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Introduzione
Il presente articolo descrive e commenta il draft ISO DIS 17636:2010 (prEN ISO
17636:2010), che, revisione della norma ISO 17636:2003, si pone come futuro riferimento
internazionale relativamente all’esecuzione del Controllo Radiografico di giunti saldati sia
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mediante tecniche convenzionali (Parte 1 del draft), ovvero facenti uso delle tradizionali
pellicole, sia mediante tecniche digitali filmless (Parte 2 del draft).
L’introduzione a livello europeo ed internazionale di tale riferimento normativo assume
un’indiscussa rilevanza non solo per il supporto tecnico, che può e potrà fornire, ma
soprattutto perché la sua stessa entrata in vigore rappresenta un segnale forte da parte della
“comunità tecnico-scientifica” delle prove non distruttive a favore delle tecnologie digitali
e della loro applicazione sistematica ancorché ragionevole e standardizzata, elevandole di
fatto al pari di quelle convenzionali e storicamente accettate da anni
Gli esami radiografici con raggi X e raggi gamma sono supportati da numerosi riferimenti
normativi nazionali, europei ed internazionali, in tutti i settori industriali in cui il controllo
trova applicazione e, specialmente, nel campo dei giunti saldati ed in quello dei prodotti
ottenuti per fusione.
A tal proposito, nell’ambito dei prodotti saldati, è importante citare la norma UNI EN
1435, riferimento parallelo alla norma ISO 17636:2003, che, dall’anno della sua entrata in
vigore (1997) fino ad oggi (ultima edizione 2004), ha rappresentato, a livello europeo, uno
strumento efficace ed efficiente per la scelta della tecnica, per il set-up dei parametri, per
l’esecuzione del controllo su saldature in materiale metallico, ed è vista come una guida
affidabile soprattutto per chi, neofita del metodo, intende seguire un iter di controllo
perfettamente delineato in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue fasi.
Tuttavia, l’introduzione delle tecniche digitali e la loro sempre più diffusa e sistematica
applicazione a livello industriale hanno reso necessario rivedere alcuni parametri ed alcuni
criteri di scelta presenti nelle norme tradizionalmente adottate.
Con Radiografia Digitale si intende una famiglia di tecnologie che sfrutta la modalità
(digitale appunto) di acquisizione dell’immagine fornita da raggi X e/o gamma, che
permette di utilizzare “software” e “hardware” dedicati, atti all’archiviazione e alla
elaborazione post-acquisizione delle immagini stesse.
I sistemi digitali si dividono essenzialmente in due gruppi: “Digital Radiography” (DR) e
“Computed Radiography” (CR), per entrambi analogo è l’output, costituito da
un’immagine digitale, differente è invece il modo di ottenerlo (ovvero il principio di
funzionamento e la tipologia di rilevatore della radiazione).
La seconda parte del draft in esame contempla e fornisce prescrizioni per entrambi i
gruppi, tenendo conto delle rispettive specifiche caratteristiche e seguendo peraltro la
stessa impostazione e la stessa logica adottate nella parte 1 della norma, relativamente alla
tecnologia a film.
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Risulta importante osservare che le tecnologie tradizionali e quelle digitali non hanno
differenze per quanto concerne il tipo di radiazione usata, né per la tipologia di sorgenti
impiegate, né per geometria dell’esposizione (e conseguenti problematiche di penombra,
ingrandimento, distorsione, ...), bensì si differenziano nei parametri operativi e nelle
caratteristiche costruttive e funzionali dell’elemento sensibile alla radiazione e
responsabile della conversione del suo contenuto di informazioni in immagine (detector).
In questa sede è doveroso precisare che l’analisi proposta approfondisce soprattutto le
tematiche riguardanti i sistemi CR.
Rispetto alla prima edizione della ISO 17636, anno 2003, e alla corrispondente norma UNI
EN 1435, anno 2004, elaborata in ambito CEN dal Comitato Tecnico CEN/TC 121
“Saldatura”, la Parte 1 della seconda edizione non presenta e non introduce sostanziali
differenze, ad eccezione dell’estensione della taglia degli apparecchi radiogeni
contemplati: è importante sottolineare fin d’ora, infatti, che sono considerati tubi radiogeni
con tensione acceleratrice fino a 1000 kV, a differenza del valore massimo di 500 kV
previsto nei due riferimenti sopra citati e fino ad oggi usati.
In virtù del fatto che quanto prescritto dalle norme può essere generalmente inteso come
requisito minimo, è contemplata ed accettata la possibilità che vengano adottate tecniche
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più sensibili delle tecniche in Classe B, se opportunamente concordate in specifica. In ogni
caso, la scelta della tecnica deve essere frutto di accordo fra le parti contraenti.
E’ altresì considerato il caso in cui, a fronte di richiesta di tecniche in Classe B, non sia
operativamente possibile rispettare alcuni dei parametri e/o delle condizioni da essa
previsti: la soluzione proposta, perfettamente in linea con quanto indicato dai precedenti
riferimenti normativi, è l’adozione di tecniche in Classe A, la cui perdita di sensibilità sia
compensata aumentando fino a 3.0 il valore minimo di densità ottica oppure scegliendo un
sistema di pellicole caratterizzato da maggiore contrasto (ovvero usando pellicole più
“lente” e/o a grana più “fine”). La soluzione trova la sua giustificazione tecnica nel fatto
che la sensibilità di una pellicola alla rilevazione di una indicazione migliora all’aumentare
della densità ottica (ovvero dell’annerimento conseguente all’esposizione); questo è
deducibile dall’analisi delle curve che descrivono il comportamento delle pellicole al
variare dell’esposizione, curve che prendono il nome di Curve Sensitometriche o Curve
Caratteristiche delle Pellicole.
Inoltre, fra le generalità, è affrontato il tema degli Indicatori di Qualità di Immagine (IQI)
dal punto di vista sia delle tipologie ammesse, sia della loro posizione sul film, sia della
valutazione della qualità d’immagine da essi determinata. La qualità dell’immagine per
ISO DIS 17636-1 deve essere verificata utilizzando gli indicatori in accordo a ISO 19232-
1, per gli indicatori “Wire Type”, o ISO 19232-2, per gli indicatori “Step/Hole Type”,
riferimenti del tutto analoghi ai corrispondenti UNI EN 462-1 e UNI EN 462-2, citati nella
UNI EN 1435.
Il posizionamento degli IQI deve rispettare alcune condizioni, essi infatti devono essere
posti:
Riprendendo le stesse prescrizioni presenti in UNI EN 1435, sono infine indicate alcune
varianti alle condizioni sopra esposte, associate a casi particolari.
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Per la valutazione della qualità delle immagini radiografiche, valgono le stesse regole di
UNI EN 1435; i valori minimi di qualità dell’immagine sono indicati in Appendice B nei
prospetti di cui presentiamo un esempio in figura 1; dalla lettura dei prospetti suddetti,
come è logico attendersi, è possibile evincere che la qualità dell’immagine viene
determinata in funzione dello spessore testato, del tipo di IQI (a fili o a fori), del tipo di
sorgente e del tipo di tecnica espositiva adottati.
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Geometria dell’Esposizione
Non sussistono differenze né qualitative né quantitative rispetto a quanto indicato in UNI
EN 1435 e ISO 17636:2003; sono considerate le stesse disposizioni (Fig. 2) e analoghe
restrizioni di applicabilità nel caso di geometrie particolari come, ad esempio, per la
“tecnica ellittica”, una delle tecniche a doppia parete e doppia immagine (Fig. 3).
Sorgenti
Dal punto di vista della scelta dei parametri operativi in funzione della sorgente di
radiazioni ionizzanti, è importante evidenziare che, rispetto a quanto previsto sia da UNI
EN 1435 sia dalla precedente edizione di ISO 17636, l’attuale draft contempla tubi
radiogeni caratterizzati da tensione acceleratrice fino a 1000 kV (contro i 500 kV dei due
citati riferimenti). Questa rappresenta la più grande differenza riscontrabile e comporta:
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1. garanzia di copertura totale del range di tensioni acceleratrici ed energie utilizzabili
per il controllo;
2. modifica del diagramma (tensione massima ammissibile - kV) – (spessore
attraversato - mm), che, come riportato in figura 4 affiancato al suo corrispettivo
della UNI EN 1435, presenta un’estensione della scala sia del valore della tensione
massima sia, conseguentemente, del valore massimo di spessore considerato.
A tal proposito, non si notano tuttavia variazioni quantitative per nessuno dei quattro
gruppi di materiali considerati, a titolo di esempio, nel caso di:
– giunto in acciaio al C-Mn
– spessore attraversato dai raggi X pari a 12 mm
per tutti i riferimenti, ISO 17636:2003, EN 1435:2004, ISO DIS 17636-1, il valore di
tensione acceleratrice massimo utilizzabile è 200 kV.
La motivazione teorica e tecnica, alla base dell’imposizione di un limite massimo al valore
della tensione acceleratrice in funzione dello spessore e del materiale, è che questa è
diretta responsabile dell’energia associata alla radiazione emessa, ossia della “qualità della
radiazione”. All’aumentare dell’energia, si riducono il contrasto, ovvero la differenza di
densità ottica tra due zone adiacenti, e la definizione, aumentando il “rumore di fondo” a
causa dell’intensificazione del fenomeno della diffusione (scattering). Dal momento che il
contrasto è alla base della visibilità delle immagini e la definizione è alla base della
capacità di precisarne forme e dimensioni, si intuiscono sia l’importanza di un limite
superiore all’energia utilizzabile in radiografia, sia la differenza sostanziale che sussiste tra
“qualità della radiazione” e “qualità dell’immagine”, concetti che, per quanto sopra
esposto, variano in modo opposto.
a) b)
FIGURA 4 – kV Max Ammessi – Sp. Attraversato: a) UNI EN 1435; b) ISO DIS 17636-1
A conclusione della trattazione della scelta della tensione acceleratrice nel caso di
macchine radiogene (sorgenti di radiazione X) di “piccola” taglia (massimo 1000 kV), il
draft considera applicazioni in cui è consentito incrementare i valori oltre il limite
diagrammato. Viene citato espressamente il caso in cui si debbano radiografare oggetti
caratterizzati da notevoli variazioni di spessore nell’area di interesse: la soluzione
tecnicamente migliore è senza dubbio quella di eseguire tante esposizioni quanti sono gli
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spessori in gioco ma tale soluzione rischia di non essere compatibile con esigenze di
natura economica né competitiva dal punto di vista dei tempi di esecuzione; pertanto, è la
norma stessa che permette di aumentare il kilovoltaggio di:
al fine di trovare un giusto compromesso fra qualità del controllo ed esigenze produttive.
Una applicazione in cui si può incontrare una problematica simile è rappresentata dal
controllo di saldature eterogenee dove si giuntano materiali base dissimili con leghe
d’apporto non omogenee ad uno o ad entrambi i materiali base: infatti, la differente natura
metallurgica comporta differenze anche in termini di radio-opacità che possono talvolta
risultare non trascurabili. Il problema può essere trattato e risolto in modo analogo, infatti,
in radiologia, si è soliti “tradurre” le differenze di assorbimento delle radiazioni fra i vari
materiali in differenze di spessore, utilizzando il concetto di “fattore di equivalenza
radiografica” (Fig. 5).
Per quanto concerne le altre sorgenti di radiazioni, la normativa dedica un paragrafo alle
macchine radiogene (sorgenti di raggi X) con energia maggiore a 1 MeV ed ai radioisotopi
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(sorgenti di raggi gamma); questi ultimi, peraltro, sono gli stessi e soli cinque isotopi
annoverati anche da UNI EN 1435 e da ISO 17636:2003, ossia:
1. Tm170;
2. Yb169;
3. Se75;
4. Ir192;
5. Co60.
Per le sorgenti radiogene e gammagene sopra citate, ISO DIS 17636-1 tabula i limiti di
applicabilità in funzione dello spessore e della classe, A o B, adottata (Fig. 6).
Anche in questo caso, previo accordo fra le parti, nonostante la qualità finale
dell’immagine possa risultare inficiata, sono ammesse estensioni, in particolare:
Sistema Pellicola
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In radiologia, con l’espressione “sistema pellicola” si identifica l’insieme dei parametri,
fra loro strettamente dipendenti, che contribuiscono alla ricezione della radiazione ed alla
sua conseguente “conversione” in immagine stabile e visibile.
Ovviamente, fulcro del sistema è la pellicola che, nelle tecniche tradizionali, costituisce il
rilevatore della dose di radiazione che oltrepassa l’oggetto testato; la corretta scelta della
pellicola, tuttavia, non può prescindere dalla corretta scelta di eventuali schermi (di
rinforzo e/o di bloccaggio della radiazione) e dalla corretta scelta del trattamento del film,
necessario a rendere “visibile” un’immagine che, subito dopo l’esposizione, è solo un
insieme di informazioni contenuto nell’emulsione sensibile della lastra ma non percepibile
dall’occhio umano (“immagine latente”).
A livello internazionale i sistemi-pellicola sono regolamentati da norme che li suddividono
in “classi”; in ambito ISO, il riferimento, citato dal documento analizzato in questo
articolo, è la norma ISO 11699, che trova la sua corrispettiva in ambito EN nella norma
EN 584 (analoga dal punto di vista dei contenuti), richiamata da UNI EN 1435.
Più nel dettaglio, tali normative sono suddivise in due parti:
Da un punto di vista qualitativo, le più grandi differenze che sussistono tra le diverse classi
sono la “sensibilità all’indicazione” e la “sensibilità alla radiazione”: infatti, all’aumentare
del numero d’ordine della classe (dalla C1 alla C6), si riduce la capacità della pellicola di
apprezzare piccole indicazioni (cioè piccole differenze di densità) ed aumenta la velocità
di reazione alla radiazione (cioè si riducono i tempi di controllo a parità di densità media
ottenuta).
ISO DIS 17636-1, in funzione della classe del controllo scelta (A o B), prescrive la classe
minima del sistema-pellicola da usare, al variare del materiale e dello spessore che si
intendono testare ed al variare della sorgente di radiazioni impiegata.
Le pellicole, tuttavia, raggiungono la qualità prevista dalla loro classe di appartenenza solo
se processate in modo opportuno; a tal proposito ISO DIS 17636-1 rimanda alle condizioni
raccomandate dai produttori di pellicole, di sviluppatrici e di bagni chimici di trattamento.
Non deve essere trascurata l’importanza dell’uso di opportuni schermi: a contatto con la
superficie superiore (“front screen” o schermo anteriore) e/o con la superficie inferiore
(“back screen” o schermo posteriore), infatti, è possibile disporre schermi di materiale e di
spessore scelti in funzione dello specifico caso.
Il materiale metallico di cui sono tipicamente costituiti gli schermi è il piombo, tuttavia,
all’aumentare degli spessori radiografati e delle energie adottate, il draft considera anche
la possibilità di usare schermi in acciaio, rame, tantalio o tungsteno.
Analogamente, per quanto concerne lo spessore degli schermi, ISO DIS 17636-1 passa da
valori pari a 0 mm (assenza di schermo), ad esempio per il controllo di leghe leggere sotto
150 kV o di acciaio sotto 5 mm di spessore e sotto 100 kV, a valori anche di 1 mm (in
tantalio), ad esempio per il controllo di forti spessori (> 300 mm) di acciaio con
elevatissime energie (12 MeV); rimane comunque possibile adottare valori differenti
rispetto a quelli suggeriti, previo accordo tra le parti ed opportuna verifica che la qualità
dell’immagine ottenuta sia quella richiesta.
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Vale la pena evidenziare, infatti, che l’uso di schermi migliora la produttività del controllo
poiché riduce i tempi ed aumenta rapidamente il valore medio della densità del film ma
penalizza la sensibilità del controllo, dal momento che riduce il contrasto (la differenza di
densità), soprattutto nel caso di piccole indicazioni; ciò è confermato dal fatto che l’uso
degli schermi a spessore più elevato non è consentito dalla norma in abbinamento a
pellicole di alta qualità (classe C3).
Il fenomeno della radiazione diffusa, il cui effetto si traduce in una perdita di contrasto e
definizione dell’immagine, può essere inaccettabile in termini di qualità finale ottenuta; in
tal senso, il documento prevede l’utilizzo di collimatori della radiazione e di filtri (fogli di
piombo), tanto più spessi quanto più elevato è il rischio di diffusione, come nei casi citati
di uso di sorgente Co60 o Ir192 o di presenza di variazioni brusche di sezione (spigoli).
La presenza di radiazione retroddifusa, in particolare, deve essere verificata in occasione
di ogni nuova disposizione, tramite l’utilizzo di una lettera “B”, in piombo, posta
immediatamente dietro la pellicola: se, dopo l’esposizione, l’immagine di questo simbolo
appare più chiara (densità minore) della zona circostante, la radiografia deve essere
rigettata; se la lettera “B” risulta invece invisibile o più scura (densità maggiore) della
zona circostante, il film è accettabile, a dimostrazione di una buona protezione contro le
radiazioni diffuse.
Parametri ulteriori
A completamento dell’analisi della parte centrale del draft, attenzione meritano le
indicazioni fornite sull’allineamento del fascio di radiazioni, sulla corretta impostazione
della distanza sorgente-oggetto, sulla massima area per ogni singola esposizione, sui limiti
di densità ottica e sulle condizioni da garantire per la lettura delle radiografie.
La distanza sorgente-oggetto, in particolare, è un parametro di primaria importanza in
radiografia, dal momento che, congiuntamente alla dimensione della sorgente (macchia
focale o “focal spot”) e alla distanza oggetto-pellicola (distanza coincidente con lo
spessore del pezzo nel caso di pellicola a contatto con la sua superficie inferiore),
determina l’entità della “penombra geometrica”, ulteriore fenomeno che penalizza la
qualità della radiografia, soprattutto in termini di perdita di definizione dell’immagine.
Per la scelta della corretta distanza sorgente-oggetto, il documento propone le stesse
equazioni di ISO 17636:2003 e di UNI EN 1435, da cui si può evincere che il valore
massimo di penombra geometrica ammesso è doppio nel caso di tecniche in classe A
rispetto al caso di tecniche in classe B, ovvero che la minima distanza sorgente-oggetto da
assicurare in classe A è la metà di quella necessaria a soddisfare le condizioni di qualità
della classe B; alternativo al calcolo matematico è l’uso di un nomogramma, derivato dalle
equazioni, anch’esso presente nei precedenti riferimenti normativi (Fig. 7).
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FIGURA 7 – Nomogramma per la minima distanza sorgente-oggetto fmin, [mm]
E’ importante notare che, rispetto ai precedenti riferimenti, ISO DIS 17636-1 introduce
una precisazione riguardante la dimensione della sorgente, infatti, nel caso di sorgenti
aventi due differenti dimensioni (caso piuttosto frequente), viene esplicitamente prescritto
di utilizzare un approccio cautelativo, ovvero di considerare nei calcoli e/o nel
nomogramma la dimensione maggiore delle due.
All’analisi del parametro distanza sorgente-oggetto, segue la valutazione dell’area
massima per ogni singola esposizione. L’estensione della zona di interesse di una
radiografia è strettamente correlata al numero di radiografie necessarie per un’indagine
completa di una saldatura.
In termini generali, per stabilire la massima area per esposizione è necessario tenere conto
del rapporto fra il valore dello spessore penetrato dalla radiazione all’estremità della zona
e il valore dello spessore attraversato al centro del fascio.
L’importanza di tale valutazione, che può fornire risultati precisi solo nel caso in cui sia
nota la geometria dei fasci (cosa non sempre possibile e comunque variabile sia da
sorgente a sorgente, sia, per la stessa sorgente, nel tempo, per effetto di usura,
surriscaldamenti, danneggiamenti,…), risiede nel fatto che la dose di radiazione che nelle
zone periferiche raggiunge la pellicola è inferiore alla dose che raggiunge la parte centrale,
con conseguente disuniformità della densità (media) ottenuta sulla radiografia e, quindi,
con conseguente perdita di qualità dell’immagine.
ISO DIS 17636-1 consente un valore massimo del suddetto rapporto pari a 1.1 per la
classe B e pari 1.2 per la classe A; questo comporta sostanzialmente un limite massimo
alla lunghezza del tratto utile per esposizione, che può essere tradotto in un’area massima,
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una volta fissata la larghezza della zona di interesse. Per questo ultimo parametro, il draft
impone un valore minimo tale da includere tutta la zona fusa e tutta la zona termicamente
alterata, da valutare di caso in caso, suggerendo, in prima approssimazione, di estendere il
controllo a circa 10 mm di metallo base, dalla linea di fusione, da ciascun lato della zona
fusa.
Di particolare interesse è il caso dei giunti circonferenziali, che viene trattato in modo
specifico dall’Appendice A, dove è raccomandato il numero minimo di esposizioni per
l’esame completo di saldature di tubazioni aventi diametro esterno superiore a 100 mm
(non idonei quindi alla tecnica ellittica), in funzione del rapporto fra spessori sopra
descritto; l’Appendice A riporta quattro diagrammi:
Infine, per quanto concerne il corretto valore di densità ottica che deve essere ottenuto su
ogni radiografia, condizione fondamentale imposta dal draft è il raggiungimento di un
valore minimo:
Il requisito di valore minimo di densità e il fatto che per la classe A tale valore sia inferiore
a quello richiesto alla classe B sono intuibili se si ricorda che, all’aumentare
dell’esposizione e quindi della densità, migliora la sensibilità della pellicola alla
rilevazione delle indicazioni.
Questi valori sono suscettibili delle seguenti variazioni:
Al tempo stesso, è necessario garantire che il valore di densità nelle zone di interesse non
ecceda quello “leggibile” dal visore (negativoscopio) di cui si è a disposizione per
l’interpretazione delle radiografie.
Un’ultima indicazione viene data a proposito del valore massimo consentito per il “velo
chimico” (fog) di una pellicola; il velo chimico rappresenta il valore di densità ottica
proprio del film (doppio contributo: supporto ed emulsioni sensibili), valutabile
processando una pellicola non esposta. Per evitare fenomeni di deterioramento, derivanti
dall’invecchiamento, dal processo di sviluppo e/o dalla temperatura, il velo chimico non
deve eccedere 0.3.
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Vengono forniti ed opportunamente distinti i requisiti sia nel caso di uso della Computed
Radiography (CR), ovvero di uso di “Imaging Plates” (IP), sia nel caso di Digital
Radiogrphy (DR), ovvero di uso di “Digital Detector Arrays” (DDA).
Si descrive di fatto la procedura raccomandata per selezionare i detector più opportuni e
per eseguire correttamente il controllo, mentre l’attenzione non viene focalizzata sulla
scelta di elementi altrettanto importanti quali il software, il monitor, il computer. Neanche
la definizione dei criteri di accettabilità delle indicazioni rientra fra le finalità del draft,
cosa del resto comune a tutte le norme di controllo di tipo metodologico.
La procedura specificata fornisce i requisiti (minimi) atti a raggiungere una qualità di
esposizione e di acquisizione delle immagini tale da garantire una sensibilità alle
imperfezioni equivalente a quella ottenibile con la tecnologia a film, trattata in ISO DIS
17636-1.
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Sistema formato da uno schermo al fosforo per l’immagazzinamento dell’immagine (IP) e
di una corrispondente unità di lettura che converte l’informazione incamerata nell’IP in
immagine digitale.
Structure Noise of IP
Disomogeneità dello strato di emulsione sensibile e della superficie di un IP. Dopo la
scansione (lettura tramite scanner) tali disomogeneità appaiono come disturbo diffuso
(rumore) sovrapposto all’immagine digitale. Il rumore limita la qualità di immagine
massima ottenibile ed è assimilabile al concetto di “Granulosità” di un’immagine su
pellicola tradizionale.
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SNR, normalizzato rispetto a SRb; valore che può essere misurato direttamente
sull’immagine digitale e/o calcolato a partire dal valore misurato di SNRmeasured tramite la
relazione:
SNRN = SNRmeasured · (88.6 μm) · (1/SRb)
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FIGURA 8 – IQI a doppio filo: esempio di non nitidezza con risultato pari a 8D
Il valore di SRb, dato dalla relazione: SRb = ½ uT, è necessario per verificare se il sistema
utilizzato soddisfa i requisiti: a tal fine, la norma fornisce delle tabelle in cui vengono
indicati i valori di SRb massimi ammessi in funzione dello spessore ispezionato, della
geometria dell’esposizione usata, della classe di qualità (A o B) richiesta (Fig. 9)
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FIGURA 9 – Massima SRb e corrispondente uT dell’immagine per la classe B
Particolare cura merita il posizionamento dell’IQI a doppio filo, il quale deve risultare
inclinato di alcuni gradi (2- 5 °) rispetto alla direzione delle righe o delle colonne della
matrice di pixel del detector; a tal proposito, segnaliamo che la risoluzione spaziale nelle
due direzioni (ortogonali fra loro) non è necessariamente la stessa, quindi entrambe vanno
valutate e, con approccio cautelativo, si assume come rappresentativo del sistema il
maggiore fra i due valori.
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Alla luce di quanto sopra esposto, si può sostenere che, nella radiografia digitale, i diversi
tipi di IQI sono usati in due fasi, svolgendo una duplice funzione:
1- con gli indicatori a doppio filo, si verifica l’idoneità del sistema digitale che si
intende adottare, in funzione del particolare da testare e della qualità finale richiesta, come
descritto in Appendice C;
2- con gli indicatori a filo e/o a gradini forati, si determina l’idoneità della tecnica
che si intende adottare per testare il particolare. Analogamente a ISO DIS 17636-1, ISO
DIS 17636-2 dedica l’Appendice B ai minimi requisiti di qualità in termini di IQI, peraltro
senza apportare modifiche né qualitative né quantitative.
Tali distinzioni sono di primaria importanza nel parallelo fra tecniche tradizionali e
tecniche digitali: la possibilità di utilizzare sistemi digitali è subordinata alla verifica delle
specifiche caratteristiche (ad esempio, nel caso dei sistemi CR, almeno dell’insieme plate-
scanner).
Vale la pena segnalare l’importante attività che utilizzatori come IIS stanno sviluppando
sperimentalmente, finalizzata alla definizione dei parametri essenziali e alla stesura di
procedure che, supportate da norme come ISO DIS 17636-2, permettano di utilizzare i
sistemi digitali con un sufficiente grado di confidenza e ripetibilità.
A completamento dell’argomento è possibile fare la seguente schematizzazione, per
quanto semplificativa e probabilmente non esaustiva, con l’intento di “decifrare” più
chiaramente alcuni parametri propri del “mondo digitale”, dei quali può non essere facile
ed immediato comprendere il senso o l’effetto in termini operativi:
1- SRb ovvero la massima risoluzione spaziale, è indice del potere risolutivo del
sistema, essa determina la nitidezza dell’informazione e si valuta
quantitativamente in base agli IQI a doppio filo: risolvere due fili di piccolo
diametro posti a breve distanza significa distinguerli e cioè avere una immagine
nitida.
2- SNR e Gray Value (quest’ultimo solo per sistemi CR) sono gli indici di una
sufficiente dose di radiazione ricevuta dal detector e quindi di una sufficiente
quantità di informazione incamerata dal sistema. La norma, che per i CR dedica
l’Appendice D alla determinazione di SNR e gray value, prescrive che siano
raggiunti valori minimi per tali parametri, analogamente a quanto accade nelle
tecniche tradizionali per la densità ottica; in tale appendice si può peraltro
apprezzare che SNR (opportunamente normalizzato) è una funzione crescente di
GV.
3- CNR ovvero la sensibilità in termini di contrasto, è indice della visibilità
dell’indicazione, esso può essere calcolato matematicamente ma, operativamente
e convenzionalmente, è determinato dalla visibilità degli IQI “classici” a filo
singolo o a gradini forati.
4- Il disturbo (noise) di un’immagine radiografica digitale dipende dalle condizioni
di esposizione e un eccessivo disturbo provoca una eccessiva riduzione di SNRN
o di CNR.
Non sussistono differenze rispetto alla parte 1 per quanto concerne le disposizioni per le
riprese radiografiche e le prescrizioni generali, quantitative e qualitative.
Le prime differenze sono presenti nella scelta della tensione acceleratrice e della sorgente
di radiazione. Vale la pena ricordare che esiste una notevole differenza fra ISO DIS
17636-1 e UNI EN 1435, riferimenti entrambi dedicati alle tecniche a film, in termini di
tensione massima contemplata (1000 kV per ISO DIS e 500 kV per EN); anche per ISO
DIS 17636-2 è previsto lo stesso range ampliato fino a 1000 kV per le tensioni
acceleratrici. Questa variazione è giustificata in realtà molto più nel caso delle tecnologie
digitali che nei sistemi tradizionali: infatti, sebbene non vi siano ancora una esaustiva
spiegazione fisica né una totale conferma sperimentale, si nota che i detector digitali (in
particolare gli IP al fosforo dei sistemi CR) necessitano di dosi di energia più elevate per
incamerare informazioni sufficienti a fornire un’immagine radiografica sufficientemente
contrastata; il concetto, in verità, non è evidenziato in termini operativi dalla normativa
che ripropone nella parte 2 lo stesso diagramma della parte 1 relativamente alla Tensione
Massima Ammissibile in funzione dello Spessore attraversato e del Materiale radiografato,
quasi a suggerire, così facendo, un atteggiamento più prudente e ragionevole, in termini di
sensibilità finale ottenuta, adottando sempre e comunque valori non eccessivi di energia,
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almeno fino a quando non verranno trovate spiegazioni fisiche al fenomeno tali da
consentire di operare in altro modo.
Per ottenere una buona sensibilità alle imperfezioni, la norma prescrive che l’energia della
radiazione sia la più bassa possibile e che si ottengano valori di SNRN i più elevati
possibili; consente inoltre le seguenti azioni in deroga a quanto indicato dal diagramma
sopra citato:
1- nel caso di IP ad elevato structure noise (“a grana grossolana”) viene consigliato
di adottare tensioni massime acceleratrici ridotte circa del 20% per la classe B;
2- nel caso di IP a basso structure noise (“a grana fine”) è possibile usare tensioni
massime pari a quelle proposte dal diagramma o anche significativamente
superiori purché venga aumentato anche il valore di SNRN;
3- nel caso di DDA opportunamente calibrati, la qualità dell’immagine è sufficiente
anche adottando tensioni massime acceleratrici molto maggiori.
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FIGURA 10 – SNRmeasured per sistemi CR con differenti SRb per ottenere equivalenti SNRN
I valori minimi di SNRN sono tabulati nella norma in funzione del materiale, dell’energia
adottata, dello spessore attraversato e della classe di qualità richiesta.
SNRN e GV (solo nel caso di sistemi CR) devono essere misurati in prossimità della zona
fusa, vicino all’IQI, in corrispondenza della parte a spessore maggiore del materiale base,
in una zona a spessore e a GV uniformi.
I valori minimi proposti in tabella devono essere incrementati di un fattore 1.4 se SNRN è
misurato nella zona termicamente alterata (ZTA): questa importante considerazione
introdotta dalla norma deriva dalla constatazione che, in una radiografia tradizionale su
film, la densità ottica misurata in ZTA varia tra 3.5 e 4, valore circa 1.4 volte maggiore del
valore minimo previsto al centro della zona fusa. Questo concetto, con le dovute
precauzioni del caso, è stato trasferito alle tecniche digitali ed è stata anche introdotta
esplicitamente la raccomandazione di valutare SNRN proprio in ZTA, dove è possibile
sfruttare l’uniformità di tale area (in genere caratterizzata da ridotta rugosità e da buona
regolarità superficiali) per avere valori di GV costanti e misurazioni di SNRN accurate.
Infine, è importante segnalare che, per maggiori dettagli sulla misura di SNRN, la norma
rimanda non solo alla corrispondente norma trasversale EN 14784-1 ma anche a norme
statunitensi ASTM (ASTM E 2446 per sistemi CR e ASTM E 2597 per sistemi DR).
A valle di quanto sopra menzionato, la norma ripropone il concetto del Principio di
Compensazione, espresso in una seconda forma, più funzionale in termini operativi
rispetto alla precedente: infatti, nel caso in cui entrambe le sensibilità ricavate dagli IQI
(sia la sensibilità in contrasto tramite gli indicatori a singoli fili o piastrine forate, sia la
risoluzione spaziale tramite gli indicatori a doppi fili) non possano essere ottenute dal
sistema usato e dai parametri espositivi scelti, è possibile compensare la perdita in
risoluzione ovvero gli eccessivi valori di SRb, aumentando la visibilità di IQI a singoli fili
o fori. La compensazione dovrà comunque essere limitata ad un incremento massimo di
due fili o fori, in corrispondenza di due coppie di fili non risolte in più rispetto a quanto
richiesto.
La risoluzione spaziale di un detector è fissata dal progetto e dai parametri hardware
mentre la sensibilità in contrasto dipende anche dalle condizioni espositive. Essa può
essere incrementata aumentando l’Esposizione; esiste tuttavia un limite all’aumento del
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valore di SNRN ottenibile in questo modo a causa del rumore strutturale (“structure noise”)
dello strato sensibile degli IP o a causa di una non sufficiente qualità della calibrazione
effettuata nel caso di DDA; questo limite comporta pertanto una limitazione anche
all’aumento dell’Esposizione applicabile.
Particolare attenzione viene riservata al tema degli schermi di rinforzo e di protezione da
usare nel caso di CR con IP: questi infatti risultano essere molto più sensibili alle
radiazioni diffuse dei film tradizionali e la perdita di definizione e la riduzione di CNR che
ne conseguono devono essere contrastate. La norma propone, per alte energie e forti
spessori, di interporre tra il plate e gli schermi posteriori in piombo anti-backscattering
un’ulteriore forma di protezione costituita da schermi di acciaio o di rame; tuttavia questa
soluzione riduce l’effetto di intensificazione della radiazione, comportando la necessità
talvolta di aumentare i tempi di esposizione per far giungere una sufficiente dose di
radiazione al plate.
Il fenomeno descritto e l’approccio adottato per compensarlo si contrappongono ad uno
dei maggiori vantaggi della tecnologia filmless rispetto alla tradizionale: è noto che la
radiografia digitale permette una velocizzazione del controllo (riducendo a volte i tempi di
esposizione anche ad un quinto di quelli previsti per il controllo tradizionale), sia in
termini di esposizione (i detector sono per loro natura più sensibili alla radiazione delle
pellicole) sia in termini di trattamento (non esiste il processamento chimico del detector);
l’introduzione di svariati schermi che filtrano la radiazione diviene condizione tuttavia
inevitabile nel caso si voglia raggiungere una determinata qualità di immagine, anche a
scapito della velocità del controllo.
Il parametro trattato successivamente dalla norma è la minima distanza sorgente-oggetto.
Sebbene non vi siano differenze quantitative rispetto a quanto proposto nella parte 1 della
norma, ISO DIS 17636-2 raccomanda in una nota di incrementare i valori minimi di
distanza sorgente-oggetto ricavati dall’applicazione delle formule e/o del nomogramma a
causa del fatto che nelle tecniche digitali, in particolare per i sistemi CR, la “penombra
totale” (“total image unsharpness” uT) è formata da due contributi:
Infine, trattando della memorizzazione dei dati, due sono i requisiti ritenuti indispensabili:
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1- le immagini originali devono essere salvate mantenendo la stessa risoluzione con
cui sono state acquisite ed inviate dal detector;
2- l’immagazzinamento dei dati deve essere ridondante e sempre supportato da
adeguate ed affidabili strategie di “back-up” al fine di assicurare l’assenza di
perdita di informazione.
Infine è richiesto dalla normativa di annotare sul verbale anche eventuali deroghe alle sue
prescrizioni, debitamente concordate fra le parti.
A commento di questa richiesta, è importante ricordare che variazioni a quanto indicato da
una normativa tecnica sono possibili, previi opportuno accordo fra le parti e adeguata
dimostrazione di idoneità (rispetto dei requisiti di qualità e sicurezza del prodotto) delle
modifiche che si intende apportare; in particolare, nel caso di una tecnologia così
innovativa e di un settore così ampio come quello dei prodotti saldati, ISO DIS 17636-2,
pur rappresentando una norma “verticale”, conserva inevitabilmente un carattere generale
quasi al pari di una norma “trasversale” di metodo, lasciando all’utilizzatore il compito e
la possibilità di specificare, in funzione delle caratteristiche dell’oggetto in esame (tipo di
materiale, geometrie, processi di saldatura, tipologia e severità del servizio cui il
particolare è destinato, …), mirate prescrizioni tecnico-operative di controllo, necessarie
per raggiungere la sensibilità richiesta.
Conclusioni
ISO DIS 17636-1 ripropone senza sostanziali variazioni quantitative né qualitative le
regole di controllo radiografico ormai consolidate nel settore industriale dei prodotti
saldati a livello sia europeo sia internazionale, grazie a ISO 17636:2003 e a UNI EN 1435.
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Questo fatto rappresenta una dimostrazione dei risultati soddisfacenti che la loro
applicazione ha permesso di ottenere in questi anni e, probabilmente, rappresenta anche un
segnale di ragionevole conservazione di ciò che tradizionalmente si è affermato, in
contrapposizione alle novità introdotte da ISO DIS 17636-2. Una stessa norma, divisa in
due parti, per affrontare due filosofie fra loro diverse è una soluzione giusta per fare
coesistere entrambe le tecnologie, senza commettere l’errore di considerarle una
alternativa all’altra.
Va tuttavia segnalato che le poche modifiche apportate in ISO DIS 17636-1 (ad esempio,
l’estensione del range di macchine radiogene contemplate) ed alcune delle note aggiunte
(ad esempio, la precisazione riguardante la ricerca di incollature) contribuiscono a
perfezionare il documento, rendendolo più idoneo alla risoluzione di casi critici.
L’introduzione di riferimenti normativi in ambito CEN e in ambito ISO che si occupano di
tecnologie innovative e che si affiancano a quelli già esistenti in ambito statunitense
rappresenta sicuramente un passo fondamentale e necessario verso una gestione oggettiva
ed un utilizzo ragionevole dei sistemi digitali di diagnostica. L’applicazione di questi
documenti e la sperimentazione che IIS sta portando avanti nel controllo radiografico
digitale hanno evidenziato che esiste ancora un mismatch tra l’evoluzione tecnologica, che
avviene a velocità vertiginose, e la completa conoscenza della fisica (cause – effetti -
conseguenze) che è alla base della tecnologia stessa.
In altri termini, quanto prescritto oggi (in modo a volte comprensibilmente anche piuttosto
generale) da una norma o da un codice, potrebbe essere non più applicabile nel giro di
poco tempo a causa dell’introduzione sul mercato di un’apparecchiatura di nuovissima
concezione o per effetto dell’approfondimento delle leggi che descrivono il fenomeno
fisico su cui il sistema si basa.
Un esempio nel caso del controllo radiografico digitale è rappresentato dalla
contraddizione fra le prime applicazioni dei sistemi CR, in cui era evidente la necessità di
utilizzare energie molto elevate per eccitare in modo adeguato l’elemento sensibile (il
layer “dei fosfori” degli IP), e la tendenza attuale che, sicuramente più in linea con la
radiografia tradizionale, prevede proprio per i sistemi CR l’uso di più modesti valori di
energia onde limitare fenomeni di perdita di qualità dell’immagine.
Ciononostante, non va sottovalutato quanto sia importante poter fare affidamento su
documenti ufficiali, universalmente riconosciuti e frutto del lavoro di più gruppi che, a
livello internazionale, fanno convergere la loro esperienza e i loro risultati in un “bene”
comune, fruibile da tutti.
Sicuramente molti sono ancora gli aspetti da sviluppare e da mettere a punto, anche a
livello di panorama normativo che attualmente è ancora lacunoso sia per quanto concerne
la copertura di settori e di argomenti, sia per quanto riguarda il grado di dettaglio fornito
nei settori e negli argomenti coperti. Questo gap tuttavia non può essere colmato se non
tramite la sinergia tra gli enti di normazione, gli utilizzatori e i costruttori dei sistemi.
Con questo intento e con la convinzione generale che il presente dei controlli non
distruttivi e non solo il loro futuro sia rappresentato dallo sviluppo e dall’adozione di
tecnologie tanto innovative quanto affidabili, proponiamo in conclusione un elenco di
aspetti che riteniamo meritare di particolare approfondimento futuro:
– Miglioramento dei Detector: non del tutto soddisfacente è la risposta sia in termini
di durata, sia in termini di sensibilità dei detector oggi a disposizione;
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– Specificazione, anche a livello normativo, di ciò che deve essere effettuato per
qualificare e classificare un sistema (in termini di numero e tipologie di parametri da
verificare) e definizione di chi deve prendersi carico delle varie verifiche (utilizzatori,
costruttori di sistemi, laboratori accreditati, …);
– Stabilità del sistema: attualmente, anche a causa dell’incertezza di cui al punto
precedente, non è ancora disponibile un iter di verifica di stabilità dei sistemi nel
tempo, né, a fronte di una eventuale anomalia rilevata durante il funzionamento, risulta
ancora semplice determinare quale anello “della catena” (detector, scanner, cablaggi,
hardware, software, …) ne è responsabile;
– Messa a punto di specifici indicatori di qualità di immagine: esiste già il concetto di
“phantom” e di “RQI” (Representative Quality Indicators, ovvero pezzi/oggetti con
imperfezioni reali) che devono però essere meglio definiti e contestualizzati in
funzione delle singole esigenze industriali;
– Formazione specifica del personale addetto: basilare risulta l’addestramento degli
utilizzatori del sistema, mirato sia alla parte hardware sia alla parte software, affiancati
e supportati dai costruttori del sistema stesso; tale affiancamento non può peraltro
prescindere da un addestramento incrociato specifico sul controllo radiografico che i
costruttori dei sistemi devono subire a loro volta.
La strada da percorrere è senza dubbio ancora molto lunga ma è altrettanto vero che IIS
l’ha imboccata con coscienza ed approccio sperimentale corretto.
Bibliografia
[1] – “Radiography in Modern Industry – Fourth Edition” (Eastman Kodak Company –
1980)
[2] – “Controllo Radiografico” (Istituto Italiano della Saldatura – 2009)
[3] - “Advancements in CR Radiography” (Jimmy Opdekamp - GE Inspection
Technologies, Berchem, Belgium), Workshop Radiografia Digitale (Conferenza Nazionale
sulle Prove non Distruttive, Monitoraggio e Diagnostica - Milano, Ottobre 2007)
[4] – “X-Ray - Radiographic Film Systems” (GE Sensing and Inspection Technologies)
[5] – “Introduzione della Radiografia Digitale” (Mario Bianchi – BYTEST srl, Volpiano
[To], Italia)
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