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4. Dopo le Dieci Tesi: sviluppi e prospettive. La linguistica (o grammatica) del testo

Questo modulo rappresenta un momento di passaggio dalla impostazione ‘storica’ dei


primi due moduli, che continua anche nella prima parte di questo intervento (4.1), ad una
impostazione per ‘temi’, che tenterà di descrivere almeno alcuni degli sviluppi che la ricerca
linguistica e didattica ha reso possibili nel campo dell’educazione linguistica. Cominceremo
con la presentazione della cosiddetta ‘dimensione testuale’ nell’insegnamento, favorita dal
nascere e dal consolidarsi di un ricco filone di ricerca sul testo (4.2.). Passeremo poi al tema
delle varietà del repertorio linguistico italiano, su cui ci hanno reso adotti gli studi italiani di
socioliguistica, per capire in che senso questi studi possono orientare l’insegnante di italiano
(modulo 5). Connesso a questo tema è il problema del ‘modello’ di lingua da adottare in
classe, che affronteremo subito dopo, assieme al concetto di norma e di errore (modulo 6).
Infine accenneremo al ruolo e alle modalità di riflessione grammaticale nell’educazione
linguistica (modulo 7).

4.1. Dopo le Dieci Tesi

La pubblicazione e la diffusione delle Dieci Tesi suscitarono nel mondo della scuola
grande interesse. Fiorirono un po’ dappertutto iniziative di aggiornamento degli insegnanti,
gruppi di studio che, a partire dalle Dieci Tesi, si ponevano in modo serio la questione del
rinnovamento dell’insegnamento linguistico tradizionale. In Veneto ad esempio, dove si
costituì immediatamente un gruppo GISCEL molto attivo1 , furono tenuti decine, forse
centinaia di corsi di aggiornamento con l’intento di illustrare e spiegare agli insegnanti la
filosofia e la pratica delle Dieci Tesi. Questo fermento è confermato dalle decine di
pubblicazioni e saggi che videro la luce negli anni che vanno dal 1975 ai primi anni ‘80 e dei
quali è qui impossibile dare conto. Ci limitiamo quindi a citare alcuni volumi che sono oggi
forse più facilmente reperibili nelle biblioteche pubbliche e private, per avere avuto all’epoca
largo seguito tra gli insegnanti, o per essere stati editi da case editrici con buona distribuzione
nazionale: Ricciardi (a cura di) 1976, Berruto (a cura di) 1977, Coveri-Ramat (a cura di)
1979, Simone (a cura di) 1979 (questo volume raccoglie gli articoli precedentemente
pubblicati nel numero 8-9 di «Scuola e Città» del 1976), Colombo (a cura di) 1979. Queste
opere sono caratterizzate dall’essere dei volumi collettivi, in cui linguisti ed insegnanti si

1
Il gruppo è attivo anche oggi, e si riunisce a scadenze regolari nel Dipartimento di Discipline Linguistiche,
Comunicative e dello Spettacolo della facoltà di Lettere dell’Università di Padova.
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cimentano sui temi più vari: dalla crisi della pedagogia linguistica tradizionale (Tullio De
Mauro, Raffaele Simone) al rapporto tra educazione linguistica e scienze del linguaggio
(Emanuele Banfi, Monica Berretta, Gaetano Berruto), dal tema della variabilità linguistica
nella società e nella scuola italiana (Paola Benincà, Gaetano Berruto, Lorenzo Coveri, Alberto
Mioni, Alberto Sobrero) a quello della dimensione diacronica della lingua (Federico Albano
Leoni, Bice Mortara Garavelli, Francesco Sabatini), dal ruolo della grammatica
nell’educazione linguistica (Monica Berretta, Pier Marco Bertinetto, Lorenzo Renzi), a quello
della letteratura (Pier Marco Bertinetto, Michele A. Cortelazzo, Carlo Ossola), dal tema della
formazione universitaria degli insegnanti (Mario Ricciardi) ai molti, moltissimi resoconti su
pratiche didattiche ritenute in qualche modo innovative.
Questo interesse, rinfocolato in occasione dell’uscita dei nuovi programmi per la scuola
media (1979) e per la scuola elementare (1985), che accettavano e facevano propri molti dei
suggerimenti delle Dieci Tesi, si è via via modificato col passare degli anni. C’è stata ad
esempio una lunga fase (forse già finita) in cui, sulla falsariga di De Mauro e Simone2 , molti
linguisti si sono cimentati direttamente nel compito di disegnare dei percorsi di educazione
linguistica rinnovata, compilando personalmente – a volte con l’aiuto di insegnanti - libri di
testo per i vari ordini di scuole. Contemporaneamente i convegni annuali della SLI
prevedevano sempre una sezione didattica, uno spazio in cui si presentavano temi e problemi
connessi con l’educazione linguistica, a sottolineare la necessaria connessione tra ricerca e
insegnamento, almeno fino a quando, nel 1982, il GISCEL, articolato in gruppi regionali, non
decise di organizzare autonomamente il suo primo convegno nazionale. Da allora ogni due
anni un GISCEL regionale organizza a turno un convegno nazionale su uno specifico tema di
educazione linguistica. Gli atti relativi, pubblicati nella collana ‘Quaderni dei GISCEL’ (casa
editrice: La Nuova Italia) costituiscono una preziosa fonte di documentazione sulle scelte e
sui risultati raggiunti in questi anni dall’educazione linguistica3 .
A questo proposito risulta particolarmente interessante il volume n. 20 della collana, il
già più volte citato Ferreri – Guerriero 1998, in cui sono riportate alcune agili interviste fatte a
Tullio De Mauro, Raffaele Simone, Lorenzo Renzi e Alberto A. Sobrero, vale a dire a quattro
linguisti che in questi anni hanno seguito da vicino le vicende dell’educazione linguistica. A
distanza di circa 25 anni dall’epoca della loro stesura è sembrato infatti opportuno rileggere le

2
De Mauro pubblicò nel 1972 (editore Laterza) Parlare italiano, un’antologia per i bienni. A Simone dobbiamo
invece Libro d’italiano (edito da La Nuova Italia nel 1973), un libro che voleva essere una grammatica totalmente
rinnovata nei contenuti e nello stile.
3
Il prossimo convegno nazionale, il dodicesimo della serie, sarà organizzato dal GISCEL Sardegna sul tema
‘Educazione linguistica e Educazione letteraria: intersezioni e interazioni’ e si svolgerà a Cagliari dal 13 al 15
marzo 2002.
3

Dieci Tesi e interrogarsi, o meglio interrogare gli esperti, sull’attualità del documento.
Considerando che “le condizioni sociolinguistiche di oggi sono molto diverse da quelle dei
primi anni Settanta” (ivi, 13), ci si chiede che senso ha parlare, oggi, di educazione linguistica
e quali sviluppi si debbano e si possano auspicare nella scuola di oggi e di domani. Non
rimane che invitare alla lettura diretta del volumetto (solo 80 pagine, se si escludono le Dieci
Tesi, pp. 81-92, e una ricca bibliografia divisa per temi, pp. 93-126).

4.2. La dimensione testuale


Non sarà possibile dar conto di tutti gli sviluppi che il dibattito sulle Dieci Tesi in
particolare, e sull’educazione linguistica in generale, ha reso possibili in questi anni. Diciamo
subito che uno degli effetti immediati della lettura delle Dieci Tesi fu il diffondersi di un
diffuso senso di sfiducia nei confronti delle pratiche didattiche tradizionali, riconosciute ormai
inadeguate a rispondere ai variegati bisogni linguistici di una scuola di massa. Gli obiettivi
tradizionali dell’insegnamento dell’italiano, espliciti o più spesso impliciti, vennero descritti,
impietosamente analizzati e sottoposti a critica serrata. Contemporaneamente non c’è
affermazione, o passaggio, o argomentazione delle Dieci Tesi che non sia stata commentata,
discussa, verificata, precisata sia nelle sua implicazioni teoriche, sia nelle sue possibili o
auspicabili applicazioni pratiche. Questo lavorio è stato del resto reso possibile anche dalla
mole, straordinaria per quantità e qualità, raggiunta dalla ricerca linguistica sull’italiano, che
ha colmato in poco più di due decenni molti dei ritardi denunciati a suo tempo da De Mauro.
In più, hanno contribuito allo sviluppo di molti temi dell’educazione linguistica alcuni degli
apporti venuti dall’estero, che si sono proficuamente innestati su esigenze autoctone,
autonomamente avvertite come imprescindibili.
Uno degli innesti più riusciti è stato certamente l’incontro fra la critica alle forme
tradizionali di addestramento nelle quattro abilità canoniche (parlare, ascoltare, leggere,
scrivere) e la cosiddetta linguistica del testo, la cui nascita va fatta risalire ai primi anni ’70 in
Germania4 . Si è trattato di un incontro molto produttivo, in quanto sono stati proprio gli studi
sulle tipologie testuali (tipi e generi testuali) e sulla tessitura testuale in senso stretto (fatti di
coesione e di coerenza testuale) che hanno reso possibile, a partire dagli anni ’80, una
riflessione seria sulla didattica delle quattro abilità - della lettura e della scrittura soprattutto -
collegata, giustamente, con le diverse situazioni comunicative e col tipo particolare di testo di
volta in volta ‘attivato’ nell’interazione.

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Sono delle ottime introduzioni a questo filone della ricerca linguistica Conte 1977 e Verlato 19952 . E’
ugualmente interessante un recente intervento di Dario Corno, che si prefigura come una rassegna dei temi di
4

Non è possibile in questa sede procedere ad una presentazione anche minimamente


sufficiente di quelle che si considerano le maggiori acquisizioni della linguistica del testo. Ci
limiteremo pertanto ad una brevissima esposizione dei contenuti più interessanti dal punto di
vista dell’educazione linguistica, quelli che a parere di chi scrive un insegnante di italiano, o
più genericamente di lingua, non può ignorare. Ma per chi volesse saperne di più, rimandiamo
senz’altro alla bibliografia di riferimento. Come introduzione al tema basti solo dire che, a
differenza della stragrande maggioranza dei modelli grammaticali via via proposti dalle
diverse scuole di linguistica, modelli che si muovono nell’ambito della frase, la linguistica del
testo considera il testo come il segno linguistico originario, visto che parliamo per testi e non
per frasi. Da qui la necessità di scavalcare la frase: infatti una considerazione dei fatti
linguistici che rimanga confinata entro la frase non riesce nè a descrivere, nè tantomeno a
spiegare molti fenomeni grammaticali che si dispiegano su più frasi e frammenti di lingua di
una certa ampiezza, a volte neppure sequenziali. Dunque alcuni dei più noti linguisti testuali
hanno concentrato i loro sforzi sui mezzi linguistici che, legando i vari spezzoni di lingua in
una struttura coesa e coerente, rendono possibile la costruzione di messaggi significativi, e
consentono quindi di distinguere un testo da un insieme casuale e incoerente di frasi.

4.2.1. Coesione e grammatica


Il titolo di questo paragrafo suggerisce una stretta correlazione tra il concetto di
‘coesione’ e la grammatica. Si intende infatti per coesione l’insieme dei meccanismi
grammaticali dei quali ci serviamo per collegare assieme le varie parti di cui un testo si
compone. Tali meccanismi sono superficiali, cioè realizzati linguisticamente (possono essere
articoli, pronomi, forme verbali, connettivi), e perciò facilmente rintracciabili. Data l’estrema
complessità della materia, sceglieremo di occuparci di un solo aspetto della coesione testuale,
l’anafora5 , ampiamente studiato dalla linguistica testuale e tuttavia, nonostante la sua
centralità nella costruzione dei testi, sistematicamente ignorato dalle analisi tradizionali,
almeno nei loro risvolti scolastici (trarremo l’esemplificazione e parte dell’argomentazione da
nostri precedenti lavori, Lo Duca – Solarino 1990 e Lo Duca 1999).
L'anafora è uno dei principali mezzi che le lingue hanno a disposizione per ‘legare’
assieme porzioni più o meno ampie di testo. Imparare a riconoscerla è importante, perché
significa capire come funziona la lingua in uno dei suoi meccanismi più importanti e delicati.
Prima di definirla però, leggiamo l'esempio che segue:

linguistica del testo più rilevanti per l’educazione linguistica. La rassegna è seguita da una breve bibliografia
ragionata (Corno 1999).
5

Ieri uscendo di casa per andare al lavoro ho visto un gatto grigio che se ne stava tutto
spaventato vicino alla porta del garage...Quando la sera sono tornato a casa, il gatto era
ancora lì... Non ci ho pensato due volte: prima che Ø1 andasse a finire sotto qualche
macchina, l'ho preso, l'ho portato in casa e gli ho dato del latte caldo. La bestiola si è
subito rianimata, e per prima cosa Ø2 ha cominciato ad esplorare la casa...

Gli elementi sottolineati sono legati l'uno all'altro da uno speciale rapporto, che
chiamiamo anaforico: pur appartenendo a categorie grammaticali diverse (sono nomi e
pronomi) questi elementi si riferiscono alla stessa 'entità', nel caso specifico un gatto, del quale
si continua a parlare in tutta la sequenza. Abbiamo segnalato con il simbolo Ø e numerato
anche i due casi di ellissi (dal greco élleipsis 'mancanza'), cioè l'omissione del soggetto.
La grammatica del testo fa uso, per parlare di questi fatti, di una terminologia
particolare, della quale dovremo impadronirci. In particolare:
- la prima menzione di un individuo od oggetto in un testo viene chiamata ‘antecedente’: nella
sequenza sopra riportata l'antecedente è un gatto grigio;
- la seconda menzione e tutte le successive costituiscono un ‘riferimento anaforico’ o, più
comunemente, una ‘ripresa anaforica’;
- si intende quindi per anafora quel meccanismo linguistico che instaura una relazione fra due
o più elementi del testo, l'antecedente e tutte le espressioni attraverso cui tale antecedente
viene richiamato nel corso del testo;
- se gli elementi di richiamo sono più di uno si può anche parlare di ‘catena anaforica’, come
nel caso della sequenza sopra riportata:

un gatto grigio (antecedente) àche àil gatto à Ø1 à lo àlo àgli àla bestiola à Ø2

in cui le diverse riprese anaforiche si richiamano l'un l'altra;


- la mancata esplicitazione dell'anafora prende, come abbiamo già visto, il nome di ellissi;
l'ellissi viene segnalata per sottolineare la presenza del legame anaforico con la porzione
precedente di testo, anche in assenza di elementi specifici di richiamo;
- caratteristica essenziale dell'anafora è il fatto che l'antecedente e le sue riprese si riferiscono
allo stesso individuo o alla stessa entità del mondo; tale identità di referenza prende il nome di
‘coreferenza’.
La linguistica del testo ha studiato e descritto i diversi tipi di ripresa anaforica che i
parlanti hanno a disposizione nelle lingue. In particolare per la lingua italiana i diversi tipi
individuati sono stati posti lungo una scala che va da un massimo ad un minimo di trasparenza
ed esplicitezza (fondamentale su questo tema Berretta 1990). Si potrebbe considerare

5
Si noti come nella linguistica del testo il termine ‘anafora’ venga usato per designare un fenomeno diverso
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massimamente esplicita e trasparente una ripresa anaforica del tipo esemplificato nel nostro
esempio un gatto grigio à il gatto, con la ripetizione pura e semplice dell'antecedente, cui si
accompagna però il cambio di articolo, dall'indeterminativo al determinativo. Vale la pena di
soffermarsi su quest'ultimo punto.
La considerazione testuale degli articoli consente di vedere quella che è la loro
principale funzione: segnalare se, a giudizio di chi parla o scrive, l'entità introdotta
dall'articolo sia nuova per il ricevente, oppure a lui già nota, conosciuta, in una parola, data.
Più in particolare, l'uso dell'articolo indeterminativo è un segnale di presunta novità: chi scrive
o dice ho visto un gatto grigio presume che il suo interlocutore non abbia mai sentito parlare
del 'gatto' in questione. Tuttavia, una volta introdotto nel testo, il 'gatto' diventa noto,
conosciuto: per continuare a parlare di lui bisognerà passare all'articolo determinativo, la cui
funzione dunque sarà quella di segnalare che il 'gatto' in questione è esattamente quello di
prima, lo stesso e non un altro.
Quella che abbiamo appena illustrato viene definita ‘funzione anaforica’ dell'articolo
determinativo, ed è tipica dei testi, non importa se scritti o orali, di una certa ampiezza. Tipica
invece delle situazioni legate al parlato conversazionale, con testi brevissimi che possono
essere costituiti da una sola frase o anche meno, è la cosiddetta ‘funzione deittica’ dell'articolo
determinativo, esemplificata negli esempi che seguono:
mi passeresti il sale per favore?
attenta al gatto
l'hai comprato poi il maglione?
in cui evidentemente parlante e destinatario condividono una certa situazione di vita, o
delle esperienze pregresse tali per cui le entità introdotte dall'articolo determinativo sono in
qualche misura note ad entrambi. Tuttavia anche in questi casi, come si vede, non viene meno
la funzione dell'articolo determinativo di segnalare entità date per note, per già conosciute dal
destinatario.
Molto trasparenti sono anche altre forme di ripresa anaforica di tipo lessicale,
esemplificate negli esempi che seguono:

(1) ....L'autista ci fece sobbalzare più volte con le sue brusche frenate. A un certo punto
la gente cominciò a protestare contro il conducente...

(2) Un fattorino ha bussato ieri alla porta di casa, e dopo essere entrato con la scusa di
avere un pacco da consegnarmi, si è seduto comodamente in poltrona ed ha cominciato a
chiacchierare senza minimamente accennare ad andarsene. Io ero piuttosto seccato e non
sapevo come liberarmi dell'intruso...

rispetto alla figura della retorica classica avente lo stesso nome.


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(3) ....Per distrarla, le diedi la bambola che mi ero procurata, sperando che si interessasse
al giocattolo e mi lasciasse lavorare ancora un po'...

(4) ....La vecchia nobildonna si appoggia ad un grosso bastone, che attira subito
l'attenzione del visitatore. L'oggetto è inconsueto...

in cui si utilizzano sinonimi (1) e sovraordinati (3-4), vale a dire parole dal significato più
ampio (giocattolo, oggetto), che ‘contengono’ i significati più specifici e ristretti di altre
parole (rispettivamente bambola e grosso bastone) che fanno da antecedenti. Addirittura per
oggetto si potrebbe parlare di ‘nome generale’, in quanto il suo significato è davvero molto
ampio e generico, e la parola in questione è infatti disponibile a designare una grande quantità
di elementi del mondo fisico (altri nomi generali sono cosa, individuo, fatto, faccenda,
questione, materia e così via). Più interessante è l'esempio (2), in cui tra fattorino ed intruso
si instaura un legame di coreferenza giustificato dallo specifico e particolarissimo contesto in
cui le due parole compaiono. Si può parlare al riguardo di ‘sinonimia testuale’.
Di tipo diverso, e forse più difficili da interpretare, sono le riprese anaforiche che
seguono:

(5) Carlo Azeglio Ciampi è intervenuto ieri all'apertura dell'anno giudiziario. Nel suo
breve intervento, il Presidente della Repubblica ha ricordato ai giudici presenti...

(6) La legge per il risanamento di Venezia è giunta in porto dopo un travagliato iter
parlamentare. Finalmente si potrà metter mano ai lavori di ripulitura dei canali, di cui la
città lagunare ha urgente e drammatico bisogno....

(7) Due anziani coniugi hanno tentato... di togliersi la vita con i barbiturici... All'origine
del gesto, la disperazione dell'uomo per le condizioni di salute della moglie...

In (5) e (6) le riprese sono costituite da ‘perifrasi’, che rimandano a conoscenze


enciclopediche che si suppongono condivise da parlante e destinatario. Ma se manca questa
condivisione le sequenze potrebbero risultare di difficile interpretazione: è una questione,
questa, che gli insegnanti non dovrebbero sottovalutare, perché il fraintendimento di
un'anafora potrebbe avere effetti disastrosi nella comprensione dei testi. In (7) la ripresa
anaforica costituita da gesto viene definita ‘incapsulatore’, perché la parola prescelta è una
specie di ‘capsula’ che riassume e racchiude una certa porzione di testo precedente. Anche
questo tipo di anafora non è di facilissima e immediata interpretazione.
Tutti i mezzi di ripresa anaforica visti fin qui sono di tipo lessicale. Meno esplicite in
generale sono le riprese di tipo grammaticale, tra cui sono messi al primo posto (perché più
trasparenti) i pronomi personali tonici (egli, esso, lui, ella, essa, lei, essi, esse, loro), i
dimostrativi, i numerali, gli indefiniti, i relativi.

(8) Ho iscritto mio figlio al liceo classico. Lui non voleva, ma alla fine si è arreso alle
mie ragioni...
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(9) Avevo comprato sia il pane che il burro, ma quello era vecchio di almeno due giorni,
questo era addirittura rancido

Meno trasparenti sono le riprese costituite da pronomi atoni (lo, la, gli, le, li, ne) e
dall'ellissi, in cui il soggetto pronominale viene sottinteso, e rimane, come unico segnalatore di
coreferenza, la marca di accordo col verbo:

(10) Ho comprato una macchina rossa: se vuoi vederla, Ø è parcheggiata dietro casa tua;
la riconoscerai subito perchè Ø non ha ancora la targa

Al limite estremo della scala di trasparenza è stata infine posta la 'anafora zero’, nei casi
in cui il verbo è in una forma indefinita (infinito, participio, gerundio), e dunque manchi anche
la marca del verbo flesso ad aiutarci nella individuazione del soggetto:

(12) Il commissario M. pensava di Ø tenersi sulle generali senza Ø scoprire le sue


carte...

Il nucleo centrale delle riflessioni condotte dai grammatici del testo sull'anafora e sulle
catene anaforiche è un principio funzionale di correlazione fra tipo di antecedente e tipo di
ripresa: quest’ultima può/deve essere tanto più esile, poco esplicita, poco trasparente, quanto
più l'antecedente è facilmente recuperabile, e viceversa deve diventare tanto più trasparente ed
esplicita, quanto più l'antecedente è difficile da recuperare nella porzione di testo precedente.
Per esempio in una situazione di massima continuità quali possono essere due frasi coordinate
con lo stesso soggetto, l'italiano, come molte altre lingue, rifiuta forme troppo esplicite di
ripresa anaforica, essendo sufficiente ad evitare fraintendimenti la forma più esile di anafora,
vale a dire la marca di accordo sul verbo. Infatti l'esempio che segue è agrammaticale:

*Maria si è appena svegliata e Maria/lei/la ragazza sta già fumando la sua prima
sigaretta

Questa sequenza contiene un eccesso di informazione, che l'italiano rifiuta. Viceversa


bisognerà richiamare con una ripresa ben esplicita e trasparente un antecedente difficile da
recuperare, perché troppo lontano nel testo, o perché in concorrenza con altri possibili
antecedenti. Ad esempio in:

Finalmente arrivarono mio padre e mio zio, accompagnati da un vigile urbano: peccato
però che io avevo già fatto senza di lui...
quale sarà l'antecedente di lui: mio padre, mio zio o un vigile urbano? In assenza di altre
indicazioni, la sequenza è da ritenersi inaccettabile6 .

6
E’ proprio la violazione di questo principio di trasparenza che crea il gustoso equivoco nel testo di ‘autore’ che
segue:
... dirò che è ben lungi dall'essere universalmente ammesso che Adamo con la sua colpa abbia trascinato nella
caduta il mondo animale. I più eminenti teologi contestano questo punto. E d'altronde, dato che non vi son dubbi
che non presero parte alla costruzione della torre di Babele, nulla vieta ch'essi si comprendano tra loro.
- I teologi?
9

Non è difficile vedere la valenza didattica di questa prospettiva, da cui possono ricavare
una serie di utili indicazioni sia la riflessione grammaticale scolastica sia le pratiche didattiche
legate alla ricezione e produzione di testi. Intanto, una considerazione attenta delle diverse
possibilità di ripresa anaforica dell'italiano consentirà all'insegnante di valutare e soppesare il
grado di difficoltà dei testi proposti alla lettura, relativamente a questo parametro. Ad esempio
uno dei motivi di difficoltà dei testi giornalistici sta proprio nel fatto che essi contengono
molte riprese costituite da perifrasi spesso assai poco trasparenti e anzi del tutto inaccessibili a
certe classi di età: richiamare gli uomini politici con perifrasi del tipo 'i referendari', oppure 'il
ministro verde', o 'il commissario europeo' può risultare di difficile interpretazione, se non si
possiedono le conoscenze pregresse che, uniche, sono in grado di chiarire tali perifrasi. Lo
stesso ragionamento si potrebbe ripetere per i sinonimi, quando siano particolarmente difficili
da decodificare, o per le capsule e per i sinonimi testuali, che richiedono una matura capacità
di lettura e inferenza dal testo delle informazioni pertinenti. E' inutile aggiungere che anche i
testi letterari che si propongono alla lettura degli allievi possono essere ricchi di riprese
lessicali dei tipi più elaborati, visto che lo scrittore esperto è sempre in grado di esercitare un
forte controllo sulle espressioni che usa. Non rimane che controllare l'effettiva comprensione
delle catene anaforiche, ed eventualmente addestrare gli allievi al riconoscimento del
meccanismo anaforico, per renderli coscienti del suo funzionamento.
Una riflessione esplicita su questi temi potrà avere ricadute benefiche anche sulla scelta
consapevole delle riprese più adatte al particolare contesto comunicativo e al registro usato.
Ad esempio, per quanto riguarda le riprese di tipo pronominale, la grammatica del testo e gli
studi sulle varietà che costituiscono il repertorio linguistico degli italiani (affronteremo questo
tema nel modulo successivo) ci dicono che appaiono in forte regresso le riprese costituite dai
pronomi personali tonici di III persona egli, esso, ella, essa, essi, esse, sostituiti, sia nello
scritto poco o mediamente sorvegliato sia soprattutto nel parlato, dalle forme lui, lei, loro
anche in posizione di soggetto. Ostinarsi in questi casi a pretendere sempre e solo l'uso della
prima serie di forme pronominali, rifiutando di accettare la seconda, significa negare
l'esistenza delle varietà della lingua e delle differenze tra i registri, e continuare a proporre
nella scuola un unico modello di lingua, scritto e formale (torneremo su questo tema nel
modulo 5).

- No, signore mio, gli animali (Raymond Queneau, I fiori blu, Einaudi, Torino 1984)
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4.2.2. Coerenza e significato


Anche in questo caso il titolo del paragrafo ci avverte che la ‘coerenza’ di un testo
riguarda il suo significato, o meglio le relazioni di significato che si instaurano tra le diverse
sequenze di cui il testo stesso si compone. Per dirla più semplicemente: ogni testo parla di un
qualche ‘oggetto’ (inteso in senso lato), sul quale, per essere un testo coerente, deve
continuare a mantenere una continuità di riferimento. Dunque non c’è testo che possa fare a
meno della coerenza, perché non c'è testo che possa rinunciare ad essere significativo, ad
avere cioè un contenuto, dal più semplice e breve (uno slogan, un proverbio) al più lungo e
complesso (la Divina Commedia, tanto per fare un esempio di tutto rispetto). Per dimostrare
che la coerenza di un testo non è un elemento accessorio, qualcosa di cui si possa fare a meno,
proviamo a ragionare sui due brani che seguono (gli esempi e parte dell’argomentazione sono
tratti da Lo Duca 1992; sugli stessi temi v. anche Simone 1990, 453-460).

Il comune di Milano ha chiuso un'ampia zona del centro al traffico privato. D'ora in poi
solo i mezzi pubblici ed i taxi potranno accedere ai monumenti, ai negozi ed ai numerosi
uffici del centro storico. I vigili avranno il loro da fare per far rispettare il
provvedimento, che comunque è stato accolto con favore dai cittadini.

Il comune di Milano ha chiuso un'ampia zona del centro al traffico privato. Il taxi non
arrivò in tempo alla stazione, sicché perdemmo il treno. Quando finalmente smise di
piovere, tutti gli automobilisti si precipitarono in strada, intasando il centro in modo
indescrivibile. E' stato indetto un concorso per 40 nuovi posti di vigile urbano.

Ad una lettura superficiale potrebbe sembrare che i due brani trattino grosso modo degli
stessi temi: in entrambi si parla del traffico in città, di taxi, di vigili urbani. Ma mentre il
primo testo è coerente, dal momento che è costruito intorno ad un tema unitario, il quale
fornisce appunto l'occasione della comunicazione, il secondo si presenta piuttosto come un
insieme di frasi indipendenti le une dalle altre, casualmente disposte in un certo ordine
sequenziale. Potremmo cambiare quest'ordine, il risultato sarebbe identico: non riusciremmo a
ricavare un senso unitario da questa serie di frasi. Le quali peraltro sono tutte perfettamente
ben costruite, ognuna di esse rispetta le regole della grammatica italiana, mentre le parole
utilizzate sono legate da rapporti di solidarietà semantica, anzi, nel primo come nel secondo
brano, sembrano appartenere ad una stessa area semantica: che cos'è dunque, oltre alla
grammatica, che determina la coerenza (o la mancata coerenza) di un testo?
Per rispondere alla domanda dobbiamo introdurre il concetto di ‘enciclopedia’. Negli
studi di settore si intende per enciclopedia una sorta di 'deposito di conoscenze' che ciascun
parlante accumula e parzialmente rinnova nel corso della sua vita. Tali conoscenze operano
continuamente, e ad esempio forniscono ai più semplici enunciati lo sfondo nel quale essi
devono essere collocati per poter essere capiti e interpretati. Se qualcuno ci dicesse: “l'estate
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prossima andrò al mare, sono stufo della montagna” noi non avremmo alcuna difficoltà ad
interpretare il suo messaggio, il quale risulta perfettamente ben costruito sul piano
grammaticale, coerente e significativo sul piano semantico. Tuttavia non è del tutto esplicito.
Contiene anzi una serie di 'buchi' informativi che vengono ricostruiti solo grazie alla comune
enciclopedia. Queste lacune potrebbero essere tradotte in linguaggio più o meno in questi
termini: d'estate, normalmente, si gode di un periodo di riposo dal lavoro; in tale periodo in
genere si va in vacanza; tradizionalmente almeno parte della vacanza si trascorre in una
località di mare o di montagna; il nostro amico deve essere andato in montagna parecchi
anni di seguito, e adesso vuole cambiare destinazione. E’ questo bagaglio comune,
preesistente al messaggio e da esso indipendente, che ci dà le chiavi per accedere, senza
fraintendimenti, alle informazioni pertinenti, a quelle informazioni cioè che ci consentono di
interpretare correttamente il messaggio in questione.
Se torniamo adesso ai nostri due brani iniziali, ci accorgeremo immediatamente che
mentre il primo si adatta bene a certi pacchetti di conoscenze ed alle aspettative normalmente
presenti in comuni parlanti (la chiusura progressiva dei centri storici delle grandi città al
traffico è un tema ampiamente presente e dibattuto nella nostra cultura); il secondo non ha
alcun addentellato di questo tipo, dal momento che richiama temi disparati di cui non si vede
la connessione. La sua mancata coerenza nasce dunque probabilmente dal fatto che è privo,
nel suo insieme, degli indispensabili supporti esperienziali. Dunque è la comune enciclopedia
che ci dà la chiave per interpretare come 'coerente' un testo. E la ragione di ciò è dovuta al
fatto che le nostre conoscenze (in senso lato, si intende) sono organizzate nella nostra mente
secondo degli schemi ricorrenti, che qualcuno con una bella metafora ha chiamato ‘copioni’.
Sono queste reti di conoscenze, i molti copioni immagazzinati nella nostra mente, che ci
aiutano nella decodifica anche del più semplice dei testi, e che vengono attivati positivamente
da un testo coerente. Un testo incoerente, al contrario, non troverà alcuna rete cui agganciarsi
e rapportarsi, non sarà dunque in alcun modo informativo: in una parola, non ci dirà niente.
Capire un testo vuol dire allora, tra le altre cose, anche attivare nella propria testa il
copione, o i copioni di riferimento relativi, e saper ricavare le molte informazioni che un testo
lascia implicite. Quest’ultima è già una bella scommessa per l’insegnante di italiano, e
costituisce una delle più interessanti piste di lavoro che non solo la linguistica del testo, ma
anche la pragmatica suggeriscono alla didattica dell’italiano (una interessante panoramica di
queste possibilità si trova in Sbisà 1999). Nello stesso modo produrre un testo vuol dire
attivare nella testa dei nostri interlocutori dei copioni supposti noti e innestare le nuove
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informazioni su (presunte) reti di conoscenze preesistenti, lasciando nell’implicito, nel non


detto, solo ciò che si ritiene possa essere ricostruito senza difficoltà.

4.2.3. Tipologie testuali


Un campo di studi particolarmente proficuo per la didattica dell’italiano è la cosiddetta
tipologia testuale, che è quel ramo della linguistica del testo che persegue il tentativo di
individuare, secondo criteri definiti, una tassonomia, una classificazione dei diversi tipi di
testo generalmente prodotti dai parlanti nelle concrete situazioni comunicative. Per esempio
per quanto riguarda lo sviluppo dell’abilità di scrittura, l’idea che ha dominato l’educazione
linguistica in questi ultimi anni è stata che nella scuola

si dovrebbero praticare diversi generi testuali, così da garantire la differenziazione delle


attività di scrittura e un raccordo realistico con quanto avviene nell’universo
comunicativo (Della Casa 1994, 73)

A seconda però del criterio o dei criteri adottati per la classificazione, sono state
proposte da autori diversi tassonomie diverse.

Dal momento che un testo rappresenta un evento comunicativo complesso costituito da


più fattori (forma, contenuti, funzioni, partecipanti, canale di trasmissione, ecc.), i criteri
in base ai quali costruire una tipologia possono essere di varia natura: di qui la varietà
delle classificazioni prospettate (ivi)

Non ci addentreremo nella presentazione delle varie tipologie proposte, né nelle


discussioni che ne sono seguite. Ci limiteremo solo a ricordare come le due tipologie che
hanno avuto più largo seguito tra gli insegnanti sono state quelle proposte da de Beaugrande-
Dressler (1984) e da Werlich (1976): entrambe distinguono i testi in base alla funzione (qual è
lo scopo del testo?, criterio pragmatico; qual è l’atteggiamento del produttore del testo nei
confronti di ciò di cui parla o scrive?, criterio cognitivo) e in base al soggetto di cui trattano, e
conseguentemente al modo in cui ne trattano (qual è il contenuto del testo?, criterio
semantico; come è organizzato linguisticamente il testo?, criterio grammaticale). Sulla base di
questi criteri de Beaugrande e Dressler individuano un tipologia tripartita: testi descrittivi,
narrativi e argomentativi; a questi tre tipi Werlich aggiunge il tipo espositivo e il tipo
regolativo.
Questi sarebbero dunque i tipi testuali di base “intesi come schemi o modelli generali di
elaborazione linguistica dell’esperienza” (Della Casa 1994, 82), propri dell’essere umano a
qualunque latitudine o civiltà appartenga. Di tali tipi sono state descritte le caratteristiche
generali quali, nelle diverse lingue studiate, l’organizzazione del contenuto o le particolari
convenzioni morfo-sintattiche e lessicali. Tali tipi generali si sono poi concretamente
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strutturati in forme o generi testuali definiti, che si adattano secondo certe convenzioni alle
molteplici esigenze comunicative delle diverse società. Infatti la tipologia dei generi può
cambiare, e di fatto è cambiata e continua a cambiare, nel tempo e nello spazio. Ad esempio il
tipo narrativo si realizza in una molteplicità di generi, più o meno praticati nelle diverse
epoche della nostra storia: dall’articolo di cronaca alla barzelletta, dalla biografia alla favola,
dal notiziario radiofonico o televisivo al poema epico, dal romanzo al manuale di storia. A sua
volta, ogni genere si articola in sottogeneri, differenziati per contenuto o per mezzo di
trasmissione: ad esempio il genere ‘lettera’ si articola in lettera d’amore, lettera commerciale,
lettera familiare, lettera elettronica (o e-mail) e così via; il genere romanzo in romanzo di
formazione, romanzo di fantascienza, romanzo storico, giallo e così via.
Anche in questo caso, tuttavia, non è poi così importante per l’insegnante di italiano
conoscere la tassonomia scientificamente più fondata, o più aggiornata, o più esaustiva. Come
scrive Bice Mortara Garavelli, tutte le tipologie dei testi corrono il rischio di sfiancarsi

nei tentativi di trovare nicchie e caselle per il maggior numero possibile di individui,
dopo averne definiti puntigliosamente sia i caratteri comuni in base ai quali raggrupparli
in classi, sia i tratti specifici che consentono di distinguere le une dalle altre le classi e
all’interno di ognuna le suddivisioni, fino alle «classi terminali», per cui sembra
impossibile adottare il «numero chiuso»; e anche tenendo aperte le serie, addirittura
moltiplicandole con liberalizzazioni selvagge, si lascia fuori sempre qualcosa, e
qualcosa di molto interessante (Mortara Garavelli 1991, 17).

In più bisogna tener conto che i testi reali non si lasciano incasellare tanto facilmente, e
che le zone di intersezione tra i diversi generi sono tali da far definire molti testi reali ‘testi
misti’ (Dardano 1994), testi cioè che contengono al loro interno frammenti tipologicamente
‘anomali’, vale a dire non in sintonia con l’impianto generale del testo stesso.
Tuttavia, nonostante le difficoltà, il filone tipologico della linguistica del testo si è
rivelato molto produttivo nell’educazione linguistica, imponendosi con sempre maggiore
forza la pratica di innestare lo sviluppo delle abilità sui tipi e sui generi di testo descritti dalla
letteratura testuale: insegnare a leggere o a scrivere, a parlare o ad ascoltare significa oggi
addestrare a produrre o a capire certi particolari prodotti linguistici che chiamiamo testi, così
come si sono storicamente strutturati, selezionandoli sulla base della loro frequenza e pratica
utilità, oltre che sull’età, e quindi sui bisogni comunicativi degli allievi nelle loro diverse fasi
di maturazione linguistica, sociale e cognitiva. E infatti non c’è oggi ricerca sullo sviluppo
delle ‘abilità’ che pensi di poter fare a meno di misurarsi con i tipi e i generi testuali.
Esemplari in questo senso ci paiono due monografie quali Lavinio 1990 e Della Casa 1994,
entrambe interessate a suggerire percorsi didattici diversificati su particolari tipi e ben definiti
generi testuali. Soprattutto la didattica della scrittura ha tratto grande giovamento dallo
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sviluppo della tematica tipologica. Come scrive Michele Cortelazzo, presentando il primo
volume degli atti di un convegno GISCEL dedicato alla scrittura,

risulta necessario pensare ai testi scritti, o da scrivere, non come ad un complesso


indifferenziato, ma come ad un complesso organizzato in classi; c’è quindi la necessità
di richiamarsi ad una tipologia dei testi e di acquisire (e far acquisire ai ragazzi) la
consapevolezza che i diversi tipi di testo implicano modi diversi di pianificazione e di
organizzazione testuale (Cortelazzo 1991, 4).

Il lavoro fatto in questi anni su questi temi è dunque soprattutto consistito


nell’individuare dei percorsi didattici finalizzati all’acquisizione non già di astratte e
generiche abilità di scrittura, ma di tecniche differenziate e strategie mirate ai diversi tipi di
scrittura (descrittiva, narrativa, argomentativa ecc.), e ai diversi generi in cui tali tipi si sono
concretamente realizzati. La letteratura in questo campo è diventata davvero imponente, e le
citazioni dovrebbero essere talmente numerose che preferiamo rimandare senz’altro alle
indicazioni bibliografiche contenute in proposito in Ferreri-Guerriero 1998, 97-120, cui
aggiungiamo soltanto Pallotti 1999.
Chiudiamo qui queste brevi note sulle tipologie testuali, non senza aver ricordato ai
futuri insegnanti di italiano che la tematica tipologica, dopo aver ‘conquistato’ i programmi
ministeriali (del 1979, del 1985, le proposte della commissione Brocca per il biennio
superiore), ha finito col dare uno scossone (quanto definitivo?) al tema di italiano, che per
decisione ministeriale è stato parzialmente sostituito da due forme testuali particolari, il
‘saggio breve’ e l’ ‘articolo di giornale’, negli esami scritti della ‘nuova’ maturità7 . Si chiude
così (ma si chiude davvero?) un capitolo di storia dell’educazione linguistica, quello relativo
al tema di italiano, iniziato anch’esso negli anni ’70 con la denuncia di Tullio De Mauro
(1977)8 , e proseguito con alterne vicende fino ai giorni nostri.

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La legge che regolamenta il nuovo esame di stato (n. 425/97, decreto ministeriale n. 389 in data 18 settembre
1998) recita all’articolo 1, comma 2: “Il candidato deve realizzare, a propria scelta, uno dei seguenti tipi di
elaborati… A – analisi e commento, anche arricchito da note personali, di un testo letterario o non letterario, in
prosa o in poesia… B – sviluppo di un argomento scelto dal candidato tra quelli proposti all’interno di grandi
ambiti di riferimento storico-politico, socio-economico, artistico-letterario, tecnico-scientifico. L’argomento può
essere svolto in una forma scelta dal candidato tra modelli di scrittura diversi: saggio breve, relazione, articolo di
giornale, intervista, lettera…”. L’articolo prosegue indicando come immediatamente praticabili le due forme del
saggio breve e dell’articolo di giornale, e salvando comunque il tema storico e il tema di attualità.
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Che fare del tema d’italiano?, si chiedeva in quella sede il linguista (l’articolo, datato 1973, è qui citato nella
raccolta del 1977). E ricordava come il dibattito sulla utilità didattica del tema di italiano risalisse almeno agli
anni 1908-1910, quando sulla «Rivista pedagogica italiana» si affrontarono posizioni diverse. Si ritornò poi a
discutere del tema nei primi anni ’50, per iniziativa del gruppo de ‘il Mulino’. Ma, notava De Mauro, le opinioni
dei dotti non hanno sortito alcun effetto, e infatti “nella nostra scuola il tema continua a imperversare” (De
Mauro 1977, 67).
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Esercizi

1. La sequenza che segue si può definire un testo (analizzi la sequenza sul piano della
coerenza)?

Arrivammo alla stazione trafelati. La nostra macchina era rimasta intrappolata nel traffico, ed
anche trovare un parcheggio era stato difficile. Avevamo con noi quattro valigie pesantissime,
e correre in quelle condizioni era tutt'altro che facile. In più, non avevamo il biglietto. Ci
dirigemmo agli sportelli, ma dappertutto c'erano file lunghissime: nessuna speranza di arrivare
in tempo, visto che mancavano solo cinque minuti alla partenza del treno. Così, quando
l'altoparlante annunciò l'arrivo del treno, ci avviammo senza esitazione verso il binario,
rassegnati a pagare la multa in treno.

SI’ NO
2. Perché? (4-5 righe)

3. Quali sono le informazioni implicite contenute nel testo, i copioni attivati?

4. Come spiega l’uso dell’articolo determinativo nelle sequenze che seguono, tratte dal testo
precedente?

… In più, non avevamo il biglietto. Ci dirigemmo agli sportelli… mancavano solo cinque minuti
alla partenza del treno … quando l'altoparlante annunciò l'arrivo del treno, ci avviammo senza
esitazione verso il binario, rassegnati a pagare la multa in treno.

5. Nel modello testuale l'anafora è (segnali il completamento esatto):


A. un meccanismo relazionale fra due o più elementi sequenziali legati da un rapporto di
coreferenza
B. l'elemento che introduce per la prima volta nel testo una 'entità' del mondo
C. l'elemento che richiama e riprende l'antecedente
D. l'elemento omesso in una catena anaforica

6. Che cosa definiscono le altre tre possibilità date come risposte (errate) nella
domanda precedente?
- la risposta … definisce ……….
- la risposta … definisce ………..
- la risposta …. definisce ………..

7. Nel brano che segue individui l'antecedente delle riprese anaforiche sottolineate, e
definisca il tipo di ripresa di volta in volta utilizzata:

Giovanni Boccaccio nacque a Firenze nel 1313 da una famiglia di mercanti... Lo scrittore fiorentino
compose il 'Decamerone', raccolta di cento novelle. L'opera è considerata uno dei massimi
capolavori della letteratura italiana
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L'antecedente di lo scrittore fiorentino è: …………………….…………


Come ripresa anaforica lo scrittore fiorentino è: ……………………….
L'antecedente di l'opera è: ……………………………………………..
Come ripresa anaforica l'opera è: …………………………..…………..

8. Nel frammento d’autore riportato alla nota 6 del testo da cosa è determinato l’equivoco in
cui cade l’interlocutore che chiede: i teologi? (due righe)

9. Che cos’è una tipologia testuale? (due righe)

10. Condivide la seguente affermazione: il ‘tipo testuale’ è una entità astratta; il ‘genere
testuale’ è una entità concreta?

SI’ NO

11. Perché? (3-4 righe)

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