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Laura Gioeni

Marco Dezzi Bardeschi:


teoria e pratica della
conservazione dell'architettura
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

Indice

Introduzione

1. Archeologia
1.1 La biografia ufficiale
1.2.Un tentativo di genealogia
1.3. L'insegnamento di Giovanni Michelucci
1.4. L'insegnamento di Piero Sanpaolesi
1.5. L'insegnamento di Francesco Rodolico
1.6. L'incontro con l'Alberti
1.7. Ananke: il vessillo della battaglia
1.8 John Ruskin e l'impossibilità del restauro
1.9. Alois Riegl e la moderna della cultura dei monumenti

2. L'impossibile teoria del restauro


2.1. Conservazione e Storia
2.2. La storia effettiva
2.3. Il monumento-documento
2.4. Autenticità e materia
2.5. Forma e materia
2.6. Unicità e irriproducibilità dell’originale
2.7. Monumento palinsesto
2.8. Ripetizione e differenza
2.9. Conservazione e ri-uso
2.10. Conservazione e progetto

3. Una lettura genealogica


3.1. Friedrich Nietzsche e l'ipotesi genealogica
3.2. Carlo Sini: la genealogia, la scrittura, il Tempo e la Storia
3.3. Enzo Paci: il progetto come metamorfosi nella permanenza
3.4. Restauro come pratica genealogica ed etica del progetto

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4. La pratica della conservazione


4.1. Il rilievo per la conservazione
4.2. Il progetto di conservazione
4.3. La materia
4.4. Il cantiere
4.5. Bestiari e cosmogonie
4.6. Il riuso
4.7. Conclusioni

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

Introduzione

Il presente contributo costituisce una revisione, aggiornata al


novembre 2013, del testo della conferenza Marco Dezzi Bardeschi:
teoria e pratica della conservazione dell’architettura, da me tenuta
presso la II Università di Napoli-Aversa il 19 giugno 2009,
nell'ambito del seminario nazionale Monumenti e ambienti.
Restauratori del Secondo Novecento, organizzato con il
coordinamento scientifico di Giuseppe Fiengo e Luigi Guerriero e
diretto ai dottorandi di ricerca in conservazione dei beni
architettonici e ambientali, progettazione architettonica e urbana e
restauro dell'architettura.
Il saggio è strutturato in quattro sezioni. Nella prima parte
proverò a ricostruire la biografia culturale di Dezzi Bardeschi,
l’humus in cui affondano le radici della sua teoria, per arrivare ad
esibire, attraverso una sorta di analisi archeologica che ne porti alla
luce le successive stratificazioni, la genealogia della sua concezione
del restauro come conservazione e progetto. Cercherò dunque di
individuare motivi e figure che hanno influenzato la sua
formazione, sia in modo diretto che in modo indiretto; i maestri,
certo, ma anche le esperienze di vita e le frequentazioni culturali.
Nella seconda parte distillerò in un vero e proprio decalogo la
sua teoria, condensando in dieci punti fondamentali i principi di
quella che Dezzi Bardeschi definisce “l’impossibile teoria della
conservazione”.
Nella terza parte invece azzarderò una ermeneutica della sua
proposta teorica e della sua prassi attiva che io interpreto come
esercizio di una pratica genealogica di intervento sul costruito.
Nella quarta parte, infine, presenterò con taglio trasversale
alcuni lavori e progetti di Dezzi Bardeschi, per delineare le
tematiche emergenti e ricorrenti nella sua pratica di architetto e
“restauratore”.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

Archeologia

1.1. La biografia ufficiale

Marco Dezzi Bardeschi nasce nel 1934 a Firenze dove riceve


una formazione classica al Collegio alla Querce. L’impronta della
formazione liceale rimane indelebile nel giovane studente che,
nonostante la scelta - quasi obbligata - di proseguire gli studi ad
ingegneria, continuerà a coltivare con curiosità e vivo interesse la
cultura umanistica e letteraria. Nel 1957 si laurea in Ingegneria
Civile a Bologna con Giovanni Michelucci e poi in Architettura a
Firenze, nel 1962, con Piero Sanpaolesi. A Firenze con Sanpaolesi
collabora, sin dalla sua fondazione, al neonato Istituto di Restauro
dei Monumenti. Negli anni 1964-1965 lavora presso la
Soprintendenza di Arezzo; è poi nominato assistente di ruolo
presso l’Università degli Studi di Firenze dove sarà professore
incaricato libero docente di Caratteri stilistici e costruttivi dei
monumenti e di Storia dell’architettura.
Risulta difficile delineare sinteticamente l’inarrestabile, vasta
ed articolata attività di Dezzi Bardeschi. Certamente però tra le
esperienze che vale la pena citare c’è quella con Eugenio Battisti,
col quale nel 1974 fonda, insieme a Marcello Fagiolo, psicon,
rivista che poteva vantare nel suo illustre comitato scientifico la
presenza di Giulio Carlo Argan, Sergio Bettini, Eugenio Garin e
Ludovico Quaroni e un comitato di consulenza internazionale di
livello altrettanto elevato.
Vinta la cattedra di Restauro, viene chiamato nel 1976 a
Milano, dove trasferisce la sua residenza. Mantiene però il suo
legame con Firenze dove continua l’attività del suo studio di
architettura.

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Presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano


fonda nel 1980, e dirige per diversi anni, il Dipartimento per la
Conservazione delle Risorse Architettoniche e Ambientali,
passando poi, con scelta polemica, al Dipartimento di Progettazione
nella neonata sede della Bovisa.
È accademico delle Arti e del Disegno a Firenze ed ha
presieduto la sezione nazionale dell’ICOMOS (International
Council of Monuments and Sites).
Nel quadro della sua intensa produzione pubblicistica nel 1993
fonda 'ANANKE, cultura, storia e tecniche della conservazione per
il progetto, rivista ora quadrimestrale il cui sottotitolo già rivela il
tema caro a Dezzi Bardeschi, il leitmotiv dominante della sua
concezione del restauro, ovvero il rapporto tra conservazione e
progetto.
A margine di questa essenziale nota biografica ci piace però
scandagliare la vita di Dezzi Bardeschi alla ricerca di dettagli che
non trovano posto nella sua biografia ufficiale.

1.2. Un tentativo di genealogia

Un primo dettaglio: il padre, Dezio, ha un’attività commerciale


di orologeria e bigiotteria in via Nazionale a Firenze, dove anche la
madre lavora e dove il giovane Marco si trova a passare il suo
tempo dopo la scuola. È tra gli orologi del retrobottega del negozio
paterno che immaginiamo aggirarsi un ragazzino pieno di
meraviglia per quei piccoli e preziosi ingranaggi, che ripetono, nel
microcosmo di bilancieri e ruote dentate, i movimenti del
macrocosmo celeste. È certo qui che Dezzi Bardeschi principia a
coltivare il fascino per la preziosità delle piccole cose, delle
meccaniche esatte di quei taumatopoietici automi del tempo:
meccaniche del tempo e del cielo che si imprimeranno nel suo
immaginario e diventeranno uno dei segni più riconoscibili della
sua firma progettuale.
Secondo dettaglio: il giovane Dezzi Bardeschi vive, dunque, tra
il cortile della casa a pian terreno di viale Filippo Strozzi e il
negozio di Via Nazionale. Ci sono perciò tre monumenti che
caratterizzano l’orizzonte del suo mondo, lo sfondo dei suoi
percorsi quotidiani, tre edifici che credo abbiano formato la sua

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idea di architettura e che per certi versi segnano il suo destino: la


Fortezza da Basso, le cui murature bugnate si stagliano imponenti
proprio di fronte alla sua casa di viale Strozzi; la Stazione di Santa
Maria Novella di Giovanni Michelucci, che si incontra nel percorso
dal viale Strozzi alla via Nazionale che sfocia proprio nella piazza
della stazione; ed infine, poco distante, la chiesa di Santa Maria
Novella con la facciata dell’Alberti.
Monumenti che segnano un destino: perché proprio con
Michelucci, Dezzi Bardeschi si laurea a Bologna in Ingegneria
civile; perché nel corso della sua attività professionale gli capiterà
di curare proprio il restauro della Stazione e della Palazzina Reale;
perché i suoi studi in architettura lo porteranno a studiare con
profonda devozione Leon Battista Alberti, alla cui opera dedica, tra
gli altri, un insuperato saggio sulla lettura iconografica della
facciata di Santa Maria Novella; perché l’impressione della
possente muraglia della fortezza alimenterà la sua passione per i
temi dei fortilizi e delle macchine da guerra, che animeranno la
mostra e gli studi sulle architetture militari di Francesco di Giorgio.

1.3. L'insegnamento di Giovanni Michelucci

Dall’insegnamento di Giovanni Michelucci Dezzi Bardeschi


trarrà innanzi tutto un’attitudine fondamentale, quella del dubbio
continuo e della continua ricerca: “io non ho risposte. Non ne ho
mai avute” - scrive Michelucci - “il dubbio, il timore di sbagliare
mi ha sempre accompagnato. Certo vedendo i naufragi delle
certezze degli altri posso dire che quella che ho sempre considerato
una mia personale condanna era forse un metodo di lavoro a suo
modo rigoroso”1. Dezzi Bardeschi, come il suo maestro, non si
ferma mai alle prime ipotesi, facendo del metodo rigoroso del
dubbio il vero motore della sua ricerca.
Dal pensiero di Michelucci Dezzi Bardeschi deriva anche l’idea
dell’architettura come opera aperta, inserita in un progetto
continuo. In un’opera di architettura il suo completamento
realizzativo non rappresenta un momento compiuto e un dato

1 Giovanni Michelucci, 1988, cit. in Marco Dezzi Bardeschi, A―LETHEIA 3, Giovanni


Michelucci (1891-1990) il progetto continuo, a cura di Gabriella Guarisco, Alinea, Firenze,
1992, p.137.

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definitivo, ma solo il punto di partenza della vita dell’edificio.


Un’architettura non è semplicemente il frutto dell’ideazione
dell’architetto e del lavoro di cantiere ma, una volta realizzata,
acquista una sua vita propria nella quale gli utenti sono di necessità
chiamati a partecipare e coinvolti come progettisti. L’architettura è
dunque un’opera collettiva della quale gli architetti sono, più che
gli autori, solo dei suggeritori. La storia della fabbrica non si
compie quindi alla conclusione del cantiere. Il progetto
d’architettura, sottoposto prima al collaudo del cantiere, deve
superare il collaudo della vita: diventa un elemento del mondo della
vita, di quella lebenswelt di cui è parte e da cui viene ridisegnato2.
Su questa riflessione si innesta quindi un secondo tema teorico
che riveste una importanza fondamentale nella prospettiva della
conservazione, cioè quello della considerazione della natura
circolare del tempo. Secondo Michelucci, infatti, il tempo proprio
dell’architettura è quello del circolo cioè, se ci pensiamo bene, è
dunque quello proprio della lebenswelt, in cui si realizza
l’interconnessione di passato-presente-futuro: “quando un'idea
diventa «muro» - scrive Michelucci - “fatto dalle mani dell'uomo e
diventa «spazio» per gli uomini, si assiste a un cosa stupenda. Ad
un certo punto si sente che ciò che nasce ha un significato
particolare, che si riallaccia però a qualcosa di cui non possediamo
il segreto: è come una voce sottile ed inafferrabile che viene da
lontano, che si rigenera oggi per il domani e che parla di un fatto
nuovo che deve ancora avvenire...passato, presente futuro...”3.
La funzione dell’architetto è dunque quella di raccogliere e
proiettare nel futuro una voce che proviene dal passato e fornire il
suggerimento per un seguito, un ulteriore sviluppo. Ed è una voce
che deve essere in grado di toccare il cuore degli uomini.
L’architettura cioè deve emozionare. Solo quando l’architettura è in
grado di suscitare partecipazione ed emozione è raggiunto il suo
2 Così scrive Michelucci a proposito dell’esperienza della Stazione di Firenze: “nella vita di
un edificio il progetto rappresenta solo la sua preistoria, il suo prologo in cielo rispetto alle
peripezie, gli eventi culturali, alle difficoltà tecniche che la sua esecuzione incontrerà, una
prova del fuoco attraverso la quale l’idea iniziale si trasforma e diventa in qualche modo
opera collettiva, parte della città. Questo tipo di collaudo nel cantiere rappresenta anche
l’altra storia dell’edificio, quella che inizieranno i suoi utenti, i protagonisti veri cioè di uno
spazio del quale i progettisti più che gli autori dovrebbero accontentarsi di essere i
suggeritori” (in Marco Dezzi Bardeschi, A―LETHEIA 3, op.cit, p.30).
3 Ibidem.

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scopo e la felicità dell’architetto. A coloro che obiettano che


“questo non è il mestiere dell'architetto, questa è poesia”,
Michelucci risponde: “magari, chi può dire di non aver bisogno di
poesia?”4. Così anche per Dezzi Bardeschi l’architettura non deve
trascurare la componente poetica e narrativa.

1.4. L'insegnamento di Piero Sanpaolesi

L’altra figura che ha un ruolo determinante nella formazione di


Dezzi Bardeschi è Piero Sanpaolesi, dal quale assimila l’attenzione
verso la conservazione della materia. Celebrando la figura di
Sanpaolesi, Dezzi Bardeschi così annota: “se dovessi esprimere qui,
sinteticamente in una sola frase, il senso e l’obiettivo ultimo della
sua profonda lezione di grande storico e di tecnico e
sperimentatore, la riassumerei nello slogan: rispettare e curare il
corpo materiale (il manufatto) riducendone al minimo le
sostituzioni”5.
Polemizzando contro la posizione di Cesare Brandi, che
privilegia nel restauro la componente ideale dell’opera d’arte -
intesa come realtà pura e astante e come immagine, per la quale la
materia rappresenta solo il mezzo della sua manifestazione -
Sanpaolesi si ostinerà ad affermare la necessità di conservare
prioritariamente la materia, per quanto degradata e segnata dalla
sua storicità, non l’idea, non l’immagine. Nel suo Discorso sulla
metodologia generale del restauro dei monumenti Sanpaolesi
scrive: “l’esperienza e il continuo aggiornamento su idee e fatti mi
hanno convinto essere indispensabili per conseguire il risultato
veramente importante, l’unico a ben considerare, di aver rispetto
cioè per l’integrità fisica e storica dell’edificio degradato. (…) Il
restauro vuole e deve conservare quanto più è possibile non solo la
forma, ma la materia stessa dell’edificio, e con la materia la
personalità, cioè la pelle esterna e le strutture insieme, cioè infine
l’edificio intero vivo in corpo e spirito”6.

4 Ibidem.
5 Marco Dezzi Bardeschi, “Fare una scuola è meno che niente…”, in AAVV, Sanpaolesi. Il
restauro come scienza, Edizioni Polistampa, Firenze, Aprile, 2005, p.17.
6 Piero Sanpaolesi, Discorso sulla metodologia generale del restauro dei monumenti,
Editrice Edam, Firenze, 1973, p.12.

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Alla considerazione per la componente storico-materiale


dell’opera è connessa l’esigenza di un minuzioso rilievo del
manufatto preliminare ad ogni intervento.
L’esatto rilevamento geometrico e materico-patologico,
affiancandosi alla conoscenza delle fonti d’archivio, alle ricerche
storiche, è fondamentale e propedeutico al progetto di
conservazione. Il rilievo, restituendoci una lettura dettagliata del
costruito, ci fornisce la conoscenza necessaria e la giustificazione
dell’intervento sul monumento: “si deve pure confermare (…) -
scrive Sanpaolesi - l’assoluta necessità di rilievi preventivi e di
accertamenti tecnologici; e questi, accompagnati a una completa
conoscenza delle fonti e delle notizie storiche remote e recenti,
guidano il restauratore a una conoscenza del monumento che
giustifichi la sua capacità a intervenire”7. Anche per Dezzi
Bardeschi la fase di rilievo, un rilievo “ad unguem”, palmo a
palmo, un rilievo che va ad esplorare gli aspetti più nascosti
dell’edificio, rappresenta il necessario punto di partenza dell’opera
di conservazione.
Paradigmatiche in questo senso sono, ad esempio, la
restituzione fatta da Sanpaolesi dell’apparato costruttivo della
cupola di Santa Maria del Fiore, a cui dedica uno studio
approfondito per comprendere come Brunelleschi avesse potuto
costruirla senza l’utilizzo delle centine. Solo visitando la cupola al
suo interno, osservando da vicino la trama del tessuto di laterizi e
rilevando attentamente la posizione e l’orientamento dei mattoni,
Sanpaolesi era stato in grado di ricostruire la tecnica costruttiva
dell’architetto fiorentino. Come pure esemplare è la campagna di
rilievo del Duomo di Pisa, condotta dagli allievi di Sanpaolesi
all’Istituto di Restauro dei Monumenti dell’Università di Firenze.
Ponendosi esplicitamente contro quelle teorie del restauro che
sottomettono le istanze storiche alle priorità dell’estetica,
Sanpaolesi sostiene dunque che non si può in alcun modo ignorare
il peso storico-documentario dell’architettura. Il monumento, nella
sua accezione più propria, è innanzi tutto documento, documento
nel senso di testimone, nel significato di testimonianza di una
civiltà, la cui autenticità non deve essere alterata: “l’edificio d’altra
parte non perde mai il suo valore di documento di una civiltà. Esso
7 Ibidem, p.29.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

perciò, come tale, deve essere intangibile. La sua funzione di


testimone non può essere in alcun modo alterata, anche in
particolari apparentemente insignificanti, senza che ne venga
compromessa l’integrità totale. Posto questo principio, accanto a
quello di opera d’arte non possiamo accettare la posizione di
compromesso che ne ignori l’aspetto documentario”8.
L’importanza attribuita alla conservazione della materia, quella
originale ed autentica, conduce Sanpaolesi ad approfondire lo
studio dell’indurimento chimico della pietra, attraverso la tecnica di
imbibizione con fluosilicati di magnesio, che permette il
consolidamento del materiale non solo sulla superficie ma in tutto il
suo spessore: “si dovrà perciò rivolgersi ad approfondire il metodo
di indurimento per imbibizione di sostanze inorganiche, per loro
natura affini alla pietra e capaci di depositare <entro> di questa,
nella microscopica rete della porosità e nelle sue varie specie, un
induritore <permanente>”9.
Ad esempio, sulle facciate del San Michele Maggiore a Pavia,
l’intervento di Sanpaolesi mira a conservare in situ, per quanto
erosi dal tempo, tutti i dettagli decorativi: essi costituiscono la
materia originale ed autentica che porta incisa la mano del loro
autore e della Storia trascorsa: “È la materia originale che pesa e
deve pesare con la sua presenza”, scrive Sanpaolesi. “Noi
dobbiamo chiarirci quale funzione abbiano i materiali nella
costituzione dell’oggetto e della sua autenticità e trovare in essi la
giustificazione del restauro (...). Non materiali genericamente
indicati ma proprio quelli che il costruttore ha maneggiato nel
comporre quella sua opera d’arte. (…) ciò implica anzitutto il
riconoscimento dell’unicità dell’opera d’arte, quindi
10
dell’irripetibilità dell’opera stessa” .
E “autenticità”, “unicità” ed “irripetibilità” diverranno le parole
d’ordine del discorso di Dezzi Bardeschi sul restauro. Il restauro
non si effettua per sostituzione della materia ma per conservazione
e consolidamento della materia stessa: quella materia, autentica,
originale e irriproducibile, che, proprio perché segnata dal tempo e
dalla storia, ne è testimone e documento primo.

8 Ibidem, p.43.
9 Ibidem, p.187.
10 Ibidem, p.43.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

Tesi complementare alla conservazione è poi la considerazione


del restauro come opera creativa: argomento che apre il restauro
verso il progetto. Sanpaolesi tiene a sottolineare che il restauratore
non è un architetto di seconda classe, ma è un architetto progettista
a pieno titolo, giacché qualsiasi intervento, fosse anche una
semplice opera di consolidamento statico, deve essere
progettualmente controllato nelle forme e nei colori. Non esistono
elementi neutri e il principio della riconoscibilità del nuovo rispetto
all’antico e originale richiede la scelta di forme e materiali
moderni: “l’opera del restauratore” - conclude Sanpaolesi - “di per
sé a questo punto appare, come è ovvio debba essere, opera creativa
e non più soltanto intesa come opera manuale tecnologica volta
unicamente a evitare che un muro cada o un pezzetto di capitello
precipiti. Deve avere invece una funzione creativa”11. Quindi anche
l’architetto conservatore deve essere innanzitutto un architetto
progettista.

1.5. L'insegnamento di Francesco Rodolico

Un altro docente che certamente ha lasciato il segno


nell'apprendistato universitario di Dezzi Bardeschi è Francesco
Rodolico, professore di mineralogia alla facoltà di Architettura di
Firenze. Rodolico trasmette a Dezzi Bardeschi la passione per le
pietre da costruzione che, da inerti elementi costruttivi, si
trasformano in componenti vive, dotate di voce ed anima. In
occasione della presentazione della riedizione del testo di Rodolico
Le pietre delle città d’Italia, Dezzi Bardeschi ricorda il ruolo
determinante del maestro: “l’amore che Rodolico mostra per il
corpo fisico delle pietre «vive, salde, serrate, crude, intere,
trattabili, disubbidienti, molli, vetrigne, scagliose», tocca
sicuramente l’apice d’affezione nel caso delle tarsie marmoree del
tempietto albertiano (le squisite formelle del Santo Sepolcro in San
Pancrazio) cui dedica sia il motivo che lo stesso carattere a stampa
della copertina (…). Insomma Rodolico ci ha trasmesso questo
amore invincibile per il politissimo commesso in marmo e
serpentina e per la sua stessa singolare scalfibilità. A noi studenti di
architettura ce l’ha fatto tastare palmo a palmo, come si trattasse del
11 Ibidem, p.270.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

più prezioso libro scritto, portandoci a riconoscerne l’individualità


e a leggerne – sfruttando l’angolo di rifrazione della luce – le stesse
sovrascritture più invisibili, singolari microstorie appena percepibili
che contribuiscono a rendere unico e dunque irriproducibile ed
insostituibile quel prezioso palinsesto”12.

1.6. L'incontro con l'Alberti

Questa citazione è doppiamente interessante perché Dezzi


Bardeschi fa, proprio del tempietto albertiano in San Pancrazio
argomento di approfondito studio per la sua tesi di laurea in
architettura.
Insomma, accanto ai maestri diretti, Leon Battista Alberti può
figurare come il primo dei lontani ed indiretti maestri di Dezzi
Bardeschi. Alberti rappresenta sì l’ideale di fusione della cultura
tecnica e di quella umanistica, ma anche l’esempio di uno specifico
atteggiamento progettuale verso la preesistenza. Infatti, sia in Santa
Maria Novella che nel Tempio Malatestiano di Rimini, Alberti
attua un approccio che non nega l’esistente ma lo accetta e lo
accoglie in una nuova composizione. D’altro canto quella
albertiana è anche un’architettura programmaticamente simbolico-
ermetica, cioè un’architettura densa di significati celati in simboli
geroglifici. Come ha mostrato Dezzi Bardeschi, la stessa facciata di
Santa Maria Novella può essere interpretata come la firma
geroglifica del suo progettista: “a rinfiancare i due «oggetti
privilegiati», speculum ideologico e iconologico della particolare
destinazione di base dei due complessi monumentali, in entrambi i
casi erano state disegnate due orecchie, anzi due ali emblematiche
(se ne veda il disegno autografo schizzato dall’Alberti nella lettera
a Matteo de’ Pasti (…)) che avrebbero potuto anche costituire (…)
una sorta di firma geroglifica del progettista (penso naturalmente
all’impresa dell’occhio con due ali che Battista si era prescelta)” 13.
Ed in fondo, anche nelle architetture di Dezzi Bardeschi si
12 Marco Dezzi Bardeschi, L’insegnamento di Rodolico, ovvero: perché in architettura la
materia non può avere il suo doppio, in Le pietre delle città d’Italia. Atti della giornata di
studi in onore di Francesco Rodolico, Le Monnier, Firenze, 1995, p.27.
13 Marco Dezzi Bardeschi, Sole in leone. Leon Battista Alberti: astrologia, cosmologia e
tradizione ermetica nella facciata di Santa Maria Novella, in 'psicon', n.1, ottobre-
dicembre 1974.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

materializza la medesima concezione dell’architettura come forma


simbolica.

1.7. Ananke: il vessillo della battaglia

L'idea dell'architettura come geroglifico ed espressione


narrativa, che comunica, a chi è in grado di comprenderlo al di
sotto della “favolosa veste”14, un significato più profondo, è
peraltro concetto caro anche a Victor Hugo, di cui Dezzi Bardeschi
è attento lettore e a cui pure esplicitamente si ispira: “l’architettura
cominciò come incomincia ogni scrittura: fu dapprima alfabeto. (...)
Si rizzava sul suolo una pietra ed era una lettera, ognuna delle quali
era un geroglifico (…). Il simbolo aveva bisogno di svolgersi
nell’edificio ed allora l’architettura (…) fissò sotto una forma
eterna, visibile e palpabile tutto quell’ondeggiare di simboli”15.
Lo scrittore francese, che nel suo romanzo più divulgato, Notre
Dame de Paris, veicola una vera e propria dissertazione di estetica
dell’architettura, pone la stampa a caratteri mobili di Gutenberg
come linea di demarcazione tra architettura simbolica e architettura
come mera geometria. E questa riflessione fa da sfondo alla sua
battaglia per la conservazione del patrimonio architettonico
francese. Senza mezzi termini Hugo decreta la morte
dell’architettura in quanto geroglifico e scrittura di mondo. La
nuova architettura, divenuta pura linea geometrica, non può più
innestarsi in un fecondo dialogo con l’architettura antica ed i
restauratori neoclassicisti rappresentano una vera sciagura per il
patrimonio architettonico francese. L’unica possibilità rimane
dunque quella della conservazione, per la quale con i suoi scritti
Hugo dà battaglia: “è venuto il momento in cui non è più consentito
a nessuno rimanere in silenzio. Un grido universale deve finalmente
chiamare la nuova Francia in soccorso dell’antica. Ogni genere di
profanazione, di degradazione e di rovina minaccia ciò che ci resta
dei pregevoli edifici medioevali nei quali è impressa l’antica gloria
nazionale (…). Sarebbe finalmente tempo di mettere fine a questi
scempi (…). Sebbene impoverita dai devastatori rivoluzionari,
14 L’espressione è di Giovanni Michelucci: “se sotto la veste favolosa si trova un significato,
non è superfluo comporre favole”.
15 Victor Hugo, Nostra Signora di Parigi, I ed. 1831, ed.ampliata 1832, ed.it. Bairon, Milano,
1933, p.174.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

dagli speculatori, e soprattutto dai restauratori classicisti, la Francia


è ancora ricca di monumenti francesi. Bisogna fermare il martello
che mutila il volto del paese. Una legge basterebbe; che la si
faccia”16.
Una battaglia, quella di Hugo, cominciata precocemente con
l’Ode alla Bande Noire del 1823, in cui, denunciando l’incuria e
l’oblio in cui versavano i monumenti francesi, testimoni ed eco
della voce degli antichi, il poeta chiede finalmente rispetto per il
patrimonio monumentale della nazione: “O francesi! Rispettiamo
questi resti / Il cielo benedice i figli pietosi / che conservano, nei
giorni funesti/ l’eredità dei loro avi. / Come una gloria nascosta
contiamo ogni pietra caduta”17.
L’ode, rispondendo alle voci nichiliste e distruttive, si conclude
con un’esortazione a continuare la battaglia per la salvaguardia dei
resti di Francia: “quanto a noi, non profaniamo punto questa madre
sacra / consolando la sua gloria in lacrime / cantiamo i suoi astri
eclissati / perché la nostra giovane musa, sfidando l’anarchia / non
vuole agitare la sua bandiera / fattasi bianca dalla polvere dei tempi
passati”18.
Una bandiera che, sotto l’insegna di “ΆΝΑΓΚΗ”, è attivamente
portata avanti da Dezzi Bardeschi: “una bandiera che già tante
generazioni hanno sventolato e si sono idealmente passate di mano,
in una risentita staffetta contro ogni ipocrisia e deliberato
tradimento perseguito nel nome stesso del "restauro": una bandiera
che, oggi più che mai, invitiamo i giovani a raccogliere e a levare
ben alta contro ogni conformismo ed ogni compromesso
dilaganti”19.
La parola greca, la cui traccia, incisa nell’oscuro recesso di una
delle torri della cattedrale parigina, non era sopravvissuta
all’intervento dei restauratori e a cui Hugo dedica il suo romanzo, è
ripresa da Dezzi Bardeschi come titolo e programma della sua
rivista: “è dunque proprio per stimolare una più profonda

16 Victor Hugo, Guerra ai demolitori, 1825,1832, ed.it. Millelire, Viterbo, 1993, p.8.
17 Victor Hugo, Ode alla Bande Noire, 1823, trad.it. in ΆΝΑΓΚΗ, trimestrale di cultura,
storia e tecniche della conservazione, n.33, Dossier Victor Hugo, Aprile 2002.
18 Ibidem.
19 Marco Dezzi Bardeschi, ΆΝΑΓΚΗ, anno centosessantaduesimo, numero uno, in
“ΆΝΑΓΚΗ”, n.1, marzo 1993, ripubblicato in Marco Dezzi Bardeschi, Restauro: due punti
e da capo, a cura di Laura Gioeni, FrancoAngeli, Milano, 2004, p.15.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

riflessione sui corretti fini della disciplina, sulle sue radici, tanto più
autentiche quanto disattese, e sui suoi concreti criteri e modi di
applicazione, che è nata la rivista ΆΝΑΓΚΗ, prendendo a proprio
vessillo il lucido memento con cui Victor Hugo apriva, nel marzo
1831, l'avvertimento preposto al suo popolare Notre Dame”20.

1.8. John Ruskin e l'impossibilità del restauro

Dopo Alberti e Hugo, un'altra lettura di riferimento per Dezzi


Bardeschi è certamente il volume delle Seven Lamps di John
Ruskin, pietra miliare della cultura della conservazione
dell’architettura. Ruskin, come è noto, scagliandosi risolutamente
contro il restauro, lo definisce “la più totale distruzione che un
edificio possa patire: una distruzione per la quale nessun resto può
essere raccolto, una distruzione accompagnata dalla falsa
descrizione della cosa distrutta”21. Dezzi Bardeschi condivide con
Ruskin l’impossibilità del restauro: “è impossibile in architettura
restaurare come non è possibile resuscitare i morti (…): quello
spirito che è dato solo dalla mano e dall’occhio dell’esecutore non
può essere richiamato”22. Per il critico inglese il valore di un
edificio non risiede tanto nel momento aurorale della sua origine,
l’attimo del concepimento o la chiusura del cantiere, ma piuttosto
nel suo valore di memoria, nel suo valore propriamente
monumentale di testimonianza della storia che vi è passata sopra.
Dunque, i segni che il tempo lascia sull’edificio, anche i segni del
degrado, entrano a far parte dei caratteri propri e distintivi di
un’architettura. Il pittoresco quindi, la “tinta dorata del tempo”,
quella che poi Riegl individuerà nel valore dell’antico, costituisce
la maggior gloria e la vera preziosità di un’architettura: “esso è
testimonianza dell’età dell’opera: di ciò in cui, come si è detto,
consiste la maggior gloria dell’edificio. Pertanto i segni esteriori di
questa gloria, che hanno una forza ed un compito più grandi di
qualsiasi altro che appartenga alla loro pura bellezza sensibile,

20 Ibidem, p.14.
21 John Ruskin, Le sette lampade dell’architettura, I ed.1849, II ed.1880, trad,it. Jaca Book,
Milano, 1982, p.226.
22 Ibidem, p.227

17
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

possono essere fatti rientrare nel rango dei caratteri puri ed


essenziali dell’architettura”23.

1.9. Alois Riegl e la moderna della cultura dei monumenti

In ultimo, non si può non citare Alois Riegl, il cui Der


Moderne Denkmalkultus segna, sulla soglia del XX secolo, la
svolta epocale della modernità. Di Riegl rimangono fondamentali
per Dezzi Bardeschi due punti: il primo, la tesi dell’equivalenza tra
valore storico e valore estetico, vale a dire l’affermazione che il
monumento storico ha valore d’arte: “è importante rendersi conto
che qualunque monumento d’arte è senza eccezioni
contemporaneamente un monumento storico, perché rappresenta un
certo stadio dello sviluppo dell’arte figurativa (...). E viceversa,
ciascun monumento storico è indubbiamente anche un monumento
d’arte, perché anche un monumento della scrittura così secondario
come un pezzo di carta stampata con brevi appunti trascurabili,
contiene, oltre ad un valore storico per lo sviluppo della produzione
della carta, della scrittura, dei materiali occorrenti per scrivere ecc.,
tutta una serie di elementi artistici”24; il secondo, l’affiancamento
del valore d’uso al valore di antico, quello che Dezzi Bardeschi - e
dobbiamo qui rimproverargli una certa imprecisione - identifica con
il valore di novità: “una parte essenziale di quel gioco vivente delle
forze della natura, la cui percezione è presupposto del valore di
antico andrebbe perduta in modo insostituibile con la cessazione
dell’utilizzo dei monumenti (…): l’utilizzazione pratica e continua
di un monumento possiede anche per il valore di antico un
significato importante e senz’altro spesso indispensabile”25.
Riegl insomma, riflettendo genealogicamente sull’insorgere di
una nuova cultura dei monumenti, conclude sostenendo la necessità
di superare la visione ottocentesca del restauro di rifazione per
andare verso la necessaria e virtuosa saldatura della conservazione
con il progetto del nuovo: argomento che diventa il nucleo del
discorso e della pratica del restauro di Dezzi Bardeschi.
23 Ibidem, p.225.
24 Alois Riegl, Der Moderne Denkmalkultus. Sein Wesen und seine Entstehung, Braumüller,
Wien-Leipzig, 1903, trad. it. Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere e i suoi inizi,
a cura di Sandro Scarrocchia, Nuova Alfa Editoriale, Bologna, 1990, p.28.
25 Ibidem, pp.59,60.

18
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

Una conservazione, quindi, tutta tesa nella direzione del


progetto, secondo quel senso che anche Michelucci gli aveva
impresso: “la coscienza del passato non dovrebbe inibire mai la
costruzione del nuovo, dovrebbe semmai dargli un grande senso di
responsabilità”26.

26 Giovanni Michelucci, 1990, cit. in Giovanni Michelucci il progetto continuo, op.cit., p.54.

19
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

L'impossibile teoria del restauro

“Saper conservare per poter innovare” è il motto che sintetizza


la teoria del restauro di Dezzi Bardeschi. Che vuol dire affiancare
alla conservazione, intesa come il massimo rispetto per l’esistente,
l’innovazione, cioè il riconoscimento dell’autonomia del progetto
del nuovo: “occorre prendere nella dovuta considerazione la
fondamentale contrapposizione, anzi l'essenziale forbice che si
stabilisce tra i due concetti di permanenza e di mutazione, i quali
siglano due modi opposti di rapportarsi alla realtà (...), modi che
esprimono due vie conflittuali ed antitetiche ma entrambe essenziali
al nostro stesso equilibrio”27.
Per illustrare il senso che Dezzi Bardeschi attribuisce alla
conservazione possiamo utilizzare il seguente schema: da una parte
mettiamo i termini “conservazione / permanenza / continuità /
tradizione / identità / passato / provenienza”; dall’altra parte, in
corrispondenza dei termini precedenti, poniamo “progetto /
mutazione / frattura / innovazione / differenza / futuro / destino”.
Abbiamo così costruito sette coppie di termini: conservazione /
progetto, permanenza / mutazione, continuità / frattura, tradizione
/ innovazione, identità / differenza, passato / futuro, provenienza /
destino. Una linea sinusoidale e in oscillazione separa e nello stesso
tempo congiunge i due campi contrapposti ma complementari.

27 Marco Dezzi Bardeschi, Restauro: punto e da capo, a cura di Vittorio Locatelli, Franco
Angeli, Milano, 1991, p.165.

20
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

Ecco, quella linea rappresenta il restauro come soglia tra


conservazione e progetto e tra tutte quelle coppie di termini che
solo in apparenza sono tra loro in contraddizione. Questo schema
troverà completo chiarimento solo alla fine del nostro percorso che
sintetizza in dieci capitoli i fondamenti della teoria di Dezzi
Bardeschi.

2.1. Conservazione e Storia

Il primo punto da affrontare è quello inerente al rapporto tra


conservazione e Storia. Occorre innanzi tutto mettere sotto critica
una concezione della Storia come esclusiva pratica di scrittura.
Scrive Dezzi Bardeschi, ironizzando sull’atteggiamento dello
storiografo: “«la storia è quello che c'è scritto». Per i tanti Cidrolin
che sono fra noi, l'unica forma autorizzata di pratica storica è la
pratica della scrittura, paradiso solitario dell'erudito che, prendendo
la dovuta distanza dal destino fisico del costruito (...) costruisce a
tavolino delle iperrealtà mitopoietiche fra le quali poi si aggira con
compiaciuta eleganza”28.
A questa visione della Storia che si traduce, nel campo
dell’architettura, in una storiografia architettonica fatta per
immagini di facciata, per arbitrarie classificazioni di stili, tesa a
restituire la forma originaria e la verità dell’origine, Dezzi
Bardeschi contrappone una storia archaeologica fatta sull’attenta
lettura del costruito nelle sue stratificazioni e discontinuità, nel
rilievo accurato dell'edificio nella sua consistenza materica hic et
nunc, nello studio della fabbrica come insostituibile e
irriproducibile documento-monumento.

2.2. La storia effettiva

Dunque alla storia scritta bisogna sostituire la storia effettiva, alla


ricerca della verità dell’origine la storia del trascorso della fabbrica
e la storia vivente che la fabbrica scrive, allo sguardo storiografico
l’ascolto clinico dell’esistente che diventa il punto di partenza di
una corretta pratica di conservazione. Dobbiamo, insomma,
“abituarci sempre più a rispettare ogni segno della storia, anche di
28 Ibidem, p.196.

21
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

quella che meno sembra appartenerci e a cui siamo meno disposti a


prestare ascolto e considerazione”29.

2.3. Il monumento-documento

Dezzi Bardeschi si pone nella continuità della tradizione che, da


Boito in poi, prima di tutto sottolinea il valore documentale del
monumento. Cioè quella tradizione, quella stessa di Riegl e di
Sanpaolesi, che non accetta dicotomie tra forma e materia e
privilegi speciali accordati alle istanze estetiche. Perché è la
materia, sulla quale la storia si inscrive, il documento primo da
conservare nella sua autenticità: “è la materia che racconta, perché
ce l'ha scritto addosso, il processo per il quale è passata ogni
fabbrica, anche la fabbrica più umile, e che insomma costituisce in
definitiva il segno tangibile, il documento primario, su cui riposa la
storicità e dunque la specificità e l'autenticità di quella fabbrica e
non altre, in quel luogo e non in altro”30.

2.4. Autenticità e materia

Insomma, la materia non è affatto solo il medium di


manifestazione dell’opera d’arte, ma è il veritiero testimone della
sua autenticità: “l'autenticità dell'opera è quella stessa dei suoi
componenti materici, ed è legata irreversibilmente proprio alla loro
sussistenza hic et nunc”31. Occorre dunque conservare il
monumento “non semplicemente in effigie ma nelle sue reali
strutture fisiche, nei componenti materici che ne costituiscono
l'irripetibile contesto specifico, unico, individuo, in cui solo
consiste l'autenticità dell'opera”32.

2.5. Forma e materia

Così, portando alle estreme conseguenze la coincidenza tra


valore storico e valore artistico affermata da Riegl, Dezzi Bardeschi
può concludere che l’immagine non è per niente un invariante
29 Ibidem, p.92.
30 Ibidem, p.169.
31 Ibidem, p.108.
32 Ibidem, p.53.

22
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

immateriale, una realtà pura sottratta al divenire, ma è il risultato


dello stesso il processo di degrado dell’edificio: “l'immagine
estetica è tutt'altro che una costante immutabile permanente e
definitiva. Altro che invariante! Anch'essa fatalmente segue,
essendone il risultato, il processo biologico che subisce il contesto
fisico di cui essa è veicolo di immagine”33.

2.6. Unicità e irriproducibilità dell’originale

Non si tratta dunque di perseguire il ritorno allo stato originario


ma di salvaguardare l'originale in quanto documento autografo,
unico e irriproducibile, in una lettura senza pregiudizi che si fa
carico della processualità della fabbrica e dunque anche di fratture e
discontinuità. L’architettura è una scrittura autografa: “come ogni
originale una siffatta scrittura è deperibile (e peribile), ma
soprattutto è irriproducibile. È l'aura dell'originale che ci parla e ci
coinvolge, non l'ambito freddo della riproduzione differente che il
restauro ha tentato di proporci in oltre un secolo di macabri esercizi
sulla viva pelle del monumento. Nei casi migliori, alla fine, ci ha
consegnato al posto dell'originale, solo inganni e ben datate
esercitazioni di revival stilistico da manuale”34.

2.7. Monumento palinsesto

Occorre abbandonare le categorie di unità, originarietà ed


omogeneità stilistica, in favore del concetto articolato di palinsesto,
una scrittura di mondo sempre aperta a nuove e inedite trascrizioni.
Il grande libro dell’architettura è un palinsesto stratificato e in
continua trasformazione dove ogni generazione continua a
sovrascrivere, lasciando traccia della propria storia e del proprio
passaggio.

2.8. Ripetizione e differenza

Ecco che in questa ottica anche la conservazione, persino la


conservazione, è di necessità trasformazione e mutazione. In Dezzi
33 Ibidem, p.104.
34 Ibidem, p.92.

23
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

Bardeschi la denuncia contro i ripristini del «dov'era, com'era»,


contro i miti del ritorno all'origine, si fonda sull’affermazione di
una irreversibilità di diritto, ancor più che di fatto, del processo
subìto dalla fabbrica. In un mondo eracliteo dove tutto scorre e tutto
si trasforma, ogni ripetizione è di principio differente.

2.9. Conservazione e ri-uso

Specificità dell’architettura è poi il fatto di essere un manufatto


rispetto al quale non può essere messo in atto un atteggiamento -
teoretico/estetico - esclusivamente contemplativo, avendo il suo
senso in una destinazione funzionale. Sotto questo punto di vista la
conservazione non può che implicare il ri-uso: senza uso non si può
pretendere di conservare poiché tutto si ruderizzerebbe in modo
definitivo. Per attuare una concreta ed effettiva conservazione
dell'esistente occorre dunque riattivarne l’uso, un uso che può
essere differente rispetto alla destinazione passata ma pur sempre
compatibile, vale dire che deve implicare il minor consumo e il
massimo rispetto per la raggiunta consistenza materiale della
fabbrica: “per poter ri-usare cioè, bisogna conservare, anzi
dimostrare di saper conservare”35.

2.10. Conservazione e progetto

Accanto alla conservazione trova quindi posto il progetto del


nuovo, cioè il progetto di quelle componenti necessarie alla
fruizione dell’edificio. Di più: è il progetto del nuovo che dà senso
alla conservazione. Nella pratica del restauro è in gioco una partita
doppia dove il rispetto integrale della fabbrica, considerata
nell’autenticità materiale di documento, trova il suo irrinunciabile
corrispettivo nel progetto del nuovo, secondo il principio di non
sottrarre ma semmai aggiungere materia, rendendo l'aggiunta
riconoscibile e denunciata come nuova: “sono convinto” - scrive
Dezzi Bardeschi - “che un intervento corretto sul costruito debba
procedere secondo un doppio registro: quello della conservazione
(senza privilegi, né selezioni di parti) di ciò che già esiste e
costituisce il risultato dell'accumulazione materica che la storia ci
35 Ibidem, p.375.

24
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

consegna in eredità; e quello dell'innovazione ossia del nuovo


apporto, autonomo che a nostra volta lasciamo impresso sulla
fabbrica a testimonianza del nostro uso, del nostro passaggio”36.

36 Ibidem, p.61.

25
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

Una lettura genealogica

3.1. Friedrich Nietzsche e l'ipotesi genealogica

Secondo la nostra personale interpretazione tutto ciò può


riassumersi nell’affermazione che il restauro in quanto
conservazione - così come teorizzata da Dezzi Bardeschi -
rappresenta una pratica genealogica di analisi e di intervento sul
costruito.
Occorre qui chiarire in che senso utilizziamo la parola
“genealogia”: il nostro riferimento è il pensiero di Friedrich
Nietzsche, il quale introduce tale termine per designare un nuovo
approccio alla storia contrapposto alla storiografia tradizionale. Se
la storiografia tradizionale crede nella esistenza di un passato in sé
come totalità dell’avvenuto che l’occhio panoramico dello storico è
in grado di ricostruire in modo oggettivo e distaccato, al contrario
la genealogia si definisce come uno sguardo prospettico,
consapevole della sua finitezza e provvisorietà, da un determinato e
finito punto di vista. A quella storia che assume l’origine come
verità in sé del passato e che ricerca linearità e continuità nello
sviluppo storico, Nietzsche contrappone una visione che è piuttosto
attenta ai punti discontinuità, che sostituisce la continuità con la
dispersione, la ricerca dell’origine con l’analisi dei valori. La
genealogia non pretende di poter ricostruire il passato in sé con
piena oggettività, ma è consapevole di esercitare un punto di vista
inevitabilmente soggetto a pre-giudizi. Se poi la storia tradizionale
si appoggia su una concezione del tempo come successione lineare
di istanti presenti, la genealogia fa propria un’idea del tempo

26
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

circolare in cui passato-presente-futuro entrano nel circolo della


interpretazione e della reinterpretazione.

3.2. Carlo Sini: la genealogia, la scrittura, il Tempo e la Storia

Il filosofo contemporaneo Carlo Sini sviluppa in termini


filosofici il tema della genealogia a partire dalla critica alla
storiografia vista come riflesso del gesto metafisico - la ricerca
dell’essenza, dell’ousia - a sua volta reso possibile dalla diffusione
della pratica alfabetica.
La pratica della storiografia mette in opera quel peculiare
sguardo verso il passato in cui il passato, reciso dalle sue radici nel
mondo vissuto e dalla sua continuità con il presente, viene
proiettato e distanziato in una realtà oggettiva e neutrale, in una
supposta verità in sé e per sé. Fondandosi su un concetto del tempo
come dato dalla successione di istanti temporali presenti
potenzialmente reversibili, la storiografia si pone l’obbiettivo di
trascrivere e ricontestualizzare entro la scrittura alfabetica le
pratiche umane secondo un atteggiamento di disinteresse metodico
la cui radice è proprio lo sguardo panoramico istituito dalla
metafisica greca.
Contro questo presupposto metafisico si deve piuttosto
affermare con Sini che la nostra visione del passato può avvenire
solo a partire dalla domanda del nostro presente: è insomma di
necessità un punto di vista prospettico. Credere di poter ricostruire
la storia “così come è stata” significa illudersi di poter assumere il
punto di vista degli uomini del passato, di potersi immedesimare
nelle loro pratiche e nei significati ad esse collegati: ma questa
retrocessione del testimone è impossibile perché “significherebbe
stare in pratiche (...) che non sono le nostre, e che in quanto non
sono le nostre non hanno un passato come il nostro, non vivono il
passato come lo viviamo noi”37.
Si deve dunque accettare che “non c’è una cosa che è il passato;
non è che ci sono delle cose che hanno la caratteristica di essere
presenti, attuali, e delle cose che in loro stesse hanno la
caratteristica di essere passate”. Occorre più correttamente dire che
37 Carlo Sini, Immagine e conoscenza. Le basi materiali del conoscere e l’iconismo della
scrittura, CUEM, Milano, 1996, p.185.

27
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

“le cose sono passate solo in quanto sono ripetute”. È solo sulla
soglia della ripetizione che si costituisce un passato come rimando
di una domanda presente, consapevole della sua differenza e
distanza dal passato: “proprio perché faccio questo, perché ripeto
l’altro, già questo fatto mette l’altro nel passato e mette me nella
sua differenza dal passato, stabilisce una differenza nella
continuità”38.
Assumere lo sguardo genealogico vuol dire rendersi avveduti
del fatto che il passato è prodotto dall'atto della ripetizione, quando
emerge una differenza nella continuità: “non ci sono delle cose che
in loro stesse permangono (...). Non è che qualcosa di per sé si
conservi. Permane in quanto viene ripetuto, e in quanto viene
ripetuto viene colto anche nella sua differenza”39.
La genealogia fa inoltre propria un’idea di temporalità fondata
sulla circolarità delle tre estasi temporali - passato, presente, futuro
- “circolarità che esige un presente per la differenza e la distanza
dal passato e che esige ancor più un futuro, perché il presente
effettivamente accada nel suo tendere e intendere, facendo del
passato ciò che ancora attende al varco nel futuro”40.
In termini ermeneutici “il passato accade nel presente
[dell’interpretazione](…), ma esso esige il futuro per il suo senso e
compimento (…). Letteralmente: non c’è passato senza futuro; non
può accadere il passato (l’accaduto) se non accade anche il futuro.
(…) Passato e futuro si confrontano e si tra-ducono; essi operano lo
scambio dell’aver già nell’aver da, della provenienza e della
destinazione”41.
Ecco che, se pure in modo non del tutto consapevole, nella
pratica del restauro intesa come conservazione e progetto, Dezzi
Bardeschi applica al campo dell’intervento sul costruito esistente
un habitus genealogico così come lo abbiamo fin qui delineato,
trasformando il restauro da mero esercizio tecnico a esperienza
etica della domanda, in-cidente e pro-cedente, sulla verità della
storia. Il restauro, inteso così come pro-gressiva pratica di
38 Ibidem, p.180.
39 Ibidem, p.181.
40 Carlo Sini, presentazione al nostro Genealogia e progetto. Per una riflessione filosofica sul
problema del restauro, FrancoAngeli, Milano, 2006, p.9.
41 Carlo Sini, Il silenzio e la parola, Luoghi e confini del sapere per un uomo planetario,
Marietti, Genova, 1989, p.78.

28
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

conservazione, non si esaurisce in un nostalgico ed illusorio


sguardo al passato, né in una nevrotica coazione a ripetere, ma,
come la genealogia, “è consapevole di non restituire il passato
com'era, ma quel passato che accade qui, come effetto retroattivo
della differenza presente”42.
Per Dezzi Bardeschi prendere atto della permanenza significa
comunque e sempre innescare una trasformazione, un progetto. Ma
di quale senso del progetto parla Dezzi Bardeschi?

3.3. Enzo Paci: il progetto come metamorfosi nella permanenza

Per rispondere ci rivolgiamo al pensiero filosofico di Enzo Paci


che ha dedicato negli anni Sessanta importanti riflessioni al tema
del progetto d’architettura. Paci sostiene che ogni progetto di
necessità si sostanzia della memoria del passato - “ogni passo in
avanti è la riconquista di un passato; ogni slancio verso il futuro è
un temps retrouvé”43 - ma, contemporaneamente, la memoria del
passato non è un dato fisso ed oggettivo, un’identità costante e
permanente. Essa muta nel momento stesso del suo presentificarsi
nel progetto, nell’atto stesso del “riprendersi del passato e [del] suo
radicale rinnovamento nel presente per il futuro”44.
Il senso autentico del progetto è quindi quello di una
metamorfosi nella permanenza, quella Mutuomorphomutation, che
Paci riconosce come la chiave di lettura del Finnegans Wake di
Joyce: “nel ri-corso può essere spezzata la tradizione può essere
dato alla storia un nuovo senso nell’attuarsi di una nuova realtà.
(…) la chiave per ripresentificare il passato nel presente secondo un
senso nuovo del futuro”45.
Ecco che progetto e conservazione si trovano sulla stessa linea
che nello stesso tempo separa e unisce passato e futuro: la soglia di
una memoria che ha dunque carattere dinamico e progettuale.
Memoria e progetto sono il medesimo, situati su quello stesso

42 Carmine Di Martino, Grammatica e pragmatica del messaggio, CUEM, 1996, p.179.


43 Enzo Paci, Fenomenologia e architettura contemporanea, in “La Casa”, 1958, ripubblicato
in Relazioni e significati, vol. III, Critica e dialettica, Lampugnani Nigri editore, Milano, 1966,
p.197.
44 Enzo Paci, A cominciare dal presente, in “Questo e altro”, n.2, 1962, ripubblicato in
Relazioni e significati, vol. III, Critica e dialettica, op.cit.p320.
45 Ibidem, p.321.

29
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

limite in perpetuo movimento tra passato e futuro: “questi due


orizzonti non disegnano due realtà in sé, il passato e il futuro, la
provenienza e la destinazione, ma disegnano un limite: quel punto
di incontro in quanto limite in cui accade il passato e il futuro, la
provenienza e la destinazione, e questo gioco si riproduce in ogni
inizio”46. Il progetto è dunque quel limite mobile che distanzia ma
nello stesso tempo unifica come due metà symballiche la
provenienza e la destinazione, la fatticità dell’esser gettati e le
possibilità del divenire.

3.4. Restauro come pratica genealogica ed etica del progetto

La conservazione, così come la pratica Dezzi Bardeschi, in


quanto consapevole pratica genealogica di una domanda pro-
gettante verso il passato, si colloca proprio su quella soglia
oscillante e in perpetuo movimento che è il luogo proprio del
progetto come luogo della mutuomorphomutation. In questo senso
possiamo dire che la conservazione costituisce un’etica del
progetto.
Come già altrove abbiamo sostenuto, in tale prospettiva i
monumenti ed le architetture non sono spazi fisici in sé con un
passato in sé, ma luoghi di relazione e di memoria, la cui identità
non è il semplice risultato dell’accumulo della totalità degli
accadimenti della loro storia. La loro identità non è stabile ma muta
in funzione della trasformazione del loro passato ad opera di una
memoria che è già un “in vista di”, è già un progetto; la loro
identità è un processo, una “permanenza flessibile”, è “l’onda
circolare e mobile” del tendere e dell’intendere, dell’aver
interpretato in funzione di un aver da interpretare; è l’emergenza di
una differenza nella continuità, di una mutazione nella permanenza;
la loro identità è la traccia di un limite in oscillazione tra le due
metà symballiche del passato e del futuro.
Ecco il senso dello schema che abbiamo proposto all’inizio:
conservazione e progetto sono il medesimo e insieme stanno sulla
linea che - come la linea sul foglio mezzo rosso e mezzo blu
dell’esempio di Peirce, non è né rossa né blu, ma è sia rossa che blu
- divide ma unifica conservazione e progetto, permanenza e
46 Carlo Sini, Archivio Spinoza. La verità e la vita, Edizioni Ghibli, Milano, 2005, p.53.

30
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

mutazione, continuità e frattura, tradizione e innovazione, identità e


differenza, passato e futuro, provenienza e destino.

31
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

4.
La pratica della conservazione

Ora non ci rimane che vedere come queste premesse teoriche


vengano declinate nella pratica dell'intervento restaurativo.
L’illustrazione di esempi di restauri da condotti Dezzi Bardeschi
(alcuni dei quali mi vedono in veste di collaboratore), sarà utile a
chiarire ed esemplificare il suo approccio metodologico.

4.1. Il rilievo per la conservazione

Il punto di partenza ed il primo passo preliminare ad ogni


intervento di restauro è il rilievo. Il rilievo fornisce la necessaria
conoscenza dello stato esistente del manufatto sul quale si deve
intervenire.
Il rilievo per la conservazione non si limita ad una restituzione
geometrica dell’edificio ma indaga lo stato di degrado dell’edificio,
le patologie sofferte dai suoi materiali. Accanto al rilievo
geometrico è dunque necessario produrre un rilievo materico-
patologico nel quale sono evidenziati i differenti materiali di cui è
composta la fabbrica, le loro forme patologiche e le cause del
degrado. Ciò è evidentemente necessario per impostare un progetto
di conservazione che è essenzialmente mirato a conservare la
materia eliminando preliminarmente le cause del degrado.
Si tratta di un rilievo minuzioso, palmo a palmo, dell’edificio,
che si applica anche alle parti più nascoste della costruzione e a
quelle parti che certa pratica comune vede come elementi
sacrificabili, come le coperture e i pavimenti. Nel caso del
capannone del Bastione Borghetto a Piacenza, ad esempio, il rilievo

32
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

esteso dalle capriate lignee alla orditura primaria e secondaria e al


tavolato di copertura, in abbinamento all’esecuzione di una prova di
carico, ha permesso, con minimi interventi di fasciatura, la
conservazione integrale delle strutture che erano state già
condannate alla demolizione e rifacimento. Un altro esempio che
mostra il livello di dettaglio raggiunto è il rilievo della
pavimentazione della galleria di testa della Stazione di Santa Maria
Novella a Firenze: per ciascuna pietra in opera nel pavimento è
annotata nel disegno ogni minima lesione, permettendo così l’esatta
valutazione degli interventi conservativi da effettuare.
Il rilievo materico è uno strumento necessario di conoscenza
anche nel caso di interventi a scala urbana come è il caso
dell’intervento pilota di conservazione del centro storico di
Certaldo dove il rilievo materico è stato esteso a tutti gli edifici del
centro urbano, permettendo una restituzione completa dello stato di
fatto delle sezioni dell’edificato esistente. La medesima attenzione
riservata al rilievo dei monumenti viene dunque dedicata alla
lettura dell’edificato non monumentale, come gli edifici industriali
insistenti su quelle che volgarmente vengono definite, con un
appellativo che è già una condanna, le aree dimesse: è il caso dei
padiglioni delle Officine Galileo a Firenze od anche delle
campagne di rilievo condotte, dagli studenti dei corsi di Dezzi
Bardeschi presso il Politecnico di Milano, sul patrimonio
dell’archeologia industriale del quartiere Bovisa.
Se fino agli anni Novanta il ridisegno della lettura materico-
patologica dell’edificio veniva pazientemente eseguita a mano, a
matita o a china (come ad esempio per i rilievi del Palazzo della
Ragione di Milano, della Rocca di Novellara, della Villa Rusconi a
Castano Primo), l’evoluzione e la diffusa disponibilità delle
strumentazioni informatiche e digitali ha messo a disposizione
nuove modalità di restituzione grafica attraverso la combinazione
della fotografia digitale e dei programmi di cad e grafica. Il rilievo
fotografico, attraverso rapide procedure di raddrizzamento, può
diventare il supporto stesso della lettura materico-patologica, come
è il caso degli elaborati di rilievo della Castiglia di Saluzzo o del
Tempio Duomo di Pozzuoli.
Il rilievo per la conservazione, nell’attenzione ai punti
discontinuità e alla successione delle stratificazioni, si viene in

33
Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

sostanza avvicinando alla lettura archeologica, come ad esempio


quella effettuata sui pavimenti e sull’elevato di alcuni locali al
piano terra del Palazzo Comunale di Modena e preliminare
all’intervento di realizzazione di un nuovo ingresso.

4.2. Il progetto di conservazione

Questa attenta lettura dell’esistente, che è già dunque una


lettura del degrado orientata verso la conservazione, fornisce la
base per la redazione del progetto.
Ecco che le tavole di rilievo offrono il supporto alle indicazioni
di intervento, in generale essenzialmente di pulizia, consolidamento
e protezione, essendo ridotte al minimo necessario le sostituzioni.
Le tavole di progetto appaiono caratterizzate da una fitta tessitura di
descrizioni scritte che sintetizzano, in relazione ad ogni diverso
materiale e patologia individuati, le operazioni previste nelle
indicazioni più diffuse delle schede del capitolato speciale dei
lavori.

4.3. La materia

Primo obiettivo del progetto di restauro è per Dezzi Bardeschi


la conservazione della materia, di quella materia sulla quale si
iscrive la storicità del documento architettonico. È la materia che
racconta: è lei il primo testimone della storia della fabbrica.
Così ad esempio sui muri nel Palazzo della Ragione di Milano
rimangono visibili, anche dopo l'attuazione dell'opera di
conservazione, le spie in gesso poste all’inizio del Novecento per
monitorare i dissesti; e quei segni di scalpellatura del paramento in
mattoni e della cornice ad archetti rimangono testimoni
dell’intoncatura e della modanatura settecentesca poi rimosse negli
interventi di restauro alla fine dell’Ottocento.
Sulle pareti interne del salone invece rimane nel suo aspetto
lacunoso il palinsesto degli affreschi, le cui stratificazioni
testimoniano dei diversi usi che si sono succeduti nel corso del
tempo. Con la stessa attenzione archeologica sono state messe in
luce e salvaguardate anche alcune scritte anonime, eco e voce
lontana della mano autografa che qui le ha lasciate incise.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

4.4. Il cantiere

I cantieri di restauro di Dezzi Bardeschi rappresentano in prima


istanza luoghi e momenti di studio dell’edificio, dove si completa il
quadro delle informazioni necessarie all’intervento. Ad esempio,
sia nel caso del restauro del Palazzo della Ragione di Milano che in
quello della Manica Lunga della Biblioteca Classense di Ravenna,
sono state effettuate misurazioni dello stato di sforzo della muratura
con l’uso di martinetti piatti, strumenti solo minimamente invasivi
impiegati in precedenza nel campo delle indagini geologiche.
Bandita ogni opera di demolizione, nei cantieri di restauro di
Dezzi Bardeschi non avvengono operazioni generalizzate di
sostituzione ma si attuano esclusivamente interventi di
consolidamento strutturale e di pulizia, consolidamento e
protezione dei materiali. Le immagini relative al Palazzo Gotico di
Piacenza testimoniano l’intervento di consolidamento della
copertura con smontaggio, pulitura e rimontaggio del manto in
coppi e che mantiene in opera le strutture lignee esistenti.
La documentazione fotografica che illustra i lavori svolti sui
paramenti in pietra della Stazione di Santa Maria Novella a Firenze
mostra nel dettaglio le tecnologie impiegate negli interventi di
pulizia, come gli impianti di lavaggio con nebulizzazione di acqua
deionizzata e l’applicazione di impacchi di argilla assorbente per
eliminare le macchie più resistenti, e documenta le operazioni di
riposizionamento e la riadesione delle parti in fase di distacco
tramite iniezioni di resine epossidiche con minime reintegrazioni
mediante tassellature delle lacune. La sostituzione dei materiali in
opera viene effettuata solo nei situazioni estreme come è stato il
caso delle lastre della pavimentazione della galleria della stazione,
eccessivamente lesionate e parzializzate e perciò irrecuperabili.
Le tecniche di pulizia e consolidamento non sono applicate ai
soli paramenti in pietra ma ne è esteso l’impiego anche ai
rivestimenti ad intonaco: è il caso dell’intonaco settecentesco del
sopralzo del Palazzo della Ragione di Milano che è stato mantenuto
nel suo stato lacunoso con interventi di riadesione, sigillatura dei
bordi, pulizia, consolidamento e protezione delle superfici.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

La conservazione coinvolge anche le parti di corredo


tradizionalmente considerate secondarie, e perciò sacrificabili e
sostituibili, come gli infissi: così è stato per i grandi oculi
settecenteschi nel sopralzo del Palazzo della Ragione di Milano
come per i più recenti serramenti in legno del capannone di
Bastione Borghetto a Piacenza che sono stati sottoposti ad
interventi di pulizia, scartavetratura, ridipintura, puntuali
reintegrazioni, sostituzione delle ferramenta e applicazione, con
listelli fermavetro riportati, di nuovi vetri isolanti.

4.5. Bestiari e cosmogonie

Al progetto di conservazione si accompagnano, laddove


occorrano, le integrazioni necessarie a permettere la continuità
d’uso dell’edificio. Gli interventi di reintegrazione sono il campo di
applicazione del progetto del nuovo che per Dezzi Bardeschi non è
mai mimetico rispetto all’esistente. Il nuovo deve denunciarsi come
tale, entrando in positivo dialogo con l’antico. In una disposizione
che lo avvicina all’Alberti, Dezzi Bardeschi fa delle motivazioni
simbolico-narrative la riconoscibile cifra personale dei suoi
interventi.
Per la sala del Palazzo della Ragione di Milano, ad esempio, il
riferimento è l’Uovo di Zoroastro sul cui impalcato astrologico
costruisce la scansione degli elementi di arredo.
Cosmogonie e bestiari abitano costantemente i progetti di Dezzi
Bardeschi, che si esprime con segni architettonici densi di
significati geroglifici ed ermetici. Così avviene per le integrazioni
della pavimentazione della sala del Palazzo della Ragione e per il
portico dell’adiacente Casa Panigarola a Milano, ma anche per la
realizzazione della nuova pavimentazione della Manica Lunga della
Classense di Ravenna. La ricerca di un filo narrativo-simbolico che
riconnetta la testimonianza del nostro tempo alla voce degli antichi
ritorna anche negli studi per il Parco delle Cascine a Firenze o per
gli interni ed esterni della Villa degli Imbarcati a Santomato, in
provincia di Pistoia. Talora l’intervento progettuale di Dezzi
Bardeschi è coordinato con quello di un artista alla cui mano è
delegata la realizzazione di un preciso programma iconologico: così
è avvenuto per la Villa degli Imbarcati, dove Dezzi Badeschi ha

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

coinvolto vari esecutori, tra i quali Diego Esposito, per le


pavimentazioni di alcune sale interne, Vittorio Locatelli, per le
decorazioni di esotici gabinetti, il belga Gabriel Pirlet per la
realizzazione della grotta marina.
Il richiamo ad elementi simbolici, astrali e astrologici è
ricorrente nelle opere eseguite con la collaborazione di Vittorio
Locatelli. Così nel nuovo ingresso al Palazzo della Comunità di
Modena la lettura archeologica dell’esistente si accompagna
all’intervento artistico sulla volta, in cui è fissata la posizione dei
pianeti nel giorno della Liberazione della città.

4.6. Il riuso

Per Dezzi Bardeschi, lo abbiamo visto, il riuso - compatibile - è


necessario e complementare alla conservazione ed implica
l’inserimento di nuovi elementi. Talora il progetto del nuovo è
richiesto dalle mutate esigenze funzionali, come è stato il caso
dell’altare della chiesa di San Francesco ad Arezzo dove i
cambiamenti nella liturgia avevano posto l’esigenza di adeguare la
disposizione dell’altare. La scelta di Dezzi Bardeschi era stata qui
di intervenire in un contesto storico-monumentale (con la
sostituzione del pastiche pseudogotico esistente datato 1931) con
una articolata piattaforma “che intervenisse puntualmente a
ristabilire il perduto baricentro corale”47. Su sollecitazione di
Cesare Brandi, l’intervento fu giudicato, con pregiudizio
antimoderno, irrispettoso del contesto e successivamente demolito.
Credo che l’esperienza negativa di Arezzo sia una delle spine nel
fianco della carriera progettuale di Dezzi Bardeschi, insieme al
triste epilogo del progetto di recupero, a museo d’arte
contemporanea, dei padiglioni delle Officine Galileo a Firenze
Rifredi, che gli procurò una denuncia penale - poi rivelatasi
infondata - da parte di uno dei colleghi con cui aveva sviluppato il
progetto, che, incaricato della direzione lavori, aveva accusato
Dezzi Bardeschi di connivenze con l’impresa esecutrice per essere
entrato, senza autorizzazione, nel cantiere per verificare

47 Marco Dezzi Bardeschi, Un acceleratore delle relazioni sacre, in Marco Dezzi Bardeschi,
Giovanni Battista Bassi, Il futuro della memoria, Massa, 1972.

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

l’andamento dei lavori e la loro corrispondenza con il progetto


approvato.
Il programma di riuso del Palazzo della Ragione di Milano
come sala espositiva e salone di rappresentanza ha comportato
l’inserimento dei nuovi elementi impiantistici per il riscaldamento e
l’illuminazione. Dezzi Bardeschi qui progetta una scocca addossata
alle pareti nei quali fa passare in esterno tutta la dotazione
impiantistica, azzerando così le demolizioni per la realizzazione di
tracce nella muratura. La teoria dei nuovi elementi di arredo - in cui
si alternano sedute e piani d’appoggio - viene, tra l’altro, a coprire
una fascia di muro non decorata, risultato dell’abbassamento della
quota del solaio della sala avvenuto quando, con il nuovo sopralzo,
il salone era stato trasformato in archivio notarile.
Abbiamo già sottolineato come tutti gli interventi di Dezzi
Bardeschi siano motivati da un richiamo narrativo, da una
simbologia o un rimando alla storia passata dell’edificio. Così
anche per i corpi illuminanti del salone sceglie la forma di pennino,
a ricordare - rappresentando la penna l’elemento simbolico
dell’attività del notaio - l'ultima destinazione ad archivio notarile
del grande salone.
L’intervento di conservazione del Palazzo della Ragione è stato
poi completato della realizzazione di una scala di sicurezza, per la
quale Dezzi Bardeschi ha dovuto attendere più di venti anni. La
scala, nelle sue varie versioni, è interpretata come elemento
tecnologico autonomo ed il più possibile trasparente, che permette
inedite viste del paramento murario, del portico e del contesto
urbano: ne viene fuori una sorta di macchina d’assedio, composta
da un pennone principale al quale è appesa, tramite bracci ad
albero, una trave scatolare a C che regge tutto l’impalcato dei
gradini in vetro. Il tema delle scale-macchine d’assedio è uno
schema ricorrente utilizzato anche per il palazzo Gotico di Piacenza
e per il nuovo ingresso - non realizzato - della Castiglia di Saluzzo,
dove invece è stato realizzato l’inserimento di nuovo blocco degli
impianti con la centrale termica, interpretata come una sorta di
nave.
Alla Classense di Ravenna Dezzi Bardeschi progetta un sistema
integrato di pannelli espositivi e illuminazione, una nuova scala in
cui sono reiterati simboli astrali e cosmologici e, al piano

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Laura Gioeni Marco Dezzi Bardeschi: teoria e pratica della conservazione

ammezzato, l’ampliamento della biblioteca con l’apertura e il


consolidamento con strutture metalliche delle arcate che diventano
veri e propri elementi di arredo.
Anche l'intervento di conservazione del Bastione Borghetto a
Piacenza è stato accompagnato da un progetto complessivo di riuso,
ai fini del quale Dezzi Bardeschi, oltre a prevedere la riattivazione a
destinazione pubblica di tutti gli edifici esistenti, ha progettato
nuovi elementi di arredo urbano a corredo funzionale dell'esistente,
ridisegnando le pavimentazioni e nuovi diaframmi in muratura, un
belvedere porticato, un balconcino di affaccio sul vallo esterno. Ha
infine mantenuto, riprogettandoli, due capannoncini aggiunti in
periodo moderno, non mancando di suscitare aspre polemiche tra i
“puristi” del restauro.
Terminiamo la nostra carrellata con un cenno al Tempio-
Duomo di Pozzuoli, il cui progetto di restauro dovrà essere
completato dalla sistemazione della zona della canonica con il
nuovo campanile. Anche in questo caso Dezzi Bardeschi riattiva il
richiamo ad elementi simbolici e valenze astrali, cosicché la
lamiera di copertura delle campane nel nuovo campanile diventa
una sorta di baldacchino, interpretato come spicchio di volta
celeste: il “coelum stellatum” della notte del 21 marzo 61 d.C., allo
sbarco di Paolo di Tarso.

4.7. Conclusioni

Se, in conclusione, dobbiamo definire il carattere distintivo


dell’approccio di Marco Dezzi Bardeschi al tema del restauro,
crediamo che stia proprio nell’impossibilità di separare il
conservatore dal progettista, la pratica della buona conservazione
da quella di un sensibile, personale, polisemico e poetico progetto.

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