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ECONOMIA POLITICA
TESTO
Stefano Fenoaltea
i
,1',&($1$/,7,&2
ii
2. L’equilibrio parziale: l’individuo e il mercato per un singolo bene 23
2.c. l'elasticità 31
2.c.1. definizione 31
2.c.2. l'elasticità della domanda 31
2.c.3. l'elasticità dell'offerta 32
2.c.4. l'elasticità nel tempo 33
2.c.5. l'elasticità e le tasse 33
iii
3. L’equilibrio generale: l’individuo in un sistema di mercati 44
iv
4. L’equilibrio generale: il sistema dei mercati (A: puro scambio) 72
v
5. L’equilibrio generale: impresa e industria in un sistema di mercati 90
vi
6. L’equilibrio generale: il sistema dei mercati (B: produzione) 126
6.b. la concorrenza nel mercato dei fattori e l’efficienza della produzione 128
6.b.1. la vendita dei fattori: concorrenza e pieno impiego 128
6.b.2. l’acquisto dei fattori: concorrenza e allocazione efficiente 129
6.b.3. gli equilibri con fattori specializzati 130
6.b.4. gli equilibri con fattori generici non sostituibili 132
6.b.5. gli equilibri con fattori generici sostituibili 133
6.b.6. la frontiera dei prezzi dei fattori 136
vii
7. La logica e la retorica: dall’interventismo al neoliberismo 153
viii
1. L’ANALISI, LA STORIA, LA STORIA DELL’ANALISI
1.a.1. introduzione
Per capire cos'è una passeggiata, la cosa migliore è di mettersi in cammino; se
rimandiamo comunque il primo passo, è di poco, e nello spirito di avvertire chi ci seguirà di
stare attento ai rami bassi.
Fuor di metafora, si cercherà in questo primo capitolo di fornire una brevissima
presentazione della materia che ci accingiamo ad abbordare: per avvertire appunto il lettore
sulla natura di ciò che incontrerà, o perlomeno sul modo di capirla dell'autore.
Alcuni dei vocaboli e dei concetti che incontreremo in questo primo giro d'orizzonte
saranno sicuramente poco chiari; ma che questo non preoccupi. Si impara a "parlare
economia" come qualsiasi altra lingua, e ci vuole un minimo di pratica prima di poter capire
tutto.
1.b.1. introduzione
Allo stato soggetto della politica economica l'economia politica attribuisce dunque tre
ruoli potenziali, riferiti rispettivamente alla redistribuzione, all'allocazione, e alla
stabilizzazione. Per la verità, questi tre momenti si riducono logicamente a due, in quanto il
problema della stabilizzazione--il problema del ciclo economico e della disoccupazione--altro
non è che un particolare problema di allocazione (tra ozio e lavoro); si distingue dal problema
detto dell'allocazione, che riunisce di fatto gli altri problemi di allocazione, per l'importanza
3
in verità eccezionale di questo particolare "fallimento del mercato", e per il metodo di studio
e gli strumenti di intervento altrettanto particolari (macroeconomici piuttosto che
microeconomici).
I momenti fondamentali sono pertanto due, di allocazione e di redistribuzione; e
corrispondono in sostanza a due ruoli che lo stato (anglosassone) confonde. L'uno è quello
dello stato come associazione di tutti; l'altro è quello dello stato come strumento di
coercizione.
1.c.4. il mercantilismo
Con la chiusura del medio evo la politica interventista delle città venne traslata al
livello dello stato nazionale: dopo il secolo aureo delle potenze iberiche saranno l'Olanda e
poi l'Inghilterra regina dei mari, la Francia erede dell'Italia nelle manifatture di lusso. Queste
politiche vedono la concorrenza interstatale come gioco a somma zero, e mirano al surplus
nei pagamenti (influsso di oro).
Gli economisti moderni hanno tradizionalmente tacciato i mercantilisti di ignoranza
e/o stupidità, attribuendo la ricerca dell'oro al non aver capito che la ricchezza vera è la
disponibilità di beni e servizi, e l'idea della somma zero al non aver capito che il commercio
crea vantaggi netti per tutti.
Di fatto, gli stati nazionali lottavano per il potere e la sopravvivenza, e nelle lotte di
potere conta la graduatoria e non il livello; l'oro, ottenuto dal saldo dei pagamenti
(inevitabilmente a somma zero), serviva direttamente a pagare le truppe mercenarie.
L'interventismo mercantilista sembra pertanto assolutamente difendibile.
Anche il principio che il commercio crea vantaggi per tutti va temperato in un mondo
in cui l'alto costo dei trasporti limitava in pratica il commercio interlocale ai beni di lusso:
nella misura in cui questi sono beni utilizzati nella concorrenza sociale (caso tipico: i
gioielli), il gioco è di nuovo a somma zero. Se infatti noi ci contendiamo il rango sociale
acquistando beni pregiati che dimostrano il nostro potere e la nostra ricchezza, i beni
consumati sono dal punto di vista del benessere l'equivalente preciso delle armi, o della
moneta (le mie valgono di più se non le possiedi pure tu). La riluttanza della Cina, che
tendenzialmente esportava manufatti e importava metallo, ad aprirsi al commercio estero
derivava forse in parte dall'aver capito proprio questo...
Nella visione mercantilista, peraltro, si tiene conto della mobilità delle risorse: si
lotta, anche con i sussidi, per attrarre e sviluppare le competenze necessarie per l'industria
esportatrice. Anche da questo punto di vista il mercantilismo sembra più valido delle critiche
che gli sono state mosse (e comunque tutt'altro che morto: si pensi all'Airbus).
Occorre comunque distinguere tra vari tipi di interventi, variamente ispirati al
9
mercantilismo (regolamentazione che si vuole efficace, per ottenere il surplus dei pagamenti),
al fiscalismo (regolamentazione che si vuole inefficace, per lucrare le multe), e alla
corruzione (regolamentazione che si vuole inefficace, per lucrare bustarelle--bustarelle che
però possono sostituire lo stipendio, per cui possono far parte del disegno del sovrano).
In questo periodo, vari studiosi si occupano di questioni economiche, ma tipicamente
su questioni particolari (paradosso del valore reale e di mercato dell'acqua e dei diamanti;
problemi di inflazione), senza che si sviluppi quello che noi chiameremmo una disciplina
economica.
Compaiono ciononostante dei contributi validissimi: va segnalata in particolare la
teoria quantitativa della moneta, sviluppata già nel Cinquecento da J. Bodin (francese) per
spiegare l'inflazione in Europa con l'enorme afflusso di oro e di argento dalle americhe
(5HVSRQVHj0GH0DOHVWURLFWVXUOHSDUDGR[HGXIDLFWGHVPRQQDLHV, 1569).
1.d.1. i fisiocrati
L'economia politica intesa come disciplina ("economics"), figlia dell'illuminismo,
nasce nella Francia prerevoluzionaria (c. 1750) dalla fede neo-stoica nell'ordine naturale (e
pertanto ottimale) contro il quale l'intervento è dannoso o perlomeno inutile, nella sfera della
produzione e distribuzione umana come nelle altre. Questi primi economisti si chiamano
pertanto ILVLRFUDWL ("deve governare la natura"); il loro primo e fondamentale principio è il
non-intervento: ODLVVH] IDLUH ODLVVH] SDVVHU. Secondariamente, e nel contesto francese di
appoggio all'industria (dei beni di lusso), insistono che l'agricoltura è l'unica fonte netta di
ricchezza; secondo loro industria e servizi trasformano senza creare benefici netti.
22
2. L’EQUILIBRIO PARZIALE: L’INDIVIDUO E IL MERCATO PER UN SINGOLO
BENE
2.b.1. definizione:
La concorrenza perfetta è definita dall'DVVHQ]D GL SRWHUH GL PHUFDWR, per cui
l'individuo non può influire sul prezzo di mercato. Per estensione si definisce concorrenziale
il comportamento di qualsiasi operatore che, a torto o a ragione, prende il prezzo di mercato
come una variabile esogena, ossia non influenzata dalla propria azione. Siccome il prezzo è
(considerato) dato, per il compratore il costo medio è costante, e coincide con il costo
marginale; per il venditore il beneficio medio è costante, e coincide con il beneficio
marginale. Il costo marginale per il compratore e il beneficio marginale per il venditore si
identificano dunque direttamente con il prezzo di mercato: 0&F 3, e 3 0%Y.
2.c. l'elasticità
2.c.1. definizione
Gli economisti chiamano HODVWLFLWj il UDSSRUWR WUD OH YDULD]LRQL SHUFHQWXDOL di due
variabili funzionalmente collegate; si parla così dell'elasticità dell'occupazione alla
produzione, delle importazioni al cambio, e via di seguito.
Nel contesto presente rivestono ovviamente particolare importanza l'elasticità della
quantità al prezzo lungo le curve di domanda e di offerta, definite ad un punto o lungo un
segmento. Nel primo caso, H G44G33; nel secondo si mettono convenzionalmente ai
denominatori le medie dei punti estremi del segmento, per cui H
G444G333. Tali elasticità normalmente variano lungo le curve di
riferimento: le curve a elasticità costante sono infatti casi particolari.
2.d.1. definizione:
Il SRWHUH GL PHUFDWR PLQLPDOH, identificato con il PRQRSROLR VHPSOLFH, consiste nel
SRWHUH GL VFHJOLHUH LO SUH]]R, che rimane XQLFR, ODVFLDQGR VFHJOLHUH OD TXDQWLWj (oppure di
scegliere la quantità, lasciando che un'asta definisca il prezzo). Per l'individuo conscio di
avere tale potere il vincolo non è pertanto il prezzo di mercato, ma un continuo di binomi
prezzo-quantità; sceglie pertanto non la quantità dato il prezzo, ma quantità e prezzo insieme
dato il vincolo che è la controparte che definisce le combinazioni possibili scegliendo una di
queste variabili in funzione dell'altra.
Si distinguono il monopolio in senso stretto o monopolio di vendita, in cui il potere di
mercato è appunto di chi vende, e il monopsonio o monopolio di acquisto, in cui il potere di
mercato è di chi compra; i due casi sono ovviamente speculari.
L'individuo dotato di tale potere di mercato può scegliere una quantità e il prezzo ad
essa associato lungo una curva di equilibri quantità-prezzo definiti, si noti bene, da operatori
FRQFRUUHQ]LDOL ("price-takers"), che scelgono appunto la quantità dato il prezzo. La curva
degli equilibri possibili è dunque per il monopolista una curva di valori PHGL (costi se
compra, benefici se vende); la curva dei suoi valori marginali è pertanto la curva marginale
corrispondente a tale curva dei valori medi (per cui se questa è una retta sarà la retta con la
stessa intercetta e pendenza doppia).
Gli esempi di tale potere di mercato ci vengono normalmente non dagli scambi tra
produttori-consumatori (i nostri pescatori), ma dalle aziende: qualsiasi azienda che "ha il
monopolio" dei propri prodotti (come la FIAT delle FIAT) può sceglierne il prezzo di
vendita; qualsiasi azienda che domina il mercato della propria materia prima (come un tempo
l'American Tobacco Company quello del tabacco in foglia americano) può modificarne il
prezzo di acquisto.
Ricordando che si possono sommare le curve di domanda o di offerta degli operatori
concorrenziali, si nota che se accanto (ad esempio) al compratore monopolista vi sono altri
compratori, concorrenziali, la curva di offerta che il compratore monopolista ha di fronte a se
è l'offerta netta definita da tutti gli operatori concorrenziali (ossia ad ogni prezzo la quantità
lorda offerta dai venditori, meno la quantità acquistata dai compratori concorrenziali), come
nella Figura 2.d.1.1. Un esempio fra i mercati dei beni è dato dalla MacDonald's, che compra
da sola una quota molto cospicua del raccolto di patate statunitense, mentre gli agricoltori che
vendono e gli altri compratori sono tutti individualmente insignificanti; casi simili si
ritrovano nei mercati locali del lavoro ovunque questi sono dominati da una grande azienda
(come la FIAT a Torino).
2.e.1. definizione
Nella teoria del valore LO SRWHUH GL GLVFULPLQDUH q LO SRWHUH GL SUDWLFDUH SUH]]L
GLYHUVL LQ PHUFDWL RSSRUWXQDPHQWH VHJPHQWDWL. La "segmentazione" consiste
nell'impossibilità di scambio tra le diverse controparti del monopolista discriminante, ed è
dunque essenziale; se non ci fosse, ad esempio, la controparte più favorita farebbe gli acquisti
o le vendite per tutti gli altri. La discriminazione è dunque difficile nella fornitura di merci,
che si prestano facilmente agli scambi molteplici; è facile invece nella fornitura dei servizi
(da cui la complicazione delle tariffe aeree, che segmentano appunto il mercato separando i
clienti in varie categorie in funzione del prezzo di domanda).
L'equilibrio nei singoli mercati rimane comunque quello di monopolio, come sopra,
con la cattura del "rettangolo fiscale", la perdita netta di benessere rispetto all'equilibrio
concorrenziale, e via di seguito.
Le cose cambiano, e diventano interessanti (almeno a livello teorico), nel caso del
potere di mercato detto di GLVFULPLQD]LRQH SHUIHWWD. In questo caso il monopolista può
imporre XQ SUH]]R GLYHUVR SHU RJQL XQLWj VFDPELDWD (o come vedremo equivalentemente
specificare contemporaneamente il prezzo e la quantità, a SUHQGHUH R ODVFLDUH). Di
conseguenza tale monopolista, conoscendo i pezzi di domanda o di offerta dell controparte,
SXzFDWWXUDUHWXWWLLEHQHILFLJHQHUDWLGDOORVFDPELR--ragion per cui ha interesse a generarli
tutti, e dal punto di vista dell'efficienza (anche se non della distribuzione della rendita,
catturata appunto tutta dal monopolista) l'equilibrio assomiglia a quello concorrenziale.
42
2.f.3. efficienza e redistribuzione
Riassumendo quanto sopra, si nota che GDWH OD GRPDQGD H O
RIIHUWD YL VRQR YDUL
HTXLOLEUL SRVVLELOL D VHFRQGD GHOOD VWUXWWXUD GHO PHUFDWR, come aveva sottolineato a suo
tempo Chamberlin.
Tralasciando il monopolio perfettamente discriminante e il monopolio semplice
sequenziale, che sono più che altro una curiosità teorica, notiamo che VRQRWHQGHQ]LDOPHQWH
HIILFLHQWLRVVLDJHQHUDQRWXWWDODUHQGLWDJOLHTXLOLEULGHLPHUFDWLOLEHULVRQRLQYHFH
LQHIILFLHQWLTXHOOLGHLPHUFDWLJUDYDWLGDOSRWHUHSULYDWRPRQRSROLRRSXEEOLFRWDVVH
Ritroviamo qui la "mano invisibile" di Smith, nel senso che in regime di concorrenza
l'individuo è portato a comportarsi in modo socialmente utile.
La rendita ottenuta, ossia il beneficio netto ottenuto dallo scambio, aumenta con il
potere di mercato relativo (da zero per chi ha di fronte un potere illimitato al massimo per chi
dispone di tale potere con di fronte un imbelle). ,OEHQHVVHUHLQGLYLGXDOHGLSHQGHGXQTXH
DQFKHGDOSRWHUHUHODWLYRGLPHUFDWR Non a caso la redistribuzione viene operata anche e
forse principalmente tramite la distribuzione del potere di mercato: ovviamente per motivi
politici, chè un sussidio esplicito è una voce in bilancio che fa parlare di se ogni volta che si
rifà il bilancio, mentre la distribuzione del potere di mercato è una legge di cui si parla solo
quando si fa...
43
3. L’EQUILIBRIO GENERALE: L’INDIVIDUO IN UN SISTEMA DI MERCATI
utilità marginali (08 G8G;): infatti G8 08 G;08 G<, per cui se G8 , allora
; ; <
La dimensione di 08 , si badi bene, è "unità di utilità per unità di ;", e il suo valore
;
denominatore infatti si elidono. Il 706 pertanto non dipende dalla specificazione cardinale
R
di 8, per cui possiamo (e secondo la regola di Occam dobbiamo) fermarci al livello ordinale--
a meno ovviamente di voler considerare problemi diversi, per i quali la forma cardinale
45
diventa invece rilevante.
La Figura 3.a.3.2 ripropone la collina dell'utilità, nel piano ;<, e di nuovo nel piano
8; per < <
. Il significato dell'ordinalità è che l'asse 8 è elastico: possiamo allungarlo o
comprimerlo, modificando l'altezza della collina, senza nulla cambiare alla proiezione della
stessa sul piano ;<, e dunque senza cambiare le curve d'indifferenza, i 706 , e gli equilibri.
R
delle utilità marginali) nel senso che il bene di cui è aumentato il consumo vale relativamente
meno in termini dell'altro bene, di cui il consumo si è ridotto.
3.a.4. il vincolo
Il vincolo, come l'obiettivo, è funzione di ; e <; l'operatore può scegliere qualsiasi
punto sul vincolo, o all'interno di esso.
Il vincolo si modella per ovvi motivi come un vincolo di spesa (5) per il consumo: 5
5;<; come vedremo tra breve tale vincolo può essere definito direttamente in danaro ("il
consumatore"), o invece da una disponibilità di beni ; < convertibili in danaro (il nostro
contadino che si ritrova con grano e vino), o anche, in un contesto più ampio, di tempo
convertibile in danaro, ovviamente lavorando.
Il vincolo di spesa non è l'unico concepibile. Si ricorda a Harvard che a questo punto
del corso il futuro Aga Khan alzò la mano per chiedere cosa succede se uno non ha vincolo di
spesa; la risposta giusta è che diventa allora determinante il vincolo di tempo, 7 7;<.
Normalmente, però, il vincolo di spesa è quello che determina effettivamente l'equilibrio; ed è
comunque quello che interessa una disciplina che studia i prezzi e gli scambi. All'interno
del vincolo di spesa, pure, vi è un WDVVRPDUJLQDOHGLVRVWLWX]LRQH 706 , al quale l'operatore
Y
può sostituire ; con <, e viceversa, a spesa costante. Se rinuncio a un'unità di ;, risparmio
0& ; con tale risparmio 0& il numero di unità aggiuntive di < che mi posso permettere è
; ;
0& 0& , per cui 706 0& 0& . Infatti G5 0& G; 0& G<; se G5 , allora
; < Y ; < ; <
G<G; 706 0& 0& . La dimensione di 0& è ovviamente "dollari per unità di ;";
Y ; < ;
quella del 706 è "unità di < per unità di ;", esattamente come il 706 , perchè i dollari qui si
Y R
3.a.5. l'equilibrio
Il punto scelto, ossia l'equilibrio, corrisponde per definizione al punto accessibile
preferito a ogni altro punto accessibile.
Geometricamente, VH OH IXQ]LRQL VRQR ORFDOPHQWH GLIIHUHQ]LDELOL la scelta che
corrisponde al massimo dell'utilità permesso dal vincolo è caratterizzata da una tangenza tra
vincolo e curva d'indifferenza. Se infatti il vincolo incrocia la curva d'indifferenza,
spostandosi opportunamente lungo il vincolo si raggiunge una curva d'indifferenza più alta;
pertanto ogniqualvolta vi è qualche differenza tra i tassi marginali di sostituzione
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nell'obiettivo e nel vincolo, vi è la possibilità di miglioramento (vedi il principio dei vantaggi
comparati). Ne consegue che O
HTXLOLEULR GL PDVVLPL]]D]LRQH YLQFRODWD q FDUDWWHUL]]DWR
GDOO
XJXDJOLDQ]DWUD706RELHWWLYRH706YLQFROR706R 706Y
Data la funzione obiettivo, dunque, l'equilibrio dipende dal vincolo, ossia dalle
disponibilità iniziali (beni, danaro...) da un lato e dalle possibilità che offre il mercato (anche
in funzione della sua struttura) dall'altro; variando il vincolo, o la funzione obiettivo, varia
l'equilibrio.
L'atteggiamento positivista della disciplina economica fa sì che l'economista applicato
scelga di spiegare le diversità (interlocali, intertemporali) fra gli equilibri in base a differenze
di vincoli, osservabili, e non a differenze di obiettivi (gusti) non osservabili. Il cambiamento
o la differenza di gusti è infatti per l'economista l'equivalente del miracolo per lo scienziato
della natura: è sempre possibile, può spiegare tutto ciò che non si capisce, ma proprio per
questo è una spiegazione sterile, che non aiuterà mai a capire di più.
Notiamo inoltre che l'economista assume che l'individuo fa sempre quello che vuole,
per cui ogni scelta è quella voluta ("che massimizza l'utilità") nel momento in cui è fatta
(atteggiamento peraltro condiviso dal psicanalista, che spiega al paziente perchè quello che ha
fatto è quello che realmente voleva fare...). Dati i vincoli, dunque, O
HTXLOLEULR ULYHOD OH
SUHIHUHQ]H: conoscendo il vincolo e la scelta dell'operatore, sappiamo che in quel punto la
sua curva d'indifferenza ha la pendenza del vincolo; e variando sperimentalmente il vincolo
possiamo teoricamente ricostruire tutta quella curva d'indifferenza, e come quella le altre.
Notiamo infine che questo principio che il comportamento è sempre razionale (nel
senso debole e convenzionale della parola) è universalmente accettato dagli economisti per
quanto riguarda l'operatore consumatore. Non lo è invece per quanto riguarda l'operatore
stato: posizione forse poco coerente, ma necessaria per giustificare la critica delle scelte di
politica economica (e le consulenze per migliorarle). Se lo stato venisse trattato come il
singolo, infatti, l'economista potrebbe solo studiare la politica come l'astronomo studia le
stelle, per risalire ai gusti dei governanti, senza pensare di poter intervenire per migliorare le
scelte che si assumono ottimali (e che possono dunque sembrare strane solo a chi non le
capisce).
A questo punto è ovvio il valore pedagogico della forma particolare della funzione di
utilità: questa garantisce infatti un equilibrio interno, sensibile (in quanto tangenza) con
continuità a ogni mutamenti del vincolo. La Figura 3.a.5.1 illustra alcuni casi esclusi dai
nostri postulati. Nel primo grafico, l'individuo è sazio, per cui il vincolo di spesa diventa
ininfluente. Nel secondo, l'utilità è concava. Se il vincolo è meno concavo delle curve di
utilità (come nel grafico, in cui il vincolo è una retta), il massimo si raggiunge dove il vincolo
tocca uno degli assi; una rotazione del vincolo intorno a quel punto potrebbe non mutare
l'equilibrio, o spostarlo con un salto all'incrocio con l'altro asse. Nel terzo, l'utilità non è
ovunque differenziabile: le curve di indifferenza sono non vere curve, ma spezzate, Se il
vincolo è una retta, l'equilibrio sarà ad uno spigolo (che può essere su uno degli assi);
ruotando il vincolo intorno a quello spigolo l'equilibrio rimane immutato, o salta ad un altro
spigolo.
prezzo relativo dei due beni (706 0& 0& 3 3 , dove 0& è il costo marginale per
Y ; < ; <
47
quell’operatore).
In equilibrio, dunque, 08 08 706 706 3 3 : la combinazione di ; e <
; < R Y ; <
facilmente intuibile. La dimensione di questi rapporti è (utilità per unità di ; o <)/(dollari per
unità di ; o <), che si riduce a (utilità/dollaro): si massimizza insomma l'utilità uguagliando
il rendimento (l'utilità marginale) per unità di spesa a tutti i margini di spesa (;<). Questo
è ovvio, in quanto se al margine l'utilità ottenuta per unità di spesa non è uguale da un
margine all'altro posso spostare un dollaro da dove rende di meno a dove rende di più, con un
guadagno netto.
La stessa analisi vale anche per l'Aga Khan, solo che i prezzi sono misurati non in
dollari ma in unità di tempo (una partita a squash richiede mezz'ora, un concerto due ore...);
l'allocazione ottimale del tempo richiede ovviamente un'uguale soddisfazione per unità di
tempo a tutti i margini di attività.
proporzione, lasciando pertanto immutati i loro rapporti. Si esprime così il concetto del
"reddito reale", che corrisponde al SRWHUHG
DFTXLVWR: il benessere dipende da questo, e non
dal "reddito nominale" in dollari, che vale di meno se i prezzi sono più alti.
Il vincolo si sposta invece conservando la pendenza se cambia 5 o se cambiano 3 e ;
3 con 3 3 invariato, ossia se cambia il reddito reale a prezzi relativi invariati. Nella
< ; <
Il luogo dei punti delle diverse curve d'indifferenza con quel 706 è dunque il luogo degli
R
equilibri, dato quel 706 (ossia quei prezzi relativi), se varia il reddito; tale luogo si chiama,
Y
con forma anglosassone, la FXUYD UHGGLWRFRQVXPR. Con prezzi relativi diversi, la curva
reddito-consumo pure è diversa (Figura 3.b.2.2); comunque tutte le curve reddito-consumo
partono dall'origine degli assi, per il semplice motivo che con reddito zero anche i consumi
sono zero.
Se cambiando il reddito, con prezzi invariati, il consumatore varia i suoi consumi,
vuol dire che si spostano le curve di domanda. Il consumo del bene ; è dunque funzione del
reddito oltre che del prezzo: ; 53 . Questa relazione è tridimensionale, e dunque una
;
collina; la singola curva di domanda ne è uno spaccato bidimensionale, che varia dunque con
la variabile esclusa (il reddito). Nella Figura 3.b.2.3, la curva di domanda è 3 ; con 5
reddito-consumo ha una pendenza positiva, per cui H ! per ambedue i beni: il consumo di
5
ambedue aumenta con il reddito, e ambedue sono detti dunque beni "normali" o "superiori".
Se invece la curva reddito-consumo ha una pendenza negativa, come nella Figura 3.b.2.4,
l'elasticità al reddito è positiva per uno dei beni (<, nel grafico), e negativa per l'altro (;, nel
48
grafico); il bene con l’HODVWLFLWj DO UHGGLWR QHJDWLYD è detto un EHQH LQIHULRUH. Siccome il
reddito che aumenta è sempre interamente speso, non tutti i beni possono essere inferiori:
almeno uno deve essere superiore. Di esempi di beni inferiori il mondo è pieno: sono infatti
tali tutti i beni che consumiamo quando e perchè siamo poveri, e che smettiamo di consumare
come ci possiamo permettere di meglio. Un esempio ci viene dall'Europa settentrionale, dove
una volta il pane bianco, di grano, era il pane dei ricchi, e i poveri mangiavano il pane nero, di
segala. Da questo esempio è ovvio che lo stesso bene può essere normale entro certi limiti di
reddito, e inferiore entro altri: infatti i poverissimi mangiavano pure pane di segala, ma in
quantità ridotte, che aumentavano se e come potevano.
Interessa anche sapere se l'elasticità al reddito è superiore o inferiore a uno. Se per il
bene ; infatti H , come aumenta il reddito aumenta la spesa per ; (il consumo, a
5
tale quota aumenta. I beni con HODVWLFLWj DO UHGGLWR EDVVD sono dunque i EHQL GL SULPD
QHFHVVLWj, mentre i beni con HODVWLFLWjDOUHGGLWRDOWD sono i EHQLGLOXVVR, e fra i due si trova
ovviamente una fascia intermedia. Infatti i poveri spendono gran parte del loro reddito per
nutrirsi, poco per coprirsi, e nulla per la barca; i medi spendono relativamente di meno per
nutrirsi, di più per coprirsi, e forse ogni tanto affittano una barca; in proporzione al reddito i
ricchi spendono quasi niente per nutrirsi, forse quanto i medi per coprirsi, e una tombola per
mantenere la flotta da diporto.
Perchè "sale e tabacchi", e non "sale, tabacchi e visoni"? Sale, tabacchi, e visoni
hanno tutti una domanda con bassa elasticità al prezzo, per cui sono tutti e tre tassabili; ma la
domanda di sale e tabacchi ha anche un'elasticità bassa al reddito, mentre la domanda di
visoni è altamente elastica al reddito. Ne consegue che le tasse sul sale e i tabacchi assorbono
una quota maggiore del reddito dei poveri che non dei ricchi, ossia sono WDVVH UHJUHVVLYH,
mentre una tassa sui visoni, beni di lusso, sarebbe stata WDVVHSURJUHVVLYD.
Le curve che per i diversi tipi di beni legano la quota di spesa al reddito, come ad
esempio nella Figura 3.b.2.5, sono note come FXUYHGL(QJHO (da non confondere con Engels
collaboratore di Marx). Le quote sommano a uno; tutte le elasticità al reddito (o meglio alla
spesa complessiva) possono essere unitarie, ma se tale elasticità è maggiore di uno per un
bene deve essere minore di uno per almeno uno degli altri beni, e viceversa.
intorno all'intercetta del bene < con prezzo immutato. Nella Figura 3.b.3.1 immaginiamo che
3 cali da 3 a 3 . L'equilibrio si sposta, cambiando i consumi di ambedue i beni; G; e G<,
; ; ;
dunque 706 . Il luogo dei punti in cui 706 706 , ossia di tangenza fra le diverse curve
R R Y
d'indifferenza e i diversi vincoli con intercetta 53 , è dunque il luogo degli equilibri, dato
<
quel reddito e quel prezzo di <, se varia il prezzo di ;; tale luogo si chiama, con forma
anglosassone, una FXUYD SUH]]RFRQVXPR. Cambiando il reddito, ovviamente, l'intercetta
verticale sarebbe diversa, e l'intera curva prezzo-consumo si sposterebbe (Figura 3.b.3.2).
Dati 5 e 3 e cambiando solo 3 , uno spostamento lungo la curva prezzo-consumo
< ;
corrisponde ad uno spostamento lungo la FXUYD GL GRPDQGD per ;. Nella Figura 3.b.3.3,
infatti, sotto il grafico della curva prezzo-consumo compare il grafico con lo stesso asse
orizzontale, riferito appunto al consumo di ;, e sull'asse verticale i diversi prezzi di ;; il
luogo di tali consumi di equilibrio per il compratore concorrenziale è ovviamente la sua curva
di domanda.
Notiamo pure il grafico in alto a sinistra, che porta sugli assi il prezzo e la quantità di
49
<: rappresenta dunque lo spazio della curva di domanda per < (con una rotazione di novanta
gradi: basta girare il foglio in senso orario per ritrovarlo in forma "normale"). La curva
prezzo-consumo rivela che cambiando il prezzo di ;, cambia anche il consumo di <; e
siccome il prezzo di < non è cambiato, LOPXWDPHQWRGHOSUH]]RGL;VSRVWDODGRPDQGDSHU
<. Il consumo del bene < è dunque funzione, oltre che del reddito e del prezzo di <, anche del
prezzo di ;: < 5 3 3 . Questa relazione è quadridimensionale, e dunque una
< ;
ipercollina; la singola curva di domanda ne è uno spaccato bidimensionale, che varia dunque
con ambedue le variabili escluse (il reddito, il prezzo di ;). In generale, con Q beni, il
consumo di ognuno di questi è una funzione a (Q + 2) dimensioni: ogni consumo è infatti
funzione del reddito e di tutti i prezzi.
/
HTXLOLEULRHFRQRPLFRqXQHTXLOLEULRJHQHUDOHSURSULRSHUFKq JOL HTXLOLEUL GHL
VLQJROLPHUFDWLVRQRLQWHUGLSHQGHQWL Lo vediamo qui per quanto riguarda il consumo, lo
vedremo poi per quanto riguarda la produzione. Il punto è fondamentale: chi non capisce
l'economia come un sistema di equilibri interdipendenti non la capisce, e rimane "naïf".
Immaginiamo una falda aquifera che rende comunicanti diversi laghi: il naïf che non ne
capisce le implicazioni pensa che se cala il livello dell'acqua del lago che ha davanti agli
occhi la spiegazione pure deve essere davanti ai suoi occhi, e incolpa magari il ragazzino col
secchiello.
Variando poi il consumo di < con il prezzo di ; si può ovviamente calcolare
O
HODVWLFLWjLQFURFLDWD, ossia G<<G3 3 . Il vincolo di spesa vincola pure il rapporto tra
; ;
tale elasticità incrociata e l'elasticità della domanda di ; (l'elasticità "propria", ossia della
quantità rispetto al proprio prezzo). Se, come nel grafico, la pendenza della curva prezzo-
consumo è positiva, l'elasticità incrociata è negativa G<!G3 , e l'elasticità propria è
;
di <, e dunque dato 3 aumenta la spesa per <, allora diminuisce la spesa per ;, per cui la
<
aumenterebbe la spesa per ; e diminuirebbe dunque quella per <, per cui dato 3 cala il <
consumo di <; G< per G3 , e l'elasticità incrociata è positiva. La pendenza negativa
;
superiore a uno l'elasticità della domanda di ; (per cui calando 3 la spesa per ; aumenta) e
;
negativa l'elasticità incrociata di < (per cui aumenta pure la spesa per <), ma allora l'elasticità
incrociata di = sarebbe per forza fortemente positiva (per ridurre abbastanza la spesa per = da
mantenere costante la spesa complessiva).
Approfittiamo di questo esempio per ricordare che i modelli sono volutamente
semplici, ma diventano troppo semplici quando portano a conclusioni che dipendono proprio
dalla semplificazione, e si perdono se si arricchisce il modello: il modello delle scelte su due
soli beni è utilissimo, ma come tutti i modelli va usato con giudizio.
per adeguarlo a quello esterno (706 , il rapporto dei prezzi). Questi risultati sono ambedue
Y
inevitabili, il primo per la non-sazietà (di fronte all'allentamento del vincolo), il secondo per
la differenziabilità.
Questi due aspetti sono utilmente considerati separatamente, come nella Figura
3.b.4.1. Calando 3 il consumatore si sposta da a : 8 aumenta da 8 a 8 , il consumo di
;
; passa da ; a ; , il consumo di < da < a < ; ; ; e < < sono gli effetti di prezzo.
Per isolare l'effetto corrispondente all'aumento di utilità, si immagina che questo avvenga a
prezzi costanti, con un incremento di reddito, e dunque con uno spostamento lungo la curva
reddito-consumo; per isolare l'effetto corrispondente al mutamento del tasso di sostituzione si
immagina che questo avvenga a utilità costante, e dunque con uno spostamento lungo la curva
di indifferenza.
Nella Figura, dunque, si costruisce il punto , sulla curva di reddito-consumo che
passa per i punto e la curva di indifferenza che passa per il punto . Il punto sarebbe
l'equilibrio su 8 , con un adeguato incremento di reddito, ai prezzi iniziali; ; e < sarebbero i
consumi corrispondenti, con 8 8 come nel punto . Il movimento dal punto al punto
si decompone in un movimento dal punto al punto , "di reddito", e dal punto al punto ,
"di sostituzione".
Considerando le proiezioni sugli assi di questi movimenti, JOL HIIHWWL GL SUH]]R VL
GHFRPSRQJRQR LQ HIIHWWL GL UHGGLWR H HIIHWWL GL VRVWLWX]LRQH. Nella Figura, l'effetto di
prezzo ; ; si decompone nell'effetto di reddito ; ; e l'effetto di sostituzione ;
; ; l'effetto di prezzo < < si decompone nell'effetto di reddito < < e l'effetto di
punto ). Gli effetti di sostituzione diventano dunque le proiezioni dello spostamento dal
punto al punto invece che dal punto al punto , e gli effetti di reddito le proiezioni dello
spostamento dal punto al punto invece che dal punto al punto . L'effetto di prezzo
rimane lo stesso, ma si decompone diversamente. Che si possano ottenere due risultati
diversi è fastidioso ma non grave; il problema è simile alla differenza percentuale tra 5 e 10,
che è del 100 per cento per un verso e del 50 per cento per l'altro. Come in quel caso,
peraltro, la differenza scompare per mutamenti infinitesimali.
Notiamo varie cose. Primo, nel caso illustrato dalla Figura l'effetto di reddito è
positivo per ambedue i beni: sono dunque ambedue "normali", ma potrebbero anche non
esserlo. Secondo, l'effetto di sostituzione è negativo per < ma positivo per ;; e questo non
può essere diversamente, visto che dipende dall'adeguamento del 706 al 706 , e la funzione
R Y
potere d'acquisto aumenta infatti notevolmente se si dimezza il prezzo di un bene che assorbe
la metà della mia spesa, per cui i consumi che esaurivano il mio reddito adesso ne assorbono
solo i tre quarti; ma se si riduce del due per cento il prezzo di un bene che assorbe la metà
51
della mia spesa, o se si dimezza il prezzo di un bene che assorbe il due per cento della mia
spesa, il mio potere d’acquisto cambia di poco, chè i consumi che esaurivano il mio reddito ne
assorbono tuttora il novantanove per cento.
L'espressione algebrica della decomposizione dell'effetto di prezzo (per mutamenti
infinitesimali) è nota come O
HTXD]LRQHGL6OXWVN\, che si può scrivere nella forma seguente:
G;G3 G;G3
; ; XWLOLWjFRVWDQWH ;G;G5 SUH]]LFRVWDQWL
H H 3 ;5H
' & ; 5
dove H è l'elasticità del consumo di ; al proprio prezzo per spostamenti lungo la curva di
&
indifferenza.
Come abbiamo visto, G;G3 è necessariamente negativo (se 3 cala,
; XWLOLWj FRVWDQWH ;
un bene inferiore, invece, la pendenza negativa "normale" della domanda richiede che l'effetto
di sostituzione (positivo per G3 ) ecceda l'effetto di reddito (negativo per G3 ); e
; ;
indifferentemente lungo l'intero vincolo 706 706 , come appunto per i francobolli, o su
R Y
53
uno degli assi (se i francobolli da cinquecento costassero quattrocento lire, il consumatore
comprerebbe solo quelli, come nel grafico superiore la Figura 3.b.5.1). Al limite opposto la
curva di indifferenza è ad angolo retto: i beni sono utili solo se consumati in una certa
proporzione, la sostituzione possibile è nulla, e i beni sono ovviamente VWUHWWDPHQWH
FRPSOHPHQWDUL (come nel grafico inferiore della Figura). In questo caso, si noti bene, i beni
sono complementi stretti se non sono affatto sostituti, e sostituti perfetti se non sono affatto
complementari (ossia non è mai preferito il consumo congiunto al consumo di uno solo);
complementarietà e sostituibilità sono due modi di considerare un'unica cosa, come nel caso
di un bicchiere che tanto più è pieno tanto meno è vuoto, e scompare il concetto di
indipendenza.
Per recuperare il quadro più ricco bisogna considerare almeno tre beni: 8 8;<=.
In questo caso la curva di indifferenza è una superficie tridimensionale, e O
HODVWLFLWj
LQFURFLDWDDXWLOLWjFRVWDQWHSXzHVVHUHQHJDWLYD]HURRSRVLWLYD: se è negativa, i beni sono
complementari (se cala il prezzo della benzina, si usa di più l'automobile al netto dell'effetto
di reddito); se è positiva, sono sostituti (se cala il prezzo del treno, si usa di meno
l'automobile, al netto dell'effetto di reddito); e se è zero, sono indipendenti. In questo caso,
dunque, complementarietà e sostituibilità corrispondono di nuovo a due cose diverse, e nel
caso dei beni indipendenti sono nulle sia l'una che l'altra: come nel caso di un foglio di carta,
che se è bianco non è nè nero nè rosso.
Come sopra, però, il rapporto tra un bene e l'insieme degli altri non può essere che di
sostituzione: possono dunque essere complementi non tutti i beni ma al massimo tutti meno
uno, sostituti dell'ultimo, mentre tutti possono essere sostituti.
come nel primo grafico della Figura 3.b.6.1. Variando 3 , il consumatore può sempre
;
acquistare la stessa quantità massima di <, < 53 ; il suo vincolo ruota pertanto intorno a
0 <
quel punto < . Con prezzi positivi per ambedue i beni, la pendenza del vincolo è
0
verso destra; lo stesso punto < è l'equilibrio per un prezzo infinito, o comunque
0
sufficientemente alto, di <. Supponiamo poi che per < passi la curva di indifferenza 8 ;
0
siccome gli equilibri con consumi diversi da ; ; < sono necessariamente preferiti a
0
punto, ossia per prezzi vicini a quel massimo, la curva prezzo-consumo ha necessariamente
pendenza negativa. Ritroviamo il risultato già notato per le curve di domanda lineari: per
prezzi alti e consumi bassi, la domanda è elastica. Ne vediamo adesso il motivo: per
consumi bassi l'effetto di reddito è poca cosa, e l'elasticità incrociata (per il complesso degli
altri beni) è positiva perchè dominata dall'effetto di sostituzione.
Se poi i beni sono abbastanza complementari, sia nel senso che sono ambedue
superiori con elasticità al reddito simili (e dunque giocoforza prossime all'unità, nel qual caso
54
limite le curve reddito-consumo sono rette che partono dal punto di origine degli assi), sia nel
senso che le curve d’indifferenza sono abbastanza convesse (per cui anche a prezzi molto
bassi di ; il consumatore non consuma solo ;), allora abbassandosi a sufficienza il prezzo di
; e aumentando dunque a sufficienza il consumo di ; e l’effetto di reddito positivo sul
consumo di <, quest'ultimo effetto domina l'elasticità incrociata: in tal caso, come nella
Figura 3.b.6.1, ODFXUYDSUH]]RFRQVXPDVLDSSLDWWLVFH H SRL ULVDOH. Per prezzi calanti di ;
l'elasticità della domanda di ; è dunque inizialmente alta, poi unitaria (per 3 3 , nel
; ;
grafico), e poi inferiore a uno, appunto come la GRPDQGDOLQHDUH. Quest'ultima è dunque una
rappresentazione semplificata di una domanda dominata inizialmente dall'effetto di
sostituzione, come è inevitabile, ma poi dagli effetti di reddito. L'unica stranezza della
domanda interamente lineare è la limitazione del consumo anche a prezzo zero, che è
palesemente in violazione dell'ipotesi della non sazietà; a essere precisi la stranezza è
nell'asimmetria che esige che le curve di indifferenza diventino parallele all'asse ; (da cui il
consumo limitato anche a prezzo zero) ma non all'asse < (da cui il prezzo di domanda limitato
anche a consumo zero). Di fatto, dunque, per preferenze "normali" simmetriche e convesse,
la domanda lineare è una buona approssimazione della curva di prezzo-consumo a forma di
"U", tranne che per prezzi o consumi quasi nulli.
Il secondo grafico della Figura rappresenta appunto la domanda lineare per ;, con
prezzo di domanda massimo 3 , e elasticità unitaria a 3 3 : calando il prezzo da
;0 ; ;0
consumo di <, per cui in ogni equilibrio < 53 ;3 ; fermo restando il denominatore,
; <
calando 3 il numeratore dapprima cala e poi risale, con un minimo a 3 3 ; a quel prezzo
; ; ;
di ; il consumo di < è dunque al minimo dato 5 e 3 . Nel primo grafico, tale consumo
<
minimo è indicato da < . Il terzo grafico rappresenta invece la domanda per <, che si sposta,
P
dato 5, come cambia 3 . La domanda ' , la più a destra, corrisponde a un prezzo di ; pari
; <0
o superiore a 3 ; dato 3 , < < 53 . Calando 3 , ' si sposta verso sinistra, fino a '
;0 < 0 < ; < <
per 3 3 , nel qual caso < < ; calando ancora 3 , ' si risposta verso destra.
; ; P ; <
Se invece come nella Figura 3.b.6.2 l'elasticità incrociata rimane sempre dominata
dall'effetto di sostituzione, o perchè i beni sono abbastanza sostitutivi, o perchè l'effetto di
reddito è forte per ; e debole per <, allora la curva prezzo-consumo non risale mai. La
domanda di ; è dunque sempre elastica, almeno finchè l'operatore consuma anche <; se
(come appunto nella Figura) a prezzi di ; abbastanza bassi consuma solo ;, la curva prezzo-
consumo coincide allora con quell'asse, e con ;3 5 l'elasticità della domanda di ; è per
;
che la domanda di trasporti (' ) sia fortemente anelastica, ma che il trasporto su rotaia sia un
W
sostituto perfetto disponibile al prezzo 3 . A prezzi bassi, inferiori a 3 , ' coincide con ' ,
U U V W
ed è dunque anelastica; ma ' diventa piatta, con elasticità infinita, al prezzo 3 (Figura
V U
3.b.6.3, grafico superiore). Tornando poi alla domanda per visoni (' ), possiamo ipotizzare
Y
che sia anelastica a prezzi abbastanza alti per farne uno "status-symbol", mentre a prezzi bassi
troverebbe un sostituto perfetto nella pelliccia di coniglio disponibile a prezzo 3 (Figura F
3.b.6.3, grafico inferiore). In ambedue i casi la domanda per il bene in esame è elastica
quando quel bene è uno di un insieme di beni funzionalemente simili (trasporti, pellicce senza
status), e anelastica quando quel bene coincide con il complesso del caso (unico mezzo di
trasporto usato, unica pelliccia con status).
53 , che corrisponde alla quantità di < che l'operatore può consumare a qualsiasi prezzo di
<
;.
Nulla cambia, nei grafici, se invece di definire tale punto fisso specificando 5 e 3 lo <
sua intera dotazione in una somma di danaro 5 3 < con la quale può sempre ricomprare la
< R
dotazione iniziale, o un'HFRQRPLDGLEDUDWWR, in cui il prezzo relativo dei due beni è dato non
dal rapporto dei due prezzi in moneta ma direttamente dalla UDJLRQHGLVFDPELR.
Per qualsiasi prezzo relativo, infatti, l'operatore sceglie le quantità di ; e di < che
vuole consumare esattamente come prima. La differenza è solo nel racconto: invece di dire
che l'operatore decide quanto comprare dei due beni spendendo danaro dato, diciamo che
converte i suoi beni dati in danaro per poi decidere quanto comprare dei due beni spendendo
quel danaro, oppure che decide quanto < scambiare con ; al tasso definito dal loro prezzo
relativo. Partendo dal punto < , infatti, compra comunque ; vendendo, al netto, < <;
R R
la curva prezzo-consumo rappresenta nel contempo la domanda per ; e l'offerta di <, che
sono appunto come si diceva due modi di vedere un'unica cosa.
Questo caso si può ovviamente generalizzare immaginando un punto fisso che
corrisponda ad una dotazione iniziale con quantità positive di ambedue i beni, ; !< ! R R
, come nella Figura 3.b.7.1. Nel grafico superiore sono indicate solo tali dotazioni, e la
curva di indifferenza corrispondente, 8 . R
Il vincolo dell'operatore è dato ovviamente dalla retta dei prezzi che passa per ; < , R R
grafico inferiore sono indicati tre vincoli possibili, numerati : le pendenze sono date
dal prezzo relativo dei due beni, la posizione, lo ripetiamo, dal punto fisso che corrisponde
alla dotazione iniziale.
Il vincolo è tangente a 8 nel punto ; < : l'equilibrio corrisponde alla stessa
R R R
dotazione iniziale, e il mercato non offre all'operatore nulla di utile, proprio perchè il 706 Y
non è diverso dal 706 . Con il vincolo , invece, ; vale relativamente poco, e <
R
sulla curva prezzo-consumo che nasce in ; < e si trova nello spazio a sud-est di tale punto
R R
e sopra a 8 .
R
56
Ma la curva prezzo-consumo non è tutta qui. Con il vincolo , infatti, ; vale
relativamente tanto, e < relativamente poco; l'operatore si avvantaggia spostandosi lungo il
vincolo fino a ; < , vendendo dunque ; ; e comprando < < . Questo equilibrio si
R R
trova ovviamente sulla curva prezzo-consumo che nasce in ; < e si trova nello spazio a
R R
nord-ovest di tale punto e sopra a 8 . Ricordiamo il contadino che si presenta sul mercato
R
con il suo raccolto (2.f.2): in questo caso il contadino possiede, poniamo, grano e vino, per
ipotesi gli unici beni di consumo: compare a seconda dei prezzi relativi come venditore di
grano e compratore di vino, o viceversa.
Va segnalato a questo punto un problema semantico. In inglese, "domanda" e
"offerta" riferite alle curve nello spazio prezzo-quantità si chiamano "demand" e "supply". La
curva prezzo-consumo nello spazio dei beni si chiama "price-consumption line", ma anche,
nel contesto del baratto con disponibilità iniziali di beni, "offer curve": che si traduce pure
con "curva di offerta", creando però in italiano una confusione fra "offer curve" e "supply
curve", confusione che si risolve appunto controllando le variabili sugli assi.
Nel caso del consumatore dotato di reddito, il prezzo 3 che compare sull'asse
;
verticale del grafico centrale ha dimensione " (ceduti) per unità di ; (ricevuta)", e il
rettangolo di spesa 3 ; (che calando il prezzo aumenta e poi ricala) ha dimensione . Nel
;
contesto del baratto, il prezzo 3 è direttamente un prezzo relativo (la ragione di scambio),
;
con dimensione "unità di < (cedute) per unità di ; (ricevuta)", per cui il rettangolo di spesa
3 ; ha dimensione "unità di <", e corrisponde appunto alla quantità complessiva di <
;
venduta, ossia all'offerta di < a quel prezzo relativo (parametrico); e così pure il ricavo per la
vendita di <, ossia 3 <, ha dimensione "unità di ; (ricevute) per unità di < (cedute), per unità
<
o più bassi di ; si spende di meno, ossia con prezzi più bassi o più alti di < se ne vende di
meno.
Le stesse informazioni si trovano nel grafico superiore, dove le vendite di < si
misurano da < . Il consumo minimo < , e dunque la vendita massima < < , si ottiene con
R P R P
la retta dei prezzi 3 ; l'operatore vende meno < non solo a prezzi di < più bassi (la retta 3 )
ma anche a prezzi di < più alti (la retta 3 ). Come la curva prezzo-consumo cambia
57
direzione, da sud-est a nord-est, l'elasticità della domanda di ; passa da maggiore di uno a
minore di uno, e l'elasticità dell'offerta di < passa da maggiore a minore di zero. Ne consegue
che LQXQFRQWHVWRGLEDUDWWRIUDGXHEHQLQRUPDOL, superiori e poco sostituti, OHFXUYHGL
GRPDQGD VRQR DSSURVVLPDWLYDPHQWH OLQHDUL H OH FXUYH GL RIIHUWD FRUULVSRQGHQWL D
SHQGHQ]DLQL]LDOPHQWHSRVLWLYDPDSRLQHJDWLYD.
Notiamo pure che se la curva di domanda è lineare fino all'asse, e a quell'intercetta
come sappiamo perfettamente elastica, la curva di offerta pure avrà un'intercetta con elasticità
infinita, come nel grafico inferiore per 3 3 ; l'elasticità dell'offerta sarà a sua volta
<
unitaria a un prezzo ovviamento intermedio tra quel prezzo, al quale iniziano le vendite, e
quello più alto al quale la quantità venduta à massima e l'elasticità dell'offerta pari dunque a
zero. Nel grafico, l'elasticità unitaria dell'offerta si verifica per 3 3 . <
Tutto ciò non è irrilevante, anche perchè il commercio nasce sempre come semplice
baratto. Nel caso particolare del commercio tra Europa e Africa precoloniale, per esempio, si
nota un tendenza all'aumento continuo del prezzo pagato per gli schiavi (misurato nei beni
contro i quali venivano scambiati), mentre da ogni singola zona costiera le esportazioni di
schiavi prima esplodevano e poi calavano. Gli storici anche economici, pensando che le
curve di offerta "normali" sono sempre a pendenza positiva, ci vedono la prova che la tratta
spopolava l'Africa; l'economista avveduto capisce che le correlazioni osservate si conciliano
pure con l'ipotesi molto meno drammatica che per gli Africani i beni importati e gli schiavi
erano ambedue superiori, e poco sostituti.
Immaginiamo che tra i due periodi ci sia inflazione. Se non cambiano i prezzi relativi
qualsiasi prezzo, e dunque qualsiasi ponderazione, ne dà la stessa misura, che è poi come già
sappiamo esattamente l'aumento di 5 necessario per riportare il consumatore all'equilibrio
precedente. Le cose diventano invece interessanti se i prezzi relativi cambiano; ipotizziamo
dunque che sia aumentato solo il prezzo di ;.
La Figura 3.b.9.1 illustra cosa succede se il consumatore è stato compensato con , ,
al punto %, con una perdita di benessere. Siccome 5 3 ; 3 < , la compensazione con ; <
, 3 ; 3 < 3 ; 3 < gli permette di ricomprare nell'anno i beni comprati
; < ; <
58
parallelo a 9 ma passa per ; < , come 9 . Di fatto, dunque, la compensazione con ,
% $
trasforma il nostro consumatore da uno con disponibilità di reddito in uno con disponibilità di
beni ; < , come il contadino al punto precedente; e siccome i prezzi relativi sono diversi da
indice sovrastima l'aumento di reddito necessario per evitare una perdita di benessere. Se
definiamo l'inflazione dall'aumento necessario del reddito, in termini percentuali, l'indice la
sovrastima; se definiamo l'inflazione dall'aumento dell'indice, la compensazione necessaria è
minore dell'inflazione.
La Figura 3.b.9.2 illustra cosa succede se il consumatore è stato compensato invece
con , , ossia portando il suo reddito da 5 a , 5. Le lettere $, %, e & hanno lo stesso
significato che nella Figura precedente; ma in questo caso conviene ragionare a ritroso. Con
il reddito compensato, e i prezzi dell'anno , dunque, si trova in &, tangenza di 8 e 9 , e & &
consuma ; < ; , 5 3 ; 3 < , così come 5 3 ; 3 < . Siccome però ,
; < ; <
3 ; 3 < 3 ; 3 < , ovviamente 5 , 5, 3 ; 3 < 3 ; 3 < :
; < ; < ; < ; <
la compensazione con , è tale che l'anno precedente, con il reddito e i prezzi di allora,
avrebbe potuto comprare sia ; < che ; < , ossia scegliere tra $ e &. Il vincolo
originale, 9 , passa dunque per $ e per &; e con quel vincolo aveva preferito $, per cui 8
$ &
inadeguata: tale indice sottostima l'aumento di reddito necessario per evitare una perdita di
benessere. Se definiamo l'inflazione dall'aumento necessario del reddito, in termini
percentuali, l'indice la sottostima; se definiamo l'inflazione dall'aumento dell'indice, la
compensazione necessaria è maggiore dell'inflazione.
Segnaliamo a questo punto un'altra ambiguità semantica. Si capisce da quanto sopra
che ripristinare il SRWHUHGLDFTXLVWR, il UHGGLWRUHDOH, e il EHQHVVHUH sono la stessa cosa con
prezzi relativi invariati; non è così, però, se cambiano i prezzi relativi. L'unico uso
consolidato è quello di identificare il benessere con la curva di indifferenza; per potere di
acquisto si intende normalmente la possibilità di comprare un paniere particolare (che è poi il
significato degli indici), ma a volte si intende invece la possibilità di raggiungere un certo
benessere; e per reddito reale si intende o l'una cosa o l'altra, a seconda del contesto (in genere
il paniere in un contesto statistico-applicato, come nell'analisi macroeconomica, più spesso il
benessere in un'analisi teorica, microeconomica). Come per l'inflazione, o le stesse curve di
domanda e offerta, sta sempre al lettore chiedersi cosa esattamente ha in mente l'autore,
sperando che non abbia le idee confuse.
precedente con la Figura 3.b.9.1: l'aumento del prezzo riduce il reddito reale, ma lo sgravio
fiscale che restituisce alle famiglie la maggior spesa con consumi dati permette loro di
mantenere esattamente i consumi precedenti. Nella Figura, la benzina sarebbe il bene ;, tutti
59
gli altri beni il bene <. Se il vincolo iniziale era 9 , con equilibrio in $, e l’aumento del
$
prezzo della benzina sposta il vincolo in 9 , lo sgravio fiscale risposta il vincolo per farlo
%
passare di nuovo per $; ma il vincolo non ritorna a 9 . Diventa 9 , e il nuovo equilibrio sarà
$ &
non $ ma &, con un minor consumo di benzina e un maggior benessere, grazie appunto alla
sostituzione.
Per capirne la logica, immagini il lettore di disporre di 50 milioni l'anno, di cui ne
spende uno per andare una settimana a sciare. Lo stato interviene, per ipotesi, portando il
costo della settimana bianca a un miliardo e un milione, e regala al lettore un miliardo l'anno,
che gli permette di pagarsi esattamente i consumi precedenti, compresa la settimana a sciare,
ma che può spendere come vuole. Che farebbe il lettore? Manterrebbe immutati i suoi
consumi reali, o ridurrebbe il consumo dello sci per aumentare clamorosamente tutti gli altri
consumi?
continuare a vivere. Per simmetria, poniamo pure che ci sia un tempo minimo di riposo, 7 ; P
l'origine della collina è dunque 7 4 . Nella Figura compaiono tre curve prezzo-consumo,
P P
definite per tre diversi punti di origine; quella intermedia, che parte da 4 , corrisponde
P
alla Figura precedente, è ovviamente riferita all'individuo che ha un reddito indipendente, non
da lavoro, equivalente a 4 , che gli permette appunto di sopravvivere (e basta) anche se non
P
individuo ancora più ricco, che pertanto offre meno lavoro; come nel caso precedente, però, la
curva prezzo-consumo è a forma di "C", per cui la curva dell'offerta di lavoro conserva la
forma a "C" rovesciata.
Il caso del proletario è ben diverso: se non lavora ha 24 ore al giorno di tempo libero,
ma non consuma (altri) beni, per cui il suo vincolo ha come punto fisso l'origine . La
sua curva prezzo-consumo non inizia però in quel punto, bensì al punto 7 4 , ossia ai
P P
limiti della sussistenza: con un salario minore di 4 7 , infatti, muore, perchè o non
P P
mangia o non dorme. Come il salario si alza oltre quel minimo, la curva prezzo-consumo ha
nella Figura una pendenza iniziale positiva, a differenza di quelle dei borghesi; ha una
pendenza positiva anche per salari molto alti, come quelle dei borghesi, quando il reddito
indipendente diventa relativamente ininfluente; e nella fascia intermedia può avere una
pendenza sempre positiva, o, se a forma di "S", anche un tratto a pendenza negativa.
Riassumendo, si nota che DTXDOVLDVLVDODULRLSRYHULODYRUHUDQQRSLGHLULFFKL, e
che ODSHQGHQ]DGHOODFXUYDGLRIIHUWDGLODYRURWHQGHDGHVVHUHQHJDWLYDDVDODULDOWLSHU
WXWWL D VDODUL EDVVL DQFKH SHU L SRYHUL Storicamente, infatti, i periodi di salari reali alti
tendono a coincidere con orari di lavoro limitati, mentre a salari reali bassissimi si associano
orari di lavoro massacranti.
Questa analisi spiega la logica delle politiche coloniali inglesi, mirate ad aumentare
l'offerta di lavoro: in Africa imposero una tassa sulle persone per impoverirle, nelle colonie
"bianche" vietarono la libera occupazione della terra (col risultato peraltro di dirottare gli
emigranti verso gli Stati Uniti).
poveri lavoreranno allora sempre a tutto spiano, e i ricchi pure, per un salario che supera un
certo minimo. Nel caso illustrato, anzi, il G4 che compensa G7 7 è minore di 4 , e i
P P
destra; ma essendo poi i suoi consumi praticamente indipendenti dai suoi sforzi il salario
reale è praticamente zero. Gli individui egoisti, non più obbligati a lavorare dallo spettro
della fame, devono essere dunque obbligati a lavorare per costrizione diretta: se il
comunismo sovietico che usava il salario per incentivare il lavoro era di fatto per un marxista
serio un volgare capitalismo, sia pure di stato, il comunismo cinese che si voleva più avanzato
era di fatto un ritorno al primitivo sistema schiavista, sia pure di stato. L'unico modo di
uscire da questa trappola era la rieducazione, che avrebbe portato come si è detto al lavoro per
amore del prossimo: e questa si può vedere sia come la creazione dell'uomo nuovo del
NLEEXW], nobile e idealista, sia come il lavaggio dei cervelli orwelliano, che interiorizza la
compulsione senza renderla perciò meno opprimente e odiosa.
dato, e 9 ciò che viene ripreso dopo un anno, il tasso di interesse L si calcola, in percentuale,
come 9 9 9 ; nel nostro esempio, dunque, il tasso di interesse (ovviamente reale) è -
10%. In un economia monetizzata il tasso di interesse nominale non può essere negativo: se
infatti la banca mi pagasse per prendere soldi in prestito, chiederei dei prestiti infiniti.
Normalmente, nel mercato del danaro, anche l'interesse reale è positivo; ma può anche essere
negativo, e lo è abbastanza spesso appunto in periodi di inflazione. L'interesse reale L è 5
intertemporale per rimandare i consumi; nel grafico inferiore tale sentiero è squilibrato verso
il futuro, con ; < , e l'operatore userà il mercato per anticipare i consumi. Il primo caso
R R
può rappresentare il lavoratore che sta per collocarsi a riposo, e si aspetta dunque una
riduzione dei guadagni da lavoro; il secondo, lo studente che si aspetta un aumento di reddito
dopo la laurea, o anche il figlio di famiglia abbiente che ottimizza i consumi emettendo
cambiali "a Babbo morto".
Se aumenta il tasso di interesse, aumenta nel grafico la pendenza del vincolo, che
ruota intorno al punto fisso dato dal punto delle dotazioni (linee tratteggiate). Il bene-adesso
; vale di più, rispetto al bene-dopo <: è intuitivo, e ovvio dal grafico, che l'aumento
dell'interesse giova a chi lo riceve perchè rimanda i consumi, ossia vende beni-adesso e
compra beni-dopo, e danneggia chi invece lo paga perchè si trova nella posizione speculare.
Torniamo brevemente sul significato politico di questa analisi. L'interesse lo lucra chi
rimanda i consumi: insegnava l'economia borghese d'un tempo che un interesse positivo è
necessario per compensare il sacrificio del capitalista, che appunto "si astiene" dal consumare
i suoi averi. Nel contesto di allora, in cui l'opulenza della borghesia contrastava con la
miseria dei proletari, era perlomeno paradossale attribuire "l'astinenza" ai grassi piuttosto che
ai denutriti; ebbe buon gioco Marx a schernire tale modo di interpretare le cose.
Aggiungiamo poi che se il problema è quello della redistribuzione intertemporale indicato da
Friedman, peraltro insospettabile, può convenire come nel nostro esempio rimandare i
consumi anche con un interesse negativo: se vi è complementarietà tra i consumi dei diversi
periodi, la "grande bouffe" che consuma tutto oggi non ci sarebbe nemmeno a interesse zero.
dopo due 9 L9 L 9 ; ne consegue che il YDORUHDWWXDOH di una somma futura
sconto", in quanto $110 futuri vengono "scontati" a $100 attuali), dunque, si determina il
valore attuale anche di ciò che ha valore oggi solo perchè avrà valore domani: come le azioni
di nuove società che per ora hanno solo perdite, ma hanno un valore positivo che è appunto il
valore attuale del valore futuro giustificato dai guadagni attesi in quel futuro.
Immaginiamo una serie di redditi pari a 5 annuo da oggi e per Q anni ancora. Il valore
attuale dell'intera serie è la FDSLWDOL]]D]LRQH . di questi, ossia la somma dei redditi scontati:
. 5 >5 L@>5 L @>5 L @, che ovviamente varia direttamente
Q
Q
con 5 e Q e inversamente con L: come aumenta il tasso d'interesse, infatti, si riducono gli
equivalenti attuali dei valori futuri (e quanto più sono lontani, tanto più si riducono). Nel
caso di una serie infinita di redditi 5, il valore attuale è semplicemente . 5L: infatti dato L
sarebbe appunto 5 il rendimento perpetuo ottenibile da una somma . (con un interesse del
10% si ottiene con $1000 un rendimento perpetuo di $100/anno, per cui il valore attuale di
tale rendimento perpetuo è appunto $1000). Dimezzandosi il tasso di interesse, raddoppia
dunque il valore attuale di un dato rendimento perpetuo; il valore attuale dello stesso
rendimento annuo limitato nel tempo aumenta pure, ma di meno, e tanto meno quanto più è
limitato (infatti se il tasso d'interesse annuo passa dal 10% al 5% il valore attuale di $100
adesso e tra un anno aumenta solo da $190.91 a $195.24, mentre il valore attuale di
$100/anno per sempre aumenta da $1000 a $2000).
Se l'operatore può scegliere tra sentieri di disponibilità alternativi, sceglierà quello con
il massimo valore attuale. Nella Figura 3.b.14.1, che mantiene le convenzioni dei grafici
immediatamente precedenti, si ipotizza che l'operatore possa scegliere tra i due punti $, che
corrisponde a ; < , e %, che corrisponde a ; < !< : come se avesse due anni di
$ $ % % $
vita, e potesse lavorare da subito ottenendo ; e poi < , oppure studiare per un anno, senza
$ $
guadagno, per poi guadagnare più del doppio. Conviene, ovviamente, la scelta che porta
all'utilità più alta; siccome però il vincolo dei consumi è lineare, e passa per il punto scelto, è
ovvio che il sentiero migliore dipende unicamente dalla pendenza del vincolo e dunque dal
tasso di interesse, a prescindere dalla forma specifica delle curve di indifferenza. Con un
tasso di interesse basso, il vincolo ha una pendenza debole, e il punto % permette consumi
sempre superiori a quelli permessi da $ (rette solide); con un tasso di interesse alto il vincolo
ha una pendenza forte, e il punto $ permette consumi sempre superiori a quelli permessi da %
(rette tratteggiate). Aumentando il tasso di interesse, dunque, si ribalta la graduatoria dei
valori attuali, che corrispondono alle intercette dei vari vincoli con l'asse orizzontale.
Nel caso, conviene investire nello studio solo se il tasso di interesse è
sufficientemente basso; nel caso contrario, conviene anticipare il guadagno, anche se minore.
Si tocca qui un risultato che è uno dei postulati della macroeconomia: che a tassi di interesse
minori corrispondono appunto investimenti maggiori.
U @ >5 L U @, che ovviamente varia inversamente con U oltre che con L.
Q
Q
Questa formulazione è ovviamente molto generale: U può dipendere infatti non solo dalle
condizioni oggettive (la probabilità dei vari avvenimenti), ma anche dall'atteggiamento
soggettivo dell'operatore di fronte all'incertezza.
Per separare questi due aspetti del problema si distingue tra il valore atteso, oggettivo,
e l'utilità attesa, soggettiva; e per non complicare l'esposizione tralasciamo l'aspetto
prettamente intertemporale (ipotizzando di fatto o un tasso di interesse pari a zero, o una
risoluzione immediata dell'incertezza, per cui il tempo comunque non conta). Il YDORUHDWWHVR
9 è l'aspettativa matematica dei ricavi, ossia la somma dei ricavi possibili 5, ponderati con le
D
loro probabilità S: 9 S 5 S 5 Assumiamo che questi ricavi siano alternativi, per
D
cui di fatto se ne verificherà uno e solo uno; in questo caso le probabilità S sommano
ovviamente a uno. Sempre in questo caso di ricavi alternativi, per XWLOLWj DWWHVD si intende
invece la somma ponderata, con le stesse probabilità, delle utilità associate ai vari ricavi: 8 D
dell'operatore.
Si consideri la Figura 3.b.15.1. Il nostro ha un reddito 5 di $400 (periodico), e, dati i
tempi, una probabilità del 20% di subire furti per $300 (sempre periodici); il valore atteso del
suo reddito è dunque (8/10)$400 + (2/10)$100 = $340. Immaginiamo pure che possa
assicurarsi contro il furto, e vedersi rimborsati i $300 eventualmente persi, al costo
(periodico) di $60; può dunque scegliere tra un reddito netto sicuro di $340, e un reddito
aleatorio di pari valore atteso. Nel grafico superiore, la sua funzione di utilità esibisce un
utilità marginale del reddito decrescente: in questo caso, ovviamente, 89 ! 8 , eD D
l'operatore si assicura. Nel grafico inferiore, la sua funzione di utilità esibisce un utilità
marginale del reddito crescente: in questo caso, ovviamente, 89 8 , e l'operatore non si
D D
assicura.
Notiamo subito l'aspetto metodologicamente interessante: il comportamento
dell'operatore rivela appunto la curvatura della funzione di utilità. Nel caso della scelta tra
due beni, avevamo notato, vengono rivelate le curve di indifferenza, ossia una funzione di
utilità ordinale: qualsiasi trasformazione monotonica della stessa vale quanto un'altra, e le
due rappresentazioni dei grafici della Figura rimangono indistinguibili. Nel caso della scelta
fra risultati aleatori, invece, viene rivelata una funzione di utilità cardinale, che distingue
appunto i due casi dei grafici e non ammette pertanto come quella ordinale qualsiasi
trasformazione monotonica. Per la precisione, ammette solo una trasformazione affine, della
forma \ D[E: l'unità di misura è arbitraria, ma una volta scelta la funzione è definita, e
rimangono paragonabili non solo i livelli (maggiori o minori) ma anche gli intervalli
(maggiori o minori). Esattamente come la misura della temperatura: i gradi sono arbitrari,
ma il valore in gradi Fahrenheit è legato a quello in gradi Centigradi dalla formula appunto
lineare ) &.
Dicono poi gli economisti che l'individuo rappresentato dal grafico superiore della
Figura è DYYHUVRDOULVFKLR, mentre l'altro, speculare, lo gradisce; ma qui si confondono forse
due cose che andrebbero distinte. Infatti è vero che l'individuo del grafico superiore si
assicura, ma si assicura per via del suo atteggiamento al reddito piuttosto che al rischio:
accetterebbe infatti in regalo qualsiasi biglietto di lotteria (anche se preferirebbe ovviamente
66
ricevere il valore atteso del premio), mentre uno avverso al rischio come tale lo rifiuterebbe
perchè non dormirebbe più.
Nella visione ortodossa, infatti, è problematico il comportamento peraltro comune
degli individui che da un lato si assicurano, e dall'altro comprano biglietti di lotteria (che
tipicamente poi costano molte volte il loro valore atteso): si conciliano le cose solo con
l'ipotesi assolutamente "ad hoc" e dunque inelegante che l'utilità marginale del reddito è
prima calante e poi crescente, e per ognuna di queste persone la funzione cambia curvatura
proprio dove si trova... Se si riconosce invece che una cosa è la curvatura della funzione di
utilità, e un'altra l'eventuale piacere del gioco di azzardo, il problema scompare: i biglietti
della lotteria si comprano come le caramelle, ottimizzando la spesa, per il gioco e non per il
premio che ne è solo la scusa; l'assicurazione si compra come si investe nello studio, per
ottimizzare il profilo del reddito netto.
l'abbiamo visto, i costi marginali sono costanti e uguali ai prezzi, parametrici, per cui il
vincolo è una retta; per l'operatore dotato di potere di mercato i prezzi e i costi marginali
relativi variano con le quantità (positivamente per gli acquisti, negativamente per le vendite),
per cui LOYLQFRORqFXUYRHFRQYHVVRGDOO
DOWR, come nella Figura 3.c.1.1. Spostandosi lungo
il vincolo verso sud-est, infatti, si vende ; o si compra meno ;, e si compra < o si vende
meno <, riducendo il prezzo e il costo marginale relativo di ; e aumentando quelli di <.
Se l'operatore monopolista è un puro consumatore in un economia monetizzata e
dispone di una somma di danaro 5, il vincolo è 5 ;3 ;<3 < e ha come intercette
; <
sugli assi (53 per ; ) e (53 per < ). In tal caso, il vincolo si sposta se cambia 5 o se
; PD[ < PD[
cambia la curva di offerta di ; o di <; notiamo peraltro che perchè il vincolo sia curvo basta il
potere di monopolio in uno dei due mercati, in quanto 0& 0& varia anche se ad esempio
; <
sia ambedue acquistati, sia in un contesto di baratto vendendo < < per acquistare ; . Il
R H H
monopolista verifica che sia quello il punto raggiungibile preferito, dato appunto dalla
tangenza tra 9 e la sua curva d'indifferenza più alta raggiungibile, %; ci arriva fissando la retta
dei prezzi 3 che passa dal punto fisso, di origine, al punto di equilibrio, e lasciando che
l'operatore concorrenziale scelga di spostarsi lungo 3 fino all'equilibrio suo dato appunto
dall'intersezione tra questa e la sua curva prezzo-consumo 9.
Al punto di equilibrio, dunque, l'operatore concorrenziale è in equilibrio sulla sua
curva prezzo-consumo, con una tangenza tra il suo vincolo, che è la retta dei prezzi 3, e la sua
curva d'indifferenza più alta raggiungibile, che è nel grafico la tratteggiata $. Il monopolista
pure è in equilibrio, con una tangenza tra il suo vincolo, che è la curva prezzo-consumo della
controparte 9, e la sua curva d'indifferenza più alta raggiungibile, che abbiamo già
identificato nel grafico con la curva %. Essendo ambedue i contraenti in equilibrio, lo è il
mercato. Notiamo che in equilibrio i 706 dell'operatore concorrenziale sono uguali alla
pendenza di 3; quelli del monopolista alla pendenza di 0, più ripida di 3.
Immaginiamo per comodità, nel grafico inferiore, che il nostro monopolista lo sia solo
come acquirente di ;, e che 3 sia dato (per cui 3 0& ). Con quel prezzo dell'altro bene,
< < <
la sua domanda per ; è data da ', che corrisponde ai suoi benefici marginali (in moneta); ha
di fronte la curva di offerta 6, dell'operatore concorrenziale, al quale corrisponde la curva dei
costi marginali 0&. Sceglie 3 ; , che massimizza il suo beneficio netto, con 0%
;H H ;H
0& !3 , per cui ovviamente 0& 0& !3 3 : nel grafico superiore, appunto, 0 è
;H ;H ; < ; <
più ripida di 3.
Ritroviamo risultati già noti: nel grafico inferiore l'equilibrio 3 ; non è sulla ;H H
curva di domanda del monopolista, ma casomai sulla curva di pseudo-domanda. Nel grafico
superiore, la retta dei prezzi 3 è tangente alla curva di utilità & del monopolista: se fosse
anche lui concorrenziale, con prezzi relativi 3 consumerebbe ; !; , con benessere maggiore
L H
che non in equilibrio di monopolio. Nel grafico inferiore, infatti, con 3 parametrico ;H
aumentare gli acquisti senza far salire i prezzi corrisponde al triangolo di rendita definito
dalla curva di domanda, ; ; , e 0& 3 . Nel grafico superiore, dunque, l'ipotetico
L H ;H ;H
equilibrio concorrenziale alla tangenza fra 3 e & è sulla curva prezzo-consumo del nostro
operatore ((), che corrisponde alla sua curva di domanda; l'equilibrio di monopolio è più
vicino al punto di origine, sulla curva che possiamo chiamare pseudo-prezzo-consumo ()).
dato da ; < , sia ambedue acquistati, sia in un contesto di baratto vendendo < < per
H H R H
acquistare ; . Il monopolista verifica che sia quello il punto raggiungibile preferito, dato
H
appunto dalla tangenza tra 9 e la sua curva d'indifferenza più alta raggiungibile, %; e ci può
arrivare in due modi. Può infatti fissare la retta dei prezzi 3 che passa dal punto fisso, di
origine, al punto di equilibrio, e propone alla controparte uno scambio a quel prezzo di < R
< (più una caramella) contro ; ; oppure può fissare una serie di prezzi man mano più alti
H H
la sua domanda per ; è data da ', che corrisponde ai suoi benefici marginali (in moneta); ha
di fronte la curva di offerta 6
della controparte. Può catturare tutta la rendita generata dallo
scambio offrendo appunto prezzi infinitamente differenziati, che corrispondono dunque ai
suoi costi marginali, fino al massimo di 0& , oppure offrendo il prezzo 3 per la quantità
;H ;H
; (da prendere o lasciare), scegliendo ovviamente quel prezzo sulla curva dei suoi costi medi
H
$&
corrispondente ai marginali 6
; nel primo caso cattura il triangolo compreso tra ' e 6
,
nel secondo il trapezio equivalente definito da ', $&
e da ; . Nel grafico inferiore 0& !
H ;H
3.
Perchè 6
e non semplicemente 6? La risposta si vede dalla Figura 3.c.3.2, che
riproduce la Figura precedente con qualche elemento in più. Se nel grafico inferiore 6
fosse
effettivamente la curva di offerta di un operatore concorrenziale, corrispondente alla sua
curva prezzo-consumo, allora se potesse scegliere la quantità da vendere al prezzo 3 ;H
sceglierebbe ; ; ma dal grafico superiore vediamo che sceglie quella quantità solo se a quel
H
prezzo la tangenza con la sua curva d'indifferenza più alta raggiungibile capita proprio con
quella quantità, come con la curva 9 ; ma la tangenza con 3 potrebbe essere benissimo a
solo per l'ultimissima unità: venderebbe comunque ; solo se la tangenza della retta 0
,
H
parallela a 0, con la curva d'indifferenza più alta raggiungibile capitasse proprio a quella
quantità, come con 9 . Siccome però la pendenza di 0
è uguale a quella di 0, per ; ; la
H
pendenza di 9 deve essere la stessa di 9; e questo è vero per qualsiasi prezzo solo se le curve
di indifferenza del nostro sono traslazioni YHUWLFDOL l'una dell'altra, ossia se per lui l'unico bene
superiore è <, e ; non è nè superiore nè inferiore, con elasticità al reddito pari a zero. Se
invece anche ; è un bene superiore, la curva d'indifferenza tangente a 0
sarà non nella
posizione di 9 , ma a nord-ovest di questa, come 9 ; vende dunque ; ; al prezzo 0& ,
H H ;H
e nel grafico inferiore la curva di offerta 6 (che corrisponde alla curva prezzo-consumo che
passa per la tangenza di 0
e 9 ) passa per 0& ; e non per 0& ; .
;H H ;H H
la curva che collega le combinazioni di equilibri di prezzo e quantità per spostamenti lungo
una curva di indifferenza, e dunque corrisponde a questa così come la curva di domanda
(concorrenziale) corrisponde alla curva prezzo-consumo. Nel grafico inferiore, la domanda
compensata '& corrisponde a 8 : come questa infatti associa ; a 3 , e ; a 3 . A 8
; ;
Notiamo dal grafico inferiore che le curve di domanda compensate sono più ripide, e
dunque meno elastiche, della curva di domanda. Ricordiamo l'equazione di Slutsky in
termini di elasticità H H 3;5H , dove H è appunto l'elasticità della domanda
' & 5 &
compensata: H !H appunto perchè ; è un bene superiore, con H !, e dunque effetto di
' & 5
reddito positivo per riduzioni di 3 . Se infatti H , e l'effetto di reddito è nullo, nel grafico
; 5
superiore le curve reddito-consumo sarebbero verticali, come nella Figura 3.c.4.2; in quel
caso ; ; , ; ; , e le curve compensate coincidono tra di loro e con la curva di
domanda (che diventa pure invariante al reddito, e dunque unica per dati prezzi degli altri
beni). Ritroviamo così il risultato già notato per il venditore al punto precedente. Se infine H 5
effetti di reddito. Nella Figura 3.c.4.2, infatti, coincidendo nel grafico inferiore le curve di
domanda compensata tra di loro e con la curva di domanda, il trapezio di rendita definito dai
70
due prezzi e dalla curva di domanda, compensata o meno, è unico. Si ottiene dunque la stessa
cifra con la domanda compensata che corrisponde a 8 e con la domanda compensata che
grafico superiore dal punto al punto , infatti, si compensa il calo del prezzo togliendogli un
reddito pari a ; riportandolo dal punto al punto si compensa il movimento
pari a ), che corrisponde al trapezio definito da '& , maggiore del precedente, così
come appunto ! . Nella Figura 3.c.4.3, con ; inferiore, otteniamo il risultato
speculare: la compensazione equivalente alla riduzione del prezzo è maggiore, invece che
minore, di quella equivalente al movimento opposto, e . Geometricamente,
infatti, con ; superiore le curve di indifferenza più alte sono traslazioni non solo verso nord
ma anche verso est di quelle più basse, per cui le distanze verticali tra di esse si restringono
verso sud-est e si allargano verso nord-ovest, e viceversa con ; inferiore; date due curve di
indifferenza quali 8 e 8 , le coppie di parallele tangenti ad ambedue che sono sempre
verticalmente equidistanti in assenza di effetti di reddito (Figura 3.c.4.2) sono ad una distanza
verticale che aumenta con la loro pendenza se ; è superiore, e diminuisce con questa se ; è
inferiore.
Con effetti di reddito, dunque, vi sono due cifre diverse in dollari che corrispondono
allo stesso incremento di benessere, aggiunto o sottratto: tra un equilibrio e l'altro varia
dunque il tasso di sostituzione tra utilità e dollari, ossia l'utilità marginale di un dollaro
08. La rendita definita dalla curva di domanda concorrenziale, che è una cifra
intermedia, è tale perchè misurata con dollari di utilità marginale che non è costante, ma varia
tra i due valori corrispondenti alle due curve di domanda compensata.
71
4. L’EQUILIBRIO GENERALE: IL SISTEMA DEI MERCATI (A: puro scambio)
4.a.5. il monopolio
76
La Figura 4.a.5.1 illustra gli equilibri di monopolio; assumiamo che il potere di
mercato sia detenuto dall’operatore $.
Nel caso del monopolio semplice, ricordiamo, l’operatore % rimane concorrenziale, e
sceglie la quantità dato il prezzo; il monopolista $ sceglie il prezzo, ottimizzando dato il
vincolo del comportamento concorrenziale della controparte. Nel grafico superiore, che è la
solita scatola di Edgeworth, l'equilibrio di monopolio semplice di $ è illustrato dal punto HPVD.
Se il monopolista semplice è $, infatti, il suo vincolo è come sappiamo la curva prezzo-
consumo di %; l'equilibrio che massimizza l'utilità di $ dato questo vincolo è la tangenza fra
questo e la curva di indifferenza di $, al punto HPVD indicato.
Rispetto all'equilibrio concorrenziale HF per lo stesso punto iniziale L si notano varie
differenze. Primo, il prezzo relativo 3PVD fissato da $ è diverso da quello concorrenziale 3F:
la retta ha pendenza minore, per cui è relativamente più caro il bene < che $ vende, e meno
caro il bene ; che $ compra. Secondo, $ ottiene un incremento di utilità (una rendita)
maggiore, e % uno minore: 8$PVD!8$F!8$L, mentre 8%F!8%PVD!8%L. Terzo, l'equilibrio
non è più Pareto-efficiente, ossia non genera tutta la rendita ottenibile: in HPVD la curva di
indifferenza di % è tangente a 3PVD che incrocia 3&% alla quale è tangente la curva di
indifferenza di $.
Nel grafico inferiore, nello spazio delle utilità, l'equilibrio di monopolio semplice di $
si trova all'interno della curva delle utilità possibili, nel quasi-triangolo definito da questa,
l'utilità di equilibrio concorrenziale di $, e l'utilità iniziale di %.
Per analizzare il monopolio semplice sequenziale basta trattare il punto HPVD come un
nuovo punto L, trovare il nuovo equilibrio, e via di seguito: è ovvio che ripetendo
l'operazione ci si avvicina a volontà alla curva dei contratti, sempre all'interno delle aree
lenticolari che progressivamente si restringono.
L'equilibrio di monopolio perfettamente discriminante da parte di $ è illustrato invece
dal punto HPGD. Se il monopolista perfettamente discriminante è $, infatti, il suo vincolo è
come sappiamo la curva di indifferenza iniziale di %, che non guadagna nulla dallo scambio;
l'equilibrio che massimizza l'utilità di $ dato questo vincolo è la tangenza fra questo e la
curva di indifferenza di $, al punto HPGD indicato.
Rispetto all'equilibrio di monopolio semplice HPVD per lo stesso punto iniziale L si
notano varie differenze. Primo, il prezzo relativo medio fissato con la quantità da prendere o
lasciare è ancora più alto per il bene che il monopolista vende, e basso per quello che compra:
la retta da L a HPGD ha infatti pendenza minore anche di 3PVD, oltre che ovviamente di 3F.
Secondo, $ ottiene rispetto a L un incremento di utilità (una rendita) ancora maggiore, e % uno
nullo: 8$PGD!8PVD!8$F!8$L, mentre 8%F!8%PVD!8%L 8%PGD. Terzo, l'equilibrio è di
nuovo Pareto-efficiente, ossia genera tutta la rendita: in HPGD la curva di indifferenza di $ è
direttamente tangente alla curva di indifferenza di %.
Nel grafico inferiore l'equilibrio HPGD si trova ovviamente sulla curva dei contratti alla
verticale di L: il monopolio perfettamente discriminante genera tutta la rendita, ma viene tutta
accaparrata dal monopolista.
Per non appesantire il grafico superiore indichiamo solo gli equilibri di monopolio di
%; sono ovviamente costruiti specularmente a quelli di $. Nel grafico inferiore, il punto HPVE
di monopolio semplice si trova ovviamente all'interno del quasi-triangolo definito dalla curva
dei contratti, l'utilità di equilibrio concorrenziale di %, e l'utilità iniziale di $; il punto HPGE di
monopolio perfettamente discriminante si trova sulla curva dei contratti, orizzontalmente a
destra di L.
Ricordiamo infine l'equilibrio di monopolio bilaterale. Il punto di equilibrio non si
può prevedere; sappiamo solo che sarà anch'esso all'interno dell'area lenticolare, e
tendenzialmente sulla curva dei contratti, e che i due equilibri di monopolio perfettamente
77
discriminante ne segnano i limiti. Il problema vero del monopolio bilaterale risiede nelle
difficoltà del negoziato, che possono rimandare all'infinito (e dunque nella realtà impedire) il
raggiungimento di un accordo.
Dei monopoli unilaterali, poi, il monopolio perfettamente discriminante e il
monopolio semplice sequenziale sono interessanti come costruzioni intellettuali, ma di scarsa
rilevanza pratica: il monopolio di cui è ricco il mondo, e che il mercantilismo assecondava, è
ovviamente quello semplice o al massimo imperfettamente discriminante. Escludendo i casi
astrusi e riducendo dunque il monopolio a quello semplice, si raggiunge la conclusione
complementare ai teoremi fondamentali riferiti alla concorrenza perfetta: che LOPRQRSROLR
LPSHGLVFHLOUDJJLXQJLPHQWRGLHTXLOLEUL3DUHWRHIILFLHQWL.
Paragonando poi l'equilibrio concorrenziale con i due equilibri di monopolio semplice
e i due di monopolio discriminante notiamo che 8$PGD!8$PVD!8$F!8$PVE!8$PGE 8$L,
e 8%PGE!8%PVE!8%F!8%PVD!8%PGD 8%L: risultato che corrisponde perfettamente alla
variazione delle rendite nello spazio prezzo-quantità. L'intera gamma degli equilibri possibili
dipende poi dall'allocazione iniziale, che definisce l'area lenticolare degli scambi possibili e le
due curve prezzo-consumo, e si sposta con questa: in particolare, se invece che
dall'allocazione L lo scambio parte dall'allocazione L con utilità maggiore per $ e minore per
%, allora ognuno degli equilibri associati a L comporterà un'utilità maggiore per $ e minore
per % che non il corrispondente equilibrio associato a L: 8$FL!8$FL e 8%FL8%FL, e via di
seguito.
Se identifichiamo la distribuzione iniziale dei beni con la ricchezza, possiamo
riassumere quanto sopra notando che a scambi completati LOEHQHVVHUHLQGLYLGXDOHGLSHQGH
GDOOD ULFFKH]]D H GDO SRWHUH UHODWLYR GL PHUFDWR. Potere UHODWLYR, chè l'operatore senza
potere si ritrova meglio se anche la controparte è senza potere. Ricchezza, ma non ricchezza
relativa, anche se a risorse date la maggior ricchezza di uno non può essere che la minor
ricchezza di un altro, e dunque relativa: se aumentano le risorse, infatti, può aumentare il
benessere iniziale di tutti i contraenti--almeno stando alle ipotesi implicite nei nostri grafici,
sulle quali torneremo.
81
4.b.3. il vincolo e l’equilibrio
La massimizzazione della funzione obiettivo sociale ) )8$8%, che nello spazio
8$8% aumenta verso nord-est (anche se non necessariamente, abbiamo detto, verso nord o
verso est) è ovviamente vincolata direttamente dalla curva delle utilità possibili, che possiamo
identificare con 9 98$8%; indirettamente, è vincolata dalla disponibilità dei beni ; e <, e
dalle funzioni di utilità 8$ e 8% definite sui consumi di quei beni. Nel grafico superiore della
Figura 4.b.3.1 sono raffigurate nello stesso spazio delle utilità la funzione ), rappresentata da
alcune curve di indifferenza sociale, e la funzione 9, la curva delle utilità possibili.
Data due funzioni differenziabili, è ovvio che il massimo di ) dato il vincolo 9
corrisponde a un'equivalenza dei tassi marginali di sostituzione, nell'obiettivo e nel vincolo,
ossia a un equilibrio di tangenza: nel grafico, l'ottimo sociale corrisponde al punto .
Siccome l'ottimo sociale si trova sul vincolo, e il vincolo è il luogo delle combinazioni di
utilità Pareto-efficienti, è ovvio che l'ottimo sociale è Pareto-efficiente.
Il benessere sociale ) è funzione delle utilità, ma queste sono funzioni dei consumi
individuali, per cui il benessere sociale è a sua volta funzione dei consumi individuali. In
generale, ) )8$;$<$ 8%;%<%; sostituendo per le utilità si ottiene la funzione che
esprime il benessere direttamente in funzione dei beni ("goods"), ) )*;$<$;%<%.
Immaginiamo per fare un esempio usando funzioni semplicissime che ) 8$8%, 8$
;$<$, 8% ;%<%; con le dovute sostituzioni si ottiene il benessere come funzione
dei beni )* ;$<$;%<%.
Notiamo tre cose. Primo, questa relazione tra il benessere e i consumi individuali è
comunque mediata dalle funzioni di utilità, per cui se cambia ad esempio 8$ cambia di
riflesso anche )*; è ben diversa dunque da un eventuale funzione in cui il benessere sociale è
GLUHWWDPHQWH funzione dei consumi individuali, e invariante alle variazioni delle utilità
individuali ("Mao vuole che tutti portino la divisa blu").
Secondo, e di conseguenza, non si può in generale costruire )* senza misurare le
utilità individuali e ponderarle attraverso una funzione ). Il massimo della funzione )* è
infatti invariante a tali misure e tali pesi solo in casi molto particolari: se ad esempio )
rispetta il criterio paretiano della non sazietà, $ ama ; e odia perfino l'odore di <, e % ama < e
odia perfino l'odore di ;, allora con ;$ ; e <% < si massimizzano contemporaneamente
8$, 8% e ). Bastano infatti le curve di indifferenza degli individui per identificare la
distribuzione dei beni preferita da ambedue; e se le curve di indifferenza sociale non possono
avere pendenze positive quella distribuzione massimizza ) per qualsiasi ponderazione delle
utilità, e dunque per qualsiasi trasformazione monotonica delle stesse.
Terzo, gli argomenti della questa funzione )* si trovano nello spazio dei beni, ossia
della scatola di Edgeworth; questa si può dunque arricchire di una quinta dimensione,
verticale rispetto al piano dei beni come le dimensioni utilità, sulla quale misuriamo il livello
di ). Il benessere ) rappresenta dunque una terza collina, che possiamo proiettare nel
rettangolo ;< usando la solita convenzione cartografica.
Questa terza collina è derivata di fatto dalle altre due: dato il piano della nostra
scatola (il tavolo del grafico inferiore della Figura 4.a.1.1) da un punto qualsiasi che definisce
le allocazioni dei beni saliamo verticalmente fino a incontrare le due superfici delle utilità
individuali, di cui misuriamo i valori, per poi inserire questi nella funzione )8$8% e
ottenere i corrispondente valore di ). Mentre però le due colline delle utilità continuano a
salire come ci si allontana dal loro punto di origine, la terza collina, del benessere sociale, ha
una sommità all'interno dello spazio della scatola, come nel grafico centrale della Figura
4.b.3.1; la proiezione sul piano dei beni si presenta dunque come nel grafico inferiore della
Figura, con un punto interno di altezza massima, e per le altezza inferiori curve chiuse ad
anello intorno a questo punto.
82
Il grafico inferiore si ricostruisce facilmente da quello superiore, anche perchè già
sappiamo che nessun punto del grafico superiore esterno al vincolo compare in quello
inferiore, mentre ogni punto sul vincolo compare una volta in ambedue i grafici, e ogni punto
interno al vincolo nel grafico superiore compare due volte in quello inferiore. Il punto di
massimo ) è sul vincolo, e dunque sulla curva dei contratti, come lo sono i punti e .
Il pezzo della curva d'indifferenza sociale tra i punti e nel grafico superiore corrisponde
nel grafico centrale all'anello di iso-) che passa per i punti e della curva dei contratti. Il
punto nel grafico superiore, non Pareto-efficiente, è su quella stessa curva di indifferenza
sociale, con la stessa utilità per $ che non al punto e la stessa utilità per % che non al punto
; nel grafico centrale compare ai punti
e , alle due intersezioni della curva di
indifferenza di $ che passa per e della curva di indifferenza di % che passa per , e l'anello
di iso-) che passa per e passa dunque per
e . E così via.
Notiamo che con curve di indifferenza sociali in pendenza negativa nello spazio delle
utilità gli anelli di iso-) hanno curvatura maggiore delle curve di indifferenza individuali, per
cui l'anello che passa ad esempio per i punti e è interno all'area lenticolare definito dalla
curva di indifferenza di $ che passa per e dalla curva di indifferenza di % che passa per .
Con tali curve di indifferenza sociali, infatti, il calo di 8% è compensato da un adeguato
aumento di 8$, e viceversa. Se si spostano i consumatori dalla curva dei contratti al punto
lungo una curva di indifferenza di $ si riduce l'utilità di %, ma non aumentando quella di $
cala pure ); per mantenere ) bisogna che aumenti l'utilità di $.
Aggiungiamo a scanso di equivoci che gli anelli di iso-) sono di fatto curve di
indifferenza sociali, nello spazio dei beni; ma chiamarle così può creare confusione. Le curve
di indifferenza sociali nello spazio delle utilità, come le curve di indifferenza individuali nello
spazio dei beni, rappresentano infatti solo la funzione obiettivo, e sono invarianti per
mutamenti del vincolo corrispondente. Non così gli anelli di iso-), che sono specifici al
vincolo dei beni disponibili e dei gusti dati. Se aumentano le disponibilità di beni, ad
esempio, si ingrandisce la scatola nello spazio dei beni e si allenta il vincolo nello spazio
delle utilità. Nello spazio dei beni le curve di indifferenza individuali rimangono invarianti
rispetto ai propri assi; gli anelli di iso-) rimangono invarianti solo rispetto alle combinazioni
delle utilità (perchè rimangono invarianti le curve di indifferenza sociali nello spazio delle
utilità), per cui si allargano con la scatola. La collina sociale infatti si innalza: il vecchio
punto di massimo pure diventa un anello, e il nuovo massimo più alto si trova all'interno di
esso.
86
4.c.2. la natura dello sfruttamento
Il problema della retorica si ripropone a proposito dello sfruttamento: il vocabolo è
carico di connotati negativi, e ciò che si qualifica come tale è ciò che si vuole condannare
come violazione della giustizia commutativa. Premesso dunque che è sfruttato chi riceve
dallo scambio meno del dovuto, possiamo utilizzare gli strumenti analitici di cui sopra per
identificare tre diversi concetti di giustizia, e di sfruttamento, presenti nella letteratura
economica.
La posizione più diffusa tra gli economisti moderni ("neoclassici") identifica il giusto
prezzo con il prezzo di equilibrio concorrenziale, ricalcando in sostanza la dottrina cristiana
elaborata da San Tommaso. In uno scambio volontario, informato, e senza discriminazione
perfetta, ambedue i contraenti ottengono un guadagno; ma si considera sfruttato chi paga un
prezzo maggiore, o riceve un prezzo minore, di quello di concorrenza. Nel primo grafico
della Figura 4.c.2.1 l'equilibrio di concorrenza è il punto ; l'operatore $ è sfruttato se
l'equilibrio è ad esempio al punto , meno favorevole a $ e più favorevole a % del punto .
Con tali definizioni è ovvio che si esclude lo sfruttamento nei mercati concorrenziali, e
dunque nel capitalismo concorrenziale; lo si associa invece al monopolio.
Una posizione diversa è adottata da Friedman, abilissimo economista di destra restìo a
condannare anche i monopoli privati. Friedman identifica lo sfruttamento con la perdita
rispetto alla posizione iniziale del contraente, ossia con una mossa non paretiana, come nel
secondo grafico della Figura. Con tale definizione è ovvio che lo spazio per lo sfruttamento
in un'economia di mercato si restringe fin quasi a scomparire: non può esistere nello scambio
volontario informato, nemmeno in regime di monopolio, e richiede dunque o la coercizione, o
l'inganno, o come minimo l'ignoranza. Afferma dunque Friedman che il capitalismo anche
monopolistico è un sistema per natura senza sfruttamento.
La posizione speculare a quella di Friedman è quella tradizionale dei marxisti, per i
quali il capitalismo comporta lo sfruttamento del lavoro anche se i mercati sono
concorrenziali. Tale sfruttamento è illustrato nel terzo grafico della Figura; è ovvio che
corrisponde direttamente alla differenza tra l'equilibrio reale e quello giusto, che è definito in
termini assoluti e non (come dagli altri) in funzione della posizione che precede lo scambio.
Per i marxisti i proletari non sono poveri perchè sono sfruttati, sono sfruttati perchè sono
poveri, e sono poveri perchè non possiedono i mezzi di produzione (il capitale) che
spetterebbe loro.
89
5. L’EQUILIBRIO GENERALE: IMPRESA E INDUSTRIA IN UN SISTEMA DI
MERCATI
5.a.4. l'industria
Si chiama poi LQGXVWULD l'insieme di imprese che producono "lo stesso bene". Le
definizioni in merito sono ovviamente arbitrarie, in quanto più o meno aggregate: si può
considerare ad esempio "l'industria laniera" o la più ampia "industria tessile". In senso
etimologico, il monopolista è l'unico che (produce e) vende un certo bene; ma proprio perchè
la definizione del bene è arbitraria quanto quella dell'industria (il tessuto? il tessuto di lana?
il tessuto di lana pettinata? un certo tessuto di lana pettinata?) la definizione etimologica di
monopolio serve più che altro ad arricchire avvocati e "esperti" nelle cause anti-trust, e gli
economisti preferiscono identificare il monopolio con il potere di mercato (e di fatto per il
venditore con il rapporto tra prezzo e beneficio marginale, funzione dell'elasticità della
domanda, e per il compratore con il rapporto tra prezzo e costo marginale, funzione
dell'elasticità dell'offerta).
Nei limiti dell'arbitrarietà delle definizioni, e ricordandoci che alla fine ciò che conta è
appunto l'elasticità della domanda e dell'offerta per le singole imprese o per particolari
"industrie", i IDWWRUL GL SURGX]LRQH si possono a loro volta distinguere in JHQHULFL, ossia
comuni a più industrie (il carburante); VSHFLILFL DOO
LQGXVWULD, come le materie prime che
definiscono i beni prodotti (la lana per l'industria laniera); o anche VSHFLILFL DOO
LPSUHVD. Il
lavoro era tradizionalmente considerato un fattore assolutamente generico; si riconosce
adesso che è tale invece solo lo sforzo fisico, che è appunto ciò che utilizzava in passato la
grande industria che chiedeva agli operai (immigrati dalle campagne se non addirittura da
altri paesi) solo la ripetizione di qualche semplice gesto. L'industria di oggi, come quella
tradizionale dell'artigianato, chiede agli addetti anche e massimamente uno sforzo
92
intellettuale, che esige a sua volta un bagaglio di conoscenze. Questo bagaglio viene oggi
chiamato FDSLWDOH XPDQR: è in parte generico (sapere leggere), in parte sicuramente
preponderante specifico all'industria (sapere controllare un telaio), in parte pure specifico
all'impresa (sapere a chi rivolgersi se il telaio si blocca).
Bisogna tener presente che nella prassi, gli economisti chiamano un'industria
"concorrenziale" se è composta da imprese concorrenziali, "monopolistica" se concentrata in
un'unica impresa, "oligopolistica" se concentrata in poche imprese (dal greco "oligo-" che
significa appunto "poco"), o anche, come vedremo, "di concorrenza monopolistica" se
composta da numerose imprese dotate di potere di mercato. Notiamo in merito due stranezze:
la prima, generale, è il miscuglio di definizioni etimologiche e funzionali; e la seconda,
particolare, è l'incongruenza tra il significato di "concorrenziale" se riferito all'impresa da un
lato, e all'industria dall'altro.
L'impresa "concorrenziale" non ha potere di mercato; l'industria "concorrenziale" ha
quasi inevitabilmente potere di mercato, a due livelli. Nel mercato del bene prodotto, la
quantità complessiva prodotta è quella prodotta dall'industria, per definizione di questa; se
l'industria ha di fronte una normale curva di domanda a pendenza negativa, il prezzo varia
con la quantità prodotta dall'industria, e l'industria ha potere di mercato nel mercato in cui
vende. Questo è vero anche per l'industria comunemente detta concorrenziale, ossia
composta di imprese senza potere di mercato; l'industria sarebbe invece essa stessa
"concorrenziale", nel senso di essere priva di potere di mercato, solo se si trovasse a produrre
un bene con sostituti perfetti, e in quantità talmente limitate da non influire sul prezzo di
questi. In una piccola economia aperta, possono essere tali tutte le industrie, per le quali sono
parametrici i prezzi del mercato mondiale; ma in un'economia chiusa (o aperta ma grande) è
difficile immaginare un industria senza potere si mercato (se non quella, appunto molto
particolare, dei soldi falsi).
L'industria è anche, proprio perchè l'unica produttrice di un bene, l'unica acquirente
dei fattori di produzione ad essa specifici, fra cui in particolare la materia prima che definisce
il bene e l'industria ("l'industria laniera"); anche l'industria "concorrenziale", ossia composta
di imprese concorrenziali, ha dunque tipicamente di fronte una o più curve di offerta in
pendenza. Sono invece prive di potere nei mercati dei fattori di produzione due tipi di
industrie: da un lato, come per il bene prodotto, le industrie di piccole economie aperte, che
non influiscono sui prezzi mondiali dei fattori di produzione specifici all'industria mondiale
ma non alla singola industria locale; dall'altro, anche in un'economia grande o chiusa, le
industrie piccole che non usano fattori specifici, ma solo materie prime, macchinari, e lavoro
assolutamente generici o perlomeno specifici a industrie molto molto più grandi. Un esempio
potrebbe essere l'industria dei pulisci-parabrezza ai semafori.
Il significato di tutto ciò è che i prezzi di vendita e almeno alcuni dei prezzi di
acquisto che interessano una qualsiasi produzione, anche se parametrici per le singole
imprese, concorrenziali, raramente rimangono parametrici per l'insieme delle imprese, ossia
l'industria, anche "concorrenziale". L'analisi dell'equilibrio in un economia di produzione
deve dunque tener conto non solo della reazione della singola impresa ai movimenti dei
prezzi, ma anche della reazione dei prezzi ai mutamenti della produzione, e dunque delle
vendite e degli acquisti, dell'insieme delle imprese.
giorno. Ipotizziamo che il prodotto sia il movimento di terra (in metri cubi), e che l'unità di
capitale sia il badile: il punto rappresentato nel grafico superiore della Figura
corrisponde dunque all'uso di due lavoratori e un badile per unità di tempo.
A questa combinazione di fattori corrispondono una serie di prodotti: bassissimo se i
lavoratori usano il badile come poggiatesta per riposarsi, maggiore se uno lo usa tenendolo
alla rovescia, ancora maggiore se uno lo usa tenendolo per il manico mentre l'altro lo guarda,
massimo se ambedue lo usano a modo con turni sfasati. La prima cernita paretiana è tra
queste varie combinazioni di fattori e di prodotti; essendo sempre gli stessi i fattori, la
combinazione non dominata è ovviamente quella con il prodotto massimo, pari, poniamo, a
10 metri cubi.
La seconda cernita paretiana è tra i punti definiti dalla prima. La combinazione
95
ottenuta, pari a domina in senso paretiano tutti punti tra nord e est, ossia con .!
e/o / ! , che non comportino 4 ! ; sarebbe a sua volta dominata da qualsiasi
combinazione tra sud e ovest, ossia con . e/o /, che comportino 4 (e a fortiori
4!). Se la combinazione sopravvive a questa seconda cernita, è ovvio che tra
sud e ovest dal punto si trovano solo valori di 4 inferiori a 10; tra nord e est da quel
punto, per lo stesso motivo, sopravvivono solo combinazioni con 4 superiore a 10. Le altre
combinazioni con 4 che sopravvivono perchè non sono dominate sono ovviamente tra
nord e ovest o tra est e sud: non rendono di più e consumano più di un fattore, ma
consumano meno dell'altro.
Il risultato di questa seconda cernità è dunque per ogni livello di prodotto una serie di
punti, ognuno a nord-ovest o sud-est degli altri, collegati da una serie di scalini definiti dalle
semirette che dagli stessi punti vanno verso nord e verso est, come nel grafico inferiore della
Figura. Nel caso, ipotizziamo che alla seconda cernita sopravvivano, per 4 , i tre punti
$, % e &, con consumi di fattori pari rispettivamente a , a e a . Questi tre
punti corrispondono a tre WHFQLFKHHOHPHQWDULGLSURGX]LRQH, definite dal rapporto tra i fattori:
./ è pari a 0,5 (unità di . per unità di /: badili/uomo) per il primo, a 0,25 per il secondo,
e a 0,125 per il terzo.
La terza cernita paretiana è tra i punti, e le corrispondenti tecniche elementari, definiti
dalla seconda. Immaginiamo a questo punto che queste tecniche siano DUHQGLPHQWLGLVFDOD
FRVWDQWL, ossia che se moltiplichiamo . e / per una costante F (a ./ dunque invariato) il
prodotto pure si moltiplica per F. Graficamente, nello spazio dei fattori le variazioni di scala
sono movimenti lungo un raggio dal punto di origine, la pendenza del quale definisce appunto
il rapporto, costante, fra i fattori; la costanza dei rendimenti di scala significa che lungo tale
raggio (ossia variando entrambi i fattori in modo da mantenere costante il loro rapporto) la
sezione della collina della produzione è una retta che passa per il punto di origine, come nel
grafico superiore della Figura 5.b.1.2.
Rapportando la produzione 4 ad un fattore di produzione, ad esempio /, si può
calcolare la SURGXWWLYLWj media, 4/, e marginale, G4G/. Nei mutamenti di scala la
variazione è in tutti i fattori in modo da mantenere le loro proporzioni, come se variasse l'uso
di un fattore composito 1 D./. La produttività media e la produttività marginale di
tale fattore composito sono ovviamente 41 e G4G1; i rendimenti di scala sono appunto
costanti se queste due produttività sono sempre uguali e (dunque) costanti.
Il grafico inferiore della Figura riprende il grafico inferiore della Figura precedente per
illustrare la terza cernita nel caso appunto dei rendimenti di scala costanti. In tal caso, si
possono ottenere 100 unità di prodotto non solo con le combinazioni di fattori corrispondenti
a $, % e &, ossia usando una sola delle tre tecniche disponibili, ma anche con le combinazioni
di fattori corrispondenti ai segmenti di retta che uniscono questi tre punti, usando
contemporaneamente tecniche diverse. Producendo ad esempio 50 unità con la prima tecnica
e 50 con la seconda si utilizzano complessivamente 9,5 unità di capitale e 28 di lavoro, che
corrisponde al punto a metà tra $ e % (ottenuto graficamente costruendo un parallelogramma
sui due segmenti corrispondenti alle tecniche utilizzate: l'apice ; corrisponde a sua volta
all'uso complessivo dei fattori). Nel caso, la combinazione di particolare interesse è quella fra
la prima e la terza, che genera punti tra $ e & che dominano %: producendo ad esempio 50
unità con la prima tecnica e 50 con la terza si producono 100 unità in tutto con solo 30 unità
di lavoro e 7,5 di capitale, ossia al punto <, contro le 36 e 9 della seconda tecnica. Il punto %
viene dunque eliminato non da $ o da & ma da ambedue insieme; e così l'intero raggio
corrispondente alla seconda tecnica.
Alla fine di questa terza cernita, i luoghi dei punti efficienti di produzione uguale o
LVRTXDQWL sono le spezzate illustrate nella Figura 5.b.1.3. Con due tecniche elementari
96
efficienti, come nel primo grafico della Figura, sono composti da una semi-retta verticale, una
semi-retta orizzontale, e, con rendimenti di scala costanti, il segmento di retta a pendenza
negativa fra di esse. Se invece di due le tecniche efficienti (non dominate da combinazioni di
altre) e a rendimenti costanti fossero quattro, l’isoquanto sarebbe composto dalle due semi-
rette parallelle agli assi e da tre segmenti di retta a pendenza negativa e decrescente, come nel
secondo grafico della Figura. Più sono numerose le tecniche efficienti, più sono numerosi, e
corti, i segmenti dell'isoquanto a pendenza costante; al limite, le tecniche efficienti sono
infinite, e l'isoquanto diventa una curva continua a pendenza decrescente (terzo grafico):
esattamente come la "normale" curva di indifferenza dell'individuo.
Con rendimenti di scala costanti, dunque, gli isoquanti sono necessariamente convessi
dal basso; sono anche ovunque differenziabili solo se le tecniche efficienti sono infinite, ossia
se il rapporto tra i fattori è infinitamente variabile con tecniche elementari indipendenti (e non
solo combinando tecniche diverse).
quattro segmenti con le pendenze dei quattro raggi e la lunghezza corrispondente al livello di
attività delle varie tecniche elementari) si ottiene una curva come quella che passa per i punti
=, che elimina, nel caso illustrato, tutte le tecniche elmentari; e tale risultato sarà tanto più
probabile, quanto più decrescono i rendimenti con gli aumenti di scala, e quanto più
numerose sono le tecniche elementari disponibili.
Per completare questo terzo grafico con un esempio numerico, si immagini che 100 4
possono essere prodotti con quattro tecniche elementari usando rispettivamente ./,
./, ./ e ./. Se con ognuna di queste per ottenere un quarto del
prodotto, ossia 25 4, basta un quinto di tali fattori, il totale di 100 4 si ottiene con (75/5) = 15
unità di . e di /, e questa combinazione è Pareto-superiore alle due tecniche elementari
interne; se invece basta un ottavo il totale di 100 4 si ottiene con (75/8) = 9,4 unità di . e di
/, e questa combinazione è Pareto-superiore a tutte e quattro le tecniche elementari.
Con rendimenti sempre decrescenti e tecniche numerose i punti sugli isoquanti
indicano sempre e comunque le combinazioni di fattori Pareto-efficienti, ma ne indicano solo
le quantità complessive ottenute sommando attività eterogenee. Mille uomini e mille badili
non corrispondono a mille volte un uomo con un badile, ma tutta una gamma di combinazioni
da un uomo con cento badili a cento uomini con un solo badile: i rendimenti decrescenti sono
difficili da giustificare, e difficili da interpretare.
costanti questa funzione è una spezzata, con una pendenza che cala con la pendenza degli
isoquanti. Con . .
, infatti, il prodotto aumenta inizialmente con / a un tasso costante
(per G4 costante gli isoquanti sono equidistanti) e massimo: aumentando / si incrociano gli
isoquanti ad angolo retto, ossia si risale la collina nella direzione di pendenza massima.
Come si incrocia il raggio della prima tecnica elementare si passa ad un tasso di aumento di
nuovo costante, ma minore del precedente: gli isoquanti sono equidistanti ma più distanziati,
e questo per due motivi. Da un lato, infatti, la pendenza massima della collina (misurando la
distanza minima tra gli isoquanti, sempre per G4 costante) è minore fra le tecniche elementari
che fra queste e gli assi; e dall'altro i movimenti con . .
non sono più nella direzione
della pendenza massima, bensì ad angolo con questa. Come si incrocia il raggio dell'ultima
tecnica elementare il tasso di aumento diventa zero: la pendenza massima è di nuovo alta, ma
i movimenti con . .
sono nella direzione della pendenza nulla.
Nel terzo grafico si illustrano i prodotti marginali (linea solida) e medi (linea
tratteggiata) del fattore /. I primi corrispondono alla pendenza della curva 4 nel secondo
grafico: sono ovviamenti costanti lungo i segmenti rettilinei di questa, con scalini dove
questa cambia pendenza.
Osserviamo che se i rendimenti di scala fossero crescenti per un dato G4 gli isoquanti
sarebbero sempre più ravvicinati, lungo i raggi delle tecniche elementari, e concavi da basso
nello spazio fra quei raggi; nel secondo grafico le pendenze positive aumenterebbero come ci
si allontana dal punto di origine, e nel terzo i segmenti a prodotto marginale positivo
sarebbero a pendenza positiva.
La Figura 5.b.4.2 riprende il caso della Figura precedente, con due tecniche e
rendimenti di scala costanti, e illustra i mutamenti nel prodotto del lavoro se cambia il
capitale. Nel primo grafico compaiono le rette corrispondenti a . .
e . .
!.
. La
retta .
incrocia i raggi delle tecniche elementari in corrispondenza di / e di / ; la retta .
,
è pure una spezzata con le stesse pendenze della precedente, solo che mantiene la pendenza
massima fino a / !/ , e la pendenza intermedia nell'intervallo / / ! / / . Nel
terzo grafico si vedono i prodotti marginali: l'andamento è a scalino, i livelli sono gli stessi,
ma i piani degli scalini sono più larghi.
Se aumenta il numero delle tecniche elementari nel primo grafico aumentano
ovviamente gli spigoli della funzione 4/ nel secondo, e se ne accorciano i segmenti
rettilinei; nel terzo grafico si moltiplicano pure gli scalini di 03 , che diventano pertanto più
/
a loro volta l'equivalente di quelli effettivamente forniti moltiplicati per un indice del livello
tecnologico. Se W raddoppia, ad esempio, ogni unità di capitale diventa l'equivalente di due;
.
risparmia capitale e non risparmia lavoro, per cui non è QHXWUDOH. In tal caso infatti gli
isoquanti vengono compressi verso l'asse / in proporzione all'uso di ., come nel grafico
superiore della Figura 5.b.5.1: l'isoquanto che corrisponde ad un prodotto dato si sposta dalla
posizione D alla posizione E. Si è invece in presenza di progresso tecnico neutrale se W e W . /
aumentano nella stessa proporzione W
. In tal caso gli isoquanti vengono compressi
contemporaneamente verso ambedue gli assi, ossia verso l'origine, come nel grafico inferiore
della Figura. In presenza poi di rendimenti di scala costanti per ogni combinazione ./ si
ottiene un aumento di 4 nella stessa proporzione W
: gli isoquanti vengono rietichettati, nel
senso che l'isoquanto che passa per .
/
si associa non più a 4
ma a W
4
, ma non sono
altrimenti modificati. Questo caso è illustrato, per W
, nel grafico inferiore della Figura:
l'isoquanto per 4
si sposta dalla posizione D alla posizione E, ma quello per 4
che stava
nella posizione F viene a occupare precisamente la posizione D.
Se si presume che il progresso tecnico è sempre neutrale diventa inutile distinguere i
due indici, che si possono ridurre a uno applicato direttamente alla combinazione dei fattori:
4 I. / . IW.W/ WI./. Usando i dati della contabilità nazionale sull'arco di un
H H H
secolo e passa si è scoperto che il prodotto è aumentato, nel lungo periodo, molto, molto di
più della disponibilità dei fattori, per cui l'aumento del prodotto pro-capite sarebbe dovuto
massimamente al progresso tecnico, e solo in piccola parte all'accumulazione di capitale.
Anche se l'importanza del progresso tecnico è indubbia, questo calcolo sembra sovrastimarla,
perchè non tiene conto per esempio dell'aumento nel grado di istruzione del lavoratore medio;
se non si esplicita appunto l'aumento del "capitale umano", si sottostima l'aumento dei fattori
effettivamente disponibili.
Può essere utile sottolineare in chiusura la differenza tra diversità di tecnica e diversità
di tecnologia. Il cambiamento di tecnica, cambiando il rapporto tra i fattori, fa variare in
101
senso opposto la produttività di questi. Se paragoniamo per esempio l'agricoltura europea con
quella nord-americana troviamo che la produttività del lavoro 4/ è molto più alta in
America, la produttività della terra 47 molto più alta in Europa--costellazione
riconducibile all'uso di due tecniche diverse nell'ambito di una tecnologia comune. In
America, infatti, il rapporto terra/lavoro 7/ è molto più alto che non in Europa: la loro
agricoltura è estensiva, la nostra intensiva, ossia per unità di prodotto loro usano poco lavoro
e molta terra, noi poca terra e tanto lavoro, come nel grafico superiore della Figura 5.b.5.2
(dove per facilitare i paragoni questi sono scalati alla singola unità di prodotto, di fatto una
cifra in dollari ottenuta ponderando le quantità dei diversi prodotti ottenuti per i loro valori
unitari).
Nel grafico inferiore è illustrato il caso in cui di due paesi, $ e (, nel paese ( sono
maggiori le produttività di ambedue i fattori considerati. Chiaramente, i due punti
corrispondenti a questi paesi non possono trovarsi sullo stesso isoquanto nello spazio di
questi fattori di produzione. Le spiegazioni possibili sono due. Se i fattori considerati sono
effettivamente tutti quelli usati, allora la differenza tra i due isoquanti indica una diversità di
tecnologia: il paese ( è padrone di una tecnologia avanzata ignota nel paese $. Se invece vi
è qualche altro fattore di produzione, può darsi che gli isoquanti indicati siano semplicemente
spaccati diversi di un unico isoquanto tridimensionale: per esempio, se il prodotto dipende da
terra, lavoro, e concime, i due paesi potrebbero disporre della stessa tecnologia ma usare
tecniche diverse, con un uso di concime forte in ( e ridotto in $ (da cui una produttività alta
per la terra e il lavoro, ma bassa per il concime, in (, e viceversa in $).
Nel caso del Africa tropicale, in particolare, i rendimenti medi per ettaro sono molto
bassi; l'opinione comune era questo fosse dovuto all'arretratezza tecnologica (per cui si
applicherebbe il grafico inferiore della Figura, con l'esclusione di un eventuale terzo fattore, e
l'Africa come paese $), e dalla bassa produttività della terra si desumeva una bassa
produttività del lavoro. Adesso c'è chi sostiene che alla bassa produttività della terra
corrisponde invece un'alta produttività del lavoro, per cui l'Africa va vista non come arretrata
ma semplicemente come poco popolata, esattamente come l'America nel grafico superiore
della Figura.
La Figura 5.b.5.3 illustra il nocciolo della controversia. Nell'Africa tropicale si
coltivano radure temporanee ricavate nelle foreste, usando l'ascia (che serve non a tagliare gli
alberi ma solo a togliere loro un anello di scorza per ucciderli e poi bruciarli); la visione
tradizionale è illustrata dal primo grafico, che associa l'ascia ad una tecnologia "primitiva"
rispetto a quella dell'aratro. L'interpretazione revisionista è illustrata dagli altri due grafici.
Questa sostiene infatti che l'ascia e l'aratro sono due tecniche diverse all'interno du un'unica
tecnologia, con proporzioni fattoriali diverse: la coltivazione con l'ascia, che è altamente
produttiva per ora di lavoro proprio perchè evita il lavoro di aratura e la cura degli animali da
traino, è utilizzabile solo se la terra è talmente abbondante che può riposare per decenni (il
tempo di far ricrescere la foresta) tra una coltivazione e l'altra.
La coltivazione con l'ascia era peraltro utilizzata anche in Europa, nella tarda età della
pietra, prima del passaggio all'aratro. La visione comune degli Occidentali, da metà
Ottocento in poi, è che la storia è la storia del progresso tecnico (da cui per l'appunto "età
della pietra"): i passaggi dalla caccia e raccolta alla coltivazione con l'ascia, come da questa
all'aratro, e poi alla "nuova agricoltura" introdotta nel Settecento inglese sono tutti visti come
l'introduzione di tecnologie superiori, come appunto nel grafico superiore della Figura
5.b.5.4. I revisionisti invece sostengono da un lato che la "nuova agricoltura" era solo
"l'applicazione ai campi dei metodi dell'orto", ossia una semplice intensificazione, e dall'altro
che la caccia e raccolta erano segni anch'essi non di povertà d'idee ma di abbondanza di
territorio. La nascita della stessa agricoltura sarebbe dovuta alla crescita demografica, e
102
pertanto associata ad una riduzione del tenore di vita, come indicano appunto gli scheletri
dell’epoca. La storia umana diventa una lunga storia di intensificazione del lavoro, come nel
grafico inferiore della Figura; e diventa irresistibile il riferimento all’Eden con popolazione
praticamente nulla.
dove vincolo e costi marginali sono riferiti all'impresa che compra i fattori. Nel caso
particolare dell'impresa priva di potere di mercato nei mercati dei fattori i prezzi di questi
sono parametrici, per cui GZG/ e GUG. , 0& Z, 0& U, e il luogo di spesa
/ .
costante o LVRFRVWR diventa una retta con la pendenza costante 706 ZU. Nel grafico
YL
superiore della Figura 5.c.1.1 sono illustrati, per un impresa concorrenziale nel mercato dei
fattori, tre livelli di spesa 7& !7& !7& ; in ogni caso le intercette sugli assi sono la spesa
03 03 706 . Nei grafici, 4 è il prodotto massimo per 7& , e così via; il luogo delle
/ . RL D
tangenti associa ogni livello di prodotto al suo costo minimo e definisce dunque la funzione
dei costi.
Come per il consumatore, l'allocazione ottimale della spesa implica una resa uguale
per unità di spesa: si minimizzano infatti i costi quando 0& 0& 03 03 , ossia
/ . / .
queste ultime uguaglianze è 4.7&. 4/7&/ 47&, ossia XQLWj GL
SURGRWWRGROODUR: un dollaro aggiuntivo rende lo stesso prodotto aggiuntivo a ogni margine
di spesa. Se così non fosse si potrebbe spostare un dollaro da dove rende di meno a dove
103
rende di più, aumentando il prodotto complessivo a parità di spesa complessiva; ma se questo
fosse possibile non sarebbe già massimizzato il prodotto per il costo dato.
Dalla condizione 0& 0& 03 03 possiamo ottenere pure l'equivalenza
/ . / .
inversa a quella precedente, ossia 0& 03 0& 03 , e, nel caso concorrenziale,
. . / /
GROODULXQLWj GL SURGRWWR. L'uso di un utensile aggiuntivo costa infatti 0& , ossia U per
.
G7&G4, ossia l'aumento dei costi per unità aggiuntiva di prodotto 0& . Lo stesso 4
ragionamento vale ovviamente per il lavoro, per cui 0& 03 0& 03 0& . Il
. . / / 4
costo marginale del prodotto è insomma l'inverso della resa di un dollaro di spesa per un
fattore di produzione aggiuntivo: se un dollaro di spesa aggiuntiva, per l'uso di un utensile o
di un lavoratore, mi rende mezza unità di prodotto, un unità di prodotto aggiuntiva aumenta la
spesa complessiva di due dollari; e come il dollaro di spesa aggiuntiva deve avere lo stesso
rendimento in prodotto che venga speso per utensili o per lavoratori, così l'unità di prodotto
aggiuntiva deve avere lo stesso costo in dollari che venga ottenuto affittando altri utensili o
affittando altri lavoratori (perchè se così non fosse si ridurrebbero i costi complessivi a parità
di prodotto affittando meno utensili e più lavoratori, o viceversa).
Queste equivalenze valgono ovviamente per cambiamenti infinitesimali: per
cambiamenti non infinitesimali l'aumento di produzione aggiungendo un unico fattore ne
riduce il prodotto marginale (e se l'imprea ha potere in quel mercato ne aumenta il costo
marginale), per cui per ristabilire l'equivalenza e mantenere la tangenza tra isocosto e
isoquanto bisogna aggiungere anche una congrua quantità dell'altro fattore.
due valori. Con isoquanti lineari i fattori sono sostituti perfetti, non sono affatto
complementari, e 706 è costante. Per l'impresa concorrenziale, con 706 pure costante,
RL YL
l'equilibrio sarà su uno degli assi, e un mutamento del prezzo relativi dei fattori o è senza
effetto, o sposta l'equilibrio da un asse all'altro (cambiando pertanto il rapporto dei fattori da
zero a infinito o viceversa).
Di fatto, i fattori sono sostituti perfetti se vi è un unico fattore di produzione
sottostante, e i diversi fattori ne contengono quantità diverse, o anche la stessa quantità, nel
qual caso sono "diversi" solo in base a criteri irrilevanti. Così, per esempio, se il fattore di
produzione è il lavoro, il lavoro dei lavoratori con gli occhi scuri sarà un sostituto perfetto, al
tasso 1:1, del lavoro dei lavoratori con gli occhi chiari, proprio perchè il colore degli occhi è
una considerazione irrilevante. Così pure, se producendo canna da zucchero uno schiavo
frustato lavora il doppio di un libero salariato, schiavi e liberi sono sostituti perfetti, al tasso
1:2 che corrisponde appunto al rapporto (inverso) tra il loro sforzo unitario.
Si chiama O
HODVWLFLWj GL VRVWLWX]LRQH il rapporto tra le variazioni percentuali lungo
l'isoquanto del rapporto tra i due fattori, da un lato, e il loro tasso marginale di sostituzione,
dall'altro: H
VRVWLWX]LRQH G././G706 706
RL RL
G././G03 03 03 03 . Questa elasticità è infinita nel caso dei sostituti
/ . / .
perfetti, in quanto spostandosi lungo l'isoquanto cambia ./ ma non cambia 706 ; è nulla RL
nel caso dei complementi stretti, al punto dell'isoquanto sul raggio della tecnica efficiente, in
quanto a un G./ infinitesimale corrisponde un G706 infinito (da zero a infinito o
RL
dunque (sempre per l'impresa concorrenziale nei mercati dei fattori) con il prezzo relativo dei
fattori. L'elasticità di sostituzione indica dunque di quanto tale impresa cambierà le
proporzioni in cui usa i fattori al variare del prezzo relativo di questi.
A questo punto l'elasticità di sostituzione si comporta (non a caso) come l'elasticità
della domanda: prezzo e quantità variano in direzioni opposte, ma con elasticità alta è
dominante l'effetto quantità e aumenta la spesa per il fattore o bene di cui si è ridotto il prezzo
relativo, mentre con elasticità bassa è dominante l'effetto prezzo e aumenta la spesa per il
fattore o bene di cui è aumentato il prezzo relativo. Immaginiamo che aumenti il prezzo
relativo del lavoro: se l'elasticità di sostituzione è nulla il rapporto ./ non cambia, e
aumentando ZU aumenta ovviamente la quota dei salari nella spesa complessiva e pertanto
la quota relativa dei salari Z/U.. Con elasticità di sostituzione alta l'impresa potrebbe al
limite passare da una produzione che usa solo lavoro a una che usa solo capitale: aumentano
Z e ZU, ma tale è il calo di / e l'aumento di ., ossia l'aumento di ./, che Z/U. si
riduce. Sempre come per l'elasticità della domanda, il valore critico dell'elasticità di
sostituzione è pari a uno: con elasticità unitaria l'aumento di ./ compensa esattamente
l'aumento di ZU, Z/U. non cambia, e le quote dei fattori nella spesa complessiva
rimangono pure immutate.
In generale, come si vede dal grafico superiore della Figura, l'elasticità di sostituzione
varia di punto in punto sulla collina della produzione, senza particolari restrizioni. Nel
grafico inferiore è rappresentata invece una funzione di produzione particolamente comoda a
fini espositivi (come le curve di domanda e di offerta lineari): una funzione caratterizzata
105
dalla costanza della pendenza degli isoquanti lungo i raggi dal punto di origine. Con tale
funzione, detta RPRWHWLFD, il rapporto ./ adottato dall’impresa concorrenziale nei mercati
dei fattori varia solo con ZU, e non con 4; l'elasticità di sostituzione pure dipende allora da
./ e ZU, ma non da 4, in quanto costante lungo ogni raggio dall'origine.
Con restrizioni aggiuntive si arriva alla funzione di produzione a elasticità di
sostituzione costante, ossia uguale non solo lungo ogni raggio ma anche fra un raggio e l'altro.
Una nota funzione di produzione con elasticità di sostituzione costante e sempre pari a uno è
la funzione &REE'RXJODV definita come 4 $. / , con D . Notiamo che è a
D D
per cui 03 . D4 e 03 / D4; minimizzando i costi ZU 03 03 , per cui
. / / .
03 /03 . Z/U. DD, che è ovviamente costante. Siccome poi 03 /03 .
/ . / .
pendenza del raggio dall'origine ./ ma non con il livello di 4, e la funzione di produzione
è (ovviamente) omotetica.
Si consideri la Figura 5.c.2.2. Nel grafico superiore il punto ' è la tangenza tra
l'isocosto %) e l'isoquanto 4; a quel punto corrispondono un consumo di / pari a 2( e un
consumo di . pari a 2$. La spesa totale indicata dall'isocosto è & U2% Z2), da cui
ZU 2%2) $%$' e Z$' U$%. D'altra parte ./ 2$2(, da cui .2(
/2$; ne consegue Z/$'2$ U.$%2(, da cui, siccome $' 2(, Z/U.
$%2$. Di fatto 2$ è il capitale effettivamente utilizzato, $% l'equivalente in capitale, ai
prezzi di mercato, del lavoro utilizzato; le quote del lavoro e del capitale nella spesa
complessiva sono ovviamente in proporzione a questi segmenti.
Il grafico inferiore illustra il significato geometrico dell'elasticità di sostituzione
unitaria lungo l'isoquanto 4: dati i due isocosti con pendenza diversa tangenti all'isoquanto in
due punti diversi ' e '
, le intercette degli isocosti e le proiezioni dei punti di tangenza sono
tali che $%2$ $
%
2$
. Se poi (come nella Cobb-Douglas) la funzione di produzione
è omotetica e l'elasticità di sostituzione è ovunque unitaria, le tangenze con una data
pendenza sono tutte sullo stesso raggio dall'origine, per cui spostando ad esempio il punto '
lungo il raggio 2' non cambia il rapporto $%2$; in tal caso quanto detto sull'invarianza di
tale rapporto vale anche se i due punti considerati non sono sullo stesso isoquanto.
funzione 7& in corrispondenza di 4 , ossia nel grafico all'angolo ; creato dalla tangente a
106
7& nel punto ; il costo medio ("average cost") $& 7&4 corrisponde invece alla
pendenza del raggio dall’origine alla funzione 7& in corrispondenza di 4 , ossia nel grafico
A fini didattici abbiamo scelto una curva 7&, e tre combinazioni di 4 e , abbastanza
particolari. Dalla forma stessa di 7& notiamo che (per la parte evidenziata) la pendenza di
questa è in continuo aumento: i costi marginali sono sempre crescenti. Quanto ai costi medi,
questi sono uguali al punto e al punto , ambedue sullo stesso raggio dall'origine illustrato
con una retta continua. La retta tratteggiata è invece nel contempo il raggio dall'origine al
punto , e la tangente a 7& al punto : l'angolo < corrisponde dunque sia al costo medio che
al costo marginale, che nel punto sono uguali. Si osserva peraltro che < è minore non solo
di < , ma di qualsiasi altro angolo < corrispondente al costo medio: risalendo infatti lungo
7&, l'angolo < diminuisce fino a toccare un minimo al punto , per poi risalire. I costi medi
hanno dunque un andamento a "U", con un minimo a 4 , dove coincidono peraltro con i costi
marginali proprio perchè l'angolo < più piccolo è dato ovviamente dal raggio tangente a 7&.
Notiamo pure che se 44 allora ;<, ossia 0&$&, mentre se 4!4 allora ;!<,
ossia 0&!$&.
Le curve dei costi marginali e medi sono illustrate nel terzo grafico della Figura. I
costi marginali sono sempre crescenti; i costi medi sono uguali per 4 e 4 , e minimi per 4 ;
sempre per 4 i costi medi e marginali sono uguali; per 44 i costi medi superano i costi
marginali, e viceversa per 4!4 . La curva dei costi marginali incrocia dunque la curva dei
costi medi al minimo di questi. Non può essere diversamente: il minimo di $& è il punto in
cui questa passa da calante a crescente; ma è l'aggiunta del valore marginale che modifica il
valore medio (come la media dei voti...), per cui il valore medio cala fintanto che il valore
marginale è inferiore al valore medio, e risale come i valori marginali superano il valore
medio.
Di fatto, poi, e con meccanismi che vedremo meglio tra poco, la concorrenza fra gli
imprenditori azzera i profitti; l'equilibrio dell'impresa che è compatibile con l'equilibrio dei
mercati, ossia con rendite zero, è solo quello rappresentato dal profitto massimo pari a zero,
ossia di una retta dei ricavi totali tangente alla curva dei costi totali al punto dei costi medi
minimi: ogni impresa produce la quantità precisa e unica che minimizza i costi medi, vende a
un prezzo che (grazie alla concorrenza) è uguale non solo al costo marginale ma al costo
medio minimo, e massimizzando i profitti riesce appena a coprire i costi.
Si capisce così l'attaccamento degli economisti ai rendimenti di scala prima crescenti e
poi calanti. Se questi fossero sempre crescenti, la curva dei costi totali sarebbe sempre
convessa dall'alto, come nel primo grafico della Figura 5.d.1.2; l'impresa vorrebbe crescere
senza limiti, e l'equilibrio concorrenziale di profitto massimo zero sarebbe impossibile. Se i
rendimenti di scala fossero sempre calanti la curva dei costi sarebbe sempre convessa dal
basso, come nel secondo grafico della Figura; i costi minimi e l'equilibrio di concorrenza con
prezzo pari al costo medio minimo si otterrebbero con imprese microscopiche, che producono
ognuna una quantità infinitesimale del prodotto. Con rendimenti e costi costanti, poi, la curva
dei costi totali sarebbe un semplice raggio dal punto di origine, come la curva dei ricavi totali.
Se queste due rette hanno pendenze diverse l'impresa vuole o scomparire (se i costi marginali
e medi sono sempre superiori ai ricavi marginali e medi) o crescere senza limiti (se i ricavi
marginali e medi sono sempre superiori ai costi marginali e medi), come nel terzo e quarto
grafico della Figura; nell'equilibrio di concorrenza a profitto zero avrebbero la stessa
pendenza, come nel quinto grafico della Figura, ma con ricavi e costi marginali e medi
sempre uguali l'impresa è indifferente tra qualsiasi livello di produzione e decide a caso
quanto produrre. Notiamo peraltro che i rendimenti costanti creano difficoltà solo nel caso
dell'impresa concorrenziale: l'impresa che vende con potere di mercato ha dei ricavi medi e
marginali decrescenti, e se la curva dei costi è lineare basta la curvatura della curva dei ricavi
a definire il punto di profitto massimo, come nel sesto grafico della Figura.
In sostanza, dunque, l'esistenza della concorrenza fra imprese non microscopiche
giustifica l'ipotesi dei rendimenti di scala prima crescenti e poi calanti. Rimane logicamente
problematica l'idea stessa dei rendimenti di scala decrescenti, per i motivi suddetti; la
spiegazione tradizionale che col crescere dell'impresa prima o poi i costi crescono perchè
l'imprenditore non riesce più a controllare tutto può essere vera, ma è logicamente fuori dai
paragoni di scala perchè si ipotizza che aumentano tutti i fattori di produzione tranne uno,
quello appunto che gestisce gli altri.
della produzione per unità del fattore, ossia il prodotto marginale del fattore 03 o 03 : / .
05 03 . Se l'impresa è concorrenziale pure nel mercato in cui vende, il prezzo del bene è
4 .
In sostanza, dunque, il prezzo del fattore è il suo costo marginale (in dollari per unità di
fattore); l'impresa ne impiega quanto basta per ridurre a tale livello il corrispondente beneficio
o ricavo marginale, che è a sua volta pari al prodotto di due elementi, il prezzo del bene (in
dollari per unità di prodotto), e il prodotto marginale del fattore (in unità di prodotto per unità
di bene). Come si vede dalla Figura 5.d.2.1, riferita al lavoro, ODFXUYDGHLULFDYLPDUJLQDOL
GHOIDWWRUHGLSURGX]LRQHqODFXUYDGLGRPDQGDGHOO
LPSUHVDSHUTXHOIDWWRUH.
Le equazioni Z 3 03 e U 3 03 corrispondono, per l'impresa concorrenziale in
4 / 4 .
tutti i mercati, alla massimizazione del profitto; dal loro rapporto si ottiene ZU
03 03 , che è la condizione che corrisponde alla minimizzazione dei costi. Questo non
/ .
sorprende: già sappiamo che massimizzare i profitti implica minimizzare i costi (della
quantità prodotta). Peraltro la condizione Z 3 03 , o in generale 0& 05 03 ,
4 / / 4 /
Ma già sappiamo dal punto 5.c.1. che 0& 03 0& 03 0& ; per cui la condizione
/ / . . 4
che corrisponde all'uso dei fattori che massimizza il profitto corrisponde pure a 05 0& , 4 4
ossia alla produzione che massimizza il profitto. Siccome la produzione dipende dall'uso dei
fattori, non potrebbe essere altrimenti.
Nell'equilibrio dei mercati, poi, il profitto è nullo, e l'impresa produce la quantità che
minimizza i costi medi, ossia al livello che corrisponde ai rendimenti di scala costanti (fra
quelli crescenti e quelli calanti). Nella Figura, il trapezio definito dalla curva dei ricavi
marginali del lavoro e la quantità di lavoro utilizzata corrisponde al ricavo complessivo 75; il
rettangolo definito dal salario unitario e quella stessa quantità di lavoro, al monte salari Z/;
data la nullità dei profitti 75 7&, e il triangolo residuo definito dalla curva dei ricavi
marginali e il salario unitario corrisponde dunque al reddito del capitale U. 75Z/ 7&
Z/. Invocando il WHRUHPDGL(XOHU, notiamo che se la funzione 4./ è omogenea di primo
grado, ossia a rendimenti di scala costanti (come appunto nell'equilibrio dei mercati), allora si
verifica che 4 G4G..G4G// 03 .03 /; ne consegue che 3 4 3 03 .
. / 4 4 .
3 03 / U.Z/, ossia che se ogni fattore è pagato il valore del suo prodotto marginale
4 /
la somma dei pagamenti ai fattori esaurisce esattamente il reddito dell'azienda (cosa che
invece non si verifica con rendimenti di scala crescenti o calanti).
per cui 05 0& , e la concorrenza fra gli imprenditori riduce il profitto a zero, per cui
4 4
109
$5 $& ; ne consegue che $& 0& , per cui il prodotto 4 è quello associato ai costi
4 4 4 4 L
medi più bassi raggiungibili. In alto a destra è illustrato l'equilibrio nel mercato del bene: il
prezzo (che l'impresa considera parametrico) è dato dall'incrocio tra domanda e offerta; la
quantità totale è quella prodotta dalle Q imprese, per cui 4 Q4 . La domanda di mercato è 7 L
definita dai consumatori del bene ("le famiglie", se questo è un bene finale, come si è detto);
sulla definizione dell'offerta torneremo tra breve.
Al centro a sinistra è illustrato l'equilibrio dell'impresa come utilizzatrice di lavoro: il
prezzo di questo è parametrico, per cui 0& $& Z; l'impresa massimizza il profitto, per
/ /
l'equilibrio nel mercato del lavoro: il prezzo (che l'impresa considera parametrico) è dato
dall'incrocio tra domanda e offerta; la quantità totale è quella utilizzata dalle Q imprese, per
cui / Q/ . L'offerta di mercato è definita dai venditori del lavoro ("le famiglie"); sulla
7 L
note, e non cambiano: nel nuovo equilibrio come nel vecchio produrrà a costi medi minimi e
profitti zero. Ipotizziamo, a fini espositivi, che la scala di produzione che minimizza i costi
medi non sia cambiata: l'impresa produce quanto prima, ma a costi medi e marginali più alti.
Come illustrato dal grafico in alto a sinistra, le curve dei costi dell'impresa sono scivolate
verso l'alto. Se poi l'impresa produce quanto prima, è ovvio che l'aumento della produzione
complessiva si ottiene aumentando non la scala delle imprese esistenti, ma il numero di
queste: se 4 4 , e 4 Q 4 ! 4 Q 4 Q 4 , allora Q ! Q , e Q Q
L L 7 L 7 L L
4 4 . Di fatto, non è detto che la scala delle imprese rimanga costante; ma il punto
7 7
marginale per il compratore del bene 0& , per cui nell'equilibrio di questo è uguale pure al
4F
esempio Z, è anche il beneficio marginale per il venditore del lavoro 0% , per cui /Y
nell'equilibrio di questo è uguale pure al suo prezzo di offerta o costo marginale 0& . /Y
marginale del compratore del bene è uguale al costo marginale di esso, non solo per l'impresa,
ma per i lavoratori che di fatto lo producono (quattro, se 03 = 0,25). Il compratore del bene
/
compra, indirettamente e tramite l'impresa, il lavoro necessario per produrlo; se tutti i mercati
sono concorrenziali questo scambio indiretto raggiunge esattamente il livello (Pareto)
efficiente che raggiungerebbe se lo scambio fosse diretto.
Dati due beni ; e <, poi, nell'equilibrio di concorrenza 3 0& Z03
; ;L /;
111
esattamente ai FRVWL RSSRUWXQLWj UHDOL (i rapporti dei prodotti marginali, uguali per tutti i
fattori). Nell’equilibrio di concorrenza, dunque, l’individuo sceglie esattamente i consumi che
sceglierebbe se avesse direttamente di fronte a se il tasso al quale si possono sostituire i
diversi beni spostando risorse dalla produzione dell’uno alla produzione dell’altro.
Ogni operatore reagisce solo al prezzo di mercato; se i mercati sono concorrenziali i
prezzi portano le famiglie compratrici di beni e affittatrici di fattori a praticare tutti gli scambi
e le trasformazioni utili (paretiani), come se fossero in contatto diretto e conoscessero le
possibilità tecniche, o come se fossero coordinati da un pianificatore onnisciente. Il mercato
di concorrenza può dunque essere considerato un coordinatore, come aveva intuito Smith, o
un mezzo efficientissimo di diffusione delle informazioni, insomma di FRPXQLFD]LRQH, come
intendeva Hayek.
Questo equilibrio Pareto-efficiente non si raggiunge, ovviamente, se il compratore del
bene o il venditore del fattore di produzione è dotato di potere di mercato, cosa peraltro
abbastanza rara. Non si raggiunge nemmeno se l'impresa è dotata di potere di mercato, sia
come venditrice del bene, sia come compratrice del fattore. L'impresa monopolista restringe
gli scambi, in effetti comunicando al compratore del bene un'offerta dei fattori minore di
quella effettiva, e al venditore del fattore una domanda minore di quella effettiva.
Ricordiamo ancora una volta lo sdegno di Simons di fronte al monopolio privato. In
un'ottica individualista, hayekiana, la funzione sociale dell'impresa è quella di far comunicare
le famiglie che comprano (beni) e vendono (fattori), e solo l'impresa concorrenziale fa da
tramite in modo onesto. L'impresa monopolistica passa informazioni distorte, presentando
agli acquirenti prezzi di offerta gonfiati, ai venditori offerte di acquisto sminuite: esattamente
come l'agenzia immobiliare disonesta, che potendo trattare separatamente con chi compra e
chi vende fa pagare al primo una somma superiore a quella che dice al secondo di avere
ricevuto.
un capitale . specializzato, gli aerei da trasporto, anch'essi omogenei, che affitta giorno per
giorno in un mercato anch'esso concorrenziale, al prezzo U. Gli aerei sono oggetti complessi,
con un tempo di produzione di molti mesi, per cui la flotta aerea non si può aumentare dal
giorno all'indomani; nel breve periodo, dunque, il capitale disponibile è fisso. Nel lungo
periodo, il capitale può ovviamente crescere; siccome poi di fondo gli aerei sono assemblaggi
di alluminio informatizzati, e contano ben poco rispetto alle pentole e i PC, nel lungo periodo
sono disponibili al prezzo di costo costante 3 . Per i soliti equilibri di arbitraggio gli
./3
dunque orizzontale, e coincide con l'offerta di lavoro di lungo periodo 6 . Per passare /3
dall'industria all'impresa, basta dividere per Q i valori sull'asse orizzontale. Il grafico a destra
è riferito al leasing del capitale, ossia degli aerei. L'offerta di lungo periodo 6 è anch'essa /3
dall'industria all'impresa basta dividere per Q i valori sull'asse orizzontale, e ricordare che per
l'impresa l'offerta è sempre perfettamente elastica (orizzontale) al prezzo di mercato U.
I grafici centrali sono nello spazio prezzo-quantità del bene prodotto. Quello a sinistra
è riferito all'industria; con funzioni di offerta dei fattori perfettamente elastiche nel lungo
periodo e rendimenti di scala costanti, l'offerta di trasporto aereo di lungo periodo 6 è /3
all'impresa, che per ipotesi produce Q del prodotto complessivo. Le curve a "U" dei costi
medi sono riferite ad una flotta data; con i prezzi dei fattori ai valori di lungo periodo il costo
minimo rimane pari a 3 , e la quantità corrispondente varia con la dimensione della flotta
4/3
grafici in alto si osservano le combinazioni Z/ e U . per l'industria, da cui per l'impresa
/3
Immaginiamo che la domanda per il trasporto aereo aumenti, spostandosi da ' a ' ,
prezzi immutati dei fattori e dei beni; la singola impresa raddoppia impieghi e produzione, e
raddoppiando la flotta la curva dei costi medi per la flotta data si sposta da $& a $& , con
costo medio minimo immutato e prodotto appunto doppio. Nello spazio dei fattori si osserva
un aumento di scala a rendimenti costanti, dal punto ( al punto ( , con consumi dei fattori,
costi complessivi, e prodotto tutti raddoppiati, per l'industria e dunque per ogni impresa
(anche se come sappiamo una redistribuzione tra le diverse imprese, o un mutamento nel loro
numero, non cambia nulla).
Consideriamo ora l'equilibrio di breve periodo, durante il quale la flotta aerea
complessiva rimane fissa. Al prezzo 3 , raddoppiando la domanda, le compagnie aeree
4/3
sono inondate di richieste; come un ufficio riceve le prenotazioni, un'altro ufficio assume
personale, e un'altro ancora chiede aerei aggiuntivi alle compagnie di leasing. Siccome però
114
gli aerei disponibili sono quelli che sono, questa richiesta di aerei aggiuntivi fa solo lievitare
il prezzo di affitto degli aerei esistenti; ne risulta un aumento dei costi delle compagnie e
dunque del prezzo del prodotto. La produzione aumenta, ma solo grazie all’aumento del
personale; aumenta pure il rapporto lavoro/capitale, coerentemente con la VRVWLWX]LRQH tra i
fattori indotta dal mutamento dei loro prezzi relativi.
Ripercorriamo i vari elementi del nuovo equilibrio. Nei grafici in alto notiamo per ora
l’aumento della domanda per ambedue i fattori di produzione, riflesso dell’aumento della
domanda per il prodotto; per ipotesi nel mercato del lavoro si scambia una quantità / !/ a %3
prezzo Z immutato, nel mercato (di leasing) degli aerei si scambia una quantità . . , %3
Nel grafico centrale a sinistra compare OD FXUYD GL RIIHUWD GL EUHYH SHULRGR
dell'industria in esame, 6 ; come quella di lungo periodo corrisponde al luogo dei costi medi
%3
minimi delle imprese concorrenziali al variare del prodotto complessivo e dunque dei prezzi
dei fattori di produzione, ma a differenza di questa è definita per una quantità immutata del
fattore fisso, nel caso, lo stock di aerei. La quantità del fattore fisso è dunque un parametro
della curva di offerta di breve periodo; quella illustrata è appunto quella definita per lo stock
di aerei raggiunto nell'equilibrio iniziale 3 4 , e passa dunque per quel punto.
4/3
Ipotizziamo che la 6 (definita, ripetiamo, dall'aumento dei costi e dei prezzi con
%3
l'aumento della produzione con stock di capitale fisso) incontri la curva di domanda ' al
l'impresa, dati sempre gli equilibri con profitti di arbitraggio nulli, i costi medi minimi sono
aumentati appunto fino a $& 3 !$& ; il prodotto corrispondente (date sempre per
%3 4%3 /3
Nel grafico in basso, nello spazio dei fattori, il nuovo equilibrio sarà il punto ( %3
punto di tangenza fra quell'isoquanto e l'isocosto 7& con pendenza ZU ZU : di
%3 %3 /3
fatto, la concorrenza tra le imprese per accaparrare gli aerei ne fa lievitare il prezzo di leasing
finchè la quantità desiderata non coincide con la quantità disponibile. Infatti . è fisso solo
per l'industria; ognuna delle Q imprese osserva solo l'aumento del prezzo U, che la porta a
decidere di produrre di più con una flotta immutata, e più personale (totale e per unità di
capitale). La forza lavoro dunque aumenta, nel caso fino a / !/ !/ : in sostanza, visto
%3
l'alto prezzo dei viaggi e l'alto costo degli aerei, l'impresa assume molto personale di terra per
abbreviare i tempi morti tra un volo e l'altro.
Con la stessa flotta aerea si produce dunque 4 ! 4 , con però un notevole%3
incremento dei costi medi. Dati i rendimenti costanti, infatti, i costi medi pure sarebbero
costanti se si potesse produrre 4 a costi minimi con prezzi e rapporti dei fattori immutati,
%3
ossia al punto di tangenza dell'isoquanto 4 all'isocosto 7&
(la tratteggiata parallela a 7& e
%3
7& ). Si produce invece con Z immutato e U aumentato, e costi totali 7& ; l'aumento dei
%3
costi medi è nella proporzione 7& 7&
, ossia data la costanza di Z nella proporzione
%3
utilizzato, e dunque la curva del prodotto marginale del lavoro, lo spostamento della domanda
di lavoro da ' a ' è dovuto interamente all'aumento del prezzo del bene: per ogni
%3
il bene durevole è anche aumentata, di ' in ' , sia perchè è aumentato il prezzo del bene,
%3
sia perchè con l'aumento del personale / aumenta pure il prodotto marginale del capitale
03 . Siccome però nel breve periodo l'offerta di aerei è rigida, come si è visto l'aumento
.
115
5.d.7. dal breve al lungo periodo: il mercato dei beni durevoli
Consideriamo adesso il passaggio dall’equilibrio di breve periodo al nuovo equilibrio
di lungo periodo.
Nell’equilibrio di breve periodo sono in equilibrio le imprese, che massimizzano i
profitti peraltro pari a zero, e i mercati in cui si affittano i lavoratori e gli aerei; se l’equilibrio
è pur sempre solo di breve periodo, è perchè non è in equilibrio anche lo stock di capitale,
appunto perchè come si è ipotizzato il suo incremento richiede notevoli tempi tecnici.
Consideriamo adesso in termini generali un tipico mercato di beni durevoli. Nel breve
periodo, come abbiamo visto, essendo fissa la quantità disponibile, l'arbitraggio (la
concorrenza tra le imprese) porta il prezzo di leasing U al prezzo di domanda per lo stock
esistente, ossia al valore del suo prodotto marginale.
L'arbitraggio opera pure nel mercato in cui si scambiano gli stessi beni durevoli; come
sappiamo (supra, 3.b.14), il prezzo di domanda e di mercato di questi 3 sarà il valore attuale, .
ossia la la capitalizzazione, del reddito netto atteso. Se per ipotesi U è il reddito netto del
proprietario del bene (ossia se la manutenzione è a carico dell'affittuario), e si presume che
tale reddito rimarrà costante per la vita 7 del bene, e il tasso di sconto (comprensivo del
premio rischio) è L, allora 3 U>UL@>UL @>UL @. Il prezzo 3
7
. .
dunque aumenta con U (e a parità di U attesi nel futuro più lontano, aumenta se aumentano gli
U attesi negli anni più vicini).
Nel caso della terra, data e indistruttibile, il discorso finisce qui; ma per i beni
durevoli riproducibili bisogna tener conto sia della produzione nuova, sia delle rottamazioni.
Immaginiamo per semplicità che le rottamazioni siano una quota costante G dello stock
esistente; in assenza di produzione nuova dello stock . nel periodo W sopravviverà solo
G. nel periodo W. Tenendo conto della produzione nuova . nel periodo W, otteniamo
1
. G. . ; nei tempi abbastanza lunghi da permettere mutamenti nello stock di
W W 1W
sia appunto di equilibrio di lungo periodo: per ipotesi, cioè, dati i prezzi degli altri fattori, la
tecnologia, e il prezzo del bene prodotto usando questo bene durevole, il valore del prodotto
marginale dello stock . genera un prezzo di leasing U che genera un prezzo del bene
durevole 3 (grafico a sinistra) tale che a quel prezzo, e data la curva di offerta dei produttori
.
tecnologia, l'offerta degli altri fattori, e la domanda per il prodotto) dovesse aumentare .,
calerebbe il prezzo di leasing e dunque (lungo la domanda ' ) il prezzo del bene durevole, e
dunque pure la produzione nuova, che non coprirebbe più le rottamazioni, per cui . si
ridurrebbe.
Ipotizziamo adesso che per qualche motivo (l'aumento della domanda per il prodotto,
la variazione del prezzo di un altro fattore) aumenti la domanda per l'uso del capitale; nel
breve periodo, con . dato, aumenta U, il valore attuale del flusso atteso, e dunque 3 . .
Ipotizziamo che la domanda per il bene durevole si sposti da ' a ' , generando un prezzo
116
corrispondente del bene durevole 3 induca una nuova produzione . G. . Essendo 3
. 1 .
! 3 , e (per ipotesi) immutati il tasso di sconto e la vita media dei beni durevoli, da un
.
capitalizzazione.
I grafici inferiori della Figura riportano l'andamento temporale di . e . : notiamo
1
che mentre nel tempo lo stock . passa dal livello stabile iniziale . al livello stabile finale .
attraverso un semplice periodo di crescita, la produzione di beni durevoli . passa dal livello
1
stabile iniziale . al livello stabile finale . con una rapida espansione iniziale ben oltre
1 1
ambedue sulla parte piatta, in modo da mantenere costante il prezzo di leasing U , e solo .
/3 1
è sulla parte in salita (anche perchè l'industria produttrice adatta gli impianti ai livelli
sostenibili, e non alle punte cicliche).
Si riprenda la Figura 5.d.6.1. Nel grafico in basso, l'equilibrio salta inizialmente da (
a ( ; poi, man mano che . aumenta e U si riduce l'isocosto diventa più ripido, i costi e il
%3
( . Nel grafico in alto a sinistra la domanda di lavoro, che era saltata da ' a ' , si riduce
%3
progressivamente fino a ' ; siccome nel frattempo aumenta ., la riduzione è dovuta al calo
del prezzo del prodotto, che domina l'aumento del prodotto marginale fisico. Nel grafico in
alto a destra la domanda di capitale segue un'evoluzione simile; in questo caso, però, la
caduta della domanda di aerei in leasing è dovuta alla riduzione congiunta del prezzo del
prodotto e (data la riduzione di /) del prodotto marginale fisico. Nel grafico centrale a
sinistra, l'equilibrio nel mercato dei viaggi aerei era saltato lungo l'offerta di breve periodo
6 , definita da . . , dall'incrocio di questa con ' all'incrocio con ' . Come cresce .,
%3
poi, 6 si sposta verso destra, generando equilibri successivi lungo ' , per poi fermarsi
%3
quando incrocia anche 6 ; in quel punto, infatti, U sarà tale da stabilizzare .. Nel grafico
/3
centrale a destra, infine, la curva dei costi medi dell'impresa rappesentativa, che era saltata da
$& a $& , ridiscende nel tempo, per raggiungere di nuovo i costi minimi iniziali. Con
%3
l'ipotesi di comodo che il numero di imprese rimane costante, ognuna di queste si ritrova nel
lungo periodo con $& e un prodotto doppio di quello iniziale. Nulla cambia se ipotizziamo
che le imprese ritornano ad $& , con un prodotto identico a quello iniziale, e raddoppiano di
numero; come sappiamo, con rendimenti costanti la scala di equilibrio dell'impresa non è
definita, ed è del tutto indifferente.
117
5.e.1. la logica e la prassi
Apriamo una parentesi per informare il lettore sull’analisi dei costi e degli equilibri di
produzione di breve periodo che continuano a presentare gli altri testi di economia: non per
capire la logica del modello, già presentata, ma per conoscere gli schemi mentali tuttora
diffusi.
Nel lungo periodo, come abbiamo visto, tutti i mercati esistono, tutti i prezzi e tutte le
quantità sono variabili, l'arbitraggio riduce i profitti a zero, e i prezzi di offerta dell'industria
concorrenziale corrispondono ai costi minimi del prodotto, che variano con la scala di
produzione perchè questa determina i prezzi nei mercati dei fattori di produzione. Nel breve
periodo, come pure abbiamo visto, l'unica differenza è che un qualche fattore di produzione
("il capitale") è disponibile in quantità complessiva fissa, perchè ha esso stesso i suoi tempi di
produzione.
La nostra analisi del lungo periodo è assolutamente ortodossa; la nostra analisi del
breve periodo è invece diversa da quella nel patrimonio comune degli economisti, che è
stranamente illogica e sopravvive sicuramente solo perchè nessuno ci pensa più. Come
vedremo, infatti, l'analisi comune del breve periodo presume che in tale periodo l'arbitraggio
sia sospeso all'esterno dell'impresa anche se non all'interno di essa; che non esista un mercato
per "il capitale", e che l'impresa lo valuti non al valore attuale ma al valore storico,
scordandosi la prima differenza tra economisti e contabili; e infine che siano fissi i prezzi di
tutti i fattori di produzione, ossia che ad esempio il prezzo del cotone non dipenda dalla
domanda da parte dell'industria cotoniera.
La radice di tale impostazione è ovviamente non la logica ma la storia. La tradizione
anglosassone ha infatti maturato un modello dell'impresa che ricalca l'impresa-tipo della
rivoluzione industriale inglese: piccola, mono-fabbrica, a conduzione familiare, di proprietà
sostanzialmente inalienabile del gestore, e a sua volta proprietaria degli impianti. La fabbrica
era allora quella che era, e nel breve periodo si decideva solo sull'intensità dell'uso degli
impianti e dunque della forza lavoro, peraltro assolutamente generica, da assumere. "Il
capitale" si considera pertanto fisso, nel breve periodo, per la stessa impresa, che a sua volta
non è in vendita, per cui i valori attribuiti all'uno e l'altra diventano irrilevanti; si confondono
imprenditore e proprietario del capitale, profitti d'impresa e guadagni da speculazione in
proprietà, si ragiona insomma senza rifletterci in un contesto particolare di mercati inesistenti.
Più strana è l'ipotesi che l'industria intera non abbia nel breve periodo alcun potere di
mercato, nemmeno rispetto alla materia prima che essa sola utilizza. Qui la storia non aiuta:
è vero infatti che l'Inghilterra di allora era libero-scambista, e comprava le materie prime sui
mercati mondiali; ma la stessa Inghilterra era "l'opificio del mondo", e i prezzi mondiali erano
di fatto i prezzi sulla piazza inglese. Le altre industrie nazionali si potevano considerare
"piccole", ininfluenti sui prezzi, ma l'industria inglese certo no; probabilmente si tratta di una
semplice svista.
cost"), che corrisponde alla remunerazione Z/ del fattore variabile, il lavoro (se ci fossero
due fattori variabili, il loro uso si ottimizzerebbe con le solite tangenze fra isoquanto e
118
isocosto nello spazio corrispondente).
In basso a sinistra si riprende il grafico precedente per evidenziare le pendenze che
corrispondono ai costi medi e marginali, illustrati poi nel grafico a destra. Per ogni livello di
produzione 4 il costo marginale 0& è sempre unico, e corrisponde alla pendenza della curva
dei costi totali; all'interno dei costi medi si distinguono invece, dato il costo fisso, tre valori
diversi. Dal punto di origine del grafico a sinistra si misura l'angolo che corrisponde al costo
medio fisso $)& ("average fixed cost"), ovviamente iperbolico nel grafico a destra in quanto
pari a 7)&4, e l'angolo che corrisponde al costo medio totale $7& ("average total cost"),
per ipotesi a "U" nel grafico a destra; dal punto corrispondente a 4 7& 7)& nel
grafico a sinistra si misura invece l'angolo che corrisponde al costo medio variabile $9&
("average variable cost"), anch'esso a "U" nel grafico a destra. Siccome 7& 7)&79&,
ovviamente $7& $)&$9&: la curva $7& si ottiene sommando verticalmente le curve
$)& e $9&. Essendo poi il costo marginale l'unica fonte di variazione dei costi, la curva 0&
incrocia le curve $9& e $7& nei rispettivi minimi (per il solito motivo: i valori medi
aumentano se il valore marginale supera il valore medio, ecc.).
Si passi alla Figura 5.e.2.2, nella quale si ipotizza, nel lungo periodo, la possibilità di
due fabbriche di dimensioni diverse. Ognuna genera una famiglia di curve di costi, come
quelle della Figura precedente; nel breve periodo l'impresa avrà una di queste fabbriche, cui
corrispondono le curve dei costi di breve periodo. Nel lungo periodo l'impresa può scegliere
tra le due fabbriche; i costi totali di lungo periodo sono sempre i più bassi raggiungibili,
evidenziati nel grafico centrale dalla curva spessa, fatta appunto dai costi della fabbrica
piccola per produzioni basse, e della fabbrica grande per produzioni alte (in termini tecnici, la
curva dei costi di lungo periodo è l'inviluppo delle curve dei costi di breve periodo). Nel
grafico in basso compaiono come curve solide le curve dei valori medi (totali) e marginali di
lungo periodo; essendo derivate dalla curva dei costi totali corrispondono anche queste ai
costi associati a . fino 4 4 , e ai costi associati a . per 4 superiori. Siccome la curva
dei costi medi non è differenziabile per 4 4 , in corrispondenza di tale valore la curva dei
precedente. Il grafico a sinistra avrà lo stesso aspetto, ma con curve spostate, e la tangenza tra
prezzo e costi medi si verificherà al nuovo prezzo di equilibrio. E fin qui tutto bene.
Il problema è nel breve periodo, illustrato nei grafici inferiori. Ipotizziamo un
equilibrio iniziale di lungo periodo, al prezzo 3 , e che la domanda poi aumenti da ' a ' .
Nel breve periodo, l'equilibrio sarà dato dall'incrocio tra la nuove domanda e la curva di
offerta di breve periodo, e il prezzo aumenterà a 3 . Anche qui tutto bene, chè quanto detto è
implicito nella definizione di "offerta di breve periodo"; la stranezza, per non dire l'errore, sta
nell'affermazione che ODFXUYDGLRIIHUWDGLEUHYHSHULRGRqODVRPPDRUL]]RQWDOHGHOOHFXUYH
GHL FRVWL PDUJLQDOL GL EUHYH SHULRGR GHOOH VLQJROH LPSUHVH (si precisa tipicamente "sopra ai
costi medi variabili minimi", riconoscendo all'impresa la possibilità di non produrre e di
limitare le perdire ai costi fissi). Questo viene presentato come conseguenza del fatto che le
imprese sono date, e ognuna ottimizza raggiungendo 3 05 0&; ma le curve 0& sono
date per i prezzi vigenti dei fattori, e si possono sommare solo se l'aumento di domanda per i
fattori variabili da parte dell'insieme delle imprese non incide sui prezzi di questi. Questa
ipotesi, implicita e non riconosciuta, può essere plausibile per il lavoro, se generico; non può
esserlo, come abbiamo già notato, per la materia prima specifica all'industria, se non in casi
molto particolari.
Si assume insomma che nel breve periodo le curve dei costi delle imprese sono
immobili. Con 3 3 , data la 0& , l'impresa produrrà 4 , e guadagnerà dunque un profitto
%3
pari a 4 3 $& . Questo profitto è generato, rispetto a costo storico della fabbrica, dal
fatto che la capacità produttiva è stata resa scarsa dall'aumento della domanda e della
produzione; a ogni imprenditore converrebbe aumentare la propria capacità produttiva;
eppure non cambia il prezzo delle fabbriche, nè di affitto, nè di acquisto, perchè a nessuno
viene in mente di muoversi in tal senso, forse appunto perchè non è socialmente corretto
chiedere a una famiglia di cedere la propria fabbrica. L'imprenditore, nell'immobilismo degli
altri e l'assenza dunque di arbitraggio, intasca i profitti che in un sistema completo di mercati
sarebbe immediatamente assorbito dal prezzo d'uso, o di acquisto, delle fabbriche. In un
sistema completo di mercati, l'abbiamo visto, il prezzo delle fabbriche raggiunge
continuamente il livello di equilibrio, ossia quello che porta gli imprenditori a desiderare,
collettivamente, la capacità produttiva disponibile; nell'analisi tradizionale gli imprenditori si
tengono la capacità produttiva che si trovano ad avere perchè non possono variarla.
Nell'analisi tradizionale il passaggio dal breve al lungo periodo si racconta
ipotizzando che i profitti delle imprese attirano altri imprenditori, che fondano nuove
imprese, assumono lavoro, comprano materia prima; nel lungo periodo cambiano dunque la
capacità produttiva complessiva, il prezzo del bene, i prezzi dei fattori. Il meccanismo
comunque non è chiaro: nelle more, infatti, l'impresa già attiva dovrebbe mirare a modificare
i propri impianti per raggiungere 4 , che equipara prezzo e costo marginale di lungo periodo;
ma così facendo sbaglia, perchè come apre la nuova fabbrica aprono anche le altre, il prezzo
cala, e la nuova fabbrica risulta sovradimensionata.
In un sistema completo di mercati, con l'aggiustamento attraverso la crescita dello
stock di capitale, tali problemi non sorgono.
120
5.f. gli equilibri non di concorrenza
due curve di domanda: ' , a elasticità relativamente bassa, che rappresenta la quota
dell'impresa, per ipotesi costante, della domanda complessiva; e ' , che rappresenta gli
equilibri possibili se l'impresa riduce il prezzo, fermo restando il prezzo praticato dagli altri, e
aumenta dunque la sua quota di mercato. Il prezzo 3 è stato scelto in modo da
0
massimizzare i profitti congiunti, date le quote di mercato; per l'impresa, dunque, è ottimale
data la domanda ' . Se invece riesce a ridurre i prezzi di soppiatto, può operare lungo ' ; e
raggiungere un nuovo accordo, che non aveva sorte migliore di quello precedente. L’unico
modo di garantire i profitti di monopolio è insomma la fusione per raggiungere un monopolio
effettivo--o l'intervento pubblico per dar forza di legge ai prezzi concordati.
Oggigiorno, le leggi dei maggiori paesi condannano gli accordi per fissare i prezzi, e
le Autorità garanti "della concorrenza" bloccano la formazione di monopoli. Tipicamente,
però, e specie negli Stati Uniti, si tende a credere nei rendimenti diffusamente crescenti, e
dunque nei vantaggi di costo delle imprese giganti; si finisce col permettere tutte le fusioni
fino al raggiungimento dell'oligopolio, vigilando poi (spesso più male che bene) a che le
poche imprese rimaste si facciano un'effettiva concorrenza.
Il problema è che le poche imprese hanno sempre di fronte, in qualsiasi momento, le
due curve di domanda di cui sopra: quella a quota di mercato costante, che si applica se tutte
le imprese praticano sempre prezzi uguali e dunque li variano insieme, e quella a quota di
mercato variabile, se la singola impresa è l'unica a modificare i prezzi. Si consideri il terzo
grafico della Figura: se il prezzo è vicino ai costi, le imprese capiscono benissimo che
possono aumentare i profitti alzando insieme i prezzi, e possono farlo con una FROOXVLRQH
WDFLWD, senza un accordo preventivo. L'esempio è dato dal trasporto aereo negli Stati Uniti,
ormai dominato da poche grandi compagnie. Spesso una di queste annuncia un aumento dei
prezzi, per mantenerlo se le altre la seguono, o ritirarlo nel caso contrario. Le imprese di un
oligopolio sono insomma conscie della loro interdipendenza; meno sono, più è facile che
l'accordo tacito venga mantenuto.
Anche per questo, le grandi imprese hanno un interesse comune a rimanere poche. La
deregolamentazione del trasporto aereo, negli Stati Uniti, è stata seguita da una serie di
fusioni tra le compagnie esistenti, da un lato, e di nuove iniziative dall'altro. Per i primi anni
si è verificata un'emorragia di perdite, da parte di tutti, e una serie di fallimenti; oggi le grandi
superstiti guadagnano moltissimo. Le perdite erano presentate come errori di gestione, da un
eccesso di concorrenza; ma è legittimo ipotizzare che fossero volute dalle imprese più solide,
che sapevano che sarebbero rimaste in campo, e che anche se non potevano ammetterlo quelle
perdite erano di fatto un investimento mirato ai profitti di monopolio una volta sbaragliati o
assorbiti i concorrenti deboli. Ne è la controprova la furia con la quale queste imprese si
scagliano contro ogni tentativo di aprire il mercato interno americano a vettori esteri: furia
incomprensibile per un industria concorrenziale, in cui la nazionalità dell'impresa è
assolutamente irrilevante, assolutamente "giustificata" invece se le imprese si sono comprati i
profitti attuali con una strategia costosa e lungimirante che rischia di essere vanificata se si
permette la concorrenza non da parte di neonate deboli e facilmente schiacciabili, ma da parte
di colossi esteri forti come loro.
Cournot ipotizza che ogni impresa prenda per data la produzione altrui, e si comporti da
monopolista nel mercato residuale, in un senso preciso: soddisfa la metà della domanda
residuale, definita come il consumo al prezzo concorrenziale meno la produzione degli altri.
Ogni impresa L produce 4 4 4 , dove 4 è la produzione altrui. Il prezzo sarà
L & D D
124
quello ottenuto vendendo all'asta il prodotto complessivo; le imprese però non reagiscono al
prezzo, ma solo alle quantità prodotte, da un lato, e al consumo massimo, al prezzo di costo
(di concorrenza), dall'altro.
Per il primo produttore 4 ; sceglie dunque 4 4 4 , come sopra. Si
D L 0 &
immagini che arrivi un secondo produttore; siccome già esiste una produzione pari a 4 , &
produrrà la metà del residuo, ossia 4 . Il primo reagisce riducendo la produzione, secondo
&
la regola, per produrre 4 4 , ossia 4 , al che il secondo aumenta la sua
& & &
produzione a 4 , al che il primo riduce ancora la sua, e così via; arrivano a produrre
&
ognuno 4 4 4 4 , per un prodotto complessivo pari a 4 , come
L & & & &
solito gioco si assesteranno tutti e tre su 4 4 4 4 , per un prodotto
L & & &
considera dato il dazio dell'altro, l'equilibrio di Cournot si raggiunge quando ognuno dimezza
il traffico che permette l'altro: ne risulta un dazio complessivo pari a 3 , appunto perchè
0
ognuno dimezza un traffico già ridotto di un terzo, come nel grafico inferiore della Figura.
Con Q stati, ognuno dei quali considera dati i dazi degli altri Q , il dazio complessivo
raggiunge QQ3 , il traffico si riduce a Q4 , e il gettito complessivo si riduce
0 &
a 3 4 QQ : con Q , per avere un'idea, a un quarto circa del massimo ottenibile.
0 &
Non a caso i primi stati non meramente locali si estendono lungo le vie del commercio; non a
caso, in tempi storici, l'apertura del golfo di Ghinea al commercio marittimo è stata seguita
dalla formazione di nuovi grandi stati fra la costa e l'interno.
125
6. L’EQUILIBRIO GENERALE: IL SISTEMA DEI MERCATI (B: produzione)
rimangono ferme, mentre quelle del secondo (ad esempio 8 ) rimangono immobili rispetto
%
al proprio punto di origine, e si spostano con questo. A ognuno di questi due punti di
produzione corrisponde un luogo di tangenze tra le curve di indifferenza dei due consumatori;
nel grafico inferiore, nello spazio delle utilità, questi due luoghi corrispondono a due distinte
curve delle utilità possibili, rispettivamente &83 e &83 . Dato il punto , notiamo, 8 è
%
Nell'economia di produzione, dunque, esistono una serie infinite di &83, una per ogni
punto di produzione sulla curva delle produzioni possibili. Tenendo conto della possibilità di
variare la produzione e dunque la disponibilità dei beni, l'utilità massima di un individuo per
ogni utilità dell'altro è data ovviamente dall'inviluppo delle singole &83. Questo inviluppo è
illustrato, con due &83 rappresentative, nella Figura 6.a.1.3; è noto come la IURQWLHUDGHOOH
XWLOLWjSRVVLELOL)83, e rappresenta ovviamente nell'economia di produzione i vincolo alla
massimizzazione del benessere sociale che nell'economia di puro scambio è invece la
semplice &83 per i beni dati.
706 . Ogni impresa minimizzando i costi equipara il proprio 706 al proprio 706
L< L Y
0& 0& . Se le imprese sono tutte concorrenziali per tutte 706 0& 0& ZU;
/ . Y / .
ma se sono identici i loro 706 lo saranno anche i loro 706 , e l'allocazione dei fattori sarà
Y L
129
diverse imprese non è più garantita. In questo contesto la concorrenza è dunque sufficiente
per il risultato desiderato. Sembra non necessaria, in quanto il rapporto tra i costi marginali
potrebbe rimanere uguale al rapporto dei prezzi, con un potere di monopolio uguale, e dunque
un rapporto costo marginale/prezzo uguale, in ambedue i mercati dei fattori; ma come
vedremo poi questo è un risultato spurio, dovuto alla struttura particolarmente semplice del
modello in esame.
Notiamo pure che ; e < sono due beni qualsiasi, distinti perchè prodotti da produttori
diversi. I beni considerati possono essere effettivamente diversi, e rappresentare i prodotti di
industrie diverse; ma possono anche essere identici, e rappresentare dunque i prodotti di
imprese diverse all'interno di una stessa industria. La differenza è che se le imprese
appartengono alla stessa industria i loro prodotti si possono paragonare e sommare
direttamente, al di là dei paragoni paretiani; e questo permette un passo ulteriore.
Si consideri la Figura 6.b.2.2, in cui si rappresenta il mercato di un fattore 7 specifico
ad un industria. L'offerta di 7, 6 , è data dall'asse orizzontale fino a 7
, e poi dalla retta
7
verticale. Ipotizziamo Q imprese, di cui Q concorrenziali nel mercato di 7, e una con
potere di mercato. La domanda complessiva delle imprese concorrenziali è ' ; la domanda &
del monopolista è ' . Il monopolista ha dunque di fronte l'offerta di 7 data dalla differenza
0
rappresenta la curva dei suoi costi medi, e il suo equilibrio corrisponde all'intersezione tra ' 0
per le imprese concorrenziali (anche nel mercato dei beni), U 3 03 , per cui 03 4 7& 7&
del fattore è comunque concorrenziale nel mercato del bene prodotto, e 05 3 nel caso 4 4
contrario. Per il monopolista, dunque (e comunque) 03 0& 05 !U3 03 .
70 0 4 4 7&
Il prodotto marginale G4G7 è dunque maggiore per il monopolista che non per le altre
imprese; spostando un unità di 7 da queste a quello aumenta il prodotto complessivo a parità
di consumo del fattore. Il monopolio di acquisto nel mercato del fattore di produzione è
pertanto causa di un'inefficienza nella produzione.
/
. Nella Figura 6.b.3.1, i primi due grafici rappresentano gli isoquanti relativi ai due beni,
con l'indicazione delle quantità dei fattori fissi. Si presume che i rendimenti di scala siano
costanti; per non complicare l'analisi assumiamo inoltre che ogni industria sia composta da
un'unica impresa, per cui i grafici sono riferibili direttamente all'industria. Da questi grafici si
deriva per ogni bene la relazione tra prodotto e consumo di lavoro, fermo restando l'uso
dell'intera disponibilità del fattore specializzato.
I quattro grafici in basso formano un gruppo collegato. Di questi quattro, il primo
rappresenta appunto lo spaccato della funzione < <. / per . .
; il terzo, il vincolo
< <
della forza lavoro / / /
, per cui le due intercette sono ambedue pari a /
, e la
; <
pendenza è di ; e il quarto, lo spaccato della funzione ; ;7 / per 7 7
, con gli assi
; ;
03 03 .
/< /;
dei fattori specializzati. Nel caso particolare, dunque, 0& Z03 , e 0& Z03 ; ne
; /; < /<
consegue che 707 03 03 Z0& Z0& 0& 0& . La convessità dall'alto
;< /< /; < ; ; <
3 ; ma questo adesso non ci preoccupa). Il grafico in basso è riferito invece al mercato del
;
lavoro. Sugli assi verticali si misura il valore del rendimento marginale del lavoro nelle due
produzioni, nel caso in ; sull'asse a sinistra e in < sull'asse a destra; la distanza orizzontale tra
questi assi corrisponde al lavoro complessivo, e il lavoro assorbito da ogni industria si misura
orizzontalmente dalla base del rispettivo asse verticale, verso destra per ; e verso sinistra per
<.
Ogni punto sul segmento orizzontale corrisponde dunque ad un'allocazione del lavoro
tra le due industrie, e dunque a una combinazione di produzioni sulla curva di trasformazione.
Perchè un'allocazione sia un equilibrio di mercato, il lavoro deve ricevere lo stesso salario
("di mercato") Z in ambedue le industrie; se così non fosse, infatti, i lavoratori si
sposterebbero dal settore in cui guadagnano di meno a quello in cui guadagnano di più. Per
ambedue le imprese/industrie, poi, quel salario Z che è per loro il costo marginale del lavoro
deve corrispondere al beneficio marginale corrispondente, da cui 05 03 Z 05 03 .
; /; < /<
0& 0& , e cambia appunto il 707 , diventando relativamente più costoso (e caro) il bene
< ; ;<
Ipotizzando poi che da un equilibrio all'altro non cambino i rapporti 305 nei mercati dei
beni, possiamo notare la seguente graduatoria nei mutamenti dei prezzi relativi: GU U ! . .
unità di 7 l'intercetta del vincolo sull'asse * (la produzione massima permessa dalla terra
disponibile) è pari a (500/2) = 250, mentre l'intercetta sull'asse 9 è (500/1) = 500. Allo stesso
modo la retta 33 ha un'intercetta pari a (600/1) = 600 sull'asse * e (600/3) = 200 sull'asse 9.
/
132
Le produzioni possibili rispettano per forza ambedue i vincoli; la curva delle produzioni
possibili è dunque la spezzata DEF, che è appunto convessa dall'alto.
Notiamo le corrispondenze tra i due grafici. Il punto D è quello in cui si produce solo
*, e il prodotto è vincolato dalla terra; nel grafico superiore compare all'incrocio tra la tecnica
di * e il vincolo 7
. L'incrocio di quella stessa tecnica con il vincolo /
corrisponde invece
al punto G, di fatto non raggiungibile per mancanza di terra. Allo stesso modo troviamo il
prodotto massimo di 9 al punto F, vincolato dal lavoro; nel grafico superiore compare
all'incrocio tra la tecnica di 9 e il vincolo /
. L'incrocio di quella stessa tecnica con 7
definisce invece il punto H, di fatto non raggiungibile per mancanza di lavoro. Il punto E è
invece l'unico che si trovi su ambedue i vincoli; corrisponde, nel grafico superiore,
all'incrocio tra 7
e /
.
Tra D e E, in ambedue i grafici, si usa tutta la terra, ma non tutto il lavoro; e viceversa
tra E e F. Lungo questi due segmenti, il fattore sovrabbondante avrà un prezzo nullo, mentre
il prezzo dell'altro sarà tale da assorbire l'intero valore del prodotto. Tra D e E, in particolare,
Z , e il rapporto tra i costi marginali e medi dei due beni è costante e pari al rapporto dei
loro consumi unitari di terra: infatti 0& $& U, e 0& $& U. Tra E e F, invece,
9 9 * *
l'unica risorsa scarsa è il lavoro, per cui U , e il rapporto tra i costi marginali e medi è dato
dal contenuto relativo di lavoro, come per il daino e il castoro di Adam Smith; nel caso, 0& 9
di ; ); con un prezzo relativo del lavoro basso, invece, < è relativamente intensivo in lavoro
$
(il raggio < è meno ripido di ; ). Nel grafico superiore, gli isoquanti dei due beni hanno
% %
curvature simili, per cui cambiando il prezzo relativo dei fattori le tecniche cambiano in modo
simile nelle due produzioni, e il raggio relativo a * è sempre più ripido del raggio relativo a
9.
La Figura 6.b.5.2 illustra un equilibrio possibile, nello spazio dei fattori e in quello dei
beni. Nel grafico superiore, il punto E corrisponde al pieno impiego dei fattori; nel caso, è
raggiunto con le tecniche indicate dai raggi * e 9 , e i livelli di produzione corrispondenti ai
$ $
stessa pendenza degli isoquanti. Siccome poi gli isoquanti hanno la stessa pendenza e i
fattori di produzione sono interamente utilizzati l'equilibrio che combina le produzioni
corrispondenti ai punti D e F si trova sulla curva delle produzioni possibili, come indicato nel
grafico inferiore.
La Figura 6.b.5.3 illustra il mutamento dell'equilibrio. Nel primo grafico l'equilibrio
originale riproduce quello della Figura precedente; ipotizziamo ora che per un motivo
qualsiasi si riduca la produzione di * e aumenti quella di 9. Inizialmente la produzione di *
si contrae lungo * , e quella di 9 si espande lungo 9 ; ma questi movimenti deformano il
$ $
parallelogramma, e l'apice di questo lascia E per spostarsi verso sud-est. Si crea cioè un
eccesso di offerta di terra, e di domanda di lavoro, proprio perchè con le tecniche iin uso il
settore che si contrae libera più terra e meno lavoro di quanto non assorba il settore in
espansione. Questi squilibri nei mercati dei fattori causano però un aumento del prezzo
relativo del lavoro: aumenta ZU, che a sua volta porta ambedue le industrie a cambiare
tecnica per usare relativamente meno lavoro e più terra. Diventano dunque più ripidi i raggi
7/, e si raggiunge così il nuovo equilibrio, con raggi * e 9 , produzione in D
e F
, e un
% %
parallelogramma che ritrova E e dunque mantiene l'equilibrio nei mercati dei fattori.
In sostanza, dunque, i fattori generici usati intensivamente in industrie diverse si
comportano come se fossero specifici a queste industrie: come si cambia la produzione a
favore del bene intensivo in un fattore particolare, aumenta il prezzo relativo di quel fattore.
La logica è trasparente: il rapporto 7/ medio è e deve rimanere 7
/
; questo rapporto
medio è una media ponderata dei rapporti specifici alle due industrie, per cui 7
/
J7/ Y7/ ; se cambiano i pesi relativi J e Y devono cambiare pure i rapporti da essi
* 9
riduce JY, devono aumentare 7/ e 7/ ; e questo a sua volta si ottiene aumentando
* 9
all'isoquanto 9
in 9. Con rendimenti di scala costanti, dati i prezzi relativi dei fattori
corrispondenti a 7& , i costi medi e marginali (costanti) dei beni sono $& 0&
* *
nella direzione del bene intensivo in lavoro aumenta il salario relativo, e l'isocosto diventa più
ripido; ma allora *
e 9
non avranno più lo stesso costo complessivo. Nel grafico, infatti,
*
si ottiene con 7& , tangente all'isoquanto *
in *, mentre 9
si ottiene con 7& !7& ,
tangente all'isoquanto 9
in 9. Ne consegue che 7& 9
7& *
!7& 9
7& *
, e
dunque che 0& 0& !0& 0& : come cambiano le produzioni lungo la curva di
9 * 9 *
134
trasformazione cambiano i prezzi relativi dei fattori e dunque le funzioni di costo dei beni,
aumentando il costo marginale relativo del bene di cui aumenta la produzione.
Ricordiamo che minimizzando i costi in regime di concorrenza 03 03 ZU
/* 7*
0& 0& : al margine, i rapporti dei prodotti marginali dei fattori nelle diverse produzioni
9 *
sono uguali, e uguali al rapporto (inverso) dei costi marginali. Il tasso marginale di
trasformazione 707, che è la pendenza della curva di trasformazione, corrisponde a questo
rapporto comune dei prodotti marginali e al rapporto dei costi marginali: che si sposti al
margine un'unità di lavoro o un'unità di terra, il mutamento delle produzioni, e dei costi, è lo
stesso. Ritroviamo dunque con più di un fattore generico quanto già stabilito (6.b.3) con un
unico fattore generico, e fattori specializzati.
La Figura 6.b.5.4 illustra i casi limite della specializzazione completa, in cui si
produce un bene solo. Il primo grafico riporta la curva di trasformazione; corrispondono alla
specializzazione il punto D, in cui si produce solo grano, e il punto E, in cui si produce solo
vino. Il secondo grafico riporta, per memoria, il parallelogramma dei fattori che corrisponde
a un equilibrio non di specializzazione, quale il punto F, indicando la pendenza degli isocosti,
ossia il rapporto ZU, nell'equilibrio indicato.
Il terzo e quarto grafico illustrano gli equilibri di specializzazione. L'equilibrio nei
mercati dei fattori esige che il rapporto 7/ nell'unica industria attiva corrisponda a 7
/
.
Se l'economia si specializza in *, intensivo in terra, il rapporto ZU deve essere più basso
che in qualsiasi altro equilibrio, appunto per ridurre 7/ , che altrimenti supera 7
/
, a
*
quel livello; e così se si specializza in 9, intensivo in lavoro, il rapporto ZU deve essere più
alto che in qualsiasi altro equilibrio.
Il quinto grafico ripropone la scatola di Edgeworth nello spazio dei fattori. Come è
facile verificare disegnando gli isoquanti per * e per 9 su due fogli diversi e poi
sovrapponendoli, il luogo delle tangenze tra gli isoquanti è una curva: come si vede dai
grafici precedenti il rapporto 7/ cala continuamente come la produzione di * passa da
*
produzione di 9 passa da zero al massimo raggiungibile; e questo implica a sua volta che
ZU aumenta continuamente come si passa per equilibri successivi sulla curva di
trasformazione da una specializzazione completa in * (il punto D) ad una specializzazione
completa in 9 (il punto E).
La Figura 6.b.5.5 illustra infine un'altro caso limite, in cui i due prodotti hanno
isoquanti sovrapposti e dunque intensità fattoriali identiche. In tal caso, come si vede dal
primo grafico, con funzioni di produzione omotetiche il parallelogramma si restringe fino a
diventare un raggio. In equilibrio, 7/ 7/ 7
/
, per qualsiasi produzione
* 9
135
6.b.6. la frontiera dei prezzi dei fattori
Un tema ricorrente in quanto sopra è la variazione dei prezzi relativi dei fattori in
funzione della variazione della produzione lungo la curva di trasformazione. Producendo una
combinazione Pareto-efficiente dei beni, infatti, si produce un certo prodotto complessivo (il
Prodotto Interno Lordo, nella nomenclatura della statistica macroeconomica): 3,/ 3 * *
3 9. Con profitti nulli, l'intero prodotto equivale al reddito complessivo dei fattori: 3,/
9
Z/
U7
. Date le disponibilità dei fattori, dunque, a ogni produzione corrisponde un certo
prezzo relativo dei fattori, e una certa GLVWULEX]LRQH IDWWRULDOH GHO UHGGLWR. Data poi la
distribuzione della ricchezza, ossia la distribuzione tra le varie persone (famiglie) dei diritti di
proprietà nei vari fattori, a questa corrisponde una certa GLVWULEX]LRQHSHUVRQDOHGHOUHGGLWR.
Ammettiamo che se la produzione è Pareto-efficiente, ossia sulla curva di
trasformazione, il 3,/ è quello massimo ottenibile, e ipotizziamo che sia costante in termini
nominali (tralasciando dunque i problemi di aggregazione dei beni prodotti mentre cambiano
le quantità relative di questi, e i valori unitari). Dato che il 3,/ viene ripartito tra i fattori dati
in proporzione ai loro prezzi relativi, è ovvio che se la produzione è efficiente e il 3,/ è
massimizzato, è pure massimizzato il prezzo (e il reddito) di ogni fattore dati i prezzi (e i
redditi) degli altri. Alla produzione sulla curva delle produzioni possibili (la frontiera dei
prodotti ottenibili) corrisponde insomma una combinazione di prezzi dei fattori anch'essa
sulla frontiera corrispondente, detta appunto la IURQWLHUDGHLSUH]]LGHLIDWWRUL.
La Figura 6.b.6.1 riassume quanto detto in proposito. Il primo grafico riporta la curva
di trasformazione ottenuta con fattori specializzati (vedi 6.b.3); il secondo, la frontiera dei
prezzi di questi fattori. Il punto D, in cui si produce solo <, corrisponde al massimo di U , .
ossia del prezzo del fattore usato solo da <; essendo allora nulla la produzione di ;, è nulla la
domanda per il fattore usato solo in quella produzione, e dunque nullo il suo prezzo U . Il 7
punto & corrisponde alla specializzazione opposta, in ;; è allora massimo U , e nullo U . Nel
7 .
punto E si producono ambedue i beni, e ambedue i fattori hanno un prezzo intermedio, tra
zero e il massimo.
Il terzo grafico riporta la curva di trasformazione con due fattori non specializzati,
intensità fattoriali diverse, e sostituzione nulla tra i fattori (6.b.4); il quarto, la frontiera dei
prezzi di questi fattori. Nel segmento DE, ricordiamo, si produce solo o principalmente *,
solo la terra è vincolante, e il lavoro non è scarso; il prezzo della terra è positivo e tale da
esaurire il 3,/, per cui U 3,/7
, mentre Z . Nel segmento EF, invece, si produce solo
o principalmente 9, solo il lavoro è vincolante, e la terra non è scarsa; il prezzo del lavoro è
positivo e tale da esaurire il 3,/, per cui Z 3,//
, mentre U . Al punto E, ambedue i
fattori sono pienamente utilizzati, ma lo spigolo della curva di trasformazione ammette
diversi costi marginali relativi e dunque prezzi relativi dei fattori; possono dunque variare Z e
U, rispettando il vincolo 3,/ Z/
U7
.
Il quinto grafico riporta la curva di trasformazione con due fattori non specializzati,
intensità fattoriali diverse, e sostituzione ("simile") tra i fattori (6.b.5); il sesto, la frontiera dei
prezzi di questi fattori. Il punto D, in cui si produce solo *, corrisponde al massimo di U, ossia
del prezzo del fattore usato intensivamente da *; è allora nulla la produzione di 9, ma
ambedue i fattori sono pienamente utilizzati, e Z è al suo minimo ma comunque positivo. Il
punto F è il caso speculare, e E è un punto intermedio.
Il settimo grafico riporta la curva di trasformazione con due fattori non specializzati, e
isoquanti identici (6.b.5); l'ottavo, la frontiera dei prezzi di questi fattori. In questo caso la
curva di trasformazione è una retta, e i prezzi relativi dei fattori (come i costi marginali dei
beni) sono invarianti a mutamenti nella composizione del prodotto; la frontiera dei prezzi dei
fattori si restringe ad un unico punto, compatibile con tutti quelli sulla curva di
trasformazione.
136
Riassumendo il riassunto, alla curva di trasformazione corrisponde la frontiera dei
prezzi dei fattori (massimo di U dato Z). Il massimo di U so ottiene massimizzando la
produzione del bene relativamente intensivo in 7, e così via. Questo significa che se si varia
il paniere prodotto, si variano anche i prezzi relativi dei fattori: appunto perchè questi sono
dati, e il loro prezzo deve indurre i produttori a consumarne, insieme, esattamente la quantità
totale disponibile. Spostandosi la produzione nella direzione del bene intensivo in uno dei
fattori, per mantenerne costanti i consumi complessivi deve cambiare il loro prezzo relativo,
cosicchè l'effetto di sostituzione interno ad ogni produzione compensa l'effetto dello
spostamento tra le produzioni. In particolare, un paese che passa dall'autarchia al libero
scambio si concentra nella produzione del bene che usa fattori localmente abbondanti;
aumenta pertanto il prezzo relativo di questi, e cala invece quello dei fattori localmente rari
(ragion per cui i sindacati statunitensi si sono opposti al mercato comune col Messico).
Tanto maggiore è la differenza di intensità fattoriale dei due beni prodotti, ossia la
diversità di 7/ dato ZU, tanto maggiore è:
--la variazione di ZU per una data variazione del paniere prodotto;
--la variazione, di conseguenza, del costo relativo, marginale e medio, dei beni, e pertanto
della pendenza della curva di trasformazione;
--la pendenza delle curve di offerta (di lungo periodo), pendenze che altro non indicano,
giustappunto, che la variazione dei costi dovuta alla variazione dei prezzi dei fattori
necessaria per mantenerne il pieno impiego quando varia il paniere prodotto in modo da
alterare il consumo complessivo dei fattori a prezzi relativi invariati.
rapporti delle loro utilità marginali; nell'equilibrio di ciascuno il 706 viene equiparato al
R
rapporto dei costi marginali dei beni per i singoli consumatori; se i consumatori sono tutti
concorrenziali come compratori dei beni i loro rapporti dei costi marginali sono tutti pari al
rapporto dei prezzi di mercato, e i loro 706 sono dunque uguali. L'allocazione di equilibrio
R
si troverà pertanto sulla curva dei contratti, e dunque, nello spazio delle utilità, sulla curva
delle utilità possibili date quelle disponibilità di beni. Nella Figura un equilibrio con
137
consumatori concorrenziali è illustrato dal punto D.
Il punto E, non efficiente, illustra invece un equilibrio in presenza di monopolio.
Ipotizziamo che $ abbia potere di monopolio nel mercato di acquisto di <. Per $, dunque,
706 08 08 0& 0& 3 3 , mentre per % 706 08 08
R ; < ; < ; < R ; <
0& 0& 3 3 : la curva d'indifferenza di % è tangente alla retta dei prezzi, quella di $
; < ; <
alla retta dei costi marginali (meno ripida, perchè per lui 0& !3 ). Il potere di monopolio
< <
di acquisto di < porta a un prezzo relativo di < minore di quello concorrenziale; ma quello
che interessa è che le curve di indifferenza non possono essere tangenti.
Ancora una volta, la concorrenza sembra sufficiente ma non necessaria, in quanto un
individuo dotato di potere di monopolio di acquisto analogo in ambedue i mercati
sembrerebbe comunque avere di fronte un vincolo con un tasso di sostituzione pari ai prezzi
relativi; ma ancora una volta questo è un risultato spurio, dovuto alla struttura particolarmente
semplice del modello.
pure che i compratori dei beni siano tutti concorrenziali, per cui il 706 08 08 è R ; <
unico e uguale per tutti. Sono insomma efficienti sia la produzione, sia l'allocazione dei beni
prodotti; rimane da vedere se è o meno ottimale anche il paniere prodotto, e dunque se è
Pareto-efficiente o meno l'economia nel suo complesso.
Immaginiamo inizialmente che non siano uguali il 706 e il 707 : ad esempio, al R ;<
margine per ogni consumatore una mela è l'equivalente di una pera, mentre spostando risorse
si può ottenere un mela aggiuntiva sacrificando solo mezza pera. In tal caso, ovviamente,
rimane spazio per migliorare il benessere di tutti i consumatori, dando loro per ogni pera tolta
non una mela, che basterebbe per compensarli, ma due. Perchè sia impossibile tale
miglioramento cambiando la produzione, e dunque sia già ottimale la produzione, deve
verificarsi un'ultima equivalenza marginale, ossia 706 707 . R ;<
707 , come nel grafico inferiore della Figura 6.c.2.1. Notiamo che questa configurazione
;<
Notiamo tre cose. Primo, come sopra, la concorrenza tra i venditori dei beni sembra
sufficiente per ottenere 706 707 , ma non necessaria, in quanto con poteri di monopolio
R ;<
simili nei due mercati si potrebbe comunque ottenere 3 3 0& 0& , con 3 0&
; < ; < ; ;
138
3 0& ! ; ma come al solito questo è un risultato spurio legato alla struttura
< <
spostata rispetto alla stessa con concorrenza anche in ;, ossia 6 ; il monopolio in ; per
<;&
effetti di offerta riduce il prezzo e aumenta i consumi degli altri beni. Gli incroci domanda-
offerta corrispondono insomma agli equilibri globalmente Pareto-efficienti solo se le curve
stesse emergono da un contesto pienamente concorrenziali; un monopolio in qualche mercato
porta a curve "sbagliate" negli altri mercati.
Terzo, notiamo che se l'unico elemento non-concorrenziale si trova nella vendita dei
beni, l'economia rimane pienamente efficiente tranne appunto che per la scelta non ottimale
della produzione. Tale situazione è illustrata nei primi due grafici della Figura 6.c.2.3. La
produzione è sulla curva di trasformazione, nel punto D. Il 706 è unico, nel punto E, per cui
R
l'allocazione dei beni è efficiente, date le disponibilità (ossia il punto D); nello spazio delle
utilità il punto E è dunque sulla curva delle utilità possibili dato D, ossia su &83 . Il 706 ,
D R
però, diverge dal 707; e questo significa che non si raggiunge la Pareto-efficienza
complessiva, ossia che il punto E è sulla &83 ma non anche sulla frontiera delle utilità
D
equilibri in F e G. Questo significa che il punto G è non solo sulla curva delle utilità possibili
date quelle disponibilità dei beni, ossia sulla &83 , ma anche sulla frontiera delle utilità
F
possibili, la )83; per essere precisi, ricordando che la )83 è l'inviluppo delle &83, nel
punto corrispondente a G la &83 è la )83. F
efficienza paretiana complessiva, per cui l'economia si trova sulla frontiera delle utilità
possibili--ma non necessariamente al punto socialmente ottimale di tale frontiera, il che è
esattamente la conclusione raggiunta per l'economia senza produzione.
In sostanza, dunque, e in assenza dei "fallimenti" che vedremo appresso, LOVLVWHPDGL
PHUFDWL FRQFRUUHQ]LDOL SRUWD O
HFRQRPLD DG XQD FRPELQD]LRQH GL SURGX]LRQL H GL
FRQVXPL FKH q HIILFLHQWH LQ VHQVR SDUHWLDQR H SHUWDQWR RWWLPDOH GDWD OD GLVWULEX]LRQH
GHOODULFFKH]]DOHGLVSRQLELOLWjGLULVRUVHLJXVWLHOHWHFQRORJLH4XHVWRULVXOWDWRQRQ
SXzHVVHUHVRFLDOPHQWHRWWLPDOHVHQRQORqODGLVWULEX]LRQHLQL]LDOHGHOODULFFKH]]DPD
TXHVWR QRQ q FROSD GHO PHUFDWR FKH q XQR VWUXPHQWR GL FRQWUROOR GHOO
HFRQRPLD
DVVROXWDPHQWH QHXWUR ULVSHWWR DL SDUDPHWUL ULFFKH]]D ULVRUVH JXVWL WHFQRORJLH GHO
VLVWHPD.
Ripetere il paragrafo precedente, che è fondamentale.
706 ; è ovvio dunque che 706 707 in un unico punto, per ipotesi il punto E.
R R
Essendo le preferenze omotetiche e identiche, 706 707 lungo l'intera curva dei
R
contratti, che coincide con il raggio da 2 a E; il punto E coincide dunque con la Pareto-
efficienza complessiva a prescindere dalla distribuzione della ricchezza, e dei consumi di
equilibrio, tra gli individui. Questo significa a sua volta che nello spazio delle utilità,
riportato nel grafico inferiore della Figura, la )83 coincide con &83 ; &83 , come &83 , si
E D F
sappiamo dal caso analogo nello spazio dei fattori (Figura 6.b.5.4), se misuriamo i consumi di
$ dall'origine degli assi in basso a sinistra la curva dei contratti nella scatola di Edgeworth
sarà una curva convessa dall'alto, e la pendenza delle tangenze fra le curve di indifferenza (il
706 di equilibrio) sarà tanto minore, quanto più ci si allontana dal punto di origine di $,
R
contratti. Siccome lungo la curva dei contratti il 706 varia in modo continuo e monotonico
R
tra i suoi valori estremi, esiste necessariamente all'interno della scatola un unico punto di
consumo E tale che 707 706 ; il punto di produzione D è dunque a sua volta compatibile
R
a , la scatola diventa meno alta e stretta; cambia la curva dei contratti, che diventa meno
ripida; e cambiano i 706 lungo la stessa. In particolare, i 706 estremi diventano ambedue
R R
meno ripidi: quelli minimi, più lontani da 2, si riducono perchè la funzione di utilità di $ è
omotetica, e da a si riiduce il rapporto <;; e basta rovesciare il foglio per vedere che lo
stesso vale per quelli massimi, più lontani dall'origine di % (il punto di produzione), che
passano dunque per 2.
Si ritrova insomma appena arricchito il risultato già ottenuto nella Figura 6.c.3.1. In
quel caso, con preferenze omotetiche identiche, il 706 era costante lungo qualsiasi curva dei
R
diminuiva. Nella Figura 6.c.3.3 le preferenze sono omotetiche ma diverse, e ogni curva dei
contratti definisce non un unico 706 , ma una gamma tra un minimo e un massimo; ma come
R
però che con lo spostamento da a aumenta la pendenza della curva di trasformazione, per
cui 707 707 , mentre si sposta verso il basso la gamma dei 706 ; necessariamente,
R
naturale che se $ consuma di più il mercato tenderà a improntarsi maggiormente ai gusti suoi;
nel caso limite infatti $ consuma tutto, e il mercato produce quello che sceglierebbe $ se
fosse vincolato direttamente dalla curva di trasformazione (graficamente, il punto di consumo
coincide con il punto di produzione, e in quel punto la curva di indifferenza di $ è tangente
alla curva di trasformazione).
La Figura 6.c.3.4 presenta due grafici, nello spazio rispettivamente dei beni, e delle
utilità. Nel grafico superiore della Figura ritroviamo la curva di trasformazione, con sei punti
di produzione, numerati in ordine da D a I, e le sei curve dei contratti corrispondenti. Le
preferenze omotetiche di $ e di % sono rappresentate da due curve di indifferenza
rappresentative: una di $, solida, scelta tangente alla curva di trasformazione; e una di %,
misurandone i consumi da 2, per l'occasione (perchè normalmente li misuriamo nella scatola
di Edgeworth a partire dal punto di produzione), tratteggiata, anche questa scelta tangente alla
curva di trasformazione. Queste due tangenze definiscono sulla curva di trasformazione i
punti E e H, ossia il secondo e il penultimo.
141
Il punto E riproduce il caso limite della Figura precedente, con 707 706 . RP
produzione in E, infatti, lungo la curva dei contratti 706 !707 tranne che in E
.
R
Il punto H a sua volta riproduce l'altro caso limite della Figura precedente, con 707
706 . Rappresenta per costruzione l'equilibrio di Pareto-efficienza complessiva quando %
R0
possiede e consuma tutto, per cui nella scatola di Edgeworth il punto di consumo H
coincide
con il punto di origine 2 (come è ovvio: se l'origine dei consumi di % è H piuttosto che 2, la
curva di indifferenza tratteggiata passa per 2 piuttosto che per H, e in quel punto 706 R
707). Il consumo in H
rappresenta insomma l'utilità massima per %, e dunque nel grafico
inferiore l'intercetta della )83 sull'asse 8 . Il resto della &83 è invece interno alla )83:
% H
con la produzione in H, infatti, lungo la curva dei contratti 706 707 tranne che in H
.
R
complessiva. Per trovare questi punti di consumo, visto che la funzione di utilità di $ è
omotetica, basta risalire la curva di indifferenza di $ per trovare i punti F
e G
con 706 pari
R
al 707 in F e G, e poi seguire il raggio tra quei punti e il punto di origine 2 fino a incontrare
la curva dei contratti del caso: in quel punto, i 706 di $ e di % sono uguali (perchè siamo
R
sulla curva dei contratti), e uguali al 707 (perchè per $ ogni raggio da 2 è il luogo dei punti
a 706 costante, e dunque per costruzione uguale al 707 nel punto di produzione). Nel
R
grafico inferiore, dunque, F
e G
sono ognuno sulla )83; tranne che per questi due punti,
anche la &83 e la &83 sono interna alla )83.
F G
crescente.
707 è dunque uguale al rapporto dei prezzi dei beni, 3 3 . Nello spazio dei beni, però,
; <
una retta con pendenza negativa pari a 3 3 corrisponde ad una somma costante dei beni
; <
produzioni possibili; le rette con pendenza pari a 3 3 indicano somme costanti dei valori
; <
dei beni, ai prezzi vigenti; la tangenza tra la curva di trasformazione e la retta di iso-valore nel
punto di produzione di equilibrio concorrenziale complessivamente Pareto-efficiente
corrisponde dunque alla massimizzazione di 5 3 ;3 <. ; <
massimo, ovviamente sulla )83, e la &83 corrispondente. Il secondo grafico, nello spazio
0
dei beni, riprende in forma semplificata il grafico superiore della Figura 6.b.3.4: con la )83
sono compatibili i punti di produzione sul segmento della curva di trasformazione tra D e E, e
alla stessa )83 corrispondono i punti di consumo a questi associati, sulla tratteggiata tra 2 e
E. Immaginiamo che al punto 0 sulla )83 e la &83 nel primo grafico corrisponda nel 0
secondo il punto 0, sulla )83 e sulla curva dei contratti definita per il punto di produzione
0
; i beni messi a disposizione dalla produzione socialmente (e non solo Pareto-) ottimale
sono dunque ;
e <
. In questo spazio dei beni si possono definire gli anelli di iso-), come si
è fatto nella Figura 4.b.3.1. L'unico grafico aggiuntivo, nella Figura nuova, è il terzo, nello
spazio dei fattori: al punto di produzione 0
sulla curva di trasformazione nello spazio dei
beni corrisponde ovviamente un punto 0 sulla curva dei contratti nello spazio dei fattori, per
il quale passano gli isoquanti corrisponenti a ;
e <
.
Quarto, come nell'economia di puro scambio, così anche nell'economia di produzione
il punto di massimo benessere sociale si può ottenere da una serie di allocazioni iniziali.
Immaginiamo per semplificare l'esposizione che le preferenze siano omotetiche e identiche, e
che il massimo benessere complessivo si ottenga quando i consumi di $ sono tripli di quelli
di %. Questo equilibrio richiede 5 3 ; 3 < 5 3 ; 3 < . D'altra parte,
$ ; $ < $ % ; % < %
5 U. Z/ , 5 U. Z/ , e 5 5 U.Z/ 3 ;3 < 3,/. Un modo di
$ $ $ % % % $ % ; <
per unità di risorsa (per ipotesi, un'ora di servizio). Il beneficio marginale 0% corrisponde 5Y
operatori con potere di mercato (monopolio semplice di vendita). Il costo marginale 0& 5Y
corrisponde a sua volta al prezzo di offerta della risorsa. Riconosciamo adesso, superando
una delle semplificazioni precedenti, che si concreta in modo diverso a seconda che si tratti di
lavoro (umano) o di altri fattori. Per il lavoro, infatti, 0& è un'utilità marginale
5Y
monetizzata, come per i beni di consumo, perchè il tempo è appunto un bene di consumo; la
dimensione del prezzo di offerta è dunque XWLOLWjRUDXWLOLWj RUD. Per i fattori non
umani, come ad esempio la terra, 0& è semplicemente zero fino alla quantità disponibile, e
5Y
poi indefinito (nel grafico, la curva di offerta è verticale); questo implica come sappiamo che
il monopolio dei fattori di produzione inanimati incide sul loro impiego solo se la domanda è
anelastica.
Passiamo adesso alle imprese, che acquistano le risorse 5 e vendono i beni 4. Per
l'impresa come compratrice delle risorse la condizione di equilibrio è ovviamente 0% 5F
0& , misurati ambedue in dollari per unità di risorsa. Il costo marginale 0& corrisponde
5F 5F
al costo marginale per l'impresa dell'acquisto di un'unità di risorsa: 0& 3 G3 G55,5F 5 5
per cui 0& 3 per gli operatori concorrenziali come compratori di risorse e 0& !3 ,
5F 5 5F 5
perchè (G3 G5 ! , per gli operatori con potere di mercato (monopolio semplice di
5
reddito marginale derivante dall'acquisto di un'unità di risorsa, ossia dalla vendita del
prodotto marginale della risorsa: 0% 05 03 . Nel caso ad esempio dell'impresa che
5F 4 5
produce mele, la dimensione del beneficio marginale ottenuto dall'unità di risorsa è PHOD
PHOHRUD RUD. Ricordiamo che il reddito marginale per unità (venduta) di prodotto è
05 3 G3 G44, con G3 G4 per le imprese con potere di monopolio semplice
4 4 4 4
3 03 , perchè G3 G4, per gli operatori con potere di mercato (monopolio semplice)
4 5 4
nella vendita del prodotto. Ricordiamo pure che un'impresa può avere potere di monopolio
sia come acquirente di risorse che come venditrice di prodotti, e che questo è anzi un caso
normale, in presenza di fattori specializzati: il monopolio di vendita di tessuti di cotone è
automaticamente monopolio di acquisto di filo di cotone e vice versa, e un'assenza di potere
di mercato si verifica allora solo con curve di domanda o di offerta perfettamente elastiche.
Arriviamo infine ai consumatori finali dei beni 4. Per questi compratori la
condizione di equilibrio naturale è 0% 0& . Ipotizzando sempre che il bene in
4F 4F
questione sia una mela, l'utilità marginale monetizzata (il prezzo di domanda) 0% ha 4F
145
dovuto all’acquisto di una mela aggiuntiva, con dimensione PHOD. Ricordiamo che 0& 4F
Per analizzare le valutazioni finali dei servizi dei fattori, consideriamo come unità non la
singola mela, ma il numero di mele prodotte al margine da un unità di risorsa, e scriviamo
dunque 0% 03 0& 03 , con 0& 03 3 03 se il compratore del bene è
4F 5 4F 5 4F 5 4 5
un'unità della risorsa usata per produrre il bene consumato: è il prezzo di domanda per
un'unità di risorsa non dell'impresa, ma del consumatore finale.
di domanda del consumatore finale 0% 03 dipende infatti dalla struttura dei mercati.
4F 5
0& 0% per l'equilibrio del compratore della risorsa, che è il venditore del bene
5F 5F
monopolio.
0& 03 0% 03 per l'equilibrio del compratore del bene prodotto dalla risorsa.
4F 5 4F 5
mercati sono concorrenziali: gli estremi della catena sono uguali se tutti i segni intermedi
sono delle uguaglianze. In questo caso, i prezzi (dei beni che sono i prodotti marginali delle
risorse, e delle stesse risorse) comunicano ai fornitori di risorse la valutazione effettiva dei
consumatori. In caso di monopolio (semplice), da qualsiasi parte e a qualsiasi livello, 0& 5Y
di segnale" dai consumatori finali ai produttori ultimi. Si ritorna allo sdegno di Simons, e alla
visione del monopolista come agente disonesto, che comunica al venditore un prezzo minore
di quello effettivamente offerto dal compratore.
Se tutti i mercati sono concorrenziali, poi, e dunque tutti i segni nella catena sono
delle uguaglianze, gli elementi estremi saranno uguali a prescindere dalla lunghezza della
catena stessa. Possiamo dunque superare un'altra delle semplificazioni precedenti, e
abbandonare l'ipotesi che un'unica impresa occupi l'intero spazio produttivo tra le risorse e il
146
bene finale. Immaginiamo che l’impresa che compra la risorsa produca non il bene finale 4
ma un bene intermedio *; con mercati concorrenziali si complica la catena ma non il
concetto. Ipotizziamo un mercato pienamente concorrenziale per la risorsa 5, per cui, come
sopra, 0& 0% 3 0& 0% . Se l’impresa che compra 5 e vende * è
5Y 5Y 5 5F 5F
consumatore finale 0& 0% , e dunque 0& 03 03 0% 03 03 , per cui alla fine
4F 4F 4 * 5 4F * 5
risorsa è uguale al prezzo di domanda da parte del consumatore finale. Con il passaggio
unico dalla risorsa al bene finale, diciamo dal lavoro alla mela, il prezzo di domanda finale
per il prodotto del lavoro era l'utilità marginale monetizzata legata ad esempio alle quattro
mele prodotte al margine in un'ora di lavoro; con il doppio passaggio, diciamo dal lavoro alla
mela e dalla mela al sidro, il prezzo di domanda finale per il prodotto del lavoro è l'utilità
marginale monetizzata legata ad eseempio al mezzo litro di sidro prodotto al margine dalle
quattro mele prodotte al margine in un'ora di lavoro. La dimensione è sempre RUD: in un
caso risulta semplificando XWLOLWjXWLOLWjPHODPHOHRUD, nell'altro risulta semplificando
XWLOLWjXWLOLWjVLGURVLGURPHODPHOHRUD.
Notiamo che il grado di specializzazione lungo una filiera merceologica è indifferente
solo con la concorrenza. In presenza di monopoli, invece, la moltiplicazione dei beni
intermedi può portare alla moltiplicazione dei monopoli d'impresa. In tal caso le restrizioni
dovute a questi si cumulano, come i dazi sul Reno richiamati nel contesto del modello di
Cournot, e con la stessa conseguenza: si riduce l'attività più di quanto non la ridurrebbe un
monopolio unico, con una riduzione dei profitti di monopolio complessivi, e si incentiva
pertanto la fusione dei diversi monopoli. Non a caso le economie altamente monopolizzate
generano anche imprese YHUWLFDOPHQWH LQWHJUDWH, ossia che uniscono trasformazioni
successive normalmente gestite da industrie diverse (come la Ford di un tempo, che
possedeva le proprie accaierie).
Come sopra, se (e solo se) tutti i mercati sono concorrenziali, tutti i simboli
rappresentati dai numeri sono delle uguaglianze, e vengono dunque resi uguali i benefici
marginali finali 0% 03 della risorsa in tutti i suoi usi. Se questa uguaglianza si verifica
4F 5
147
concorrenziali il prezzo di offerta per il prodotto ; (nella quantità data da 03 ) altro non è
5
che il prezzo di domanda per il prodotto alternativo < o = (sempre nelle quantità date dai
rispettivi 03 ): con mercati concorrenzial, "la curva di offerta è una curva di domanda
5
alternativa". Questo vale peraltro anche per il lavoro, in quanto il prezzo di offerta 0& è il 5Y
con se, in aumento, tutte le varibili riferite a ;, nella prima riga, a destra di , e dunque il
corrispondente beneficio marginale finale 0% 03 ; si riducono invece, con 05 , le
4F 5 ;
variabili riferite a ; a sinistra di , nella prima riga, e tutte le variabili delle altre righe (che
rimangono legate a queste dai segni di uguaglianza), compresi i rispettivi 0% 03 . I 4F 5
dall'altro dipende ovviamente dalle elasticità di domanda e di offerta; se le risorse non sono
specializzate sarà tipicamente maggiore l'effetto diretto sul bene monopolizzato, e limitato,
proprio perchè diffuso, l'effetto sugli altri beni.
Ritroviamo comunque un risultato già noto: che l'introduzione di un monopolio di
vendita di un bene aumenta l'offerta degli altri beni prodotti con le stesse risorse (Figura
6.c.2.2). Lo stesso vale ovviamente per un monopolio d'acquisto da parte di un impresa, in
, o da parte di un consumatore, in ; e con le dovute qualificazioni vale anche per i
monopoli di vendita dei fattori, in , in quanto un monopolio di vendita di lavoro aumenta
l'offerta di ozio, e il monopolio di vendita dell'uso della terra coltivabile attribuito ai Grandi
di Spagna aumenterebbe l'offerta delle riserve di caccia. Il punto essenziale è che l'equilibrio
economico è sempre un equilibrio generale, che si comporta, se si vuole, come un palloncino
gonfiato: se lo si stringe da una parte, si espande tutto il resto. Le funzioni di domanda e di
offerta sono interdipendenti, e gli equilibri concorrenziali da esse generati nei singoli mercati
sono compatibili con la Pareto-efficienza complessiva solo se le stesse curve di domanda e di
offerta riflettono la concorrenza in tutti i mercati.
Risalta pure l'errore dell'idea che per ottimizzare ad esempio il paniere prodotto basta
un potere di mercato uguale (anche se non zero) nella produzione di tutti i beni. Questo
risultato si ottiene infatti solo se tutte le catene di cui sopra sono di uguale lunghezza; ma non
lo sono, ad esempio perchè le mele si consumano come mele e come sidro, e non lo possono
essere se uno dei beni prodotti dal (non) lavoro è il tempo libero. Al massimo, infatti, i
"monopoli simili" mantengono l'uguaglianza nella colonna di destra, dei benefici marginali
ottenuti da un'ora di tempo dedicata alla produzione di beni materiali; ma si perde comunque
l'uguaglianza tra questi e la colonna di sinistra, che essendo il costo del lavoro per lo stesso
lavoratore è anche il beneficio marginale di un'ora di tempo dedicato all'ozio, e alla fine la
scarsità fittizia dei beni porta a consumare troppo ozio e troppi pochi beni.
>;@3 03 0% 03
4 5 4F 506% G)G5
><@06% G)G50& 3 3 03 0% 03
5Y 5 4 5 06% G)G5
4F 5
>=@?3 03 0% 03
4 5 4F 506% G)G5
sociale, che massimizza )8 8 , devono essere uguali, risorsa per risorsa, i benefici
$ %
marginali sociali ("marginal social benefits") 06% G)G5 ottenuti dai diversi usi della
risorsa: quelli a destra, per le risorse usate per produrre beni, e pure quello a sinistra, nel caso
del (non) lavoro che produce ozio: il latte non deve insomma andare al gatto se dovrebbe
invece andare al bambino.
Di fatto, considerando il tempo libero come un bene per non farne un caso a parte, le
risorse producono benessere sociale producendo beni che producono utilità che producono
benessere sociale: 06% G)G5 G)G8 G8G4 G4G5. La dimensione di questi
benefici marginali sociali, chiamando I l'unità di benessere sociale, è IRUD, ottenuta
semplificando IXWLOLWj XWLOLWjEHQH EHQHRUD; quella dei benefici marginali privati, lo
ricordiamo, è RUD, ottenuta semplificando XWLOLWj XWLOLWjEHQH EHQHRUD. Visti gli
elementi comuni a queste due espressioni, è ovvio che all'uguaglianza in RUD corrisponde
l'uguaglianza in IRUD se la ponderazione privata di XWLOLWjEHQHEHQHRUD, con XWLOLWj,
corrisponde a quella sociale, con IXWLOLWj.
La distribuzione "giusta" della ricchezza e dunque del reddito è quella che assicura
tale corrispondenza, e porta l'equilibrio concorrenziale al punto della )83 socialmente
ottimale. In questo caso, e solo in questo caso, ai benefici privati monetizzati più alti
corrispondono i benefici sociali più alti; in questo caso, e solo in questo caso, il mercato
concorrenziale funziona effettivamente come una "mano invisibile" che porta gli individui
che cercano solo il benessere privato ad un equilibrio che raggiunge non solo l'efficienza
paretiana, che malgrado la retorica fuorviante dell'economia borghese non è un obiettivo in
quanto tale, ma il massimo benessere sociale. Se invece la distribuzione della ricchezza non è
quella "giusta", il mercato concorrenziale "giustamente" convoglia il latte al gatto della
signora ricca, e ne priva il bambino della madre povera.
Da questa analisi molto semplice, che immagina implicitamente un sistema completo
di mercati (e non solo), si stabiliscono i primi limiti al liberismo a oltranza. Lo stato
nullafacente è infatti ottimale solo se i mercati sono naturalmente concorrenziali, e la
distribuzione della ricchezza naturalmente "giusta"; altrimenti lo stato ha come compito
minimo quello di assicurare la concorrenza da un lato, e la giustizia della distribuzione della
ricchezza dall'altro.
Si ritrovano così con le dovute precisazioni le grandi intuizioni dell'economia politica:
che come aveva intuito Smith solo il mercato concorrenziale può guidare i privati come una
benefica "mano invisibile"; che come aveva intuito Hayek i prezzi generati dal mercato
concorrenziale sono VHJQDOL corretti, che contengono le informazioni che dovrebbe altrimenti
acquisire un pianificatore benevolo; e che dunque il mercato concorrenziale è uno strumento
efficace per raggiungere obiettivi sociali, che è appunto il filo conduttore dell'analisi
economica dai fisiocrati ai socialisti di mercato.
Spetta ai marginalisti, di fine Ottocento e politicamente di destra, il merito di aver
capito fino in fondo come funziona un'economia di mercato; ma è di Pigou, e dei socialisti di
mercato politicamente di sinistra anche se pochi e isolati, il merito di aver capito che il
mercato si limita a generare la remunerazione dei fattori di produzione di proprietà
individuale e dunque la distribuzione del reddito data la distribuzione della proprietà. La
stessa distribuzione della proprietà, anche se ampiamente modificabile dalla fortuna nella
speculazione, sulla quale torneremo, è logicamente un SULXV rispetto al mercato; e è
determinata in prima istanza dalle scelte sociali in materia di eredità e di scolarità, che
determinano la trasmissione da una generazione all'altra del capitale fisico e umano.
6.e. i modelli ricardiani
149
6.e.1. la crescita
Ritorniamo adesso ai modelli di Ricardo (presentati al punto 1.d.3, che per evitare
ripetizioni si chiede di rileggere). Interpretiamo i modelli con gli strumenti da noi acquisiti, e
dunque con il linguaggio del marginalismo ovviamente ignoto a Ricardo stesso.
Iniziamo dal modello della crescita. Per chiarirne la logica, riduciamo i fattori di
produzione a due: il lavoro, e la terra, che appartiene all’aristocrazia. L’economia contiene
due settori: uno, agricolo, produce il bene di sussistenza ("il grano"), l’altro, non agricolo,
produce il bene di lusso. I lavoratori ricevono il salario reale di equilibrio, uguale nei due
settori; consumano solo il bene di sussistenza, per cui il salario reale si misura direttamente in
tale bene, ed è pari al prodotto marginale del lavoro nel settore agricolo. L'aristocrazia riceve
la rendita della terra; consuma solo il bene di lusso (in sostanza perchè è una classe talmente
esigua che il suo consumo di "grano" è trascurabile), per cui il bene di sussistenza è
consumato solo dai lavoratori. La terra, usata solo dal settore agricolo, è disponibile in
quantità fissa; il lavoro è una risorsa data in qualsiasi momento ma variabile nel tempo. Se i
salari sono alti, la popolazione ben nutrita resiste meglio alle malattie, e cresce; se i salari
sono bassi, la gente muore di malattia se non di fame, e la popolazione cala. Il salario critico
che mantiene stabile la popolazione e dunque il numero dei lavoratori è il salario "di
sussistenza".
Il primo grafico della Figura 6.e.1.1 illustra lo "stato stazionario", ossia l'equilibrio
(anche demografico) di lungo periodo cui tende tale economia. Sugli assi si trovano il
prodotto complessivo del bene di sussistenza 4 , e il lavoro /. Il prodotto 4 dipende
6 6
ovviamente dalla terra (data) e dal lavoro presente nel settore agricolo, / ; il lavoro è soggetto 6
tecnologia del caso) genera appunto quel salario. Con / / , 4 4 , che con Z V 6 6H 6 6
complessivo meno il monte salari agricolo, pari a sua volta al prodotto marginale del lavoro
agricolo per il numero di tali lavoratori; il denominatore è la forza lavoro non agricola; il
rapporto (la rendita per lavoratore non agricolo) è il salario non agricolo, che deve essere
appunto uguale al salario agricolo, ossia il prodotto marginale di tale lavoro. Con / / , 7 7H
ad esempio, tale equivalenza dei salari si verifica solo con / / . Se infatti dato / 6 6H 7H
V; ma con / / il salario agricolo 03 !03 V, per cui il salario agricolo sarebbe
6 6H /6 /6H
la forza lavoro agricola di equilibrio (di breve periodo, ossia del mercato del lavoro anche se
non demografico) è / , da cui un salario di equilibrio pari a Z 03 !V, un monte salari
6F F /6F
150
agricoli pari a 4 Z / , e una rendita (monte salari non agricoli) pari a 4 4 .
6 F 6F 6 6
L’economia cresce perche Z!V, ossia, se si vuole, perchè all'interno del settore agricolo la
rendita non assorbe tutto il surplus 4 V/ . Già qui, dunque, si può concludere che "la
6 6
crescita cessa quando la rendita assorbe l'intero surplus": che per continuare a crescere
bisogna tenere basse le rendite agricole, permettendo ad esempio la libera importazione di
grano.
Il modello ricardiano "della crescita" è peraltro utile anche in altri contesti. Per
esempio, se si sostituisce al regime capitalista rappresentato dai nostri grafici un regime
comunista con remunerazioni uguali per tutti (magari con l'obbligo di lavorare tipico di tali
regimi), o anche un regime di piccola proprietà universale (per cui ogni lavoratore cumula il
suo reddito da lavoro e da proprietario), ognuno otterrà non il prodotto marginale del proprio
lavoro, ma il prodotto medio; e l'economia arriverà all'equilibrio 4 / , con una
6 0
popolazione maggiore di quella che potrebbe sostenere un regime capitalista. Evviva dunque
l'uguaglianza ... solo che tale popolazione si mantiene solo perchè tutti lavorano i campi.
Scomparsa l'aristocrazia che cumula le rendite per consumarle come beni di lusso, sparisce il
settore non agricolo: e con esso l'arte, la cultura (vedi la battuta che in secoli di democrazia
contadina la Svizzera non è andata oltre l'orologio a cucù).
Per fare un'altro esempio, si identifichi il settore non agricolo con il settore urbano-
commerciale-manifatturiero, e si consideri un mondo di economie aperte al commercio
internazionale. Il grafico descrive l'equilibrio dell'economia mondiale, chiusa; all'interno del
mondo un'economia aperta può avere un settore non agricolo più o meno sviluppato. Al
limite il paese sottosviluppato, "periferia", ha solo l'agricoltura: la rendita viene esportata
dall'aristocrazia in natura, per pagare beni di lusso importati, prodotti altrove. Il paese
sviluppato, "centro", ha un settore non agricolo ipertrofizzato: riunisce al limite l'industria e
il commercio del mondo intero, mantenendolo appunto con le rendite agricole importate in
natura dal mondo intero.
152
7. LA LOGICA E LA RETORICA: DALL’INTERVENTISMO AL NEOLIBERISMO
Dosando in modo giusto la tassa si riporta la somma del 06% nelle prime due righe
all’uguaglianza con gli altri 06%: si raggiunge l'ottimo sociale, che peraltro non è più un
equilibrio Pareto-efficiente fra i privati (ossia non è più sulla )83), proprio perchè il
benessere sociale non è più funzione solo dalle combinazioni delle utilità individuali ma
anche del consumo di ;. Nello spazio prezzo-quantità di ;, troveremmo accanto alla curva di
domanda privata una curva, più bassa, di domanda sociale; la tassa serve a spostare
l'equilibrio dall'incrocio fra offerta e domanda privata all'incrocio fra offerta e domanda
sociale (Figura 7.a.3.1).
La conclusione di questo discorso è appunto che in presenza di beni meritevoli o
demeritevoli lo stato deve intervenire: con sussidi per incoraggiare il consumo dei beni
propriamente meritevoli, con tasse, o anche nel caso con proibizioni o concessioni di
monopolio, per scoraggiare il consumo dei beni demeritevoli. Esempi di beni demeritevoli
sono considerati la droga, l'alcool, o il tabacco, esempi di beni meritevoli il latte (distribuito
nelle scuole americane).
Si possono aggiungere vari commenti. Prima di tutto, bisogna stare attenti a non
immaginare beni meritevoli dove la realtà è un'altra. Il monopolio del tabacco in Italia, come
le tasse sullo stesso negli Stati Uniti, sono nati sicuramente per motivi fiscali. La proibizione
della droga, come quella dei prodotti alcoolici negli Stati Uniti degli anni Trenta, serve di
fatto interessi malavitosi, con inevitabili risvolti occulti sulla vita politica; e dal
riconoscimento di ciò nascono le proposte di legalizzazione, al limite di tutti i EXVLQHVV che la
proibizione non sopprime ma rende illegali (gioco, prostituzione...), come misure di
buongoverno. La distribuzione gratuita del latte pure può servire interessi privati (l'industria
produttrice), o servire per correggere la distribuzione della ricchezza all'interno ai nuclei
familiari (a scuola il piccolo il latte lo beve; se diamo alle famiglie i soldi per comprarlo papà
li spenderebbe in whisky).
Metodologicamente, poi, la categoria dei beni meritevoli è un'invenzione poco
raccomandabile, appunto perchè può spiegare e giustificare qualsiasi intervento altrimenti
incomprensibile: è dunque molto vicina al miracolo, che "spiegando" tutto non fa capire
niente.
Il problema più profondo, infine, è quello filosofico-politico, di capire se in uno stato-
associazione la categoria dei beni meritevoli è legittima, o meno. Si può infatti argomentare
che la premessa dell'associazione è il rispetto dei gusti, insindacabili, dei singoli membri per
quanto attiene alla propria sfera di autonomia: la maggioranza non ha pertanto il diritto di
imporre alla minoranza di non bucarsi, o di portare il chador, solamente perchè certi
comportamenti non le piacciono. Di fatto, però, chi vuole limitare la libertà altrui invoca non
i propri gusti, ma leggi naturali o divine, che le leggi umane devono rispettare proprio in
quanto esprimono inevitabilmente una posizione etica: negli Stati Uniti la passione degli
anti-abortisti, come un tempo quella degli anti-schiavisti, nasce dal considerare inaccettabile
non tanto il crimine contro i diritti umani, quanto il fatto che la comunità eretta a stato lo
condoni.
Dosando in modo giusto il sussidio si riporta appunto la somma dei benefici marginali
privati e sociali nelle prime due righe all’uguaglianza con gli equivalenti nelle altre righe;
nello spazio prezzo-quantità si sposta l'equilibrio dall'incrocio tra l'offerta e la domanda
privata dei consumatori diretti all'incrocio tra l'offerta e la domanda privata collettiva (che
coincide con la domanda sociale). In gergo, si dice che il sussidio "internalizza l'esternalità"
(Figura 7.a.5.1; la geometria è identica a quella dei beni meritevoli, e cambia solo
l'interpretazione del divario tra domanda privata e domanda sociale).
7.b.5. l'etica
Portando avanti l'analisi dei costi di transazione, però, la destra americana mina la sua
caratteristica fede nell'individualismo e nella libertà di contrattazione.
L'analisi coasiana mette infatti in luce come i liberi mercati funzionino bene solo in
presenza di informazioni perfette; in un mondo di informazioni costose e asimmetriche, il
consumatore è sempre alla mercè del venditore poco scrupoloso, e bisognoso pertanto di
tutela pubblica. Riconoscendo i costi di transazione la stessa analisi borghese rende dunque
palese la speciosità dell'affermazione di Friedman che le imprese hanno come unico dovere
quello di massimizzare il profitto: il profitto si massimizza infatti sfruttando anche le
asimmetrie informative, ma così facendo non si producono quei risultati benefici contemplati
dalla mano invisibile.
Logicamente, dunque, le imperfezioni informative portano a diffidare dell'effetto
socialmente benefico dell'autonomia individuale. Sono cioè profondamente corrosive
dell'idea dei fisiocrati e di Smith, radicata nella cultura generale del mondo anglosassone, che
l'individuo che agisce per i fini propri tende ad agire a sostegno degli obiettivi sociali e non
contro di loro; tendono piuttosto a giustificare quel timore viscerale della libertà individuale
che era caratteristico dell'DQFLHQ UpJLPH e che sussiste ampiamente nella cultura cattolico-
popolare, socialista, o statalista del continente europeo.
L'alternativa alla tutela pubblica dei consumatori potenzialmente vittime dei venditori
meglio informati è invece proprio quel comportamento "responsabile"--o più semplicemente
169
onesto--dei venditori che Friedman sosteneva non fosse necessario. La mano invisibile
richiede infatti non l’egoismo semplice e spregiudicato ma un perseguimento onesto dei
propri interessi, dove l'onestà compensa appunto l'impossibilità pratica di negoziare contratti
"completi" (ossia contratti che non permettano abusi da chi dispone di informazioni
privilegiate): il mercato funziona bene dove la ricerca del profitto è limitata dall'etica che
proibisce appunto l'inganno, e i costi di transazione sono ridotti proprio perchè ci si può
fidare della parola della controparte.
Questo può averlo già capito lo Smith, che sembra avvertirlo nel suo testo di etica (/D
WHRULD GHL VHQWLPHQWL PRUDOL) anche se non nel suo testo di economia (/D ULFFKH]]D GHOOH
QD]LRQL). Che il buon funzionamento del mercato e dunque dell'economia richieda un
supporto etico è comunque sempre più riconosciuto: ricordiamo l'idea che il Mezzogiorno sia
povero proprio per il suo "familismo amorale", ossia per l'assenza di vincoli etici fuori dalla
famiglia (E. Banfield, /D EDVH PRUDOH GL XQD VRFLHWj VRWWRVYLOXSSDWD, anni Cinquanta), e il
caso attuale della Russia ex-sovietica.
Dati i costi di informazione, dunque, la fede nella mano invisibile richiede
logicamente l'etica, e l'educazione che la forma. La destra americana non ne parla, perlomeno
in questi termini, ma sembra avvertita del problema. Pur volendo ridurre al minimo il ruolo
dello stato, infatti, gli vuole assolutamente mantenere il ruolo di educatore, e di educatore
appunto al modo di vita americano, contrassegnato da un livello medio di onestà, e di rispetto
per gli altri e per la società civile, che possiamo solo invidiare. E' la sinistra americana che
propone scuole "multiculturali", in cui gli immigrati recenti potrebbero tramandare le loro
proprie lingue e tradizioni, mentre la destra non ne vuole sapere di questa estensione della
libertà di scelta individuale. Sembra un'incoerenza, ma a pensarci bene forse non lo è.
PRIGIONIERO B
ammette nega
___________________
| | |
| | |
ammette | -2,-2 | 0,-3 |
| | |
PRIGIONIERO A |---------|---------|
| | |
nega | -3, 0 | -1,-1 |
| | |
|_________|_________|
Ogni prigioniero ha la scelta tra due strategie, "ammettere" o "negare". Si nota che
per ognuno la strategia "ammettere" è GRPLQDQWH, ossia conviene per qualsiasi scelta
dell'altro. Infatti se lui (B) nega (colonna di destra), se io (A) ammetto (riga superiore) sconto
zero anni (prima cifra della casella in alto a destra), mentre se nego (riga inferiore) sconto un
anno (prima cifra della casella in basso a destra), per cui mi conviene ammettere. Se invece
lui (B) ammette (colonna di sinistra), se io (A) ammetto (riga superiore) sconto due anni
(prima cifra della casella in alto a sinistra), mentre se nego (riga inferiore) sconto tre anni
(prima cifra della casella in basso a sinistra), per cui mi conviene ammettere. Dunque
ammetto; e lui pure, in base a considerazioni analoghe. L'equilibrio ottenuto in base alle
decisioni individuali sarà dunque quello "ammette-ammette", in alto a sinistra, che comporta
due anni di reclusione per ciascuno: soluzione peggiore, per ambedue, di quella in basso a
destra, in cui ambedue negano.
Il dilemma del prigioniero è stato presentato come la grossa scoperta che l'azione
egoista, individuale, può essere collettivamente dannosa: come una critica, dunque, alla fede
smithiana nella mano invisibile.
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