Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
978-88-58-61486-0
In copertina:
Fotografi e di Riccardo Marcialis (copertina)
e Studio Cappelli (aletta)
Progetto grafico di Hana Nakamura per Mucca Design
www.rizzoli.eu
La musica a tavola
Sono stonato come una campana e timido come un riccio, ma a volte
mi piacerebbe poter scrivere una canzone per trasmettere le mie
emozioni, e la musica mi sembra il modo più facile per farlo.
Quando ascolto una canzone che mi piace o un pezzo nuovo di un
cantante che conosco, e che fin dal primo ascolto riesce a regalarmi
qualcosa, sento vibrarmi dentro emozioni intense, come se mi stesse
raccontando qualcosa di sé.
Non mi dispiacerebbe, un giorno, provare a calarmi nei panni di
un cantante: «dare» attraverso le note e le parole deve essere molto
appagante perché si riceve in cambio una risposta quasi istintiva.
Nella musica il «passaggio» di sensazioni è più immediato. Posso
solo lontanamente immaginare cosa significhi salire su un palco e
trovarsi di fronte centinaia di persone, che aspettano di cantare,
ballare, ridere, e magari versare qualche lacrima ascoltandoti,
accogliendo quello che ti è venuto da dentro nel momento in cui hai
composto quel pezzo.
Sul palco ci sono salito anch’io qualche volta ma per parlare di me
e del mio modo di intendere la cucina. Non senza qualche difficoltà,
naturalmente, perché di base sono timido e appena apro bocca
comincio già a cercare nella mia testa la frase giusta da dire subito
dopo, rischiando spesso di fare un tale casino da far cambiare idea a
chi mi ha invitato a parlare in pubblico. Poi, però, quando mi lascio
andare, allora passa tutto e dimentico la mia timidezza.
Il fatto è che presentarsi su un palco per parlare di cucina non è
esattamente come cantare una canzone, perché questa fa presa sulla
parte emotiva più intima di chi ascolta. Qualcuno mi dice che prova
un’esperienza simile quando mangia al D’O. Con mia grande – e
immagino malcelata – gioia mi sono sentito dire che quel piatto
aveva qualcosa di speciale, che era arrivato a toccare corde e sensi
che il mio interlocutore non pensava di avere. Sinceramente mi
sembra un’esagerazione, ma altrettanto sinceramente devo
ammettere che ogni volta che mi capitano episodi del genere, ne
esco lusingato. Sento che il mio ego di cuoco che aspetta il verdetto
si fa un po’ più muscoloso e sorridente. Forse è la stessa sensazione –
sebbene in forma meno eclatante – che prova un cantante davanti
agli applausi del pubblico, anche se so che il paragone non regge.
Sono dunque un appassionato di musica, la ascolto ogniqualvolta
mi è possibile e, tanto per fare un esempio, mi piacciono i testi delle
canzoni di Ligabue. Appena posso vado a sentire i suoi concerti e
l’ho anche conosciuto di persona. È un artista sensibile e
intelligente, con cui sono riuscito a scambiare opinioni sulla vita e a
esprimergli tutta la mia stima. Ora che posso dire di conoscerlo,
anche se solo un po’, sono sempre più convinto che avevo visto
giusto quando, ascoltando i suoi brani, avevo la netta sensazione
che avessimo vissuto e stessimo ancora vivendo un percorso simile,
che avessimo lo stesso modo di intendere la vita.
L’ho incontrato la prima volta verso la fine del 2006, quando
venne a trovarmi al D’O con il suo manager e amico Claudio Maioli.
Con quest’ultimo avevo già avuto modo di parlare al telefono, per
chiedergli il permesso di citare alcune frasi tratte dalle canzoni
dell’artista. Grazie alla cortesia e alla spontaneità di Claudio, non
solo ho potuto citare Ligabue in alcuni miei scritti ma l’ho anche
ospitato «a casa mia». Luciano non è certo uno che se la tira, ma
quando l’ho visto entrare al D’O ho avuto qualche secondo di
impasse. Tanto che il buon Maioli mi ha guardato sorridendo e mi
ha detto: «Davide! Sapevo della tua stima per Luciano ma sono dieci
secondi che stai fermo qui immobile…» Dopo questa frase le mie
gambe hanno ripreso a funzionare e mi sono presentato. Quella con
Ligabue è una bella conoscenza, un rispetto reciproco, direi.
Con tutta la buona volontà, però, non credo che Luciano, cenando
al D’O, abbia «provato» quello che provo io durante i suoi concerti (e
non solo i suoi). Le canzoni, la musica, le parole in genere fanno
breccia prima, mentre le mie «melodie» sono diverse; se ti distrai
mentre gusti una pietanza, è difficile percepire le tue emozioni, ma
una canzone no, quella la puoi ascoltare anche distratto da altre
cose, ti colpisce comunque nel profondo.
Un altro aspetto importante di questa «assonanza» di stile di vita
tra me e Ligabue è il suo approccio con le storie del quotidiano e la
sua storia, un esempio che porto spesso ai miei compagni di squadra
quando facciamo i nostri incontri. Capita almeno una volta a
settimana, al D’O. In sostanza, ciò che dico ai ragazzi è che tutte le
canzoni (alcune più commerciali, altre meno immediate ma pur
sempre orecchiabili) hanno un senso, un loro profondo motivo di
esistere proprio in quella forma, con quella metrica, melodia e
armonia che accompagnano i testi.
I miei ragazzi sono giovani e senza dubbio vicini allo stile di
Ligabue; «sentono», pur senza comprenderne la ragione, che tutto
ciò che egli fa ha un senso, e anche chi non lo considera il migliore
in assoluto ne conosce la maggior parte delle canzoni, perché queste
hanno qualcosa da dire a tutti. Ecco, la stessa cosa vorrei uscisse
dalla nostra cucina. Dal mio punto di vista al D’O non esistono piatti
«sbagliati». Certo, se non piace la farina di castagne è meglio non
ordinare gli gnocchi di castagne, ma ci sono certamente altri piatti
che possono sopperire a questa diversità di gusto, esattamente come
per le canzoni di Ligabue. Alcune possono non piacere per la
melodia, ma ce ne saranno sicuramente altre che piacciono molto,
perché dietro quei brani si indovina una forte identità, esattamente
come dietro la nostra cucina: questa è e deve rimanere la nostra
forza, la spinta a creare piatti sensati. Come per un grande
cantante, l’obiettivo del mio lavoro è far stare bene gli altri, e perciò
il mio modo di cucinare deve avere un senso compiuto. Per arrivarci
sono necessari anni di preparazione, esperienza sul campo e
sacrifici. Ligabue ha raggiunto la fama a trent’anni, dopo la dura
scuola della gavetta, ben diversamente da quei «fenomeni» che
toccano il culmine a vent’anni (gente di spettacolo e non), senza
avere un briciolo di esperienza alle spalle, e se ne tornano nel
semianonimato dopo pochissimo tempo perché dietro e sotto non c’è
niente, non hanno formato una struttura che li sostenga.
Per non avere brutte sorprese, dunque, non solo è necessario farsi
le ossa sul campo e partire dalla base esplorando gradino per
gradino, con la fatica e le piccole gioie quotidiane che questo
comporta, ma bisogna anche credere in un’idea fino in fondo. In
altre parole, se si è convinti di voler arrivare in un dato punto e non
si smette mai di crederlo, nemmeno per un istante, allora sarà più
facile arrivarci. Secondo me, sempre per restare sullo stesso tema,
Ligabue era famoso già prima di diventarlo, perché dentro di sé
sapeva di esserlo. Semmai sono stati gli altri a non essersi accorti di
lui fin dall’inizio.
Nel mio caso, nel caso dei ristoranti e dei cuochi in generale, non
si tratta di ambire a diventare famosi ma di condividere con gli altri
quello che si fa. Se «altri» significa un numero sempre più ampio di
persone, e se questo implica «essere famosi», allora mi adeguo, ma
non è ciò che davvero conta per me. La ricerca della condivisione è
sempre stata tra i miei obiettivi ancora prima che mi chiamassero
per intervistarmi almeno una volta al giorno. Ecco perché anch’io,
per «assonanza», posso sostenere che ero famoso fin dall’inizio,
avendo deciso già da tempo che il mio obiettivo sarebbe stato quello
di condividere ciò che conoscevo con quante più persone possibili.
Come per il cantante, il cuoco è un artigiano, e in quanto tale può
cominciare ad affinarsi solo a partire dai trent’anni; prima di questo
tempo bisogna assorbire, imparare, osservare, praticare e, di
conseguenza, anche sbagliare perché sempre di «lavoro di bottega»
si tratta. E i maestri, si sa, lasciano la bottega in mano all’allievo
solo quando lo reputano pronto a camminare da solo. Prima di
arrivarci devono trascorrere anni. Se alla fine di questo tempo
sopraggiunge il «successo», la notorietà, la popolarità, allora vuol
dire che la pratica è stata svolta bene e gli insegnamenti ben
assimilati.
Forse alcuni penseranno che il paragone tra me e Ligabue non
regge, eppure quando noi squadra del ristorante ci mettiamo
insieme per creare una nuova ricetta o per rivisitarne una che
vogliamo tenere in carta, il nostro intento è cercare di comunicare
qualcosa che possa andare oltre il senso del gusto e magari
dell’olfatto. C’è sempre un po’ di storia personale nelle ricette create
dal cuoco, un po’ della sua vita, delle emozioni vissute in quel
momento, ma temo che le canzoni parlino al cuore più di qualunque
pietanza, per quanto succulenta. Adoro il mio mestiere,
intendiamoci, ma l’emozione di una canzone fa vibrare ogni cellula
del nostro corpo.
Solo per questo vorrei essere un cantante, non fare il cantante.
Perché per questo genere di professione o si nasce con il talento
oppure meglio darsi ad altro.
11
Una brioche «apparecchiata»
Non mi piace predicare una cosa e farne un’altra, non sono il tipo
che si erge a paladino della cucina leggera e digeribile e poi, di
nascosto a casa, si dà alla pazza gioia con intingoli, grassi e
zuccheri. Tuttavia, quando entra in gioco la sfida o la golosità, è
dura mordere il freno e non lasciarsi tentare. Capita anche a me di
farmi invogliare dalla vetrina di un panificio che espone pani, pizze,
focacce e ogni bendiddio. Come se non bastasse, a volte mi
chiamano per dare il meglio di me proprio con pani di varia natura.
Messo davanti a una sfida, poi, è difficile che mi tiri indietro,
anche se questa sfida ha come protagonista un alimento molto
popolare di suo, in cui sembrerebbe non esserci nulla di nuovo da
apportare. Mi riferisco a quella intrapresa nell’estate del 2008,
quando insieme ad altri quattro noti cuochi italiani sono stato
chiamato da una grande azienda produttrice di salumi a «inventare
un panino d’autore» (così lo hanno definito) che, oltre al pane,
avesse come ingrediente base il prosciutto cotto italiano. Lo
ammetto, ho titubato prima di accettare. Era una sfida, e non mi
sarei mai sottratto visto che mi avevano interpellato proprio per
quello che sapevo fare: cucinare e nutrire (e nutrirmi) pop. Era la
«questione panino» che mi metteva un po’ in crisi. Cos’altro potevo
fare che quei due prodotti messi insieme già non esprimessero
appieno così, da soli? Sarei riuscito a rendere leggero e facilmente
digeribile un alimento che è da sempre come il fumo negli occhi per
tutti i nutrizionisti col pallino delle diete e della cucina sana,
ferventi oppositori del panino? Sì, era una bella sfida, mi sono
detto. E ho accettato.
L’ho chiamato D’O di prosciutto cotto italiano e nel «costruirlo» ho
cercato di mantenere ben saldi i concetti che animano il mio modo
di cucinare, ovvero l’armonia dei contrasti e la facile assimilabilità
degli ingredienti. Volevo che fosse un panino leggero e gustoso,
quindi ho abbinato il prosciutto cotto alla sfoglia d’uovo – non una
frittata vera e propria perché la proporzione contenuta nella sfoglia
albume-tuorlo è di 3/4 per il primo e 1/4 per il secondo – al posto di
salse grasse e poco digeribili. La stessa cosa ho pensato optando per
l’olio d’oliva al posto del burro per condire le due fette di pane, e la
farina di cereali per l’impasto del panino stesso, in modo tale che
risultasse più croccante, grazie anche all’aggiunta di semi di
girasole. E così è stato: il D’O di prosciutto cotto italiano esprime tutta
la sua croccantezza nell’istante stesso in cui lo si addenta per poi
passare immediatamente attraverso la morbidezza sia della mollica
che degli spinaci sbianchiti (appena scottati in acqua bollente). Poi,
proprio per non smentire la mia identità culinaria, ho aggiunto
fettine sottilissime di barbabietola rossa e un poco di chutney di
frutta (composto agrodolce a base di frutta arricchito con spezie). In
pratica, ho tentato di raccogliere in un panino ciò che normalmente
è l’obiettivo del D’O: i contrasti armonici, la leggerezza, il gusto, la
facile reperibilità degli ingredienti e il costo abbordabile.
Personalmente, assaggiandolo, ne ho ricevuto soddisfazione per quel
suo esprimersi in tutta la sua popolarità.
La verità è che anch’io faccio parte di quella categoria di persone
a cui il panino piace, assieme a tutto ciò che è pasta, impasto,
frumento, per non parlare della pizza. Mi piace quella fatta alla
napoletana, col cornicione alto e croccante e l’interno morbido con
la mozzarella che fila. La classica margherita, insomma, ma quella
vera, fatta bene. Niente di più popolare. A parte la cornice alta e
croccante e la mozzarella filante, il disco deve essere più piccolo
rispetto a quello che si trova normalmente in giro fuori dal circuito
alla napoletana. Il che non è automaticamente sinonimo di meno
impasto, meno mozzarella, meno pomodoro e via dicendo, anzi, la
pizza fatta così è ancora più gustosa. Se la base infatti è più alta,
significa che la circonferenza è più ridotta, e una circonferenza più
piccola significa riuscire a terminare la pizza quando è ancora calda.
Quando invece si stende una base molto sottile e larga, non si fa in
tempo a consumarne metà che l’altra è già fredda – pasta,
condimento e mozzarella – che a quel punto diventa gommosa e
immasticabile.
Ebbene sì, sono un goloso, ma solo di questo genere di cibi e di un
altro alimento altamente sconsigliato da tutti i nutrizionisti (se non
«assunto» a piccole dosi e come sostituto di un pasto): il gelato. Se i
dolci in genere mi danno una gioia che non so spiegare a parole, il
gelato li batte tutti. Sono capace di farne fuori un chilo tutto da
solo…
Tutto questo per dire che le «deviazioni» sono parte di me e della
mia esperienza di vita, mi assomigliano e sono la contraddizione
obbligatoria insita in ciascuno di noi. Non vorrei la si leggesse come
un’attenuante o, peggio, come una sorta outing del cuoco che in
pubblico si erge a difensore della leggerezza e della digeribilità e
nemico giurato dei grassi e poi in privato, un po’ come Anton Ego, il
critico cattivo di Ratatouille, chiuso in un antro segreto, gode di
nascosto di tutte le possibili «schifezze» mangerecce.
Anche perché, a ben guardare, è vero che parlo e pratico
«deviazioni» culinarie, ma è anche indiscutibile che queste stesse
deviazioni vantino pur sempre le fondamenta solide e inattaccabili
di una base assolutamente classique.
15
Ho in testa anche il pallone
Se la seconda parte della mia tavola pop sarà un po’ più concisa, è
solo perché in questo caso, più che di filosofia si parla di pratica
vera e propria. E c’è poco da fare giri di parole, le cose
fondamentali da sapere sia in fase di acquisto sia di cottura sono
quelle e da lì non si scappa.
Le stagioni, gli acquisti, i prezzi, il risparmio e le buone ricette.
Tutto parte, anche in questo caso, dall’osservazione.
È importante osservare come, al contrario di quanto ci venga in
qualche modo «imposto» attraverso spot, promozioni e fantastici
banchi al supermercato o nei mega centri commerciali, le stagioni –
nel bene e nel male – continuino la loro strada nel cambiamento e
nel susseguirsi inflessibili. Tutto ciò ha un significato, che si
ripercuote (o meglio dovrebbe ripercuotersi) sul nostro stile di vita
in generale e, più nello specifico, sulla nostra alimentazione.
Nutrirsi di fragole in inverno è un non-senso dettato dalla stessa
legge del regalo all’innamorata per San Valentino: quella del Macro-
Business.
Il nostro organismo, i nostri desideri vanno con le stagioni e, se ci
ascoltiamo bene, in inverno abbiamo desiderio di cibo più nutriente,
che scaldi il nostro organismo.
Le nostre nonne lo sapevano e anche mia madre lo sapeva bene.
Ed è per questo – e con questo atteggiamento – che sono cresciuto
con in testa il pensiero costante, o meglio, la certezza che è
importante assecondare il corso delle stagioni. In primo luogo per
garantirci un notevole risparmio sui costi di gestione familiari e
secondo, ma non meno rilevante, se un carciofo a metà marzo,
aprile, maggio non lo trovo, una ragione ci sarà. La natura sa
meglio di noi che in questi mesi il nostro organismo richiede, per
esempio, asparagi, piselli, cipollotti e via di questo passo.
Ancora una volta, quindi, osservare con attenzione le «mosse» di
mamma Luigia in cucina e al mercato mi ha dato una sorta di via da
seguire dalla quale, per fortuna, nessuno dei miei maestri si è in
fondo mai discostato.
Lo zoccolo duro di una buona cucina (anche a casa) è questo. Il
resto arriva dalla fantasia e dal buon gusto personale. Ma guai a
dimenticare che le stagioni sono lì per far solo del gran bene a noi e
alle nostre tasche.
Senza contare che il gusto ha davvero una parte rilevante in tutto
questo. Un carciofo di novembre non avrà mai lo stesso sapore di un
carciofo d’aprile. Nella seconda ipotesi l’energia vitale stessa del
carciofo sarà sminuita con tutto ciò che ne consegue non solo per gli
effetti benefici (per esempio quello depurativo per il fegato) ma
anche per il nostro palato che, in questo caso, sentirà necessità di un
po’ più di sale, un po’ più di aglio, un po’ più di grassi e condimenti
vari, perché il carciofo saprà pressoché di acqua.
Anche io ho e da bambino ho avuto i miei gusti. Alcuni cibi mi
piacevano molto, altri decisamente meno, altri per nulla. Ma dovevo
sempre seguire il cambiamento naturale delle stagioni. Mi era
consentito, per esempio, scartare i legumi dal minestrone d’inverno,
ma solo perché proprio non mi andavano giù. E per fortuna con il
tempo ho cambiato idea.
Verso la fine dell’estate, invece, non c’era verso che lasciassi
traccia di alcunché nel piatto degli gnocchi al pomodoro, fresco
naturalmente. Gli gnocchi erano fatti in casa e il sugo di pomodoro
rigorosamente ricavato dai frutti rossi e polposi di stagione. Luigia
era ed è un’artista con gli gnocchi (e non solo, per la verità): riesce a
renderli gommosi al punto giusto, mai troppo morbidi, altrimenti si
rischia che si sciolgano in pentola nel giro di un paio di secondi, ma
nemmeno troppo duri (gnucchi, diremmo a casa mia), come accade
con quelli che magari compri già pronti e imbustati e per mantenerli
a lungo e non farli liquefare in pentola contengono dosi consistenti
di farina e affini.
In sostanza, gli gnocchi di mia madre erano e sono giusti al
momento giusto, nei modi e nei tempi. Per me, allora, quella era la
perfezione, la meta a cui aspiravo. Oggi, a essere sincero, è la
perfezione da cui cerco di partire per continuare a migliorare, a
progredire e proporre nuove varianti.
Questo mi ha insegnato mia madre e sulla base di questo ho
lavorato, anche nelle cucine dei miei maestri, per rendere sempre
più personali le mie ricette ma senza mai dimenticare che sono
cresciuto nel regno di Luigia Brivio: la cucina di casa di quando ero
bambino.
In quel luogo caldo (o fresco, a seconda delle stagioni) e
accogliente, mia madre trovava il tempo anche per tenersi
aggiornata, leggendo ogni mese «La Cucina Italiana». E quei vecchi
numeri sono ancora uno in fila all’altro, consultabili lì sul posto,
come in biblioteca. Nessuno ha il permesso di prenderli in prestito,
nemmeno io.
Ma se dalle riviste mia madre prendeva spunto per nuove ricette
di stagione, dalla vita quotidiana le veniva spontaneo sprecare il
minimo indispensabile. Come molte famiglie dell’epoca, si veniva da
tempi difficili e i «vecchi» avevano tramandato l’arte del buttar via il
meno possibile.
E allora ecco che, e questo valeva per tutte le stagioni (così come
può accadere oggi), compariva la celeberrima Torta di pane, con
aggiunta di uvetta, mele o altra frutta (guarda caso, secondo la
stagione in cui si era).
Morale? Il pane secco non si buttava, come non si butta via
neanche oggi, sarebbe un’eresia. Lo si trasforma semplicemente in
qualcosa di ancora più buono, se mai esista qualcosa di più buono
del pane. In ogni caso, lo si ri-utilizza.
Evviva il cambio di stagioni!
Ortaggi e affini
Aglio, asparagi, bruscandoli, denti di leone, fagiolini verdi, fave,
fiori di zucca, germogli primaverili (soia, daikon ecc.), ortiche,
insalata novella, crescione, cipollotti, piselli, spugnole (funghi),
barba di frati, ravanelli, taccole, solo in aprile asparagina, piattoni,
scalogno, carciofi mammola, tartufo scorzone, tarassaco,
barbabietola, rabarbaro, prezzemolo, alloro, salvia.
Frutta
Mela, pera, fragola, banana, arancia, limone.
D’estate
Ortaggi e affini
Basilico, bietole, cipolle rosse, coste, fagiolini, fagioli, lattuga
romana, melanzana, peperoni, piattoni, pomodori, porri, scalogno,
sedano, cetriolo, taccole, zucchine, spinaci, prezzemolo, alloro,
salvia.
Frutta
Albicocche, angurie, fichi (fine estate), ciliege, fragoline, lamponi,
melone, mirtilli, more, prugne, pesche.
D’autunno
Ortaggi e affini
Castagne, cavolfiori, cavolini di Bruxelles, cavolo rosso, cavolo nero,
cipolle dorate, finocchi, funghi, indivia belga, lattuga, patate, porri,
rape, sedano rapa, tartufo bianco, zucca, barbabietola, prezzemolo,
alloro, salvia.
Frutta
Banana, fichi, cachi, uva, pera e mela.
D’inverno
Ortaggi e affini
Broccoli, barbabietole, carciofi, cardi, cavolfiori, cavolo rosso,
cavolini di Bruxelles, cime di rapa, cipolle, indivia belga, radicchio
rosso, patate dolci, scalogno, sedano rapa, porri, tartufo nero, verza,
zucca, scorzonera, radice di Soncino, prezzemolo, alloro, salvia.
Frutta
Agrumi tutti, ananas, kiwi, datteri, fichi secchi.
Oltre le stagioni
I «sempreverdi»
Carote, ceci, fagioli secchi, cicerchie, lenticchie, fave secche, farro,
mandorle, nocciole, noci, pinoli, uva sultanina, orzo, pasta secca,
riso, cous-cous, farine di mais, segale, grano saraceno e affini.
Gli «inalienabili»
Primavera = asparagi
Estate = pomodori
Autunno = zucca
Inverno = carciofi
L’irrinunciabile «capitolo a parte»: la carne
Per il filone
4 pezzi di filone (midollo spinale) da 2 cm l’uno cotti al vapore
4 g di buccia d’arancia grattugiata
1 ml di olio di semi di girasole
PREPARAZIONE
Per la cottura del riso
In una casseruola far tostare il riso, bagnare poco per volta con l’acqua salata e portare a
cottura. Togliere poi dal fuoco, mantecare aggiungendo il burro, il grana padano, l’aceto e il sale
tenendolo cremoso.
Per la salsa di zafferano
In un pentolino cuocere lo scalogno con il vino bianco, facendolo evaporare completamente.
Successivamente bagnare con l’acqua, far bollire per 5 minuti, legare con la maizena diluita,
filtrare e aggiungere lo zafferano lasciando in infusione per 20 minuti fuori dal fuoco.
Per la finitura
Stendere il riso su un piatto piano (Solaria, Assiette D’O), al centro adagiare il filone spennellato
leggermente d’olio e cosparso con la buccia d’arancia, infine completare versando a spirale
l’infusione di zafferano con l’aiuto di un cucchiaio.
Primavera
Gnocchi al cacao, bottarga di tonno
e lampascioni
Per la finitura
40 g di bottarga di tonno tagliata finemente
PREPARAZIONE
Per gli gnocchi al cacao
Fare una fontana con la farina su una spianatoia, aggiungere tutti gli altri ingredienti, il sale, e
impastare con le mani, lavorando delicatamente per pochi istanti. A questo punto creare piccoli
filoni di 1 cm di diametro e 20 cm di lunghezza, tagliarli della lunghezza di 2 cm con l’aiuto di
una spatola d’acciaio e passarli con le dita sui rebbi di una forchetta per ottenere i classici
gnocchi. Una volta preparati, cuocerli in acqua bollente salata per 4 minuti, scolarli
delicatamente.
Per la finitura
Velare il fondo di un piatto fondo (Mom, Assiette D’O) con la salsa di lampascioni, adagiare gli
gnocchi e completare con le fette sottili di bottarga.
Cappelletti con rabarbaro, salsa al crescione
e uova di tobiko
Per la pasta
300 g di farina tipo 00
100 g di farina di semola
200 ml (circa) di acqua tiepida
10 ml di olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
Per la finitura
20 g di uova di tobiko
PREPARAZIONE
Per il ripieno
In un pentolino cuocere a fuoco basso il rabarbaro con lo zucchero fino a ottenere una
composta asciutta, togliere dal fuoco, far raffreddare e amalgamare con tutti gli altri ingredienti.
Regolare di sale.
Per la pasta
Su una spianatoia fare una fontana con i due tipi di farina, aggiungere l’olio di oliva e l’acqua
tiepida, lavorare fino a ottenere un impasto omogeneo. Tirare poi la pasta sottile, adagiare un
cucchiaino di ripieno al rabarbaro ogni 2 cm e confezionare i cappelletti con il coppapasta
liscio del diametro di 3 cm. Una volta preparati, cuocerli in abbondante acqua bollente salata e
scolare delicatamente.
Per la finitura
Disporre i cappelletti al centro di un piatto fondo (Mom, Assiette D’O), napparli leggermente
con la salsa al crescione e con la punta di un cucchiaino lasciar cadere sopra le uova di tobiko.
Ravioli di piselli arrostiti, uova di seppia,
vaniglia e germogli
Per la pasta
250 g di farina tipo 00
40 g di albume d’uovo
8 ml di acqua fredda
Per la salsa
1/2 baccello di vaniglia
1 foglia di alloro essiccata
100 ml di vino bianco secco
100 ml di acqua
2 g di maizena diluita in 1 ml di acqua fredda
1 ml di aceto di vino bianco
20 g di burro dolce
sale fino
Per la finitura
120 g di uova di seppia private della pelle
20 g di germogli di barbabietola
4 ml di olio di semi di girasole
PREPARAZIONE
Per la farcia di piselli
Amalgamare la purea di piselli, insaporire con sale e olio.
Per la pasta
Su una spianatoia fare una fontana con la farina, aggiungere gli altri ingredienti, lavorarli fino a
ottenere un impasto liscio e omogeneo e lasciarlo riposare per 1 ora. Confezionare i ravioli
tirando la pasta di 2 mm e distanziando la farcia di piselli a 2 cm l’una dall’altra, chiuderli e con
l’aiuto di un coppapasta liscio dare la forma di una mezzaluna. Con un dito sigillare bene i
bordi facendo attenzione a non lasciare aria all’interno.
Per la salsa
In un pentolino mettere il baccello di vaniglia aperto nel senso della lunghezza, la foglia di
alloro, il vino bianco lasciandolo evaporare a fuoco dolce. Coprire poi con acqua, fare
riprendere bollore e filtrare. Legare la salsa con la maizena, profumare con l’aceto, lucidare con
il burro crudo, salare.
Per la finitura
Cuocere i ravioli per 3 minuti al vapore, levarli dalla vaporiera, asciugarli e farli dorare in un
padellino con poco olio di semi di girasole. Terminata la doratura adagiarli su un piatto
foderato di un foglio di carta assorbente. Aggiungere ancora un filo d’olio nel padellino,
sgrassarlo e pulirlo, e cuocervi per alcuni secondi le uova di seppia.
Per servire, adagiare i ravioli in un piatto piano (Solaria, Assiette D’O), distribuire sopra le
uova di seppia, un cucchiaio di salsa e i germogli di barbabietola.
Piedino al vapore, cappasanta e salsa «Albert»
Per la finitura
100 ml di succo di vitello ridotto (vedi ricetta base a pagina 215)
10 g di gastrica (agrodolce) (50 ml di aceto di vino bianco ridotto a sciroppo con 25 g di
zucchero)
50 g di sedano e carote tagliati in dadi di 1 cm per lato e cotti in acqua bollente salata al dente
80 g di asparagi sbucciati in stile D’O, secondo Alain Ducasse (la base dell’asparago viene
appuntita con il pelapatate), e cotti al vapore per 2 minuti (totale 8 pezzi)
sale fino
5 ml di aceto di vino bianco
8 cappasante pulite e arrostite in padella con poco olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio
Cassini)
PREPARAZIONE
Per il piedino
Pulire, bruciare e privare i piedini dei peli, incidere la cotenna e cuocerli in pentola a
pressione, coperti di acqua, per 1 ora e mezza. Con delicatezza, quando sono ancora caldi,
levare le ossa e pulire delle parti più dure, salarli e disporli in una terrina (larga 7 cm e con i
bordi alti 5 cm) precedentemente foderata con pellicola trasparente, pressarli bene e farli
raffreddare in frigorifero per 3 ore con un peso sopra. Trascorso il tempo necessario, sformarli,
togliere la pellicola e tagliare delle fette dello spessore di 2 cm.
Per la finitura
Insaporire il succo di vitello con la gastrica e aggiungere i dadi di sedano e carota. Condire gli
asparagi con il sale e l’aceto. Scaldare il piedino in forno ventilato a 100 °C su una placca
foderata con carta da forno, adagiarlo al centro di un piatto piano (Land, Assiette D’O)
accompagnato con asparagi, la cappasanta arrostita e un cucchiaio di salsa «Albert». Terminare
versando sopra il succo di vitello e le verdure.
Babà di legumi, rhum e mascarpone al cucchiaio
Per la finitura
2 ml di rhum cubano «Malecon»
10 g di fave di cacao
PREPARAZIONE
Per la purea di legumi
Passare al setaccio fine i 2 tipi di purea, frullare aggiungendo poco per volta gli altri ingredienti
inclusi i semi di vaniglia in modo da ottenere un impasto liscio e omogeneo.
Per la finitura
Sformare il dolce di legumi e disporlo al centro di un piatto fondo (Mom, Assiette D’O),
inzupparlo leggermente con il rhum, servirlo con un cucchiaio di crema al mascarpone e
qualche fava di cacao.
Ricci di mare in salsa, uovo, asparagi rossi, sedano, pera e
zenzero
Per l’uovo
1 l di acqua bollente salata e acetata (40 ml di aceto di vino bianco)
4 uova da 70 g l’una
Per la finitura
20 g di sfoglie di pera decana (tagliata finemente con l’affettatrice)
20 g di sedano bianco lavato, sbucciato e tagliato finemente con il coltello e mantenuto in acqua
e ghiaccio
8 foglie di sedano bianco lavate e conservate in acqua e ghiaccio
10 ml di olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
sale fino
PREPARAZIONE
Per la salsa
Mettere tutti gli ingredienti in una piccola pentola a cuocere a fuoco dolce fino alla completa
evaporazione del vino, aggiungere l’acqua e filtrare.
Per l’uovo
In una pentola mettere l’acqua e l’aceto, con l’aiuto di un cucchiaio creare un vortice, adagiarvi
un uovo alla volta e cuocere dopo l’ebollizione per un paio di minuti (il vortice serve per far
aderire l’albume al tuorlo, in maniera tale da ottenere una sfera).
Per la finitura
Nappare con un cucchiaio di salsa un piatto fondo (Mom, Assiette D’O), appoggiare l’uovo e
completare con la pera, gli asparagi, le foglie di sedano e il sedano precedentemente scolati e
asciugati.
Coscia di rana al vapore, animella, fave e mela
Per la finitura
8 cosce di rana pulite, disossate, salate leggermente e cotte al vapore per 30 secondi
1 mela verde (180 g) sbucciata e tagliata in 4 fette (rondelle) dello spessore di 1 cm e arrostite
in padella con 20 g di burro e 40 g di zucchero
100 g di ramolaccio sbucciato, tagliato a strisce fini e condito con poco olio extravergine di
oliva Taggiasca (Vittorio Cassini) e limone
40 g di fave crude, sbucciate dalla pelle e condite con un goccio di olio extravergine di oliva
Taggiasca (Vittorio Cassini)
PREPARAZIONE
Per le animelle
Una volta sgranate le animelle, infarinarle leggermente e arrostirle in una padella con l’olio di
girasole.
Per la finitura
Mettere in un piatto fondo (Mom, Assiette D’O) la salsa al Moscato, porre al centro una fetta di
mela, le animelle arrostite e le cosce al vapore, e terminare con l’insalata di ramolaccio e le fave
condite.
Estate
Costa di lattuga, melone, Porto e riso
Per la finitura
100 g di coste di lattuga arrostita per alcuni secondi con 1 ml di olio extravergine di oliva
Taggiasca (Vittorio Cassini)
40 g di burro dolce
120 g di melone sbucciato e tagliato a cubi di 1/2 cm l’uno
PREPARAZIONE
Per il riso
In una casseruola far tostare il riso, bagnare poco per volta con l’acqua salata e portare a
cottura. Togliere poi dal fuoco e mantecare aggiungendo il burro, il grana padano, l’aceto e
regolare di sale tenendolo cremoso.
Per la salsa di Porto
Unire tutti gli ingredienti in una pentola con il bordo alto, cuocere a fuoco dolce fino a ottenere
100 ml di salsa di Porto. Filtrare al colino fine.
Per la finitura
Lucidare la salsa di Porto aggiungendo il burro crudo. Per servire, stendere il riso su un piatto
piano (Solaria, Assiette D’O), terminare adagiando delicatamente i cubi di melone, la salsa e le
coste di lattuga.
Tonnato D’O
Per la carne
1 l di acqua bollente salata
300 g di sedano, carote e cipolle lavate, sbucciate e tagliate a pezzi
6 grani di pepe nero
2 foglie di alloro essiccate
600 g di lonza di maiale pulita completamente di grasso e pelle
sale fino
Per la finitura
2 pomodori ramati grossi (110 g l’uno, circa) sbianchiti in acqua bollente salata per 10 secondi,
privati della pelle, dei semi e tagliati in 4 parti
100 g di carote lavate e pelate, tagliate a losanghe e cotte al dente in acqua bollente salata
100 g di sedano bianco pulito, tagliato a losanghe e cotto al dente in acqua bollente salata
20 ml di olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
2 g di sale fino
20 g di capperi nani dissalati
5 g di foglie di sedano bianco tenute in acqua e ghiaccio
PREPARAZIONE
Per la maionese
Riunire in un bicchiere tutti gli ingredienti a temperatura ambiente ed emulsionare per 4
minuti fino a ottenere un composto liscio e cremoso.
Per la carne
Preparare un brodo con l’acqua, il sedano, le carote, le cipolle, i grani di pepe nero e le foglie di
alloro, adagiare la lonza di maiale e far cuocere per 30 minuti a fuoco dolce. Scolarla, salarla e
avvolgerla nella pellicola trasparente, lasciandola riposare per 30 minuti. Trascorso questo
tempo privarla della pellicola e tagliarla in 8 tranci di 8 cm di lunghezza, 2 cm di larghezza e 3
cm di spessore.
Per la finitura
Disporre parallelamente i tranci di lonza al centro di un piatto piano (Solaria, Assiette D’O),
distanziandoli 3 cm l’uno dall’altro e inserendo in mezzo un cucchiaio di salsa tonnata. Condire
le verdure cotte con sale, olio e disporle irregolarmente sopra la lonza, terminando con i capperi
e le foglie di sedano.
Yogurt rappreso, camomilla, lingue d’anatra
arrostite, cetrioli, melone e gambero
Per la finitura
100 ml di spremuta di pompelmo rosa
40 ml di acqua
2 g di sale fino
5 g di fecola di patate diluita in 10 ml di acqua fredda
40 g di burro dolce
4 gamberi sgusciati, privati dell’intestino e cotti al vapore
4 lingue d’anatra cotte al vapore, private della cartilagine interna e arrostite in una padella con
poco olio di semi di girasole
olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
PREPARAZIONE
Per lo yogurt rappreso
In un pentolino portare a ebollizione il latte con il sale, l’infusione d’arancia e camomilla e la
spremuta di limone. Lasciare in infusione per 15 minuti, filtrare e riportare a bollore, quindi
aggiungere la colla di pesce, stemperarla e amalgamare il tutto allo yogurt. Far intiepidire,
aggiungere la panna montata, lavorando con delicatezza, versare il composto in stampi d’acciaio
rettangolari (alti 4 cm, larghi 3 cm e lunghi 6 cm) e raffreddare in frigorifero per 2 ore prima di
utilizzarli.
Per la finitura
In un pentolino far ridurre di 3/4 la spremuta di pompelmo rosa. In un altro pentolino portare
a ebollizione l’acqua con il sale, legare con la fecola diluita, aggiungere il burro dolce e la
spremuta di pompelmo ridotta. Per servire, sformare nel centro di un piatto fondo (Mom,
Assiette D’O) lo yogurt rappreso e terminare con i cetrioli, il gambero, la lingua d’anatra, la
salsa al pompelmo e un goccio di olio extravergine di oliva.
Zuppa di melone e rosmarino,
profumo bianco al caffè
Per lo sciroppo
100 ml di acqua
45 g di zucchero semolato
30 g di aghi di rosmarino fresco
Per la finitura
5 g di polvere di caffè
10 g di fave di cacao
PREPARAZIONE
Per la zuppa di melone
Frullare insieme la polpa di melone e l’acqua e far riposare in frigorifero per 1 ora.
Per lo sciroppo
In un pentolino scaldare l’acqua e lo zucchero, togliere dal fuoco, unire il rosmarino e lasciare
in infusione per 1 ora. Filtrare poi lo sciroppo per eliminare il rosmarino.
Per la finitura
Versare la zuppa in un piatto fondo (Land, Assiette D’O), sopra un cucchiaio di profumo al
caffè, insaporire con lo sciroppo al rosmarino, un pizzico di polvere di caffè e qualche fava di
cacao.
Melanzana, pomodoro, menta, cioccolato
amaro e pane
Per la finitura
120 g di mollica di pane pugliese di farina di grano duro staccata irregolarmente con le dita e
tostata per alcuni secondi in forno ventilato caldo (risulterà dorata fuori e morbida dentro)
PREPARAZIONE
Per la cottura delle melanzane
Unire tutti gli ingredienti in una pentola, tranne le melanzane, portare a ebollizione quindi
aggiungere le melanzane e cuocere per 4 minuti. Scolare, lasciar raffreddare e tagliare
finemente, senza tritare, con il coltello.
Per la finitura
Disporre le melanzane condite in un piatto fondo (Mom, Assiette D’O) dando loro la forma con
un cilindro di acciaio alto 6 cm e di 6 cm di diametro. Levare il cilindro e terminare disponendo
intorno i pomodori semicotti e cospargendo con la mollica di pane leggermente tostata.
Autunno
Dolce di parmigiano, pere e ficoidea glacialis
Per la meringa
60 g di zucchero semolato
12 ml di acqua
9 ml di glucosio
32 g di albume d’uovo
Per la schiuma
20 g di tuorlo d’uovo
25 g di zucchero semolato
104 ml di latte fresco intero
20 ml di panna da cucina
6 g di fogli di colla di pesce ammorbidita in acqua fredda per 10 minuti, scolata e asciugata
90 ml di panna montata
70 g di parmigiano grattugiato
Per la finitura
40 g di pere williams
20 g di insalata ficoidea glacialis, sfogliata, lavata delicatamente e asciugata
1 ml di aceto balsamico
PREPARAZIONE
Per la meringa
In un pentolino cuocere lo zucchero con l’acqua e il glucosio e portare a 110 °C. Raggiunta
questa temperatura, a parte montare gli albumi in una sbattitrice e continuare fino a che lo
sciroppo sale a 121 °C. A questo punto aggiungerlo agli albumi, versandolo a filo, e continuare a
montare fino al raffreddamento totale.
Per la schiuma
In una bastardella sbattere i tuorli con lo zucchero, aggiungere il latte e la panna
precedentemente bolliti a parte, rimestare, poi versare in un pentolino e cuocere a fuoco basso
fino alla temperatura massima di 82 °C. Togliere dal fuoco, aggiungere la colla di pesce scolata e
asciugata e lasciare intiepidire; quindi amalgamare gli albumi montati con lo sciroppo, la panna
montata e il parmigiano grattugiato. Mettere il tutto negli appositi stampini alti 5 cm e larghi 6
cm e lasciar rapprendere in frigorifero per 3 ore prima di servire.
Per la finitura
Sbucciare le pere, levare il torsolo, tagliarle a fette sottili, unirle all’insalata già preparata e
condire con l’aceto balsamico. Per servire, sformare la schiuma su un piatto fondo (Mom,
Assiette D’O) e adagiarvi sopra l’insalata condita con le fettine di pera.
«M’pepata» di cozze chiara, animella arrostita
Per le animelle
500 ml di acqua
3 foglie di alloro
5 grani di pepe nero
150 g di sedano lavato e tagliato grossolanamente
100 ml di vino bianco secco (sauvignon)
400 g di animelle di vitello da 120 g l’una circa
50 g di farina tipo 00
olio di semi di girasole
Per la finitura
30 g di cipolla, sbucciata e finemente affettata
olio di semi di girasole
50 ml di vino bianco secco
100 ml di panna da cucina
5 g di maizena diluita in 1 ml di acqua fredda
sale fino
24 cozze (circa 200 g) cotte al vapore
pepe nero macinato al momento
PREPARAZIONE
Per il timballo di cavolfiore
Mettere tutti gli ingredienti in un frullatore e lavorare fino a ottenere un composto liscio,
quindi versarlo in stampini (alti 6 cm e di 5 cm di diametro), precedentemente imburrati, e
cuocere in forno ventilato a 110 °C per circa 65 minuti.
Per le animelle
Portare a ebollizione l’acqua con l’alloro, il pepe, il sedano, il vino bianco e le animelle,
precedentemente spurgate in acqua corrente e fredda per 2 ore. Farle cuocere per circa 12
minuti, poi estrarle con la schiumarola e raffreddarle immergendole in acqua e ghiaccio.
Scolarle, asciugarle con carta assorbente da cucina e sgranarle, quindi infarinarle leggermente e
cuocerle in una padella con poco olio di semi per farle dorare.
Per la finitura
In una padella far appassire la cipolla con un filo di olio di semi, bagnare con il vino bianco,
lasciar evaporare, aggiungere la panna e ridurre della metà. Infine legare con la maizena e
regolare di sale.
Sformare il timballo di cavolfiore al centro di un piatto piano (Solaria, Assiette D’O), adagiare
sopra l’animella, le cozze, aggiungere un filo di salsa e terminare con una macinata di pepe
nero.
Bignè soffiati e dorati, finferli, uva sbucciata
e arabica
Per la salsa
50 ml di Cointreau
50 ml di spremuta di pomelo
200 ml di panna da cucina
5 g di maizena diluita in 1 ml di acqua fredda
sale fino
Per la finitura
80 g di funghi finferli puliti con cura, cotti per 40 secondi a vapore e salati
12 acini di uva bianca «Italia», sbucciati e privati dei semi
2 g di polvere di caffè
PREPARAZIONE
Per i bignè soffiati e dorati
In un pentolino far bollire il latte con il burro, aggiungere la farina setacciata e il grana padano,
cuocere per 5 minuti a fuoco dolce. Mettere l’impasto ottenuto in una sbattitrice, aggiungere le
uova una alla volta, un pizzico di noce moscata e regolare di sale. Versare l’impasto in una sacca
da pasticcere con bocchetta di 1 cm di diametro e far cadere piccoli cilindri lunghi 2 cm in
acqua bollente salata, cuocendoli per 2 minuti. Scolare leggermente i bignè e raffreddarli in
poca acqua e ghiaccio, quindi scolarli di nuovo, asciugarli con carta assorbente da cucina e farli
dorare in una padella con un goccio di olio di semi di girasole.
Per la salsa
In un pentolino, a fuoco dolce, far ridurre della metà del peso iniziale il Cointreau con la
spremuta di pomelo, aggiungere poi la panna e lasciar bollire per 4 minuti circa. Alla fine
addensare con la maizena e regolare di sale.
Per la finitura
Disporre la salsa in un piatto fondo (Sky, Assiette D’O), adagiare i bignè soffiati e dorati e
terminare con i finferli, gli acini d’uva e un pizzico di polvere di caffè.
Coscia d’anatra «Apicius» D’O
Per la finitura
300 g di sedano, carote e cipolle puliti e tagliati a pezzi
10 g di concentrato di pomodoro
le ossa delle cosce d’anatra arrostite in forno
2 l di acqua
5 g di maizena diluita in 1 ml di acqua fredda
1 g di sale fino
10 ml di agrodolce (4 ml di aceto di vino bianco cotto con 20 g di zucchero semolato)
200 g di cime di rapa, sfogliate e sbianchite in acqua bollente salata
olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
sale fino
PREPARAZIONE
Per la salagione e la cottura delle cosce d’anatra
Mettere in frigorifero le cosce d’anatra disossate con il sale grosso per una notte. Lavarle per
eliminare il sale, asciugarle e disporle su una placca con i bordi alti coprendole di olio di semi
di girasole; farle cuocere in forno ventilato a 90 °C per 3 ore circa. Scolarle dall’olio, asciugarle
con carta assorbente da cucina e arrostirle in una padella dalla parte della pelle affinché si
dorino.
Per la finitura
Arrostire le verdure tagliate a pezzi in una pentola capiente e un filo di olio extravergine di
oliva, aggiungere il concentrato di pomodoro e le ossa, bagnare con l’acqua e lasciar bollire per
2 ore circa. Filtrare e far ridurre fino a 100 ml, legare con la maizena diluita, regolare di sale e
agrodolce, ottenendo una salsa. Disporre le cime di rapa condite con olio e sale al centro di un
piatto fondo (Sky, Assiette D’O), adagiare sopra la coscia d’anatra e terminare con la salsa.
«Migliaccio» tiepido, gelato al fior di latte,
pepe bianco e miele
Per il gelato
250 ml di panna da cucina
50 g di zucchero semolato
Per la finitura
20 g di miele millefiori
pepe bianco macinato al momento
PREPARAZIONE
Per il migliaccio
In un pentolino far bollire il latte con lo zucchero, la vaniglia aperta nel senso della lunghezza e
il limone grattugiato, unire il semolino a filo e cuocere per 15 minuti circa senza mai smettere
di girare. Togliere dal fuoco, lasciar raffreddare e disporre il semolino nell’impastatrice,
amalgamando con la ricotta e il resto degli ingredienti. Versare il composto ottenuto in stampini
(4 cm di altezza e 6 cm di diametro), precedentemente imburrati, e cuocere in forno ventilato
preriscaldato a 170 °C per circa 25 minuti.
Per il gelato
In un pentolino far sobbollire la panna con lo zucchero, quindi raffreddare e mantecare nella
gelatiera. Passare il gelato in congelatore a –1 °C per alcuni minuti prima di servire.
Per la finitura
In un piatto fondo (Mom, Assiette D’O), servire il migliaccio tiepido con un cucchiaio di gelato,
un goccio di miele e un pizzico di pepe bianco.
Latte cagliato, caviale D’O,
salsa di paprica dolce e anice
PREPARAZIONE
Per il latte cagliato
In una pentola scaldare il latte a 37 °C con la buccia di lime grattugiata, quindi togliere dal
fuoco, unire il caglio liquido e lasciar cagliare per 8 minuti. Trascorso questo tempo incidere la
cagliata, versare l’acqua bollente salata, lasciare insaporire per 5 minuti e, con l’aiuto di una
schiumarola, adagiarla in appositi stampi da caciotta forati. Lasciare poi scolare in frigo per
almeno 6 ore sopra una graticola, affinché il liquido fuoriesca.
Per la finitura
Levare il latte cagliato dai cestini forati, disporlo al centro di un piatto fondo (Mom, Assiette
D’O), adagiare sopra il caviale D’O e terminare con la salsa di paprica e anice.
«Scapece» di zucca, castagna, carota, ramolaccio, crema di
cardi e trippetta di pesce
Per la finitura
400 g di trippetta di baccalà
50 g di semola sgranata, cotta per 10 minuti in acqua bollente salata, quindi scolata, asciugata e
infine fritta in olio di semi di girasole per renderla croccante
olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
PREPARAZIONE
Per la «scapece» di verdure
In una pentola preparare la marinatura con l’acqua, lo zucchero, il sale, l’aceto, i grani di pepe,
la spremuta di limone e portare a bollore. Cuocervi le verdure al dente separatamente, scolarle,
farle raffreddare e mantenerle nella marinatura usata per la cottura, precedentemente filtrata e
lasciata raffreddare.
Per la finitura
Togliere la pellicina grigia dalla trippetta, tagliare a pezzi irregolari, sbianchire in una pentola
con acqua acidulata (300 ml di acqua e 150 ml di aceto di vino bianco) per circa 30 minuti,
scolare e condire bene con l’olio.
Per servire, versare la crema di cardi in un piatto fondo (Mom, Assiette D’O), disporre
irregolarmente le verdure, adagiarci sopra la trippetta di pesce e terminare con la semola fritta.
Buccia di cedro, pistacchio, semola e riso
Per la finitura
20 g di farina di pistacchio tostata in forno
40 g di semola cotta al vapore per 20 minuti, sgranata, asciugata e fritta in padella con olio di
semi di girasole fino a ottenere dei granelli croccanti
PREPARAZIONE
Per il riso mantecato
Tostare il riso in una pentola senza grassi, portare a cottura con l’acqua bollente e salata,
aggiungendola poco per volta fino a renderlo cremoso e soprattutto al dente. Mantecare il riso
con il grana padano e il burro, la spremuta di cedro, salare e profumare con la buccia di cedro.
Per la finitura
Disporre il riso mantecato in un piatto fondo (Mom, Assiette D’O), mettere al centro la semola e
la farina di pistacchio tostata, terminare con un filo di salsa di pistacchio fra il riso e il bordo
della fondina.
Inverno
Vellutata di topinambur, creste di gallo, duroni,
mitili, scorzonera e liquirizia
Per la finitura
8 creste di gallo cotte al vapore per 50 minuti circa
4 duroni di pollo, puliti, lavati, affogati in olio di semi di girasole, cotti per 2 ore, scolati e
asciugati
2 ml di olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
20 mitili, cotti al vapore, aperti e privati della conchiglia
100 g di scorzonera sbucciata tagliata a dadi di 2 cm per lato e cotta in acqua acidulata per 40
minuti
2 fette di pompelmo tagliate al vivo e ogni fetta divisa in due parti
polvere di liquirizia
PREPARAZIONE
Per la vellutata di topinambur
In una pentola rosolare leggermente i topinambur con le carote, bagnare con il Porto, farlo
evaporare completamente, quindi coprire con l’acqua e cuocere per 40 minuti a fuoco dolce.
Frullare i topinambur, passare al colino fine, poi addensare leggermente con la maizena,
regolando in ultimo di sale e zucchero.
Per la finitura
In un padellino, con poco olio, rosolare leggermente le creste e i duroni di gallo, adagiarli in un
piatto fondo (Mom, Assiette D’O) con i mitili, la scorzonera, la polvere di liquirizia, mezza fetta
di pompelmo, e completare versando sopra la vellutata di topinambur.
Midollo al vapore, tamarindo, cavolfiore,
fichi cotti e pere
Per la finitura
40 g di pangrattato tostato per alcuni secondi in forno con 10 g di grana padano grattugiato
60 g di insalata riccia, sfogliata, lavata e condita con un filo di olio extravergine di oliva
Taggiasca (Vittorio Cassini)
80 g di fiori di cavolfiore, lavati e dorati in padella con poco olio di semi di girasole per 2
minuti
2 fichi secchi ammorbiditi in acqua calda per 30 minuti e poi tagliati in 4 parti
80 g di pera sbucciata, tagliata a pezzi irregolari e arrostita in padella con burro e zucchero
PREPARAZIONE
Per il midollo
Lasciare il midollo pulito in una ciotola con acqua e ghiaccio per altre 2 ore. Tagliarlo a pezzi
irregolari, cuocerlo in acqua bollente salata per 2 minuti e scolarlo. Condire il succo di vitello
con la purea di tamarindo e l’agrodolce, aggiungerci il midollo e lasciare insaporire per alcuni
secondi.
Per la finitura
Disporre l’osso al centro del piatto fondo (Sky, Assiette D’O), riempirlo con il midollo,
cospargere con poco pane tostato e terminare adagiando intorno all’osso l’insalata riccia, i fiori
di cavolfiore, i fichi e la pera.
Insalata di «rinforzo», broccoli, fave di cacao, olive, arancia e
alici in salagione
Per il broccolo
200 g di purea di broccoli cotti in acqua salata, scolati, asciugati e frullati
125 g di ricotta di capra
40 g di albume d’uovo
10 g di farina tipo 00
35 ml di latte fresco intero
25 ml di panna da cucina
burro morbido per imburrare
sale fino
Per la finitura
8 olive Taggiasche denocciolate
8 fiori di broccolo sbianchiti, al dente, in acqua bollente salata
8 pezzi di arancia tagliata al vivo da 1 cm l’uno
4 g di fave di cacao tostate
PREPARAZIONE
Per le alici in salagione
Adagiare i filetti di alici in un piccolo contenitore d’acciaio, miscelare i restanti ingredienti,
cospargerli sopra i filetti e lasciarli in salagione per 12 ore con la pelle rivolta verso l’alto e altre
12 ore con la pelle rivolta verso il basso. Trascorso il tempo necessario, lavare delicatamente i
filetti con poca acqua fredda, asciugarli con carta assorbente da cucina e conservarli in
frigorifero con poco olio extravergine di oliva.
Per il broccolo
Unire tutti gli ingredienti in un frullatore e lavorarli fino a ottenere un composto liscio.
Regolare di sale. Distribuire il composto in 4 stampini monoporzione precedentemente
imburrati e farli cuocere in forno ventilato a bagnomaria per 20 minuti a 120 °C.
Per la finitura
Sformare il broccolo e adagiarlo in un piatto fondo (Mom, Assiette D’O), completare con olive,
fiori di broccolo, pezzi di arancia, fave di cacao, un cucchiaio di salsa di arancia e filetti di
alici.
Carciofi in «carpione» di zafferano,
gorgonzola cremoso
PREPARAZIONE
Per il «carpione» di carciofi
Tagliare in 4 parti i carciofi e cuocerli in una pentola con la marinata, composta con gli
ingredienti sopra indicati, per 2 minuti, quindi lasciarli raffreddare nel liquido.
Per il gorgonzola cremoso
In un pentolino portare a ebollizione il latte, togliere dal fuoco e aggiungere il grana padano e il
gorgonzola. Frullare bene e passare al colino fine in modo da eliminare i grumi. Porre in una
ciotola, far raffreddare in frigorifero e mantecare nella gelatiera.
Per la finitura
Nappare un piatto fondo (Land, Assiette D’O) con la salsa, adagiare i carciofi e terminare con un
cucchiaio di gorgonzola cremoso.
Bollito misto D’O
Per i corzetti
75 g di pangrattato
25 g di farina tipo 00
35 g di grana padano grattugiato
5 ml di olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
140 g di uova intere
30 ml di acqua fredda
sale fino
Per la finitura
50 g di carote pelate, tagliate a pezzi irregolari e cotte in acqua bollente e salata per 6 minuti
50 g di rapa bianca sbucciata, tagliata a pezzi irregolari e cotta in acqua bollente e salata per 8
minuti
100 g di spinaci lavati, privati della costola centrale e cotti in acqua bollente e salata per 1
minuto
20 ml di olio extravergine di oliva Taggiasca (Vittorio Cassini)
PREPARAZIONE
Per il bollito
Cuocere la lingua e il guanciale in una pentola con l’acqua, le verdure, la buccia di limone
verde, la foglia d’alloro e la stella d’anice a fuoco dolce. L’acqua dovrà sobbollire. Dopo 50
minuti scolare il guanciale e dopo 2 ore levare la lingua. Nel frattempo cuocere la testina di
vitello in pentola a pressione per 3 ore. Terminata la cottura delle carni, salarle con sale fino,
avvolgerle nella pellicola trasparente e lasciarle intiepidire per sciogliere il sale, infine tagliare il
guanciale in 4 parti e la lingua e la testina a tranci di 2 cm di spessore.
Una volta che il brodo si sarà raffreddato, privarlo con delicatezza delle verdure e delle gocce di
grasso rappreso, quindi scaldarlo e filtrarlo delicatamente. Risulterà un brodo chiaro e limpido
con un leggero gusto di carne.
Per i corzetti
Impastare tutti gli ingredienti fino a ottenere un composto liscio e omogeneo e, prima di
utilizzarlo, lasciarlo riposare coperto in frigorifero per 4 ore. Trascorso il tempo necessario,
con l’aiuto di un mattarello stendere la pasta a uno spessore di 4 mm, formare dei corzetti
utilizzando l’apposito stampo per corzetti liguri, in modo da ricavare dei dischi di pasta, ruvidi
in superficie. Una volta pronti, cuocerli in acqua bollente e salata per 3 minuti circa.
Per la salsa senape
In un pentolino far appassire la cipolla affettata con il burro, aggiungere l’acqua e lasciar bollire
per 5 minuti. Versare la panna, portare a ebollizione, togliere dal fuoco e aggiungere il pan
carré, quindi lasciare riposare prima di frustare con la senape, il rafano, lo zenzero e il sale.
Per la finitura
Disporre la salsa senape in un piatto fondo (SKY, ASSIETTE D’O), adagiare i pezzi di bollito e
terminare con le verdure e il corzetto (se necessario, un goccio di olio di oliva extravergine
Taggiasca). Servire il brodo chiaro a parte in tazza.
Pancetta tenera, infusione di spezie e agrumi
Per l’infusione
20 g di buccia di arancia (privata della parte bianca)
20 g di buccia di limone verde (privata della parte bianca)
10 g di buccia di pompelmo (privata della parte bianca)
1 foglia di alloro essiccata
20 g di radice di zenzero fresco
100 ml di acqua bollente
Per la finitura
80 g di foglie di spinaci private della costola centrale
40 g di mela sbucciata e tagliata a fette sottili con l’aiuto di un’affettatrice
1 ml di aceto balsamico tradizionale
sale a scaglie
PREPARAZIONE
Per la pancetta
Arrostire i cubi di pancetta in una padella. Adagiarla poi in una pentola dai bordi alti con
acqua, aceto, chiodi di garofano e buccia di arancia, trasferire in forno ventilato a 160 °C e
cuocere per circa 2 ore e mezza. Trascorso il tempo necessario, scolare delicatamente la
pancetta e regolare di sale.
Per l’infusione
Unire tutti gli ingredienti, lasciare in infusione per 2 minuti e filtrare.
Per la finitura
Disporre la pancetta al centro di un piatto fondo (Sky, Assiette D’O). Condire con aceto e poco
sale a scaglie gli spinaci crudi e la mela, adagiarli sopra la pancetta e servire accompagnato
dall’infusione a parte, in tazza.
Ravioli di frutta e barbabietola, mascarpone
e gelato al tè verde
PREPARAZIONE
Per i ravioli
Dividere le quantità di acqua e zucchero in due pentolini, portare a ebollizione entrambi e
aggiungere in uno il baccello di vaniglia e le fette di barbabietola facendo cuocere per 1 minuto,
nell’altro le bucce di limone e arancia, il cardamomo e le fette di ananas e lasciando solo in
infusione per 10 minuti. Togliere dall’acqua le fette di barbabietola e di ananas, lasciarle
raffreddare e asciugarle molto bene con la carta assorbente da cucina.
Per la finitura
Fare un’infusione con l’acqua bollente, il tè bianco e lo zucchero. Dopo 4 minuti filtrare, legare
con la maizena diluita e lasciar raffreddare. Per servire, adagiare su un piatto piano (Solaria,
Assiette D’O), affiancandoli e alternandoli, 2 ravioli di ananas e 2 di barbabietola, nappare con la
salsa al tè bianco, cospargere con la polvere di pistacchio tostata e terminare con un cucchiaio
di gelato al tè verde.
Pralina di nocciola, gelato al vino, macedonia
e radice amara
PREPARAZIONE
Per il dolce al cucchiaio di nocciole
In una bastardella montare i tuorli con 100 g di zucchero, aggiungere la farina e la pasta di
nocciole. Incorporare il latte e cuocere a fuoco dolce per 10 minuti rimestando continuamente.
Togliere dal fuoco, aggiungere la colla di pesce, mescolare bene e lasciar raffreddare: così si
ottiene una crema pasticcera alla nocciola. A parte, montare gli albumi con 100 g di zucchero a
bagnomaria per 10 minuti, levare dal fuoco e montare fino al completo raffreddamento della
meringa. Aggiungere infine la crema pasticcera alla nocciola e amalgamare bene.
Per la genoise
Montare a bagnomaria le uova con lo zucchero, terminare di montarle nella sbattitrice, fino al
completo raffreddamento. Aggiungere a filo prima il burro, precedentemente fuso, e infine le
due farine, la «00» e quella di nocciole, setacciate insieme. Stendere il composto su una placca
foderata con carta da forno, a uno spessore uniforme di 5 mm, quindi cuocere in forno ventilato
preriscaldato a 170 °C per 10 minuti. Estrarre dal forno, lasciar raffreddare e tagliare in dischi
del diametro di 5 cm.
Per la finitura
In un cilindro alto 7 cm e di 5 cm di diametro, inserire un disco di genoise e il dolce al
cucchiaio di nocciole, coprire con la pellicola trasparente e lasciar rapprendere in frigo per
almeno mezza giornata. Trascorso il tempo necessario, sformare il dolce e passarlo nella pralina
di nocciole, disporlo al centro di un piatto fondo (Mom, Assiette D’O), adagiare sopra le
albicocche, la scorzonera e terminare con il gelato al vino rosso.
Succo di vitello (jus)
Arrostire al forno la carne, poi sgrassarla e metterla a cuocere in una pentola con le carote e il
sedano. Cuocere a fuoco dolce per 2 ore, filtrare e ridurre ulteriormente fino a ottenerne 200 ml
di succo. Se necessario, addensare con 5 g di maizena diluita in 1 ml di acqua fredda.
Ringraziamenti
Introduzione
PRIMA PARTE
1. Mi rileggo spesso
2. Il passato che mi in-segue
3. Riparto da qui, per andare avanti
4. Milano, Bonvesin de la Riva, 23 giugno 1986
5. Londra, Le Gavroche, 12 maggio 1990
6. Montecarlo, Le Louis XV, 30 settembre 1991 45
7. Imparare, ancora, viaggiando
8. Gli anni dell’«affinamento»
9. Cornaredo, D’O, 23 novembre 2003
10. «Melodie» di un cuoco
11. Una brioche «apparecchiata»
12. Cornaredo, D’O, 23 settembre 2008
13. Dicono che sono un filosofo
14. Sfide e altre deviazioni (ma sempre classiques
15. Ho in testa anche il pallone
16. Data da destinarsi… l’azzardo
17. La ristorazione del futuro: grigio londinese o rosa parigino?
18. Il decalogo pop a tavola
SECONDA PARTE
Stagionalità e acquisti
La cucina degli scarti: Pesci
La cucina degli scarti: Verdure
La cucina degli scarti: Frutta
La cucina degli scarti: Carne
RICETTE
Primavera
Gnocchi al cacao, bottarga di tonno e lampascioni
Cappelletti con rabarbaro, salsa al crescione e uova di tobiko
Ravioli di piselli arrostiti, uova di seppia, vaniglia e germogli
Piedino al vapore, cappasanta e salsa «Albert»
Babà di legumi, rhum e mascarpone al cucchiaio
Ricci di mare in salsa, uovo, asparagi rossi, sedano, pera e
zenzero
Coscia di rana al vapore, animella, fave e mela
Estate
Costa di lattuga, melone, Porto e riso
Tonnato D’O
Yogurt rappreso, camomilla, lingue d’anatra arrostite, cetrioli,
melone e gambero
Zuppa di melone e rosmarino, profumo bianco al caffè
Melanzana, pomodoro, menta, cioccolato amaro e pane
Autunno
Dolce di parmigiano, pere e ficoidea glacialis
«M’pepata» di cozze chiara, animella arrostita
Bignè soffiati e dorati, finferli, uva sbucciata e arabica
Coscia d’anatra «Apicius» D’O
«Migliaccio» tiepido, gelato al fior di latte, pepe bianco e miele
Latte cagliato, caviale D’O, salsa di paprica dolce e anice
«Scapece» di zucca, castagna, carota, ramolaccio, crema di cardi
e trippetta di pesce
Buccia di cedro, pistacchio, semola e riso
Inverno
Vellutata di topinambur, creste di gallo, duroni, mitili,
scorzonera e liquirizia
Midollo al vapore, tamarindo, cavolfiore, fichi cotti e pere
Insalata di «rinforzo», broccoli, fave di cacao, olive, arancia e
alici in salagione
Carciofi in «carpione» di zafferano, gorgonzola cremoso
Bollito misto D’O
Pancetta tenera, infusione di spezie e agrumi
Ravioli di frutta e barbabietola, mascarpone e gelato al tè verde
Pralina di nocciola, gelato al vino, macedonia e radice amara
Succo di vitello (jus)
Ringraziamenti