò cristallina: -Io posso
sentire il profumo della terra bruciata dal sole o bagnata dalla pioggia, quella stessa pioggia che mi
sferza con violenza facendomi cadere ma non mi spezza! Ogni mattina porto sulla mia testa piccole
gocce di rugiada come perle di una corona. Io ascolto il vivace via vai delle formiche laboriose,
cullo dolcemente le coccinelle nei tiepidi pomeriggi di primavera e mi attardo con le piccole farfalle
nelle calde sere d’estate…- Parlava e guardava intorno a sé scoprendosi immensamente fortunato,
poi alzò lo sguardo e vide che la Quercia lo fissava immobile. Rimasero entrambi immobili per un
attimo che racchiudeva tutta la profondità della loro esistenza. La Quercia e il Filo d’erba avevano
capito tutto. Si guardarono e si raccontarono la vita del giardino non si sa per quanto tempo ancora
sentendosi, nelle loro differenze inspiegabilmente e meravigliosamente uguali.
7
Oltre il blu
di Francesca Pradelli
Vivo vicina al mare, quando il sole si riflette sull’acqua le mie foglie cominciano a luccicare e i
miei fiori a dondolare cullati dalla brezza impercettibile. Tutto in me sa di mare, anche il colore dei
miei boccioli, blu, ricorda questa distesa infinita davanti a me, che guardo cambiare, evolversi,
arrabbiarsi con onde che lambiscono le mie radici e ritornare calma, pensierosa, appena increspata
in superficie. Mi domando a volte da dove arrivi il suo respiro, se comincia laggiù, lontano, dove
sono nata. Ci sono giorni in cui lo schiamazzo dei bambini che vengono a giocare sotto le mie
fronde e il brusio delle cicale che si raccontano chiassose il loro mondo, mi fanno dimenticare la
nostalgia che ho del posto in cui le mie giovani radici hanno abbracciato la terra per la prima volta.
Ho vissuto al di là del mare poco tempo, sufficiente, però, a farmi capire il significato della sua
mancanza. In questi giorni il calore arroventa questo giardino che dopo tutti questi anni chiamo
casa, solo al tramonto inizio a respirare e risvegliarmi, scrollo leggera i miei rami e i fiori, grati,
ballano una danza lenta. Ieri pomeriggio, era tardi ma la luce dorata accarezzava ancora il mio
tronco, ho visto una vela bianca passare, proprio sotto la costa. Il silenzio ovattava anche il brusio
della sua prua che fendeva il mare, la scena era così perfetta che per un momento ho desiderato con
tutta me stessa non avere queste radici così profonde che non riesco a smuovere, queste catene che,
seppur mi assicurano un rifugio, non mi permettono di scivolare via, tornare laggiù dall’altra parte
dell’orizzonte. Mi chiamo Jacaranda, ho un tronco possente e fiori eleganti, blu come il mare che si
riflette sulle mie foglie e al di là del quale un giorno sogno di tornare .
8
Mi si chiede un sacrificio
di Giovanna Mattino
Mi si chiede un sacrificio. Mi si chiede di dimenticare. Hai presente quel giardino? Hai presente il
vostro amore? Ebbene, non lo farò. Quello scrittore che amavate tanto, quel Calvino: dicevate che
scriveva per sottrazione, che sottraeva peso alle persone, ai corpi celesti, alle città. Ecco, ti dico
questo: vi ho sottratto. No, non dimenticato, proprio sottratto, come imparano i bambini a scuola. Di
voi, di noi resterà quel giardino. Era magnifico d'estate, con l'albero di limoni e il prugno. C'erano
delle piccole colonne appassionate di edera, e una panchina sottile di marmo e di muschio. Tutto
intorno la vostra casa, come dipendenza naturale del giardino. Era una casa estiva, abitata per un
paio di mesi l'anno. La vostra stanza spiava il mio grande tronco anellato, proprio accanto al
prugno. Ricordo che al vostro arrivo, quell'anno, il giardino vi accolse rigoglioso e impertinente,
dopo il lungo inverno. Io ero una palma adulta, ero diventata ingombrante, arrivavo al tetto. Lui
decise di tagliarmi, troppo alta, disse, impedisce l'apertura delle finestre. Tu mi trovasti così, tronca
e inebetita, il giorno che lui disse basta. Vi sedeste tra le colonne, sulla panchina sottile, lui ti prese
per mano e, con un leggero colpo di coda, ti disse che era lunga e lontana la sua strada. Ricordo che
tu lo guardasti negli occhi, alla ricerca di quella leggerezza che dicevi ti aveva fatto innamorare di
lui, e di Calvino. La leggerezza pensosa dei suoi passi si era trasformata nella frivolezza pesante e
opaca che prelude alla fine. C'entrava un'altra donna, ammise, a cui lui aveva parlato con le sue
parole - ormai frivole, aggiungesti tu. Ero io quella palma, dicesti, ti impedivo di aprire le tue
finestre, dicesti. Cara amica, so che non puoi sentire le mie parole, melense e démodé, come le
colonne del nostro giardino d'estate. Mentre lui ormai sarà stufo di parole e caffè. Ma so anche che
ricordi di quella volta che hai amato, che hai pianto, e non hai dimenticato.
9
Ricordi del fiume
di Marzia Possoni
La quercia Pina viveva vicino ad un fiume. Il fiume si trovava un po’ distante dalla sua casa, lei non
lo aveva mai visto ma lo sentiva ogni giorno borbottare. Alcuni uccellini che a volte andavano a
trovarla le avevano raccontato la storia di questo fiume. Il fiume si chiamava Oglio; era lungo e
tortuoso, aveva tante anse da sembrare un serpente. Ogni giorno percorreva tanti chilometri. Giulio,
il passerotto amico della quercia, aveva sentito dalla sua nonna che Oglio era nato in un posto
lontano lontano, dall’unione di due torrenti Narcarello e Frigidolfo, in un paesino che si trovava
vicino a Ponte di Legno. Oglio viaggiava tantissimo. Il suo viaggio iniziava in Valle Camonica
dove tanti amici andavano a salutarlo e gli portavano un po’ della loro acqua, diventavano così i
suoi amici affluenti. Dalla Valle Camonica, Oglio scendeva e andava a salutare il lago d’Iseo. Il suo
viaggio proseguiva lungo la pianura padana, salutava le province di Brescia, Bergamo, Cremona e
Mantova e dopo aver percorso tantissimi chilometri riusciva a raggiungere suo papà: il sig. fiume
Po. Pina avrebbe voluto conoscere Oglio, chissà quante storie avrebbe potuto raccontarle ma
purtroppo abitava troppo lontano da lui. Pina aveva cento anni, era la quercia farnia più vecchia
della zona, era grandissima, alta quasi trenta metri e veniva soprannominata la nonna del bosco.
Ospitava tra i suoi rami tanti uccellini, scoiattoli, insetti. Il suo miglior amico era Giulio, il
passerotto. Ogni giorno Giulio passava a salutarla e ogni giorno le raccontava le sue avventure. Pina
aveva un tronco enorme ed una corteccia di color grigio-bruno, aveva una chioma larga quasi
quindici metri. Caratteristica della nonna erano le sue foglie a margine lobato e le sue piccole
ghiande di cui gli scoiattoli andavano ghiotti. Pina era molto chiacchierona e quando Giulio
ritornava a casa, durante la notte, si sentiva un po’ sola e ripensava alla sua infanzia quando abitava
nel bosco con gli altri suoi amici.
Il triste albero
10
di Giusy Galia
Era una sera d'ottobre nel magico giardino incantato di Fantàsia e nel lungo viale che antecedeva
l'ingresso del castello si ergeva imponente Trist, un grande albero dalle lunghe radici. Trist era un
vero dispettoso. Infatti, quando in primavera crescevano sui suoi rami delle mele succose, lui per
dispetto muoveva i rami per non lasciarle prendere a Thom, il piccolo principino e quando Thom si
arrendeva ed era distratto, lascIava cadere il frutto sulla sua testa, facendo assai male al dolce
nobile. Nella quieta di quella mattina autunnale Trist, appena sveglio, intravide Thom da lontano.
Era già pronto a muovere i suoi rami per non fare prendere le sue grosse mele ma, con grande
stupore vide che il piccolo principe non cercava frutti. Anzi! Era chino ai piedi dell'albero intento a
raccogliere qualcosa ed a buttarla per aria come a formare dei coriandoli. Trist sporse il suo sguardo
verso il terreno e con immenso stupore si accorse che Thom era intento a giocare con le sue foglie.
<<Ti faccio vedere io>>> esclamò Trist e andò per dimenare i suoi rami per far cadere il frutto
quando si accorse che il frutto non c'era. Estasiato, incredulo e rattristato scoppio a piangere ed a
gridare <<perchè sono senza foglie? e le mie mele succose, dove sono?>> Il pino che giaceva
accanto a lui lo sentì e gli disse < Trist perchè fai così? dovresti essere contento! Siamo in autunno e
le tue foglie ammirate tra i frutti d'estate, diventano un lungo tappetto bronzato che tutti ammirano.
Trist disse< nessuno deve calpestare le mie foglie. perchè questi dispetti?> Il saggio pino rispose: <
nessuno vuole farti dispeti. Tutti ti ammirano. Poi caro mio Trist, parli proprio tu che impedisci al
dolce Thom di raccogliere i tuoi frutti che, una volta caduti, diventerebbero cibo per vermi? gli getti
in testa le mele?>> Trist restà pensieroso e triste ma all'arrivo della primavera, ogni volta che Thom
si avvicinava chinava il suo robusto fusto e gli porgeva i suoi succosi frutti.
11
Il ciclo della vita
di Aldo Miele
La rosa disse alla piccola ape: Non farmi male! Le rispose: Non temere, voglio solo espandere la tua
bellezza per tutto il Creato,e il nostro amico vento,mi aiuterà in questo. Anche se la tua vita e' tanto
breve, disse l'ape, la tua straordinaria essenza,vivrà per l'eternita',grazie a me,alle mie tantissime
sorelle,e a tutti coloro che ci amano e ci rispettano!
12
Il giardino delle fate
di Nunzia Grimaldi
Cala la notte , piomba il silenzio e come per incanto si anima il giardino , con lucciole , cicale
canterine e le fate del bosco che si incontrato per dar vita ad uno spettacolo di colori e magie ,
volando qua e là , posandosi con delicatezza sui fiori dalle corolle ormai chiuse per chiacchierare
allegramente . Tra i cespugli in lontananza si scorge uno gnomo che curioso osserva lo spettacolo ,
il gufo è lì sul ramo del pino impassibile e serio , ma ecco il sole che spinge la luna a fargli spazio...
arriva l'alba tutto svanisce ricomincia un altro giorno nel giardino della vita.
13
Il Mio Giardino
di Letizia Giardina
Dalla finestra della mia camera riesco a vedere un giardino bellissimo, questa visione mi rende
felice. I profumi allietano il mio olfatto, i fiori , i frutti e tutto ciò che mi circonda è molto piacevole
e mi porta a pensare come la natura si a così perfetta, tutto è in armonia e come l'intervento
dell'uomo, a volte, la distrugge senza curarsi di lei, incapace di pensare che tutto , prima o poi si
ritorcerà contro di lui. Ringrazio Dio ogni giorno per darmi la possibilità di godere pienamente di
tutto ciò che la natura mi offre gratuitamente.
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La natura ti incanta
di Jennika Cazzaniga
Una mattina d'estate mi sono svegliata e dopo la colazione mi sono diretta verso il giardino della
casa vacanze un cui mi trovavo, l'emozione di vedere tanta vegetazione di colori caldi, freddi e
temperati fu troppo immensa, tanto da svenire e svegliarmi nello stessa vegetazione, più rigogliosa,
mi trovai indietro nel tempo di 1 secolo... Era il tempo delle guerre tra le patrie, delle conquiste del
territorio, delle grandi feste che finivano all'alba... la casa vacanze era sparita, al suo posto un
castello incantato, dove fate, spiriti e persone in maschera vagavano e si rincorrevano, Ero molto
confusa, cercavo la via del ritorno, ma un arcobaleno di colori mi invase la mente, subito fui
svegliata da un uomo dai capelli rossi e le lentiggini sul viso, un pò burbero nei modi, quanto
affascinante, mi aiutò a sistemarmi ed accomodarmi presso le mura del castello, era un condottiero.
Fui subito colpita dal suo fascino, tanto da perdere la cognizione del tempo e dimenticarmi della
mia vita precedente...
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Il sogno di Martin
di Luisa Incani
Un giorno un bambino di nome Martin si fermò davanti ad un cartello che indicava la vendita di un
pezzo di terreno poco distante da casa sua. Col l'aiuto del suo salvadanaio lo comprò per realizzare
il suo sogno. Entrò nel suo nuovo mondo e lo rianimo' con erba e alberi. Un giorno mentre giocava
sentì delle voci. Era una foglia che gridava: - Aiuto, sto' cadendo!- mentre il suo albero esclamava:-
Non ti preoccupare, non ti farai male.- Nello stesso istante passava di lì una farfalla che salvò la
foglia prendendola al volo. Quando il bambino vide la scena coi suoi occhi tutto si trasformò in
pietra, l'albero parlante, la foglia spaventata e la farfalla salvatrice. Diventarono delle belle statue.
Martin da quel giorno fece diventare il suo giardino in un parco aperto a tutti allietando cosi' le
giornate di grandi e piccini e colorò questo splendido giardino con tante e tante rose che emanavano
un profumo meraviglioso per tutto il quartiere.
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Libero
di Raffaella Caimmi
Finalmente è arrivato il raggio di sole che aspettavo da ore e so già che fra poco mi abbandonerà ed
ecco che puntuale come sempre arriva lui il mio tormentatore gatto malefico che ti diverti a farti le
unghie sul mio tronco e dormi sopra la mia terra. La tua padrona prima aveva solo me e mi curava
con amore e mi coccolava ma da quando sei arrivato tu si e no che mi annaffia ogni tanto e non mi
parla più. Io che sono cresciuto con lei sempre più forte e robusto sino a diventare talmente alto che
sfioro la finestra del piano di sopra e che le ho regalato anche il mio fiore unico e irripetibile e che
era impazzita dalla gioia e che ora ...non mi guarda più. Vorrei essere libero per andare via ma non
posso sono qui e non mi posso muovere e sogno di poter allungare le mie radici e scappare da quel
cancello veloce come un fulmine ma appunto è un sogno devo restare qui e sperare che si ricordi
ancora di me e mi voglia ancora bene. Vorrei tanto essere libero
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Due salici piangenti e due destini
di Sandra Da Fies
Nel mio giardino regnava un salice piangente..maestoso, affascinante..quando c'era un po' d'aria
sembrava danzasse,e i bambini nella casetta di legno a fianco si rilassavano intenti a "gustarne" i
lievi movimenti. Quella casetta l'aveva costruita mio papà, appositamente in fianco a quest'albero
tanto desiderato, e rimane per me un ricordo di lui che non c'è più. Non molto lontano dall'albero,
c'erano due piante di melograno, piccoline e coperte dal salice, che in stagione producevano grossi e
profumati frutti rossi. Il salice amava far oscillare i suoi rami, simili a capelli, verso di loro, per
rinfrescarle nei caldi periodi estivi. "Per fortuna ci siete voi al mio fianco" diceva, "così evito di
piangere di solitudine, come fanno molti miei simili"; e loro con voce sottile rispondevano "è un
privilegio vivere al tuo fianco, sei così bello e i tuoi movimenti sono così eleganti e rilassanti".. Ma
un bel giorno, dopo anni e anni di vita insieme, il salice iniziò ad avere una malattia.. Le foglie
cadevano, i rami venivano tagliati pian piano da mio padre, incredulo nel vedere che si ammalava
sempre più.. Il salice piangeva, dai tagli lacrimava, e continuava a peggiorare.. Noi tristi non
potevamo farci nulla, se non tentare di eliminare le parti malate..Gli alberi di melograno non
producevano frutti ed erano un po' appassiti,delusi,amareggiati.Da maestoso e grande, il salice
divenne piccolo con corti rami. I due alberi vicini, con un lento singhiozzio, dissero: "i buoni frutti
si producono quando si hanno buoni compagni che ci stanno attorno, quando la vita viene vissuta
con il sorriso, quando anche una semplice ventata d'aria ci fa stare bene. Ora che tu ci stai lasciando,
non vale più la pena stare qui..". Il salice pian piano venne raso al suolo, e anche i melograni si
stavano lasciando andare. Per evitare di vederli morire, mio padre decise di portarli in un'altra terra
vicino ad un altro salice piangente, che per dare loro il benvenuto versò lacrime di gioia!
Un'oasi di vita
18
di Martina Ciccarelli
Era un posto strano. Inserito in un contesto sbagliato il che bastava a renderlo speciale. In quella
piacevole serata di fine agosto lo ritrovai identico a come lo avevo lasciato anni prima: curato ma
contemporaneamente naturale e spontaneo. Era il mio giardino. Da piccola mi bastava chiudere gli
occhi ed immaginare che ogni pianta e fiore avesse una propria storia, una personalità... e
quell'abitudine non era cambiata. Circondato da palazzi, vedevo lì il mio mondo, un sogno a colori
che si animava tra quei contrastanti muri freddi ed insensibili. Ogni volta che tornavo sembrava
come che i fiori mi parlassero e mi raccontassero cosa era accaduto durante la mia assenza: il
gelsomino avvolto dalla sua fragranza mi parlava di serenità come le rose mi parlavano di cura ed
amore. Le ortensie, così piene e compatte nelle varie tonalità del rosa, mi trasmettevano forza e
sicurezza e mi invitavano a sedermi accanto a loro per raccontare della mia vita. Avrebbero
ascoltato ed avrebbero sorriso. Ridevano alle mie storie buffe e mi consolavano quando soffrivo.
Era come un coro polifonico che mi accompagnava nella danza della vita. Mentre raccontavo,
intorno a me, il giardino si stringeva in un abbraccio quasi come per ascoltare bene e non perdere
una sola parola che usciva dalla mia bocca... o dalla mia mente. Perché non c'erano bisogno di
parole, quel posto era mio ed ogni volta mi aspettava e gioiva al mio ritorno. Quello spazio era vita.
Quello spazio era casa.
Era un normale giorno di primavera, come sempre, la mia cara amica Laura venne a darmi ciò di cui
ho più bisogno, dell'acqua fresca, delle vitamine, una spuntatina ai capelli, come mi piace chiamare
le mie spine. Laura si pungeva spesso con i miei capelli, ma fino ad ora mi aveva sempre trattato
bene, mi aveva dato gioia e amore. I giorni poi passarono e Laura diveniva sempre più triste, più
debole, tanto che mi lasciò sola per giorni; non capivo cosa stesse succedendo. Stavo quasi
morendo, sentivo i petali cadere, i capelli secchire, il tronco cadere, ero alla fine dei miei giorni;
niente più cure, niente più amore. Venne il giorno in cui Laura, mi presentò il suo amico Stefano;
Laura e Stefano erano davvero belli assieme. Laura finalmente sembrò felice, era tornata quella di
una volta, la mia cara amica Laura. Venne l'estate, io avevo sempre più bisogno di cure, Laura e
Stefano venivano sempre da me, parlavano molto, ridevano, scherzavano. Un giorno però, mi sentii
trafiggere il cuore; Stefano mi aveva colta da dove ero piantata, Stefano mi aveva brutalmente
portata via da dove stavo bene, non capivo. Mi mise in vaso pieno d'acqua, legata assieme ad altri
fiori, non ero felice, avevo ormai capito che non mi rimaneva molto da vivere, ma da quel giorno
capii perchè Laura viveva quei sbalzi di emozioni, un giorno felice un giorno triste: litigava con
Stefano, e poi piangeva. Mi resi conto che però, come Laura si pungeva con le mie spine e poi
tornava a curarmi, faceva lo stesso con Stefano, veniva ferita ma poi tornava. Non ho mai visto un
amore così bello. Sono morta vedendo il sorriso di Laura vedendomi così bella tra tutti quei fiori.
Sono morta felice.
Foglie d’autunno
20
di Maria Grazia D’Agata
Usciamo, dai fuori! Ne abbiamo abbastanza di stare a poltrire sui nostri rami.E'ora di uscire e
andare a coprirel la terra bagnata e infuocata dal sole d'estate. Ora compagne seguitemi,non fatevi
pregare........Settembre e' arrivato,il nostro compito qui e' finito,ma la terra reclama il colore e
l'odore che da sempre le abbiamo dato!
Ciao albero! Ciao amica, non ti si vede più tutti i giorni? Sai adesso sono in pensione è non sono più
obbligata ad uscire tutte le mattine. Voglio guardarti bene, la tua chioma ha dei riflessi ramati e oro?
Sei bello quando perdi le foglie, ad ogni mezzo pesante che passa, ne scende una nuvola, ed a terra
fanno un balletto di colori, ho sempre pensato di fotografarle. Grazie del complimento. Dimmi
come fai a resistere su questa strada piena di traffico e di smog? Mia cara ogni anno è peggio, gli
uomini non sanno più fare due passi a piedi. Io seduta qui scrutavo i tuoi cambiamenti, in
primavera, quando i rami si riempivano di gemme, ogni giorno più grandi, fino allo spuntare delle
prime tenere foglioline, verde pallido, un miracolo della natura. In inverno, quando non ho le foglie,
hai visto quanti nidi fra i rami? Sì, sono tanti, in primavera, stanno ben nascosti fra la tua chioma
fitta, ed i piccoli crescono protetti da te, quante cose meravigliose ci perdiamo, chiusi nelle
macchine. Il ritmo delle stagioni, guardandoti, è sempre ben scandito, non abbiamo rovinato questi
passaggi. Si sente dire troppo spesso che gli alberi cadono, si spezzano i rami, la cosa mi spaventa.
Sì, non parlarmene se noi moriamo, anche voi non ve la passate bene, ma pochi ascoltano questo
grido di dolore. Vedi hanno fatto, sulla strada, le strisce per i ciclisti, speriamo che molti si
convincano a lasciare a casa l’auto e ritornare a pedalare, come quando ero piccolo, ne circolavano
tante, con persone di ogni età e mamme, con i bimbi che andavano all’asilo o a scuola, seduti sul
loro seggiolino, non correvano rischi, io respiravo bene ed anche loro. Cara amica arriva l’autobus!
E’ stato bello rivederti! Anche per me, e adesso che ti prepari all’autunno verrò più spesso, non
voglio perdermi la pioggia di foglie colorate, dove nessuna è uguale all’altra, ogni una ha una
sfumatura diversa e sono tantissime, bellissime e m’inteneriscono.
Nella
22
di Sara Trapelli
Questa è la storia di Nella.Lei è piccola e tanto simpatica,è una coccinella.Dovete sapere che a
Nella piace da matti volare e in particolar modo saltellare di petalo in petalo tra le migliaia di
profumatissimi fiori che popolano il meraviglioso giardino nel quale vive. E' primavera e così
incontra per la prima volta un nuovo abitante.Si tratta di una Lei ed è bellissima e coloratissima; è
Lalla, una meravigliosa farfalla. Questa mattina Lalla è appoggiata su di una rosa quando vede
Nella che vola felice.Le si avvicina e inizia a fissarla dalla cima delle antenne fino alle zampette.
Nella, chiede gentilmente: Ciao io sono Nella, tu chi sei ? La farfalla risponde: Mi chiamo Lalla e tu
ha i colori sbagliati!Tu sei diversa non sei bella come me, non puoi stare quì. Nella rattristata da
queste parole vola via lontano nascondendosi dietro al grande cipresso.Rimane lì per l’intero
pomeriggio pensando alle parole di Lalla e dicendosi "ha ragione, lei è bellissima,io invece sono
piccolina e anche un po’ goffa". Poi però pensa " anche se non sono come lei anche io posso
rimanere a volare qui, c’è tanto spazio e possiamo vivere bene tutte e due nel
giardino".Nella,tornata felice e con tutta la sua allegria vola verso Lalla. Arrivata davanti a lei
sfodera un bellissimo sorriso e dice "cara Lalla, tu e io siamo molto diverse ma anche
uguali.Abbiamo tutte e due le antenne, le alette, le zampine ed entrambe siamo necessarie per
questo giardino e visto che c’è così tanto spazio sono convinta che possiamo benissimo andare
d’accordo, scommettiamo? Lalla stupita dalle parole di Nella si ferma a riflettere. Poi risponde "hai
ragione e ti chiedo scusa, mi sono comportata molto male, sono stata maleducata con te questa
mattina ma ti prometto che non succederà più. Vuoi volare insieme a me?Vorrei tanto diventare tua
amica.Ed è così che da oggi potete vedere Nella e Lalla volare felici insieme condividendo lo stesso
spazio in armonia e amicizia.
La vie en rose
23
di Evelina Gastaldo
Ci guarda sempre con quell'aria incantata, come se facessimo parte di un mondo meraviglioso, fatto
solo di colori vivaci e svolazzanti farfalle, di delicatezza e silenzio, quello che le manca nella sua
vita. Penso si prenda cura di noi solo per questo... perché siamo quello che lei non ha: un angolo
quieto, lontano da occhi e giudizi, dove tornare in contatto con la realtà, dove sentire che alla fine
quello che conta e l'eterno fluire e il ritorno costante delle cose,sempre nuove e sempre uguali. Se
solo sapesse la fatica fatta per restare vivi, per guadagnarsi un posto al sole, per lasciare traccia di
sè! Qui siamo tutti assetati di vita, di più vita e la guerra è fratricida, feroce, incessante anche se
silenziosa... Deve essere abitudine umana di pensare che altrove sia meglio, che qualcuno abbia
trovato la chiave della felicità. Tutto è lotta per la vita, anche dove non sembra...
Rosa di luna
24
di Italia Labarile
...E all'improvviso, nel silenzio della notte, s'udì una vocina. La piccola rosa si lamentava. Era
fragile e sola, persa in quell'immenso giardino e sembrava che nessuno stesse ad ascoltarla. Invece
una grande luna era lì, difronte a lei, pronta ad ascoltarla e a consolarla. "Dimmi tutto piccolo fiore"
fece eco la sua voce. "Ma tu chi sei?" esclamò con stupore."Sono qui,eccomi, disse la luna. "Ah,
Luna! Ciao! Io sono qui tutta sola e nessun essere di questo giardino ama intrattenersi con me
perché io sono piccola e brutta. "Tu non sei brutta! fece la luna e le mostrò un piccolo specchio
d'acqua in cui poteva vedere riflessa la sua immagine mentre lei lo illuminava con la sua luce.
Allora la rosa si affacciò e rimase incantata. Piccoli petali la avvolgevano e il verde brillante delle
sue foglie le dava un tocco di originalità. "Ecco, cara Rosa, il tuo vestito ha il colore più bello che io
abbia mai visto". E continuò "Abbandona la tua timidezza e affacciati nel giardino della vita, in cui
troverai amici ma anche nemici.Ma non lo saprai mai se non inizi questa nuova avventura. Non
restare in disparte.La rosa non esitò. Organizzò una piccola festa a cui tutti dovevano prendere
parte.Fontane, grandi querce, panchine facevano da sfondo a quella serata che mai nessuno avrebbe
più dimenticato. Parteciparono in tanti e tanta fu la contentezza nel vedere che la rosa era senz'altro
la più apprezzata di tutti. Dall'alto della sua esperienza la luna guardava estasiata tutto lo spettacolo
di danze che si prolungò fino a notte fonda. Quando tutti andarono via, la rosa rivolse il suo sguardo
verso l'alto e strizzò l'occhio alla ridente luna. Non avrebbe mai più avuto paura di mostrarsi agli
altri. Ormai aveva tanti amici. La luna, che le aveva dato fiducia e l'aveva consigliata, la porto' per
sempre nel suo cuore e molte sere sembrava avere lo stesso colore di quella rosa. Proprio in quelle
sere, osservando il cielo, tutti i passanti esclamavano "ah! che Rosa di Luna!!
Ogni notte di luna piena in un giardino nascosto da occhi indiscreti e avidi,si cela una magia che
anima ogni cosa presente....alle due estremità immerse in un verde smeraldo e fiori dal profumo
inebriante, si trovano due maestose statue.Una ninfa bellissima e un principe possente e
affascinante... Ecco!!! c'è la luna piena! Come svegliarsi da un lungo sonno, alberi,fiori e foglie si
animano .....come loro ,anche i due amanti si svegliano turbati dal loro unico pensiero....incontrarsi
e perdersi nel loro amore ....ma solo con l'aiuto e la complicità delle rose amiche potranno evitare l
astio che prova il grande salice piangente nel loro incontro....invidioso e innamorato della ninfa
,farà di tutto x evitare che si incontrino.Intralciando i due ,impedendoli di vedersi,il grande salice si
muove avanti e indietro con le sue foglie e i suoi rami intrappolando chiunque tenti di passare... Le
rose rosse,amanti dell'amore e della passione, tentano un piano per distrarre con la loro bellezza il
grande salice aiutando così i due ad incontrarsi....iniziano a mostrarsi,a pavoneggiarsi aprendosi
nella loro più magnifica bellezza..p..ma mentre il salice sta per distrarsi,le sue foglie se ne
accorgono e lo mettono in guardia .....niente da fare....sembra tutto inutile quando improvvisamente
spuntano farfalle che nella loro bellezza,iniziano una danza con le loro ali e a cantare e
cantare.....tanto che il salice siincanta e si riaddormenta.....finalmente è fatta! !!!!I due amanti si
incontrano in un abbraccio al centro del giardino e possono finalmente stare insieme fino all alba...i
primi raggi di sole del mattino li ritrasformerá in freddo marmo........e ritornando sulle loro
basi,aspettano con impazienza la prossima luna piena . Una sequenza ripetitiva ....senza fine ......ma
l'amore vero è eterno.Quel giardino magico è la loro culla d'amore dove tra le danze e canti delle
farfalle e uno scenario di rose rosse vanitose si consuma l'amore della ninfa e il principe
innamorato.
LUCCIOLA
26
di Simona Fracchia
La storia
27
di Francesca Silva
In Italia,a Reggio Calabria vi è un giardino dove nessuno può entrarci poichè è animato. Le persone
vivono da anni con questa leggenda ovvero che un albero,una rosa,una farfalla,una foglia e una
statua di notte si mettono a conversare sul futuro della città. Ma un giorno un bambino di nome
Alessandro soprannominato "LA PESTE" non ascoltando le parole dei genitori entrò nel giardino.
All'inizio sembrava tutto normale,ma improvvisamente sentì delle voci..."VA VIAAA" "QUESTO
NON E' IL TUO POSTO" "MANDATELO VIAA" Ben presto il bambino notò delle strane figure
muoversi,così sentendosi un pò a disagio disse "CHI E' CHE PARLA?" allora l'albero che era il più
saggio di tutti gli rispose "SONO IO..GUARDA SU' " Il bambino allora chiese "SEI SOLO TU?" e
subito uscirono tutti allo scoperto dicendo "NOOO CI SIAMO ANCHE NOI!" -"VOI CHI?"
rispose il bambino. -"TE LI PRESENTO" rispose l'albero,"lei è la rosa colei che profuma tutto il
giardino,lui è la statua colui che sorveglia tutti dall'alto,lei è la farfalla colei che dona i colori per
mezzo delle sue ali ed infine la foglia colei che per farci sentire meglio danza quando c'è il vento."
"E TU CHI SEI?- dissero tutti contemporaneamente. "IO SONO ALESSANDRO
SOPRANNOMINATO LA PESTE,SONO QUI PERCHE' NON HO ASCOLTATO LE PAROLE
DEI MIEI GENITORI,DISUBIDENDO E ORA MI TROVO QUI,DOVE NESSUNO POTEVA
ENTRARCI." "In effetti nessuno viene in questo giardino da anni ormai e ci sentiamo molto
soli,ma non sappiamo il motivo del perchè i bambini non vengono più a giocare." disse la statua.
"Noi prevediamo il futuro è per questo!" disse la farfalla. "in che senso?" rispose il bambino. "nel
senso che diciamo alle persone cosa succede domani e dopodomani ecc.." disse la statua. "Ma noi lo
facciamo per aiutarli..ed invece si spaventono del domani..non vogliono sapere nulla" Il bambino
allora disse "volete rivedere di nuovo tutti in questo giardino? Allora smettete di parlare del futuro e
cominciate a vivere la vita giorno per giorno.e stop..."
Il sogno di Hermès
28
di Stefania Pannella
Beatrice è una bambina di 10 anni. Una notte mentre dormiva nella sua cameretta; sentì un bisbiglio
e si svegliò improvvisamente. Vide una piccola luce volteggiare nella stanza, era la fatina del
giardino dei ciliegi, un posto trascurato con erba alta, alberi enormi ma tristi, molto tristi perchè a
causa dell'inciviltà dell'essere umano il giardino era diventato una discarica di rifiuti. La fatina
piangendo chiese a Beatrice di seguirla: "Vieni, presto, solo tu puoi aiutarci!" Beatrice
rispose:"Cosa potrei fare? Sono solo una bambina!" La fatina rispose:"Questo è il sogno di Hermès,
nulla è impossibile!" Allora la bambina e la fatina entrarono nel giardino dei ciliegi era buio, triste e
sporco. Beatrice disse:"Ho paura, fatina questo posto è inquietante!" La fatina le mostrò un
sacchetto e disse:"Non aver paura! In questo sacchetto c'è la seta di Hermès, se viene usata da
un'anima buona quest'essenza magica e profumata è in grado di migliorare il mondo".Un albero
allungò un ramo verso Beatrice e disse:"Ti prego usala su di me!" Beatrice si fece coraggio e
spruzzò l'Hermès su quell'albero, sugli altri alberi e in ogni parte del giardino. Improvvisamente
ogni cosa prendeva forma e colore, i rifiuti sparivano, i fiori sbocciavano e cantavano di felicità, la
statua che c'era all'ingresso fece un inchino a Beatrice, le farfalle danzavano leggiadre ed il sole
cominciò a filtrare tra le foglie degli alberi. Tutti erano ormai felici. Il giardino dei ciliegi era bello
in tutto il suo splendore. D'un tratto la bimba fu abbagliata da un raggio di sole, era quello che
penetrava dalle tapparelle della sua cameretta, a quel punto sentì la voce della mamma:"Beaaaa
svegliati! Devi andare a scuola! N.B.:A questo punto la storia è finita, io francamente non sono una
scrittrice, la storia l'ho inventata ma il giardino dei ciliegi esiste davvero, sta sotto casa mia ed è
davvero sporco... Beatrice è un nome di fantasia, ma forse quella bambina esiste davvero.. dentro di
me..
Piccole rose mie noi siamo baciate dal sole e accarezzate dal vento e la rugiada ci fa crescere belle e
profumate come tutti i nostri amici fiori gli alberi e gli insetti con i quali condividiamo con amore il
nostro giardino da anni unica fonte di vita racchiusa nella valle nera unico posto al mondo dove solo
il nulla regna da anni a causa dell'oscurità dell'impoverimento della terra ...e dalla mancanza
d'amore per la vita noi siamo fortunati nel nostro piccolo giardino siamo in molti rose iris
margherite mughetti e la grande e saggia quercia che vede tutto da lassù ..e ci aiuta .....sapete il mio
sogno più grande è quello di far diventare un bellissimo e rigoglioso giardino profumato e vivo tutta
la Valle Nera diffondete il messaggio d'amore e di vita con il vostro profumo e con la vostra
bellezza insieme a tutti i vostri amici e conquisteremo giorno dopo giorno un piccolo angolo di
Valle Nera trasformandola nel vero paradiso .Sarà difficile e ci saranno molti ostacoli ma non
arrendetevi mai alla vita mie piccole rose crescete crescete forti e rigogliose ed un giorno
insegnerete ciò che oggi io insegno a voi per un giardino immenso e ricco di vita ...
Ulivo leccese
30
Di Irene Benedusi
Sono un ulivo secolare del Salento e mi sto seccando. Dopo anni in cui la mia chioma faceva
invidia mi sto completamente rinsecchendo..la colpa sembra sia di un batterio patogeno e sembra
anche che non ci sia molto da fare, per questo è stato dato l'ordine di abbattermi. In Puglia siamo
tanti, circa undici milioni e il 10% di noi è stato colpito da questa malattia che ci mangia dall'interno
come un cancro inesorabile che non ti lascia speranza. Vi chiedo aiuto...con il filo di voce che mi è
rimasto
La rosa parlante
31
di Jasmine Masi
Tutto comincio quando una ragazza passegiando nel bosco trovo' un giardino segreto all'esterno
appariva Triste e pieno di rovi ma facendosi strada all'interno noto che era tutto molto colorato e tra
alberi piante e fiori tra tutti spiccava una rosa rossa che brillava alla luce del sole...ammaliata si
avvicinò lentamente e scopri' che quella rosa era l'unica ad avere il dono della parola cosi giorno
dopo giorno la ragazza veniva a far visita alla rosa e le portava sempre dell' acqua fresca per
dissetarla cosi divennero ben presto amiche; la ragazza pero' noto' che giorno dopo giorno la rosa
appariva sempre più stanca ed affaticata e il suo bel colore rosso acceso iniziava ad affievolirsi gli
chiese cosa avesse e la signora rosa gli disse semplicemente e il corso della vita cara. Li per li la
ragazza non fece caso a quelle parole ma quando il giorno dopo torno' come d'abitudine trovo' solo
dei petali appassiti al posto della solita rosa allora li capi le sue parole e con le lacrime agli occhi
seppelli i pochi petali mettendoci su l'acqua che le aveva pportato anche quel giorno la rolsa non
torno più come pure la ragazza nel giardino segreto ma la rosa le appariva in sogno di tanto in tanto
ricordandogli che ora lei viveva nel suo cuore
Tardo pomeriggio e caldo soffocante.Decido di concedermi una pausa in giardino.Dopo aver preso
una bibita fresca mi siedo in una comoda poltrona e chiudo gli occhi per rilassarmi.Comincio ad
assaporare quell'attimo di pace ma una vocina sottile mi arriva da lontano."devi aiutarla !ti prego !se
non riesce a liberarsi morirà!"apro gli occhi di scatto e mi guardo intorno.Niente.Non c'e
nessuno.Devo aver sognato.Mi accingo a bere un sorso della mia bibita ed ecco di nuovo la
vocina."fai presto!la farfalla morirà, è incastrata tra le mie foglie."Mi alzo di scatto.Tutto è
immobile intorno a me.Non c'e un filo di vento.No!non è vero non è tutto immobile.Alla mia destra
una splendida rosa gialla si muove in modo strano.Ma si muove solo lei .Tutto intorno è fermo.Mi
avvicino ed ecco risento quella debole vocina ,è la rosa che mi parla.Dovrei scappare spaventata ma
,non so perchè, qualcosa mi trattiene lì."Aiutala ti prego"lo sguardo mi cade un po più giù ed e
vero!incastrata fra le foglie della rosa una piccola farfalla a stento si muove ancora.Tendo la mano e
con tanta delicatezza e calma riesco a liberarla.,è bianca come la neve.Appena libera non scappa via
subito,si ferma per un attimo sulla mia mano e poi con un battito d'ali riprende il volo verso la
libertà.Resto li per qualche secondo a guardarla .Poi mi ricordo della rosa e mi chino su di lei.Non
si muove più.Ferma e immobile come le altre.Mi risiedo sulla mia poltrona cercando di dare una
spiegazione all'accaduto e il sonno si impadronisce di me.Al mio risveglio mi convinco che è stato
solo un bel sogno e riprendo le mie attività quotidiane.Il giorno dopo mentre innaffio le mie rose
guardo con un sorriso la splendida rosa gialla che ho sognato il giorno prima .Lo sguardo ,ad un
certo punto, mi cade sulle foglie della rosa.....una leggera polvere bianca e candida le ricopre in
parte.
-Avrei tanto voluto essere una palma.- Era questo che mi ripetevo sempre. Una palma svetta in alto
nel cielo, vive in posti caldi e lontani, sente il profumo del marzapane e del the, abbraccia i morbidi
datteri e gusta la dolcezza del loro succo, ascolta parole esotiche e canzoni melodiose. Una palma
vede il mare. Invece sono solo un ranuncolo. Piccolo, bianco, niente di speciale. Sento solo l’odore
della terra umida sotto i miei piedi, vedo solo le altre piante di questo piccolissimo giardino di citta,
assaporo solo l’acqua che lei mi dà o quella che cade da questo cielo sempre grigio sopra di me. Le
uniche parole che ascolto sono quelle della sua voce, di lei che mi cura da un anno e che però con
me non parla mai. Eppure parla tanto con gli altri. Sento la sua voce al telefono, la sento ridere con
gli amici e arrabbiarsi, quasi sempre con quel tipo che alle volte intravedo dalla finestra. Ma con me
non ci parla mai. Si certo mi dà da mangiare e un posto in cui vivere (non che non ne avessi già uno
prima però). Si va bene, qualcuno potrà obiettare che in fin dei conti mi ha voluta. Mi ha scelto e
preso, sì, però non scambia nemmeno due parole con me. Eppure ho sentito dire che esistono quelli
che parlano con tipi come noi, piante insomma. Gente che non ci vede solo come un bel punto di
colore nei loro appartamenti di città e che dopo un po’ si secca perché non profumiamo abbastanza.
Gente che con noi ci parla perché sa che li ascoltiamo. E rispondiamo pure, a modo nostro,
sbocciando o morendo. Sbocciamo se siamo felici, moriamo quando non li capiamo più. Ma lei no.
Lei non mi chiede mai come sto, come mi trovo in questo angolo di giardino tra il ficus e la
plumaria (che poi se la tira pure perché profuma di mandorle). Se solo mi parlasse forse smetterei di
sognare di essere una palma e sarei felice di essere il ranuncolo che sono, in questo giardino. Ma lei
non lo fa mai. Ed allora io chiudo gli occhi e penso. E penso a me, alta e robusta, che vedo il mare.
34
Il geranio ficcanaso
di Tania Pasquariello
Un geranio in un vaso ho piantato, dopo poco il più grande del giardino è diventato. Tutti lo hanno
ammirato e magnifico lo hanno trovato. Quando un giorno a me pare che abbia parlato e i segreti
del vicino mi ha raccontato. Ogni particolare che ha visto in tanti anni ha memorizzato, stando nel
vaso ben ficcato. Ho saputo quello che il marito ha combinato, quello che la moglie ha cucinato e il
figlio ha mangiato. Tante cose che non immaginavo il mio geranio mi ha rivelato e tante risate il
suo racconto mi ha procurato. Spero che non abbia raccontato al mio vicinato anche quello che io
ho cucinato, mangiato e combinato altrimenti in un bel guaio mi sono infilato.
Il girasole
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Di Samantha Capitanini
L'albero e il passerotto
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di Susanna Romeo
Un giorno, un albero si svegliò, distese i suoi lunghi rami e aprì le sue foglie; era rimasto per troppo
tempo assopito sotto il manto nevoso e intirizzito dal freddo. Ma ora sentiva un venticello tiepido e
un piccolo peso su un rametto ancora un pò debole."Ehi!" disse "Ma chi è che cerca di staccarmi un
rametto dalle mie possenti braccia!" "Io!" rispose cinguettando un piccolo passerotto tutto arruffato.
"Ho volato per tanto tempo e adesso mi sto solo riposando!" "Hai un profumo meraviglioso e il
rumore delle tue foglioline col passare del vento è davvero rilassante come una ninna nanna. Vorrei
tanto che la mia compagna sentisse il tuo profumo e che i miei piccoli si possano addormentare con
questo suono meraviglioso.Con il tuo permesso sto pensando di fare un bel nido qui!Posso?"
L'albero sentendo quelle parole distese ancora di più i suoi rami e disse all'uccellino in trepidante
attesa di una risposta: "Va bene! Ti dò il mio permesso! A patto che tu dica ai tuoi piccoli quando
saranno grandi anche loro di costruire il nido qui tra i miei rami in modo che io possa sentire il
vostro canto e il peso dei vostri corpicini dopo questi lunghi inverni freddi che sono costretto a
sopportare da solo".Il passerotto al culmine della felicità disse: "Grazie possente albero, non solo lo
dirò ai miei piccoli! Ma anche a tutti i miei amici uccellini che in inverno non temono il freddo e ti
potranno tenere compagnia con i loro canti".E da quel giorno l'albero diventò la casa di tanti
uccellini che si erano innamorati del suo suono e del suo profumo.
Posso ritenermi davvero fortunata ad essere nata proprio in questo posto. Qui tutto è ricoperto di un
verde quasi smeraldo, che alle prime luci dell'alba inizia a brillare come il mare all'orizzonte; è
ricoperto di tanti profumi di cui non saprei nemmeno raccontare; di tanti bei colori che vengono
sprigionati insieme alle prime luci dell'alba. Eh si, posso ritenermi proprio fortunata a trovarmi in
un giardino come questo: è un posto gigantesco e pulito, nel quale vi sono situate parecchie fontane
che sprigionano dei putti e tante pietre che formano un labirinto da seguire. Ma la cosa più bella di
questo posto è quello che accade tra la notte e l'alba di ogni giorno...mentre tutto il mondo dorme e
mentre tutti sono ignari della meraviglia della natura, noi fiori, alberi, piante scateniamo una danza
speciale al di sotto del cielo pieno di stelle. La natura che parecchi sottovalutano è una natura che
bisogna osservare sempre, e non solo quando fa più comodo: non siamo delle vere rose rosse solo
quando veniamo portate ad una donna, oppure quando ci mettono su una tavola imbandita. Siamo
delle vere rose rosse quando ci troviamo insieme ad altri meravigliosi fiori nel nostro territorio, a
ballare col vento ed a osservare ciò che Madre Natura ci ha offerto come compagnia. Nel mio
giardino, non appena cala la notte, non appena le stelle in cielo sembrano formare tante galassie, si
alza la brezza ideale che porta a sfiorarci tra di noi. E non solo, le api e gli uccelli che volano tra i
nostri petali, andando a fare una sorta di vero e proprio valzer reale, sono da considerarsi un tesoro
vero e proprio. Gli scoiattolini che giocano tra i rami degli alberi, e le farfalle che non dormono ma
si muovono insieme ai nostri mille colori sono dei veri protagonisti. E quando arriva l'alba noi,
ormai stremati dall'immenso divertimento della notte, ci rinfreschiamo dalle gocce di brina che
l'aurora ci offre, fino a cadere in un sonno profondo che ci risveglierà la notte successiva.
L'erba era soffice e verde incastonata qua e la da fiori dai mille colori, come fossero pietre
preziose,. " Buongiorno, disse Nancy, posandosi su una corolla profumata e candida su un ramo di
un grosso albero. Sono nuova di qui, mi chiamo Nancy. Ti dispiace se succhio un po del tuo nettare
hai un profumo sublime almeno tanto quanto la tua bellezza." " Stupida e inutile farfalla, io sono
Camelia e il mio nettare regale non è per te ma per le api operaie affinchè producano miele. E poi
detto fra noi per quel poco che vivrai puoi anche digiunare. Ora vai, o sciuperai i miei candidi
petali". Nancy si allontanò pensando che era volata troppo in alto e che forse ai piani inferiori
poteva fare amicizia e anche sfamarsi. La rugiada del mattino imperlava la chioma di una signora
scarlatta proprio sotto di lei e , in men che non si dica, le zampette di Nancy vi si posarono sopra. "
Buongiorno bella signora, sono Nancy, la farfalla, le dispiace se approfitto del suo dolce nettare fra
i suoi vellutati e vermigli petali?" " Figuriamoci, io sono Rosa e sono destinata a finire su un
bouquet da sposa, per non morire mai. Mi seccheranno, mi metteranno fra le pagine di un libro e
vivrò in eterno, tu invece morirai domani, vattene screanzata." Nancy scese a terra e si posò su un
filo d'erba triste e sconsolata continuando a rimanere sul prato pensò: morirò domani e non servo a
nulla. Era quasi il tramonto, quando sentì una voce: " Farfallina, farfallina....." La voce proveniva da
una chioma larga e rossa poco distante e Nancy la raggiunse. " Sono Ibisco e la mia vita è ormai alla
fine, vivo solo un giorno ma sono stato fortunato a nascere nel giardino del sogno di mezza estate e,
se tu vorrai, potrai fare parte del mio sogno." "Davvero! -replicò Nancy- e come?" " Succhia il mio
nettare e, quando ti sarai sfamata, succhiane ancora e lascialo cadere nella terra ove alcun mio
simile ha messo radici. Nessuna vita è inutile mia giovane amica, proprio come la nostra, se pur
breve.
Il giardino sorridente
39
di Paola Cellario
C'era una volta un albero che, con le sue foglie caduche e aride d'acqua, piangeva nel giardino di
Versailles e reclamava a singhiozzi “Datemi acqua, ho sete, per favore!!!. Dall'aiuola sbucò
un’innaffiatoio verde , piena di litri di liquido rinfrescante ; ridonò vita al salice piangente .
Arrivarono un ciclamino e dei gladioli, si posarono sull'albero,un pittore dai folti capelli color
tiziano, li ritrasse e vinse un concorso dal titolo" Il giardino sorridente". Si guadagnò un set di
innaffiatoi rosa e gialli e degli attrezzi da giardino.
La farfalla solitaria
40
di Marina Frigerio
Volava nel giardino una piccola farfalla,ma veramente piccolina.Volava a destra e sinistra e si
vedeva che era spaventata,sembrava quasi che stesse cercando qualcosa o qualcuno.Io la osservavo
attenta dalla finestra della mia camera .Ad un tratto il giardino si popola di bambini festosi con tanta
energia e voglia di giocare,chi saltava chi correva chi andava in bicicletta,tutti tranne una bambina
che avra' avuto 5 o 6 anni,se ne stava sola sulla vecchia panchina di pietra e guardava una fila di
formiche.La farfallina si poso' sulla panchina proprio vicino alla bambina e stette li immobile ,la
bambina allargo' la manina facendo segno alla farfallina di posarsi sul suo palmo e come per
incanto la farfallina obbedi'.Sembrava sapessero comunicare fra loro :la bambina parlava e la
farfallina ascoltava,non esisteva piu' nessuno c'erano solo loro .La mamma chiamo' la bambina
perchè era ora di tornare e la bambina disse alla farfallina che si potevano vedere l'indomani nel
giardino,ma la farfallina era spaventata non voleva lasciare la bambina.La bambina capi' al volo che
la piccola farfallina era spaventata perchè aveva perso la sua mamma,allora la porto' con se
promettendole che l'indomani avrebbero cercato mamma farfalla.Cosi' fece.L'indomani con l'aiuto
di tutti i bambini del condominio si mise a cercare mamma farfalla e dopo tanto cercare si
accorseroche mamma farfalla era stata catturata da un bambino che le collezionava nei barattoli di
vetro,ma gli intrepidi bambini riescono a liberare mamma farfalla e farla volare dalla sua
piccolina,che felice batteva le piccole ali. Mamma farfalla ringrazio' tutti i bambini e volo 'via con
la sua piccolina ,ma ogni giorno andavano a volare nel giardino per salutare tutti i bambini.
La porta segreta
41
di Lucia Di Tommaso
Mary è una ragazzin che ha perso entrambi i genitori e viene affidata ai suoi parenti più stretti, due
zii che non si curano di lei. La bimba sente la mancanza dei suoi genitori e in particolar modo della
sua mamma, così il giorno esce davanti a quella casa non del tutto curata. Aveva un giardino ormai
abbandonato, non vedeva le mani di un giardiniere da tempo, Mary però girovagava in mezzo a
tanta sterpaglia per perdersi da quegli zii così cattivi. Un giorno, mentre curiosava in quel giardino
scoprì una porta nascosta da tutta quell'erba, cominciò a spingerla forte ma non si apriva, da tempo
ormai nessuno si avvicinava. Un giorno però dopo tanti tentativi riuscì ad aprire un passaggio e al di
là di quella porta trovò un mondo fantastico. C'era un giardino segreto pieno di tanti fiori e piante
colorate e profumate e una piccola altalena su cui la bimba sedette e immaginò che a spingerla
fossero i suoi genitori. Da allora ogni giorno entrava in quel giardino per ritrovare la sua felicità
La rosa muta
42
di Dorina Vitali
Nel giardino abitava anche una fata? No, ma ciò non vuol dire che non era un luogo magico, anzi! I
fiori cantavano, gli alberi suonavano e gli insetti applaudivano. Come ogni sera iniziava il concerto;
il direttore era una Statua che rappresentava un fauno, il quale salutò così il pubblico: "questa sera
interpreteremo una nuova opera, speriamo sia di vostro gradimento". Tutti gli abitanti del giardino
presero posto, anche Vanessa, la Farfalla vanitosa: "Visto che bel vestito ho indossato? E il colore?
Guardate che ricami, e le scarpine..." . "Si, si, abbiamo notato" la interruppe una Foglia dell'albero
che suonava il contrabbasso, "ma ora per piacere fai silenzio che dobbiamo iniziare". Mentre gli
alberi violinisti suonavano il prologo, la Rosa seguiva attenta il direttore per iniziare il suo assolo,
quando toccò a lei apri la bocca ma...ma....non usciva nessun suono! L'albero violoncellista le disse
piano: "su, su Rosa, tocca a te!" Ma nulla, non riusciva nemmeno a parlare. Il coro cercò di
rimediare cantando al suo posto, finchè non arrivò in suo aiuto la sarta coccinella: "fatemi passare!"
ordinò tutta impettita. Prese le forbici e ...zac! Tolse il primo bottone all'abito di Rosa. Lei
finalmente riuscì a respirare e a cantare. Alla fine del concerto, in un boato di applausi, Rosa si
inchinò e ringraziando tutti disse: La prossima volta metterò un vestito scollato!
L'attesa
43
di Maria Marcassoli
I raggi del sole cocente di quel pomeriggio d'agosto frustavano i fiori del giardino, che apparivano
stanchi, avvizziti prima di sbocciare, stremati dalla mancanza di refrigerio: da giorni non cadeva
una goccia di pioggia e la padrona di quell'angolo di verde tra le case del centro storico era fuggita
dalla città per cercare, anche lei, un alito di venticello in riva al mare. - Nessuno viene a darci da
bere?- si domandavano i poveri gladioli afflosciati dalla calura. - Abbiamo seteee! - protestavano gli
iris viola, un po' più sbiaditi del solito. Le rose, pur mantenendo il loro contegno regale, soffrivano
in silenzio chiedendosi quando sarebbe giunta l'attesa pioggia. I gelsomini arrampicati sulla
ringhiera la sera continuavano a profumare l'aria con il loro inebriante effluvio, ma in quelle ore
caldissime apparivano stremati e dai fiori bianchi usciva solo un flebile lamento: - Aiuto......- .Le
voci dei poveri fiori arrivarono agli uccelli che vivevano sulla splendida acacia del giardino: i
messaggeri alati allora, volarono nel cielo più alto, dove le nuvole scure si erano andate a
nascondere. -Coraggio, datevi da fare! I fiori del nostro giardino stanno aspettando da giorni
dell'acqua per dissetarsi! Correte, c'è bisogno di voi....- I nuvoloni grigi cominciarono a rincorrersi,
giocavano a scontrarsi con le masse d'aria calda, le spingevano via, come bambini che litigano per il
posto in prima fila. Ed ecco... finalmente si condensarono le prime goccioline d'acqua, che caddero
pietose sulla natura riarsa. I fiori del giardino alzarono le loro corolle colorate al cielo, aprirono le
loro foglie ed i loro petali per accogliere la pioggia tanto agognata..... che sensazione meragliosa! Si
sentivano rinascere, mentre finalmente si dissetavano..... E tutto il giardino era inondato di nuova
energia, pronto a risplendere rigoglioso al sole di un altro giorno.
Quale può essere più sincera della mia voce, dopo che per anni ed anni, sono stato qui, a guardare le
stagioni scorrere ed andare via, ho visto temporali allagare i terreni a me circostanti, ho visto nevi
che hanno ghiacciato le mie profonde radici, ho subito giorni e giorni di siccità e calore e venti tanto
impetuosi da spogliarmi totalmente delle mie meravigliose foglie variopinte.....eppure sono qui; da
sempre, per vedere la vita che nasce e muore in ognuna delle sue forme dalla più insignificante di
un semplice seme che, crescendo diventa un filo d' erba, a quella più spettacolare di una magnifica e
imponente farfalla. Io sono qui da sempre, per far capire all' uomo che la natura è da rispettare e
curare, perchè la natura può essere vita ma anche distruzione, perchè tutto quello che ci viene
donato dalla natura è un meraviglioso regalo da custodire e proteggere; perchè tutto quello che oggi
possiamo vedere ed ammirare, un giorno, magari non molto lontano, potrebbe essere un ricordo che
le nuove generazioni non avranno l' onore di poter vedere......
Nanna è una giovane farfalla con grandi occhioni curiosi e le ali coperti di tanti colori vivaci.
Continua ininterrottamente a svolazzare da fiore in fiore,scegliendo tra i più colorati,e quando trova
il colore da lei amato,si posa con tanta delicatezza rotolandosi tra i petali,perchè è convinta che i
suoi bei colori siano dovuti ai fiori. Già si immagina il suo pensiero " Care amiche,anche oggi
dovete regalarmi i vostri fantastici colori,così che io possa mostrare tutta la mia bellezza,esibirmi in
danze da sogno,mostrare le mie ali dipinte come solo un artista sa creare,dare ispirazione a pittori
che mi vorranno ritrarre e immortalarmi nelle loro opere." Nanna era molto vanitosa e riservava
poco interesse per le sue coetanee,che invece amavano divertirsi e svolazzare inseguendosi in
libertà e allegria,le guardava con superiorità,e pensava "Non avranno mai la mia bellezza,sono tanto
banali che non attirano nemmeno attenzioni,pensano solo al divertimento.Meglio così,sarò sempre
io la sola bellissima che avrà sempre i migliori colori" E così continua a cercare tra campi e prati i
fiori migliori per lei. Ma passa il tempo e sente sempre le risatine delle altre farfalle che si divertono
mentre lei è sempre indaffarata nelle ricerche.Non capisce...non capisce perchè pensano solo al
gioco,non capisce perchè non tengono ai loro colori e alla bellezza! Senza rendersi conto,rimane per
un po a guardarle,vede le loro danze,i loro voli,i loro inseguimenti.Ma vede in particolare una cosa
che lei non ha.La felicità e l'allegria. Di colpo si accorge che è sola,per ricercare la bellezza ha
escluso tutto il resto. Un battito leggero la scuote,e accanto a lei una farfallina,anch'essa colorata, gli
occhi vivi,felici,che con un sorriso le chiede "giochi con noi?" D'impulso risponde di si.All'inizio
segue timidamente,poi sempre con maggiore sicurezza.Si sta divertendo,svolazza con le altre
ridendo e finalmente si rende conto,che la bellezza non è tutto,e tutte sono belle
A pochi metri da un albero c'era una distesa di rose rosse, ma un bel giorno non molto distante dalle
radici dell'albero sboccio una rosa bianca. Mentre tutte le altre rose la prendevano in giro dandole la
colpa per il suo colore, l'albero al contrario era attratto da lei proprio per quel suo aspetto candido.
Decise di parlargli ma la sua voce non arrivava cosi lontano, quindi provo' con tutte le sue forze ad
avvicinarsi a lei ma non poteva le sue radici non glielo permettevano. Sentiva che doveva fare
qualcosa per avere la sua attenzione e fargli capire che non era sola, quindi inizio' a scuotendosi
finché qualche foglia non cadde proprio vicino a di lei. Lei accortasi di lui fece cadere un petalo
sulla foglia cosi' anche se lontani ebbero il loro primo contatto. Gli anni passavano e l'albero sentiva
che doveva fare qualcosa quindi in una giornata di vento forte e pioggia torrenziale inizio a
dondolarsi sempre più, sentiva ormai che le radici non lo trattenevano al suolo e cadde a terra. Ora
era sicuramente più vicino alla sua rosa ma ancora troppo lontano ed essendo grande e pesante per
potersi spostare verso di lei, quindi provo' a farsi sentire da lei, chiedendo a lei di avvicinarsi a lui...
ma lei era abituata a vederlo dall'alto quindi doveva modificare le sue abitudini e non ne aveva più
le forze. Ancora una volta l'albero testardo non volle arrendersi e gli disse aspetta li, prima o poi ci
sara' un altro temporale con pioggia e vento e faro' il possibile per avvicinarmi a te... devi solo avere
la forza e la voglia di aspettarmi. Lei non disse nulla e l'albero sta ancora aspettando che quel
temporale venga presto.
Pomeriggio sospeso
47
di Enrica Alisio
Il cielo è coperto da una caligine lattea, fa caldo, neanche una cicala ad alleggerire l'animo....non si
muove un filo d'erba. Passo tra i filari spossati dell'orto e raggiungo le rose, anche loro sono
avvilite, il loro profumo stenta a raggiungermi. L'ibisco china i boccioli, i lilium resistono
attendendo la pioggia...e finalmente da lontano un tuono! Alzo lo sguardo al cielo e finalmente vedo
un pò di colore, il grigio azzurro delle nuvole cariche d'acqua promette sollievo...e al cadere delle
prime gocce tutto il giardino finalmente respira, si rianima, il profumo della pioggia si mescola a
quello ritrovato dei fiori. Non ho bisogno di correre al riparo, voglio essere parte di questo
rinascere, di questo nuovo soffio di fragranze che ridà senso alla mia mezza estate.
<<Amerei sentire il vento sfiorarmi la pelle. Amerei poter sentire la pioggia che mi bagna il volto
con la sua leggerezza. Amerei anche il profumo dei fiori che mi circondano. Riuscire a muovermi
con leggiadria danzando con questi alberi. Distendermi su un prato verde guardando le nuvole che
passano. Poter entrare in quello stagno limpido bagnandomi le bianche gambe. Potrei amare così
tante cose.. ma soprattutto amerei sentire il cuore scoppiare dentro il mio petto, l'aria fresca riempire
i miei polmoni, il sangue scorrere nelle mie vene, il sole riscaldare la mia pelle, una mano amica
sfiorare il mio volto, delle lacrime salate scorrere sulle mie gote ..ma purtroppo neanche
quest'ultimo privilegio è concesso a me che non proverò mai nessuna emozione umana. Cuore di
pietra il mio, come le mie labbra, i miei occhi ed ogni altra parte di me. Voi uomini non vi rendete
conto della fortuna che avete, una vita di emozioni e sensazioni che certe volte vi dimenticate di
vivere.. ma che continuerò sempre ad invidiare, osservandovi da lontano rimarrò qui, in questo
meraviglioso giardino.>>
Attraente Orchidea
49
di Sara Rota
L'Orchidea più bella che avessi mai visto, ospite del mio giardino, mentre la osservavo incantata ha
iniziato a parlarmi in modo sensuale e dolce... "Vieni qui da me, avvicina le tue mani e sfiora i miei
sepali vellutati ed armoniosi, fingi siano le labbra del tuo innamorato ed assaporane l'aroma, il
respiro e fanne parte del tuo cuore, della tua carne... Lasciati avvolgere nell'abbraccio del mio stelo,
mentre le mie foglie ti accarezzano il corpo meravigliosamente quasi fossero le mani del tuo amore
intento ad esplorare la tua femminilità... Voluttuosa meravigliosa in carne ed ossa fammi tua
nell'essenza dell'amore puro... ". D'incanto mi sveglio ed ancora estasiata guardo il mio fiore
preferito che nel suo splendore sembra sorridermi.
Di pietra
50
di Camilla Preziati
Immobile. Come lo ero sempre stato. Di fronte a questi profumi e ai rumori di una natura in pieno
risveglio primaverile guardo tutto senza poter far nulla. E sì che son Dioniso, dio del vino e
dell’allegrezza. Dovrei poter gioire, festeggiare, danzare. In pieno giorno così come al chiaro di
luna. Invece eccomi qui, una pietra su un basamento in pietra, a reggere un grappolo d’uva che non
potrò mai addentare ne tantomeno spremere. Se è vero che non posso muovermi, riesco però a
guardare e sentire, con le orecchie e con il naso. Quell’inebriante gelsomino, ad esempio, non fa che
solleticarmi l’olfatto. Per non parlare del leggero e continuo frinire dei grilli che cantano come
diretti da un maestro invisibile. Oh, farfallina, che ti sei appena posata sul mio braccio, sarai forse tu
a regalarmi un po’ di movimento. Che fai? Ti sfreghi le ali per prenderti beffe di me? Ah, e adesso
voli pure via lasciandomi sulla superficie una strana polverina. Che succede? Perché in quel punto
in cui ti sei posata sento uno strano pizzicorio? Credo stia accadendo qualcosa di innaturale. Mi
sembra quasi di poter muovere quel braccio. Ma cosa sto dicendo? Impossibile. L’immobilità è il
mio stato di natura. E invece non sto proprio sognando. Il grappolo che tenevo in mano mi è caduto.
Ora provo ad allungarmi... Preso! Miracolo, posso muovermi! Non resisto, voglio visitare questo
bel giardino in cui mi han messo. Chissà che non scopra altre meravigliose piante e fiori.Guarda un
po’ dietro a quel cespuglio… una magnifica orchidea. Il suo colore è quasi ipnotico. E quanti uccelli
si posano sui rami delle piante. Alcune avranno almeno 50 anni. Guarda un po’ cosa c’è là
nell’angolino. Un bel ciliegio carico di frutti. Chissà se qualcuno si accorgerà se ne prendo un
paio… Aih, ma cosa mi è caduto in testa? Una pigna? Ma non ci sono conifere qui… Non riesco più
a muovermi, cosa sta succedendo? Oh, no! Ma sono al punto di partenza! Accidenti, era solo un
maledetto sogno. Farfallina, torna...
E'l'ora del solito happy hour.Priscilla,la ragazza dai riccioli corallo,sta per arrivare per il mix di
acqua che rinfrescherà la giornata.Nel frattempo Rosetta,la rosa appena sbocciata sta
chiacchierando con la farfalla Trini,che dopo aver passato una mattinata in giro per la città,molto
provata,si confida con la sua nuova amica.Lì vicino,Celeste,la foglia dell'albero di menta,non può
far a meno di origliare la questione.Questo attira l'attenzione anche di Mario,l'albero di limoni,e di
Jack,la statua di gesso,che erano intenti a dialogare sulle loro solite questioni sull'inquinamento
ambientale.Mario si crede il paladino del mondo e Jack come al solito lo porta con le radici per
terra. "Cosa fai Celeste?!Sai che non si origliano le conversazioni altrui"dice Mario "Non posso
farne a meno,non senti come grida Trini"dice Celeste Allora incuriositi anche loro cercano di
entrare nella conversazione. "Trini. Priscilla.E'successo qualcosa?"si fa avanti Jack e poi
incalza"Sai che siamo amici da sempre con noi ti puoi confidare" Tenera si volta e singhiozzando la
piccola Trini dice"Amici qualcuno oggi voleva farmi del male. Mi hanno catturato con una rete.Ero
terrorizzata.Non ho fatto tempo neanche a pensare che mi sono ritrovata nel palmo di una mano.E
mentre mi stavano rinchiudendo in una scatola oscura sono riuscita a scappare.Ma ora le mie ali
saranno sgualcite per sempre" All'udire di quanto appena detto tutti hanno un sussulto,ma tutti le
danno il loro conforto "L'importante è averti qui"dice Rosetta "Noi ti staremo vicino"dice Mario
"Calmati,ci siamo noi a volerti bene"dice Jack. Quando all'improvviso il dormiglione di
Pier,ingente libro di saggezza,si sveglia.E sentendo la conversazione non può far a mano di
intervenire in soccorso dell'amica. "Trini,ricorda.Le ferite sono segno di vittoria e vanno portate con
orgoglio.Tu oggi hai vinto.Guarderai alla vita con ancora più forza,nulla al mondo avrà mai il
potere di toglierti il sorriso,quindi sorrisi amica"
Il limone di Pantelleria
52
di Antonella Terranova
Sono un semplice albero di limone e le giornate passano nella solitudine più totale perchè io sono
prezioso e devo essere protetto dai venti che provengono da luoghi misteriosi e lontani.Infatti abito
in un piccolo giardino di forma circolare recintato da mattoni e quasi sempre sono isolato.I più
fortunati sono in quattro -cinque, ma la sorte ha deciso che io sia da solo per sempre.La sola
compagnia sono gli uccelli che mi vengono a trovare ma a volte non ci capiamo perchè parlano una
lingua straniera.I miei limoni dicono che sono preziosi perchè raccolgono tutti i profumi del mare e
di questa terra bellissima e selvaggia.Dicono che Pantelleria sia un'isola magica e
misteriosa,selvaggia ma piana di profumi e vitalità ,ma io non l'ho mai potuta vedere perchè vivo in
questa gabbia di mattoni.In compenso ne posso sentire i profumi.Infatti i vigneti che mi circondano
emanano un profumo dolce e l'uva che si raccoglie e si fa essiccare al sole per preparare il passito
emana una miscela inebriante e magica.In compenso i miei frutti sono preziosi e ricchi di sapore e
gusto , ma quanta sofferenza e dedizione per un limone!!!!!!!!!!!!!
Un soffio
53
di Nadia Guerreschi
Mi fai solletico dai! Smettila! Se non fosse perché mi sento morire al solo guardarti! Mi prende la
tremarella appena immagino sia l’ora del tuo arrivo. E’ proprio vero che l’amore non ha eta’! Mi
perdo nei tuoi colori, nella danza del tuo volo nella delicatezza con cui ti posi su di me e..lo
ammetto sono geloso, geloso da farmi male se lo fai con qualcuno qui,vicino a me. L’importante e’
non saperlo, l’importante e’ credere che lo fari ancora e ancora per me. Mi sembra addirittura di
percepire un profumo poco prima ma forse e’ solo perché il suo passaggio illumina tutto e scuote
appena i fiori di cui ti degni saltuariamente. Lo so che le nostre strade si incroceranno per pochi
giorni appena ..che cercherò il tuo volto in altre ancora dopo…. Ma questo e’ il mio destino ed il tuo
lontani. TI AMO. Non importa se per poco non importa se non sarai tu e amerò tue fotocopie.. So
che e’ solo per una settimana una settimana cosa si fa normalmente in una manciata di giorni? Per
quelli come me quasi nulla se non desiderarti. Per quelle come te tutto. Si bruciano le tappe si vive
intensamente ogni fascio di luce ogni respiro ogni amicizia ogni viaggio. Abbiamo ragione
entrambi…. Io passero’ il resto dei miei giorni qui immobile a vedere ogni cosa che gira intorno:
pianti baci, sorrisi ,calma, o corse Tu a correre all’ impazzata per vivere… Quale sara’ il vero modo
amore mio farfalla? Il tuo busto di Montreaux
Ulivo mio
54
di Isabella Misurelli
Io credo di non ricordare mai di due amanti sdraiati sotto i miei piedi colti dall’amore. Chi ci viene
qui a fare camminate con passi senza pensieri, con abiti pastello e trasparenti ? Nessuno.Nessuno e
venuto mai qui a raccogliere i miei frutti con una mano delicata. Ci battono e ci scuotono perché
siamo duri anche in quello, nel lasciar andare i nostri frutti. Olive amare, attaccate con egoismo al
proprio albero.Dov’è il romanticismo, dov’è la poesia. No, non ce l’abbiamo.Penso che vorrei
essere un salice, un albero da veduta, da abbellimento.Ho scoperto di non sopportare gli esseri
umani. Forse se fossi un salice sarebbe diverso.Vengono qui e con la testa alzata mi guardano :”
Dacci pane, porta frutti.”.Se dovesse dipendere da me, non so se li sfamerei. Che senso ha un
uomo? Nessuno, come nessun senso ho io. Sono sicuri di avere una destinazione suprema, ma la
loro vita è casualità, come è casuale che io sia nato proprio in questo punto preciso di terra.No, non
li invidio.No, non ho le gambe. Rimango fermo ed è la vita che mi gira intorno.Sento una profonda
libertà nella mia solitudine.Sento che ogni ramo tocca l’infinito della storia di questo mondo.Non ho
bisogno di rincorrere la vita. Tutto scorre dentro di me e almeno una volta è passata da qui, davanti
a me, ogni esistenza formata e deformata.Poi qualcuno arriva e dice che mi devono mozzare la
testa. Devi morire tu, malato e contagioso, perché altri mille devono salvarsi. E’ giusto, è sbagliato,
chi ci capisce niente. Un’altra casualità.Mi dico che no, non voglio fare l’eroe, non voglio fare il
povero a cui viene chiesto anche di andare in guerra. E poi succede che passa da qui sotto una
donna con dentro con dentro gli occhi tutto l’universo. Mi guarda e mi dice:” Io ti salverò, io ti
salverò”, come se volesse salvare se stessa. Mi innesta dei rami…come se ti mettessero le mani di
un altro.Così mi ritrovo a sperare fortemente che si sbagli e mi trasformi in un salice.
Occhi di pietra
55
di Cristina Risso
Sono un nano di pietra e sto in giardino. Immobile, passo le giornate ad osservare il salice davanti a
me. Tutt'intorno l'erba è ben curata e soffice. Lei arriva quasi giornalmente e si siede all'ombra
dell'albero. E' sempre sola, è spesso triste. A volte mi fissa con quegli occhi stupendi che varie volte
ho visto cerchiati di nero. Anche sulle braccia e le gambe ha spesso segni violacei. Piange, in
silenzio, ma poi torna con nuovi lividi. Devo attendere la pioggia per piangere insieme a lei. I miei
occhi di pietra non sanno lacrimare. Di notte chiedo alle farfalle del giardino di posarsi sulle sue
spalle. Domando al salice di farle dolcemente ombra e agli insetti di starle lontani. Questo luogo è il
suo rifugio. Sono sicuro che un giorno arriverà ridendo. Per mano avrà un nuovo amore e negli
occhi la luce della vita. Devo solo attendere e sperare, con i soliti occhi di pietra e il cuore che batte.
Il viaggio è stato estenuante tra il caldo ,la strada piena di curve e la scomodità del furgone ,ma
finalmente siamo arrivati.Sono un ortensia rosa e le mie sorelle sono color glicine e blue e ci hanno
mandato nel giardino di una signora eccentrica e decisamente elegante.Al nostro arrivo le
margherite ci hanno salutato timidamente mentre le rose non ci hanno degnato di uno sguardo e non
so perchè.Alla fine ci hanno sistemato in mezzo al grande viale dentro enormi vasi in bella vista.I
primi giorni le preziose statue sono state le uniche che ci hanno accolto calorosamente mentre le
altre piante e fiori ci hanno rivolto un semplice saluto di cortesia.Le grandi quercie che
fiancheggiano la collina ci hanno spiegato che siamo grandi e maestose e piuttosto appariscenti e gli
altri fiori sono messi in ombra da noi. Ma io e le mie sorelle non abbiamo colpa se siamo più grandi
di tutti gli altri fiori ,in fondo abitiamo nello stesso giardino, e dobbiamo convivere con
cardialità.Con il passare del tempo le cose sono migliorate,infatti le rose e il gelsomino ,nonchè i
gerani e le margherite si sono avvicinati e hanno capito che siamo solo grandi ma apparteniamo alla
stessa famiglia senza invidie o gelosie.Infatti il profumo del gelsomino è inebriante e non deve
essere geloso di quello delle rose.O la semplicità della margherita non delle essere gelosa della
maestosità di noi ortensie.
Seguendo la brezza
57
di Sara Franchin
Mi è sempre piaciuto passare di qui, nelle sere animose d’estate e nel silenzio ovattato invernale.
Chi sono io? Io sono la brezza gentile che spira in questo giardino e danzando raccoglie i pollini, io
sono il respiro che scivola in flutti sinuosi tra gli steli delle piante, che crea il fruscio tra le foglie e
che porta i profumi lontano. Tu umano non mi puoi vedermi ma io veglio sulla natura che ti
circonda e quest’oggi sarò la tua guida. Lo vedi quel magnifico roseto ad arco lì? Puoi udirle?
Stanno parlando, parlano sempre d’amore. Eccoci. Ti presento: Scilla, Dalia, Begonia, Gerbera e
Primula. Simpatiche vero? Leggermente pettegole però, non fanno altro che chiaccherare di questo
o quell’altro bulbo o dell’ultima tendenza in fatto di lato di crescita. Il luogo della pace e della
saggezza è quello: il piccolo bosco. Sai, qui vivono gli alberi più anziani, è raro sentirli parlare ma
ogni tanto puoi udirli muovere. Credo rispecchino i vostri, di anziani. Come dici? Che i vostri, di
vecchi, camminano? Ma anche gli alberi camminano! Non si possono vedere, però, perché
camminano nelle profondità della terra. Seguimi, proseguiamo e lasciamo i taciturni; andiamo dai
giovani alberi che crescono sparsi per il prato, ma attento a non cercare dell’ombra sotto il Pino!
Sai, è giovane ed in quanto tale giocherellone, ama far cadere le pigne in testa a chi cerca un
momento di riposo sotto le sue fronde. Vieni invece da Magnolia che ama colmarmi con il suo
magnifico profumo, un profumo sensuale e delicato che porto agli amanti affinché lo custodiscano
nella loro memoria dei momenti felici. Di chi sono queste risate felici? Vengono da quella piccola
aiuola di Petunie. Perché ridono? Beh ma perché sono contente. Non capisci il motivo? Te lo dico
io: ridono perché sono felici di non essere state calpestate dagli umani anche oggi visto che si
trovano in quel punto vicino l'uscita. Torna ancora a trovarmi, ti farò parlare con altre piante di
questo giardino, se vorrai.
Giuletta si era stancata di essere solo una statua immobile, ancorchè si trovasse in un giardino pieno
di fiori coloratissimi e profumati. Chiamò, allora, tutti i suoi amici per organizzare una grande festa.
Essi ne furono entusiasti e subito si misero all'opera. Dovevano accontentare , a tutti i costi, la loro
"custode". Persino la talpa uscì "allo scoperto" e con il suo mustto sistemò per bene tutto il terreno.
Le formichine operose portarono tante mollichine di pane da formare una grande pagnotta. Il
coniglietto donò le sue tre carote che custodiva gelosamente per sè. I due topolini si privarono, con
gioia, del loro profumatissimo formaggio. Le api laboriose raccolsero tanto dolcissimo miele dal
proprio alveare e lo portarono in dono. Le foglie degli alberi si accartocciarono forte forte
producendo tanta linfa da bere. L'albero di mele si scosse e fece cadere tante buonissime mele rosse.
Anche il riccio volle rendersi utile e, con i suoi aculei, rastrellò e pulì un bel pezzo di giardino su
cui le rose, con i loro petali, formarono e stesero una variopinta tovaglia su cui poggiare il cibo.
Tutti, allora, si misero seduti al posto loro assegnato con le ghiande portate dallo scoiattolo.
Sembrava tutto perfetto! Giulietta, però, voleva anche la musica! Ecco, allora, che gli uccellini
cominciarono a cinquettare a squarciagola e gli usignoli a cantare una bellissima sinfonia, sulle cui
note ballavano e volteggiavano nel cielo tante leggiadrissime farfalle. E siccome era all'imbrunire,
anche le lucciole vollero dare il loro apporto alla festa, facendo brillare tutto e tutti con la loro luce.
Che meraviglia !!!! La festa riuscì alla perfezione e la serata, per Giuletta, fu davvero
indimenticabile ! Commossa ringraziò , con tutto il suo cuore, i suoi carissimi amici che le avevano
dimostrato di volerle veramente un gran bene !
Amici
59
di Giada Girotto
Finalmente una leggera brezza di vento, dopo il sole caldo di tutta la giornata. Le stelle ormai
brillano nel cielo e le bimbe dormono avvolte nelle fresche lenzuola di cotone. Ed ecco il momento
in cui il giardino può riprendere vita.. di giorno si sa, con le bambine che corrono nel prato
purtroppo non si può chiacchierare e solo la notte si ha un po’ di tranquillità per lasciarsi andare..
eccola qui puntuale arrivare la farfalla che sembra brillare come se fosse rivestita d’oro. Si posa
dolcemente sulla guancia della statua che erge in mezzo alla fontana, quasi come darle una carezza..
“ehi ben arrivata piccolina” disse la statua facendole l’occhiolino.. il vento sembra aumentare e i
rami dell’albero iniziano a danzare in un ballo sinuoso.. “Ragazzi mi sa che stasera finalmente si
respira!” disse l’albero..una quercia secolare da tutti ritenuta la saggia del giardino.. abbassando lo
sguardo vede due piccoli occhietti incuriositi che sembrano osservarla con stupore.. è una piccola
fogliolina, la prima di una pianta di melo che il fattore ha piantato da poco in giardino, proprio
vicino alla pianta di rose, dove rimane una rosa un po’ stropicciata.. la proprietaria ha tagliato tutte
le altre il pomeriggio per farci un bel mazzo lasciandola lì perché ritenuta brutta.. Una vera fortuna
per lei, che però ora piange per aver perso le sorelle e gli amici del giardino animato non sanno più
come fare per cercare di asciugarle le lacrime.. Farfalla le si avvicina, quasi come volerle dare un
abbraccio e le dice che andrà tutto bene.. Saranno loro la sua famiglia..perchè si sa..i veri amici ci
sono sempre soprattutto nel momento del bisogno.. La rosa, le sorride e sa che ora i problemi sono
solo che all’inizio..il fattore ha deciso di distruggere il giardino per creare un nuovo campo.. occorre
fare qualcosa per salvare loro e la loro casa.. cosa potranno fare i nostri amici?
Eccomi....oggi inizia e finisce la mia vita, ma ho deciso di passarla in mezzo al giardino più bello
che esista: quello di casa mia. Con me ci sono anche le altre sorelle farfalle: volteggiamo sopra dei
fiori dai molteplici colori e beviamo dai loro calici. Inebriate dal loro profumo volgiamo il nostro
sguardo verso un cielo all'apparenza limpido, ma che a ben guardare, nasconde dei nuvoloni bianchi
all'orizzonte. Mi appoggio sulla spalla dell'unico putto presente ai bordi di un'aiuola: é di cemento e
il suo sguardo é triste, ma avvicinandomi al suo orecchio gli sussurro di essere felice perché lui
starà in quel paradiso ancora per molto molto tempo. Lui mi guarda e allora accenna un sorriso di
circostanza, ma non sembra esserne convinto. Anche la pianta di acero dai riflessi ramati posta ai
bordi del giardino ci ascolta, mentre le sue foglie si lasciano trasportare da un leggero vento, inermi,
come se fossero prive di linfa. "Toc, toc, toc": lo sapevo sta cominciando a piovere...ma a ben
pensare un po' d'acqua non potrà che rinfrescare questa calura estiva. Però devo stare attenta che le
mie ali non si bagnino: mi riparo allora sotto le mani del tiglio, così alto e così longevo. Lui si
risveglia da un breve risposo e sospirando dice che mi invidia perché lui dovrà rimanere in quel
giardino ancora per molti molti anni. A questo punto dovrei ritenermi fortunata: sembra che tutti
preferiscano la caducità della mia vita alla loro. Forse hanno ragione: meglio vivere solo per un
giorno di vera felicità che per un'eternità di dolore. Ma forse sto solo ancora sognando...
"Pino" prigioniero
61
di Adele Maria Lorella Bertozzo
Mi chiamo Pino e sono un bellissimo e alto pino che si trova nel cortile erboso di un asilo. Lo so di
essere bello perchè me lo sentivo dire spesso dai bambini che mi giravano intorno, giocando e
ridendo allegri all'ombra delle mie fronde. Ogni tanto partecipavo ai giochi e facevo cadere ai loro
piedi un pò delle mie pigne che prontamente si trasformavano in piccoli strumenti di gioco quasi
diventassero loro stesse dei giocattoli animati ogni volta diverse. Tutto questo non accade più
perchè mi hanno messo un alto recinto attorno; per proteggermi dicono!!! Ma io non sono mai stato
in pericolo ed ora mi sento tanto solo e guardo tra le sbarre con tanta nostalgia i miei piccoli amici
giocare senza di me. Vi prego avvisate qualcuno che venga a liberarmi e io prometto che mi
comporterò bene e non lascerò nessun bambino senza le mie pigne "giocattolo". Con affetto. Pino.
Il profumo dell'amore
62
di Daniela Baghino
Quante cose ho visto e udito, in questo piccolo giardino nascosto nel retro della villa. Nei miei molti
anni di vita, visibili in tutti i miei cerchi, ho sentito e conosciuto care persone. Ma lui, il mio caro
vecchio amico, é sempre stato quá. Da bambino, il piccolo Ernesto giocava spesso sotto la mia
all'epoca piccola chioma, che lo rinfrescata dai torridi caldi. Rimase in questa casa da sposato, e la
sua spensierata allegria svaniva, assistendo alle morti premature dei figli. Piantò due alberi
concimati dalle loro ceneri, e, ogni giorno, con gli occhi sempre più stanchi e depressi, si siede
all'ombra delle loro chiome, e in silenzio gli tiene compagnia. Odora il vento che li accarezza, e se
ne riempie i polmoni come un padre fa quando abbraccia suo figlio. E non mi stancherò mai di
sentire i miei vicini alberi sussurrare, tra i sibili del vento, un lieve "siamo con te" dedicato al loro
papá. Sono quasi certo che lui li senta, e che questo sia il motivo delle sue lacrime. Nella mia vita
da quercia, ho sentito davvero l'odore dell'amore.
La panchina
63
di Francesca Romana Tocci
Sono un panchina nel cuore di Roma, anzi lo sono diventata. Sono di ferro, ma non quello levigato
delle solite panchine, bensì quello che gira veloce su se stesso e s’intreccia in quadrati e fa di me
una rete resistente per le fondamenta delle case, soffocata dal cemento e che quando emerge dagli
edifici diroccati da un senso di squallore. Sono una panchina, come dice la signora che mi ha voluta
a casa con lei. Di me gli piace quel ferro così crudo, i quadrati che si elevano a cubi e formano
sponde, spalliere e un ripiano da usare come seduta, che lei ha reso confortevole con un bel cuscino
pieno di quei fiori che tanto ama dipingere. Di me, non ha colto la durezza ma la semplicità, il
rotolarmi su me stessa, il passaggio d’aria da ogni dove e il mio colore, un’altalena tra moderno e
antico, che lei protegge con uno smalto simile al suo. Mi ha sistemato in un posto d’onore nel suo
giardino, proprio al centro di una spalliera di verde. Sono tra tre limoni, una rosa dell’800 dal colore
del suo nome, un profumato rampicante che si crede un gelsomino, briosi fiorellini fucsia di cui non
ricordo mai il nome, un glicine che si sveglia in primavera e diventa invadente, dei fiori bianchi che
stanno anche a Villa Borghese, un mirto della sua amata Sardegna e l’ibisco rosso che si diverte a
fiorire quasi tutto l’anno. Sparse qua e là porcellane dipinte con cura da lei e lucine natalizie che
accende la sera – anche se non è Natale- per farmi allegria quando guardo all’ insù. Per ripararmi ha
messo alle mie spalle una pianta verde screziata di bianco e ha fatto sì che mi abbracciasse.
Avviando i suoi rami nel mio labirinto, salendo e scendendo mi ha profumatamente vestita e quando
soffia il ponentino, oltre al suono dei bambù, sento un profumo simile all’ incenso che emana il mio
verde vestito. Le divertiva l’idea di sentire quell'essenza fuori da un luogo sacro e diverte anche a
me! Io sono una cosa che ha fatto un’altra cosa e sono a tutti gli effetti una panchina.
Sono qui che aspetto. Tutto si muove e muta attorno, più di quanto io possa vedere, confinato e
protetto da queste vecchie mura. Un tempo l’edificio e la campagna che mi circondano erano meta
di giornate festive in famiglia: giungevano in calesse, carichi di suoni e tielle di pasta avvolte in
doppi canovacci. Godevano dell’acqua del pozzo mio vicino e dei fiori semplici con pedigree (la
margherita di Lucia, la bella di notte di Angelichina) residenti, come me, nel piccolo cortile chiuso.
Le destinazioni festive, con l’automobile, si sono fatte più distanti ed io ero sempre lì, mentre i fiori
con pedigree cedevano il posto ad invadenti erbe senza storia. Anche il pozzo è ammutolito, chiuso
da un pesante sportello ferroso. Un papà e la sua bimba venivano talvolta, il tempo di una
passeggiata. La bimba adorava i miei luoghi: l’odore intenso dei fiori di camomilla; inerpicarsi sui
gradini di pietra malmessi e giungere sul terrazzo biancastro per perdersi nella vista del mare
all’orizzonte. Adorava, però, sopra ogni cosa, me: un albero di bergamotto chiuso in un piccolo
cortile. Tanti gli alberi fuori nei campi; di ciliegie, albicocche, fichi, mandorle, olive, tutti generosi
di frutti squisiti. Ma io ero un esemplare esotico e prezioso ai suoi occhi, solo prodigo di un
inebriante profumo dolciastro. Per i giorni di ferie, con l’aereo, le mete si sono fatte ancora più
distanti. Il tempo della mia attesa, invece, si è dilatato. Paziente, mi sono rallegrato delle sporadiche
visite del contadino che si è preso cura dei campi circostanti. Ora anche il contadino non viene più.
Tuttavia ho imparato dell’interminabile abbondanza del tempo. So che una gradita visita mi aspetta.
La bimba, ora adulta e lontana, non mi ha dimenticato, la mia essenza è in lei vividamente impressa,
e presto condurrà da me i suoi figli, nella speranza di dar vita in loro, nativi digitali delle infinite
possibilità e del tempo annullato, alla coscienza dell’unicità e dell’attesa.
Ape gp
65
di Silvia Borghi
Eh niente, è successo che sono andata a sbattere su una rosa. Veramente l’idea originaria era di
girare un po’ attorno a tutto il perimetro del giardino, prendendo la rincorsa e, quindi, cercare di
battere il record di velocità sul giro secco. Ma, mentre tentavo l’impresa, qualcosa è andato storto.
Forse è stato il vento, non ci si può mai fidare delle folate improvvise! Per fare il record bisogna
prendere le curve strette, rischiare il tutto per tutto, sperare che nessuna condizione, climatica e
mentale, vari. Così ho fatto: sono partita dallo start proprio di fronte alla tribuna dei gladioli, ho
virato con inclinazione al 67% alla curva dei tulipani, accelerato a basso regime al rettilineo dei
gerani e stavo per aprire definitivamente il gas quando… prima con un’antenna, poi con un’aletta,
ho urtato dei petali alla collinetta delle rose. Lo scontro mi ha catapultata come una molla e sono
caduta di pungiglione pieno dentro la corolla di una margherita, impiantandomi per bene nel
capolino! Ora sto aspettando che arrivi l’ambulanza a tirarmi fuori e nel frattempo ho fissato un
petalo alle antenne per ripararmi dal sole, assaporo il venticello sulla pancia e mi godo un po’ di
fresco e corroborante nettare! Salute a voi tutti dall’Ape gp!!!
Chiacchiericcio in giardino
66
di Luigia Rocco
E' un afoso pomeriggio di agosto. Alice non riesce a riposare. Si alza e scende in giardino con l'idea
di acciambellarsi sul dondolo e leggere un buon libro. Guarda con ammirazione la copertina e lo
sfoglia. - Sì - pensa, deve essere davvero una storia fantastica. Con avidità divora le prime pagine e
poi all'improvviso si ferma. Sente delle voci strane. -Sogno o son sveglia?- Tende l'orecchio ed
incredula ascolta. Sente una viola che parla- Io dice sono molto bella ed adorno aiuole e giardini.
Usano i miei petali perfino per preparare dei dolci. La margherita risponde-Io sono molto sfogliata
dagli innamorati, ho ispirato poeti ed artisti e do il nome ad una famosa pizza. Un candido giglio
riprende.-Io sono segno di purezza, sto tra le braccia di Santa Caterina e rappresento la città di
Firenze....chi meglio di me? -Zitti, zitti- dice il rosmarino-Io ho virtù curative, sono molto aromatico
e insaporisco piatti prelibati.-La smettete-ribatte la mimosa-Io ho un colore bellissimo, vengo
donata a tutte le donne e sono molto economica......basta strapparmi un rametto. Do perfino il mio
nome ad una famosa torta- Da lontano muovendo appena i petali con un filo di voce una rosa
ribatte-Io sono molto elegante e sono apprezzata da secoli. Vengo regalata per San Valentino agli
innamorati e sono cara alle mamme per la loro festa....di tutti i giardini sono la regina. Ad un tratto
però su di loro sovrasta un gorgoglìo d'acqua. E' una fontana che esasperata tuona -La smettete tutti
quanti di pavoneggiarvi? Decisamente se non lo sapete siete tutti belli ed importanti, ma ricordatevi
che senza Gastone siete una nullità. E' Gastone che con amore si prende cura di voi. E' lui che vi ha
piantati, vi zappetta, vi innaffia e vi coltiva con passione. Senza Gastone non siete niente perciò non
litigate altrimenti vi sradico da terra, vi affloscerete e morirete........per cui non bubbolate e riposate!
PINQUERCI
67
di Daniela Quercia
Ibisco
68
di Simona Cavaliere
Rosa. Visto da lontano non riuscivo a capire di che fiore si trattasse, o addirittura se fosse proprio
un fiore o i resti di un rifiuto abbandonato vicino alla campana per la raccolta del vetro. Un
quadrato di terra riarsa da questa estate prepotente, intorno fili stremati di erba secca costretti a
soccombere ad un cielo arido di pioggia e violento di sole. Ma lui era lì, con la corolla rotonda sullo
stelo corto, un piccolo ibisco arrivato chissà come e da dove e deciso ad abbellire, pur non
essendone consapevole, quello spazio altrimenti anonimo e lo sguardo di chi aveva la fortuna di
vederlo. Se fossi passata in macchina come tutte le mattine forse non lo avrei notato, ma, ahimè, in
attesa che il meccanico arrivasse a ridare vita alla mia macchina spenta, questa carezza di bellezza
inaspettata è comparsa a strapparmi un sorriso e la promessa di prendermene cura fino a quando
qualche nuvola clemente non si sostituirà a me facendo il proprio dovere di annaffiatoio. E così
ogni sera da quel giorno mi preparo come per un appuntamento importante, mi avvicino con la
bottiglia dell’acqua fresca e ristoratrice a ricompensare la natura di tanta gratuita e immeritata
bellezza, controllo i due nuovi boccioli pronti a schiudersi, ammiro il gambo snello ma robusto, le
foglie di un verde chiaro appena nato, fisso quel volto roseo che sembra così fiducioso nel futuro
delle giornate e delle stagioni e che, a modo suo, con la sua coraggiosa presenza, mi insegna a fare
altrettanto. E insieme all’acqua che scorre dalla bottiglia alla terra, per qui pochi secondi corre
veloce anche la fantasia, me lo immagino, e immagino me con lui, in un giardino stupendo, infinito,
in un dove senza spazio nè tempo, dove i raggi del sole non trafiggono come le frecce scagliate
dalla vita e la rugiada della felicità avvolge le piante e l’anima. Scesa anche l’ultima goccia,
restiamo ancora un momento, vicino alla campana del vetro, io e il mio ibisco.
I viaggi di Pan
69
di Annalisa Basilicata
Il sole stava ormai per tramontare portando con sé le scie di arancio vivido che avevano colorato il
cielo fino a quel momento. Pan lo aveva visto così tante volte calare tra i grattacieli, sempre dalla
stessa angolazione, che quasi aveva perso il conto. Non ricordava nemmeno più da quanto tempo
era lì. Dalla mattina alla sera centinaia di persone avevano tirato un sospiro di sollievo
adocchiandola da lontano, magari dopo aver fatto una lunga passeggiata. Si sedevano, si sdraiavano,
sperimentavano le posizioni più inconsuete ed il più delle volte si appisolavano con un libro tra le
mani e lo sguardo verso il cielo; in quei momenti Pan riusciva quasi a percepirne i pensieri,le
speranze. Peccato che nessuno avrebbe immaginato che lei, la panchina verde sotto la grande
quercia del Clear Garden potesse avere proprio come loro pensieri,speranze. Eh già, Pan avrebbe
tanto desiderato scrutare cosa accadeva lì dove il sole aveva appena terminato il suo arco nel cielo;
quanto avrebbe voluto liberarsi dei grandi e solidi fermi di cemento che la tenevano ancorata al
suolo e viaggiare, conoscere, scoprire. Chissà se un giorno ci sarebbe riuscita. RIpensò all'ennesima
giornata che volgeva al termine,al passare delle stagioni,ai bambini che tirando il braccio alla
mamma la pregavano di restare ancora un altro po', alle giovani coppie di innamorati pronte a
scambiarsi abbracci o a litigare per poi far pace con la stessa intensità, ai vecchietti solitari che per
ore intere restavano lì seduti con la speranza di raccontare a qualcuno il proprio passato e sentirsi un
po' meno soli. Pensandoci bene ne aveva ascoltate tante di storie, visto tanti bambini divenire adulti,
immaginato le prelibatezze che le signore avrebbero cucinato per il pranzo e i luoghi meravigliosi
che avevano fatto da scenario alle follie di gruppi di ragazzi in vacanza. Forse non serviva andar
lontano! Pan capì che si può viaggiare pur restando fermi.
Il volo
70
di Tamara D’Este
Un giorno di mezza estate, una farfalla sentì la fatica rendere pesanti le sue splendide ali. Decise di
riprendere fiato e si posò in un giardino vicino. La notò per primo un albero che subito la salutò
così:”Buongiorno! Che cosa ti porta in questo luogo abbandonato?” La farfalla rispose,
rabbrividendo alla vista di un albero con una sola foglia e anche quella pronta per
cadere:”Stanchezza, mi risposo e riparto:” Una rosa, o almeno quello che rimaneva di una splendida
rosa, vide la farfalla e si rammaricò:”Un tempo ti saresti posata sui miei petali rosso fuoco! Non
avresti resistito al mio profumo intenso, mentre ora….” Nel bel mezzo del giardino c’era quello che
rimaneva di una fontana con al centro un statuetta accerchiata da tanta edera che le lasciava scoperte
solamente una mano e la testa. Non profferì parola e la farfalla ne fu lieta. La rosa si rivolse alla
farfalla con quanta gentilezza le fu possibile per chiederle “Farfalla, tu che hai il dono di volare,
fammi un favore. Laggiù c’è un libretto logoro mi leggi una frase?” “Perché mai?” chiese la
farfalla. “C’è una frase che la padrona leggeva sempre ai nipoti, ma io non la ricordo più! Vorrei
risentirla prima di morire!” “Potrebbe essere il mio ultimo volo...e dovrei sprecarlo per questo?
No!” La foglia che non aveva finora parlato disse piano:”Non ho mai parlato perché qualsiasi lieve
rumore potrebbe farmi cadere e per me sarebbe la fine, ma ti prego accontentala…” e cadde al suolo
nel silenzio assoluto. La farfalla, senza più esitare, si alzò con fatica in volo e raggiunse le logore
pagine del libretto e lesse:“E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così
importante.” La rosa ripeté piano la frase, reclinò il capo e cadde. Entrò nel giardino una signorina,
corse alla statua ed esclamò:”Quante volte questa mano mi ha impedito di cadere nell’acqua! Oh
nonna non ci sei più, il giardino... Che peccato!” Una voce chiamò forte:”Rosa!” e lei se ne andò.
Il posto assolato
71
di Annalisa Spalluto
"Dov'è finito?" Le parole del grande ciliegio riecheggiarono in tutto il giardino svegliando gli altri
alberi. Il limone non era più al suo posto. La sera prima egli mostrava i suoi frutti colorati ed ora
non c'era più. Da quando era stato piantato lì, nell'angolo assolato, la quiete del giardino era stata
scombussolata. Non era un albero come un altro. Era un limone impaurito e taciturno. Non che al
ciliegio, il veterano lì, non facesse piacere. Ultimamente le calde giornate estive pugliesi lo avevano
sfiancato. Le sue foglie cadevano copiose e i suoi rami ondeggiavano stanchi alla leggera brezza
che arrivava dal mare. Gli ulivi erano poco più in la, non molto lontani ma il giusto per non sentirli
battibeccare tutto il giorno. Quando il mandarino iniziò a parlare, fece una smorfia legnosa. "Devi
sapere che Pasqua, l'umana, non fa mancare mai acqua e cure amorevoli. Vieni da lontano, da
dove?" Non era mai stato discreto il mandarino e di certo non gli mancava la sfrontataggine. " Da
un vivaio qui vicino". Il limone rispose seccato e ancora sotto shock per il trapianto nel nuovo
terreno. " Non credo tu lo conosca" Aggiunse infine con un tono perentorio. " Io si, ti ho visto
quando eri lì. " Il bouganville era anche lui un nuovo arrivo, di una pregiata varietà, non perdeva i
fiori come quello imponente all'ingresso della masseria.Per questo Pasqua lo aveva adottato senza
pensarci due volte. Adottato si. L'amore per i fiori e le piante di Pasqua era noto a tutti nel paese e la
masseria ai piedi della Valle d'Itria era meta di molti turisti curiosi. Riconoscere il bouganville
aveva dato al limone una certa tranquillità e presto anch'egli riuscì a farsi amare dagli altri alberi e
sopratutto dal ciliegio per cui non trovarlo quella mattina mandò in panico l'intero giardino. Cosa
era successo nella notte e perché nessuno se n'era accorto? Da quel giorno tutto cambiò.
I fiori del giardino erano scossi dal venticello di quella sera d'estate: "Oh finalmente un po' di
vento!" Esclamó Rosa seguita dal burbero Papavero: "Io amo il sole non sopporto il momento in cui
si avvicina la sera!" Tutti i fiori sentirono un flebile lamento e si girarono verso Orchidea chiedendo
perchè piangesse. "Sapete.. Voi state qui a godervi quest'aria mentre io sono continuamente
accompagnata dal pensiero della morte.. Potrebbe sopraggiungere in qualsiasi momento. Quegli
esseri dal linguaggio incomprensibile potrebbero strapparmi via per sempre da questa terra!" "Oh
ma dai non pensare a quegli stupidi umani!" Esclamó Papavero. Rosa accennó un lieve sorriso e poi
disse: "Godiamoci l'oggi, il domani è incerto, godiamoci questo momento insieme, questo giardino
ricolmo di amici e non pensiamo a loro. Non pensi che se sapessimo il giorno della nostra fine la
vita sarebbe ancora peggiore?" "Forse hai ragione Rosa.." Si rassegnó Orchidea. Il sempre ottimista
Girasole era voltato verso il sole, ma tutti, anche se non potevano guardarlo in volto, sapevano che
stava sorridendo come al suo solito.
Tagliafoglie
73
di Angela Colapinto
“Faranno mai pausa?” chiese la formica alla siepe. Da anni Delia osservava le stagioni passare
attraverso quella panchina. Dori era stata un incontro inaspettato, era arrivata lì con l’ultima
migrazione: voleva imparare l’arte delle tagliafoglie e Delia, in cambio di una piccola porzione del
suo manto, raccontava. “Ahi!” “Cosa c’è?” “Secondo te una suola sul muso fa bene?” cercò di
mettersi nell’incavo tra un sasso e l’atro. “Sembra che si siano stancati di litigare.” “Gli umani
fanno sempre così.” sospirò Delia “Ahi!” “Adesso cosa c’è?” “Ehi tu, smettila con quelle manine!”
Dori si avvicinò un pochino fino a mettersi al riparo sotto alla panchina: “Che succede?” “Ah
niente, lui non non parla e lei per sfogarsi gioca a m’ama non m’ama con le mie foglie.” “Forse
anch’io potrei...” era pronta a scattare. “Dori fermati, ti farebbe fuori in un batter d’occhio.” “Com’è
vedere la gente sempre di spalle?” “Stimolante.” Dori arricciò la bocca da un lato. “L’immobilità ti
apre la mente.” “Per me stare ferma è impossibile.” “Credo che anche per le tue compagne la nostra
amicizia lo fosse.” “Non ci riuscirei mai.” “Allora te ne andrai?” piegò le foglie verso il basso.
“Non appena saremo tutte adulte, sì. Siamo nomadi.” Dori salì attraverso la gamba, si aggrappò alla
camicia e poi a un capello della ragazza e le fu sulla testa: “Delia ti prego parlami, non fare così!”
La ragazza si alzò di scatto e la formica fu scaraventata per terra. “Dori! Dori, stai bene?” “Gli
umani mi divertono, li trovo buffi.” prese un’altra delle foglie cadute a terra “Hai sentito cos’ha
detto?” “No.” “Gli ha chiesto se era un sì o se era un no e quando lui ha risposto un no, ha detto che
potevano anche andare.” Delia tacque per un istante: “Dovremmo fare così anche noi.” “Come?”
“Dori, hai intenzione di restare o no?” “Non dipende da me.” “Sì o no?” “No.” “Solo che io non
posso muovermi.” Dori si avvicinò a Delia e staccò l’ultima foglia.
Unica
74
di Francesca Ferretti
Mi sto aprendo. Piano, con cura. Vedete che ritto il mio pistillo? Sono certa che è perfetto, lo
intuisco anche se non ho a cosa paragonarlo, non riesco a vedere oltre i miei petali ancora mezzi
chiusi. I miei petali? Lo ammetto, sono un poco stropicciati ma che pretendete appena sbocciata?
Siete nati già rosei voi? Ammirate: immacolati, senza imperfezioni o, orrore, strappi. Non sono
passati inosservati i due, due!, di quel fiore lì. Doveva aprirsi con cautela, senza fretta, dico: mica è
una gara di sprint. Ma dove state guardando? Ehi, sono qui. Mi pare che abbiate contemplato
abbastanza quella rosa. L’ho capito che ha un buon profumo, ma lo sapete cosa sarò io? Una
ciliegia! Altro che profumo: aroma, succo, dolcezza … e poi anch’io sono della famiglia delle
rosaceae, ignoranti. Non sarete di quelli che vedono la fioritura del ciliegio solo come un insieme,
una nuvola candida. Non notate che sono unica? Sapete che vi dico: mancate di spirito
d’osservazione. Un ronzio? Un calabrone. Però, è grande. E veramente peloso. Speriamo che non
mi noti, non vorrei mica essere impollinata da uno così. No, per me ci vorrebbe un’ape, un’ape
regina. Non sono sicura che lei si occupi d’impollinazione… l’ape operaia è un po’ banale.
Comunque: Uhu, sono qui. Dai non volare di là, spostati di qua così puoi ammirare i miei stami.
Sono carichi di polline. Non senti il profumo di nettare che emana il mio pistillo? Ma dove vai?
Mah, scema anche questa, aspetterò la prossima. L’alveare qui vicino ha davvero un problema. Che
miele producono con fornitori scadenti. E adesso chi si avvicina? Un po’ nervoso questo pecchione
selvatico. Sarà mai possibile che sappia impollinare, mi sembra un tantino magro. Non mi guardare,
non mi guardare, vai da quella con la corolla macchiata, dai. No, non da me… Che sensazione. Non
che sia durato tanto, ma era così, come dire… sensuale. Cosa me ne importa del miele. Questa
mania dell’apis mellifera io non la capisco.
Da quando era arrivato lo tenevano d’occhio.“Sarà invadente? Pericoloso?ci strapperà rami e foglie
calpestandoci senza nessun rispetto correndo di qua e di là? Si erano domandati il cespuglio di
ortensie e il languido gelsomino vedendo comparire un nuovo ospite a quattro zampe nel piccolo
giardinetto che circonda la casa.“Speriamo che non ci saràtrambusto!”aveva esclamato il
gelsomino, allergico ai cambiamenti,la prima mattina che il grande pastore abruzzese, Masaniello,
era apparso caracollando sulle scale che dalla porta danno sul giardino.Lingua penzoloni e coda al
vento,appena uscito,si era dedicato ad annusare coscienziosamente tutto il perimetro per
marcare,zampa alzata, il nuovo territorio.“Grande è grande ma sembra pacioso…”aveva risposto il
rigoglioso cespuglio con la sua esplosione di corolle viola in una mattina di agosto carica di caldo e
pigrizia.Provato da una nevicata invernale, si era ripreso alla grande regalando una grossa macchia
di colore al suo angolo,quello accanto al ciliegio,il più riparato del giardinetto.“A me fa piacere
avere compagnia mi diverte quando fruga tra le mie foglie con quel suo muso allungato, è gentile,
giocherellone…”Di lì a poco la mole di Masaniello si stagliò sulle scale, si diresse verso il
cespuglio e ci girò intorno come cercando qualcosa…“Vorrà mica seppellire qualche osso qui da
noi?!”Domandò allarmato il gelsomino al cespuglio che incuriosito osservava la scena.Frung..frung
con poche zampate Masaniello aveva scavato un fosso nella terra fresca all’ombra del cespuglio e
rapido ci si accomodò.Il gelsomino cominciò ad agitarsi dai rami più bassi fin a quelli su in cima, le
delicate foglioline scarmigliate e afflitte sbottò: “Hai visto? cosa ti avevo detto? Adesso ci scoprirà
le radici e il sole ci ferirà !”Il mite cespuglio non volendo ferire i sentimenti dell’ amico che ogni
sera allietava il giardino spandendo quel profumo che entrava fin nella linfa si astenne dal ridere.
Ma tra sé non poteva farne a meno.
Io, albero.
76
di Chiara Ciofolo
Sono sola.Penso agli uccelli o alle farfalle,la fuori,divertirsi, agitare le ali e via,lontano da qui da
questa realtà.Io invece ho le mie radici qui, affondate in questo terreno umido.Ho paura.Vedo
loro,gli uomini,e ogni volta mi trema il cuore.Penso che siano venuti qui per me,per uccidermi.Ma
io non voglio morire.Cosa ho fatto di male?Do fresco,ombra,ossigeno..vita.Non potrò difendermi
quando verranno perchè sono sola.Completamente sola,qui,in mezzo al prato e ai poveri e indifesi
fiori.Perchè son nata albero?Perchè son nata qui,solitaria in questo quartiere pieno di
uomini,bambini,animali,cemento,palazzi,vetro,spazzatura.Io vorrei stare lassù.Insieme alla mia
lontana generazione.La mia tribù.Tutti erti insieme verso il cielo e oltre!A fare non ombra,ma
buio.Buio fitto.L'uomo lassù non ci penserebbe due volte a guardarmi storto!Li siamo noi i
padroni!Quel bosco fitto e secolare.Il mio sogno.La mia vita che mai sarà.Invece il mio destino è
qui, in città.Ogni volta che arriva il vento mi sussurra della meravigliosa vita di lassù e io
tremo..tremo di paura a sol pensiero di non sentire più questo sussurro..questo sogno.E quando
passa l'uomo cerco di diventare sempre più grossa,più imponente.Sperando che ci ripensi e passi
oltre.Sperando che un giorno anche l'uomo si possa innamorare di me come io son innamorata della
vita.Per ora resto qui.Ferma,immobile,inerte.Attendendo un altro sussurro..un'altra storia.Un'altra
vita.
FATO PRECARIO
77
di Barbara Andriollo
Mi ricordo di ieri come se fosse passato molto tempo, ero lì con i petali al sole e le radici al
fresco,viva, sana, tutto ciò che mi bastava era proprio lì, sotto il mio gambo..insieme ad altri come
me .. papaveri dicevano...io mi sentivo solo leggera, ancorata sì alla terra ma con il resto del fusto al
vento.Rossa. Sì, ero rossa e femmina,avevo visto lo stesso colore dei miei petali vivaci, sulle labbra
di una signora, quindi lo ero anche io. Umani.Mi piaceva guardarli, li invidiavo, così robusti e così
liberi ... nei loro occhi c'era un non so chè di malinconia, la stessa che sto provando ora pensando al
mio ieri felice. Oggi proprio la signora con il rossetto rosso mi ha strappato dalla mie origini e mi ha
ancorato ai suoi capelli....per vanità...per noia...non lo sò, sò solo che oggi per un millesimo di
secondo ho visto negli occhi di quella donna spensieratezza. Forse proprio a questo serviamo ad
allietare corpo e mente a chi ancora non sà quanto sia breve un giorno.
C’era una volta un piccolo merlo che viveva nel mio giardino. Tutti i giorni la mamma cercava di
insegnargli a volare e tutti i giorni lui trovava una scusa per non farlo.La verità era che lui aveva le
vertigini quando saliva sul ramo più alto, ma si vergognava a dirlo. Aveva un bel becco giallo, ma
di coraggio per volare neppure l’ombra. E poi arrivò quel brutto giorno! Lui era come al solito sotto
la casina in cima all’albero e cercava qualche vermetto e cercando non si accorse di essersi
allontanato.E fu allora che lo vide! Spaventoso con quegli occhi gialli che lo fissavano, grosso e con
addosso delle strane piume grigie che stavano tutte in piedi.Quello era nientemeno che il mio gatto
Linus, terrore di tutti gli animali dei dintorni. E Linus balzò in avanti per prenderlo, ma il merletto
riuscì a fuggire e cominciò a correre.E mentre correva rimpiangeva di non saper volare: “oh
mamma, se ti avessi ascoltato adesso non mi troverei nei guai, me ne volerei via e sarei salvo!”.Era
così assorto che non si accorse neppure di essere finito in un campo di grano e che dalle sue
zampine uscivano minuscole gocce di sangue perché aveva calpestato delle spine.Ma non si accorse
neppure che aveva istintivamente aperto le alucce e cominciava ad alzarsi e poi….piano piano si
ritrovò su e ancora più su e il suo cuoricino batteva forte forte per l’emozione. Ecco, ce l’aveva fatta
e com’era bello vedere il mondo dall’alto.“Mamma, mamma, arrivo guardami!” e per tornare
ripassò sopra il campo di grano e si domandò perché mai ci fossero quelle macchie rosse nell’oro
delle spighe. Ma non si fermò, aveva premura di vedere la sua mamma e raccontarle
l’avventura.Non sapeva il merletto che erano le goccioline di sangue che cadendo sulla terra
avevano fatto nascere i papaveri.E’ per questo che i petali dei papaveri sono leggeri e morbidi come
le piume di un cucciolo di merlo e nel centro c’è un bottoncino nero come il suo colore.
OSSERVANDO ...
79
di Maria Teresa Belcastro
Sono un fiorellino, ottimista ma impaurito. Vivo attaccato all'aspalto e ogni giorno milioni di piedi
mi camminano vicino o addirittura mi calpestano! Non possiedo niente ma sono ricco di amore per
la vita. Un domani, vicino o lontano chissà, una mano ingrata mi strapperà dal mio habitat o un
copertone mi incollerà effetto figurina sulla strada ma ...nell'attesa vivo appassionatamente!
Osservo tutto e ascolto i discorsi della gente. A volte mi fanno morire dal ridere, altre il loro
romanticismo mi contagia e fluttuo con la fantasia e altre ancora li prenderei a schiaffi per quanto
sono materialisti e non si rendono conto che stanno sprecando il dono VITA! L'essere umano va
troppo di fretta! Il dono "parola" non mi è stato concesso allora quando ne ho l'opportunità cerco di
regalare sorrisi. Adoro le giornate di vento perchè il mio profumo arriva lontano e mi fa piacere
quando i nasi annusando l'aria cercando di capire da dove arriva il favoloso odore! I visi buffi, le
espressioni, gli occhi che brillano sono i segnali che li ho conquistati! Mi cercano ma non mi
trovano...nascosto qua me ne sto carino carino! L'importante è esserci anche se non ti vedono! ...
Ulivi da terrazzo
80
di Roberta Trezzani
Vita
81
di Maria Elisabetta Teodoro
<<C'è sempre un caos qui!!>> disse l'albero di pesco alla rosa <<Non si riesce mai a prendere il
sole in silenzio>>. La rosa, << Cosa ti da fastidio?>> E l'albero petulante <<Chi mi da fastidio? Il
cane viene sempre a scavare fra le mie radici, i gatti graffiano il mio tronco, le tartarughe mi
mordono e i bambini strillano: per un vecchio albero come me ci vorrebbe solo riposo e silenzio>>.
La rosa rispose <<Caro pesco, ci conosciamo solo da due anni, ma io qui mi trovo tanto bene. Il
cane lecca i miei boccioli, i gatti mi annusano, le tartarughe si riparano sotto le mie foglie, gli strilli
dei bambini, invece, mi tengono sveglia e attiva. Se gli abitanti della casa fossero musoni, tristi e
silenziosi forse staresti meglio?>> Pesco: <<Tanto meglio>> Rosa <<Se tutto fosse così, caro
pesco, nessuno si curerebbe di te, nessuno ti darebbe acqua e nutrimento, nessuno raccoglierebbe i
tuoi frutti. Tutto sarebbe triste, come nella casa in cui stavo prima... tutto era tranquillo e silenzioso,
tutti facevano i fatti propri non curandosi di chi viveva con loro fin quando la mamma, un giorno,
decise che era arrivato per lei il momento di andar via per sempre. Se non fossi stata portata qui
sarei morta come loro, prima nello spirito e poi nel corpo. Una casa allegra e rumorosa è vita, è
felicità!>>
Il salice Brillo
82
di Valentina Zona
Sono passati molti anni da quando i miei genitori trascorrevano le vacanze in una casa colonica
piuttosto isolata. Adoravo passare il tempo nel secolare giardino della proprietà. Rose, belle di
notte, un grande pesco e una moltitudine di piante dai colori accesi popolavano quel magico pezzo
di terra ma il mio preferito era il salice; doveva vere più di cento anni. Mi divertivo ad entrareLuna
piena tra i rami del salice e parlavo con lui per ore, come fosse una persona, in breve divenne il mio
migliore amico. Una notte, la più bella della mia vita, non riuscivo a dormire, decisi di andare da
"Brillo" era così che lo chiamavo. Le belle di notte si mostravano in tutto il loro splendore
inebriando l'aria con il loro sottile profumo illuminato dal calore della luna piena. "Ciao Brillo, non
riesco a dormire e sono venuta da te" I rami di Brillo iniziarono a oscillare si scuotevano come se ci
fosse vento, fui colta da un enorme senso di paura. "Brillo" non temere piccola Gioia, finalmente
posso risponderti, mi hai considerato come un amico, hai creduto in me e adesso.... stai a guardare.
Il salice cambiò colore da verde divenne amaranto tutti i suoi cadenti rami andarono verso l‘alto e
una polvere rossa uscì dalle sue foglie. La polvere si posò sulle piante del giardino che
improvvisamente si andarono facendo uscire dai loro petali delle piccole fatine muniti strumenti:
erano le musiche, le avevo sempre sognate. "Brillo" Gioia questo è il tuo sogno che diventa realtà,
non durerà a lungo la nostra energia tra breve si esaurirà e noi torneremo piante per i tuoi occhi;
vuoi venire nel nostro mondo? "Fatina" da noi si suona si canta e si festeggia sempre, tu sei pura e
questo è il nostro dono. Senza pensarci troppo accettai la proposta e in un batter d`occhio divenne
un mandorla in fiore, se ascolti bene nelle notti di luna piena pnoi sentire le canzoni delle nostre
feste d'estate.
La piccola fata
83
di Maria Luisa Grossi
Nel regno dei fiori è nata una fata. Adagiata in un bocciolo di rosa, viene cullata dagli uccellini.
Questa piccola fata dorme succhiandosi il pollice. La sua culla è attorniata dai fiori che sono le sue
madrine. "Io dice la rosa - ti do' la bellezza". "Io dice il giglio ti offro la purezza". "Avrai la mia
discrezione - mormora la violetta". "Ti dono il mio cuore d'oro - si pavoneggia il narciso." "I tuoi
occhi avranno il mio colore - ribatte deciso il fiordaliso." "Io ti offro la sensualità! - esclama la
dalia". "Io la costanza - ribatte la camelia". A questa incantevole fatina viene dato il grazioso nome
di Primavera. Infine Primavera si sveglia e si rivolge tutta cinguettante e sorridente ai fiori e agli
uccelli. La piccola fata ha il potere supremo di far scaturire la vita, svegliandosi.
Punti di vista
84
di Elisa Bortolus
-Questo non è il luogo per me io sono una ROSA BIANCA non posso essere punzecchiata da
esserini fastidiosi ed essere contornata da erbacce -Basta lamentarsi, sei un fiore come me, ti trovi in
un giardino libero da schemi puoi stare come vuoi senza legacci. Si chiama libertà!Tu le chiami
erbacce invece loro danno calore -Non è vero vogliono solo rubarmi la luce, l’unica fonte che mi da
forza per andare avanti -Forse ho fatto un esempio sbagliato ma non è bello svegliarsi, stirare i
petali, scrollarsi la rugiada e vedere il giardino animarsi con le formiche che ci fanno il solletico, le
api che ci fanno compagnia con il loro ronzio e gli alberi che danzano al ritmo del vento? -Le
formiche e le api mi danno noia e gli alberi mi scrollano addosso le foglie secche! Queste cose
accadrebbero lo stesso ma non sarebbe bello in una location migliore? -Contenta arrivano gli operai,
voci portate dal vento dicono che presto questo posto diventerà un giardino pubblico -Da quanto lo
sapevi? Finalmente ci libereremo dalla sporcizia. Non vedo l’ora che mi spruzzino quei prodotti per
i pidocchi e che mi annaffino di vitamine e di concime, vedrai poi che splendore! -Se lo dici tu, per
me rovineranno tutto, tagliando quell’albero secolare che ha mille storie da raccontare o strappando
via quei rovi laggiù e addio profumo di more selvatiche -Che dici di quei calcinacci buttati la in
quell’angolo? Siamo una discarica? -No ma arredano -Tu hai paura del cambiamento -Tu ti senti
forte con quelle spine io invece mi sento piccola e impotente -Spine o non spine a te manca
l’autostima -Guarda stanno tagliando la siepe -Si ma gli stanno danno un nuovo look, guarda che
taglio, va di moda lo squadrato quest’anno. Stai tranquilla e lasciali lavorare vedrai che risultato -
Margherita apri i petali e dimmi che ne pensi? -Wow siamo diventati un bellissimo giardino -E’
quello che ho sempre cercato di farti capire noi siamo importanti, sia che siamo Rose o Margherite,
ci devono rispettare e valorizzare.
Il vecchio giardino si perde nella nebbia: non una nebbia reale e palpabile, è una nebbia
immaginaria e leggera, è la nebbia del passato. Perché c’è ancora chi lo ricorda, il giardino che
circondava quella villa antica e misteriosa. Un tempo era fiorente e bellissimo, ma da molti anni è
abbandonato: la siepe, non più potata, si esprime in forme disordinate, i viali sono invasi dall’erba,
gli uccelli fanno il nido fra rami sempre più intricati, le serpi ed i topi si aggirano ovunque. Si dice
che al calare del buio il giardino si animi: allora, se qualcuno avesse il coraggio (si mormora di
streghe e fantasmi…) di aprire il cancello e addentrarsi fra ombre inquietanti, udrebbe mille voci
mischiate al sussurro della brezza notturna. Ed ecco, un allocco, dalla cima di un albero, interrompe
il suo verso un po’ triste: “Chi sei, visitatore, perché turbi la quiete di questo luogo, perché non lasci
in pace la natura che a fatica ne ha ripreso possesso?”. Gli fa eco una falena che si aggira accanto ad
un pozzo illuminato dalla luna, alla ricerca di un riflesso fugace: “Rispetta le piante e tutti gli
animali, anche i più piccoli, e troverai l’armonia”. Turbata dall’insolito trambusto, dal fossato
interviene una rana: “Ospite, cammina piano e non fare rumore, se sarai capace di ascoltare le
nostre parole e comprenderne il senso potrai percepire l’essenza della vita”. Qualcuno, scettico,
scuoterà la testa… eppure io stessa sono entrata, una sera, nel giardino dei ricordi, ho seguito le
lucciole che, tornata bambina, mi indicavano il cammino, ho visto, ad un tratto, le fate aggirarsi
leggere ed un folletto spiarmi, curioso. È stato un attimo: il rumore di un clacson mi ha fatto
trasalire, improvviso; mi sono avviata, tremante, all’uscita, ho accostato piano il cancello, ho detto
addio, mio malgrado, a quel luogo. Eppure, in fondo al mio cuore, rimane un angolo magico, un
giardino incantato: illusione, ricordo d’infanzia, sogno di una notte d’estate…?
La vita scorre
86
di Paola Colajanni
Gli uomini mi chiamano Platano e sono un albero millenario.Senza fare un passo sono entrato nella
vita di molti,o forse molti sono entrati nella mia. Sotto i miei rami pesanti e contorti ho visto
generazioni crescere, amarsi, uccidersi in quelle che l'umanità chiama "guerre",
ripararsi,soffrire,gioire...vivere! Per gli uomini tutto questo è vivere, non per me , che nel giardino
in cui mi trovo sono considerato "patrimonio dell'umanità"a causa della mia ragguardevole età.Le
piante che mi circondano sono tutte più giovani di me,nessuna mi conosce da sempre, mentre io so
la storia di ciascuna di loro.Apparentemente mute, noi piante comunichiamo tra noi in un modo che
gli uomini non possono percepire e ci facciamo compagnia, ci trasformiamo a seconda delle
stagioni, apprezziamo il sole come la pioggia, il vento come la neve. A volte vorrei che anche per
gli uomini la vita fosse così semplice. Vorrei che osservassero la mia possenza, la mia resistenza e
capissero che tutto quel correre, tutto quell'affannarsi che riempie le loro brevi vite e che oggi
sembra indispensabile, passerà presto, basta resistere , come faccio io nelle tempeste, e dopo tornerà
il sole.
Sono un iris e me ne vanto : io profumo, ondeggio al vento e canto. Sono un rapper patentato e tra i
fiori mi distinguo. Nella sinfonia di questo giardino, il mio rap sembra stridente, in realtà
rappresenta la vera voce di tutti noi, esseri vegetali, è vero, ma forniti di un'anima come tutto ciò
che vive. Nel rap esprimo la mia voglia di non essere calpestato né reciso. La mia vita è tanto breve,
nessuno ha il diritto di troncarla quando vuole. Nel mio giardino viviamo in pace e nel rispetto : non
conta essere edera o felce, rosa o violetta...siamo tutti uguali e ci dividiamo il sole, l'ombra, l'acqua
e la terra, che non ci appartengono, ma ci vengono solo dati in prestito per consentire la nostra
esistenza. Voi umani fate altrettanto? La nostra filosofia ci impone di agire così da non danneggiare
nessuno e soprattutto da consentire la vita su questo pianeta anche dopo di noi. Dovreste meditare
un po' su questa rapsofia di un Iris blu. Ai primi freddi di autunno dovrò morire ma saprò di aver
svolto il mio compito in questo giardino che è il mio mondo. Altri giovani fiori raccoglieranno il
testimone e la musica del mio rap vivrà per sempre.
"Ascoltate piantine, devo parlarvi.Il mese prossimo ci sarà il concorso Miss Fiore e questa volta non
presenterò rose, troppo difficile la competizione, troppa concorrenza.Perciò vi ho convocato, ma è
chiaro che potrò portare al massimo due di voi.-"Ecco, lo sapevo papi, tu non mi vuoi far
presentare!".-" Suvvia, non piangere Dombeya, se no perdi linfa e neanche quest'anno riuscirai a
fiorire e non certo per il freddo.Fra le mie figlie sei la più bella, no siete tutte belle, ma fiorisci a
gennaio e a settembre esibiresti solo una massa di foglie.E tu Mutabilis,che sei la più generosa,
dispensatrice di effimeri fiori di un giorno, non fiorisci forse a novembre?Tu poi Chorysia sei
troppo giovane, tutta piena di spine e potrei farti fiorire solo dopandoti, ma quanti fiori, uno o due ,
a rischio di una squalifica e della rapida fine della tua vita! Voi Oleandra e Bouganvilla siete troppo
conosciute, il mercato è inflazionato e pur bellissime non avreste alcuna chance.Tu Ortensia sai già
che a settembre a stento avrai qualche misero fiore, anche appassito e tu, meravigliosa peonia sarai
solo un rizoma.Ho deciso pertanto di mandare te, Pomelia"-"Oh no, papi, no.I miei rami sono
diventati tanto grassi che traboccano, le foglie turgide e verdissime, ho ingurgitato troppo cibo, il
mio colorito è giallastro!"-"Ma che dici! Non sei grassa, sei carnosa, morbida, sensuale, le tue foglie
sono lance, il tuo giallo è carnacino.Anche tua sorella, Pomelia Rosella è molto bella, tu sei ideale
per un parco, lei per un vaso.Ho deciso, andrete entrambe:Ed ora, trasferta al mare ! Lì i vostri
contorti rami si protenderanno ancora di più verso l'abbagliante luce e diventeranno come tentacoli,
pronti ad abbracciare."- "E papi, se ci chiameranno Plumeria?"-" Tranquille, è un complimento!"- "
E se diranno che siamo grasse?"- "Per sette lunghi mesi ritornerete ad essere dei nudi rami, forse
anche stecchiti, e le invidie cesseranno"- "Ed allora papuccio grazie, evviva!! "
Oh, cosa succede? Cos’è questo piccolo insetto che è caduto su di me? Che carino! È morbido e
colorato, a strisce bianco marrone e giallo. Passeggia sulla mia superficie solleticandomi con le sue
zampette, ma cosa vuole fare di me? Sono una foglia bella grande ma lontana dalle mie compagne,
il mio stelo è troppo lungo. Forse lui può diventare mio amico! «Ciao piccolo intruso, vuoi
diventare mio amico?» «Non lo so, io ho bisogno di un lungo periodo per la mia metamorfosi,
quindi possiamo farci compagnia a vicenda» rispose il bruco. «Va bene, cosa ti serve?» «Solo che
tu mi tenga qui. Io diverrò tuo amico, ma devi aver fiducia in me perché io cambierò nel tempo, ma
ti sarò sempre fedele». La foglia vide il suo morbido amico diventare una crisalide attaccata al
picciolo di se stessa e rimase sorpresa perché, nonostante il cambiamento, loro due continuavano a
stare insieme. La notte non era più solo buio, lei sentiva la presenza del suo misterioso amico e
questo la faceva sentire meno sola. Più il tempo passava e più la grande foglia stentava a
riconoscere quel piccolo intruso che era caduto su di lei e spesso gli chiedeva quando avrebbe finito
di cambiare. Lui le rispondeva che, se lei avesse avuto pazienza, alla fine avrebbe avuto una bella
sorpresa. Poi, in una giornata calda e afosa, la grande foglia sentì uno strano rumore venire dal suo
amico e si preoccupò perché capì che questa volta il cambiamento era complicato. «Caro amico, hai
bisogno della mia linfa vitale?» chiese la grande foglia. «No, ti ringrazio, è solo più difficile, ma ce
la farò!» E così avvenne che il morbido bruco si trasformò in una splendida, coloratissima farfalla
che si fermò ad ammirare la sua fedele amica, ringraziandola per il tempo passato insieme. Il
bambino che giocava nel suo giardino, vide la bella farfalla posata sulla foglia e con il suo cellulare
fece una fotografia a quegli splendidi esemplari della natura. Così, l’amicizia tra la foglia e la
farfalla divenne eterna!
All'ombra del tiglio si staglia maestoso un concerto di ronzii di vespe e di api, il frusciare d'ali delle
variopinte farfalle che s'adagiano di volta in volta su un fiore differente, mentre la corteccia viene
salita e scesa, risalita e ridiscesa, da una colonna ordinata di formiche rosse che realizzano una
danza scandita solo dall'incedere dei raggi del sole. Accanto al tiglio nel mio giardino trova poi
posto un albero di magnolia, i cui fiori sono sempre tanto desiderati eppure, una volta fioriti, durano
meno del periodo dell'attesa stessa. Evanescenti e puri, belli da mozzar il fiato, eppur così effimeri.
Sulle lucide foglie della magnolia trovano casa resistenti ed invisibili ragnatele, disabitate
apparentemente di giorno e pullulanti invece di aracnidi la notte. E tutto intorno come a cingere in
un abbraccio il giardino stesso, sede di multiforme vita, trovano posto vasi multicolore ospitanti
molteplici fiori le cui sfumature fanno ingelosire l'Arcobaleno. Li nell'angolo infine, solitario, un
abete bianco cresce fino ad urtare e oltrepassare i fili elettrici. E' stato il mio compagno di infanzia e
siamo cresciuti passo dopo passo insieme, finché non ha deciso di voler raggiungere il cielo e
iniziare un'ascesa in cui io posso stargli vicino solo alzando la testa in aria. Questo è il mio giardino,
una fonte inesauribile di vita, un compagno di vita. Tutto inizia e tutto finisce là, all'ombra del
tiglio.
IL POZZO AMICO
91
di Mariella Misdea
“Buongiorno!” “Buongiorno anche a voi” Erano le prime parole che ogni mattina di quel 1943
Pasqualina rivolgeva alla domestica incaricata di aprire il maestoso portone di palazzo Pregoni, uno
dei tanti palazzi aristocratici che nel piccolo paesino calabrese distinguevano l’aristocrazia dal
popolino. Varcato il piccolo portico che conduceva al chiostro, la donna sentì su di sé il richiamo
della natura che rendeva quel luogo quasi magico. D’un tratto il pozzo cominciò a richiamare
l’attenzione con rumorosi scrosci d’acqua e movimenti di catenelle e secchi, come a comporre un
sonoro richiamo. “Eilà”, disse “sai che non mi sono mai sentito così utile?! La mia acqua oggi sarà
ancora più…vitale”. Al sentire queste parole i fili d’erba si alzarono formando una grande corolla
interrotta qua e là dai vivaci colori dei fiori spontanei. “Saggio pozzo” dissero all’unisono “come
può il tuo bene essere ancora più prezioso?“. Trascinata dalla curiosità, Pasqualina lo fissò
attentamente e guidata anche dal profumo e dalle voci flebili del glicine, che timidamente ricopriva
la parete di fondo, vi si avvicinò: compì mezzo giro intorno e rivolgendo lo sguardo a terra vide
accasciato uno sconosciuto, con il viso coperto da pesante polvere, di quella proveniente dalla triste
terra dal sapore di morte. “Non vedo più” disse sentendo una presenza amica “La guerra…le
armi…aiutatemi…” Per un attimo parve che l’odore dell’odio cui gli uomini erano stati trascinati
potesse offuscare la magia di quel luogo incantato. Fu così che il profumo della vita prese il
sopravvento: d’istinto il pozzo diede ordine al secchio di riempirsi d’acqua. I fiori unirono i loro
petali per creare un morbido panno; poi si tuffarono nella limpida acqua e si offrirono alla giovane
donna che con cura ripulì gli occhi dello sconosciuto. “Vedo, riesco a vedere di nuovo!” gridò
colmo di felicità e l’arcobaleno della vita tornò a risplendere.
Giusto e il botanico
92
di Anna Maria Zanaga
La mamma si accomoda su una panchina, apre la borsetta e tira fuori la sua rivista preferita. Mentre
sfoglia le pagine patinate, si gode quella sensazione di nuovo fra le dita. Sente l’odore della stampa
fresca ma non perde mai di vista il suo Giusto. Lui socializza con facilità, ha una risata allegra e
contagiosa e gli altri bambini si fanno facilmente coinvolgere nelle sue imprese. “Chi è fuori è fuori
chi è sotto è sotto…vengo”. Alle parole fatidiche, tutti zitti nei nascondigli. Giusto si è nascosto
dietro il basamento di una statua. Trattiene il fiato e sta lì immobile quando qualcosa di caldo e
molle scivola sulla sua testa. “Ehi!” esclama interdetto. “Ehi cosa? Ed io cosa dovrei dire?”. Giusto
si guarda in giro stupefatto. Un gabbiano impertinente sta lì sulla testa della statua. “Mi hai fatto la
cacca in testa!”. “Non sono stato io! È stato sto “torsiolon” di un gabbiano.” “Ma chi è che parla?”
Esclama Giusto confuso. “Come chi parla? Io! Non sai leggere sul basamento?” A quel punto
Giusto capisce: è la statua che gli parla e non il gabbiano. “ No signore, non so ancora leggere” .
“Ah ecco! Mi chiamo Muzio de Tommasini, come questo giardino”. Giusto cerca con lo sguardo
una fontanella per lavarsi, ma vede un ramo a terra. Lo prende e caccia il gabbiano dalla statua. “Oh
grazie! Mi sporca sempre sto “sempio”. ”Prego signore, ma perché è qui a prendersi in testa le
cacche dei gabbiani?”. “Bella domanda! … credo perché amavo molto i fiori e le piante”. “Ah
capisco, ma non i gabbiani?”. A quel punto il signor Muzio ride di gusto: “ No, non ero ornitologo
ero botanico, studiavo la flora “. “Io conosco solo il papavero, la margherita e la rosa “. “Un
bell’inizio, hai tanto da sapere”. “Non so molto”. “ Vienimi a trovare e avrai da imparare! “. Giunge
la mamma in apprensione: “ Giusto ma dove ti sei cacciato? Ma guardati, tutto sporco. Andiamo su,
tutto bene? ” . “ Si mamma, ho conosciuto un amico, si chiama Muzio”: Giusto si volta e Muzio gli
fa l’occhiolino.
Considerazioni
93
di Miriam Ballerini
Il sole si stava preparando a tramontare. La donna si guardò intorno: ormai nessuno badava a lei,
ritta in mezzo a una grossa aiuola di rose rosse. Lei era una statua che spiccava in tutta la sua
altezza, svestita, con le mani a mo’ di ventagli pudichi a coprire la nudità. Il tempo l’aveva resa
grigia da tempo, intorno ai piedi si raccoglieva del muschio che a tratti si era impossessato anche di
alcuni parti del suo corpo di pietra. << Care rose, anche questa giornata è passata>>. <<Abbiamo
sete>>, riposero queste in coro. <<Portate pazienza, fra poco arriverà il giardiniere. Hanno assunto
un ragazzo di colore, credo sia uno dei tanti venuti in Italia a cercare lavoro… beate voi che non
capite quanto ci circonda>>, rispose la statua. <<Io vengo da un paese europeo, sono stata costruita
lì. Per alcuni anni ho addobbato la casa di un ricco signore austriaco. Poi, lui ha venduto la sua
proprietà e mi hanno caricata su un camion che mi ha portata in questo piccolo parco italiano. Ho
lasciato lì tanti amici, tanti fiori e insetti che conoscevo da tempo. E pure un piccolo pezzo di piede
che si era rotto col tempo>>. Se avesse potuto piangere, la statua avrebbe lasciato che dagli occhi le
sgorgassero lacrime, invece di qualche secco granello di sabbia. Capiva benissimo la sofferenza di
coloro che lasciavano la propria terra, magari con la speranza di trovare quello scopo nella vita che
portasse a loro e ai loro cari fortuna e serenità. Troppe volte si era vista circondata da gente che
sedeva sulle panchine del parco e li ascoltava parlare degli “altri”. Come se non fossero tutta gente,
tutta fatta di carne e ossa. Dicevano delle bestialità e lei, rigida, doveva ascoltare per forza, con
quelle mani ferme a proteggere la sua intimità. <<Per fortuna sono io quella che ha un cuore di
pietra…>>, sospirò. Le rose annuirono, per poi ridacchiare serene sotto lo scroscio d’acqua del
giardiniere che era venuto per abbeverarle.
Fantasticherie di un viaggio
94
di Lara Anastasia
...e fu così che la fragile foglia, presa dalla noia, lasciò il suo amato albero, che a lungo l'accudì, per
intraprendere il viaggio della sua vita. Trascinata dalla brezza scorse una farfalla svolazzante e
spensierata che la salutò con uno speciale battito d'ali; ne ammirò tutti i colori e ne invidiò la libertà.
Proseguì il suo percorso e scorse una bellissima rosa rossa che alla sua vista si rivelò in tutta la sua
beltà; la foglia ne odorò il profumo e ne invidiò il fascino. Il vento la condusse fino ad un'imponente
statua di marmo attorniata da osservatori; questa la salutò a gran voce sorridendo. A questo punto la
foglia la osservò, notò la sua maestosità e la invidiò la popolarità. Trasportata ancora dalla sua
ormai amica brezza, fece ritorno all'adorato albero con cui la fogliolina aveva passato gran parte
della sua vita. L'albero allora le chiese se avesse fatto buon viaggio e la fogliolina rispose di aver
visto e invidiato tante fantastiche cose, ma quello che sicuramente aveva nel cuore era la cosa più
importante...aveva qualcuno che l'amava e l'aspettava...il suo amato albero.
USA E GETTA
95
di Antonella Feliciangeli
- è buio. Ho paura. - guarda su, guarda il cielo. Le stelle. - questo silenzio... - e il canto dei grilli, del
vento tra i germogli, il fruscio della vita, non lo senti? la notte qui è il tempo dell'amore. - è tutto
così misterioso... - come dovrebbe essere, diversamente? - io lì avevo tutte le risposte alle mie
domande. - e se le tue domande fossero state sbagliate, le risposte falsate per rassicurarti, per
manipolarti? - io lì avevo un nome, una marca - tu qui sei parte del tutto - io lì avevo uno scopo - sì,
usa e getta. E la tua fortuna è che ti hanno gettato qui, nel meraviglioso giardino botanico di
Bisceglie. Poteva andarti peggio. Quale era il tuo scopo lì? - dissetare, contenevo una bibita gassata,
per giovani alla moda. Assaggia, me ne resta una goccia. - buona. Credo che mi sia venuto il
diabete, amica lattina. Posso chiamarti zuccherino? - hem... Se ti fa piacere. - se lì il tuo scopo era di
dissetare per una volta, qui ti propongo di dissetare per sempre. Talpa può interrarti nella posizione
e inclinazione giusta affinché si raccolga la pioggia nel tuo incavo e che noi tutti possiamo venire à
dissetarci. Ci stai? - ci sto, coso a pois. - puoi chiamarmi coccinella. - preferisco coso a pois. - va
bene zuccherino, ora dormi, altrimenti ti perdi uno degli spettacoli più meravigliosi della giornata,
l'alba. Ed è tutti i giorni, immancabile, gratuita, per te, parte del tutto. Buona notte. - buona notte...
Ma non ti allontanare he?
La prima volta che ti ho visto ho sussultato, così selvaggio e abbandonato tanto da non riuscire a
penetrarvi tra le mura antiche di Pietrasanta. Forse Ortus mirabilis di un vecchio convento adiacente
.Piccolo giardino misterioso nella sua unicità , integro, immerso i. Una fitta bordura di Bossi
secolari e svettanti acantum che in maturazione, nel silenzio del giorno e della notte sparano i propri
semi impazziti felici di rinascere altrove .Tra una peschiera prosciugata dal sole e un bosso
millenario intrecciato come in un abbraccio amoroso. Ti ho amato subito, chiudendo gli occhi ti ho
visto e immaginato come mio luogo CUSTODE DEI SENSI...... e la fantasia botanica si è
impadronita di me, esplorando e ricercando quello che già era presente nella mia mente come
guidata da una forza magnetica che mi suggeriva soluzione armoniose. Oggi quel giardino, in poco
più di un anno è' diventato laboratorio ricercato di essenze provenienti da ogni parte del mondo,
mantenendo intatta la sua origine, restaurato nel totale rispetto dei suoi alberi , la secolare magnolia
con cui litigo per la sua continua caducità fogliare ma guardiana di ogni cambiamento del tempo e
protettrice dal sole di felici pesciolini rossi e colorate koi che fanno capolino tra ninfee notturne in
una rigenerato specchio d'acqua. Ogni volta che ti lascio, ti prometto per poco, perché caro giardino
so che mi hai scelto e che mi aspettavi da tempo , creatore dei miei pensieri ..........nulla potrà mai
allontanarti da me..
- Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame? - Signorina, signorina, perché
mai disturba il signor Lago con queste futili domande? - disse la zinnia alla calla. - Sono appena
sbocciata e voglio essere la più desiderata della flora circostante. - Suvvia, passa le sue giornate al
fresco e all’ombra, specchiandosi e rimirandosi nel lago, a me sembra che già questo sia
desiderabile! - Oh sì, è vero, ma io voglio essere ammirata per i miei petali morbidi, i miei delicati
colori, il mio dolce profumo. - Ma queste cose non sono eterne, signorina, tutto svanisce. Guardi
me, sono fiorita ora, vivo al sole, forse sono nel periodo migliore della mia breve vita, ma non me
ne preoccupo. - Ma come fa scusi? - chiese la calla alla zinnia – Io non potrei mai accontentarmi di
essere una tra tante, io devo essere la più bella. - Bisogna vivere in modo semplice signorina, amare
le piccole cose, gioire di gesti semplici, vivere ogni giorno con umiltà. Ogni momento della nostra
vita va vissuto senza preoccuparsi quanto siamo belle, ma quanto siamo uniche e naturali. - No no, è
impossibile. Che emozioni potrà mai dare la semplicità? La bellezza ci da importanza, ci fa essere
apprezzati, ci da gioia di vivere. La semplicità non da niente, è vuota. - Ohi ohi ohi signorina, ma
non si rende conto di ciò che sta dicendo? Semmai è la bellezza ad essere vuota, se si fosse stimati
solo per la bellezza, che è esteriore, quando essa svanirà, noi moriremmo. La semplicità invece ci
riempie d’emozioni, un sorriso, uno sguardo, una carezza ci scaldano il cuore. E’ la bellezza stessa
della semplicità ad essere unica. So che lei è appena sbocciata e non sa ancora niente del mondo che
la circonda ma, mi creda, nulla è più bello degli occhi di un innamorato che ammirandoci pensa alla
pelle della sua amata, o al suo sorriso, o al suo viso, o al suo amore, senza per questo essere noi i
fiori più belli.
Lamento scozzese
98
di Alessandra Tonizzo
L’aria era secca, e il suo tepore inaridiva i nostri confini in un accerchiamento d’arsura. Traudivo
crepitii, e impensierito volgevo il capo a sud, abbandonandomi alla brezza che spettinava e
guadagnava così centimetri del mio corpo asciutto per fustigarlo tutto. Era uno sforzo immane quel
lasciarsi strappare a poco a poco: cedere eppure resistere, nelle fibre più interne, restando ancorati
alla zolla salina che già bruciava i radicamenti. Di noi, scorgevamo solo misere propaggini. Stralci
bruciati, corolle esangui, brattee accartocciate che la marana raccoglieva nel suo letto prosciugato.
Gli effluvi dolci, malfidi, esondavano il brolo e traevano in inganno, spacciando trapassi per agonie,
e viceversa. Per nulla arreso al quiescente silenzio che da tempo, ormai, inghiottiva i compagni,
dovevo sapere. Eravamo reduci, preparati a perire senza lamento, pronti a rigermogliare chissà
dove, selvaggi come pula al vento. Ma lei… Lei dimostrò come un cardo possegga altro oltre le
spine. Nelle notti di luna calante, mentre i Graham danzavano l’Highland reel, si lasciò odorare
tutta, senza chiedere nulla in cambio. Ora la cercavo, frenetico, consumandomi in quelle
oscillazioni penose che fratturavano la polpa, quando anche i fratelli rimasti sussurravano «lascia
stare, pazzo». In quegli squarci di cielo, menzogneri e macchiati di mare, sentivo già il terrore
spumoso della sua assenza: una nausea. E tornavo, tornavo, ancora e sempre in quel quadrato di
terra dove la sistemarono, adolescente, prima di abbandonarci tutti ad un destino silvestre. Ma se
tornando, tra la nebbia del crepuscolo, infine scorgevo un colore figlio del mio pervinca – più dolce
e indelebile – potevo arrestare l’inchiesta. E, centrato nel mio bulbo, a casa, iniziavo a tremare per
lei, la mia Erica.
IL GIARDINO ASSOPITO
99
di Maria Raffaella Spinella
La torretta scrutava l'orizzonte come aveva fatto inutilmente negli ultimi cinque anni.Si alzava su un
mondo di verde,era l'unica cosa che si vedeva della villa Liberty che dominava il lago.Ai suoi piedi
la casa respirava a fatica,stretta dalla vegetazione.La Malerba aveva invaso i lastroni della
terrazza.Un bosco di Alianto si era insediato nel prato verde,ormai pieno di erbacce.Nel vialetto che
portava alla fontana,le Rose facevano capolino tra l'erba incolta.Solo la Palma aveva una buona
visuale sul parco e sull'ingresso della Villa.Quel giorno c'era brezza,il momento ideale per
parlare.L'aria che circolava portava le voci delle piante che sussurravano.Le Azalee sfiorite
ricordavano quando in quella casa c'era vita.Le Ortensie soffocate dai rami vecchi,raccontavano dei
loro bei fiori che ornavano i tavoli da pranzo.Il Lauro,ormai diventato albero,conversava con
l’Agrifoglio ai suoi piedi.Come anziani seduti sulla panchina del parco,ricordavano tempi
passati,risate,grida di bambini,corse sull'erba.La siepe di Viburno snocciolava i nomi di chi si era
nascosto tra i suoi rami in qualche gioco estivo.Per molti anni non era successo niente,solo il volo
ardito di qualche uccello,un lampo che squarciava il cielo,l'arsura estiva che spaventava le
piante."E’ tardi per ricevere viste" sussurrò il Biancospino,eppure il cancello si era aperto.Il cigolio
invase l'aria e tutte le piante rimasero ad ascoltare.Si sentirono delle voci umane e tre figure salirono
piano la scalinata.Due uomini si fermarono a parlare sulla terrazza,la donna diresse i suoi passi
verso il giardino.Accarezzava ogni pianta con le lunghe dita.Il giardino la sentiva respirare,odorava
di limone.I suoi piedi la fermarono sotto la Palma.Mentre guardava in alto le enormi foglie secche
che penzolavano dalla cima come ventagli ingialliti dal tempo,allungò la mano e toccò il tronco.La
Palma avvertì una scossa di vita,ma stette ferma in silenzio.“Io avrò cura di voi”,disse la donna e si
allontanò verso la casa.
Papaveri e papere
100
di Francesca Crispino
In un pomeriggio di mezza estate la giovane Camilla si avventurò per una selva oscura ove la retta
via era smarrita?! Ma no, passeggiando per il lungomare della città dove trascorreva la sua
villeggiatura con i genitori, la giovane ragazza con i capelli rossi insieme al suo bassotto Rocco fu
incuriosita da una vecchia villa liberty che ad una prima occhiata sembrava abbandonata. Il piccolo
animaletto basso incuriosito da alcuni versi provenienti oltre il cancello lascia la presa della sua
padroncina e corre lungo il sentiero segnato da siepi e fiori di campo...e cosa scopre al di là di un
muretto?! Una piccola pozzanghera circondata da papaveri rossi proprio come il colore dei suoi
capelli abitata da mamma papera e i suoi piccoli cuccioli gialli intenti a sguazzare nel piccolo
acquitrino! Il rosso con il giallo resero ancora più infuocato e arancione il tramonto che risplendeva
oltre il vetri della villa in un pomeriggio di papaveri e papere.
Nuovi mondi
101
di Chiara Franzese
Fa caldo, anzi sono caldo! Peccato che non mi trovi sotto quel salice, ma in realtà anche sotto quella
sedia sarebbe andata molto meglio! E' triste il non potersi muovere, vorrei essere come quella
libellula, o quell'ape che può andare dove io posso arrivare solo con l'immaginazione. Mi annoio,
vorrei poter rotolare e guardare cosa c'è dietro quella siepe, o sentire il profumo di quei fiorellini!
Posso solo aspettare, aspettare...magari verrà qualcuno a spostarmi! "Ecco quello lì andrebbe
proprio bene", è la voce di una bambina! Cosa sta facendo? Mi ha afferrato! Evviva mi sto
muovendo! Dove andiamo? Finalmente ecco cosa c'è dietro la siepe! E' un laghetto! "Vediamo
quanti salti riesci a fare con il tuo sasso!". Assisto ad una gara? Ma cosa dico, io sono un sasso!
Vengo lanciato sulla superficie del laghetto, riesco a vedere quei fiori, l'ape, la libellula, anche
quell'albero ma in un attimo mi ritrovo a fare due salti sull'acqua. Ed ora? sto affondando! Ma non
mi dispiace trovarmi qui in quest'acqua, che bella frescura, c'è un nuovo mondo da scoprire!
Se solo potessi...
102
di Manuela Casula
Al tramonto, nel giardino segreto del giovane sig. Brown, una statua dalle sembianze di una donna,
prese vita. Non le sembrava vero potersi muovere e vagare tra gli alberi e i fiori di quel magnifico
giardino, le pareva di conoscere ogni piccolo spazio, dalla posizione in cui era stata piazzata
riusciva a vedere l'intero giardino e di tempo ne aveva avuto negli anni di osservare tutto ciò che
accadeva. Ora era libera, anche se non capiva il perché fosse possibile muoversi; mentre camminava
tra i cespugli sentì una voce che debolmente la chiamava, non riusciva a capire da dove provenisse,
spostò i rami di un albero e vide una rosa nera, non l'aveva mai vista, forse proprio perché era in
una zona ombrosa e nascosta. Era proprio la rosa nera che la stava chiamando: "Donna, chi sei"?
Nessuno l'aveva mai chiamata donna, in effetti però, le sue sembianze erano di una donna, chi
l'aveva scolpita ci sapeva fare, era proprio bella e armoniosa. "Sono la statua che stava in fondo al
giardino, ora sono viva". Alla rosa non parve vero, in effetti tra quei rami fitti per tanto tempo aveva
sbirciato quella statua, così alta e bella, com'era possibile che ora potesse camminare e parlare? Però
in effetti non aveva mai visto nessuno in quel giardino, se non il sig. Brown, che curava le sue
piante con tanto amore e passione. "Ora sei libera, tu che puoi scappa e vivi la tua vita fuori da
questo giardino, qui non c'è vita, qui non possiamo vedere nessuno, ho sentito dire da una ortensia
che da poco è stata trapiantata che fuori è tutta un altra vita, ci sono tante persone, bambini,
famiglie, fuori il tempo passa più in fretta e la vita non è monotona". "Dove posso andare? Io non
conosco nessuno al di fuori di questo giardino, l'unico a cui potrei chiedere aiuto è il sig. Brown".
"Come puoi pensare che quel timido ragazzo possa aiutarti? Sta sempre chiuso in casa..." nel
frattempo il sig.Brown era entrato nel giardino e si era accorto che la statua non stava più al suo
posto...
Albero parlante
103
di Cristina Zecchini
Un giorno una bimba si avvicina all'albero,e vide che l'albero era marchiato con delle scritte,dei
cuori con nomi e le chiese "Albero stai male?che ti e' successo? e l'albero" no bimba non sto
male,ma mi hanno ferito...ma tu bimba abbi sempre cura della natura,non strappare mai i fiori,ma
accarezzali abbine cura per sempre" la bimba sorrise e se ne ando' felice.
Era l'eden
104
di Natale Ricciardi
Mi chiamo Pozzo e vivo di vita altrui. Pesco acqua da sempre, da buchi neri, da rocce freddissime,
da tufo, calcare, sabbia, e ogni strato mi è familiare. Pesco in questo universo buio che è
infinitamente bello e ricco e chiaro. Vivo della vita di questo giardino a cui dono senso ed esistenza,
profumato di gelsi, albicocche, pere, mele, e di rose, gerani, piante grasse, selvatiche. Vivo della
vita di chi mi ha costruito, facendomi profondo centinaia di metri, lasciandomi andare giù, giù,
liberamente, sino ad incontrare gas e materiali sconosciuti che prontamente io stesso ho provveduto
a ricoprire per non compromettermi. Vivo felice del loro benessere, delle atomiche risate nei giorni
d’estate, dei colori che tornano ad ogni primavera, delle fioriture esplosive dei frutti, delle gioie
nascoste sotto la doccia dei miei signori, dei terremoti dei vermi, delle talpe. Proteggo questo
giardino dando forza ai frangivento che, gelosi giganti, ne fanno un eden, piccolo, modesto, ma
profumato e felice. Vivo dell’acqua del Monte Calvello, e di esso mi nutro, delle sue falde, dei suoi
umori, delle sue impossibili traiettorie. Così accadeva. Ora è diverso. Ora è cambiato. Il monte è
diventato cattivo e il mio giardino, che mi profumava l’anima, che mi addormentava di inverno e mi
giustiziava d’estate, il mio giardino si è ammalato di una malattia che non capisco ma fa sparire i
profumi e sbiadisce i colori. E più il monte si incattivisce più mi ammalo. Perché non trovo più le
mie usuali strade, i miei tesori, le mie falde. E così mi chiamano le rose, mi invoca l’erba, mi urlano
i fichi, le prugne, e io, bestemmiando all’uomo e ai suoi maneggi orrendi, rimango perplesso, muto,
e mi riavvolgo nel ricordo dei colori che furono. I miei padroni, sbigottiti di un amore tradito,
vagano nell'arsura Ma io non ho più vita. L’unica vita che posso dargli sono le mie lacrime. Quella
poca acqua che basta alle rose per il loro lento morire.
AMICA NATURA
105
di Stefania Salvati
Ormai Agosto era arrivato, con tutto il suo calore. Flappy, una variopinta farfalla, batteva con forza
le sue piccole ali,alla ricerca di un posticino fresco in cui fermarsi. Era stanchissima, volava a fatica,
stava per abbandonarsi, quando una rosa, con la sua testolina china dal caldo, con un filo di voce, le
disse: "farfallina mettiti sotto i miei petali, non ho tanta forza, credo che prima di sera tutti i miei
petali saranno caduti, ma almeno ti avro' regalato l'ultima ombra che posso fare. Flappy le sorrise e
si rannicchio' in quel piccolo spazio di ombra, sempre troppo caldo per entrambe. Un maestoso
salice, aveva sentito ed assistito alla scena, i suoi rami erano deboli e calanti. Anche lui aveva caldo
e sete. piangendo chiamo' il vento, "ti prego soffia un po', dammi la forza di alzare le mie braccia e
proteggere le mie amiche. Il vento lo guardo' dicendo" ma i padroni di questo giardino dove sono?",
il salice rispose triste, "sono partiti per le vacanze non so quando torneranno, ma noi tutti senza
acqua moriremo". Il signor vento incrocio' le braccia, aveva il volto arrabbiato, e disse al salice,
"torno subito". Fece un giro veloce, c'erano tanti altri alberi, fiori, che stavano appassendo, farfalle,
uccellini in cerca di acqua. Torno' dal salice, lo guardo' e disse "sei pronto?", soffio' fortissimo
portando tante nuvole grigie, e dopo pochi minuti comincio' a cadere la pioggia, che rinfresco' l'aria,
regalo' a tutti acqua e forze. Flappy riprese a volare gioiosa attorno alla rosa, che rialzo' la testa fiera
dei suoi petali, il salice muoveva le sue braccia felice, tutta la natura si riprese sorridendo al signor
vento. La natura e' grande e sa badare a se stessa, ma noi non abbandoniamola, basta poco , un
vicino che passa a dare un po' d'acqua, un sistema di irrigazione, chiedono solo acqua in cambio di
tanto, ricordiamoci delle nostre piante prima di andare in vacanza, noi proteggiamo loro, loro
proteggeranno noi e gli animaletti. Buone vacanze a tutti
Buon giorno amico mio Ho avuto ancora tutta la notte per meditare e questa mattina aspettavo
proprio te per condividere un mio pensiero. Oggi mi sembra la giornata ideale per decidere con te il
mio destino Io ferma qui da millenni posso con uno sguardo parlare ai miglioni di viandanti che
passano di qui ogni giorno. Potrei confortarli, metterli in guardia, consigliargli qualche cosa sulle
scelte da fare in amore... Nessuno pero' sa che anch'io statua lucente, scolpita nel marmo piu'
pregiato ho un'anima che si riflette solo in te amico volatile. Tu hai ali per volare e solo con te posso
pensare di immaginarmi lontano da qui. Sono felice tra di voi ma c'e' qualche cosa dentro di me che
ha bisogno di esprimersi. L'uomo ha deciso che questo fosse il luogo ideale per mostrarmi al mondo
ma nessuno mi ha chiesto se era proprio qui che volessi stare. Caro amico dal becco nero, tu hai la
fortuna di far conoscere il tuo umore attraverso i tuoi suoni,ormai sono vecchia e scavata dal tempo,
strappami da questa staticita' e rimodellami per dar vita ad una nuova essenza. Fammi diventare
come il vento che aleggia trasparente e si fa notare solo quando sbuffa cosicche' possa sovrastare
senza farmi notare questo giardino incantato che e' sempre stato intorno a me. Piante secolari ,
essenze pregiate , piccoli animali indifesi tutto sotto una grande ala , ecco il mio piu' grande
desiderio proteggere tutto cio'. Quando ti alzerai in volo amico mio ti accompagnero' e insieme
faremo di questa meravigliosa natura un luogo che l'uomo dovra' solo ammirare e rispettare. Si e'
fatto tardi, posati sulla mia spalla e riposa, con me sei al sicuro. Buona notte amico dal becco nero.
Il Girasole e la Rosa
107
di Virginia Bernardi
“Che bel sole caldo!”, disse il Girasole stiracchiando, per la prima volta, uno a uno i suoi petali.
“Ciao!”, una vocina alle sue spalle lo fece trasalire, e si voltò. “Ciao, tu chi sei?”. “Io sono la
Primula e ti aspettavo con ansia. Ero curiosa di conoscerti perché ho sentito dire che porti gioia e
allegria”. “Grazie”, rispose il Girasole arrossendo, “sai dirmi dove siamo?”. “Certo. Siamo nel
giardino di Villa Fiorita, in un’aiuola male assortita, per i miei gusti”. “Male assortita? Che intendi
dire?”. “Guarda alle mie spalle: vedi quei fiori bianchi e viola? Sono quelle pettegole delle
Campanule. Parlano, parlano e non hanno una parola buona per nessuno”. “Eppure sembrano
cordiali”. “Non lasciarti ingannare, stai attento a loro. Alla tua destra, invece, ci sono le Piante
Gras… ehm! Volevo dire Paffutelle”. “Paffutelle?”. “Sì”, aggiunse sottovoce la Primula, “non
vogliono sentirsi chiamare Grasse, dicono che è offensivo”. “Buongiorno signora Paffutella”, salutò
con un inchino il Girasole. “Buongiorno a te, piccolino. E come sei simpatico!”. “Poi, se guardi in
su, vedi lei, la più bella e la più altezzosa: la Rosa Bianca. Ti consiglio di non darle confidenza”. A
quel punto il Girasole si sentì bagnare da una goccia. “Che succede? Piove?”, alzò lo sguardo e
scorse una lacrima scaturire dal cuore della Rosa Bianca. “Perché piangi?”. “Perché non sono
altezzosa. La verità è che sono sola, non ho amici sinceri. Mi cercano per la bellezza, ma nessuno
guarda dentro la mia anima. Quanto dura il mio profumo? Due, tre giorni? Una settimana? Poi mi
buttano, come una cosa inutile”. Il Girasole allungò una foglia per accarezzare la Rosa Bianca e si
punse con una spina. “Ahi!”, gridò spaventato. “Scusa, non volevo! Aspetta, ti aiuto”. La Rosa
Bianca si chinò per tamponare il sangue e i suoi petali si tinsero di un rosso vermiglio. Fu così che,
dal palpito di un reciproco affetto, nacque la Rosa Rossa, a simboleggiare l’amore. L’amore vero.
Era quasi sera, nel giardino della vecchia villa si sentiva solo lo zampillare della fontana. Tutto era
abbandonato da anni, le aiuole non erano più fiorite, i vialetti pieni di foglie secche, le statue lungo i
viali avevano perso il loro splendore. Solo la vecchia fontana continuava a zampillare, ma non più
allegramente come una volta. Un tempo i bambini giocavano nel giardino, si rincorrevano nei viali,
si spruzzavano con l’acqua, si nascondevano dietro le statue e negli angoli più nascosti e la fontana
era felice e contenta che i bambini giocassero con lei. La sua acqua era fresca, limpida e buona da
bere, veniva da una sorgente dai monti vicini, ma ormai si stava esaurendo. Lei lo aveva capito, e il
suo non era più un allegro zampillare, erano le sue ultime lacrime, il suo ormai era un pianto.
Avrebbe voluto per una volta rivivere i momenti felici, rivedere il giardino fiorito, risentire le risate
dei bambini . Si era fatto buio e le stelle cominciavano a brillare nel cielo. Ricordò che era la notte
delle stelle cadenti, ricordò quando sentiva le grida felici: “ Ecco! Una stella cadente! La vedete?” “
Presto, esprimiamo un desiderio!” Guardò il cielo , vide le stelle che si rincorrevano tra di loro e
disse: “Chissà se mi sentono … è la notte dei desideri, potessero esaudirmi! Rivedere il mio
giardino fiorito, sentire le risate dei bimbi … Rivivere per un attimo quei momenti, sentirmi per
l’ultima volta felice!” Dal cielo le stelle la sentirono e improvvisamente il giardino si illuminò, le
aiuole si riempirono di fiori, risuonarono grida e risate felici di bambini, le statue si animarono e il
suo zampillo tornare vigoroso e forte. Poi, piano piano lo zampillo si indebolì, fino a fermarsi del
tutto, ma lei era felice che le stelle l’avevano esaudita, felice di aver rivisto il suo giardino. Ma nelle
notti di S. Lorenzo le stelle vogliono continuare ad esaudire il suo desiderio, e il giardino
magicamente si illumina, riprende vita e splendore.
La sfida di Primula
109
di Roberta De Tomi
Lo vide. Di nuovo, quel “coso” che calava sulle creature del giardino, seminando cadaveri di petali
e sepali. Da Margherita aveva saputo che si chiamava tacco. “A spillo” aveva precisato Tea,
gonfiando le spine e le foglie “E spero che ti calpesti.” “Tea, perché dici così?” ribatté Margherita.
“Una volgare plebea come lei non può far parte di questo giardino.” Margherita si irrigidì. “Il fatto
che sia una Primula Vulgaris non ti legittima a chiamarla plebea.” “E poi è l’unica che capisca il
linguaggio degli animali, mentre tu sei soltanto bella.” aggiunsero i fili d’erba. La rosa si erse in
tutta la sua clorofilliana statura. “Come vi permettete di mancarmi di rispetto? Io sono la regina di
questo giardino.” “Ma davvero?” ribatté Viola “Attenta perché stai per essere detronizzata.”
“Cosa?” Tea non fece in tempo a dire altro, che il tacco staccò la corolla dal gambo. Un petalo
sfiorò Primula, che emise un gridolino, sfumato dal coro degli amici terrorizzati. “Attenta!” Il tacco
si portò sopra di lei. “Aiuto!” Il piccolo fiore sentì incombere la morte, quand’ecco che qualcosa
sfrecciò tra loro. Il “coso appuntito” ricadde su quello che restava di Tea. Seguì un boato. “Che cosa
sta dicendo, l’umana?” chiese Margherita. “Maledetto… e poi non capisco l’altra parola.” “Gatto?”
“Eh?” “Quello che ti ha salvato la vita, è un gatto. Guarda davanti a te.” Entrambe videro la bestiola
acquattarsi tra l’erba e scattare tra le gambe dell’umana. La donna cadde seduta sulla panchina, si
rialzò e se ne andò, borbottando parole tradotte da Primula. “Ha detto che non si metterà più i tacchi
a spillo.” Tutti i fiori del giardino esultarono, mentre il micio si avvicinò al fiore salvato. Fece
saettare la lingua sulla corolla. Primula si scosse, rise e con lei risero gli amici e il gatto-eroe,
mentre la sera avvolgeva il giardino in un abbraccio nero e rassicurante, tempestato da dolci luci
adamantine.
VICTORIA AMAZZONICA
110
di Monica Ventra
Victoria strinse i petali: sei qui! Ogni vapore avrà la giusta presa sulle radici che ti hanno tolto a un
vortice. Respira, non devi più combattere la tua fragilità, individuare quella altrui per farti forte. Eri
così, ma non cattivo: umano, cercavi di afferrare in te qualcosa senza nome. A Ischia soffiava lo
scirocco, e tu ti rifugiasti in questa serra. Fuggisti il clima tropicale, la porta a vetri si richiuse alle
tue spalle. La trasparenza del tuo sguardo, per un attimo, passò il confine presidiato da giunchi
mormoranti. S’increspò l’acqua, le mie foglie galleggiarono verso l’uscita. Ritornasti. Ti unisti al
battito del colibrì nel risuonare degli accordi pre-concerto, nella cascata ritmica sull’orchidea.
Restavi in estasi in un fremito indistinto. Ti raccolsero, non è fuori dal mondo la Mortella, ogni
cespuglio urlò con la sirena della crocerossa. Siamo vivi. Tu in una forma che per i tuoi simili,
simili al te di prima, è inafferrabile, io nel mio offrirmi su vassoi di verde. Hai assaporato il grande
vuoto, e la profondità che il vuoto fa affiorare. Chi narra di fase vegetativa, della tua fine, mente: sei
vegetale, sei evoluto. Componi ancora musica, la assorbi. Lei permea l’aria, non comincia, non
finisce. NO TIME! Fa il filodendro diramando le sue radici aeree verso lo specchio d’acqua.
Guardati: questa foglia sfiora un germoglio appena nato col tatto di chi avvertì la furia dei coloni
presi ad abbattere foreste novecentesche, ed il sorriso di Susana, sepolta poco fa, già rigogliosa.
Quando eri William Walton, senza linfa, la pelle non incisa nell’alternanza di etere e materia, tu,
sotto un ficus, la baciasti. CHE UMILTÀ NEL DAR VALORE ALLA MIA STORIA, TU CHE
DIVENTI OGNI MOMENTO CIÒ CHE SEI! VICTORIA … E’ un nome da regina, sì, ma per un
giorno. Il tempo non esiste. C’è il giardino. LO SPAZIO? Accoglie chi lasci case e panorami, chi si
avventuri nel fogliame ombroso. L’ANIMA … MA, DIVENTI ROSSA! Certe parole fanno
rifiorire.
Un meraviglioso giardino
111
di Paola De Caria
Non appena Frida si svegliò si accorse immediatamente che qualcosa in lei era cambiato. Non aveva
più sonno e non riusciva a muoversi. Lottò per ore contro le pareti rinsecchite del suo bozzolo, ma
alla fine stanca e sudata uscì. Finalmente era diventata una farfalla e non vedeva l’ora di sapere di
quali meravigliosi colori la natura aveva dotato le sue ali. Trovò un piccolo stagno circondato da
meravigliosi fiori e lentamente, con intrepida curiosità spiegò le ali. Si aspettava di trovarsi di fronte
ad una manciata di colori vivaci e allegri e, invece, con sgomento si accorse che le sue ali erano
completamente nere. Stupita vi cercò un lampo di luce, ma non ne trovò perché la natura le aveva
dipinte con un’unica pennellata del più cupo e tetro colore: il nero. Infelice pensò di rientrare nella
crisalide, ma non ci riuscì e alla fine stanca di versare lacrime decise che se non ci aveva pensato la
natura a colorare le sue ali lo avrebbe fatto lei da sola. Così dette un calcio alla vecchia crisalide
rinsecchita e volò su una nuvola. Era una piccola, tenera, paffuta, allegra nuvoletta azzurra che le
sorrise. Frida allungò una zampetta, ne raccolse una manciata e la portò via con sé. Dopo di che
volò via. Nel bosco trovò una fragolina. Era rossa e piena di energia. Frida ne staccò un pezzetto e
la portò via con sé. Riprese a volare e a un tratto in un campo vide, mezzo sciolto dal caldo, un
piccolo chicco di uva bianca. La farfalla non ci pensò due volte, allungò una zampina e lo portò via
con sé. Tutto quel corredo cominciava a pesare, ma Frida non si arrese e mentre riposava su un fiore
un raggio di sole le sfiorò le ali. Frida gli sorrise e se lo portò via. Arrivata la notte Frida si
addormentò e non si accorse che la tenera nuvoletta, il piccolo chicco di uva, la rossa fragolina e il
caldo raggio di sole avevano lasciato impresso sulle sue ali magnifici colori che avrebbe potuto
sfoggiare in quel meraviglioso giardino.
Eredità
112
di Concetta Carella
Una mano è sulla mia corteccia, l’altra è protesa verso l’esterno. C’è una rete metallica a poca
distanza dal mio tronco; da uno dei rombi arrugginiti un uomo porge il piccolo frutto appena
staccato dal mio ramo a qualcuno, in strada. Sento la linfa fluire veloce in quella mano, sopra la mia
scorza rugosa. Quasi sento il battito del cuore agitato nel silenzio di questa strada di periferia, a
quest’ora del mattino, sotto questo caldo sole di giugno. “Una mela?”. La sua voce inaspettatamente
dolce si fonde con lo stormire della mia chioma. La donna non si ferma, ignora l’offerta e avanza
con passo spedito verso il cancello. Lui si allontana da me, ma posso sentirne la voce, mentre
cigolano i cardini. “Fa’ attenzione, è una giungla qui, non ci viene mai nessuno”. Attimi di silenzio.
“Vieni, ti mostro il giardino”. È la prima volta che la donna viene qui, ma anche lui era da tanto che
non lo vedevo. Da quando era morta sua madre, anni prima. È la casa in cui è cresciuto e che ha
lasciato da tempo. Una casa abbandonata. Le aveva sempre parlato di questo posto e ora finalmente
lei è qui. “Dunque? È questo il giardino?” Vorrei dirglielo che non è proprio un giardino, ma lui lo
ha sempre chiamato così. “Guarda, c’è tutto”, dice con orgoglio malcelato, mostrandole il fico al
mio fianco. “C’è anche un olivo, qui. E il pergolato”. Si fermano vicino alle ortensie, bianche per il
troppo sole. “Dovresti concimarle”, gli dice. “Le ha piantate mia madre, come tutto il resto”. Lo
dice con contenuta fierezza. È una baraonda di odori: rosmarino, menta, lavanda, timo. “È piccolo
ma c’è tutto, hai ragione”. Sento il rumore dei passi sull'erba. “Vieni”. Sono sotto le mie foglie, ne
sento il respiro un po’ ansante. Lei appoggia una spalla al mio tronco. I suoi capelli hanno lo stesso
odore dei miei frutti. Un pizzico leggero: lui ha colto un'altra delle mie mele. “Senti che buona...”. Il
morso è croccante. Rivedo una donna con la zappa, quarant'anni prima, piantarmi per una
sconosciuta.
La rosa dell'amore
114
di Roberta Bleve
Lety si distese di fianco accanto ad un albero poco oltre la campagna quando una foglia vedendole
scendere una lacrima le sollettico' in fronte ed ella incredula sospiro' ma non ci fece caso presa dai
pensieri..dedusse fosse solo un alito di vento..Una farfalla la senti' sospirare e le girò intorno ma
non la vide interessante! Ad un tratto ella girandosi si senti' osservare e vide una statua bella anche
se antica con forma di donna china in preghiera. Essa teneva in mano una rosa fresca e questo
turbo'Lety,è un posto abbandonato in fondo!La statua si animo' e le disse:"sospiri e lacrime ti fan
perdere il solletichio di una foglia che ti consola,di una farfalla che ti guarda attenta e di un albero
che ti sostiene!Perchè cara?" Lety incredula rispose spontaneamente:"a volte accade se l'amore non
ti vede.." La statua ribatte':"fanciulla sii' come una foglia che abbellisce il suo ramo anche se sa di
viver poco; sii' forte ed accomodante come un albero che ti sostiene seppur sola e magari libera
come una farfalla che sa vivere felice al sole come la fanciulla che è in te perchè l'amore è come
una rosa che ho tra le mani; se la sai tenere non muore mai ma i pensieri sono spine! Coltiva l'amore
che hai dentro e la rosa piu' bella dell'amore verrà da te anche nel posto piu' insolito,nel giorno piu'
scontato! "Grazie statua,ricorderò le tue parole" rispose questa.Si levo' da terra e sorridendo torno' a
casa fiduciosa e da quel giorno il suo cuore di fanciulla segui' i passi di farfalla,la bellezza di una
giovane foglia e la forza di un albero come anche di una piccola donna innamorata della vita!
Bosco incantato
115
di Francesca Tomasso
Quando sono andata in Sardegna, ho visto una pianta di Mirto ( tipico sardo) mi sono avvicinata
perché non avevo mai visto una pianta simile, sono andata davanti ed é come se lui mi dicesse all'
orecchio " prova i miei frutti che sono buonissimi"E allora ho seguito la voce e ho Deciso di
provarne uno e la prima cosa che ho detto ma che buoni e so che ho ringraziato la pianta per avermi
suggerito di provarne uno. É successa una cosa strana perché quando Sono tornata dalla
Sardegna,ho fatto un sogno, ho sognato che entravo in un bosco incantato con papaveri che
cantavano, pieno di farfalle che prendevano aperitivo con in testa ghirlande con rose rosse e poi
andavi avanti e vedevi una piscina piena di ninfee che ridevano tra loro, era un parco grandissimo e
anche molto divertente, più avanti c'era una ruota panoramica piena di coniglietti sorridenti molto
belli da vedere anche perché erano alternati uno bianco e uno marroncino e poi su una carrozza
della ruota panoramica c'erano due coniglietti innamorati tenerissimi che si facevano il selfie
insieme. E dopo c'erano piante di mele dove due mele una rossa e una bianca che facevano Finta di
essere Adamo ed Eva e poi c'era il serpente che era rappresentato con un gambo di fiore nero, era
divertentissimo e poi era pieno di macchine del golf fatte con i lego guidate da Dumbo, uno guidata
da mamma Dumbo, una da papá Dumbo mentre la macchina che si schiantava sempre era quella
guidata dal piccolo Dumbo che faceva dei danni allucinanti, ha schiacciato una zampa al coniglietto
Piegato in terra perché stava raccogliendo dei fiori per la sua fidanzata e lui si é arrabbiato tanto
perché doveva andare ad una festa ma non poteva perché aveva le stampelle e pensava di fare una
brutta figura E allora la sua fidanzata decide di andare alla festa senza lui ma lui le fa una sorpresa
va alla festa senza stampelle e si toglie il gesso ma per tutta la sera lui soffre come un matto e dovrà
portare il gesso un mese In più poverino!
Inquietudine d'estate
116
di Nadia Chadid
Alla statua ormai le bruciavano gli occhi, anzi se non fossero stati di pietra si immaginò potessero
lacrimare da un momento all'altro per ciò che in quella posizione era costretta a guardare per
ventiquattro ore senza interruzione.Per i passanti non era altro che un' ovvietà , qualcosa che tutte le
mattine rientrando negli uffici sapevano di dover oltrepassare in quel giardino immerso nei colori e
nel calore dei bei fiori e delle piante tropicali.Da due giorni sentiva addosso un maggior
nervosismo,l'inquietudine le cresceva dentro, dover stare negli anni immobile, impassibile a fissare
quel palazzo grigio che le si ergeva proprio dinanzi era diventato ormai davvero intollerabile, ma
ciò che da un paio di giorni le procurava maggiore noia era quella cosa con le ali,fortunata pensò,
,leggera, colorata, che anziché godersi le meraviglie del mondo era sempre a fissarla...e poi cosa
aveva da guardare? Si prendeva gioco di lei e della sua sfortuna? Ammaliata dalla bellezza della
statua,la farfalla osava spesso domandarsi chi donna avesse ispirato lo scultore che aveva estratto
dalla pietra tanta magnificenza ed eleganza. Ciò che la affascinava era anche la sua fierezza, il
modo in cui si ergeva in mezzo al giardino e la faceva da padrona; chiunque venisse in quel parco
non poteva fare a meno di fermarsi un attimo ,stravolto da tanto splendore gli impiegati di quegli
uffici spesso restavano minuti interi ad osservarla, eppure la statua sembrava non dare peso a
ciò.''Ecco è qui che voglio morire!'' decise e disse: ''la vita è stata breve e mai nessuno si è fermato
per guardarmi ma ''finendo'' tra le tue braccia avrò l'illusione anch'io di esser stata bellezza degli
occhi per qualcuno!'' La statua si destò dai suoi pensieri ma prima che se ne accorgesse una farfalla
le giaceva sul palmo della mano.
Io, Rosa
117
di Mariella Rosso
EEE che cavoloooo! stavo per mettermi a dormire e invece no.. deve piovere, brrr sono fuori e ho
freddo.. e che cosa faccio ora che sono le 2 del mattino? Potrei mettermi tranquilla e beata a scrutare
gli altri e a farmi un pò di risate hiihih.. Bhe che dire nella notte con questa luna sono tutti bellissimi
(anche i più bruttini)... Sono già innamorata e ho gli occhi a cuore penso sempre a Garofano che se
ne sta laggiù ed' è veramente bello, ha quel sorriso cosi dolce e caldo che fra poco mi sciolgo, anche
se fa freddolino a causa della pioggerella io sono tutta un fuoco.. Mi sa che garofano è timido, se ne
sta sempre la dietro in un angolino, non mi saluta mai e raramente mi sorride.. mi piace spiarlo
quando prende il sole, è cosi affascinante, pieno di sè... ahhh.. Vabbè non guardiamolo troppo! e poi
se non è erro è fidanzato, ecco mi innamoro sempre di quelli già fidanzati, ma come è possibile.. La
sua ragazza si chiama Celosia e vive nel suo quartiere, è una bella ragazza alta e ben messa e in
estate se la tira sempre, l'osservo da lontato come si atteggia e mi sta un pò antipatica, che peccato
avremmo potuto essere amiche ma evidentemente preferisce altre.. e poi perchè parlare di Celosia
devo smetterla di essere gelosa di lei.. Piuttosto qua vicino a me abita Rosmarino.. è un bel pezzo
d'uomo e ogni tanto ci scappano due chiacchiere, parliamo del più e del meno tra un irrigazione e
l'altra e un giorno mi confessò di voler far l'amore con me, ha sempre sognato questo in tutta la sua
vita, ma io penso di non essere alla sua altezza, mi intimorisce e mi mette soggezzione, è più grande
di me e sicuramente è più esperto ma ci sarà un giorno che mi conderò a lui appena mi sentirò più
sicura.. adesso finalmente ha smesso di piovere e mi è calata un pò la palpebra.. vi terrò aggiornati
delle vicende del condominio, a presto, bacioni, Rosa.
Il più piccolo
118
di Elena Cortinovis
«Come mai sei piccolo?» era la domanda con la quale il grande Acero aveva “accolto” il nuovo
arrivato del giardino di donna Eusebia: un bonsai appena collocato al centro. E la pregiata Camelia
aveva rincarato «Da dove vieni? Perché sei nel posto più bello…? Non hai nemmeno le radici, sei
ancora nel vaso, poverino, cos’hai combinato?....». Dopo di loro erano intervenuti il bel pino, che
sentiva poco perché aveva un forte vento tra le fronde, e per ultima la solenne quercia….. Una
raffica di domande acide, come anticipato dalla proprietaria prima di portalo in giardino «Attento,
sei bello, raro e saranno quindi molti ad invidiarti…..non ascoltare… passerà…». La signora
parlava spesso alle sue piante che, sentendosi amate, crescevano bene. «Ma sei muto?» Era stata la
domanda finale del Nocciolo, che aveva lasciato tutti col fiato sospeso… Il bonsai parlò: «Vengo da
lontano, dal Giappone. Mi hanno regalato a un pittore che faceva bellissimi ritratti alle persone».
«Ma tu cosa c’entri con i ritratti?» disse la siepe di Bosso, di solito sulle sue perché aveva forme
bellissime e si riteneva la più nobile. «Un giorno, il pittore, ritraendo una bambina mi ha disegnato
accanto a lei. Subito i suoi genitori gli hanno commissionato altri tre ritratti e lui ogni volta mi ha
voluto nei suoi quadri: sono diventato la sua firma». «Sei piccolo lo stesso….» rincarò cattivo
l’Acero. «Meno male – disse il Bonsai – perché è proprio questa la bellezza per cui siamo
ricercati… Piacciamo e così ci mettono al centro!». «Ancora una domanda carissimo… Come ti
chiami? E chi è il pittore?» chiese la profumata Rosa che sentiva già qualche attrazione per il
“nanetto interessante”. «Mi chiamo Bonsai e il pittore, morto da poco lasciandomi alla nostra
carissima signora, sua amica, per via dei miei “ritratti” è detto il Bonsio». Calava la sera e gli alberi
si addormentarono, sognando però altre domande, da fare il giorno dopo al nuovo curioso “piccolo-
grande…..”.
Adelino , un grazioso porcellino d’India, si sveglio bruscamente nel cuore della notte ed esclamo’
“Non è la mia Argentina”, come son finito qua?? Il simpatico animaletto viveva con la sua
famigliola in un altopiano argentino, conosceva ogni cm di quella terra ma si rese subito conto di
non essere li’. Vide davanti ai suoi occhi tanta gente in quella boscaglia riunita attorno ad un fuoco ,
gente allegra che cantava accompagnata dalla chitarra e dalla grande luna che illuminava la notte. Il
porcellino si sentiva sperduto, se queste persone mi vedono, pensava, mi faranno a pezzettini e
finirò arrosto nei loro piatti. Preso dal panico instintivamente si avvicinò ad un bimbo che dormiva
e gli si infilò in tasca… ”Che calduccio” e Adelino si riaddormento’. Dopo un po’ di ore si ritrovò
all’interno di una vasca d’acciaio con pantaloni, asciugamani, tovaglie di ogni tipo, in mezzo a tante
bolle di sapone, stava letteralmente soffocando, allora cominciò a piangere ed iniziò a fare un verso
così particolare che la signora Maya si avvicinò all’oblò della lavatrice, incuriosita dal vedere due
occhietti vivacissimi che la fissavano spense la lavatrice e ne aprì lo sportello un po’ furtivamente
ma appena Adelino la vide la ringraziò con un sorriso che non avrebbe di certo fatto spaventare
nessuno nemmeno una donna così presa dalle faccende domestiche come lei. “Tu sei sicuramente
un amico di mio figlio Freddy sai ora lui non c’è, è a scuola e non ti posso portare da lui ma posso
darti da mangiare se vuoi” Davvero simpatica la signora Maya i capelli rossicci, le lentiggini sul
volto, gli occhi del colore del cielo le conferivano un aria veramente simpatica, diede da mangiare
al porcellino un po di verdura ed il piccolo animaletto si sentì sollevato e tranquillo, per questa volta
ce l’aveva fatta nessuno voleva fargli del male.
In un giardino prospiciente al Museo Borghese di Roma, un albero guardava la coda dei turisti per
visitare il Museo e li' vicino quasi per incanto una Statua PArlante,(Lucrezia stanca di stare sdraiata
nella piazzetta SAN MARCO).Lucrezia sfogliava una delle tante rose prospicienti il MUSeo,fin
quando alterata la ROSA disse"ORA BASTA!" nello stesso preciso istante LUCREZIA sobbalzo' e
disse "ORA anche i Fiori PARLANO?" mentre l'ALBERO sogghignava.La Rosa disse:" DA
quando il mondo e' mondo noi parliamo la vera meraviglia della parola sei tu PEZZO di
MARMO?"LUCREZIA gli rispose "A me la parola l'hanno data i Romani e per questo parlo
ROSa!!" L"ALBERO disse" Sono contento che abbiate tutte e due la parola cosicche' possiamo
spaventare insieme chi butta la carta le bottiglie etc per terra e sul giardino che ne dite??!!" a quel
punto la FARFALLA che svolazzava di fiore in fiore e di turista in turista disse" Posso aiutarVI
anche io??" Certamente disse l' ALBERO.Inizio' cosi' la GIORNATA del VIVERE PULITO. Ogni
turista che buttava carta etc. veniva bastonato con i rami se si trovava vicino ai rami dell'ALBERO ,
punto se tentava di buttare carta o prendere una rosa nel giardino. Mentre se si trovava no vicino
alla STATUA LUCREZIA la stessa dalla sua posizione semisdraiata faceva una scianghetta se i
turisti provavano ad appoggiarsi o a scrivere su di LEI ed infine LA FARFALLA qualora nessuno
dei suoi amici non riusciva a portare a compimento l'intento agiva svolazzando tra orecchie naso e
spalla del turista maleducato. Quel giorno i 4 amici si divertirono molto ed alcuni turisti maleducati
parlano di quella giornata particolare vissuta a Villa Borghese davanti al MUSEO
Il vecchio Fergus
121
di Chiara Rolla
“Plock, plock, plock” quel giorno faceva molto freddo e la fontana gocciolava stancamente sotto la
pioggia. Dalle piccole bocche di sei delfini colavano flebili rivoli bianco azzurrognoli. “Ho sentito
dire che il vecchio Fergus è malato!” esclamò ermellino, accucciato ai piedi del possente larice.
“Non è possibile! - si affrettò l'altezzosa rosa - Il vecchio Fergus è più forte di una roccia!” “Se è
malato chi si occuperà di noi?” proseguì felce preoccupata. “Sono parecchi giorni che non esce dal
cottage!” fece eco pernice. “Già, il vecchio Fergus non viene a farci visita da un po'!” aggiunse
pino. “Che gatto selvatico vada a vedere! - suggerì imperiosa erica – E' l'unico ad avere accesso al
cottage!” “Wron, wron, un posto caldo ed asciutto, un caminetto ed una bella scodella di latte, ecco
cosa ci vuole in giornate come questa!” e corse via in direzione del cottage, ma porte e finestre
erano sprangate. “O il vecchio Fergus non è in casa o è successo qualcosa.” riferì ai suoi compagni.
“Chi strapperà le erbacce? Chi curerà le nostre malattie? Chi ci innaffierà nelle giornate afose? Chi
ci racconterà vecchie leggende? Chi ci canterà struggenti ballate?” incalzava margherita.“Chi ci
porterà semi ed altre leccornie da sgranocchiare?” si affannavano lepre e scoiattolo. Il giardino era
in fibrillazione.“Chi ammirerà le mie splendide ali?” si tormentava farfalla.“Chi loderà il mio
canto?” sospirò fringuello.“Siete tutti molto egoisti! - sentenziò il saggio gufo – Se il vecchio
Fergus è malato dovreste essere preoccupati per lui!”Tutti parlavano contemporaneamente, le voci
si sovrapponevano, i versi degli animali, lo stormire delle foglie, il canto dei fiori, tutto vibrava di
preoccupazione.Fu così che solo il vecchio gargouille che si affacciava sullo splendido giardino da
un doccione della vicina chiesa, si accorse di una bianca figura che osservava muta quello che un
tempo era stato il suo giardino.Lo spirito del vecchio Fergus sorrideva beato alle sue creature.
Il bosco in festa
122
di Miriam Belli
Festa grande oggi nel bosco: il giovane pioppo sposa la timida betulla. Sono invitati alla cerimonia
tutti gli animaletti che lì vi abitano.Le lumachine sono le prime ad arrivare, si sono messe in
movimento per tempo, essendo per natura lente.Sciami di piccolissimi insetti formano nuvole che si
spostano con leggerezza.Gli uccellini cantano gioiosi e danzano intorno ai due sposi.Le lucertoline
si sono arrampicate su grossi massi così da poter vedere la cerimonia.I funghi e i fiorellini spontanei
danno una nota di colore in mezzo al verde dell'erba. Testimone dello sposo è il grillo canterino,
molto elegante per l'occasione nel suo smoking grigio. Per la sposa, la testimone è la cicala, vestita
di veli cangianti e trasparenti. Le damigelle sono le coccinelle: rosso brillante con puntini neri è il
loro vestito. C'è un gran fermento, si aspetta chi officerà il matrimonio. L'onore aspetta al gnomo
più anziano, aiutato dai più giovani gnometti.Il gnomo Mentino, il più birichino, porta un recipiente
di legno, pieno di acqua del ruscello afrodisiaco, che scende da una piccola altura zampillando
festosamente. La offre agli sposi. L'officiante inizia il rito del matrimonio, secondo la dottrina
gnomesca:il pioppo dovrà proteggere la betulla con i suoi alti rami dalle intemperie della natura e
donarle ombra quando il caldo e la siccità si faranno sentire.La sposa accetterà le tenerezze dello
sposo e gli sarà fedele Si alza un leggero venticello, quasi una brezza che porta in tutto il bosco il sì
pronunciato dagli sposi L'eco lo fa risuonare fino giù nella vallata, perché tutti sappiano che oggi il
bosco è in festa.
Prima dell'Uomo
123
di Francesca Tommasi
Veniva da molto lontano e, dopo aver visto quel giardino, si fermò per riposare, coperta solo da un
manto candido. Finché una grande Statua le rivolse la parola. “Chi sei?” la interrogò. “Questo è il
mio giardino.” “Fammi restare. Posso insegnarti molte cose.” “Ho il volto degli dei e la forma
dell'Arte. Cosa puoi sapere tu?” “Ascoltami, il tempo di rivestirmi, poi me ne andrò.” Si sedette e
iniziò a parlare. La Bellezza Cara Statua, ho conosciuto così tante persone. Per alcune sono simbolo
di benvenuto, altre vedono in me un augurio di prosperità. Tu sei sempre stata qui, ma la vera
Bellezza è nelle persone. Terminato il racconto, indossò un lungo vestito dai colori tenui, timidi
come chi si affaccia per la prima volta al mondo. I Ricordi La giornata era calda, così decise di
indossare un cappello: rosso come il fuoco, sgargiante come la terra dalla quale proveniva. Statua,
basta aver visto per sentire? Hai mai abbracciato qualcuno fino a sentire nella pelle il suo profumo?
Ogni volta che sentirai quell’odore, quel momento riaffiorerà sulle labbra, facendoti sorridere. I
ricordi sono il dono più prezioso. La Determinazione Per ultima, indossò una collana. I pendenti
bramavano dalla voglia di andare lontano ad ogni soffio di vento. Era giunto il momento di
separarsi. Questa è l’ultima lezione. La prima volta che mi hai vista ti sono sembrata indifesa, vero?
Ho affrontato le stagioni solo per arrivare fino a qui. La Determinazione ti porta dove vuoi. “Ora
dobbiamo salutarci. Dai miei colori hai compreso che la bellezza fiorisce nelle persone, dal profumo
hai imparato la forza dei ricordi e dai miei semi il valore della determinazione. La Perfezione è nella
semplicità del creato, oltre ciò che voi chiamate Arte.” Riprese fiato. “Non ti ho detto il mio nome,
sono Ibisco.” Alla Statua cadde una lacrima. Pensò che non aveva mai visto un fiore così bello e si
sentì fiera di averla ospitata nel suo giardino. Cosa può l’Uomo di fronte alla Natura?
Nel giardino della principessa Porporina regnava la serenità. I garofani donavano le loro foglie più
tenere ai conigli, le margherite il loro polline alle api, i cipressi e il piccolo fiume donavano ombra e
ristoro a tutti i presenti. Un giorno di mezza estate,arrivò un personaggio che disturbò l’amena
quiete, la vipera Ursula che con pettegolezzi e maldicenze mise uno contro l’altro gli abitanti del
giardino,causando la distruzione dell’intera comunità. Ma una notte la quercia più saggia decise di
riunire tutti gli animali e le piante”Miei cari amici” disse” La presenza di questa vipera sta
rovinando il nostro rapporto,instaurato con anni di fiducia e pace,non può passarla liscia! Dovete
aiutarmi ad elaborare un piano.” Così, le talpe aiutate dalle formiche scavarono un tunnel
sotterraneo che portava ad una cella di rametti fuori dal giardino costruita dalle rondini, in modo
che la vipera imprigionata non potesse più tornare. La mattina seguente la pettegola tornò a mettere
zizzania come era consueta fare, ma ciarlando ciarlando cadde nel tunnel ,e da stolta qual era, fuggi
dalla parte opposta,dove si trovava la cella. Appena arrivata all’interno non riuscì più a liberarsi e
urlante disse:“Maledetti! Mi avete ingannata! Me la pagherete!”.Dopo questa esperienza tutti gli
abitanti del giardino ritornarono alla loro consueta armonia tenendo a mente che non bisogna mai
fidarsi di chi parla alle spalle, perché non lo fa a fin di bene, ma solo per rendere la vita triste e
difficile.
"Presto ci siamo sta iniziando"..disse la statua del giardino della signora Rosa, un uomo anziano con
un fanciullo in braccio, stava chiamando tutti gli alberi e i fiori dell'aiuola. Questo giardino, si
trovava al confine di un campo da golf. Stava iniziando una gara molto importante e gli spettatori
più favoriti erano i nostri amici del giardino in prima fila. Le foglioline della siepe, si muovono da
una parte all'altra "guarda che bel ragazzo quello, e che swing", "e quel bambino come è serio e
concentrato", "ma non vi sarete mica perse quella signora anziana con la sua sacca rosa" "e quei due
con i pantaloncini a quadri, che ridicoli che sono!!": "Ma siete proprio delle chiacchierone, io e
Junior abbiamo già individuato il migliore invece", così parlava il signore della statua. "eccoci
arriviamo" erano le ortensie,"fateci spazio non vediamo nulla". "Tranquille da quassù vi
aggiorniamo; per ora tutti piu o meno giocano bene" i rami degli alberi con un' aria altezzosa
dominavano e giudicavano. "iniziamo con le penalità, ma se potessi...aspetta non fare nulla non è
corretto! il solito ramo si è spostato e due signore sono finite dritte con la loro pallina nei rami!.
Dopo 4 ore i giocatori erano arrivati tutti buca finale. "vedrai che basta muoversi un pò di piu,
chiamare il vento ed ecco che si distraggono al putt finale" si comportavano sempre cosi le
foglioline. "Non è corretto quello che fate, però è un'idea, quel ragazzino con i capelli biondi mi è
simpatico, e ha fatto dei tiri bellissimi" cosi parlava il signore della statua. "dobbiamo aiutarlo sul
putt, vedrete che vince". "va bene ci pensiamo noi" dissero i rami, e cosi fecero muovere un pò di
brezza a favore del ragazzino che fece subito buca! Tutto il giardino sorrideva, il ragazzino aveva
vinto! Era felicissimo, si guardava intorno incredulo, come se qualcosa di magico fosse successo,
ma nessuno si era accorto che la signora Rosa era sempre stata dalla finestrella e aveva guardato
tutta la gara.
Storie a distanza
126
di Antonella La Brocca
La signora Rosa Rossa un giorno guardandosi alle spalle vide una margheritina dai perali un po'
rosa e un po' blu. Allora le chiese se avesse avuto problemi col parrucchiere. Marghe Rita in Rito
risposte che nelle giornate di scirocco lei inviava un suo petalo a Marghe Rito situato dietro la
quercia sulla destra, mentre in quelle di tramontana lei riceveva un petalo dal promesso sposo. Rosa
incredula esclamó: "ma non ti si puó vedere!" Marghe Rita serena rispose: "L'amore vede con gli
occhi del cuore. L'amore è dare e ricevere, uno scambio fra le parti che si mescolano pur rimanendo
distinte. E poi l'amore a distanza ancor di più ha bisogno di ricevere attenzioni, anche se questo vuol
dire privarsi dei propri preziosi petali. Perchè se è amore vero come vedi preziosi altrui petali
torneranno a rendermi ancora più unica di quanto potessi esserlo. Ognuno di noi è unico Rosa, fai
scoprire la tua unicità a qualcuno che possa apprezzarla". Una goccia di rugiada sgorgó dal petalo
rosso di Rosa. Poi fece volare via un suo petalo, perchè il vento lo portasse a chi era destinato. La
rugiada altro non è che la scoperta di ogni fiore di essere solo e incompleto senza l'amore di un altro
fiore.
Quella mattina d'estate sembrava esserci un gran chiacchiericcio in giardino. Rosa si era svegliata
alle prime luci dell'alba con la voglia di far domande, di verificare se ci fosse qualcuno alla sua
altezza tra le tante piante e fiori che abbellivano il giardino della grande villa sul lago; la moglie
dell'avvocato era stata così attenta a farvi piantare bulbi e semi di ogni specie da far invidia a
qualsiasi serra al mondo. Margherita fu la prima ad essere interpellata e subito iniziò a decantare le
proprie virtù, ad elencare quanti innamorati aveva lasciato col fiato sospeso mentre, tra un m'ama
non m'ama, la privavano uno ad uno dei suoi petali così bianchi e profumati. Primula ribatté di
essere l'unica ad annunciare la primavera, di essere il simbolo della natura che si risveglia dopo il
lungo inverno. Alla parola "inverno", Stella Alpina si sentì in dovere di ricordare a tutti di essere
l'unica dotata di una forza tale da resistere al freddo e al gelo. Si creò un intreccio di voci
dissonanti: ognuno voleva dimostrare di esser migliore degli altri. L'unico a non partecipare alla
discussione fu Rovo; se ne stava in disparte,lungo le mura del giardino, ascoltando in silenzio tutto
quello che era stato detto. Rosa lo notò. "Tu perché non parli?" gli chiese. Rovo la guardò per istanti
che parvero interminabili. Nessuno proferiva verbo attendendo che parlasse. "Sono in questo
giardino da molti anni" iniziò "forse non sarò colorato, profumato o delicato, ma riesco a custodire
l'intero giardino e tutto ciò che contiene. Chiunque vorrà cogliere uno solo di voi dovrà pungersi
con le mie spine, così come chiunque desideri essere felice dovrà soffrire e far sacrifici. Io sono il
mezzo attraverso il quale ogni conquista diviene sì difficile, ma ancor più meritata". Rosa rimase
talmente affascinata da quelle parole che decise di prendere un pezzetto di Rovo e farlo suo. Da
quel giorno non si privò più delle sue spine.
Dormi dormi piccolino, dormi dormi mio bel fior, non aprire gli occhi ancora, dormi dormi
piccolino. Dormi ancora che ora è presto troppo presto per svegliar, notte tempo giorni ore troppo
presto per svegliar. Dormi piccolo mio, non svegliarti! Non è ancora tempo di affrontare giornate
lunghe e dure. Dormi, finché puoi. Ti faccio ombra, esile e puro, coi miei petali alati color rosso del
fuoco. Ti riparo dal vento, dal sole, dalla pioggia, dalle intemperie.Ti proteggo col mio stelo alto e
regale. Ti cullo piano e sottovoce ti racconto del mondo con parole fatate. Vorrei ci fossero giorni
luminosi per te e strade piane ed approdi sicuri, amici fedeli ed onesti compagni di vita.Non so se
così potrà essere. Quando ti sveglierai, ti aiuterò in ogni modo. I miei petali infusi nel tè o bolliti nel
vino d'uva appassita calmeranno il tuo cuore agitato, con dolcezza e ti doneranno un sonno
migliore. Mi chiamano l'erba della buonanotte ed io per te sarò il fiore della nuova vita. Se mi
laverai con delicatezza e sul fuoco mi scalderai, otterrai una bevanda con cui rinfrescare la tua gola
dal caldo afoso delle giornate torride. Potrai curare la tosse ed i bronchi, calmare la febbre, placare
gli spasmi. Se mi userai come unguento potrai lenire la tua pelle arrossate e se mi impasterai con
zucchero farina e cannella, oppure mi bollirai e condirai con olio d'oliva e limone, potrai calmare la
fame. Non esagerare con me, ho un sapore amaro e delicato, prendimi in piccole dosi, la virtù, come
sempre, si accompagna alla modestia. Ancora non mi conosci, prova ad immaginarmi. Cresco nei
campi, ai bordi delle strade, fra i binari delle ferrovie.Resisto alle alte montagne. Dormi dormi
piccolino, dormi ancora mio tesor, gli occhi grandi che tua hai non è tempo ancor da aprir. Dormi
dormi tesorino, mio adorabile bel fior, quanti giorni sono passati e tu ancora dormi un po'. Non
sapevo dove andar e pian piano ti cullai, non sapevo cosa far e con dolcezza t'incantai.
La perseveranza
129
di Giulia Mauri
Non sono un geranio comune da giardino o in area protetta, sono di città, originario di Cipro. Mi
trovo a Milano Porta Venezia, la manzoniana Porta Renza, quella da cui fuggì verso l’Adda,
appunto, Renzo Tramaglino. Vivo e sono cresciuto in una “cà de ringhera” del 1906. In origine ero
un esiguo tralcio portato via da un gran cespuglio, alto, enorme nell’isola di Cipro, a Paphos. Tu
amante della natura e della tutela ambientale, amico del WWF, mi hai rimpiantato qui in un gran
vaso sul balcone “de ringhera”. Le tue cure per decenni mi hanno cresciuto, sono diventato
gigantesco, alto come un albero carico di fiori, rosso intenso. Sono un essere vivente da proteggere
poiché appartengo alla natura, indispensabile all’ambiente umano. Sei abituato a percepire la mia
bellezza esclusivamente con gli occhi, cogli le sfumature delle mie tinte, il colore acceso, le forme
sorprendenti delle mie foglie vellutate, la maestosità della mia chioma. Io regalo al tuo olfatto
altrettanto piacere col mio profumo di essenza mediterranea, facendoti assaporare, in modo
altrettanto efficace il miracolo della natura. Si dice che il mio aroma tenga lontane le zanzare. Ho
saputo che la tecnologia rende visibile la mia presenza in città interrando un microcip ai miei piedi,
anzi alle mie radici. Divento “leggibile” anche ai non vedenti, che già assaporano il mio profumo.
Non ti inquietare se qualcuno mi ruba un rametto per rimpiantarmi nel suo vaso. Io mi diffondo e
mi moltiplico sulle altre ringhiere della casa, allietandole con il mio rosso vivo, inconfondibile con
altri simili e tu solo mi puoi riconoscere. Con le mie tinte e la florida bellezza stupisco chi abita o
chi transita e rendo più bella e accogliente la vecchia trasandata “cà de ringhera”. Io rosso geranio
di Cipro, sono cresciuto al 4° e ultimo piano come un albero, sfioro la gronda del tetto. All’alba su
di me si radunano passeri e merli di città che allietano, con i loro cinguettii e canti, te che mi curi e i
vicini di casa.
Il melo è un’ottima scelta. Ombroso, con quelle deliziose decorazioni tonde che passano dal verde
al rosso, tra aprile e ottobre. La soluzione che le propongo è proprio lì: una graziosa mono-
famigliare azzurra, in balsa, con paillettes d’oro, immersa in un giardino pensile di 25 cm quadri di
crassule, una vera rarità. Saprà che è primavera quando le vedrà riempirsi di graziosi fiori bianchi.
Se invece preferisce qualcosa di più grande, potrebbe valutare il mulino dietro la lavanda. La pala
gira davvero, sa? E ha questa piccola dependance, dipinta con smalto da unghie, corallo e
acquamarina. Noti il pregevole rosone di strass, e le api che ronzano intorno… Concilia il sonno, io
trovo, questo ronzio. E i gatti, le piacciono? Perché su questo delizioso muretto in sasso ne può
incontrare diversi, che fanno la siesta. Qui invece, tono su tono, abbiamo una deliziosa veranda
bianca, in vetro e ferro con porta candela al centro che funge anche da vasca da bagno: basta aprire
il vasistas ed entra la rugiada, direttamente. Ah,che bagni al chiaro di luna! Il mio guscio fragile non
mi permette strapazzi, ma fossi in lei la valuterei attentamente. È sfitta dall’ultima festa in giardino.
E il vento porta qui i petali di quelle rose gialle, vede? Sono ottimi i petali di rosa, per decotti,
marmellate... Se sceglie qualcuna delle nostre proposte, il suo nome verrà scritto su quella
lavagnetta laggiù. Ci sono già i nomi dei gatti, delle galline, del riccio, rigorosamente in ordine di
arrivo… Sono tutti gli abitanti del giardino… nulla sfugge alla nostra custode, Miss Lili, sette anni.
Un’artista, come può vedere dal suo tavolo da lavoro, sotto quella pergola di vite . Nocciole, vetrini
di mare, legnetti, scarpine di barbie, che poi assembla in statue, minestre, decorazioni. Le farà
trovare davanti alla sua nuova dimora un piccolo zerbino di benvenuto giallo e azzurro in piuma di
cinciallegra. Come avrà capito, la nostra Agenzia Immobiliare Per Fate vuole solo il meglio, per
Lei.
L'albero di Ulivo
132
di Silvia Candoli
Quando sono nato ero piccolo e incerto, timido e discreto. Attorno a me tantissimo spazio verde e
tanti amici con cui trascorrere lunghe giornate serene. Con i tempo sono cresciuto fino a diventare
l'ulivo secolare e maestoso che sono oggi. Molte cose sono cambiate, tante piante ho perso lungo il
cammino, portandomele sempre nel mio cuore. Ho un ricordo prezioso per ognuna di loro. Oggi
davanti a me c'e' una casa, per molto tempo e' stata disabitata ed ero davvero curioso di conoscere le
persone che sarebbero venute a trovarmi. L'attesa e' durata qualche anno e finalmente ho conosciuto
i miei primi "conquilini". Sono stato fortunato. Conosco alcuni amici che hanno avuto "problemi di
vicinato", alcuni sono stati addirittura sradicati per far posto a fabbricati o lunghe vie asfaltate...Io
sono qui, guardo i bambini correre, rido quando giocano con il cane e passo molto tempo con Terry,
una tartarughina davvero simpatica. Li proteggo dal sole quando e' troppo caldo e dal vento quando
e' aggressivo. Offro loro i miei frutti con gioa, mi piace vederli stendere quei loro strani teli
bucherellati per raccogliere le mie olive. Ma anche loro mi curano molto, devo essere sincero.
Quest'anno in puglia c'era una brutta malattia per noi povero Olivi, ma i miei amici hanno saputo
curarmi e io fortunatamente non mi sono ammalato. Spero di vivere ancora molto, ho ancora tanto
da dare . Mi piacerebbe vedere quei piccoli umani crescere e diventare uomini, e spero che anche
loro in futuro avranno rispetto di noi vegetali. Non parliamo molto, e' vero, ma abbiamo molto da
raccontare.
C’era una volta un fico d‘india che viveva solitario al margine di una strada. Anche se era sempre
coperto dalla polvere sollevata dai veicoli in accelerazione, pure se innaffiato con gli oli combusti di
un vicino distributore, il fico d’india si era bene ambientato in quell’angolo di strada dissestato,
diventando con gli anni un grande cespuglio di pale e di spine. Ma in quel posto emarginato non
aveva mai socializzato perché, se provieni da molto lontano, anche se è da secoli che ti sei insediato
e ti senti integrato, sarai sempre additato come un povero immigrato e poi per il carattere diciamo
così molto spinoso, ruvido e ombroso del fico d’india che spingeva le altre piante a starsene lontano
dalle sue pale. Un giorno in quell’angolo di strada polverosa arrivò una rosa; era arrivata in volo
sotto forma di seme lasciato cadere da un merlo di passaggio; era una rosa bastardina di quelle che
non sai perché ne per come, di quelle che non ne conosci il nome, anche lei probabilmente
un’immigrata proveniente dal lontano oriente perché specie sarmentosa e rifiorente. Il seme in
primavera era germogliato e da esso un lungo tralcio di rosa era cresciuto che strisciando a serpente
tra le pale le aveva strettamente avvolte in fitte spire. Li per li il fico d’india non ci aveva fatto caso
ma con il passare del tempo ad ogni refolo di vento sentiva sulle pale un leggero punzecchiare, un
piacevole grattare che lo faceva stare bene; erano le spine della rosa, certo poca cosa rispetto agli
aculei cui era abituato ma si sentiva felice come non lo era mai stato, forse per avere trovato
qualcuno che gli stesse accanto e che di spine ne capisse tanto quanto. Quando a fine maggio la rosa
cominciò a fiorire, il fico d'india, oramai perdutamente innamorato, non sapendo cosa fare per
ricambiare, ricoprì le sue verdi e tozze pale di grandi fiori gialli color del sole. Ogni anno vedendoli
entrambi in fiore chi potrebbe dubitare che il loro non sia vero amore?
Un meraviglioso giardino colmo di alberi da frutta e di più pergolati di viti di ogni tipo: l’uva
americana dai chicchi rossi, l’uva bianca dai grappoli dorati al sole non ancora maturi a mezza
estate. Lungo i vialetti più vasche di pietra per il bagno dei piccoli al tramonto quando l’acqua
scaldata dal sole è pronta per tuffarsi e le voci in allegria si levano verso il cielo quasi a salutare il
sole infocato nelle sue ultime ore del giorno. Poi il silenzio all’imbrunire anche il canto degli uccelli
cade in sordina. Le ombre della notte col chiarore lunare disegnano la natura nel suo nuovo manto.
La calotta stellare luminosissima scintilla miriadi di stelle. Nel giardino fatato cade una foglia dopo
essere stata cullata dal vento per ore, per tutta l’estate riscaldata dal riverbero del sole. La natura è
vita: il sole e la sua luce, il cielo e i suoi colori, il mare e il suo moto ondulatorio; movimenti che
accarezzano dolcemente la flora e la sua fauna. Un giardino coronato in lontananza da montagne
che svettano verso l’infinito con cime innevate di immenso candore . Quando si sciolgono le nevi in
primavera sgorgano rigagnoli, torrenti, impetuose cascate di acqua limpida ed i ghiacciai si
rimpiccioliscono lasciando così ai fiumi il compito di distribuire i flussi delle loro acque a valle
dove le campagne e il meraviglioso giardino di mezza estate diventa rigoglioso e oltremodo
pittoresco. In alternanza spiriti liberi voleggiano nell’aere: farfalle, lucciole, cardellini, cuculi, grilli
e cicale fra le fronde di maestosi alberi. Tutti innalzano al cielo il loro io con note musicali,
dipingono il sogno di un giardino dove le stagioni si susseguono, mostrando a mezza estate il
culmine della loro bellezza. Inveruno, 13.08.2015 Lucia Natali Via Goya n.14 Inveruno (MI) cell.
377 1215920
Patibolo variopinto
135
di Valeria Gnan
La stanza di cristallo mi apparve, fata Morgana, in uno scoppio di luce floreale.Mi abbagliò, piccolo
seme d'abracadabra sbalzato dallo smeraldo di un immenso mondo tropicale.Lei era lì nel cuore di
quella giardineria di città : la casina di cristallo, la dimora dei fiori recisi.Rimasi immobile davanti a
quell'altare di grazia. Con un occhio vedevo il carnevale squillante dei colori, i petali cremosi, gli
stami desiderosi di moltiplicare vita. Con l'altro occhio vedevo corolle appena un po' reclinate su
steli esilissimi, issati lì come tanti Cristi appesi sul Golgota di una spalliera di rame. E fu lì, nell
'alcolico stordimento di aromi e visioni che sentii l'orchidea sospirare :“Cantavo, danzavo ed ero
felice. Flirtavo con l'ape e col vento...” E poi sentii la calla cantare :“Una forbice mi ha reciso, una
lama per me ha deciso”.E ancora udii il giglio ansimare :“Avevo una storia, un progetto...” E la
fresia odorosa si mise a recitare : “Della treccia bionda di una sposa sarò ornamento, o fra bianche
lapidi cullerò il tormento ?” Infine la rosa, d'organza rossa vestita: “Ah, se mani generose mi
avessero essicato, ora brillerei di vita immortale!”. Adesso potevo anche sentire una musica: note
straziate di violini acuti ed echi vellutati di flauti. Mi chiesi da dove venissero tutta quella luce e
così tanta poesia. Pensai : fiori recisi, fiori già morti sì, ma di sicuro così risplendete perchè
mescolate nello stesso piatto dolore e bellezza. Me ne andai con la sensazione di condividere un
destino. Pensai a tutte le forbici, a tutti i bisturi della mia storia. A quante volte sul collo avevo
sentito i giorni contati, a quante volte ero morta e poi tornata alla vita.
Kumquat
136
di Valentina Borlandelli
Entro le sue larghe sponde scorre il fiume, lento. Un lungo tratto d'acquerello dipinto dalla mano di
Natura, svelato dalla punta del pennello, accanto ad un'oasi nascosta di pagode e frescura. L'uomo
dagli occhi in sù cammina seguendo il percorso del fiume. Giunto nel giardino, l'esile figura
s'accosta al bordo d'uno stagnetto. Si sofferma a osservare la massa fluida e consistente dell'acqua,
che bagna le pietre e custodisce carpe longeve. Come uno specchio essa ne restituisce il riflesso. Lo
stesso movimento dell'acqua, sinuoso e continuo, invita alla meditazione: entro quale confine
dimora il reale e al di fuori del quale l'immaginazione sublima la percezione? L'uomo si mette in
ascolto del ritmo della Natura, scandito da silenzi, attese e cure. Egli rimane estasiato innanzi a un
alberello di kumquat: la rotondità dei mandarini cinesi, la loro scorza sottile tinta d'un delicato
arancio, il loro aroma tanto appagante e sobrio. L'albero, dalle radici saldamente affondate nel
terreno, si protende in un ampio inchino verso l'uomo ed esala dalla chioma un vapore denso di
frizzanti sentori agrumati. E' il respiro della pianta. All'ombra delle fronde, un uccellino azzurro
celeste dal petto candido come latte intona una delicata sinfonia, che si fonde con l'odore
conciliante delle vasche d'acqua. " Questo il premio da Natura. Ella si prenderà cura di te. Perché
hai compreso l'essere delle cose". Una scia dei profumi del giardino - ciliegi in fiore, mandarini dal
vispo odore fruttato, gustosi susini, fragranti giunchi bagnati di bambù - avvolge l'oasi in aura
perlescente, costellata da bagliori dorati. Essa è capace di illuminare di nuova luce quanto il
giardino contiene,e di conferire vigore all'uomo dall'animo non gravoso. Ed ecco la scia odorosa
cingendolo muta l'uomo in lucente statua d'oro, uno fra molti saggi. E a turno ognuna, al suono del
gong suggellato dal profumo di gelsomino, si anima per contemplare l'angolo di giardino in cui ha
colto l'essenza della vita.
L'erba e la camelia
137
di Vincenza Davino
L’erba e la camelia Avanzo nel silenzio irreale di questo giardino stamane, in uno spazio che divora
ogni piccolo rumore. Il cielo azzurro cola su di me. Sento lo stupore fresco di questo istante e
respiro nel profondo. All’improvviso tutte le voci della natura mi scivolano addosso. I suoni sono
chiari, ogni sussulto si fa pelle e cuore. In questa brodaglia mi confondo. Anche il cielo si unisce al
coro di voci. Lo sciame prosegue la sua corsa tra sparute nubi arricciate a sbuffo, come onde
battenti in un mare in tempesta. Sento borbottare gli abitanti di questo giardino. Si dimenano e
civettano come vecchie signore per strada. Resto di sale, non mi capacito. Anche qui, di primo
mattino, inizia una nuova giornata. Tutto srotola dinanzi ai miei occhi. Mai ascoltato la natura
litigare e imporsi come una prima donna in questo modo. Mai. S’intrufola senza chiedere il
permesso l’erbaccia alta e folta che copre il giardino. Lo fa con prepotenza, non mostra alcun garbo,
arriva a testa alta. Pretende il saluto e lo ottiene. Soprattutto le querce sembrano stregate da lei.
L’erba padroneggia indisturbata tra gridi rauchi di uccelli che nidificano, e altri che velocemente
svettano dinanzi a me per adagiarsi a bordo fiume e bere. Lei sa che è importante, lo sa che senza il
suo manto erboso ogni cosa perde colore e splendore. Resiste a questo affronto una vecchia pianta
di camelie dal colore rosso porpora, le cui foglie verdi, un po’ ammattite dalla folta polvere che si è
depositata, sminuiscono in bellezza a iniziali germogli. Pretende rispetto, lei è regale da sempre.
L’erba e la camelia un tempo erano amiche ma quando l’erba cominciò a seccare e farsi sterpaglia
si rese conto che la camelia combatteva ed era la più bella. E così decise di vendicarsi. Un giorno,
sotto il suo comando, migliaia di aghi di pino si liberarono su di lei offuscandone la bellezza. Da
quel giorno, alla prime luci dell’alba, in questo giardino è guerra che precipita e non muore.
La voce dell'autunno
138
di Tiziana Schimmenti
È l'ultima sera d'estate, ed io mi ritrovo qui tra tanta confusione. Sento una forte nostalgia nel cuore;
un pianto stridulo giunge alle mie orecchie. Ho paura, paura di appassire e perdere la mia bellezza.
Sono bella, si! Bella e pungente! Come le facce di una medaglia, io sono incantevole ed allo stesso
tempo tagliente. Alle spalle ho giorni di sole splendente, ho melodie di soavi cinguettii estivi Ah
sono incantata dai colori ed i profumi che la straordinaria natura offre. Oggi però, è per me un
giorno di tristezza. Davanti a me stormi di uccelli che annunciano l'arrivo di pioggia. Viaggiano
insieme come se stessero trascorrendo un giorno di una gita scolastica! Tutti in fila per uno, a
gruppi di cinque, come i bimbi di un asilo che si tengono per mano. Il cielo è cupo ed io inizio a
spegnermi. Ho paura. Temo il cader delle foglie che cela un velo di tristezza a questo paradiso
terrestre. Vorrei poter essere immortale ma questo è qualcosa di irrealizzabile. Ho donato profumo e
gioia a chi si è preso cura di me, come l'amore che cresce e si coltiva piano piano, anch'io sono
sbocciata così! Il mio nome è Alba, e sono una delle rose più antiche che esistano! Ebbene, il mio
turno è già finito. La natura è un continuo ciclo che ammette nascita e morte. Sono nata con amore e
morirò con tristezza e solitudine. I miei petali sono spenti, non brillano più di luce riflessa. Il mio
profumo sta svanendo così come la mia intera essenza. Nel mio animo so che un'altra Alba ci sarà
ed il cuore di ognuno ruberà! Lascio questa straordinaria ed incantevole naturalezza che è la terra,
per far posto a chi mi succederà! Siano foglie secche e fiori d'autunno, siamo castagne o pini, so
bene che tutto ciò è fondamentale per il ciclo della vita! . Cari uomini, siate generosi e gentili con
noi piccoli esseri del genere vivente. Lasciate incantarvi da questa meravigliosa natura ed essa vi
ricambierà con la VITA stessa! La mia tristezza, sarà così un lontano ricordo.
Un raggio di sole sbuca improvviso nello spiraglio tra la pensilina e il cespuglio della rosa Mc
Cartney: Sara, colta di sorpresa, socchiude gli occhi. Quando li riapre, davanti a lei Mc Cartney
schiude il suo unico bocciolo, di un rosa intenso quasi al pari del profumo che emana. <Sei
perfetta!> esclama Sara, mentre con delicate dita d’artista sfiora i petali carnosi. La rosa sussulta,
quindi risponde: <Anche tu>. Sara respira e si lascia avvolgere dai sentori del giardino dove
lavanda e ginestra si mescolano a fiori d’arancio, griglie di gelsomini, passiflora e caprifoglio, ed
ancora mentuccia, rosmarino, magnolia ed elicriso, salvia, timo, limone. E’ in questo piccolo
ritaglio di paradiso che sbocciano le storie che lei poi trasferisce sulle tele, in un tripudio di forme e
colori. Storie che Sara aveva smesso di sognare, soprafatta da lui che tanto aveva amato: lui, critico
d’arte, l’aveva sedotta e riempita di apprezzamenti. Per un po’. Poi era iniziata la china, con la
prima critica, con la prima umiliazione. E Sara, sotto i fendenti che lui assestava con fredda lucidità
alla sua autostima, aveva iniziato a cambiare. Cambiava il suo stile, cambiava il suo giardino, ora
incolto, e tutto perdeva la propria brillante unicità. Fino ad ieri quando, seduta sul divano, mentre
calde lacrime le rigavano il volto dopo aver ascoltato l’ennesima critica di lui, dalla porta socchiusa
le era giunto un sottile profumo. Era l’unico piccolo bocciolo che Mc Cartney, caparbiamente, era
riuscita a donarle. Sara si era scossa, era uscita in giardino ed aveva impugnato vanga, cesoie e
rastrello, lavorando furiosamente tutta la notte: questa mattina lei era esausta e il giardino era rinato.
Indossato l’abito migliore si era presentata da lui: <Addio, tu non fai per me>. Lui aveva riso,
beffardo: <Ah ah, e chi lo dice?>. Anche Sara aveva riso. Poi lo aveva guardato dritto negli occhi:
<Lo dice Mc Cartney, lo dice il mio giardino!> e, voltandosi, si era diretta sicura verso casa.
Ricominciarsi
140
di Rhodesia Talluri
- “Tu, magari, mi invidi perché mi vedi libero. Ma in realtà sei molto più forte te, che hai imparato
ad affondare le tue radici sempre più in giù, dove fa più freddo e non c’è luce. E, grazie alla tua
graduale e paziente crescita verso il basso, ora puoi permetterti di allungare tutti i tuoi rami verso il
paradiso. Camminare significa poter andare dove si vuole, è vero. Ma in realtà siamo sempre tutti di
corsa, sempre da nessuna parte. Avidi, continuamente a rincorrere qualcosa che neanche sappiamo
cosa, pensando che una volta ottenuta saremo a posto. Sempre a cercare altrove – dico – quello che
non riusciamo più a trovare dentro noi stessi. E, forse, è proprio questo il problema: non gettiamo
mai le basi per una gioia assoluta, per quella felicità che non ha bisogno di niente e, così, ci
ritroviamo tutti a soffrire per la stessa cosa: la frenesia della quotidianità, dove sfugge il senso del
profondo, quello invisibile agli occhi. Non siamo più abituati a restare. Come se non bastasse, poi,
si annaffiano solo i fiori, le parti visibili, ignorando le radici. Caro albero, sto per morire..” - “Bruco
mio, quella che tu chiami morte, io la chiamo farfalla. Di solito, cambiando prospettiva si riesce a
cambiare noi stessi. Per te, invece, è vero il contrario: volerai. E, bada bene: essere leggeri, non
corrisponde ad essere superficiali. Goditi il panorama, bruco”.
Un giardino così
141
di Marcella Blasiol
- E la storia è finita… - Finita? – Cipressino aggrottò gli aghi. – Ma le storie finiscono bene, questa
invece… - Mamma Cipresso si pentì quasi di avergli raccontato la Storia di Giardino Valle Fiorita.
Guardò giù, dalla sua collinetta, il grande giardino dai colori infernali. “Certo fa paura. E pensare
che una volta pareva una piccola luminosa valle fiorita.” - Speriamo di non avere qualche incubo -
sospirò Cipressino, preparandosi per la notte - di maledizioni lanciate da Strega… come si
chiamava? - Strega Nera. – disse Dalia Rosso Incendio. - Dai, Cipressino, fatti coraggio. Noi, la
storia l’abbiamo sempre saputa e ora è il tuo turno. E magari… sogni di quando il Giardino
sprizzava colori e odori. - O invece – intervenne Gladiolo del Malaugurio – sogni i capelli-rami di
Strega Nera… - E basta! – lo rimproverò Mamma Cipresso – Non è spaventato abbast… Oh…
Cipressino, aghi piegati, stava già dormendo. Il giorno dopo, quando si svegliò, invece di
Buongiorno disse Così. - Così cosa? – rise Mamma Cipresso, stropicciandosi gli aghi. – Vieni a
colazione, dai! Oggi, salvia del buongiorno, lavanda primomattino, latte di rosa bianca… - No. –
bisbigliò – devo parlarti - e si curvò e parlò ancora più piano. - Faremo così… - Noi?! – si sorprese
Mamma Cipresso. – Sì, noi… - Così? – si svegliò Farfalla Sempreallegra. - Così? – fece Mughetto
Uno mughettandosi di colpo. - Così? – fece eco Mughetto Gemello. - Così? – volteggiò Vento e si
alzò. Anche i così si alzarono e volarono, giù per la collina, qualcuno fuori qualcuno dentro il
Giardino Valle Fiorita, qualcuno piccolo qualcuno gigante, un così cadde su una ruga del terreno,
un così sfiorò la maledizione che se ne stava rinsecchita tra un gelsomino verde marcio e un
oleandro grigio fumo, un così si alzò più degli altri e arrivò su una nuvola e fu così che cadde una
goccia grossa così. E fu così che quando arrivò Primavera spuntò una fogliolina verde, più piccola
del più piccolo così, e iniziò tutto di nuovo. Così
L'ALBERO CUSTODE
142
di Franca Sala
L’albero abitava in mezzo a quel terreno da prima che vi costruissero le case, due, per non
abbatterlo. Era troppo bello per sacrificarlo. In cinquant’anni alla sua ombra hanno giocato e sono
cresciuti ragazzi e ragazze mentre i loro genitori invecchiavano. L’alto pioppo con la sua chioma
tondeggiante li ha custoditi e protetti esibendosi in cambi di livrea al variare delle stagioni.
L’inverno, spoglio, è sembrato più alto quando la sommità sfumava nelle nebbia o si mostrava
incantato disegnato dal bianco della neve. In autunno è solito ricoprire di foglie gialle il suo vasto
areale. Immancabilmente a giugno l’aria è satura dei suoi pappi che danzando sembrano saturarla.
Ha ospitato nidi di eleganti colombacci, di chiassosi corvi; per due o tre anni l’ha abitato un picchio
che svegliava l’alba col suo perentorio picchiettio. Molti anni fa di notte assisteva, e alcuni abitanti
con lui, ai voli silenziosi di un bianco allocco che aveva nidificato sul tetto di un edificio: il soffiare
famelico dei pulcini ne aveva segnalato la presenza. Alla fine degli anni settanta una gattina nera si
arrampicò su quell’albero e non fu più possibile recuperarla perché spaventata saliva sempre più in
alto e non capiva come scendere. Nessuno fu in grado di riprenderla ma la società protettrice degli
animali interpellata disse che quando la fame fosse stata più forte della paura Mirius sarebbe
riuscita a scendere. Riapparve infatti una mattina, dopo tre settimane di ansie e miagolii, folta di
pelo (era ormai ottobre) ma leggera come una piuma. Da allora fu chiamata Ariel. Alle poche
necessarie potature ha reagito producendo foglie gigantesche, come per compensare i rami perduti.
L’albero grande abita il giardino di un condominio situato alla periferia di Milano in una zona dove
mezzo secolo prima si stendevano gli orti. Sempre più alto e maestoso bonario custodisce il
trascorrere delle vite degli abitanti delle due case.
Il Giardino Fatato
143
di Oana Mihaela
Un giorno mentro ero in campagna dai miei nonni, mi sono persa in un immenso giardino , dove vi
erano alberi giganteschi, fiori profumati, tanta erba , e meravigliosi uccellini colorati. Camminando
in mezzo a questo meraviglioso giardino, trovo un piccolo fiume , circondato da fiori , erba e rocce,
decido di fermarmi a riposare in questo posto cosi rilassante, l'acqua scorre tra le rocce ed il suo
dolce suono mi rilassa, mentre il profumo dei fiori che mi circondano , mi portano in una
dimensione di magica, mentre contemplo felice questo bellissimo paesaggio, vedo avvicinarsi a me
una piccola creatura magica, le sue ali sono l' aria, le sue gambe la terra, i suoi capelli luminosi sono
lo scintillare del fuoco, il suo vestito e' l 'acqua, e' una piccola e bellissima fata, mi prende per mano
e mi chiede di seguirla in un magico viaggio alla scoperta dei misteri che nasconde la foresta, dove
passa lei, tutto prende vita i boccioli delle rose e dei fiori si schiudono , i bellissimi fiori
campanellini danzano sulle note della musica del vento, i rossi papaveri accarezzano il verde prato,
i rami e le foglie delle querce si abbracciano in un sinuoso ballo, facendo da scudo alla terra , contro
i raggi del sole che scendono dal cielo. All ' improvviso sento un po' freddo , apro gli occhi e
comprendo che e' stato solo un bellissimo sogno, e' pero' giunta la notte e con essa il momento di
tornare a casa, trascorrere un po' di tempo in questo bellissimo giardino mi ha fatto bene al corpo ed
all'anima.
LA MIA STORIA
144
di Stefania Caligari
Non è che l'abbia voluto, cioè è successo, no? Passa un giorno, passa l'altro e dopo un po' di
inattività, dai è comprensibile, mi sono addormentato. Non ho smesso però di guardare il cielo, il
vento e le nuvole. E, proprio ieri, una di queste, si rincorreva come fosse impazzita e mi ha lanciato
un appello. Sono certo era mio, era per me! Non ho dubbi, conosce la mia storia. Sa che sono stato
piantato da mani robuste e non per fare bella figura nel giardino del conte di turno. Ero proprio un
bell'albero, le stagioni mi hanno sempre trovato di buon umore. Poi, mi hanno abbandonato, si è
messo di mezzo anche quel testamento che non fu mai trovato; cioè non si sapeva chi mi doveva
accudire. Nel frattempo arrivò la crisi con la globalità, un semplice click col dito e si mettono senza
fatica nel carrello della spesa i frutti del caco dal bel colore dell'oro. I miei non vennero più raccolti.
Solo la neve mi è stata amica, coprendoli per restituirli a primavera in concime. Ma ecco che ieri
quel gonfio nuvolone, passando rasente fra i rami, mi ha detto che IO DONNA mi dà l'opportunità
di raccontare la mia esistenza. Che meraviglia! "Entrate, i miei frutti sono ricchi di gusto e vitamine.
Oggi sto proprio bene, alla malora la tristezza, vi aspetto in tanti! Ah ve l'ho detto che abito in via
della Folla!!! Autrice: Maria Fomasina
La tenacia dell'ipomea
145
di Ilaria Tonetto
E’ un’estate di ricerca, questa: per trovare una casa più grande del piccolo ottocentesco fienile in cui
negli ultimi anni abbiamo trascorso ogni week end e tutte le vacanze. Anzi no, è molto di più.
Stiamo cercando la casa che, finalmente, accolga il sogno di lasciare la nostra caotica e soffocante
città e ci consenta di spostarci, definitivamente, in questo angolo di verde e purezza. Il punto fermo
è avere un giardino. Vogliamo attorno il verde, punteggiato dal blu delle ortensie e avvolto dal
profumo inebriante della lavanda e dei gerani. Perché un pezzetto di natura è un meraviglioso
terreno di scoperta per le bambine ed è quel quid che regala il piacere di stare a casa. Vero, mio
paradiso ideale? Immagino già la veranda ariosa che si apre sul prato, i colori estivi accesi dei fiori,
blu, fuxia e qualche macchia di giallo ribelle, e un liquidambar… sì, voglio un liquidambar, e quella
sua spettacolare magia settembrina di accendersi impetuosamente di arancio e di rosso. Custodirai
per tutta l’estate la mia sdraio e la pila di libri che vorrò dimenticare accanto ogni sera, con la
solenne promessa di tornare, il mattino dopo, bagnandomi i piedi nella rugiada, ad assaporare la tua
pace. “Dimmi che esisti, piccolo scrigno verde. Dimmi che ci stai aspettando per svelarci la tua
magia”. “Certo che esiste”. Una voce flebile, armoniosa risponde ai miei pensieri. Ma attorno a me,
nell’angusto balcone della minuscola casa – fienile, non c’è nessuno. “Certo che esiste”, sento
ripetere con un argentino tintinnio, sopra la mia testa. Alzo lo sguardo alla ipomea che si arrampica
coraggiosa sulla facciata, i fiori viola acceso e le foglie oscillano leggeri: “Cercalo, cercalo ancora,
il giardino che per te sarà finalmente casa. Saprà mettere fine al tuo vagare confuso e insegnarti la
pace del qui ed ora”. Accarezzo le campanule tenaci, ringraziandole dell’incoraggiamento che mi
mancava. Scendo veloce la ripida scaletta e varco corte e portone, lo sento, oggi ti troverò.
“Trr, trr”, d’improvviso il giardino fu riempito dallo schiamazzo dei passeri. La statua seduta nella
posizione del loto non distolse lo sguardo meditabondo e il sorriso enigmatico dal getto della
fontana Un ciuffo di viole si raddrizzarono invece sullo stelo.“Che cosa succede nell’altro mondo?”
bisbigliarono. “Trr, trr, cose appunto dell’altro mondo”, cinguettarono gli esseri alati. Nella luce del
sole alcune farfalle si esibivano in delicati volteggi. “Chi è la migliore?” sembravano sottintendere,
dispiegando le ali. “Vanesse vanesie”, parevano rispondere le infiorescenze della buddleja,
solleticate dalla seducente danza. “Belle e impossibili” commentava tra sé la ritrosa lumaca Una
lucertola la sorpassò per fiondarsi sulle pietre ormai calde. “Maleducata” pensò la lumaca
ritirandosi. La lucertola tese il capo e sporgendo la lingua parve umettarsi le labbra per giustificarsi.
“Scusa se ti scavalco ma corro perché il sole non aspetta. Comincia a piovere”. Il ronzio degli
insetti diventò difatti insistente e, nel cielo spazzato dal vento, ondeggiarono le chiome degli alberi.
Iniziò il ticchettio della pioggia e da un punto all’altro s’udì un canto senza spartito con note che
salivano e scendevano tra tuoni e saette. Poi, d’un tratto il ventò si fermò e nell’aria rimase solo il
vago mormorio dell’acqua. “Lavora invece di pensare ad abbronzarti”, pareva rispondere intanto
alla lucertola, una fila di formiche laboriose. “Lavorate voi che io non posso” cicalò dagli oleandri
la cicala. Gli abitanti del giardino zittirono alla comparsa di una coppia di innamorati. “Che pace!”
esclamò la ragazza, abbandonandosi sulla panchina. “Non c’è traccia di competizione né di stress”
concordò il ragazzo. “Qui è il regno del silenzio” ribadì la ragazza scoccandogli un bacio mentre i
passeri accorrevano per osservare la scena dall’alto e la statua li fissava con il sorriso enigmatico e
lo sguardo impietrito sui segreti del giardino. .
IL SORRISO IN UN FIORE
147
di Clara Nanut
Un alito di brezza tiepida muove la tenda di lino, leggera. M’accarezza il viso, delicata.
Nell’oscurità sul soffitto incanto di giochi ondulati crea la luna che liquida si fonde nell’acqua della
fontana fuori dalla mia finestra. Abbasso lo sguardo tra le dita la convallaria antica, argentea mi
solletica le dita… Magia. Pungente l’odore del corbezzolo maturo mi pervade e mi guardo intorno
spaesata in quel florido luogo misteriosamente familiare. Di fronte, celato dall’edera fitta, c’è un
cancello in ottone bruno. Lo schiudo. M’incammino sul sentiero costeggiato da siepi di bosso,
bocche di leone arancio brillante, la camomilla dal dolce profumo. Continuo a seguire il percorso di
lastre d’arenaria candida, oltrepasso un lago, un fenicottero rosa s’abbevera placido e bello;
oltrepasso un frutteto, albicocchi, un pero e un arancio, il profumo croccante della frutta ancora
acerba. Il sentiero s’interrompe bruscamente in un cortile esagonale, sul pavimento in mosaico
colorato è disegnata una stella che indica i punti cardinali. A oriente un tronco nodoso s’erge, è un
salice piangente che muove le fronde ondeggiando come fosse la folta chioma d’una fanciulla
nostalgica. “Ti posso pettinare dolcemente i capelli in una treccia decorata di fiori e boccioli? Non
sarai mai stata così bella”. Lascio che le fronde mi sfiorino delicate, muovendo una dopo l’altra le
ciocche dorate… piacevole penso. “Se al sorgere del sole, nella tua treccia, il fiore sopravvissuto
alla notte intera sarà un girasole, ti regalerò un sorriso ad ogni ora del giorno, per sempre.” Il
gorgogliare familiare, profumo di caffè, di pane fragrante, la luce del sole che penetra insistente…
Apro gli occhi, ancora un altro po’. Mi giro a pancia in giù, un bel respiro profondo, mi stringo forte
nella coperta di lino. Sorrido. Tra il tappeto persiano e le gambe del letto in ferro battuto scivola
dalla mia chioma spettinata, fresco di rugiada… un girasole. Suona la sveglia, sono le nove. Sorrido
di nuovo.
Un bel giorno un fiore rosso, rosso come il sole, rosso come il cuore, si innamorò di un granchio.
Lui era inizialmente dispettoso nei confronti del fiore, con le chele tagliava le sue foglioline secche,
ma in realtà non era altro che un tenero modo per dirle "mi piaci". Non potevano baciarsi, ne
abbracciarsi, dato che a ogni tentativo del granchio seguiva una perdita di linfa del fiore.
Sicuramente la natura non aveva previsto che esseri così diversi potessero affezionarsi l'un l'altro,
eppure in quella costa azzurra come uno specchio del cielo era sbocciato un amore, senza parole né
smancerie, solo un affetto primordiale. Il fiore aveva bisogno di protezione e il granchio non gliela
faceva mancare. Il granchio aveva bisogno di acqua e ombra, e il fiore poteva aiutarlo. I petali
cadenti scandivano il tempo, che passava inesorabile tra una stagione e un altra, e all'improvviso
successe qualcosa. In un afosa giornata primaverile, il granchietto non fece più ritorno dal fiore,
senza apparente motivazione. Il rosso fiore perdeva colore dalla tristezza, piangeva sotto la pioggia
scrosciante,rifiuto il sostegno morale di molte api che si prodigavano ad starle a fianco. Dopo molti
giorni e molte ore, il fiore vide in lontananza una sagoma scura molto grande, era il suo caro
granchietto. Con lui c'erano delle formiche, le quali lo aiutavano a portare un peso grande sul suo
guscio. Era un regalo, un atipico regalo per il fiore, un regalo che da quel momento in poi gli
avrebbe cambiato la vita. Era un piccolo vaso, pieno di terra. Il granchio aveva capito che la natura
è inesorabile, e prima o poi il fiore l'avrebbe abbandonato, per cui pensò di tenerlo in vita molto più
a lungo, rubò un piccolo vaso agli esseri umani e lo portò al fiore, dove lo piantò e lo tenne con sè
nella sua piccola grotta vicino la spiaggia, per tanto e tanto tempo.
Ciliegio e Ligustro
149
di Federica Forte
Era la scorsa notte di San Giovanni, la magica notte in cui anche alle piante viene concesso il dono
della parola. Esse chiacchierano dal tramonto all'alba, sapendo che poi per un anno saranno
costrette al silenzio. Nei pressi di un giardino abbandonato, mi è capitato di udire una di queste
conversazioni. "Non è sempre stato così", sospirava il Ciliegio. "un tempo questo giardino era ben
curato. L'uomo potava le siepi e gli alberi da frutto, sia in primavera che in autunno, tagliava l'erba
e seguiva l'orto. I ragazzi rastrellavano le foglie. La donna curava le aiuole. C'erano di quelle rose e
di quelle ortensie!". "Poi gli anni passarono. I figli crebbero, si sposarono e si trasferirono. Il
vecchio morì e la donna, rimasta sola, preferì lasciare la grande casa di campagna per trasferirsi in
un piccolo appartamento in città. Il giardino venne abbandonato. Con il passare degli anni, le siepi
si sono trasformate in una giungla inespugnabile, l'erba è cresciuta ad oltre mezzo metro d'altezza,
molti alberi da frutto , invecchiati, si sono rinsecchiti e non producono alcunché, le aiuole sono state
invase da specie infestanti e le povere giovani rose sono cresciute in maniera sregolata. Qui è tutto
una rovina!" Il giovane Ligustro allora intervenne: "Vecchio, tu hai ragione a notare che, ora che
non vengono applicate le regole dell'uomo, questo giardino è cambiato. Eppure io devo ringraziare
questo accidente fortuito se sono ancora vivo. Sono nato per caso, trasportato dal vento che mi ha
portato qui. Per l'uomo io sarei stato una pianta infestante. Secondo le sue regole, dovevo essere
estirpato raggiunti al massimo i venti centimetri di altezza. Invece secondo le regole della Natura io
qui ho il diritto di crescere. Sono alto ormai due metri. I miei fiori bianchi sono profumatissimi e
molto graditi alle api. E quest'anno tra le mie fronde hanno fatto il nido anche una coppia di
tortore.”
L'ATTESA
150
di Erika Carrara
"Ti stavo aspettando" si udì sussurrare dall'angolo del vialetto. "Veramente! Pensavo di esser
complice solo dei baci degli amanti" rispose la luna. "Già ti vedevo nel cielo lontana come una
nuvola e fremevo per poter mostrare a tutti la mia bellezza e manifestare le mie fragranze" rispose
ancora. "Piccola mia, sei veramente bella nel tuo colore così brillante e le tue foglie sono lucide
come se la rugiada del mattino le avesse già baciate" osservò la luna. "Le ore sono eterne sotto il
sole, solo a sera, mi rincuoro e l'attesa, così grande, si trasforma in ansia e bramosia di stare insieme
a te, mia amata luna, io vivo per vederti" parlò ancora la voce. " Quale amore è il tuo? Mi
sorprendi." rispose la Luna. "Che senso avrebbe vivere senza vederti? Non potrei aprire i miei fiori
e mostrarli al mondo, ma soprattutto mostrarli a te, poiché solo a te voglio donarmi. Forse non mi
vorrai, cosa se ne fa di me, piccola pianta, la luna? Sono insignificante" disse ancora la pianta.
"L'amore è sempre amore e il tuo è una promessa così profonda che arriva dritta a colpire il cuore.
Hai un nome piccola mia?" disse la Luna. "Puoi chiamarmi come vuoi... purché non mi privi di te e
del bacio della tua luce" disse la pianta. "Allora ti chiamerò Bella di Notte" esordì la Luna. "Mi
piace ... B e l l a d i n o t t e ..." scandì la pianta. "Sì, così tutti decanteranno la tua bellezza al solo
nominarti e ricorderanno il nostro amore in cui la notte è complice e ci terrà uniti per sempre"
concluse la Luna.
Il gelsomino di notte di giorno era sempre chiuso in se stesso; parlava poco nonostante fosse
circondato da tanti suoi amici; spesso rimuginava in pensieri che lo portavano lontano a quando in
un'altra epoca godeva dell'aria e del sole lontano dal grigiore della città. In quei momenti desiderava
soltanto rivedere ancora il giardino, la villa di cui il nonno spesso gli parlava. Lì si riuniva la sua
famiglia in canti e giochi fino all'alba..bei tempi; adesso solo di notte riesce a ritrovare il suo io
guardando la luna in alto nel cielo solo allora si apre alla vita alla notte con i grilli e le cicale
notturne cantarine..solo allora vive...
152
Nymphaea
Le foglie odorose e i fiori colorati sussurrano piano: è Estate. Un lampo verde attraversa l’aria e si
confonde con tutto il verde attorno. Cra. La luce del Sole filtra tra le foglie leggere divertite dalla
brezza; colpisce la superficie del piccolo lago dove giacciamo, indolenti e pigre decorazioni per
leziosi giardini rigogliosi. L’acqua quasi si fonde con le lacrime dei salici che la inverdiscono
riflettendosi su di essa. Un altro fulmine scuote le nostre membrane. Cra. Ci hanno scambiato per
trampolini? Un pesce mi sfiora: le sue scaglie paiono di arcobaleno; emerge un momento, ma la
nostra natura vegetale delude la sua fame. Le stagioni trascorrono così, fino a quando il Grande
Bianco non decide di recidere di netto le nostre radici con la sua mano fredda e dura che si stende
sull’intera pozza. Non godremo mai del piacere di sentirci trasportate dal vento; non sapremo mai
da dove giunge quella straniera color giallo e nero, anch’essa amante dei nostri colori rosati tanto da
volerne sempre portare un po’ con sé e, a quanto si dice, donarne una parte alle nostre sorelle che
mai vedremo. Il nostro Universo è questo: eserciti di insetti che fanno a gara per accaparrarsi un
posto sulle nostre foglie larghe e comode, rane che sembrano divertirsi nello scuotere questo
specchio perfetto con i loro balzi e il cinguettio degli “alati” che ci avvisa che è giunta l’ora di
spalancarsi al Sole. E qualora vedeste una di noi muoversi, è solo un’altra compagna che si lascia
andare. Le sottili radici non la sostengono più e finalmente vedrà l’altra sponda del lago, il nostro
piccolo mondo verdeggiante; finalmente supererà quel bianchissimo ponticello su cui sta seduto un
vecchio. Mi fissa, strizzando gli occhi, da ore e agita un rametto colorato su una tela. Un girino mi
ha confessato di averne scoperto il nome: mi pare di ricordare fosse Monsieur Monet.
153
il Mirto e il Glicine
di Mietta Fradelloni
Nella Pinetta di Santa Margherita di Pula, a circa cento metri dal mare, sorge una casa tipicamente
sarda, senza ambizioni architettoniche, una casa più che una villa avvolta e profumata da un
boschetto di macchia mediterranea rigoglioso e addomesticato da mani di intenditore. In zona un po'
appartata destinata alla doccia, sorde un rigoglioso pergolato comparso autonomamente
all'improvviso, un pergolato di glicine che si sviluppa prepotentemente e si arrampica ai Pini
spandendosi con il suo fogliame in tutte le direzioni, abbandonando e anche lasciando cadere i suoi
grappolo i di fiori lilla'. A distanza un robusto cespuglio di Mirto lo attacca: " ogni anno ti rittrovo
più altro, più vivo, suggestivo e profumato in una terra che non è tua. Non ti accorgi che sei nel
regno della macchia mediterranea: Mirto, Cisto, Pino, Corbezzolo, Alloro ecc.? Perché non sei
rimasto nella terra delle tue origini, l'America? E l' Alloro :" quanto sei ridicolo! In tempo di
globalizzazione e civiltà multietnica fai ancora questi discorsi? Vedrai ben altro....ma poi ti lamenti
proprio tu che con le tue profumatissime bacche aromatiche produciz un liquore " Il Mirto di
Sardegna" che ha fatto il giro del mondo, perciò rassegnati, in questa terra c'è posto per tutti, impara
a vivere in armonia con chi ti capita di incontrare.
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Vivere col cuore
Mi guardo intorno... è buio ma la luna rischiara la natura attorno a me. La serenità della quiete
notturna contrasta con la nebbia che sale dal mio cuore... ho paura, mi sento affogare e soffocare dal
mondo, dalle situazioni. Il mio grembo è vuoto ma il mio cuore è pieno di un'amore che non potrà
mai essere donato ad un bambino MA adesso un piccolo essere è apparso all'orizzonte... un
bambino "diverso"... che non nascerà dalla mia pancia e che non avrà mai una vita normale. Una
vita dipende da me e dalle mie scelte... giusto o sbagliato, bianco o nero... non c'è una via di mezzo,
nessuna possibilità di mediazione... la decisione di accogliere questo piccolino spetta a me e la mia
anima si divide fra cervello e cuore. E' questione di un attimo... un piccolissimo battito d'ali, seguito
da una lucetta che da lieve diventa pian piano splendente. Una piccola lucciola mi si avvicina e
rimango a bocca aperta dalla sua bellezza... ma, un momento... lei mi sta parlando! Dopo un attimo
di sbigottimento riesco a prestare attenzione al lieve sussurro con cui mi si sta rivolgendo..: "ho
letto nel tuo cuore le emozioni e i dubbi che stai provando in questo momento ma, per favore, non
lasciarti andare ai demoni della vita. Ad ognuno di noi è stato riservato un percorso.. non tirarti
indietro, non curarti degli altri, non avere paura dei tuoi sentimenti, dei tuoi pensieri... se il cuore ti
indirizza verso tuo "figlio di cuore", non combatterlo! La mia vita sarà brevissima, ma intendo
viverla appieno godendo delle piccole gioie che mi si presentano.. prendi esempio da me. Non
lasciare che l'angoscia di una decisione ti porti a fondo, lascia il cuore libero di decidere e la vita poi
ti aiuterà. Vedrai, non te ne pentirai mai!" Una goccia di pioggia mi cade sul viso, sbatto le palpebre
e lei è sparita... sto sognando? Non saprei ma sicuramente adesso non ho più dubbi; non sarò mai
una "mamma di pancia", ma una "mamma di cuore" con tanto amore da dare ad un bambino diverso
ma unico
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Ora esisto!
di Barbara Ponzoni
Alcune certezze vengono così, non ne conosci la ragione ma senti con fede cieca che quello che
immagini sia assolutamente reale. Da quando riesco a percepire la sua presenza le mie giornate sono
meno monotone. Tutto è scandito da quegli occhi. L’alba nasce lentamente materializzandoli in
lontananza. Ogni ora noto delle sfumature diverse, ogni minuto mi raccontano storie nuove. Il suo
mondo, che ora è il mio, è racchiuso in quei due puntini. Arriva sera e il buio li inghiotte,
togliendomi l’unico piacere che ho in questo mio spazio, questo giardino rigoglioso. Io, pianta fra le
piante, circondato da muti compagni, dovrei sentirmi in famiglia, a casa. Per un po’ è stato così: il
mio mondo tranquillo e senza aspettative era tutto ciò che conoscevo. Ma da quando ho sentito la
magia di quegli occhi su di me, tutto è cambiato. Quello che prima mi sembrava bello e giusto, ora
non lo è più. Tutti i minuti passati rivolti alla luce del sole, quella luce che non ha eguali, non
valgono niente in confronto ad un secondo di quelle vivide fiammelle. Che dolce agonia sapere che
lei esiste, che questo mondo ha la fortuna di racchiuderla. Forse sarebbe stato meglio non averla mai
vista? A volte lo penso, di notte, quando tutto tace, quando l’oscurità la avvolge, impedendole ed
impedendomi di comunicare. Allora rimpiango i giorni quando ero solo una pianta, una pianta fra le
piante, senza aver conosciuto l’amore. L’amore per qualcosa che non mi appartiene, un amore tanto
distante da me da non aver senso neppure immaginarlo. Ho sentito che la chiamano Biancaneve, un
nome bellissimo. Vicino a lei ci sono altre sette figure simili, a protezione di un essere tanto
prezioso. Forse è una regina, la regina di questo giardino. Ma, in fondo, cosa importa chi sia? La
luce torna di nuovo, tornano quelle fiammelle vibranti, ed io torno ad esistere in quegli occhi.
Esistere è sapere di essere percepito? Credo di si, lo credo fermamente. Ora esisto perché lei esiste,
e mi guarda.
156
TerraMia
di Alessandra Pierri
C'era una volta, in una cittadina del Mediterraneo, un ulivo secolare di nome Olivier. Io, Olivier, ero
un albero che non passava certo inosservato: la maggior attrazione del parco dove un dì io nacqui.
Come biasimarli! Il mio tronco robusto e ben definito era una spirale che avvolgeva in un tenero
abbraccio e metteva in scena una danza per coloro che, ogni giorno, visitavano il giardino. Nella
stagione estiva, fin sulla cima che sfavillava lungo la striscia azzurra del cielo, era consuetudine
assistere a una grande esplosione di foglie color grigio argenteo: la mia folta e riccia capigliatura.
Io, Olivier – nonno attento e amorevole – nelle giornate assolate d'estate, offrivo ristoro ai visitatori
sotto la fresca ombra della mia chioma; per i più piccoli, invece, ero l'animazione principale: gioco
tra i giochi, all'interno del mio tronco il nascondiglio perfetto. Io, Olivier, timido testimone dei patti
d'amore tra giovani amanti... Quanti di loro tentarono un folle gesto incidendo la corteccia del mio
tronco, ferendomi: la promessa di eternità di Eros capriccioso, mutevole come il corso d'acqua che
disseta le mie radici. Io, Olivier, fui anche molto vanitoso. Le stagioni si susseguivano una dopo
l'altra ed io, per celebrarle, mi cambiavo d'abito: durante l'inverno sceglievo un elegante e soffice
mantello color bianco lucente, per difendermi dal gelido vento di tramontana. L'estate, invece, era
un trionfo di colori: la mia variopinta chioma faceva invidia a tutti gli alberi e i fiori del parco. C'è
stata una volta e io, Olivier, per opera del vento che tutto mi avvolge dimenando i miei rami, ve l'ho
raccontata perché adesso qualcuno dice che son malato, che dovrò essere abbattuto, strappato alla
mia terra. Cosa resterà di me? Forse, sopravviverò nelle storie di coloro che mi hanno vissuto
tramandate a coloro che non mi vivranno mai, oppure resterò nella memoria della silente
vegetazione che mi circonda e di una rosa bianca – fragile e crudele – scampata allo scempio
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Brucosky e le stelle
di Paola Bianco
C’ero una volta…e ci sono ancora, nascosto tra fili d’erba e gocce di rugiada, a guardare il sole
splendente ed il cielo di notte, contando le stelle cui ogni mio vicino lega un desiderio e vedendole
sorprendentemente illuminarsi ogni volta che la realtà diventa sogno e la natura trasforma la terra e
ciò che la circonda. Sono Brucosky, e trascorro la mia breve e significante vita a brucare foglie e
chiacchierare con amici animali e parenti insetti, e accarezzare fiori e rami di cui piacevolmente
assumo i colori. Mi diletto a confondermi con i loro steli e immagino sovente di essere trasportato
dal vento come il polline delle corolle e di volare via per campi e prati soffiato dalla brezza che
spesso vien ivi a visitarci. Fiorosa e Fiordarancio, un giorno, mi confidarono di amarsi
profondamente, e tuttavia, di non potersi raggiungere né sfiorarsi a motivo della distanza che li
separa, crescendo Fiorosa in una florida siepe nei pressi della fontana dagli argentati zampilli,
abitata dal fauno Bibi, e Fiordarancio inerpicato e prospiciente al viale che ombreggia i passeggi e
le chiacchiere dei visitatori del giardino. Adoro adoprarmi per realizzare i desideri amici, e così,
guardando il cielo dal basso di uno stelo d’erba in un giorno di vento, vidi la mia amica Apelina che
svolazzava di fiore in fiore e a lei decisi di rivolgermi come a una maga artefice di antiche pozioni.
Fu lei a condurre le dolci parole d’amore racchiuse nel calice di Fiordarancio a fondersi nel fresco e
tenero bocciolo di Fiorosa, colei che altro non aspettava che accoglierle nella sua corolla. E così,
l’elisir d’eterno amore, avrebbe reso la loro stella splendente come nessuna e da quel dì sbocciare
nel verde prato una nuova gemma dalla bellezza e dal profumo colmi d’ebbrezza e di splendore.
Anch’io scorsi un bagliore più lucente, ma stavolta ero più vicino al cielo, quasi mi sembrava di
sfiorarlo con le mie ali….Le mie ali? Si, variopinte mi innalzavano dove avevo sempre sognato di
volare.
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L'erba sotto i Pini
di Annalisa Mauro
Ogni albero ha la sua personalità. Che io ricordi questa macchia verde di prati, fiori e foglie é
sempre stata lì, silenziosa e attenta. Il cedro era abituato alla voce di mia nonna, a rallegrarsi per i
frutti che lei raccoglieva con amore. Il cedro felice di donarsi alla domanda…con sale o zucchero?
fette sottili gialle e bianche venivano distribuite ai bimbi che, con mani piccole, le tuffavano nel
dolce o nel salato. Nel giardino, un piccolo angolo per gli innamorati coperto di glicine che
impersona Cupido. Al posto di scoccare frecce, libera nell'aria un profumo cosi dolce da far
innamorare. Non soltanto gli innamorati si nascondono sotto i fiori lilla, anche poeti e scrittori che
trasformano il profumo in opere romantiche. Il glicine carico di fiori copre di petali…quanti baci e
versi rubati sotto le fresche frasche. Un pó più in là, una gardenia arborea compete con un
gelsomino. Il profumo stordisce. La gardenia sa di essere unica ed originale, l'orgoglio di mio
nonno. Non si é mai visto un albero così, fiori carnosi e frutti coriacei che gli uccelli non avvicinano
per paura di rompersi il becco. Col passare delle stagioni, le farfalle, le api, le vespe, le libellule
passano dal cedro al gelsomino, dalla gardenia al glicine. Se dal polline se ne facesse un miele,
sarebbe un miele dolcissimo. La nonna passava tante volte il rastrello sotto gli alberi di pino da farci
crescere l'erba. Alberi piantati fuori luogo in un giardino di profumi. Le cose belle durano finché
sono curate con amore. Il cedro, il glicine, il gelsomino, la gardenia hanno pianto alla morte di mia
nonna, piangono ancora. Non si sono mai consolate dell'abbandono. La morte di mio Nonno ha poi
portato il buio. Niente più allegria tra le stagioni, tra i profumi. Se ne sono accorte le foglie e i fiori
come le api e le farfalle. Le mie figlie passeggiano con me tra i viottoli abbandonati in un giardino
di una cittá che non vivo più. Il cedro le chiama….sale o zucchero?
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Il Meconci
di Carolina Sala
Nel simpatico giardino di via Garofano numero 4 presenziava al centro un tavolino in ferro battuto
di colore verde scuro con attorno quattro seggiole di colore indefinito punteggiate qua e là da
macchioline di pura ruggine. La signora Viola, proprietaria di quel minuscolo pezzetto di terra
incantava gli invitati con la sua limonata fatta in casa di cui aveva scorte infinite. I tardi pomeriggi
d’estate all’ombra delle dispettose foglie di vite passavano aspettando il momento in cui, tra le
16.36 e le 17.42, una lieve, quasi impercettibile folata di vento, dava inizio al fenomeno. Come se
qualcuno avesse tolto da sopra le nostre teste una campana di vetro, ecco che iniziavano a udirsi
tante esili ma acute vocine provenienti dalle innumerevoli piante che, sebbene gli spazi ridotti,
incorniciavano la piazzola. Ecco l’Anemone con i suoi occhioni bianchi intenta a recitare infinite
filastrocche immancabilmente interrotta da quella furbetta della Menta Piperita; ecco là dietro la
Salvia a spettegolare con il suo amico del cuore Oleandro. Capitava di passare il tempo a discutere
con l’Ortensia sul momento migliore in cui avrei dovuto reciderle i fiori, a giocare a carte con la
Vite, a insegnare all’Ibiscus come difendersi dalle tartarughe e ad ascoltare le barzellette un po’
spinte della Lavanda. Ogni mercoledì un brindisi dava inizio alla sfida del “Meconci”. Il giardino si
divideva così in Sempreverdi e i Caducifogli. Il candidato scelto di ogni squadra aveva il compito di
rispondere a 10 insidiose domande di botanica. “Meconci” era solamente il modo in cui l’Oleandro
riusciva a pronunciare la parola “concime” ma il termine era piaciuto a tutti perché stravagante e un
po’ misterioso. La squadra vincitrice accumulava punti tradotti in millilitri di concime che
sarebbero stati somministrati durante il riposo invernale. Nessuna delle piantine sapeva che in realtà
la signora Viola avrebbe, come ogni anno, dato il concime in egual misura ad ognuna delle sue
piccole ospiti…
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Pratoline
di Vittoria Porcellana
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I cerchi dell'albero
di Celenia Ciampa
Ricordo bene il giorno del tatuaggio. Non fu doloroso, magari solo un pò... ma ebbe il sopravvento
la tenerezza che provavo nei confronti di quei due ragazzi così giovani. Avevano bisogno di
appoggiarsi a me, di incidere il loro cuore con le loro iniziali sulla mia corteccia, per avere una
garazia di eternità che il mondo, da solo, non riusciva a promettere. Ogni mia foglia una loro risata,
leggera e morbida, ogni mio ramo una loro paura, protese in preghiera verso il cielo. Ho assistito al
loro scorrere del tempo offrendo forti radici per costruire un rifugio sicuro e la mia chioma per
rinfrescare le idee ogni volta che fosse necessario. Ho accolto le tempeste come si apre la porta ad
un parente antipatico: non mi sono mai opposto al vento e alla pioggia battente, ho lasciato che mi
tormentassero, paziente. Loro hanno fatto come me; per nostra fortuna nessun fulmine ci ha mai
abbattuti. Dopo tanto tempo il mio giardino continua ad essere il loro. Il cuore inciso è sempre lì,
ogni tanto mi piace controllare che non sia sbiadito, ma le iniziali si leggono ancora chiaramente.
Oggi il piccolo Tommy si appoggia a me, perchè ancora non è sicuro sui piedini, ha cominciato da
poco a camminare. Cerca la garanzia di un affetto solido di cui potersi fidare e, insieme a me, anche
il suo mondo sa prometterglielo.
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Il giorno della festa
di Alice Montagnini
Non c’è fiore o insetto che non aspetti quel sole, coraggioso quanto basta da far durare il giorno più
della notte. La festa di mezza estate è un evento irrinunciabile nel giardino di Pietraventosa e i
preparativi coinvolgono tutti. Ogni dettaglio deve essere perfetto e la festa indimenticabile. I bruchi,
sarti instancabili, confezionano meravigliosi abiti di seta, che solo quelle snob delle libellule
possono permettersi. Così alte e slanciate, cammineranno lente facendo dondolare i loro strascichi
preziosi. Le coccinelle invece, stiliste meno pretenziose, lavorano i fiocchi di cotone per ottenere
tessuti più modesti, vestendo tutti quegli insetti che, come loro, devono fare i conti con forme,
diciamo, più tonde. Le campanule bianche del mughetto tintinnano allegre. Le formiche s’infilano
sottoterra per dire alle talpe che, per quella sera, la zona è da evitare. Non starebbe per niente bene
che sbucasse la testa pelosa di una talpa proprio nel mezzo della pista da ballo. Della musica se ne
occupano le zanzare, ottime pizzicatrici di corde. Suonano straordinarie armonie con arpe, chitarre e
violini. Le cicale allenano le loro voci con pezzi jazz dei tempi passati, dando indicazioni alle
lucciole sull’intensità della luce da puntare sul palcoscenico. Le farfalle spruzzano rugiada sulle
rose, per esaltarne i colori, e invitano i gelsomini a dare il meglio di sé con il profumo notturno.
Alle farfalle, i fiori, non sanno dire di no. Il sole scende, tutto è pronto. Le cimici in cerca di marito
si mettono comode sulle foglie morbide della salvia. Si lisciano le gonne, pronte per un ballo. Che
non sia con un ragno però, troppo impertinente con tutte quelle braccia. La musica inizia. Le
mosche, in rigoroso abito scuro, servono cocktails di clorofilla, con due cannucce di sottile bambù e
un geranio per ornamento. “Senza zucchero, per me” chiede un’ape “Aggiungo una lacrima di
miele”.
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Aspettando l'acqua
di Annamaria Trevale
Pomeriggio di fine luglio. Fa caldo. Anzi, fa molto caldo. Gli umani si trascinano dalla doccia al
frigorifero, svuotano il freezer dei cubetti di ghiaccio sbraitando se non si riformano abbastanza in
fretta e mandano i condizionatori al massimo, ma nemmeno noi rose, qui in giardino, stiamo tanto
bene. Alberi ed edifici confinanti limitano solo in parte, con le loro ombre che si allungano nel
corso della giornata, i danni del sole cocente. Sembrano star bene soltanto gli insetti, che continuano
a ronzare imperterriti, mentre noi, rose pregiate da esposizione, aspettiamo con ansia il momento
magico in cui entrerà in funzione l’irrigatore automatico. “Manca poco, ormai, state tranquille” ci
consola il vecchio tiglio che svetta imponente accanto all’ingresso. Lui è sempre così gentile con
tutti, oltre a sorreggere, con la forza di uno dei suoi rami più robusti, l’altalena adorata da tutti i
bambini passati per questo giardino. Stiamo rischiando di seccare tutte insieme, dopo settimane di
siccità, perché non siamo come quelle sfacciate di portulache, dai colori così squillanti, e sempre
con le corolle spalancate sotto il sole, quasi vogliano prenderselo tutto per loro. Noi rose le
troviamo volgari, ma cosa possiamo farci se la nuova proprietaria del giardino non ha più i gusti
raffinati di sua nonna? La vecchia signora non avrebbe mai piantato delle portulache accanto a noi,
statene certi. “Ma è sicuro che l’acqua stia per arrivare?” domanda dubbiosa l’edera dal muro
settentrionale. Poveretta, lei con questo caldo deve sentirsi anche peggio di noi, e non nasconde la
sua ansia, facendo impaurire le ortensie, che sono ombreggiate dal buon tiglio ma mostrano i petali
afflosciati dalla calura. “Sei sempre negativa!” Nel brusio frenetico degli insetti si distingue appena
lo scatto dell’irrigatore che parte, ma ecco l’acqua, finalmente: anche per oggi ci godiamo il getto
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LA NINFA DI PIETRA
di Giordano De Tommaso
Bella la ninfa e superba, dal suo piedistallo si specchia nella placida fonte della “Villa Vecchia”
dove corolle di fiori galleggiano a fior d’acqua tra infiniti colori. Vorrei essere donna, vorrei essere
viva, sussurra la fanciulla di pietra che pudica, regge il suo velo attorcigliato ai fianchi e ai suoi
solidi seni. Vorrei essere viva per sentire il profumo delle viole, il respiro dei glicini e delle foglie
tutte, cercare il quadrifoglio tra le aiuole e rubare quella goccia di sole che filtra dai fitti rami a
ridosso dell’ombra della mia fontana. Vorrei prendere per mano quel bambino, soffiare insieme
sulla sua barchetta e pian piano lasciarla navigare mentre una rana fa da timoniere. Vorrei essere
donna per farmi accarezzare e rispondere con sospiri e baci a chi passa, mi guarda, mi sorride e
tace. Vorrei correre lungo il viale profumato dei tigli e, a fine corsa sull’asfalto nudo, abbeverarmi
all’antica fontana che conta ben “Tredici Canali”. Vorrei volare insieme al pettirosso che il
buongiorno mi dà ogni mattina e insieme poi, come innamorati, andare fino al gran gazebo per
ascoltare la musica dal vivo e, gustare, magari dopo il bis, una granita di cedro o di limone. Le
aiuole sono già quasi sfiorite e qualche rosa ha già chinato il capo, arse le palme all’ingresso del
giardino. Come perla perduta una lacrima lieve brilla sul pallido viso. Tra poco le foglie, a cento e a
mille, cadranno rosseggianti sul bacino dove già il muschio si fonde con la pietra dura. La ninfa non
vedrà la sua bellezza riflessa intatta nel liquido suo specchio increspato dall’ultimo vento di una
giornata di mezza estate. Malinconica troverà rifugio nell’armonia del suo carezzevole
silenzio…..fino all’arrivo di una nuova estate.
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"La camelia di Anna" di Nicoletta Artusi
di Nicoletta Artusi
Avevano piantato quella camelia insieme, quand’era nata la loro figlia. Erano trascorsi trent’anni e
la pianta era vigorosa come la bambina che avevano messo al mondo. Anna non era mai stata in
Giappone – proveniva da lì quella “camellia japonica” rosa – ma sua figlia sì: era partita per
l’Erasmus a vent'anni quando suo padre si era ammalato, poi tornata per assisterlo durante la
chemioterapia e rientrata subito dopo, senza voltarsi indietro. Ogni giorno, negli ultimi dieci anni,
Anna aveva parlato alla camelia della sua famiglia. L’energia che essa emanava era il tramite tra lei
e Greta: detestavano Skype e si scrivevano lunghe lettere come due donne di altri tempi. Anna non
aveva mai preso un aereo: aveva paura di volare, forse di perdere il contatto con il suo passato. Quel
giovedì l’aveva atteso a lungo: «Sono felice, sai, che me ne abbia spedita un’altra. Lì va bene ma il
lavoro la stressa tanto e, dice, che forse fare l’insegnante non è quello che desiderava. Il suo
compagno vorrebbe un figlio. Credo le risponderò domani: le dirò di aspettare, che a trent’anni è
presto; che a quell’età io l’ho vista andare alla ricerca del suo futuro mentre stavo perdendo il mio,
ma c’è una vita intera per essere se stessi, anche per cambiare idea su tutto. Che ne pensi?». Anna
sapeva che un giorno la camelia avrebbe risposto. Quella sera sognò profondamente e, come dentro
una fantasia, la camelia sicura di sé nel suo abito di primavera, con il portamento gentile che aveva
sin dalla nascita, si era impossessata di una voce e con dolcezza le aveva detto: «Vedi Anna, mi
racconti sempre di come tu sia rimasta senza Lorenzo da giovane, di come tua figlia abbia deciso di
vivere altrove, lontano. Il coraggio della tua solitudine mi commuove. Le donne possiedono una
forza ancestrale, perciò abbandónati e scegli di scegliere. Vai da Greta e dille cosa senti: ti ascolterà
e vorrà ascoltarsi.» Venerdì mattina ho visto Anna all’aeroporto: era in attesa del primo volo per
Tokyo.
166
Albero
di Chiara Cappuccini
Sono soltanto un albero. E’ questo che continuo a ripetere. Sono cresciuto nel cortile di un palazzo
storico. Non tanto per gli anni passati, che poi non sono così tanti, ma per le vite che ha accolto o
rifiutato e che io conosco a memoria come tutte le foglie che si alternano danzanti sui miei rami.
Vivo proprio qua, supero in altezza i tetti rossi e per questo sono il primo a vedere il sole che si
sveglia o le nuvole che si gonfiano all’orizzonte. Ho radici profonde, io. E non ho mai pensato di
andarmene, neppure quando quello che ho visto o sentito mi faceva gelare la linfa, mi bloccava
contro il cielo e mi faceva desiderare di essere altro. Acqua di mare, per esempio, che tante storie
sente e accoglie nella sua anima vagabonda ma che ogni giorno approda su una riva diversa e
dimentica. Io sono rimasto qui quando lei è corsa fuori, sbattendo la porta, quando ha guardato il
cielo attraverso i miei rami, con le nuvole che tremavano e le foglie che si moltiplicavano nelle
gocce sfaccettate delle sue lacrime. Ed ero qui anche i giorni precedenti quando usciva la notte.
C’era un gran silenzio tutt’intorno, solo buio e qualche stella, lei chiudeva piano la porta,
camminava verso di me con passo di folletto, si toglieva le scarpe, appoggiava la schiena sul mio
tronco, abbandonava la testa fra le braccia, si massaggiava le caviglie e i piedi nudi e poi si
rivolgeva a me. Si, proprio a me. Mi raccontava le sue cose, mi chiedeva consiglio, “tu sei forte”,
mi diceva, “non sei come me”. Ma io non sono forte. La mia rigidità è un limite. Avrei voluto tirare
fuori, una per una, tutte le radici che nascondo sotto terra e con quelle abbracciarla per non farla più
sentire sola. Avrei voluto modellare la mia scorza ruvida e impedire che i suoi capelli si
impigliassero nei miei nodi. Avrei voluto far cadere le mie foglie ogni volta che la vedevo arrivare e
creare, solo per lei, un tappeto più verde. Ma io sono soltanto un albero. Lei non vive più qui. E io
continuo ad aspettarla.
167
Il Giardino degli Innamorati
168
La rosa rossa
di Benedetta Bazza’
Viveva sovrana nel regno dei fiori, una splendida rosa rossa, che possedeva bellissime radici,un
fusto snello e levigato,spine aguzze e perfettamente conformate,foglie lucide e curate ed un
profumo delicato e conturbante.Era una regina stimata e venerata,tanto per il suo splendore così
evidente,che per la sua saggezza ed equità.Intorno a lei,in ogni stagione,occhieggiavano
dall'erba,tante delicatissime margheritine,sue ancelle che per la loro ridente presenza,per la loro
fedele obbedienza e per la loro candida natura,lei volle ribattezzare "le eternamente belle".Talvolta
le capitava accanto qualche pudico Non ti scordar di me o qualche Gelsomino,talvolta la
Lavanda,talvolta l'Ortensia brontolona e la Rosa,con pazienza,virtuosa e compiacente,s'intratteneva
a parlare con loro e distribuiva preziosi consigli sui colori da indossare e sui profumi,sul come
mettersi educatamente in mostra e presentarsi in pubblico sempre freschi e vigorosi e mai flosci ed
appassiti.Così il tempo scorreva felice nel Regno dei Fiori e la regina gioiva ed era soddisfatta.Un
rugiadoso mattino,la Rosa venne destata dal proprio tiepido sonno dalle insistenti carezze di un
frondoso e ridondante Ibisco bianco,il quale,sfruttando il favore del vento,lasciava sfrontatamente
che i propri rami e le foglie avvolgessero ritmicamente in languidi abbracci la regina.La Rosa,dolce
e meravigliosa come sempre,senza tradire alcuna impazienza o fastidio,sbadigliò
lentamente,allungando le proprie foglie e spalancando gli umidi,vivissimi petali ed accolse
benevolmente l'incauto ospite.Passavano i giorni e tutto il Regno mormorava di questa amicizia
insolita.Le visite dei fiori alla sovrana si erano diradate.Allora la Regina pensò di dover parlare a
tutti ed organizzò un raduno.La Rosa si alzò su quella folla in attesa e con una mossa leggera dei
rami volle scoprire un tenero,indifeso bocciolo rosa,frutto del proprio amore con l'Ibisco.Tutti i fiori
si aprirono e in quel momento ogni giardino del mondo sorrise.
169
Incontentabili
di Sandra Frenguelli
Al calar della sera l’ape Gina compie l’ultimo volo della giornata per rincasare nel suo alveare. E’
attratta dal brusio che proviene dal giardino, si abbassa su un capannello di margherite ma non fa in
tempo a chiedere cosa sia quello strano cicaleccio che Lola la viola, che è proprio lì vicino, le dice:
“Gina, Gina, vieni qui, raccontaci cosa dicono del concorso nelle altre aiuole”. “Concorso? Che
concorso, di che parli?” esclama Gina meravigliata. “Ma come, non lo sai?” le risponde Sonia, la
begonia “gli uomini, anzi le donne, ci vogliono parlanti…” Gina si posa incuriosita su Tarcisio il
narciso che aggiunge “sì, premieranno il miglior racconto su un giardino animato in cui fiori, piante
e insetti parlino tra di loro, proprio come noi”. Si inserisce Pericle, il glicine che fa ombra
sull’aiuola “accompagniamo i momenti più importanti della vita degli uomini dalla nascita al
distacco…”, “già, proprio così” continua Lilia la fresia “siamo con loro per abbellire, omaggiare,
profumare…”, “ma anche nutrire”, aggiunge Tazio il nasturzio “e poi ricordare, consolare,
meravigliare…”, “e che ne dici del nostro essere messaggeri?” chiede Ivano il tulipano, “esatto”
conclude Enza l’ortensia “fino a qui gli uomini si erano inventati il linguaggio silenzioso dei fiori
ma adesso vogliono perfino farci parlare come loro…”, “già, e magari ci daranno anche dei nomi”
soggiunge Rocco il croco. “Sì, hai ragione, ci vuole proprio tanta pazienza con gli umani, sono
incontentabili!” esclama rassegnato Bartolo, il ranuncolo. “Però a me l’idea del nome piace”
interviene vigoroso il geranio, “io vorrei chiamarmi ‘il rosso che non sbronza’ che ne dite?”. Una
risata generale stempera il dibattito e Augusto l’arbusto, sussurra “secondo me è meglio lasciar fare
agli incontentabili, sono loro i più bravi a fantasticare e in fondo i sogni degli uomini sono il
giardino più bello”. Gina riprende allegra il suo volo sicura che il miele di quel giorno sarà il più
magico della stagione.
170
Dono il mio cuore
di Gaia Simonetti
Il sole faceva capolino da una nuvola. Era come se chiedesse il permesso e dicesse: “ Posso
scendere? Sta a me?” Tornava a farsi vivo dopo un lungo inverno e aveva voglia di illuminare e
scaldare il giardino. In terra il ghiaccio si era impadronito della terra e delle foglie. L’erba aveva
perso il suo verde per colorarsi di bianco. Erano stati mesi rigidi, una lotta per la sopravvivenza, ma
i fiori e le piante non si erano demoralizzati e potevano dire che il peggio era passato. Rosa sapeva
che dopo il tunnel, arrivava la luce. Era una bella rosa rossa, che faceva parte di un cespuglio, ben
curato e annaffiato dal proprietario che, per proteggerlo dal freddo, aveva messo un telo di plastica.
Ecco le forbici a tagliarlo. Era come se si tornasse a respirare e a vivere. Senza telo, i raggi
arrivavano diretti sui fiori. Si sentiva il sole, che anche se era timido, c’era. Rosa parlò ai suoi
fratelli: “ L’inverno è finito. Ci siamo fatti coraggio assieme ed ora ripartiamo con i nostri bei fiori
con la protezione dell’amico sole. Dobbiamo crescere belli e rigogliosi. Siamo il simbolo
dell’amore e saremo soddisfatti quando un uomo ci regalerà alla sua futura sposa. E’ come se
fossimo una parte del suo cuore”. Il sole, giorno dopo giorno, cresceva di forza. Il vento da rigido,
diventava mite e si divertiva a spazzare vie le foglie morte e a far volare i fogli del calendario,
appeso nella serra aperta. Via febbraio, un soffio più forte e via marzo e via aprile per far posto a
maggio e poi di corsa arrivarono con la loro veemenza giugno, luglio e agosto. Le rose fiorirono e si
presentarono agli occhi del proprietario nel loro rosso vermiglio. Petali morbidi come seta, un
cespuglio colorato con poche spine a zig zag. Arrivò il mese giusto e le rose vennero tagliate con
cura per preservare i boccioli, le nuove vite. Rosa faceva parte del gruppo. Piegò amorevolmente la
testa alle forbici e si fece mettere in un mazzo. Sarebbe servita come promessa di nozze. “Sono
rossa come il cuore-pensò tra sé- e oggi mi verranno a prendere per regalarmi ad una futura sposa.
Dopo di me ci saranno altri fiori, che faranno come me e daranno un sorriso a chi li riceve”. Si
gonfiò tutta e entro nel cellophane con il nastro rosso che legava il mazzolino. Lesse il biglietto e
sorrise. “ A chi percorrerà con me la strada della vita, dono il mio cuore”. Le sarebbe piaciuto
riceverne di simili. “ Sono romantica e mi piacciono le storie d’amore- disse- cosa non darei per
ricevere un biglietto come questo. Scalda il cuore”. Forse un giorno, ma in un’altra vita. Era il suo
sogno in un giardino di mezza estate. Espresse un desiderio ad occhi chiusi. Contò fino a dieci, li
riaprì e fissò il sole. Sembrava ancora più abbagliante.
171
Il giardino dell'amore
di Mara Depini
Il giardino era in subbuglio. C'era una grande agitazione, le foglie si muovevano nervose percorse
dal vento. Gli alberi si piegavano ora a destra ora a sinistra, mandando muti messaggi. Persino le
statue di Amore e Psiche parevano sussurrarsi alle orecchie chissà quali cose. Quale era la causa di
tanta agitazione? Presto detto. Al giardino era arrivata una farfalla di uno splendido colore blu.
Nessuno ne aveva mai vista una uguale, ma nessuno voleva ammetterlo. Ogni abitante del giardino
asseriva di averla già conosciuta in precedenza, di sapere chi fossero i suoi parenti, di dove venisse
e dove fosse diretta. Chi diceva che arrivasse da luoghi lontani ed inaccessibili, chi dal vicino
giardino in cui, si sussurrava, ve ne fossero altre di tanti colori e di tante fogge diversi. La farfalla
nel frattempo continuava a volare di fiore in fiore, senza dire nulla. Andò poi a posarsi sulle labbra
di Psiche,che accennò ad un sorriso. - Di dove arrivi? E perchè ti posi sulle labbra di quanto ho di
più caro al mondo? - Ancora la farfalla non parlò. Psiche però continuò a sorridere, mentre la
farfalla sbatteva delicatamente le meravigliose ali blu sulle sue labbra. Amore, preso dalla gelosia,
ebbe un fremito e lanciò un grido. - Mia amata! - Psiche si riscosse, chiuse le labbra e la farfalla
volò via. - Mio amato! - Rispose lei tremando. Seguì un lungo silenzio, ma poi fu di nuovo amore.
La farfalla proseguì il suo volo nel giardino, posandosi ora su di un fiore, ora su di un altro. Ma tutti
la guardavano con sospetto. Aveva osato sfidare l'AMORE! Ed in quel giardino l'amore era sacro!
Ogni albero allora cominciò ad agitare i propri rami, fino a creare un forte vento, che spinse la
farfalla verso l'alto, sempre più su, là fino vicino al sole. Ed il sole le bruciò le ali. La bellissima
farfalla dalle ali blu morì. Nessuno poteva sfidare l'amore all'interno di quel giardino!
172
Lo Specchio
di Carmela Giustiniani
Plic, plic, plic. Swoooosh. Come ogni mattina, la Fontana si risvegliò. Dapprima si stiracchiò
pigramente, come un animale che si risvegli dal letargo, poi spiegò con potenza i suoi getti d'acqua.
Freschi zampilli che, al contatto con i primi timidi raggi del sole, parevano cristalli multicolori. E
che meraviglia, la scultura che la sormontava! Doveva raffigurare una qualche antica Principessa.
Non c'è che dire, era proprio una Signora Fontana, degna di stare al centro del rigoglioso Giardino
del Castello. Pazienza se ormai da tempo nessuna testa coronata si aggirava nei paraggi: la Fontana
da sola bastava a conferire a quel luogo ormai parzialmente caduto in rovina una dignità maestosa.
E anche quel giorno, all'apertura dei cancelli, i visitatori vi si precipitarono come uno sciame di api
di ritorno all'alveare. La Fontana come al solito mise su la sua veste migliore: i suoi spruzzi si
fecero più vivi, le sue acque più terse, il suo gorgoglio più musicale. Anche se sopportava di
malavoglia quella confusione, ci teneva a fare bella figura. E ci riusciva. Nessuno aveva occhi per i
delicati fiori colorati che punteggiavano i prati, né aveva orecchie per gli uccellini che
cinguettavano gioviali: tutti volevano ammirare solo la leggendaria fontana in cui la Regina usava
specchiarsi. E quando anche quel giorno il sole si tuffò nel mare oltre la scogliera e l'ultima
fanciulla sognante ebbe varcato la soglia che si richiuse cigolando, la Fontana tirò un sospiro di
sollievo. "Uff non ne posso più di queste orde di visitatori! Chi avrà mai spifferato quel segreto?" si
lagnò. "Grimilde, scommetto che sei stata tu!" "Non me ne parlare, stupido specchio!" grugnì
infastidita la statua sulla sommità della Fontana. "Se tu fossi stato meno sincero, adesso non
saremmo in questa situazione. E credi che a me faccia piacere sentir ripetere tutto il santo giorno:
"Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del Reame?" ".
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Amore .. pungente
di Alida Furlan
“Da qui si vede il mare! Nonostante il terrazzo non abbia la ringhiera ma sia in muratura, il vaso
alto a cui sono stato destinato mi solleva da terra, finalmente, che emozione! Siccome sono l’ultimo
arrivato mi presento: Ilex aquifolium. Per gli amici: agrifoglio. Per le nonne: pungitopo “Lei” mi ha
preso all’ultimo momento, era quasi alla cassa, le mani già piene, un sacco di argilla, uno di terra,
due Lobelie e quel simpatico Solanum, una piantina di fragoloni. Ma mi ha guardato e,
inaspettatamente, mi ha scelto! Le piaccio ! Nel mio primo mattino di permanenza nel suo bel
terrazzo, “lei” ci ha messo il cuore per sistemare l’angolo sinistro per noi ultimi acquisti.” “Ciao
benvenuto!” mi fa cenno da destra un incredibile geranio odoroso, tutto riccio, dai piccoli fiorellini
rosa “Ho visto come ti guardava sai? Come ti ha sistemato accanto al Solanum, sono quasi geloso,
avrà poi il tempo di dedicarsi a tutti noi? Ogni giorno qui arriva una pianta nuova!” “Ma sì certo,
vedrai che avrà un occhio per tutti. Io l’ho vista come prendeva la terra buona, il tutore per le
raffiche di bora e la gentilezza nel rinvaso..faceva assai caldo e pensavo sudasse.. invece poi ho
capito, erano lacrime e mezze parole fra sé e sé, arrabbiata o delusa, borbottava qualcosa a
proposito del lavoro che sta cercando… o di quello che ha perduto.. che lei non è una casalinga, che
vuole la sua autonomia e la sua libertà…“ E s’intromette la Salvia Splendis: “ah libertà.. proprio noi
che se non abbiamo le radici ben piantate, non riusciamo a far nascere nemmeno una nuova
fogliolina… cosa ne capisci tu della sua tristezza ?!” “Già, non ci capisco molto.. ma vedrai, le farò
ritornare il sorriso, almeno un po’ , farò sbocciare i fiorellini, arriveranno le bacche e poi
decoreremo i pacchetti natalizi! Farò del mio meglio, credo che.. sia innamorata! ieri se avesse
potuto “lei” mi avrebbe baciato e abbracciato! Ma pungo ! Ed é per questo che mi può soltanto
sorridere quando mi guarda..!"
174
Ninetta
di Elisa Origi
"È facile dirlo, per te! - sbottò la quercia. Con le tue belle ali colorate puoi decidere di posarti ogni
giorno in un giardino diverso. Ma essere una quercia - proseguì il possente albero - significa essere
un punto di riferimento, che non cambia nel tempo, trasmettendo il conforto di una certezza". Il
bell'insetto, per tutta risposta, si limitò a svolazzare qui e là, confermando, con la sua spensierata
leggerezza, quanto gli era appena stato rilevato. "Ora zitte - apostrofò la foglia dell'ulivo in tutta la
sua snella essenzialità - stanno arrivando Ninetta e Adele". La bella statua di Venere, sempre molto
schiva, attendeva già da tempo il loro arrivo, mentre la rosa gialla, rubando la tecnica al girasole,
aveva roteato il proprio stelo per accoglierle a dovere. "Dobbiamo andare" - disse Ninetta. "Sì" -
rispose Adele. "Dobbiamo andare" - ripeté la prima per la seconda volta. E poi ancora per la terza.
E la quarta, cadenzando con regolarità il suo mantra ossessivo. "Ora andiamo - la assecondò Adele.
Ma dimmi: te lo ricordi questo giardino, quando era ancora del convento che ospitava l'oratorio?
Quanti segreti ci siamo confidate quaggiù, da bambine, senza sapere certo che un giorno sarebbe
appartenuto a una casa di riposo". "Giusto la crudeltà dell'Alzheimer ha potuto mettere a riposo la
tua energia" - aggiunse Adele, questa volta quasi tra sé e sé. "Dobbiamo andare. Dobbiamo tutti
andare" - variò con inconsapevole saggezza Ninetta. "Hai ragione, dobbiamo tutti andarcene, prima
o poi. Ma non ora, amica mia, non ora. Io ho ancora molto bisogno di te - le si rivolse, in ultimo,
Adele. Vieni, proseguiamo un pochino. Fino alla grande quercia". Quando si furono allontanate, fu
la statua a prender parola: "Anche io, come la quercia, sono destinata alla stanzialità. Ma nonostante
il trascorrere del tempo e il cambiamento delle circostanze, sono felice, perché ancora sento la forza
dell'amore tra coloro che frequentano questo luogo pur nell'argento dei propri anni".
175
Ed il salice pianse!
di Ippolita Zaza
In fondo ormai lo temeva, non poteva essere diversamente. La conosceva da una vita, sin da
quando, appena bambina, si era trasferita in quella casa coi suoi genitori, e le aveva subito voluto
bene. L'aveva vista ridere mentre correva e giocava spensierata fra i suoi spazi rigogliosi e sicuri;
l'aveva sentita piangere, quando le offriva riparo nel solito cantuccio di cespugli, cercando di
consolarla con la sua calma frescura. L'aveva vissuta, condiviso le sue gioie e le sue paure, vista
crescere e man mano farsi donna: e che gioia per il suo cuore sapere che quel giorno la testa di lei
era stata cinta proprio con quell'alloro che lei stessa, con tanto amore, aveva sempre curato, come
del resto ogni piccola parte di lui. Sì perché, per lei, lui era sempre stato il Giardino dei suoi Sogni,
sin dall'inizio se n'era presa cura e mai, mai lo aveva trascurato: lo aveva nutrito, abbellito, protetto,
dedicato il suo tempo. Poteva lui mai dimenticare quel tripudio di colori, quel giorno in cui la vide
uscire, bianca e radiosa, camminando sul rosso del tappeto tra il verde più brillante, lui che l'aveva
omaggiata di quel profumato arcobaleno floreale? E non era affatto triste quel giorno, perché gli
aveva promesso che sarebbe stato solo un arrivederci: sarebbe tornata presto da lui, in quella casa,
per vivere la sua nuova vita di moglie e mamma, e lui avrebbe potuto continuare a godere della sua
felicità. Tutto era meraviglioso! E poi accadde. In quell'inverno arido e silenzioso come non era mai
stato, i giorni passavano e lui che l'aveva vista uscire ma non rientrare, rimase solo e trascurato, ed
in primavera temette, ed in estate si rassegnò. Non poteva averlo voluto abbandonare, non lo
avrebbe mai fatto! Ricordava ora una malattia, sussurrata fra i cespugli: non poteva essere
diversamente... Cos'era, un pianto in lontananza? Immaginazione? No, era lei! Era la Vita, che
tornava vincitrice, e con in braccio la sua piccola copia! Ed il salice pianse per davvero!
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Un giorno come tanti....
di Maura Visigalli
Dal fondo del parco,lì,accanto alla grotta sotto l'albero più vecchio del grande giardino, Ninfa
sorrideva osservando quello spettacolo che,a dir la verità, erano secoli che le si riproponeva: fin dal
mattino presto una farfalla leggerissima, dalle ali così trasparenti da sparire nel sole, si prendeva
gioco di una splendida rosa, di un rosso porpora talmente brillante che nessun uomo sarebbe mai
riuscito a riprodurne la tonalità. Il suo profumo poi....ecco, era qualcosa di inebriante e di struggente
al tempo stesso... Ninfa tese l'orecchio. - Che ti credi? - ripeteva la farfalla - Pensi di essere la regina
del giardino..Ma tutto quel po' po' di colore e di profumo di cui ti adorni non ti permette di gustare
l'aria libera quassù! Non hai ali, bella mia, per librarti leggera nel sole! La rosa, sdegnosa e al tempo
stesso infastidita da quelle parole, taceva, pensando che tanto, quella scioccherella, non sarebbe
vissuta fino l'indomani. - Sì sì, vantati pure! Ma per quanto tu faccia non riuscirai ad arrivare fin
quassù! Chi aveva parlato? La farfalla, indispettita, riconobbe in cima all'albero più vecchio, e più
alto del giardino, una foglia straordinariamente bella,di un verde screziato su cui i raggi del sole
parevano danzare. Eh no! Così in alto, per quanto tentasse, la farfalla non sarebbe mai riuscita ad
arrivare! Ninfa sorrise ed attese. Il giorno morente portò una brezza leggera, di fine estate, che fece
staccare dal ramo la foglia impertinente. Più in basso la farfalla s'adagiò leggera, nel suo ultimo
volteggiare, proprio sulla rosa. Un petalo purpureo cadde a terra. Ninfea sorrise: il giorno dopo ci
sarebbero state un'altra farfalla, un'altra rosa ed un'altra foglia e tutto si sarebbe ripetuto. A Marco,
che era corso fino in fondo al giardino per recuperare la palla con cui stava giocando, parve che
quella statua accanto alla grotta, sotto l'albero più vecchio,avesse sorriso, ma poi pensò:-No..Le
statue non sorridono!, e si allontanò fischiettando.
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Equilibrio
di Aly Pedruzzi
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BETULLE
di Enrico Bagnato
BETULLE Due betulle, l’una accanto all’altra in un giardino. Una è alta, rigogliosa, con una
bellissima chioma di verdi foglie a forma di cuore su un tronco snello, di colore bianco con riflessi
d’argento. L’ altra, poco più alta di un cespuglio, potrebbe essere una figlia o nipote dell’adulta. -
Davvero c’è questa usanza da noi? – domanda la piccola. – Ne parlavano due vecchie signore che
stamani mi sono passate accanto. – Sì, è vero – risponde l’adulta – i giovani, prima di avere l’età per
fidanzarsi con una coetanea, si fidanzano con una di noi; ci scrutano una ad una e scelgono quella la
cui bellezza più li ammalia e gli suscita un sentimento d’amore, proprio come se fosse una bella
ragazza del villaggio. - Oh, - fa la piccola – allora capiterà anche a me di avere un innamorato! –
Sicuro, ma ci vorrà del tempo, diciamo tra un paio di stagioni – risponde l’adulta. – Tu ne hai avuto
uno? – chiede la piccola. – Sì, certo, è stato tanto tempo fa. Si chiamava Ivan, era un bel ragazzo dai
capelli biondi -. E come… come vi amavate? - non sa trattenersi la piccola. – Oh, lui veniva, mi
circondava il tronco con le braccia e mi sussurrava dolcissime parole, e baciava le mie foglie a una
a una… Io, con i ramoscelli più bassi, gli accarezzavo le guance, gli scompigliavo i capelli. E poi?...
– E poi è partito in guerra… – E…non ha fatto più ritorno? – domanda accorata la betullina. – Oh,
sì è tornato, ma è tornato dentro una bara. I suoi genitori lo seppellirono alla mia ombra. Enrico
Bagnato
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Un'avventura pericolosa
di Donatella Riviello
UN’AVVENTURA PERICOLOSA Come altre volte quella mattina, nel parco vicino casa, lei e le
sue amiche presero a correre in mezzo all’erba, traboccanti di euforia giovanile. Ma, più di tutto, lei
amava arrampicarsi sugli alberi e arrivare in un baleno alla sommità. Da lassù rimaneva incantata ad
ammirare i funghi prataioli che biancheggiavano nella distesa di erba verde; le coccinelle dalle
vivaci livree, disegnate dallo stesso artista che tinteggiava i prati; con il giallo dei ranuncoli
slanciati, con il rosa dei modesti fiori di timo, con il rosso dei papaveri sussiegosi, con le chiazze
bianche dei veli da sposa. Ad un tratto, però, mentre risaliva su per un fusto, una mano gigantesca
scosse violentemente la pianta e la sradicò. Scaraventata nel fondo buio di un involucro, lei ripensò
amaramente alle tante volte che nel formicaio le avevano sconsigliato di arrampicarsi sugli asparagi
selvatici in primavera.
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Filo d'erba io e quei due
di Giuseppe Sito
Filo d’erba, io e quei due Certo, nella mia lunga vita di albero, ne ho viste tante, ma proprio
tante…Da piccoli cagnolini dispettosi sempre pronti a far la pipì appoggiati al mio tronco, a coppie
di ragazzi villani muniti di coltellini, pronti a sfregiare il mio vestito, e poi vecchietti, immagino
pensionati, che con fare tenero e spesso cantilenando, spingevano carrozzine da cui il più delle volte
si elevavano vagiti terribili per non dire grida disumane! Che varietà infinita di persone di vario tipo
e d’altra parte il mio amico filod’erba, lui ancora più sfortunato di me poiché per la sua,
chiamiamola altezza, più sottomesso ai bisogni degli animali cosiddetti domestici, si confrontava
con me sempre pronto con la sua arguta parola a darmi le sue opinioni. Ma hai visto quel cagnolino
come somigliava alla padrona? Lo stesso fiocchetto rosso in testa e magari lo stesso coiffeur e quel
vecchietto con quanto amore si chinava sul carrozzino? Chissà se era il papà di una donna in
carriera o invece di un uomo separato che di necessità lasciava il bimbo al papà con maggior tempo
a disposizione… ma quei due, quei due proprio non posso più dimenticarli, due non più
giovanissimi, lei alta bruna, direi altera come mi suggerisce filo d’erba e lui, un po’ più anziano di
lei già ingrigito nei capelli ed in una corta barbetta, che tenendosi per mano parlavano fitto fitto
come se avessero chissà quali segreti. Filo d’erba, più facile a muoversi, si era chinato verso di loro
e aveva percepito solo parole d’amore, tenerezze, promesse ed infatti si guardavano come ragazzini
alle prese con il primo Amore…Che gioia, allora tra gli umani ancora esistono due romantici
così…Ma, poi, cosa avevo visto…lui ad un cero punto quasi come in un impeto, e forse per dar più
forza al sentimento, si era chinato verso il roseto, sì quello che è nel centro del viale e aveva fatto
come per cogliere una rosellina da donare alla sua amata, ma si era poi fermato d’un tratto e quel
pettegolo di filo d’e
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Celtis australis
di Carla De Bernardi
Sei entrata nel giardino botanico per evitare che qualcuno, seppur frettoloso, si accorga del tuo
pianto. Sono quasi le sei-tra poco il cancello chiuderà-e ti siedi su una panchina di marmo troppo
lunga che il sole non ha mai scaldato. E' l'ora feroce che ogni giorno ti inchioda sulla croce del più
malvagio dei lutti. La pietra umida ti spaventa, così ti alzi, appoggi la tua schiena che mai più sarà
diritta al grande albero di fronte. E' un Celtis australis, un esotico bagolaro, fratello dell'olmo e del
frassino. Lo riconosci-non è da tutti-perché al centro della piazza che attraversi ogni mattina ne
svetta uno identico a questo, con il legno chiaro, tenace ed elastico, la chioma ordinata e tonda, la
corteccia grigia attraversata da spesse arterie vegetali. Il buio sta scendendo e mentre ti avvolge
senza clemenza, pensi a lui, come in ogni momento da quel giorno. E piangi le lacrime di filo
spinato che piange ogni madre di un figlio perduto. E' questa l'ora che te l'ha portato via. Non potrai
mai dimenticare la bocca spietata che ti ha detto "E' caduto"! A volte gridi il suo nome, rivolta alle
nuvole. A volte sussurri, che nessuno ti senta. E stasera la tua voce è leggera, quasi priva di suono.
E, come accadeva una volta ma solo agli dei, un miracolo avviene e l'albero diventa carne e sangue.
I rami ti avvolgono come le braccia di un padre, le foglie scendono ad accarezzare il tuo volto con
dense dita amorose e ti par di sentire la musica delle stelle che stanno sorgendo ad una ad una. E la
luna? E' troppo presto per la pallida luna, custode degli oceani. Ora è notte e devi andare per non
rimanere chiusa in quel giardino che ora ti fa paura. Ma non riesci a scioglierti dall'abbraccio che
prima ti ha prima consolato e ora ti uccide. Finchè il tuo cuore si ferma e il tuo respiro tace. Perché
l'albero sapiente ha misteriosamente messo fine alla tua pena.
182
Thymus
di Silvia Nicita
Non afferro ancora come io mi senta adesso, se i miei rami riusciranno con questa terra a formare
dei cespugli compatti, sempre che io ancora riesca a ramificare. Prima spostato da un balcone ad un
altro, ed ora, trapiantato così, da mano inesperta, in questo luogo estraneo. La figlia lo sa che ho
bisogno di un terreno arido, sassoso e soleggiato? E dove e' la madre? Quando ero ancora nel primo
balcone, la figlia mi strappava sempre un piccolo rametto, lo annusava e poi lo passava alla madre
che a sua volta mi annusava tutta felice, chiudeva i piccoli occhi incantati ed inspirava: “Ma questa
non e' una pianta aromatica! E' una spezia!.” La figlia diceva invece che odoravo di arrosto e la
madre rideva. La prima non più giovane, la seconda molto anziana, senz'altro tutto questo
annusarmi e sfregarmi era per infondere in loro forza e coraggio, qualità che il mio profumo ha
fama di risvegliare. Strambe quelle due, talvolta mi chiamavano anche Timothy. Nel secondo
balcone, invece, sentivo solo la figlia piangere. Una grande foglia mi riporta al presente: “Ciao
Thymus, siamo i Nespoli, siamo noi a darti frescura. Ci troviamo in un giardino in collina adesso,
insieme a Nocciolo il vecchio, Oleandro il velenoso, Alloro il lucido, Clematide il ranuncolo e
Canneto il mutevole. Non scordiamoci di Melograno da bordura e delle Rose le smorfiose, hanno
sempre sete.” “Grazie Nespoli, mi piace essere in compagnia, anche voi siete perenni?” “Si certo,
ma non dobbiamo diventare troppo alti se no ci spostano, sempre che il cinghiale non scavi sotto di
noi: stasera e' luna piena e la vegetazione festeggia dopo il passaggio del tubo irrigatore, profumerai
con noi?” - “Si, profumerò con voi.” La festa e' stata un successo, hanno partecipato perfino le
essenze dei giardini confinanti, frusciato e giocato con la luce della luna fino a che il prato non si e'
colorato di argento. Mi pare che qualcuno mi abbia chiamato Timothy e solo allora ho capito di
poter ramificare ancora.
183
Mattino a Villa d'Este
Mattino a Villa d’este Una goccia di rugiada stamattina si è svegliata, mentre un refolo di vento, tra
le foglie assai contento, pian pianino si insinuava e, cullandole, fischiava ch’era giunto ormai il
mattino e, scuotendole un pochino, rinfrescava l’aria invero, arrivando fino al pero, dove goccia di
rugiada se ne stava addormentata, ma cadendo tra le foglie, con un tonfo e con le doglie, sveglia
dunque d’improvviso pensò ben: “mi lavo il viso”! e, pertanto scivolata proprio come una frittata, si
trovò nella peschiera e nell’acqua, tutta nera! Ma nel torbido vascone v’era pur un bel pescione,
che, dall’angolo, veloce, viene attratto dalla luce che la goccia, già sbattendo, rifletteva inver
cadendo, ma nell’acqua mescolata, or la goccia se n’è andata e il pescione frastornato, tutto mogio e
sconsolato, ritornato all’angoletto, se ne sta assai triste e mesto!
184
Un bel topino
Un bel topino Stamattina un bel topino se ne sta buono in giardino, aspettando per la panza il
formaggio in abbondanza; la custode avea promesso, sai, facendolo un po’ fesso, lui, che tanto
innamorato mangerebbe anche un gelato, pur di avere accanto ogn’or la custode del suo cuor! Ma
arrivato il giardiniere, a cui piace tanto il bere, agitando alla fontana una mistura alquanto strana,
poi il veleno ha rovesciato sul topin, che è stramazzato, ed avendolo scannato, il trofeo sì lui ha
mostrato ai suoi altri giardinieri che di lui van tanto fieri e appaudito quel bifolco, anche a lor
sembrato un orco, se ne tornano in giardino certo mesti assai o un pochino. Ma assai triste è quel
fringuello, ch’era come suo fratello, che al vedere quella scena, si procura tanta pena e al di sopra
del cancello, al sicur da quel macello, se ne scappa sull’altana, ben lontan dalla fontana e a ricordo
del topetto va una lacrima sul becco e sol spera, mesto, allor che egli parli con lui ancor! Dal cattivo
giardiniere io vorrei tanto sapere quale male avrebbe fatto il topino soddisfatto dell’amor, della
groviera, del suo canto fino a sera! Dunque è inutile stasera ch’ella porti la gruviera…
185
Quartier generale.
di Antonietta Scarpato
Guardava immobile ed estasiato quell'orizzonte così terso e limpido e così suo.Dall'alto di una
vecchia palazzina poteva dominare quell'angolo di infinito e sentirsi il padrone assoluto. Quel tetto
gli apparteneva e ne conosceva ogni tegola, ma il suo regno,quello che da anni rappresentava il suo
quartier generale era lo splendido giardino. Nel giugno assolato i profumi esalavano da siepi di
rosmarino e mentuccia ribelli e vive ancora intatte dalle cesoie del giardiniere. Edera si inerpicava
lungo i muri, avviluppandosi al pino maestoso che faceva ombra nella canicola estiva, rendendo più
confortevole il suo passo e i suoi balzi più inattesi. Il prato era un tappeto corposo e lussureggiante,
perfetto per gli agguati notturni. Gli oleandri Accondiscendevano alla brezza che a quell'ora si
alzava dal mare: le corolle ondeggiavano morbide invitandolo a chiudere gli occhi. Un sonno breve
e leggero: inspirò l'aria salmastra, si lasciò accarezzare dal vento e sui baffi ne avverti il tepore. Fu
un attimo lunghissimo di silenzio. Sapeva che di lì a poco la famiglia sarebbe arrivata a prendersi il
suo spazio. Il giardino si sarebbe animato di feste, cuscini e candele e il profumo della natura
sarebbe sparito sotto quello degli zampironi e delle creme solari...era così l'estate! Ma ogni notte il
giardino tornava ad essere sempre suo. Si allungò, balzò sul muro per provare l'agilità di quel corpo
snello e longilineo nonostante gli anni, sempre in equilibrio, sempre in lotta per il territorio. Amava
gli scontri notturni con i signorini di Città, ne usciva malconcio ma sempre vittorioso,re
incontrastato del suo giardino. Fu in quel momento che vide la famiglia:era arrivata chiassosa come
sempre, ma non fu quello a lasciarlo stupito: tra le braccia del Dottore due occhi Verdi di libertà!
Capi in quell'istante che quell'estate sarebbe stata magica, lei lo avrebbe visto combattere e
miagolare alla luna come nessuno mai e in quel giardino sarebbe stata sua!
186
Il pensatoio
di Elisa Messina
Nel meriggio agostano, un merlo, girando il becco giallo, con fischi cadenzati, cerca di interrogare
il Tempo: "Che è successo in quell'angolo tra le antiche mura e la casa medioevale, tra mare e
macchia mediterranea, arte e creato? Come è cambiato quello scampolo di terra, per anni groviglio
di piante e di pietre! Tra conci di epoche diverse, in mirabile armonia, un prato e un concerto di
specie vegetali vecchie e nuove, spontanee e coltivate, che, finalmente, sorridono al cielo e rubano i
bagliori del sole al cupolone." Farfalle, calabroni, vespe, grilli, coccinelle: "Senza nessuna
paura.....verdi e fiorite creature, mettete ali alla fantasia in questo ameno pensatoio!" Con la loro
saggezza le violacciocche e i capperi:"Sarebbe bello che le giovani generazioni potessero avere
radici ben salde, come le nostre, che affondano in venerande vestigia." La rosa esce da sè: "Ero
bianca e i raggi del sole mi hanno fatto diventare rosa, improvvisamente donna. Oggi vorrei tornare
al mio puerile candore, al tempo in cui tutto è da imparare." Un po'timidamente plumbaghi e
abelie:"Siamo ultime venute da lontano, ma i nostri colori sono quelli delle cicorie e delle malve,
veterane del prato.....vogliamo ben integrarci e hic manebimus optime!" Lantana, con toni
folgoranti:"Le distanze non hanno luogo d'essere. Dobbiamo venirci incontro." Aggiunge il
gelsomino:"Con i nostri profumi!" Il cespuglio d'alloro:"O tempora, o mores! Come mi piacerebbe
vivere in un paese governato da poeti!" La briosa bella di notte:"Prendere la vita con filosofia.
Carpe diem!" E il melograno, ardente di passione:"Seminare bene per un'esistenza serena e
fruttuosa." Al centro del pensatoio il giovane ulivo già Memoria, perchè ricordo di un archeologo,
che lo aveva coltivato con amore come i suoi studi:"Che il futuro abbia un cuore antico!" A sera una
gazza, schiamazzando, si lancia nel pensatoio, attirata da luccichii. "Che cosa sono?"I desideri delle
verdi e fiorite creature:lucciole, frammenti di stelle.
187
Di colpo, sulla destra
di Riccarda Dalbuoni
“Benvenuta!” Margherita si guardò attorno, ma non vide nessuno. Da quando la nonna se n'era
andata, Margherita aveva conservato la chiave del giardino senza mai tornarci. La malattia
fulminante della nonna non le aveva dato il tempo di rendersi conto di quanto le cose fossero
cambiate e quanto quei profumi le fossero mancati. Quella domenica mattina di inizio maggio
decise di andare. Aveva trascorso la sua infanzia tra i fiori che, assieme alla nonna, aveva imparato
ad accudire. Poi era cresciuta e il giardino iniziò a frequentarlo di rado. “Io mi ricordo di te”.
Ancora quella voce sottile, ma decisa. Chi era a parlare? “Per il tuo compleanno, la nonna mi
sistemava sul tavolo assieme alle mie sorelle”. Margherita scattò di colpo verso l'aiuola di calle alla
sua destra. Ne vide una vibrare. Si avvicinò e ne distinse meglio le parole: “Ti stupisci? Sapessi
quante volte ho provato a parlarti in tutti questi anni!”. “Ma io...” balbettò Margherita. “Non occorre
che ti giustifichi, non potevi sentirmi, eri distratta e qualche volta annoiata. Anche nonna Iris se
n'era accorta, ma le piaceva talmente tanto averti vicino in questo giardino che faceva finta di
niente. Lei sapeva tutto. Sapeva di te, dei tuoi turbamenti e dei tuoi silenzi sempre più lunghi.
Sperava di darti un po' di colore portandoti qui con lei. Ma tu hai smesso di venire”. Margherita
capì solo in quel momento di avere dato un dispiacere alla nonna quando, senza troppi giri di
parole, le disse che non aveva più tempo per il giardino. La nonna non se la prese e cominciò a
portarle a casa un fiore, ogni tanto, il primo di ciascuna fioritura. Quando era una bambina, erano
solite festeggiare con una merenda lo sbocciare delle tante varietà di fiori del giardino. Le prime
erano le margherite, in suo onore, come diceva la nonna, poi le rose, le calle, il gelsomino. “Io sono
la prima calla della stagione” disse il fiore muovendosi appena. Quella che nonna Iris sarebbe stata
felice di portarle.
188
Il giardino incantato
di Marilena Santi
Un giorno in un paese lontano lontano, viveva una bellissima principessa. Il suo nome era Sara. La
sua reggia aveva tutti i confort possibili ma purtroppo, a causa di un incantesimo, era costretta a
vivere isolata dal mondo. La maggior parte del tempo lo trascorreva nel suo magico giardino.
Perché magico? Perché era un giardino animato. Nel laghetto ad esempio c’era la statua della ninfa
Egeria che le raccontava la sua storia: “ero anch’io una principessa come te. Quando la vita mi
lasciò fui trasformata in una sorgente”. Mentre l’ascoltava Sara si immerse nelle sue limpide e
fresche acque. Incuriosita una farfalla si posò su una foglia di acanto: “Che belle storie si sentono in
questo giardino”. La foglia d’acanto si intromise: “anch’io ho una storia da raccontare ma lo sapete
che ho ispirato addirittura uno stile architettonico il corinzio vi pare poco!”. La grande palma
rispose: “bé Principessa io non sono così importante ma se hai fame serviti pure, i miei datteri sono
dolcissimi”. E così dicendo si abbassò per consentirle di prenderli. Finito lo spuntino la principessa
si avvicinò ad un magnifico cespuglio di rose di damasco e una della rose le parlò: “pensa che bello
fra qualche giorno compirai 16 anni e l’incantesimo verrà spezzato. Potrai finalmente incontrare il
mondo. Mancherai a tutti noi ma saremo felici della tua felicità”. Intanto la farfalla si posò sulla
rosa: “che buon profumo sai regalare. Non essere triste ci sono io se vuoi a farti compagnia”. La
principessa Sara salutò i suoi amici ringraziandoli per averle tenuto compagnia in tutti quegli anni e
promise loro che sarebbe tornata presto a trovarli. Rientrò nella sua prigione dorata contando le ore
che la separavano dalla libertà.
189
La nota d'oro
di Silvia Marengo
Il cielo stende il suo tappeto azzurro sulla città regalando a tutti una prorompente allegria. Tante
vite cercano refrigerio all’ombra. In un giardino pubblico, tra buffe zolle trascurate, si erge un
castagno. E’ quella luce intensa del pomeriggio estivo a conferire all’albero un aspetto maestoso. Il
suo ombrello di clorofilla è un richiamo per Davide che va a sedersi li sotto. Oziando osserva il sole
che gioca a nascondino con le foglie e si gode la quiete e l’ombra leggera; gioie semplici, a portata
di mano. Mentre il silenzio ammanta ogni cosa di letizia, Davide ammira con innocente stupore il
grande albero che quasi lo avvolge. Toccando una foglia, d’un tratto, percepisce la forza della sua
vita. Quella dell’albero. - Questa creatura sprigiona bellezza, innata eleganza e voglia di vivere e,
mi pare di sentirla… sta …sta cantando una festosa melodia a me e al mondo la sua gioia di essere
viva, ora! Ma…come faccio a sentirla? Una voce risponde pronta: - Semplice: la tua anima ha
iniziato a vibrare emettendo quel suono che ogni creatura conosce, d’istinto: la nota d’oro. E’
proprio cosi’, sto cantando alla vita che scorre dentro e fuori di me.- sono Alte, l’albero di castagno.
Sai- continua-, ti ho sentito passare ogni mattina ed ho sempre sperato che un giorno avresti udito e
riconosciuto quella nota speciale che tutte le creature hanno ricevuto in dono per esprimere e sentire
tutti i pensieri giù, nelle profondità dell’anima: non si può comprare, solo Amore la può donare.
Ora, anche tu sai suonare la nota d’oro e comunicare senza barriere, conoscere e comprendere,
curare e risolvere: dillo a tutti! Solo cosi’ torneremo all’antica armonia e comporremo ancora, il
Grande Concerto! -E’ cosi’ semplice! – rispose Davide ad Alte, emozionandosi;-non ho fatto altro
che pensare a te con rispetto. Lo so- replico’ Alte- è questo,l' unico modo per sentir e suonar la nota
d'oro. -lo dirò a tutti- gridò Davide allontanandosi - il giorno del Grande Concerto verrà, di nuovo!
190
Le Violette : fiori dal cuore d’oro
di Antonietta Brugnoli
Si percepiva una strana eccitazione nel giardino. Dai fiori e dagli alberi sprizzava una simpatica
euforia. Le statue del giardino avevano deciso di eleggere il più bello, il più decorativo e il più
profumato fiore o albero del giardino. Un fremito di aspettative e di desideri rendeva ansiose tutte
quelle verdi anime. Non ci dobbiamo meravigliare, perché anche noi esseri umani desideriamo,
almeno una volta nella vita, salire sul podio. Le statue, non potendo muoversi per osservare bene le
piante e i fiori, si fecero aiutare da un uccellino, da una farfalla e da una lucertola, che si
avvicinarono alle varie piante e ai fiori e chiesero loro che si presentassero. L’Oleandro disse : “ La
mia forma ricorda il numero tre che, come diceva Pitagora, simboleggia la perfezione dell’universo
.” Il Corbezzolo, con aria solenne, dichiarò :”I miei colori hanno ispirato la bandiera italiana.” Lo
interrupe il Melograno :” Cari miei, da sempre, sono considerato un portafortuna.” “ E io – tuonò il
Fico – simboleggio la luce e la forza.” Il Platano, troneggiando dall’alto del suo fusto, sentenziò :”
Io, nei testi antichi, sono chiamato Alto Spirito. Vi pare poco ?” La Palma si intromise :” Eh no !
Calma. Io sono il simbolo della vittoria e della giustizia. Mettetevi il cuore in pace, perché pure la
pace io simboleggio.” L’uccellino e i suoi amici furono impressionati da tutte queste affermazioni :
il loro compito di giudicare appariva molto difficile. Ad un tratto la lucertola notò uno strano viavai
di coccinelle, formichine e moscerini. Erano diretti verso un cespuglio di violette. La lucertola si
incuriosì e chiese cosa facessero. Rispose per tutti un piccolo grillo zoppo :” Le Violette sono molto
generose, ci ospitano, ci nutrono e ci dissetano. Sono tanto buone! “ L’ uccellino, la farfalla e la
lucertola si guardarono, si sorrisero e sentenziarono all’unanimità :” Nessuno poteva, più delle
piccola Violette dal cuore d’oro,meritare la vittoria ! “
191
Unica
di Francesca Ferretti
Mi sto aprendo. Piano, con cura. Vedete che ritto il mio pistillo? Sono certa che è perfetto, lo
intuisco anche se non ho a cosa paragonarlo, non riesco a vedere oltre i miei petali ancora mezzi
chiusi. I miei petali? Lo ammetto, sono un poco stropicciati ma che pretendete appena sbocciata?
Siete nati già rosei voi? Ammirate: immacolati, senza imperfezioni o, orrore, strappi. Non sono
passati inosservati i due, due!, di quel fiore lì. Doveva aprirsi con cautela, senza fretta, dico: mica è
una gara di sprint. Ma dove state guardando? Ehi, sono qui. Mi pare che abbiate contemplato
abbastanza quella rosa. L’ho capito che ha un buon profumo, ma lo sapete cosa sarò io? Una
ciliegia! Altro che profumo: aroma, succo, dolcezza … e poi anch’io sono della famiglia delle
rosaceae, ignoranti. Non sarete di quelli che vedono la fioritura del ciliegio solo come un insieme,
una nuvola candida. Non notate che sono unica? Sapete che vi dico: mancate di spirito
d’osservazione. Un ronzio? Un calabrone. Però, è grande. E veramente peloso. Speriamo che non
mi noti, non vorrei mica essere impollinata da uno così. No, per me ci vorrebbe un’ape, un’ape
regina. Non sono sicura che lei si occupi d’impollinazione… l’ape operaia è un po’ banale.
Tuttavia: Uhu, sono qui. Dai non volare di là, spostati di qua così puoi ammirare i miei stami. Sono
carichi di polline. Non senti il profumo di nettare che emana il mio pistillo? Ma dove vai? Mah,
scema anche questa, aspetterò la prossima. L’alveare qui vicino ha davvero un problema. Che miele
producono con fornitori scadenti. E adesso chi si avvicina? Un po’ nervoso questo pecchione
selvatico. Sarà mai possibile che sappia impollinare, mi sembra un tantino magro. Non mi guardare,
non mi guardare, vai da quella con la corolla macchiata, dai. No, non da me… Che sensazione. Non
che sia durato tanto, ma era così, come dire… sensuale. Cosa me ne importa del miele. Questa
mania dell’apis mellifera io non la capisco.
192
Armonie della natura.
di Ippolita Zaza
D'accordo, da sempre ci hanno insegnato che l'acqua è vita, ma mai, credo, questa verità fu così
evidente come in quella fresca notte di fine luglio, quando i nuovi irrigatori attivarono il loro
frizzante zampillìo nel bel mezzo del prato: il resto del villaggio dormiva, ma il giardino si svegliò!
Il vento fra le fronde di Robinia sibilò una languida melodia, ritmata dall'oscillare delle foglie e dal
battito dei rami; e Rosa, che per anni ed anni, stretta tra le labbra di belle fanciulle, l'aveva ballato
senza poterlo ballare, coronò il suo sogno, e si fece guidare da Giglio in un romantico tango di
emozioni; e Margherita, che sempre aveva dedicato anima e corpo per offrire i suoi amletici
responsi amorosi a sognanti spasimanti, senza tuttavia mai riuscire a trovare l'amore per sé, capì
finalmente che quell'amore lo aveva sempre avuto accanto e mai capito, perché Ape tornava sempre
e solo da lei, aveva dedicato tutto il suo tempo a lei, e quello che per lei altro non era stato che un
incomprensibile brusìo, adesso si scandì in un mellifluo "T'amo!"; e Papavero, che per tutta la vita
si era levato lì in alto, alto, alto dal suolo per timore di Papera che abitava nel vicino laghetto, al
chiaro di luna le si inchinò affascinato ed imparò a conoscerla ed a volerle bene, ricambiato; e
Pesce, che non era mai riuscito a dire una parola, sempre immerso nella sua inguaribile timidezza,
d'incanto ci riuscì, e vestito del suo sfavillante abito rosso da gala, finalmente cantò; e Pino ed
Olmo, che avevano sempre fatto a gara per conquistarsi l'affetto degli uomini offrendo loro la
propria rigenerante frescura, quella notte capirono quanto effimera fosse quella rivalità, ed unirono
le loro chiome in un fraterno e più protettivo abbraccio; e tutto intorno fu armonia. Quella notte
magica non si ripeté, ma una sua eco restò in eterno: e se si prova per un attimo ad ascoltare
davvero la natura, forse riusciremmo a renderci conto delle meraviglie che riesce ad offrirci.
193
Le radici della vita
di Veronica Biagini
Oggi, per la prima volta da sempre, qualcosa di nuovo è accaduto. I piccoli tronchetti dell'essere
riescono a malapena a sostenerlo… E si muove. Mi sta correndo incontro incespicando, tendendo i
suoi piccoli rametti nella mia direzione. Vorrei comunicare con lui in qualche modo, vorrei
infondere al mio corpo energia per poterlo toccare. Lui cresce... E io rimango sempre lo stesso.
Sono il suo porto sicuro e la sua protezione: nel folto del mio cuore ombroso alberga la sua casa dei
giochi e ciò che più adoro al mondo è il solletico dei suoi piedini sulla ruvida pelle del mio corpo
annoso. Adesso ci guardiamo negli occhi. Io guardo nei suoi e lui guarda nel pallido verde della mia
chioma, là dove ogni singola foglia fa ombra e lo protegge. E' alto e il suo compagno cane mi parla
nel suo strano linguaggio. E queste? Non sono che poche gocce di acqua salata ma sembrano
attraversare la terra e arrivare dritte alle mie radici. Non conosco questa cosa chiamata "pianto" ma
conosco la pace e il riposo che posso donargli. Passano lunghi periodi di tempo. Lo vedo poco ed è
sempre diverso. Al silenzio dei nostri incontri è subentrato schiamazzo e rumore. Non è più solo,
tanti gli sono intorno e mi è impossibile raggiungere di nuovo la sua anima. E ora l'inverno preme
nell'aria. La neve è caduta in abbondanza e riposa lieve sulle mie braccia spoglie. Nell'aria
immobile e gelata niente passi, niente suoni: ogni cosa sembra incantata, immobile e serena. Non
sento la sua voce da tanto: gli uomini vagano per il mondo e si muovono, mentre gli alberi adornano
i giardini come immobili sentinelle. All'improvviso, però, qualcosa si leva leggero nell'aria. E' un
piccolo coro solitario, lento e dolente. Qualcuno mette a nudo il mio letto di terra gelata e vi
deposita qualcosa, come un cuore in un petto ghiacciato. E so che lui è lì dentro, che custodirò il suo
corpo come un tempo custodivo ogni suo prezioso segreto, nell'abbraccio delle mie radici nascoste.
194
Sogno di un giardino di mezza estate
di Patrizia Signorelli
Il mio giardino in estate mi ispira serenità, perché è un concentrato di colori, profumi e suoni che
non mi fanno sentire sola: le piante e i fiori non smettono mai di stupirmi. L’enorme pino col fusto
poderoso e le potenti radici nodose che sporgono nel prato dice: “Io dò il legno, la frescura e la
salute”. Proprio stamane tra le sue radici è nata una campanula che esclama: ”Che bella la vita!” Poi
sbuffa: “Huff! Questo pino è così grosso che mi copre con la sua ombra, non posso neanche vedere
il cielo!” Dopo di che l’agile pioppo scherza col pino: “Hai tanti aghi e non sai neanche cucire! Ah!
Ah! Ah!” E aggiunge: “Anch’io sono importante perché dal mio legno bianco si ricava la pasta di
legno per la fabbricazione della carta”. Il pesco invece sussurra: “Io offro i miei frutti polposi in
estate”. L’ulivo prosegue: “Tsk, io dò l’olio e porto la pace”. Quando passeggio davanti
all’agrifoglio, poiché è armato di spine, mi avverte: “Mi raccomando, stai attenta a non pungerti”.
Ad un certo punto sento un bisbiglio, mi chiama la magnolia: “Hey, fermati a parlare un po’ con
me”. Mi svela che è in grado di sentire la musica e ama in modo particolare le note armoniose di
Mozart. Gli uccelli le girano intorno rallegrando il giardino con un tripudio di canti: un passerotto
pettegolo comincia “cip,cip” e l’altro risponde, sembra che si raccontino le avventure della giornata.
Un merlo fischia “fiu…fiu”, poi esclama: “Hai sentito che ugola? Io non ho bisogno di microfono,
né di accompagnamento d’orchestra”. Una margherita si stiracchia e apre i suoi petali in attesa che
qualcuno la sfogli: “M’ama o non m’ama?”. Mentre una rosa rossa e profumata sembra affermare
con superbia:” Io sono la regina dei fiori”. Una farfalla danza soavemente “un,due,tre…un,due,tre”,
poi dice alla viola: “Lasciami riposare un po’ tra i tuoi petali”. Ad un tratto una coccinella si posa
sulla mia mano sussurrandomi: “Buona fortuna!” La natura mi sorride, il mio cuore si riempie di
speranza e di sogni.
195
Achille
di Maurizio Oddo
Il vento era più forte degli altri giorni. Un odore acre di fumo proveniva dal mare. Vento di
Scirocco, africano alza la sabbia. Scappano i villeggianti. Un bambino, lento, si allontana da un
gruppo rumoroso e mi si avvicina. Sento le sue mani vellutate che tentano di aggrapparsi alla
ricerca di posto mitico dove nascondersi: la sua torre dei sogni. Da lontano, una voce assillante di
madre grida disperata un nome che, a causa dello Scirocco, sempre più forte, non riesco a decifrare.
Gocce d'acqua, scendono dal secchiello. Una sensazione di refrigerio mi assale; inizia il conto alla
rovescia per assaporare questa parentesi umida sotto il sole caldo di agosto. "Achille", è così che si
chiama! Sono passati sei anni ma non riesce a darsi pace di essere stato allontanato dalla sua
famiglia. Un ragazzo alto, robusto, si avvicina avendolo scoperto: "ah sei qui" - grida - "non senti
che ti chiamiamo da mezz'ora?". Achille non parla. Muto, senza neppure salutarmi, si allontana. Il
ragazzo alto mi si aggrappa con violenza. Ha un grosso coltello in mano. Tenta di strapparmi piccoli
frutti ancora in maturazione. Si avvicina la donna: "lascia perdere, non vedi che non sono
commestibili?" - lui la guarda attonito - "sono i frutti di una inutile e stupida Palma che ruba spazio
inutilmente per le roulottes". Ricordandomi del foglio di giornale che avevo visto sei anni prima,
quando ancora la mia altezza me lo consentiva non staccandomi troppo dal suolo, ricollego tutto.
Ho capito quanto sono violenti gli esseri umani. Ricomponendo le mie fronde, calmatosi il vento,
sono costretta a ricredermi. E' tornato Achille con il suo secchiello: "ho capito" - mi dice - "che hai
ancora sete. La tua pelle non è morbida come la mia". Soddisfatto si allontana, gridandomi "ciao
signora palma e grazie per l'ombra. Ci vediamo domani". Intanto il vento è scomparso e io non vedo
l'ora che sia domani. Buonanotte Achille.
196
LA PANCHINA DEL ROSETO INUTILE
di Beatrice Bertame’
La sig.ra Mayer avanzava lentamente con il braccio tremolante e le gambe assestate dalla Dopamina
in dose sufficiente x arrivare alla Panchina del Roseto, quella che gli altri ospiti della Casa non
riuscivano a raggiungere. Era sempre stata considerata un po’ orso, ma ciò non la infastidiva, anzi,
riteneva che le persone Vere lo dovevano un po’ essere.Il roseto, ormai secco, le teneva da sempre
compagnia:- Le sono piaciuto fin dal giorno del suo arrivo - confidava a tutti gli altri fiori, giunti da
poco nel parco - siamo fatti l’uno per l’altra: ci troviamo nella stessa stagione della vita.- Ma cosa
dici? – rimbeccò uno splendido ibisco rosso fuoco - come ti può preferire a noi? Tu così secco, alla
fine dei tuoi giorni..- Nella solitudine si cerca chi ci è affine. Voi non immaginate cosa significhi
sentirsi inutili e soli. Nessuno ti cerca più. A che servi? Lei mi ha cercato ogni giorno e gliene sarò
eternamente grato. Devo fare qualcosa per lei. - Hihi - sogghigno lo sfavillante Plumbago, il
Principe Azzurro dell’intera aiuola – Suvvia Roseto, non essere ridicolo, ormai sei finito. Piantala di
sperare…Il roseto ingurgitò un misto di tristezza e orgoglio- Sono alla fine, è vero, ma finché si è
vivi, si è Vivi, anche se fuori sembriamo nullità- e raccogliendo le ultime forze - un po’ di linfa
dovrei ancora averla nel cuore nascosto dei miei rami e gliene farò dono… Sole donami un raggio
della tua luce, Pioggia offrimi qualche goccia, Lombrico scava la mia terra ….e con un incredibile
sforzo estremo fece germogliare il suo ultimo bocciolo rosa.L’indomani mattina la sig.ra M. lo
scorse sorpresa.- Amico mio, quale inaspettato pensiero..anche chi è prossimo alla fine puòdonare
Bellezza.Il camion del Servizio Giardino arrivava però minaccioso all'orizzonte. La sig.a M colse il
suo dono salvandolo in extremis da insensibili mani che estirparono il suo Roseto.Addio e grazie.
Ultime lacrime sull'ultima rugiada e si addormentò per sempre in attesa del suo Servizio Giardino.
197
Le stagioni della vita
di Francesca Negro
Era un bel giorno di maggio, il sole splendeva nel cielo e scaldava le prime rose dell'anno. Nel
giardino della casa la natura sembrava prendere vita quando veniva a contatto con i raggi del sole.
Ecco che si vedevano volare le prime farfalle, in cerca di fiori già sbocciati. Al centro del giardino
si trovava un enorme albero di ciliegio, già rigoglioso di foglie e fiori. Attorno ad esso si estendeva
un piccolo sentiero circolare di ghiaia, con due panchine ai lati dell'albero, e attorno a questo
sentiero vari cespugli di rose. Una piccola rosa sbocciò, dando il suo primo saluto al sole. L'albero
le diede il benvenuto: “Una nuova rosa è sbocciata! Come ti chiami piccola?” “Alba” rispose, “E
tu?” “Sakura” disse l'albero. La rosa, incuriosita dal nome, chiese al ciliegio da dove provenisse: dal
Giappone. Passarono due giorni e la rosa cresceva sempre di più. Quel pomeriggio una farfalla
arrivò nel giardino e si posò su Alba. Era bellissima, le ali erano piccoline e di un giallo vivace.
L'albero la vide e le chiese: “Hey farfallina, come stai? Sembri molto stanca” e la farfalla rispose:
“Ho volato per tutto il giorno in cerca di un bel fiore su cui appoggiarmi, e questa rosa sembrava
perfetta.” Dopo due minuti, riprese il volo nel cielo blu. La sera iniziò ad annuvolarsi, e durante la
notte si abbatté un violento temporale estivo, che distrusse il giardino. La mattina seguente, l'albero
si svegliò e trovò tutti i fiori morti, alcuni petali ancora a terra; guardò verso il cespuglio di Alba,
non c'era più. L'estate lasciò spazio all'autunno. Sakura si ammalò, gli caddero tutte le foglie, tranne
una. Quella piccola fogliolina era ancora verde, così cercò di mantenerla in vita fino all'ultimo.
Quando arrivò anche per lei il momento di staccarsi, in volo, si rivolse all'albero e disse: “Grazie” e
si posò a terra. L'albero venne estirpato e, la primavera dopo, quando le rose rifiorirono, al centro
non trovarono più il vecchio albero ma una bellissima statua di marmo bianco.
198
Il giardino degli Dei
di Laura Nardi
Piove a dirotto. La pioggia incessante trafigge come frecce scagliate da un arco il “Giardino degli
Dei". Anche quando il sole splende a lungo tutto rimane immerso nell’unico colore dominante: il
verde. La leggenda narra che fu creato dal Dio della Terra per i suoi figli. Al centro del giardino c'è
una fontana di marmo che raffigura un angioletto con le mani levate al cielo. Una farfalla si posa sul
palmo della sua mano, poi improvvisamente vola via. Qualcosa ha attratto la sua attenzione. L'aria
sta cambiando. All'improvviso smette di piovere. Un raggio di sole illumina un fiore di rosa
colorato. Gli alberi e le piante si girano a guardare quell'intruso. Un mormorio sommesso spezza il
silenzio che domina il giardino. L'albero dalla folta chioma sovrasta tutti con la sua imponente
voce: “Come ti sei permesso di entrare qui?” Il fiore apre ancor di più i suoi petali come a voler
attirare l’attenzione delle altre piante. “Qui è bellissimo, la terra fertile. Perché dovrei andarmene?”
“Sei diverso da noi. Non ti vogliamo”. Sta calando l'imbrunire. I rami del grande albero si agitano
come impazziti, mentre il vento inizia a soffiare impetuoso sulle ombre della notte. Il rosa riposa, il
verde no. Arriva il mattino dipinto di luce nuova. Dappertutto sguardi smarriti. Il verde non domina
più. Tutto il giardino è immerso in un caleidoscopio di colori. Fiori ovunque! Rosa, gialli, rossi,
arancio e perfino blu. Non si era mai vista una cosa del genere. Si alzano urla di terrore. Il grande
albero si rivolge minaccioso al fiore rosa: “Che maleficio è mai questo! Tu e tuoi simili avete
rovinato il nostro giardino. Cosa diranno gli Dei?” “Pensa all’arcobaleno. Sette colori. Se così non
fosse non desterebbe meraviglia nello sguardo delle persone” ribatte il fiore rosa. Un alberello se ne
sta sommerso tra tanti fiorellini variopinti: “Il fiore rosa ha ragione. E’ tutto molto più bello
adesso”. Fu così che i cancelli del giardino si aprirono al mondo.
199
Signora Fresia e signor Freso'
di Eliana Tilocca
Dormivano due bellissimo bulbi sotto la soffice terra, in un bellissimo giardino incantato.Ogni anno
a primavera sbocciavano e nascevano da loro due bellissime fresie.Profumatissime e colorate ce ne
stavano due che rinascevano ogni anno...una era la signora Fresia,di un bel colore viola e l'altra era
il Signor Freso', tutto bianco,aspettava sempre una brezza per poter accarezzare la sua signora.Ogni
anno morivano e ogni primavera rinascevano...
200
IL VECCHIO ED IL GIOVANE
di Annarella Bascheri
201
Nel vento di mezza estate
di Ileana Visigalli
202
di Cristiana Bosco
In un ameno giardino orientale si intessevano aromatici verdi sentieri e iridate distese floreali che
rendevano la Bellezza prima-donna. Come tavolozze policrome, incantevoli Peonie tingevano del
loro umore le quinte di Madre Natura: primaverili dame, Esse modulavano la silente danza delle
loro corolle e sui variegati petali portavano l’aurea corona degli stami. Impregnava l’aria
tutt’intorno un ineffabile profumo che trasportava, incantandone i sensi, il Figlio Uomo, smarrito ed
errante per quei sentieri, nel mondo rarefatto dell’Archetipo: era il delicato profumo delle Magnolie,
colombe bianche tra le foglie scure. Una soave voce si levò da una Peonia e un sapiente dialogo con
una Magnolia ne scaturì: - “Fiore di pruno dopo la neve” è il nome che il Celeste Impero mi tributa!
Oh Magnolia, eleva la mia varietà al sublime! Flora mi fa riflesso della Sua Bellezza che suscita in
Chi mi contempla “il sentimento dell’irraggiungibilità dei limiti della Natura” di kantiana memoria!
Così nella mia varietà sublimata la Specie trova il suo assioma! Meditando sull’incipit di un’ode
stilnovistica dell’italico vate Cavalcanti – “voi che per gli occhi mi passaste il core e destaste la
mente che dormìa” – e dando al “voi” il senso eccelso della personificazione di me, trovo che i
rimandi fioriti e le suggestioni odorose generati destano nell’Uomo che ne gode emozioni che
assumono un valore edonistico-simbolico e altamente spirituale! - Un’antica leggenda cinese ti
incorona regina dei fiori, oh Peonia, che indossi come una corona il tuo profumo che è cielo e terra
e acqua insieme! E a più impreziosire l’aria intorno a te giunge il sottile sentore di me, superbo fiore
di Magnolia! Allora Madre Natura tutta diventa uno Spazio intimo per il Figlio Uomo,
introspezione di un altro Spazio più intimo abitato da di lui Io. Uno Spazio dedicato alla segreta
conoscenza di Sé, in cui Egli si ritrova e si riconcilia con la Assoluta Infinita Saggezza ed
Onnipotenza, con Dio.
203
L'acqua nel pozzo
di Paola Emaldi
Sono quello che vedo sopra di me, quello che si scorge guardando nel pozzo. Due metri scarsi di
superficie d’acqua, circolare, su cui si riflettono ritagli di cielo turchese, intrappolati nella fronda
dell’ippocastano e incorniciati dalle maglie della griglia metallica adagiata sul contorno del pozzo.
L’aria leggera fruscia tra le betulle, sussurrando da Oriente parole che raccontano il mare e alzando
dal vialetto il profumo delle rose che cari sguardi han carezzato. Il frinire dei grilli accompagna,
come una colonna sonora, i caldi raggi del sole d’Agosto. La lucertola è immobile nella luce, sulla
parete di mattoni del pozzo, incurante del transito indaffarato di qualche solitaria formica; il ragno
se ne sta in un angolo della tela, seguendo il moto senza quiete della mosca, che si posa e subito si
rileva in volo; poco più in là, tra i pomodori ribollenti di succo, riposano cimici rosse e cimici nere.
A breve, quando, dal limitare del giardino, l’ombra dei platani si allungherà da Occidente a ingrigire
la tenera erba, la vita riprenderà a muoversi. Allora saltellerà, lungo il contorno del fontanile, il
rospo Luigi e i merli scenderanno alle vaschette, appoggiate per loro sulla rete del pozzo, e
zampettando nell’acqua spruzzeranno vivaci le penne mentre, cadendo, le gocce incresperanno la
superficie su cui si specchia il cielo pallido della sera. La lucertola si ritirerà nella fessura tra i
mattoni, ancora caldi di giorno. Il gatto Nerone si avvicinerà al capanno, in attesa della cena, e solo
quando sarà montato sul tetto, a ispezionare gli anfratti tra le tegole, guardingo il riccio uscirà dalla
tana di foglie ai piedi del noce. Ecco una stella nel cerchio del pozzo. Ancora qualche istante
e…sono notte.
204
Il giardino abbandonato
di Cristina Morisi
Mi sono sempre chiesto come sia essere un umano. Strana razza gli uomini, senza dubbio.
Camminano su due gambe staccati dalla terra e sono fatti di materiali fragili in apparenza ma in
realtà forti e resistenti. Più di tutto mi chiedo se abbiano dei sentimenti, e cosa provino a poter
andare da un posto all'altro quando e come vogliono. Io sono un ciliegio dai rami ampi e robusti,
con una pianta d’edera che sale dal mio tronco e arriva quasi al cielo; vicino a me vivono un melo,
un prugno e, un po’più in là, una quercia, una betulla e un faggio; dei vialetti di ghiaia ci separano
da diverse piante di rose multicolori. Sembra tutto perfetto, vero? E invece non lo è. Noi alberi e
fiori ci facciamo compagnia come possiamo, ma nel giardino, così grande, regna sempre un
profondo silenzio. Nessun essere vivente si muove tra i nostri rami o nell'erba troppo alta o si nutre
dei frutti del cespuglio di more inselvatichito o cammina tra i viali contornati da gerani ormai
secchi. E così i nostri giorni trascorrono tutti uguali, e le ore sono scandite solo da due sentimenti
costanti: la solitudine e la noia. Questo è il nostro destino, già scritto ed immutabile. O no? Oggi
sono arrivati degli umani, i primi che vedo da decenni, parlano tra loro e sembrano molto entusiasti
ed emozionati. Hanno strappato l’edera che mi soffocava e potato i miei rami (erano un po’ lunghi,
in effetti…), facendo poi lo stesso con gli altri alberi, hanno tagliato l’erba, piantato nuovi fiori e
nuove piante. In un soleggiato giorno di primavera i cancelli del giardino si sono aperti senza
cigolare e sono entrati umani grandi e piccoli, hanno percorso i viali, ci hanno toccati, hanno
annusato il profumo dei fiori, ma soprattutto hanno riempito l’aria di risate e di chiacchiere. Adesso
che adulti e piccini vengono tutti i giorni per giocare e sedere sulle panchine sotto alla quercia non
ci sentiamo più soli e infelici, anzi, vi dirò, alla lunga gli umani stufano!
205
Più di un secolo
di Cristina Fornasier
Credo di odiarli. Anzi ne sono certo. Li odio senza distinzione. Quelli che vengono a correre, quelli
che si siedono con un libro in mano, quelli che portano il cane a passeggiare che mi piscia addosso
senza ritegno. Più di tutti odio Kevin e Samantha. Li odio più degli altri solo per il fatto che sono gli
ultimi in ordine cronologico, mica per altro. I miei amanti. Così li chiamo. Quelli che si giurano ai
miei piedi amore eterno e invece di accontentarsi di mentirsi fra loro chiedono a me di fare da
testimone per il tempo a venire, incidendo i loro stupidi nomi sulla mia corteccia. So che mentono.
Assisto da più di un secolo alle loro bugie, incise sulla mia pelle. Non può essere amore quello che
ci si giura facendo soffrire qualcun altro. Perché forse loro non lo sanno, ma le loro incisioni mi
feriscono a lungo. Molto a lungo. Così il mio odio per questi uomini noiosi, rumorosi, inconcludenti
si è incallito negli anni. Non mi piacciono. Unica eccezione una bimba che si siede a volte ai miei
piedi, sulle mie radici su cui si posa lieve. Amo i suoi vestiti rosa, la sua voce cristallina con cui
intona a volte delle canzoni. Se ne sta seduta quieta e tranquilla. In questo non somiglia agli altri
bambini che schiamazzano intorno. A volte, prima di andare via, mi abbraccia. Allunga le sue
piccole braccia intorno al mio fusto, non ne coglie che la metà, e con le mani piccole e cicciottelle
mi da piccole carezze. Sentire i suoi palmi lisci sulla mia corteccia rugosa mi riconcilia con
l’umanità intera e vorrei tanto non aver dato retta alla vecchia siepe che mi ha cresciuto come un
figlio, quando mi diceva di tenere i rami diritti verso il cielo. Vorrei che almeno uno dei miei rami
penzolasse disobbediente verso il terreno, così potrei tentare di ricambiare le morbide carezze di
questa bimba con un frusciare lieve di foglie sulla sua schiena, a sfiorarle appena il vestito, prima di
seguirla con lo sguardo mentre raggiunge l’uscita del parco.
206
Fremiti
di Cristina Fornasier
- Ciao piccola. - Ciao vecchio. - Dove sei stata? Sono giorni che non ti sento. - Qui, sono sempre
qui. A volte il vento trascina altrove il mio profumo e i miei fiori sono capricciosi e inseguono il
sole, per questo non mi sentivi. E tu? - Oh io… inchiodato al suolo da queste radici così robuste,
dove vuoi che vada? - Non fare la vittima, non ti si addice. E tutto quel frullare d’ali? - Sono uccelli.
Fanno il nido sai… volano tutto il giorno, mai stanchi, mai sazi di vita. - E quelle foglie così verdi?
- Le hai notate? - Impossibile non farlo, seducono lo sguardo. - Dici? Eppure mi sento vecchio e
stanco. Questi rami tesi da sempre verso il cielo a cercare luce mi sfiniscono. Da giovane mi sentivo
fiero del mio fusto diritto e grosso e forte, ma ora mi chiedo se non sia stato tutto inutile. - Perché
inutile? - Vorrei che un ramo sfiorasse il terreno disobbediente, potesse allungarsi verso di te, a
carezzarti un petalo tenero. - Oh… per le carezze arriverà l’autunno, chissà che il vento mi porti da
te a sfiorarci per un attimo… godiamoci l’estate per ora. Vecchio albero resta in silenzio. Rosa
invece non sa stare zitta oggi: - E di quella bambina che viene ogni giorno a trovarti non mi dici
niente? - Hai notato anche lei? - L’hanno notata tutti! - Davvero? Beh…che dire. Ha mani piccole e
palmi morbidi. Mi carezza lieve la corteccia ruvida, ma poi mi lascia solo. - Vorresti che ti portasse
via? - No. No di certo. Sarei un fardello troppo pesante per le sue esili braccia. - Cosa vorresti
allora? - Vorrei che il vento non fosse così caldo e il sole così alto nel cielo. E vorrei spegnere le
stelle di notte e accecare la luna. E che la linfa che mi percorre tutto e mi fa continuamente fremere
si fermasse una buona volta e mi lasciasse riposare un poco. - Chiudi gli occhi. - Come posso
chiedere gli occhi? - Così. - Così? - Sì. - Va bene. - Meglio? - Così è perfetto. Grazie piccola rosa. -
Dormi bene vecchio albero.
207
La ragazza di Boboli
di Ornella De Lullo
Agosto, il caldo torrido di Luglio è ormai un ricordo, non lo sono invece le preoccupazioni di Laura.
Senza lavoro, l’affitto da pagare e la voglia irrefrenabile di andare via. Chissà se altrove esiste un
luogo altrettanto magico come il “suo” giardino dove passeggiare, leggere e fantasticare. Il giardino
di Laura a dir la verità non è suo, ma le piace pensare che lo sia, l’ha esplorato in lungo e in largo,
ne conosce i sentieri, gli angoli nascosti di cui i visitatori occasionali ignorano l’esistenza, ricorda a
memoria volti e posizioni di tutte le statue a cui spesso si rivolge come a cercare il consiglio di un
uditore estraneo ai fatti o semplicemente per sfogarsi. Varcare il cancello di Boboli segna l’ingresso
in una dimensione di pace in cui il tempo non più scandito dagli orologi, procede al ritmo dei passi
e delle soste. Ma le statue, sono davvero interlocutori muti e indifferenti ? Noi statue immortali di
Boboli conosciamo questa ragazza che si aggira spesso tra i viottoli, i saliscendi e le fontane del
giardino. Sappiamo tutto di lei perché spesso ci rivolge la parola, parla di sè e fa molte domande a
cui non possiamo rispondere. Purtroppo, non ci è concesso parlare con i mortali, una sola parola e la
quiete del giardino verrebbe turbata per sempre. Per comunicare tra noi utilizziamo un linguaggio
non udibile all’uomo. Anche oggi Laura è in giro per il giardino, a noi fa piacere ascoltarla, ma non
abbiamo altro modo per aiutarla se non farci trovare sempre qui, dove si sente sicura. Non
comprendiamo i problemi che affliggono gli uomini e non abbiamo soluzioni da dare, ma è ad altri
uomini che dobbiamo la nostra presenza. La riconoscenza dell’ascolto è il minimo che possiamo
offrire in cambio, anche a Laura che spesso si diverte ad immaginare per noi una vita reale e per sé
ne vorrebbe una diversa. Nelle sue passeggiate, troverà il coraggio che le serve a realizzare ciò che
desidera e tornerà sicuramente a raccontarci la sua avventura.
208
Il prato dei calabroni dorati
di Alessandra Clementi
A sei anni, nel giardino di casa, trovavo molti luoghi incantati, un ammasso di pietre era una
montagna impetuosa, il prato fiorito, un molleggiato materasso profumato; ormai tutto era
esplorato, ma il ruvido ciliegio no, troppo alto. Dopo il lungo tronco partivano i possenti e antichi
rami; nell'interstizio tra gli uni e gli altri sembrava esserci qualcosa. Dopo averlo osservato molte
volte, decisi di tentare l'unico modo possibile per salire: arrampicarmi sulla catasta di legna accanto
ad esso. Con decisione in poco tempo fui sopra, per ammirare ciò che era nascosto a tutti. Dove
finiva il tronco, i rami svettavano vivaci ai lati, quasi scappando da esso, per lasciar posto ad una
piccola base legnosa ricoperta da un soffice e impalpabile muschio; un piccolo prato verde, liscio
più della seta. Un verde accecante, palpabile e penetrante, compatto e sfumato allo stesso tempo. Il
piccolo prato circondato dai rami era lassù in alto, un piccolo prato sospeso, nel cielo d' Agosto, il
primo a prendere la vivida luce del sole, a farsi beffe dei grandi prati infestati da formiche. Nel
silenzio un ronzio. Due scarabei dorati si posarono sul prato, le corazze tondeggianti sfumavano dal
verde all'oro, tonalità incredibili, metalliche, iridescenti, come se il sole avesse regalato loro la sua
potenza e il suo splendore. Due ninnoli di sole che si muovevano nel piccolo prato. Non potrò mai
ricordare quanto tempo rimasi ad osservare, ne quante volte vi tornai, so solo che quel verde mi è
entrato dentro, nell'anima, tanto forte che ora, col tempo, ho imparato a creare giardini. Il mio
giardino è circondato da una siepe che lo protegge dai forti venti; ho accostato forme e colori per
ottenere contrasti, introdotto molti tipi di verde, dal verde oliva al verde salvia e i verdi dorati
illuminano i verdi più cupi. Aspetto ora che sul mio ciliegio cresca un po' di muschio. Non potrei
più arrampicarmi, lascerò che gli scarabei riposino al sole senza occhi indiscreti.
209
Il giardino perfetto
di Alessandra Clementi
Nel giardino di Peg tutto era perfetto, studiato, programmato, predisposto, tutte le specie viventi
respiravano la sua maniacale perfezione; le più vanitose erano le rose, certe che li tutto fosse stato
realizzato per esaltare la loro bellezza. Facevano a gara a sbocciare per prime e richiamare col
profumo le attenzioni della giardiniera. Al calar del sole richiudevano le corolle per paura che la
rugiada macchiasse i petali di velluto. Ma una notte un piccolo vorace vermetto arrivò non si sa
come in quel luogo protetto e venerato; cominciò ad attaccare le foglie di una rosa color carminio e
quando fu sazio si nascose sotto l'unica foglia rimasta. “ Le mie foglie! Morirò, morirò!!!”. Si
lamentò la rosa quando aprendo la corolla al mattino si trovò col gambo seminudo. “Oh!!!”. Si
stupirono tutte in coro le altre. Erano spaventate, ma gongolavano un po' per il fatto che non era
capitato a loro. Solo una rosa bianca cercò di consolarla, approfittando della brezza si lasciò
avvicinare alla sventurata per carezzarle dolcemente i petali. Il giorno dopo il vermetto aveva fatto
un'altra strage di foglie. “Moriremo, moriremo!!!!”. Si lamentarono in coro” Un passero si avvicinò.
“Perchè piangete?” “Qualcuno ha mangiato le nostre foglie, cercalo per pietà”. “Perchè
dovrei?”Ribatte lui. “ Peg mi da da mangiare tutti i giorni le briciole dei biscotti, non ho bisogno di
cercare cibo, ne tanto meno l'insetto che ha fatto questo”. A quel punto la rosa bianca replicò: “Ti
chiediamo di farlo per le api operose che tutti i giorni prendono il nostro nettare, per i colori che
regaliamo alle giornate d'estate, per i maggiolini che trovano rifugio per la notte nelle nostre corolle,
per il nostro profumo che guida i voli delle farfalle e se non puoi farlo per tutti questi motivi, fallo
perché nasca un gesto di pietà nel tuo cuore”. In poco tempo i vermetti vennero trovati ed
eliminati… solo allora il giardino diventò un giardino perfetto, era nato un seme nuovo… la
compassione.
210
La primavera quando c'era
di Rhodesia Talluri
“La baldanza dei visi marmorei, che guardano chissà cosa, oltre il margine del giardino. I loro corpi
nerboruti, intorno alla fontana, riflettono acqua e luce, schiariscono lo sguardo dopo il verde tutto
attorno. Improvvisamente, sul bordo della vasca, viene a posarsi un merlo. Il suo ventre si gonfia e
si sgonfia ritmicamente. Le fronde degli alberi si muovono baldanzose in alto: deve aver volato a
lungo in un cielo che appare rassicurante a noi, ma che, forse, non lo è stato per lui. Il suo sguardo
si muove veloce, rapace. Chissà se avrà già fatto l’amore quest’anno. Intanto, come signorine, le
viole osservano la scena a schiera, con le loro vesti sgualcite dalla veglia in penombra, laddove il
sole non mette in luce, ma scherza, riverbera. Il prato si stende sereno e, con la sua freschezza, va ad
ammorbidire il carattere duro della terra. Come amanti veri, quei due, si compensano. Si danno e si
tolgono, complici della bella stagione. Sì, perché quando arriva la Primavera, qui nel giardino, tutti
diventano primavera: fiori, cespugli, sassolini, piccoli insetti. Persino la fontana, sempre impostata e
ingrigita dalla consapevolezza del tempo, in questo periodo dell’anno assume un aria più
superficiale. E il salice piangente sembra non aver più motivo di piangere. I suoi rami, lascivi, non
appaiono più tristi, solo rilassati” “Grazie formica”, parlò a cuore aperto, la talpa. “Prego”, rispose
la formica, abbassando lo sguardo a cuore a stretto. Aveva appena mentito, la formica: quel giardino
che lei aveva appena descritto alla talpa, - che non poteva vedere con i propri occhi - continuava a
esistere e a risvegliarsi solo nella primavera dei ricordi. Al posto di questo, a rimpiazzare quella
fontana così sicura del tempo che passava, così sicura di sé, ora c’era una rimessa per auto. Il merlo
non veniva più a cercar l’amore, le viole non avevano più nessuno a cui mostrarsi, belline come
erano, e il prato aveva lasciato la terra, ora arida. Sterile.
211
Sono nata stanotte
Sono nata stanotte. Sono nata quando il buio di fine agosto ha dolcemente invaso il giardino
spegnendo i germogli un po’ ingialliti, quando finalmente il silenzio ha chiuso la bocca e gli occhi
di tutta la famiglia, quando dalle finestre aperte i respiri pesanti si sono uniti alla brezza a
mezz’aria. Sono nata stanotte e non ho valore, eppure guardo questo mondo intorno a me attraverso
la mia lente che tutto ingrandisce: una foglia, un filo d’erba, le briciole della merenda del
pomeriggio e le piccole grandi forme di vita notturna che scivolano sulla terra umida….c’è un
movimento silenzioso che mi circonda come una danza sgraziata e ritmica , senza musica e senza
parole. Come me. Il cielo è già immenso ed io non sono capace che di vederne uno spicchio rotondo
. In mezzo c’è forse una stella. Sono immota, solo un refolo può farmi vibrare. Sono un’opera d’arte
che non verrà mai esposta alla vista. Sono la sintesi d’amore di questo cielo scuro e di questo
giardino. Sono la lucida vernice di un brivido freddo. Sono perfetta, sono stupenda e vivrò solo
questa notte d’estate. Vedo la vita , ma a cosa serve che a nulla io servo? Vedo la vita, ma a cosa
serve se durerò così poco? Vedo la vita e non so cosa sia….. ….ma qualcosa sta cambiando questa
mia breve esistenza: ombra nell’ombra esce dalla casa e si siede vicino a me, pur senza vedermi ,
senza apprezzarmi….. ma io sono perfetta e mi regala una gemella perfetta per farmi compagnia!
Adesso siamo due , siamo perfette, siamo stupende , ma domani non saremo più e di noi non
rimarrà neppure il ricordo. Io, goccia di rugiada estiva e mia sorella lacrima d’amore.
212
L'agapanto (il giglio del Nilo)
di Serena Stringher
È accaduto: oggi, d'improvviso, sono nato. Forse è stata la sua lieve voce, che mi ha accarezzato
ogni giorno per tre anni, con la mesta pazienza dei vecchi e degli innamorati. Sono emerso in
superficie bucando la terra come un'esplosione. Da tanto aspettavo questo giorno io, un semino nero
piantato così, quasi come una speranza, dalla sua mano carezzevole eppure già malferma. Il mondo,
fuori, è uno spettacolo che non mi immaginavo nemmeno. Prima vivevo come un cieco, delle
seriche visioni che sussurravano i lombrichi strisciandomi intorno, dei perenni accenni degli insetti
sempre in volo: nulla in confronto a ciò che posso vedere adesso coi miei occhi. L'immenso blu,
sopra le corolle. Anche lei mi aspettava da tanto. L'ho capito stamattina quando è venuta ad
innaffiarmi e sul viso, sorpreso, le è spuntato un sorriso sdentato di bambina, un accenno di rugiada
sulle ciglia bianche: e la sua voce ha iniziato a raccontarmi, ancora, la storia fugace di quell'amore
incontrato in una notte lontana lungo il Nilo, di un caicco cullato dall'acqua nera e di un fiore
azzurro tra i capelli, unico, effimero involto di ricordi. Io sono l'erede di quel fiore, appassito tanti
anni fa fra le parole stinte di una poesia di Luzi e ritrovato agli sgoccioli del tempo da lei, oramai
sola da tanto, e senza più rimorsi. Adesso che la guardo nel bagliore del mattino e vedo quant'è
stanca, vorrei poterle chiedere di aspettarmi ancora qualche giorno, per consegnarmi di nuovo alle
sue ciocche grigie come un diadema di petali d'amore. Ma io sono muto, e tutto ciò che posso fare è
tendermi nello sforzo di fiorire in tempo. Stamattina sono sbocciato.Di nuovo all'improvviso: un
fuoco d'artificio azzurro e viola. L'ho attesa ore e ore, aspettando trepidante il suo sorriso di
bambina, ma lei non è venuta. Solo la sera mi è scivolata accanto, distesa in un lenzuolo bianco e
nel suo sguardo quasi sfiorito ho còlto l'eco lontana di un bagliore, stelle ed agapanti quella notte
lungo il fiume.
213
Rosa senza spine
di Anna Treglia
Sono io! La nobile peonia nera che ti ha reso felice. Ti ho visto entrare nel negozio pieno di fiori,
vasi e semi. Le forme, i colori e i profumi ci circondavano, ma tu sapevi cosa volevi. Sapevo già
che avresti scelto me, avevi conquistato l’amore di questa rosa senza spine. Lui, accanto a te,
chiedeva: “Vuoi questa?” Hai detto: “La peonia nera! Lo sai che una leggenda dice che era ricamata
sul vestito del samurai più bello del mondo? Lo sai che quando ero ragazzina volevo farmela
tatuare?” e raccontasti molto di te. Ora vivo qui, nel giardinetto della tua casina di periferia. Ho
capito che sono in città dal sordo rumore di sottofondo che non si ferma mai. Un rombo lontano e
continuo coperto la mattina presto dal canto degli uccelli che si sono adattati a vivere vicino agli
umani. Il giardino non ha nulla a che vedere con lo studiato ordine del fiorista: la presenza delle
piante si è stratificata nel tempo come la crosta terrestre. Fiori con arbusti e colori tra il verde cupo e
assoluto. Unica regola a cui ti attieni: l’esposizione. Così il glicine rosa è accanto all’alberello di
kumquat, creando un nuovo profumo. Gli spazi non esposti al sole sono stati conquistati da decine
di piante di solanum capsicastrum che con i suoi piccoli globi arancioni inganna il freddo inverno.
Io sono capitata vicine alle mie cugine rose. Ad un certo punto dell’estate si ammalano: si salvano
grazie alle tue amorose ed ingenue cure. Oggi lui non c’è e tu sei meno euforica. Non temere: sono
qui. Fiorirò e avrai una ragione per un nuovo splendido sorriso: mi donerò a te e cammineremo
insieme, là fuori. Cosa ci sto a fare attaccata al mio stelo nel ristretto giardino di questa città
inquinata? Voglio accompagnarti e nelle mie ultime ore attraversare il piccolo mondo delle strade
degli uomini fino a quando, esausta, piegherò il capo sul mio gambo disidratato. Noi fiori abbiamo
questo potere immenso: nascerà un’altra me e ricominceremo ancora e ancora e ancora, per sempre.
214
Tea e la relatività della bellezza
di Sayonara Bertolucci
“Perché sei così triste?” – chiese Elsa l’ape alla rosa Tea. Tea aveva i petali rigati da gocce dense e
trasparenti, ma non di rugiada. “Odio la mia vita!” – ribatté Tea. “Com’è possibile? Sei così bella,
delicata, profumata…tutti ti ammirano e ti decantano!”. “Preferirei essere così” – spiegò Tea ad
Elsa ondeggiando lo stelo verso una margherita di campo. “Una margherita?” – soggiunse Elsa
incuriosita. “Proprio così. Non sarà il più bell’esemplare di infiorescenza, ma la sua vita è semplice
e libera. Tutti quanti mi annusano, mi curano, si congratulano, come se non fossi altro che ciò che
indosso”. Elsa era confusa. Perché quel fiore desiderava una condizione tanto inferiore? Nel
frattempo il giardiniere si fece strada nel piccolo angolo verde con i suoi attrezzi. Si avvicinò al
roseto, calpestando la gramigna e le margherite al suo passaggio. Valutò l’ammaccatura delle
corolle di alcune rose rosse e le recise senza pietà. “Vedi” – continuò Tea – “A noi non viene
chiesto altro che essere belle, ma non è una qualità che si mantiene facilmente. Appena sgarriamo
veniamo uccise, non conta altro”. Per fortuna Tea era ancora in forma con la tonicità delle sue
foglie e la levigatezza dei suoi petali. “Chissà, se diluvia tra qualche giorno sarò recisa pure io”. Un
ragazzo interruppe la conversazione irrompendo nel giardino con un libro in mano. Si sdraiò sul
soffice tappeto erboso, raccolse una margherita e la serrò tra le labbra. Poi si mise a scrivere e tra
una riga e l’altra osservava il piccolo fiore con occhi adoranti. Quello era il fiore che tappezzava i
campi della sua casa da bambino. La sera stessa il cielo divenne livido e gonfio. Un temporale
infinito spezzò i rami dei castagni e accasciò i cespugli. Il giardiniere tornò a sistemare e notò che
l’acqua aveva fatto marcire Tea. La recise. Tea si risvegliò in una leggiadra margherita, era spesso
derisa, ma bastava uno sguardo adorante, uno solo e sincero, come quello del ragazzo con il libro,
per sentirsi felice.
215
La fontana di Diana e Atteone
di Erika Montedoro
C'era una strana atmosfera quella mattina. La città, insolitamente deserta, aveva un suono diverso.
Sara percorreva distrattamente il vialetto di ghiaia. Lo faceva ogni volta che aveva del tempo libero:
intrufolarsi nel giardino di Villa Giulia e proseguire fino alla fontana, nascosta dietro una fitta siepe
di bossi. In un angolo, velata dagli zampilli, la statua di una donna di spalle, la schiena nuda, in
procinto di voltarsi. Al lato opposto una figura bizzarra, per metà uomo e per metà cervo. Eccoli,
Diana e Atteone, un attimo prima che si consumasse la tragedia. Una storia che Sara conosceva
bene: Atteone che sorprende la dea al bagno, Diana che lo punisce tramutandolo in cervo e poi lo
lascia divorare dai cani. Quante volte l'aveva raccontata ai turisti. Eppure sperava sempre in un
finale diverso: che la dea provasse pietà del povero Atteone. Poteva una figura di tale grazia
trasformarsi in un essere tanto crudele? Quella mattina Diana sembrava fatta di carne e ossa, il
vento leggero le accarezzava i capelli che mollemente ricadevano sulla nuca. Da dietro la siepe un
ragazzo la osservava incerto se avvicinarsi. Improvvisamente la statua si voltò, sul suo viso non
c'era più ombra di dolcezza. Furiosa la dea sollevò un getto d'acqua in direzione del ragazzo, che di
lì a poco prese le sembianze di un cervo. Sara non poteva credere a ciò che stava accadendo davanti
ai suoi occhi! Con un fischio, la signora della caccia stava già richiamando i suoi levrieri, quando
un ramo scricchiolò sotto i piedi di Sara, distogliendo i cani dall'obiettivo. Fu un attimo, il cervo
saltò il muro di recinzione guadagnando la libertà. Prima di andarsene l'animale si voltò un istante
in cerca di Sara, come per ringraziarla. Atteone era riuscito a fuggire, per una volta la storia era
andata diversamente. O forse era solo il sogno di un giardino di mezza estate...
216
Il mondo rimesso a posto
Nel giardino di un posto lontano crescono alberi i cui nomi non si conoscono. Questi strani alberi
trovano le radici nell’immensità del cielo e si nutrono delle sostanze alternative che solo uno
sviluppo tecnologico può concepire. Invece la rigogliosa vegetazione di cui sono provvisti rimane
sottomessa alle profondità della terra, a nutrire il sostrato di una società pronta ad esplodere. Questi
alberi capovolti hanno sviluppato nel tempo comportamenti innaturali e un giorno hanno deciso che
il mondo andava rimesso a posto. Le loro radici si sono aggrappate alle nuvole, a chiedere
quell’aiuto che solo ad una madre si può chiedere. “Gli umani si sono sbagliati nella semina.
Pensavano di risolvere i loro problemi lanciando semi per aria, convinti che il vento li avrebbe
sistemati, ma non hanno considerato che solo nella terra il seme avrebbe potuto attecchire. Ora non
possiamo più nutrire il pianeta e pulire l’aria”. Le nuvole, davanti a tanto dolore, cominciarono a
gonfiarsi di delusione e rabbia. “Per consentire al pianeta di ritrovare il suo equilibrio, dobbiamo
rompere le radici che lo tengono unito a noi. Rigettiamo quello che portiamo in seno e vediamo
cosa succede”. Per giorni, bombe d’acqua si riversarono sulle città. I fiumi strariparono e le
montagne franarono. Gli esseri umani, impotenti e disperati, si volsero al cielo per chiedere il
perché ma dal cielo non scendeva che acqua. Acqua che riesumò dal suolo il folto fogliame. Il
mondo cominciò a respirare un’aria diversa, nuova, profumata dai fiori che erano spuntati dalle
rovine. “Ma che mondo è questo”? – commentarono i superstiti – “non è rimasto più niente di
quello che avevamo!” Ma, proprio nel momento in cui organizzavano il pensiero, un raggio di sole
arrivò a fendere le loro certezze. “Guardate!” Ora dall’alto del promontorio su cui si era rifugiata
l’umanità si vedeva solo quello che la giusta considerazione verso la natura consente di vedere: un
immenso giardino, ad un passo da noi.
217
Il Sogno di Nelly
di Catia Tarabella
L’umidità e il tepore mescolati alla fragranza delle rose selvati-che inebriavano i sensi di Nelly che
già alle prime luci dell’alba di un Luglio acceso e fragrante svolazzava perlustrando in lungo e in
largo il suo amato giardino. Nelly è più che un insetto, è più che una coccinella guai a chiamarla
coleottero; è una piccola ro-tonda e dolcissima visione, è un tocco di gioia e di colore che quando
appare illumina tutti con una promessa di felicità che va dal rosso arancio acceso al nero dei suoi
minuscoli puntini, por-tatori sani di energia vitale! Quella mattina, sorvolato l’aromatico ponte di
basilico lavanda e menta e oltrepassato il vialetto delle Ortensie multicolori, Nelly prese la sua
decisione, si sarebbe dichiarata al suo amato. Solo una settimana prima quando i fiori di Peter Pan
esplodevano al suo passaggio profumando l’aria di meraviglia e le Achillee piccole e delicate
fungendo da ombrello la proteggevano da una pioggerella fitta e delicata Nelly non avrebbe mai
pensato di riuscire a realizzare il suo sogno. Da quando Charlotte, profumatissima rosa tea
d’importanti origini inglesi era diventata sua amica, le cose cambiarono in fretta, lei era riuscita a
convincerla e la aiutò a prendere una decisione importante. Nelly si era innamorata all’istante di
Gry, uno splendido esemplare di Grillus Campestris ornato di livree nere lucenti. Si era lasciata
guidare dal suo stridio fino a un cespuglio gigante di Malvarosa e li scrutando con attenzione, scoprì
tra l’erba un piccolo foro, era l’ingresso della sua tana, e fu così che poco distante Gry le apparve in
tutto il suo splendore sfregando le zampe posteriori contro un paio di ali coriacee e il suo canto la
ammaliò perdutamente e ad ogni tramonto volteggiando al suo stridere, si lasciava sedurre sempre
di più. Adesso, fiera e innamorata sospesa tra il buio della notte e le prime luci dell’alba Nelly vola
incontro al suo Gry, solo per loro questo giardino di mezza estate racconterà l’amore per sempre.
218
Armonia
di Marina Garavaglia
Nel disincanto di una aiuola arida della città, ingiallita dal calore estivo, sono sbocciate infinite
campanelle bianche, simili ai bucaneve e rosa pallido, simili al viso di bambole di porcellana dagli
occhi spalancati. Così come bolle di sapone leggerissime, filtrate di luce, gonfie di spazio, specchi
del circostante, ondeggianti, fragilissime nell'attimo del contatto si dissolveranno al vento del
temporale estivo per mescolarsi in completa armonia con l'infinito e per ricrescere chissà dove. Ma
ora come mi accosto per ammirarle nella loro semplicità e umile grandezza, mi parlano a volte in
coro per ricordarmi che sono una collettività, a volte singolarmente, di una Milano vista e sentita dal
basso: Cieli azzurri e grigi, passi frettolosi, parole dolcissime al chiarore della luna, tram traboccanti
di luci e di rumori, cani odoranti, verdi alberi secolari di un quotidiano ricco di poesia. Mi parlano
per passare il tempo, per trovare una forma di incontro, per dilatare gli eventi, per sradicarli in
frammenti, per ascoltare i suoni, per vederne i colori, per aspirarne gli odori, per creare sogni,
illusioni e speranze, per portami altrove nell'assoluto. Così al ritorno dalla mostra Mito e Natura
davanti a una aiuola di corso Sempione a MIlano.
219
La statua di fuliggine
Quel giardino.Chiunque poteva vederlo con un bel cancello dipinto di verde, fiori bianchi blu rosa e
lilla impalpabili nel loro respiro fluttuante. Invisibile in fondo in fondo una statua rotta di gesso
naso rotto braccia a metà. Buio.Nessuno che la amasse,nessuno da abbracciare capo reclinato, triste
muta piena di fuliggine.Non le rimaneva nemmeno l'orgoglio di essere stata una statua storica, alti i
cuori alti i visi, battaglie vinte.La statua di fuliggine piangeva, nessuno da amare nessuno da
stringere. Intanto i fiori silenziosi facevano cuccù qua e là per non bagnarsi troppo e non osavano
aavvicinarsi.Così ogni giorno.Pioveva.Una mattina sentì un solletico ai piedi.Avrebbe voluto
guardare ma la rigidità del corpo glielo impediva,in fondo era di gesso e non fece caso a qualche
scricchiolio, voleva vedere e ci riuscì e vide una radice piena di fiorellini che si arrampicava sul suo
corpo abbandonato,l'abbracciava, il suo profumo andava su per il naso rotto. I fiorellini la
guardarono e le parlarono per dirle che non era solo fatta di fuliggine,uscirono dalle loro radici
guardandola ma la guardava di più là in fondo un fiore più grande innamorato. Lei riuscì a
guardarlo di sottecchi e lui allungava di più lo stelo per vederla e farle capire il suo amore. La statua
di fuliggine coperta di radici e fiorellini che l'abbracciavano ricambiò quell'amore e quando il vento
le portò un petalo di quel fiore più grande sul viso lo baciò per trattenerlo. Non andare via pensò e
fu bello. Dare dopo aver preso; e ad ambedue non importò del naso rotto delle mezze braccia della
polvere;il vento portò via tutta la fuliggine e anche i dolori le paure le notti buie. Testa dritta naso
nuovo braccia tese ad abbracciare. Era diventata nuova ed i fiori del giardino, quelli bianchi blu rosa
e anche un po di quelli lilla si alzarono tutti in piedi, divennero lunghi lunghi, le radici a spasso,
anche loro al sole, arrivarono alla statua di fuliggine e la riempirono di baci. E lei ricambiò.
220
Trittico
di Auro Trivellato
Nel prato e nelle acque del Giardino delle Delizie, una moltitudine di giovani uomini e donne nudi
dalla pelle diafana. Nel cielo, grifoni, pesci volanti, uccelli neri, e figure angeliche. Nel piccolo
lago, costruzioni fantastiche rosa o azzurre e sfere metalliche sui bordi o immerse, con viti
accuminate, fantastici minareti e piante giganteschi, sulle quali e dalle quali, i giovani entrano,
escono e giocano tra loro, immersi nelle acque trasparenti. Al centro, attorno a una vasca circolare,
dove sono immerse giovani bianche e nere, molti cavalcano in groppa a cervi, cinghiali, orsi,
cavalli, unicorni, leoni, leopardi, cammelli, mentre corrono al loro fianco una capra e un daino con
aironi e pellicani appollaiati sulla schiena. Nello stagno vicino, altri conversano o guardano il
continuo carosello seduti a cavallo di grandi uccelli e anatre. Nel prato verde, coppie felici parlano
tra loro dentro sfere e campane di vetro, case albero, corolle di fiori o gusci di chiocciole vuoti,
dalle quali porgono ad altri enormi grappoli d’uva. Alcuni colgono mele dagli alberi o porgono
grandi fragole e lamponi, altri danzando giocano con grandi ciliege. Dei giovani si baciano, si
toccano, si accarezzano, donano mazzolini di fiori guardandosi a vicenda. Tra le bianche figure che
conversano, spiccano ragazzi e ragazze neri. Nei vari gruppi, tutti stanno vicini gli uni agli altri. Un
giovane discosto, porta sulle spalle una grande conchiglia semichiusa dalla quale sporgono due
gambe. Un grande uccello imbecca gli uomini sotto di sè, come con i suoi piccoli. Molti portano
enormi pesci tenendoli tra le mani, uno abbraccia nell’acqua una grande civetta. Nel fantastico
Giardino dell’Eden, popolato da alcuni animali ancora non domestici e da animali selvaggi, Dio tra
gli innocenti Adamo ed Eva. Nell’astratto Giardino dell’Inferno Musicale, con il corpo squarciato,
forse lui stesso, l’uomo albero Hieronymus, dannato tra i dannati, ci guarda pallido, triste ed
enigmatico.
221
Il giardino dei fiori semplici
di Elisa Trettene
Alice guarda spesso nel suo giardino attraverso la finestra della camera da letto. Osserva lo
spavaldo gladiolo che dall’alto della sua conoscenza racconta all’ ingenua margherita come è fatto il
mondo. Scruta incuriosita la vanitosa orchidea che finge di non apprezzare le attenzioni del dente di
leone. E’ incantata dal fiordaliso e dalla dalia che si tengono per la foglia nei versi recitati da un
giovane tulipano ad un pubblico di vecchie ortensie. Sospira ai bisbigli del giacinto e del giglio che
conversano piano per non disturbare la camomilla mentre riposa. Un giorno però il cielo si spegne e
tutto si fa cupo. I fiori non parlano più. Inizia a piovere ed Alice sa che non smetterà per molto
tempo. Il freddo passa attraverso la finestra nella sua stanza. Il gladiolo pare non avere più molta
voglia di raccontare ciò che vede così inventa fantasiose storie per far sorridere la margherita. L’
orchidea ha infine accettato l’ amicizia del dente di leone che le ricorda quanto sia ancora bella
nonostante il suo colore sia sbiadito. Il tulipano è diventato più maturo, le ortensie ancora un po’ più
vecchie. Il fiordaliso e la dalia nei suoi versi si tengono ancora per la foglia, solo un po’ più stretti.
Il giacinto ed il giglio dormono, appoggiati uno all’altro, mentre la camomilla lo sta facendo già da
un po’. E’ arrivato l’ autunno e Alice chiude la finestra. Passa molto tempo ma un giorno, che pare
un po’ più caldo, Alice vuole guardare ancora. Spalanca le persiane, una leggera brezza agita lunghi
fili d’ erba che pigramente si muovono. Nel silenzio il verde brillante che vede è la promessa di una
nuova stagione. Sorride e poi cerca con gli occhi nel giardino. In un angolo, al riparo di una siepe
ancora un poco spoglia, sta crescendo una timida margherita. I fiori sono semplici, muoiono per poi
rinascere più belli. Alice lo sa, la felicità è semplice come un fiore.
222
La rana pirata
di Beatrice Meloni
Combinava ogni sorta di guaio tra le foglie galleggianti dello stagno o nelle aiuole del giardino,
lasciando una scia di disastri e nessuna di sé. Non sopportava quel piccolo stagno e il suo mondo
chiuso: i pettegolezzi, le cattiverie. Non accettava l’idea che l’universo fosse racchiuso tra quelle
siepi. Ma lì era nata e lì sarebbe dovuta rimanere. La voglia di ribellarsi era, a tratti, incontenibile.
Anche quella notte rientrò nel suo nascondiglio sicura di non essere vista, ma il riccio svelò il suo
segreto. In poche ore tutti vennero informati sulla vita segreta della “rana pirata” e scoprirono
l'identità di chi nottetempo saltellava dentro le bordure disseminando petali di ogni colore o
scompaginava le ninfee. Si mise alla ricerca di un nuovo nascondiglio tra la siepe di lavanda e i
boschetti di salvia e timo, tra i sassi del giardino roccioso e la tinozza dell’acqua piovana. Non
aveva più amici perché i ranocchi che bisbigliavano tra loro raccontandosi le imprese della rana
pirata e invidiandola per il suo coraggio, si erano ben guardati dal difenderla. Il riccio, che tuttavia
si era pentito per le conseguenze delle sue chiacchiere e intuiva la sua incapacità di adattarsi in quel
piccola pozza, decise infine di aiutarla. Le suggerì di fuggire, di cercare altrove uno stagno più
grande, più adatto al suo temperamento. L’avrebbe condotta lui stesso oltre il bosco dei castagni,
oltre le ombrose felci, in un grande giardino. Dopo due ore di salti, seguendo il riccio dentro un
nuovo mondo misterioso di boschetti e ruscelli, tra colori e profumi diversi ed inebrianti, di fiori e
funghi sconosciuti, si ritrovò sulla sponda di un bellissimo stagno con ninfee gigantesche. Ringraziò
il suo nuovo amico e pensò che avrebbe iniziato una nuova vita lontano da quel noioso, piccolo
stagno in cui era nata. “Quante cose interessanti ho visto lungo il cammino! Non voglio più essere
pirata. D’ora in poi sarò una rana vagabonda”
223
Il tuo primo giorno da bocciolo
di Susanna Veronica
Sono qui da non so quanto, penso decenni oramai e per la prima volta sento un profumo stagliarsi
nell’aria, un abbraccio che mi cinge. Cerco in ciò che mi circonda da dove possa provenire tale
intensità e un colore rosso intenso mi inebria. Nasce in me il desidero di osservarla da vicino, il suo
colore, il suo profumo è estasi; vorrei avvicinarmi a lei, ma la osservo a debita distanza, nella
speranza che di lei rimanga in me un ricordo. Ascolto chi la osserva come me “E’ proprio bella” ed
hanno tutti ragione, quel colore, quel profumo, quel suo stagliarsi impetuosa e prepotente e per nulla
timida tra gli altri, quel suo essere sfrontata ed elegante sinonimo di gioventù. Il tempo passa
inesorabilmente, altre si palesano, ma lei, nonostante il tempo che inizia a cambiare il suo colore e il
suo profumo che scema tra le altre, è sempre lì Si fa più piccola, inizia a incurvarsi sotto il peso del
tempo del passa, degli altri che non la notano più, gli altri che guardano altre più giovani, più
colorate, più profumate ed io lì che ammiro solo lei. La osservo e le dico a bassa voce: “Sei bella
come il tuo primo giorno da bocciolo, sei bella come quando hai aperto al mondo i tuoi petali e hai
mostrato a tutti quando vivido ed intenso fosse il tuo colore, sei bella come quando hai inebriato
l’area del tuo profumo e tutti ti cercavano nella speranza di godere della tua visione, sei bella come
quando il tempo ha iniziato a lasciare su di te i suoi primi segni, sei bella perché sei unica”. Il tempo
la porta via con sé ed altre arriveranno, ma nessuna mai al suo posto, nessuna mai come lei. Anche
io, come lei, giungerò alla fine della mia vita, passeranno anni, forse secoli e vedrò tanti altri fiori
nascere sotto le mie fronde, vedrò il tempo lasciare i suoi segni su di me, ma la bellezza di quei
giorni, di quel colore, faranno parte di me.
224
Un giardino sensato
di Silvia Datei
Guidava lungo una strada che attraversava diritta la campagna coltivata a granturco e a soia, tra
sequenze intermittenti di capannoni. Avrebbe potuto essere ovunque in Italia, tanto il paesaggio è
ovunque somigliante, “globalizzato” per usare un termine contemporaneo. Così diffuso, così
anonimo da diventare invisibile. All’ingresso di un paese, incontrò una rotonda abitata da un gruppo
di statue femminili, candide e artificiali, che sorreggevano una fontana zampillante. Osservò che
nulla condividevano con lo sguardo accogliente, nonostante la patina di muschio, delle due creature
in pietra all’ingresso del parco inselvatichito di una villa abbandonata, incrociata poco prima. Fuori
dal paese, incontrò una rotonda, una collinetta spelacchiata in una terra che pareva di nessuno,
desertificata dalle ruspe. La terza rotonda aveva veramente la funzione di un incrocio ed era una
collina con un’aria “culturale” – qualche anfora appoggiata casualmente come un reperto affiorato
dal terreno e un ulivo improbabile – allusiva a qualche carattere identitario dell’Italia. Subito dopo
la quarta rotonda, si fermò, uscì dall’auto e tornò a piedi indietro. Questa volta si trattava
inaspettatamente di un vero giardino, di cui la Natura in persona sembrava essersi presa cura! Era
semplicemente un prato, intessuto di steli, di graminacee e di fiori selvatici, quelli che tingono i
ricordi dell’infanzia di chiunque. Un prato che si potrebbe trovare ovunque, in montagna, in
campagna, in un campo di periferia, in qualsiasi luogo intatto o abbandonato da tempo dagli uomini.
Come se il vento, che faceva frusciare i pioppi lì vicino, vi avesse depositato finalmente i semi
giusti. Come se il fiume, che scorreva lento poco oltre, avesse diffuso profumi, colori ed energia
sorgivi, quando l’acqua è ancora pura e fresca e riflette le nuvole del cielo, levigando libera le
rocce. Così, si sentì anche lei felice e sensata, come le api e le farfalle che ronzavano tra i fiori.
225
Il giardino di Villa Chiara
226
Piacere, Pino
di Luisa Marcenaro
Buongiorno, il mio nome è Pino, il cognome Marittimo e vivo a Genova, in un giardino vicino al
mare.Quanti anni ho? L'ho dimenticato, so che sono tanti perchè le persone mi danno del "secolare",
ma non ho ancora capito se è un complimento o un insulto. Comunque sono sano, la mia chioma è
sempreverde e densa, il mio portamento austero ed imponente, la mia corteccia rossastra e
spessa.Purtroppo, però, corre voce che mi vogliano abbattere perchè perdo qualche ramo ed i soliti
disinformati saccenti dicono che costituisco un pericolo per l'incolumità pubblica e che potrei fare
del male alle persone. Io? Nella mia lunga vita ho fatto sempre e solo del bene! Ho riparato i
passanti, ho affascinato i viaggiatori, ho dato sollievo a coloro che erano accaldati. E quante cose ho
visto! Quanti bambini hanno giocato sotto le mie fronde, quante coppiette si sono scambiate baci
appoggiate al mio tronco: porto incisi sulla mia corteccia tanti cuori e nomi! Certo sono vecchio, la
mia pelle è un po' fessurata, sono stanco, ma il mio compito continuerò a svolgerlo con impegno e
dedizione sinchè me lo permetteranno.
227
IL GIARDINO PULLULA DI VITA E DI SEGRETI
di Angela De Marchi
Era estate. Ero impegnata a estirpare le erbacce infestanti nelle aiuole del mio giardino in montagna,
quando mi accorsi che nel cespuglio di bosso la linfa vitale aveva cessato di scorrere: fameliche
rughe lo avevano divorato, senza lasciarmi il tempo di soccorrerlo e cessato il banchetto,
penzolavano ancora dai rami.Posi termine all’ agonia della pianta, la segai e decisi di sostituirla con
dei sempervivum, piante grasse che crescevano abbarbicate tra le rocce.Ogni mattina sentivo
bisbigliare gli animaletti ospiti del giardino: -Mi manca l’ombra del piccolo “mondo verde” per
strisciare senza seccare la mia viscida pelle nuda-gridava la lumaca. -Abbiamo perso il riparo tra le
intricate radici fuori terra-gemevano le formiche disorientate che procedevano in fila indiana alla
ricerca di un nuovo nido. -Non possiamo più riposare sui tuoi rami-si lamentavano le farfalle. -Io
non riuscirò più a tendere l’agguato alle lucertole- miagolava il gatto infastidito dal sole. -Io
manterrò la mia dimora nel giardino e continuerò ad ossigenare il terreno, cavalcando le morbide
zolle-sussurrava il lombrico.I sempervivum si ambientarono presto, erano soli che schiudevano i
loro petali come raggi e mostravano un cuore palpitante dal quale spuntava un lungo braccio teso
verso il cielo: un’infiorescenza rosa che sorrideva.Le “rose del deserto”,così le avevo
soprannominate, allargarono le loro foglie, lunghe dita affusolate dotate di unghie appuntite, alla
ricerca di calore.Formarono un compatto cuscino verde. L’alloro, il re del giardino per la sua
veneranda età e la resistenza alle avversità, aveva guardato con sospetto e invidia le nuove arrivate,
ma poi le aveva accolte con benevolenza e dall’alto della sua chioma osservava i sempervivum con
orgoglio: erano inquilini poco esigenti e avevano fatto rinascere il giardino.L’agrifoglio, la lavanda
e il papiro si complimentarono con il mio pollice verde e io, orgogliosa e soddisfatta, regalai alle
montagne il giardino delle meraviglie.
228
Sul Colle Incantato
di Nicoletta Pescatori
La sul colle, da un giardino incantato, insieme a un intenso profumo di fiori, s’alzava un brusio
sommesso: parlavano alberi , fiori, animali e persino l’erba diceva la sua. Un bruco strisciando
furtivo disse: “quando tutti hanno il permesso di parlare…”. Il salice con voce piangente: “sempre a
brontolare quello!”. Una farfalla di ritorno da un viaggio, raccontava di paesi lontani. Nello stagno
una ranocchietta verde si esercitava felice nel salto in lungo. Le foglie di un cespuglio affidavano al
vento leggero la loro canzone in un coro di voci bianche al profumo di gelsomino. Danzavano le api
un tango argentino; i fiori eleganti e flessuosi sfilavano in una esibizione sfarzosa di fantastici
colori. Tra i viali curati di quel magico giardino un concerto di grilli e cicale si diffondeva con ali di
libellula e, simile all’arcobaleno, lo zampillo di una fontana recitava mormorando una dolce poesia.
Calavano lente le ombre della sera. Nell’oscurità le lucciole si chiamavano con lampi di luce. La
luna copriva il giardino con polvere d’argento: la notte si animava di un canto corale ch’era un inno
alla vita.
229
Magia d'una estate
di Nicoletta Pescatori
Un colpo di vento improvviso sollevò la nebbia leggera come ali di libellula rivelando, emersi da un
sogno, i contorni di un magico giardino splendente di tutti i colori d’estate. Un profumo intenso di
fiori si spargeva nell’aria insieme ad un sommesso mormorio: parlavano alberi, cespugli ed insetti.
Un coro di voci diverse saliva e si mescolava allo sciacquio delle fontane, al frusciare delle foglie e
il fruscio diventava parole: raccontavano agli alberi le profondità della terra esplorate dalle radici ed
i rami protesi nel cielo parlavano di nuvole, stelle tra voli di rondine. Un bruco vantava antenati
volanti vestiti di splendidi veli. Le formiche rotte le fila, cercavano un compagno per danzare al
suono di api e cicale unite in concerto. Un salice con voce piangente raccontava una storia triste ad
un pettirosso che volò via nel sole per non essere tediato; - in una giornata d’estate. Poi giunse la
sera, la magica luna immerse il giardino in un bagno d’argento; discese il silenzio: tacevano tutte le
cose. Solo l’acqua della fontana cantava ancora col suo mormorio una lode alla vita.
230
Ricordi
di Caterina Usai
La donna spinge il cancelletto invaso dalla passiflora che esibiva fiori nei colori biancoviola. Due
grosse falene cometa vanno verso di lei volando leggere e sussurrando: “bentornata!”poi volano
vicino alle sue spalle come sentinelle. Un lieve venticello s’impossessa di un roseto dorato, prende
in prestito dolcemente i suoi petali, sollevandoli e facendoli ricadere sui capelli della donna come
una cascata di perle dorate strappate al sole. “Sei tornata abbiamo tanto da raccontarti”, dicono in
coro le cime dei cipressi che costeggiano il vialetto, i cespugli di bosso, gli iris viola e gialli e
persino le violette adagiate sul prato. Lei si ferma chinando leggermente il capo in ascolto,
osservando con un solo sguardo tutto ciò che circonda, un sorriso triste ma animato da mille stelle
negli occhi pieni di speranza e amore. Indossa anche quel pomeriggio un tailleur prugna e ballerine
in tono, ogni gesto elegantemente innato del suo esile corpo parlano del suo passato. Mormora
alcune parole e decine di lucciole luminescenti lasciano il loro nascondiglio tra i rami, danzano
sinuosamente davanti a lei quasi facendole strada sussurrando parole attese. Una viuzza sinuosa di
ardesia la porta verso una fontana ampia e rotonda, verso di me…donna marmorea che mi alzo al
centro con i piedi immersi nel liquido che verso, con un flusso continuo ed eterno da un’anfora
appoggiata delicatamente su un’anca, e nel quale galleggiano ancora grossi fiori di ninfea. Arriva
quasi danzando, ignora la panchina che la aspetta, accarezza i fiori che sembrano vibrare sotto le
sue dita. Alza lo sguardo a incontrare il mio quasi riuscisse a vedere il cuore di pietra che prende un
alito di vita sotto le stelle luccicanti. “Ti aspettavo.” Mormoro.“Oh sì, racconta” Abbassa le
palpebre, si adagia sulla panchina con un delicato sospiro e chiude gli occhi ad assaporare meglio le
mie parole con una richiesta tra le ciglia e le labbra. Infine tutti sussurriamo in coro: “Sì lui è qui,
con te!”
231
INCANTO SICILIANO
di Luisella Nicastri
«Finalmente un po' di pace, dopo tutto quel trambusto.E avrei anche potuto rompermi qualcosa,
vista la mia veneranda età: almeno un paio di secoli, stando alla scritta incisa ai miei piedi.
Esattamente il tempo trascorso nel chiuso di quel polveroso museo dopo che il mio artefice mi ebbe
congedata, con il mio corredo di spighe e frutta. E lì avrei potuto rimanere chissà per quanto, preda
di un'eterna noia, se a quel tipo occhialuto che mi gironzolova intorno da un po' non fosse venuta
l'idea di farmi trasportare in questo giardino siciliano, appena riaperto al pubblico...Certo che qui si
respira tutta un'altra aria; e poi mi giunge, a tratti, uno strano profumo, dolce e pungente insieme,
che mi attira in modo inusitato.» «Gentile signora, mi farebbe la cortesia di presentarsi prima di
turbare la nostra quiete serale con i suoi monologhi ad alta voce? Io,intanto,sono il Cestrum
Nocturnum, per la gente di qui Gelsomino Notturno; provengo dalle Indie Occidentali e sono
l'artefice di gran parte della fragranza verso la quale lei poco fa pareva esprimere un certo
apprezzamento.» «Cerere, per sua norma. E lei non si pavoneggi troppo dal momento che, per
tradizione, tutti i fiori e la frutta sono considerati miei doni.Quindi si ritenga onorato della mia
presenza, al pari di quanto dovrebbe quell'altro esemplare botanico che biancheggia un poco più in
là emanando, mi pare , un profumo altrettanto inebriante.» «Ma come,non mi riconosce?Sono
Plumeria, ma mi chiamano tutti Pomelia. Ho scelto la Sicilia come terra d'elezione per la dolcezza
del clima e l'affabile compagnia dei suoi abitanti.Comunque, grazie per l'apprezzamento. A
proposito, a quale profumazione va la sua preferenza?» «Be',al momento non saprei.L'ambiente
nuovo, tutte queste sensazioni olfattive sconosciute e travolgenti mi mettono in uno stato di
piacevole confusione.Ma so che qui, dove la vita è sogno, sarà tutto diverso. Con molte notti per
conoscerci davvero e condividere ogni nota di questo incanto.»
232
Diario di una Cocci
di Chiara Opisso
4 agosto 2015 Svolazzando di corolla in corolla nel meriggio, mi sono trovata in mezzo a fiori
meravigliosi, disposti in file ordinate, che formavano aiuole traboccanti di ogni colore per
interrompersi improvvisamente, in corrispondenza di un piccolo sentiero in terra battuta. Ho seguito
il sentiero curiosa, portata da un lieve sentore di nettare delizioso. Per poco non sono stata travolta
da un gruppo di scalmanati di corsa, ho perso quota a causa di un vortice d’aria che uno dei runner
aveva formato mulinando con le braccia , tramortita anche dal greve odore proveniente dalla sua
ascella. Una volta ripreso il controllo del volo, ho deciso di riposarmi sul bracciolo di una sedia di
metallo dipinta di verde targata JL-A624, all’ombra di un grosso olmo e allora ho approfittato per
controllare i miei puntini neri: 10, c’erano tutti. Ma, alla fine della mia conta, appena il tempo di
tirare il fiato, ho visto un grosso dito venire verso di me e non sono riuscita a spiccare il volo, come
imbalsamata da un terribile urlo che ha solcato il cielo e mi ha perforato l’antenna destra. Per mille
cavallette, lo spostamento d’aria è stato così violento da farmi cadere a terra e benché un po’ di
polvere mi si sia posata sulle ali, sono riuscita a decollare, spingendomi sino al bordo dello stagno,
in cui si stava svolgendo una regata in piena regola. Ho deciso che una gita in barca a vela mi
avrebbe fatto bene e così mi sono posata a prua della barca blu. Così ho veleggiato per almeno
un’ora, finché il delizioso profumo di nettare che giungeva dal prato a ridosso dello specchio
d’acqua non mi ha ricordato che avevo la pancia vuota da troppo tempo. Quindi, dopo le operazioni
di decollo, mi sono trovata a sorvolare un prato che somigliava ad un campo da golf, con al centro
una statua, una statua nota, dall’aria familiare….e allora mi sono chiesta ma che mi vengano cento
punti neri, cosa ci fa la Statua della Libertà nel bel mezzo del Jardin du Luxemburg a Parigi?
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Nuovi arrivi
di Germana Bertolucci
“Che caldo, che afa” brontolava nonna Yucca. Lei di stagioni ne aveva viste susseguirsi tante.
Aveva la sua bella età, ben 25 anni. Collocata in quell’angolo fiorito all’ombra del Torrazzo dalla
signora dei fiori, era stata la prima a dare vita a quel grazioso terrazzino. Occupava il posto
migliore, robusta e imponente regalava la sua bellezza fatta di petali bianchi e profumati. Le sue
belle rughe incutevano il rispetto degli altri abitanti della terrazza: la languida edera, la provenzale
lavanda, il rosmarino pungente e la contorta vite americana, un tripudio di colori e profumi delicati
arricchiti dalla freschezza del limone. Nonna Yucca aveva visto arrivare tanti ospiti, ma poco
tollerava i “clandestini”, quelle piante non autoctone, cosi diverse da lei e dai suoi amici portate in
modo furtivo dai luoghi lontani dalla signora dei fiori. Piante grasse di poche pretese che
chiedevano soltanto molto sole e poca acqua. Non capiva che cosa ci trovasse la signora dei fiori in
quelle piante spinose e poco aggraziate. Nonna Yucca aspettò la brezza delle 10.30 che la
sospingeva verso l’appariscente glicine, sempre ben informato grazie ai suoi rami che si
estendevano lungo la terrazza. Ulteriori informazioni potevano arrivare dall’inebriante e carnoso
gelsomino che ospitava le sgargianti e leggiadre farfalle. “Hai visto laggiù?” disse il glicine, “Le
formiche si stanno dirigendo verso quei rozzi cactus. Cosa ci vanno a fare in mezzo agli stranieri?”.
Non erano i soli a chiederselo. Verso mezzogiorno cominciò ad aumentare il ronzio, stavano
arrivando le api, le vespe, i calabroni, le mosche e da sotto una foglia rinsecchita sbucò l’elegante
coccinella, seguita dalla vecchia cimice. Nell’aria si sentiva un forte brusio. L’argomento del giorno
era l’avanzata delle formiche tra i cactus. Intanto dalle scale si sentivano le voci della signora dei
fiori e del professore di musica del primo piano, “Insomma, Maestro, bisogna farsene una ragione,
ormai sono giunti tra noi”.
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Spirito di un Mango
di Chiara Castelletti
Vivo in un giardino di spighe d'oro, chicchi di grano come perle avorio del mare quando il sole le
colpisce e le fa risplendere di lampi ambrati. Io al centro, intorno a me loro, che mi avvolgono in un
abbraccio fedele alla direzione in cui soffia il vento. Sono un mango del Sudan dall'enorme chioma
sempreverde, tempestata, nei mesi di fioritura, da candidi fiori bianco rosati che profumano di
mughetto. Sono testardo come la durezza del mio legno, timido come il suo rossore, vecchio come
le grandi rughe che lo solcano. Sono la dolcezza dei ragazzi che si baciano nascosti e protetti dalle
mie foglie senza lingua e senza parola; l'amore di quelli che già si amano, mani nelle mani, sorrisi
nei sorrisi, lacrime nelle lacrime, unico abbraccio. Sono l'innocenza dei bambini pidocchiosi ed
affamati che colgono i miei frutti; sorrisi bianchi e gialli, canzoni, piedi ballerini che sfiorano la
ruvida terra alzandosi in volo sui sentieri delle fate. Sono la crudeltà dei soldati in guerra, drogati
per compiere atrocità che l'anima negava loro il permesso di fare: uomini crocifissi vivi agli alberi,
uomini soffocati da sacchetti di peperoncino, uomini morti dissanguati per le mutilazioni delle
bombe. E sono il dolore disumano delle loro madri, il loro rantolo straziante di bestie sacrificali, le
loro lacrime ingiuste, le loro preghiere di speranza. Sono la paura, attraente e misteriosa come la
vertigine, dei mamba che strisciano sinuosi tra i miei rami. Sono la saggezza di centinaia di anni
vissuti come occhi e respiri del mondo, ad ascoltare la luna ed i suoi sogni, i canti degli uccelli, le
storie degli anziani, i racconti del vento vagabondo. Sono la bellezza della purezza,
dell'incontaminato, della semplicità. Sono la bellezza variopinta della natura, la bellezza eterea ed
ineffabile che ammalia anche i cuori e gli occhi più appannati e corrotti. Sono la bellezza che cerco
nel mondo e nella vita, bellezza che custodisco per chi mi osserverà. “La bellezza salverà il
mondo.”
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Il mio giardino ed i miei amici
di Marina Grasselli
Mi chiamo Nicolò e sono un carpino di tre anni. Ho un aspetto elegante e slanciato anche se la mia
statura è ancora modesta. Vivo nel giardino della vecchia casa di Montepiatto e sono felice. Ho
molti amici. Il più vicino è un lauroceraso dalle larghe foglie lucide, con cui piacevolmente
converso; è molto anziano e spesso mi racconta delle vicende della casa e dei suoi abitanti di un
tempo. Il tasso, che si erge proprio di fronte a me, ha un aspetto austero, ricoperto com'è di lunghi
aghi scuri. D'estate, però, si ammanta di piccoli frutti rossi, dolcissimi e appiccicosi, ambita preda di
ghiri ed uccellini. I due tigli gemelli sono anche loro molto vecchi e sembrano fare da guardiani al
cancello dell'abitazione. La più bella amica è una betulla, una ragazza dal tronco bianco e dalle
foglie leggere che tremano ad ogni alito di vento. Mi parla spesso delle sue compagne che vivono in
alta montagna ma non le invidia: dal giardino di Montepiatto ha una splendida visione del lago, che
le riempie il cuore di gioia. Questa mattina sono particolarmente felice; dopo un periodo di siccità è
giunto un fragoroso temporale estivo, seguito da una pioggia sottile. Ho cercato di allargare le mie
foglioline per raccogliere tutte le gocce e le radici, rinfrescate, mi portano una energia nuova. Forse
vi chiederete perché mi chiamo Nicolò: ho un omonimo della mia stessa età, un bimbo di tre anni
che un po' mi assomiglia, così snello e leggero, e con un visino buffo che lo fa assomigliare ad un
piccolo elfo. I suoi nonni mi hanno piantato quando è nato. Io sarò per sempre il suo albero,
cresceremo insieme e Nicolò ha già cominciato ad amarmi.
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Racconto naif
di Tiziana Audagna
Cosa farete piccoli cosi, seminati fra queste nuove case, azzurre e speranzose? Questa è la domanda
che qualcuno, gentile, ci ha posta 30 anni fa. Altri neanche ci hanno visto. Pino mugo, cipresso del
libano, fico, salice, oleandro, abete, ortensia, rosa: forse siamo solo nomi, letti in qualche libro di
scuola. Io, cipresso del Libano, ti dico: oleandro sei un po' " corto" per osservare l'interno della
bella casa che ho di fronte. Piccoli eravamo noi, 30 anni fa: come la famiglia nuova, appena
formata. Io, oleandro festoso, sono contento, amico cipresso. La mia fioritura ha portato, ogni anno,
tocchi colorati, in mezzo a questo amichevole verde. Nelle calde giornate estive il nostro mondo
sereno ha rinfrescato, con discreta presenza, bimbi e adulti. Le rose: donzelle un po' vezzose, hanno
contribuito, con un tocco di classe, a formare un quadro, eterno e nuovo, col nome di "Inno alle
Vite". Con queste radici, che sembra ci rendano statici, ne abbiamo percorsa di strada, amici. Chi
alto, chi largo, chi colmo di bei frutti, chi di fiori colorati: tutti siamo grati per essere in questo
meraviglioso mondo. Conosciamo il cammino di questa famiglia: da "nuova" a "esperta". Siamo
diventati grandi insieme. Le risate dei bimbi hanno fatto compagnia alle nostre foglie. Piccole
biciclette, pian piano cresciute, sono passate di fianco a noi. Fronde e fiori hanno percepito le
speranze, i sogni e la freschezza della bella età di chi le utilizzava. Cipresso del Libano, abete, pino
mugo, tutti insieme, abbiamo visto libri sfogliati, studiati, sopportati e amati. Per rispondere alla
domanda che qualcuno, sensibile, ci ha rivolto 30 anni fa, diciamo, a "voce unica", abbiamo vissuto,
e viviamo, la vita con voi. La fotografia, che stamane ci avete scattato, è stata una carezza. Ce
l'avete donata perché sapete amare. Fine del racconto naif tiziana
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Il giardino del chiostro bianco
di Angela Rivello
Ero entrata in quel giardino per caso, ero molto triste, ma come ero vissuta in tutti quegli anni
...un'angoscia terribile mi saliva in gola. Camminando verso l'enorme chiostro bianco noto le belle
margherite bianche che macchiano il prato ed anche le macchiette rosse che le imbarazzano. Chiedo
ad una di loro: "che ne farò della mia vita" ..la margherita mi guarda e mi dice: "salvati.. sei ancora
in tempo.." . E' tutta la vita che spreco...ma poi la routine ci porta a correre, non abbiamo mai tempo
per le cose vere. Entro nel chiostro tutto bianco, all'interno tante piante colorate, chiedo ad una rosa
più bella, che aveva una spina robusta proprio sotto il calice che conteneva i petali, "tu che convivi
con questa spina come respiri"...la rosa mi risponde: "è forse grazie a questa spina che vivo ancora".
In un angolo noto un cactus, alto robusto e spinoso, sembra un albero di Natale, mi avvicino e noto
che c'è una scarpa, guardo meglio, c'è un uomo disteso sotto lo scaffale che sostiene il cactus. lo
tocco..è freddo...dio santo è un cadavere! Mi prende il panico, mi volto d'istinto e sulla porta
d'ingresso del chiostro vedo una donna, non giovanissima, vestita di bianco con delle macchie rosse
di sangue, brandisce un bastone con la mano destra, ha lo sguardo perso e mi grida: "ho dovuto
farlo!" la guardo spaventata e cerco una via di fuga. Un gelsomino profumato mi sussurra: " non
scappare, parla con lei". Mi faccio coraggio e le chiedo cosa è successo, una felce le carezza le
caviglie e lei depone in terra il bastone. Ora è tranquilla. mi dice " è stata una disgrazia". Le credo e
chiamo un'ambulanza col cellulare. Angela Riviello - Donatella Bubani
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Il mio giardino...pagine di vita scritte in un libro sempre aperto.
di Miriam Campinoti
Ti guardo..penso quanto sei cresciuta..! Ricordo..ti presi quasi per gioco..eri ancora un "embrione",
un piccolo seme..in un Paese a me tanto lontano come distanza ma vicino come sentimenti! Avevi
la vita dentro e una gran forza..pensare che ti avevo chiuso in un tovagliolino e tenuto nella borsa
come un piccolo tesoro..; sei rimasto così per vari giorni..e quando ti ho messo in vaso..speravo che
il mio amore ti aiutasse a lottare per la vita! "Vedi ora non sto più in un piccolo vaso, sono qui nel
tuo giardino, dove ho dovuto affrontare: freddo, vento forte, neve.. ma ho vinto! Ora non temo più
niente! Ora svetto verso il cielo" Che bella Palma che sei! le tue foglie verdi lucenti con fili come
capelli dorati baciati dal sole, si abbassano creando ombra per ospitare volentieri passeri ed altri
uccellini che giocano dondolandosi! "Sai anche se vengo da un Paese lontano, non mi sento sola nel
tuo giardino pieno di fiori e piante". Il Nespolo mi guarda con curiosità: "Non sei l'unica con un
passato avventuroso, sono nato da un nocciolo di nespola, presa da un ramo sporgente lungo una
strada; messo in un vaso ho dimostrato grande tenacia per la vita. Poi sono arrivato in questo
giardino..sono passati degli anni..ed a dispetto di un giardiniere che voleva eliminarmi, sicuro che
non avrei mai fruttato, fortunatamente non ascoltato, a suo tempo ho donato grappoli di fiori
tramutatisi poi in dolci frutti". Un Olivo vicino..."Allora Io? che devo dire? sradicato da mani
provvidenziali, con poche radici, salvato da abbattimento sicuro per nuove costruzioni,e
nuovamente piantato in giardino ed amorevolmente curato; Ora mi vedete..dono olive e..sto
invecchiando felicemente". La Palma continua: "Il profumo dei fiori mi inebria, e non solo a me,
anche ad api e piccoli insetti. Ai miei piedi vedo due merli: un padre che accudisce una figlia!".
Sai..ti tocco e mi sembra che tu risponda alle mie carezze, cara amica di sempre! "Sì, è vero anch'io
ti sento..."
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Quattro chiacchiere
di Barbara Marana
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PERSO?
di Agnese Matteini
L'ha perso, perso per sempre. Non parla, non lo dice a nessuno. "Questo giardino è tale e quale a
quando ci venivamo da bambini". Stasera dicono tutti così, ma non è mica vero: l'oleandro bianco
accanto alla panchina è stato tagliato, i rosi lungo il muro seccarono anni fa, il gelsomino ormai ha
coperto tutto quello che c'era da coprire e le miei radici vengono sempre più in superficie. "Ahi...
Ma che...". Almeno le mie pigne continuano a cadere sempre in testa a qualcuno. “Dove dove
dove...?” Usando poca voce, appena un sussurro, perché a nessuno può raccontarlo o se ne
convincerebbe anche lei stessa irrimediabilmente: perso per sempre. Pendeva da una collana. La
collana le è rimasta al collo, ma il piccolo medaglione non c'è più. Stasera, quando ha appoggiato la
mano sul petto, come fa sempre quando si emoziona, se ne è accorta. Non ha detto niente, è rimasta
con la mano alla base del collo e io so che non ascoltava più gli altri e che se continuava a sorridere
era solo per sbaglio. Era un piccolo medaglione. Lei non lo apriva mai, ma io sapevo cosa c'era
dentro. Ero qui quando sua madre aveva raccolto un sassolino bianco ai piedi del rododendro, lo
aveva chiuso dentro al medaglione e aveva incartato tutto in un pacchetto da spedire alla figlia che
era lontana e che aveva nostalgia per "il giardino all'ombra del pino, le tortore che cantano, gli
scoiattoli e il vento che passa fra gli aghi". Io continuo a fare ombra, ho ancora nidi di tortore,
scoiattoli rossi che passano e sempre più paura del vento. Ora è la madre ad essere lontana, mentre
la figlia stasera è qui con gli amici con cui è cresciuta. Uno di loro è appena inciampato e ha
sbattuto contro il mio tronco; lei come per scusarsi con lui, mi ha tirato un calcio, come faceva da
bambina quando mi accusava di farle lo sgambetto apposta. Non smette di chiedersi: “Dove è
finito... Dove...?”. Io lo so. E' fra le mie radici, caduto. “Perso, perso per sempre...”. E non posso
farle sapere che sarò io a custodirlo
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Respira il mondo
di Antonella Bergamin
«Respira» I colori poetici, pensò. «Respira forte Giò» I profumi ancestrali. «Non sento più niente
Lilly» «E' passata Lei?» «Stamane. Si è chinata, ha tolto i guanti e mi ha sfiorato. Ma le sue mani
oggi sembravano pesanti come pugni, ho provato la sensazione di cadere, nel nero. Lilly, è come se
qualcuno mi attanagliasse. Il mio splendore si sta precocemente spegnendo, nemmeno l'amica
Vanessa si posa più su di me» «Le parlerò, ha volato per il mondo, potrà spiegarci» L'unica cosa per
cui lottava Giò era il calore dei suoi amici, così vivaci, robusti, sontuosi. «Ciao Vanessa, fermati,
dobbiamo salvare Giò! Che cos'ha?» «Lilly, credo sia il nuovo arrivato. So che viene da lontano. Ha
una natura tormentata, lo chiamano Gigante Strangolatore: per crescere e difendersi soffoca con i
rami qualsiasi altra specie a lui vicina» «Allora portagli questo messaggio da parte di tutti noi» Lilly
parlò alla dolce farfalla, a lungo, con il loro segreto linguaggio. Poi Vanessa volò subito dal
Gigante, ché la vita è un soffio di vento. «Tu chi sei? Piccola e senza paura» «Sono venuta a
raccontarti una storia» «Parla» «Guardati intorno, la religiosa armonia. Piante, animali, cielo e terra,
ognuno con una funzione unica, irripetibile e che insieme danno equilibrio alla vita. Giò, il più bel
giglio del giardino, deve offrire ancora la sua bellezza, l'allegria in estate e la malinconia in inverno.
Ha visto risa di bimbi e lacrime di vecchi, odio e amore, libertà e schiavitù. E ne ha dato il senso.
Qui non devi temere, tutti vorremmo accogliere le tue possenti braccia e chiedere loro di
proteggerci, non di ucciderci» Il coriaceo albero parve pensieroso e scosso. «Temo sia tardi, l'ho
indebolito. Non credo resisterà ad un prossimo temporale» La natura si adatta alle circostanze, crea
un nuovo ordine e il ritrovato amico lo sa. Vanessa tornò con speranza da Lilly. Come il sangue per
la vita, tenere e fresche gocce d'acqua caddero piano. «Respira Giò, respira il mondo».
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Una vita in una notte
di Luca Guerrera
La casa è immersa nel buio, le finestre aperte per convincere la pigra aria estiva a girare un po’ per
le stanze. Il cielo è sgombro da nuvole, e le stelle sembrano diamanti sparsi dalla mano di un
gigante su un abito di satin. Mi metto al davanzale per godermi lo spettacolo; i minuti scivolano via
e io comincio a sentirmi assonnata, quando le mie orecchie vengono solleticate da un canto
sommesso. Mi riscuoto con i sensi all’erta: il canto sembra provenire dal giardino, sul retro. Per
nulla spaventata – anzi direi fanciullescamente incuriosita – scendo le scale e apro la porta della
veranda: non riesco a vedere nessuno, nemmeno aguzzando lo sguardo per fendere l’oscurità. Il
canto continua suadente, misterioso, ipnotico: come un richiamo mi attrae verso il centro del
giardino, sull’erba inargentata dalla luna. Vedo una forma aggraziata volteggiare disegnando
nell’aria una serie di linee spezzate: una farfalla notturna con un paio di graziosi ocelli sulla punta
delle ali gironzola qua e là, come se stesse decidendo qual è il fiore più appetitoso per uno spuntino
di mezzanotte. Mi siedo sull’erba ad osservarla, e più la osservo più mi rendo conto che il ritmo del
suo volo non è casuale, ma segue il ritmo del canto che ancora si diffonde nella notte. Esattamente
come facevo da bambina, stendo una mano sperando che la farfalla vi si posi, e le mie aspettative
non vengono disattese; sempre più incantata da questa notte magica, mi decido a interrogarla:
“Senti anche tu questo canto? Sai dirmi da dove viene?” – “Gli alberi, i fiori e l’erba di questo
giardino stanno cantando per me, perché questa è la mia ultima notte su questa terra...” Travolta
dalla magia della natura e della notte, mi lascio scappare una lacrima. La farfalla la vede e chiede:
“Perché piangi?” – “Mi dispiace che la tua vita sia così breve.” – “Ho vissuto abbastanza da
assistere a questo miracolo!” mi risponde, con le ali che fremono, prima di volteggiare verso la
Notte.
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Le mie confidenti
di Andrea Vieni
Ho sempre amato praticare il giardinaggio: mi rilassa e mi fa sentire in pace col mondo; tra i pochi
vasi del mio balcone riesco a ritrovare l’equilibrio e il buonumore. Sono anni ormai che curo il mio
angolino verde, e ho preso anche l’abitudine di conversare amabilmente con le mie piantine. Ci
sono Begonia e Geranio, una coppia delicata e seducente, che io sospetto amanti: condividono due
vasi pensili vicini e li sento raccontarsi ciò che vedono dalla loro posizione privilegiata, e durante la
notte sospirano come teneri amanti. In un angolo c’è un grande vaso con una compìta famigliola di
piante grasse, ribattezzate le Cactacee: sono vivaci e un po’ buffe, come attempate signore di
campagna, e scambiano volentieri due parole con i vicini. Accanto si erge una bella pianta di
peperoncino, Pepè per gli amici: è un tipo passionale e un po’ spocchioso, ma ho visto che con le
Cactacee se la intende a meraviglia, perché le sento sempre ridere alle sue battute da cowboy. Certo,
se Pepè sapesse che l’ho comprato in un supermercato non si darebbe tutte quelle arie da pianta
navigata. Poi c’è il gruppo delle Odorose: Salvia, Basilico, Rosmarino e Menta. Già a marzo
Rosmarino inizia a fiorire, e poi quando arriva la primavera insieme agli altri fa un gran baccano,
incitando Basilico – il pigrone – che si degna di fiorire solo in estate, ma si fa perdonare spandendo
il suo buon profumo su tutto il balcone. All’angolo opposto rispetto alle Cactacee, da un altro
pensile la Barba di Giove borbotta, ma lo fa solo per darsi importanza, ormai l’ho capito. Gli ho
messo a fianco un Ciclamino tanto timido che la Barba l’ha preso sotto la sua ala protettrice e gli fa
da mentore. Ogni volta che esco in balcone con l’annaffiatoio o con gli attrezzi da giardinaggio le
vedo ringalluzzirsi e confabulare eccitate, in attesa che racconti loro le ultime novità. Non c’è niente
di meglio che una chiacchierata con le mie piante per concludere in bellezza la giornata.
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LE STELLE E GLI ARANCI
di Elisa D’Urso
Spesso si ricerca il bello altrove, quando in realtà lo abbiamo sempre avuto a portata di mano e
nemmeno viene preso in considerazione. Mi hai condotta in un posto incantato proprio la notte dopo
quella di S.Lorenzo, avevo i tacchi ed ero malferma tra la ghiaia dei vialetti che portavano alla
terrazza. "Questo è il giardino degli aranci" mi hai detto. Forse era il tuo profumo, forse la
perfezione delle piante di aranci disposte in fila. Mi sono appoggiata a te e ho sfiorato il tronco
ruvido di un albero a testa in su' per guardarne la chioma. Le stelle giocavano a nascondino tra le
foglie. Mi sono girata e ti ho sorriso. Mi hai aiutata a sedermi sul cornicione della terrazza per
guardare Roma dall'alto. Da un lato il Tevere, voltandomi un giardino incantato; le tue mani sulle
mie, gli occhi al cielo. Mi manca il respiro. "Guarda una stella cadente, esprimi un desiderio!!!"
Desidero che il tempo si fermi, io e te in un giardino incantato, sotto ad un cielo stellato in una notte
d'estate.
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"Anime verdi"
di Antonella Pallante
<<Sir William...>> <<Dimmi Susana.>> <<Sono sette giorni che non vediamo Vittorio e Rosa,
comincio a preoccuparmi.>> <<Anche io, Susana. Ogni giorno, dal loro primo bacio, poco prima
del tramonto, sono sempre saliti quassù, alla nostra panchina. Ormai, da anni, la loro.>> <<Con
l'aiuto della brezza della baia di Forio, è stato sempre un onore distendere i miei rami su quei
simpatici vecchietti. Sir William, ricordi l'ultima volta che li abbiamo visti?>> <<Come potrei
dimenticare. Il tiepido sole di fine settembre imbiancava ancora di più i capelli di Vittorio. Si alzò.
Appoggiò, con gentilezza, il suo bastone sul fianco della roccia che custodisce le mie ceneri. Era
emozionato, come se fosse al primo appuntamento con la donna del suo destino. Fissò gli occhi
verdi di Rosa. Due lacrime si rincorsero lunghe le rughe della loro vita. Poi, Vittorio trovò il
coraggio per la sua dichiarazione d'amore. Si voltò verso di te, Susana, e recitò la mia poesia
preferita, con voce più armoniosa delle mie melodie.>> << Queste foglie d'albero d'Oriente, che
sono state donate al mio giardino, rivelano un certo segreto, che compiace me e i saggi. E' forse una
creatura vivente che si è divisa? Son due che hanno deciso di manifestarsi in uno? Per rispondere a
tale domanda, ho trovato la giusta risposta: non noti, nei miei versi, che son io uno e doppio?>>
<<Oh mia adorata Susana, questa sera la tua voce vibra commossa, come quella di Vittorio, nel
ricordare i versi che Goethe dedicò a questo Ginkgo Biloba, oggi scrigno della tua anima.>> <<Sir
William, è la commozione di chi ha avuto la fortuna di conoscere l'amore vero.>> E scese la sera
sul Giardino La Mortella, figlio di Sir William e Susana. Il blu colorò il cielo e il mare di Ischia,
cucendoli sulla linea dell'orizzonte e trasformandoli nel mantello dei sogni. Mantello che avvolse il
Ginkgo Biloba, in cui si addormentò Susana, dopo aver rimboccato la coperta di foglie sul suo
amato, la roccia più alta del Monte Zaro.
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Luisella
di Laura Gamaleri
Brrr, aveva fatto freddo quella notte. La sua nervatura principale era intirizzita e, di conseguenza,
aveva perso colore nella parte centrale. Immediatamente si diede da fare per ottenere un po’ più di
linfa da quell’antipatico del suo ramo, ricordando con un brivido i discorsi che gli aveva sentito fare
rivolto ai suoi simili, brutti bastoni secchi e marroni come lui, quando, ai primi tepori di primavera,
lei e le sue sorelle suggevano il nutrimento che le avrebbe fatte sviluppare: “ Noi le facciamo
crescere, loro si pavoneggiano con il bel verde chiaro di inizio stagione, si aprono e diventano
grandi e scure e belle , ma in qualche mese seccano, cadono e diventano polvere mentre noi
restiamo qui, anno dopo anno”, ma c’era poco da fare, il ramo aveva proprio deciso di ridurre la
produzione. Sapeva di essere bella. Di un bel punto di verde, grande, ben formata, perfettamente
simmetrica e con tutte le curve e le punte nelle posizioni giuste, quell’ombra ambrata che era
arrivata a sbiadire il suo bel colore nella parte centrale , evidenziata dalla luce del sole che la stava
scaldando, la infastidiva non poco. Luisella la bella era il suo nome. Non che tutte le foglie avessero
dei nomi; erano le stelle cadenti nella notte di San Lorenzo che illuminandone alcune, le
battezzavano, ed a lei, che stava baldanzosa in evidenza alla fine di quel lungo ramo era successo
proprio così. Peccato che quella posizione così esposta fosse anche quella dove il vento
spadroneggiava, ed infatti una raffica più forte delle altre, complice il picciolo un po' avvizzito,
l'aveva staccata e fatta cadere a terra. Noooooo, davvero era già finito tutto come aveva predetto
quell’odioso ramo? Luisella se ne stava disperata sul vialetto, quando si era sentita afferrare con
delicatezza da una giovane mano. “Che bella foglia! Grande e perfetta, la farò seccare e la utilizzerò
per un collage da appendere nella mia cameretta” aveva detto la ragazzina. Secca pazienza, ma
polvere no!
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La Mimosa di Villa Gemma
Se visitate il paesino di Settignano, bellissima località nei dintorni di Firenze, senza difficoltà
troverete una via abbastanza lunga e ripida che conduce a quella che , tanti anni fa, si chiamava
"Villa Gemma". Lì vivevo io, la grande Mimosa, altissima e dalla chioma enorme, praticamente il
gigante del prospicente giardino. In questa villa vivevano, giocavano, gridavano, litigavano diversi
bambini, più numerose le bambine. Il giardino era la loro "casa" privilegiata e prediletta. Le siepi di
bosso, basse, ben curate e squadrate, erano i "letti" e le "poltrone" su cui i bambini si adagiavano a
prendere il sole. Staccavano qualche fogliolina per controllare se il sapore fosse sempre tanto
amaro. Io ridevo delle loro prevedibili boccacce, ma non ho mai sentito il bosso fiatare un lamento,
anzi era sempre più verde, folto e robusto. Le Belle di Notte fornivano i loro semi nerissimi perché
le bambine, giocando alle mamme o alle signore, li schiacciassero e con l'acqua ottenessero il
"latte" per le numerose bambole neonate. Da altre piante prendevano "pomodorini" di vari colori,
bacche blu, foglie profumate di cedro, datteri un po' rachitici ma dolciastri: ogni giorno venivano
imbanditi cibi straordinari che i bimbi, a scanso di sonori mal di pancia, fingevano di mangiare con
assoluta serietà. Ma il momento più atteso, per loro, era l'imbrunire, dopo cena. Allora, quando le
prime ombre rendevano il giardino più misterioso, rincorrersi o nascondersi diventavano giochi
irrinunciabili e irresistibili. Nella bella stagione, alta come ero, mi godevo lo spettacolo delle
lucciole che, numerosissime, lentamente si rincorrevano, si nascondevano, si cercavano; ma ancor
più affascinante e commovente, erano le luci lontane, della città, oltre il giardino. Per San Giovanni,
il Patrono, Firenze si illuminava a festa con fuochi d'artificio e con un'eccezionale parata luminosa
di multicolori rificolone sull'Arno, che lo facevano splendere come fosse stato veramente d'oro e
d'argento.
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Giardino sardo
di Ilaria Floreano
L’elicriso mi prende sempre in giro: sa che ho un debole per gli intrecci romantici e per il suo
profumo forte di liquirizia; che nonostante le mie professioni di indipendenza non sopravvivrei a
eccessiva distanza da lui; che in fondo, per me, i suoi “motteggi al giglio selvatico” sono lusinghe:
pensa a me, si interessa a me. Qui sulla spiaggia siamo in pochi e bisogna essere resistenti. Ce n’è
voluto prima che elicriso e compari – mesembriantemo e corbezzolo soprattutto – mi rivolgessero
un cenno. Il primo a salutarmi è stato un vecchio ginepro in cima alla collinetta in un giorno di
maestrale: si era piegato così tanto che, già che c’era, mi ha chiesto come stavo. Bene gli ho
risposto, soprattutto da quando un’anziana coppia gentile mi ha circondato di corte canne di bambù
e sassi: ho scoperto che questo fa desistere dall’acciuffarmi certe donne troppo abbronzate che in
precedenza hanno strappato incuranti alcuni miei fratelli per poi lasciarli seccare. Mi ha preso in
giro, per il recinto, l’elicriso: con un fremito sdegnoso ha reso più metallico il suo grigio e io ho
capito che mi reputa troppo fragile. Già così strano, con le punte dritte anziché arrotondate dei
cugini di città, sembro di carta velina, come la bouganville, ma senza i suoi bei colori accesi. Gli
aironi mi danno man forte, soprattutto quelli appena nati: appena possono spiccano il volo dalla loro
pozza d’acqua ferma, dalle canne, e sferzano l’elicriso con le lunghe zampe arancioni. Lui per un
attimo vorrebbe pungerli, però so che se anche potesse non lo farebbe. Stiamo così da tre settimane
e ogni mattina, quando lo ritrovo lì a pochi metri, mi sembra di allungarmi di mezzo centimetro:
diventerò un giglio selvatico gigante! Ma no: sappiamo che tra poco scomparirò come l’estate.
Forse per questo l’elicriso fa il duro e non solo perché il suo nome significa sole d’oro. Sono
l’amore intenso e breve, una bella stagione, lo scroscio rinfrescante. L’elicriso mi invia una ventata
di liquirizia.
249
La fatina del convolvolo
Il convolvolo si arrampica elegantemente lungo il muro della casa con viticci sottili e tenaci, capaci
di ricoprire tutti i sostegni nel giro di una notte. La varietà più bella fiorisce di un profondo blu
cielo. Le effimere corolle a imbuto ondeggiano lievi ad ogni refolo di vento. Dice la leggenda che
tra le foglie a cuore e i boccioli ritorti abiti una fatina volubile e capricciosa: fa capolino con il
visino corrucciato tra le ombre del primo mattino. Pare che esaudisca i desideri: non a tutti, però,
solo a chi le ispira simpatia. Lui chiede ardentemente di essere tramutato in un'altra forma di vita.
Per esempio un melo ornamentale come quello in giardino; in primavera si copre di puri fiori
bianchi: dà una festa: sono invitate le api del circondario, le farfalle dalle ali colorate e i bombi
grassocci: attorno a lui si sente un continuo, alacre ronzio. Alla fine dell'estate quei fiori effimeri si
tramutano in meline rosse. L'albero generoso le offre a tutti: ai merli dal becco giallo, ai topolini
con la pancia bianca, ai chiassosi bambini dei vicini. Le cinciallegre ricambiano con uno spettacolo
di equilibrismo: corrono a testa in giù per la corteccia, si appendono su una zampa sola: il melo ride
e applaude facendo stormire le fronde. Le tortore vengono a dormire lì, quando piove: le abbraccia
piegando i rami su di loro. Il merlo lo sceglie come posatoio per intonare la sua melodia. L'albero
canta con lui quando il vento passa tra le foglie. Che ne dici, fatina? Siamo d'accordo? Andrebbe
bene anche una cincia o un merlo... Chiude gli occhi... No, non e' successo niente, E' ancora il
bambino con gli occhiali e il grembiulino e adesso si è fatto tardi e deve andare a scuola. C'è il
compito di matematica, che paura, quella materia non gli va proprio giù. Prende la cartella e si avvia
verso il cancello del giardino. Un'ultimo sguardo al convolvolo, splendente di fiori blu. Però si
potrebbe contare su un buon voto, almeno.. La fatina sorridendo dice di sì.
250
L'abbraccio
di Maria Migliaccio
Sono un piccolo ciliegio piantato, tanto tempo fa, da una ragazzina dal pigiama giallo. "Vedi quella
ragazza bionda?" mi chiese l’anziano melo. "Sì" "Ecco, lei ti ha piantato, me lo ricordo benissimo!"
"Davvero? E' lei la mia mamma?" "Proprio così!" “E come fai a esserne così sicuro?!” “Ti dico che
è lei, zuccone! Dovevi ancora nascere. Mi confidava la sua paura di un’operazione chirurgica
mentre, seduta sulla panchina del giardino, mangiava ciliegie e buttava i noccioli nel prato, per poi
tornare nella sua camera d’ospedale”. Anni dopo, tornò a sedersi sulla stessa panchina. Da allora, la
spiavo ogni giorno, emozionato e vedere il suo dolce sorriso mi faceva tremare le foglie. "La mia
mamma!", continuavo a ripetermi, incredulo e felice. Passeggiava sempre alla stessa ora. Non la
perdevo d'occhio, come un angelo custode. Per farmi notare, le facevo cadere una piccola nuvola di
petali rosa sulla sua testa. Così si accorse di me e venne a trovarmi tutti i giorni. Controllava se
avessi ricevuto sufficiente acqua, se crescevo, se stavo bene. Ogni tanto, quando gli altri non la
vedevano, mi abbracciava e stava per qualche secondo con la guancia attaccata alla mia corteccia. I
miei fiori crescevano incredibilmente rigogliosi, odorosi e splendenti. Mi piaceva metterle una
fronda in testa e fare dei miei fiori i suoi capelli. Mi raccontava di sé, mi chiedeva com'era il cielo
visto da quassù, i profumi che il vento portava, il nome dei passerotti che si riposavano sui miei
rami. “Ti stai affezionando troppo!” disse il melo, tentando di mettermi in guardia. “Vedi com’è
smagrita? Un giorno o l’altro non la vedrai più” fece eco il pino, “e te ne dovrai fare una ragione”.
Sono solo invidiosi, poveretti! Mi sono allungato fino alla sua finestra. Lei è salita, leggera, sui miei
rami, ed ha spiccato il volo. Ancora oggi, nelle giornate di vento, sento che torna ad abbracciarmi, e
se guardate bene la mia corteccia, noterete l’impronta di una piccola guancia.
251
La pioggia
di Chiara Simoni
La pioggia d'estate ti prende all'improvviso, senza che tu posso accorgertene, nel pieno di una
giornata di sole. Così fa la tristezza, quel ricordo di qualcuno che non c'è più. Allora decisi di uscire
finalmente e pensai che forse dietro quelle nuvole c'era davvero qualcuno e capii in un attimo che
era soltanto la pioggia perchè nessuno piange in paradiso. Tornò il sorriso come il vento, passo la
pioggia con il sole e il giardino sembrò ancora più bello, il glicine più slanciato, la rosa più morbida
e le fragole di giugno ancora più succose. Non ho un grande giardino ma c'è tutta la bellezza che mi
serve contro il traffico della città e questo mi basta.
252
"Alla Stella sul giardino".
Da quando siamo qui, vogliamo dedicarTi una poesia. E' aria dei nostri profumi, colori e sensazioni;
siamo lucciole, grilli, rose, camelie, glicine, avviluppato calicanto che sboccio profumato sempre e
solo a Natale con l’agrifoglio. Siamo statue, panchine e fontane, lampioni, magico e segreto
laghetto, siamo i suoi cigni e ninfee, i suoi girini e le rane nel tempo, diviso tra il ricordo e il
presente. Viviamo e passeggiamo con le “Sagome Angeliche e Fulgide” che si aggirano sempre, tra
perlate brine invernali e tenere rugiade di primavera, tra i pini argentati e gli abeti coperti di neve,
d’inverno addormentati. Beate le ombre, le voci che si ascoltano nei silenzi lontani e che si
confidano al riparo del vento e dei temporali; fortunati i fiori sbocciati, le acque fruscianti, il
chiurlo, le rondini, i passeri, le formiche smarrite, nel grigio del mondo. Noi bisbigliamo agli astri
che sussurrano in silenzio, le rime spontanee fino all'alba di ogni giorno, nell'incanto del giardino
vissuto ancora, da soffuse presenze sempre più vive e mai morte. Niente e nessuno è smemorato
qui; nè la pietra, nè la lucertola. Volano eternamente, con noi farfalle variopinte e bianche, baci di
carezze materne, di tenerezze paterne, di giochi di chi voleva ancora vivere. Qui, passeggiamo
sempre tutti insieme, fra luce ed ombra, preghiere e imprecazioni, prima che crolli l'amore di un
mondo senza forma. Ascoltiamo tutti il cuore delle foglie e dei petali dei fiori, prima che arrivino
alla deriva per poi ritornare alla vita in un altro “sogno di un giardino di mezza estate”. I cieli, sopra
di Noi, si intravedono appena tra gli alberi, come lividi o rime di languidi, profondi ed
indimenticabili, rari Amori. Solo una Stella come Te, ci illumina e ci illuminerà e quindi: “Non
chiedere ad ogni fiore di non sbocciare, non può, c’è il sole; non chiedere alla lucciola di non
illuminare, non può, c’è la notte; non chiedere a Noi di non Amare, non possiamo: ci sei Tu!”
Ellera.
253
Bimbi, albicocche e molto altro ancora
di Barbara Mulas
Il vecchio melo era preoccupato. Da giorni riceveva lamentele da parte di tutti gli abitanti del
Giardino, persino dalle talpe e dai gufi che di solito si facevano i fatti loro. Stava succedendo
qualcosa di strano. Qualcosa di grosso. “Io ve l’avevo detto! Sono gli umani! Stanno tagliando gli
alberi per far spazio a quegli orribili tubi da cui esce tutto quel fumo, che non ci lascia respirare”,
disse l’albicocco. “Gli scoiattoli della casa accanto mi hanno detto che le ruspe hanno abbattuto un
cortile di larici”. Era questione di tempo prima che toccasse a loro. “E allora ribelliamoci! Io da
questo momento non faccio un frutto, né produrrò per loro l’ossigeno che serve”. Il ciliegio aveva le
lacrime agli occhi, ma non si poteva più tornare indietro. Ne convenne anche il melo, che era il più
anziano e ne aveva viste tante. Era una decisione solenne. Ci volle del tempo prima che gli umani si
rendessero conto che da quel Giardino, rigoglioso da anni, non veniva più nemmeno un piccolo
frutto. Mentre le fabbriche avanzavano, prosperando e tagliando gli alberi, gli animali si
rintanavano in tane sempre più profonde, i rami dell’albicocco restavano vuoti e il ciliegio
continuava a malincuore il suo sciopero. Così fecero tutti le altre Creature, fino a che un bel giorno
una bambina, non più alta di un cespuglio di rose e che abitava lì vicino, fece notare alla mamma
che in quel Giardino non c’erano fiori. Non che alla signora importasse più di tanto; ma si sa, gli
occhi dei bambini vedono cose che ai grandi sono nascoste o che, forse, non vogliono notare.
“Mamma, forse gli alberi sono arrabbiati con la nuova fabbrica”. “E perché mai dovrebbero, Cloe?
Sono solo piante”. Che fantasia, questi bambini. “Gli alberi quando li tagli soffrono”. Il melo si
trattenne a fatica dall’abbracciare quell’esserino con le trecce e la gonna a pallini che era stato
capace di dire una così grande verità. Bisognerebbe sempre ascoltare i bambini.
254
L'orgoglio dei giardini
di Maria Porcellana
Ci sono il re di Spagna e la regina d’Inghilterra, il re della foresta - che poi è un falso mito, visto che
il leone è al massimo il re della savana ma di criniere leonine, nella foresta, nemmeno l’ombra - e la
regina delle nevi. C’è persino il re della moda (un certo “re Giorgio”), ma avete mai sentito parlare
di un re del giardino? Ve lo dico io: no. E questo perché a noi giardini non piace l’idea di avere un
sovrano… Già facciamo fatica a tollerare la presenza di un giardiniere! È proprio quando siamo
lasciati liberi di crescere come ci pare che diamo il meglio di noi. É vero, c’è il rischio erbacce - che
poi guai ad usare il termine “erbacce” in loro presenza: se vi va bene vi scatenano contro ogni
spina/proprietà allergica/urticante di cui sono a disposizione - ma vuoi mettere l’armoniosa anarchia
di un giardino libero da cesoie e diserbanti rispetto alla rigida perfezione di posti come Versailles e
compagnia bella? Questo però vale per quelli di noi che nascono liberi, perché devo invece
ammettere che non c’è nulla di più triste di un giardino nato “domestico” e poi abbandonato: si
capisce subito che era stato pensato per essere tutt’altro. Se proprio volete sottoporci alle vostre
regole non potete poi dimenticarvi di noi: selvaggi sì, sciatti giammai! Comunque sia, selvaggi o
curati, enormi o piccolini che siamo non potete non ammettere che quando il vostro occhio umano
si posa sul nostro verde - anche solo di sfuggita - il cuore vi si scalda un po’… e questo ci riempie
di grande orgoglio.
Il pino di Mals
255
di Susanna Bigi
Era in fondo a un sentiero scosceso nell’assolato mezzogiorno della montagna. Proteso verso il
vuoto in uno scatto immobile ed eterno. Forse era così da decine di anni. Senza fatica, immerso
nella quiete della valle silenziosa. Le radici salde nel poggio, il tronco e i rami –come una
moltitudine di braccia-slanciati verso l’aria e ricoperti di aghi sottili. Al suo cospetto solenne
sembravamo esseri fragili. Ma ci facemmo coraggio per far la domanda al pino di Mals. In pochi lo
conoscevano, solo Elias sapeva dei suoi responsi. Ci fermammo, dunque, io, il piccolo e lui. Scese
su di noi un silenzio fitto. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, lui si avvicinò al tronco e con
le labbra a sfiorare il legno sussurrò una sorta di preghiera. Poi di nuovo il silenzio del bosco.
Alcuni istanti trascorsero quando si udì un fruscìo. La fronda del pino iniziò a muoversi. Pian piano
come se un'improvvisa rèfola di vento giocasse con i suoi aghi. Lui fissava quella chioma animata
seguendo il delicato disegno nell'aria. Il pino scrisse nel cielo la sua muta risposta con segni che
Elias interpretò. Mi sentii spettatrice di un oracolo indecifrabile. Fu un fenomeno di pochi attimi
grandiosi e potenti. Lentamente, poi, Elias mi guardò e con la gioia negli occhi esclamò: “Maria è
salva. Guarirà!”. Ogni tensione si sciolse, sprofondai ai piedi dell'albero abbracciando il mio
bambino che, felicemente inconsapevole, si strinse a me ridendo. Lui si inginocchiò. Eravamo
commossi, svuotati. Poi lui disse: “Io ti ringrazio creatura del sacro bosco che dell'ordine del mondo
conosci i segreti e vegli su noi anime erranti”. Appoggiò le sue mani e la fronte alla corteccia e
rimase zitto a occhi chiusi per un attimo. Poi con un sorriso pieno verso il piccolo estrasse dalla
tasca un piffero scavato da un legnetto. Depositò il dono ai piedi della pianta e salutammo l’albero.
Sulla via del ritorno il sole a tratti ci illuminava. Raccogliemmo more lungo il cammino e ridemmo
di cuore.
"Vecchio ulivo, vecchio ulivo, mi senti?" "Certo, cara lavanda, sono vecchio, ma ancora in gamba.
Noi ulivi viviamo a lungo e ci conserviamo bene". "Questa è una sera bellissima, qui sulla collina
tra i due golfi: Il sole sta calando; tra poco uscirà la luna, le belle di notte apriranno le loro corolle e
queste noiose cicale smetteranno di assordarci: Sentiremo i grilli e i gechi si apposteranno sul muro
vicino alle luci. Verranno a trovarci i ricci, i ghiri, gli uccelli notturni, forse la faina e la volpe.
Speriamo però che non si faccia vedere il cinghiale: per noi sarebbe un disastro..." "Certo, mia cara,
siamo proprio fortunati ad essere nati qui. So che nelle città le povere pianticelle vivono in piccoli
vasi sui davanzali, tra frastuono e inquinamento. Per questo gli umani vengono qui ogni estate, per
essere vicini a noi, vicini alla natura; Ti ricordi quando nella casa tornava ogni estate la Bambina?
Era una bambina speciale, ho sentito la mamma dire che era "autistica". Non so bene cosa significhi
(queste sono cose da umani), ma ricordo che stava volentieri con noi, ci osservava con amore, così
come faceva con il cane e con i gatti. La vite della pergola, che arrivava sotto le finestre e sentiva i
discorsi della famiglia, mi raccontava che, al mercato, la Bambina non chiedeva giocattoli, ma solo
fiori e piante." "E' vero, quando passava vicino a me, carezzava i miei fiori per aspirarne il profumo,
incurante dei bombi che mi ronzano sempre attorno... Poi, un'estate, l'abbiamo attesa a lungo, ma da
allora non si è più vista." "Quanti ricordi, cara lavanda! Ma ora sono stanco e vorrei riposare. Ti
auguro una felice notte." "Sogni d'oro, vecchio ulivo, ma dimmi ancora una cosa: che ne sarà ora
della Bambina?" "Sono passati tanti anni, la Bambina sarà ormai adulta e la sua vita non sarà facile,
ma nel suo cuore ci sarà sempre un posto per noi e ci vorrà sempre bene".
Da un vaso al bicchiere
257
di Edda Daniela Curioni
Che nostalgia, mi mancano le mie montagne e il torrente che scorreva vicino a me. E sì perché io
sono nata in una valle della Bergamasca, spontanea e libera finchè il proprietario di questo terrazzo,
un bel giorno o meglio brutto, passando vicino a me ha esclamato a gran voce il mio nome che
neppure conoscevo, Menta Piperita, e dopo avermi annusato alcune foglie, ha deciso di portarmi giù
in città. Così mi ritrovo qui in una grossa fioriera ai piedi di una rosa un po’ snob dai bei fiori
cangianti ma piena di spine che mi pungono quando cresco in altezza perché anche se il clima qui di
Milano non è certo quello dei miei monti mi sono adattata così bene che mi sono più che triplicata.
Risultato che da pianta aromatica sono stata declassata da lui, il proprietario del terrazzo, a
infestante e di tanto in tanto vengo estirpata senza pietà con il pretesto di non far soffocare la rosa
che per la verità mi sta diventando un po’ antipatica. Nelle fioriere che ho intorno ci sono molte
altre piante che non conosco e che non ho mai visto perché su da noi in montagna non ci sono, tutte
rigogliose, belle e alte che non mi degnano neppure di uno sguardo e io pertanto non do loro
confidenza. Tutte le sere alla stessa ora piove, così ha deciso lui. Per la verità non è vera pioggia ma
uno sgocciolamento da un tubetto nero che fa sì che queste temperature torride non mi secchino.
Come rimpiango la rugiada delle mie parti. Le giornate passano così tutte uguali e monotone, ma
quando lui organizza la festa con i suoi amici allora sì che divento la vera protagonista del terrazzo
perché sono l’unica ad essere scelta in tutti i bicchieri di mojito. Mi inebrio, mi gira la testa , mi
raffreddo e mi sento tutta rotta ma è pur sempre la mia vita, una vera vita di Menta.
(P)Arte in causa
258
di Cristiana Bosco
Una singolare agitazione anima “Settimio Severo” e un “Magistrato romano”: dall’alto dei loro
cippi funerari, le marmoree sculture dominano la doppia rampa di scale intorno al “Bacino del
Nettuno” che raccoglie le acque d’irrigazione dello stupendo giardino all’italiana di Boboli in terra
toscana. Il “Severo” è indignato: innumerevoli e sempre più riprovevoli sono gli abomini ai danni
delle opere del Patrimonio Culturale del Bel Paese, oggetto di vandalismi, depredazioni e
mutilazioni senza precedenti. - La civiltà, onorevole Magistrato, ormai è solo una bella definizione
enciclopedica! Non c’è più rispetto neanche per il proprio Passato, per la propria Storia! Le Leggi
poi! Vi siete tanto dati da fare per formulare il bellissimo articolo 9 della Costituzione … e guardi
che risultato: tante, troppe esecrabili violazioni! - Egregio Settimio, sapesse quanta rabbia provo io
e in che stato di frustrazione mi sento per tutto questo! Cittadini ingrati! … e non solo italiani, badi
bene! E sa cosa c’è alla base? L’ignoranza! Sì, proprio l’assenza di conoscenza del valore di ogni
forma di Bene che il Paesaggio, la Storia e l’Arte hanno prodotto! Questa conoscenza – ahimè! –
non nasce con l’uomo, ma deve avvenire tra i banchi di scuola! L’insegnante consapevole deve
sottolineare l’importanza del rispetto assoluto e incondizionato di un Patrimonio che non è solo
dell’Italia ma dell’Umanità. “Deturpare un Bene significa ferire la Nazione, in quanto Sua
immagine nel Mondo!”, questo il severo monito didattico! E a tal fine proporrei di seguire la teoria
dello statunitense Howard Gardner, psicologo cognitivista nonché studioso di diverse forme di
apprendimento dell’Arte: “education people” e “museum people” devono lavorare in sinergia per
sensibilizzare le giovani menti in formazione e coinvolgerle nel processo cognitivo in cui le libertà
di pensiero e di coscienza non possono prescindere dal rispetto del Patrimonio Culturale come Bene
di tutti e per tutti.
Abito al piano rialzato di un condominio con una ventina di appartamenti. La distanza dalla strada è
poca e il terrazzo ha le sbarre (andrebbero riverniciate, ma questo discorso lasciamolo stare!). Il sole
ci batte per poche ore e proprio davanti ferma un autobus, quindi poche piante resistono, soprattutto
quelle grasse che fanno i fiorellini gialli. E poi ci sono io, il tronchetto della felicità. Ero sul balcone
di una prozia dentro un vaso minuscolo e quando è morta sono stato adottato. Lo credo bene: come
si fa a non adottare un tronchetto della felicità? Quanto a me, mi sono dimostrato grato e in questi
anni ho reso la mamma abbastanza felice; poi però ho cominciato a crescere. Sono cresciuto così
tanto da infilarmi tra le sbarre e salire su. La mia parte più verde e rigogliosa fa adesso capolino al
piano di sopra e chissà chi ci abita, e a chi sto, per così dire, portando felicità. Nemmeno mamma lo
sa. Mi sono accorto che in questo condominio in cui abita da vent’anni non conosce nessuno. Una
signora non più giovane ma con i capelli biondi la incrocia qualche volta mentre aspetta l’ascensore
e ci sono delle gemelline all’ultimo piano che ormai avranno vent’anni ma l’ultima volta che le ha
incontrate ne avevano sette, e un vecchio che non esce più sta al terzo. Ma chi abita al piano sopra
al nostro lo ignora, e si domanda: a chi va a far visita non autorizzata il mio tronchetto? E’ forse
qualcuno che ha bisogno più di me della felicità? Mamma è un po’ gelosa e vuole scoprirlo. Ma
come? Meglio lasciare un biglietto nella cassetta delle lettere, o andare direttamente a bussare? E’
incerta, ma sono sicuro che si farà coraggio, prima o poi. Salirà le scale, suonerà il campanello e
chiederà scusa per l’invasione del suo tronchetto: “A volte le piante sono proprio maleducate” .
Così dirà, proprio così.
ORE 7 Ho avuto freddo, stanotte. Dicono che la pioggia sia una cura di bellezza: sarà, ma mi fa
sentire solo gonfia. I fiori soffrono di ritenzione idrica? ORE 11 Bombo non è ancora venuto; che
stamattina non abbia riconosciuta la sua Bella fra le Belle? Di solito non manca mai: finto distratto,
mi cammina sopra con nonchalance, e intanto scuote ignote polveri dalle zampe. Quando piega i
miei petali col peso del suo corpo mi gira la testa. Mi piace, lui è fatto così: la sua non è cattiveria
ma natura - e contro quella nulla si può fare. Certo, potrebbe calpestarmi con maggior delicatezza
per non lasciarmi segni, ma meglio lui di tanti falsoni. Uno di questi, una specie di principe
francese, ha spezzato il cuore di zia Gertrude.’Sto biondino l'ha intontita di stronzate tipo sono
responsabile per te, vieni qui che ti addomestico...e poi è sparito puf! lasciandola come una rosa di
sale. Se lei avesse seguito la propria natura sai che sferzate gli avrebbe tirato con le spine! Dice la
mamma che profumava come mai nessuna mentre lanciava il suo richiamo, prima che il buio della
clausura impallidisse i suoi petali di fuoco. ORE 15 Ancora non si è visto, non l'avrò mica offeso?
Eppure sono così attenta nel non irritarlo, prima di perderlo per sempre. Oggi manca solo che arrivi
quello schifoso del bruco, buono solo a mordermi e cospargermi di bava: non lo sopporto, è preciso
come un cecchino nel rovinarmi i punti migliori. E dire che il sole caldo mi ha reso un trionfo di
bellezza, assomiglio tutta a mia madre. Che rosa che era: la immaginavi da lontano solo sentendone
il profumo. Ora lei è così sfatta che non assomiglia più a nulla. ORE 18 Mica male i denti del bruco.
ORE 22 Dovevo dar retta a zia Rosalia, come ci sapeva fare! Calda e bianca, si offriva e negava
ondeggiando sullo stelo; solo in ultimo diceva sì al poveretto, dannato ormai per aver spezzato il
cielo di giuramenti. Mr.Bombo proprio non si è visto. Tanto peggio: domani è un altro giorno.
Voci inascoltate
261
di Maria Luisa Lordi
L'uomo è partito e nel giardino ad agosto tutti si sentono più liberi. "Finalmente un po' di quiete e a
quest'ora sta per venire il fresco, il sole cala, era ora!" "Non parlare male del sole" si rizelò la rosa,
rivolgendosi all'albero che aveva rotto quel monotono silenzio, "è lui che ci ha reso tutti così come
siamo". L'albero tacque mortificato, ma in seguito riprese con una infinità di complimenti alla sua
vicina, una splendida rosa antica. "Come sei bella, nessuno può uguagliare la tua grazia, il tuo
profumo, i tuoi petali sembrano fatti di un velluto delicato, spesso vedo l'uomo abbassarsi per
cogliere meglio il tuo profumo quasi a renderti omaggio". "Si- gli rispose la rosa- ma tutto questo
dura così poco. Io vivo l'espace d'un matin e per me è così doloroso morire e dire addio alla mia
bellezza. Tu, invece, vecchio brontolone, ogni anno vai verso il cielo un po' di più, vedi tanti altri
uomini chinarsi su altre rose, puoi vedere nascere e crescere la tua discendenza, spuntare quei semi
che il vento sparge intorno a te". A questo punto entrò nel discorso la farfalla "Ma non dovresti
dormire a quest'ora?" chiese allora l'albero. E la farfalla: " E' agosto, sono in ferie anch'io" e
proseguì contro l'uomo che ossequiava solo la rosa e lei no, "eppure avevo faticato tanto a
trasformarmi da bruco che ero". "E a me chi pensa - chiese la foglia che era rimasta in disparte -
neanche mi guardano e quando ingiallisco e cado, mi buttano via". Allora la statua si smosse dal suo
proverbiale torpore: "Vedete, alla fine la più apprezzata sono io, un pezzo di marmo modellato
dall'uomo, perchè rappresenti nei secoli qualcuno che egli non vuole dimenticare; io possiedo
quell'immortalità che non avete nè voi, nè lui" e tornò al suo drammatico silenzio. Filosofia, pensò
la formica, solo stupide dissertazioni, e con l'enorme peso di cibo che trascinava verso la tana, si
rivolse alle sorelle: "Forza, datevi da fare, questa è l'unica verità che conosco, altrimenti non si
mangia!".
Faccio una vita tranquilla, tranne quando arrivano i gabbiani. Tra gli uccelli i gabbiani sono come
gli irlandesi tra gli esseri umani, rissano e schiamazzano e fanno un gran chiasso solo per divertirsi,
così. Hanno un carattere allegro, vanno in giro in gruppo, i becchi spalancati in quelle loro grida
rauche. Però quassù c'è una certa pace. Un tempo non si riusciva a chiudere occhio, feste e
ricevimenti e un giardiniere chiamato apposta per tagliare i miei rami e le mie belle foglie scure a
forma di cervo o di sirena. A proposito, io sono un tasso. Non il quadrupede, l'arbusto sempreverde
con le bacche rosse che è meglio guardare e non toccare. Mi portò qui un trisnonno dalla Scozia,
una piantina da niente cacciata dentro la sua sacca di cuoio. Ero un regalo per la moglie, Kathy, si
chiamava, una londinese trapiantata a Roma, diceva che le mancavano i giardini della sua città e fu
lei a trasformare questo posto in un giardino sospeso a metri e metri d'altezza. Comunque io mi
sono radicato bene, malgrado il clima. Molto caldo, d'estate. Però quassù c'è vento - un palazzo di
quasi sei piani! - e si può far due chiacchiere. Siamo piante vecchie. Ci chiediamo quello che
succederà, adesso che Joseph è rimasto solo. L'altro giorno c'è stato qui il nipote, un ometto con la
sigaretta in bocca. Vorrebbe convincere suo zio a vendere, ma Joseph un momento dice va bene, il
giorno dopo dice no, non ho promesso nulla. L'ultima volta quello ha perso la testa, si è messo a
urlare. Joseph non si è turbato, si limitava a guardarlo, l'annaffiatoio in mano. Dopo un po' l'altro ha
chiesto scusa, detto che era un momento difficile. Non importa, ha risposto Joseph, capita a tutti di
perdere le staffe, torna che ne parliamo davanti a una tazza di tè: ti ricordi i tè di tua nonna, cascasse
il mondo ogni pomeriggio suonava il campanello e aspettava. Insomma il nipote è andato via, e lui
mi ha lanciato uno sguardo affettuoso. Le mie bacche, era sera ormai, rosseggiavano nel buio.
Dispute in giardino
263
di Elena Accati
Il giardino di Nonno Angelo e di suo nipote Jacopo, in Valle Cervo, si direbbe un posto felice e
accogliente. Piante delle più diverse parti del mondo vivono le une accanto alle altre: ci sono i
Glicini della Cina poco distanti dalle Rose e dalle Clematidi, i Rododendri del Giappone vicino alla
Rudbeckia del Nord America, le Campanule ai piedi del Caprifoglio. Ma, mentre Nonno Angelo e
Jacopo attraversano il grande prato sentono delle grida. -Vattene via! Cosa ci fai qui? Sei uno
straniero tu, vieni dall’Oriente e vorresti usurpare lo spazio a noi originarie di qui, dell’Europa? Io
poi sono una capostipite, ho dato origine a tante altre clematidi belle e colorate bianche, blu
violetto, rosse. Il glicine guarda imperturbabile la clematide. - Che cosa importa che io sia orientale
e tu occidentale? – risponde - Il mio genere ha un nome illustre” Wisteria”, datoci da un
antrolopogo americano. Perché litigare con me? Noi glicini siamo simbolo di amicizia. - Sì, sì tante
belle parole – ribatte la clematide seccata – però noi abbiamo bisogno di luce, di spazio e chiunque
stia vicino a noi deve rassegnarsi a venire soffocato. Così dicendo la clematide allunga i suoi viticci
e comincia ad avvolgere il glicine. - Che storia ! - dice il noce. Chi avrà ragione? Il glicine lì da
dieci anni anche se i suoi antenati sono stranieri o la clematide arrivata dopo, anche se è originaria
del posto? E come andrà a finire? - Andrà a finire – spiega Nonno Angelo – che il padrone della
serra taglierà un po’ di glicine e un po’ di clematide per fare spazio a tutte e due . – Ah ecco –
commenta il noce e aggiunge all’orecchio di Jacopo, con una voce piena di mistero: ‘Lo sai che le
mie foglie, quando cadono emettono una sostanza chiamata Juglone, tossica per tante piante?
Nemmeno a me piacciono gli estranei. Voglio stare da solo! - Che cosa mi tocca sentire! - Sospira
Jacopo- Nemmeno le piante vanno d’accordo . E’ difficile vivere in armonia?
Il viaggio di Cice
264
di Marianna Iacovacci
Cice, a sei anni non conosceva il mondo reale. Il suo mondo era fatto di: giocattoli di plastica a
forma di frutti, giocattoli di stoffa a forma di animali, giocattoli di cartone a forma di fiori. Fino al
giorno della gita dai bisnonni. Cice portò con sé la sua farfalla telecomandata, per non annoiarsi
troppo. “Benvenuti!”- esclamarono i vegliardi al loro arrivo e, abbracciando per la prima volta Cice,
sussurrarono: “Trascorrerai giorni fantastici”. Ma lei non sembrava entusiasta. Oltretutto era stata
leccata da un cane vero e la cosa non le era affatto piaciuta. Cice, giunse in camera da letto:
“Mamma, non dormirò senza la mia lampada-gufo!”. La mamma la rassicurò: “Quando avevo la tua
età sono stata anche io qui a dormire e non sai quanti bei sogni ho fatto”. Cice ispezionò ogni stanza
in cerca di una tv, finché, non trovandone nemmeno l'ombra, s'imbattè in un portone che si apriva
sul giardino. “Chi sei?” Una voce la interrogò. Cice, non vedendo nessuno, non rispose. “Allora?”
La voce misteriosa ribadì. Cice, guardò meglio e vide una farfalla non telecomandata sulla sua
spalla. Incredula si presentò a lei e aggiunse: “Una farfalla vera!” La farfalla svolazzò verso il
giardino e si posò su un cactus. “Piacere!” Irruppe nel silenzio un'altra voce. “Sono un vecchio
echinocactus, ho ben sessant'anni..conosco tua mamma e tua nonna. Era ora che anche tu venissi a
trovarci! Questo è un giardino vivente: qui è tutto vero, nulla è di plastica. Annusa i miei fiori, ti
inebrierai”-“Che belli, posso conservarli?” Chiese Cice. “No, non puoi. Essi non durano che un
giorno, come la vita di una farfalla. Conserveresti petali secchi. Tutto ciò di cui ti sei circondata
finora è eterno, ma qui, in questo giardino, c'è la vita..e la vita non puoi conservarla per sempre”.
Cice avrebbe voluto fare mille domande, ma la mamma la portò via, per la cena. Non parlò della
sua avventura straordinaria e quella notte sognò la farfalla, il cactus e altri abitanti del giardino
incantato.
Il rigoglioso gelsomino si lasciava avvinghiare dal glicine che avanzava attorcigliato al pergolato.
Ma era infastidito dall'aggressività dei germogli che il glicine "buttava" in avanguardia: < Vedi di
tenerli puliti, con sciampo allo zolfo>, lo ammoniva. <Non si accorgono di portarsi addosso
pidocchietti bramosi di linfa. Non ho alcuna intenzione di riceverli, tantomeno con le loro amiche
formiche al seguito>. E sbottava:<Ho già l'assalto di quel cocciuto di oziorrinco che ogni notte ci
prova, tentando invano di scalarmi le gambe: porto calze di lana minerale fino al ginocchio>. La
rosa, vanitosa dei suoi rami che Dany, la padrona del giardino, aveva plasmato formando un grande
cuore sul fronte della pergola, seguiva il flirt con un pizzico d'invidia per il gelsomino e
commentava perplessa con la felce sua vicina di aiuola:<E' una relazione impropria, hanno
estrazioni incompatibili...> La felce obiettava che avevano però un comune pregio: la fragranza dei
fiori. Obiezione che indispettiva la rosa, regina dei profumi:<No..,non può essere che un'avventura,
che a ottobre se ne va..> In effetti l'autunno vedeva il glicine in disarmo: triste per la perdita delle
foglie e bisognoso di letargo, abbandonava l'intreccio col gelsomino e lo lasciava solo a mantenere
un po' di colore nel grigio dell'inverno. Ma la primavera ritorna, il glicine si risveglia pieno di
energia e presto fa pendere dalla pergola i suoi meravigliosi grappoli azzurri e violetti. Poi si riveste
di verde e ricomincia la tresca estiva col tranquillo gelsomino. E' festa nel profumato giardino, le
api e i calabroni svolazzano sul glicine, sul gelsomino e sulla scettica rosa che tutt'a un tratto,
lusingata, vede un paio di bellissimi virgulti del glicine puntare dritti verso di lei... <E' un sogno o è
realtà?> sospira alla felce. <E' un sogno> la disillude con un sorrisetto la felce <che sta finendo con
un colpetto di cesoia>. Quello con cui Dany tronca le velleità dei virgulti e la trepidazione della
rosa.
Il Giardino Ambulante
266
di Nicole Bai
Un giardino segreto passeggiando ho scovato, era proprio lì in pieno centro abitato. "Che strano"
dissi "ci sarà sempre stato?" "Ebbene sì" mi rispose una voce in tono pacato. Non vedendo alcuno a
me vicino sbirciai all'interno di un portoncino. "Entra pure" disse la voce suadente " Vedrai come è
bello, non succederà niente". Il giardino mi apparve da mura isolato da querce cinto e da rami
ricamato; di rose era adorno e di rami di more, là vi erano frutti di mille colori. La voce si fece un
po' più squillante e disse con piglio: " Io sono il Giardino Ambulante, giro molti paesi e grandi città
per far conoscere alla gente la verità: c'è pace e gioia in un verde giardino ed è bello scoprire un
segreto angolino. Purtroppo spesso da cemento si è circondati e si dimentica invece di quanto si è
fortunati a vivere in un pianeta con una così bella natura che va apprezzata e di cui bisogna
prendersi cura". Rimasi sorpresa e un po' preoccupata, possibile esser stata così sbadata? Mi disse il
giardino: " Mi si può trovare solo se si è pronti ad osservare; gli occhi vedono ma non guardano a
fondo e spesso si perdono le meraviglie del mondo". Mi sedetti sbigottita su di una panchina e
ripensai al tempo in cui ero bambina. Mi fermavo spesso a raccogliere fiori, mi emozionavo
d'autunno davanti a delle foglie i colori. " Mi son persa" dissi un po' triste al giardino " sei sempre
stato a me così vicino. D'ora in avanti non ti dimenticherò anzi tutti i miei conoscenti informerò.
Vedrai verremo sempre a salutarti e presto con me ce ne saranno molti altri". " Non vedo l'ora che
mi veniate a trovare" disse il giardino con fare gioviale. Da quel momento ascolto gli uccelli e le
farfalle volare; sento delle rose il profumo e mi faccio trasportare. Allora, avanti aprite gli occhi e il
vostro cuore perché se osserverete un po' da vicino troverete anche voi il segreto giardino.
La luna pigrava già pronta per il suo tranquillo sonno quando all'improvviso senti un gran baccano;
una piccola stella di tutte quelle che le tenevano compagnia nella notte limpida comincio a strillare
e a puntare una delle sue piccole dita verso il buio della terra che girava pacifica sotto di loro
coperta dal buio della notte. Il baccano della stellina divenne sempre piu' forte e fastidioso perche'
all'improvviso tutte si erano unite nell'indicare un piccolo occhio argenteo che splendeva sotto di
loro e dal quale salivano suoni incantevoli. La luna pur non avendone troppa voglia dovette
inforcare la sua lente di ingrandimento e forzandola precipitosamene tra il sopraciglio e la palpebra
comincio a fissare il piccolo punto argentato.Ecco!! ora vedeva per bene... un esercito di puntini che
prendeva forme di piccoli animali dei boschi e insetti di tutti i tipi suonavano trombette e ballavano
tenendosi l'un l'altro al chiarore diffuso delle piccole amiche lucciole che svolazzavano caute tra
loro ridendo e con piccoli strumenti ognunodi loro mandava note delicate che si spargevano nella
sera... La luna non credeva proprio a quello che vedeva e visto l'entusiamo delle stelle intorno a lei
che cominciavano a spingersi l'un l'altra per poter partecipare a quella festa improvvisata , e alcune
a furia di spingersi cominciavano a cadere e a perdere il loro antico equilibrio, dovette cominciare a
pensare a dover anchessa intervenire. Ma la luna di natura un po' pigra guardava che anche le rose
intorno a quella macchia d'acqua avevano cominciato una piccola danza muovendo delicatamente le
loro piccole testine spingendo in alto un delicato profumo... E la luna pensava, ma a furia di pensare
non si era accorta che la luce diventava sempre piu' intensa, le stelle si erano ormai ritirate e lei
stessa stava diventando sempre piu' pallida. L'incanto della notte era sparito ....Ora era arrivato il
sole e sotto tutto aveva preso il solito posto....
Il bruchino
268
di Rita Marchegiano
C’era una mamma-bruco che si compiaceva del suo bruchino, ma temeva che si cacciasse in ogni
sorta di guaio, giacché era piccolo e irrequieto. Un giorno lui fece il suo fagottino e disse addio alla
mamma. Lei poverina, tutta ansiosa e tremebonda, gli raccomandò: “Giuanìn (lo chiamava così, ma
il suo nome era Giovannino), sta attento a non mostrarti troppo, striscia sotto le foglie e, appena
puoi, nasconditi”. Lui voleva comunque conoscere il mondo e correre sulle sue gambe; cammina
cammina, avvistò un bell’albero in un grande giardino. Dai rami pendevano delle palline rosse,
attaccate a peduncoli. Lui non lo sapeva, ma erano delle ciliegie, polpose e rosse, proprio appetibili.
Strisciò su un ramo e si annidò in uno di quei frutti, così gustoso che se lo mangiò tutto in un baleno
e così via, succhiando la polpa di molte altre ciliegie, diventò in breve tutto rosso come loro. Ogni
volta le svuotava lasciando intera soltanto la buccia. Dall’interno di una di esse, una volta ben
saziato, intravide una luce e si incuriosì, cercò di uscire, anche se la sua mamma gli aveva
raccomandato di stare sempre attento a non mostrarsi all’aperto. Invece lui si slanciò fuori e finì,
poveretto, su un ramo dove se ne stava appollaiato un pettirosso: in un lampo lo avrebbe divorato se
non avesse esitato nel vederlo così rosso e gonfio. Il bruchino non aveva ancora capito che ogni
animale grande si nutre del più piccolo e cercava di parlare con lui, chiedendogli perché avesse il
petto così rosso e non vedendo sé stesso altrettanto colorato. Il pettirosso glielo fece notare e il
bruchino osservò: “Forse siamo parenti, magari alla lontana!”. Ecco che con queste parole aveva
insinuato il dubbio nel pettirosso, che non ebbe più cuore di mangiarselo. Fu così che Giovannino
fu salvo, ma dovete sapere che gli ingenui non sempre se la cavano a buon mercato.
La luna pigrava già pronta per il suo tranquillo sonno quando all'improvviso senti un gran baccano;
una piccola stella di tutte quelle che le tenevano compagnia nella notte limpida comincio a strillare
e a puntare una delle sue piccole dita verso il buio della terra che girava pacifica sotto di loro
coperta dal buio della notte. Il baccano della stellina divenne sempre piu' forte e fastidioso perche'
all'improvviso tutte si erano unite nell'indicare un piccolo occhio argenteo che splendeva sotto di
loro e dal quale salivano suoni incantevoli. La luna pur non avendone troppa voglia dovette
inforcare la sua lente di ingrandimento e forzandola precipitosamene tra il sopraciglio e la palpebra
comincio a fissare il piccolo punto argentato.Ecco!! ora vedeva per bene... un esercito di puntini che
prendeva forme di piccoli animali dei boschi e insetti di tutti i tipi suonavano trombette e ballavano
tenendosi l'un l'altro al chiarore diffuso delle piccole amiche lucciole che svolazzavano caute tra
loro ridendo e con piccoli strumenti ognunodi loro mandava note delicate che si spargevano nella
sera... La luna non credeva proprio a quello che vedeva e visto l'entusiamo delle stelle intorno a lei
che cominciavano a spingersi l'un l'altra per poter partecipare a quella festa improvvisata , e alcune
a furia di spingersi cominciavano a cadere e a perdere il loro antico equilibrio, dovette cominciare a
pensare a dover anchessa intervenire. Ma la luna di natura un po' pigra guardava che anche le rose
intorno a quella macchia d'acqua avevano cominciato una piccola danza muovendo delicatamente le
loro piccole testine spingendo in alto un delicato profumo... E la luna pensava, ma a furia di pensare
non si era accorta che la luce diventava sempre piu' intensa, le stelle si erano ormai ritirate e lei
stessa stava diventando sempre piu' pallida. L'incanto della notte era sparito ....Ora era arrivato il
sole e sotto tutto aveva preso il solito posto....
La saggia Quercia.
270
di Alice Locatelli
Sono qui da molti anni, saranno almeno cento, dopo un pò ho smesso di contarli.. Ho visto amori
nascere e finire appoggiati alle mie solide radici, ho visto amori di una notte e amori di una vita,
amori teneri, amori violenti. Lacrime e risate, ho cercato di proteggere questi amori con le mie
possenti braccia, con i mie rami ho donato ombra ai baci rubati, a baci lunghi un' intera notte, baci
d' addio o baci dati all' alba tra amanti silenziosi. Ho osservato gli innamorati da questa postazione
privilegiata, mi piace tutto di loro, gli sguardi pieni di scintille, le mani che si sfiorano veloci come
un' impalpabile scossa elettrica, le parole dette a bassa voce, come se avessero paura che qualcuno lì
sentisse. Quanti amori sono passati di qui, e io lì ho osservati tutti, volevo capire, comprendere
questo sentimento che fa perdere la testa agli uomini, lì rende migliori e quando finisce lì lascia
straziati pieni di odio e dolore. Le cose belle finiscono, ma l' uomo non sa apprezzare il tempo che
gli viene donato, aspetta un domani che forse non ci sarà. Tutti gli uomini innamorati che sono
passati di qui temevano il domani, come se fosse un' antica mostruosità mitologica pronta a farci
cambiare direzione da un momento all' altro.. Ma se io avessi la parola, ah se io l' avessi anche solo
per pochi istanti direi a tutti questi innamorati " Il domani non finirà, il domani lo costruiamo oggi."
Famiglia Lux
271
di Marta Questa
La famiglia di lucciole Lux da generazioni durante le sere d' estate aveva il compito di illuminare il
giardino di una villetta poco lontano dal mare. Un habitat a loro idoneo per la scarsa illuminazione
artificiale e la mancanza di pesticidi. L’ estate non era ancor iniziata quando una mattina le lucciole
furono svegliate di soprassalto dalla coloratissima Lavanda: “Presto alzatevi. Ci sono insoliti rumori
che sembrano provenire dalla strada”. Uscirono e videro un gruppo di uomini che stavano
sollevando a fatica due alti lampioni in vista di emanare una Luce cento volte superiore alla loro. La
temuta Luce Elettrica, anche in tempi recenti aveva costretto molte famiglie di Lucciole a trasferirsi
in altri luoghi, perché senza lavoro e minacciate dall’ inquinamento luminoso per la loro
riproduzione. L’ altero Ibiscus ebbe subito un’ uscita decisamente poco felice: "Non potete
continuare a vivere qui come semplici ospiti. Dovete al più presto allontanarvi". Ma come
abbandonare tutti gli amici: le nere Formiche, le Farfalle che, è vero, all' inizio avevano molta paura
di loro, scambiandole per piccoli fuochi, che avrebbero potuto bruciare le loro belle ali, ma che ora,
invece, volavano vicino con tanta familiarità. Che cosa dovevano fare? Leila fu la prima lucciola ad
esprimere la sua idea: "Alcune isole lontane sono ancora sprovviste di Energia Elettrica e Lucciole
come noi vengono addirittura pagate per illuminare le case e le strade anche in qualità di Pubblici
Ufficiali." Suggerì l’ Oleandro - Perché non volate in cielo a formare nuove Stelle? Non sono forse
simili a voi?" I signori Lux ascoltavano in silenzio, quando fece capolino un Vermicello che sicuro
di sé disse: "In Cielo vi sentireste sicuramente a disagio al confronto delle Stelle più luminose di
voi. Non andate lontano. Guardatevi attorno. A pochi isolati da qui c' è uno spazio ancora non
illuminato che aspetta voi.” Decisero di seguire il consiglio del Vermicello e trascorsero una
piacevole estate.
Odore di umido, di fango, di marcio. L’aria pesante, il caldo soffocante Non senti? Non ti accorgi?
Davvero le tue foglie turgide e lisce non sentono quest’oppressione, non si rigano di queste gocce
viscide come sudore? Sei così candida, pochi preziosi petali che nascondono spruzzi di mari e
tramonti. Un ramo sottile e bruno che sembra forgiato da uno scultore antico. Impassibile. Immobile
come le tende di sete e velluti dei salotti che conoscerai. Eppure non vieni da lontano? Ah sì, è vero,
hai fatto un lungo viaggio, ma allora ci sei abituata? Sei nata sotto piogge incessanti, giungle
sconosciute, foreste aggrovigliate di suoni primitivi e misteri nuovi. Educata. Ora hai imparato a
non respirare. Hai conquistato il tuo posto e non vuoi tornare. Ora sei qui Vieni da mondi sfiniti che
si svuotano come tasche sulle periferie delle città veloci e straripanti Io no. Io invece lo sento questo
puzzo diverso, sporco. Si aggrappa sui miei aghi affilati ed esperti, che sanno brillare al sole,
profumare al vento. Lo sento, eccome, questo odore sconosciuto. Non respiro, mi manca l'aria.
M'immagino ad osservare quelle cime, in un bosco assolato. Qui tutto è ben curato, mi irrigano,
potano i miei rami. Ma io ho bisogno di sole tiepido, d’aria fresca… Io sono di qua, vivo nella
brezza ossigenata, nel terreno forte e conosciuto, nella libertà di cieli tersi e silenziosi. Resisterò.
Non devo nemmeno lottare, né sfuggire. Tra un po' riapriranno le porte della serra, l’estate è
iniziata, e tornerò a respirare, a nutrirmi di neve e terra buona. Mi porteranno poco distante da qui,
dove la mia linfa scorre da millenni. Porteranno via anche te. Potrai vivere. Nessuna pioggia, nessun
rumore d'armi né suono feroce. Rinchiusa dove non conosci. E non ti muoverai, in vasi d’argento e
ceramiche lucenti, tra luci soffuse, accanto ai cuscini lavati ogni mese sulla chaise longue di pelle
bianca. Pulita e composta. La tua linfa scorre altrove. Dove non puoi più tornare.
La fontana
273
di Clizia Anna Sala
Tic, tic, toc. Un discorso cristallino, ma nessuno sembra avere più un secondo per fermarsi a
prestare attenzione. Se lei solo mi ascoltasse… Tic, Tic, toc. Eppure di storie da raccontare ne avrei.
Una vecchia panchina, incontri fugaci, segreti di bambini, chiacchiere di signore bene.Tutti prima o
poi passano da me, chi per rinfrescarsi la fronte, chi per placare la sete. In questo fazzoletto di verde
smeraldo ci sono da tempo immemore, eppure li ricordo tutti, uno a uno. Una volta però era diverso.
Io sussurravo il mio scrosciare e loro, gli uomini, mi capivano. Prendevano tempo per farlo, quando
il tempo non era dittatore, ma consigliere. Se solo alzasse il viso da quello schermo ipnotico
saprebbe che lui è tornato a cercarla, dopo. Sentivo, lontano, due anime rincorrersi inconsapevoli.
Lei, disillusa e rassegnata; lui, col pensiero ancora alla scrivania. Bruciavano i loro affanni in
goccioline di sudore, entrambi nella speranza di sentirsi vuoti, dopo. Sempre più vicini, ancora
inconsapevoli. Però, tutti prima o poi passano da me. Una danza imbarazzata di precedenza. "Prima
tu". "No, prego, prima tu". Una lunga sorsata d’acqua e uno scambio d’occhi, timido, leggero. Gli
occhi neri di lei, le mani forti di lui. Ghiaia che scricchiola sotto ai piedi. Ero certa che sarebbe
tornato. Eccolo, si affanna percorrendo lo stesso tratto - su e giù come una pallina impazzita. Sarà
qui? No, non verrà. Ghiaia che scricchiola nuovamente di passi lasciando il tempo a farsi beffe di
due anime. Lui, speranzoso; lei, disillusa e rassegnata, la sento arrivare poco dopo. Tic, tic, toc.
Cerco di attirare la sua attenzione, più forte che posso. Un istante poco dopo il mio ultimo,
fragoroso "toc", ripone il telefono nella tasca e alza gli occhi verso di me. Ed ecco, lo squarcio di
immagini che ferisce l’abitudine: la fontana, la danza, gli occhi di lui. Per fortuna basta ancora un
solo secondo, come quando gli uomini sapevano ascoltare il mio scrosciare.
Sogno o realtà
274
di Paola Pelagatta
Il fresco e il profumo puro di un giardino in montagna ad Agosto è impagabile, per voi umani. Per
me, giovane pinetto, può essere frustrante. Abito in un piccolo giardino di una casetta, frequentata
solo ad Agosto e a Natale, mi sento insignificante, così vicino alla grande pineta e a tutti quei pini
maestosi. Sono in compagnia di un nano noioso: proprio Brontolo dovevano comprare. E' un
continuo: “Io sono il re del giardino”, dice il nano e si rivolge a me così: “Tu sei inutile, non sei
grande per fare ombra, non hai neanche un fiorellino colorato, solo aghi, a cosa servi?” Nel giardino
non sono considerato, neanche dagli uccellini, dalle api, dalle farfalle e dai miei padroni, penso a un
giorno quando crescerò e sarò importante anch'io. Non dovetti aspettare così tanto, arrivò il Natale e
gli umani tornarono, mi riempirono di luci e mi misero una bella stella luminosa sul capo, come una
corona. Ero bellissimo, ero il re di tutto il quartiere; la luce in mezzo al buio della vicina pineta e
delle case, abitate solo d'estate. Rappresentavo la speranza, il calore e il Natale stesso. Che onore!
La soddisfazione più grande è che quell'antipatico nano finalmente sta zitto sotto la coltre di neve.
Sarà un sogno... “Tiratemi fuori, voglio vedere anch'io...”
Locus Amoenus
275
di Emma Boccato
Quando il sole cala, quello è il momento più bello. Il tramonto dona una luce diversa ad ogni cosa,
un alone di magia e sogno. In quegli attimi è come se tutto il mondo si fermasse, incapace di
distogliere gli occhi. Attraverso un varco nella siepe, si vedono le trasformazioni dell’orizzonte: il
cielo si tinge di rosso, il sole sembra una palla di fuoco la cui forza aumenta mentre muore. Intorno
le nubi sono fiamme che colpiscono tutto, dalle sedie alle statue, che prendono vita: il marmo
diventa più caldo e loro sembrano pronte a scendere dai piedistalli per passeggiare. Le vedo davanti
a me: ai piedi della scalinata, si salutano con inchini, come provenissero da epoche lontane. Si
avviano parlottando, ammirando l’attenzione con cui i giardinieri si prendono cura di ogni fiore. Si
fermano in prossimità di un laghetto, dove un ponte alla giapponese permette di passare da una
sponda all’altra tra le fronde degli alberi e si sporgono dalla balaustra ad osservare i pesci che
sguazzano tra le ninfee, mentre il sole si riflette sulla superficie. Sui loro volti noto, però,
un’espressione triste mentre guardano oltre la siepe: immaginano cosa possa esserci all’esterno del
giardino. Questa domanda affligge tutti noi, chiusi qui, ma io credo di essere più fortunata di altri.
Ogni giorno i padroni della villa ed i loro ospiti cercano ristoro sedendosi su di me, la panchina dai
cuscini ricamati, sotto la grande quercia. Allora io mi sveglio, ascolto le conversazioni, i racconti
delle feste in città, ogni dettaglio che possa farmi uscire almeno con il pensiero dal giardino. Ogni
piccolo particolare ed ogni parola sono per me come una boccata di libertà. Le statue si stanno
avviando alle loro postazioni, il sole si è addormentato ed il cielo sta schiarendo. I colori vivi hanno
ceduto il posto al rosa, residuo della magia avvenuta. Tuttavia non dovete pensare che questo
evento sia a lungo andare noioso, si vede di rado, quando il tramonto è davvero dei migliori.
Non sogno,sono sveglia,attenta e di ottimo umore.Quando mi incammino per le vie del mio
giardino,i colori,le forme,le difficoltà che incontro nell’attraversare i vicoli mi rendono felice.Sono
sempre più curiosa,mi fermo,osservo,odoro e chiamo le mie piante.I miei fiori,le mie piante,quelle
attorno alla mia casa,mi svegliano,mi accolgono,mi trasmettono emozioni nuove ogni mattina.Il
mio giardino non finisce attorno alla mia casa,ma continua per i muretti,si interseca nel giardino
circolare,si dirama fin sulla vetta della mia collina.Il mio giardino è fatto:di ibiscus,di pochi
geranei,poche piante grasse ma tanti alberi:ulivo,ghiande,carruba,canne,pini,alberi da
frutta,melograno,vite e capperi.La fioritura dei capperi incomincia a maggio e finisce ad agosto.Il
fiore di cappero mi accompagna da una vita;tutta la mia vita cioè da 65 anni.Mi comunica emozioni
che gli altri fiori non riescono a darmi.Gli occhi di bambola sono belli,di un color rosa venato di
bordeaux,mi fissano e richiamano il sorriso della mia nipotina.I capperi sono diversi,quando i loro
fiori si spengono,rimangono le bellissime foglie verdi e quando anch’esse si asciugano e sembrano
morire,c’è il loro frutto che nelle pietanze mi richiamano la mia terra:se chiudo gli occhi,rivedo
distese di piante di capperi in fiore,che con il loro colore di rosa sbiadito emanano un profumo che
forse solo io definisco bello,forte,intenso,speciale.E’ il sapore della mia isola Pantelleria,che io
definisco il mio giardino.Chi parla più a lungo con me sono gli alberi di carrubo e di ghiande.Il
carrubo mi sorride e dice “Mi muovo lentamente anche se spira vento forte,sono solido,le mie radici
sono attaccate alle pietre della tua kuddia,nessun vento mi strapperà da qui,proprio come nessuno
riuscirà ad allontanare te dalla tua bella isola”.L’ albero di ghiande si associa al dialogo “Tu da
vecchia sosterai sotto la mia ombra,ci vedrai crescere e lascerai in eredità un bel viale alberato ai
tuoi nipoti”.
'U ficupalu
277
di Laura Lanza
’U Ficupalu L’opuntia ficus-indica, comunemente fico d’India era noto in Sicilia, come ’u ficupalu.
Da anni risiedeva in una grande terrazza romana, relegato in un vaso che sarebbe stato piccolo
anche per una famiglia di violette. Viveva di ricordi: la vista del mare, il calore del sole rovente, il
profumo di zagara, il muro a secco sempre disposto a sostenerlo. Qui tutto era diverso. Con le altre
piante non c’era dialogo. A parte i tulipani, che parlavano tra loro un oscuro dialetto fiammingo,
tutte avevano adottato il dialetto locale; anche la delicata margherita che spesso si rivolgeva al
giardiniere con un “morammazzato!” ’U ficupalu si era escluso da ogni conversazione. Ogni tanto
scambiava due parole con la pianta d’agave del giardino vicino. Una sera questa gli aveva
confidato: “sto per fiorire, poi morirò”. E dopo aver partorito il suo altissimo fiore, si era spenta
senza un lamento. Da allora il fico d’India si era rassegnato al silenzio. Caparbio com’era aveva
deciso che sarebbe sopravvissuto alla solitudine, al clima umido, all’incuria del giardiniere. Era
spuntato il suo primo fiore: piccolo ma di un bel colore giallo arancio. Aveva ripreso a sperare: a
fine agosto, forse, avrebbe potuto dare i suoi primi frutti. Nell’ultimo mese c’erano state visite:
persone sconosciute che discutevano dell’importanza di uno spazio esterno in un quartiere privo di
verde. Poi il trasloco: le panchine, le sedie, i tavoli, i nanetti da giardino erano stati portati via. Ora
toccava alle piante. - Questa rimane qui – aveva detto il giardiniere – Era rimasto solo. Non era più
tanto sicuro di sé. I nuovi inquilini erano arrivati. Una donna, impegnata a sistemare le nuove
piante, si era avvicinata: - E tu c’a ffari in un vaso tanto nico? Aora ti sposto au sule, appoi domani
ne cerchiamo uno ciù ranne (E tu che puoi fare in un vaso tanto piccolo? Ora ti sposto al sole e
domani ne troviamo uno più grande). Forse c’era ancora speranza.
Noi siamo le più forti arrampicatrici del terrazzo! Io, la Vite del Canada, con i miei meravigliosi
colori autunnali, riesco a salire anche senza sostegno fino ad affacciarmi sul tetto. Ma appena arrivo
alle finestre in alto mi fanno scendere, si lamentano perché arrampico troppo veloce!Tu, Glicine,
con il tuo colore delicato, saresti capace di salire con me e invece, no, ti tengono giù a coprire il
terrazzo. Bello questo terrazzo, una sorpresa nel cortile di una vecchia ed elegante casa del centro di
Milano.Da quanto tempo siamo qui?Mah, da tanto, almeno sessant’anni!Qualcuno può pensare, che
noia! Sessant’anni qui, a salire e scendere dai muri, a crescere e rimpicciolirsi, a perdere i fiori e le
foglie e poi ritrovarli. Eppure tu ed io in questi anni abbiamo visto e condiviso quanto accadeva sul
terrazzo e in casa, come testimoni muti. Per loro siamo muti ma anche noi parliamo:quando non
cresciamo, quando facciamo pochi fiori, allora vuol dire che qualcosa non va. Quando le nostre
foglie sono più luminose e i fiori più profumati, vuol dire che qualcosa di bello è successo, che
approviamo. Ti ricordi quando le bimbe saltavano dalla finestra del bagno sul terrazzo rischiando di
cadere in cortile? siamo state noi muovendo forte le foglie a richiamare l’attenzione, non le grida
della signora del terzo piano. E quando la ragazza studiava, seduta in terrazzo, scrivendo su una
logora gonna grigia le parole e le formule più difficili, noi sospendevamo i rumori e tu facevi sentire
forte il tuo profumo per dirle va bene, continua così. E adesso che la signora anziana che ci curava
non esce più e ci osserva dalla casa, adesso che la bambina-ragazza-ora donna viene in terrazzo e si
guarda intorno come per ritrovare e rinchiudere in quel gesto tutti gli anni passati, noi siamo qui, io
con le foglie più lucide, tu con i fiori più profumati per dire che lo sappiamo, la vita è così ma noi
saremo sempre qui a racchiudere e a tramandare i ricordi: basta capire il nostro linguaggio!
Il giardino di Atos
279
di Daniela Rondine
Gli alberi grandi e maestosi cominciavano a far spuntare le prime gemme, i più coraggiosi
mostravano già i loro candidi e profumati fiorellini, bianchi, rosa, di infinite sfumature. Il prato si
stava trasformando in un luogo magico, l’erbetta fresca e tenerina si era riempita di una moltitudine
di margherite bianche. “Quanti ricordi”, sussurrò la piccola fatina di bronzo che, con grazia e
maestria, era stata posizionata lì, a cornice della fontana del giardino, da un sapiente fabbro. Da
tempo nessuno passeggiava più in questo giardino. L’acqua aveva cessato di scorrere all’interno
della fontana che, insieme con Atos, il saggio, solenne ciliegio, era stata testimone di tanti momenti
di amore, gioia e felicità. Di colpo, in un batter di ciglia, un canto dolce e armonioso avvolse il
giardino. “Siamo arrivate, guardate! Questo è il luogo!”, dissero in coro mille farfalline dorate.
All’udire quelle voci gli alberi, e tutti gli esseri di quel luogo incantato, alzarono lo sguardo.
Immenso fu il loro stupore: delicate e leggere farfalline dorate si stavano appoggiando sui rami del
fiero Atos. Incredule si stropicciarono gli occhietti e subito il ciliegio si illuminò di luce dorata.
“Ben arrivate!”, esclamò a voce alta Atos. “Vi stavo aspettando”. Una tra loro si fece avanti e disse:
“Mi chiamo Rafael, veniamo da molto lontano, abbiamo udito il tuo richiamo d’amore, il tuo canto
notturno è giunto a noi; sei stato una fedele sentinella per questa Terra e ora desideriamo ridar vita a
questo luogo con te. Siamo in tante, ci piace giocare, creare e conosciamo infiniti segreti e magie.
Vedrai che, presto, in questo giardino un tempo amato dall’uomo, arriveranno tanti bambini. Sono
loro il futuro del Mondo, poiché essi sanno ascoltare con i loro cuori puri e sinceri i messaggi
d'Amore, sanno affidarsi all’istinto . Non temono nulla. Dal loro forte e dolce abbraccio fluirà
nuova Vita”. “Che le avventure abbiano inizio!”, esclamarono tutti insieme in un canto di gioia.
Ogni giorno in tutti i giardini del mondo IL SOLE - Hey ragazzi! Vi va di fare La Gara!!! IL
PRATO - … Oggi l’abbiamo già fatta 10 volte da quando ci siamo svegliati! LA MARGHERITA -
Si hai ragione …. Basta! Poi stamattina ci hai svegliato più presto del solito siamo stanchi. IL
SOLE - Ma ragazzi! Lo sapete! Non è colpa mia! È arrivata l’estate è inevitabile che vi svegli
prima! Invece La Gara tra di noi per spiegare al mondo quanto è bella la natura e perchè bisogna
difenderla, va fatta ogni giorno... LA FARFALLA - Usi sempre la scusa delle stagioni! Svegliatevi,
è estate. Svegliatevi, è primavera! Rinnovati! LA LUMACA - Hey ragazzi! Guardate! Là nella
fontanella! Quella signora sta per bere la nostra amica ACQUA. LA MARGHERITA - Presto,
Dobbiamo aiutarla! IL PRATO - Io sono incollato per terra non posso fare nulla per lei! IL SOLE -
Ho un'idea: io potrei andarmene. Così al buio, la signora non riuscirebbe a bere. LA FARFALLA -
Già, e poi senza luce come facciamo? Io potrei svolazzarle intorno e distrarla con i miei colori. Di
solito con gli umani funziona... Mi disprezzano quando sono bruco, poi quando cresco si accorgono
di quanto sono bella. Che miopi che sono... IL FUNGO - Tranquilli ragazzi, mi sacrifico io. IL
SOLE - Non mi sembra una grande idea. La nostra amica ACQUA si salverebbe ma tu finiresti
arrostito IL FUNGO - Lo so, ma non importa. L'ACQUA ha dato la vita a tutti noi. Le dobbiamo
tanto, senza di lei nessuno nel giardino resisterebbe, ricordatevelo.... LA SIGNORA - Basta basta,
ragazzi. Non affannatevi. Ho sentito i vostri discorsi, e ho capito la vostra paura. Voi del giardino
siete creature splendide. E soprattutto siete generose, e pronte a sacrificarvi per il bene degli altri.
Magari le persone nel mondo fossero come voi.... Mi avete commosso, e per questo anche se ho
tanta sete, oggi non berrò la vostra amica acqua. Vi voglio bene, addio. racconto scritto da mia
figlia: Ludovica Caprotti, nata a Milano il 21 gennaio 2002,
Lo so, posso essere il più crudele, ma anche il più tenero amico dei fiori. Quando li sferzo, nelle
fredde giornate d'inverno, facendo cadere i loro ultimi petali, tremano anche le spine sullo stelo
della rosa e sgualcisco, senza pietà, le foglie più delicate. Ho un'unica scusa: me lo impone la
natura, eterna coreografa della danza della vita, per spargere i semi e deporli sulla terra per una
nuova vita. Ma soffro anch'io a spogliare le tenere primule, le solari margherite, i delicatissimi
papaveri. All'inizio della primavera, però, quando mi presento, appena riscaldato dal sole, tiepido
come il biberon con il latte per un neonato, canto al giardino il risveglio della vita e mi insinuo
dolcemente fra i primi boccioli, sfiorandoli delicatamente. Provo un brivido di assoluto piacere,
quasi di felicità. Come raccontare la morbidezza dei petali? Ad occhi chiusi, potrei dire a chi
appartengono: elasticamente flessuoso il tulipano, languidamente scivolosa l'orchidea, timidamente
delicata la violetta, regalmente vellutata la rosa. So anche giocare con il sole, per rendere più belli i
loro colori: i fiori lo sanno. E non è vero che stanno fermi. Quando sentono che arrivo, i più
vanitosi, si aprono per assorbire il tepore della luce, per apparire più seducenti. Ma, soprattutto, io
sono il vero, unico, impareggiabile direttore d'orchestra dei loro profumi. Li so mettere insieme, in
armonia, prevedo gli assolo del calicante, alla fine dell'inverno, del gelsomino, nel cuore della
primavera, del giglio, con il suo intenso odore, a giugno, dell'ultima dalia, ormai in autunno. E poi,
quando viene l'inverno, soffio, sferzo, distruggo tutto. Il giardino si piega e sembra morire. Così, mi
lascio andare al più disperato dei pianti. Piango la fine di una stagione, la fine della bellezza,
dimenticandomi sempre che il giardino sta solo dormendo e la natura, dopo pochi mesi, rinnoverà il
miracolo della rinascita.
L’aria è ferma. Scruta il cielo Nonno Checco. Scuote la testa, neanche oggi pioverà e va verso il
pozzo nell’ angolo dell’orto. Le piante del giardino anche oggi avranno la loro razione d’acqua, in
quest’estate infinta. Le metodiche e pazienti secchiate di Nonno Checco le hanno salvate. L’Alloro,
rinvigorito dall’ acqua incomincia la sua solita solfa: “Siamo belli, ma anche utili…” La
Gambarossa, nascosta dietro il cespuglio di Boungiavillea ed il muro di pietre, dove aveva le radici,
ascolta in silenzio. L’Olivo, che sta li nell’orto da almeno due generazioni, non è da meno. A
Gambarossa piace un sacco il Limone, ma comunicare con Lui è impossibile. Gambarossa, avrebbe
gradito un po’ più d’umiltà. Si, perché il giardino è un’allegra variopinta famiglia di piante di ogni
genere dove Gambarossa campa tranquilla, anche se ignorata dagli altri. “A cosa servi tu?” si era
sentita chiedere più volte. Invano aveva provato a spiegare. Le avevano ricordato che era una
Parietaria e faceva venire l’allergia. A volte sotto la pergola siede Fatima, alle prese con l’italiano
ed i compiti estivi. Mancano pochi giorni al Ferragosto. A Lievantu c’è da anni un grande
Carnevale e Fatima ne è affascinata. Gambarossa non dimenticherà mai quando le chiese di aiutarla
a mascherarsi. Seguirono ore frenetiche di trattative tra la Nonna ed i genitori di Fatima. Infine, un
sì fu strappato. Mariuccia prende una camicia da notte tutta volant. Fatima è perplessa. Ma quando
vede la foto capisce e annuisce. Le piante del giardino assistono curiose. Gambarossa si sente
osservata, Mariuccia le stacca delicatamente le foglie e le appoggia sulla camicia da notte, dove
restano attaccate .Tutti sono stupiti. Gambarossa inorgoglita esclama: “E’quello che cercavo di
dirvi!”. La Nonna le acconcia i capelli con i fiori. Fatima è pronta. E’ diventata una splendida
Primavera del Botticelli ambrata. La festa può cominciare.
Profumo di magnolia
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di Rossella Di Palma
“I like this smell. Is it you? It reminds me of something, Weird, I usually hate perfumes. Sorry, I
can’t find the keys. I think I left them at the gate, over there. You can wait here." “Ehi tu! È
magnolia quel profumo, ma qui non ci sono magnolie, solo erba fradicia e arbusti intirizziti,
davvero un bel luglio. Dì le cose come stanno!” “Chi sta parlando? Credevo di essere sola!”
“Abbassa lo sguardo! Un po’ di umiltà per la miseria! Ecco, sì così, un po’ più a destra, lungo il
bordo della staccionata. A destra della quercia.” “Desolata. Continuo a non vederti.” “Ma guarda
con che gente devo avere a che fare! Sfrutta la luce della luna e trovami. Anzi no, non ti muovere,
continua a guardare in basso.” “Ahhhhhhhhhhhhhhhhh! Scendi dai miei piedi!” “Che c’è? Non hai
mai visto un rospo? A proposito, mi chiamo Angus.” “Certo che ne ho visti ma nessuno di loro mi
ha mai parlato! Angus come le mucche?” “Angus come Aonghas, sono scozzese! E’ una notte di
mezza estate, è una notte di luna piena, in queste circostanze l’impossibile abbraccia la normalità.
Voi umani siete diventati terribilmente freddi e razionali. Per esempio, perché non gli racconti da
dove viene il profumo di magnolia.” “Perché no. Non credo sia il caso.” “Ho poco tempo e sembri
avere la testa dura. Andrò dritto al sodo: sono qui per dirti che lui è Lui. È quel principe che io da
rospo non posso diventare, nemmeno se tu mi baciassi. Ti stava aspettando.” “Come poteva
aspettarmi? Mi conosce da pochi giorni.” “Se è possibile che un rospo scozzese ti stia parlando in
italiano, è possibile che quel rospo abbia ragione!” “E?” “La sua anima ti attende, e non da poco. È
Lui. Ha riconosciuto il profumo. Alza lo sguardo ora.” “C’è la luna piena.” “È molto più di una luna
piena. È la luna blu in acquario, è la vostra. Non le conosci le canzoni? Dai retta a un rospo
qualunque, che mai principe sarà, il principe sta tornando, lascia che ti prenda per mano.”
“La Storia Di Un Grande Albero”. Una Storia Per Bambini da 0 a 100 Anni, da Vivere e
284
Sentire….
Al Parco c’era un Grande Albero, con immense radici. Aveva un tronco robusto, poteva sostenere
me e voi! Dal tronco partivano rami, s’intrecciavano e si dirigevano verso il sole, si facevano
accarezzare dal vento. Su questi rami c’erano foglie: tutte speciali con un proprio modo di volare e
uno di cadere. Aveva frutti, tutti diversi: colorati, profumati, piccoli, grandi. Grande Albero aveva
conosciuto tante storie e persone: aveva più di 500 anni. Aveva anche conosciuto il Mago della
Natura, custode di tutti gli Esseri della Natura. A lui aveva chiesto una magia: non essere più un
albero ma divenire una qualsiasi Creatura avesse incontrato. Fu esaudito. Quando un uccello, dalle
piume colorate, si posò sui suoi rami, Grande Albero si trasformò in uccello e incominciò a volare
verso il cielo e verso il sole. E diventò sole, una bellissima arancione, palla di fuoco. Iniziò a
scintillare, a danzare come le fiamme. Quando il sole al tramonto baciò il mare, si tuffò e diventò
conchiglia. Una bellissima conchiglia, che si muoveva a ritmo del mare, al cui interno c’era una
magica perla capace di esprimere tutti i desideri. Chiese di diventare alga per lasciarsi portare dalle
onde del mare. Le onde portarono l’alga a riva, tra sabbia e sassi e divenne sasso: immobile.
Nemmeno le onde del mare e il vento riuscivano a spostarlo. Era immobile a guardare gli alberi
muoversi nel vento e su cui gli uccelli saltellavano. Si ricordò di quando era albero; ricordate il
sasso era in realtà Grande Albero. Provava tanta nostalgia: “Vorrei tornare albero. Ho voluto essere
uccello, sole, conchiglia, alga, sasso, ma voglio tornare albero, con le radici, il tronco, i rami, le
foglie, i frutti”. Chiamò il Mago Custode della Natura, ma il Mago non rispondeva. “Aiutatemi!”.
Finalmente il Mago rispose: ”Grande Albero hai capito ognuno è bello per quello che è! Sii te
stesso!” e tornò albero, un bellissimo Grande Albero, che potete ancora vedere al Parco: perché gli
alberi vivono più di 500 anni!
L'albicocco morente
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di Antonella Ronchetti
Era davvero bello il tramonto quella sera d’estate: pennellate rosa e arancione e viola che
incorniciavano il sole già pronto a tuffarsi nel mare… Quanti altri tramonti avrebbe potuto vedere
ancora?, sospirò tra sé Alby Cocco, i rami neri rinsecchiti e le rade foglie appassite come fosse già
autunno. Grosse lacrime di resina scendevano tiepide sul suo tronco ferito; sì, anche se non voleva
ammetterlo stava morendo. Un brutto insetto cattivo si era impossessato di lui e lo stava divorando
fin dentro il cuore; fitte terribili lo pungevano nelle viscere, succhiandogli via insieme al midollo la
vita… Oh, che nostalgia dei suoi frutti biondi e saporiti; e degli uccelli, che all’ombra delle sue
fronde intonavano canti di gioia. Piangeva senza più vergogna ormai, in preda allo sconforto: aveva
paura di morire, di lasciare i suoi amici con cui viveva da tanti anni. “Ehi, Alby, noi siamo qui e non
ti abbandoneremo”, sussurravano gli Oleandri allungando le braccia profumate verso di lui, in una
carezza affettuosa. “Anche noi ti vogliamo bene, coraggio!”, mormorarono all’unisono gli Ulivi
argentei, mandandogli una piacevole brezza per rinfrescarlo dall’arsura che gli bruciava la gola.
Perfino gli alteri Fichi d’India erano commossi, e avrebbero volentieri trafitto con le loro spine quel
parassita crudele, se solo avessero potuto camminare fino a lui. “Vedrai che rinascerai pure tu la
prossima primavera, come facciamo noi”, cercarono di consolarlo i Fili d’Erba giallastra, che
spuntavano spelacchiati nel prato arso dal calore estivo. Alby Cocco sapeva che non era vero, ma
voleva credere a quelle parole pietose. Intanto stava facendosi notte, e per non lasciarlo solo la
Vecchia Civetta era volata sulla sua cima spelacchiata, cullando il suo sonno doloroso con una roca
ninna nanna. Piano piano i singhiozzi si placarono e Alby si addormentò sognando un Aldilà pieno
di luce, di colori, di musica, dove anche le piante potevano rinascere forti e belle, senza più soffrire.
Il Giardino
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di Carmen Oliveri
Nacqui un venerdì santo nell’orto degli ulivi casa dell’abbandono, della solitudine del dolore
estremo . Urlavo: perché? piena di disperazione e lacrime. Per anni sbattendomi con rabbia sul
tronco degli alberi,sul muro di cinta, sulle pietre continuai a ripetere come un mantra: perche?
Sapevo dell’esistenza di un giardino dove si parla amore ma non conoscevo la via per arrivare ad
esso. Quando smisi l’urlo di rabbia e rancore e sfinita mi gettai per terra in ginocchio la porta della
mia prigione si apri ’e mi trovai nel luogo che avevo sempre cercato. Ad abbagliarmi non fu solo il
profumo di gelsomini e gardenie ma il chiarore delle magnolie che fece luce sui miei talenti. Quel
giardino era la casa dei talenti che avevo ricevuto e che dovevo custodire, proteggere, donare. Quel
giardino ero io: la mia fragilità , i miei limiti, ma anche la tenerezza,la gioia, l’amore che mi
abitavano e che dicendo donavo Il giardino ero io IL GIARDINO SONO IO
Elda e Mino
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di Sandra Bassani
Era una piccola casa, dentro piena di ricordi, fuori piena di piante. Sul retro c’era un terreno
abbandonato, sul davanti, alla prima curva la vicina e alla seconda la villetta di un giovane medico.
Elda era vedova, i figli venivano ogni tanto, i nipoti ormai ragazzi, quasi mai. Lei adorava il suo
giardino e le sere d’estate, quando con la brezza le sembrava che le piante frusciando le parlassero,
lo innaffiava instancabile, fermandosi ad ascoltare grilli e cicale, a guardare stelle e lucciole, a
sentire nell’aria il profumo dei fiori. D’inverno restava spesso sulla soglia con le braccia conserte e
uno scialle pesante, guardando la neve risucchiare i rumori e cadere lenta dalle fronde. Il gelsomino,
“Mino” per lei, era il più vecchio, con quasi gli anni della casa e forti rami contorti che salivano sul
muro fino al tetto, ma lasciavano scoperte le finestre. “Rispetta la casa” rispondeva Elda a chi
avrebbe voluto potarlo, “sa dove andare”. Una sera Elda aveva messo su l’acqua per il tè e sfogliava
un giornale seduta in poltrona. Tutto successe in un attimo. Elda lasciò cadere la rivista ed entrò in
un profondo sonno, l’acqua che bolliva spense il fornello della vecchia stufa, troppo vecchia per
avere una valvola di sicurezza e il gas invase la stanza. Ma qualche secondo dopo un ramo del
gelsomino scattò, rompendo fragorosamente il vetro. Elda si svegliò per il fragore, con una mano
davanti alla bocca andò a spegnere il fornello, aprì la porta di casa e, tossendo forte, prese il
telefono. Erano tutti lì a guardare la cucina nuova. Suo figlio, la vicina e il medico continuavano a
dire che era stata una bella fortuna, se no…. Elda annuiva in silenzio, ma i suoi occhi grigi
guardavano oltre la stanza, oltre il vetro rimesso, tra le foglie del gelsomino che ora si strofinavano
morbidamente sul vetro, come fanno i gatti in cerca di carezze. La cosa più strana, avevano detto
tutti, è che in quel giorno d’autunno non c’era traccia di vento.
L'ape dispettosa
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di Elena Catalano
Esploravo il mio giardino preferito, quando improvvisamente una strana pioggia mi ha investito
come un treno. Ma non dall'altro come accade di solito, dal basso, da vera infingarda! Incuriosita e
per niente spaventata, ho deciso di scoprire, cosa ha causato questa improvvisa inversione di
gravità, ed ecco che ronzando e volando mi avvicino alla fonte di quella pioggia truffaldina! Un
tubo nascosto, vicino alle rose odorose che sono meta dei miei viaggi preferiti! Decido allora di
farla pagare a quella serpe nera gommosa e avvistato uno di quegli sciocchi bipedi, che ancora non
capisco perché han paura di una creaturina piccola come me, mi accingo a rincorrerlo come un
indemoniata. Il bipede, come previsto inizia a correre, verso la fonte di tutti i miei mali e,
zac....inciampa in quella corda molesta interrompendo la pioggia in un momento. Ora però, credo di
aver fatto un danno...dal tubo esce un fiume e sembra inarrestabile! Vabbé, lascerò che stavolta se
ne occupi il bipede, in fondo le mie rose son salve ed io posso continuare a svolazzare.
Albero, parli col vento. Parla con me. Alzo il viso, mi rivolgo alla chioma. Le foglie stormiscono
ancora, fremono, voltano il retro superbe. Non insisto. Spingo oltre lo sguardo. Frammenti morbidi
di cielo s'insinuano tra i rami. Oggi il tempo è di nuvole. La luce filtra chiara, ma è tenue. Abbasso
le palpebre, lascio che vi si posi. Con gli occhi chiusi non sono nel buio. La mente si apre, però, agli
altri sensi. Ecco, i suoni del verde! Li cercavo, ora li sento. Fruscii. No, sono bisbigli. Tendo
l’orecchio, mi pongo in ascolto. “Stamane ho atteso l’alba, aprendomi prima. Volevo un raggio di
iride. Invece mi ha colpito la luna”. “Tu, che smuovi anzitempo un sepalo pigro? Avrei voluto
godermi l’impegno!”. “Si, ridi, ma vedi che brillo?! Non fosse per il vecchio gigante che copre noi,
piccole piante... ”. “Lui tronco, noi umili steli. Protesi ai medesimi cieli”. “Sotto le fronde, nel
vapore di rugiada mattutino, si crea il nostro colore. L’aria alla terra lo infonde. La linfa lo reca al
bocciolo piccino, finché questo erompe, cedendo alla calda carezza del sole”. “Radici. Si dilatano,
senti? Filamenti di vita nutrici”. “Io attendo la pioggia”. “Respiro umido delle nubi”. “Che fai, già ti
chiudi?” “Piccola viola, punteggio con te il sottobosco. Ma son croco, a sera i petali serro e solo a
nuovo giorno rifiorisco”. Discorsi di fiori tra l’erba? Li comprendo o, senza saperlo, sono in un
sogno? Empatia misteriosa, emoziona. Il respiro si ferma un istante. Riprende. Inalo corteccia,
fresca dolcezza. Afflato avvolgente, profumo. Frusciando tremolo, l’albero dialoga sempre col
vento. Ondeggia foglie suadenti. Fluisce una melodia quieta. Gli occhi ancora chiusi, alleno i
sentimenti, mi apro a nuovi sussulti di vita. La voce della natura è vibrante, inebriante. Il silenzio è
sonoro. Catturo energia, pura e infinita. Il cuore sorride e, pulsando, fa coro.
Son nata e cresciuta all’interno di un piccolo parco secolare con villa diventata centro culturale per
le donne.Da quarant’anni il posto si è popolato delle loro voci che adoro sentire. Loro parlano ed io
ascolto. Sono una robusta e forte quercia e quello che ho vissuto ve lo voglio raccontare.Un giorno
ho visto Lei. Era diversa dalle altre, bastava osservarla.Vivaci occhi scuri, bel viso dolce e poco
segnato, incedere sicuro, mi si è avvicinata con cautela. Mi ha accarezzata con la delicatezza che
una madre ha nei confronti del suo bambino,le sue mani calde appoggiate sulla corteccia, ha iniziato
a parlarmi dolcemente.Le parole le uscivano direttamente dal cuore, era un flusso inarrestabile di
dolcezza e armonia come una dolce nenia, quasi una ninna nanna. Ed intanto le sue calde carezze
cominciavano a farmi effetto. La sua mano contro la mia corteccia mi dava un senso di beatitudine.
Ad un certo punto ho sentito il suo corpo contro di me,ero avviluppata dal suo abbraccio stretto
anche se non riusciva a coprire tutta la mia circonferenza .Sì, mi stava proprio abbracciando e non
mollava la presa, incurante delle altre presenze più o meno vicine a noi.Era un’esperienza nuova per
me ma sicuramente anche per Lei, queste cose si sentono a pelle come dicono gli umani.In quel
momento ho avvertito una vibrazione molto intensa, mai sentito nulla di simile prima di allora. Non
c’erano stati temporali o bufere di vento di tale portata, non si può paragonare. Era come se il mio
tronco avesse preso a muoversi dall’interno, ho avuto una specie di sussulto come un cuore umano
che batte forte perché gli sta accadendo qualcosa di speciale. Lei, che era ancora abbracciata a me,
al mio battito ha avuto un fremito ed è stato allora che ho sentito alcune gocce calde cadere sul mio
tronco. Erano delle discrete lacrime che Lei mi regalava. Avrei voluto che non finisse mai ma lei
pian piano si è allontanata, lasciandomi a desiderare ancora un momento come quello. Io la sto
aspettando
Qualcuno ci sente?
291
di Gabriella Nobile
ALBERO:Certo che da quassù, si respira un'aria pulita, fine e sana; sono proprio orgoglioso di
essere così alto. STATUA:Pensa un pò a me, vicino le aiuole, addirittura accanto i cassonetti della
spazzatura e poi nessuno mi conosce, se non fosse per qualcuno appassionato di storia
medievale...povero me!Tutti con gli occhi bassi verso un oggetto (a me misterioso) piccolo e
luminoso; prova a chiedere chi fosse Bruno Giordano. FOGLIA:Uffa come la fai lunga! A te ti
hanno messo su un piedistallo di marmo eppure ti lamenti ! Hai anche un nome, sei stato famoso!
Ed io allora cosa dovrei dire! E' pur vero che sono sempre in compagnia del mio amico albero,
anche se non per molto tempo, spesso, siamo bruciati vivi da qualche piromane, per il piacere di
soffocare le proprie frustrazioni personali; ma nonostante ciò, sono felice di essere una foglia; sono
libera di seguire il mio nuovo compagno: Vento, viaggio senza meta e senza confini, osservo la vita
da diverse prospettive. FARFALLA: Tu dici di essere libera? Ma stai bene? Non capisci che
dipendi dal tuo amico vento? E dal tuo amico albero? Sono io, libera di andare dove voglio, grazie
alle mie meravigliose ali ed in più sono anche bella e tutti mi apprezzano per i miei bellissimi
colori; .... certo non vivo a lungo, ma vivo intensamente la mia vita senza sprechi di tempo.
ROSA:Ma se non ci fossi io,cara farfalla, tu saresti un animale in un deserto, la tua bellezza
diminuirebbe tantissimo; e come se io fossi, la tua scenografia oltre che il tuo polline; il mio
profumo ti stordisce e ti rende affascinante; è pur vero che tutti noi, abbiamo un valido motivo per
vivere, ma è altrettanto vero che nessuno di noi, potrebbe vivere senza l'altro.
Palpito
292
di Maria Gloria Bianchi
Tremo. Il mio cuore rimbomba nelle mie orecchie. Rabbia o eccitazione? Il vuoto di lui mi sembra
incolmabile, mi sento sola. Perduta. Guardo attorno. La natura è tranquilla in questo giardino;
un'oasi di pace per la mia anima. "guarda dentro te... il vero amore è nascosto agli occhi di tutti.
Nasce dal cuore e va dritto al centro della tua anima immortale". Sobbalzo, ho paura. Chi ha
parlato? O forse... forse la mia mente inizia a dar segni di cedimento, come ha già fatto il mio
mondo. Una folata di vento, un sospiro.. mi guardo attorno e il mio cuore perde un battito. Possibile
a parlarmi sia stata una semplice rosa, dai petali rosa, screziati di rosso e bianco? No, forse sogno...
no, un momento... quel semplice fiore sta tendendosi verso di me in tutto il suo splendore. La bocca
mi si schiude in un timido sorriso, un accenno di pace inizia a invadere il mio cuore. Forse è stato
tutto un sogno... un parto del mio cuore malato d'amore; ma... comunque sia avverto un senso di
leggerezza interiore. Il macigno dell'abbandono non pesa più così tanto.. che davvero, qualcuno, stia
aspettando proprio me... e magari non me ne sono nemmeno resa conto? Ma si; è ora di andare
avanti. Voltare pagina. Aprire gli occhi e continuare a vivere amando me stessa prima di tutto...
come la semplice e stupenda rosa mi ha suggerito. Fantasia o realtà? Un dilemma che non potrò mai
risolvere; un attimo che in cui non posso dire di aver distinto la realtà dalla fantasia. Ma alla fine... a
cosa servono i sogni, se non a migliorare la vita? Voglio continuare a credere che tutti gli esseri
viventi, vegetali e non, abbiano un'anima quindi per me quella rosa sarà sempre unica e cara al mio
cuore. Una rosa... una folata di vento, un sussurro e la vita ricomincia a scorrere anche per me, che
d'ora in poi riuscirò a godere anche delle emozioni più piccole che il mondo attorno a me riuscirà a
darmi
IL GIARDINO SEGRETO
293
di Marilena Santi
Robert lasciò l’accampamento e girovagò fra le rovine dell’antica città quasi completamente
assorbita dalla vegetazione tropicale.Ad un tratto una falena gli si avvicinò e gli disse: “vedi quella
luce laggiù? Seguimi non te ne pentirai.”Curioso,l’uomo seguì la falena ed arrivò nei pressi di una
statua dai suoi occhi uscivano bagliori sinistri e la Dea così parlò: “portami la rosa che troverai nel
giardino segreto ti mostrerò la via”.Le foglie degli alberi di sandalo che impregnavano l’aria di un
profumo intenso,quasi ipnotico, iniziarono anch’esse a parlare: “se seguirai le nostre indicazioni
arriverai alla meta.Ora gira a destra, poi a sinistra, segui il corso del fiume fino all’albero di teak là
troverai ciò che cerchi”.Senza perdere tempo Robert si incamminò nella notte illuminata dalla luna
piena.Si fermò sotto l’albero di tek. “Non ti illudere di essere già arrivato ora devi superare quella
piccola montagna”gli disse l’albero indicandogli una parete verticale che sembrava infinita. Robert
non si lasciò spaventare ed inizio a scalare.Giunto sulla cima del monte gli apparve un cespuglio dal
quale emergeva un’unica, magnifica, rosa blu che così lo accolse: “mi hai trovata finalmente ora
portami da Lei e avrai il tuo premio”.Dopo averla colta Robert la mise delicatamente nel suo
inseparabile zaino ed inizio il percorso a ritroso.Giunto al cospetto della Dea depose la rosa blu ai
suoi piedi. Rialzandosi vide che la statua piano piano si animava fino a diventare una splendida
fanciulla: “Aneliram è il mio nome, sono io il dono offerto dalla Dea per il tuo coraggio. Verrò con
te ovunque andrai.”Rimasero così circondati dal profumo del sandalo che, come dice la leggenda,
favorisce la nascita di nuovi amori.E fu proprio così i loro occhi si incontrarono scintillanti e non si
lasciarono più, nacque un amore grande, così grande che anche l’albero di teak solitamente cinico,
pronunciò commosso la famosa frase: “e vissero tutti felici e contenti”.
Io non abito in giardino. Io sto in giardino in villeggiatura. Sei mesi li passo sotto terra, o meglio:
sotto torba. Non che faccia un granché sotto torba: dormo e ricarico le pile, perché in villeggiatura,
quando sto fuori e vedo sole e nuvole, in realtà mi stanco come una bestia. E’ stancante portarsi
dietro casa. Quando sono fuori capitano, però, cose fantastiche: tipo che sei lì che vaghi senza meta
ed una susina o una ciliegia matura ti cascano davanti al naso. Magari sono anche un po’ più che
mature, ma profumano e scoppiano di succo. Oppure capita che dei tizi lancino cespi di lattuga (sa
di plastica e disinfettante, ma meglio che niente). Come so che sa di plastica? Perché io l’ho
mangiata, quella dell’orto, l’orto vicino al quale vivo d’estate. A volte ci provo, anche se è
durissima: mi arrampico su delle insormontabili foglie di cemento, piantate nel terreno, e poi cado
di là e di là mi si apre il mondo fantatico! Insalatine tenerissime, fragole e fragoline di bosco, erba
cipollina, aglio ursino e timo limone, poi nasturzi, viole e verbena odorosa! E poi pali nodosi
altissimi con pomodori arrampicati e lucidi (ma io non ci arrivo, puff, puff…) e zucchini contorti
che sembravano serpenti (ecco, questi sono più inquietanti...). In fondo, una siepe di lamponi, che se
sono fortunata qualcuno è caduto e lo posso azzannare (i semini non li digerisco e quando me ne
libero, con rispetto parlando, mi sento a disagio…ma quanto son buoni!). Poi finisce sempre così: il
terreno trema, una zampaccia si avvicina. Mi hanno scoperta! Mi sollevo: a zampaccia, corrisponde
manaccia, che abbranca a tenaglia il mio guscio e mi ritrasporta al punto di partenza, il mio recinto
di tartaruga fortunata, un recinto erboso, in un giardino lussureggiante, che confina con un orto delle
meraviglie, curato ed amato dalla donna che ha sposato il tipo con manacce e zampacce. La figlia è
peggio, è Attila: forse solo nel genero posso confidare. Io sono Clementina e abito qui, d’estate.
Nel Parco dell'Etna si trova un albero plurimillenario, denominato il Castagno dei Cento Cavalli in
quanto pare, secondo tradizione, che sotto le sue enormi braccia, durante un temporale trovarono
riparo la regina Giovanna d'Aragona e i suoi centi cavalli E' un albero famoso per la sua gloriosa
storia passata e racchiude quella saggezza tipica dei "grandi vecchi", i cui racconti nascondono
sempre un insegnamento per chi ha la pazienza di ascoltarli. Fu così che, durante una visita al Parco
che lo ospita, mi sentii improvvisamente stanca ed abbi il desiderio di sedermi di fronte al Castagno,
per riposare un poco e guardarlo nella sua maestosità. Non so come accadde, se mi addormentai e fu
tutto un sogno o ebbi una visione , ma, a un tratto, mi parve di udire l'albero parlare. "Pensi davvero
che scappare dai problemi sia la soluzione? Sì, sì, sono io che parlo e dico proprio a te, signora dai
capelli tinti rossi che mi guardi. Sei arrivata alla vigilia del tuo compleanno e quella cifra tonda,
cinquanta , ti fa dannatamente paura, tanto che ti senti costretta, quasi, a fare un bilancio della tua
vita fin qui . A cosa serve massacrarti l'anima, ogni giorno, su quel che hai fatto di giusto e di
sbagliato, sui tuoi due matrimoni, sul rapporto complicato con tua figlia, sui tuoi sensi di colpa
verso genitori che hai amato e odiato altrettanto? O sul lavoro che avresti voluto fare, l'avvocato,
per poi accontentarti di un posto da impiegata che ha reso le tue giornate tutte uguali?? E ora ti dici
che è tardi, che il meglio della vita se n'è andato e indietro non si torna! Io sono qui da tremila anni
e ho visto tante cose, sentito tanti discorsi dagli uomini, ho visto gli esseri umani distruggersi e
annientare la natura, ma ho goduto di albe bellissime, tramonti struggenti e arcobaleni da favola e
ho compreso, pur essendo un gigante tra gli alberi, quanto io sia piccolo e prezioso nell'Universo.
Amati e ama il prossimo. Non tormentarti più." Una nuvola rideva nel cielo.
Agosto è il mese più bello, l’aria è calda e ventilata, il canto delle cicale si fa più forte a
mezzogiorno, sono passati tanti anni e inizio a sentire il peso del tempo che passa, non tanto per la
mia corteccia ormai matura e brunastra, profondamente solcata e screpolata dal tempo, quanto per le
tante storie di uomini che si sono alternate sotto le mie fronde. Venni piantato in una tipica corte
sarda, con un grande piazzale, per essere alimento dei bachi da seta circa 130 anni fa, al centro di un
paesino sardo un tempo chiamato Crabonaxia ora Villasimius. Sento ancora le voci di bambini...
All’ombra delle mie grandi foglie cuoriformi giocavano insieme 8 sorelline e un fratellino, alcune
giocavano con le trottole ricavate da ghiande (landiri), altre ancora non vedendo l’ora di essere
grandi, usavano i vecchi rocchetti di filo legati con dello spago alle caviglie per simulare i tacchi
delle signorine, il fratellino intanto si costruiva una palla con delle calze dismesse, mentre la bimba
più piccola allungava le sue braccine verso di me per godere dei miei dolci frutti. Ora quei bimbi
non ci sono più e alla sera con le mie fronde ampie e grandi foglie, ormai diventato il patriarca di un
antico giardino, rendo magiche le notti di quei turisti che banchettano sotto il cielo stellato, mentre
sento ancora le voci allegre di quei bambini di quel lontano mese di agosto… A mia nonna Eugenia,
una delle 8 sorelline.
Lady F.
297
di Elisa Salibba
..Shh, shh, fece Borracina, un po’ agitata ed emozionata per l’ingresso, nel giardino segreto di Lady
Frida, di Dalia. Le altre virarono i petali verso l’uscio e in coro dissero: “Ooooohhh, come è bella! e
poi Camelia aggiunse: “Lady F. ha completato in bellezza il suo giardino, ora siamo tutte, e
possiamo, anzi, dobbiamo darle forza e aiutarla ogni giorno”. Il giardino di Lady Frida è nato per
caso, la prima è stata propria Borracina, che inizialmente era quasi gelosa delle altre piante che
popolavano quel luogo scelto per donare tranquillità a Lady Frida. Però ogni giorno l’amore che
sgorgava da questa donna, verso le piante che curava, accarezzava e a cui confidava i dubbi più
reconditi, divenne lo strumento di unione delle piante, che doveva aiutare quella donna così grande,
ma così fragile, distrutta dall’invidia della sua, ormai, ex migliore amica. Dalia è stata donata da una
ragazza che ha sempre stimato Lady Frida ed era proprio il pezzo mancante di quell’angolo di
serenità nell’immensa casa in cui lei abitava. Era marzo, è per le dalie è il periodo migliore per la
semina, fu sistemata in modo che potesse beneficiare sempre del sole, vicino ad Orchidea. Dalia ed
Orchidea si analizzarono fin da subito, cercarono di capire se potevano essere amiche, ma il sorriso
di Orchidea, dissolse tutti i dubbi: sarebbero state amiche e avrebbero aiutato le altre piante a
rendere il giardino sempre più fiorito e colorato. Al tramonto, ogni giorno, Lady Frida iniziava a
cantare e le sue fedeli piante amiche la seguivano, soavi, come se gli uccellini che a volte si
poggiavano su di esse, durante il giorno, impartissero loro lezioni di canto. Un giorno Lady F.
intonò: “When the night has gone and land is dark and…”, Borracina e le altre iniziarono a cantare,
e lei continuò sempre più forte: “So darling, darling stand by me, oooh stand by me, oooh stand by
me..” - nel giardino si diffuse l’ebrezza di una nuova fase e con occhi maliziosi approvarono tutte
richiudendo i petali.
FRAGILI PETALI
298
di Ida Propetto
Quello che so di me è che essendo una delicata rosa la mia bellezza dura poco, poi svanisce, ma io
mi innalzo nel giardino e guardando gli altri fiori penso che nonostante tutto sarò la prima ad essere
guardata. Le persone si avvicineranno a me e vorranno annusare istintivamente il mio profumo.
Margherita non guardarmi in quel modo.. ti prego e ascoltami: "sei capace come me di attrarre in
modo così speciale gli sguardi altrui?". Non rispondermi la risposta la so già. Perdonami se forse ti
sembro superficiale...Ti sono antipatica? Hai chiesto agli altri fiori del giardino cosa pensano di me?
Iris anche tu sei un fiore bellissimo dai lo sai..il tuo colore è fantastico..ma io vi supero...però se vi
cresce l'invidia non dimenticatevi che i miei fragili petali cadranno velocemente e la mia delicata
bellezza sarà così evanescente come il mio intenso profumo, per cui suvvia rallegratevi la mia breve
vita non oscurerà la vostra bellezza.
Quando Rosa aprì i suoi petali si trovò in un giardino di sogno. I grappoli del glicine bordavano il
muro di cinta e poco distante i fiori del gelsomino emanavano un intenso profumo. Il prato era
punteggiato dal giallo del dente di leone e dal bianco delle margherite. Neppure Van Gogh sarebbe
riuscito a rendere tanto splendore. Al centro del giardino faceva bella mostra di sé una fontana con
la statua di una sirena in marmo di Carrara. Rosa era venuta alla luce in uno splendido ambiente e
occhieggiava di qua e di là timidamente. I suoi petali rosso scarlatto di giorno in giorno si aprivano
al sole e diventa- va così sempre più affascinante. Una mattina Rosa si sentì chiamare._ Ehi bella,
perché non ti avvicini un po’ ?_ Rosa si volse e scorse un gelsomino._ Mi hai chiamato tu? Chiese
stupita._ Certo_ rispose il Gelsomino,_viviamo nello stesso quartiere e ancora non ci conosciamo.
Non ti annoi a restare da sola tutto il giorno?_ Rosa pensò che sua madre le diceva di non dare
troppa confidenza agli sconosciuti, perché in giro ci sono giovanotti scostumati. Rispose quindi con
un secco no e chiuse la conversazione. Il Gelsomino si ritirò offeso. Dopo poco si sentì sfiorare da
un ramo di glicine che è per sua natura invadente._ Fatti più in là, ragazzo, ho bisogno di spazio!
Voglio raggiungere Rosa._ Udendo quelle parole, Gelsomino riacquistò tutta la sua energia e si
drizzò contro il glicine. La rissa non tardò a scoppiare e sarebbe successo il peggio se, d’un tratto,
non si fosse levato nel giardino un canto melodioso che attirò l’attenzione di tutti. Il canto
proveniva dalla fontana della Sirena ed era talmente affascinante che non solo i fiori e gli alberi, ma
persino le laboriose formiche si fermarono incantati. Intanto si levò la luna e si diffuse una musica
celestiale. Rosa si sentì invadere da una forte emozione e si avvicinò al Gelsomino che l’avvolse
con il suo profumo. Così restarono tutta la notte e dalla loro unione nacque una straordinaria
essenza.
In un tiepido pomeriggio al finir dell'estate, un giardino si racconta. "Guardatemi come sono bella,
passano e non possono far a meno di notarmi." disse la statua a ciò che le stava intorno - e la farfalla
rispose: "Che pretenziosa, io sono coloratissima e svolazzo di prato in prato invidiata" - "Questa
poi! io sono la regina dei fiori, dalle tante sfumature e intensi profumi" ribatte la rosa - e la foglia
sul ramo commentò: "Ma quanto egoismo in questo giardino, a me non mi nota mai nessuno
quassù!cosa dovrei dire!" - "Silenzio!" disse l'albero a tutti i presenti. E aggiunse: "Tu statua
possiedi l'eterna bellezza ma sei ferma, non produci; tu farfalla possiedi l'entusiasmo del volo, che
libri sinuosamente tra i bassi cespugli ma hai vita breve; tu rosa, fin dal bocciolo emani dolce
profumo femminile, ma che perderai con il cader dei tuoi petali! Io rimarrò qua, fermo fino
all'ultimo dei giorni soleggiati per far ombra a un piccolo giardino, per vedere il cielo da vicino e
salutare gli uccelli emigrare. Tu, invece, sei tra le miei piccole foglie che tra qualche giorno
lasceranno questi rami e verrai calpestata e sentirai le prime gocce dell'autunno, e le prime brine
fredde, ti mescolerai al suolo e ti fonderai con lui. Ma rinascerai più verde e più bella, e
generosa!!insieme doneremo ancora all'uomo ciò di cui ha veramente più bisogno, ossigeno
e...libri!!!" Grazie per l'attenzione!!!
Era una bella domenica mattina ed il sole splendeva alto nel cielo. Il ragno Giovanni si era appena
svegliato sapendo che quello sarebbe stato un giorno davvero speciale per lui ed il suo amico
Giorgio. Ogni domenica mattina, infatti, Giorgio veniva nel bosco per - diceva lui- "..riempirsi gli
occhi di colori e fare il pieno di benzina!". Giovanni per capire a pieno ciò che il suo amico voleva
dire un giorno lo accompagnò a scuola, in città. Dopo quell'esperienza Giovanni capì che, in effetti,
i colori del bosco erano molto diversi da quelli della città e stare nel bosco,assaporare i suoi profumi
ed ammirare i suoi colori dava una grande energia. Giovanni, allora, aveva proposto a Giorgio di
portare nella foresta anche i suoi compagni di classe e le maestre affinché tutti i bimbi, anche quelli
che vivevano più lontano dal bosco, potessero ammirarlo e godersi una "Bosco giornata". I
compagni di Giorgio e le maestre avevano accolto la proposta e quella domenica mattina avevano
deciso di andare nel bosco. Giovanni era pronto ad accoglierli proprio ai margini della foresta e non
appena li vide spuntare dietro i cespugli di rose e mirtilli diede il segnale di attacco alla piccola
banda musicale ed alle farfalle danzatrici. Lo spettacolo che si presentò agli occhi dei bambini fu
davvero grandioso. I piccoli cominciarono a guardarsi intorno accompagnati da note soavi.
Avanzando all'interno del bosco guidati dalle farfalle danzatrici, i bambini rimasero senza parole di
fronte allo spettacolo dei ragni che tessevano le loro tele brillanti, alle foglie di mille colori che
danzavano nell'aria, alle formichine che instancabili lavoravano per costruire il loro maestoso
palazzo. I bambini, a fine giornata, tornarono a casa e tutti raccontarono ai genitori di essere stati
nel bosco, di essersi riempiti gli occhi di colori e di avere fatto il pieno di benzina. I genitori
sorrisero ed i piccoli, andando a letto, si fecero promettere che sarebbero tornati insieme nel bosco.
Lei
302
di Alessandra Craus
Era alle prime luci del mattino che accadeva quell’incanto, quando il sole, alto e caldo, rendeva
tutto più iridescente; iniziava con un leggero brusio accanto a lei che piano piano si faceva suono
più decifrabile, parole, un concerto di voci. Lei, da subito, si era accorta che un gruppo di venti
piccole margherite spensierate dava inizio a quel sussurro di voci che diventava un coro multiforme
e melodioso; inclinavano le corolle bianche a destra e a sinistra, a ritmo dei loro discorsi. I girasoli,
splendidi nella festosità del loro giallo, alla vista di quella danza, scoppiavano puntuali a ridere
verso il sole che sorgeva. Li seguivano le chiacchiere dotte dei cespugli di alloro che circondavano
il giardino, alle quali non potevano mancare i commenti dell’albero che ombreggiava su tutti, la
saggia quercia che faceva ondeggiare i rami più alti come mani che gesticolano nella foga della
discussione. E lei, che ascoltava divertita quella natura in movimento, avvertiva il ronzio delle api
che, passando vicino all’unica rosa di quel giardino speciale, silenziosa nella sua veste rossa, le
rivolgevano un cordiale buongiorno, a cui rispondeva con un mesto sospiro di solitudine. Poi,
eccole ronzare verso le margheritine chiacchierone per assaggiarne il buon nettare… e loro,
sollecitate dal solletico, esplodevano in una risata che contagiava i girasoli e persino i cespugli di
alloro e la quercia, interrompendo le loro disquisizioni. Anche lei avrebbe voluto ridere con loro…
Ma il volo lento di una farfalla attirava di nuovo la sua attenzione, ne seguiva la traiettoria nell’aria,
ne udiva la voce cantare e la osservava posarsi sulla sua mano bianca e immobile. Avrebbe voluto
toccarla o almeno avvertirne il contatto, rispondere al suo canto… Di quel giardino incantato,
nascosto dentro un’antica palazzina abbandonata, che ogni mattina si risvegliava dal sonno
profondo della notte, lei poteva esserne solo spettatrice… inanimata ninfa di marmo al centro della
fontana senz’acqua.
Anno 2115, una gigantesca esplosione determinò la fine del mondo avvenuta per il riscaldamento
globale e la proliferazione dei batteri resistenti agli antibiotici e per l’odio tra gli umani. Isole
Svalbard: i semi conservati nel deposito blindato a tutela della biodiversità agricola in vista di
cambiamenti climatici e catastrofi ambientali, per l’esplosione si dispersero. Il Seme del contenitore
numero 2117 volò nel territorio denominato Italia, nell’Orto Botanico della città detta Milano.
Presto il seme generò una piantina dalle foglie particolari che non fu ben accolta dagli altri vegetali
in quanto “diversa”. Decisero di riunirsi affidando a consiglieri le loro lamentele, sperando di
trovare ascolto e soluzione dal Giudice Massimo: il Noce del Caucaso. I due antichi Ginkgo e
Tiglio gigante costituivano l’accusa, l’Albero di S.Andrea (un Diospyros lotus) la difesa: Primo
Ginkgo : “Vostro onore siamo qui in vece degli abitanti superstiti dell’Orto, preoccupati dalla
natura del nuovo arrivato che costituisce un serio pericolo. ” Secondo Ginkgo : “ Sì Giudice un
intruso che cresce a dismisura soffocando le erbe officinali, conosce le sue origini? ” Il Tiglio :
“Gliele dico io sono umane, e a breve torneranno, pronti a distruggere ancora! ” Albero di S.Andrea
: “Vostro Onore, sulla pianta stanno proliferando solo parole, usate un tempo dagli umani…” P. G. :
“Ricordiamo molto bene le loro parole : odio,sopraffazione,profitto.” N.d. C : “Non dimentichiamo
che gli umani diffusero nel mondo cultura, civiltà, poesia , storia… ” Il T. : “L’unica cultura
vincente che io ricordi fu quella del denaro.” N.d. C : “Albero di S.Andrea , quali parole ?” A. d. S.
: “Le ho guardate con attenzione e sono riuscito a leggerne solo una, Speranza. N. d. C : “Ho deciso,
non porremo fine alla vita di un essere che genera la parola Speranza. Rischieremo ma anche noi
impareremo a sperare di nuovo.”
Pioggia Di Sole
304
di Monica Rosa
In un patio assolatissimo, di una splendida casa a pochi metri dal mare, un profumatissimo Mirto si
godeva il caldo, poco più in là qualche ramo di Boungavillea dal fucsia sfavillante non perdeva
tempo nell'attorcigliarsi nella ringhiera blu di un grande balcone. L'Ibiscus che altezzoso vantava i
suoi meravigliosi e grandi fiori rosso fuoco si sventolava con le sue verdissime foglie. Mentre l'uva
maturava nella pergola del signore vicino il tramonto arrivò, nell'attesa che l'estate fece nuovamente
tornare le risate, le lunghe serate in terrazza e a far piovere il sole. Monica
Tuoni d'estate
305
di Lelia Bucchia
Questo caldo mi sta uccidendo. L'unico salvataggio me lo può dare questo splendido giardino con
cui qualcuno, che amava la bellezza e la quiete che solo la nartura ti da, ha voluto completare la
casa già di per se un autentico scrigno di di intimità e raffinatezza. Sono passati 120 anni, hanno
attraversato tutte le brutture che l'uomo riesce a concepire, eppure loro sono ancora qui a garantirmi
conforto, frescura e pace. Mi siedo sotto l'olmo, che già da bambina mi divertivo a scalare per
osservare il mondo degli adulti dall' alto. Mi assopisco, finalmente appagata. Ehi! ma non sentite
questo frastuono l'olmo abbassa istintavemente le sue fronde come per ripararmi. Cos'è questo
rumore? si domanda. Non ti agitare! dice il cane di pietra posto accanto al cancello, è solo un
temporale, ne avrai pur sentiti degli altri nella tua lunga vita. Non è un tuono! interviene una farfalla
che si era appena adagiata indolente sulla mia spalla e spaventata si scuote dal suo relax. Un
temporale non fa tremare il terreno e non provoca crepe nel muro, credo che questo si chiami
terremoto. Non è un terremoto insiste cane di pietra, a quest'ora mi sarei già sbriciolato. Dall'olmo si
staccano foglie che ricadono flessuosamente a terra, alcune nel palmo aperto della mia mano,
provocando un leggeo formicolio. Si credo che abbia ragione farfalla, dice una di loro, qui non si
tratta di terremoto, nè di temporale, ma di qualcosa di sconosciuto, di più... non saprei come
definirlo. Io invece credo di sapere di cosa si tratta, dice la rosa, altezzosa, che solo l'arroganza della
bellezza a volte può rendere saccenti. Il frastuono non cessa. La piccola combricola anzichè sentirsi
rincuorata uno dall'opinione dell'altro si agita ancor più. Io mi sveglio agitata con un senso di
oppressione che non è dovuto dal caldo. Rosa aveva capito tutto e foglia che non sapeva esprimere
il suo intuito voleva dire che quello era il rumore che solo la coscienza può provocare quando è
fortemente scossa.
La Quercia
306
di Giovanni Pellegrini
Io non ho un giardino, l’ho sempre sognato e lo vorrei immenso dove perdermi in enormi labirinti,
con fontane zampillanti, straripante di fiori e piante di ogni genere. Lo vorrei all’incontrario lo
vorrei per regalarlo a chi come me non ha un giardino, ogni giorno mi siederei all’entrata e aperte le
porte aspetterei il vociare dei bambini, le loro urla di gioia, la loro vita. Felice ascolterei i loro calci
al pallone, li guarderei mentre dondolano da un ramo. Lo aprirei ai nonni anche senza nipoti e
seduti attorno ad un tavolo sorseggiando un bicchiere di vino ascolterei le loro storie di gente che
fu, di uomini e donne che ne hanno di cose da insegnare e da raccontare. Invidierei gli innamorati
che seduti all’ombra degli alberi si scambiano baci d’amore, parole di miele, carezze impalpabili e
sognante aspetterei il mio momento di amare e di essere amato. Guarderei oltre la siepe invitando la
gente ad entrare, manderei la brezza per trasportarli nel mio giardino e una volta entrati li rapirei
con la gioia, i colori e l’amore. Poi forse mi lamenterei dei rami spezzati, dei fiori calpestati ma
sopraggiunta la sera li ringrazierei della vita che mi hanno ceduto, degli attimi che mi hanno
regalato. Guarderei il cielo, conterei le stelle e mi laverei con la pioggia, la rugiada sarebbe il mio
profumo e la terra la linfa. Gli uccelli con i loro nidi decorerebbero il mio giardino e musica più
dolce sarebbe difficile creare quando iniziano a cinguettare. Avete capito bene, amici miei, il
giardino sarebbe la mia vita, trattatelo bene, amatelo e non disprezzatelo perché il vostro giardino si
chiama terra e quando anche quest'ultima avrà smesso di respirare allora si che ne avrete di cose per
cui vi dovrete lamentare. Silenzio, adesso per cortesia fate silenzio che mi vengono ad espiantare
ieri ho sentito che sarò reimpiantato, ma forse ho capito male verrò triturato per diventare un foglio
di carta stampato, io sono la Quercia e non ho un giardino.
Isola verde
307
di Chiara Lombardo
Giardino ch'io vidi. Lucente dal sole. Anima pulita. Felicità io sentii, immensa, nel mio corpo. Esso
era vivo, a grande differenza delle strade che egli abita. Un'isola verde, in un mare grigio. Io
guardai, affascinato, quelle nobili piante, che, in un certo senso inspiegabile per chi non ha veduto,
oscillavano, mi parlavano, coperte da un anziano salice con meravigliose foglie pendenti,
accompagnate da quello che si diceva un vento profumato. Quelle piante di egregio aspetto
sembrava mi comunicassero: -Vieni, vieni-. Aprii la porticina di legno, incartata da ragnatela
ricoperta di rugiada. Quella tela: Tela di seta. Tela di vita. Entrai, avanzai. Era tutta un opera dal più
grande tulipano, alla più piccola margherita. Guardai nuovamente il salice: Io lo guardavo. Lui mi
guardava. Camminai sopra quell'erba finissima. Quell'albero mi aspettava nella sua vecchiaia. Ogni
giorno sperava che venisse qualcuno. Avanzai. Lo abbracciai. Ruggero Guarino – 10 anni
Olea Rosa
308
di Bruna De Battisti
Bella, temeraria, assetata di sapere, Rosa era la più’ giovane delle figlie della pianta madre. Diversa
da Rosae, Rosaris e Rosam che rimanevano a godersi il sole, olezzando graziosamente, lei aveva
messo in subbuglio tutto il giardino di Villa Margherita. Doveva conoscere Olea fragrans: il
bell'arbusto che svettava in fondo al vialetto. Lei ed Ortensia, amica del cuore, avevano architettato
un piano: con l’aiuto di Vento , che doveva parlare di lei ad Olea e della Pianta madre, che doveva
spingere il ramo sul quale era sbocciata sino all'arbusto, Rosa avrebbe potuto raggiungere Olea. Al
resto ci avrebbe pensato da sola. “Vento ci siamo, sono così vicina ad Olea, gli hai parlato di me,
vero?” “Sì Rosa, te l’ho detto mille volte, ora dammi la tua essenza, voglio imprigionarla e porgerla
ad Olea” rispose Vento. “Olea! Senti, questo è il suo profumo. Te l’avevo detto che è delicatamente
delizioso. ” Disse Vento ad Olea, che lo trovò divino. “Vedessi quant'è bella”. Aggiunse Vento.
“Questa Rosa mi piace già, pur di diventare mia amica, ha corso molti rischi”. Una forza
sconosciuta, un fremito di calda energia pervase Rosa proprio in quel momento. Era la pianta madre
che la esortava a dare inizio all'arrampicata lungo il ramo più’ vicino di Olea. Non lo aveva mai
fatto, il cuore le batteva forte per l’emozione, eppure iniziò la sua danza a spirali con una grazia
innata, solleticando Olea sino a giungere a sbucare fra le sue foglie: ”ciao sono Rosa!” Da quel
momento i due parlarono e risero e s’intrecciarono sempre più’. Una mattina, Rosa si sentì
pervadere da una fragranza celestiale che la lascio' basita. “Buongiorno Rosa, ti presento i miei
fiori”, disse Olea orgoglioso. “Olea...”. Sussurrò Rosa, che emozionata emanò la sua nota più’
intensa di sempre. I due profumi si intrecciarono come loro i rami. Ne uscì una fragranza unica.
Margherita, la proprietaria della Villa, rese immortale quel connubio divino creando “Olea Rosa”, il
suo ultimo profumo.
Verde complicità
309
di Patrizia Chiarini
Non ti avevo mai vista prima. Sei arrivata un pomeriggio torrido, alla fine di giugno, con il tuo
trolley rosso, sacca nera, borsa a tracolla. Eri stanca, distrutta ma non per il caldo. Attraverso la
finestra ti ho osservata mentre sistemavi meccanicamente i tuoi abiti nell’armadio svuotato proprio
per te, con affetto, dal parente che ti ospitava. Distratta, assorta in dolorosi pensieri. Aprivi la
finestra della tua camera al mattino per poi richiuderla di sera senza mai guardarmi. Eppure io ero
lì, nel mio giardino. Maestoso, circondato dal verde brillante delle siepi e dai colori sgargianti dei
fiori. Alto, dal fusto snello solcato da rami tagliati a sorta di scalini su cui, per gioco, si arrampicano
i bambini. Rigogliosa la chioma, sferica, dalle piccole foglie di un verde scuro le cui punte, colpite
dal sole, irradiano sfumature argentee. Vecchio: non so da quanto tempo sono qui ma è certo che
intorno a me il paesaggio è cambiato da un pezzo. Ricordo l’aperta campagna in compagnia di altri
alberi diversi da me; il profumo dell’erba bagnata; gli uccelli riparati, durante la pioggia, tra i miei
robusti rami per poi fermarsi a nidificare. Il pigolio dei piccoli, il cinguettio degli adulti mi
inorgoglivano. Poi è arrivato di colpo il cemento ma io mi sono salvato: vivo nel mio giardino. Mi
sono accorta di te. Aprendo la finestra, all’alba ti ho visto. Bello, imponente come l’albero della mia
casa, lontana ormai. Emozioni che non sostituiscono: si aggiungono. Mi sento osservata dalle tue
foglie come piccoli occhi curiosi: so che hai compreso il motivo del mio tormento. Vegli, di notte,
sul mio sonno inquieto. Consoli, al mattino, la mia anima sperduta. Perché c’è chi sopporta il dolore
e altri che non ce la fanno? Cara, non posso darti io la ricetta. Cercala negli occhi di chi ti vuole
bene sinceramente. Cercala nell’armonia delle sfumature dei colori, delle molteplici essenze
profumate di un giardino come il mio. Trova il tuo equilibrio. Coraggio.
Un sonnacchioso e frondoso salice se ne stava appollaiato sulla sponda di un placido corso d’acqua.
“Quanto verde e quanto azzurro, quanta luce e quanta acqua, quanti” ..”ahi”, ..”meravigliosi colori”
disse sbattendo contro il suo possente tronco una soave libellula. Sal, questo il nome dell’albero, si
meravigliò che il piccolo insetto seguisse e leggesse il corso dei suoi pensieri. “Non ti spaventare
Sal, sono Bella la più leggiadra ballerina del giardino incantato. E si, se proprio vuoi saperlo, visto
che continui a chiedertelo, arrivo proprio da sotto le tue lucenti fronde. Abito laggiù vicino all'acqua
che zampilla, ho per rifugio una profumatissima camelia rossa; tutte le mattine vengo svegliata da
un rivolo di luce che filtra tra le tue rigogliosissime foglie e mi addormento all'imbrunire, quando la
luce comincia a farsi fioca e dorata ed i rumori piano piano si assopiscono, cullata dalla brezza che
fa ondeggiare la mia bellissima casa. Ho per vicino di casa Penelope, un laborioso ragnetto, che
passa tutta la sua giornata a tessere magnifiche tele arcobaleno tra i lillà e la peonia e che, un po’
intimoriti, ti osservano chiedendosi perché tu sia sempre così triste. Grande Sal sorridi felice perché
tutti noi abitiamo il paradiso terrestre: l’azzurro del cielo sovrasta la tua chioma rigogliosa, un
morbido tappeto verde accarezza le tue radici, profumatissime signore colorate sbocciano tutti i
giorni per inebriarti, laboriosissimi amici tessono, impollinano, camminano per chilometri perché
tutto rimanga così: stupefacente. Sal fermò per un attimo le sue lunghe fronde: in tutti quegli anni
non aveva mai guardato veramente sotto di lui tutto quel piccolo mondo che lo circondava e che con
garbato riguardo gli aveva tenuto compagnia. Aveva sempre pensato di essere un solitario salice
destinato a guardare l’azzurro del cielo borbottando col vento a tempo dello scroscio dell’acqua.
C’era voluta la Signora della Camelia per svelargli un mondo popolato dalla Vita.
Il Bosco di Lüdwig
311
di Sandra Saioro
Greta iniziò il suo cammino addentrandosi in quel bosco che tanto aveva atteso di conoscere. Il
gruppo a cui aveva deciso di unirsi la precedeva, sentiva solo il vociare di tutte quelle persone,
perché il suo sguardo era stato catturato da ben altro. Gli alberi erano uno diverso dall’altro;
talmente belli da sembrare decorati, così maestosi da sembrarle delle sculture. Sulle cortecce erano
impresse delle linee quasi simili a dei ricami che Greta si soffermò ad osservare e incominciò a
seguire il percorso che tracciavano, roteando tutto il capo. Ad un certo punto vide degli occhi
meravigliosi che la scrutavano e delle bocche che iniziarono ad aprirsi in grandi sorrisi. Il cielo si
oscurò improvvisamente; gli alberi cominciarono a inchinare le loro fronde in segno di saluto. La
luce iniziò a colorarsi di verde. Le radici rigogliose e rapaci divennero tentacoli che avvolsero Greta
in un turbinio di colori, riflessi e profumi. <<Benvenuta Principessa>> esclamarono in coro gli
alberi. Ebbe inizio la danza. Greta si ritrovò a volare sorretta solo da un letto di foglie impalpabile e
riuscì solo in quel momento a vedere tutti gli altri colori della terra. Solo allora si accorse che il
bianco veniva ripetutamente macchiato dal rosso e che il blu diventava sempre più un nero abissale.
Il verde non le era mai sembrato così bello. <<Ehi Greta ci hai messo tanto ad arrivare>> si sentì
tutto ad un tratto. Greta sorrise ma non rispose, mentre una foglia ancora impigliata tra i suoi
capelli, scivolava via lentamente.
Faccio outing.La mia "relazione" con Mondrian ebbe inizio, in maniera del tutto inaspettata negli
anni ottanta quando i miei genitori acquistarono una villa al mare nella nostra amata Puglia. La villa
aveva un bellissimo giardino mediterraneo ma era stata completamente abbandonata da oltre 20
anni e così cominciammo papà ed io iniziammo una radicale pulizia del giardino da erbacce e
sterpaglia finché trovai completamente avvolta dalla rampicante una strana sedia….Era in legno,
comodissima e stranamente non rovinato più di tanto dalla pioggia, e dipinta di rosso e di blu…..Io
mi "innamorai" a prima vista di questa strana sedia ritrovata per caso nel mio giardino in Puglia.
Mio padre la ripulì e ridipinse in bianco e celeste, colori più estivi e più adatti a una villa al mare
pensammo. Tanti anni dopo, nel 2000 feci la mia prima vacanza a New York. E con mia enorme
sorpresa in mostra fra le più importanti opere d’arte moderna esposte al MOMA di New York....vidi
la sedia del mio giardino in Puglia! Così cominciai a leggere tutto quello che trovavo sulla sedia
rosso-blu scoprendo che l’aveva ideata nel 1918 un architetto olandese, RIETVELD, come
«omaggio» agli ideali di MONDRIAN. La sedia ritrovata nel mio giardino mediterraneo era stata
una vera rivoluzione nel design dipinta con estremi gialli, schienale rosso e piano blu, solo colori
PRIMARI come sosteneva MONDRIAN. In seguito a tale scoperta la sedia nel mio giardino fu
prontamente riportata da mio padre ai colori primari, e nell’estate del 2004 organizzammo nel
giardino uno strepitoso Mondrian Party con gli invitati obbligati a vestirsi di rosso, giallo e blu per
poter entrare alla festa giardino. La vita nella villa con continuò a scorrere negli anni seguenti
finché conobbi Michela mi sposai e nacque una bellissima, bimba che chiamammo Azzurra, colore
primario, e che prima ancora di imparare a camminare, già si sedeva sulla sedia rossoblu del mio
giardino mediterraneo, e solo su quella sedia beveva dal biberon...
Profumo di tigli
313
di Daniela Galletta
Dove mi trovo? Un profumo lieve mi avvolge e la mente ritorna nello stesso posto, in un giardino
pubblico, difronte la casa dei miei nonni, il giardino dove ho passato gli anni della mia infanzia.
Chiudo gli occhi ogni volta che sento il bisogno di tornare bambina e cerco con i sensi il profumo,
quel profumo, particolare e unico. E pensare che per gran parte della mia vita ho creduto che quel
profumo, per me unico e irripetibile, nascesse dalla magica combinazione dell’aria di collina con le
folate del vento marino, non troppo vicino, ma neanche così lontano. E’ stata la mia adorata nonna,
un giorno, involontariamente a svelarne il mistero: quest’anno I tigli sono malati! I tigli? Quali
tigli? Come, gli alberi…guardando dalla finestra della casa il filare degli alberi sottostanti. Le foglie
normalmente di un verde intenso, erano orlate di giallo e marrone. Ma certo! mi è apparso tutto
chiaro: quel profumo così particolare e unico aveva un nome: tigli! Che emozione evocarlo e
ricordare quando, al mattino molto presto, l’aria pulita che ti avvolge, quei soldatini in fila tutti
uguali, un lieve venticello muove all'unisono le foglie leggere e spiritose. Riapro gli occhi, si velano
di nostalgia e anche di amore.
Gatto nero
314
di Mariapia Fornasier
-Tu mi piaci fiore rosso! - Fiore rosso! Scherzi tu, ma poi lo sai dire in modo dolcissimo il mio
nome, Dipladenia…. Mi guarda, con occhi grandi e gialli, sembrano stelle, ma non parla. Sposta lo
sguardo lungo tutto il mio essere e io fremo d’orgoglio. - Gatto nero, non dici niente? Frappongo
parole per stemperare l’emozione di averlo accanto a me, - Non so cosa provi. Pausa lunga. - Parli
del fatto che sono stato tra i tuoi rami, ti ho respirato, ho messo il muso nei tuoi petali rossi e madidi
di rugiada? Aspetto anch’io un po’. Come vorrei che le nostre emozioni si assomigliassero. - Sì,
cioè no! Risolini sciocchi pieni di imbarazzo. - Voglio sapere di te. L’effetto dentro delle cose che ti
succedono fuori. Il suo sguardo è rivolto ad un punto lontano, al di là dei cespugli di fresie che
ondeggiano al vento, al di là della fitta siepe di alloro. So che non sta guardando nulla, ma
immagino pensieri enormi. - Sono qui, con te, non c’è altro da aggiungere. Nel pronunciare gira di
scatto il muso verso di me, come se volesse sorprendere una reazione. Sfioro la sua zampa con uno
dei mie lunghi rami fioriti. Lui lo prende e lo accarezza piano, piano.. Mi guarda tra i fiori, strofina
il muso su di me. L’accolgo, sento dentro qualcosa che pulsa forte. Ho tutto dentro, il dolore e la
dolcezza, gioiose effimere albe rosa, lunghi caldi tramonti infuocati, sono dentro un’ amalgama di
colori, forme, odori, suoni. Aggiunge: - Ho paura. Noi stiamo bene insieme, ma gatto e fiore non
hanno sogni e non hanno futuro. - Ma io sono felice con te! Ed ecco, mi sono svelata a questo essere
algido ed egoista. Un ultimo sguardo, poi con un balzo è già dietro una lucertola, lontano, lungo le
ortensie. Io non posso muovermi di qui. L’estate, tra non molto, finirà.
Il fabbricante di colori
315
di Mimma Iannone
- Scusi signore, mi sa dire qual è il prezzo di queste rose? - Cinque colori? - Si, sono rose speciali.
Quante gliene servono? - Una. Il suo rosso rubino era riuscito ad incantarmi, come profumo di vino
che scorre intenso nelle cantine del Chianti. È una caratteristica delle alcantare quella di rifiorire
costantemente. Forse per questo l’avevo scelta, o forse perché passando di lì avevo ripensato alle
mie estati al Giardino, dove tutto sembrava dover durare per sempre, e dove la terra si confondeva
col cielo. L’uomo che me l’aveva venduta d’improvviso sparì tra la folla che pungeva come spine
che toccano il cuore. Era andato via quel fabbricante di colori, lasciandomi tra le urla di un
venditore di stoffe e le parole sfuggenti dei mercati della domenica mattina, mentre un suono di
campane trepidava a festa. Era andato via troppo presto perché io potessi capirne il senso. E così, da
allora coloro ogni giorno la mia vita. Bianco di Luce, Giallo Pastello Creta, Blu Sogno Cobalto,
Argento Goccia di Cristallo, Magenta Carta Fantasia, le mie sfumature. Stamattina ho portato la mia
rosa speciale ad Elisabetta,e ho visto le sue labbra raggiungere in fretta le due simpatiche fossette,
mentre si aprivano in un bellissimo sorriso. La mia amica ama i fiori. Sono sicura che anche in
Paradiso ne sentirà il profumo.
La vera amicizia
316
di Loredana Abati
Il fagiolino vagabondo
317
di Loredana Abati
Fagiolino si svegliò di soprassalto, si guardò attorno e, nonostante il buio, riuscì a scorgere i quattro
fratelli, addormentati, accanto a lui. Qualcosa aveva disturbato il suo sonno. Forse un incubo o un
rumore. Rimase in ascolto per alcuni istanti, poi comprese. Stava piovendo e le gocce, cadendo
sulla superficie liscia della culla, produceva un suono sordo. Plin, plon, plan. Attese qualche istante
e poi, sistemandosi meglio, riprese a dormire Come si stava bene in quella culla fresca e morbida.
La vicinanza dei fratellini poi, gli trasmetteva un piacevole tepore, che lo invogliò a riprendere il
sonno interrotto. Ad un tratto ci fu uno scossone, tutti e cinque i fagiolini si svegliarono di
soprassalto. Pareva che la culla non fosse più appesa, ma stesse viaggiando, trasportata da una non
bene definita “cosa”. Fagiolino si strinse più che poteva ai fratelli, una strana inquietudine lo assalì.
E poi non ci fu tempo per pensare, la culla venne squarciata ed una grande luce li investì,
riscaldandoli all’istante. La cosa, che in realtà era una mano, li raccolse, e li mise in una culla molto
più grande, un secchio, in compagnia di tantissimi altri fagiolini simili a loro. - Ehi, ciao amici. Che
si fa di bello? – Esclamò con allegria il nostro fagiolino, ma ad un tratto un’ombra gettò
nell’oscurità il secchio di fagioli. Una gazza ladra catturò col becco, il nostro fagiolino e subito
spiccò il volo verso il suo nido, per aggiungerlo agli altri tesori, rubati in precedenza. Ma fagiolino
riuscì a liberarsi e cadde, andando ad atterrare su un morbido tappeto d’erba. Stupito aprì gli
occhietti e scoprì di essere finito in una giungla di fili d’erba, profumati. Inspirò a lungo, traendo
una sensazione di benessere. In fondo, quel nuovo posto gli piaceva. Era morbido, profumato e
tranquillo. Gli avvenimenti degli ultimi minuti, l’avevano affaticato, così decise che avrebbe
schiacciato un altro pisolino.
Una goccia di rugiada poggia sulla foglia della rosa. Settembre è imminente e la brezza mattutina è
frizzante. Puff, la goccia cade, la foglia non sopportava più quel peso che la costringeva a piegarsi.
Il sole libera i suoi raggi e bacia la bellezza della rosa, che ora, libera, può dolcemente svegliarsi.
Lei è la prima ad assaporare il calore della stella infuocata e dall’alto della sua suprema fioritura
guarda la misera margherita. Bianca, candida, il fiore più umile e insignificante. Il sole scotta, è già
in alto nel cielo. La suprema rosa sopporta a fatica tutto quel caldo e sembra dire “Ci vorrebbe una
leggera brezza, un po’ di acqua almeno…”. Ma si erge, troppo orgogliosa e non riesce nemmeno ad
ammettere che invidia un po’ la misera margherita. La margherita infatti sta bene, il pino azzurro le
sta facendo ombra. È grande, quasi spaventoso! Ma con la sua dolce gentilezza la protegge
dall’aggressività del sole. Veloce la giornata scorre, il sole si abbassa, la natura vive nel giardino.
Ora il sole sta andando a dormire. La sua luce è ormai innocua. Il girasole è stanco, sta abbassando
la testa. Tutto il giorno a girare per seguirlo, un amore a prima vista. Ma la stella non ha tempo per
il girasole, che invano la segue ogni giorno della sua vita. La rosa lentamente sfiorisce, dopo un
giorno di incontri con gli ammiratori volanti più inaspettati fa cadere i suoi petali rossastri, che si
appoggiano dolcemente ai piedi della margherita, che si rallegra per qualche istante di conservare le
sue umili radici sotto un tappeto simile! Serenamente la margherita si chiude. Il pino è sempre li, in
attesa di proteggere un altro fiorellino indifeso nella giornata che verrà. Il melo, si erge, fiero, nella
luce rossa del tramonto, quella è la luce che gli fa bene, che fa maturare le mele, che porta armonia
in ogni stelo dei fiori. È proprio quella la luce che chiude un sogno di un giardino di mezza estate.
Le spighe dorate erano mature e i chicchi di grano premevano per uscire come un seno prosperoso
costretto da un corpetto minuscolo. Il giardino era illuminato dal sole e con quelle macchie rosse dei
papaveri, visto dall’alto sembrava una grande pepita, che arricchita da tanti rubini formava uno
spettacolo stupefacente. Una farfalla, che giocava felice con le rose di questo giardino, mentre
ascoltava le cicale che vivendo il loro tempo si esibivano nel concerto dell’estate, si soffermò a
guardare la più bella storia d’amore tra due coccinelle, il maschio, sapendo che la femmina soffriva
per il fatto di avere quelle piccole macchie nere sulla schiena, si muoveva con un petalo di rosa e
con gran fatica staccava un minuscolo pezzo di petalo nel tentativo, impedito dal vento, di coprigli
quella vergogna. I due bellissimi amanti si accarezzavano scambiandosi minuscoli sguardi, le cicale
accortesi della scena aumentarono l’intensità del canto come volessero suggellare quell’atto. La
farfalla estasiata si pose su una delle tante rose lì vicino e racchiusa nei suoi pensieri ricordò quando
da giovane viveva quei momenti felici. Si voltò per osservarli di nuovo, ma i due insetti erano
spariti lasciandosi calare lungo il gambo del fiore, fino a raggiungere una zolla di terra che ponesse
al riparo la loro platonica avventura. Le formiche che da mesi scavano per preparare le rimesse per
il cibo invernale, contavano i giorni basandosi sul canto delle cicale. La farfalla ad un certo punto
guardandosi intorno e vedendo tutti gli sforzi di quei animali capì che forse la cosa più bella mai
vista era proprio lui, quel giardino di mezza estate.
Un giardino incantato
320
di Barbara Frattola
Ah ah! Le farfalle gialle si sono messe tutte sulla pancia della statuetta al centro del giardino a
formare una specie di gonnellino; quelle più chiare si sono disposte intorno al petto e fanno andare
le ali come se fossero dei volants. L’effetto è comico perché la statua raffigura una donna molto
prosperosa: con quel gonnellino pieghettato i fianchi sembrano ancora più grandi e il petto, coperto
da quel reggiseno vivente, sembra davvero enorme; in più, una foglia di robinia, prima di andare ad
appoggiarsi a terra ha voluto partecipare al gioco e si è andata a posare sulla testa senza volto della
statua. Tutti i grilli e gli altri insetti sono scoppiati a ridere e la risata ha contagiato anche gli uccelli
che stanno sul fico del giardino vicino. Lei non se la prende, è buona e paziente e sa stare al gioco.
Lei non si arrabbia nemmeno quando gli spiritelli del bosco la canzonano perché non ha piedi, né
braccia; sei tutta tette, pancia e culo, dicono; ma è solo per scherzo, Lei è e sarà sempre la loro
Mamma. Un alito di vento e per un attimo tutto rimane sospeso. Anche le risate rimangono a
mezz’aria. Questo succede quando Lei abbraccia le sue creature: è un abbraccio senza braccia, ma è
il più bell’abbraccio che si possa desiderare, un’onda calda, profumata e misteriosa, carica d’amore.
Allerta, un rumore… è Gaia, la giovane padrona di casa che si avvicina. Prende l’innaffiatoio, si
gira verso il centro dell’aiuola e sorride, guardando quella foglia che si è posata proprio sulla testa
della statuetta. Soffia e la foglia scivola sull’erba. Siamo uguali, guardati: tutta tette, pancia e culo,
come me! Per questo, quando ti ho trovata, ti ho messa qui nel mio giardino segreto: sembri il mio
ritratto. Bella. Belle siamo, tutte e due! Gaia se ne va canticchiando “ ammore, ammore”… Gaia
non sa che quella che ha trovato nella grotta sul fiume è una preziosa Venere paleolitica, simbolo di
prosperità. Poco importa, lei non se ne separerà mai!
Sono sbocciata prima delle altre in questa tiepida primavera. Non è ancora arrivato il mese di
Maggio ma avevo voglia di uscire e sentire al mattino le gocce di rugiada, sentire i raggi del sole
attraversarle fino a farle evaporare, lasciandomi il solo ricordo di averle incontrate. Avevo sentito
parlare di giardini incantati, ricchi di colori e profumi che stordivano farfalle e insetti, ma, anche
una strana razza di giganti, chiamati uomini. Avevo sentito dire che si innamoravano di noi fino a
commuoversi, ma anche, che potevano staccarci dalla “nostra terra”. So di essere amata e di essere
speciale, perché nella terra dove la mia famiglia affonda le radici nella scorsa primavera, altre mie
sorelle sono sbocciate nel giardino di Alice. Alice è una bimba dai capelli rossi di circa 7 anni, che
veste con la camicia del papà dalla quale spuntano due smilze e irrequiete gambette, il giardino non
è proprio il suo ma della nonna. Alice segue la nonna in giardino, osserva il suo amore, le sue tenere
cure e la magia delle stagioni. Le prime violette che timide si scuotano dalla terra ancora un po’
fredda per cogliere il calore dei raggi del sole. E poi, i fiori del melo, i fiori del ligustro e i grappoli
di lillà bianchi con le foglie a cuore. Ieri la nonna mi si è avvicinata e mi ha guardata. Oggi già dal
mattina ho sentito il tepore del sole. Io, sono una rosa di colore proprio rosa ed ogni petalo porta
leggere sfumature più scure. Si dice che sono arrivata qui, dentro una borsetta da passeggio, come
dono di un’amica alla nonna. Oggi si è accorta di me anche Alice. Mi ha guardata, si è chinata per
sentire il mio profumo. Aveva in mano uno strano attrezzo, che dai racconti che avevo sentito,
poteva solo essere quello che serviva per staccarci dalla nostra famiglia: “No!” ho gridato. Alice mi
risponse: “Tranquilla! Questa è una macchina fotografica della nonna di quando era piccola…
voglio solo una foto di noi due da mettere nel mio diario segreto.”
Quando la Fantasia era uno stato e i suoi confini erano sulle cartine geografiche, giardini infiniti
sprigionavano riflessi colorati in un arcobaleno perpetuo di fiori meravigliosi. Tra tutti, spiccavano i
tulipani. Innumerevoli creature giungevano ad ammirare i petali di ardito rosso passionale, giallo
d’estate, porpora di tramonto, o misteriosamente neri. Turbanti di geni le corolle, steli vellutati e
rigogliosi, lunghe foglie brillanti. Sotto i tulipani, c’erano anche dei piccolissimi, microscopici fiori
di campo: non avevano colore, né profumo e neppure un nome, non attiravano l’attenzione, spesso
venivano calpestati; neppure il vento li considerava (sfiorava placidamente solo i tulipani) ma essi
esistevano. Un giorno, una farfalla andò oltre il barcollante oscillare del vento, ruzzolando accanto
ai piccoli fiori. La farfalla si fermò accanto a loro, stupita di averli trovati, e, curiosa, volle capire
chi fossero e perché avessero quell’aria triste. I piccoli fiori le spiegarono la ragione della loro
infelicità. La farfalla, di animo nobile, volle trovare una soluzione al loro problema; volò in alto in
cerca dello Spirito del cielo e non appena le si presentò innanzi, gli raccontò brevemente la storia
dei piccoli fiori. Egli allora le consegnò una fiala con gocce di azzurro cielo e blu notturno,
affidandole il compito di versare il contenuto sui petali dei fiori, attendendo. La farfalla eseguì tutto
e i piccoli fiori si tinsero di un colore mai visto prima. Passarono giorni ma essi continuavano a
venire calpestati. Ma improvvisamente qualcosa accadde. Un bambino andò a guardare dove gli
adulti non si curavano più di cercare e scorse, sotto la foglia di un tulipano, un bellissimo
cespuglietto di fiori azzurri. Raggiante, chiamò la mamma, che sbalordita gli chiese che fiori
fossero mai ed egli spontaneamente rispose: “NONTISCORDARDIME !”. Da allora si capì che
anche il più piccolo fiore può racchiudere l’immensità del cielo.
Lì, proprio nel nostro giardino, la bambina aveva scoperto l'esistenza del nostro mondo: un mondo
invisibile. Noi eravamo le radici, gli alberi ramificati all’ennesima potenza, gli alberi sotterranei. Ci
aveva sorpreso un giorno d’estate in una conversazione animata, una conversazione rivolta alla
nostra parte eterea, una specie di rimostranza che aveva il sapore di un’insurrezione. Così la
bambina aveva udito le nostre numerose voci accavallarsi, intrecciarsi, fino a giungere a lei: - Credi
che capisca che non guardiamo all’immensità del cielo ma al centro della terra? - Ignorando il padre
e rivolgendoci alla madre! - Si rende conto che, senza di noi, non avrebbe equilibrio, non sarebbe
stabile? - Realizza che siamo noi a nutrirla? La parte eterea stava zitta, muta di fronte all’evidenza:
viveva per riflesso, fioriva e doveva la sua bellezza alla sua parte invisibile, nascosta. Il mondo alla
rovescia, ancora una volta, dimostrava il suo essere primo, il suo essere primordiale, il suo essere
fondamentale. I bulbi, i tuberi, i rizomi erano varianti della nostra grande famiglia, la famiglia degli
alberi a testa in giù. E loro avrebbero rasserenato gli animi, loro, i più piccoli, avrebbero riportato la
pace: - Le forme cambiano ma la sostanza ed i ruoli sono assegnati con chiarezza: “mondo emerso,
cielo, aria e vita”, “mondo sommerso, terra, acqua e vita” e la Vita ci unisce. A questo punto, la
bambina aveva battuto le manine e aveva dichiarato quanto le piaceva l’idea di ritrovarci, tutti,
stagione dopo stagione, come dei compagni di scuola fedeli, dei piccoli geni promossi a primavera,
con largo anticipo. Crescendo, la sua sarebbe diventata una vera e propria passione, una vera e
propria ossessione. Non aveva mai dimenticato la nostra conversazione. Lì, un giorno d’estate.
Sentire l'essere
324
di Giulia Lupi
Io...o noi, chissà...pare che siamo verdi. “Verde” è un colore. L'ho sentito (l'abbiamo sentito) dai
suoni degli uomini e delle donne che passeggiano. La nostra coscienza è vasta, il nostro udito fine;
vigiliamo nascosti. Quelle gambe così pesanti, a volte, si arrestano in un punto, e così fa il resto del
loro corpo. Gli esseri umani si fermano, si bloccano, paiono morti in quel modo, in piedi, salvo poi
ridestarsi come automatizzati, di scatto. Noi (e io) non cessiamo mai di muoverci: apparentemente
inermi, al nostro interno si agitano sostanze, le reazioni si susseguono, in uno sfrigolio silenzioso
continuo. Non badiamo alle differenze, ma solo alle somiglianze, perché sono soverchie. Avvertire
le nostre presenze gli uni con gli altri, l'appartenenza allo stesso terreno, a ciò che ne traiamo, senza
colpe. Siamo una cosa. Ognuno singolo, ognuno parte del tutto, che nulla rifiuta, che niente esclude
ai margini. Ci svegliamo, dormiamo, perfino parliamo, ma la voce di uno risuona in quella altrui, si
propaga rapida fino ai nostri estremi confini: l'eco. Parliamo col vento. Il vento ci dà la parola, noi
la restituiamo a lui. Sono un filo d'erba. Sono un prato. Oggi nasco, domani nasco, ieri sono nato.
Riconosco tutto ciò che è reale, i miei simili, così vicini; la terra, su cui respiro; la grandezza
smisurata, in alto; la luce, che segue il suo particolare ciclo, di cui mi fido. Accogliamo la vita e la
morte con uguale sentimento, che sia pioggia estiva o tosaerba, insetti e vermi o un passo sopra di
noi. Siamo immersi in un cerchio senza termine di vita, di rigenerazione; non esiste terrore, ma
nemmeno speranza. Non c'è bisogno. È l'unica coscienza di essere, a renderci diversi. L'attenzione
rivolta sempre al tutto, allo scorrere, al decadere per ricominciare. Non può capire il ciliegio,
nell'angolo in fondo al giardino, né i cespugli in fiore di camelie, né la fontana fredda e grezza. Essi
sono interi in se stessi, ma io (noi) siamo la nostra esistenza insieme.
Muta. Sono muta, sono una gorgone pietrificata, quasi come se lo stesso potere dei miei occhi si sia
rivoltato contro di me. Non posso muovermi, né cercare asilo nelle dolci ombre della vanità, eppure
ogni volta che mi specchio negli occhi degli umani e vedo i miei capelli di serpi, non penso al
tragico gesto di Perseo. Da qui si vede il mare, pronto ognora a consolarmi e anche se voi non
sentite la mia voce, il mio pensiero è vivo, permea la pietra attraverso i capillari più profondi. Qui la
vita è calma e i tramonti sono lunghi; le piante e i fiori parlano, parlano... Sono instancabili e vivi
più che mai: se avessero gambe arriverebbero in un battito di ciglia in cima all'Everest, tanta è
l'energia che li pervade. La rosa canina è una vanitosa di prim'ordine, le giuggiole, sul finir
dell'estate, stanno tutto il giorno a lamentarsi e a tremare di paura sperando che non le riducano in
brodo e l'assenzio si compiace ogni momento dell'ilarità che può regalare agli umani. La compagnia
di piante e fiori rende animata anche la mia fredda pietra e l'acqua che sgorga da sempre sotto di me
è la vera vita. Uomini, tanti uomini, medici e apprendisti gioviali, soprattutto, hanno calpestato e
calpestano ogni giorno questo selciato: io e gli alberi li osserviamo da tempo e nonostante questo
immenso panorama cambi veste di continuo e si ricopra di brutture come di coltri grigie, ve ne sono
alcuni, di questi uomini, che somigliano molto ai fiori. Sotto quelle vesti strambe, alcuni di loro
hanno capito di poter parlare e amare con la stessa voce di linfa di noi pietre, foglie, rami. E sono
felici, come me, di questo angolo intoccato nel quale rifugiarsi, scala dorata dalla quale si possono
guardare il mare ed il cielo fondersi.
Crriculum vitae
326
di Elena Gianni
Sono un fico......e che fico!! Ho messo radici sullo spigolo alto di un palazzo di 8 piani, vivo al
superattico. Sono bello, snello moderatamente alto. Offro i miei deliziosi frutti a chilometro, ops
centimetro zero. Capita che per momentanea distrazione qualche adorabile fruttino piombi a terra,
24 metri più in basso, è una bomba, sempre ecologica però. Dall'alto controllo il mondo:mi godo i
grattacieli nuovi di Milano, sorrido alla Madonnina piccola, piccola piccola, saluto il sole che ride
calando dietro il Monte Rosa (che è proprio rosa rosa rosa) e do un occhio ai piccini della scuola qui
sotto. Ho ottime competenze comunicative affinate con anni di permanenza spalla a spalla con lo
spocchiosetto liquidambar, il contorto nocciolo e l'ombroso acero giapponese. Tengo famiglia, un
tot di piccoli fichini che sono nati distrattamente qua e là e saranno il mio futuro. Per questo sto
sereno e delle miserie, cattiverie ed invidie altrui non m'importa un fico secco.
M’ama, non m’ama? Quando il ragazzetto magro e brufoloso si avvicinò a me sentii che profumava
di morte e attesi, spaventata, che la sua mano mi strappasse dal suolo . Ogni margherita lo sa,
conosce il suo destino, spellata come un coniglio per un sogno d’amore. Mors tua, vita mea,
direbbero i latini. Mi vedete? Sono là, tra le aiuole del giardino, nata per caso, destinata a una fine
precoce. Tutta colpa di Goethe e del suo Faust. Ed eccolo il mio assassino, quindici anni di silenzi e
fumo. Una zazzera nera, pantaloni portati bassi che sembrano cadergli addosso. Strano trovarlo qui,
nel terzo millennio, come un adolescente di qualche secolo fa. Tremavo di paura, gli ultimi
momenti della vita sono sempre terribili. “Lei si chiama come te – mi sussurrò alla fine –
Margherita! Può esistere un nome più soave? Perché Margherita è bella, perché Margherita è vera
…” Canticchiava. In lontananza avvertivo voci di bambini in festa, stavano giocando. Mi distrassi
un attimo. Non ero mai stata piccola, cresciuta in fretta, bagnata ogni sera, inglobata tra fiori delicati
come me. Il ragazzino raccontava di un amore nato sui banchi di scuola, di una lei troppo bella che
gli rideva dietro e non rispondeva ai suoi messaggi. Aveva tanti corteggiatori, non poteva
corrispondere il suo amore. O forse sì. Doveva chiederlo a me. E intanto si guardava intorno
circospetto. Poi si mise a ridere. “Ci pensi se mi scoprissero qui a fare “m’ama , non m’ama” come
una romantica donna inglese? Ah, ah, sarei finito” Si alzò da terra spolverando leggermente i
pantaloni, mi sorrise. “Ti salvo la vita margherita, sono un giovane dal cuore d’oro” e si allontanò.
Tirai un sospiro di sollievo. Ero salva. Sentivo le voci allegre dei bambini avvicinarsi e mi batteva il
cuore per lo scampato pericolo, quando ad un tratto una pallonata mi prese in pieno. Piedi veloci e
saltellanti mi passarono sopra. Erano un esercito d’indemoniati. Morii così inutilmente. Senza poter
parlare d'amore
Faceva caldo. Il sole batteva dritto e forte sul terreno secco, sulle panchine leggermente arrugginite,
sui rami degli alberi che circondavano il parco. C'era un silenzio assoluto e il tempo sembrava
essersi fermato, proprio come una lucertola che languiva immobile sul muretto di pietra assolato
che circondava un'aiuola di fiori variopinti. Era mezzogiorno passato e, nonostante il pesante
cancello in ferro battuto all'ingresso fosse solo leggermente accostato, nessun umano si aggirava in
quel parco deserto. C'erano soltanto delle piccole formiche in fila che spingevano briciole di
biscotto che qualche bambino distratto aveva lasciato cadere a terra qualche ora prima, quando il
parco era tutto un brulicare di passetti saltellanti, di grida gioiose o pianti disperati e le persone che
camminavano sui viali alberati si salutavano cordialmente con un "buongiorno!" a cui seguiva un
leggero segno col capo ed un abbozzo di sorriso che magari, poi, continuava con qualche cattivo
commento a bassa voce indirizzato l'uno alle spalle dell'altro. - Strano - disse una formichina che si
era fermata un momento dal suo lavoro - che questi umani si salutino, si sorridano e parlino tra loro
senza mai accorgersi di noi! In fondo questa è casa nostra e loro sono solo ospiti che vengono qui
occasionalmente. - Non stare a fantasticare! - le disse la formichina dietro di lei con tono di
rimprovero, mentre continuava a spingere la sua briciola - In fondo sono solo esseri umani e certo
non immaginano che sotto i loro occhi distratti esiste un universo fatto di formiche che lavorano
alacremente, che mettono tutto in comune, riciclano la loro spazzatura e rischiano la vita ogni volta
che loro mettono piede in questo parco! La prima formichina scosse il capo ancora sovrappensiero,
poi riprese a lavorare. Avrebbero potuto starsene in pace ancora un poco prima di fare nuovamente i
conti con quei distratti e rumorosi invasori...
Il saggio castagno
329
di Ivana Borsani
Sono qui ormai da 200 anni. Piantato insieme a altri castagni per mano austriaca sono uno dei pochi
ad essere sopravvissuto e ad avere visto tutti i cambiamenti attorno al mio tronco. Sono stato
toccato da mani di bambini che poi sono diventati uomini, di donne, di amici, di nemici e di
innamorati. Ho vissuto le guerre, quelle per formare l'Italia, la prima, la seconda e i classici duelli
tra ragazzini che come armi non avevano altro che legni trovati qui vicino. Ho capito cos'è la gioia
da una madre che ha ritrovato il proprio figlio sotto le mie fronde, ho visto quanto odio si possa
generare da banali ideologie e ho scoperto cosa significa amare: abbandonarsi uno all'atro e scalfire
i propri nomi sulla corteccia di un vecchio castagno. Dal dolore di questa esperienza ho appreso
quanta tristezza si possa provare durante la vita, una sofferenza che con la pazienza e la speranza
può diminuire se non addirittura scomparire. Durante la mia esistenza non c'è mai stato un giorno in
cui non abbia pensato a cosa avrei fatto se fossi stato un uomo. Poi col passare del tempo ho capito
che è meglio essere fatto di rami e ninfa perché da qui ogni cosa e ogni essere vivente si può
osservare, capire ma soprattutto rispettare.
Margherita e Leone
330
di Ivana Borsani
Mi chiamo Gaia e sono un'ape operaia al cospetto della regina Gina. Sono al suo servizio da quando
ero una larva e vivo nell'alveare situato proprio in mezzo a questo meraviglioso parco. Mi piace
molto chiacchierare e grazie a questa mia passione ho conosciuto due fiori innamorati che vivono ai
lati opposti del giardino. Possono sembrare una comune margherita e un semplice dente di leone,
mentre in realtà sono Margherita e Leone. I due non si sono mai visti ma si conoscono molto bene
grazie a Arianna e Teseo due fidanzatini umani che durante il loro tempo libero si occupano del
parco. Arianna provava molta simpatica per Margherita tanto che ne parlava spesso mentre
innaffiava gli altri fiori e Teseo mentre concimava gli ospiti del parco non faceva che raccontare di
Leone. Margherita continuando a sentire parlare di Leone finì per innamorarsene e Leone fece lo
stesso. Qui entro in gioco io: ogni giorno per aiutare gli innamorati volavo da un lato all'altro del
parco riferendo le frasi sdolcinate che mi dicevano. I due però divennero ben presto insofferenti alla
distanza fino a quando Margherita ebbe un'idea suggeritale inconsciamente da Arianna. La ragazza
le aveva raccontato tante volte il mito di Arianna e Teseo e di come riuscirono a coronare il loro
amore grazie a un filo rosso. Così io, pregata da Leone, dovetti volare fino al capanno degli attrezzi
degli uomini cercando di passare inosservata e prendere un nastro da regalo per fare comunicare i
due fiori innamorati, che non avrebbero dovuto fare altro che muoversi per amoreggiare tra di loro.
Non fu semplice ma riuscii nell'impresa e dopo avere legato i gambi dei due amanti mi sentivo
proprio soddisfatta di averli aiutati. Ora quel nastro è ancora lì, adagiato sul terreno, che come il filo
di un vecchio telefono consente la continuazione di un amore da poco sbocciato. E' ormai passata
una settimana dalla mia esaltante impresa, forse qualcuno oggi interromperà la loro comunicazione,
o forse no... chi può dirlo?
Quando sbarcai sull'isola era l'inferno. Il Vulcano aveva vomitato il possibile. Il mare era teso di un
verde algoso. La terra bruciava corrugata tagliente. Non sarei sopravvissuta a lungo dovevo cercare
un luogo riparato protetto dal vento che presto sarebbe tornato a soffiare tra le sue isole *. Mi mossi
furtiva sperando che nessun altro mi seguisse per potermi eliminare e sopravvivere. Lasciai alle
spalle il cratere e volsi lo sguardo verso ponente. Sentivo che quello era il luogo della sosta. Per
sempre. Il mare denso e melmoso si impadronì della zona. Trovai tracce di sale cristallizzate dal
sole cocente e chiazze di zolfo giallastro incrostato. Miasmi irrespirabili. Il versante opposto
dell'isola con pinete e querce secolari sarebbe stata una scelta più saggia. Ma quando progettai di
salire verso l'altura mi trovai imprigionata da una distesa di canne che avevano conquistato quella
che ormai era diventata una palude. Avevo bisogno di acqua in profondità trovai un canale. Mi
allungai allo spasimo sperando di fare in tempo. Scelsi di non muovermi per un lungo periodo. Il
silenzio si impadronì di tutto. iniziò una primavera lunghissima. Ero sopravvissuta. Mi espansi. In
modo silente e tortuoso per evitare che la mia bellezza facesse scuotere irrimediabilmente il
Vulcano. Diventai forte, nodosa, la pelle screpolata ed opalescente. La prima foglia di un verde
intenso si accartocciò. Ne crebbero altre a gruppi, per sopravvivere. Esplose il colore dei fiori,
l'unico possibile, quello del fuoco, comparvero tutti insieme come un'eruzione. Perché succederà, il
fuoco mi distruggerà come il più forte degli amanti romantici. Sono di una bellezza secolare **, Il
tempo ha aggiunto splendore alle mie membra nodose e scultoree. Sono amante del Vulcano, vicina
al cratere, al fuoco. Che continuo ad aspettare. * Isole Eolie ** Erytrina crista-galli (albero del
fuoco) , nella Baia di Ponente nel Giardino Mediterraneo dell'Isola di Vulcano, realmente esistente.
Come nascono le piante E le foglie e i fili d’erba e i fiori, in una qualsiasi notte, quando tutto si fa
silenzio, dalla terra provengono note che noi non udiamo. Escono dalle zolle voci sottilissime, fra
sassi e ciottoli e granelli di sabbia, dal cuore della terra viene fuori il suono che risponde al cosmo.
Non appena la sua vibrazione muove la notte, vedrai piccole particelle aggrapparvisi, perché
vorrebbero arrivare alle invisibili lontananze dell’universo attaccate a quel suono che esse hanno
percepito. Vedi, vi sono particelle leggere e innamorate dei suoni delicati e brevi. Sono quelle dei
fili d’erba nel prato. Si aggrappano al brivido che sentono uscire dalla zolla una dopo l’altra e danno
corpo agli steli. Sai, si riconoscono l’una l’altra proprio perché solo quelle di un certo tipo odono
quel particolare suono, mentre le altre, infiniti milioni, attendono. Sulla superficie guazzano
invisibili particelle a milioni, ad aspettare che fuoriesca un respiro, un sibilo, un rombo, o una
melodia. Se osservi un pesco fiorito, da oggi saprai che il suo tronco riveste un sibilo lungo e
articolato in tante direzioni che ne hanno fatto i rami, e non appena si è diffusa dai rami la
vibrazione lieve della primavera venuta anch’essa dalle profondità del pianeta, vi si sono attaccate
le particelle rosa delle corolle. Non c’è altro segreto da svelare, siamo immersi in un fermento di
particelle che si raggruppano, riconoscendosi, al richiamo delle vibrazioni che echeggiano
nell’universo. E non è la scossa più imponente a condurle più lontano, l’esplosione di un vulcano fa
solo ricadere giù lapilli e cenere. So di una corolla arrivata al cuore dell’universo facendosi piccolo
calice per rendere la voce della terra giunta attraverso il ramo fino a lei una incantevole melodia,
sfuggita, questa si, alle particelle in fermento nell’aria, per essere troppo sottile, troppo veloce,
troppo leggera e troppo entusiasta per lasciarsi acchiappare da chicchessia.
Il Giallo e il Blu
333
di Patrizia Buriani
Ehi Voi!, devo dirvi una cosa…. Non tutti qui sono consapevoli di esistere vivendo in luoghi
inimmaginabili. Colori intensi e sfumati di petali che emanano profumi e fragranze inebrianti, che
come in una danza volteggiano nell’aria. Meraviglie naturali dal mondo in un unico rifugio dove i
sentieri si identificano con le diverse venature delle foglie e i luoghi con le ore in cui si schiudono i
boccioli. Beh! Io vivo qui e nonostante lo splendore devo dire che non è tutto rose e fiori come
sembra. In alcuni della giornata insetti, il sole, il vento danno veramente fastidio!Mi chiamo Fior di
Loto ed insieme alla mia amica Gelsomina vorremmo organizzare una festicciola per conoscere le
altre signore che si specchiano laggiù, nella nostra piscina. Hanno corolle fluenti, fucsia acceso, così
impeccabili ogni giorno che vorremmo sapere come riescono ad aprirsi al sorgere del sole sempre
belle e lucenti. Vorremmo invitare anche il nuovo arrivato, un tipo molto alto, un po’ spinoso che
spesso fa battute pungenti sul nostro modo di vestire, ma pare simpatico. Con Gelsomina avevamo
pensato di chiedere aiuto ai Papiri per mandare gli inviti, ciuffetto più ciuffetto meno, su di loro non
si noterà neppure la differenza. Pensavamo ad un happy hour verso le 19.30, quando intorno a noi
non rimangono tracce di visitatori, il sole inizia a calare e ancora non dobbiamo riposare. Per
l’allestimento ci darà una mano Livistona Rotundifolia, con le sue mani così palmate è perfetta. Il
nuovo vicino ha detto che porterà Champagne…speriamo che si limiti a brindare al nostro incontro
e non voglia stringerci la mano, o almeno che le signore Buganvillee si ricordino di portare i guanti
di pelle scamosciata. Sapete.. avere rapporti ravvicinati con Ludovico il messicano non deve essere
facile! Speriamo che la serata vada bene…l’appuntamento sarà sotto il pergolato, dove il blu
intenso della parete e le gonne gialle a palloncino delle Agavi saranno lo sfondo del nostro floreale
incontro.
La sete di Gemma
334
di Martina Giara
Gemma era nata da un vigoroso ramo di ciliegio, uscita con forza e con vigore, godeva di
un’invidiabile vista da quel giardino immerso nelle colline veronesi che si affacciano sul lago di
Garda. Eppure lei avvertiva dentro sè un senso di profondo rammarico: sapeva infatti che quel ramo
sarebbe per sempre stato la sua casa, la via per la linfa che l avrebbe nutrita, ma anche l ancora che
per tutto il suo ciclo di vita, l’avrebbe vincolata in quel posto. La sua sete di linfa era pari alla sua
sete d avventura. Gemma avrebbe voluto visitare luoghi lontani ed esotici, avrebbe voluto ammirare
nuovi tramonti. Il suo profondo desiderio venne colto dalle Api che iniziarono a raccontarle del loro
lavoro di fiore in fiore nei giardini che circondavano la sua casa. Narrarono come i paesaggi fossero
stati profondamente modificati dall’opera dell’uomo, ma esistevano ancora luoghi di intatta
bellezza,dove la collina gradualmente scendeva fino ad abbracciare l acqua del lago. Arrivò ad
allietare le giornate di Gemma anche Pettirosso. Le raccontò dell’antico casolare di campagna
circondato da dorati campi di grano, dove si era rifugiato dopo un temporale. Quel luogo era così
bello e tranquillo che aveva deciso di fermarsi, seguendo con lo sguardo il lavoro stagionale del
contadino che, con passione ed amore,coltivava la sua terra. Pettirosso lo ripagava dell’ospitalità,
cinguettando allegre melodie che poi faceva ascoltare anche a Gemma. Ora musica e parole
riempivano ed allietavano le giornate di una primavera che volgeva ormai all’estate. Fu così che
Gemma, ormai trasformata in fiore, al termine del suo ciclo vitale, non avvertiva piu’ il senso di
tristezza per la sua condizione di immobilità. Non era mai stata sola, e, cosa piu’ importante, era
riuscita a viaggiare attraverso gli occhi ed i racconti di quanti avevano saputo cogliere il suo
desiderio d’avventura, fermandosi accanto a lei su quel prezioso ramo che era la sua casa, la sua
ancora, la sua VITA.
La vie en rose
335
di Carla Muschio
Tardo pomeriggio d’agosto, un arbusto di rose. Un afide è poggiato sotto una foglia, immobile. Con
il suo rostro, una specie di proboscide, infilato in una nervatura raccoglie beato la dolcezza della
linfa di rosa che, resa più fluida dalla sua saliva, risale per capillarità fino ai suoi visceri, senza che
l’afide debba fare la fatica di succhiare. La dolce vita! Quest’afide è una femmina ma non sa di
esserlo perché non conosce la divisione dei sessi: attorno a lei tutti i suoi simili sono femmine. Solo
tra molte generazioni, in autunno, nasceranno dei maschi che, accoppiandosi, feconderanno le uova
da cui la prossima primavera nascerà una nuova colonia. È nata poco lontano, su una foglia accanto
a quella dove è ora, meno di una settimana fa. Ha aperto gli occhi, disteso le antenne, si è guardata
attorno per capire come si vive a questo mondo. Non avrebbe saputo dire quale fosse sua madre
nella moltitudine di esseri simili a lei che la circondava. La sua prima sensazione fu una fame cieca.
Imitando le altre, penetrò con il rostro ancora incerto una nervatura piccola come lei trovando la
beatitudine del cibo. Poi la vita trascorse come in un soffio e al contempo un’eternità, se si pensa
che un afide vive poco più di una settimana, quindi ogni suo giorno corrisponde a un decennio della
vita di un uomo. Ci sono state varie mute, più di un parto di figlie da cui si è subito allontanata per
lasciare a ciascuna una foglia fresca dove iniziare l’esistenza. Il profumo di rosa per lei è l’odore del
mondo, perché l’arbusto dove è nata è l’invalicabile confine della sua vita. Ha visto con stupore
alcune sue simili dispiegare due coppie di ali e volare via, ma lei, non avendo le ali, non ha di questi
pensieri. Ieri si offuscò la luce del sole, cadde acqua dal cielo per un’eternità. Lei credette che fosse
giunta la fine del mondo, invece oggi tutto è come prima. L’esistenza è davvero bizzarra.
Le giornate si erano fatte più brevi; a volte la mattina saliva dalla valle una nebbiolina che si posava
come una carezza sull’erba. A un tratto, un rumore lievissimo. - Oh – disse la salvia – è lei. - Strano
– replicò il rosmarino. - Adesso mi taglierà gli ultimi fiori – sospirò languida la rosa - avrebbe
dovuto potarmi quando era il momento, invece. La donna avanzava lentamente appoggiata a un
bastone; ogni tanto si guardava intorno. Cercava ricordi. Li cercava nella fitta siepe dove gli uccelli
facevano nidi che solo lei conosceva; li cercava nel sentiero di pietra che suo marito aveva costruito
quando venivano su tutte le estati e la sera si sedevano con le spalle al muro ancora caldo di sole. Li
cercava nei vasi pieni di erbe dai sapori acuti che adoprava in cucina. - Chissà – disse di nuovo la
salvia – se rimarrà a lungo. La rosa sbadigliò e nessun altro rispose. La porta della piccola casa era
chiusa ma la donna non l’aprì; si diresse invece verso la grande quercia al centro del prato.
Imbruniva; un silenzio frusciante come un sospiro scivolava sul giardino. La donna girò intorno alla
quercia; sfiorò con la punta delle dita le iniziali incise sulla scorza. Pensò, la quercia, che erano
passate tante di quelle estati da quando un ragazzo aveva inciso col temperino un cuore con in
mezzo una G e una D, così aveva detto, che ormai lo aveva perdonato da un pezzo; se ne sarebbe
scordata se non fosse stato per la carezza della vecchia. Poi lei si sedette con le spalle al tronco e
aspettò la sera. Un brivido di vento; le stelle. Al mattino era sempre lì. Svolazzanti farfalle
raccontarono che la vecchia dormiva ancora. Ma la quercia, che aveva duecento anni e sapeva più
cose delle farfalle, capì che da quel sonno la vecchia non si sarebbe svegliata. Allora scosse con
forza i rami fino a coprirla con una lieve trapunta di foglie, che i ragni ricamarono con fili rugiadosi
splendenti di sole.
Sono le nove del mattino ed ancora non è venuta a trovarci-dicevano le zucchine ai cetrioli ed alle
fragole. -Forse è andata a trovare i pomodori nell'altra aiuola- Ma i pomodori non l'avevano vista:
pensavano che fosse andata a controllare i vasi dove erano poste le piantine di broccoli. Ma i
broccoli, che stentavano a radicare perché posti,come tutte le altre verdure, nei vasi (solo il basilico
era alto e vigoroso perché abituato a stare nei vasi ), pensavano che fosse andata a visitare i
nasturzi,le calle, le lantane. Lei era sul dondolo posto sulla piazzola sotto l'ombrellone, ed inseguiva
i pensieri che volavano ed andavano al di là del grande giardino dove risiedeva. Volavano i pensieri
ad un'altra epoca, quella dell'infanzia e della felicità, ne assaporava il gusto, ma, per timore di
perdersi e di non riuscire a ritrovare la strada, come la farfalla bianca che si posava leggera sui fiori,
tornava al presente che non era bello come il passato, ma poteva essere ancora riposante se
guardava il via-vai delle formiche, se ascoltava il ronfare di Pepito, il suo gatto, l'uggiolio di Milù, il
cane, prima temuto e poi amato. Una lucertola faceva capolino tra i sassi dei muri, scendeva sul
prato, si guardava intorno, ma non si fermava a lungo,fuggiva via a cercare altri luoghi, altre
persone. Alcuni uccellini gironzolavano in cerca di cibo. Un usignolo spandeva il suo gorgheggio
nell'aria. Una buganvillea, con fiori lilla e arancio, come una principessa altezzosa, osservava
distaccata gli altri fiori, dall'alto in basso, soprattutto i gerani che giudicava '' plebei ''. Un alto
cipresso invitava gli sguardi a sollevarsi in alto verso il cielo che copriva la villa. La sera, Lei
chiudeva l'ombrellone, metteva a dormire il cane, accarezzava il gatto, salutava i fiori e le verdure,
spegneva le luci esterne, e si apprestava ad incontrare i personaggi del libro che stava leggendo.
Il lampo
338
di Luciana Pampuri
È notte. Fa freddo e piove. Un temporale così forte non si vedeva da anni. Un vento che sembra
impazzito strappa dai miei rami le ultime foglie autunnali formando piccoli vortici nell'aria. Anche
dall'alto della mia imponenza non si vede nulla, le stelle e la luna sembrano inghiottiti da nuvole
opache e cariche di elettricità. Tuoni fortissimi mi fanno sobbalzare; intorno a me rumore di rami
spezzati dalla furia del vento. Tutti gli animali sembrano scomparsi, rifugiati nelle loro tane sicure.
Nessuna automobile percorre la strada vicina. Ho paura. Solo ieri un tiepido sole riscaldava i miei
rami ormai spogli e c'era sentore di una precoce primavera; uccelli e piccoli roditori camminavano
sulle foglie secche creando piacevoli scricchiolii; ora il buio. All'improvviso una luce accecante
rompe l'oscurità: vedo delle fiamme tra i miei rami, il vento le fa aumentare velocemente. La fine.
Quello che sono stato per decenni ora non c'è più; l'indomani al sorgere del sole, in una giornata
tersa come succede solo dopo una tempesta, resta solo cenere e lo spettro carbonizzato di quello che
ero.
Non siamo rimaste in tante. piante dico. anche se per essere un giardino ferrarese è abbastanza
considerevole come dimensioni, tuttavia non siamo rimaste in molte poi vi spiegherò il
perchè..ahimè! Tutto scorreva in modo dolce e benevolo, quando c'era Lei! Malferma sulle gambe,
la mano che reggeva l'annaffiatoio tremante, le gocce che scendevano poche ma giuste sulle nostre
corolle, tra le foglie, che arrivavano alle radici e rappresentavano il nostro sostentamento, la nostra
vita! Hanno ragione gli umani quando dicono che noi piante succhiamo l'energia positiva di chi ci
accudisce è vero! Noi sentiamo! Ci accorgiamo della cura ,delle premure che in maniera naturale
esprime chi ci ama si è solo amore quello che vibra attorno a noi! Pura energia ! La sera tardi Lei si
avvicinava con il suo grande annaffiatoio verde e noi lì pronte ad accoglierla dopo una giornata di
sole che ci aveva riarse ma che bello poi risorgere ogni volta e gustare a lungo il fresco nelle calde
notti estive! E così finchè...non arrivarono i mostri! Strani macchinari rumorosi , con fauci
spaventose che si aprivano su di noi! Mucchi di terra che ci ricoprivano ! È stato a quel punto che
molte di noi ci hanno abbandonato..morte soffocate da quella terra che è pure il nostro
sostentamento, la nostra essenza vitale abbiamo capito perchè Lei era stata rinchiusa in un ospizio e
la casa e relativo giardino venduta a gente gretta e priva di sentimento la maggior parte del giardino
era stato ridotto a... posti auto! Noi, poche superstiti:,il rosaio gracile stenta a riprendersi dalla
violenza subita, gli oleandri prelevati e messi a dimora in zone esteticamente più interessanti, ma in
momenti sbagliati, troppo freddo..chissà se riusciranno a resistere! Infine noi, le ortensie seviziate e
ormai solo in attesa di finire i nostri giorni come la maggior parte delle nostre compagne!
L'usignolo
340
di Carla Bellogini
Nel parco di un’antica dimora ombreggiata da maestosi Cedri del Libano viveva felice un onesto
usignolo che con i suoi gorgheggi allietava i padroni di casa. Purtroppo una brutta mattina
l’uccellino si svegliò con un gran mal di gola e con la voce rauca. Impossibile cantare in quello
stato. Depresso e afono, il poverino perdette anche l’appetito e, sentendosi un rottame, si nascose in
una siepe di spirea aspettando la fine. Per sua fortuna c’era chi lo teneva d’occhio. Era il vecchio
giardiniere della villa, ritenuto un po’ strano perché aveva l’abitudine di parlare con le piante. Tutti
ne sorridevano, ma gli alberi no, loro lo amavano e lo ripagavano crescendo allegri e vigorosi.
Dunque il buon vecchio raccolse in una mano il mucchietto di piume castane e lo rincuorò: -
Coraggio, non sei moribondo, sei solo allergico al polline dei Cedri del Libano, ecco perché ti
brucia la gola. Adesso ti porterò in una casa nuova e tu tornerai in forma come prima, fidati! Il
giardiniere andava a colpo sicuro perché, navigando su Internet, aveva trovato il posto che faceva al
caso suo. Si trattava dell’ultimo cortile del Palazzo Reale di Milano, quello più triste e dimenticato.
Lì era successo un miracolo, dal nulla come per magia era spuntato un nobile giardino, elegante,
quieto e al riparo da pollini vaganti. L’usignolo si trovò subito a suo agio nel giardino segreto, fece
amicizia con le piante, imparò i loro nomi ed ebbe il suo, Ciccio, anche se il mirto, che aveva
studiato, avrebbe preferito chiamarlo Alceo. Ciccio, all’ombra dei viburni e dei carpini fece molti
vocalizzi e ritrovò la voce. Poi puntò bene le zampette, gonfiò le piume e cantò a piena gola.
Grande fu la meraviglia di milanesi e turisti che si fermarono a naso in su. Mai si era sentito parlare
di usignoli in Piazza Duomo, con la storia delle polveri sottili. Ma adesso Ciccio è lì, e ogni sera i
suoi concerti rallegrano il cuore e consolano la pena di chi si sente solo in mezzo alla città.
Sono un fiore di campo. Uno di quelli che i bimbi indicano alle mamme: ”Come si chiama quel
fiore giallo?” Uno di quelli cui le mamme non sanno dare un nome. Uno di quelli dal complicato
nome scientifico: Solidago Virgaurea, per esempio. Sono un fiore di campo finito in un giardino
all’italiana: un giardino perfetto e geometrico, dalle siepi potate alla perfezione e dai cuscini floreali
assortiti con gusto e maestria. Sono il fiore di campo che ha soffiato lì il vento e nato per caso, il
fiore che non profuma e colora, il fiore dalle radici profonde e tenaci. Sono una macchia nel perfetto
giardino all’italiana, l’ospite indesiderato, forse il fiore che un innamorato in vena di romanticismo
coglierebbe per la fidanzata. Mi sento solo: fili d’erba silenziosi intorno a me e qualche raro ronzio
di api. Uomini, donne e bambini passeggiano lungo il sentiero; indicano, corrono, ma sono lontani.
Nessuno osa oltrepassare il confine sottile di erba e pietra e posare un piede sul prato soffice,
nessuno osa sdraiarsi con le braccia incrociate sotto la testa a guardare il cielo e le nuvole. Come so
queste cose? Queste informazioni sono contenute nel mio DNA. La notte, quando i petali si
stringono intorno alla corolla e le stelle fioriscono, sogno spesso prati colorati e danze di insetti.
Sono tutte cose che non ho mai visto, ma so che esistono. Sono immagini che hanno radici
profonde, sono memoria della terra. La memoria della terra è la mia, la memoria della natura che
conosce tutti i nomi; i nomi veri, non quelli dati dall’uomo. L’unica cosa che non so è quando avrà
termine il mio tempo. Il mio nome? Per conoscerlo qualcuno deve oltrepassare la linea sottile di
erba e pietra, sfidare la perfetta bellezza di questo giardino all’italiana e sdraiarsi con le braccia
incrociate sotto la testa. Qualcuno deve essere tanto curioso da trovarmi in mezzo a tutta quell’erba
verde e silenziosa. Sono un semplice fiore di campo, se mi troverete, conoscerete il mio nome.
COME IN AUTUNNO
342
di Maria Patrizia Trevisan
Ad ogni giro di trottola, le ruggini tinte autunnali si riprendono pieno possesso del mio corpo, la
malinconia della mia mente. E’ fuori ogni discussione che anch’io ho una mente. Pensante, libera
più delle vostre, molto incline, soprattutto in questo periodo della mia breve esistenza, a lasciarmi
andare, in braccio a questo vento benedetto che si alza all’improvviso alle prime ore della mattina e
mi porta lontano dalle pagine del libro meraviglioso e colorato che è il mio giardino di metà
autunno, come sulle note struggenti di un violino russo impazzito di malinconia. Quando sono in
volo, mi faccio cullare da questo zefiro profumato, non sento più la stanchezza del respiro della
linfa vitale. Io, piccola foglia malinconica di betulla, guardo le miserie del mondo dall’alto, respiro
la purezza dell’infinito. Mi devasta però il sibilo della cattiveria umana, l’indifferenza, le atrocità e
le ingiustizie incrinano il mio piccolo cuore, mi commuove il pianto di un uccellino implume
abbandonato nel nido da matrigna forzata. Ma il vento mi trascina ancora più lontano. Tendo le
nervature verso il sole ormai ottobrino, i pori spalancati per bere gli ultimi raggi che sembrano voler
asciugare le mie lacrime di rugiada color cremisi. Manca all’improvviso il respiro del vento, resto
come sospesa nell’aria immobile e leggera. Sforzo lo sguardo oltre, scorgo lontano un giardino
altezzoso, più in là un deserto cristallizzato intorno ad un lago dorato, in alto sbuffi di nuvole. Sento
la risata delle libellule, gli sfrigolii delle lucciole. Tutto si è compiuto, il ciclo della purificazione
inizia, la mia presenza in questo giardino pieno di richiami sussurrati non aveva più senso di essere:
è la fine dell’inizio di tutto, quando diverrò vita nuova. Fino a quando questo vento, anelito che
pulsa, destino che respira, lo vorrà. Non è come quando in altalena un bambino ha l’illusione di
riuscire a volare. Prima delle brine e delle brume invernali. Io volo davvero.
Piccolo fiore
343
di Luisa Zavanone
Quando apro e dispiego i miei petali alla ricerca della luce migliore, mi sembra di rinascere ogni
volta. Se piove o tira vento, non mi abbatto e aspetto paziente che il primo raggio di sole mi conforti
e mi riporti alla vita vera. Non conosco altro luogo che questo angolo di giardino in cui vivo da
sempre, dove non mi arriva né l'acqua degli irrigatori automatici, né il suono e i rumori dei
visitatori, affidandomi alla mia natura forte e rustica per sopravvivere. Se penso a un luogo in cui
crescere, non mi viene in mente nulla di meglio del mio angolino tranquillo, con gli altri fiori e
arbusti tutt'intorno. A volte qualcuno, uscendo dai sentieri tracciati, ci si avvicina e si stupisce che
ogni zona del giardino sia così curata, ricca di fioriture e colori. Non posso vedere la regolarità dei
vialetti e l'armonia dell'insieme, ma percepisco di farne parte integrante e necessaria. Sono umile,
ma so di valere. Non mi lamento del mio destino, semmai provo a vivere con poco, chiedendo alla
natura quel che mi serve per resistere e spostare l'orizzonte del mio sguardo sempre un po' oltre...
fino a dove vedo che si può trovare di meglio.
Ciclo di vita
344
di Luisa Zavanone
Una piccola zolla di terra è ciò che mi circonda, siamo in tanti, ma io sono il più piccolo. Nacqui
pochi giorni fa, mi ricordo ancora di quando dopo un lungo periodo di buio riuscii ad assaporare i
lucenti e caldi raggi luminosi: quel giorno apprezzai la leggera sferza che mi cullava insieme ai miei
nuovi amici, ma lo stesso giorno, ricordo, mi turbai molto nel momento in cui tutto ciò che avevo
potuto provare e gustare scomparve nuovamente nel buio. Presto mi accorsi però che non era il buio
a cui ero abituato: piccoli puntini luminosi si scorgevano qua e là nella totale oscurità. La
stanchezza prese in me il sopravvento, ma mi risvegliai poco dopo tutto inzuppato, la sensazione era
piacevole e scoprii che rinvigoriva il mio sottile e debole corpicino. All'arrivo dei raggi luminosi,
che ormai conoscevo bene, mi guardai intorno e vidi molti altri fiori come me, alcuni erano più
piccini, altri invece mi superavano di molto in altezza. Potei notare con il passare del tempo che mi
trovavo in un posto bellissimo, tanto che credetti di essere in paradiso o almeno iniziai a pensare
che il paradiso avesse quelle inimitabili sembianze. Crescevo felice e mi rinvigorivo di giorno in
giorno, fino al momento in cui una palla lanciata da alcuni bambini mi piegò, e dopo atroci
sofferenze finalmente ritornai ad assaporare il buio, ma questa volta i puntini splendenti non si
presentarono.
La farfalla effimera
345
di Caterina Usai
Il bozzolo si apre con lieve scricchiolio di fragile vetro, lentamente la piccola crepa si allarga, sottili
antenne escono vibranti e un pezzetto d’argento si fa strada verso la luce seguito poi da tutto il resto
del corpo con movimenti degno di un contorsionista. Un attimo di pausa, quasi a cercare il coraggio
di affrontare la vita…, un ultimo colpo di coda al passato, un ansimante riposo poi un dispiegarsi di
ali umide e colorate. Pochi istanti ancora: “Eccomi sole, arrivo…” urla felice la neo farfalla alla
vita, e allo spazio circostante. Fa un giro di prova osservando attentamente tutto, prima di posarsi su
una foglia. “Chi disturba il mio sonnellino!” Fa eco la voce un po’ irritata del cardellino
affacciandosi all’uscio del suo nido, poi resta a becco aperto guardando quella meraviglia. La
farfalla ormai si stiracchia in tutto il suo splendore, fa le prove con le antenne e poi con le ali che
sono splendide e ampie, una rossa, una gialla, una grigia e un’azzurra, contornate da un puzzle
bianco e nero con due archi blu verso il basso tra due punte lunghissime. “Sono una farfalla non
vedi, sono appena arrivata e voglio divertirmi in questo giardino pieno di alberi.” “Non ne ho mai
visto di belle come te”, sussurra l’animaletto un po’ triste pensando a quanto breve sarà la sua vita.
“Che bel posto e quante sorelline colorate…” “ “No, sono fiori, con loro puoi giocare e riposarti, è
un giardino, te lo mostro vieni!” Dice il cardellino precedendola e la farfalla arricciando le antenne
per la felicità agita le ali. Conobbe i pini, i salici, gli iris, le rose e i lilla e ognuno le parlò e fece le
feste a quella nuova amica; infine lei, un po’ stanca si posò sul capo di un piccolo putto di marmo
che sobbalzò contento. “Voglio restare qui per sempre, ogni ora con tutti voi, per me, sarà una vita
intera.” Arrivò un’altra farfalla marrone con occhi scuri e la invitò a volare con lei la danza del
vento, infine insieme si posarono su una foglia, e chiusero gli occhi.
Finalmente il buio
346
di Silvana D’Urso
Anche l’ultimo chiarore del giorno era ormai un lontano ricordo quando il portiere apri la porta di
casa, accense la luce e con passo deciso si avvicinò al balcone, sollevò la serranda e si diresse verso
la fontana. Il gelsomino, inchiodato da anni a quella parete, reso un po’ sordo dalla vetusta età e dal
rumore del traffico, neanche si era accorto che stava arrivando il sospirato refrigerio, agognato
premio per aver sopportato, con estrema dignità, una giornata afosa come solo un terrazzo
dell’ultimo piano sa “amare” in estate. “Dai, sveglia, è arrivato! “, disse la rosa esortando il
gelsomino ad uscire dal torpore che l’aveva accompagnato nella giornata, “finalmente potremo
dissetarci, il nostro amico è arrivato e a breve rinfrescherò i miei petali ”. “Dici bene, rosellina, tu
che sei giovane e a breve ti bagnerai”, rispose la pianta grassa, ”ma, con la scusa che bere mi fa
male, sono tre giorni che vedo la fontana, l’innaffiatoio e neanche un goccio d’acqua!”. Le
margheritine, ultimo acquisto del giardino, si vergognavano un po’ della presenza umana, ma anche
loro sbirciavano i movimenti, impazienti di un goccio d’acqua. Era stata una giornata veramente
calda, quel sole insopportabile, senza un attimo di tregua, senza una tettoia dove poter trovare
refrigerio. “Hai visto li sotto, la signora con quel grande cappello bianco?”, disse la gardenia
all’arancio, “Che eleganza, che signorilità!”. “Sarà”, rispose la pianta, “ma io cerco di non distarmi
perché devo abbronzarmi per benino così i miei frutti saranno i più belli del condominio!”. “Oh
finalmente qualcuno che non si lamenta per questo caldo”, rispose il limone,” tanto sarò io ad avere
i colori più belli!”. “Beati voi che amate l’estate”, disse la stella di Natale, “io non vedo l’ora che
giunga l’inverno e allora si che colorerò di rosso tutto intorno”. Il portiere, lentamente innaffiava e
faceva finta di non sentire quel venticello, quel vociare.
Il girasole curioso
347
di Raffaella Gregorini
Il girasole curioso C’era una volta un piccolo girasole che viveva in un campo insieme a mamma
girasole e papà girasole. Una mattina di primavera, appena sveglio, si diede una scrollatina per
levarsi di dosso le goccioline d’acqua che si erano posate sui suoi petali mentre dormiva. Aveva
piovuto per tutta la notte . Il piccolo girasole aveva bevuto in abbondanza ed infine si era
addormentato felice. Ed ora nel piegarsi a destra e a sinistra per ripulirsi dell’acqua piovana vide un
fiore rosso oltre il ponticello di legno che portava ad un bellissimo giardino. Il girasole non aveva
mai visto un fiore di quel colore e gli chiese curioso: « E tu chi sei?» « Sono una rosa » rispose il
fiore rosso. « Come mai non sei gialla? Sei malata?» chiese il girasole. La rosa si mise a ridere.
Sembrava non riuscire più a smettere. Il girasole si sentiva un po’ preso in giro , fece allora una
brutta smorfia e si voltò dall’altra parte. « Non fare l’offeso , non rido di te. Mi sei simpatico ma ciò
che hai detto è molto buffo.» disse la rosa. « Buffo?» chiese il girasole. « Ti spiegherò alcune cose »
disse la rosa. « Il rosso è il mio colore, non sono malata. La verità è che ci sono tanti colori di rose e
tanti colori di fiori quanti sono i colori dell’arcobaleno. Sarei malata se diventassi gialla.» « Ohhh »
fece il girasole, nuovamente voltatosi verso la rosa, la quale prontamente osservo’: « Tu si che sei
fortunato: puoi voltarti di qua e di là seguendo il sole e vedere ogni volta un pezzettino di mondo
nuovo. Io invece sono costretta a guardare sempre dalla stessa parte.» Il girasole pensava che la rosa
fosse un fiore bellissimo e colto che viveva in uno splendido giardino. « Se diventassimo amici ti
potrei raccontare ogni giorno ciò che vedo e tu mi potresti spiegare ogni giorno qualcosa di nuovo.
La rosa sorrise. Un sorriso bellissimo. "Perché sorridi?" "Sorrido perché sono già tua amica"
Forse non ho una coscienza, nonostante quello che l’opinione comune pensa di me da anni. Quelle
maledette favole. Questa panchina è particolarmente bianca stasera, i miei amici cantano lontani.
Sono particolarmente fastidiosi. Gradirei cinque minuti di silenzio: la luna dovrebbe spostarsi un
po’ più a destra, il profumo delle rose bianche arrivare alle mie piccole narici lentamente, come a
piccoli spruzzi. Qualcuno dovrebbe soffiarci sopra un po’ di aria fresca, di modo che il profumo ci
circondi tutti. E in un qualche modo ci basti. Anche questo orologio dovrebbe interrompere il suo
duro lavoro: è una notte di fine agosto, lasciatevi andare tutti, godiamoci questi ultimi secondi
d’estate. Due figure cercano di nascondersi, lui infila un fiore dietro all’orecchio di lei, lei ride in
silenzio. Cercando di mantenere l’equilibrio chiudo gli occhi, provo ad ascoltare quelle risate senza
poterle vedere. Gli vorrei raccontare che è sbagliato nascondersi, ferire le altre persone, guardarsi
con quegli occhi al buio. Ma nonostante la storia mi abbia affidato questo ruolo, riesco ancora a
capire che quel qualcosa là fuori, quel qualcosa che sta succedendo tra quei due bellissimi individui
nascosti nella notte, è ancora raro e straordinario. Il bocciolo accanto alla panchina si sta
svegliando, qualcuno dovrebbe dirle che è ancora notte, che il sole non è pronto, che il paradiso è
ancora sulla terra. Una fila infinita di formiche nere e rosse si muove, mentre la figura esile ed alta
di lui comincia a ridere, non controllandosi più, e le mani della figura ed alta di lei cercano unendosi
di soffocare ogni singolo verso proveniente dalla bocca sottile e rossa di lui. Continuo a guardarmi
intorno: è davvero un bellissimo giardino. “Qualcuno dovrebbe dirglielo”. “Dirgli cosa?” Rispondo
al bocciolo ancora assonnato. “Di quanto sia tenera, la notte.” “è già stato scritto, B. è già stato
scritto.” “Oh, certamente. Avevo dimenticato quanto amino i libri, i grilli parlanti”
Anticlimax
349
di Angelo Del Vecchio
“In mezzo all’erba, sotto gli alberi, nei vasi grigi delle nicchie, si scorgevano pennellate bianche,
d’oro, di porpora; sopra la sua testa gli alberi erano rosa e bianchi, e ovunque si udivano battiti
d’ali, suoni flautati, ronzii, dolci profumi.” (Il giardino segreto, 1909). - Chiamali profumi… - Non
essere cinico! Non senti tutto il carezzevole, predannunziano lirismo di quei “suoni flautati”? -
Flatulenti, vorresti dire… - Che volgare! Il giardino era apparecchiato con acribia filologica a un
dipresso della Real Casa milanese, là dove un tempo sostavano un poco i landò a sgravare le povere
bestie dalla soma di lor intestini, di troppe libagioni carchi. Quei mantecati pastosi tartufati qua e là
sulla porzione del Pecorari (via), quegli aromi frizzantini millesimati con noncuranza belluina sul
regio macadam, non del tutto graditi all’epoca – ma da alcuni pionieri si, ingordi pure d’altre
fragranze equobiologiche da nutrirne un pianeta, di Gorgonzola o della via Gluck ch’era, ahimè, lo
stesso – certo avrebbero molto insaporito la verzura oggi così scrupolosamente imbandita. Che non
la smetteva però di borbottare: - Ma quale volgare e volgare, sai benissimo che fiori e frutti sono per
noi quello che per gli umani sono mer... - Taci! o rivelerai un segreto inaudito! Vuoi squarciare il
velo di Maya che cela nuda Diana al bagno? - Al wc. semmai! E poi nessuno può capire quel che
diciamo... Si intuì invece il ragionamento tra il Lilium Candidum (giglio) e la Tuberariam guttata
(fior gallinaccio): fiori e frutti, altrimenti sostanze di risulta del processo di alimentazione dei
vegetali, prodotto di scarto e residuo di quel di cui si nutre la vegetazione, espulso poi nelle forme
non solo per l’entomofauna naturalmente appetitose, sono escrementi e feci. - E voi che vi cibate di
illusioni, annusandoci lascivi e trangugiandoci concupiscenti, nient’altro che fradici coprofili, sudici
stercorari ed osceni pervertiti, forsanche dannunziani. - Insomma... dei mangiamerda.
Un extracomunitario in giardino
350
di Miriam Brancia
- Buongiorno!..Ehi, dico a voi, buongiorno a tutti!- - Ssst! Non strillare così, insignificante,
minuscolo fiore giallo!- - Perché insignificante? Sono pur sempre un fiore, come tutti quelli che
vedo qui- - Se ci trovassimo in aperta campagna, direi che sei un fiore di campo, ma all'interno di
questo giardino, purtroppo per te, sciocchino, sei solo il risultato di una fastidiosa erba infestante!- -
Non offendere la mia mamma! Invece tu, chi ti credi di essere, sei un magrissimo e ricurvo filo
d'erba...- -Io faccio parte di una colonia che si chiama prato, senza di me non vedresti tutta questa
distesa di verde. Io ho tutto il diritto di stare qui, tu no. Io sono nato qua!- - Anche io sono nato
qui...- - L'unica differenza è, mio caro lattante, se ti vede il giardiniere, prende te, tutta la tua
famiglia e ti lancia fuori dai confini di questo giardino. Con me non lo farà, al massimo può darmi
una spuntata ai capelli!- -Oh beh, poco male, io vivo bene ovunque, mi adatto.- - Non ho dubbi! Vi
chiamano infestanti proprio per questo. Spuntate ovunque, qualsiasi luogo o stagione vi sono
propizi. Comunque in questo giardino sei un immigrato e non ti vogliamo!- - Parla per te, testa
verde! A me la pulce gialla non da fastidio!- - Chi osa chiamarmi testa verde?- - IO, alla tua destra,
rosa rampicante, presente!- -....- - Hai perso la parola?- - Oh, Signora Rosa, la ringrazio per avermi
difeso, non pensavo mi notasse da lassù e...- - Non si può non notarti, colpa del colore dei tuoi
petali...Sei effettivamente un po' rumoroso, però simpatico- - Presuntuosa e gonfia rosa che non sei
altro!! Mi sono consultato con tutto il resto del prato e nessuno di noi vuole in casa
quell'insignificante fiore giallo! E' un extracomunitario, succhia linfa a sbafo, consumerà le nostre
riseve di acqua e si allargherà a macchia d'olio.- - Il mondo è fatto per essere abitato, cercheremo di
integrare pulce gialla nel nostro giardino, consumerà acqua, ma aiuterà le api a non estinguersi!-
Tempo di Mimosa
351
di Linda Di Giacomo
“Santo cielo, Salice, smetti di guardarmi. Non sono al meglio.” “Ti conosco già al meglio. E non
aspetto altro.” Salice ammiccò e Mimosa sorrise schiva finché una raffica gelida le agitò i rami
intirizziti. “Mi sento tanto stanca.” “Cos’è quest’inno alla malinconia?” “Perdonami. Ho freddo e
nostalgia della Signora. Per ogni ramo che mi recideva, si scusava. Che delicatezza! Che donna!
Ora invece… il Figlio compare solo l’otto marzo per il canonico omaggio alla Nuova Signora. Ah
caro Salice, non è più tempo per noi. Questo è il tempo del giardino concettuale. O almeno così mi
pare si chiami il nuovo eden dei Signori. Temo che fra un po’ faremo posto a una piscina.” “Ecco
che fai la melodrammatica!” “Non vedi che tutto è stravolto? L’orto era bello e fecondo. Eppure…
Zac! Al suo posto quella pagliacciata modaiola. Solo fiori bianchi. Che insulsaggine! Certa gente
non sa ascoltare la voce del cuore, della natura. Solo quella degli architetti.” “Passerà anche questa
moda.” “Già, ma io non andrò mai di moda. Troppo plebea.” “Chissà” Sul finire di febbraio
Mimosa rinacque in una vaporosa nuvola paglierina e dimenticò i pensieri foschi. Ma l’otto marzo il
Figlio non si vide e Mimosa si sentì più inutile e dimenticata che mai. Finché un giorno Mimosa e
Salice videro avanzare solenni verso di loro il Figlio seguito dalla Nuova Signora. “Oddio. Eccoli
che vengono a ragionare sul perimetro della piscina”. I due alberi attesero terrificati la condanna.
Ma…la donna aveva qualcosa tra le braccia. Una borsa? Un fagotto? No! Un bambino. Anzi, una
bambina. “Mimosa” L’arbusto trasalì. La Nuova Signora la chiamava? Aveva capito che poteva
sentire? No. La donna guardava teneramente la piccola. “Questa pianta è la regina del giorno in cui
sei nata. Un giorno molto importante. Perciò ne porti il nome. Tesoro, ne prendi un ramo? Voglio
metterlo nel vaso più bello.” L'uomo le si avvicinò e Mimosa vibrò commossa spandendo sulla
Famiglia briciole di sole.
Buccia di banana
352
di Lucia Beltrambini
Tutto è pronto per l'annuale torneo dei giovani e promettenti tennisti. Il giardino è stato rassettato e i
ragnatelosi putti spolverati e ripuliti. Le partite hanno inizio e nel sacrosanto silenzio della sfida un
puttino ne approfitta per schiacciare un pisolino. Che sogni soavi e profumati, con i bottoni di rose
rifioriti tra i riccioli scolpiti! - Se solo potessi addentare un frutto della mia cornucopia! - si
rammarica. Detto e fatto. Una buccia di banana all'istante lo colpisce. - Ahi! - esclama - Deliziosa
assai! Però, signori, il modo m'offende! Chi è il villano artefice del lancio? Ecco che dalla siepe
dietro il campo centrale si ode qualcosa di diverso dal solito fruscio, come un umano mormorio:
Sbaglia! Fai rete! E mandala un po' fuori quella pallina! Ancora punto? ! E allora, ti pizzicasse
un'ape! - Chi s'è infrascato tra l'alloro? - domanda il putto. Una giovane foglia dall'alto risponde: -
Un bel maleducato! Il sole mi baciava, quand'ecco un gran trambusto di mani irrispettose lottare
con le mie sorelle e scagliare anatemi contro un giocatore. - Sì, contro l'avversario del figlio! Roba
da far raggricciar la pelle!, commenta un'altra foglia disturbata. - Da far restar di sasso!, - ribatte il
putto esterrefatto. - E adesso fuma pure, lo screanzato! Come recita il decalogo? - Il socio che
assume un atteggiamento e un linguaggio non consoni verrà deferito alla giunta dei Probiviri per i
consequenziali provvedimenti -, declama una vecchia foglia. - La diffida! La sospensione!
L'espulsione!, - le fa eco un coro di vicine. - E chi avrebbe visto, qui, i Probiviri?, domanda il putto.
Silenzio. A malincuore l'ape si allontana dal buon odore di lavanda e ricordando che il circolo
persegue e coltiva la solidarietà e l'amicizia, si avvia ronzando verso la siepe a vendicar le offese.
L'Abbandono
353
di Tamara D’Este
Un giorno di mezza estate, una farfalla sentì la fatica rendere pesanti le sue splendide ali. Decise di
riprendere fiato e si posò in un giardino vicino. La notò per primo un albero che subito la salutò
così:”Buongiorno! Che cosa ti porta in questo luogo abbandonato?” La farfalla rispose,
rabbrividendo alla vista di un albero con una sola foglia e anche quella pronta per
cadere:”Stanchezza, mi risposo e riparto:” Una rosa, o almeno quello che rimaneva di una splendida
rosa, vide la farfalla e si rammaricò dicendo:”Un tempo ti saresti posata sui miei petali rosso fuoco!
Non avresti resistito al mio colore ed al mio profumo intenso, mentre ora….” Nel bel mezzo del
giardino c’era quello che rimaneva di una fontana con al centro un statuetta accerchiata da tanta
edera che le lasciava scoperte solamente una mano e la testa. Non profferì parola e la farfalla ne fu
lieta. La rosa si rivolse alla farfalla con quanta gentilezza le fu possibile per chiederle “Farfalla, tu
che hai il dono di volare, fammi un favore. Laggiù c’è un libretto logoro mi leggi una frase?”
“Perché mai?” chiese la farfalla. “C’è una frase che la padrona leggeva sempre ai nipoti, ma io non
la ricordo più! Vorrei risentirla prima di morire!” “Credo che sarebbe il mio ultimo volo...e dovrei
sprecarlo per questo? No!” La foglia che non aveva finora parlato disse piano:”Non ho mai parlato
perché qualsiasi lieve rumore potrebbe farmi cadere e per me sarebbe la fine, ma ti prego
accontentala…” e cadde al suolo nel silenzio assoluto. La farfalla, senza più esitare, si alzò con
fatica in volo e raggiunse le logore pagine del libretto e lesse:“E’ il tempo che tu hai perduto per la
tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.” La rosa ripeté piano la frase, reclinò il capo e
cadde. Entrò nel giardino una signorina, si corse alla statua ed esclamò:”Quante volte mano mi ha
impedito di cadere nell’acqua! Oh nonna non ci sei più, il giardino... Che peccato!” Una voce gridò
forte:”Rosa!” e lei se ne andò.
- Vecchio ulivo, vecchio ulivo, mi senti? - Certo, cara lavanda, sono vecchio, ma ancora in gamba.
Noi ulivi viviamo a lungo e ci conserviamo bene. - Questa è una sera bellissima, qui sulla collina tra
i due golfi. Il sole sta calando; tra poco uscirà la luna, le belle di notte apriranno le loro corolle e
queste noiose cicale smetteranno di assordarci. Sentiremo i grilli, i gechi si apposteranno sul muro
vicino alle luci. Verranno a trovarci i ricci, i ghiri, gli uccelli notturni, forse la faina e la volpe.
Speriamo però che non si faccia vedere il cinghiale: per noi sarebbe un guaio... - Certo, mia cara,
siamo proprio fortunati ad essere nati qui. So che nelle città le povere pianticelle vivono in piccoli
vasi sui davanzali, tra frastuono e inquinamento. Per questo gli umani vengono qui ogni estate: per
essere vicini a noi, vicini alla natura. Ti ricordi quando nella casa tornava, ogni estate, la Bambina?
Era una bambina speciale, ho sentito la madre dire che era "autistica". Non so bene cosa significhi
(queste sono cose da umani), ma ricordo che stava volentieri con noi e ci osservava con amore, così
come faceva con il cane e con i gatti. La vite della pergola, che arrivava sotto le finestre e sentiva i
discorsi della famiglia, mi raccontava che, al mercato, la Bambina non chiedeva giocattoli, ma solo
fiori e piante. - E' vero, quando passava vicino a me carezzava i miei fiori per aspirarne il profumo,
incurante dei bombi che mi ronzano sempre attorno... Poi, un'estate, l'abbiamo attesa a lungo,
inutilmente. Da allora non si è più vista. - Quanti ricordi, cara lavanda! Ma ora sono stanco e vorrei
riposare. Ti auguro una felice notte. - Sogni d'oro, vecchio ulivo, ma dimmi ancora una cosa: che ne
sarà ora della Bambina? - Sono passati tanti anni, la Bambina sarà ormai adulta e la sua vita non
sarà facile, ma nel suo cuore ci sarà sempre un posto per noi e ci vorrà sempre bene.
Racconto da un pino
355
di Virginia Saragoni
I giardini racchiudono piccoli universi di significati, citazioni, immagini, sensazioni e ricordi. E' un
viaggio per gli occhi e per i sensi dove fontane creano giochi d’acqua perdendosi in labirinti
sotterranei, giardini pensili, logge eleganti che accolgono ad arco la passiflora rampicante, aiuole
colorate che formano punti di colore grazie ai ciclamini e ai tulipani e la calceolaria che le adorna
formando macchie allegre di colore intorno ai sassi ne fanno una meraviglia destinata a stupire chi
si ferma in questo giardino. Sono qui da molto tempo e ho visto tante volte il lento ripetersi degli
eventi dei cicli stagionali che qui la fanno da padrone. Non mi stanca anzi mi rassicura vedere la
lenta trasformazione degli elementi della natura che mi circondano e di cui io mi sento il re. Non
sanno che è tanto semplice capire che qui ogni fine è un inizio; non siamo l'inizio e non siamo la
fine di niente: è una constatazione semplice da fare, immergendosi in questa natura. Grigie nuvole,
foglie cadute, odori spugnosi e bagnati di pioggia, neve che copre tutto col suo manto bianco e che
tutto riposa e poi silenzio. Ma poi tutto lentamente ritorna, si rialza, germoglia e cresce in un coro di
splendidi colori che ritornano a brillare grazie alla luce portata dagli intensi raggi solari fino a
quando la terra donerà nuova linfa, una volta bagnata da rigeneranti piogge primaverili. E' da marzo
a maggio che grazie al vento si opera la dispersione dei semi racchiusi nelle mie pigne o strobili. Le
pigne contengono semi che permangono fino alla primavera successiva quando, prima di cadere, si
aprono e lasciano portare via dal vento, piccoli semi alati. Vedo tutto questo dall'alto di questi
meravigliosi giardini che una volta, in epoca barocca furono chiamati “Albergo della Pace e del
Piacere” in un poemetto di Daniele Florio, cantore del mondo agreste del Friuli.
La melagragola
356
di Lucilla Migliavacca
C’era una volta un rigoglioso melograno che a fine maggio si accendeva di incantevoli fiori
vermigli, via via sfarfallanti sul verde del prato. Ma… e le melagrane? Proprio non gli riusciva di
produrne, se non qualche sparuta melagranina, lunga giusto pochi centimetri, giallina e deboluccia.
La giovane e produttiva vite di uva fragola lì accanto guardò compassionevole il vicino infruttifero
cespuglio e, in un moto di affetto, non trovò di meglio che allungargli un suo tralcio. Gli si
abbarbicò con i tenaci viticci e lo attraversò in lungo e in largo costellandolo di inusuali grappoli dal
profumo intenso e penetrante. Il caso volle che proprio uno di questi grappoli ambrati si imbattesse
in una di quelle striminzite melagranine di cui sopra. “Soffocarla?”, si chiese dubbioso. “No, meglio
girarle attorno” –decise indulgente- e la incorniciò, come una massa di riccioli biondi fa con il viso
di un bimbo. Sulle prime sorpresa, col passare dei giorni la piccola e snobbata melagranina si
inorgoglì sempre di più di quella singolare capigliatura, felice di calamitare su di sé l’attenzione.
“Che strano frutto è mai questo? –tutti si chiedevano perplessi- Melagrana? Uva fragola?”. “Già, chi
sono?”, si domandò anche lei tra sé e sé, un tantino disorientata. Qualche attimo di riflessione e…
“Trovato! Sono una stravagante, inconsueta melagragola –decretò soddisfatta-, e se i chicchi di
buon augurio non sono ben visibili al mio interno ma mi fanno corona, che importa? L’originalità
va sempre apprezzata”. E si strinse ancora di più ai sodi acini biondi. Il lampo di un sorriso,
l’allungarsi voglioso di una mano verso quei dolci chicchi color del miele. In un attimo la
melagragola penzolò spoglia dei suoi riccioli d’oro. Malinconia? Solo una punta, niente di più. Per
una volta nella vita anche lei si era sentita bella e desiderata, questo contava. Regalò un’occhiata
riconoscente al tralcio di vite e al primo soffio di vento si lasciò cadere. Senza rimpianti.
Primo volo
357
di Caterina Usai
“Sei pronto?” Sento la voce seria vicino a me e non rispondo, sono troppo concentrato su quello che
devo fare. E’ impegnativo e pericoloso, lo percepisco, è la prima volta e nulla mi deve distrarre. Mi
affaccio sul bordo, guardo in giù e sono colto da un brivido di paura e da un senso di vertigine. Il
giardino sotto di me è bellissimo nei suoi toni di verde marrone punteggiato da tanti bottoncini
colorati, gli alberi attorno mi parlano, i loro frusciati rami e mi incitano: “dai non ti preoccupare,
l’hanno fatto in tanti, non puoi essere da meno”. L’erba verde mi chiama: “dai vieni sono qui, non
aver paura”. Io cerco di non ascoltare nessuno e seguo il battito accelerato del mio cuore tentando di
calmarlo, annuso l’aria, ascolto la direzione del vento e intuisco che non è il momento, devo trovare
la corrente giusta prima di decidermi a buttarmi. “Dai non fare il fifone, noi siamo già qui è stato
bellissimo, il vento ti aiuterà.” Li sento e li vedo piccolissimi in basso, mi chiamano e aspettano, io
non sono ancora pronto, deve essere una mia decisione: e se mi schiantassi? Se andassi a sbattere
sopra le rocce?Se il vento mi portasse lontano facendomi rotolare chissà dove? Sono indeciso, tutti
mi guardano e aspettano che lo faccia con coraggio, si aspettano la mia discesa per applaudirmi e
festeggiarmi non posso tirarmi indietro, devo farlo anche se ho paura. Chiudo gli occhi e mi preparo
mentalmente, sento un refolo di vento che s’insinua sotto le ali e all’improvviso sento che sto in aria
non più sul bordo e scendo delicatamente verso il suolo, apro gli occhi e osservo ciò che mi sfila
attorno lentamente, gli alti alberi che sorridono e incoraggiano, il tetto rosso di una casa poi sempre
più giù verso gli amici che aspettano sorridendo. Cerco di tornare su e ci riesco, faccio qualche
capriola poi di nuovo giù sulle ali del vento e infine atterro tra i fiori e le acclamazioni. Papà è fiero
mentre dice: “hai visto, ce l’hai fatta cardellino, è stato facile no?”
LE MARGHERILLE
358
di Anna Martinenghi
C’era una volta, un orto in cui crescevano anche margherite e piante di camomilla. Le margherite
erano ciarliere e pettegole. Trascorrevano le giornate spettegolando su “chi ama e chi non ama”, ma
ciò in cui erano davvero brave era criticare le cugine camomille che crescevano a loro dire, in una
zona frequentata da piante losche come le ortiche e sfacciate come le more. Le camomille vivevano
in condominio, erano calve, con grossi testoni gialli e secondo le margherite, passavano tutto il
giorno dormendo. In realtà, erano tranquille per natura, avevano la tendenza a essere noiose, un po’
soporifere. Le margherite, al contrario, chiacchieravano dall’alba, fino a notte inoltrata. La pazienza
delle camomille era grande, ma aveva un limite. Alla fine una pattuglia di bruchi poliziotto intimò
alle margherite di abbassare il volume. Le margherite, offese nell’amor proprio, scatenarono un
putiferio. Chiesero l’assemblea straordinaria dell’orto e l’intervento dell’amministratore Gianni De
Pomodoris. Si rischiò uno scontro degno di Forum, se non fosse che le camomille si
addormentarono a metà del litigio. Poi l’estate spettinò i fiori e il litigio venne dimenticato. Api e
vento sparsero semi in tutto l’orto. L’inverno mise a tacere ogni cosa e l’orto si riempì di buio,
freddo e silenzio. Ma poi la primavera tornò e tutto ricominciò da capo: chiacchiere, pettegolezzi e
lamenti. Quell’anno le margherite avevano pure un fiato da far spavento e oltre al rumore
appestavano l’aria. Sì riunì di nuovo l’assemblea e il saggio amministratore sentenziò che i
pettegolezzi avevano guastato il fiato alle margherite. Venne consegnato loro un Arbre Magique,
insieme a un’ammonizione formale. Le margherite, per la vergogna, rimasero in silenzio per il resto
della primavera. De Pomodoris se la rise sotto i baffi: le margherite erano cresciute proprio sulle
teste d’aglio, ma è così bello pensare che le parole buone siano dolci come baci e quelle cattive
abbiano un alito da drago.
Orto botanico
359
di Silvia Roggero
Sono un comune arbusto di lavanda,vivo in un orto botanico.Qui si sta bene: si prendono cura di
noi, ci badano, concimano,bagnano,il migliore dei mondi possibili. Ci sono tante piante, fiori: si
parla, ci si scambia gossip, si fanno riflessioni...tranquillo. Conviviamo:alcuni sono più simpatici,
altri meno,ma dicono sia normale. Ci sono alcuni velenosi:l'oleandro per esempio; fortunatamente è
lontano da me, ma pare che abbia danneggiato qualcuno. E poi stanno succedendo cose strane:
molti nuovi arrivi. Sono piante diverse da noi, con nomi impronunciabili. Le mettono dove c'è
spazio. Alcune sono già morte.Probabilmente i loro paesi hanno un clima, una terra troppo diversa
dalla nostra. Non attecchiscono e finiscono così: un po'mi spiace, forse sarebbero state piacevoli.
Altre sono tanto carine: parlano del loro cielo, dei profumi che sentivano; provano nostalgia, ma
cercano di adattarsi. Qualcuna ci ha già proposto di unire radici e semi: perchè no? Potrebbe venir
fuori un ibrido stupendo - non bisogna escludere nulla- e come sarebbero curiosi e attenti quelli che
ci studiano! Ce ne sono altre ,però, tra queste nuove arrivate,che mi preoccupano non poco: stanno
invadendo tutto il terreno all'intorno, sono violente e arroganti, mirano -letteralmente- a
soppiantarci. Spero che chi si occupa di noi se ne accorga e intervenga. Altrimenti, non so cosa
potremmo fare. Voglio però cercare di essere ottimista:potrebbe finire come con l'oleandro, che
pure è qui da sempre.
Ci sono anch'io.
360
di Maria Elena Soligo
Grigio. Estate o inverno non importa,qui il cielo è sempre grigio. Le nuvole sono veloci, corrono in
fretta e qualche volta capita che un raggio di sole raggiunga le mie lunghe foglie. Di pioggia invece
ce n'è sempre troppa. . Sono un nespolo,e vivo nel giardino sul retro di una casa vittoriana a Londra.
L'inverno è lungo e tetro, invece a me piace l'estate perché mi sento meno solo. Non ci sono altri
alberi qui fuori, ma in casa vivono in cinque. Di solito non li vedo quasi mai, mentre in estate i
ragazzi mettono una panchina vicino al mio tronco, e nel pomeriggio si siedono sotto i miei rami,
così ci guardiamo un film assieme. Quando Maria viene in giardino per leggere o per chiacchierare
con la sua famiglia italiana, dallo schermo del suo computer vedo che lì c'è un grande giardino
pieno di alberi e c'è sempre il sole. Spesso le sue amiche vengono a casa con lei dopo il lavoro e
stiamo qui tutti assieme fino a notte fonda. Le ragazze si raccontano storie di tutti i tipi, e quando
ridono io rido con loro. Però non mi piace Lara, perché getta sempre i mozziconi di sigaretta
accanto a me. Se potesse sentirmi le direi "Ehi, un pò di rispetto!". A volte la sera viene a visitarmi
lo scoiattolo che abita nel parco vicino. Si muove veloce fra i miei rami e quando ne spezza
qualcuno fa rumore, così le ragazze si spaventano e alzano gli occhi verso le mie foglie. Sono gli
unici momenti in cui mi guardano e la mia presenza non è data per scontata, come se ci fosse solo la
panchina in giardino! So che quando dicono "che bello" si riferiscono allo scoiattolo, ma mi piace
pensare che i complimenti siano per me.
C’erano giorni, lassù in collina, in cui le raffiche di libeccio erano così forti da far gemere di dolore
le canne. La salvia e la lavanda, invece, assaporavano il profumo salmastro del vento che solleticava
loro le foglie. Io – radici salde come funi – me ne stavo piantato in mezzo al giardino, incurante
delle folate che mi scompigliavano la chioma e strappavano piccole olive verdi dai rami più esili.
Guardavo zia Santa, che usciva in fretta da casa, sprangava le ante e sfiorava con dita premurose i
gerani. Aspettavo una sua carezza, che non mancava mai, poi la osservavo rientrare, sedersi accanto
alla finestra, inforcare gli occhiali e leggere, lasciandosi andare al sonno, nei pomeriggi afosi,
quando attorno al rosmarino in fiore ronzavano ansiose le api. Dal poggio il mio sguardo si
spingeva, oltre il borgo di case in pietra, fino al lecceto, all’uliveto grande e infine al mare, lucente e
liscio come seta nei giorni di bonaccia, infuriato e livido nei giorni di maltempo. Il fuoco, però, non
lo vidi arrivare. Lo sentii nell’aria, me lo sussurrarono ginestre e lentischi terrorizzati che
avvistarono le lingue rossastre lambire i primi cespugli. Tremavo. Folle di paura, inerme e
impotente, lo guardavo salire, mangiarsi sorbi e allori, carpini e sambuchi. Avrei voluto sradicarmi
da lì, fuggire, salvarmi. Zia Santa, trafelata, i corti capelli bianchi ritti sul capo, pompava l’acqua
dalla cisterna e ci bagnava, ci bagnava in continuazione, mormorando fra sé: “Fatevi coraggio,
fatevi coraggio”. “Vattene almeno tu!” le gridai, ma lei mi passò accanto, mi accarezzò il tronco
nodoso, poi, quasi avesse capito, scosse la testa e mi restò accanto, guardando insieme a me il fuoco
che lambiva il borgo, respirando con me l’odore acre del fumo, piangendo. Inatteso, un frastuono
esplose sopra la collina e un elicottero, gravido d’acqua, si precipitò verso di noi e ci rovesciò
addosso una cascata di pioggia, che ci lasciò storditi e ridenti di felicità. Eravamo salvi!
Aretusa stava in mezzo al laghetto circondata da ninfee, ranocchie e pesci rossi. Il basamento della
statua era completamente ricoperto dal muschio e dai sedimenti di vecchie carcasse di insetti,
bozzoli di farfalla e formiche volanti. Tutt'intorno il cemento si era mangiato millimetro dopo
millimetro il magnifico giardino, riducendolo ad una triste isola pedonale. Ma sapete, anche nelle
metropoli più avanzate vivono persone che si inventano qualcosa per passare il tempo e Franca, una
settantenne curiosa, praticamente la reincarnazione di un folletto, in un giorno di primavera, munita
di spazzole, detersivi e folle determinazione, si era diretta verso Aretusa, decisa a darle una bella
lucidata. Indossati gli stivali da pesca era entrata nel laghetto, aveva spaventato i pesci e tra il
gracidare delle ranocchie aveva iniziato a scrostare l'antico manufatto cantando allegra. Dopo aver
raschiato e strofinato notò che dal marmo scuro emergevano lettere incise. A giudicare dalle parole
doveva trattarsi di una didascalia in latino. A quel punto Franca era curiosissima e non si fermò
finché, sporca e infangata fino al mento, non ebbe tutta la sua scritta. Zompò fuori dalla piccola
vasca, inforcò le bifocali e lentamente ma ad alta voce iniziò a sillabare: “Lege me videsque
hortum”. E fu così che Franca vide sgorgare dalla mano di Aretusa un flebile zampillo che ben
presto divenne un getto d'acqua che fece straripare la piccola fontana. Man mano che l'acqua
toccava il terreno questo riprendeva l'antica forma . Nacquero piante, alberi, sentieri e poi prati e
fiori. Il cielo azzurro e terso era popolato da uccellini colorati e cinguettanti mentre gli scoiattoli
saltavano da un albero all'altro. Quella mattina, al civico 167 di Via Nazionale, le persiane rimasero
chiuse. Fuori lo smog aveva appestato l'aria ma Franca si era addormentata per sempre nel suo
meraviglioso giardino. Vicino ad Aretusa, un folletto di pietra, al quale nessuno fece mai caso.
Ascolta...
363
di Floriana Narciso
Oltre la balaustra di pietra antica, attenta, come un guerriero instancabile, a difendere un giardino
maestoso, siepi di bosso ancora odorose di libertà, a circondare mille specie che ora animano una
fantastica architettura, baluardo di saggezza vegetale, ma una volta affondavano le loro radici sotto
cieli senza recinti, con le chiome amate dal vento, flessibili come canne di palude, che lo fanno
fischiare a loro piacimento e non lo temono, ma gli si inchinano, assecondando la sua danza. Chi
ama il vento sa essere vento e canna di palude e ulivo e pioppo e quercia sulle pendici delle colline,
raddolcite dall'approssimarsi del mare... Entra nel mio cerchio magico e ascolta il mio sussurro... Io
sono l'ulivo secolare che si torce nella sua corteccia e aspetta l'autunno per donare abbondanti i suoi
frutti. Io sono la canna palustre, al limitare delle dune sabbiose, che oscilla e ondeggia nella brezza
marina e ascolta parole strane portate dal maestrale impetuoso. Io so essere pino marino, accolto da
mille tempeste e profumato di estate, immerso nel frinire di cicale instancabili. Io sono il giglio
della sabbia, primo avamposto di bellezza, pronto a baciare dune e mare. Io posso essere quercia,
antica, fiera, frondosa e odorosa, felice di essere al sole. Io vorrei essere un tiglio, svettante nell'aria
fine e immota della montagna, immune ai compromessi del vento gelido del nord, foriero di neve e
ammantato di brina. Io desidero diventare un fantasioso girasole, attento ai mutamenti della luce, o
un tamerice capriccioso, prima barriera sottile a fronteggiare mari tempestosi ed arruffati da mille
venti. Io sogno di essere una ninfea, splendente nello specchio immoto di uno stagno. Io sono un
campo di lavanda in fioritura a primavera, celeste come i sogni sognati da un amore appena nato,
fermo nell'azzurro di uno sguardo senza peccati. Io sono l'anima di questo giardino. Ascolta...
Sono Stap e sono nata dieci giorni, sei ore e 37 minuti fa in una mattinata di maestrale così forte che
le mie cinque punte hanno faticato enormemente ad aprirsi. Vivo nella terrazza di casa Fara, alla
mia destra casupole di pescatori, alla mia sinistra il campanile di Santa Maria, davanti a me.. il
mare. Sono la primogenita ed unica figliola della Sig.a Stapelia, nonché la mia mamma, pianta
grassa (veramente grassa) che sonnecchia dalla mattina alla sera e ha come unico passatempo quello
di sghignazzare rumorosamente mentre la padrona l'annaffia. Io invece sono anticonformista, non
sonnecchio, mai! Ho un unico scopo in questa breve vita, godermi ogni goccia di pioggia, ogni
raggio di luce, ogni folata di vento e questa vista spettacolare, questo mare che a giorni alterni si
confonde con il cielo. Amo quando l'acqua marina prende vita, quando le onde si sollevano e si
schiantano agli scogli così come amo la calma dopo il maestrale. Il Silenzio. La dolce ninna nanna
della risacca. Ieri, mentre il sole passava dall'altra parte ti questa terra, Sofia, la mia padroncina, mi
guardava attentamente e descriveva alla sua mamma le mie fattezze. Non possiedo specchi qua in
veranda, dunque mai avevo visto la mia immagine. Diceva che assomigliavo a una stella, sì a quelle
che luccicano la notte, con proprio cinque punte. Il mio colore varia secondo le prospettive, sono
amaranto con tante macchioline gialle o gialla con tante macchie amaranto. Sofia diceva che dentro
le mie cinque punte c'è un cerchio al cui interno si nota un'altra piccola stella. Mi vantava talmente
tanto che sono subito diventata rossa! Da ieri non amo solamente il mare, ma anche la mia vita, che
questa natura mi ha gentilmente donato. E se tra pochi giorni un nuovo vento chiuderà i miei petali
sarò comunque felice di aver vissuto e ancora di più di averlo fatto in quest'angolo di paradiso.
Respira, anzi annusa. Questo posto senza tempo racconta qualcosa, una, cento e mille storie:
l’amante sospira, una donna passeggia nel vialetto, un sacerdote prega, una libellula volteggia
nell’aria e mi si posa sul capo fradicio di rugiada mattutina. In questo posto c’è tutto e di tutto.
Stagioni, colori, mondi, persone e profumi. L’apparenza non è la sola virtù che la natura possiede:
una rosa selvatica dal colore intenso diviene ancora più attraente grazie al suo profumo che le
conferisce una tonalità particolare nel suo rapporto con il mondo. Tutto si trasforma senza fine e si
conserva, la natura è padrona del tempo. Io immobile ho visto i mille volti di questo giardino che è
il luogo più bello del mondo, pulsa di vita, si sente. Ci sono i fiori che sbocciano in primavera,
quelli notturni che del loro alito impregnano l’aria, gli alberi dalle folte chiome sembrano sculture e
regalano ombra e refrigerio nelle giornate di calura estiva, e poi l’erba e l’odore di terra, quello
dopo la pioggia è differente da quello di terra bruciata dal sole, profumi che il vento diffonde e
disperde come respiro che è l’anima di un mondo che cambia. C’è un traffico di odori erranti, di
strade, di prati, di case, di pane, di persone, di un’intera città che evolve in una mappa olfattiva che
la descrive. Il profumo è un luogo, paesaggio dentro il quale abitiamo che provoca emozioni, gioie,
sorprese, come una memoria improvvisamente rianimata è una traccia di storia. Sono stato voluto
per ingentilire questo luogo dalla bellezza imperfetta ed unica, sono un amorino in un giardino
incantato, un guardiano e cantastorie di realtà inascoltate.
La statua nel suo splendore era degli abitanti del paese l’onore, apprezzava i gesti solenni ma si
sentiva immobile ormai da millenni, era annoiata quando vide una farfalla passare, “Che
meraviglia!” pensò, “Lei è libera di viaggiare!” La stessa farfalla si posò su una rosa, “Che noia!”
disse quest’ultima, stanca del suo essere in posa. “Mi piace far parte della natura, ma amerei anche
un po’ di avventura. A volte vorrei come una foglia volare!” e ammirò un suo petalo prendere vita e
il vento profumare. Il vento ormai inebriato sfiorò un foglio delicato, da un libro volato, sul prato
dimenticato. “Io ho raccontato realtà e fantasie, dall’alba al tramonto continue magie, ho parlato dei
desideri e degli infiniti sentieri, vorrei provare cosa significa, vivere anch’io una vita magnifica!”
La farfalla riprese il volo in giardino, intenta a non farsi acciuffare da un vivace bambino, voleva
conoscere i pensieri di colui che più ammirava ogni giorno: “Lui è così forte e bello, per i pittori
non solo un contorno!” Contemplato da tutti nella sua meraviglia, un grande albero osservava
all’orizzonte una famiglia. Erano entrati nel sognante giardino, mamma e papà e il loro piccolino.
Non disse nulla ma ne capì l’incanto, era tutto l’insieme a farne quasi un canto. Si rivolse ai suoi
amici per fargli capire ciò che ognuno di loro poteva sentire: l’unione tra loro era un tesoro prezioso
ma era ogni dettaglio a render tutto armonioso. “L’unicità di ogni essere è il vero mistero, è grazie a
questo che è tutto vero! Ciascuno di voi rappresenta bellezza, la vostra vita è per il mondo
ricchezza. Voi siete il soggetto di artisti e poeti, degli innamorati i ricordi più lieti, siete le opere
esposte nei libri, un regalo fiorito, un cuore accudito, siete il profumo di un giardino curato, di un
pomeriggio molto assolato. Siete il ricordo che non svanirà, il battito d’ali che crea libertà. Siete la
vita piena di gioia e le vivide estati di un’antica sequoia!"
Il paese adagiato sopra la collina, dominava la valle e tutt’attorno il grande bosco. Da tempo
capitava un fatto strano: nelle giornate di sole si vedeva, proprio in mezzo a tutto quel verde, un
bagliore, una luce. Tutti si chiedevano cosa fosse finché Tonio, il giovane più intraprendente del
paese, decise di andare a scoprire il mistero. Stabilì il percorso che doveva fare e si inoltrò nel
bosco. Non era facile districarsi tra felci, arbusti e siepi finché si trovò di fronte una vera barriera di
rovi. Tagliò rami e foglie per farsi un varco e quando fu dall’altra parte restò stupefatto. Com’era
possibile? Una piccola pianura ricoperta d’erba sembrava un tappeto di velluto verde e nel bel
mezzo c’era un cancello d’argento lavorato con ricci e sculture così fitte che non si poteva vedere
oltre. Appunto lì batteva il sole e c’era una gran luce. Dai lati e tutt’attorno un ricco glicine
intrecciato non permetteva di inoltrarsi. Nessuno sapeva, e neppure Tonio seppe mai, che la grande
Madre Natura aveva creato proprio lì il suo Regno dei fiori. Ce n’era di ogni tipo: alberi, siepi,
piante. Un giardino incantato con tutti i fiori. Il Giglio alto, diritto, bianchissimo, vantava la sua
purezza mentre la Rosa Rossa, vellutata, a gambo lungo, rispondeva maliziosa: «Quante volte ho
dichiarato amore, gli uomini mi chiamano Baccarat.» Orchidea, altezzosa: «Io sono la più
elegante». Ortensia e Ginestra rivendicano bellezza e forza mentre timida e quasi nascosta una
famigliola di Viole, vicino alla cascatella che va nel laghetto, bisbiglia: «Quanti mazzolini le
fanciulle conservano tra i libri in ricordo di baci e sospiri!». La Ninfea maestosa si dondola
sull’acqua mentre dall’alto Mimosa getta manciate di fiorellini come coriandoli a una festa.
Girasole guarda sempre il suo re, mentre Margherita allunga il suo capino, guarda il sole bellissimo
quasi al tramonto, oro, rosso e sospira: «Mi guarda, mi dà la vita, mi dà calore … Chissà se
m’ama!»
La Yucca quella mattina era triste: Sabrina era partita da appena un giorno per le sospirate vacanze
estive. Senza di lei si sentiva sola, non solo perché la annaffiava un giorno sì e l’altro no; le parlava,
le accarezzava le lunghe foglie appuntite e ogni tanto gliele puliva con uno straccetto e gliele
lucidava con uno spray. Si sentiva amata e vezzeggiata, e sapeva di essere la preferita, in quel
piccolo “giardino” su una terrazza della periferia milanese. Indifferenti alla malinconia della loro
vicina, la rosa gialla, il candido ibisco e la lussureggiante dipladenia – che si era avvinghiata alla
ringhiera ricoprendola di fulgidi fiori rossi – si lasciavano cullare languidi dalla brezza che di tanto
in tanto si alzava e interrompeva la calura agostana. “Miei cari” esordì la rosa “non sarebbe bello, di
tanto in tanto, che so, fare un viaggio, lasciarsi trasportare dal vento in un paese lontano?” “Io
vengo dalla Siria” disse l’ibisco “lì l’aria è profumata, altro che qui! Ricordo che mi arrivavano alle
narici degli aromi speciali, un misto di fiori, erbe e spezie. Alle volte soffiava la sabbia del deserto
… una sabbia finissima e candida, che ci lambiva e ci scaldava. Che nostalgia!” “Io cosa dovrei
dire?” intervenne la dipladenia “Vengo dalla giungla sudamericana … fresca, umida, piena di suoni
e di colori … e guarda dove mi ritrovo! Alle mie sorelle però è andata peggio: una è finita a
Rozzano e sta in un balcone striminzito, l’altra in un giardino di Ornago, con una gatta che appena
può le strappa i fiori e le agita i rami”. Nel frattempo, i merli continuavano imperturbabili ad
abbeverarsi nei sottovasi e di tanto in tanto si divertivano a stuzzicare il limone e il mandarino, che
sonnecchiavano pigri in un angolo, spizzicando i loro frutti succosi e ridacchiando come monelli.
La Yucca sorrise: non si sarebbe mai sentita troppo sola nel giardino della Sabri! Si stiracchiò
allargando le ampie foglie a mò di ventaglio e si assopì serena.
Solamente Amore
369
di Annamaria Bettini
Ciao, sono Margherita,ho tante amiche e formiamo insieme un folto cespuglio.E' meraviglioso
questo inizio di settembre,ancora caldo poter spaziare con lo sguardo su colle aperto,nella città di
Bergamo.Vivo qui in un angolo di paradiso in un piccolo giardino amorevolmente curato da
Erminia, donnina senza tempo signora dai candidi capelli raccolti a crocchia.Tutto in lei è
dolcezza,dallo sguardo che posa su di noi,cespuglio di margherite,ai piccoli gesti quotidiani che con
mano leggera sistema foglioline o rimuove rametti secchi.Il mio angolo di mondo confina con il
parco di una villa in stile liberty.Ogni giorno vi è un gran via vai di giardinieri che sistemano alberi
e fiori.Non riesco a parlare con nessuno,troppo lontani questi fiori e non solo nel senso della
distanza.Ieri però mi sono proprio incuriosita e ho notato al di là della recinzione un gran
fermento.Sul confine dove mi affaccio due giardinieri hanno piantato un rampicante.Bellissimii
fiori,mai visto niente di simile:Devo dire che io e le mie compagne ci siamo sentite per un momento
miserelle!Prendendo un po' di coraggio ho chiesto come si chiamassero e una di loro mi ha
risposte"passiflora".Il giorno dopo ho cercato di saperne di più e passiflora mi ha detto che è
originaria dell'America centro-meridionale e il loro nome gli fu attribuito dai missionari Gesuiti nel
1610.Giorno dopo giorno siamo diventate amiche anche se loro si sentono un poco superiori.Tutti i
giorni la signora della villa faceva visita a passiflora,controllava l'esito dell'innesto,ma sempre con
atteggiamento distante.Quando finalmente tutto è sembrato a posto,la signora non si è più
vista.Passiflora è triste,io cerco di rincuorarla,ma lei pensa al suo paese lontano e nota soprattutto
l'attenzione che più volte al giorno Erminia dedica a me e al folto gruppo di tutte noi.Si sono
proprio fortunata e sono felice in questo piccolo giardino dove trascorrono serenamente le
stagioni,cambiano i colori ma rimase sempre l'amore.
Fabiola, figlia del patrizio Aurelio Massimo, incontrava ogni notte, alle tre, lo schiavo Siro, al
riparo dagli occhi indiscreti della casa. Fra poco i due amanti sarebbero arrivati e il giardino si
animò di nuova vita. Pronti per accoglierli, facevano a gara per rendere il luogo, ancora più
incantevole. L’amore vuole cura. Dai, dai, forza ragazzi! Cominciò l’albero secolare della magnolia
rivolgendosi alla rosa: sei pronta con il tuo profumo più intenso?Lei rispose: e tu, vecchio mio, con
la tua ombra migliore? Io sto preparando un letto di petali avvolgente. Intervenne il mirto: io che
sarò considerato divino dal poeta, li circonderò da un’aureola di luce e distillerò acqua degli angeli
per rinfrescarli. La palma da dattero invidiosa replicò: ed io, così come per i nomadi nel vento,
offrirò loro il pane del deserto. Il melograno sorrise: e la mia abbondanza? I miei semi rossi
traboccano come il loro amore. Il fico, di rimando: e i miei frutti succosi come il latte li avete
scordati? Dolci come i baci. E poi nel bisogno, potrebbero aggrapparsi al mio tronco come fece
Odisseo per sfuggire ai mostri dello Stretto. Timido l’oleandro s’inserì nella conversazione, e, come
sempre con la paura di essere accusato di essere velenoso, promise di stare soltanto a guardare,
senza piangere, per godere dei sospiri e dei gemiti silenziosi. Il corbezzolo riempiendosi d’orgoglio
concluse: ed io, miei cari, suggerirò l’attesa per una patria che porterà i miei tre colori, in cui non ci
saranno più schiavi ma solo uomini liberi. Sss… arrivano… eccoli, come sono belli insieme, ma che
succede, chi sono questi? La casa accese tutte le sue fiammelle ma l’aria si oscurò di terrore. Fu
l’ultimo appuntamento: le guardie irruppero e i due catturati. Il giardino si disperò ma disse addio ai
suoi amanti. Ogni notte alle tre, avrebbe pregato invocando pietà, in nome dell'amore che non
muore. Complice di un'incantesimo, privilegio di pochi .
BABYBLUME
371
di Vittoria e Edoardo Valpreda
Per chi come me nasce piccolo piccolo, ma grande vuole diventare, il giardino dove abito è il mio
Maestro. Io sono un fiore piccino, ma con tanti petali profumati di colore rosso rubino. La mia
mamma, vedendomi così minuto, mi ha chiamato Baby. Ma la mia origine è austriaca e i miei amici
mi hanno soprannominato Blume. E così ecco che sono diventato per tutti BabyBlume. Al mio
risveglio, gli altri fiorellini che abitano nel giardino mi salutano: Mirco, Gegè, Pepi, Rosellina e
Fefè con un gran movimento della corolla iniziano il giorno pieni di entusiasmo e allegria. I
cinguettii degli uccellini - i miei amici Carlo e Tea, che sono simpatici e chiassosi - mi danno
informazioni sul tempo: con il loro volo riescono ad andare così in alto da vedere il movimento
delle nuvole e prevedere con grande anticipo un bel sole o un brutto temporale. Dopo il sole caldo
del mezzogiorno, ecco l’apina Caterina che viene a succhiare il mio nettare. Ci conosciamo da tanto
tempo e passiamo volentieri il pomeriggio chiacchierando assieme. Al calar del sole tutti noi, alberi,
fiori, uccelli e insettini ci riuniamo e cominciamo a cantare la nostra canzone della natura. Per noi è
un momento di grande amicizia, di scambio di sensazioni, di percezioni, che ci rende tutti vicini
vicini. C’è chi racconta della giornata passata a oziare all’ombra di una grande foglia verde, c’è chi
- più avventuroso - ricorda i momenti passati a esplorare i confini del giardino dove ci sono le
panchine degli umani, c’è chi è stato accanto alla propria “famiglia” e ha apprezzato il solo fatto di
stare assieme. Ecco, dopotutto ci sei TU, che guardi tutti questi colori, respiri questi profumi e
ascolti il fruscio della nostra canzone. Così un po’ condividi con noi il nostro mondo, perché non
siamo poi tanto diversi e la felicità è essere esattamente come sei. Buon tutto a tutti! 15 agosto 2015
Edoardo (8 anni) e Vittoria (7 anni) Valpreda Via Cesare Battisti 17 10123 Torino email di mamma:
Le spine dell'amore
372
di Paola Gallo
Due giovani passeggiano mano nella mano in un piccolo parco cittadino nelle prime ore della
mattina. Il sole filtra delicatamente tra i rami degli alti alberi di tiglio, a tratti si sentono gli uccellini
cinguettare e qualche farfalla spunta improvvisa tra i cespugli di fiori. Non si accorgono di nulla,
talmente presi dalle loro sensazioni, dal tumulto che il contatto delle loro mani provoca in loro, il
battito del cuore accelerato, la pelle d'oca, la salivazione azzerata. All'improvviso scorgono una
panchina nascosta agli occhi degli altri ospiti del parco, proprio davanti ad una meravigliosa aiuola
di rose rosa. "E' così romantico!" dovranno aver pensato, perché immediatamente si siedono proprio
lì e si guardano intensamente negli occhi. - Adesso si baciano - dice una delle rose che sta
assistendo a quello spettacolo. E così accade. Lentamente le loro bocche si avvicinano per poi
schiudersi dolcemente l'una all'altra. - Credo proprio che siano innamorati!- sospira la rosa
commossa. - Già, l'amore! - commenta una sua vicina di ramo - Bisogna sempre stare attenti perché
l'amore porta con se gioie e dolori, proprio come noi rose - sentenzia con convinzione. Ma la
giovane rosa, bellissimo bocciolo appena sbocciato, non vuole crederle. Sono così belli quei
ragazzi, così romantici, che nulla di brutto potrà mai accadere. Lui adesso accarezza leggermente i
capelli castani di lei, le aggiusta un ciuffo ribelle dietro un orecchio, le sussurra una frase d'amore e
poi, accorgendosi del piccolo roseto dietro di loro, si sporge un pochino per coglierne una e fare un
regalo alla sua amata. Così il giovane bocciolo di rosa finisce tra le mani della giovane ragazza che,
nel prenderlo dalle mani di lui, si punge con una spina. - Ahi! - si lascia sfuggire con una piccola
smorfia di dolore sul suo giovane e bel viso. Il bocciolo finisce così a terra.
La foglia di ippocastano
373
di Emanuela Persiani
-Ehi, perché piangi?, disse una foglia d'ippocastano volata ai piedi di un antico castagno del
giardino. -Piango, perché sono solo, rispose il castagno. -Non sei solo. Hai tante foglie e questo
giardino è pieno di alberi e fiori. C'è un roseto vicino a te! E con te, ogni giorno, ci sono il sole, la
luna, le stelle, vento o nuvole, pioggia o neve. E le farfalle... guarda, una si è posata su un tuo fiore!
E l'uomo e la donna... ho visto come ti curano e come curano anche il mio ippocastano, che non
porta frutti. -Non porto frutti nemmeno io!, replicò il castagno. Non tacere, non è colpa tua, anzi ti
sono grato di avermi parlato. -Sono una foglia e vivo appena una stagione. Il mio compito è questo,
sorrise al castagno, e finché rimarrà in me la linfa non voglio rinunciare a svolgerlo. Tu hai un altro
compito, più alto. -Sei saggia, piccola foglia, intervenne la rosa più alta del roseto, è proprio così,
ognuno ha un compito. E dobbiamo scoprirlo. Anch'io, che vivo come te una stagione ho un
compito: ricordare a chi mi guarda la bellezza, che rimanda ad altro. La bellezza è il compito di
ciascuno di noi. Anche tu piccola foglia, anche tu castagno ricordate la bellezza. -Anch'io sono un
segno lieve e fugace di bellezza, si inserì una farfalla dagli occhi blu notte. -Ed io no?, si intromise
una statua del giardino, un putto col viso rivolto a Oriente. Anche chi mi ha scolpito cercava in me
la bellezza, così come la donna e l'uomo che mi hanno installato qui. Siamo segni di bellezza per i
mancanti di bellezza, per aprire il loro cuore! -È vero, sussurrò la foglia con voce sempre più esile.
La linfa era ormai alla fine. Porterai frutto, caro castagno. Non disperare, non sei solo, basta che tu
lo voglia. Addio. Una folata di vento portò via la foglia d'ippocastano; ne seguirono altre di folate.
Il giorno dopo il sole trovò il castagno con poche foglie addosso e tanti ricci scoperti. Della farfalla
e della rosa nemmeno l'ombra. Soltanto il putto era lì che lo fissava. Lieto.
"Ahh! dopo tanta afa questa pioggia ci voleva proprio" pensò felice il salice piangente.
dimenticando per un' attimo i suoi dispiaceri. " Questi umani non li capisco. Prima decantano la
bellezza delle mie fronde, poi però protestano e dicono che sporcano il loro piazzale. Ma che colpa
ho io, se sono stato piantato a fianco del muro di confine fra due caseggiati e poi uno di questi ha
deciso di cementificare per ricavarne dei parcheggi. La proprietaria del mio giardino, non appena le
sono arrivate le lamentele, per evitare discussioni "zac" ha subito provveduto a far tagliare le parte
della mia chioma che sporgeva sul piazzale, anche se poi, si è arrabbiata ugualmente perché quelli
ai quali piacevo sono venuti a lamentarsi per il fatto che mi aveva dimezzato. Lei, ugualmente agli
altri, li ha spediti pari pari in quel posto. Certo che monco in questo modo, non sono bello come
quelli riprodotti nei quadri o citati in letteratura, ma anche così faccio sempre la mia figura e quando
in giardino si fanno le feste tutti gli invitati apprezzano la mia frescura e fanno commenti sulla mia
bellezza..." "Ehh!..La tua bellezza si!.. La tua bellezza è la mia rovina" lo interruppe l'erba del prato.
"Vabbè che sei piangente di natura, ma non ti lamentare. E io cosa dovrei dire? Specialmente
quando ci sono le feste. Le teste che ammirano te, hanno due piedi su di me e poi mi occorrono
almeno due giorni di buona innaffiatura per riprendermi da tutto quel calpestio. Ma il mio problema
vero sono i due cani, sino a quando c'è stato soltanto il beagle, per i suoi bisogni mi ha sempre usato
l'indispensabile, invece da quando è arrivata quella spinoncina bastarda, mi considera come il suo
cesso personale e poi abbaia in continuazione a tutti quelli che si avvicinano..." "E soprattutto ai
gatti che stanno sui miei rami, che quando fuggono mi graffiano in profondità" "E certo che tu. Se
non ti lamenti...."
"Sai, questa storia che ti fai vedere solamente quando decidi tu, vieni a trovarmi solo la sera quando
si fa buio, mi lasci all'alba, furtivamente, mentre sono ancora addormentato, nooooon mi piace. No.
Non mi piace proprio. Per niente! Mi fai sentire usato! Di giorno sparisci, non ti fai sentire, né
vedere. Non mi dici dove vai, cosa fai, con chi sei, chi frequenti. A volte sospetto che ti sia
innamorata di un altro. È così? Eh? Ecco, lo vedi, ogni volta che cerco una spiegazione, non ottengo
mai nulla: solo vuoti, inspiegabili, interminabili silenzi. Se c'è un altro va bene. Basta dirlo!
Preferisco sapere piuttosto che essere lasciato così, assalito dal dubbio. A volte ho l'impressione che
tu mi nasconda qualcosa, una parte di te. Io di me ti racconto tutto, invece. E poi, ti sento sempre
così distaccata e distante. Sembra che tu non riesca a fermarti mai in nessun luogo. Sempre in
movimento, sfuggente. Se solo non fossi così innamorato…ti lascerei, ecco! Sì, ti lascerei. Ci ho
pensato sai, quando sparisci per giorni senza un motivo, senza dare spiegazioni, e poi riappari con
colpevole naturalezza, come fosse tutto normale. E io? Sempre qui ad aspettarti! Ma non riesco a
mettere un punto e voltare pagina. Senza te non esisto. Io mi nutro di te. Ci sei da sempre, non
riesco a ricordare neanche il giorno in cui ci siamo conosciuti. Forse perché non esiste un momento
in cui ci siamo incontrati, sei nata e cresciuta con me. È come se ci fossi sempre stata. Il tuo calore
mi accarezza e mi scalda, mi coccola e non mi fa mai sentire solo. La tua luce dà un senso a ogni
cosa. Ma davvero non mi ami più?" Chiosò l'albero, nel suo lungo monologo alla luna. "davvero
non mi ami più? non mi ami più? più? più?" rispose, di rimando, l'eco dalla profondità della vallata.
Sopra la vallata, in un ritaglio di cielo notturno, c'era una splendida, eterea luna piena. Incredula e
muta.
Il salice
376
di Gianpiero Mirra
Quel piccolo uomo, nonostante la guerra, aveva pensato a noi. Tutto, intorno, era stato distrutto. I
campi, il bosco, persino il fiume che ci passava accanto, era stato prosciugato alla fonte. Eppure
quel piccolo uomo, senza più amici né parenti, veniva ogni giorno a portarci dell’acqua dal pozzo
della sua casetta. Difficile capire cosa lo spingesse a farlo. Io e il mio amico salice lo guardavamo
perplessi e contenti. Com’era possibile che tra gli uomini adulti si tirassero le bombe l’uno contro
l’altro e tra quello stesso genere umano ci fossero dei piccoli uomini così generosi? Sembrava un
controsenso. Eppure era così. Passarono giorni, mesi, anni, sia noi due alberi che il piccolo uomo
crescemmo alti e forti. Attorno a noi invece, era il deserto. Nulla era sopravvissuto. Un giorno il
piccolo, ma ormai grande uomo, venne vicino e disse: “ Purtroppo uno di voi dovrò tagliarlo, ho
bisogno di costruire una bara per quando morirò. Mi sento stanco e vecchio. Ho paura di rimanere
senza più forze per tagliare”. Io e il mio amico ci guardammo tremanti. Chi sceglierà tra noi? In
quell’istante, forse per il vento, al mio amico cadde una foglia. “Ecco”, disse l’ormai grande piccolo
uomo, “sceglierò te che sei più vecchio del tuo amico!”. E così, in soli tre giorni, fu abbattuto,
tagliato a pezzi e di lui fu costruita una bara. Rimasi solo. Quella terra, ormai deserta, mi sembrava
ancora più triste senza il mio amico accanto. Il piccolo ormai grande uomo veniva ogni giorno a
portarmi l’acqua del pozzo per farmi bere, ma io solo e inutile anche a fare da bara, abbassai i miei
rami, piangendo giorno e notte. Senza mai fermarmi. “Perché hai abbassato i tuoi splendidi rami
nonostante ti dia l’acqua ogni giorno? “ mi disse il piccolo ormai grande uomo, “Non piangere
albero, ci sono io a farti compagnia e a prendermi cura di te”. Era gentile il piccolo ormai grande
uomo. Non capiva però, che mi aveva privato della gioia di vivere. E con lei la vita stessa.
Portatori di luce
377
di Chiara Pedrocchi
È molto presto e nessuno per ora ha notato la mia presenza qui. Sh, non fate rumore, il bosco sta
ancora dormendo! Sono entrato qui di soppiatto, mi sono svegliato con qualche minuto di anticipo
rispetto al solito per poter essere uno dei primi ad inaugurare questo nuovo giorno. Mi sono
infiltrato tra le foglie, ho rimbalzato su una roccia appuntita, ahi!, ho giocato sopra una ragnatela
ricca di perle di gocce di rugiada, ho carezzato il morbido pelo rossastro di un giovane volpino
ancora sognante e infine mi sono posato qui, su questo filo d'erba. Ho fatto tutto questo per portare
luce. Vi pare poco? Beh, è normale, all'inizio non lo capivo neanche io. "Va' nel bosco e porta tanta
luce", mi aveva detto papà, pallido d'esperienza. "Devo portare luce", ripetevo tra me e me,
sforzandomi di prendere in carico più luce possibile, soprattutto dopo essermi nascosto per qualche
giorno, dopo che un mio vicino mi aveva disilluso sussurrandomi "Non sei che un raggio di sole
come tutti gli altri: la tua luce, da sola, non ha valore". Quando avevo riferito ciò ai miei amici,
anche loro si erano sentiti profondamente insignificanti e si erano nascosti con me. Fu così che sul
bosco si scagliò un temporale spaventoso che causò un malumore generale, e noi fummo costretti a
intervenire prima che tutta quell'acqua si portasse via la magia del bosco. Da quel giorno compresi
la mia forza, la fondamentale importanza della mia partecipazione, così come quella di tutti gli altri,
anche di quel raggio triste che a questa bellezza proprio non voleva credere. Per questo anche oggi
porto luce, ma non solo: lo faccio con grande gioia, perché avvolgendo ogni cosa questa si illumini
a sua volta, e si cancellino per sempre da questa meraviglia il grigiore e la malinconia di quel
lontano giorno di pioggia.
La foglia
378
di Caterina Usai
E’ stanca, non ha più nessuna forza di reagire all’incedere del tempo,tenta di respirare l’aria pura
del giardino che la circonda ma ormai i suoi polmoni sono lenti, atrofici, non riescono più a
immagazzinarla. Percepisce che non può andare avanti così, è difficile ma deve farlo. Ancora uno
sguardo a ciò che le sta intorno prima di lasciarsi andare: nonostante l’autunno incombente è ancora
bello quel giardino nel quale ha passato tutta la sua vita. Alcuni alberi sono già spogli, altri si
preparano a esserlo, altri ancora esibiscono fieri e orgogliosi frutti e foglie che non cadranno.
Alcuni fiori si sono chiusi per la notte, altri come la bella di sera invece si aprono sperando in occhi
ammirati. La fontana al centro del giardino gorgoglia sommessa, la sua acqua entra ed esce in un
eternè senza fine dalle boccucce di tre pesci che si rincorrono, la guardano e le dicono di lasciarsi
andare al suo destino, loro sono pronti ad accoglierla. Lei esita, vuole vivere un istante ancora e poi
ancora un altro prima di porre fine a tutto. Anche le raganelle verdi che saltellano tra i fiori e le
foglie cadute si fermano, la guardano con occhi tristi sussurrando: “No, non farlo, vivi!” “Fallo
invece, non puoi continuare così, è doloroso” mormora invece un vecchio rospo tra un salto e un
borbottio. Lei ascolta ma non vuole arrendersi benché sia conscia che è la fine. Ha avuto una bella
vita tutto sommato, ha vissuto nel sole, ha goduto delle carezze del vento e dell’umido della
pioggerella ma, ormai è rimasta sola, non c’è più nessuno a farle compagnia ed è triste, sente la
nostalgia delle sorelline e vuole raggiungerle. Chiude gli occhi e con un lieve sospiro si lascia
andare, il vento la solleva prima di accompagnarla delicatamente nella sua caduta. E’ quasi arrivata,
apre gli occhi e vede le sue sorelline che si sono staccate prime di lei, la aspettano adagiate
sull’erba: “Vieni, vedrai il mondo da un’altra angolazione”. La foglia, secca, sorride mentre
risponde: “Eccomi!”
Fratelli
379
di Ippolita Stella
Nell'angolo il luppolo selvatico intreccia con la rete metallica decorativi arabeschi. -Buonasera,
Cesare. -Buonasera. Arabeschi: sì, è vero, sono pragmatico, ma anche un po’ poeta. Mi piacciono le
parole dai suoni interessanti: arabeschi, antonomasia, aruspice. Vengono tutte dai libri di Cesare; le
roveri hanno buona memoria.A proposito di rovere: robur, forza fisica. È latino. Sono un albero più
istruito della media. Io ascolto; quando il vento soffia da ovest, tra le mie foglie s’impigliano echi
remoti di foreste. La conoscenza è contatto – era in una poesia che leggeva Cesare una volta, e che
parlava di certi alberi, quali? Non so. Sbuffava sempre su quel libro, forse perché parlava di alberi,
e per capire bisogna avere radici ben affondate in terra, e abbracciare il cielo. Non per vantarmi, ma
è questione di prospettiva; quelle rose laggiù, per esempio, non capirebbero. "Quand’è, quand’è che
ti innamori?" non fanno che sospirare quelle sciocchine, a ogni alito. Non sanno dire altro."Quando,
quando…?" -Ti ricordi…? Quando lei tornava per il viottolo la sera. Solo tre volte mi ha sorriso.
Una volta è mai; ma tre, tre volte…dico piano: -E’ come l’eternità. Anche nelle fiabe che io e
Cesare ascoltavamo da piccoli: tre i balli, le prove, le piume incantate. Conosciamo tante fiabe, noi.
Siamo nati insieme, nella sua famiglia usava così, piantare un albero per ogni bambino; ora il mio
cuore di ghianda è avviluppato da 84 anelli concentrici. Cesare è un vecchio. Cesare coglie uno per
uno i germogli di luppolo e li avvolge con cura in un mazzetto, nella mano callosa. Lascia cadere
una carezza fra le rose, che sospirano ancora. Una rondine passa veloce,"Portami via via via…"
Cesare va lento verso casa. Bassa e malcerta la voce, lui canta. Le parole si assottigliano nel
tramonto, sono trasparenti, e poi si perdono. Ma io le conosco già: sono anche per me. Poveretto,
commenta la gente dietro la siepe. Io solo so: quando il canto si spegnerà, il giardino resterà
senz’anima.
My name's Jimi
380
di Antonella Boscolo
My name’s Jimi. Jimi Hendrix e sono un fico. Il mio nome? È stata lei, the mother. È arrivata un
pomeriggio di novembre. Mi ha guardato, abbracciato, annusato, poi ha messo a cavalcioni dei rami
il suo baby number one. Lui ride, io rido. Poi ha detto: Sei un fico, hai una capigliatura da Motown,
pieno di idee produttive in testa. Sei tu, sei Jimi Hendrix. Di fronte a me la magnolia fantastica, con
un tronco che si divide in due gambe di donna lunghe e liscie e una vulva di corteccia. The mother
si gira, la vede, e fa: Ecco Janis Joplin. Ed è iniziato l’amore. Non con Janis, no. Con the mother.
Ha un modo delicato di raccogliere i miei frutti. Aspetta che la mia chioma sia tutta piena di api,
nessuno si avvicina. Lei ride. Infila le mani tra le foglie, accarezza le api, poi prende il frutto come
se fosse il mio cuore vivo e pulsante. Con una piccola rotazione lo stacca. Una goccia di piacere
esce da me. Solo per lei, solo per lei. Poi è nato il baby number two. Mio figlio. Lo sento suonare
dalla finestra della sua camera: un genio della chitarra elettrica. My son. Estate, inverno, giorno,
notte, pioggia, sole, neve, vento, estate, inverno, giorno, notte, freddo, caldo, stelle, luna, estate,
inverno. Poi lei se n’è andata. Loro se ne sono andati. Dove? Arrivano operai che rompono e
rifanno. Ma passa un’estate e lei non viene a raccogliere i frutti. L’inverno arriva con un giardiniere
pazzo che taglia Janis. Poi viene da me e mi taglia la chioma. Ma tu dove sei, baby? La tua assenza
mi uccide. È primavera, ma io sto morendo. Niente foglie, gemme, frutti, niente, più niente da me.
Ma eccola, sento la sua voce. Che urla: NO, JIMI, NO! Piange, mi abbraccia. No, Jimi, no. Amore
mio. Mi stringe forte. Lacrime bagnano la mia pelle. Mi annusa: Jimi, che profumo, come sei
profumato. Va dal suo husband e fa: Jimi è mio. Guai a chi lo tocca. Ne farò sculture levigate. Solo
da me, solo da me. Mi chiamo Jimi, Jimi Hendrix. Sono un fico. Ora sono morto. Avevo 27 anni.
PICCOLO E BLU
381
di Lidia Linari
Oggi piove. È una pioggia fredda e pesante che incupisce tutto il giardino, gonfiando le cortecce e
sbiadendo i colori. L’estate sta finendo. Noi lo sentiamo. Lo sentono gli abeti e il gelsomino,
arruffati dallo scroscio. Lo avvertono persino i girasoli che mestamente, a capo chino, si rassegnano
al rigore dell’imminente autunno. Le rose, invece, incuranti di tutto, si abbandonano al maltempo
con malinconica dolcezza. Come sono belle, sotto la pioggia! Spiccano rosse come fiamme contro il
grigiore del cielo. Io purtroppo non sarò mai così. Ma prima di parlarvi di questo forse è il caso che
mi presenti. Salve a tutti! Sono un piccolo fiore dai petali blu. Non conosco il mio nome e qui nel
giardino non ho molti amici, perché nessun altro ha i petali blu. È brutto sentirsi soli. Anche la
signora che si occupa di noi deve sentirsi sola. Viene in giardino tutti i giorni, sorreggendosi a un
bastone. Poi siede all’ombra e parla con le rose che sdegnosamente, come attrici capricciose, la
ignorano senza rispondere, troppo prese dalla propria bellezza. La vecchia signora racconta sempre
del passato, di quando le giornate scivolavano via leggere come foglie sollevate dal vento. Spesso
vestita di bianco, somiglia anche lei a un fiore un poco sgualcito. I suoi occhi e i miei petali sono
dello stesso, identico colore e in quello sguardo sereno ma forse un po’ triste rivedo me stesso.
Vorrei tanto che parlasse anche con me. Al contrario delle rose, io le risponderei. Non crediate però
che io sia sempre solo o infelice. Ogni tanto un’amica viene a trovarmi, volando leggera per tutto il
giardino. Poi, timidamente, si posa soltanto sopra di me, sui miei petali blu. È una farfalla! E così,
ecco qui la mia vita. La mia piccola vita di piccolo fiore. Umile forse, o magari anche un po’
noiosa, ma non troppo diversa da quella degli altri. Perché credo che ci sia una farfalla per tutti, una
farfalla che si posa sulla vita all’improvviso, in un attimo di pura magia. (per O.B.)
OGNI POMERIGGIO
382
di Gaia De Robertis
Era una giornata in cui tutto aveva il fiato sospeso. Nell’aria elettrica le nuvole si spostavano al
rallentatore, mentre il bosco era diviso tra ombre di nebbia e squarci di sole. “Gioco dei proverbi?”
“Siii!” le voci risposero allegre nel verde cupo del bosco. “Bene. Il tema di oggi è l’acqua” disse
l’abete argentato, il più alto, il più vecchio e, naturalmente, il più saggio. “Somigliamo come due
gocce d’acqua” sbottarono subito in coro i due pinetti sotto di lui. “E’ acqua passata” disse
tristemente il cipresso poco lontano. “Navigare in cattive acque” aggiunse lenta e decisa la quercia,
come sempre apparentemente distratta, ma ben piantata tra gli altri. “Avere l’acqua alla gola!”
proruppero in un pigolio collettivo le fragoline selvatiche, che conoscevano bene quella sensazione.
“Affogare in un bicchier d’acqua” fecero eco due pallidi funghi prataioli, dal muschio umido.
“Tirare l’acqua al proprio mulino” aggiunse arrossendo con delicatezza il cespuglio di rose
selvatiche. “Sentirsi un pesce fuor d’acqua” sentenziò con voce profonda il castagno, come sempre
scorbutico e in più mal disposto verso l’acqua, che gli staccava sempre le barcollanti foglie gialle.
Tutti gli altri erano eccitati: “Fare un buco nell’acqua” esplosero i cespugli di corbezzolo. “Acqua in
bocca” ammonì il larice, che stava guardando il vecchio abete argentato scrutare il cielo grigio
come lui. Ora le nuvole correvano più veloci degli uccelli, che sembrava faticassero a spostarsi,
come aquiloni pigri. Un vento freddo scompigliava le cime di alberi e cespugli. L’acqua, così tanto
evocata, stava arrivando. “L’estate sta finendo” sospirò il vecchio abete, come parlando a sé stesso.
Il bosco tornò silenzioso, tanto che sulle foglie si sentiva il ticchettio delle prime gocce di pioggia.
Lontano, oltre le montagne, con ruggiti ovattati ora giocavano i tuoni.
Sono un geranio
383
di Tiziana Zuppi
Sono un geranio. Vivo in un terrazzino in città, vicino alle corde per stendere il bucato. Sono qui
dalla primavera, quando mi hanno comprato in un supermercato e mi sono sentito felice, realizzato:
avevo una casa. Mi sono impegnato a fiorire, ho fatto molti sforzi quando si dimenticavano di
bagnarmi, ma i fiori rossi non sono mai mancati e ne vado orgoglioso. Adesso sono molto stressato,
ho paura; è arrivato settembre, dopo un’estate caldissima, e annuso il pericolo : non so se rimarrò a
vivere sul mio terrazzino o se, come succede a tanti, a fine stagione mi butteranno via. Il mio cuore
di geranio pullula di pensieri cupi, immagino a cosa potrebbe succedermi: verrei preso con tutto il
mio vaso, messo in una busta di plastica e gettato in un cassonetto. Immagino la terra del mio vaso
che si sgretola, il buio del cassonetto, le mie foglie disperate e mai, mai più un fiore, mai più un
terrazzino. Ho paura. Arriva la sera e la paura cresce, ma l’aria fresca mi rende felice e allora sogno.
Immagino e quasi mi convinco che non mi butteranno via, che rimarrò sul mio terrazzino e durante
l’inverno sarò protetto da quelle coperte per gerani di cui ho sentito parlare. Allora aspetterei la
primavera grato e sonnolento e prometto che quando arriverà sarei tutto rinvigorito, pronto a far
nascere i miei fiori rossi, tanti, belli. Sogno e spero, ma ho paura. E’ mattina, mi sveglio ancora
ansioso e scopro che è nato un fiore rosso, come ho fatto in questa stagione non so, ma cerco di
giocare bene le mie carte per restare sul mio terrazzino: non voglio esser buttato via! Non so cosa
mi succederà, ma mi piacerebbe capissero che anche un geranio può aver paura, tanta paura, e
anche un geranio sarebbe capace di gratitudine se potesse vivere ancora sul terrazzino.
Me ne stavo tutto chiuso, vedevo solo il buio quando ad un certo punto la mia corolla iniziò ad
aprirsi piano piano; da un piccolo spazio vidi una luce e man mano che essa si apriva si faceva
sempre più intensa e, dopo aver aspettato anch'io vidi il sole. Ad un certo punto vidi un piccolo
insetto posarsi su di me. Mi chiedevo cosa stesse succedendo e gli chiesi:-Cosa stai facendo?-.
L'insetto succhiava il nettare con una cannuccia ed io gridai sempre più forte:-Ehi, cosa stai
facendo?-. Con voce suadente mi disse di chiamarsi farfalla e che, una volta finito di succhiare il
polline, volando verso un altro fiore, ne avrebbe fatto cadere un po' per terra, così sarebbero potuti
nascere altri fiori. Io domandai:-Ma a cosa ti serve il nettare?-. Lei mi rispose:- Serve per nutrirmi-.
Io richiesi:-.Ma cosa rimane a me?-. La farfalla seccata da tutte le mie domande disse:-Ho fretta,
comunque tu ti nutri con i sali minerali e con l'acqua che trovi nel terreno. Adesso posso andare?-. E
se ne andò. Mentre mi guardai in giro notai un albero maestoso con una chioma imponente. Chiesi
all'albero:-Come ti chiami?-. Lui mi rispose:-Quercia!-. Domandai:-Quanti anni hai?-. Mi rispose di
averne più di cento e che ormai era troppo vecchio e sapeva solo dormire, oltre che ospitare
uccellini sui suoi rami; lo ringraziai e non lo disturbai più. Era tardo pomeriggio e ad un certo punto
vidi la farfalla volare sopra la mia testa e le dissi:-Ciao, hai finito succhiare il nettare e di
impollinare?-. Lei mi rispose:-Sì, ora sto tornando a casa-. Improvvisamente scoppiò un temporale e
vidi la farfalla andare a cercare riparo; la ospitai sotto i miei petali e quando passò il brutto tempo,
essa mi disse:-Grazie mille per avermi dato riparo sotto i tuoi petali, senza di te a quest'ora avrei le
ali inzuppate di acqua-. Il primo giorno della mia nuova vita fu il più bello.... Non vedo l'ora di
imparare ogni giorno tante cose nuove della vita. Fine.
IL TIGLIO
385
di Floreana Nativo
Gli uomini erano venuti nel pomeriggio e gli avevano messo una brutta fascia di plastica bianca e
rossa attorno al tronco. L’albero non si era preoccupato, fino a quando una cinciallegra, dopo aver
svolazzato a lungo davanti al cartello appeso, non si era posata sul ramo più basso e con tono
accorato lisciando il becco sulla corteccia gli aveva detto… « Mi dispiace tanto. Mi ero accorta che
ti stavi riempiendo di macchie rossastre ed avevi un odore strano come di vecchio cuoio, ma avevo
pensato che dato l’età… » « Perché cosa c’è? » chiese l’albero. « Il cartello dice “Infestazione di
Sesia Apiforme. Abbattere.” » Un silenzio innaturale scese lungo il prato del giardino rotto solo dal
fischio del merlo che la rimproverò: « Ma se non sai leggere, cosa vai raccontando? » La
cinciallegra arrossì tutta ed arruffò il suo petto giallo, aveva parlato avventatamente senza pensare
che il Tiglio non potesse leggere il cartello. L’albero non disse niente. Ripensò agli anni trascorsi,
agli infusi che gli uomini avevano fatto con i suoi fiori, a tutte le volte che gli innamorati si erano
seduti sotto i suoi rami. Quest’anno, in effetti, non si era sentito molto bene ed i suoi fiori non erano
sbocciati, ma eliminarlo così, che ingratitudine! Due lacrime di resina gli scivolarono lungo il
tronco. Il merlo intanto aveva chiamato a raccolta tutti gli altri uccelli del giardino ed aveva
spiegato la situazione: sarebbero rimasti a far compagnia al Tiglio fino alla fine. Fu così che
l’albero si riempì d’uccelli canterini, destando la meraviglia di chi passava lungo il viale, di notte la
luna si posò sulla sua cima e gli raccontò di quando era solo un piccolo seme, infine una civetta
raccolse tutta la polvere dei papaveri intorno e la sparse sull’albero che si addormentò. Quando
l’indomani vennero i giardinieri a tagliarlo, il Tiglio era già andato ad arricchire il giardino segreto
dei sogni e della sua morte non si accorse.
Arredo urbano?
386
di Anna Maria Russo
Quando a volte si dice la fortuna! Sono circa 180 anni, anno più anno meno, che sono confinata in
questo posto! Avete voglia di provare a convincermi che sono in una delle più belle città italiane e
forse, esagerando un po' del mondo, sì, ma uffa, ci farei stare voi con questa cappa di bronzo
addosso, estate ed inverno, sempre qui, sempre con la stessa visuale.......per non parlare poi dei
bisogni dei cari uccellini......ah, quelli dicono che sono antirughe.......ma sì, in effetti i mie anni li
porto benissimo, non ho messo su un chilo, non ho perso un capello. E ne ho viste di tutti i colori!!!
Veramente! Ma non mi sono mai commossa. Mai una lacrima......chissà perché.......vedo sulla
panchina davanti al mio piedistallo le persone che a volte ridono, mangiano si baciano, a volte
dormono e qualche volta piangono. Io no. Ormai capisco le loro parole, ho imparato anche a
leggere, mi ci è voluto un po', ma ce l'ho fatta. E sapete, da un po' di tempo gli umani non vengono
quasi più con quel lenzuolo di carta, no no, hanno un bellissimo aggeggio, qualche volta col tappo,
qualche volta senza, a colori!!!! Ed io sbircio a più non posso e mi diverto un mucchio!!!! Mi pare
lo chiamino computer, non so, sono riuscita a imparare solo una lingua, ma ora girano tanti
stranieri, voglio imparare più lingue possibili.......non si sa mai. Oddio, spostarmi è molto difficile e
non dipende da me, ma hai visto mai??? Qualche mostra, una istallazione, una celebrazione........io
sono pronta........e bella.......me lo dicono in tanti........ma come è bella quella statua!!!!!
Senza confini
387
di Maria Cristina
Bello il posto dove respiro con le mie fronde e le mie foglie, sul pendio di una collinetta su cui
sorge la casa. E’ un giardino vero e proprio, con aiuole, fiori, il dondolo, due piccole statue di putti
a sorreggere un vaso di pietra. E l’erba, tanta, folta ben curata, quasi ravviata da un gigantesco
pettine e rasata dai raggi del sole. Giocano le ombre sul tetto della casa e si rincorrono anche tra le
piante, animando un eterno girotondo. Occhieggiano i colori di corolle variopinte e curiose, a spiare
il volo leggero e libero di qualche farfalla che racconta del soffio della sua breve vita. Una cosa
curiosa di questo posto è che non ha rete, non ha recinzione né cancello o muretto a cingere lo
spazio curato; solo una colonnina di legno, abbellita da una minuscola tettoia di tegole rosse,
sorregge il campanello, la targhetta con il nome e, sotto, la cassetta della posta. Passano molte
persone d’estate; c’è un percorso molto frequentato, verso il bosco, che sfiora il prato e tutti, dico
tutti, si fermano e scuotono la testa:- -Bello questo giardino, ma…senza recinzione….non si
rendono conto che…-. Io, dall’alto dei miei quasi venticinque anni di stagioni belle e brutte, ascolto
ma non comprendo ciò che li spaventa. Scoiattoli troppo arditi, cornacchie sfrontate, qualche cane
vagabondo alla ricerca di un padrone perduto? Questo ho visto. Null’altro. Osservo ciò che non
conosco, guardo e aspetto. I miei rami si protendono fuori…Ma cos’è “fuori”? Io so soltanto che,
oltre quest’erba lucente e preziosa come la seta, c’è un sentiero verso il bosco. Ma non ho paura.
Sogni di prati
388
di Marina Brunetti
Nell’aria c’era luglio. E un’ape. - Oggi niente lavoro, mi riposo, disse Vispa, un ultimo ronzio,
atterrando sul ramo più basso del grande albero. - Ma che hai? le chiese Sapin, il pino che da tempo
la conosceva come l’ape più istruita e simpatica del giardino. - Ce l’ho con la Dickinson, disse
Vispa, tutta molliccia e scocciata, sdraiata tra due aghi verdi. - Con chi? - Emily Dickinson. Quella
del trifoglio, dell’ape e del prato: non è vero che il sogno solo può bastare a fare un prato se sono
scarse le api. - Questa Emily non la conosco, nel nostro giardino non è mai venuta, l’avrei saputo:
sono qui da tanti anni! - Sapin! Quella viveva nell’ottocento, ha scritto belle poesie, ma questa sulle
api non mi piace. - Ecco perché non me la ricordo! Sono qui solo dal 25 aprile del ’44, mi
piantarono in questo giardino condominiale dell’Urbe subito dopo la fine della guerra. Ma che te ne
importa? - E’ che ormai non ci si indigna più su questo pianeta, eppure l’inquinamento ci sta
uccidendo, siamo sempre meno ogni anno. Poco fa mi ero fermata sulla finestra aperta di Giulia, la
pianista del nono piano: adoro sentire la sua musica quando passo di qua, ma oggi l’ho sentita che
leggeva questi versi ed ho pensato che se le api sono scarse è per colpa degli uomini! - Sei un po’
troppo seria, che ti prende? - Forse hai ragione Sapin, dovrei svolazzare più leggera, pensare anche
al dovere, ma … - Vispaaa! una voce che arrivava dal basso, gracchiante come un altoparlante rotto,
interruppe il loro dialogo. - Sentito? Hai svegliato dal riposo anche Gypso, il nanetto fantasma del
condominio: dimenticato in un angolo dal ’68, finalmente lo hanno liberato dalle infestanti. Ora è
tornato tra noi, peccato per Biancaneve e gli altri sei, eliminati con i lavori dell’85. - Vispa ricorda:
finché gli uomini faranno sogni di prati forse ci sarà speranza per un mondo migliore, gridò Gypso
(una volta era Dotto, ma ora …) mentre l’ape già volava su un’aiuola di peonie rosa.
Un giardino di amici
389
di Elena Fogliasso
Il belvedere dove questo gruppo di amici vive si trova su un cucuzzolo nelle campagne del
Monferrato, in un luogo magico… Vite: - Buongiorno ragazzi, oggi è una bellissima giornata,
guardate che spettacolo le nostre colline! Rosa: - Ciao Vite! Qui dormono ancora tutti! Farfalla: - Ci
penso io a svegliarli! Farfalla iniziò a solleticare con le sue ali Edera, Castagno, Quercia e si posò
infine sul naso di Statua. Quercia: - Ehi, dormivo così bene…dev’esserci un buon motivo per
svegliarmi…un sole caldissimo che scurisca un po’ le mie foglie! Castagno: - Non dirlo a
me…caffè e giornale grazie!!! Statua: - Uuuhhh mannaggia quanto sei scontroso tesoro…guarda
che splendida giornata! Stanotte hai russato come non mai… Edera: - Ciao amici! Sono tutta
aggrovigliata…stanotte devo aver avuto gli incubi, forse ho litigato con un ragno che voleva metter
su casa…uff…non ricordo Vite: - Si…e ti sei avvinghiata a me! Edera e Vite si conoscono da poco
meno di un anno, lei è stata portata qui dal vento…ha deciso di restare perché si sente al sicuro ed è
stufa di vagabondare da un paese all’altro. Per Statua e Castagno la storia invece è diversa….loro si
sono amati da subito, senza preoccuparsi dei problemi a cui sarebbero andati in contro per stare
insieme…nonostante Statua sia molto più giovane, è saggia ed è proprio ciò di cui lui ha
bisogno…qualcuno che ammorbidisca il suo carattere e gli insegni quanto è bella la vita insieme.
Farfalla e Quercia si sono conosciuti giovani…lei è dotata di una bellezza rara e lui, un po’ rude ma
con sani principi, ha avuto chiaro fin da subito che voleva averla intorno a sé per tutta la vita. Rosa
è solitaria ma affascinante e intelligente. Non ama raccontare i suoi affari in giro, anche con noi è
discreta. Viola: - Ecco, adesso che siamo tutti svegli possiamo goderci questa splendida giornata e
poi la luce del tramonto…e le stelle… Lei è la romantica del gruppo! Per quanto riguarda me…io
sono Lavanda e credo negli amici, quelli veri, come loro!
La fortunella dimenticata
390
di Daniela Pescetelli
Sono qui, non mi vedi? Ho sete, vecchia signora. La luce del sole è accecante, il frinire inesauribile.
Ogni pomeriggio mi passa davanti, non mi vede. La mia riserva d'acqua sta per finire, i frutti si
seccano. Non sono invisibile, ci sono piante più piccole di me in questo giardino che si affaccia sul
mare. Vedo lecci, cascate rosse di bouganvillea, e quelle ortensie laggiù, l'agave col suo fiore
svettante. Mi hanno portata qui e dimenticata. Sento le mie foglie diventare gialle, le vedo finire per
terra. Nella casa delle piante noi fortunelle eravamo vicine ai limoni e agli aranci, c'era un gran
viavai di api e vespe, acqua a volontà e io crescevo bella e rigogliosa, col mio tronco affusolato e la
chioma verde e fitta e i fiori piccoli e poi quei bottoncini che spuntavano, si allungavano e
diventavano arancioni, sodi, brillanti. -Le fortunelle sono pronte, proprio belle, quest'anno!
Domenica c'è la mostra mercato, ne carichiamo cinquanta, oltre a ottanta limoni e quaranta aranci. -
Va bene capo, ci penso io.- Riconoscevo quella voce, era il ragazzo che ci innaffiava tutti i giorni, ci
concimava, ogni tanto staccava un frutto e lo mangiava. Ero felice, rigogliosa, ora mi sento
abbandonata, mi vedo morire ogni giorno e quella vecchia signora mi ignora. Stavamo bene nella
casa di piante. Crescevamo in fretta, il sole ci riscaldava. Ora mi uccide. Fortunelle ci chiamano. Il
ragazzo mi potava. Potevo immaginare la mia forma specchiandomi nelle altre. Era una gara a chi
aveva più fiori. E gli insetti ci facevano la corte, chi ne aveva intorno di più era la più desiderata. Mi
è capitato di esserlo. Ora non mi desidera più nessuno. Non emano più quel profumo inebriante.
Solo la notte provo un po' di sollievo, dura poco. Il giorno è lungo, senz'acqua, senza ombra. La
vecchia signora si ferma sempre ad ammirare i grandi fiori degli hibiscus, con loro è generosa. Sto
morendo. Non voglio arrendermi. Basterebbe qualche goccia di pioggia. Non siamo forse alla fine
dell'estate?
FOGLIA: Oih! oih! che mal di testa questa notte, con quel temporale, sono stata sbattuta a destra e a
manca; su, giù, in acqua, in terra, oih! oih! la mia testa..... il vento è stato talmente forte, che le onde
del mare arrivavano fin giù per la strada; per fortuna sono stata trattenuta dalla pinna di una
stupenda creatura; che tutto sembrava, tranne che una statua: la mia ancora di salvezza: la statua
della Sirena ! STATUA: A te sembra, che io sia ferma-immobile, ma quando tutti dormono, io
ritorno nel mio mondo, tra la mia gente, sai comè bello laggiù? tutto è molto più armonico, più
silenzioso, più elegante, ed io nuoto, nuoto, e ancora nuoto, fin quando le mie branchie cedono alla
dolci e rilassanti onde del mare, che mi trascinano alla riva. Alle prime luci dell'alba, mi trovi lì,
seduta come una vera sirena, con la pinna ancora bagnata; tanto che la mia amica Jil (farfalla) mi
lancia una strizzata d'occhio per farmi intendere, che nessuno ha visto nulla. FARFALLA: Qualche
volta rischi grosso, mia cara sirena..adesso che ti ho vista rientrare, vado da Brill. STATUA: Sì sì
vai da quella vanitosa e sciocca rosa. ROSA: Eih! ma come ti permetti di parlarmi in così tale
modo? Forse ti ho offesa a mia insaputa? O forse sei stata contagiata da una brutta malattia quale è
l'inv....... , non riesco nemmeno a pronunciare il suo nome per non inquinare l'aria di così tale
bellezza che mi circonda; è vero sono bella, profumata, colorata, delicata, fine, ma non potrò mai
godere della tua stessa longevità; ma nella vita mia cara sirena non tutto si può avere. ALBERO:
Bambine mie, fate un pò di silenzio ve ne prego;ammirate la bellezza di questa piazza, udite il
silenzio del mattino, osservate l'azzurro del cielo, guardate i bambini giocare, dopotutto siamo
proprio fortunati ! viviamo in un paradiso terrestre.... noi di questo siamo consapevoli;.....lo
dovrebbe sapere di più l'uomo che la abita, perchè amare significa rispettare e non possederLa.
Oracolo dell'Eden
392
di Costanza Maria Ingegnoli
Il buio è tanto intriso di un profumo speziato da parere parte del profumo stesso. D’un tratto una
statua di marmo emerge dal nero: volto freddo, occhi fissi, bocca incurvata nel sorriso della
Gioconda; boccoli elaborati cingono il capo e ricadono sul corpo leonino. Una voce melodiosa si
mescola al tiepido buio estivo: “Salute viaggiatore che capiti nel nostro giardino. Vedi? La luce
calda di mille candele si accende per te. Ogni giardino è diverso e vive, nessuno lo può possedere
perché è Bellezza. Come questi specchi che appaiono: belle le cornici di rampicanti dorati e il
riflesso nell’argento polito. Ma… cos’è il riflesso? Si può forse toccare? Si può possedere? E il
profumo che circonda e pervade… lo senti, ma presto sarà solo un ricordo. Si può possedere? E il
canto debole che si alza dalle piante: è appena udibile, come un sottofondo di armonia, lo si può
possedere? E le piante che crescono attorno: il sangue dei papaveri, la seta color tramonto dei gigli
… Prova a togliere un solo fiore e morirà, prova a cogliere una foglia all'arancio festoso o un petalo
alla nuvola candida del mandorlo… tutta l’armonia finirà e a te rimarrà solo morte. Tutto questo
giardino è lì, ma non sarebbe tuo neanche se ne fossi il proprietario: anche se imprimessi tutto nella
memoria, tanto da abituarti, anche allora non possederesti che un ricordo… Ma il giardino non è un
ricordo: è vivo. Come non impazzire? Il cuore agogna a possedere la bellezza, a poterla vivere, ma
questa non può essere posseduta che nel ricordo. Come fare? Come può chi è nato dalla polvere
meritare di vivere nella bellezza?”. La voce si dissolve, la statua si eclissa. Nel mezzo del giardino,
un uomo sta seduto. Attorno specchi riflettono la sua sagoma scura, decine di fiori cantano in
armonia, alberi distendono i loro rami, profumi si uniscono. L’uomo è parte ed estraneo a questa
Bellezza e il sole che, di lontano, sta nascendo non rischiarerà questo enigma, chiuso nel buio del
profondo dell’anima.
La visita
393
di Chiara Lombardo
"Presto, presto, sta arrivando da noi! Prepariamo colori e profumi!" "Il suo tocco ci fa sentire così
vivi!" - dichiarano in uno slancio di entusiasmo i garofanini. "I suoi occhi ci rendono più belle!" -
sussurrano le viole di rimando. "Solo lui, a parte il sole ovviamente, sa farmi girare la testa"- sospira
il girasole. Gli artigli del roseto si ritraggono, le api smettono di ronzare. Tutto si è fatto silenzio per
osservare Lui, per assaporare la brezza della sua risata, per indovinarne il profumo non ancora
sbocciato. Il passeggino ormai li sfiora. Il suo piccolo passeggero ha il blu dei fiordalisi negli occhi,
petali di rosa sulle gote, e sta tendendo bianche dita di giglio verso di loro. Spighe di frumento gli
spettinano la fronte. E, nel giardino di mezza estate, un quesito soffia febbrile di petalo in petalo:
"Che fiore sarà mai, questo?"
Ecciù!
394
di Donata Rudelli
Milano. Giardini pubblici di via Palestro. Ridente pomeriggio di primavera. “Ecciù! Ecciù! Ecciù!”
Sorpreso dal triplo sternuto, un tiglio lanoso parla con una betulla dai bei fusti bianchi pezzati di
nero, su un prato pieno di bambagiona e codolina: “Perché questa bambina e il suo amichetto stanno
starnutendo?” Gli risponde una splendida foglia d’acacia portata dal vento: “La natura non fa nulla
di inutile, dice Aristotele, voi servite ad altri scopi, ma loro sono allergici, e io, la magnolia, e altre,
siamo piante amiche, voi no”. E aggiunge: “Qui di fianco c’è un viale di ippocastani secolari e a
terra i bambini potranno giocare coi loro frutti”. Stormiscono le fronde dei pioppi ripetendo in coro
con grande saggezza: “La natura non fa nulla di inutile! nulla di inutile”. Tenendosi per mano, i due
bambini vanno verso un laghetto attratti da un salice la cui lunga capigliatura si tuffa nell’acqua,
che li chiama sommessamente. Ma intorno ci sono dei cespugli di oleandri, profumatissimi, dai fiori
rosa, bianco e fucsia. Il salice, canuto e lento, parla a voce troppo bassa per essere udito dai due
bambini e il guaio è fatto: attratti dal dolce odore di vaniglia e cannella, hanno già assaggiato i fiori!
“Aiuto! Aiuto!” Il ruscello si mette a gorgogliare tra sassi e cascatelle e grida al salice: “Stormisci
più forte, con la tua bella chioma, come se il vento ti prenda all’improvviso, in modo che la loro
mamma accorra!” I piccoli fiori di campo a bordo del ruscello ripetono cantando in coro: “La natura
non fa nulla di inutile! nulla di inutile Tra noi ci sono tanti fiori curativi: camomilla matricaria,
verbena, malva e tante altre sorelline. Imparate a riconoscerci: ognuna ha uno scopo benefico!” La
mamma da sotto la grande magnolia accorre e spiega ai bambini: “Imparate a riconoscere le piante:
per voi bimbi allergici ci sono piante amiche e quelle da evitare ma che pure servono ad altri scopi”.
Sogno di un giardino di mezza estate Il ranocchio accordò lo strumento prima del concerto; si
guardò intorno: era in un giardino avvolto nell’incantesimo del passato. Alberi e fiori, non più
curati, vivevano in un nebbioso ricordo. Un fascino tuttavia emanava dalle rose che fiorivano
accanto al ruscello, luogo delle rane. Quella notte di caldo afoso, nubi minacciose premevano sul
giardino, un lampo improvviso squarciò il cielo seguito da un fragore assordante. “Non promette
nulla di buono” disse una rosa bianca stringendosi al petto i petali. Dentro di lei, nascosta, una
farfalla rabbrividì all’idea di bagnarsi. “Dammi ospitalità, per favore, se piove sono morta” intanto
assaporava il profumo della rosa, una goduria! La luna, apparsa da un lembo di cielo più chiaro,
fece l’occhiolino alle nubi nere che, come erano apparse così scomparvero, lasciandone alcune
dolcemente ingrigite. Il salice dondolò i rami a mo’ di altalena ed una piccola statua di marmo
coperta di muschio magicamente si mise a danzare cantando “Ohilalà”. Una pioggia sottile
allontanò le mani bollenti del caldo e la notte chiuse le finestre della luce. Un pettirosso si ritrovò a
zampe all’aria e rise. A questo punto il ranocchio si scosse e diede il via ad un gracidare dapprima
timido, poi l’orchestra si lanciò in una esecuzione compatta sincopata, con tutti i cra-cra-cra che
musicarono il giardino, fino a che la rana più anziana non steccò rovinosamente. “Basta, gridò il
salice, stonate che non siete altro! Andate al ruscello a rinfrescarvi l’ugola!”. La statua fermò la
danza, il pettirosso smise di ridere, la rosa richiuse i petali. “Casco dal sonno, dormiamo, domani
sarò in vetrina tutta assonnata”. La notte soffiò sulle stelle, spense ogni luccichìo, si avvolse nel suo
mantello e s’avviò per i suoi giri. Una foglia di magnolia caduta accanto alla rana “Vieni, disse, ti
porterò lontano”. La stonatrice, ancora umiliata, accettò e volò via: oggi gracida nel sogno nuovo di
un giardino di mezza estate.
Non mi accorsi subito di lei, perché faceva il possibile per passare inosservata. Avvertii la scia di
sensibilità che lasciava alle spalle, capace in un sogno di mezza estate di lacerare l'anima. Era una
mattina di agosto che non regalava immagini esotiche ma desideri immediati di freschezza, come
una pioggia dal sapore di menta, perché il caldo non concedeva tregua. Christian, il giardiniere, si
era ormai abituato ad aprire il cancello dello splendido giardino Ronchetti un'ora prima del solito.
Per regalarci la nostra razione d'acqua che avremmo dovuto farci bastare fino al mattino dopo. Noi
eravamo le preferite perché sapevamo ricompensare tanta cura e generosità con i disegni unici dei
nostri petali, che si sovrappongono magicamente per esaltare quello a fianco invece di soffocarlo.
Al tatto siamo simili ai preziosi velluti esibiti dalla signora Rosella, le narici attratte dal nostro
profumo non si accontentano di tutte le fragranze che ci imitano, i colori, pieni o sfumati,
accendono passioni ed emozioni. Magari fossi riuscita a trasferire la mia autostima alla donna che
mi aveva sfiorata ma che si era già allontanata. Avvertivo il suo disperato bisogno di chiarezza
interiore per far luce sui propri tormenti. Una goccia cadente fece avverare il desiderio. Un petalo
tremò nel vederla tornare. Notai due occhi scuri e profondi, un naso insicuro, una bocca imbronciata
ai lati, il tutto allineato alla rotondità del viso. Una mano fra i capelli mostrava la sua inquietudine
mentre il suo portamento confermava la presenza di una forte energia. Come può tanta positività
impossessarsi di altrettanta negatività? La stessa rosa non può avere caratteristiche opposte. Sarei
stata pronta a sfoderare i miei petali per abbracciarla, a sprigionare il miglior profumo e a regalarle
il rosso più intenso. Si fermò. Fu Christian a parlarle 'Non ha mai visto una rosa così bella?' 'Ho
avuto la sensazione che mi chiamasse, le rubo solo una foto: un tatuaggio e la porterò sempre con
me'.
Il giardino fatato
397
di Caterina Usai
L’alba arrivò facendosi precedere dalle farfalle dorate che andarono a posarsi delicatamente sulle
cime dei cipressi che fungevano da sentinella nel viale che portava al giardino circondato da una
siepe di biancospino che lo difendeva da sguardi indiscreti. Alti platani con le foglie bicolori, una
maestosa quercia che riforniva di cibo le tane dei piccoli scoiattoli, roseti fieri, panchine adagiate
all’ombra sotto gli alberi, sentieri di porfido brillante accompagnati da bassi cespugli di bosso, di
teneri agapanthus e creste di gallo sgargianti, e una fontanella traboccante di grosse ninfee
madreperlacee. Tutti aprirono gli occhi piano piano, sbadigliando sommessamente ai primi timidi
raggi del sole. ”Buongiorno sole, siamo qui vieni a farci compagnia”, urlò sgraziata la quercia
agitando le sue fronde come una forsennata lasciando cadere ghiande al suolo. “Ma chi disturba il
mio sonno… sei sempre la solita fastidiosa.” Sussurrò il salice frusciando i suoi rami sottili per
svegliarsi del tutto. “Inizia uno splendido giorno, continuò la quercia inarrestabile, dai sveglia, non
possiamo perdere un secondo del nostro amico sole, sveglia rosa, apri i tuoi petali!” La rosa rossa
altezzosa sollevò appena il capo e rivolse lo sguardo altrove, troppo permalosa e fiera per
rispondere. “Ma come osa quella vecchia nodosa, rivolgere la parola a me che sono la regina del
giardino!” Comunque stiracchiò le sue foglie e aprì solo un po’ i suoi petali rivolgendoli al tepore
dell’astro. Gli altri fiori, meno superbi della rosa iniziarono tutti a parlare raccontandosi i loro sogni
con un cicaleccio gioioso. Gli alti cipressi con le cime aguzze e verdi iniziarono la loro solita danza
catturando il venticello che s’infiltrò tra gli aghi e le pigne per giocare con loro. Le gocce di rugiada
contente si presero per mano lanciandosi urlanti dalle foglie dei gigli del Nilo come in uno scivolo
andando a finire sui sassi che aprirono gli occhi sbuffando spaventati, ma non sorpresi.
LE DUE BETULLE
398
di Muria Dumiani
Sono miliardi i pensieri, i gesti concatenati che ci hanno generato e il nostro futuro è appena nato.
Un ragazzo e una ragazza si trovavano in un frammento di universo a correre in un campo sportivo.
Per il loro incontro l’attesa era stata lunga, ma breve nell’isola del loro pensiero. Correvano rapidi e
leggeri immaginando traguardi e leggende. L’ultima luce della sera si rifletteva sull’erba bagnata.
Fu l’ultimo incontro prima che il loro sogno di vita sorpreso dall’alba spietata si aprisse alla luna
per uno schianto con il pulmino societario. Non esiste una parola da tutti intesa che contenga il
passato e i due ragazzi divennero due giovani betulle in un giardino con fiori di ogni specie. Il vento
accarezzava i loro rami e il sole donava la vita che sempre si rinnova. Al centro del giardino una
grande antica quercia, ogni cerchio del suo tronco equivaleva ad un anno di vita. Nel silenzio che
raccoglie spiragli di luce e calore il grande albero trasmetteva alle giovani betulle, alle erbe che
sempre ricrescono, ai fiori e tutta la vegetazione le visioni, le esperienze, le regole del loro
microcosmo che era anche il loro universo. Le giovani betulle udivano il sibilo dei rondoni che si
stagliavano nel biancore di nubi simili a velieri, vedevano volare gli storni con l’assenza di confini,
udivano il suono crepuscolare dei grilli. Le piccole colorate farfalle si illudevano di eternità, ma la
loro vita durava solo un giorno. Le api indugiavano su una rosa che guardava sempre nella
direzione del sole. L’ultima mela sul ramo più alto e inaccessibile attendeva d’essere scossa dal
vento e dalla grandine. Solo gli insetti erano aggressivi, invadenti e non conoscevano la
comprensione cosmica che regnava nel giardino. Le due betulle pensavano di essere depositarie del
dono dell’immortalità, non sapevano d’essere solo pochi millimetri d’ombra. Solo l’infinito è senza
tempo.
Fuoco d'amore
399
di Patrizia Guarino
Oltre la grande montagna, c'è un bosco di castagni, un luogo incantato. In una radura c'è una bella
quercia alta e snella. E la quercia racconta: "C'era un enorme castagno in questo spiazzo vuoto, la
cui corteccia era segnata da incisioni e con una spaccatura che dalle radici arrivava fino ai rami: una
specie di grande ferita che il castagno portava con orgoglio. Io ero nata lì, al limite delle sue enormi
radici; dalla sua vetta mi sorvegliava, e sentivo forte la sua protezione. Ero serena perché pensavo
che con lui accanto non avrei mai dovuto temere niente. Col tempo mi accorsi che il suo modo di
guardarmi non era più lo stesso. L'affetto che sentivo non era soltanto amicizia. Adesso ne sono
certa: era amore, amore immenso. Ero cresciuta molto: i miei rami si erano avvicinati così a lui che
quando il vento di tramontana li muoveva sfiorando i suoi, notavo in lui una forte commozione, un
dolce struggimento, poi uno smarrimento quando, cessato il vento, tornavo alla solita distanza. E lui
soffriva molto, tanto che un giorno lo sentii supplicare il cielo: " Che almeno per un attimo possa
tenerla stretta a me!" E il cielo si commosse. In una sera arrivarono da est grandi nuvole scure. Fu
tempesta: il vento soffiava con sibili acuti, piegava, torceva e sradicava gli alberi. Piangevo, ero
sicura di essere vicino alla fine. Improvvisamente arrivò un'altra ventata che mi scaraventò addosso
al castagno: sentii i suoi rami stringermi e tenermi in un forte abbraccio. Lo sentii piangere per quel
momento da sempre sognato. Poi ci fu un lampo che illuminò a giorno tutto il bosco ed un boato
terribile: il fulmine si abbatté su di lui e lo trasformò in fuoco e fiamme. Ebbi solo il tempo di
sentire quel grande calore sul mio tronco quando, con tutta la sua forza il castagno mi spinse via. Un
attimo di fiamme e fuoco poi solo cenere accanto a me, in quello spiazzo vuoto. Se guardi la
corteccia del mio tronco puoi vedere ancora i segni del fuoco di quella notte. Un fuoco d'amore!"
LA BELLEZZA NASCOSTA
400
di Michela Angelelli
Mossa dalle impercettibili vibrazioni provocate dal vociare del bel giardino, la bellezza dondola
pigramente dal ramo di un albero aspettando chi sa vedere oltre le apparenze. Riconosce in lui il
viaggiatore attento alle mutevoli profondità e altezze che attraversano la vita, lo nutre di meraviglia
e lo fa fermare proprio lì, nel piccolo mondo della grande terra. Allora un universo parallelo prende
forma, l'udire si amplifica: lo strisciare dell'Edera che a poco a poco stringe a sé il liscio tronco di
un arbusto si trasforma in una lenta nenia di seduzione, il brusio delle Fronde diventa un fitto
chiacchiericcio. "Guarda l'uomo laggiù" dice una Foglia a quella vicina: " Ci sta ascoltando!".
Infatti l'uomo incredulo alza lo sguardo e inizia ad avvicinarsi per comprendere meglio quelle
parole. " Ehi attento, non calpestarmi" una piccola Margherita che spunta tra i ciuffi d'erba è vicina
ai suoi piedi. " Rispetto, rispetto...E' quello che manca agli uomini" borbotta un'Azalea che fa bella
mostra di sé nel prato dominato dalle statue di Cerere e Bacco. " E già, lui è libero di muoversi e noi
qui a subire!" risponde un'Ortensia che sta sotto ad un pergolato di glicine. L'uomo stupito di aver
scoperto quelle piccole vite intorno a sé, si ferma rispettoso vicino ad una Quercia rugosa. L'albero
secolare testimone di tante storie inizia a parlare; narra di un tempo passato quando la natura si
esprimeva libera ovunque, con la magia dei suoi colori; lei era come brezza sull'uomo e lui si
piegava a lei con amore. Non è solo un racconto, non è una favola, la bellezza è reale e sta nel
giardino in attesa di poter donare consapevolezza ...forse proprio a te, se vorrai essere quel
viaggiatore.
Ebbene sì, sono un giardino di città, un grande, profumato e rilassante giardino di città. E per
quanto strano possa essere, AMO vivere in città. Non che abbia scelto dove vivere, mi ci hanno
trapiantato da piccolo, quando ero solo un cucciolo di giardino e da allora ho sempre vissuto
quaggiù. Amo il mio quartiere, la mia via, il mio cortile, quelle case colorate che disposte attorno a
me, mi proteggono dalle intemperie. Amo le persiane che si aprono la mattina e che permettono ai
raggi del sole di entrare nelle stanze, portando luce e calore, lo scricchiolino del portone che si apre,
il brusio della mattina, quel “Buongiorno” che come una melodia risuona allegramente da balcone a
balcone. Adoro conversare con Ficus e Cactus del primo piano, amo la compagnia dei bambini che
si rifugiano in cortile e che nascondendosi dietro Magnolia, Alloro e Mimosa, giocano a nascondino
animando l'atmosfera con i loro gridolini. Adoro il vecchio Rufus che ogni sera scende a fare due
passi e con il suo nasone umido fa il solletico a Trifoglio ed Erbetta..ehm, se posso dirlo adoro un
po' meno il suo compagno umano che ogni sera accidentalmente dimentica i ricordini che il vecchio
caro Rufus lascia ai piedi di Acero. Sì, sono un giardino di città e per quanto strano possa essere
amo con tutto me stesso quella sinfonia affascinante del traffico della mattina, quella suoneria che ti
sveglia e che ti da la carica per poter dire “Buongiorno città!”. Ma la cosa più bella sapete qual è? È
sapere che vivo per rendere felice ogni abitante, che in me i bambini trovano un luogo tranquillo per
giocare e divertirsi, che Gazza e Scoiattolo possono sempre contare su di me, che in una torrida
estate posso essere una salvezza per coloro che vivono in piccole case senza un balcone, che posso
contribuire al relax di ogni abitante e che ogni sera c'è sempre qualcuno che viene a trovarmi e che
prima di andarsene mi sussurra “Grazie di esistere, come faremmo senza te?”.
Osservavo senza parole dal mio giardino oltre il muretto quello che stava accadendo. Tutto era stato
distrutto. I tronchi degli alberi da frutto non esistevano più e il Grande Ciliegio era stato l'ultimo ad
andarsene. Gli uccellini cercavano riparo tra i miei rami e lì, in quel grande giardino che da anni era
la culla di serenità per piante, fiori e animali, ora giaceva il sovrastante e disarmante silenzio. Tutto
ciò che la Natura aveva modellato in anni era stato cancellato in pochi minuti. Loro avevano poi
costruito grandi palazzi di cemento, Loro agivano velocemente ed erano orgogliosi di poter fare
tutto questo! “Continua continua!” disse la piccola Magnolia al Grande Olmo il quale, suo
malgrado, aveva assistito a quella tragica fine. “Vedi piccola Magnolia, erano così convinti di ciò
che stavano facendo, che una volta terminato il tutto ebbero davanti a sé enormi blocchi di cemento,
funerei e inespressivi e non seppero accontentarsi! Dovettero per forza arricchire l'ingresso, i
balconi, i davanzali e gli interni delle case con piante e fiori perché senza colori, profumi, senza un
contatto con la Natura, rischiavano di cadere nell'infelicità a causa di qualcosa costruito dalle loro
stesse mani!”. “Molte volte l'uomo pensa di essere grande e invincibile nella sua immensa potenza”,
intervenne il Saggio Tiglio “Ma dimentica di essere solo un ospite all'interno del mondo e per
quanto grande possa essere avrà sempre bisogno della mano della Natura, anche se magari faticherà
ad ammetterlo!”. “Ma c'è una cosa che egli può fare!”, aggiunse l'Alloro, “Se l'uomo sarà capace di
guardare con i suoi occhi ai propri errori e di fare un passo indietro con umiltà, guardando la Natura
come una sorella, questa sarà sempre pronta ad accoglierlo, aiutarlo e proteggerlo qualora egli ne
avrà bisogno e non se ne dimenticherà mai!” Ora fate una prova, chiudete gli occhi e immaginate
anche voi come sarebbe il mondo se lo vedessimo con gli occhi della Natura...
Estate in festa
403
di Greta Bellegotti
Il giardino di Camelia, si sa, è particolare e alquanto originale! “Qui dentro tutto è reale”, dice il
cartello all'ingresso! I passanti non se lo perderebbero per nulla al mondo, è ricco di colori, profumi,
fiori di ogni tipo e ogni volta che lo si visita si scorge sempre un dettaglio in più! Accade poi, che lo
si creda o no, che nel giardino di Camelia, piante, fiori e tutti gli abitanti prendano vita intonando
talvolta un concertino, altre volte una vera e propria festa, con un banchetto sopraffino e
l'orchestrina. É il caso della Festa d'Estate, che si svolge tutti gli anni nel giorno del solstizio
d'estate e che puntualmente viene inaugurata con un: “E io ti ripeto che è meglio qui!” che risuona
per tutto il giardino. “Che succede?”, domanda la violetta alla farfalla. “Che vuoi che succeda?!”,
risponde la farfalla: “E' Acero che tutti gli anni discute con Larice per la posizione del banchetto,
ogni volta è la stessa storia e poi il giorno della festa son lì che ridono e scherzano bevendo liquore
di more!”. Cala la notte, tutto è pronto, il banchetto è allestito sotto il Vecchio Salice che contento,
ogni tanto allunga il ramo per assaggiare i crostini ai semi di papavero. Le api hanno preparato
tortini di miele, torte alla nocciola e budini alle rose, le lucciole gettano nel cielo una polvere di
stelle, le Boungaville intonano l'inno floreale con i violini. Che le danze abbiano inizio! Ornitogallo
ha invitato Peonia, Bocca di Leone ha invitato Margherita, a distribuire il liquore di more ci
pensano le formiche e c'è un tale movimento che crea euforia e felicità! Vecchio Salice e Acero
chiacchierano tutta la notte, cantando, scherzando e ricordando i bei vecchi tempi in cui ogni giorno
era buono per far festa! È il turno di un bel lento, intonato da grilli e cicale. Brindisi e danze
procedono per tutta la notte, fino all'alba, chissà il vicinato cosa penserà? E del resto lo si sa, il
giardino di Camelia è sì particolare e tutto è reale!
Mi chiamo Salice Ridente ma per tutti sono Piangente e a dire il vero non ho ancora capito perché!
Vivo nel “Giardino delle Piante Felici” circondato da piante e animali che vivono in armonia.
Eppure il Giardino ha rischiato di non esserci più e questa è una storia che vale la pena di
raccontare. Da un po’ di tempo i segnali non erano confortanti. Picchio scriveva messaggi
inquietanti sulle cortecce degli alberi. Margherite e Viole erano tristi, il loro profumo non si sentiva
più e Rosa arrampicante aveva smesso di arrampicarsi. Le ranocchie non gracidavano più e persino
il vento aveva smesso di soffiare. Tutto era chiaro. Loro stavano tornando per il mondo di cemento.
Rimaneva solo una cosa da fare, rivolgerci alla Grande Quercia. Quella sera la Grande Quercia
ascoltò tutti, ma proprio tutti e decise: “E’ arrivato il momento ognuno di noi aiuti il Giardino.
Ognuno di noi sa cosa fare”. Il piano scattò: io dovevo dirigere il tutto e così fu! Le liane, che
solitamente amavano stare sole, si intrecciarono creando un muro di difesa. Le ortiche allungarono
sempre più le loro foglie urticanti. Le lucciole luccicarono così tanto da non permettere più alcuna
visione. L’edera si attorcigliò con tutte le sue forze alle ruote dei macchinari. Le ranocchie saltarono
sulle ninfee lanciando more e mirtilli e colorando di rosso tutto ciò che potevano. Le zanzare
infastidirono con il loro “zzzzz” tutto ciò che si muoveva. I ricci del castano non furono da meno, e
che dire delle ghiande fornite dalla Grande Quercia lanciate con tanta forza da far ritirare un
esercito intero. Ed alla fine tutti Loro si ritirarono. La Grande Quercia sentenziò: “Il Giardino è
salvo. Loro col tempo capiranno che non si combatte la Natura, che la Natura è una grande amica,
che dalla Natura nasce la vita, che la Natura è VITA”. Tutti applaudimmo felici, ed io continuai a
sentirmi Salice Ridente anche se tutti continuano a chiamarmi “Piangente” ed ancora non ho capito
il perché!
L'autunno
405
di Alice Rugiero
Sta tornando l'autunno. Di nuovo. L'autunno. Le stagioni. Prima che questo diventasse il mio posto,
le stagioni non esistevano, o quasi. Mi accorgevo che fuori era cominciata l'estate solo perché nella
sala la temperatura veniva abbassata, e allo stesso modo riconoscevo l'inverno, dai caloriferi di
nuovo accesi. Da quando mi hanno trasferita nel giardino, invece, ho scoperto anche l'autunno e la
primavera: mi piacciono, queste nuove stagioni. Al museo il tempo non scorreva, era tutto fermo,
come me, anche il via vai costante dei turisti non cambiava mai. Qui ogni stagione ha i suoi rumori,
i suoi odori. Immagino abbia anche colori diversi, ma chi mi ha scolpito ha fatto sì che la mia mano
destra resti per sempre appoggiata alla mia fronte, a coprire, in parte, i miei occhi chiusi. Non saprò
mai di che colore sono, ma so che vicino a me hanno piantato le rose: il loro profumo mi avvolce,
attira i ronzii degli insetti e i commenti deliziati delle turiste. D'estate c'è sempre qualcuno che
chiacchiera o che cammina o che si rincorre, qui intorno, è quasi stancante, alle volte. Ma non
faccio mai in tempo a stancarmi davvero, è il bello delle stagioni: quando comincio ad annoiarmi di
una, ecco che ne sta arrivando un'altra. Sembrava ieri che sentivo di nuovo gli uccellini cinguettare
da un ramo all'altro, indaffarati nella primaverile preparazione del nido, mentre le giornate si
facevano via via più calde. Poi ecco l'esplosione di profumi, le esclamazioni dei visitatori alla vista
di un nuovo cespuglio fiorito, le farfalle, le api, i ronzii delle mosche pigre che si posavano sui miei
capelli di pietra. E ora, da qualche giorno, un'aria diversa: sento lo scricchiolio delle prime foglie
secche sotto le scarpe dei passanti, le rondini cominciano a partire e verso sera i visitatori si fanno
sempre più radi. Mi piace questo rallentare delle attività, mi sembra quasi che il giardino intorno a
me sbadigli e si prepari al sonno invernale. Pronto per la prossima primavera.
Anche io ho avuto un orto. Un orto-giardino per l’esattezza perché ortaggi e fiori crescevano vicino
agli alberi da frutto. Così api e farfalle lo animavano. Non vi era nessun confine tra orto e cortile.
Esso appartiene alla mia infanzia di giochi e alla mia adolescenza di studi, come quella ghiaia che
mi si infilava nei sandali. Mi sistemavo sotto la pianta di amarene e ripetevo a voce alta le mie
lezioni. Quell’albero avrebbe potuto esporre anche di Socrate, di Epicuro e del ”Conosci te stesso”.
Orto-frutteto-giardino anche per restare in silenzio, per condividere, per imparare l’attenzione alla
vita, alla crescita e trasmetterla da generazione a generazione e per accogliere il gioco. La sera
diventava il nascondiglio migliore per arrivare a battere lo sfortunato che stava a sorvegliare la
“tana”. Attrazione fatale verso quel fondo notturno. Tutti avevamo paura, ma correvamo all’orto,
soprattutto quando le lucciole lo trasformavano in un pezzo di cielo luccicante e quel senso di
mistero svaniva. Ma non la magia vera che fa innamorare dell’amore puro: quello dei sogni
desiderati. Era la sera di S. Lorenzo e noi amici del cortile, sdraiati con il naso in su, afferravamo
dal buio del nostro orto la scia rapida e fulminea di una stella cadente. Non potevamo esprimere a
voce alta i nostri desideri, ma gli alberi e i fiori dell’oscurità avrebbero potuto parlare per noi.
Desiderio 1, interpreta l’albicocco “vorrei che il mio gatto rosso, disperso dal giorno del terremoto,
ritornasse a casa.” Desiderio 2, incalza il pruno “vorrei dire a mio cugino che senza di lui mi sento
perduta.” Desiderio 3, ribatte il pesco ”vorrei dichiarare a tutti che il buio mi piace, ma che non
voglio giocare a nascondino.” Ora che siamo diventati adulti e che gli orti verticali sono in prima
pagina, vorrei esprimere io un quarto desiderio “Come fare a recuperare la dimensione magica di
questo orto orizzontale, tanto orizzontale da contenere la vita: passato, presente e futuro?" B.
Cominciò la rosa
407
di Lucia Caruso
Quando la brezza del mattino le accarezzò leggera i petali, la rosa cominciò a parlare: La mia vita è
breve, lo so; è lo scotto che ogni cosa bella deve pagare; io sfiorisco presto, ma la gioia di chi mi
guarda è infinita. Cosa sarebbe il mondo senza le rose? Sarebbe grigio e triste, come una casa senza
bambini o una città senza giovani. Che smancerie - brontolò la patata, piantata lì anni addietro da un
giardiniere distratto- a che servono le rose? Zitta tu, che là sotto non vedi e non sai nulla. A parte
che ho anch' io qualche foglia - rimbeccò la patata - quando mi prendono e mi fanno cuocere, muoio
ma almeno faccio del bene a qualcuno. E' la solita lite del bello e dell'utile, vecchia quanto il mondo
- disse la quercia - la ascoltavano già le mie cugine sequoie del parco di Yellowstone, quelle che
hanno pianto la morte del presidente Lincoln. Lì i grandi presidenti li ammazzano sempre-
piagnucolò un cespuglio di lavanda. Noi siamo più bravi - disse l ' ippocastano - al massimo li
facciamo dimettere. No, il fatto è che non ci sono grandi presidenti- osservò sconsolato il ranuncolo.
Non buttiamo la roba in politica, qui non siamo a Roma e nemmeno in un talk show- protestò il
platano. Vorremmo sentire discorsi più intelligenti- alitarono, svettando in alto i cipressi -non le
solite baggianate che sembrano un romanzo moderno. Dovreste essere gli ultimi a lamentarsi, per la
vostra abituale funzione non siete ben visti, anzi siete invisi, come ha scritto Orazio- sentenziò
l'olmo, che era cresciuto nel giardino del Liceo Classico. Saremo anche invisi, però noi li
accompagniamo soltanto, al cimitero ci vanno gli uomini. Lucia Caruso.
Tanto avevo desiderato questo momento al punto di odiare quella piccola mano ossuta,
nodosa,rugosa,vecchia insomma! Non è vero!Ho provato questo sentimento solo all'inizio,quando,
appena spuntata,volevo ribellarmi al mio destino: sono un' Hedera Helix,abbarbicata insomma. Io
vorrei invece strisciare!Ero spuntata tra un enorme cespuglio di rosmarino e un alloro, entrambi
imponenti e un po' scostanti. Davanti a me un fazzoletto di terra glabra.Che fortuna,ho pensato!Ho
voglia di stendermi,espandermi,stiracchiarmi...ma aspettiamo ancora qualche fogliolina. Neanche il
tempo di pensarci!All'improvviso,una mano si infila in uno spazio della recinzione in
corrispondenza del fazzoletto di terra. Una mano,o meglio,un pugno,che si apre con fatica e in
modo disarticolato per rilasciare una manciata di bocconcini di pane sminuzzato.Aiuto! Un merlo
maschio e una femmina arrivano all'improvviso con uno scenografico sbatter d'ali e si avventano sul
cibo.Ora capisco a cosa serve questo spazio di terreno spoglio... La cosa si ripete per giorni, mentre
io cresco e mi arrampico. La manina puntuale e pervicace porta la pioggia benefica ai merli.E io
intanto mi inerpico e sento l'orto che spettegola. Dopo una notte insonne a causa delle cicale, che
non sono sempre le benvenute,respiro al mattino un'aria calda e umida e mi accorgo che il sole è già
alto.La manina?Mi chiedo... I due merli,immobili,aspettano. L'orto è stranamente silenzioso.Rare
api passano di fiore in fiore sul basilico.Un vento leggero fa fremere le foglie,che paiono quasi
sussurrarsi non si sa quale notizia.Le nove...le dieci...i merli si sono stancati di aspettare e sono
partiti per altre scorrerie,mentre io mi guardo attorno un po' spaesata. Solo di rado tornano i
merli,come se volessero rendere omaggio a quella manina ossuta,nodosa e rugosa che li aveva
lasciati suo malgrado al loro destino... Ora che potrei non me la sento,non ho più voglia di strisciare
e non mi rassegno...aspetto un'altra mano...
I raggi tiepidi del sole di maggio creavano riverberi dorati sul piccolo specchio d’acqua che
impreziosiva il cuore del giardino di un antico palazzo romano, facendolo pulsare di vita. - Che
giornata! Una di quelle in cui possono accadere miracoli. - Non so come tu possa essere così serena.
- Che motivo avrei per non esserlo? La rugiada delle prime ore del mattino mi ha donato una nuova
vitalità. Il vento ha smesso di soffiare e posso specchiarmi nelle acque calme e godere della bellezza
che mi circonda. Ripeto, una giornata perfetta per i miracoli. - I tuoi petali mostrano i segni del
tempo. Ormai manca poco e cadranno. È ingiusto. - Tu sei una statua. Io una rosa. - E allora? - Le
tue lamentele stanno rovinando tutto. Lasciami godere della sua bellezza riflessa sulla mia
superficie - una voce spazientita si levò dallo specchio d'acqua. - Vedi perché non posso essere
triste? La mia presenza allieta il nostro piccolo lago. Il profumo di lavanda è inebriante. L’azzurro
del cielo mi dona pace. Ho conosciuto la pioggia, perché potessi rimanere incantata dalla maestosità
dell’arcobaleno. Ho avuto il privilegio di sbocciare qui, al tuo fianco, perché il mio cuore potesse
conoscere il calore dell’amicizia. - Perché non può durare per sempre? - Amico caro, ti preoccupi
troppo di cosa accadrà in futuro. E ti perdi la magia del momento presente. Libera la tua mente dalle
preoccupazioni e apri il tuo cuore. Osserva la bellezza che ti circonda e sii pronto ad accogliere i
miracoli che accadono. In quel momento i petali rosso rubino si staccarono dal bocciolo e con
leggiadria si dispersero al suolo. Alcuni si posarono ai piedi della statua, altri sull’acqua. La statua
rimase in silenzio ad osservare il bocciolo spoglio. Fu in quell’istante che una voce piena di
meraviglia giunse dallo specchio d’acqua: “guarda!” I petali rosso rubino di un piccolo bocciolo si
stavano schiudendo lentamente. Un soffio di vento infuse l’aria con un inebriante profumo di rosa.
UN CANTO
410
di Cecilia Pelliconi
In un angolo di un bel giardino sorge un pianta di magnolia, la quale da anni sente dentro di sè un
grande odio per tutti quegli splendidi fiori che vivono ai suoi piedi. Essi attirano l'ammirazione di
tutti per la loro bellezza ed il loro profumo; la magnolia soffre perchè si sente ignorata. Una sera, ad
un tratto, l'invidia esplode dentro alla magnolia che con voce rabbiosa dice: "Cari fiori siete belli ma
siete soltanto lo sgabello dei miei piedi. Io sono la regina di questo giardino! Si, io, alta, bella,
sempre fresca. Nessuno di voi è bello come i miei fiori; voi siete i sudditi che mi rendono ancor più
bella." I fiori sorpresi, hanno paura di quella voce e si stringono vicini tremanti. Soltanto un piccolo
fiore alza il capo e dice: "Stai zitta vecchia zitella gelosa." "Stai zitto tu, piccolo idiota" replica la
magnolia. Il fiorellino con tutta la sua voce grida: "Fiori, fratelli miei, difendetemi! Mi ha offeso".
Allora tutti i fiori, insieme, intonano un canto, un canto d'amore, parole dolci di pace, di gioia, di
tenerezza infinita; un canto melodico che entra nell'anima e fa tremare il cuore. I grilli fanno
silenzio, la fontanella ferma lo zampillo, le stelle si affacciano per ascoltare. La magnolia scoppia in
lacrime. Si sente confusa, ma poi con voce soave dice: "Cari fiori da questo momento sarete voi i
sovrani del giardino". I fiori sorridono, abbassano lentamente il calice poi si addormentano felici nel
buio della notte.
C’è un albero al bosco né robusto, né sottile, un albero Qualunque: aveva visto maestosi alberi
riempirsi di foglie; aveva visto crescere gustose albicocche, lui rimaneva sempre Qualunque. Era
arrivato l’autunno, le sue foglie avevano preso un colore giallino mentre attorno a lui le foglie
coloravano il bosco. Era arrivato l’inverno e solo un suono lontano, un canto, si sentiva tutte le
mattine allo spuntare del sole: NDI PAPA. Qualunque era incuriosito: voleva scoprire da dove
provenisse quel canto e con la magia che hanno solo gli alberi, iniziò a allungare i suoi rami verso il
cielo grigio. Poco lontano da lui c’era un albero che non aveva mai visto. Era uno di quegli alberi
arrivati da lontano: semplice, che non si faceva notare, se non per il suo canto. I giorni invernali
passavano lentamente e l’unico passatempo di Qualunque era osservare quello strano albero. Una
mattina: “Ehi tu! Io sono Ati (in togolese significa albero), vengo da molto lontano”. “Io – disse
Qualunque – sono un albero Qualunque”. “Qualunque è il tuo nome? Cosa significa?”. “Non è il
mio nome!”. Ati riprese: “Tra poco sarà primavera abbiamo qualche gemma e il sole si fa più caldo.
Si farà la grande festa il primo giorno di primavera? Quando gli alberi danzano!”. Qualunque
rimase sbalordito e deluso: che cosa stava raccontando quell’albero e poi l’arrivo della primavera
sembrava lontano. La voce di Ati si sentiva però tutte le mattine. Qualunque non aveva molta voglia
di riempirsi di foglie; quando, sentì un ramo toccarlo e una voce cantare: Qualunque aveva trovato
un amico! Così insieme a Ati iniziò a preparare la festa... “Siamo pronti?”. Il 21 marzo arrivò, Ati
intonò il suo canto e tutti gli alberi del bosco iniziarono a svegliarsi e a danzare, perché gli alberi
quando si svegliano danzano! “Grazie!”, Qualunque continuava a ringraziare per questo bel
risveglio di primavera e anche lui per la prima volta iniziò a fare danzare radici, tronco e rami con la
Danza degli Alberi.
La prudenza di Egle
412
di Simone Ferrario
La pioggia fresca del temporale d’agosto ha finito di interrompere la giornata estiva e nel giardino il
sole, con i suoi raggi luminosi e penetranti, sta prendendo il sopravvento sulle nuvole rimaste: l’aria
frizzante e l’effetto aerosol rendono i colori vivi con una luce intensa e mite. Il ragno Gustavo sta
ricomponendo quel che resta della sua ragnatela che non ha resistito alla pioggia e spera che le
goccioline adagiate sulla mortale trappola vadano via presto, rendendola così invisibile e insidiosa.
Nell’incavo di un tronco la giovane farfalla Egle osserva il giardino, con le ali chiuse per decidere il
momento giusto per spiccare il volo. E’ attratta da un roseto di vendela dal colore delicato con
leggere venature ambra a testimonianza di fiori maturi che resistono al clima estivo. Stropiccia
leggermente le ali ma è indecisa: non ci sono altre farfalle nell’aria e le luccicanti gocce di pioggia
che cadono qua e là per separarsi dalla foglie degli alberi sembrano essere un pericolo. Nata da
poche ore da un bozzolo di processionaria non è ancora riuscita a mostrare la bellezza delle sue
scaglie colorate e le venature delle ali a causa del temporale improvviso che l’ha costretta a
rimanere attaccata alla sua foglia natale. Mentre il sole continua l’impetuosa ascesa per ritornare ad
essere il protagonista dell’estate Egle inizia a stendere e sbattere le ali che non sente più raggrinzite
e umidicce ma leggere e... spicca il suo primo volo: emozionata e meravigliata dalla novità
volteggia verso il roseto con la tipica e sinuosa andatura dei lepidotteri. Guidata dal profumo
intenso si adagia lentamente su una bella rosa e inizia a assaporare il polline dagli stami, muovendo
le zampette con un’armonia che ricorda la martelliera di un pianoforte musicata da mani esperte.
Sazia di polline e profumo rimane lì ad impreziosire il bellissimo fiore pensando che la prudenza
non è mai troppa e sarà la sua fedele compagna di vita. Ma forse non sa che essa sarà molto breve.
Il piccolo fiore
413
di Sara Porro
In verità non ero il fiore più bello del giardino. c erano le peonie, si diceva arrivassero i semi dalla
Francia, "siamo francesi!" ripetevano orgogliose con la tipica R un po' antipatica. tra le fresie
troneggiava una regale calla bianca. da quando era nel mazzo non aveva detto una parola. nel verde
che separava i vari fiori colti in giardino c'ero io. sono nata nel piccolo prato vicino al cespuglio di
rose. Per i giardini siamo un piccolo dono, non servono semi. cresciamo in una casualità apparente
come i fiocchi di neve che cadono dal cielo. siamo i fiori dei bambini, per questo non siamo più alti
di un filo d'erba. Le peonie sussurravano che fossi li per sbaglio; perché unire a loro una semplice
margherita? Tutti nel mazzo, così diversi tra noi, eravamo uniti dallo stesso pensiero: dove eravamo
diretti ? All' improvviso la carta che ci avvolgeva ci libera dal suo abbraccio. Due occhietti curiosi
ci fissano con insistenza. Di solito il giardiniere lo capisco quando parla alle rose, ma questa
piccolina sembrava scegliesse a caso parole da unire ai suoi sorrisi. Aveva un incantevole stupore
nel vederci apparire dal foglio di carta, così abituata a vederci ondeggiare all' aria aperta in giardino.
accanto a lei c'era un uomo. La avvolgeva con le grandi braccia con delicatezza, il suo sguardo era
legato alla bella signora con i capelli bianchi, di solito allegra in giardino, ora lì stesa sul letto con i
dolci occhi chiusi. Siamo finiti in un bel vaso rotondo. Le peonie erano nel centro, io laterale tra le
foglie, mi si vedeva appena. La piccina mi ha preso tra le sue piccole dita, mi ha dato un bacio
leggero e mi ha appoggiato tra i capelli bianchi. La calla sorrideva, le peonie mi guardavano
commosse. Avevano capito che anche un semplice fiore può diventare il più prezioso dei doni.
I gigli rossi
414
di Maria Iovine
Ecco, lo sapevo, è arrivata, lei la pianta dell'abbandono e ora chi ci salverà dalla sua invasione?
Scusate, non mi sono presentato:sono,non lo so, un soffio un'idea, sono tutti i fiori, le erbe e le
piante di questo giardino incantato,sono lei che ci curava e passava tante ore con noi.Sono il
giardino e la foglia, il tutto e il minimo, sono io che sussurro ai dispettosi bulbi olandesi, quando
vengono trapiantati nelle mie fertili zolle:"Forza, belli, al lavoro, fiorite" .Essi si sentono spaesati e
per dispetto affondano nella terra ben decisi a restarci, ma io li vezzeggio, chiamo il vento ad
accarezzarli e così,si dimenticano dell'Olanda e allungano la loro bellezza verso il cielo italiano.Io
adulo le rose, sempre bisognose di consensi, faccio inerpicare i gelsomini e regalo tutto il colore alla
glicine maestosa.Senza di me, non so come sarebbe, questo luogo. D'accordo esagero: senza di lei,
qui sarebbe un terreno incolto, come sta avvenendo ora:la pianta dell'abbandono si sta infilando
dappertutto..Lei non innaffia più, non accarezza le foglie delle margherite, non pota, non strappa via
le erbacce scusandosi con loro.Sappiamo solo che un giorno è uscita come una furia e ha fatto a
pezzi il limone nel vaso che le aveva regalato l'uomo che viveva con lei.Le urla mute ad orecchie
umane ancora le sentiamo e ci fanno rabbrividire.L'uomo non si vede più, lei sta seduta sotto il
portico e guarda nel vuoto.Se continua così, presto qui sarà tutto morto.L'estate volge a termine e
noi siamo stremati. Vado dai dolci gigli rossi, lei li ama tanto, da quando li trovò dentro un vaso
pieno di calce che i muratori avevano abbandonato sulla strada, ha lavato le loro foglie una ad una.
Sono quasi morti.Parlo con loro e mi dicono:"Lo faremo, anche se non ne abbiamo la forza, siamo
senz'acqua.".Lei è là, inerte, poi si scuote si avvicina ai gigli:sono fioriti stanotte, le loro corolle
scarlatte sono un inno alla vita.Piange, poi prende la pompa, innaffia e noi urliamo felici.
Il giardino delle farfalle era la principale attrazione del paese e molte persone vi si recavano per
trascorrere lunghi pomeriggi d’ozio.I frequentatori del giardino erano ignari della vita che vi era
presente,neppure sospettavano che nel giardino scorresse tanta vita e tante
parole.Gli“abitanti”,infatti,passavano giornate a discorrere e spesso avevano luogo veri e propri
dibattiti.«Quelle farfalle se ne devono andare,esigo che se ne vadano!»esclamò irritato
l’acero,agitando le sue foglie rigogliose«voi,creature tanto piccole,riuscite ad oscurare la mia
imponenza!Voi,inutili insetti!Con le mie foglie offro ombra e riparo,voi,che fate?Svolazzate qua e
là,spensierate.Questo dovrebbe chiamarsi giardino del grande acero,non certo giardino delle
farfalle!”Il roseto,la statua e tutti i fiori del prato ascoltavano con soggezione.«Cosa credi che sia un
po’d’ombra?La si può trovare ovunque,l’ombra!»rispose lesta una farfalla.L’acero
trasalì«Insolente!Non vivreste neppure,voi farfalle,se non esistessi io,che vi offro riparo da questo
sole cocente!Non osate avvicinarvi,non potete più usufruire della mia ombra!»l’albero sfogò la sua
rabbia,a lungo repressa,così come l’odio per quelle radici che lo tenevano saldo a terra.«Come credi
di impedircelo,tu,che non puoi muovere un passo!»lo istigò la farfalla.L’acero brulicava
d’odio,d’invidia.Come fare?Oh,lui lo sapeva come fare.Nulla avrebbe potuto fermarlo:quell’odio lo
consumava da troppo tempo.Senza alcuna esitazione esclamò«Le mie foglie appassiranno,non
troverete più riparo in me»Così il grande acero,colmo di foglie verdi,morì.Quei stupendi rami
lussureggianti erano spogli.Ma giusto un istante prima udì un fruscio d’ali.Le meravigliose
farfalle,di cui i paesani andavano tanto fieri,non resistettero a lungo sotto la fiamma ardente del
sole...Il grande acero non sentì sollievo,nemmeno soddisfazione.Soltanto un dolore lancinante,poi
più nulla.Era giunto al suo agognato traguardo,ma non fece in tempo a gioirne, che tutto si spense.
Di rose e cemento
416
di Cristina Astolfi
Il mio spazio vitale è minuscolo, arido, dimenticato eppure i miei petali si schiudono superbi ad
ogni primavera. Non conosco pacciamatura, fertilizzante, potature. Le vostre dita non mi sfiorano, i
vostri occhi mi ignorano, le braccia si protendono solo per consegnarmi cicche, bicchierini di
plastica, lattine. Sui miei rami convivono escrescenze e germogli. Se fossi una di voi – e a dire il
vero, a questo ci penso spesso - una che la mattina parcheggia in fretta e percorre il viale con un
cartellino tra le mani, sempre in affanno, sempre parlando al telefono, sempre con sacchetti diversi
tra le mani, sarei…….vecchia, attraente, abbandonata, giovane, fedele…..tremendamente
contraddittoria. Si, credo che sarei una donna e non perché il mio nome botanico è femminile, ma
per la tenacia con cui riesco ad esprimere la mia sensuale bellezza nell’indifferenza. Ci vuole
talento a reinventarsi confidando solo nelle piccole, quotidiane risorse interiori. Si prova sgomento
ad affrontare un “corpo” che si disfa del suo splendore in autunno, si destruttura in inverno, si
gonfia di linfa in primavera e stende, sotto gli occhi di un cinico e distratto sole estivo, nuovi
boccioli. Polvere e sete, immobilità ….. squarci bagnati, petali appassiti. Nei giorni in cui non ci
siete, mi annoio. Mi tornano in mente espressioni che rimangono impigliate tra le mie foglie. Voci
roche, compiaciute, violente. Meschinità. Lei ha mani pallide, sguardo smarrito, da qualche tempo,
un enorme turbante colorato al posto dei capelli. Qualche volta mi porta dell’acqua. Si ferma
davanti all’aiuola, parla al telefono con sua madre. La rassicura. Finge. Ieri mi ha strappato alcuni
petali. Li ha deposti con amore e rigore tra le pagine di un libro. E’ rientrata, ha lasciato scivolare il
volume sulla prima scrivania a destra. Incerta, ha ripreso a camminare. Antica la sua bellezza,
fragile ed esitante. Di rose e cemento.
“Adoro il sole di Maggio!” disse la reine Elisabeth, rosa di alto lignaggio. “Fui scelta dalla
contessina Matilde in persona in uno dei suoi viaggi a Parigi e portata qui nel giardino del Palazzo
Reale. Inizialmente ho stentato ad adattarmi a questo clima, ma ora sono nel pieno del mio
splendore!”. “Non poteva fare scelta migliore!”, esclamarono in coro i piccoli fiori messi a bordura
della real rosa, “I vostri petali pallidi e vellutati ricordano molto il suo incarnato”. “Eccola! sta
arrivando con il suo innamorato”, disse il salice piangente, “sono così belli insieme che mi fanno
commuovere”. “E’ questo l’angolo di giardino che preferiscono, ai miei piedi si sono giurati amore
eterno e dati il primo bacio” mormorò orgogliosa la statua di Cupido. “Ma quale bacio? Era solo un
tête a tête!” sussurrarono i real boccioli con una punta d’invidia. “Quel Giangaleazzo non me la
racconta giusta, ama volare di fiore in fiore proprio come me” apostrofò la farfalla. “E’ certamente
un gran vanitoso!” sentenziarono i narcisi intenti a rimirarsi nelle acque dello stagno. “Spesso la
contessina interroga in solitudine le margherite” confidò la rosa rampicante “ma l’altra sera, da
sotto la finestra della sua camera, l’ho sentita piangere... E’ pur vero che non c’è rosa senza spina!”
disse rassegnata. “Sei proprio spericolata!” si scandalizzò la reine Elisabeth “Nessuna rosa del mio
rango si sarebbe spinta ad origliare fin lassù!”. La luna che sopraggiunse di lì a poco proiettò ombre
sinistre nel giardino, a memoria della storia e magia di quel luogo. Al mattino il primo ad accorgersi
dell’arrivo del giardiniere fu il cipresso “Ho un brutto presentimento” disse al pino e fu percorso da
brividi tali da far fuggire tutti gli uccelli ospitati nella notte. “Non oso guardare!” esclamò.
Guardarono invece i piccoli fiori di bordura al real cespuglio di rose. Lo avevano sempre guardato
prostrati dal basso in alto e furono grati a madre natura per essere passati inosservati.
La Bambina Addormentata
418
di Maria Cristina Calzavara
Era in un angolo del giardino, vicino al muro di cinta, quasi nascosta dalla pianta di rose rampicanti,
una statua piccola e antica, su cui il tempo aveva lasciato una patina grigia e opaca.Una foglia rosso
bruna si staccò dal pruno lì accanto e volteggiando nell’aria si posò delicatamente ai suoi piedi. “È
oggi?” le chiese.La Bambina Addormentata sembrò destarsi. Aprì gli occhi e accarezzò il cane a cui
era abbracciata da molti anni. “Sì, è oggi”.Prese la foglia tra le mani e sussurrò “Un mattino di
giugno in cui la luce del giorno rincorre le ombre della sera”. Si guardò intorno, il viale era coperto
di muschio e le erbe selvatiche avevano avvolto i vasi di fiori orami vuoti. La villa aveva le persiane
chiuse, come tanti occhi addormentati e le pareti mostravano i segni dell’abbandono. Sospirò e il
cagnolino le leccò il viso. “Pluto, ricordati che appartieni a Lia. Tra poco tornerà, non scappare
come allora, valle incontro”. Pluto guardò il cancello in attesa. “Arriverà” disse il pruno stendendo i
rami su di lei, “Non ha mai dimenticato”. Il rumore di una chiave nella toppa, la Bambina
Addormentata tornò al suo posto. Una farfalla gialla si posò su di lei. La donna si tolse gli occhiali,
aveva delle piccole rughe intorno agli occhi azzurri, la luce pioveva sui suoi capelli grigi. Si
avvicinò alla statua e la accarezzò dolcemente. Sembrava che la bambina e il cane la guardassero da
un mondo lontano. “Ciao sorellina” la voce di Lia era incerta, “Mi stavi aspettando?”. Il giardino
era sospeso nel silenzio. Erano di nuovo insieme, due bambine che inseguono un cucciolo. “Non mi
sono mai perdonata, sai? Non dovevi corrermi dietro, il tuo cuore era malato ma volevo Pluto solo
per me”. Quando era caduta, il cane era tornato indietro e si era sdraiato accanto a lei. Alcuni petali
di rosa si erano posati sul suo viso, sugli occhi chiusi per sempre. “Chissà se mi ascolti lì dove sei
andata” le sussurrò. La farfalla si staccò dalla statua posandosi leggera sul suo cuore.
Io sono centro del dedalo verde dove Amore e Psiche sono rapiti nel loro eterno paradiso. Will mi
creò con fatica e sudore, piantò il bosso e segnò la pietra, perché io fossi il rifugio del suo cuore e
crebbe questo labirinto a pari passo del suo tempo con colei che amava. Per mille e un giorno la
incontrò nel fitto di questo verde riparo, per tutta la vita che gli restò qui la pianse. Io sono il tenero
germoglio che scivola piano dal bordo della notte all’alba, e sotto i piedi degli amanti che giocano a
nascondersi in questo gioco di siepi, io mi arrendo all’impeto della loro passione. Io sono il
calicanto che continua nel tempo a benedire gli amori appena nati con la sua fragranza, sono la
wisteria bianca che piange perenne la giovinezza confusa, sono datura odorosa che sempre segna lo
smarrirsi degli amanti al loro destino. Io sono il giardino di Will e nel rincorrersi delle stagioni io
sono il passato,il presente,il futuro Sono il ricordo di rose sfiorite, di profumi dimenticati. Will mi
consacrò all’amore, e perciò se pure attraverso i secoli e l’umana dimenticanza, io di risate e
sospiri,di lacrime e dolci promesse udirò sempre rincorrersi l’eco. E perdersi …
Le roselline bianche sorrisero, salutando in coro: “Ciao, Mariula” appena la videro entrare dal
cancello in ferro battuto dai bei motivi ornamentali. La piccola oltrepassò i due sedili in pietra, semi
circolari, a dare il benvenuto, seguì il vialetto di ingresso bordato di oleandri in fiore, scese alcuni
scalini, alla sinistra della casa un vialetto, delimitato dalla siepe di lavanda e da alcuni agrumi,
portava all’ingresso della cucina. Li davanti c’era la vasca con i pesci rossi, traboccante di lucide
foglie acquatiche. A qualche passo di distanza un albero di mirto l’aspettava. L’albero, abbastanza
vecchio, aveva rami nodosi e rinsecchiti e uno di questi rassomigliava al dorso di un mulo; per
Maria era proprio un puledro da cavalcare. - Ciao Maria, come mai in ritardo? - Sai, Baio che abito
distante , la mamma non permette che vengo da sola, ha aspettato a chi affidarmi… - Maria, ho sete
- Subito Baio, ecco il secchio con l’acqua fresca della cisterna, sei contento? - Certo, grazie. Vedi
quanti graziosi fiorellini sono sbocciati sui miei rametti, raccoglili… - Si, sono cosi soffici e
piumosi ma anche tanto delicati, ne porterò qualcuno alla mamma… mi piace il loro profumo - Puoi
prenderli tutti… - No, perché presto diventeranno gustosi fruttini, voglio aspettare che giungano a
maturazione. - Maria, metti il piede su quella staffa e sali… dove andiamo, oggi? - Arrì, arrì Baio,
andiamo su per la collina, dove c’è quella casetta bianca e poi scendiamo per la strada sterrata fino
ad arrivare laggiù, dove si vede il mare… - Si, mi piace andare a vedere il mare, ma non battermi
troppo con la frusta… La frusta era una vecchia catena arrugginita… Dal piedistallo, fra le siepi di
bosso, il busto in marmo del Canonico, che aveva voluto insieme alle sue sorelle la costruzione di
questa villa, sorrise e diede la sua benedizione: si, andate pure a vedere il mare…
LA PALMA
421
di Elena Dak
Le carovane in arrivo dopo aver attraversato il deserto quando mi vedono di lontano, lasciano che il
sollievo dilaghi nel loro animo. Io sarò per loro ombra, frescura, e dolcezza di datteri, nutrienti e
mielosi. Sono qui, su queste sabbie, da decine di anni. Ho visto arrivare dalle dune centinaia di
carovane di cammelli che come onde in successione si avvicinavano all'oasi stremate da migliaia di
chilometri di traversata. Ho sentito lo scricchiolio degli zoccoli degli animali e delle scarpette dei
carovanieri sulla superficie crostosa della mia terra, salata e argillosa. Ho colto gli sguardi da sotto i
turbanti, le ciglia sollevate a inseguire la mia regale altezza e a pregustare i grappoli di frutti
assiepati sotto il fogliame. Ho donato ombra ai melograni, ai fichi e alle uve e queste hanno
rinfrescato le verdure che, irrorate dalle acque, hanno nutrito gli abitanti e le genti di passaggio.
Amo il vento, quello senza peso dell’autunno che mi porta l’odore delle piogge lontane, vaga tra le
mie foglie seghettate producendo un rumore croccante come se le mie braccia fossero leggere e
cartacee e mi carezza come gli uomini, timorosi delle mie spine, non fanno mai. Amo pure le
tempeste della primavera che per giorni sferzano l’oasi e riempiono di sabbia le scaglie della mia
corteccia. L’oasi scompare alla vista dietro la cortina di foschia ma io resto visibile faro per le navi
del deserto. Gioisco nei pomeriggi d’inverno quando sotto le mie braccia gli uomini si siedono a
bere il tè e l’aroma sospinto dalle braci, mi raggiunge lassù, inebriante. Ma sopra ogni cosa amo le
storie che gli uomini si raccontano all’ombra delle mie frasche: sono dune e predoni, soli e stellate,
lune e spade, latte e fuoco, sono voci sussurrate e risa fragorose. Partecipo delle loro vite, narrazioni
di pascolo e sabbia, della bellezza delle loro donne, del fruscio del respiro quando, rassicurati dalla
mia sagoma, si addormentano stremati. Sono palma del deserto.
IL CAPPERO
422
di Elena Dak
Nacqui cappero e vissi in terra di Sicilia. Il destino per me era scritto: dovevo nascere sulle sponde
del Mediterraneo, a ridosso di onde blu odorose di sale, perché da quel sale prendessi sapore e gusto
per compiere la mia missione di dare succulenza ad ogni cibo. Un giorno che lo scirocco faceva
turbinare ogni cosa, una fessura tra due rocce calcaree bianche e stremate dal sole, accolse il seme
di mia madre e lo custodì nel tepore lieve che le pietre emanavano. Ella crebbe rigogliosa, fanciulla
esile dapprima, femmina altezzosa ed elegante poi seppur ricadente sulle stesse rupi che l’avevano
presa come se la gratitudine imponesse una forma alla sua crescita. Xerofila di natura, accolse il
sole per decenni, accontentandosi della rugiada della notte e dell’umido che il mare spandeva
nell’aria. Ad ogni primavera decine di boccioli si apprestavano a schiudersi e la bellezza della
fioritura si spandeva sulle rocce ruvide. Infiniti fiori solitari, sepali verdi e petali bianchi,
sbocciavano lungo la sua folta capigliatura di foglie dalla tempra coriacea stemperata dalla
frivolezza degli stami violacei, lunghi e fini. Quella cascata di fiori vezzosi e facili al vento,
riempiva l’ estate e non c’era pastore che non fosse stupito e contadina o signora di città che al
cospetto di quei gioielli di natura non ammutolisse di stupore e non desiderasse possederne uno da
sistemare tra i seni o nei capelli. Una primavera mi ritrovai a essere turgido bocciolo, un fiore
custodivo dentro di me. Non sapevo che quel fiore mi sarebbe rimasto dentro raggomitolato.” La
luna è quella giusta per raccogliere i capperi” disse un giorno di luglio il contadino con un cesto di
vimini sull'avambraccio. Mi colse con un gesto netto del polso tra due dita. Mi aspettava una
nevicata di sale come non l’avevo mai veduta prima nella mia terra. Il sale del mare prima e del
contadino poi erano il mio destino: assorbire sapore crescendo, per dispensare sapore ai cibi
dell’uomo, morendo.
È notte. Raggi di luna si infiltrano fra il fruscio delle foglie; un pino secolare guarda giù e il rumore
delle sue foglie aghiformi disturbano la notte al platano che lo guarda dal basso all'alto e parla:
"Perchè non mi fai dormire? Quando sono sveglio penso ai miei compagni malati, che li devono
abbattere, e mi addoloro perchè non è vero che sono malati, loro sono un intralcio alla viabilità
cittadina!" Intanto il pino ascolta e il suo pinnacolo volteggia nel cielo e dice:" Io ho visto tante
stagioni, ho ascoltato tanti lamenti e suoni festosi, ma non posso ignorare il tuo dolore! Chiama
Olmo che ti aiuterà e farà cascare tutti i rami vecchi e seppellirà tutti i tuoi lamenti". Intanto
un'anturia, che era ai suoi piedi, coi suoi fiori rossi gli gridava il suo amore, ma il pino rispose:
"Sono troppo vecchio per te! Cerca un albero più giovane! Però stai attenta perchè sta venendo un
temporale. In quel momento un fulmine illuminò il bosco e un tuono lacerò l'aria, un tonfo! Un
attimo dopo, l'anturia era sotterrata dal pino che l'annullava ma essa era così contenta perchè si era
unita a lui.
Un Sogno a colori
424
di Debora Andreose
In uno splendido giardino immerso nei Colli Euganei, vi era una piccola rosa bianca, sempre triste e
solitaria perché tutti i fiori suoi vicini erano di mille colori, e lei si sentiva sfortunata di essere nata
bianca. Ogni giorno ammirava il tramonto rosso, desiderando fortemente di diventare una rosa
rossa. Vicino a questa rosa, c'era un albero di ciliegio, con i suoi frutti rossi, il quale chiese alla rosa
bianca: "Buon dì bianca rosa, come mai sei di giorno in giorno sempre più triste?" La rosa bianca
rispose:" Caro il mio ciliegio, come vorrei diventare una rosa rossa per farmi ammirare come si
deve, proprio come le tue meravigliose ciliegie!" Intervenne poi la statua della Speranza che
riposava sotto al ciliegio e disse:"Dolce rosa bianca, domani è la notte di S.Giovanni, la notte più
magica di tutto l'anno, con il nostro aiuto e la tua caparbietà, vedrai che il tuo desiderio si avvererà!"
La rosa sbigottita rispose: "Come sarà mai possibile che io possa diventare una rosa rossa?" La
statua della Speranza: "Chiamerò la mia amica farfalla notturna che tutte le sere viene a
chiacchierare con me". La farfalla notturna quella sera si accordò con la statua ed il ciliegio per
aiutarli a realizzare il sogno della rosellina bianca. Infatti, la notte seguente( la notte di S.Giovanni)
il ciliegio poco prima di mezzanotte tese il suo ramo, con l'aiuto della foglia verde fece scivolare la
più grossa e matura ciliegia rosso porpora ai piedi della statua, e la farfalla notturna con il suo
potente battito di ali fece uscir fuori una goccia di succo di ciliegia sui petali della rosa bianca che,
alle prime luci dell'alba si risvegliò vestita di un rosso vivo, come quello dell'alba di quel nuovo
giorno. Fu da quel momento che la rosa bianca divenuta rossa, portò gioia ed allegria all'interno del
giardino euganeo e strinse così una forte amicizia con la statua Speranza, l'albero di ciliegio e la
farfalla che tanto l'avevano aiutata a realizzare il suo sogno.
Venere e la farfalla
425
di Cristina Frizzoni
Il glicine spettatore
426
di Giovanna Terranova
Sono un vecchio e robusto glicine che abita su un vecchio pozzo d'acqua situato in un antico
monastero dei '600 e ora residenza di una nobile e ricca famiglia.In tutti questi anni sono stato
spettatore di feste, ho visto i bambini crescere, giocare,cadere dalle biciclette e litigare tra di
loro.Ogni volta che qualche ospite entra nel borgo d'estate rimane incantato dal mio colore acceso e
dalla grandezza che ricopre quasi tutto il pozzo.Io ne sono orgoglioso ma per me è quasi una cosa
normale.Quando viene l'inverno cala il silenzio e la tristezza si impadronisce della casa.Mi fanno
compagnia i nespoli,gli alberi di mandarino che in inverno sono belli e carichi di frutta, e qualche
uccellino e farfalla che ogni tanto passano.Negli anni ho visto amori che nascevano,altri che
finivano,litigate pazzesche tra parenti e tanta allegria e gioia.Ho visto le lacrime.i sorrisi e tutti i
colori dell'animo umano.Ma mentre tutto scorreva io rimanevo qui immobile e vigile,maestoso e
bellissimo,guardiano della vita che passava.
L'apparenza inganna
427
di Elena Gastaldo
Mi sveglio e mi riaddormento guardando ad Est ma è la luce la mia vera passione e ringrazio ogni
giorno Apollo. Subito, appena mi sveglio, incontro la mia Lonicera. Girasole: “Come stai oggi?”
Lonicera: “Oh! Bene, grazie. Ho solo un problema di sovrappopolamento …sai beh…api, farfalle,
sfinge colibrì. Non voglio sembrare antipatica ma si accomodano, mi strapazzano prelevando senza
sosta il mio nettare. Sempre con grazia ma io, oramai, sono insofferente perché l’estate è troppo
lunga e sento il desiderio di stare un po’ da sola”. Povero me, Lei è carina ma sola si fa per dire
perché parlano tutte assieme, si ognuna dei suoi simpatici fiorellini emette un sommesso ronzio..
Girasole: “povera, hai proprio ragione e scommetto che Bella di Notte non capirebbe questo genere
di problemi….la senti?? È lei a russare? E poi, gli omini grandi e poco verdi che pestano questo
bellissimo giardino parlano di quiete ma se solo sapessero che caos che regna lontano dalle loro
frequenze, cambierebbero idea”. Lonicera: “Ottima osservazione e oltretutto non si sveglia
nemmeno se il signor Merlo manda zolle all’aria il nostro prato per tutti quei simpatici lombrichi
che non disturbano nemmeno” Girasole: “Ora, mia cara, ti saluto e vado avanti perché come già sai,
il desiderio di luce supera di gran lunga la mia forza volontà che vorrebbe continuare a godere delle
tua gioiosa compagnia”. Ora, Girasole, è nella posizione che detesta di più in questo periodo. E’
costretto a fissare Salice che con il suo regale profilo zen esordisce nuovamente con uno snervante
motivo “mi piego ma non mi spezzo” e pensa che un fusto così non dovrebbe proprio essere tanto
fissato con l’estetica. Mogio spera che qualche nuvola gli consenta di tenere il capo chino. Il
richiamo della luce gli consente finalmente di osservare filari di viti e crinali lontani. In un misto di
meraviglia e desideri inespressi pensa che ogni tanto vorrebbe poter decidere da solo ove volgere il
suo sguardo fino al tramonto.
Chiacchiere in balcone
428
di Monica Ambrogi
Sono le 8.00 di mattina e sul balcone c’è già fermento. Margherita: Buongiorno Rosa. Rosa: Buon
giorno Margherita. Come và? Margherita: Bene grazie anche se stamattina mi fa un po’ male la
corolla. Rosa: Buongiorno Violetta, e lei come sta? Violetta: Diciamo bene. Oggi fa molto caldo ed
avrei un po’ sete. La signora ieri sera si è dimenticata di darmi dell’acqua. Rosa: E come mai? A me
ha dato anche le vitamine! Violetta: E che ne so? Sarà innamorata che si dimentica le cose. Rosa:
Mi sa che hai proprio ragione, in questi giorni è proprio sbadata. Pensa che ieri l’ho vista dare due
volte l’acqua alla succulenta. Succulenta: Eh già….il problema è che se continua così mi uccide!
Violetta: Poverina, proprio a lei che non deve annaffiare quasi mai. Rosa: Buongiorno Ibisco.
Ibisco: Buongiorno Rosa. Come siamo pimpanti stamattina. Noi invece stiamo sfiorendo
mannaggia. Zzzzzzzzzzzzzzzz Rosa: Buon giorno Ape Regina, qual buon vento? Ape: E’ una bella
giornata oggi, avevo voglia di farmi un giretto e sgranchire le zampe. Ho faticato tantissimo per
deporre le uova…..Attenzione però perché oggi mi girano le antenne e potrei pungere! Rosa,
Margherita e Violetta: Ahahahaha Calendula: Vieni da me mia cara così ti nutri un po’ del mio
nettare dolce e profumato. Frrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr Rosa: Buon giorno signora Farfalla. Farfalla:
Buongiorno Rosa, buongiorno a tutti bei fiori. Stamattina vado di fretta che c’è un bel farfallone
posato sul balcone che emana un profumo che non ti dico…….mmmmmm. Rosa, Violetta e
Margherita: Ahahaha buongustaia. Rosa: Avete visto che bella che è? E che colori!! Violetta: E ti
credo! Oggi è tutta firmata Hermes.
GERTRUDE JEKYLL
429
di Biancarosa Garolla
"Ti proibisco di posarti su Gertrude!" Ha uno scatto tremulo l'apina, piccola piccola ai suoi primi
voli: "Perché no? Ha un profumo dolce ed é così generosa e materna nel porgersi al mio appetito."
"La detesto, é appena arrivata, bella e grassa da Orticola; i rami spalancati in ogni direzione, tutta
un fiore! ....e tutti la ammirano!" E' rosso di rabbia e furore il giovane Amaryllis, i suoi fiori
spalancati urlano in direzione di tutti i quattro segni cardinali. "Io sono arrivato in questo giardino in
un cartoccio, un duro grosso seme bitorzoluto. Da sotto questa terra é spuntato il mio naso verde,
tutte le mattine gli occhi sgranati della nostra dama giardiniera correvano curiosi a scrutare i miei
regali; un fusto adolescente dritto e fiero, poi un primo fiore grande, largo come la testa di un
bimbo, poi un altro opposto, infine una grande croce rossa di vita! E....sì, io me ne starò qui più
giorni a mostrarmi in questo fulgore, e quando appassirò, perché una pausa per tanto sforzo dovrò
pur prendermela, dirò -ciao carini...alla prossima!- mentre lei che si vanta di un nome e cognome,
Gertrude Jekyll; é arrivata già tutta agghindata a rubare la scena... la vanitosa!, e magari tra due o
tre mesi avrà i vermi! ahh..ahh". "Senti signor seme bitorzoluto!" - Un coro di tre piccole Dalie, una
gialla una rosa e un'ultima violetta, girano il capo verso il focoso Amaryllis.- "Non spaventare la
giovane ape e non essere invidioso.... Gertrude, per quel suo profumo sofisticato e intenso, é stata
scelta tra le belle alla mostra di Orticola mentre di te e di noi é stato comprato solo un seme; a noi la
giovane giardiniera ha donato tutte le sue attenzioni, le sue speranze, i suoi i giorni, a noi ha donato
l'amore! Siamo i più fortunati non credi?" Una folata di vento improvvisa e nervosa muove una
nuvola....tutti zittiscono e guardano il sole....
Mangiatrice di insetti
430
di Eva Maria Malchiodi
Povera me, dove sono finita...dalla foresta pluviale del Borneo, in una città medioevale che si
chiama Bobbio, in questo piccolo giardino un po' selvatico. Mi hanno messa in un cortile dove sono
circondata da mille fiori che non conosco. Anzi no, riconosco un bellissimo ibisco con due grandi
fiori rossi, sapete che il fiore dell'ibisco é dedicato alla dea Kalì? Vicino c'é anche una piccola
palma, che sta crescendo felicemente. Non sono così sola come credevo di essere. Ciao palma. Io
mi chiamo Nepenthes Spathulata. Sono una mangiatrice di insetti. Le sei grandi sacche che pendono
dalle mie foglie hanno in cima un cappuccio con un buon profumo, così io posso attrarre gli insetti
che poi cadono in un mio speciale miscuglio di liquido che li digerisce. Non sono cattiva, sono nata
così. Ma guarda! Ci sono molti insetti qui, é una vera invasione, perfino una zanzara tigre. Che
felicità! C'é un merlo che per cercare i suoi vermi ha l'abitudine di buttar via le piccole schegge di
legno che mantengono umido il mio terreno. E' venuto anche oggi. Per favore, lasciami in pace,
devo tenere l'umido, altrimenti soffro troppo. Invece, ho fatto amicizia con le lumache. In questo
giardino ce ne sono tante. Tutto sommato nonostante il merlo non sto male, mi sto integrando
benissimo, e viviamo tutti insieme in gran compagnia. Dietro di me vedo un giardino lungo e
stretto. C'é una signora grassottella che mi sta guardando con curiosità e ha in mano uno strano
oggetto che sembra un lunghissimo serpente. Oh oh, da questo strano oggetto sta uscendo
dell'acqua! Me ne sto godendo ogni goccia. Io sono una bellissima femmina. Ma non pensano così
le api perché i miei fiori non hanno profumo e per loro sono brutti. Così le api non sono attratte a
me. Perciò ieri é venuto un uomo a impollinare i miei fiori con i fiori maschi. Chissà se riuscirò a
fare dei semi? Così un altr'anno avrò sorelle o fratelli? N.S.
Caro diario, quella che segue è la cronaca del mio ritorno a casa: nel giardino del signor Danker.
“Ciao, forse non ti ricordi di me, sono Grazia, il bocciolo che tardava a nascere”, sento una voce
graziosa che si alza dal basso. Mi avvicino e noto una rosa rossa, infinitamente bella. “Ciao”,
rispondo allegramente, “come sei cresciuta e come sei diventata bella” Grazia non risponde,
abbassa solo il capo morbido e ondulato sommessamente. Dopo un attimo di silenzio,
improvvisamente, quella boccuccia color di rosa inizia a cantare : “ e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose.” Il mio amico Salice interviene, con la sua voce catarrosa -
fuma le cicche non ancora spente che cadono ai suoi piedi - e, innervosito, dice: “Che maledetta sia
la mia malinconia, da quando ho cantato la canzone di Marinella, Grazia non fa che deprimersi
pensando alla sua vita effimera”. La statua Apollo interviene: “Beata te, io è da secoli che vivo e
non conosco la mortalità. Se solo sapessi che dovessi morire, sicuramente farei le cose che non ho
mai fatto. Magari se andassi in un museo incontrerei statue della mia generazione. Ricordo ancora
quando Cesare passava ogni giorno sotto i miei piedi...” “L'immortalità ti ha reso pateticamente
nostalgico” dice Squitti, una foglia che ancora non si stacca dal suo albero. “Essere immortali” dice
“è noioso solo se si vive da tali” Mi sento in dovere di rispondere: “Ma cosa dici Squitti? tu sei
mortale e vivi da immortale. Ancora non hai il coraggio di volare via.” “Vedi”, afferma
placidamente, “c'è una netta differenza tra me e te. Io sono schiava del destino, tu no. Io per
muovermi devo aspettare il soffio del vento che può portarmi in una reggia come in un porcile. Tu,
se capiti in un porcile, è perché le tue ali lo hanno voluto. Inoltre, nessuno mi amerà fuori di qui, mi
considereranno un' orfana senza nome, Non c'è foglia senza albero". Dopo queste parole mi
congedo, stanca e felice. Tua Farfalla
Bianco Margherita
432
di Isabella Maroni
Eppure erano due margherite bianche coi loro petali lunghi e fini, le foglioline screziate, i pistilli
piumosi. Uguali? No. Della stessa qualità di fiori, sì. Le radici erano nella terra. Le divideva un
vetro. Un vetro di serra. Si occhieggiavano. Quanti fiori nella serra! Opulenti, lussureggianti,
colorati, piante rare rosse, gialle, variopinte...e da un lato (il seme!) una margherita cresciuta nella
terra, al limite del vetro. E l'altra fuori, sai, subito fuori. "Ma tu conosci quei profumi del mattino,
quando l'aria è sempre più chiara e comincio ad aprire i miei petali - guardami- tu che li hai ancora
chiusi e gocce umidicce colano davanti a te, non puoi vedere il sole, sentire l'aria tersa, la vita! Io
me ne sto allo sbaraglio ed ecco, vedi, adesso ho aperto tutti i miei petali e forse tra poco un'ape
verrà per trasformarmi in miele... Mi brucia il sole e di notte avrò freddo. Certo tra poco tu
guarderai fuori e non mi vedrai... Il sole, il cielo, l'aria, la notte... Ho guardato a pieni occhi la luce,
ho abbracciato tutto col mio amore, ho cantato con gli uccelli, ho pianto nell'esser qui sola, ho
chinato il capo e sono morta."
Il giardino Africano
433
di Giorgia Battaglia
Al villaggio in questa stagione di notte e all’alba l’aria è sempre frizzante e questa mattina lo è
davvero. Il tutto è ricoperto da un leggero strato di rugiada che brilla ai raggi del sole troppo pigro
per vegliare su questa terra. Il makuti delle capanne ospitano gli insetti per i quali è ancora troppo
presto per ronzare sui fiori dei giardini privati degli uomini bianchi, quelli recintati da grosse
palizzate in roccia e legno dalle quali è praticamente impossibile vedere all’interno. Rama, come
tutte le mattine si è alzato di buon’ora ed è andato a casa di Capo per iniziare a sistemare il suo
giardino. Come al solito le palme più alte sono già sveglie e loro, che hanno la fortuna di ammirare
l’intero villaggio, fanno passa parola con quelle più basse sui primi fatti del giorno. Le farfalle più
laboriose non perdono tempo per cibarsi del nettare dei cespugli fioriti. Al rumore di quelle
chiacchiere trasportate dal fresco venticello mattutino, il giardino africano più bello del villaggio si
desta dal suo sonno di bellezza. Alla luce tiepida del sole i fiori di ibiscus si aprono elegantemente
mentre gli insetti più piccoli si abbeverano con le gocce di rugiada contenute al loro interno. L’aloe
più grande dispiega le sue toniche foglie. Quella è tra le più anziane piante del giardino, assieme
alle palme che sono state potate e curate da generazioni intere, ma il più vecchio di tutti è l’albero di
baobab cresciuto all’alba dei tempi proprio dove un giorno, sotto uno dei suoi rami più grossi e
bitorzoluti, Capo costruì il suo giardino, diventando così mio vicino. Ogni giorno, da quando il sole
è sorto la prima volta, le piante iniziano il loro rituale quotidiano, quasi una danza per asciugarsi
dalle gocce. Ora il vento mi culla e interrompe il mio pensiero. Perdo la cognizione del tempo ed è
già ora di lasciare il mio posto a colei che verrà. Un’altra foglia, ammirerà il giardino e di notte
sognerà la mattina seguente per poterlo vedere ancora.
Aldilà di un giardino
434
di Rosalba Savino
“Buongiorno miei cari oggi ci sarà un gran trambusto! Non dormite! Fatemi compagnia!”“Buondì
che succede? Chi t’ha svegliato?”“Chi ha parlato? Non ti vedo! Dove sei?”“Sono nell’aiuola del
giardino riparata dalla tua ombra”“Ah Asor ti vedo bene! Mi ha svegliato il sole qualcuno mi ha
solleticato sulle radici e ho chiesto compagnia”“Ho capito bene Orebla ma lo sai che sono la prima
dopo di te che si sveglia se sente il gran fermento di cui parli?”“Scusami ma penso che sai che
giorno è oggi ci dobbiamo preparare è già troppo tardi per scappare”“Come mai dici di scappare?
Qui sto proprio bene c’è tutto quello che mi serve”“Asor oggi costruiranno l’Autats raffigurante
l’Arutan come dice la parola stessa è tutto il contrario della nostra cara mamma natura!”“Oh no!
Che ne sarà di noi?”“Lo senti anche tu questo pizzicore?”“No sei più sensibile di me a quanto
pare!”“Tranquilla so chi si diverte sul mio tronco Allafraf fai attenzione!”“Era ora! Ti sei accorto
anche di me! Io non mi preoccuperei troppo dell’Autats se davvero raffigura la natura rispetterà
l’ambiente rimarrete tutti qui al proprio posto non avrebbe senso se vi sostituissero con una
statua”“Ma Allafraf perché non ti senti partecipe di noi?”“Perché io vado e vengo sono libera di
volare di andare dove voglio non ho le mie radici qui”“Davvero? Puoi andare via se vuoi! Non
tratterrò più il vento che spazza via i tuoi bruchi!”“Non ti offendere Orebla guarda chi si stacca da
te? Eppure le hai dato vita ora è libera di volare come me!”“No! Ailgof! Non ti dividere da
Orebla!”“Figlie mie siate forti resistete! Così vedrete anche voi l’Autats”“Papà! Noi non vogliamo
separarci da te! Siamo costrette fa parte della nostra esistenza morire prima del proprio padre per te
diamo la vita con piacere non credere a Allafraf non siamo libere e sentiamo le tue radici guardaci!
Non andiamo oltre la tua ombra siamo qui!”“Osservate! Li sentite gli uomini?”In coro s’alzarono e
sentirono l’Autats dire:“Sono arrivata!" Mai più come prima!
La fontana se ne stava lì sempre in disparte, al centro di tutto, al centro del mondo, quel mondo fatto
di profumi, colori, farfalle svolazzanti ed uccellini canterini. Lei lì immobile nella sua regalità. Era
al centro di tutto eppure sembrava che nessuno si accorgesse di lei, sempre comunque distante da
quello che succedeva in quel magnifico giardino. Sembrava che tutti avessero una connessione tra
loro, gli alberi che coccolavano le loro foglie le nutrivano, che davano riparo ai nuovi nati degli
uccellini. Le farfalle che si spostavano da un fiore all'altro contribuendo così alla rinascita e alla
durata di quei magnifici esemplari. Avevano tutti i colori del mondo, tutti i profumi conosciuti e
tutti lì potevano godere di queste bellezze. Tutti lì potevano godere dei regali degli altri. tranne lei,
lei lì con quel suo triste colore grigio, senza profumo, senza vita, avrebbe dato qualsiasi cosa per
stare in mezzo agli altri, ma il suo ruolo era stare al centro di tutto. Lei era al centro di tutto, ma in
realtà nessuno si accorgeva di lei, in realtà lei era confinata nella sua solitudine. Fino al giorno in
cui per sbaglio un piccolo di una nuova nidiata si posò su lei e cominciò a bere della sua acqua
fresca. . "non puoi stare lì, verrai scacciato malamente, farà zampillare l'acqua così alta che
affogherai, lei è la regina, passerai dei guai". Il piccolo sentì all'unisono questo avvertimento che
arrivava da tutte le parti. Le farfalle terrorizzate chiusero le ali e rimasero immobili. Le foglie non si
muovevano più e sembrava che si aggrappassero ancora di più ai loro alberi. Tutto intorno fu
silenzio. Ma "la regina" stanca della sua solitudine, invece di far zampillare l'acqua in un alto getto,
la fece scorrere delicatamente sulle ali del piccolo, quasi ad accarezzarlo, rinfrescandolo e
dissetandolo. Fu il primo giorno di una nuova vita per tutti, regina in testa, Ora tutti si rinfrescavano
e si dissetavano da lei. Finalmente si sentiva davvero al centro del mondo
La quercia racconta...
436
di Enrichetta Giornelli
Il mio animo, concentrato nel suo silenzio, sta percependo i moti nascosti che pulsano nel cuore
della natura con cui instaura un misterioso colloquio estraneo al codice umano. Mi immergo nella
frescura delle mie fronde che celano antiche memorie non ancora dissolte nell’ oblio del tempo. E’
una sequenza di immagini frammentate nell’ affresco di una vita, tra voli chiassosi di rondini e
sguardi furtivi di amanti. La carezza di un’ esile brezza sveglia i novelli nidi, testimoni di questo
scorrere nel tempo degli impulsi vitali che poi saranno preda della caducità terrena… Mi sporgo
oltre le mura di pietra e ascolto il messaggio degli alti arbusti di mirto, piante sacre che celebrano la
perenne grandezza di un’ antica civiltà. Fremo di fronte ai sospiri esalati dalle membra marmoree
delle statue, diafane ninfe dallo sguardo attonito e sognante di cui seguo le mitiche narrazioni velate
di pianto… Anche questo afoso meriggio estivo sta volgendo alla fine… Cala lentamente la sera
indugiando sulle cime dei cipressi, solitari interpreti di quei versi che resero immortale il valore
della poesia… Parole eterne risuonano oltre la linea dell’ orizzonte dove le mie fronde assorbono i
rossi toni del tramonto. Ormai le tenebre stanno diffondendo nel giardino ombre di misteriose
sagome da cui noi, creature vegetali, ci difendiamo, unendoci in un forte e solidale legame. Insieme
ci affidiamo all’ infinito spazio del cielo che accende, nei foschi percorsi, una moltitudine di
luminose lanterne…
Un melo d'eccezione
437
di Silvia Roggero
Sono un melo, ma non un melo qualunque: sono il melo del giardino per antonomasia, il Giardino
dell’Eden. Uno sente la parola “Eden” e subito immagina un luogo paradisiaco, e senza dubbio lo è,
ma dall’arrivo di quei due esemplari di esseri umani la vita per me non è più così idilliaca. Mi
impegno ogni anno per produrre mele bellissime e succose (ma non rosse: il colore rosso è stato
inventato da voi umani perché visivamente più di impatto, in realtà i miei frutti sono della varietà
golden) e poi queste vengono chiamate frutti del peccato… È davvero frustrante. Alla mela
(nemmeno edibile, per di più!) che ha scatenato una guerra lunghissima e sanguinosa come quella di
Troia viene affibbiato solo il nomignolo di “pomo della discordia”, mentre i miei dolci e
commestibili frutti dovranno perennemente essere ricordati come del peccato? No signori miei, non
mi sembra affatto giusto! Qualcuno potrebbe dire che prima di essere peccaminosi i miei frutti
erano “solo” proibiti e che è a causa dell’ingordigia o sventatezza – difficile a dirsi - di quella donna
coi capelli lunghi e mori (non biondi: un altro colpo alle vostre certezze iconografiche, vero?) che
quella mia famosa o, meglio, famigerata mela è divenuta frutto del peccato. Onestamente: vi sembra
che anche il termine “proibito” trasmetta un messaggio positivo? Nulla da fare, la mia esistenza è
un paradosso: nascere nel luogo perfetto, ma con la condanna ad essere collegato per sempre ad un
avvenimento tanto infausto. Nonostante tutto, però, come si diceva all’inizio non posso non
ammettere che l’Eden sia davvero un posto magico. Talmente incantevole che da quando voi
uomini ne siete stati banditi non fate altro che cercare di ricrearlo sulla terra: per quanto vi sforziate
e per quanto bravi siano i vostri giardinieri, però, non potrete mai raggiungere un tale livello di
perfezione. Allora mi tengo stretti i miei frutti proibiti e peccaminosi e mi godo IL giardino per
definizione, in tutto il suo splendore!
Mi arrampico, mi inerpico, mi insinuo nei meandri più impervi ed impossibili. Sono fuxia, arancio,
rosso porpora, bianco perla… sono una buganvillea: ho mille fiori, docili ma appariscenti. Amo il
mare, il caldo e dove ci sono io, sembra subito estate. E’ vero, sono un po’ esibizionista: mi faccio
notare per i miei colori sgargianti che irrompono tra la macchia mediterranea. Tutti mi guardano, mi
ammirano mentre io sto lì ad osservare loro che, inebetiti, mi strappano i petali per sentire io mio
odore evanescente. Adoro i muri ed, infatti, spesso mi appoggio a loro per sostenermi e li ricambio,
adornandoli ed abbellendoli; li rendo splendidi. Sono come un arazzo vivente: un esplosione di
colore che fa sgranare gli occhi alla gente. Sono forte e robusta e, spesso, quando mi guardo un po’
in giro, sento di essere la più bella. Sempre splendida ed in forma, alta, snella e con un manto di
rametti floreali che abbracciano docilmente tutto ciò su cui si posano. Adoro i mesi di giugno,
luglio, agosto e settembre; è solo in quel periodo, infatti, che do il meglio di me. Sono povera ma
bella. Non sono preziosa ed, infatti, costo poco ed è pur vero che non sono importante; infatti, non
mi “usano” per creare addobbi chic o profumi costosi e neanche come elisir di creme miracolose.
Eppure, sono la regina di tutti i giardini più rigogliosi. Ah, sì, è proprio vero! Sono bella, bella! A
volte, sembro un fuoco d’artificio: strepitosamente meravigliosa! Perennemente in fiore per tutta
l’estate e sfiorisco solo ai primi freddi, quando tutti vanno in letargo, compreso la vita che diventa
più sonnacchiosa sul farsi dell’inverno. E, così, anch’io mi riposo: le mie foglie cadono ma la mia
tempra resta indomabilmente tenace ed ai primi bagliori primaverili, quando l’aria comincia a
profumarsi ed il caldo a baciare nuovamente le mie radici, eccomi che mi preparo per foggiare un
abito ancora più incantevole. Adoro nascere e rinascere. Amo la vita. Sono una buganvillea e tutti
mi invidiano!
Gli occhi della piccola lepre scrutavano in lontananza il sole scendere verso i colli bagnando di
delicati colori, dal giallo più dolce all'arancione più intenso, tutto quel giardino naturale. Il leprotto
se ne stava in mezzo a un cespuglio di rose dal color cremisi che sembravano voler attirare
l’attenzione riflettendo la luce su piccole gocce d’acqua. Un venticello estivo sussurrava i suoi tanti
racconti antichi attraverso i rami di un vecchio salice, sul quale si poteva scorgere un picchio dalla
testa rossa crogiolarsi in quegli ultimi istanti di calore prima di rifugiarsi nel suo nido. Il bramito di
un maestoso cervo dalle imponenti impalcature, che richiamava il branco verso quel giardino
naturale, attirò l’attenzione di un’allodola interrompendone il canto. Attraverso i rami frondosi di
una quercia filtrava la debole luce del tramonto che racchiudeva tutta la magia di un sogno e i cui i
pulviscoli sembravano ballare una danza tutta loro. La luce sparì. Ed è in quel momento che tutto
cessò, solo per riprendere in modo più potente attraverso gli occhi saggi di un gufo il cui piumaggio
grigio mandava riflessi alla luna. La luna, ormai padrona della notte, se ne stava più in alto del falco
che tornava verso il nido sotto il suo sguardo vigile e costante, guidandolo con la sua luce. Nei
cespugli si aprivano le regine della notte rivelando la loro candida purezza; le campanelle notturne e
i gelsomini profumavano l’aria con una fragranza intensa e dolce che inebriava i sensi. Ormai il
vento non cantava più le sue canzoni in solitudine, i grilli facevano il coro. Le lucciole nel giardino
sembravano danzare come tenui fiamme di candele oscillanti a ogni colpo d’aria. Sul prato
qualcuno doveva aver abbandonato il suo orologio da taschino, le cui lancette segnavano la
mezzanotte riflettendo la luce dei raggi della prima luna piena di una notte d’estate.
- Mi presento: sono, quel che si dice, il crollo di un mito. Mi costringono a restare fermo, con un
braccio mezzo mozzato e semirigido, con quel che resta dei miei attributi rimasti esposti, butterati
dal tempo, corroso dalla pioggia acida, pieno di folto muschio ovunque, proprio io, che avevo, in
realtà, muscoli poderosi, doti superbe, petto glabro e tante battaglie vinte... finché qualcuno, seduto
su una poltroncina, in un ufficio di una soprintendenza, si accorgerà di me, grazie ad una carta di
segnalazione sotto molte altre e darà il benestare per rimettermi sugli allori o quantomeno
restaurarmi alla meno peggio. E darmi il vigore di un tempo. Per fortuna ci sei tu, meravigliosa e
fascinosa magnolia storica dall'intramontabile eleganza. Che tenti di proteggere il mio marmo
statuario, con l'ombra delle tue lucide foglie, inebri il mio naso polveroso, con il profumo intenso di
quei bianchi fiori a cupoletta. Tenti di farmi da scudo, solleticandomi mossa dal vento. Ci facciamo
compagnia, io e te, in mezzo ad un giardino fantasma, trasformato in cortile-garage di una villa
primi novecento di una città qualunque. Unico tono di verde in una città grigia qualunque. Tu e il
mio muschio. - - Ti sostengo, essere buffo creato dall'uomo, con le mie profonde radici incastrate e
scalpitanti, tra asfalto e impalcature. In cambio dei tuoi racconti di imprese, che ogni tanto gonfi un
po'... E ogni tanto, si aprono le finestre, di buon legno, della villa, che fortunatamente è custode di
libri. Una biblioteca... Ed i libri escono per noi, raccontandoci segreti di un tempo, paesaggi di un
tempo, sfrusciando carte e colori a noi conosciuti, suggerendo poesie, racconti, storia, viaggi. Per
farci sognare. Un ritorno alla natura. A quel che era. A quel che è perso. A quello che gli uomini,
ora tenterebbero di salvare. Le stelle ridono con noi. Della nostra lotta per difendere bellezza e
natura. Loro, sempre spiritose e vivaci, fortunate perché fanno parte del cielo. E brillano ancora
Il prato dall'alto
441
di Simona Marelli
Mi arrampico a fatica verso la vetta. Mi hanno detto che da lassù si vede il panorama. Ho scelto
questo filo d'erba perché mi sembra il più robusto. Ho sondato una buona parte di prato prima di
scegliere questo filo. Ne ho trovati alcuni troppo curvi, altri un po' esili e altri ancora tagliati o
troppo bassi. Non andavano bene. Questo filo d'erba, invece, è quello giusto. Prima di cominciare
l'ascesa, ho provato a smuoverlo con il mio musetto. Non si è mosso e mi è sembrato anche
sufficientemente ampio da contenere il mio corpo e abbastanza robusto da sostenere l'oscillazione
del mio ampio dorso. E così ho cominciato l'arrampicata, decisamente a novanta gradi con il
terreno. Sto puntando verso l'alto, muovendo le mie quattro zampette. Non ho paura perché ho
sempre le ali. La mia mamma mi ha sempre detto di utilizzare le ali quando sento odore di pericolo,
per cui sono tranquilla. Sto salendo sempre di più verso l'alto, ormai ho quasi raggiunto la vetta.
Provo a guardare sotto ma in realtà soffro un po' di vertigini, per cui preferisco non farlo fino a
quando non sono in cima. Non vorrei spaventarmi e aprire le ali in un riflesso condizionato. Salgo
ancora, sento il fiatone farsi più grosso e le zampette dolermi. Ce l'ho quasi fatta, ancora due passi
e... Oooh. Apro la bocca meravigliata. Vedo tutto il prato dall'alto, come se sotto di me ci fosse un
immenso tappeto verde, che si muove danzando, seguendo i refoli di vento. E' bellissimo. Persa
nella contemplazione mi accorgo tardi che ora anche il mio filo d'erba si muove, piegandosi di
colpo verso destra e io mi ritrovo in volo, senza neanche accorgermi. Ma sono piccola, e le mie ali
non sono ancora così forti da sostenermi per molto tempo. Cerco di calarmi piano verso terra, ma
sto soffrendo, perché ora non vedo più quel meraviglioso tappeto, ci sono di nuovo finita in mezzo.
Le mie zampette riescono a toccare terra in una piccola radura muschiata che attutisce l'atterraggio.
Com'è bello essere una coccinella...
-Ah, l’acqua! Eccola finalmente che cade a piccoli sorsi sulle nostre foglie! L’hai sentita? – Eh già,
è da un po’di tempo che da lontano, dal mare, arriva un borbottio carico di pioggia. Hai sentito ieri
sera che vento? Le nuvole si sono mosse ed erano lune che le aspettavamo! -Ah che bella che pura
sulle mie foglie! Esse erano ricoperte di polvere, le radici asciutte e la terra, la terra, l’hai sentita ?
Era polvere, polvere di deserto che spazzata via dal vento correva lontano, ora si imbeve fino a
creare rivoli che scendono e colano facendosi strada lungo i declivi. -Che refrigerio, che vita che ci
arriva! Sento riprendere in me la linfa vitale che mi attraversa, è come un brivido, un formicolio
sotto la corteccia, tutto sembra che si distenda: le fibre sottili delle foglie, le membrane che si
rilassano mi regalano questa sensazione di piacere, mi allungo a cercare più pioggia ancora più
pioggia.. -E hai sentito? Finalmente possiamo dare inizio alla nostra magia di profumi e di colori. -Il
primo a farsi sentire è, come sempre, il pino col suo fresco resinoso, poi arrivano i cipressi, il mirto,
amarognolo e aromatico, ed è la volta dei corbezzoli, delle pimpinelle e sotto, proprio sotto, i
muschi e le felci che si riprendono dall’arsura e si accordano al caprifoglio, ai legni dei lecci e delle
querce. Tutto danza al dolce ritmo della brezza marina, lei mescola e rimescola le essenze le fa
sentire a una ad una, più intensa, meno intensa, le accende, le spegne, come un direttore di orchestra
che gioca sulle note dei profumi. Finalmente l’acqua, la nostra acqua in questo giardino affacciato
sulle coste del Mediterraneo.
Ha, Ha, Ha….. “Chi sarà che se la ride in questo modo?” pensano gli alberi tra loro. Nel paese di
Scompiglio tutti gli alberi hanno un nome. “Ma Spazzola…cosa hai tanto da ridere oggi? Fai un
baccano tremendo” “Il vento che mi soffia tra le foglie mi fa il solletico” dice Spazzola mentre
starnutisce sollevando una nuvola di moscerini. “A me invece mette a soqquadro la chioma. Non lo
sopporto proprio il vento” dice Balsamo che si sta sistemando tutti i rami più bassi in bell’ordine.
“A me invece il vento fa un po’ paura” si sente dire da una timida vocina. Tutti gli alberi girano lo
sguardo verso Soffio, un giovane pino ancora fragile ma con tanta voglia di diventare grande e
robusto. “Paura?” dicono tutti in coro. “E perché mai il vento ti fa paura??” dice la voce di
Corteccia che si trova dalla parte più esposta alle correnti. “Il vento è un amico per noi” sorride
Balsamo. “Spazza via tutto e ci tiene puliti i rami e i tronchi.” A quelle parole gli alberi sembrano
acquetarsi e tornano ai loro pensieri. Ma Soffio ricomincia. “A me il vento fa un po’ paura per le
foglioline verdi appena nate. Sono giovani, tenere e fresche. Temono le correnti d’aria.” A quelle
parole la lucertola dispettosa non riesce a trattenere una forte risata e parte con una serie di cento
starnuti, tutti in direzione di Soffio. “Ha, Ha, adesso sono io che ridooooo” dice la lucertola. “Hai
paura anche dei miei starnuti?” Intanto mille formiche, che hanno assistito al battibecco, iniziano a
salire sul tronco di Soffio che, poveretto, sente un prurito tremendo. “La situazione è di gran
trambusto…” All’improvviso la voce di Corteccia risuona per tutta la valle. “Adesso basta. Siete
forse diventati tutti matti?? Ma come vi viene in mente di prendere in giro il povero Soffio, piccolo
e gracile com’è. Chiedetegli scusa. Subito!!!” Gli alberi capiscono che non c’è scampo e senza dire
una parola chinano le fronde in segno di perdono. “Grazie Corteccia per essermi venuto in
soccorso.”
Podarcis muralis
444
di Michela Buonaguro
Se guardi con occhi attenti puoi vedermi che timida mi faccio strada tra le pieghe del vecchio
muretto di sasso. Sono pietre antiche, come me, e come me amano arroventarsi ai raggi del sole.
Ecco, è l'ora più calda del giorno , non un fiato di vento a muovere i rami più alti, non un rumore.
Tutto si riposa sotto il peso dell'estate, e per me è il momento di rubare un po di luce e di calore.
Conosco uno per uno i mattoni del tuo giardino, so qual è quello che in quest'ora del pomeriggio mi
aspetta, liscio e rovente, per riscaldarmi. Tiro fuori la testa, la luce è abbagliante, ma io so dove
andare , appena a destra e poi su ; qualche colpo di coda e ci sono..... Tutto è sempre uguale, eppure
ogni giorno diverso; di fronte il grosso cespuglio di rose si è vestito di nuove corolle, e più in là,
nell'aiuola di mattoni , le tue dalie si spingono verso l'alto coi loro petali gialli e arancioni . Questo è
il mio posto ; e il mio universo, così ristretto al tuo sguardo, mi regala ogni giorno avventure nuove
: un ape che ronza ubriaca di polline, il picchio che instancabile lavora sul tronco che ha scelto, il
volo di un fringuello che veloce attraversa il boschetto.... Io sono qui, sul mattone rosso , e non mi
muovo. RIscaldo tutto il mio lungo e freddo corpo, giù fino alla coda sottile, , immobile assorbo la
luce, i colori , la musica dell'estate . Presto le foglie perderanno il loro brillare , i giorni la loro afa
rovente . Non mi vedrai più strisciare leggera tra le foglie, né correre a rubare una goccia d'acqua
dalla piccola vasca di cemento..... sarò giù , nel buio freddo della mia tana. Chiuderò gli occhi, il
mio cuore comincerà a rallentare.... e nel sonno lungo dell' inverno tornerò sul mattone rovente a
riempirmi di meraviglia, di luce, di sole.
C'era una volta in un paese lontano un giardino incantato ma non il solito giardino fatato di cui si
legge nelle fiabe, un giardino speciale perchè al suo interno vi viveva un'allegra combriccola
composta da: un albero che voleva diventare una rock star, una foglia che voleva scalare l'Everest,
una rosa che voleva vivere nei giardini di Versailles, una farfalla che voleva girare il mondo ed una
statua convinta di diventare modella. Ogni giorno questi strani personaggi si riunivano al centro del
giardino e stavano lì per ore a fantasticare dei loro sogni. L'albero ripeteva sempre: " Un giorno
diventerò una vera rock star e mi esibirò in tutti i palchi più famosi del mondo e avrò un mucchio di
fans che mi adoreranno!" La foglia controbatteva: " Quando scalerò l'Everest, tutte le foglie del
mondo mi ammireranno e diverrò la foglia più famosa del mondo!" La rosa dal canto suo diceva
con fermezza : "Non so quando ma sono sicura che un giorno non lontano, vivrò nei giardini di
Versailles, tra le rose più belle al mondo e sarò l'invidia di tutte le mie colleghe rose!" La farfalla,
svolazzando qua e là, si vantava che a breve avrebbe intrapreso il viaggio più lungo della sua vita: il
giro del mondo. Infine la statua non si stancava di ripetere e ripetersi che sarebbe diventata la
modella più bella di tutti i tempi, meglio di Naomi Campbell. Tutti e cinque stavano fino a notte
fonda a parlare e riparlare di quello che avrebbero fatto, di come lo avrebbero fatto e di quando lo
avrebbero fatto. Erano così certi che avrebbero realizzato i loro sogni che neanche per un secondo
pensavano di poter fallire. Tutti e cinque avevano in comune una caratteristica: credevano in se
stessi e nelle loro potenzialità. Non si sarebbero fatti scoraggiare da niente e da nessuno e avrebbero
lottato fino alla fine per perseguire il loro obiettivo. Ovviamente erano consapevoli del fatto che non
sarebbe stato facile ma nonostante ciò avevano la speranza nel cuore di potercela fare.
Su li tetti de Roma
446
di Loretta Perquoti
Certo che da quassù Roma è proprio bella! De sera poi co la luna… oh scusate me presento! So er
dente de leone, ma me potete chiamà pure pisciacane, tanto a Roma me chiamano tutti così. Sì,
avete capito bene, so quer margheritone giallo che infesta la campagna romana. Come so finito fin
quassù nun lo so, ma tra le fessure der cornicione de sto palazzo ce sto da dio. Scusateme ‘r dialetto,
ma parlo solo quello. L’italiano però lo capisco bene grazie ar Sor Nicola. Sì, ‘r Sor Nicola! Quer
vecchietto co la radio tenuta sempre alta, sordo come ‘na campana, co le finestre proprio sotto ‘r
cornicione, sempre aperte pe via dell’asma! Così noi quassù ce sentimo tutti li comunicati: Io, li fili
der bucato, li piccioni… L’altra sera però c’è arrivata ‘na notizia da brivido. Pare che sta zona, qui
vicino ar Colosseo, pe' volontà der regime, de quelli insomma che commannano, ha da venì giù
tutta. Basta vicoli, case, botteghe... un pezzo de storia che se ne va dar core grande de sta città! De
contro sorgerà ‘na gran via, ‘na cosa importante, trionfale, che a corpo d’occhio te deve fa capì la
grandezza de Roma. Semo ner ’39, er progresso avanza e dovemo sloggià. Pure la signorina Vittoria
co Renatino, che spesso sargono fin quassù ar terrazzo, commentavano l’evento. Lei è la nipote der
notaro, quello co lo studio al primo piano e lui è ‘r fijo der portiere. Se vonno bene, ma pare che ‘r
nonno de lei nun veda de bon occhio sto legame. Spesso se portano dietro Ulisse, un alano che pare
‘n vitello, e io quanno lo vedo penso: Sta a vede che co sto nome che m’aritrovo e 'r posto ‘n do sto,
c’entra proprio lui! Artro che ‘r semino portato dar vento! E’ sì cari miei preparamise tutti ar gran
volo, arrivano le ruspe! Io però un ultimo desiderio ce l’avrei... vorrei finì sull’altarino della
Madonna cor bambino che sta giù all’incrocio tra Via de li bottari e 'r vicolo cieco. Ce so sempre
tanti fiori profumati e belli e pe 'na vorta tanto vorrei sentimme uno de loro anch’io.
L'opera d'arte
447
di Loretta Perquoti
"Non ne posso più di stare qui appeso alla parete, confinato in una cornice!” disse l’angolo di
giardino ritratto ed esposto in un’importante galleria metropolitana. “Hai proprio ragione!” replicò
il cespuglio che ne faceva parte, "non avverto più nemmeno il mutare delle stagioni, ho sempre lo
stesso aspetto. Non esulto come allora, al ronzare di qualche insetto che si posava o allo sfiorare
timido di qualche lucertola che si rifugiava in me. Le mie bacche non giungeranno mai a
maturazione, come in una promessa fatta e non mantenuta”. “Anche noi piante, fiori, foglie,
creature che animavamo il giardino di quella lontana estate nella quale fummo ritratti, avremmo
tanta voglia di riappropriarci dei nostri profumi, riassaporare il calore del sole, riascoltare gli uccelli
cantare e i bambini gridare correndo festosi tra i viali e le aiuole”. “Ci manca il vento di primavera
che ci lambiva le fronde riuscendo a creare inverosimili melodie, regalandoci poi cieli tersi e
tramonti di fuoco” dissero i pochi alberi dipinti vicino alla cornice che lasciavano immaginare
l’approssimarsi di un bosco. “Ora tutto tace dietro questa patina antica che ci ricopre” continuarono
“e l’unica luce che percepiamo è quella del faro che da lassù ci fissa giorno e notte. Siamo stati
dunque imprigionati? Ingannati? Usati? traditi?”. “ Smettetela di lamentarvi!” intervenne la dama
con l’ombrellino sempre aperto, “Cosa dovrei dire allora io, dipinta di spalle, che non posso
nemmeno guardare in faccia i visitatori? Sento però le loro emozioni,le luci, i profumi, i colori, i
suoni. Le sensazioni che lamentate di aver perduto sono in realtà negli occhi e nel cuore di chi ci
guarda. Rallegriamoci dunque, perché regaliamo emozioni senza tempo, continue, al di sopra della
caducità delle cose terrene. E’ questa la magia dell’opera che ci ha resi immortali e colui che ci ha
ritratti in questo suo giardino di mezza estate ci ha simboleggiati, trasfigurati, rievocati, ma
credetemi mai traditi".
Un fiore blu
448
di Mariacristina Biscioni
Sono molto bella. Anzi bellissima. Sono piccolina e timidissima. Mi nascondo volentieri tra fili
d'erba che sempre sono più alti di me. Non passo inosservata. E' per il mio colore: sfolgorante. Di
un blu speciale, solo il cielo, in certi momenti, ha il mio stesso blu. Vivo in un luogo incantevole,
tra farfalle, coccinelle, api, ruscelli, sassi e grandi silenzi. Vivo molto in alto, dove pochi arrivano, e
chi arriva fin quassù e mi vede così bella, mi ammira, mi ritrae, forse vorrebbe portarmi con se,
perché sono introvabile ed irripetibile. Comunque non mi toccano e mi lasciano stare tra i miei fili
d'erba, perché chi arriva così in alto ha passione e amore anche per noi, fiori, muschi, sassi. Sembro
esile il vento mi piega un pò, la pioggia mi appassisce ma poi basta un raggio di sole e ritorno
bellissima. Mi piace vivere nell'erba morbida e vellutata, ma crescere al riparo di sassi é più
prudente, il sasso mi protegge. Sono forte e resistente e mi piace molto il mio nome: Genziana. Non
tutti lo conoscono il mio nome. Ammirano il mio blu, la mia delicatezza e si stupiscono del posto
impervio dove molte volte mi trovo, ma non sanno come mi chiamo. C'e chi mi passa accanto e non
si accorge che esisto, mi dispiace quando succede. Non accorgersi di me? Con il mio colore?
Impossibile, mi dico. Fin quassù e non si accorgono di me? Ogni tanto ho paura, devo ammetterlo.
Potrebbero strapparmi, mettermi schiacciata fra le pagine di un libro, finire in una ciotola in un
luogo rumoroso, trascurata, sola, bagnata troppo o troppo poco. No, non voglio. Strappata dai miei
prati! Non voglio vivere lontana da qui. Potrei morire. Preferisco essere calpestata da chi non mi
vede. Impossibile non vedermi! Sono troppo blu.
Ricordi di un giardino
449
di Annalisa Raimondi
“Quando sono arrivato qui, il giardino non era certo come è adesso, tutto verde, rigoglioso e
“affollato” di vegetali. Il signor Biagio si era trasferito già da qualche anno nella casa costruita su
una parte di questo terreno e ci viveva con la moglie e le figlie. Una primavera egli decise che c’era
bisogno di un po’ più d’ombra, così andò in un grande vivaio e tornò a casa con me. Avevo già una
decina d’ anni; dal mio fusto alto e possente partivano robusti rami, che in primavera si riempivano
di foglioline d’ un verde tenue, diventando poi, d’estate, verde scuro. Garantivo e garantisco ancor
oggi, anche se sono passati più di settant’ anni, ombra alla famiglia del signor Biagio, che nel
frattempo si è allargata: i bambini sono diventati adulti e a loro volta genitori. Così come si è
allargata la famiglia che abita nella casa, anche la nostra famiglia “vegetale” ha accolto nuovi
individui; andando per ordine, sono arrivati: un pino marittimo, due palme, quattro ortensie rosa e
una bianca, svariati peri e, ultimo arrivato, un giovane melo. Finora io non ho avuto problemi fisici,
anche se d’ inverno, a vedermi tutto spoglio, al signor Biagio e ai vegetali che mi circondano viene
da dire che la linfa non scorrerà più lungo le mie “vene”. Io però penso: “Vedrete, vedrete… a
primavera vi stupirò!”. Infatti tutte le primavere mi risveglio, la linfa torna a scorrere in me e la
clorofilla ancora una volta rende le mie foglioline di un verde brillante. Cominciano a crescere
anche i miei frutti, che da piccoli e verdi, come sono all’inizio dell’estate, s’ ingrandiscono e
passano all’arancione verso settembre, continuano poi a maturare fino a metà ottobre, diventando
grossi e succosi. A quel punto, il signor Biagio, munito di una scala, si arrampica fin quassù e
coglie tutti i cachi pendenti dai miei rami. E…sì, io che vi parlo sono il caco, che da più di settant’
anni risiede in questo giardino!”
Mi chiamano Bella di Notte. Mi accusano di superbia perché non mi mostro alla calda luce del sole
come loro. Di giorno sento opinioni concordi riguardo la volontà dei fiori notturni di isolarsi
durante il giorno. Né io, né gli altri possiamo ribattere. Non ci è concesso dialogare con chi si corica
quando noi diamo il benvenuto alla giornata. - Che poi, dico io, cosa ci sarà mai di bello in quel
cespuglio verde! - Erbaccia, nient’altro che erbaccia! - Non so mai se sia la voce di Giglio o di
Bocca di Leone ad inveire contro di me. Arrivata la sera è la voce di Regina della Notte a
rassicurarci invocando comprensione. - Loro non possono vedere la vostra bellezza e vi
disprezzano. Non fategliene una colpa. - D’altro canto io mi ritengo molto fortunata ad essere un
membro della brigata della notte. Sveglia quando la città e il giardino cambiano atmosfera. Godere
di quei colori che al tramonto si combinano perfettamente per anticipare il profondo blu che ogni
sera si distende su di noi. Inoltre i visitatori notturni del mio giardino sono i migliori, molto più in
gamba dei rumorosi insetti che assaltano i nostri vanitosi rivali. Li sento arrivare veloci e senza
esitazioni, guidati dall'inebriante profumo che liberiamo nell'oscurità. Le falene passano sempre a
trovarmi e salutandole ricordo loro con amore di non avvicinarsi troppo alle lanterne notturne. E poi
gli esseri umani! I più spontanei sono i bambini che si avvicinano talmente tanto ai miei fiori che
rischiano di cadermi in grembo. - Papà ma come si chiama questo fiore profumatissimo? - - E’ la
bella di notte. - - E può ammirare il cielo stellato ogni notte? - Da queste parole capisco che in
fondo Regina della Notte ha ragione. Così iniziamo anche noi a rallegrarci della nostra fortuna. A
burlarci del sole chiamando le stelle per nome. - Ti immagini essere uno di loro? Non sapere
neanche cosa sia una stella! - Mi chiamano Bella di Notte, perché in fondo è la notte a rendermi
tale. A compiere la magia.
Blu Giverny
451
di Francesca Bufano
Il cielo si tinge lentamente dello stesso blu intenso che colora i miei petali, e capisco che la mia
dolce amica Luna sta per fare capolino da dietro le nuvole. Il sole difficilmente visita quest’ angolo,
strenuamente difeso dagli anziani salici piangenti che, stretti l’uno all’ altro, dopo un lavoro durato
secoli hanno creato una casa sicura per tutti noi. I turisti restano stregati dal laghetto con le ninfee
all’ ingresso, dal ponticello verde foglia e dagli alberi in fiore, e vi si soffermano così a lungo da
dimenticarsi del frammento blu di noi Iris nascosto qui dietro. E' per questo che io e miei fratelli
mormoriamo agitati nel veder passare un uomo nel sottile strato di terra che ci separa dal
laghetto.Nulla in lui è normale, e lo si percepisce al primo sguardo: è vestito di nero da capo a piedi,
e una lunga barba non lascia scoperto nulla del volto, a parte gli occhi avidi di dettagli. “ E' il pittore
di cui parlano le ninfee!Dicono che sappia catturare la bellezza in ogni cosa che vede… “ Sussurra
il mio vicino..Quando l’uomo si allontana sento che l’incanto che ha creato scegliendo di visitare la
mia casa non si spezzerà con la sua assenza, e che una parte di lui è stata rapita da questo luogo.
Credo che lui percepisca la gratitudine che proviamo verso di lui, perché per un breve a