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filosofia
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Il pensiero di Karl Marx
Politica, filosofia, economia

A cura di Stefano Petrucciani

C
Carocci editore
1a edizione, luglio 2018
© copyright 2018 by Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Progedit Srl, Bari

Finito di stampare nel luglio 2018


da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

isbn 978-88-430-9308-3

Riproduzione vietata ai sensi di legge


(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Senza regolare autorizzazione,


è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno
o didattico.
Indice

Premessa 00
di Stefano Petrucciani

1. La formazione del pensiero politico di Marx (1835-1843) 00


di Mario Cingoli

Introduzione 00
1.1. Titolo 00
1.2. Titolo 00
1.3. Titolo 00
1.4. Titolo 00
1.5. Titolo 00
1.6. Titolo 00
1.7. Titolo 00
1.8. Titolo 00
Riferimenti bibliografici 00

2. I Manoscritti economico-filosofici del 1844 00


di Enrico Donaggio

Introduzione 00
2.1. Cosa sono i Manoscritti economico-filosofici 00
2.2. La pubblicazione dei Manoscritti economico-filosofici 00
2.3. Il contenuto dei Manoscritti economico-filosofici 00
2.4. Leggere i Manoscritti economico-filosofici 00
Riferimenti bibliografici 00

7
il pensiero di karl marx

Materialismo e storia. Dall’Ideologia tedesca alle ulti-


3.
me riflessioni sulla comune russa 00
di Luca Basso

Introduzione 00
3.1. L’Ideologia tedesca: il materialismo fra storia e politica 00
3.2. Dal Manifesto alla Guerra civile in Francia: storia e
congiuntura politica a partire dal 1848 00
3.3. Il metodo della critica dell’economia politica: lo “scar-
to” materialistico fra il reale e il razionale 00
3.4. L’ultimo Marx: dalla comune russa al comunismo? 00
Riferimenti bibliografici 00

4.
La costruzione della teoria del modo di produzione ca-
pitalistico. Dalla Miseria della filosofia fino alle soglie
del Capitale 00
di Roberto Fineschi e Tommaso Redolfi Riva

Introduzione 00
4.1. Per un quadro dello sviluppo della teoria del capitale
fino al 1865 00
4.1.1. Continuità e discontinuità

4.2. Il metodo 00
4.3. Teoria del valore vs dialettica di merce e denaro 00
4.4. Lavoro e capitale 00
4.4.1. Lavoro e capitale alla fine degli anni Quaranta / 4.4.2. Lavoro e
capacità di lavoro: l’emergere della categoria di plusvalore

4.5. Teorie sul plusvalore e critica dell’economia politica 00


4.5.1. Storia della teoria / 4.5.2. Critica delle categorie economiche

4.6. Conclusioni 00
Riferimenti bibliografici 00

5. Storia e rivoluzione: dal Manifesto al 18 Brumaio 00


di Vittorio Morfino

Introduzione 00

8
indice

5.1. Il Manifesto del partito comunista 00


5.2. Le lotte di classe in Francia 00
5.3. Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte 00
5.4. Conclusioni 00
Riferimenti bibliografici 00

6.
Cartografie globali. Il concetto di mercato mondiale
in Marx tra giornalismo e teoria 00
di Mario Espinoza Pino e Sandro Mezzadra

Introduzione 00
6.1. Breve storia di un oblio 00
6.2. Una proposta di periodizzazione: temi, tappe, transi-
zioni 00
6.3. Mappe per l’antagonismo 00
6.4. Il mercato mondiale: alle origini di un concetto mar-
xiano 00
6.5. Il mercato mondiale nella critica dell’economia politica 00
6.6. La fabbrica del mercato mondiale 00
Riferimenti bibliografici 00

7.
Marx militante: teoria e organizzazione politica ai
tempi dell’Associazione internazionale dei lavoratori 00
di Marcello Musto

7.1. L’uomo giusto al posto giusto 00


7.2. La struttura e i primi sviluppi dell’Internazionale 00
7.3. La sconfitta dei mutualisti 00
7.4. La lotta per la liberazione dell’Irlanda 00
7.5. L’opposizione alla guerra franco-prussiana e la rivolta
dei comunardi 00
7.6. La svolta politica della Conferenza di Londra 00
7.7. La crisi dell’Internazionale 00
Riferimenti bibliografici 00

9
il pensiero di karl marx

8. Il capitale o della critica dell’economia politica 00


di Giorgio Cesarale

Introduzione 00
8.1. Il primo libro: il processo di produzione del capitale 00
8.1.1. La merce / 8.1.2. Duplice carattere del lavoro rappresentato nelle
merci / 8.1.3. Lavoro semplice e lavoro complesso / 8.1.4. La forma
di valore ossia il valore di scambio / 8.1.5. Il carattere di feticcio della
merce e il suo arcane / 8.1.6. La trasformazione del denaro in capital /
8.1.7. Processo lavorativo e processo di valorizzazione / 8.1.8. Il capita-
le non è una cosa: l’antagonismo con la forza-lavoro / 8.1.9. Capitale
costante e capitale variabile / 8.1.10. Plusvalore relativo e assoluto /
8.1.11. Grande industria e accumulazione originaria / 8.1.12. La legge
generale dell’accumulazione capitalistica (cap. xxiii)

8.2. Il secondo libro: circolazione e riproduzione del capi-


tale complessivo sociale 00
8.2.1. Le metamorfosi del capitale / 8.2.2. La rotazione del capitale /
8.2.3. La riproduzione del capitale sociale complessivo

8.3. Il terzo libro: il processo complessivo della produzione


capitalistica 00
8.3.1. La trasformazione del plusvalore in profitto / 8.3.2. Legge del-
la caduta tendenziale del saggio di profitto e la crisi / 8.3.3. Capitale
commerciale, capitale finanziario, rendita fondiaria

Riferimenti bibliografici 00

9. Marx e la socialdemocrazia. Gotha e dopo 00


di Stefano Petrucciani

9.1. Lo sviluppo del socialismo tedesco 00


9.2. Critica dei dogmi lassalliani 00
9.3. Il socialismo e il “frutto integrale del lavoro” 00
9.4. Quali criteri di giustizia distributiva? 00
9.5. Socialismo, democrazia e libertà 00
9.6. La critica del riformismo socialista 00
9.7. Marx e la sua eredità politica 00
Riferimenti bibliografici 00

10
indice

10. Il destino di Marx nella teoria economica 00


di Antonella Palumbo

Introduzione 00
10.1. Marx e l’economia politica classica 00
10.2. La rivoluzione marginalista 00
10.3. L’economia contemporanea e il ruolo della teoria del
valore 00
10.4. Il paradigma della scarsità e quello della riproducibili-
tà a confronto 00
10.5. Conclusioni 00
Riferimenti bibliografici 00

11. Il lavoro sui testi: edizioni e ricerca filologica 00


di Giovanni Sgrò

11.1. I primi tentativi di una Marx-Engels-Gesamtausgabe 00


11.2. I preparativi di una seconda Marx-Engels-Gesam-
tausgabe 00
11.3. La “ristrutturazione” della mega2 dopo il 1989 00
11.4. Il piano generale della mega2 00
11.5. La ripresa dell’edizione italiana delle Opere complete di
Marx ed Engels 00
11.6. Marx e la Comune di Parigi. Il volume xxii delle meoc 00
11.7. La nuova edizione italiana del primo libro del Capita-
le. Il volume xxxi delle meoc 00
11.7.1. Tomo di testo / 11.7.2. Tomo di apparato

11.8. Il piano generale delle meoc 00


Riferimenti bibliografici 00

11
6
Cartografie globali.
Il concetto di mercato mondiale
in Marx tra giornalismo e teoria*
di Mario Espinoza Pino e Sandro Mezzadra

Introduzione

In un saggio di grande importanza, originariamente pubblicato nel


1974, Sergio Bologna ha richiamato l’attenzione sul ruolo essenziale
svolto dagli articoli scritti da Marx per la “New York Daily Tribune”
sullo svolgimento della crisi monetaria del 1857 per la definizione di
alcuni dei passaggi teoricamente cruciali dei Grundrisse (1857-58), il
primo grande abbozzo del progetto sistematico di critica dell’econo-
mia politica (cfr. Bologna, 1974). Centrale, all’interno di quest’opera
mai pubblicata da Marx e tuttavia oggetto di dibattiti straordinaria-
mente vivaci nel marxismo del xx secolo (cfr. Musto, 2008), è il nesso
tra forma denaro e mercato mondiale – ovvero l’analisi del rapporto di
capitale colto sul più alto livello di astrazione. Appare particolarmente
interessante, proprio per via di questa tensione a concentrare la criti-
ca su un piano che potrebbe appunto apparire meramente astratto,
l’intreccio tra due pratiche di scrittura così diverse come quella gior-
nalistica e quella “scientifica” della critica dell’economia politica. In
questo capitolo ci concentriamo in particolare sul mercato mondiale,
cercando di mostrare come quest’ultimo sia per Marx un vero e pro-
prio concetto (e non la semplice registrazione didascalica della scala
geografica su cui opera il capitale) e al tempo stesso come l’intensa at-
tività giornalistica di Marx – di rado considerata nella sua importanza
“teorica” – gli abbia consentito di affinare la comprensione e la critica

*  Le citazioni delle opere di Marx ed Engels sono tutte tratte da K. Marx, F.


Engels, Werke, 39 Bde. und 2 Erg. Bde., Dietz, Berlin 1958-1971. Dopo la sigla mew è
indicato il numero del volume, seguito dal numero di pagina.

177
il pensiero di karl marx

di questo concetto, già presente nel suo lavoro negli anni giovanili,
ad esempio nella Ideologia tedesca. Per far questo, tuttavia, è bene co-
minciare con una ricostruzione del lavoro giornalistico di Marx e con
qualche considerazione sulle ragioni del suo oblio.

6.1
Breve storia di un oblio
La produzione giornalistica di Marx, una produzione intensa, molte-
plice e di ampio respiro, continua infatti a porre più di una doman-
da, nonché qualche paradosso, alla tradizione marxista. Ancora oggi
è sorprendente la scarsa attenzione prestata al lavoro di Marx come
cronista, un lavoro che non solo contraddistingue gli anni migliori del
Marx filosofo, critico dell’economia politica e militante rivoluziona-
rio, ma che quanto a contenuti e ambito tematico va spesso oltre alcu-
ne delle sue opere teoriche più significative. Anche soltanto un rapido
sguardo alla letteratura prodotta da numerose generazioni di marxisti
– dalla Seconda internazionale agli sviluppi del cosiddetto “marxismo
occidentale” fino ai nostri giorni – mostra che il lavoro di Marx per la
“Rheinische Zeitung”, la “Neue Oder Zeitung” o la celebre “New York
Daily Tribune” è stato in buona sostanza trascurato dagli interpreti.
Gli articoli giornalistici del “Moro di Treviri” sembrano essere stati
relegati a un ruolo di fonti secondarie o di “letteratura marginale”: stru-
menti ausiliari, tutt’al più, per meglio precisare le tesi di Marx o docu-
menti utili nella misura in cui illuminano una problematica politica o
un contesto storico del suo pensiero. Certamente questi articoli hanno
una notevole importanza come fonti, nel senso che consentono di svi-
luppare con maggiore complessità aspetti economici e politici centrali
nelle opere teoriche di Marx (cfr. Krätke, 2007), anche andando al di
là della loro formulazione classica. In questo senso, in particolare, la
dominazione coloniale, lo stesso lavoro salariato, il capitale finanzia-
rio, il denaro e le dinamiche del mercato mondiale appaiono spesso
nei suoi articoli di cronaca in una luce più viva e dinamica. Limitare a
questa funzione l’attività giornalistica di Marx, tuttavia, significa non
apprezzarne la ricchezza – e in particolare non cogliere la peculiarità di
un lavoro che per Marx era una forma peculiare di intervento teorico, po-
litico e culturale: un lavoro dunque che merita di essere analizzato nella
sua autonomia. Presentiamo di seguito alcune linee interpretative in

178
6.  cartografie globali

questo, con un intento in qualche modo sistematico: si tratta di elabo-


rare una periodizzazione dell’ampia produzione giornalistica di Marx;
di comprendere il ruolo del giornalismo nella cornice dell’evoluzione
del suo pensiero; e di indentificare la specificità di un genere di scrittura
molto più versatile che la “teoria” intesa in senso tradizionale – qual-
cosa che potremmo provvisoriamente definire come un tentativo di
cartografia antagonistica della realtà.
In primo luogo, tuttavia, converrà porsi qualche domanda sulle ra-
gioni dell’oblio di questa parte della produzione marxiana, in partico-
lare perché questo oblio rivela – sintomaticamente – alcuni limiti di
fondo della comprensione di Marx all’interno del marxismo, una sorta
di canone culturale che determina gerarchie e confini tematici, attri-
buendo una sorta di patente di eccellenza a determinati oggetti teorici
e negandola ad altri. Riscattare gli articoli giornalistici di Marx signi-
fica andare oltre un canone ermeneutico che li ha relegati allo status di
oggetti marginali per via di una serie di criteri decisamente discutibili.
Alcuni di questi criteri sono radicati all’interno della tradizione mar-
xista novecentesca, altri derivano da una ricezione acritica delle osser-
vazioni che lo stesso Marx fece sul suo lavoro di cronista. In ogni caso,
risulta difficile concepire la produzione giornalistica di Marx come un
genere “minore”: non soltanto è l’attività con cui egli inaugura il suo
lavoro di critico sociale, si prolunga anche, quasi senza interruzioni, dal
1842 fino agli anni Sessanta, attraversando periodi di grande creatività
teorica – come la redazione dei Grundrisse, ricordata all’inizio. Come
è stato dunque possibile l’oblio? Per quali ragioni un corpo testuale
così importante, che oltre a rappresentare un fedele sismografo dell’e-
voluzione del pensiero del suo autore costituisce una fonte essenziale
per comprendere lo sguardo materialistico sulla storia del xix secolo, è
stato fondamentalmente trascurato?
Schematicamente, sono due i pregiudizi fondamentali sul giornali-
smo marxiano che si tratta di superare. Il primo è legato alla rappresen-
tazione che lo stesso Marx ci offre del suo lavoro di cronista attraverso
la sua corrispondenza. Ci sono diversi fattori da tenere presenti, tra cui
la censura, la persecuzione politica, il fallimento nel sostenere econo-
micamente i progetti e la stessa crisi economica che in diversi momenti
contribuisce a porre fine alle avventure giornalistiche di Marx. Se ad
esempio leggiamo le lettere del filosofo negli anni della sua collabo-
razione con la “New York Daily Tribune” incontriamo spesso giudizi
sprezzanti, che presentano il lavoro giornalistico come un’attività no-

179
il pensiero di karl marx

iosa, giustificata soltanto da ragioni economiche. Il giornalismo, pare a


volte di capire da queste lettere, consuma troppe energie per un autore
che avrebbe compiti scientifici ben più importanti a cui dedicarsi. Il
secondo pregiudizio si articola all’interno di una tendenza generazio-
nale nell’evoluzione del marxismo del secolo passato, corrispondente
a quell’insieme di correnti che Perry Anderson ha definito “marxismo
occidentale” (cfr. Anderson, 1977, in specie cap. 4). Da questo punto
di vista i temi su cui si è concentrata l’attenzione – in una traiettoria
che va dagli anni Venti agli anni Settanta del Novecento – rientrano
essenzialmente nell’ambito filosofico e culturale, con il risultato di una
prevalenza di saperi come l’estetica e l’epistemologia. Come è logico,
di fronte alle grandi questioni epistemiche del legato marxiano il gior-
nalismo può apparire un gesto minore, un discorso residuale da consi-
derare al più nella sua dimensione giovanile e formativa.
I due pregiudizi, o le due posizioni che si sono appena segnalate,
in qualche modo si integrano e si sostengono a vicenda. Vale la pena
di considerarne brevemente la portata. Rispetto alla prima, definita
a partire da una ricezione troppo immediata della testimonianza di
Marx, possiamo ad esempio considerare proprio il periodo della sua
collaborazione con la “New York Daily Tribune” (1852-62), a cui si
è alluso in precedenza. In questo periodo, gli scambi epistolari con
Engels e altri corrispondenti abbondano in effetti di riferimenti a in-
comprensioni e conflitti con i due direttori del giornale statunitense,
Charles Dana e Horace Greeley, quasi tutti relativi alla politica edi-
toriale. Gli scontri di Marx con i due direttori – e in particolare con
Dana, che chiamava sarcasticamente “Mr. Tribune” – erano originati
da alcune pratiche che Marx stesso avvertiva e descriveva come abu-
sive: la conversione di articoli in editoriali, con la conseguente cadu-
ta della firma dell’autore1; cambiamenti ingiustificati ai testi – in cui
Marx vedeva poca perizia e una certa “ottusità” dei direttori2; e infine

1.  Il 2 novembre del 1853, ad esempio, Marx scriveva a Engels lamentandosi della
“politica annessionista” della “New York Daily Tribune”, che si era appunto “annes-
so” come editoriali un articolo di Marx su Lord Palmerston e una cronaca militare
di Engels (mew, 28, p. 306). Lamentele di questo tipo ricorrono frequentemente nel-
l’epistolario.
2.  Lettera di Marx ad Adolf Cluss del 18 ottobre 1853: «Dana ha copiato il mio
articolo quasi parola per parola, smussando qui e là, cancellando ogni spunto di auda-
cia. Non mi importa, sono fatti suoi non miei» (mew, 28, p. 390).

180
6.  cartografie globali

il fatto che alcuni articoli venivano semplicemente cassati senza ulte-


riori spiegazioni. Marx lamentava in particolare il fatto che tutto ciò
accadesse senza che ne venisse in alcun modo informato, e che se ne
accorgesse solo dopo la pubblicazione.
Se alla posizione di Marx rispetto alla “New York Daily Tribune”
aggiungiamo le difficoltà economiche che piagavano la sua vita lon-
dinese, affermazioni come quella che segue non dovrebbero stupirci:
«Questo letamaio giornalistico mi annoia. Mi occupa molto tempo,
dissipa le mie forze, e alla fine non è nulla. Per quanto uno punti a
essere indipendente, continua a dipendere dal giornale e dal pubbli-
co, in particolare se, come nel mio caso, è un lavoratore salariato. Le
opere puramente scientifiche (rein wissenschaftliche Arbeiten) sono
tutta un’altra cosa» (mew, 28, p. 592). Si incontrano molte afferma-
zioni di questo genere nell’epistolario di Marx negli anni Cinquanta.
L’arrivo della crisi economica nel 1857 e la diminuzione degli onorari
che gli venivano pagati dalla “New York Daily Tribune” aumentarono
ulteriormente l’irritazione di Marx. Nel dicembre del 1857, ad esem-
pio, scrive a Ferdinand Lassalle: «Devo lavorare durante il giorno per
guadagnarmi la vita, mi rimane solo la notte per il lavoro vero e pro-
prio (wirklich)» (mew, 29, p. 548). Se ci atteniamo strettamente alla
rappresentazione del giornalismo che Marx ci offre nel suo epistolario,
non possiamo che concludere che per lui non fu altro che un’attività
minore, per di più in conflitto con un altro tipo di lavoro, più “reale”
o “autentico”, in questo caso la redazione del primo abbozzo del Capi-
tale. Lo stesso Marx sembrerebbe affermare, definendo un criterio per
la valutazione della sua opera, che si deve distinguere tra i suoi lavori
per “guadagnarsi da vivere”, come appunto il giornalismo, e i compiti
realmente importanti, quelli propriamente “scientifici”.
Questo pregiudizio sul giornalismo marxiano è in una linea di
continuità con il canone ermeneutico stabilito dal “marxismo occi-
dentale”, una tradizione che ha concentrato i suoi sforzi critici sul-
la chiarificazione dei fondamenti scientifici della teoria marxista e
sull’analisi delle dimensioni culturali della società capitalistica del se-
colo xx. Possiamo considerare emblematiche in questo senso le opere
di autori come Louis Althusser, Galvano Della Volpe e Lucio Colletti.
Schematizzando in modo forse eccessivo, si potrebbe dire che questi
autori puntavano a decifrare il metodo materialista che aveva guidato
Marx nella elaborazione del Capitale, nonché una serie di concetti che
– oltre a nutrire nuove ricerche economiche, politiche e storiche –

181
il pensiero di karl marx

permettevano di definire il carattere scientifico dell’impresa marxia-


na a fronte delle discipline borghesi e della stessa opera giovanile del
filosofo. Come segnalato da Anderson, questa generazione di marxisti
“occidentali”, condizionati dai limiti della Terza internazionale e co-
stretti a confrontarsi con lo stalinismo, era formata principalmente
– in particolare dopo la Seconda guerra mondiale – da “filosofi di
professione”, ovvero professori universitari con una posizione rilevan-
te nel sistema accademico dei rispettivi paesi. Lontani dagli organi-
smi dirigenti dei partiti comunisti e dai movimenti popolari, questi
intellettuali furono ridotti ad avanguardie culturali tanto sofisticate
quanto spesso prive di una diretta efficacia politica. In questa gene-
razione si spezza il nesso tra teoria e prassi che aveva caratterizzato le
generazioni marxiste precedenti. L’università rappresenta per loro un
rifugio creativo, un luogo sicuro per cui tuttavia c’era un prezzo da pa-
gare: il marxismo da loro coltivato era senza dubbio assai sofisticato,
ma la complessità della teoria si allontanava sempre più dagli sviluppi
sociali e politici. Le stesse correnti più innovative del marxismo degli
anni Sessanta – come ad esempio l’operaismo italiano – si sviluppe-
ranno in aperta rottura con questa generazione.
Il rilievo cruciale dell’epistemologia nel “marxismo occidentale” ha
finito per generare un canone orientato a privilegiare le opere della ma-
turità di Marx, in particolare Il capitale e quei testi che sembrerebbero
contenere il suo discours de la méthode, a detrimento di altri lavori di
peso concettuale ed epistemico apparentemente minore: le opere gio-
vanili, gli scritti politici o gli articoli giornalistici. Per questa ragione,
nella gerarchia sociale degli oggetti di questa tradizione – una classifi-
cazione che continua a condizionare il presente – l’attività giornalisti-
ca finiva per essere relegata in una posizione molto distante dal polo
dell’“eccellenza”. Pur con alcune significative eccezioni3, questo insie-
me di correnti interpretative osservò un rigoroso silenzio sull’attività
di cronista di Marx. Non è un caso del resto che proprio la fissazione

3.  Louis Althusser, in particolare, dedica una parte dei suoi testi sul giovane Marx
e l’umanesimo a un’analisi della produzione giornalistica del filosofo, sulla base di un
riferimento alla “Rheinische Zeitung” nella prefazione alla Critica dell’economia po-
litica (1859). Althusser colloca la lettura degli articoli giornalistici giovanili di Marx
all’interno della sua problematica teorica, collocandoli all’interno di un momento
preteorico di iniziazione alla critica sociale, prima dunque della “cesura epistemologi-
ca” che inaugura l’opera scientifica di Marx (cfr. Althusser, 2005, p. 227).

182
6.  cartografie globali

sull’“Occidente” abbia impedito una comprensione di temi decisivi


per un’analisi del “mercato mondiale”, centrali invece per lo sviluppo
del marxismo in altre aree del mondo, in particolare per quelle che ave-
vano vissuto la dominazione coloniale (cfr. Harootunian, 2015).
Come si è visto, tanto se ci affidiamo a una ricezione acritica dell’e-
pistolario di Marx quanto se ci atteniamo alla codificazione teorica
del marxismo effettuata dalle sue correnti “occidentali”, la produzione
giornalistica resta condannata all’oblio: un discorso minore, di natura,
qualità e contenuto inferiori rispetto ai testi chiave per comprendere la
sostanza epistemica del marxismo. Entrambi i pregiudizi hanno con-
corso a erigere una efficace barriera attorno all’attività giornalistica di
Marx. Se tuttavia prendiamo una distanza critica da essi e ci situiamo
all’interno dell’opera del filosofo, nel vivo del suo sviluppo, il pano-
rama che ci si presenta è molto diverso. Per cominciare, per quanto lo
stesso Marx criticasse la propria attività giornalistica proprio nel suo
momento di maggiore vitalità, stabilendo per di più una netta linea di
separazione tra quell’attività e il suo lavoro scientifico, non dobbiamo
cadere nella trappola di svalutare il suo ampio lavoro come cronista.
In una prospettiva biografica, il suo epistolario riflette le tensioni ma-
teriali degli anni Cinquanta, la precarietà economica e la lotta della
famiglia di Marx per uscire dalla miseria. Se non si tengono presenti
questi elementi, non si può comprendere il suo “disprezzo” per l’attivi-
tà giornalistica. Lo stesso accade se non si menzionano i conflitti con
i direttori della “New York Daily Tribune” o, in termini più generali,
le tensioni con la censura politica che hanno accompagnato l’intera
traiettoria di Marx come giornalista.
Al di là di questo, tuttavia, ci sono due questioni che assegnano al
giornalismo un ruolo di primo piano nella formazione del pensiero di
Marx e lo segnalano come via differenziale rispetto alla teoria o alla po-
litica “pure”. La prima è evidente: l’attività giornalistica è costante nel
percorso marxiano, dalla gioventù alla maturità, per cui stiamo parlan-
do di una pratica fortemente radicata nella matrice del suo pensiero. Di
fatto, promuovere la formazione di nuovi organi di stampa di “sinistra”
è stata una delle sue occupazioni principali negli anni Quaranta e Cin-
quanta (dai “Deutsch-französische Jahrbücher” alla “Neue Rheinische
Zeitung”). E Marx era convinto che il giornalismo fosse uno strumen-
to essenziale di analisi e diffusione dal punto di vista critico e politico:
uno strumento di costruzione culturale – come si potrebbe dire secon-
do la successiva teorizzazione di Gramsci (1975, Q. 24) – che oltre a

183
il pensiero di karl marx

generare discussione pubblica, permetteva di cartografare il presente


in una prospettiva antagonistica, offrendo risposte molto diverse da
quelle della borghesia alle contraddizioni del capitalismo (risposte che
potevano guidare la classe operaia nella sua lotta e cristallizzarsi in una
sorta di controcultura comunista).
D’altra parte, va segnalato che difficilmente si può intendere la
portata della critica dell’economia politica di Marx senza tenere pre-
senti alcuni articoli scritti in particolare per la “New York Daily Tri-
bune”, dato che fu grazie a essi, alle ricerche effettuate per scriverli che
Marx fu in grado di sviluppare una solida comprensione della realtà
dell’economia capitalistica e della classe operaia, delle crisi economi-
che e del colonialismo, degli antagonismi internazionali e in partico-
lare, per quel che concerne questo capitolo, del mercato mondiale:
senza le conoscenze accumulate attraverso il lavoro giornalistico ben
difficilmente avrebbe potuto scrivere un testo come i Grundrisse, e
tanto meno Il capitale. A fronte delle letture troppo immediate o uni-
lateralmente centrate attorno a questioni epistemologiche, si deve sot-
tolineare che il giornalismo è parte costitutiva della pratica riflessiva
di Marx: è un’attività che non solamente gli permetteva di intervenire
politicamente, ma finì piuttosto per avere – e non poteva essere altri-
menti – effetti e risonanze fondamentali nella fucina del suo pensiero
maturo. E d’altronde, proprio all’inizio della sezione sul “feticismo”
della merce nel primo capitolo del Capitale, quando la merce stessa
da cosa apparentemente “triviale” si rivela “imbrogliatissima” e piena
di “sottigliezze metafisiche e teologiche”, quando i tavoli cominciano
a danzare e dalle loro gambe sgomitolano grilli, Marx stesso sembra
ricordarsi dei suoi articoli per la “New York Daily Tribune” – di quelli
sulla cosiddetta Rivolta dei Taiping, in particolare – quando scrive
in nota: «Non si dimentichi che la Cina e i tavoli cominciarono a
danzare quando tutto il resto del mondo era fermo, pour encourager
les autres» (mew, 23, p. 85)4.

4.  Cfr. ad esempio l’articolo intitolato La rivoluzione in Europa e in Cina, del


14 giugno 1853 (mew, 9, pp. 95-102). Si tratta di un articolo di grande interesse, so-
prattutto per l’insistenza di Marx sulle possibili ricadute della “rivoluzione cinese”
in Europa. Il riferimento in nota nel Capitale riprende questa tesi in forma ironi-
ca, alludendo alla diffusione in Europa, dopo la sconfitta delle rivoluzioni del 1848
(«quando tutto il mondo era fermo»), dello spiritismo e delle sedute spiritiche (con
il conseguente interesse per una danza assai particolare dei tavoli).

184
6.  cartografie globali

6.2
Una proposta di periodizzazione:
temi, tappe, transizioni

Da un punto di vista storico, teorico e politico possiamo formulare


una periodizzazione cronologica e tematica dell’attività giornalistica di
Marx. Si tratta di porre in rilievo le coordinate intellettuali che orienta-
no il suo lavoro in ciascuna fase del suo lavoro per diversi giornali, segna-
lando contemporaneamente il ruolo di queste fasi per la formazione del
suo pensiero e sottolineando i tratti specifici delle sue diverse pubblica-
zioni di carattere giornalistico. In un testo come questo, di carattere in-
troduttivo, non potremo essere esaustivi: nondimeno, non rinunceremo
a offrire una presentazione globale del giornalismo marxiano accompa-
gnata da una periodizzazione utile a fini introduttivi. Per ciascuna delle
diverse fasi del suo lavoro come giornalista cercheremo di rendere visibi-
le il rapporto dialettico con le sue posizioni politiche e con la sua opera.
Prima tappa (1842-43). Trovate chiuse di fronte a sé le porte dell’u-
niversità, Marx comincerà nel 1842 il suo lavoro come corrispondente
della “Rheinische Zeitung”, scrivendo dall’interno di una cornice ideo-
logica liberale che potremmo definire “progressista”. Questa “gazzetta”
era stata fondata con capitali di vari industriali della Renania5, e tra i
suoi obiettivi figuravano la lotta per il libero commercio e la riforma
delle strutture feudali dello Stato prussiano. In questo senso, i temi fon-
damentali degli articoli marxiani di questo periodo sono la lotta contro
la censura (I dibattiti sulla libertà di stampa), la difesa delle libertà (Cri-
tica del progetto di legge sul divorzio), la denuncia della disuguaglianza
sociale e un progressivo avvicinamento alle posizioni socialiste attraver-
so l’analisi concreta di diversi conflitti. Questi scritti di Marx rifletto-
no, in primo luogo, l’evoluzione di una Prussia prevalentemente rurale
– governata da Federico Guglielmo iv – in direzione di un’economia
capitalistica e industriale il cui prezzo cominciava a essere pagato dalle

5.  In particolare la “Rheinische Zeitung” fu sostenuta da tre azionisti: Robert


Jung, un giovane avvocato che simpatizzava per i giovani hegeliani, Dagobert Op-
penheim, un banchiere, ed Englebert Renard, libraio, che si occupava della stampa.
La gazzetta aveva tre tipi di target: i giovani hegeliani in quanto avanguardie culturali
del momento, le autorità prussiane come oggetto di critica e le classi medio-alte di
Colonia, divise tra liberalismo e conservatorismo.

185
il pensiero di karl marx

classi popolari. Queste classi si vedevano espropriate dell’accesso a beni


tradizionalmente comuni (come la legna) e condannate a una miseria
artificialmente provocata dall’economia di mercato in ascesa. Gli arti-
coli contro la censura, contro la legge sui furti di legna (un’importante
anticipazione di temi ripresi nel capitolo sulla “cosiddetta accumulazio-
ne originaria” nel Capitale), sulle condizioni dei contadini della Mosella
fecero infuriare il governo prussiano, che “soppresse” le pubblicazioni
del periodico dopo soltanto un anno di vita. Il giovane filosofo pensava
che creare un clima che garantisse la libertà di opinione potesse servire a
trasformare radicalmente le strutture dello Stato prussiano, stabilendo
un criterio di razionalità che – hegelianamente – potesse riconoscere
attraverso nuove istituzioni libertà e uguaglianza al popolo sovrano.
La risposta dello Stato, tuttavia, fu ben diversa: repressione, censura,
soppressione di pubblicazioni critiche e un conservatorismo che negava
qualsiasi riforma democratica. Lo Stato, lungi dall’essere un’istituzione
“etica” capace di rispondere alla volontà popolare, era al servizio degli
interessi dell’alta aristocrazia e degli Junker, rivelandosi “irrazionale” e
ostile alla sua funzione “illuminata”. Il liberalismo progressista di Marx
entrava così in crisi, aprendo le porte a posizioni ben più radicali6.
Seconda tappa (1843-44). Dopo la chiusura della “Rheinische Zei-
tung” Marx si dedica a un progetto giornalistico di nuovo tipo insie-
me a un altro ex collaboratore della gazzetta renana, Arnold Ruge: i
“Deutsch-französische Jahrbücher”. La linea della rivista era influenzata
tanto dalle condizioni materiali del proletariato francese – conosciute
direttamente da Marx con l’emigrazione a Parigi – quanto dal pensiero
di Ludwig Feuerbach. Questo nuovo orizzonte politico-intellettuale
finirà per allontanare Marx dal liberalismo e dalla cultura dominante
in Germania, che continuava a ragionare sui grandi problemi sociali
del presente attraverso le lenti metafisiche hegeliane. Con l’esperienza
degli “Jahrbücher” – una rivista di intervento politico-culturale – Marx
cambia il suo stile rispetto ai precedenti interventi sull’attualità, adden-
trandosi sul terreno del saggio filosofico-politico. Come si è accennato,
l’evoluzione teorica di Marx verso il comunismo deve molto all’antro-

6.  Il primo “contatto” di Marx con il comunismo avviene in questo periodo, at-
traverso una polemica contro la “Allgemeine Zeitung”, un giornale di Augusta: cfr.
l’articolo Il comunismo e la “Allgemeine Zeitung” di Augusta, del 16 ottobre 1842
(mew, 1, p. 105).

186
6.  cartografie globali

pologia filosofica e umanista di Feuerbach, da cui riprende alcuni con-


cetti fondamentali. Ciò nonostante, il giovane filosofo non si limita a
riprendere passivamente la teoria feuerbachiana dell’alienazione, ma se
ne appropria in modo originale, imprimendole una carica politica che
essa non possedeva: le Tesi su Feuerbach, scritte nel 1845, rappresente-
ranno il culmine di questo processo di appropriazione critica. Lo Stato
prussiano appare ora a Marx come una struttura politica che impedisce
la libera espressione dell’essenza umana – universale, collettiva, comu-
ne. Questa essenza si trovava alienata nella società prussiana (così come
del resto in generale in ogni società “borghese”), dato che i rapporti esi-
stenti tra lo Stato e la società civile determinavano la scissione di ciascun
individuo in due realtà inconciliabili: l’individuo in quanto cittadino
e l’“uomo reale”. Al fondo dei principali testi pubblicati da Marx negli
“Jahrbücher” – La questione ebraica e l’Introduzione alla Critica della fi-
losofia del diritto di Hegel – comincia a emergere il conflitto sempre più
acuto tra il “lavoro”, incarnato dal moderno “proletariato”, e un potere
statale posto come istituzione di una società civile che assume ora i trat-
ti di società borghese (secondo il duplice significato del termine tedesco
bürgerlich). L’“emancipazione politica” appare qui a Marx insufficiente
a esprimere i termini e la radicalità del progetto di liberazione che stava
cominciando a formulare.
Marx scopre attraverso il suo lavoro per gli “Jahrbücher” che l’“es-
senza umana” si trovava nella classe che sopportava intero il peso della
modernità, la sua miseria e la sua violenza: la classe operaia. Era questa
classe, in quanto soggetto di una disuguaglianza universale, che do-
veva spezzare le proprie catene per liberare al tempo stesso l’intera
umanità dalle contraddizioni del capitalismo. Marx assume così uno
sguardo socialista sulla realtà politica ed economica, per quanto que-
sto sguardo sia ancora tradotto in un linguaggio filosofico. La svolta
definitiva in direzione del comunismo avrà luogo nel 1844, quando
scriverà per il “Vorwärts!” e lavorerà ai celebri Manoscritti economico-
filosofici, la prima e giovanile forma assunta dalla sua critica dell’eco-
nomia politica. La chiusura dei “Deutsch-französische Jahrbücher” e
la soppressione del “Vorwärts!” nel 18447, entrambi sottoposti a cen-

7.  Marx tentò di dare continuità al progetto degli “Jahrbücher” attraverso il


“Vorwärts”, che fu però censurato dopo la pubblicazione del suo primo articolo, una
polemica con Ruge a proposito della rivolta dei tessitori slesiani del 1844.

187
il pensiero di karl marx

sura su pressione della Prussia, comporteranno per Marx una pausa di


quattro anni nell’attività giornalistica, quattro intensi anni di studio e
militanza politica.
Terza tappa (1848-50). Karl Marx ritorna al giornalismo, ormai da
posizioni limpidamente comuniste, nel solco delle rivoluzioni euro-
pee del 1848. A questo punto ha elaborato alcune delle ipotesi e dei
concetti fondamentali della concezione materialistica della storia,
dell’economia e della società. Testi come L’ideologia tedesca (stesa con
Engels tra il 1845 e il 1846), la Miseria della filosofia (1847) e il Manife-
sto del partito comunista (1848) sono tappe di un percorso che conduce
Marx ad articolare il suo lavoro critico in modo sempre più marcato
sul terreno storico ed economico. Il contenuto di questi scritti si ri-
flette anche nella sua nuova attività giornalistica, che abbandona la
forma del saggio e l’ambito filosofico che avevano caratterizzato in
particolare gli interventi negli “Jahrbücher” per addentrarsi nella cro-
naca e nella battaglia politica quotidiana. Questo movimento verso il
concreto consente a Marx di sviluppare in forma rinnovata una critica
materialistica la cui potenza si esprimerà pienamente nell’analisi dei
movimenti rivoluzionari del 1848. La trama concettuale nuova e ori-
ginale che Marx era venuto tessendo tra L’ideologia tedesca e il Mani-
festo del partito comunista, ormai lontana dal lessico feuerbachiano e
centrata attorno a categorie come forze produttive, divisione sociale
del lavoro, modo di produzione, rapporti di produzione e di scambio,
lotta di classe, nutre una narrazione storica che permette di cogliere la
genesi delle disuguaglianze e dei conflitti che segnano la società mo-
derna, in base a diverse ipotesi di ricerca capaci di sintetizzare processi
storico-sociali eterogenei in una coerente cornice analitica. La Miseria
della filosofia, in particolare, dimostrava un significativo avanzamento
di Marx sul terreno della comprensione critica dell’economia politi-
ca e dei suoi principi teorici principali, anticipando alcuni aspetti di
quella che sarebbe successivamente divenuta la teoria marxiana del
valore-lavoro.
Tra il giugno del 1848 e il novembre del 1850, Marx anima due pro-
getti editoriali dal punto di vista tematico e politico: la “Neue Rhei-
nische Zeitung” (1848-49) e la “Neue Rheinische Zeitung. Politisch-
ökonomische Revue” (1850), la prima con sede a Colonia e la seconda
ad Amburgo. Attraverso gli oltre ottanta articoli scritti per la “Neue
Rheinische Zeitung”, Marx studia e descrive le rivoluzioni europee del
1848, la loro travolgente diffusione e la loro altrettanto travolgente

188
6.  cartografie globali

sconfitta, concentrandosi su ciascuno degli epicentri del movimento


(Berlino, Francoforte, Parigi, Praga, Vienna ecc.). Come già accaduto
in altre occasioni, anche questo periodico sarà prima censurato e poi
chiuso. La sua riedizione continua il lavoro critico della prima, ma a
partire da un contesto molto diverso: quello della reazione europea
dopo la sconfitta del 1848. Le esperienze di questi due anni, anche at-
traverso l’attività giornalistica, consentono a Marx di scrivere un testo
di grande respiro, come Le lotte di classe in Francia, nonché di formu-
lare una delle ipotesi fondamentali attorno a cui si svilupperà la sua
ricerca nel decennio successivo: sulla base del rapporto tra la crisi del
1847 e l’esplosione dell’anno successivo Marx giunge alla conclusione
che il rilancio di un movimento rivoluzionario sarebbe stato possibile
solo attraverso una nuova crisi economica. E questa crisi non sarebbe
tardata ad arrivare.
Quarta tappa (1851-62). Gli anni Cinquanta sono indubbiamente
il decennio più importante nella produzione giornalistica di Marx.
Nell’esilio londinese, si concentra intensamente sui suoi studi storici
ed economici, ampliando lo spettro delle sue analisi ben al di là dei
limiti dei suoi precedenti lavori. Un’opera straordinariamente bril-
lante come il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte è contraddistinta
per molti aspetti da un taglio “giornalistico”, ed esce a puntate nella
rivista statunitense “Die Revolution”: l’ironia e il sarcasmo che ca-
ratterizzano la descrizione del rovesciamento della Rivoluzione fran-
cese nell’Impero di Napoleone iii, l’analisi dei movimenti di gruppi
sociali e classi, la minuta descrizione degli scontri tra i loro interessi
recano il segno del lavoro giornalistico di Marx. Questo periodo, in
ogni caso, è segnato dal lavoro come corrispondente europeo della
“New York Daily Tribune” (1852-62)8, il rapporto di lavoro giorna-
listico di più lunga durata e più prolifico: Marx scrive in questi anni
circa 350 articoli per il giornale statunitense, a cui si devono sommare
125 articoli scritti da Engels e pubblicati a firma del “Moro di Treviri”
(uno dei molti modi in cui Engels si prodigò per aiutare Marx in un
momento di dure difficoltà economiche). L’insieme dei temi affron-
tati in questi interventi da Marx è quasi illimitato: dall’analisi delle
principali economie nazionali a metà dell’Ottocento allo stato del

8.  In questi anni Marx collaborerà anche con il “People’s Paper”, un importante
organo cartista, e con la “Neue Oder Zeitung”.

189
il pensiero di karl marx

mercato mondiale, dai conflitti politici tra le potenze europee alla do-
minazione coloniale, alle lotte per l’emancipazione degli schiavi negli
Stati Uniti. Ma in questi articoli si trovano anche lucide osservazioni
sulla “cultura” capitalistica, analisi di fenomeni come il commercio
dell’oppio sullo sfondo delle guerre in Cina, minuziose disamine della
diplomazia internazionale. Questo ampio spettro di linee tematiche,
solo in apparenza frammentarie, è attraversato da un filo rosso comu-
ne: lo sforzo di Marx per costruire una critica dell’economia politica
di carattere realmente globale. È da questo punto di vista che il mer-
cato mondiale si installa al centro del lavoro giornalistico di Marx in
questi anni.
Proprio mentre Marx lavora per la “New York Daily Tribune” e
dopo aver scritto diversi articoli su una possibile crisi generale, esplo-
de il panico del 1857, che dà inizio alla prima grande crisi capitalisti-
ca di carattere mondiale. Dall’inizio della crisi fino ad aprile del 1858,
Marx, come già si è ricordato, scrive i Grundrisse, alternando il lavoro
giornalistico con la stesura della sua critica dell’economia politica. La
coniugazione della sua maturità giornalistica con lo sviluppo di questo
primo abbozzo di quello che sarebbe diventato dieci anni dopo Il ca-
pitale rende evidente ciò che spesso viene dimenticato: e cioè che sen-
za l’enorme accumulazione di materiale empirico realizzata in questo
periodo grazie alle corrispondenze per la “Tribune” Marx non avrebbe
potuto portare la sua opera alla dimensione globale che caratterizza
i Grundrisse. E fu proprio l’assunzione di questa prospettiva globale,
attraverso un esame approfondito del funzionamento delle economie
della sua epoca sullo sfondo del mercato mondiale, a permettere di for-
mulare un concetto come quello di plusvalore, di cogliere la comples-
sità della circolazione del capitale e di rompere con una concezione
lineare della storia. Di fatto, volendo indicare le linee di “rottura” che
caratterizzano l’attività giornalistica per la “New York Daily Tribune”
rispetto alle fasi anteriori, conviene soffermarsi quantomeno su cin-
que punti: 1. un ampliamento della cornice analitica marxiana, non più
centrata unicamente sull’Europa ma piuttosto orientata a cogliere il ri-
lievo di sviluppi politici ed economici su scala globale; 2. un approfon-
dimento della comprensione dei rapporti tra lavoro salariato e capitale,
nella prospettiva di un’analisi storica dei processi di accumulazione e
di uno studio del capitale industriale e finanziario; 3. l’avvicinamento
allo studio di culture non occidentali (in primo luogo Cina e India),
che progressivamente libererà Marx da un insieme di pregiudizi euro-

190
6.  cartografie globali

centrici e gli consentirà di cogliere lucidamente il nesso tra coloniali-


smo occidentale e capitalismo; 4. una comprensione empiricamente
fondata e realistica della lotta di classe, attraverso un’analisi dettaglia-
ta della classe operaia industriale inglese e dei suoi antagonismi così
come delle diverse classi subalterne in rivolta all’interno delle guerre di
emancipazione dell’epoca: i Sepoy in India, i movimenti di resistenza
in Cina e le lotte contro la schiavitù; 5. come conseguenza dei punti
precedenti, una comprensione “poli-cronica” e “multi-lineare” della
storia (cfr. Anderson, 2010, in specie cap. 5), che comporta una rottu-
ra con gli schemi lineari e più centrati attorno all’Europa elaborati in
scritti come L’ideologia tedesca e il Manifesto del partito comunista. Gli
studi realizzati in questi anni consentono a Marx di cogliere l’esistenza
di diverse temporalità, ritmi e cadenze all’interno della stessa epoca,
qualcosa di piuttosto diverso dalla dinamica del “progresso” e dalla
cieca “necessità storica” spesso attribuite al suo pensiero (e semmai da
considerare come una tonalità di fondo della cultura europea dell’epo-
ca). E occorre aggiungere che, dal punto di vista di ciascuno dei punti
che si sono indicati, il concetto di “mercato mondiale” gioco ruoli di
primaria importanza.
Tutti questi cambiamenti che si producono nella prospettiva te-
orica e nel lavoro di ricerca di Marx si possono seguire proprio con-
centrandosi sull’intersezione tra i Grundrisse e l’attività giornalistica
di Marx come corrispondente della “New York Daily Tribune”, in
particolare concentrandosi sugli abbozzi di analisi della circolazione
globale, dell’accumulazione e, in modo particolare, delle “forme che
precedono la produzione capitalistica”. Grazie a questi scritti emerge
in piena luce la dialettica esistente tra il giornalismo e la formazione
della teoria di Marx.

6.3
Mappe per l’antagonismo
Come si è visto, gli articoli giornalistici di Marx sono segnati da una
serie di importanti differenze rispetto al discorso teorico di molte sue
opere, che spesso si muove su un alto livello di astrazione (basti pen-
sare, per fare un unico esempio, alla teoria del valore). Ciò nondime-
no, non si può affermare che nel suo lavoro di cronista non ci siano

191
il pensiero di karl marx

significativi momenti di produzione di teoria, conoscenza e analisi.


Al contrario. In questo lavoro c’è però anche una vocazione pratica,
uno sguardo vivo su un presente in movimento, colto quasi nel suo
momento di evanescenza, su cui era necessario intervenire. Come po-
tremmo definire il genere o il tipo di discorso delle cronache di Marx,
in particolare di quelle della sua maturità? Non siamo di fronte a un
giornalismo tipico, non si tratta qui di semplici “news” o di interventi
di opinione. Occorre individuare le principali tensioni che confluisco-
no nei suoi articoli per tentare di tracciare il profilo specifico del gior-
nalismo marxiano. Possiamo qui nominarne tre. La prima è il carattere
fondamentalmente critico, analitico e riflessivo dei testi: nella misura
in cui Marx formula ipotesi, critica dati empirici e fonti, analizza fe-
nomeni socio-economici di diversa portata (come ad esempio la crisi
mondiale del 1857), sta precisando i suoi concetti e producendo co-
noscenza – teoria. Gli articoli giornalistici appaiono dunque come un
vero e proprio laboratorio dell’opera marxiana, un cantiere aperto da
cui ricavare conoscenze storiche ed economiche. È in questi testi che
si può situare la genesi delle svolte più importanti che segnano il suo
pensiero, come ad esempio nel caso dei Grundrisse.
Al tempo stesso, tuttavia, Marx non si limita alla critica dei dati,
dato che la sua analisi si incrocia – in una seconda linea di fuoco – con
un intento politico e polemico: gli articoli giornalistici partecipano
in pieno dei conflitti contemporanei, elaborando diagnosi, segnalan-
do campi di intervento e in alcuni casi formulando prognosi. Inoltre,
e si tratta di un tema per noi molto importante, il lavoro giornalistico
di Marx non è confinato all’interno del perimetro di uno specifico
Stato: se il capitalismo proprio negli anni Cinquanta dell’Ottocen-
to mostra intera la propria natura di modo di produzione disteso
su scala mondiale, nei suoi articoli giornalistici Marx segue questo
movimento di espansione spaziale e allarga progressivamente la sua
prospettiva fino a comprendere il capitalismo come sistema mon-
do. Scrivendo per la “New York Daily Tribune”, ad esempio, appro-
fondisce la politica inglese in Cina e in India, mentre più in genera-
le il colonialismo diventa uno dei temi essenziali del suo lavoro. In
diversi articoli, Marx denuncia gli interessi della Corona britannica
nel commercio di oppio e le atrocità della dominazione coloniale,
giungendo a leggere nelle rivolte anticoloniali opportunità di rottura
con il capitalismo. In questo senso, per quanto non senza una certa
ambivalenza, legge la Rivolta dei Taiping (1851-64) e la Great Mutiny

192
6.  cartografie globali

dei Sepoy (1857)9. Marx dedica una speciale attenzione, inoltre, alla
guerra di Crimea e a tutti i movimenti e le rotture che fanno irruzio-
ne nella grande mappa della politica mondiale (Grecia, Italia, Spa-
gna, Stati Uniti ecc.).
Bisogna infine segnalare una dimensione pedagogica e formati-
va, che lavora nella prospettiva della costruzione di un immaginario
collettivo di carattere antagonista. L’obiettivo è forgiare una coscien-
za critica nelle classi lavoratrici e nella stessa opinione pubblica, defi-
nendo una cartografia dell’espansione del capitalismo e delle radicali
contraddizioni che la caratterizzano. Seguendo George Rudé (1980, in
specie cap. 2), che a sua volta riprende suggestioni da Antonio Gramsci
(1975), Louis Althusser (1967) ed E. P. Thompson (1969), potremmo
dire che questi scritti tentano di condurre le “ideologie implicite” nel-
le classi popolari verso una formazione ideologica più globale e una
prospettiva politica rivoluzionaria. Per questo era necessario descrivere
le lotte, gli scioperi, le rivolte, le reti di solidarietà, era necessario far
emergere criticamente la riproduzione della disuguaglianza e spiegare
le sue cause con un linguaggio comprensibile e capace di mobilitare.
Soltanto in questo modo la concezione del mondo delle classi subalter-
ne poteva assumere una dimensione “totale” e internazionale, andando
oltre il suo contesto più immediato per essere all’altezza dell’impera-
tivo di una trasformazione sistemica. In ultima istanza, si può dire che
uno degli obiettivi degli interventi giornalistici di Marx era concorrere
alla formazione del proletariato affinché fosse in grado di approfittare
dei momenti in cui l’unità del capitale appariva lacerata – ovvero nelle
crisi economiche, che riteneva momenti propizi per l’avvio della rivo-
luzione proletaria.
Per quanto abbiamo distinto tre linee differenti di intervento, nel-
le cronache firmate da Marx queste linee si presentano solitamente
intrecciate l’una con l’altra. In particolare, riprendendo il filo delle
crisi e della ricerca di strumenti per la formazione intellettuale della
classe operaia, è facile vedere come le altre due dimensioni individua-
te concorrano a questo obiettivo. Ad esempio, nell’articolo intitola-
to Povertà e libero commercio. La crisi commerciale si avvicina (1852)

9.  Tratti di esotismo e “orientalismo” non sono certo estranei a questi articoli
di Marx, che tuttavia modificherà progressivamente il suo sguardo sul mondo non
europeo e sui suoi soggetti.

193
il pensiero di karl marx

Marx analizza le oscillazioni dei fondi per i poveri in Inghilterra tra


il 1834 e il 1852, tentando di cogliere gli effetti del libero commercio
e delle politiche doganali sull’economia e sulla condizione dei poveri.
I difensori del libero commercio sostenevano che nei momenti in cui
si abolivano le tariffe doganali la miseria diminuiva, dato che il libera-
lismo economico era la migliore soluzione per la povertà. Comparan-
do criticamente i dati statistici, Marx insiste sul fatto che il capitali-
smo attraversa fasi di prosperità e di decadenza, e che – al di là della
propaganda liberale – l’unica cosa che le statistiche dimostrano è che
i sussidi per i poveri aumentano nei momenti di crisi e si contraggo-
no nei momenti di crescita. Ma mette anche in evidenza come nel 1852
– in un momento di quiete commerciale e di libero scambio – la po-
vertà era aumentata rispetto ad anni caratterizzati da politiche prote-
zionistiche (il 1837) e nonostante lo sviluppo industriale.
Il capitalismo, dunque, produceva ricchezza per una classe mentre
distribuiva miseria ad altre. Era chiaramente un generatore di disu-
guaglianza. Ma non solo: riprendendo l’analisi dei cicli economici e
analizzando l’andamento della bilancia commerciale, Marx prevede
che la fase produttiva attraversata dall’Inghilterra sarà sempre più tur-
bolenta, e sostiene anzi che sta iniziando a virare verso la crisi. I gran-
di investimenti nell’industria tessile – che “fissano” quote ingenti di
capitale – e la necessità di capitale circolante in una fase propizia per
la speculazione e la sovrapproduzione lasciavano intravedere una cri-
si di intensità e scala fino a quel momento sconosciute. Marx critica
le pseudo spiegazioni degli economisti liberali, che grazie alla “mano
invisibile” pensavano che la semplice adozione di misure commerciali
orientate al libero scambio avrebbero “naturalmente” regolato gli squi-
libri del capitalismo. La classe operaia non poteva aspettarsi nulla dagli
industriali di Manchester e del Lancashire, se non il prolungamento
della giornata lavorativa, false promesse sulla sicurezza nell’uso delle
macchine e sofismi vittoriani sulla sua presunta incontinenza sessuale.
Di più, quel che poteva aspettarsi dal suo modo di intendere il com-
mercio e l’industria era precisamente il contrario di una soluzione ai
suoi problemi: sovrapproduzione, speculazione, crisi, disoccupazione
e distruzione di forza lavoro. La classe operaia – questa era la convin-
zione di Marx – doveva sapere che il capitalismo era attraversato da
cicli, e doveva essere preparata e organizzata per agire. Quel che era
successo nel 1848 poteva ripetersi, dando l’avvio a una rivoluzione che
a questo punto non avrebbe portato la vecchia maschera democratica

194
6.  cartografie globali

della “repubblica sociale” ma avrebbe fatto irruzione nella storia come


una vera rivoluzione comunista10.
Come definire, dunque, il genere discorsivo a cui appartiene il gior-
nalismo maturo di Marx un genere che lega insieme in una potente
formazione ibrida teoria, analisi, politica, cronaca e opinione? Possia-
mo parlare di cartografie antagoniste o mappe per l’antagonismo. Sono
scritti che permettono di cogliere il paesaggio vivo di un’epoca – con
tutte le sue contraddizioni – e di prendere posizione di fronte alla re-
altà del capitalismo e alle disuguaglianze che lo segnano. Non è del
resto forse molto importante dare un nome al genere, decisivo è met-
tere in evidenza il tipo di pratica e quello che questa pratica mette in
gioco. Forse il marxismo di oggi, reinventando e rinnovando la teoria
di Marx in un contesto molto più complesso, dovrebbe ripetere quel
gesto “meticcio” che caratterizza la sua attività giornalistica, costruen-
do una cartografia dell’immenso ed eterogeneo puzzle di frammenti
che è il mondo attuale.

6.4
Il mercato mondiale:
alle origini di un concetto marxiano
Le mappe alla cui costruzione Marx lavora attraverso i suoi interventi
giornalistici, in particolare nel corso degli anni Cinquanta, sono map-
pe “globali”. Il suo lavoro teorico, già nel decennio precedente, aveva
del resto posto le condizioni per questo tipo di esercizio cartografico.
Si può dire infatti che il concetto di mercato mondiale (o perlomeno il
riferimento al mercato mondiale come orizzonte spaziale al cui interno
si iscrive a partire dalla propria origine il modo di produzione capitali-

10.  È bene sottolineare che la previsione formulata da Marx dopo la sconfitta del
1848, secondo cui una nuova crisi economica era inevitabile altrettanto quanto una
nuova rivoluzione, si realizzò solo per quel che concerne la prima parte. Il “panico del
1857”, che pure giocò un ruolo nel determinare le condizioni della rivolta dei Sepoy
in India e di altri conflitti nel mondo coloniale, non fu seguito da alcun movimento
rivoluzionario in Europa (e tanto meno in Inghilterra). Indipendentemente da ogni
considerazione sulla pertinenza del nesso tra crisi economica e rivoluzione, Marx sot-
tovalutava il contesto di restaurazione politica e repressione dei movimenti di oppo-
sizione in cui ebbe luogo la crisi del 1857.

195
il pensiero di karl marx

stico) sia centrale in Marx fin dagli scritti giovanili. Si tratta di uno dei
molti aspetti che rendono l’opera marxiana straordinariamente origi-
nale, in particolare nel contesto della sua epoca. Per quanto la riflessio-
ne sulle colonie sia ben presente (e spesso con tonalità critiche) nelle
opere economisti classici, così come quella sul commercio internazio-
nale, si può ben dire che nessuno di essi abbia affermato con la nettezza
che contraddistingue gli scritti di Marx il carattere costitutivamente e
originariamente globale del modo di produzione capitalistico, una tesi
resa oggi familiare dallo sviluppo della cosiddetta World System Theory
(cfr. Wallerstein, 2010; Arrighi, 2007). Si tratta di un’originalità che
certo segnala una specifica sensibilità “geografica” di Marx (che da que-
sto punto di vista appare davvero un “materialista storico-geografico”,
secondo la formula proposta da David Harvey, 1996): a noi pare, tutta-
via, che l’enfasi sul “mercato mondiale” abbia ricadute di prim’ordine
sulla stessa concezione marxiana della storia. La nostra tesi è infatti che
Marx abbia dapprima formulato il suo discorso sul mercato mondiale
sulla traccia di una riflessione sulla categoria di Weltgeschichte, molto
diffusa in Germania a partire dal tardo xviii secolo e ampiamente ri-
presa da Hegel. E in qualche modo la categoria di “mercato mondiale”
lavora a mettere in discussione e a spiazzare la filosofia del progresso a
cui allude la traduzione italiana corrente del termine con “storia uni-
versale” facendo emergere in primo piano proprio il riferimento geo-
grafico al “mondo”. Il lavoro giornalistico, in particolare per la “New
York Daily Tribune”, ha consentito a Marx di riempire di determina-
zioni concrete il concetto di mercato mondiale, collocandolo contem-
poraneamente al centro della sua critica dell’economia politica.
Vediamo per cominciare alcune delle più significative occorrenze
della categoria di mercato mondiale nelle opere “giovanili” di Marx. È
ben nota l’importanza di questa categoria nelle pagine del Manifesto
del partito comunista dedicate all’analisi (e alla celebrazione) del ruolo
rivoluzionario della borghesia, che ha assegnato un carattere “cosmo-
polita” alla merce e alla produzione proprio nella misura in cui «sfrut-
ta il mercato mondiale» (mew, 4, p. 486). Sono pagine celebri, di no-
tevole efficacia stilistica e di grande rilievo per marcare la specificità
della concezione marxiana (ed engelsiana) del comunismo rispetto a
ogni “nostalgia” per il passato precapitalistico. Al tempo stesso l’apolo-
gia del ruolo rivoluzionario della borghesia condivide i toni di una filo-
sofia del progresso che pone non pochi problemi – dalla presentazione
del comunismo in molti testi marxiani come esito “necessario” di un

196
6.  cartografie globali

movimento storico “oggettivo” alla valutazione dello stesso movimen-


to di espansione del “mercato mondiale”, un tema su cui torneremo.
Per il momento, ci sembra utile richiamare l’attenzione su un’opera
precedente di Marx ed Engels, L’ideologia tedesca. Qui leggiamo ad
esempio: «È certo un fatto empirico che i singoli individui, con l’al-
largarsi dell’attività sul piano storico mondiale (mit der Ausdehnung
der Tätigkeit zur Weltgeschichtlichen), sono stati sempre più asserviti
a un potere loro estraneo [...], a un potere che è diventato sempre più
smisurato e che in ultima istanza si rivela come mercato mondiale (Wel-
tmarkt)» (mew, 3, p. 37). Il nesso tra Weltgeschichte e “mercato mon-
diale” è qui esplicitamente affermato, in una prospettiva che incrocia
un asse temporale e un asse spaziale per definire analiticamente la figu-
ra specifica di soggettività che corrisponde all’affermazione del modo
di produzione capitalistico.
Ci sembra che ci siano diverse osservazioni da fare a proposito di
questo passo. Marx ed Engels, in un momento storico in cui era anco-
ra ben lungi dall’essersi concluso in Europa il processo di “nazionaliz-
zazione” dello Stato (e mentre erano ancora operanti appartenenze e
lealtà definite su base “locale”), richiamano l’attenzione sull’azione di
un potere (il capitale) le cui coordinate spaziali sono definite su sca-
la mondiale. Quel che ne deriva, sia pure ancora per accenni, è tra le
altre cose il problema del rapporto tra questo potere (ripetiamolo, il
capitale) e altri poteri – in primo luogo gli Stati – la cui scala di azione
è limitata da precisi confini territoriali (cfr. Mezzadra, Neilson, 2014,
cap. 3). Ma occorre anche porre in evidenza che il potere che si orga-
nizza e agisce all’interno dello spazio del mercato mondiale è un po-
tere caratterizzato da un alto grado di astrazione. E questa astrazione
investe e plasma la stessa figura della soggettività che abita il tempo
e lo spazio del capitale. Nella Ideologia tedesca incontriamo a questo
proposito una grande figura concettuale, quella degli «individui em-
piricamente universali», uomini (e donne, aggiungeremmo noi) che
sono sì diventati «individui astratti, ma proprio per questo e solo per
questo sono messi in condizione di entrare come individui in collega-
mento tra loro» (mew, 3, p. 35). “Empiricamente universali” specifica
nel testo l’aggettivo weltgeschichtlich associato agli individui: e ci pare
evidente che qui questo aggettivo si riferisca a una storia, quella di cui
sono appunto soggetti gli “individui empiricamente universali”, che ha
assunto fin dalle origini della modernità e del capitalismo le coordinate
spaziali globali ricapitolate dal concetto di mercato mondiale.

197
il pensiero di karl marx

Nell’Ideologia tedesca, ma anche in altre opere di questo periodo,


il mercato mondiale è spazio di una “concorrenza” che esorbita i con-
fini territoriali degli Stati ed esercita al contempo un potente condi-
zionamento sulla vita all’interno di quei confini. Nella Miseria della
filosofia, poi, l’analisi delle trasformazioni prodotte dall’avanzamento
tecnologico e dalla “invenzione delle macchine” è condotta da Marx
in una prospettiva eminentemente geografica. Se un tempo, leggiamo
in questo testo, «l’industria di un Paese lavorava essenzialmente con
materie prime prodotte sul suo stesso suolo», ora – grazie alle mac-
chine – «il filatore può vivere in Inghilterra mentre il tessitore risiede
nelle Indie Orientali». La «divisione del lavoro», commenta Marx,
ha assunto una tale distensione geografica che la grande industria,
ormai sciolta dal vincolo con il suolo nazionale, «dipende esclusiva-
mente dal commercio mondiale, dallo scambio internazionale, da una
divisione internazionale del lavoro» (mew, 4, p. 154). Si tratta di un
passo importante, in cui troviamo una delle prime occorrenze del con-
cetto di «divisione internazionale del lavoro», destinato a grande for-
tuna fino ai nostri giorni. Ai fini dell’analisi che stiamo qui svolgendo,
emerge ancora una volta l’importanza per il funzionamento del modo
di produzione capitalistico, nella prospettiva di Marx, di una scala
spaziale che eccede la territorialità (il “suolo”) nazionale. Il capitale
produce e organizza i suoi spazi assumendo come riferimento essen-
ziale il mercato mondiale. Certo, il ruolo degli Stati nazionali è lungi
dall’essere sottovalutato da Marx, come dimostra la sua insistenza sul-
la posizione dell’Inghilterra all’interno della «gerarchia del mercato
mondiale» (mew, 4, p. 180) e sulla sua capacità di creare, attraverso
«la concentrazione del commercio e della manifattura» uno speci-
fico «mercato mondiale relativo» (mew, 3, p. 59). Marx ne avrebbe
tratto politicamente le conclusioni dopo la sconfitta delle rivoluzio-
ni del 1848, scrivendo nelle Lotte di classe in Francia che proprio in
Inghilterra, in quanto paese che «domina il mercato mondiale» la
rivoluzione era destinata a trovare il proprio nuovo «inizio organizza-
tivo» (mew, 7, p. 79).
La stessa ricostruzione degli eventi francesi tra la rivoluzione di feb-
braio e il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte è articolata da Marx in una
prospettiva che tende strutturalmente a eccedere i confini nazionali,
assumendo il quadro europeo e la cornice del mercato mondiale come
riferimenti necessari per inquadrare lo sviluppo della rivoluzione e del-
la reazione. Si tratta del resto di una prospettiva già anticipata nell’I-

198
6.  cartografie globali

deologia tedesca, dove l’insistenza sul “mercato mondiale” come scala


essenziale di azione del capitale è accompagnata da considerazioni di
grande originalità su quella che possiamo definire la “spazialità” della
politica comunista. Lo spiazzamento concettuale rispetto alla politica
moderna operato da Marx in testi come la Critica della filosofia hege-
liana del diritto pubblico e La questione ebraica (cfr. Mezzadra, Neilson,
2014, cap. 3) trova qui un corrispettivo di carattere immediatamente
spaziale, che disloca il comunismo rispetto alla geografia politica che
gli Stati nazionali stavano definendo in Europa. Quello che successi-
vamente, con la fondazione della Prima internazionale nel 1864, assu-
merà i caratteri dell’internazionalismo proletario11 è concettualmente
anticipato nell’Ideologia tedesca proprio attraverso la riflessione sul
mercato mondiale. Leggiamo in questo senso un passo famoso: «Il co-
munismo non è per noi uno stato che si debba instaurare, un ideale a
cui la realtà si debba conformare. Chiamiamo comunismo il movimen-
to reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo
movimento risultano dai presupposti già esistenti. D’altronde la massa
dei semplici operai – forza lavorativa privata in massa del capitale o di
qualsiasi limitato soddisfacimento – e quindi anche la perdita non più
temporanea di quello stesso lavoro come fonte di esistenza assicurata
presuppongono, attraverso la concorrenza, il mercato mondiale. Il pro-
letariato può dunque esistere solo sul piano della storia mondiale, così
come il comunismo, che è la sua azione, non può affatto esistere se non
come esistenza storica mondiale» (mew, 3, pp. 35-6).
Il riferimento di Marx è qui realmente al piano della storia mon-
diale, a un’azione politica che non può essere contenuta all’interno di
confini nazionali o di un ambito “locale”, di una Lokalität: il problema
di una politica capace di contrastare il capitale sulla scala globale della
sua azione e di costruire una spazialità della liberazione irriducibile
alla dimensione nazionale è così limpidamente posto, per quanto si
possa ritenere non particolarmente soddisfacente la “soluzione” pro-
posta dall’Ideologia tedesca: «Il comunismo è possibile empiricamente
solo come azione dei popoli dominanti tutti in “una volta” e simulta-

11. «Nessun movimento politico organizzato nella storia dell’umanità», ha


scritto Jacques Derrida (1993, p. 52) a proposito dell’internazionalismo, «si era mai
presentato come geo-politico, inaugurando così lo spazio che ora è il nostro e che oggi
tocca i suoi confini, confini della terra e confini del politico».

199
il pensiero di karl marx

neamente, ciò che presuppone lo sviluppo universale della forza pro-


duttiva e le relazioni mondiali che il comunismo implica» (mew, 3,
p. 35). La distensione nel tempo e nello spazio di un’azione politica
su scala mondiale che già negli anni successivi al 1848 Marx cessò di
pensare esclusivamente come «azione dei popoli dominanti» resterà
un problema aperto per l’internazionalismo nei decenni successivi. E
per quanto in forme e condizioni completamente mutate continua a
rimanere un nostro problema.

6.5
Il mercato mondiale nella critica dell’economia politica

Centrale, nella produzione giornalistica marxiana degli anni Cin-


quanta, è il nesso tra l’analisi delle determinazioni monetarie e finan-
ziarie della crisi che Marx vedeva avvicinarsi in Europa e un ampio
gruppo di articoli dedicati a temi di “politica coloniale”. Il primo in-
tervento di una certa ampiezza su questi ultimi temi pubblicato sulla
“New York Daily Tribune” (La dominazione britannica in India), del
giugno 1853, è stato spesso citato e criticato come esempio dell’“eu-
rocentrismo” marxiano (cfr. Anderson, 2010, per una discussione di
questa critica). In effetti, qui i toni apologetici sul ruolo “rivoluzio-
nario” della borghesia che si sono ricordati a proposito del Manifesto
sono proiettati sulla stessa dominazione coloniale, fino a celebrare
come una “rivoluzione sociale” la lacerazione dei rapporti comunitari
su cui si fondava il “dispotismo orientale” e a presentare l’Inghilterra,
che pure «agisce sulla base dei suoi più biechi interessi materiali»
e in modo “stupido” e feroce, come «inconsapevole strumento della
storia» (mew, 9, p. 133). Se certo appaiono discutibili i toni e la stessa
sostanza di questo giudizio marxiano, che sarà d’altronde ampiamen-
te modificato nel corso degli anni successivi12, più importante ai fini
del presente capitolo è evidenziare la continuità dell’interesse di Marx

12.  Già negli articoli sulla Cina del 1857-59, scritti per la “New York Daily Tribu-
ne”, nonché in quelli sulla rivolta dei Sepoy in India nel 1857 risulta del tutto assente
ogni enfasi sulla valenza “progressiva” del colonialismo. mostrano un mutamento nel
giudizio di Marx sul colonialismo, di cui non è più enfatizzata la valenza “progressiva”
(cfr. Anderson, 2010, pp. 35-41).

200
6.  cartografie globali

per quanto avveniva nel mondo coloniale negli anni che precedono
e accompagnano la redazione dei Grundrisse. Gli sviluppi in India e
in Cina, in particolare per quel che riguarda le guerre e il commercio
dell’oppio, sono analizzati da Marx nei suoi interventi per la “New
York Daily Tribune” in una prospettiva che incrocia un tema fonda-
mentale dell’altro gruppo di articoli richiamati, ovvero l’efflusso di
enormi masse monetarie sui mercati europei come risultato della sco-
perta e dello sfruttamento di nuovi bacini auriferi in California, Au-
stralia e Russia (cfr. Bologna, 1974). Entrambi questi vettori concor-
rono a determinare la crisi del 1857, mostrando la concreta rilevanza
del mercato mondiale nel determinare il ritmo di sviluppo e le crisi
dello stesso capitalismo europeo. È dunque sulla base delle analisi e
delle ricerche svolte in quanto corrispondente della “New York Daily
Tribune” che Marx assume nei Grundrisse il mercato mondiale come
cornice essenziale per la critica dell’economia politica.
«La tendenza a creare il mercato mondiale», scrive qui Marx, «è
data immediatamente con il concetto stesso di capitale. Ogni limite
(Grenze) si presenta qui come un ostacolo (Schranke) da superare»
(mew, 42, p. 343). Ci sembra importante sottolineare come in questo
passo di grande importanza il mercato mondiale indichi una tenden-
za inerente al concetto stesso di capitale. In questo senso, come Marx
afferma a più riprese nei Grundrisse (cfr. ad esempio lo schema pre-
sentato alla fine della celebre Introduzione del 1857, mew, 42, p. 42),
il mercato mondiale non coincide con l’ambito del commercio e dei
rapporti internazionali (cfr. Ferrari Bravo 1975). Costituisce piuttosto
l’elemento di “chiusura” e contemporaneamente il “presupposto” del
modo di produzione capitalistico nel suo complesso (mew, 42, p. 154).
È in questo senso che, come Marx afferma nei manoscritti conosciuti
come Teorie del plusvalore, i concetti più astratti – e al tempo stesso
costitutivi del rapporto di capitale – trovano validità e definizione sol-
tanto sullo sfondo del mercato mondiale: «È soltanto il commercio
estero, lo sviluppo del mercato in mercato mondiale che trasforma il
denaro in denaro mondiale e il lavoro astratto in lavoro sociale. La ric-
chezza astratta, il valore, il denaro, cioè il lavoro astratto, si sviluppano
nella misura in cui il lavoro concreto si sviluppa in una totalità di diffe-
renti specie di lavoro che abbraccia il mercato mondiale. La produzio-
ne capitalistica si basa sul valore o sullo sviluppo del lavoro contenuto
nel prodotto in lavoro sociale. Ma ciò non è possibile che sulla base
del commercio estero e del mercato mondiale. Questo è dunque, nello

201
il pensiero di karl marx

stesso tempo, presupposto e risultato della produzione capitalistica»


(mew, 26, iii, p. 250).
Il mercato mondiale, in questo passo, sembra funzionare da garan-
zia in ultima istanza per la tenuta e la riproduzione di una serie di de-
terminazioni astratte che, nei loro effetti assolutamente concreti, de-
terminano il funzionamento del modo di produzione capitalistico (la
ricchezza astratta, il valore, il denaro, cioè il lavoro astratto). È un pun-
to che Marx chiarisce a proposito del denaro nel Capitale, dove scrive
che «soltanto sul mercato mondiale il denaro funziona compiutamen-
te come la merce la cui forma naturale è al tempo stesso immediata-
mente la forma sociale di realizzazione del lavoro umano in astratto»
(mew, 23, p. 156). Lo stesso vale per le diverse figure assunte dal capitale
nel processo di circolazione e rotazione, analizzati nel secondo e nel
terzo libro del Capitale. In questo senso il mercato mondiale è “pre-
supposto” del modo di produzione capitalistico – e occorrerà risalire
alla sua origine, considerato che, come si legge ancora nel Capitale, «il
commercio mondiale e il mercato mondiale aprono nel xvi secolo la
storia moderna del capitale» (mew, 23, p. 161). Ma è anche “risultato”
di quello stesso modo di produzione, che nella sua quotidiana espan-
sione riorganizza continuamente lo spazio globale, aprendovi nuove
vie di commercio e inscrivendovi nuove geografie della produzione
parallelamente all’evoluzione e alla diffusione di specifici modelli di
dominazione coloniale e imperiale.
Assolutamente concreto nei suoi effetti (e nelle specifiche modalità
di organizzazione che assume), il mercato mondiale mantiene così nella
critica dell’economia politica marxiana caratteri di astrazione. Si po-
trebbe dire che costituisce la figura sintetica di una tendenza espansiva
del capitale che, “concettualmente”, non conosce limite: o meglio che
converte ogni limite, come si è visto, in “un ostacolo da superare”. Nello
stesso passo dei Grundrisse in cui abbiamo letto queste parole, questo
incontro del capitale con il “limite” viene ulteriormente qualificato, in
termini molto interessanti: la tendenza del capitale, scrive Marx, «è di
subordinare anzitutto ogni momento della produzione stessa allo scam-
bio, e di sopprimere la produzione di valori d’uso immediati che non
rientrino nello scambio, ossia appunto di sostituire una produzione ba-
sata sul capitale ai modi di produzione precedenti e, dal suo punto di
vista, primitivi» (mew, 42, p. 343). Il “limite” incontrato dal capitale
nel dispiegamento della tendenza a creare il mercato mondiale coinci-
de qui essenzialmente con forme economiche precapitalistiche. Si può

202
6.  cartografie globali

forse però, dal punto di vista del nostro presente, ripensare questo limi-
te – fino a includervi l’insieme delle forme sociali ed economiche che
costituiscono un “ostacolo” dal punto di vista del capitale in una speci-
fica fase della sua storia. La conversione del limite in ostacolo continue-
rebbe così a funzionare come schema interpretativo dell’espansione del
mercato mondiale, ma potrebbe essere anche applicata per comprende-
re una serie di conflitti che caratterizzano il modo di produzione capi-
talistico nel suo complesso. È Marx stesso del resto, in un altro passo dei
Grundrisse, a utilizzare gli stessi termini, Grenze e Schranke, per definire
il movimento generale della valorizzazione del capitale: per quest’ulti-
mo «ogni limite è e deve essere un ostacolo. Diversamente, cesserebbe
di essere capitale, denaro che si autoproduce» (mew, 42, pp. 252-3).

6.6
La fabbrica del mercato mondiale
Questa specularità tra il movimento della valorizzazione del capitale
e la creazione del mercato mondiale è un elemento concettualmente
importante dell’analisi svolta da Marx nei Grundrisse. Identifica una
dialettica (quella tra “limite” e “ostacolo”) che contraddistingue a re-
gime, ovvero una volta affermatosi come modo di produzione domi-
nante, le operazioni del capitale – tanto in senso intensivo, all’interno
cioè di “formazioni sociali” determinate, quanto in senso estensivo,
all’interno cioè di quel mercato mondiale che, una volta “aperto”, viene
continuamente riorganizzato, “fabbricato” e sfruttato in forme nuove
dal capitale. A noi pare che ci sia qui un ulteriore elemento che si può
derivare dall’analisi marxiana del mercato mondiale, sia pure in modo
per molti versi frammentario: il movimento di “apertura” del mercato
mondiale, che rientra tra i “presupposti” del modo di produzione ca-
pitalistico, è immediatamente seguito da un insieme di processi espan-
sivi che producono – anche attraverso la combinazione dell’azione
del capitale con quella degli Stati e degli Imperi – figure specifiche di
organizzazione dello stesso mercato mondiale che sono piuttosto da
intendere come “risultati” del modo di produzione capitalistico. È in
fondo il tema attorno a cui ruota il grande dibattito di inizio Novecen-
to sull’“imperialismo” (cfr. Ferrari Bravo, 1975).
L’“apertura” del mercato mondiale, il suo porsi come presupposto
essenziale della storia moderna del capitale rinvia a uno dei momenti

203
il pensiero di karl marx

fondamentali della “cosiddetta accumulazione originaria del capitale”,


analizzata da Marx nel capitolo 24 del primo libro del Capitale. Cen-
trale, qui, è il ruolo della conquista e del colonialismo nel determinare,
alle origini della modernità, quel decentramento dell’Europa da cui
deriva la rivoluzione spaziale che rende possibile l’esistenza e lo stesso
concetto di mercato mondiale. La pagina marxiana enfatizza critica-
mente la violenza che contraddistingue questo momento essenziale
dell’accumulazione originaria, al pari dell’altro momento decisivo che
consiste nelle “recinzioni” delle terre comuni e nell’espulsione dei con-
tadini poveri dalle campagne inglesi. Scrive Marx: «La scoperta delle
terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in
schiavitù della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’in-
cipiente conquista e il saccheggio delle Indie Orientali, la trasforma-
zione dell’Africa in una riserva di caccia commerciale delle pelli nere,
sono i segni che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione
capitalistica» (mew, 23, p. 779).
Nel corso degli ultimi anni, l’analisi marxiana della cosiddetta ac-
cumulazione originaria è stata variamente riletta in una prospettiva di-
versa rispetto a quella che, chiaramente delineata da diversi passi dello
stesso Marx, è stata a lungo prevalente nel “marxismo occidentale” (cfr.
ad esempio Perelman, 2010; Harvey, 2006; Mezzadra 2008, appendi-
ce). L’ipotesi di fondo che accomuna queste riletture è quella di una
sostanziale continuità dell’accumulazione originaria, che non si limi-
terebbe a costituire il momento storico in cui il capitalismo ha avuto
origine ma indicherebbe piuttosto una serie di problemi e di procedi-
menti che si ripresentano continuamente nel corso del suo sviluppo
– in particolare nei momenti di crisi e di transizione verso un diver-
so assetto dello stesso capitalismo. A noi sembra che questo valga in
particolare per il momento di “apertura” del mercato mondiale, la cui
violenza e intensità ritorna in primo piano ogni volta che nella storia
lo spazio globale in cui si distendono i processi di valorizzazione del ca-
pitale viene più o meno radicalmente trasformato e riconfigurato. Da
questo punto di vista è significativo che, nello sviluppo del marxismo
al di fuori dell’Europa e dell’Occidente, l’attenzione ai metodi attra-
verso cui il capitale converte specifici “limiti” in “ostacoli” da superare
abbia nutrito una riflessione particolarmente intensa sulla categoria di
“sussunzione formale” del lavoro sotto il capitale, particolarmente effi-
cace per analizzare le operazioni del capitale in contesto coloniale (cfr.
Harootunian, 2015). Dall’interno dello sviluppo del cosiddetto black

204
6.  cartografie globali

marxism (Robinson, 2000), poi, intellettuali e militanti come W. E. B.


Du Bois, C. L. R. James ed Eric Williams hanno lavorato sulla storia
del capitalismo dal punto di vista della funzione costitutiva della tratta
atlantica e della schiavitù, sviluppando proprio indicazioni come quel-
la contenuta nel passo di Marx che si è appena letto.
Si tratta, già lo abbiamo affermato, di una questione il cui rilievo
va ben oltre l’ambito storiografico, fino a investire temi e conflitti che
contraddistinguono la nostra stessa contemporaneità. Se infatti dopo
la fine del “socialismo reale” ha avuto avvio un complesso e violen-
to processo di riorganizzazione del mercato mondiale, anche sotto il
profilo “intensivo”, all’interno cioè di specifici paesi, la dialettica tra
“limite” e “ostacolo” si è manifestata con violenza ad esempio nello
smantellamento dei sistemi di welfare e di cicli di produzione indu-
striale posti appunto come “ostacoli” da superare dal punto di vista di
un aggressivo “nuovo” capitalismo. Ma vorremmo qui insistere anche
sul rilievo storico del tema che stiamo trattando. Una volta assunta
la centralità del mercato mondiale come “presupposto e risultato” del
modo di produzione capitalistico, diviene possibile ricostruirne la sto-
ria dal punto di vista dell’incontro del capitale con una molteplicità
di “limiti” sulle diverse frontiere della sua espansione, sottolineando
la peculiarità dei metodi di volta in volta impiegati per convertire quei
limiti in “ostacoli da superare” ma anche studiando le forme molte-
plici di resistenza che hanno scandito, modificato e a volte interrot-
to la storia del farsi mondo del capitale stesso. La storia del capitale,
facendosi mondiale, si pluralizzerebbe necessariamente e una serie di
“standard” assunti da Marx come costitutivi del modo di produzione
capitalistico (in primis il contratto di lavoro salariato “libero” come
modello dell’organizzazione del rapporto tra capitale e lavoro) risulte-
rebbero necessariamente ridimensionati e spiazzati nella loro validità
“universale” (cfr. Mezzadra 2011).
Sappiamo bene che Marx, nel Capitale, non seguì questa strada.
L’assunzione dell’Inghilterra come riferimento per la critica dell’eco-
nomia politica del capitalismo industriale aveva precise ragioni teori-
che e politiche: la convinzione, cioè, che l’Inghilterra consentisse di
cogliere e analizzare una tendenza che si sarebbe generalizzata nel con-
tinente europeo. Solo facendo i conti fino in fondo con la materialità
di questa tendenza le prospettive di una rivoluzione operaia potevano
essere fondate. «De te fabula narratur», scrive Marx riferendosi in
primo luogo al suo lettore tedesco. La conclusione generale di Marx,

205
il pensiero di karl marx

secondo cui «il Paese industrialmente più avanzato mostra a quello più
arretrato soltanto l’immagine del suo proprio futuro» (mew, 23, p. 12),
è da intendere nel contesto di questa strategia argomentativa e politi-
ca. E tuttavia, proietta sullo sviluppo del capitalismo un’immagine di
necessità e di omogeneità che appare decisamente discutibile tanto in
termini analitici quanto in termini politici. Lo stesso Marx, del resto,
apportò una significativa correzione a questo passo per l’edizione fran-
cese del primo libro del Capitale (1872), che «il Paese industrialmente
più avanzato mostra a quelli che lo seguiranno sulla via industriale sol-
tanto l’immagine del suo proprio futuro» (cfr. Anderson, 2010, p. 178).
È soltanto un’indicazione, un sintomo potremmo dire, della pro-
blematizzazione da parte di Marx di alcuni presupposti della sua critica
dell’economia politica. D’altro canto, non è inutile ricordare che Marx
non pubblicò né il secondo né il terzo libro del Capitale nonostante
buona parte dei manoscritti su cui lavorò Engels dopo la sua morte per
offrirne la versione che conosciamo risalgano a prima dell’uscita del
primo libro. È legittimo formulare l’ipotesi che Marx abbia incontrato
una serie di problemi che lo hanno costretto a riaprire il suo cantiere
di ricerca per rivedere alcuni aspetti della sua esposizione della logica e
del movimento del capitale. Possiamo allora seguire da questo punto di
vista lo svolgimento dell’indicazione che abbiamo colto nell’aggiun-
ta all’edizione francese del 1872 del Capitale nel corso dei successivi
quindici anni della sua vita. È uno svolgimento certo frammentario
ma non privo di suggestioni, ad esempio negli scritti sulla Russia (cfr.
Shanin, 1983) o nell’interesse con cui Marx si dedicò allo studio degli
antropologi della sua epoca (cfr. Petterson, 2009), per comprendere
l’articolazione e il rilievo delle forme storiche e contemporanee di pro-
prietà e organizzazione comune, con un respiro e uno sguardo ormai
definitivamente liberi da una focalizzazione esclusiva sull’Europa. Si
sente qui ritornare la stessa attitudine con cui nei decenni precedenti
Marx si era dedicato al lavoro giornalistico, la stessa tensione a carto-
grafare in una prospettiva antagonistica la realtà globale in tumultuosa
trasformazione. E potremmo dire, concludendo, che è proprio questo
ritorno del piglio giornalistico che conduce il Marx maturo in direzio-
ne di una storia e di un’analisi “multilineare” del capitalismo, adeguata
a una concezione del mercato mondiale in cui la dialettica tra “limite”
e “ostacolo” determina certo l’espansione del dominio del capitale ma
anche una pluralità di attriti e di conflitti che ne rendono variabili ed
eterogenee le forme di manifestazione.

206
6.  cartografie globali

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