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Progettazione secondo le norme EN di impianti operanti in

regime di creep: conseguenze sulla programmazione dei


CND ai fini di affidabilità e sicurezza.
Carlo Fossati
S.A.I.T.E P. – Studio Tecnico

SOMMARIO
Le nuove norme di prodotto EN relative alle attrezzature a pressione, quali interpreti
autentiche dello spirito della Direttiva 97/23/CE (meglio conosciuta come PED), hanno,
tra l’altro, sensibilmente modificato i criteri di progettazione a creep. In particolare, in
ossequio alla Direttiva, mentre fissano in modo rigido il coefficiente di sicurezza rispetto
al carico di snervamento alla temperatura di esercizio (ed i valori non si discostano da
quelli di altre normative quali ASME, DIN, VSG o VSR, ecc.), offrono una maggior
elasticità per il coefficiente di sicurezza in regime di creep (non fissato dalla Direttiva) che
può scendere sino a 1,25. Ciò comporta notevoli risparmi di materiale, e quindi di costi,
ma anche maggiori sollecitazioni di esercizio che, a parità di tutte le altre condizioni,
possono risultare più elevate del 20% rispetto a componenti analoghi progettati con le
vecchie norme.
Poiché la sollecitazione applicata in esercizio influisce in modo sensibile sulla cinetica del
danno da creep, è possibile aspettarsi tempistiche diverse rispetto al passato per la
comparsa e l’evoluzione del danno nei componenti. Per mantenere inalterati i livelli di
affidabilità e sicurezza, è pertanto necessaria una revisione delle tempistiche di controllo
che tenga nel dovuto conto due nuove variabili di progetto introdotte dalle EN: la vita
prevista di esercizio ed il coefficiente di sicurezza a creep adottato in fase di progetto.
Dopo un breve riassunto delle prescrizioni delle EN ed un confronto con quelle di alcune
delle norme tradizionalmente più utilizzate in Italia, viene affrontato il problema della
cinetica di danno da creep attesa nei vari casi e delle conseguenti esigenze di controllo non
distruttivo al fine di garantire sicurezza ed affidabilità dell’impianto.

S. A. I. T. E P. Studio Tecnico – ing. Carlo Fossati – Via Bienate, 16 - 21052 BUSTO ARSIZIO (VA)
INTRODUZIONE
A 10 anni dalla sua approvazione ed a 5 anni dalla sua entrata in vigore, la Direttiva
comunitaria 97/23/CE sulle attrezzature a pressione, comunemente conosciuta come PED,
non costituisce più una novità. Forse però tutte le sue implicazioni e conseguenze non
sono state ancora pienamente focalizzate ed in ugual misura recepite dalle figure coinvolte
nella progettazione, gestione, manutenzione e controllo di queste attrezzature.
L’adozione della Direttiva da parte del parlamento europeo ed il suo conseguente
recepimento (automatico ed obbligatorio) in tutti gli stati Europei, ha indubbiamente
aperto la strada ad una evoluzione dei principi di progettazione e fabbricazione delle
attrezzature a pressione; avendo ridefinito e fissato, in quanto legge, i “requisiti essenziali
di sicurezza”, la Direttiva ha costituito la base per la stesura di nuove normative di
prodotto (le norme EN) sicuramente più moderne, più attente alle esigenze di fabbricanti
ed utilizzatori, ma anche più esigenti sul piano della responsabilizzazione dei soggetti
coinvolti. L’utilizzo delle conoscenze raggiunte nell’ambito della scienza dei materiali e
delle maggiori precisioni di calcolo consentite dallo sviluppo del calcolo elettronico,
hanno consentito di aumentare (o quantomeno mantenere invariato) il livello di sicurezza
delle nuove attrezzature al momento della loro messa sul mercato, pur riducendo alcuni
coefficienti di sicurezza ed alcuni vincoli progettuali.
Senza addentrarsi in un’analisi completa ed approfondita di questi aspetti che esulerebbe
dagli scopi di questa presentazione, ci limiteremo alle conseguenze della Direttiva sulla
progettazione ad alta temperatura in presenza di creep ed il successivo esercizio delle
attrezzature a pressione. Un aspetto limitato ma estremamente significativo, vista
l’importanza degli impianti di processo interessati, un aspetto incontrato operativamente
quando, ancora in forze a ConCert, la società di certificazione di attrezzature a pressione
dell’ENEL, con i miei collaboratori, dovemmo studiare le nuove norme EN (in particolare
le EN 12952, EN 13445, EN 13480) confrontandole con le norme storiche (Raccolte VSG
e VSR, ASME ecc.). Alcune considerazioni emerse da quei confronti sono già state
pubblicate da A. Sala [1]; in questa presentazione ne verrà dato un quadro più completo
che prenda in considerazione anche le modifiche apportate alla EN 13445 nell’ultima
revisione che ne amplia il campo di applicazione anche a temperature superiori a 350 °C.

In particolare saranno presi in considerazione, per i componenti operanti ad elevata


temperatura, gli aspetti legati al dimensionamento delle membrature che sopportano la
pressione (quelle che in inglese sono note come “pressure bearing parts”), le loro
implicazioni sulla conseguente vita effettiva in regime di creep e le ricadute di ciò sui
controlli in esercizio e sulla loro frequenza temporale al fine di garantire sicurezza ed
affidabilità degli impianti.

IL CREEP SECONDO LA DIRETTIVA PED


Prima di addentrarci nell’analisi delle prescrizioni EN nel caso di progettazione in regime
di creep, è assolutamente opportuno ricordare quanto la Direttiva dispone a riguardo; e
questo in quanto le norme di prodotto EN, garantendo la presunzione di conformità alle
Direttive, ne costituiscono l’interpretazione corretta ed autentica.
L’elenco puntuale ed esplicito della corrispondenza tra paragrafi della norma e paragrafi
della corrispondente direttiva (l’Allegato Z delle norme di prodotto) costituisce poi
un’attestazione notarile di questa “interpretazione autentica”.
Ora, un’attenta analisi delle prescrizioni dell’Allegato 1 della 97/23/CE, ed in particolare
la parte relativa ai coefficienti di sicurezza da utilizzare in fase di dimensionamento delle
parti che sopportano la pressione, evidenzia come la Direttiva non dia alcuna indicazione
circa i coefficienti di sicurezza da utilizzare per la progettazione in regime di creep:
“A seconda del materiale impiegato, la sollecitazione generale ammissibile della
membrana per carichi prevalentemente statici e per temperature situate fuori dal campo
in cui i fenomeni di creep sono significativi, non deve essere superiore al più basso dei
valori elencati in appresso: ………” - Direttiva 97/23/CE, Allegato I, Paragrafo 7.2.1.
Il fatto di non quantificare il coefficiente di sicurezza da utilizzare in fase di progettazione
di componenti operanti in regime di creep, non è frutto di una dimenticanza del legislatore
o di una non corretta valutazione dell’importanza del fenomeno (si noti come lo stesso
valga per la progettazione a fatica).
Come più volte sottolineato nella numerosa letteratura pubblicata sulla Direttiva 97/23/CE
e sulle direttive di prodotto in generale, la preoccupazione del legislatore nella stesura di
queste leggi è stata quella di individuare e definire quelle caratteristiche (i requisiti
essenziali di sicurezza) che garantiscano al prodotto stesso, all’atto della messa sul
mercato, un livello di sicurezza “adeguato” secondo il sentire comune Europeo.
Per raggiungere questo scopo, la 97/23/CE impone due cose:
a) che il prodotto sia, stabile con riferimento alla pressione, nel momento in cui esce dalla
fabbrica,
b) sia dotato di adeguato manuale d’uso e manutenzione che descriva esaurientemente le
azioni necessarie per mantenere sicuro nel tempo il componente. Non a caso la
Direttiva prescrive che il manuale contenga prescrizioni adeguate ed esaurienti su:
- immagazzinamento, trasporto ed istallazione;
- presenza e posizione di fenomeni di creep e fatica;
- tipo, posizione e periodicità di ispezioni e controlli durante l’esercizio.
[È fermo obbligo del fabbricante fornire tutte queste indicazioni (e dei soggetti preposti
alla verifica di conformità alla PED verificare che l’obbligo sia assolto in modo
corretto), così come è grave obbligo dell’utilizzatore, salvo infrangere le leggi sulla
sicurezza, rispettare dette indicazioni].
I coefficienti di sicurezza utilizzati per la progettazione a creep, non influiscono sulla
stabilità a pressione del componente al momento della messa in servizio (che è comunque
garantita dal coefficiente di sicurezza sullo snervamento) ma sulla “velocità” con cui il
componente andrà a deteriorarsi nel tempo con l’esercizio; e questo influirà solo su
modalità d’impiego, tipo e periodicità dei controlli, tutti fatti relativi all’esercizio (e quindi
come tali estranei alla PED).

LA PROGETTAZIONE A CREEP
Prima di passare ad esaminare come le norme di prodotto EN affrontino il problema della
progettazione a creep delle attrezzature a pressione, è utile effettuare una breve carrellata
tra le norme storicamente più utilizzate per la progettazione degli impianti di processo
Italiani.
a) Raccolte ISPESL VSR e VSG
Sono le norme nazionali italiane, obbligatorie sino all’entrata in vigore della PED.
- La Raccolta VSR si riferisce a tutti i recipienti in pressione; il coefficiente di
sicurezza a creep è 1,5.
- La Raccolta VSG si riferisce unicamente ai generatori di vapore; il coefficiente
di sicurezza a creep era 1,6, ridotto a 1,5 dopo l’entrata in vigore della PED.
- La vita teorica di progetto a creep è fissata in 100.000 ore
b) ASME
Sono state spesso utilizzate per il progetto di tubazioni negli impianti termoelettrici in
quanto la legislazione italiana non contemplava le tubazioni.
- Il coefficiente di sicurezza a creep è 1,5.
- La vita teorica di progetto a creep è fissata in 100.000 ore.
c) API
Sono state spesso utilizzate per il progetto di tubazioni negli impianti chimici e
petrolchimici in quanto la legislazione italiana non contemplava le tubazioni.
- Il coefficiente di sicurezza a creep è 1,5.
- La vita teorica di progetto a creep è fissata in 100.000 ore.

Passiamo ora alle norme EN.


In accordo con la Direttiva, che non definisce il fattore di sicurezza in regime di creep, le
Norme EN sulle attrezzature a pressione, non assumono una posizione rigida a riguardo,
ma fissano di fatto fattori diversi in funzione di considerazioni varie, anche in funzione
delle future condizioni di esercizio dell’attrezzatura.
Limitandoci alle norme EN più significative nel campo delle attrezzature a pressione, le
prescrizioni più significative in regime di creep sono:
a) Caldaie a vapore (EN 12952 - Parte 3, Paragrafo 6.3)
- La vita teorica di progetto, salvo diversamente specificato, è fissata in tR = 200.000
ore; tR non può comunque essere inferiore a 100.000 ore.
- Il fattore di sicurezza S è 1,25 e si applica ai dati tabellari di sollecitazione media a
rottura per creep alla temperatura di calcolo e nel tempo tR.
- Nel caso non siano disponibili i valori di resistenza a rottura per creep, per t R
maggiori di 100.000 ore, si devono utilizzare i dati a 100.000 ore con S = 1,5.
- In casi eccezionali, dove le parti in pressione sono esercite in regime di creep per
una breve durata (meno di 10.000 h) come nel caso di scarichi e linee di sfiato, t R
può essere ridotto a 10.000 ore con il fattore di sicurezza 1,25.
b) Recipienti a pressione (EN 13445 - Parte 3, Paragrafo 19.5)
La parte relativa alla progettazione in regime di creep è recente e piuttosto complessa;
i punti principali sono:
- La vita teorica di progetto, salvo diversamente specificato, è tR = 100.000 ore.
- Il fattore di sicurezza si applica ai dati tabellari di sollecitazione media a rottura
per creep alla temperatura di calcolo e nel tempo tR e può assumere due valori:
 1,5 se non è previsto un monitoraggio della vita spesa durante l’esercizio,
 1,25 se è previsto un monitoraggio della vita spesa durante l’esercizio.
- È ammesso estrapolare i dati tabellari disponibili sino a 2 volte il massimo tempo
a rottura riportato nei dati tabellari stessi del materiale (es. se per l’acciaio
utilizzato sono disponibili dati di rottura fino a 200.000 ore, è possibile
estrapolare sino a 400.000 ore.).
c) Tubazioni industriali (EN 13480 - Parte 3, Paragrafo 5.3)
- La vita teorica di progetto, salvo diversamente specificato, è tR = 200.000 ore con
un fattore di sicurezza pari a 1,25.
- Ferma restando la vita di progetto 200.000 ore, se i valori di resistenza alla rottura
per creep a 200.000 ore non dovessero essere disponibili, si devono utilizzare i
dati a 150.000 o 100.000 ore rispettivamente con un fattore di sicurezza pari a 1,35
e 1,5.
- Per una vita a progetto inferiore a 100.000 ore, il fattore di sicurezza dipende dalla
previsione o meno di un monitoraggio di vita spesa durante l’esercizio:
 se non è previsto monitoraggio il fattore è 1,5,
 se è previsto monitoraggio il fattore è 1,25.
In entrambi i casi il fattore è applicato ai valori di sollecitazione a rottura o alla
vita di progetto o a 10.000 ore.
NOTA: Per monitoraggio si intende un sistema di registrazione dei parametri di esercizio
Quanto sopra è solo un quadro delle possibili varianti e l’unico scopo è evidenziare la
peculiarità che differenzia la progettazione EN da quella secondo altre norme: il
coefficiente di sicurezza progettuale EN in regime di creep non è univoco e, in molti casi,
è inferiore rispetto a quello utilizzato dai vecchi codici di progettazione (ASME, API,
Raccolte VSG e VSR, ecc.).
Ma cosa significa avere fattori di sicurezza variabili per le attrezzature operanti in regime
di creep?

GLI AMMISSIBILI DI PROGETTO E LA VITA TEORICA A ROTTURA


Gli ammissibile di progetto (il valore massimo ammesso per la sollecitazione applicata
nelle condizioni teoriche di progetto) si ottengono, per un dato materiale, a partire dalle
caratteristiche meccaniche di specifica riportate dalle norme (curve di riferimento).
Queste curve sono, nella maggior parte dei casi, relative a valori medi tipici del materiale
nelle condizioni di fornitura previste dalla norma stessa ed hanno bande di dispersione
variabili in funzione della caratteristica meccanica in questione. Ad esempio, la banda di
dispersione dei carichi di snervamento o rottura è di norma molto stretta, la banda di
dispersione dei dati relativi alla resistenza a creep è più ampia ed è universalmente
accettato che il limite inferiore di tale banda si collochi a circa un 80% del valore medio.
Dai valori medi delle curve di riferimento, si passa poi all’ammissibile dividendo tali
valori per il coefficiente di sicurezza.
È quindi evidente come, a parità di tutte le altre condizioni, coefficienti di sicurezza
diversi comportino diversi ammissibili e quindi diversi valori di sollecitazione cui il
componente sarà soggetto in esercizio; e poiché, in regime di creep, fissata la temperatura,
esiste una stretta ed univoca relazione tra sollecitazione applicata e tempo a rottura, appare
sin da subito evidente come coefficienti di sicurezza più bassi, implicando maggiori
sollecitazioni applicate, comportino minori vite attese a rottura.
È bene considerare con attenzione il concetto appena enunciato in quanto, per chi non è
familiare con creep e norme di progettazione, si possono creare confusioni.
È quindi utile richiamare a riguardo alcuni concetti ed alcune definizioni:
- Vita teorica a progetto: è il tempo d’esercizio previsto per il componente ed è definito
dal progettista, entro i limiti ammessi dalla norma, prima di iniziare la progettazione; è
un dato indispensabile per la progettazione se il componente è soggetto a meccanismi
di danno tempo-dipendenti; come visto in precedenza, nel caso del creep, per molte
norme ha un valore fisso di 100.000 ore.
- Tempo a rottura del materiale: è il tempo in cui, ad una fissata temperatura, il materiale
soggetto ad una determinata sollecitazione si rompe per creep; si ricava dalle curve di
riferimento del materiale.
- Vita attesa a rottura: è il tempo atteso tra la messa in servizio di un componente
soggetto ad un meccanismo di danno e la sua rottura per cedimento del materiale;
possiamo considerarla uguale al Tempo a rottura del materiale. La differenza tra Vita
teorica a progetto e Vita attesa a rottura è funzione del coefficiente di sicurezza
adottato; la seconda è sempre maggiore o uguale (in genere maggiore) della prima.
Non deve quindi stupire che due componenti progettati con due normative che, a parità di
tutti i parametri di progetto, prevedano differenti coefficienti di sicurezza a creep, possano
avere la stessa vita teorica di progetto e due diverse vite teoriche a rottura. Di contro, può
accadere che due componenti con vite teoriche di progetto diverse e progettati con due
diverse normative, a parità di tutti gli altri parametri di progetto, possano avere la stessa
vita teorica a rottura.

UN ESEMPIO
Come esempio di quanto detto in precedenza, esaminiamo il caso ipotetico di
un’attrezzatura a pressione ove fissiamo i seguenti parametri di progetto:
A. Vita di progetto: 100.000 ore
B. Temperatura di progetto: 540 °C
C. Materiale: acciaio A335 P22
Con questi presupposti calcoliamo σamm (l’ammissibile di progetto) secondo tre norme
citate in precedenza: EN 12952, ASME, Raccolta VSG ed. 1995; per il materiale scelto,
esistono i dati di riferimento a 100.000 ore e a 540°C.
I risultati del calcolo sono:
- EN 12952 Coefficiente di sicurezza 1,25; σamm = 64,0 MPa
- ASME Coefficiente di sicurezza 1,5; σamm = 53,3 MPa
- Raccolta VSG Coefficiente di sicurezza 1,6; σamm = 50,0 MPa
Ciò significa che il componente progettato secondo EN avrà una sollecitazione d’esercizio
maggiore di un fattore 1,2 rispetto all’ASME e di un fattore 1,28 rispetto alla VSG; per
contro gli spessori minimi di parete1 dati dalla EN saranno i più bassi e quelli della VSG i
più alti: è evidente il vantaggio per il fabbricante che arriva a risparmiare oltre il 20% in
peso di acciaio con tutto ciò che ne consegue.
Poiché poi la vita a creep diminuisce al crescere della sollecitazione applicata, la vita a
rottura del componente EN sarà la minore, ma quali sono le differenze?

1
Per semplificare i calcoli, che hanno scopo puramente esemplificativo, si ipotizza che il componente
abbia esattamente lo spessore minimo richiesto dalla norma; tale approssimazione, nella maggior parte
dei casi, non si discosta in maniera sensibile dalla realtà.
Per determinare le vite attese a rottura corrispondenti alle tre sollecitazioni ammissibili
calcolate è necessario entrare nel diagramma bilogaritmico sollecitazione applicata-vita a
rottura del materiale, come riportato in figura 1, e fare un’ipotesi su quella che
consideriamo la vita a rottura effettiva del materiale. Per ragioni di sicurezza è opportuno
prendere come vita a rottura del materiale (e quindi vita attesa del componente) il limite
inferiore della banda di dispersione dei dati medi riportati dalle curve di riferimento, limite
inferiore che abbiamo visto essere universalmente riconosciuto pari a 80% del valor medio
(linea color magenta in figura 1).
Sulla base di questa ipotesi, per altro ragionevole, le vite attese a rottura in corrispondenza
dei tre ammissibili sono date dall’intersezione delle parallele all’asse dei tempi, condotte
ai tre livelli di sollecitazione, con la curva limite inferiore (linea color Magenta):
- EN 12952 vita di progetto = 100000 ore; vita attesa a rottura = 100.000 ore
- ASME vita di progetto = 100000 ore; vita attesa a rottura ≈ 380.000 ore
- Raccolta VSG vita di progetto = 100000 ore; vita attesa a rottura ≈ 520.000 ore
La forte dispersione di questi risultati, sicuramente degna di attenzione, è intrinseca alla
legge matematica che lega, nel creep, la sollecitazione applicata al tempo a rottura
(relazione lineare o doppiolineare in coordinate bilogaritmiche, con una bassa pendenza
sull’asse dei tempi). È pertanto il meccanismo stesso del creep che, come ben sanno gli
addetti alle prove di laboratorio, a piccole variazioni della sollecitazione applicata,
risponde con ampie variazioni nei tempi a frattura.
È bene qui ribadire come il diagramma riportato, pur se riferito all’acciaio A335 P22 a 540
°C, sia tipico degli acciai per alta temperatura e che i risultati trovati sono rappresentativi
di quanto accade per molti altri acciai per alta temperatura e di uso comune.

1000

Valori medi forniti dalla norma del materiale


Sollecitazione (MPa)

Ammissibile EN e limite inferiore banda dispersione materiale

100
EN: FS = 1,25 tr = circa 380.000 ore
ASME: FS = 1,5
VSG: FS = 1,6

tr = 100.000 ore tr = circa 520.000 ore


10
100 1.000 10.000 100.000 1.000.000 10.000.000 100.000.000

Tempo a rottura tr (ore)


FS = Fattore di sicurezza minimo previsto dalla norma
CONSIDERAZIONI SULLE POSSIBILI CONSEGUENZE PER GLI IMPIANTI
INDUSTRIALI
Prima di esaminare le conseguenze di quanto sopra esposto sull’esercizio di componenti
progettati EN, è opportuno premettere un’analisi statistica dei risultati di circa 15 anni di
applicazione delle circolari ISPESL sul creep.
Dai risultati dei controlli effettuati su centinaia di componenti ed in particolare dall’analisi
delle evidenze di presenza di danno da creep su vari tipi di attrezzature, tutte progettate
con un coefficiente di sicurezza a creep pari a 1,5 o 1,6 e vita teorica di progetto di
100.000 ore, emerge che:
- ad oggi un buon numero di vecchi apparecchi, specie in campo termoelettrico, ha
accumulato tra le 200.000 e le 300.000 ore di esercizio e continuano ad essere eserciti;
- in genere fino a 150.000 di esercizio, salvo casi molto particolari, non si riscontrano
seri problemi di danno da creep,
- a partire dalle 200.000 ore si cominciano ad avere indicazioni di problemi seri che, per
la quasi totalità, sono localizzati in saldatura (notoriamente il punto più delicato); in
alcuni casi, si sono dovuti sostituire interi componenti (recipienti, collettori, barilotti,
tratti di tubazioni di caldaia o di forno pertrolchimico, ecc.).
- questo quadro appare congruente con una vita a rottura attesa di oltre 400.000 ore
(vedi paragrafi precedenti) se consideriamo che:
• in fase di progettazione difficilmente è possibile prevedere con esattezza carichi
esterni spuri quali ad esempio quelli indotti da cedimenti di vincoli,
• data la particolare forma del diagramma sollecitazione-tempo a rottura, piccole
variazioni della sollecitazione comportano sensibili variazioni del tempo a rottura.

Possiamo da ciò, sulla base di almeno 15 anni di controlli su impianti eserciti in regime di
creep, trarre due conclusioni sul “danno da creep” negli impianti industriali:
a) per vari ragioni (carichi esterni non prevedibili o quantificabili in progetto, cedimenti
vincolari, intervalli di variazioni dei parametri di esercizio oltre i limiti massimi di
progetto, ecc.) il danno da creep appare di norma nei componenti a partire dal 50%
della vita attesa a rottura;
b) in Italia, l’obbligo di iniziare i controlli dopo 100.000 ore, derivante da una posizione
formale e burocratica: “la prima autorizzazione all’esercizio scade allo scadere della
vita di progetto” (appunto 100.000 ore per le vecchie attrezzature), si è dimostrato a
posteriori un criterio valido. Ha inoltre dimostrato che, iniziare i controlli a partire dal
25% della vita attesa a rottura, consente di norma di individuare sul nascere situazioni
potenzialmente pericolose e quindi permette interventi di riparazione o modifica
prima della rottura;

Vediamo ora alcune considerazioni che si possono fare sui risultati emersi dall’esempio
riportato:
1) La flessibilità dei coefficienti di sicurezza in regime di creep, introdotta dalle Norme
EN, e la possibilità di concordare in certi casi con l’utilizzatore finale la vita a progetto,
ha notevolmente allargato i margini di discrezionalità del fabbricante e ridotto i margini
di progettazione (maggiori spessori e quindi vita probabile del componente maggiore di
quella di progetto) tipiche delle norme meno recenti.
2) La riduzione dei coefficienti di sicurezza riduce gli spessori e quindi i pesi anche in
modo rilevante (sino oltre il 20%) con una conseguente notevole riduzione dei costi.
Ciò è stato possibile grazie allo sviluppo delle conoscenze sul creep dei materiali, ma
aumenta necessariamente le attenzioni richieste in fase di esercizio in quanto l’aumento
delle sollecitazioni d’esercizio riduce la vita attesa a rottura.
3) In linea teorica, un componente progettato EN, con un coefficiente di sicurezza 1,25, ha
un’aspettativa di vita di circa 4 volte inferiore rispetto ad un componente ASME con
stessi parametri e stessa vita di progetto; o, ancor più significativo, lo stesso
componente progettato EN per 200.000 ore ha un’aspettativa di vita pari circa alla metà
del componente ASME progettato a 100.000 ore.
4) La rilevante statistica sino ad oggi accumulata sui vecchi impianti evidenzia come
sensibili indicazioni di danno da creep si comincino ad avvertire dopo un esercizio pari
al 50% della vita attesa a rottura per cause esterne alla norma di progetto utilizzata; non
esistono ragioni per cui questo non continui ad accadere anche sui nuovi.
5) È altamente plausibile che, nel caso di componenti progettati con un fattore di
sicurezza a creep di 1,25, a circa la metà della vita di progetto si possano presentare
situazioni analoghe a quelle riscontrabili oggi nei vecchi componenti con 200.000 ore
di esercizio: stati di danno anche serio in corrispondenza di saldature e su parti soggette
non unicamente alla pressione (pesi, cedimenti differenziali, dilatazioni termiche più o
meno impedite, temperature anomale localmente elevate ecc.)
6) Viene pertanto a cadere uno dei capisaldi della gestione degli impianti operanti in
regime di creep: per qualsiasi componente, le verifiche periodiche del danno
accumulato possono iniziare allo scadere della vita teorica di progetto. Per i nuovi
componenti progettati con coefficiente di sicurezza di 1,25, prima della vita teorica di
progetto si potranno avere gravi avarie, se non il collasso totale.

VERIFIHE DI VITA SPESA E CND PERSONALIZZATI


L’innovazione introdotta dalle norme EN non può e non deve essere vista come un
problema per chi gestisce gli impianti industriali.
È indubbio che queste norme siano molto più elastiche e consentano di meglio soddisfare
le esigenze sia di chi costruisce, sia di chi esercisce gli impianti operanti a creep,
consentendo anche riduzioni di costi oggi molto apprezzate dal mondo industriale.
Ovviamente, come sempre accade quando si passa ad utilizzare strumenti più sofisticati,
diventano necessarie maggiori conoscenze da parte di tutti i soggetti coinvolti, ma questo
deve essere visto come un aspetto positivo e non come un problema.
Sta accadendo, nel campo del creep, quanto da anni accade in molti altri ambiti industriali
ove le nuove conoscenze tecnologiche hanno permesso di ridurre i margini d’incertezza
progettuale ottenendo macchine/strumenti per cui vita di progetto e vita attesa a rottura
stanno progressivamente convergendo; e ciò con la convenienza, sia di che produce che
può meglio programmare le sue strategie di mercato, sia di chi compra che non deve
pagare il fabbricante anche per progettazioni ridondanti (vogliamo ricordare cosa è
accaduto per gli elettrodomestici, o per le auto?).
Sicuramente i nuovi impianti/componenti avranno una vita inferiore agli attuali: sarà
difficile tra 50 anni trovare funzionanti centrali termoelettriche costruite oggi secondo le
EN, così come oggi vediamo ancora in funzione centrali termoelettriche arrivate in Italia
con il piano Marshall; ma i nuovi componenti potranno essere personalizzati per esigenze
specifiche di una gestione ottimizzata degli impianti, e forse progressivamente, costeranno
anche meno.
L’eliminazione dei sovradimensionamenti nella progettazione a creep, giunge infatti
quando le tecniche di valutazione della frazione di vita spesa e le tecniche di controllo non
distruttivo destinate a misurare il danno da creep sono oramai pienamente consolidate e
totalmente affidabili. Sarà quindi sufficiente fare ricorso a queste tecniche che, purtroppo
ancora oggi sono spesso considerate come un oneroso, inutile fardello imposto dalle
vigenti normative e dagli organi di controllo.
È importante che gli utilizzatori comprendano che i componenti progettati con queste
normative avanzate richiederanno un controllo periodico serio se si vogliono prevenire
avarie e rotture molto prima della scadenza della vita teorica di progetto; e che questi
controlli dovranno iniziare ben prima dello scadere della vita teorica di progetto.

CONCLUSIONI
Le nuove norme EN di prodotto per le attrezzature a pressione hanno introdotto
coefficienti di sicurezza nella progettazione a creep variabili tra 1,5 e 1,25.
Poiché tutte le precedenti normative generalmente utilizzate in Italia imponevano un
coefficiente di sicurezza pari ad almeno 1,5, i componenti progettati con un coefficiente
inferiore ad 1,5 potranno avere spessori ridotti sino ed oltre il 20% rispetto al passato con
possibili risparmi di pesi e costi; per contro però le sollecitazioni in esercizio risulteranno
maggiori. Pertanto i nuovi componenti, a parità di vita teorica di progetto, potranno avere
una vita attesa a rottura notevolmente ridotta rispetto ai vecchi, anche di un fattore 4÷5.
Poiché, come affermato dalla teoria e dimostrato dall’esperienza dell’applicazione della
circolare ISPESL sullo scorrimento viscoso, in genere, a partire dal 50% di vita attesa a
rottura, il danno da creep comincia ad essere sensibile, è presumibile che, contrariamente a
quanto accaduto sino ad oggi, i nuovi componenti progettati con un fattore inferiore a 1,5
ed in particolare quelli progettati con 1,25, potranno mostrare rilavante danno da creep già
al 50% della vita teorica di progetto.
Per una corretta gestione degli impianti sarà quindi necessario valutare la vita attesa a
rottura dei singoli componenti, e utilizzare questo dato per programmare la prima
valutazione di vita spesa e i primi controlli, ricordando che una prassi correttamente
cautelativa potrebbe essere di programmare il primo intervento tra il 25% ed il 30% della
vita attesa a rottura; anche se, per un componente progettato a 200.000 ore col fattore 1,25,
ciò significhi prevedere il primo intervento dopo 50÷60.000 ore.

BIBLIOGRAFIA
1. A. Sala - “Le Norme EN di Prodotto sulle attrezzature a pressione“, Atti Convegno
SAFAP 2006, Roma 2006

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