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Tzasotta
Tzasotta
un suono tenero e carezzevole,
detto con affettuosità,
evoca ricordi lontani di tenerezza.
Mani tese a protezione
di una piccola pasticciona
assorta nei suoi pensieri,
una piccola tzasotta
il nome
Non è un pino
ripeteva all’infinito
contro ogni evidenza
Le piaceva contraddire
per capire fin dove poteva arrivare
la sua indisponenza
Con calma le spiegava la differenza.
Non si inalberava
ma sospirava di fronte a tale ottusità.
Non era abituata a tanta amorevole pazienza
e si divertiva a stuzzicarlo
Era per lei un gioco
ma lui l’avrebbe capito?
Una vita
Non ti conosco
Volevo tenerti la mano
per accompagnarti
oltre la soglia
dove ti saresti ricongiunta
Non mi conosci
Non ti appartengo
Aspetto che tu raggiunga la luce
per sentirmi finalmente libera.
Ho voglia
Ho voglia
di farmi cullare
dal gorgoglio delle tue acque.
Sognare
un tempo e un luogo
dove tempo e luogo
non esistono.
Appagata dall’infinita luce
che mi avvolge e travolge
dove finalmente posso adagiarmi
in un respiro infinito.
Rancore
Giocare
con la forza del mare in tempesta.
Scagliata dai flutti
su mille petali blu
e…
risucchiata nel gorgo delle tue profondità
provare il brivido dell’abisso.
e poi riemergere.
Aurora
Un gattino si divertiva
ad aggrovigliare un batuffolo di lana.
Troppo bello
per lasciarlo ancora sgualcire.
Lentamente lo districai.
Ora ti avvolge con il suo tepore
e nel buio della notte senti il suo calore
e i fantasmi svaniscono.
Fausta
Una zingara
Una regina
Una maga
Una strega
Una fata
Un angelo
Un demone
Un poeta
Un artista
Un doppio
E’ il mio porto sicuro
E da lì partire verso l’ignoto.
Il pino
Era lì,
imponente,
maestoso,
fiero,
a proteggere la nuova famiglia
Era il guardiano della casa.
La sera gli auguravamo la buona notte
e gli ricordavamo di non far entrare nessuno in giardino.
Il pino ci rispondeva di stare tranquilli
avrebbe vegliato su tutta la famiglia
Ma nonna gli alberi non parlano diceva Matteo
Solo le nonne conoscono il linguaggio degli alberi, rispondevo.
Il gelso
Nel parco
eri
solo
e
sterile.
Voleva reciderti.
Gli toglievi la vista.
Un intero inverno
trascorso ad accarezzarti.
In primavera
mi sedevo ai tuoi piedi
avvolta dai tuoi abbracci.
Ti sentivo fremere.
Improvvisamente
un tripudio di fiori.
Il miracolo dell’amore.
Ora festoso
offrivi i tuoi frutti.
Il glicine
Dovevi sostituirlo.
Non volevi paragoni.
Preferivi morire.
Faticai a consolarti.
Ti accarezzavo.
Ti supplicavo di non arrenderti.
Cristina, una fata dagli occhi lucenti
ti guardò e mi consigliò.
Con amore ti portavo i nutrimenti
Salvia e rosmarino.
Lentamente ti sei abbracciato alla fune
eri felice.
Non vivo più lì.
Quando passo mi guardi
Sei ritornato triste.
L’orco
Eravamo entrate
in punta di piedi
nella sua caverna.
Uno specchio sfregiato
illuminava la stanza buia.
Rifletteva il suo volto.
Lo fissai sulla pellicola.
Sembrava
un angelo,
un demone,
un doppio.
L’orco
in un angolo buio
fissava impietrito
l’immagine riflessa.
Ricordi
Un frammento di vita
A vent’anni
ho incontrato Russel
sul greto della Dora.
Rapita da un giovane.
Leggeva “autorità e individuo”
Un incontro importante
Ora felicemente ribelle
Parola
Grazie di illuminare
questo breve tratto di strada
che ancora mi rimane
Il cammino sarà più lieve.
Sei rinata ad una nuova vita
per dare gioia
a chi incontri sul tuo percorso
E le tue risate scandiranno le giornate
Aurora
E’ iniziato un nuovo meraviglioso giorno.
La fata del pane
Aspetto il venerdì
per sentire la fragranza del tuo pane.
Mani sapienti lo lavorano
con farine coltivate con amore
dove la terra tocca il cielo
Il fuoco acceso con legni scelti con cura
danno al pane un profumo, un colore dorato
e un sapore antico.
Grazie Fata del pane
Follia