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SOMMARIO
Le nuove norme di prodotto EN relative alle attrezzature a pressione, quali interpreti
autentiche dello spirito della Direttiva 97/23/CE (meglio conosciuta come PED), hanno,
tra l’altro, sensibilmente modificato i criteri di progettazione a creep. In particolare, in
ossequio alla Direttiva, mentre fissano in modo rigido il coefficiente di sicurezza rispetto
al carico di snervamento alla temperatura di esercizio (ed i valori non si discostano da
quelli di altre normative quali ASME, DIN, VSG o VSR, ecc.), offrono una maggior
elasticità per il coefficiente di sicurezza in regime di creep (non fissato dalla Direttiva) che
può scendere sino a 1,25. Ciò comporta notevoli risparmi di materiale, e quindi di costi,
ma anche maggiori sollecitazioni di esercizio che, a parità di tutte le altre condizioni,
possono risultare più elevate del 20% rispetto a componenti analoghi progettati con le
vecchie norme.
Poiché la sollecitazione applicata in esercizio influisce in modo sensibile sulla cinetica del
danno da creep, è possibile aspettarsi tempistiche diverse rispetto al passato per la
comparsa e l’evoluzione del danno nei componenti. Per mantenere inalterati i livelli di
affidabilità e sicurezza, è pertanto necessaria una revisione delle tempistiche di controllo
che tenga nel dovuto conto due nuove variabili di progetto introdotte dalle EN: la vita
prevista di esercizio ed il coefficiente di sicurezza a creep adottato in fase di progetto.
Dopo un breve riassunto delle prescrizioni delle EN ed un confronto con quelle di alcune
delle norme tradizionalmente più utilizzate in Italia, viene affrontato il problema della
cinetica di danno da creep attesa nei vari casi e delle conseguenti esigenze di controllo non
distruttivo al fine di garantire sicurezza ed affidabilità dell’impianto.
S. A. I. T. E P. Studio Tecnico – ing. Carlo Fossati – Via Bienate, 16 - 21052 BUSTO ARSIZIO (VA)
INTRODUZIONE
A 10 anni dalla sua approvazione ed a 5 anni dalla sua entrata in vigore, la Direttiva
comunitaria 97/23/CE sulle attrezzature a pressione, comunemente conosciuta come PED,
non costituisce più una novità. Forse però tutte le sue implicazioni e conseguenze non
sono state ancora pienamente focalizzate ed in ugual misura recepite dalle figure coinvolte
nella progettazione, gestione, manutenzione e controllo di queste attrezzature.
L’adozione della Direttiva da parte del parlamento europeo ed il suo conseguente
recepimento (automatico ed obbligatorio) in tutti gli stati Europei, ha indubbiamente
aperto la strada ad una evoluzione dei principi di progettazione e fabbricazione delle
attrezzature a pressione; avendo ridefinito e fissato, in quanto legge, i “requisiti essenziali
di sicurezza”, la Direttiva ha costituito la base per la stesura di nuove normative di
prodotto (le norme EN) sicuramente più moderne, più attente alle esigenze di fabbricanti
ed utilizzatori, ma anche più esigenti sul piano della responsabilizzazione dei soggetti
coinvolti. L’utilizzo delle conoscenze raggiunte nell’ambito della scienza dei materiali e
delle maggiori precisioni di calcolo consentite dallo sviluppo del calcolo elettronico,
hanno consentito di aumentare (o quantomeno mantenere invariato) il livello di sicurezza
delle nuove attrezzature al momento della loro messa sul mercato, pur riducendo alcuni
coefficienti di sicurezza ed alcuni vincoli progettuali.
Senza addentrarsi in un’analisi completa ed approfondita di questi aspetti che esulerebbe
dagli scopi di questa presentazione, ci limiteremo alle conseguenze della Direttiva sulla
progettazione ad alta temperatura in presenza di creep ed il successivo esercizio delle
attrezzature a pressione. Un aspetto limitato ma estremamente significativo, vista
l’importanza degli impianti di processo interessati, un aspetto incontrato operativamente
quando, ancora in forze a ConCert, la società di certificazione di attrezzature a pressione
dell’ENEL, con i miei collaboratori, dovemmo studiare le nuove norme EN (in particolare
le EN 12952, EN 13445, EN 13480) confrontandole con le norme storiche (Raccolte VSG
e VSR, ASME ecc.). Alcune considerazioni emerse da quei confronti sono già state
pubblicate da A. Sala [1]; in questa presentazione ne verrà dato un quadro più completo
che prenda in considerazione anche le modifiche apportate alla EN 13445 nell’ultima
revisione che ne amplia il campo di applicazione anche a temperature superiori a 350 °C.
LA PROGETTAZIONE A CREEP
Prima di passare ad esaminare come le norme di prodotto EN affrontino il problema della
progettazione a creep delle attrezzature a pressione, è utile effettuare una breve carrellata
tra le norme storicamente più utilizzate per la progettazione degli impianti di processo
Italiani.
a) Raccolte ISPESL VSR e VSG
Sono le norme nazionali italiane, obbligatorie sino all’entrata in vigore della PED.
- La Raccolta VSR si riferisce a tutti i recipienti in pressione; il coefficiente di
sicurezza a creep è 1,5.
- La Raccolta VSG si riferisce unicamente ai generatori di vapore; il coefficiente
di sicurezza a creep era 1,6, ridotto a 1,5 dopo l’entrata in vigore della PED.
- La vita teorica di progetto a creep è fissata in 100.000 ore
b) ASME
Sono state spesso utilizzate per il progetto di tubazioni negli impianti termoelettrici in
quanto la legislazione italiana non contemplava le tubazioni.
- Il coefficiente di sicurezza a creep è 1,5.
- La vita teorica di progetto a creep è fissata in 100.000 ore.
c) API
Sono state spesso utilizzate per il progetto di tubazioni negli impianti chimici e
petrolchimici in quanto la legislazione italiana non contemplava le tubazioni.
- Il coefficiente di sicurezza a creep è 1,5.
- La vita teorica di progetto a creep è fissata in 100.000 ore.
UN ESEMPIO
Come esempio di quanto detto in precedenza, esaminiamo il caso ipotetico di
un’attrezzatura a pressione ove fissiamo i seguenti parametri di progetto:
A. Vita di progetto: 100.000 ore
B. Temperatura di progetto: 540 °C
C. Materiale: acciaio A335 P22
Con questi presupposti calcoliamo σamm (l’ammissibile di progetto) secondo tre norme
citate in precedenza: EN 12952, ASME, Raccolta VSG ed. 1995; per il materiale scelto,
esistono i dati di riferimento a 100.000 ore e a 540°C.
I risultati del calcolo sono:
- EN 12952 Coefficiente di sicurezza 1,25; σamm = 64,0 MPa
- ASME Coefficiente di sicurezza 1,5; σamm = 53,3 MPa
- Raccolta VSG Coefficiente di sicurezza 1,6; σamm = 50,0 MPa
Ciò significa che il componente progettato secondo EN avrà una sollecitazione d’esercizio
maggiore di un fattore 1,2 rispetto all’ASME e di un fattore 1,28 rispetto alla VSG; per
contro gli spessori minimi di parete1 dati dalla EN saranno i più bassi e quelli della VSG i
più alti: è evidente il vantaggio per il fabbricante che arriva a risparmiare oltre il 20% in
peso di acciaio con tutto ciò che ne consegue.
Poiché poi la vita a creep diminuisce al crescere della sollecitazione applicata, la vita a
rottura del componente EN sarà la minore, ma quali sono le differenze?
1
Per semplificare i calcoli, che hanno scopo puramente esemplificativo, si ipotizza che il componente
abbia esattamente lo spessore minimo richiesto dalla norma; tale approssimazione, nella maggior parte
dei casi, non si discosta in maniera sensibile dalla realtà.
Per determinare le vite attese a rottura corrispondenti alle tre sollecitazioni ammissibili
calcolate è necessario entrare nel diagramma bilogaritmico sollecitazione applicata-vita a
rottura del materiale, come riportato in figura 1, e fare un’ipotesi su quella che
consideriamo la vita a rottura effettiva del materiale. Per ragioni di sicurezza è opportuno
prendere come vita a rottura del materiale (e quindi vita attesa del componente) il limite
inferiore della banda di dispersione dei dati medi riportati dalle curve di riferimento, limite
inferiore che abbiamo visto essere universalmente riconosciuto pari a 80% del valor medio
(linea color magenta in figura 1).
Sulla base di questa ipotesi, per altro ragionevole, le vite attese a rottura in corrispondenza
dei tre ammissibili sono date dall’intersezione delle parallele all’asse dei tempi, condotte
ai tre livelli di sollecitazione, con la curva limite inferiore (linea color Magenta):
- EN 12952 vita di progetto = 100000 ore; vita attesa a rottura = 100.000 ore
- ASME vita di progetto = 100000 ore; vita attesa a rottura ≈ 380.000 ore
- Raccolta VSG vita di progetto = 100000 ore; vita attesa a rottura ≈ 520.000 ore
La forte dispersione di questi risultati, sicuramente degna di attenzione, è intrinseca alla
legge matematica che lega, nel creep, la sollecitazione applicata al tempo a rottura
(relazione lineare o doppiolineare in coordinate bilogaritmiche, con una bassa pendenza
sull’asse dei tempi). È pertanto il meccanismo stesso del creep che, come ben sanno gli
addetti alle prove di laboratorio, a piccole variazioni della sollecitazione applicata,
risponde con ampie variazioni nei tempi a frattura.
È bene qui ribadire come il diagramma riportato, pur se riferito all’acciaio A335 P22 a 540
°C, sia tipico degli acciai per alta temperatura e che i risultati trovati sono rappresentativi
di quanto accade per molti altri acciai per alta temperatura e di uso comune.
1000
100
EN: FS = 1,25 tr = circa 380.000 ore
ASME: FS = 1,5
VSG: FS = 1,6
Possiamo da ciò, sulla base di almeno 15 anni di controlli su impianti eserciti in regime di
creep, trarre due conclusioni sul “danno da creep” negli impianti industriali:
a) per vari ragioni (carichi esterni non prevedibili o quantificabili in progetto, cedimenti
vincolari, intervalli di variazioni dei parametri di esercizio oltre i limiti massimi di
progetto, ecc.) il danno da creep appare di norma nei componenti a partire dal 50%
della vita attesa a rottura;
b) in Italia, l’obbligo di iniziare i controlli dopo 100.000 ore, derivante da una posizione
formale e burocratica: “la prima autorizzazione all’esercizio scade allo scadere della
vita di progetto” (appunto 100.000 ore per le vecchie attrezzature), si è dimostrato a
posteriori un criterio valido. Ha inoltre dimostrato che, iniziare i controlli a partire dal
25% della vita attesa a rottura, consente di norma di individuare sul nascere situazioni
potenzialmente pericolose e quindi permette interventi di riparazione o modifica
prima della rottura;
Vediamo ora alcune considerazioni che si possono fare sui risultati emersi dall’esempio
riportato:
1) La flessibilità dei coefficienti di sicurezza in regime di creep, introdotta dalle Norme
EN, e la possibilità di concordare in certi casi con l’utilizzatore finale la vita a progetto,
ha notevolmente allargato i margini di discrezionalità del fabbricante e ridotto i margini
di progettazione (maggiori spessori e quindi vita probabile del componente maggiore di
quella di progetto) tipiche delle norme meno recenti.
2) La riduzione dei coefficienti di sicurezza riduce gli spessori e quindi i pesi anche in
modo rilevante (sino oltre il 20%) con una conseguente notevole riduzione dei costi.
Ciò è stato possibile grazie allo sviluppo delle conoscenze sul creep dei materiali, ma
aumenta necessariamente le attenzioni richieste in fase di esercizio in quanto l’aumento
delle sollecitazioni d’esercizio riduce la vita attesa a rottura.
3) In linea teorica, un componente progettato EN, con un coefficiente di sicurezza 1,25, ha
un’aspettativa di vita di circa 4 volte inferiore rispetto ad un componente ASME con
stessi parametri e stessa vita di progetto; o, ancor più significativo, lo stesso
componente progettato EN per 200.000 ore ha un’aspettativa di vita pari circa alla metà
del componente ASME progettato a 100.000 ore.
4) La rilevante statistica sino ad oggi accumulata sui vecchi impianti evidenzia come
sensibili indicazioni di danno da creep si comincino ad avvertire dopo un esercizio pari
al 50% della vita attesa a rottura per cause esterne alla norma di progetto utilizzata; non
esistono ragioni per cui questo non continui ad accadere anche sui nuovi.
5) È altamente plausibile che, nel caso di componenti progettati con un fattore di
sicurezza a creep di 1,25, a circa la metà della vita di progetto si possano presentare
situazioni analoghe a quelle riscontrabili oggi nei vecchi componenti con 200.000 ore
di esercizio: stati di danno anche serio in corrispondenza di saldature e su parti soggette
non unicamente alla pressione (pesi, cedimenti differenziali, dilatazioni termiche più o
meno impedite, temperature anomale localmente elevate ecc.)
6) Viene pertanto a cadere uno dei capisaldi della gestione degli impianti operanti in
regime di creep: per qualsiasi componente, le verifiche periodiche del danno
accumulato possono iniziare allo scadere della vita teorica di progetto. Per i nuovi
componenti progettati con coefficiente di sicurezza di 1,25, prima della vita teorica di
progetto si potranno avere gravi avarie, se non il collasso totale.
CONCLUSIONI
Le nuove norme EN di prodotto per le attrezzature a pressione hanno introdotto
coefficienti di sicurezza nella progettazione a creep variabili tra 1,5 e 1,25.
Poiché tutte le precedenti normative generalmente utilizzate in Italia imponevano un
coefficiente di sicurezza pari ad almeno 1,5, i componenti progettati con un coefficiente
inferiore ad 1,5 potranno avere spessori ridotti sino ed oltre il 20% rispetto al passato con
possibili risparmi di pesi e costi; per contro però le sollecitazioni in esercizio risulteranno
maggiori. Pertanto i nuovi componenti, a parità di vita teorica di progetto, potranno avere
una vita attesa a rottura notevolmente ridotta rispetto ai vecchi, anche di un fattore 4÷5.
Poiché, come affermato dalla teoria e dimostrato dall’esperienza dell’applicazione della
circolare ISPESL sullo scorrimento viscoso, in genere, a partire dal 50% di vita attesa a
rottura, il danno da creep comincia ad essere sensibile, è presumibile che, contrariamente a
quanto accaduto sino ad oggi, i nuovi componenti progettati con un fattore inferiore a 1,5
ed in particolare quelli progettati con 1,25, potranno mostrare rilavante danno da creep già
al 50% della vita teorica di progetto.
Per una corretta gestione degli impianti sarà quindi necessario valutare la vita attesa a
rottura dei singoli componenti, e utilizzare questo dato per programmare la prima
valutazione di vita spesa e i primi controlli, ricordando che una prassi correttamente
cautelativa potrebbe essere di programmare il primo intervento tra il 25% ed il 30% della
vita attesa a rottura; anche se, per un componente progettato a 200.000 ore col fattore 1,25,
ciò significhi prevedere il primo intervento dopo 50÷60.000 ore.
BIBLIOGRAFIA
1. A. Sala - “Le Norme EN di Prodotto sulle attrezzature a pressione“, Atti Convegno
SAFAP 2006, Roma 2006