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Veronica Pavoni
Introduzione 4
1
Parte Terza. L’agroecologia come proposta teorica e pratica 45
Conclusione 94
Appendice 96
Bibliografia 96
2
«Seminato per mangiare è sacro sostentamen-
to dell’uomo che fu fatto di mais. Seminato
per commercio è fame dell’uomo che fu fatto di
mais».
(M. Á. Asturias, Hombres de maíz, sesta edi-
zione, Ediciónes Losada, Buenos Aires 1968,
p.12)
3
Introduzione
4
storico-economica di come il sistema agricolo italiano sia stato introdotto e si sia affer-
mato il paradigma agricolo convenzionale-chimico. Nel secondo, si analizzano in primis
le conseguenze negative che questo paradigma ha avuto se si guarda, ad esempio, alla
sostanza organica del suolo, l’erosione dei terreni e al nuovo assetto che essa a determina-
to per gli agricoltori e le loro aziende, le quali sono diminuite in numero e aumentate in
grandezza. Al contempo, si ripercorre la vicenda meno fortunata dell’agroecologia, sop-
piantata dal paradigma antitetico, e riscoperta solo dalla seconda metà del XXI secolo,
quando il concetto di sostanza organica è riuscito a riacquistare la sua cruciale impor-
tanza, mostrando anche qualche applicazione in varie ed eterogenee forme fino ai nostri
giorni.
La Terza invece costituisce la parte sperimentale di questo lavoro. Dopo aver indivi-
duato i principali metodi agroecologici presenti sul territorio italiano, sono state prese ad
esame alcune aziende sparse sul territorio stesso, scelte per la loro valenza rappresentati-
va dei vari metodi. Questo lavoro, benché non possa fornire numeri e mappature ufficiali
delle realtà agroecologiche attualmente attive in Italia, vuole fornire un quadro il più pos-
sibile completo delle basi agroecologiche (agronomiche, storiche, economiche e sociali) da
cui i policy maker, gli agricoltori e i consumatori possano ripartire per ripensare il set-
tore agricolo italiano. Riguardo la valutazione del passaggio dalla valenza paradigmatica
microeconomica a quella macroeconomica è stato invece necessario notare alcuni aspetti
problematici: nonostante i soddisfacenti risultati e i promettenti obiettivi dei metodi e
dei casi di studio sarebbero in grado di fornire ragionevoli argomenti sulla loro fattibilità
ed efficacia anche su larga scala; tuttavia la loro applicazione estesa e diffusa potrebbe
avere deludenti esiti se si compirà l’errore di non operare al contempo sui seguenti fronti:
l’accesso alle conoscenze e alla terra; gli attuali costi burocratici per le aziende agricole;
il rapporto produttore-consumatore e città-campagna.
Se si può realmente sostenere che si è giunti all’epilogo del secolare percorso dell’agri-
coltura industriale, o convenzionale-chimica, e che le politiche settoriali sono chiamate a
svolgere il compito di ristrutturazione del sistema agro-alimentare in un lavoro congiunto
con mondo accademico e agricoltori, luci e ombre si mostrano in questa transizione che si
prospetta complessa, ma non impraticabile.
Di qui il contributo di questo lavoro, che per la sua parzialità, si pone sulla frontiera
di queste questioni al fine di ispirare una chiave di lettura, e di intervento operativo, per
5
iniziare a ricostruire l’agricoltura italiana odierna e futura.
(Ringraziamenti)
[...]
6
Parte prima. Prospettive del XXI
secolo per il sistema agro-alimentare
globale
7
Capitolo 1
8
sono misurabili come aumento della temperatura, scioglimento dei ghiacci, aumento del
livello del mare, eventi estremi.3 La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambia-
menti climatici (UNFCCC), firmata il 4 giugno 1992 ed entrata in vigore nel marzo del
’94, pose fortemente l’accento sulla questione e da quell’anno fino ad oggi sono seguite le
più note e discusse Conferenze delle Parti (COP). È dell’ottobre del 2016 la pubblicazione,
quasi come un déjà vu,4 dell’ultimo Rapporto del Club di Roma, Reinventing Prosperity:
Managing Economic Growth to Reduce Unemployment, Inequality and Climate Change.
Con la chiarezza che da sempre contraddistingue gli scritti del Club, una similitudine
contenuta in Reinventing Prosperity lumeggia il lettore su quanto non sia una pochezza
l’aumento della temperatura superficiale media globale dai 13,5° C del 1750 ai 15,5° C del
2050: «Come il pianeta, il corpo umano è un meccanismo biologico finemente armonico
che ha bisogno di mantenere un equilibrio di temperatura prudente. Le temperature del
corpo umano variano dai 37° C a solo mezzo grado circa durante la giornata. Un aumento
di 1° C è classificato come febbre. Un paio di gradi mette il corpo a rischio». La tem-
peratura media del pianeta nel 2015 è stata di circa 14,5° C, un grado in più rispetto al
1750. Un ulteriore aumento di 1° C può non sembrare molto, ma in realtà basta per far
tornare il pianeta a come era 10 milioni di anni fa. Un salto di 3° C farebbe tornare il
pianeta indietro di 40 milioni di anni, a un tempo in cui non c’era ghiaccio sulla Terra.
Se questo stesse per verificarsi di nuovo, cambierebbe radicalmente la vita sul pianeta.5
Tale preoccupazione è stata manifestata in vario modo a seguito della COP21 di Parigi
nel dicembre 2015 e della COP22 di Marrakech nel novembre 2016, dalle quali sono stati
prodotti ambiziosi obiettivi privi di concrete ed efficaci proposte d’intervento. A tal pro-
posito, titola Is the 2° C world a fantasy? l’articolo pubblicato da Nature che spiega come
l’obiettivo 2° C sia pressoché una chimera, dal momento che i modelli finora elaborati dal
3
IPCC. Climate Change 2013: The Physical Science Basis. Cambridge, United Kingdom e New York,
USA: Cambridge University Press, 2013.
4
Ci si riferisce alla tanto discussa relazione, richiesta anch’essa dal Club di Roma, The Limit of Growth.
Pubblicato 45 anni fa, con aggiornamenti successivi nel 1994 e nel 2004, questo rapporto già all’epoca
mostrava la relazione fra crescita demografica e crescita economica, avvertendo dell’arresto che il pianeta
avrebbe imposto a questa crescita antropica nel XXI secolo. Un rapporto profetico, se si pone attenzione
sull’approccio metodologico utilizzato: «l’approccio che abbiamo adottato può essere estremamente utile
nel riformulare il nostro pensiero circa l’intera condizione umana. Essa ci permette di definire gli equilibri
che devono esistere all’interno della società umana, e tra la società umana e il suo habitat, e di percepire
le conseguenze che possono derivare quando tali equilibri vengono interrotti» (Cit. da D. H. Meadows
(et al.). The Limit of Growth. A Report for The Club of Rome’s Project on the Predicament of Mankind.
Universe Books, New York, 1972).
5
G. Maxton, J. Randers e D. Suzuki. Reinventing Prosperity: Managing Economic Growth to Reduce
Unemployment, Inequality and Climate Change. Greystone Books, 2016, cap.7.
9
mondo scientifico non sono in grado di dimostrarsi come fattibile ed efficiente soluzione
per limitare il riscaldamento globale entro i 2° C.6 Difatti, nonostante le esigenze degli
sponsor, gli sforzi di modellizzazione sono riusciti a produrre due principali gruppi di mo-
delli, quelli pagare in anticipo e quelli pagare in ritardo, ma in nessuno dei due gruppi vi
sono modelli che riescono a soddisfare l’obiettivo.7 In particolare nell’approccio pay-later,
la maggior parte dei modelli si basano su una combinazione di bioenergia e Cattura e
Stoccaggio del Carbonio (CCS), entrambe tecnologie che hanno ricevuto forti critiche dal
mondo ambientalista e non solo. Brevemente, il sistema inizia col piantare colture che
vengono raccolte; poi trasformate per la produzione di biocarburanti o bruciate per pro-
durre energia elettrica. In questo modo il sistema dovrebbe fornire energia a emissioni zero
perché le piante assorbono CO2 mano mano che crescono. Inoltre, la CO2 creata quando
le piante vengono trasformate verrebbe catturata e pompata nel sottosuolo, in modo tale
che il processo nel suo insieme tolga più emissioni di quelle create. Un consorzio promosso
dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha testato un sistema di questo secondo
tipo in uno stabilimento che produce bioetanolo in Illinois, ma né la bioenergia né la CCS
si è dimostrata in nessuna parte vicino ai parametri immaginati dai modelli. A tal pro-
posito, il rapporto di Greenpeace, Dead and Buried: The demise of carbon capture and
storage, illustra infatti i numerosi limiti che impediscono alle centrali CCS di diventare
un’opzione energetica realistica: dai costi proibitivi di realizzazione e di distribuzione su
scala commerciale, al fatto di essere una tecnologia ad intensità energetica estremamente
alta e con limitazioni intrinseche nella capacità di stoccaggio. In più, si tratta di una
tecnologia che non può garantire la sicurezza del deposito di CO2 nel sottosuolo. Citando
qualche numero: il capitale necessario per la realizzazione di CCS sarebbe 2 volte e mezzo
maggiore di quello per l’energia solare e più di 4 volte rispetto all’energia eolica; la cattura
e la tecnologia di compressione consumerebbero fino a un terzo della produzione di una
centrale elettrica, il che significa che per ogni tre centrali elettriche che funzionano con
CCS, un’altra dovrebbe essere costruita solo per mantenere l’alimentazione elettrica gene-
6
J. Tollefson. «Is the 2°C world a fantasy?» In: Nature 527.7579 (2015), pp. 436–438. Si legge
nell’articolo che la scelta di questo obiettivo politico prese alla sprovvista gli scienziati, i cui modelli -
prima del 2009 - si erano per la maggior parte concentrati su scenari in cui le concentrazioni di CO2
nell’atmosfera erano stabilizzate a circa 550 p.p.m., ossia il doppio del livello pre-industriale, limitando il
riscaldamento a poco meno di 3° C.
7
Nel primo caso, le nazioni hanno bisogno di tagliare immediatamente le emissioni di gas serra; nel
secondo, possono prender tempo per una lenta e graduale eliminazione sviluppando una infrastruttura
massiccia che aspiri CO2 dall’aria.
10
rale. Per giunta, non sarebbe disponibile su scala commerciale fino al 2020 (data entro la
quale dovrebbe già essere di massa la produzione di energie alternative). A preoccupare
sono però le prime stime sulla capacità di stoccaggio di CO2 , grossolanamente semplifi-
cate e dunque considerate infattibili poiché inattendibile la loro garanzia di sicurezza del
sequestro geologico: in particolare, un lavoro pubblicato dalla rivista Nature Geoscience
nel giugno 2010 secondo cui lo stoccaggio di carbonio sott’acqua o nel terreno potrebbe
creare molti problemi a lungo termine, come l’acidificazione. Inoltre il gas dovrebbe esse-
re conservato per decine di migliaia di anni per evitare di diventare una minaccia per le
future generazioni: uno scenario simile a quello delle scorie nucleari8 .
Anche sulle bioenergie vi è profonda scetticità. Fin dalle loro prime applicazioni, sono
state poste al centro di un dibattito che ha evidenziato gli elementi di criticità legati
alla competizione tra le produzioni agricole per usi alimentari ed energetici e i possibili
conseguenti effetti negativi in particolare sulla sicurezza alimentare nelle economie dei
paesi in via di sviluppo.9
Alla luce di queste evidenti macroviariabili del nostro tempo, il rapporto globale del-
l’International Assessment of Agricultural knowledge, Science and Technology for Deve-
lopment (IAASTD), Agriculture at a crossroads, pubblicato nel 2009 e approvato da 58
governi,10 sostiene che il modo in cui il mondo produce il proprio cibo dovrà cambiare
radicalmente, se si vuole rispondere alle sfide dell’aumento della popolazione e del cam-
biamento climatico e se si vuole evitare un caos sociale e un disastro ecologico. Vediamo
allora nel seguente paragrafo in che modo il sistema agro-alimentare globale influenza
8
G. Shaffer. «Long-term effectiveness and consequences of carbon dioxide sequestration». In: Nature
Geoscience 3.7 (2010), pp. 464–467
9
M. Sassi. Biocombustibili e sicurezza alimentare: rischi e possibili soluzioni. 11(40): Agriregionieu-
ropa, 2015. Più precisamente, i biocombustibili possono offrire significative opportunità in termini di
sicurezza energetica, riduzione dell’impatto ambientale, mitigazione del cambiamento climatico. Potreb-
bero anche fornire energia a basso costo prodotta localmente, aiutando dunque a risolvere i problemi
energetici di circa 4 milioni di persone che vivono nelle zone rurali dei paesi in via di sviluppo senza
accesso all’elettricità. Tuttavia, a tali benefici si contrappongono gli importanti rischi di sicurezza ali-
mentare in termini di fabbisogno alimentare - alla luce delle previsioni di aumento della popolazione oltre
i 9 miliardi nel 2050 - e di impennata dei prezzi alimentari sui mercati internazionali.
10
I paesi firmatari sono i seguenti: Armenia, Azerbaigian, Bahrain, Bangladesh, Belize, Benin, Bhutan,
Botswana, Brasile, Camerun, Cina (Repubblica Popolare), Costa Rica, Cuba, Repubblica Democratica
del Congo, Repubblica Dominicana, El Salvador, Etiopia, Finlandia, Francia, Gambia, Ghana, Hondu-
ras, India, Iran, Irlanda, Kenya, Kirghizistan, Repubblica democratica popolare del Laos, Libano, Libia,
Maldive, Repubblica di Moldavia, Mozambico, Namibia, Nigeria, Pakistan, Panama, Paraguay, Filippi-
ne, Polonia, Repubblica di Palau, Romania, Arabia Saudita, Senegal, Isole Solomon, Swaziland, Svezia,
Svizzera, Repubblica Unita di Tanzania, Timoreste, Togo, Tunisia, Turchia, Uganda, Regno Unito, Uru-
guay, Vietnam, Zambia. Si noti il numero esiguo di paesi membri dell’UE. I paesi che invece non hanno
approvato pienamente il report sono Australia, Canada e Stati Uniti.
11
queste due macrovariabili.
12
di dimezzamento nell’atmosfera è di soli circa 8 anni, contro gli almeno 100 anni per la
CO2 . Il settore inoltre emette il 65% del protossido di azoto di origine antropica (296
volte il GWP della CO2 ), che proviene in gran parte dal letame. In più, il bestiame è
anche responsabile per quasi i due terzi (64%) delle emissioni di ammoniaca di origine
antropica, che contribuiscono in modo significativo alle piogge acide e all’acidificazione
degli ecosistemi. Questi dati, se presi in considerazione, spiegano da loro stessi che una
riduzione significativa del bestiame allevato in tutto il mondo ridurrebbe i gas serra in
tempi relativamente brevi rispetto alle misure che coinvolgono le energie rinnovabili e
l’efficienza energetica - benché necessarie anch’esse - rispondendo alla sfida ambientale
del nostro tempo.12 Ciò nonostante, guardando al futuro, il consumo totale di alimen-
ti di origine animale sembrerebbe destinato ad aumentare di quasi l’80% tra il 2006 e
2050,13 aumento che riguarderà principalmente le economie emergenti, mostrando invece
un picco in alcuni paesi sviluppati. In Cina, infatti, la disponibilità pro capite di carne
bovina è ancora solo la metà della media mondiale ma sta crescendo, e in India la do-
manda di prodotti lattiero-caseari sta stimolando un aumento dei capi bovini.14 Il 2016
Global Food Policy Report dell’IFPRI riporta anche i risultati di un recente lavoro sulla
dieta media americana per esaminare gli effetti di tre tipi di diete sull’uso pro capite dei
terreni agricoli ed emissioni di gas serra. Dallo studio emerge che la riduzione dei con-
sumi alimentari di origine animale hanno portato a drastiche riduzioni nell’uso del suolo
e nelle emissioni di gas serra associate alla dieta americana media. Le riduzioni vanno
dall’11-12% passando a un tradizionale scenario di dieta mediterranea; al 13-16% per le
diete che sostituiscono la carne bovina con maiale, pollame o legumi; fino al 43-56% in
scenari di dieta vegetariana15 . Interessante anche la valutazione della quantità di terra
liberata a livello globale - da parte dei paesi più ricchi del mondo - rendendo chiaro che
questi cambiamenti di dieta potrebbero dare un contributo significativo per un futuro
12
Fra coloro che ne ritengono necessaria la riduzione del consumo per limitare il riscaldamento globale
fra 1,5 e 2 gradi Celsius sopra i livelli preindustriali, si segnalano: OECD, Environmental Outlook to 2050:
Climate Change (Paris: 2011); UNEP, The Emissions Gap Report 2013 (Nairobi: 2013) in T. Searchinger,
et al., Creating a Sustainable Food Future: Interim Findings of the 2013–14 World Resources Report; F.
Hedenus, S. Wirsenius, and D. J. Johansson, The Importance of Reduced Meat and Dairy Consumption
for Meeting Stringent Climate Change Targets, Climate Change 124 (2014): 79–91.
13
T. Searchinger et al. Creating a sustainable food future. World Resources Report 2013-14: Interim
Findings. Washington, DC: World Resources Institute, 2013, p.11
14
US Department of Agriculture e Foreign Agricultural Service. Livestock and Poultry: World Markets
and Trade. Washington DC, 2015
15
International Food Policy Research Institute IFPRI. 2016 Global Food Policy Report. Washington,
DC: International Food Policy Research Institute, 2016, pp. 72-73
13
alimentare sostenibile. Lo scenario con dieta mediterranea tradizionale risparmia circa
20 milioni di ettari di terreno, i due scenari di riduzione dell’obesità risparmiano tra i 90
milioni e 140 milioni, e lo scenario di dieta vegetariana e tre scenari di riduzione della
carne bovina risparmiano tra i 150 e i 300 milioni.16 «La crisi della carne non è dunque
la sua mancanza per soddisfare una crescente popolazione umana carnivora, ma l’assoluta
impossibilità di sostenibilità per la terra se non iniziamo a limitare il nostro consumo di
prodotti animali»17 . Difatti, alla sfida ambientale, si aggiungono anche le sfide alimentare
ed economica, che si inseriscono entrambe in questa questione mettendo in evidenza l’im-
patto positivo della scelta di ridurre gli input produttivi per proteine e rispettive calorie
sostituendo del tutto o in gran parte le proteine di origine animale con quelle vegetali. Dal
punto di vista alimentare, in gran parte del mondo il consumo di carne e di altri prodotti
di origine animale supera già i livelli salutari. La FAO raccomanda un consumo medio
giornaliero di 58 grammi di proteine per persona al giorno, un livello che già costituisce
un ampio margine di sicurezza per garantire abbastanza proteine per tutti18 . Nei paesi
sviluppati, spinti dal grande consumo di prodotti animali, la persona media consuma 102
grammi di proteine al giorno. Di tutte le principali regioni del mondo, solo in Africa
sub-sahariana la gente in media consuma meno proteine di quelle cui avrebbe bisogno19 .
Nei paesi sviluppati, inoltre, le autorità sanitarie hanno a lungo consigliato una riduzione
del consumo di carne, dimostrando collegamenti con cancro e malattie cardiache20 - da
inserire dunque nella valutazione anche il costo per la società in termini di costi sanitari e
per l’ambiente in termini di produzioni farmaceutiche che si sarebbero potute evitare con
una dieta più sana.
Aprendo una breve una parentesi storica sul periodo storico in cui principalmente av-
venne il passaggio - per i paesi occidentali sviluppati - a una dieta ad alto consumo di
proteine animali, si richiama brevemente la ricostruzione storica proposta da Van der Wee
in L’ economia mondiale tra crisi e benessere (1945-1980). Dopo la seconda guerra mon-
diale, nel mondo occidentale, in generale, la rapida crescita dei redditi portò a «un veloce
16
IFPRI, 2016 Global Food Policy Report, p.74
17
M. Behnassi, O. Pollmann e G. Kissinger. Sustainable Food Security in the Era of Local and Global
Environmental Change. Netherlands: Springer, 2013, p.29
18
World Health Organization WHO, FAO e United Nations University UN. Protein and amino acid
requirements in human nutrition. Geneva: WHO Press, 2007
19
FAO. World livestock 2011: livestock in Food Security. Roma: Pubblicazioni ufficiali della FAO,
2011a, p. 9
20
World Health Organization WHO. Fact sheet n°311: obesity and overweight. Geneva: WHO Press,
2012
14
aumento della domanda di nuovi tipi di prodotti agricoli, ad esempio ad un abbandono del
consumo di cereali in favore della carne». Così nei paesi sviluppati, sebbene in questa fase
il consumo diretto pro capite di cereali fosse rimasto ad un livello stabile, quello indiretto
– foraggio a base di cereali per il bestiame – aumentò significativamente. Il consumo di
carne, rispetto ai cereali, è «un modo costoso di assumere calorie e proteine», in quanto
«sono necessari molti più input per ottenere un certo quantitativo di calorie e proteine
della carne piuttosto che dai cereali». Inevitabilmente dunque questo cambiamento nelle
abitudini alimentari dei consumatori occidentali compromise l’autarchia21 per via della
«crescente dipendenza dalle importazioni di generi alimentari», la quale ebbe «l’effetto di
valorizzare il ruolo del commercio internazionale dei prodotti agricoli»22 .
Altra questione di primaria importanza è l’impatto del metodo agricolo convenzionale
sul terreno e di conseguenza sui mutamenti climatici, sull’aumento della popolazione -
in termini di fabbisogno e sicurezza alimentare, e sul piano economico - se si considera
la resilienza delle imprese agricole. Mentre l’impatto del suolo e il degrado del suolo
per la produzione agricola è da tempo riconosciuto, la comprensione dell’extra-agricolo
e gli impatti anche a livello globale sono recenti. Il suolo è costituito da componenti
minerali, acqua, aria e sostanza organica, che comprendono numerosi organismi viventi. È
una risorsa biologica complessa e dinamica, che assolve molte funzioni vitali: produzione
di cibo e di altre biomasse, stoccaggio, filtrazione e trasformazione di sostanze tra cui
l’acqua, il carbonio (C) e l’azoto (N). Funge anche da habitat e pool genico, costituisce
il fondamento per lo svolgimento delle attività umane, per la formazione del paesaggio e
del patrimonio culturale nonché da luogo di estrazione delle materie prime.
Il suolo può subire una serie di processi degradativi, alcuni dei quali sono strettamente
correlati all’agricoltura convenzionale e chimica: erosione idrica, eolica e meccanica (da
21
Per accuratezza della ricostruzione è necessario aggiungere che i risultati della seconda Rivoluzione
Agricola in Europa occidentale e in Giappone furono, sommariamente, i seguenti: per alcuni prodotti
si riuscì a mantenere o raggiungere l’autarchia: benché la superficie totale coltivata in Europa fosse
diminuita del 5% circa fra il 1950 e il 1971 a causa dell’urbanizzazione, il trend crescente della produzione
totale non ne fu influenzato. Anzi, la CEE riuscì, sebbene aumentando artificialmente il rendimento per
acro, a raggiungere l’autosufficienza nella produzione di cereali, prodotti lattiero-caseari, pollame, suini e
olii vegetali: «considerando ad esempio l’intero settore cerealicolo, fu registrato un aumento medio di più
del 50% tra il 1956-60 ed il 1971-72: per il grano duro e per il mais si arrivò addirittura al 100%». Mentre
non si può dire lo stesso per gli ortofrutticoli e la carne bovina: «la produzione di carne fu incrementata
notevolmente, ma non era ancora in grado di soddisfare l’aumento dei consumi». Dunque per questi due
il grado di autosufficienza in questo campo ebbe un andamento sempre più decrescente, e le importazioni
agricole da paesi terzi divennero sempre più considerevoli.
22
H. Van der Wee. L’economia mondiale tra crisi e benessere (1945-1980). Milano: Hoepli, 1989, pp.
85-94, 125-142
15
lavorazione del terreno), compattazione, diminuzione del contenuto di carbonio organico
e riduzione della biodiversità, salinizzazione e sodificazione, nonché contaminazione (da
metalli pesanti, pesticidi o da un eccesso di nitrati e fosfati)23 .
Il diagramma in Figu-
ra 1.1, mostra sinteticamen- Figura 1.1: Diagramma dell’impatto sulla qualità del suolo
te le interazioni e gli im- delle tecniche agricole convenzionali
patti negativi dell’agricoltu-
ra convenzionale e chimica
sulla qualità del suolo.24 Uno
studio stima il costo annuale
del degrado del suolo globale
a circa $300 miliardi US (cir-
ca lo 0,4% del PIL mondiale
nel 2007), e ha fornito nuo-
ve informazioni sul costo del
degrado del suolo: più della
metà del costo totale è attri-
buibile al degrado dei servizi
ecosistemici - in primo luo-
go la perdita di sequestro del
carbonio, la biodiversità, le
informazioni genetiche, e va-
ri servizi culturali - che colpisce in gran parte gli utilizzatori locali dei terreni25 . Chiara-
mente il degrado del territorio non è solo un problema per gli agricoltori: è un problema
di tutti. Le perdite economiche annuali dovute alla deforestazione e al degrado dei terreni
sono state stimate fra 1,5-3,4 miliardi di euro nel 2008, pari al 3,3-7,5% del PIL mondiale
nello stesso anno. Questo include anche una sorprendente perdita di grano, per un am-
montare di 1,2 miliardi di dollari l’anno. Su scala globale, si stima una perdita annuale
di 75 miliardi di tonnellate di suolo da terra coltivabile come conseguenza del degrado, e
23
CE. Relazione tra degradazione del suolo, pratiche agricole rispettose del suolo e politiche rilevanti
per il suolo. Comunità europee: SoCo Fact Sheets (IT), Maggio 2009
24
Il diagramma è stato elaborato da X. Liu et al. «Effects of agricultural management on soil organic
matter and carbon transformation – a review». In: Plant Soil Environment 52.12 (2006), 531–543.
25
IFPRI, 2016 Global Food Policy Report, p.42
16
si presume che costi al mondo circa 400 miliardi di dollari all’anno - con gli Stati Uniti da
soli che prevedono di perdere 44 miliardi di dollari l’anno per via dell’erosione del suolo.
Essendo il suolo il secondo più grande stoccaggio di carbonio dopo gli oceani, la degra-
dazione del terreno in corso riduce la capacità della Terra di catturare ed immagazzinare
il carbonio. Per giunta, agricoltura, silvicoltura e altri usi del territorio sono responsabili
del 24% di emissioni di gas serra di origine antropica. Vi è un potenziale significativo per
ridurre tali emissioni, in gran parte attraverso la riduzione delle emissioni di CO2 da agri-
coltura, l’evitare la deforestazione e il degrado delle foreste, la creazione di sequestro del
carbonio nei suoli, e la fornitura di energia rinnovabile attraverso una gestione sostenibile
del territorio. 26
17
urbana,28 con l’ulteriore rischio di portare a conflitti interni, etnici e politici. Ad esempio,
il degrado del suolo e il conseguente esodo hanno svolto un ruolo importante in almeno
27 grandi conflitti in Africa dal 1990.29 Nel 2000 si è calcolato che le terre aride sono
casa per circa 2 miliardi di persone nel 41% della superficie terrestre, il 90% delle quali
vivono in paesi in via di sviluppo. La previsione è che, per il 2030, 700 milioni di persone
potrebbero trovarsi costrette a migrazione.30 .
Attualmente, perdiamo 13 milioni di ettari di foreste ogni anno e in termini economici,
la perdita di servizi ecosistemici è stimata fra il 10 e il 17% del PIL mondiale (63 miliardi
di dollari nel 2010)31 . Prendendo in considerazione un periodo più ampio, si stima che
il suolo nell’11% della superficie vegetativa e nel 38% della superficie coltivata in tutto
il mondo sia stato degradato dal 1945: un’area delle dimensioni della Cina e dell’India
assieme. Perdiamo inoltre circa 24 miliardi di tonnellate di terriccio ogni anno, il che
equivale a circa 9,6 milioni di ettari di terra32 . Oltretutto, viene trascurato il fatto che
il tasso di erosione dei terreni arati è 10-100 volte maggiore di quello di formazione del
suolo. Questo è catastrofico se si pensa che servono 500 anni per la formazione di appena
2,5 centimetri di suolo in condizioni normali33 .
A questi aspetti principalmente economici e ambientali si aggiungono quelli alimen-
tari. Se già il dato che il 75% della produzione di cibo nel mondo viene soltanto da 12
piante e 5 specie animali, rendendo il sistema agricolo mondiale altamente vulnerabile
agli shock e le diete meno biodiverse, dunque meno salutari;34 molto più complesso e
dibattuto è il rapporto tra i metodi agricoli e la qualità degli alimenti - importante per
28
Nel documento della FAO How to feed the world 2050 del forum tenutosi a Roma il 12-13 Ottobre
2009, si legge che nel 2050 l’accelerato aumento dell’urbanizzazione porterà il 70% della popolazione
mondiale a vivere in aree urbane (rispetto al 49% del 2009), con un ulteriore e forte abbandono delle
aree agresti. Testo fruibile al link seguente: http://www.fao.org/fileadmin/templates/wsfs/docs/Issues_
papers/HLEF2050_Global_Agriculture.pdf (consultato il 15/12/2016).
29
Noel et al., Report for policy and decision makers: Reaping economic and environmental benefits from
sustainable land management.
30
IFPRI, 2016 Global Food Policy Report
31
Noel et al., Report for policy and decision makers: Reaping economic and environmental benefits from
sustainable land management.
32
Liu et al., «Effects of agricultural management on soil organic matter and carbon transformation –
a review»
33
D. Cameron et al. A sustainable model for intensive agriculture. Sheffield: Grantham Centre for
Sustainable Futures e The University of Sheffield, 2015
34
J. Pretty. «Agricultural sustainability: concepts, principles and evidence». In: Philosophical Tran-
sactions of the Royal Society B.363 (2008), pp. 447–465. A questo riguardo fu il parere nell’ambito della
COHAB Initiative (Co-operation on Health and Biodiversity) del 2010, The importance of biodiversity to
human health fruibile al link: https://www.cbd.int/doc/health/cohab-policy-brief1-en.pdf (consultato il
4 febbraio).
18
sfide quali la sicurezza alimentare e il fabbisogno nutrizionale. Un lavoro di Worthington,
ricostruendo la letteratura prodotta nella seconda metà del XX secolo sull’argomento -
confrontando la qualità nutrizionale del biologico con le colture convenzionali - mostra
che i dati indicano un più alto contenuto di nutrienti nelle colture provenienti da agri-
coltura biologica35 . L’agricoltura convenzionale non potrebbe fornire colture che possano
competere con l’agricoltura biologica per la quale si sono riscontrati livelli più elevati di
acido ascorbico, bassi livelli di nitrati, il miglioramento della qualità delle proteine rispet-
to alle colture convenzionali. Sono seguite altre produzioni scientifiche al riguardo, oltre
a progredimenti nelle coltivazioni non-convenzionali. Secondo pubblicazioni più recenti,
sembrerebbe confermato che le colture biologiche contengano una significativa maggiore
quantità di alcuni antiossidanti (vitamina C, polifenoli e flavonoidi) e minerali, oltre a
un elevato contenuto di materia secca rispetto alle colture tradizionali, concludendo che i
prodotti alimentari provenienti da colture non-convenzionali hanno un valore nutrizionale
più elevato e il rischio di malattie causate da cibo contaminato è significativamente ridotto
rispetto al convenzionale36 . Questa questione risulta ancor più interessante se si conside-
rano due mali del nostro tempo: malnutrizione e ipernutrizione. Secondo il 2016 Global
Food Policy Report, il nostro sistema alimentare attuale non fornisce una dieta nutriente
a tutte le persone. In tutto il mondo, si stima che 2 miliardi di persone soffrono carenze di
micronutrienti, e 795 milioni di persone sono sottoalimentate. Anche se la malnutrizione
è in lento declino, 162 milioni di bambini sotto i cinque anni soffrono ancora di crescita
stentata, la maggior parte dei quali in Africa a sud del Sahara e in Asia meridionale. La
malnutrizione non sarebbe solo il singolo più grande contributore di mortalità infantile,
ma comprometterebbe anche lo sviluppo cognitivo e fisico delle persone, ostacolando il lo-
ro raggiungimento educazionale e di produttività del lavoro, e in ultima analisi, minerebbe
il progresso economico dei paesi. L’altra faccia della medaglia è il un numero crescente di
persone che soffrono di ipernutrizione: attualmente più di 2 miliardi di persone sono in
sovrappeso o obesi37 .
Non che l’argomento si sia esaurito, ma per brevità, si farà solo menzione di altri da-
ti interessanti relativi all’impatto del sistema agro-alimetare che si debbono prendere in
35
V. Worthington. «Effect of agricultural methods on nutritional quality: a comparison of organic with
conventional crops». In: Alternative Therapies in Health and Medicine 4.1 (1998), pp. 58–69
36
Si veda, ad esempio in K. G. Györéné, A. Varga e A. Lugasi. «A comparison of chemical composition
and nutritional value of organically and conventionally grown plant derived foods». In: Orvosi Hetilap
147.43 (2006), pp. 2081–90.
37
IFPRI, 2016 Global Food Policy Report, p.10
19
considerazione in una riflessione che voglia proporre forme di efficientamento del sistema
stesso in termini di costi e benefici economici, ambientali e alimentari. La FAO stima che
in totale, il sistema alimentare mondiale consuma circa un terzo di energia disponibile
al mondo, con solo circa il 25% di questo consumo di energia dedicato alla produzione
alimentare; il resto viene utilizzato in lavorazione, conservazione, trasporto e preparazio-
ne38 . Per quanto riguarda la distanza media dei prodotti, la globalizzazione negli ultimi
due decenni, sembra aver aumentato la distanza media percorsa dai prodotti alimentari
del 25%. Negli Stati Uniti, prendendo un caso estremo, la famiglia media consuma circa
5 kg al giorno di cibo con una distanza media di trasporto per kg per un totale di 8240
km39 . Tuttavia, il totale delle emissioni globali di gas serra dal trasporto del cibo rimane
di gran lunga minore rispetto alle emissioni derivanti dalla produzione primaria40 . Infine,
circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano, si perde o viene sprecato a livello
globale, ammontando a circa 1,3 miliardi di tonnellate all’anno41 .
Alla luce di questo breve quadro di come il sistema agro-alimentare sia in relazione
con le due macrovariabili individuate da questo lavoro. Si procede dunque a riferire al
lettore quali sono le principali proposte, prime azioni e risultati concreti, provenienti da
policymaker, ONG, realtà locali per rispondere alle esigenze di questo nostro millennio.
20
Resources for Food and Agriculture (ITPGRFA), adottato alla XXXI sessione della Con-
ferenza della FAO nel novembre 2001 ed entrato in vigore nel 2004, sono la conservazione
e l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e la ripar-
tizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dalla loro utilizzazione al fine di perseguire
un’agricoltura sostenibile e la sicurezza alimentare in conformità alla Convenzione sulla
diversità biologica. Nell’articolo 9 le Parti contraenti riconoscono l’enorme contributo che
le comunità locali e autoctone e gli agricoltori di tutte le regioni del mondo, in parti-
colare quelli dei centri di origine e di diversità delle piante coltivate, hanno apportato e
continueranno ad apportare alla conservazione e alla valorizzazione delle risorse fitogene-
tiche, costituendo la base della produzione alimentare e agricola nel mondo intero. Tale
articolo riconosce anche una serie di diritti agli agricoltori in relazione alla tutela delle
conoscenze tradizionali e alla partecipazione e distribuzione dei vantaggi derivanti dalla
tutela brevettuale delle risorse genetiche - il riconoscimento reale di tali diritti porterebbe
alla realizzazione di un sistema in cui le sementi tradizionali possono accedere sul mercato
in maniera paritaria con le sementi ibride commercializzate dalle multinazionali.
È del 22 dicembre 2011 la Risoluzione 66/222 della United Nations General Assembly
(UNGA), la quale afferma che l’agricoltura a conduzione familiare e l’agricoltura su piccola
scala sono basi importanti per una produzione alimentare sostenibile, e ha riconosciuto
il loro importante contributo nel garantire la sicurezza alimentare e l’eliminazione della
povertà nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale,
tra cui i Millennium Development Goals che seguiranno quattro anni dopo. Le aziende
a conduzione familiare sono di gran lunga la forma più diffusa di agricoltura in tutto
il mondo: ci sono più di 570 milioni di aziende agricole in tutto il mondo di cui oltre
500 milioni sono aziende a conduzione familiare. Le statistiche mostrano che producono
più dell’80% del cibo del mondo in termini di valore. Benché vi sia eterogeneità, la
stragrande maggioranza delle aziende a conduzione familiare del mondo sono piccole o
molto piccole e sono collettivamente la più grande fonte di occupazione in tutto il mondo:
«l’agricoltura familiare è molto più di un modo di produzione alimentare, ma è anche un
modo di vivere»44 . Il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione,
Olivier De Schutter, nei propri rapporti evidenzia sistematicamente che l’unica soluzione
per nutrire la popolazione mondiale in maniera costante è l’agricoltura mista su piccola
44
FAO. Towards stronger Family Farms. Roma: Pubblicazioni ufficiali della FAO, 2014b
21
scala, ecologica e locale e che sulla questione delle sementi, quindi, non risulta opportuno
procedere ad una legislazione che centralizzi ancora di più le decisioni e le procedure di
cui beneficerà in massima parte il settore industriale a scapito degli agricoltori.
L’agroecologia cui si sta facendo riferimento non è dunque una nicchia per gli agricol-
tori artigianali su piccola scala in determinati settori, né è una etichetta che deve essere
raggiunta sulla base di pratiche specifiche. Si tratta di una logica universale per ridise-
gnare sistemi agricoli in modo da massimizzare la biodiversità e stimolare le interazioni
tra le diverse piante e specie, nell’ambito di strategie olistiche per costruire la fertilità a
lungo termine, sani ecosistemi agricoli, mezzi di sussistenza e redditi sicuri45 . In poche
parole, un paradigma opposto alle monocolture e alla loro dipendenza da input chimici, in
quanto gli agricoltori si liberano dalle strutture dell’agricoltura industriale e rimettendo
a fuoco i propri sistemi agricoli attorno a una nuova serie di principi.
Secondo la FAO,46 , gli agricoltori che adottano i sistemi agroecologici sono più resi-
stenti al cambiamento climatico e recuperano più rapidamente di fronte agli impatti. La
partecipazione degli agricoltori è necessaria in questa fase storica per eliminare vincoli di
produzione imposti dalla terra degradata all’agricoltura convenzionale. Le pratiche agroe-
cologiche di gestione del suolo, di fertilità integrate, hanno la più alta redditività tra le
opzioni per migliorare le rese. Tuttavia, esse hanno anche il più basso tasso di adozione.
Al fine di raggiungere la resilienza, l’agroecologia ha bisogno di prendere in considera-
zione non solo la sovranità alimentare, ma anche di energia e la sovranità tecnologica.
Per quanto riguarda i sistemi di allevamento, i cinque obiettivi dell’agroecologia sono: la
gestione integrata della salute degli animali; il riaccoppiamento dei cicli di carbonio, azoto
e fosforo; la pratica di sistemi di aumento della diversità e della resilienza; la conserva-
zione e l’utilizzo della biodiversità; la riduzione dell’uso di input esterni. Fra gli esempi
menzionati dalla FAO, se ne citano qui di seguito alcuni rilevanti: in Colombia, i sistemi
silvo-pastorali con approccio agroecologico sono stati utilizzati come uno strumento effica-
ce per la riabilitazione delle terre degradate, attraverso la produzione di biomassa ad alta
intensità, la fissazione dell’azoto e di maggiore attività biologica nel suolo. In Argentina,
l’applicazione di pratiche agroecologiche e biodinamiche integrate per una fattoria di 200
ettari, ha portato benefici ambientali, sociali ed economici a tutti i livelli, dalla produ-
45
Food IPES. From uniformity to diversity: a paradigm shift from industrial agriculture to diversified
agroecological systems. International Panel of Experts on Sustainable Food systems, 2016, p.7
46
FAO. Final Report for the International Symposium on Agroecology for Food Security and Nutrition.
Roma: Pubblicazioni ufficiali della FAO, 2015.
22
zione alla fabbricazione e commercializzazione. Nelle zone aride del Brasile, le pratiche
agroecologiche hanno contribuito a ristabilire le fonti d’acqua attraverso il recupero dei
suoli e la vegetazione di copertura. A Cuba, oltre 27 anni di supporto dall’associazione
nazionale ha portato ad una rapida espansione di orti biologici intensivi su piccoli appez-
zamenti di terreno nelle aree urbane per il consumo familiare di verdure fresche e frutta
da parte di coloro che in precedenza non erano coinvolti in agricoltura, compresi i giovani.
Sul monte Nilgiris nell’India del sud, dove la sicurezza alimentare è fortemente dipendente
dalle precipitazioni, le pratiche agroecologiche come la conservazione del suolo, la gestione
integrata dei parassiti e la micro-irrigazione hanno contribuito a ridurre la dipendenza del
sistema di allevamento dagli eventi meteorologici. Altro caso di studio interessante sono
gli oltre 25 anni di esperienza con la base comunitaria FFS (Farmer Field Schools) in 90
paesi in tutto il mondo, che ha portato a più alti tassi di adozione di pratiche localmente
adattate: un passo importante verso l’aumento della resilienza dei sistemi agricoli locali.
Alcune cifre dal punto di vista strettamente economico sono fornite dal report fornito
dall’Economics of Land Degradation (ELD) Initiative,47 in cui si stima, per queste realtà
agricole, che i tassi di rendimento economico dal 12 al 40%. Tale percentuale è stata
riscontrata in una serie di progetti su: il suolo e la conservazione dell’acqua (Niger), la
gestione agricola dell’irrigazione (Mali), la gestione delle foreste (Tanzania), l’estensione
da-contadino-a-contadino (Etiopia) e l’irrigazione a fondovalle (nord della Nigeria e Niger).
Mentre da un altro lavoro che prende in esame le realtà agricole in Nepal, Corea del Sud e
Siria mostra che la produzione lorda dei terreni agricoli tende a diminuire con l’aumentare
delle dimensioni delle aziende.48
Inoltre la biodiversità è la chiave dei sistemi agricoli con piccole e medie imprese che
preservano, coltivando, molte varietà autoctone e clima-resilienti, molte specie viventi,
nonché la salubrità della terra e delle acque49 . Valutazioni in termini economici dimostrano
anche che sistemi agricoli con piccole e medie imprese risultano essere molto più produttivi.
Contrariamente a ciò che si penserebbe, si legge in uno dei tanti studi che esaminano
l’agricoltura su piccola scala (286 progetti, oltre 37 milioni di ettari in 57 paesi in via di
sviluppo), nelle colture in cui si adotta agricoltura sostenibile, le rese medie aumentano del
47
Noel et al., Report for policy and decision makers: Reaping economic and environmental benefits from
sustainable land management.
48
Peter Rosset. «Piccola è ricca». In: L’Ecologist italiano. L’agricoltura è disegnare il cielo. LEF ed.
9.3 (2009), pp. 161–178.
49
Pretty, «Agricultural sustainability: concepts, principles and evidence»
23
79%. Inoltre, i sistemi agricoli sostenibili sono risultati più diversificati, con rendimenti
spesso composti da più di una dozzina di colture e vari prodotti di origine animale, che
generano elevate rese per ettaro50 . Rese più elevate significano una maggiore sicurezza
alimentare delle famiglie e reddito delle famiglie più alto, soprattutto quando il denaro è
stato risparmiato diminuendo drasticamente gli input (es. uso di fertilizzanti e pesticidi).
Sono necessari dunque nuovi approcci che integrino i processi biologici ed ecologici
nella produzione alimentare, riducano al minimo l’uso di questi input non rinnovabili che
provocano danni all’ambiente o alla salute degli agricoltori e dei consumatori, facciano un
uso produttivo delle conoscenze e delle competenze degli agricoltori, così sostituendo il
capitale umano ai costosi input esterni, immaginando inoltre che si faccia un uso produt-
tivo delle capacità collettive delle persone che lavorano insieme per risolvere i problemi
delle risorse agricole e naturali comuni, degli insetti infestanti, l’irrigazione, la foresta e
la gestione del credito: questi principi aiutano a costruire importante capitale fisso per i
sistemi agricoli51 .
Anche in occasione di Rio+20, la Conferenza sullo sviluppo sostenibile dell’ONU te-
nuta a Rio de Janeiro nel 2012, il settore alimentare e l’agricoltura furono messi al centro
del processo di sviluppo sia come causa principale di, e soluzione a, la questione climatica
e sociale (ad esempio, i bisogni primari insoddisfatti). Si legge infatti che per affrontare
la diffusa crisi globale si ritiene che ora più che mai sia il momento di concentrarsi sui
produttori di cibo su piccola scala, in quanto forza trainante verso sistemi di agricoltura
socialmente equi ed ecologicamente sostenibili. Torna anche nella conferenza di Rio il
concetto di agroecologia. Praticata appunto da piccoli agricoltori, ha dimostrato empi-
ricamente la sua capacità di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, non basandosi su
correzioni agronomiche e tecnologiche, ma piuttosto sui processi ecologici che stanno alla
base della produzione alimentare, coinvolgendo una conoscenza approfondita delle inte-
razioni tra ciò che viene prodotto, i suoli e la biodiversità associata. Sempre secondo la
FAO,52 i governi e i politici sarebbero ad un bivio per lo sviluppo di adeguate politiche,
programmi e azioni concrete per tale trasformazione, che comprende, tra l’altro, l’accesso
alla terra, all’acqua, al credito e ai mercati (attuali e nuovi), il diritto di coltivare e utilizzo
50
J. Pretty et al. «Resource conserving agriculture increases yields in developing countries». In:
Environmental Science and Tecnology 40.4 (2006), 1114–1119
51
Pretty, «Agricultural sustainability: concepts, principles and evidence»
52
FAO. Coping with the food and agriculture challenge: smallholders’ agenda. Roma: Pubblicazioni
ufficiali della FAO, 2013.
24
di semi locali, così come programmi di ricerca e di apprendimento partecipativo.
Il 2014 è stato dichiarato dalla United Nations General Assembly, l’International Year
of Family Farming (IYFF) per mettere in luce il contributo essenziale degli agricoltori
familiari nella sicurezza alimentare, il benessere della comunità, l’economia, la conserva-
zione e la biodiversità agricola globale, l’uso sostenibile delle risorse naturali, e la resi-
lienza climatica; ma soprattutto mirando a sostenere lo sviluppo di politiche favorevoli
alla promozione dell’agricoltura familiare sostenibile e creare una migliore comprensione
delle esigenze, i vincoli e le potenzialità di famiglie di agricoltori.53 Il 2015 invece è stato
dichiarato l’International Year of Soils e i 193 stati membri dell’ONU hanno sottoscritto
gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals o MDG) che
contengono, come settimo punto, la garanzia della sostenibilità ambientale.
Tuttavia, tutte queste iniziative in se stesse onorevoli e promettenti un avvenire mi-
gliore, si prospetteranno deludenti se non terranno conto del macroargomento di questo
XXI secolo (del quale si tenga conto che non ve ne è traccia negli MDGs di cui sopra): la
sovranità alimentare.54 Come fa notare Fabiani,55 oggi più che mai occorre essere consa-
pevoli che si è passati dal modello agricolo unipolare ad un sistema agroindustriale globale
in cui produzione e competizione si vanno muovendo lungo le corsie di un’economia sem-
pre più veloce, integrata e condizionante la sovranità alimentare, e quindi politica, dei
singoli paesi. La recente crisi dei prezzi, soprattutto dei cereali, ha messo bene in eviden-
za il valore strategico delle riserve alimentari: il ritorno di politiche protezionistiche ha
53
Riportiamo le parole del direttore generale della FAO, José Graziano da Silva, pronunciate a New
York nella giornata di presentazione dell’iniziativa: «l’agricoltura familiare è ciò che più si avvicina al
paradigma della produzione alimentare sostenibile. Gli agricoltori familiari si occupano generalmente di
attività agricole non specializzate e diversificate che conferiscono loro un ruolo centrale per la sostenibilità
ambientale e la conservazione della biodiversità». Cit. da FAO, Il 2014 sarà l’Anno Internazionale
dell’Agricoltura Familiare, in www.fao.org/news/story/it/item/207558/icode/, novembre 2013.
54
Per sovranità alimentare si intende la definizione contenuta nella Dichiarazione di Nyéléin secon-
do cui: «la sovranità alimentale è il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati,
accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio
sistema alimentare e produttivo. [...] La sovranità alimentare da priorità all’economia ed ai mercati
locali e nazionali, attribuendo il potere ai contadini, all’agricoltura familiare, alla pesca e l’allevamento
tradizionali e colloca la produzione, distribuzione e consumo di alimenti, sulla base di una sostenibilità
ambientale, sociale ed economica. La sovranità alimentare promuove un commercio trasparente che possa
garantire un reddito dignitoso per tutti i popoli ed il diritto per i consumatori di controllare la propria
alimentazione e nutrizione. Essa garantisce che i diritti di accesso e gestione delle nostre terre, dei nostri
territori, della nostra acqua, delle nostre sementi, del nostro bestiame e della biodiversità, siano in mano
di coloro che producono gli alimenti. La sovranità alimentare implica delle nuove relazioni sociali libere
da oppressioni e disuguaglianze fra uomini e donne, popoli, razze, classi sociali e generazioni». L’intero
testo della dichiarazione è fruibile al link seguente: https://nyeleni.org/spip.php?article328 (consultato il
20/01/2017.
55
G. Fabiani. «L’agricoltura che cambia. Dalla grande crisi alla globalizzazione». In: QA Rivista
dell’Associazione Rossi-Doria 1 (2014), pp. 7–30.
25
evidenziato ancora una volta il nesso esistente tra stabilità politica e autosufficienza ali-
mentare. Lo stesso fenomeno dell’acquisto (denominato land grabbing)56 su larga scala di
milioni di ettari di terra in Africa e in Asia da parte soprattutto di Cina, Arabia Saudita
ed Emirati Arabi mostra la centralità degli approvvigionamenti alimentari nello scon-
giurare drammatiche instabilità sociali politiche. In questo contesto l’agricoltura sembra
tornare ad essere considerata da importanti esponenti della finanza mondiale il miglior in-
vestimento possibile. Interessi economici, politiche commerciali e relazioni internazionali
tornano dunque a intrecciarsi dando all’agricoltura una nuova dimensione geopolitica del
mondo contemporaneo, in cui rafforzamento delle multinazionali e privatizzazione delle
terre coltivabili sembrano minacciare quell’agricoltura multifunzionale su piccola scala che
al momento sembra essere la chiave di volta per affrontare le urgenti macrovariabili del
nostro tempo.57
Considerando dunque, sia le macrovariabili del nostro tempo e la determinante rela-
zione del sistema-agroalimentare con esse; sia le locali risposte alle questioni del nostro
tempo, sostenute dalle organizzazioni mondiali e non solo, ma forse ostacolate dai nuovi
processi economico-finanziari; passiamo dunque alla seconda parte di questo lavoro che
si propone di ricostruire storicamente, e valutare, il sistema agro-alimentare italiano e le
politiche statali ed europee ad esso connesse.
56
Per approfondimenti sull’argomento si consiglia: P. De Castro. Corsa alla terra: cibo e agricoltura
nell’era della nuova scarsità. Roma: Donzelli, 2011.
57
Per un ulteriore approfondimento sul tema si consiglia: F. De Filippis, cur. Prezzi agricoli ed
emergenza alimentare. Cause, effetti, implicazioni per le politiche. Roma: Edizioni Tellus, 2008.
26
Parte seconda. L’evoluzione storica
dell’agricoltura italiana e l’impatto
sull’ambiente
27
Capitolo 2
28
base dell’odierna agricoltura convenzionale-chimica. Contro le teorie prevalenti dell’epoca
relativamente al ruolo dell’humus nella nutrizione delle piante - le quali ritenevano che la
materia vegetale in decomposizione era la principale fonte di carbonio per la nutrizione
delle piante - egli arrivò a sostenere che la degradazione dell’humus attraverso l’uso di
fertilizzanti avrebbe reso più facile alle piante stesse di assorbire i nutrienti somministrati
dall’esterno.3
Vi era difatti una contemporanea corrente di pensiero che si interrogava sulle caratteri-
stiche e funzioni dell’humus e che pose le basi dell’agroecologia affermando quel dibattuto
concetto di sostanza organica (S.O.) del suolo, che solo nella seconda metà del ’900 riuscì
a guadagnarsi il riconoscimento di sistema bio-organo-minerale complesso, e di indicatore
fondamentale per la qualità del suolo e la fertilità degli agro-ecosistemi.4 Risale al 1809 la
teoria dell’humus di Thaër, molto influente per 30 anni, e che aveva come riscontro empi-
rico la valutazione quantitativa della sostenibilità agroecologica ed economica dei sistemi
di produzione agricola dell’epoca, facendo uso dell’antica pratica di apportare al terreno
i resuidi organici. Dal 1840 al 1940, invece, la teoria della nutrizione minerale di Liebig
portò al progressivo abbandono del riciclo dei nutrienti tra città e campagna e dunque
alla sostituzione delle pratiche agricole biologiche con la fertilizzazione minerale di sintesi
intensiva di cui si è scritto sopra.
I ripensamenti di Liebig sulle sue stesse teorie arrivarono tuttavia soltanto negli anni
della vecchiaia, quando oramai l’industria chimica aveva già ben avviato una così redditi-
zia attività. Egli ammise che «sfortunatamente la vera bellezza dell’agricoltura, con i suoi
stimolanti principi intellettuali è quasi misconosciuta. L’arte dell’agricoltura si perderà
per colpa di insegnanti ignoranti, ascientifici e miopi che convinceranno gli agricoltori a
3
T. Saussuse. Chemical Research on Plant Growth. Translation of: Recherches chimiques sur la
Végétation. New York: Springer, 2013, p. xxix.
4
Benché abbia dunque avuto, per contingenze storiche (o interessi economici), scarso impatto negli anni
della nascita dei nuovi modelli colturali a base di minerali di sintesi, nel 1940, si iniziarono a riconoscere
meriti ed evidenze del concetto di sostanza organica. I significativi sviluppi scientifici raggiunti in più di
un secondo di studi, mostravano il ruolo dell’humus come componente essenziale dell’ecosistema; e una
crescente domanda sociale chiedeva la valutazione dei costi ambientali dell’intensificazione delle pratiche
agricole moderne. In quegli anni crebbe l’interesse per l’agricoltura biologica e agroforestale; la valutazione
dell’impatto delle lavorazioni del terreno sulla conservazione del suolo; l’uso della copertura vegetale; la
valutazione dell’importanza della S.O. In sintesi l’interesse sulla sostanza organica, nel tempo, sia dal
punto di vista concettuale-scientifico che delle pratiche di campo, può essere descritto da una curva
sinuosidale. La definizione e il riconoscimento delle sue funzioni hanno guadagnato sia molto dalla
combinazione di approcci olistici e riduttivi, sia dalla progressiva amplificazione della scala alla quale
è stato considerato. Cit. e approfondimenti in: R. J. Manlaya, C. Fellerc e M. J. Swift. «Historical
evolution of soil organic matter concepts and their relationships with the fertility and sustainability of
cropping systems». In: Agriculture, Ecosystems and Environment 119.3-4 (2007), pp. 217–233.
29
riporre tutte le loro speranze in rimedi universali, che non esistono in natura. Seguendo i
loro consigli, abbagliati da risultati effimeri, gli agricoltori dimenticheranno il suolo e per-
deranno di vista il suo valore intrinseco e la sua influenza».5 Scrisse anche un testamento
nel quale confessò che le sue supposizioni sull’impiego di concimi chimici, oltre ad essere
errate, erano anche un danno l’agricoltura stessa, ma questo scritto non ebbe la stessa
eco delle sue teorie.6
Fu il perfosfato d’ossa, ottenuto per reazione dell’acido solforico sulle ossa animali
(materie prime già utilizzate nella preparazione del fosforo), il concime artificiale che aprì
all’industria chimica nuove possibilità di sviluppo attraverso la lunga e proficua collabo-
razione con il settore agricolo. Tuttavia all’inizio - almeno non in tutte le nazioni - non
riscontrò quell’immediato successo che invece riceverà dalla seconda metà dell’Ottocento.
Se l’industria chimica era infatti potenzialmente in grado di avviare questa nuova lavo-
razione, il mondo agricolo cui era destinato si mostrò restio al suo impiego, nonostante
5
G. Benckiser. Fauna in soil ecosystems: recycling processes, nutrient fluxes, and agricultural
production. New York: CRC Press, 1997, p. 5.
6
Degna di menzione una parte del lascito testamentario di Liebig: «Confesso volentieri che l’impiego
dei concimi chimici era fondato su supposizioni che non esistono nella realtà. Questi concimi dovevano
condurre a una rivoluzione totale dell’agricoltura. Il concime di stalla doveva essere completamente
abbandonato, e tutte le sostanze minerali asportate dalle coltivazioni dovevano venire rimpiazzare con
concimi minerali. Il concime avrebbe permesso di coltivare sullo stesso campo, con continuità e in
modo inesauribile, sempre la stessa pianta, il trifoglio, il grano ecc., secondo il piacere e le necessità
dell’agricoltore. Avevo peccato contro la saggezza del creatore e ho ricevuto la giusta punizione. Ho
voluto portare un miglioramento alla sua opera e nella mia cecità, ho creduto che nella meravigliosa
catena delle leggi che uniscono la vita alla superficie della terra, rinnovandola continuamente, ci fosse
un anello mancante, che io, questa debole e impotente nullità, potessi rimpiazzarlo. La mia ricerca sul
suolo mi conduce ora a dichiarare che sulla superficie esterna della terra, la vita biologica si svilupperà
sotto l’influenza del sole. Il grande maestro e costruttore ha dato ai frammenti della terra la capacità
di attrarsi e di contenere in sé tutti gli elementi necessari per nutrire piante e animali, così come un
magnete trattiene le particelle di ferro, senza perderne neppure una. Il nostro maestro ha aggiunto una
seconda legge alla prima. In base ad essa, le piante e la terra con cui sono in relazione diventano un
enorme apparato di purificazione per le acque. Con questa particolare abilità, la terra rimuove dall’acqua
tutte le sostanze pericolose per l’uomo e gli animali, tutti i prodotti del decadimento e della putrefazione,
sia che derivino dagli animali che dai vegetali. Quello che può giustificare il mio comportamento è la
circostanza che l’uomo è un prodotto del suo tempo, e riesce a liberarsi dalle opinioni comuni solo sotto
una violenta pressione che lo spinga a radunare tutte le sue forze per liberarsi da queste catene di errati
condizionamenti. L’opinione che le piante potessero trarre il loro nutrimento da una soluzione formata
nel suolo con l’acqua piovana era un’opinione diffusa, ed era scolpita nella mia mente. È stata questa
opinione sbagliata la fonte del mio assurdo comportamento. Quando un chimico sbaglia nella stima dei
fertilizzanti, non siate troppo critici verso i suoi errori, perché ha basato la sua conclusione su fatti che
non può conoscere dalla sua esperienza, ma, piuttosto, che ha tratto da testi di agricoltura che considera
giusti e affidabili. Dopo che ho imparato il motivo per cui i miei fertilizzanti non erano efficaci nel modo
giusto, mi sono sentito come una persona che ha ricevuto una nuova vita. Finalmente tutti i processi di
coltivazione si possono spiegare sulla base delle leggi naturali che li governano. Ora che il principio è noto
e chiaro agli occhi di tutti, rimane solo lo stupore per non averlo scoperto molto tempo fa. Ma lo spirito
umano è una cosa molto strana, e così quello che non si adatta perfettamente allo schema del pensiero
comune, semplicemente non esiste». G. Liebig. Introduzione alle leggi naturali della agricoltura. Torino:
Unione Tipografico-Editrice, 1868.
30
le raccomandazioni di Liebig e dei suoi colleghi. In Italia la prima fabbrica di concimi
chimici sorse a Torino nel 1847 a opera del Cavour. Lo statista piemontese, a partire
del 1844, aveva iniziato a sperimentare il guano, un fertilizzante naturale di provenienza
peruviana (ricco di ossalato e urato d’ammonio, fosfati, sali minerali e nitrati) che da
alcuni anni aveva fatto la sua comparsa in Europa. Decisamente interessato allo sviluppo
agricolo e attratto dalle notizie che provenivano da paesi stranieri, il Cavour non solo vide
con favore i nuovi concimi chimici, ma tentò di fabbricarli direttamente impiantando uno
stabilimento a Torino.7
La gestazione delle industrie chimiche fu particolarmente travagliata in Italia, come
riconosceva esplicitamente una relazione ministeriale sulle condizioni dell’agricoltura nel
nostro paese: «I concimi artificiali non [erano] entrati nelle abitudini delle nostre popo-
lazioni campestri» e le fabbriche esistenti «non [potevano] estendere i loro affari come
sarebbe a desiderarsi, poiché piccola [era] la ricerca dei loro prodotti». Al di là, quindi,
di talune oggettive difficoltà nell’avviare questa lavorazione, il vero motivo della scarsa
offerta era la stentata domanda di concimi.8
Come nel resto del mondo, gli agricoltori italiani furono “educati” all’utilizzo del con-
cime prima naturale e poi chimico, ma per diversi motivi il loro utilizzo non sarà così
pervasivo ancora per diversi anni. Infatti il guano importato dal Perù, dovendo soddisfare
la domanda mondiale, iniziò a scarseggiare già dal 1880. Al suo posto si utilizzò il salnitro,
che se riscaldato diventa nitrato di potassio, cioè un fertilizzante di buona qualità poiché
formato da due degli elementi più importanti per la crescita e il sostentamento delle pian-
te, il potassio e l’azoto. Anche in questo caso la penuria di giacimenti di salnitro pose
un naturale freno all’uso dei concimi, senza considerare la competizione con l’industria
bellica, poiché il salnitro, unito allo zolfo, produce la nota polvere da sparo.
La vera svolta per i concimi chimici avvenne alla vigilia della prima guerra mondiale.
La Germania era totalmente dipendente dalle miniere di salnitro del Cile ed in caso di
prolungata guerra e di un eventuale embargo navale non sarebbe riuscita a produrre
munizioni per le truppe al fronte. Nel 1913 grazie al lavoro congiunto dei chimici tedeschi
Fritz Haber9 e Carl Bosch viene scoperto il primo procedimento per produrre ammoniaca
7
D’Attorre e De Bernardi, Studi sull’agricoltura italiana: società rurale e modernizzazione, p. 363-374.
8
Cit. da Ivi, p. 375.
9
Chimico patriota, allo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò volontario. Fu a capo del
programma di guerra chimica dell’esercito, dove partecipò all’ideazione e sviluppo dell’uso del cloro,
usato la prima volta il 22 aprile 1915 a Ypres, dell’Iprite (mustard gas) nel 1917, e del fosgene. Sua
moglie Clara, invece, anch’ella chimica, considerava l’uso di gas in guerra una barbarica perversione della
31
sintetica ad un costo contenuto. La Germania si era assicurata così l’ammoniaca e l’acido
nitrico necessari per la produzione di esplosivi (e anche di concimi).
La nascita di questa forte industria, novità di questi anni, interessò tempestivamente
l’industria italiana Montecatini e la Federconsorzi che ben presto decisero di inserirsi in
questo settore strategico.10 Terminato il conflitto molti stati cercarono di dotarsi di una
industria dell’azoto sintetico. In Italia la comparsa di due procedimenti ideati da Casale
e da Fauser consentirono di avviare la produzione di ammoniaca sintetica con tecniche
originali e più semplici di quelle adottate in Germania 11
32
Figura 2.1: Uso di fertilizzanti chimici semplici e composti (in quintali per ettaro) in Italia
(1931-2011)18
33
Figura 2.2: Estensione della SAU (in migliaia di ettari) in Italia (1931-2011)19
Fra i dati relativi alle conseguenze dell’uso massiccio di fertilizzanti chimici, risulta
significativo menzionare che dal 1970 ad oggi si possa ritenere l’agricoltura responsabile
di quasi il 100% delle emissioni atmosferiche di ammoniaca.20 Il parere generale è che la
gestione chimica dell’agricoltura ha negato al terreno in primis l’apporto delle sostanze
organiche, sia come semplice pratica del sovescio, oramai in disuso, sia come letamazione
- se si considera la riduzione degli allevamenti zootecnici21 . In secondo luogo, rendendo
il terreno un substrato inerte la cui funzione è ridotta a contenitore di concimazioni
chimiche da cui le piante prelevano elementi nutritivi, l’agricoltura è divenuta dipendente
dal sistema stesso. Per non parlare dell’immissione nei suoli e nei mari (considerando
il tutto, dagli azotati ai coadiuvanti) ai fini agricoli di 53.056.944 quintali di sostanze
chimiche, alle quali vanno aggiunte le deiezioni dei grandi allevamenti (che contengono
sedimenti di estrogeni, anabolizzanti e antibiotici), nonché le scorie secche dei depuratori,
non propriamente quantificabili.22
pdf?title=Distribuzione+di+fertilizzanti+e+fitosanitari+-+20\%2Fgen\%2F2015+-+Testo+integrale.
pdf
19
Fonte: elaborazione grafica da dati Istat. I dati relativi alla SAU sono stati stimati a partire da: http:
//timeseries.istat.it/fileadmin/allegati/Agricoltura/tavole_inglese/Table_13.5.xls considerando solo gli
ettari relativi al terreno arabile, le culture permanenti e i pascoli. I dati mancanti relativi al 1937-
1944,1948,1992,1994,2001,2002,2004,2006,2008 sono stati approssimati facendo la media tra la precedente
e la successiva misurazione disponibile.
20
http://seriestoriche.istat.it/fileadmin/documenti/Tavola_1.22.2.xls.
21
V. Benvenuti. Agricoltura Biologica e Biodinamica per lo Sviluppo Sostenibile. Roma: Armando
editore, 2011, p. 37.
22
Anselmi, Agricoltura e mondo contadino, p. 434.
34
Nonostante ciò, nell’ultima decade si inizia a rilevare una generale diminuzione della
richiesta di concimi chimici, contemporaneamente a un aumento dell’utilizzo di ammen-
danti. In particolare, riguardo la distribuzione di fertilizzanti sul territorio italiano, fra
il 2009 e il 2011 si rileva una controdenza fra i chimici semplici e gli ammendanti, per
attestarsi nel 2013 sulla stessa cifra (circa 13 milioni di quintali ciascuno).23
23
http://www.istat.it/en/files/2015/01/Fitosanitari-e-fertilizzanti.pdf.
35
Capitolo 3
36
non prodursi le condizioni più adatte a una vera e propria aggressione alle campagne, che
per il 72% delle terre coltivabili in Italia (SAU) sono acclivate.2 In alcuni casi regionali
esse superano l’80% (Campania) o addirittura il 90% (nelle Marche).
Si sta facendo riferimento all’uso di tecniche inadatte per l’acclivio - poiché la maggior
parte dei macchinari erano pensati per la pianura e l’esportazione3 - e che col tempo hanno
mostrato i loro effetti negativi sul suolo. Una delle tecniche più note è quella del procedere
alla «piallatura» dei colli, realizzando coltivazioni a rittochino: con le conoscenze e i mac-
chinari che si avevano e in gran parte tutt’ora si hanno a disposizione (ma come si vedrà
nel seguito le tecniche alternative ci sono), il giropoggio in Italia era e ancora risulta (per
molti) difficile a praticarsi, principalmente perché pericoloso per gli operatori alla guida
delle macchine.4 In generale, spiega l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale (ISPRA), che la meccanizzazione delle lavorazioni del suolo, che a partire
dagli anni ’50 ha visto l’impiego di una crescente potenza delle trattrici, ha determinato
il raggiungimento di profondità di aratura considerevoli e l’esecuzione di livellamenti e
di sbancamenti per la realizzazione di impianti specializzati a rittochino, esercitando una
notevole pressione sul suolo e contribuendo alla genesi dei fenomeni di dissesto e degrado
(es. frane superficiali, erosione, compattazione, perdita di sostanza organica, ecc.).5 Altra
conseguenza dell’inadeguato uso di macchine agricole, ma ancora gravemente sottovalu-
tata nell’agricoltura italiana, è la cosiddetta suola dell’aratura, ovverosia la formazione,
all’interno del profilo del suolo, dello strato compatto a bassa permeabilità che si genera
al limite inferiore della lavorazione nei terreni interessati da continue lavorazioni conven-
2
SAU totale 12744196ha, di cui 3107848ha (25%) in montagna; 5749352ha (45%) in collina; 3886995ha
(30%) in pianura. Fonte: www.dati.istat.it, periodo di riferimento 2007.
3
Per un approfondimento al riguardo si veda il caso di studio svolto in Cilento, oggetto della Parte
Terza di questo lavoro.
4
Anselmi, Chi ha letame non avrà mai fame: studi di storia dell’agricoltura, 1975-1999, p. 623.
5
ISPRA. Linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso
misure e interventi in campo agricolo e forestale. Roma: ISPRA, 2013, p. 1 e ISPRA. Consumo di suolo,
dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Roma: Ed. ISPRA, 2016, p. 98 in cui vengono riassunte,
con precisione, le minacce alla corretta funzionalità dei suoli: l’erosione, ovvero la rimozione di parte
del suolo ad opera degli agenti esogeni (vento, acqua), spesso indotta o amplificata da fattori antropici;
la diminuzione di materia organica, legata a pratiche agricole non sostenibili, deforestazioni, erosione
della parte superficiale del suolo in cui la materia organica è concentrata; la contaminazione locale (siti
contaminati), causata da fonti inquinanti puntuali e la contaminazione diffusa dovuta a molteplici punti
di emissione; l’impermeabilizzazione (sealing), ovvero la copertura permanente di parte del terreno e del
relativo suolo con materiale artificiale non permeabile; la compattazione, causata da eccessive pressioni
meccaniche, conseguenti all’utilizzo di macchinari pesanti o al sovrapascolamento; la salinizzazione, ovvero
l’accumulo naturale (salinizzazione primaria) o antropicamente indotto (salinizzazione secondaria) nel
suolo di sali solubili; le frane e le alluvioni; la perdita della biodiversità edafica, indotta dalle altre
minacce, che determina lo scadimento di tutte le proprietà del suolo; la desertificazione, intesa come
ultima fase del degrado del suolo.
37
zionali. Questo effetto potrebbe essere evitato con l’adozione di macchine agricole meno
pesanti e potenti, magari munite di cingolati anziché ruote, ed evitando o limitando la
lavorazione su suoli bagnati. Già l’adozione di queste tecniche alternative, sarebbe capace
di ridurre il fenomeno della suola d’aratura.6
A queste pratiche si aggiunge quella di lasciare il terreno non coperto. Quest’ultima,
come oramai ben si sa, inibisce la capacità del terreno di assorbire acqua, favorendo invece
l’erosione idrica del suolo - cioè l’asportazione della sua parte superficiale, maggiormente
ricca in sostanza organica, per mezzo dell’azione battente della pioggia e delle acque
di ruscellamento superficiali. Per nulla rassicurante l’allarme ISPRA che nel 2013, a
seguito di elaborazioni modellistiche, denuncia che circa il 30% dei suoli italiani presenta
una perdita di suolo superiore a 10 tonnellate ad ettaro l’anno (t/ha/anno), valore ai
limiti o maggiore della soglia di tollerabilità.7 Questo perché un solo grammo di suolo
in buone condizioni può contenere centinaia di milioni di batteri appartenenti ad un
numero enorme di specie diverse. Se si tiene conto del fatto che la maggiore attività degli
organismi si riscontra nei primi 10-20 cm di profondità, le pratiche agricole intensive (come
la lavorazione profonda e frequente) hanno un impatto negativo su tutti gli organismi del
suolo, creando un habitat sfavorevole. Non va per ultimo dimenticato che la diversità del
suolo è la fonte principale di antagonisti naturali di organismi dannosi e malattie quindi
una sua perdita porta alla scomparsa di un arma efficace a supporto dei sistemi produttivi
agricoli.8
Ma se tutte queste conseguenze risultano evidenti a una prima osservazione del suolo,
meno immediata è la perdita della percentuale di sostanza organica. La Sostanza Or-
ganica del suolo (SO, o SOM, Soil Organic Matter) è la componente organica del suolo,
costituita da residui vegetali e animali a vari stadi di decomposizione, cellule e tessuti
di organismi del suolo, e sostanze sintetizzate da organismi del suolo (con l’esclusione
della sola biomassa vegetale vivente). La SO viene generalmente espressa come carbonio
(C=SO/1,724), il cui contenuto nel suolo dipende dal bilancio tra gli apporti (sostanza
6
ISPRA. Il suolo, la radice della vita. Roma: ISPRA, 2008, p. 47. In Italia il fenomeno della suola
d’aratura è fortemente sottovalutato anche se questo strato compatto è largamente diffuso nelle pianure
alluvionali coltivate con monocolture ed è responsabile delle frequenti sommersioni dei terreni coltivati,
dovute all’annullamento del drenaggio, in occasione di piogge intense e concentrate in piccoli intervalli di
tempo.
7
ISPRA, Linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso misure
e interventi in campo agricolo e forestale, p. 4.
8
ISPRA, Il suolo, la radice della vita, p. 50.
38
organica esogena e residui animali e vegetali) e le perdite dovute a decomposizione at-
traverso la respirazione e l’ossidazione della sostanza organica e a fenomeni di erosione
e di lisciviazione. Essendo in grado di influenzare positivamente le proprietà fisiche, chi-
miche e biologiche del terreno), essa esercita numerosi effetti positivi sulla struttura del
suolo e le sue proprietà chimiche, così come sulla capacità del terreno di fornire servi-
zi ecosistemici normativi. A partire dal dato che nei terreni naturali la concentrazione
di sostanza organica rinvenibile nei suoli si attesta spesso tra il 5 ed il 10%; per defi-
nire la fertilità e salubrità dei suoli agricoli lo schema interpretativo ARPAV sintetizza
la classificazione dei suoli in base al contenuto di sostanza organica nel seguente modo:
molto povero (<0,8%); scarso (0,8-1,2%); medio (1,2-2,0%); buono (2,0-4,0%); ricco (4,0-
8,0%); molto ricco (>8,0%).9 Attualmente, i dati disponibili sulla percentuale di SO nei
terreni agricoli italiani mostrano un quadro allarmante ed in linea con le stime europee.
La Fig.3.1, fornita dall’ISPRA,10 mo-
stra che circa l’80% dei suoli italiani
ha un tenore di CO minore del 2%,
di cui una grossa percentuale ha va-
lori di CO minore dell’1%. Tutto ciò
si traduce, tenendo conto dei valori
ARPAV, in una grande percentuale
di suoli italiani molto poveri o scarsi.
Alla luce di una così critica si-
tuazione le proposte d’intervento sol-
lecitate dall’Istituto sono le seguen-
ti: aratura superficiale (25-30cm); so-
stituzione dell’aratura con discissura
(non prevede l’inversione degli strati
del terreno, ma effettua solo tagli ver- Figura 3.1: Sostanza organica in Italia
ticali); mantenimento della copertura
9
ARPAV. L’interpretazione delle analisi del terreno. Strumento per la sostenibilità ambientale.
Legnaro (PD): Veneto Agricoltura, 1990, p. 31.
10
ISPRA, Il suolo, la radice della vita, p. 49.La stima è basata sulle analisi effettuate per la realizzazione
della Carta Ecopedologica d’Italia integrate con i dati dell’European Soil Database. Una elaborazione di
maggior dettaglio, derivante dall’armonizzazione delle informazioni disponibili presso gli enti che svolgono
la funzione di Servizio Pedologico Regionale, è in via di realizzazione nell’ambito del Progetto SIAS
(Sviluppo di Indicatori Ambientali sul Suolo), coordinato da APAT.
39
del suolo spontanea nei mesi invernali; affinamento del suolo (frangitura zolle) immedia-
tamente prima della semina, sovescio (interramento di piante o di parti di piante allo
stato fresco, praticato allo scopo di arricchire il terreno delle sostanze concimanti in esse
contenute), rotazione ed avvicendamenti; inerbimento interfilare delle colture permanenti
(vigneti, oliveti, frutteti).11 Non meno importante la riduzione di fertilizzanti, soprattutto
quelli azotati. Questi ultimi infatti, essendo molto solubili nelle acque e difficilmente trat-
tenuti dal suolo, vengono facilmente dilavati dai terreni ad opera della pioggia e dell’acqua
di irrigazione, determinando fenomeni di inquinamento delle falde idriche sotterranee e
di eutrofizzazione degli ecosistemi acquatici. In particolare, l’eutrofizzazione consiste nel-
l’arricchimento in nutrienti delle acque di fiumi, laghi e mari. Il fenomeno comporta una
crescita eccessiva di alghe, piante acquatiche ed altri organismi viventi, il cui sviluppo
incontrollato porta a situazioni di carenza di ossigeno, alla morte della fauna ittica ed
al conseguente deterioramento delle acque, che ne compromette gli innumerevoli usi, da
quello potabile a quello ricreativo.12
Alla base di tutto ciò c’è l’idea di indicare delle tecniche che, in sintesi, si pongano
come obiettivo quello di ricostituire gli ecosistemi in cui l’uomo l’alleva piante ed animali.
Il problema che dunque ora si pone è quello di ripensare il tipo di rapporto stabilitosi in
Italia tra uomo e suoli agricoli.
40
benefici privati e costi pubblici; spazio rurale e urbano. Si tratta di ripensare lo spazio
agreste nella sua funzione di produttore di alimenti14 - ma anche di luogo dove vivere - e
di ricreare, in una moderna veste, quel rapporto a ciclo chiuso fra spazio agreste e urbano,
dalla cui rottura sono iniziati molti dei problemi agro-ambientali che sono stati affrontati
nelle pagine precedenti.15
Prima però di proporre un quadro sullo stato dell’arte dell’azione dei policy maker, è
necessario definire, in una sintetica ricostruzione storica, lo stato degli agricoltori italiani
e della loro attività agricola, soprattutto alla luce delle considerazioni - nella Parte Prima
di questo lavoro - sull’importanza dell’agricoltura familiare per le sfide del nostro tempo.
Attraverso la ricostruzione proposta da Spinelli e Fanfani,16 sappiamo che a partire
dalla fine della seconda guerra mondiale le forme di conduzione più antiche e considerate
più arretrate si sgretolarono definitivamente, cominciandoa dai residui del latifondo nel
Mezzogiorno seguiti, a partire dai primi anni ’60, dalla scomparsa della mezzadria, che
caratterizzava vaste aree dell’Italia centrale e Nord orientale. A ciò seguì la ripresa del-
l’emigrazione e il rapido ed incontrollato esodo agricolo, accompagnato dal forte sviluppo
della meccanizzazione e dell’uso di fertilizzanti di sintesi e pesticidi che caratterizzarono
il periodo del così detto miracolo economico (1950-1973). Questi sono anche gli anni della
riduzione della SAU.17 Seguì l’affermazione delle aziende a conduzione familiare, per gli
effetti diretti e indiretti della riforma agraria e l’applicazione della legge per lo sviluppo
della piccola proprietà contadina, a cui si accompagnò un incremento anche delle aziende
con salariati. Fu invece dagli anni ’80 che si resero evidenti - fin dal censimento del 1982
- il crescente e diffuso ricorso al contoterzismo; l’affermarsi della specializzazione anche
fra le aziende agricole; e la concentrazione di un numero sempre minore di aziende e in
poche aree del paese (prevalentemente in pianura). I segni evidenti del dualismo fra Nord
e Sud arrivò invece solo nel 1990, e ad esso si aggiunse quello fra zone di pianura e quelle
di collina e montagna. Si arriva infine alle trasformazioni più recenti - avviate negli anni
14
Quella che Terry Marsden chiama «nuova economia dello spazio rurale». Si veda il contributo di
Marsden in F. Valorosi, cur. Lo sviluppo del sistema agricolo nell’economia post-industriale. Milano:
Franco Angeli, 2002, pp. 196-211; ma anche T. Marsden. «Rural geography trend report: the social and
political bases of rural restructuring». In: Progress in Human Geography 20.2 (Giugno 1996), pp. 246–
258.
15
Questo argomento meriterebbe un lungo approfondimento che si rimanda a lavori futuri. Per un
breve excursus storico sul rapporto città-campagna, si indica: P. Guidicini. Il rapporto città-campagna.
Milano: Jaca Book, 1998.
16
L. Spinelli e R. Fanfani. «L’evoluzione delle aziende agricole italiane attraverso cinquant’anni di
censimenti (1961-2010)». In: Agriregionieuropa 8.31 (2012), pp. 6–10.
17
Come si è visto nell’elaborazione grafica a p. 34 di questo lavoro.
41
novanta - ma che accelerano nel primo decennio del nuovo millennio, in cui, al processo
di ammodernamento delle aziende e alla maggiore differenziazione, si aggiunge la concen-
trazione della Sau nelle aziende di dimensioni maggiori e l’affermazione dell’affitto. In
numeri, sappiamo che la prima grande riduzione del numero delle aziende (-16%) è stata
registrata tra i censimenti del 1961 e del 1970, quando ancora l’esodo agricolo era in pieno
svolgimento, successivamente questa riduzione si attenua e poi quasi si arresta negli anni
’80. Negli anni novanta invece il numero delle aziende agricole si è fortemente ridimen-
sionato (-21%) per poi crollare nel nuovo millennio (-32%). Si tratta di una riduzione
che non ha precedenti in tutti i decenni passati e che ha visto il dimezzarsi delle micro
aziende, in concomitanza con un vero e proprio processo di formazione di medie e grandi
imprese.
Ciò nonostante, nettamente in controtendenza al paradigma agricolo convenzionale-
chimico tendente a grandezze medio-grandi, è possibile rilevare che la consapevolezza
generale di agricoltori (e consumatori) stia ispirando azioni nuove. La maggiore sensibilità
verso la finitezza delle risorse naturali (e quindi dell’agricoltura come bene comune) e una
nuova attrattività della vita e del lavoro in campagna (il ritorno alla terra, meta sempre più
ambita da molti giovani), stanno iniziando a plasmare un nuovo assetto dell’agricoltura
italiana, e non solo.18 Si tratta di realtà che prendono forma ed espressione più che
eterogena: dall’agricoltura sociale,19 alle plurime forme di filiera corta, all’agricoltura
urbana e periurbana (includendo anche le forme di autoproduzione degli orti urbani).
Sono forme dell’agricoltura che sono germogliate sul solco già scavato del pensiero agricolo
biologico e dei movimenti per la sovranità alimentare,20 . Spuntati dall’esigenza hic et nunc
di fornire al consumatore un’alimentazione sana per l’uomo e l’ambiente, ma soprattutto
di fornire al produttore un lavoro sano21 e che potesse permettergli di avere un guadagno
18
«Il ritorno alla terra, meta sempre più ambita da molti giovani negli Stati Uniti, ma anche in Italia
ed in Europa, costituisce una delle novità di un mondo rurale multipolare che continua a cambiare». Cit.
da Fabiani, «L’agricoltura che cambia. Dalla grande crisi alla globalizzazione», p. 28.
19
Per un approfondimento si consiglia il lavoro di F. Di Iacovo, cur. Agricoltura sociale: quando le
campagne coltivano valori. Milano: Franco Angeli, 2008.
20
Degno di menzione per la longevità e globalità del movimento, si segnala il movimento Via Campesina,
sul quale si rinviano gli approfondimenti in A.A. Desmarais. La via Campesina. La globalizzazione e il
potere dei contadini. Milano: Jaca Book, 2009.
21
Solo a breve menzione, ma la bibliografia sarebbe più ampia, si riporta un lavoro prodotto da Green-
peace che illustra sinteticamente, ma con completezza, quali prodotti chimici vengono utilizzati in agri-
coltura e le rispettive conseguenze per consumatori e produttori: Greenpeace, cur. Tossico come un
pesticida. Gli effetti sulla salute delle sostanze chimiche usate in agricoltura. -: Pubblicazioni ufficiali
Greenpeace, Maggio 2015.
42
pari e pressoché certo, come quello dei lavoratori non-agricoli,22 iniziano ad emergere sulla
scena nazionale nella loro eterogenità e frammentata località.
Primi segni di un’interesse a queste realtà portatrici di agroecologia, valori storico-
sociali e vie per l’agro-economia, arrivano già dall’Unione Europea e dall’Italia stessa. Si
pensi ai Gruppi di Azione Locale (GAL), da tempo individuati dall’UE come strumenti
e strategie per favorire il recupero delle culture peculiari dei territori rurali.23 Certo,
per accelerare il processo di ristrutturazione del settore agricolo, si potrebbe o dovrebbe
guardare anche al passato e ripensare all’efficacia delle cattedre ambulanti in agricoltura.24
Queste sono solo alcune delle best practices che forniscono ai policy maker buone basi
da cui partire per sviluppare creativamente, in collaborazione con il mondo accademico e le
realtà locali già operanti, quel nuovo assetto dell’agricoltura (e con essa l’agro-alimentare
e lo spazio urbano) che può rispondere alle sfide che l’oggi e il domani pongono.
22
Si fa riferimento al fatto che le forme di filiera corta, Gruppi di Acquisto Solidali, et similia, permet-
tono al produttore e al consumatore un rapporto diretto e certo, oltre che conveniente per entrambe le
parti. Sul problema dei prezzi agricoli, della loro volatilità nel paradigma agro-industriale, si rimanda a
FAO e OECD. Agricultural Outlook 2016-2025. Paris: OECD Publishing, 2016.
23
A. Tola. Strategie, metodi e strumenti per lo sviluppo dei territori rurali. Il modello del Gal del-
l’Ogliastra (Sardegna) per la valorizzazione delle risorse agro-alimentari e ambientali. Milano: Franco
Angeli, 2010, pp. 13-14.
24
M. Zucchini. Le cattedre ambulanti di agricoltura. Roma: Giovanni Volpe Editore, 1970.
43
Parte Terza. L’agroecologia come
proposta teorica e pratica
44
Capitolo 4
45
per autoconsumo), si è preferito rimandare a lavori futuri, magari in collaborazione con
le organizzazioni sopra menzionate, la stima delle aziende agricole che svolgono la loro
attività secondo pratiche agroecologiche.
Riguardo la loro comparsa in Italia, si può affermare che l’agricoltura biodinamica, si
può ufficialmente considerare attiva dal 1985 quando, a fianco dell’associazione, nacque
la Demeter Associazione Italia, che da quell’anno ha iniziato ad assicurare il marchio
biodinamico in Italia. Segue il metodo eco-compatibile che inizia a raggiungere i suoi
risultati a metà degli anni ’90. Per l’agricoltura organica e rigenerativa, si può fissare la
data al 1998, quando DEAFAL iniziò la sua attività in Italia. Mentre per la permacultura,
bisognerà aspettare che i primi diplomati italiani presso l’Accademia di Permacultura
Britannica fondassero la sede italiana (l’odierna Accademica di Permacultura Italiana)
nel 2006.
46
4.2.1 L’Agricoltura eco-compatibile
L’agricoltura eco-compatibile, o metodo Manenti, nasce dal lavoro congiunto di due filoso-
fi, Cristina Sala e Gigi Manenti, che dalla fine degli anni ’70, in controtendenza all’attività
agricola prevalente - convenzionale e chimica - di quegli anni, decidono di iniziare un’e-
sperienza agricola che cercasse di rispondere all’urgenza di un’alternativa all’agricoltura
oramai affermatasi con la Rivoluzione Verde. Sono gli anni in cui si sviluppano i pri-
mi dibattiti attorno ai temi dell’alimentazione e dell’ambiente, e nascono i primi gruppi
di consumatori di prodotti "naturali" che cominciano a strutturarsi in vere e proprie
cooperative (di consumatori).
Nella loro recente pubblicazione Alle radici dell’agricoltura del 2012 riportano il lungo
percorso dal biologico fino alla formulazione del loro metodo.1 . Si tratta infatti di un
metodo che oltre a liberare l’agricoltura dalla dipendenza da input esterni chimici (ferti-
lizzanti e pesticidi), non sostituisce questi ultimi con input non sintetici come avviene nel
biologico; bensì riesce a dimostrare di poter ottenere risultati produttivi migliori senza
apportare nel terreno alcun tipo di fertilizzante e pesticida: «per noi, dunque la vera
fertilizzazione consiste nel mettere in atto tutte le pratiche opportune per "allevare na-
turalmente" i microrganismi - presenti spontaneamente nel terreno - che presiedono al
nutrimento dei vegetali».2 Tali pratiche opportune si possono riassumere nelle seguenti
tecniche: nessuna concimazione; nessun interramento di sostanza organica fresca o dissec-
cata; rispetto della stratificazione del terreno nelle lavorazioni; arieggiamento profondo del
terreno; minima esposizione possibile della superficie della terra agli agenti atmosferici,
cioè copertura continua da parte della vegetazione coltivata o spontanea, o almeno con
pacciamatura di residui vegetali; rispetto della complementarità naturale delle piante,3
quindi nessun diserbo, ma solo controllo delle erbe spontanee; mantenimento della quiete
durante la vegetazione degli ortaggi. Il tutto, al fine di garantire un’alta resa produttiva
sul campo, costante nel tempo; migliorare la qualità intrinseca del cibo che si ottiene, e
realizzare un’effettiva salvaguardia a difesa dei suoli agricoli. Si basa sul principio di non
1
G. Manenti e C. Sala. Alle radici dell’agricoltura. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina, 2012.
2
Ivi, p. 80.
3
Manenti e Sala hanno osservato che gli ortaggi crescono più copiosamente e con maggior vigore, ma
soprattutto è minore l’impatto di fitopatologie, laddove si riscontra la crescita delle erbe cosiddette infe-
stanti, che loro preferiscono chiamare erbe complementari. Questo accade perché la simultanea presenza
di numerose specie vegetali implica la presenza di ancor più numerose specie di funghi e batteri, arric-
chendo la biodiversità microrganismica del suolo e dunque impedendo la forte concentrazione di specie
patogene. Cit. da Ivi, p.89.
47
contrastare e ove possibile favorire i processi naturali spontanei di nutrimento e crescita
dei vegetali.4
Molti sono i contributi teorici e pratici fondamentali nel percorso che ha portato la
coppia a formulare questo nuovo paradigma agricolo. A partire dai nomi dei primi stu-
diosi che all’epoca iniziavano a teorizzare e sperimentare l’agricoltura biologica, i due più
determinanti furono Ivo Totti e Giovanni Putzolu. Del primo, la cui profonda impor-
tanza viene ricordata nell’opera a più mani L’azienda agricola biologica: l’esperienza di
Ivo Totti,5 Manenti e Sala scrivono di una visita di Totti all’azienda nei primi anni di
sperimentazione e che diede un contributo essenziale per gli sviluppi futuri. In azienda
si praticava l’interramento con l’aratro di grandi quantità di letame, più il sovescio di
grandi quantità di senape o altre piante a rapido sviluppo, al fine di aumentare la sostan-
za organica nei terreni dell’azienda che, benché rimasti incolti per molti anni, avevano
un basso livello di sostanza organica e c’era l’assoluta esigenza di aumentarla. Secondo
Totti invece, tali pratiche non avrebbero portato a un duraturo aumento della sostanza
organica stabile nel terreno, anzi nel giro di due o tre anni la situazione sarebbe stata
peggiore che in partenza.6 L’influenza di Putzolu viene invece, menzionano Manenti e
Sala, dai risultati di sue ricerche di quegli anni, condotte nell’allora Unione Sovietica, e
che mostravano quanto la fertilità del suolo dipendesse da quantità e qualità della carica
batterica che in esso può davvero svilupparsi. Fanno riferimento in particolare alle ricer-
che effettuate in Russia, iniziate già nel 1912, coordinate dall’Istituto di Chimica Agraria
e di Microbiologia a San Pietroburgo. Si trattava di lavori descrittivi che prendevano in
considerazione l’evoluzione dei ceppi batterici nel susseguirsi delle stagioni, nei differenti
luoghi sovietici - da nord a sud, in pianure fertili e steppe, fino al deserto di Gobi, o in
zone montuose degli Urali o del Caucaso. Dall’analisi di questi studi Putzolu presenta-
va dati che indicavano che in un terreno fertile vive normalmente un’enorme quantità di
microrganismi (una tonnellata o più su un ettaro di terreno), comprendente un elevato
numero di specie che nascono, vivono e muoiono in un continuo avvicendamento, in re-
lazione al mutare della temperatura, dell’umidità, delle caratteristiche del suolo. Veniva
inoltre evidenziata l’importanza dei batteri azoto-fissatori liberi.7 Da ultima, ma non
meno importante, è l’influenza, sempre in quegli anni, di Masanobu Fukuoka. Noto per
4
Ivi, p. 77.
5
M. Tringale, cur. L’azienda agricola biologica: l’esperienza di Ivo Totti. Milano: Jaca Book, 1991.
6
Manenti e Sala, Alle radici dell’agricoltura, pp. 66-67.
7
Ivi, pp. 67-68.
48
il suo celebre saggio del 1975, La rivoluzione del filo di paglia (titolo originale: Shizen
noho wara ippon no kakumei ), il microbiologo e filosofo giapponese proponeva all’epoca
- dopo vent’anni di prove ed errori - un’agricoltura differente sia da quella tradizionale
giapponese, che da quella convenzionale chimica.8 . Escludendo quest’ultima - per gli ovvi
effetti negativi sul suolo - e partendo dalle conoscenze agricole tradizionali, giunse via
negationis a formulare quella che denominerà agricoltura naturale, detta anche del non
fare. Fukuoka era arrivato alla conclusione che non ci fosse bisogno di arare, fertilizzare,
compostare, o usare pesticidi. «A ben guardare sono poche le pratiche agricole veramente
necessarie. La ragione per cui le tecniche avanzate sembrano necessarie è che l’equilibrio
naturale è stato precedentemente così sconvolto a causa di quelle stesse tecniche che la
terra è diventata tale da non poter fare a meno di loro».9 La credibilità e conseguente
notorietà di Fukuoka si deve all’aver dimostrato che il suo paradigma agricolo produce
pressappoco sia come il sistema chimico che come quello tradizionale (nella medesima zo-
na), ottenendo inoltre benèfici effetti sul suolo (fertilità, tessitura, capacità di imbibizione)
impiegando la minima manodopera possibile.10
A partire da questi tre principali contributi crebbe l’interesse di Manenti e Sala di ca-
pire meglio come crescono le piante negli ambienti naturali, integrando tali contributi con
l’osservazione della superficie aziendale coltivata e gli ambienti non coltivati circostanti
l’azienda. A queste osservazioni si aggiunse la svolta del 1995. Vi erano problemi nella
reperibilità del letame (in termini di quantità, qualità e distanza) e deludenti erano stati
i risultati ottenuti con i due concimi organici confezionati utilizzati come alternative: lo
stallatico pellettato non aveva avuto alcun effetto (né positivo né negativo), mentre la
pollina aveva avuto l’effetto negativo di bloccare totalmente la fertilità del terreno per
alcuni mesi. L’ipotesi era che questa concimazione avesse distrutto parti significative dei
microrganismi del terreno. Al contempo vi era il ricordo e l’osservazione dei boschi cedui
di zona.11 Così nel 1994 decisero di utilizzare solo il letame avanzato dall’anno prece-
8
Fukuoka lavorò come capo ricercatore nel Settore del controllo delle malattie e degli insetti durante
la seconda guerra mondiale. Durante quegli 8 anni, meditò sui rapporti fra l’agricoltura naturale e
quella scientifica - quest’ultima considerata superiore dagli addetti del settore. Cit. da M. Fukuoka. La
rivoluzione del filo di paglia. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina, 2008, p. 42.
9
Ivi, pp. 43-44.
10
Per approfondimenti sull’agricoltura naturale di Masanobu Fukuoka si segnalano: M. Fukuoka. The
Natural Way of Farming. The Theory and Practice of Green Philosophy. Tokio e New York: Japan
Publications, Inc., 1985; M. Fukuoka e L. Korn. Sowing Seeds in the Desert: Natural Farming, Global
Restoration, and Ultimate Food Security. United States of America: Chelsea Green Publishing, 2012.
11
Fino agli anni ’60, ogni 12-15 anni, il bosco veniva tagliato, la legna - anche 1000 quintali per ettaro
- veniva portata via dagli alberi, senza che nessuno li concimasse, ricrescevano belli e floridi come prima,
49
dente, solo nei pochi campi che in autunno erano sembrati leggermente più carenti di
fertilità. E nel ’95 le osservazioni furono sorprendenti: i risultati migliori si ebbero negli
appezzamenti che non erano stati letamati l’anno prima. Dove non si era concimato, ma
solo trinciato i residui di lavorazione, si avevano i risultati migliori. Quell’anno smisero
di concimare. Poi verso la fine degli anni ’90 vennero a conoscenza degli studi sulla sim-
biosi fra i funghi e le radici delle piante, cioè i temi della micorrizzazione e dei batteri
che attorno alle radici vengono mobilitati. Arrivarono dunque le conferme della Prof.ssa
Paola Bonfante del CNR - Istituto per la Protezione delle Piante (Torino) sulla presenza
di una buona micorrizzazione in alcune piante dell’azienda prese in esame.12 Seguirà il
lavoro della Dott.ssa Silvia Chersich che mostra come, in quindici anni, i terreni aziendali
non abbiano mai avuto carenze d’azoto, benché non si utilizzino concimi azotati. Alla
base di tutto ciò c’è l’idea e la dimostrazione che la fertilità dei suoli è proprio originata
dal processo che avviene nel sistema pianta-radice fortemente micorrizzata e biomassa
costituita dai microrganismi del terreno, garantendo un importante trasferimento di car-
bonio - presente nell’aria sotto forma di CO2 - al suolo, dove resta in forma di metaboliti
stabili. In altre parole, l’asportare dal terreno il prodotto orticolo non è un’operazione che
impoverisce il terreno poiché la pianta stessa, durante il periodo di crescita nel terreno,
arricchisce il terreno attraverso le radici che rilasciano composti del carbonio al suolo, di
cui usufruiscono i microrganismi e in particolare i funghi micorrizici. Altri contributi ac-
cademici interessanti sono emersi dalla ricerca svolta, sempre in azienda, dal Dott. Fabio
Porta sullo studio della mesofauna come indicatore della "biologicità" di un terreno e altri
lavori del CNR di Torino - tramite un progetto finanziato dalla Regione Piemonte - sulla
micorrizzazione degli ortaggi dell’azienda.13
almeno da duecento anni o più. Inoltre era abitudine rastrellare via le foglie cadute per farne la lettiera
per gli animali. Tutto quello che il bosco produceva veniva asportato, senza essere reintegrato. Cit. da
Manenti e Sala, Alle radici dell’agricoltura, p. 73.
12
Per approfondimenti sui contributi accademici di Bonfante sull’argomento, si veda, ad esempio,
P. Bonfante e A. Genre. «Mechanisms underlying beneficial plant–fungus interactions in mycorrhizal
symbiosis». In: Nature Communications 1.48 (2010), pp. 1–11.
13
In Manenti e Sala, Alle radici dell’agricoltura, nell’Appendice, sono riportati in dettaglio i lavori
accademici sopra menzionati.
50
4.2.1.1 L’Azienda agricola Manenti
51
subentreranno ai genitori nella gestione dell’azienda.
52
Aspetti agronomici Nei primi anni di attività, seguono le idee dominanti riguardanti
il biologico e in parte il biodinamico: ripristino della fertilità dei terreni con concimazione
attraverso l’impiego di sostanza di origine naturale e con tecniche ritenute adeguate per
la salvaguardia della corretta vita degli organismi nel suolo. Le tecniche consistevano nel
sovescio di materiale vegetale e nell’interramento di letame, compostato a parte, insieme a
residui vegetali compostati in cumuli, interrando il tutto con aratri. Nel corso della vege-
tazione degli ortaggi si provvedeva a frequenti sarchiature meccaniche, con attrezzi diversi.
Si prevedevano rotazioni delle colture che vedevano l’avvicendamento di leguminose con
colture grandi utilizzatrici di azoto, seguite da colture che necessitavano poco azoto, per
riprendere con leguminose, etc... Tuttavia i risultati non erano soddisfacenti: sia in ter-
mini di quantità e qualità dei prodotti biologici sia riguardo il compostaggio del letame.
Quest’ultimo richiedeva troppo tempo ed era troppo oneroso poiché richiedeva l’acquisto
di sistemi di controllo (di temperatura, umidità, arieggiamento dei cumuli) e macchinari
specifici. Le considerazioni di Totti, cui si accennava precedentemente, spiegavano come
l’interramento di grandi quantitativi di sostanza organica - così come l’introduzione di
fertilizzanti di sintesi - interrompono i processi di fertilizzazione spontanea e la pianta
resta isolata dal flusso di elementi nutritivi resi disponibili dai funghi micorrizici e da altri
microrganismi. Una volta squilibrato il sistema, diventa inevitabile l’apporto di concimi
forniti dall’uomo. Dal 1984 al 1993 non si sono più fatti i cumuli per la concimazione, ma
i residui vegetali venivano direttamente trinciati sul terreno, ottenendo un sottile strato
sul suolo, e lasciati decomporre all’aria. Il letame veniva preferibilmente sparso in strato
sottile alla fine della coltivazione in modo da umificare direttamente sul terreno insieme ai
residui vegetali. In questo modo già si ebbero ottimi risultati in termini di qualità e quan-
tità dei prodotti; di diminuzione di interventi sul piano della difesa dalle fitopatologie per
via della maggiore salubrità delle piante e del suolo. Lo sviluppo definitivo vi fu dal 1994,
come già ampiamente scritto sopra. Attraverso l’agricoltura eco-compatibile, i processi
naturali vengono preservati ottenendo alte produzioni, grazie anche all’elevata quantità
di sostanza organica stabile nel terreno. Lo studio tradizionale delle concimazioni con
azoto, fosforo e potassio non prende in considerazione l’effetto negativo che l’introduzione
di questi elementi ha sull’interazione tra microrganismi e piante. È solo con lo studio della
micorrizazione che si è visto come questa venga penalizzata dall’introduzione di sostanze
esterne al sistema.
53
Riguardo le macchine, hanno sostituito il trattore a ruote con un trattore a cingoli, per
diminuire il più possibile l’effetto di compattamento del suolo. Inoltre sviluppa un’ottima
potenza senza richiedere un eccessivo numero di cavalli (solo 55 cv). Per le lavorazioni
leggere dispongono invece di un piccolo trattore a ruote (18 cv) in grado di portare tutti
gli attrezzi indispensabili (seminatrice, trapiantatrice, interfresa, sarchiatrice, ecc...). Poi
utilizzano un ripuntatore da usare al posto dell’aratro. Questo lavora a una profondità
di 50cm e per come è stato concepito (inclinazione e forma dei cinque denti) permette di
smuovere gli strati, consentendo alle radici di raggiungere più rapidamente strati profondi;
il secondo vantaggio è di permettere all’aria , quindi all’ossigeno, ma anche all’azoto, di
penetrare in profondità, favorendo in questo modo un maggior sviluppo di microrganismi
aerobi.
Per quanto riguarda l’irrigazione, usano un sistema con manichette goccia-goccia sia
in serra che in pieno campo.
54
so, raccoglierà tutti i prodotti allo stadio di massimo peso, appena prima che entrino in
fase di postmaturazione, in tempi molto brevi, e li venderà in grossi stock per contenere
i costi di trasporto e ottenere il massimo peso complessivo (poiché il giorno successivo
alla raccolta potrebbe, potenzialmente, già mettere a coltura nuovi ortaggi, effettuando
dunque più raccolte durante l’anno). In questo modo dato un certo prezzo di mercato,
tanto maggiore è la quantità, tanto più sarà il guadagno (assumendo che il contratto con
la GDO fornisca all’agricoltore un guadagno adeguato).19 Se invece l’azienda opta per un
sistema di vendita diretta al consumatore (o a piccoli dettaglianti finali), avrà esigenza
di poter fornire ogni settimana cassette di ortofrutta. Questo significa prolungare la rac-
colta il più possibile, ossia dividere la raccolta in più fasi (ossia, la raccolta scalare - non
necessaria per tutti i prodotti orticoli). In breve: il coltivatore che raccoglie, ad esempio,
tutti i cespi di lattuga attorno al sessantesimo giorno, nel momento del massimo peso,
raggiungerà il risultato della massima produttività, obiettivamente misurabile nel peso
stesso. Il secondo coltivatore comincerà a raccogliere cespi molto leggeri, poi giorno dopo
giorno, via via più pesanti, raccogliendo solo un numero limitato di cespi al peso massimo
e avrà inoltre prolungato i tempi di raccolta e ritardato la nuova messa a coltura (facendo
dunque meno cicli di coltivazione e raccolta durante l’anno). La differenza col primo col-
tivatore sarà che, facendo vendita diretta, non avrà intermediari fra sé e il consumatore,
con soddisfazione di entrambi in termini di prezzo e qualità (freschezza e conservazione
del prodotto, poiché raccolto a poco tempo di distanza dalla vendita).
19
Per un periodo hanno lavorato con i supermercati, uno su tutti Continente, che garantiva prezzi
adeguati e soddisfacenti. Ma il rapporto contrattuale finì quando la GDO fu inglobata da Carrefour che
non era interessata a contratti con piccoli produttori.
55
4.2.2 L’Agricoltura Organica e Rigenerativa
56
mulo, fertilizzanti da spruzzo fermentati, preparati per la difesa delle piante e composti
per la nutrizione animale. Obiettivo è quello di far sì che l’agricoltura del XXI secolo abbia
suoli vitali e ricchi dal punto di vista minerale e microbiologico, condizione necessaria per
ottenere colture sane, resistenti ed equilibrate. Al fine di raggiungere tale scopo, Deafal
vanta nella sua base associativa un gruppo di professionisti agronomi che si dedicano alla
promozione di tecniche agricole innovative e sostenibili collaborando all’organizzazione e
all’elaborazione dei programmi formativi per i corsi con esperti internazionali.
Fra gli esperti internazionali, i nomi cui è necessario menzionare sono Jairo Restrepo
Rivera, Eugenio Gras, Jesús Ignacio (Nacho) Simón e Luiz Carlos Pinheiro Machado. Di
Restrepo Rivera,21 è da menzionare una delle sue opere fondamentali, Agricultura Or-
gánica. Harina de Rocas y la Salud del Suelo al Alcance de todos. Oltre ad essere un
testo tecnico - sia teorico che pratico - e al contempo di semplice fruibilità sull’agricultura
orgánica, contiene anche riferimenti storici, non trascurabili ai fini della comprensione del
fenomeno in atto in agricoltura. Difatti, non si potrebbe forse comprendere fino in fondo
l’esigenza e l’urgenza di un paradigma agricolo come quello esposto da Restrepo Rivera -
come sintesi della tradizione contadina con i più recenti contributi provenienti dal mondo
accademico, in particolare dalla microbiologia - se si trascurassero quegli attori che hanno
ostacolato, e nel tempo screditato, questo paradigma agricolo. Nel testo del 2009 Restrepo
menzionava infatti quei massacri di civili perpetrati da diverse multinazionali bananiere,
in particolare in Colombia ed Ecuador,22 finanziando gruppi paramilitari di estrema de-
stra, massacri che solo di recente sono stati ufficialmente riconosciuti dai magistrati della
Fiscalía colombiana.23
21
Nato in Colombia e di nazionalità brasiliana, è agronomo presso l’Università Federale di Pelotas,
nello stato brasiliano di Rio Grande del Sud. Si è specializzato in agroecologia ed è consulente interna-
zionale per l’America Latina e i Caraibi. Negli ultimi anni ha scritto e pubblicato diversi libri sul tema
dell’agricoltura biologica. A livello internazionale, ha tenuto oltre 320 conferenze su temi di agricoltura
biologica, la tutela dell’ambiente, il riciclaggio e lo sviluppo sostenibile, compresa la partecipazione in
più di 37 università e istituti di ricerca in America Latina e nei Caraibi. Ha lavorato come consulente
tecnico per governi, ministeri e parlamenti. Con una esperienza di lavoro di oltre 25 anni in agricoltura
biologica e sviluppo rurale sostenibile, egli è un membro fondatore del COAS (Consiglio per l’Agricoltura
Sostenibile e Permacultura). Conobbe DEAFAL a Cuba nel 2007, e da subito iniziarono a lavorare con
le comunità rurali ed indigene.
22
J. Restrepo Rivera e S. Pinheiro. Agricultura Orgánica. Harina de Rocas y la Salud del Suelo al
Alcance de todos. Cali: Feriva S.A., 2009, pp. 17-18.
23
È del 2 febbraio 2017 il comunicato di Fiscalía che titola Financiación de empresas bananeras a
grupos paramilitares es delito de lesa humanidad (Fruibile al link: www.fiscalia.gov.co/colombia/noticias/
financiacion-de-empresas-bananeras-a-grupos-paramilitares-es-delito-de-lesa-humanidad/ - consultato il
05/02/2017). Le 125 pagine redatte dai magistrati della Fiscalía colombiana documentano le accuse
rivolte alle quasi 200 compagnie coinvolte nel commercio delle banane nella regione dell’Urabá, nel nord
del Paese sudamericano. Le potenze mondiali del mercato ortofrutticolo come Dole, Chiquita e Dal Monte
57
Più focalizzato alla diffusione di questa agricoltura, è il Manual práctico. El A, B,
C de la agricultura orgánica y harina de rocas del 2007 i cui capitoli sono dedicati alle
spiegazioni di come preparare fertilizzanti organici fermentati, biofertilizzanti preparati
e fermentati a base di letame e ’brodi’ minerali - anche a base di farina di roccia - per
controllare alcune carenze nutrizionali e malattie delle colture.24
Fra le altre tecniche promosse e inserite nell’AOR, è da menzionare il Keyline Desi-
gn e l’Aratro Yeomans di Percival Alfred Yeomans (1904-1984), l’Holistic Management
e le tecniche di agricoltura biointensiva di John Jeavons. La progettazione secondo il
metodo keyline è stata introdotta da P.A. Yeomans a partire dalla metà degli anni 50
del secolo scorso come una delle prime strutture di pianificazione agricola ad adottare un
approccio sistemico e olistico volto al raggiungimento di un’agricoltura permanente. Si
tratta in estrema sintesi di un metodo per determinare quali sono, a partire dalla mappa
topografica del luogo, le linee chiave (keyline) che permettono di modificare il naturale
deflusso dell’acqua sul territorio per ricondurlo a quello desiderato. Oltre ad essere una
tecnica che riesce a porsi come soluzione ai problemi di dilavamento ed erosione, essa
favorisce l’imbibizione del suolo, l’incremento di humus e permette di sfruttare le keyline
lungo le curve di livello per realizzare camminamenti, vie per i macchinari, canalizzazioni
e invasi.25 L’Aratro Yeomans, come parte del metodo Keyline è un prototipo unico nel
suo genere di ripuntatore/sub-soiler progettato per rompere la compattazione ed aerare
il terreno con il minimo impatto perturbativo sulla vita del suolo, non invertendo strati
di terreno esistenti, ottenendo buoni risultati sia nel controllo delle infestanti legnose che
nel controllo dell’erosione.26
sono imputate d’aver finanziato fra il 1996 e il 2004 il Frente Arlex Hurtado, uno dei gruppi più attivi
del Bloque Bananero, l’organizzazione paramilitare che garantiva “protezione” e “sostegno” alle imprese
attive nella regione. Nel contesto del processo di pace attualmente in corso tra il governo guidato da Juan
Manuel Santos e i guerriglieri delle Farc, è la prima volta che nel travagliato Paese latinoamericano delle
corporation straniere vengono accusate di serie violazioni dei diritti umani. Nel comunicato si menziona
uno dei fatti che conferma le accuse di tali violazioni nei confronti dei civili colombiani: "l’accaduto del
7 novembre 2001, quando al terminale di carico del porto di Urabá e di proprietà della comercializadora
frutícola (Banadex), sono stati scaricati e conservati per un periodo di quattro giorni, la quantità di
3.400 fucili AK 47, e quattro milioni di munizioni 7,65 - spedizione di armi e munizioni provenienti dal
Nicaragua a bordo della nave Otterloo di bandiera panamense Otterloo".
24
J. Restrepo Rivera. Manual práctico. El A, B, C de la agricultura orgánica y harina de rocas. Cali:
Feriva S.A., 2007. Non meno importante è anche la tecnica della cromatografia come modo efficace e al
contempo semplice da realizzare per fare analisi del terreno senza dover utilizzare tecnologie di laboratorio,
che Restrepo descrive in J. Restrepo Rivera e S. Pinheiro. Cromatografía. Imagenes de vida y destrucción
del suelo. Cali: Feriva S.A., 2011.
25
Fra i testi di riferimento al riguardo si menziona P.A. Yeomans. The Keyline Plan. Sidney: Waile &
Bull, 2008.
26
Maggiori informazioni fruibili al seguente link: www.yeomansplow.com.au/.
58
La Gestione Olistica in agricoltura è un approccio di pensiero sistemico per la gestione
delle risorse che è stato originariamente sviluppato negli anni ’60 dal biologo Allan Savory
per far fronte alla desertificazione utilizzando animali al pascolo.27 . Egli fu spinto dall’i-
nefficacia del metodo di pascolo proposto dal mondo scientifico dell’epoca, ma soprattutto
fu fortemente influenzato dal pascolo razionale teorizzato nelle sue quattro leggi nei primi
anni ’50 dal biochimico e agricoltore francese André Voisin (1903-1964). Il pascolo razio-
nale di Voisin è una strategia di gestione degli allevamenti a pascolo, caratterizzata da
buona progettazione e basso investimento iniziale, che permette di raggiungere eccellenti
risultati produttivi ed economici nel rispetto dell’ambiente, della biodiversità e del benes-
sere animale. Dapprima, egli prese come dato rilevante quello del muoversi in gruppo -
e vicini - degli animali delle mandrie selvatiche, per difendersi dai predatori, spostandosi
da un posto ad un altro velocemente, dopo aver mangiato erba e lasciato deiezioni in
un’area ristretta (periodo di permanenza). Seguì poi l’osservazione che il bestiame prefe-
riva brucare erba che si trovava al proprio punto ottimale di riposo (in quanto, in quello
stadio del ciclo di sviluppo, la pianta contiene molta più cellulosa - più digeribile per il
bestiame - rispetto a quando contiene più lignina). Concisamente, ciò che notò Voisin fu
che il punto ottimale di riposo era lo stadio fisiologico ideale sia per il pascolo che per il
terreno poiché in quella fase la pianta ha le sue sostanze di riserva accumulate a livello
radicale, dunque il bestiame non impoverisce il terreno sottraendo alle piante nutrienti,
bensì ne fornisce attraverso le deiezioni che lascia in quell’area. Si accorse dell’unità eco-
logica sistemica della triade animale-pianta-suolo, del circolo virtuoso fra la mandria che
per natura preferisce brucare la pianta al punto ottimale di riposo, la pianta stessa non
indebolita poiché in quello stadio ha le proprie sostanze di riserva nell’apparato radicale
e il suolo concimato dalle deiezioni visibile al ritorno della mandria in quella stessa area,
anno dopo anno più rigogliosa e abbondante. Dalla scoperta di questa unità ecologica di
questa triade che Voisin teorizzò il pascolamento razionale in cui, dividendo con recinzioni
la zona di pascolo in aree che in momenti diversi giungono al punto ottimo di riposo, un’a-
zienda può riprodurre lo spostamento delle mandrie con i propri capi bestiame da un’area
all’altra, realizzando nei propri ettari questo circolo virtuoso preesistente in natura.28 Da
27
Nel 2010 Savory, in un progetto condotto per l’Africa Centre sulla gestione olistica in Zimbabwe, è
stato nominato vincitore del 2010 Buckminster Fuller Challenge per un piano che mirava a ricostruire le
praterie danneggiate utilizzando animali al pascolo
28
Testo di riferimento è sicuramente: A. Voisin e A. Lecomte. La vacca e la sua erba. Bologna:
Edizioni agricole, 1963. Questo metodo di pascolamento giunse fino in America Latina, in particolare a
Cuba, quando nel 1964 Fidel Castro, riconoscendo l’efficienza e la scientificità del metodo, invitò Voisin
59
non trascurare anche il fatto che recenti ricerche hanno dimostrato che bestiame da carne
allevato al pascolo contiene diversi fattori antiossidanti come le vitamine A, C ed E e un
ottimo profilo di acidi grassi omega 3 e omega 6.29
Savory, dunque, formulerà la sua Holistic Management, una volta giunto alla conclu-
sione che la progressiva desertificazione, la perdita di fauna selvatica e l’impoverimento
umano era correlato alla riduzione degli allevamenti naturali di grandi erbivori e ancora
di più, al cambiamento nel comportamento di quei pochi allevamenti rimasti. Alla base
della HM c’è il concetto di comunità olistica come rapporto mutualistico tra le persone,
gli animali e la terra; e che qualsiasi sistema di pianificazione agricola deve essere suf-
ficientemente flessibile per adattarsi alle complessità della natura.30 Secondo DEAFAL,
ci sono attualmente, circa 50 milioni di acri (20 milioni di ettari) in tutto il mondo che
utilizzano l’approccio della Gestione Olistica.
Da ultimo, ma altrettanto interessante, è il metodo di coltivazione orticola biointensivo
sviluppato da John Jeavons insieme a Ecology Action. Il metodo è una combinazione di
due forme di orticoltura praticate in Europa dall’800 fino al primo ’900: le tecniche francesi
intensive sviluppate nel ’700 e nell’800 fuori Parigi e le tecniche biodinamiche sviluppate
negli anni ’20 dal filosofo austriaco Rudolf Steiner. Già fra gli anni ’20 e ’30, l’inglese
Alan Chadwich aveva proposto una prima combinazione fra i due metodi e lavorò a
questa combinazione per cinquant’anni. All’attenzione dell’allora giovane organizzazione
no-profit di ricerca ambientale ed educazione, Ecology Action, giunse solo più tardi, nei
primi anni ’70, coniando nel 1999 il termine grow biointensive.31 Si tratta di un metodo
di coltivazione che mira a coltivare quanto più possibile su piccola scala, in modo da
non lasciar spazio alle infestanti, ma al contempo far si che questo gran numero di piante
assieme favorisca la biodiversità, aumenti la struttura e dunque anche la sostanza organica
a tenere delle lezioni sull’argomento all’Università dell’Havana e a visitare alcune delle aziende dell’isola.
A tutt’oggi il PRIV è un metodo fortemente in uso a Cuba. Per approfondimenti si veda: L. Naciamento
e G. Sousa, cur. Latin American Issues and Challenges. New York: Nova Science Publishers, Inc., 2009,
Cap.1. Di recente anche la FAO, in FAO. Manual de Buenas Prácticas de Ganadería Bovina para la
Agricultura Familiar. Roma: Pubblicazioni ufficiali della FAO, 2012, pp. 103-109, ha inserito il PRIV e
un suo caso di studio a riprova del metodo e per diffonderne la pratica.
29
Lo riferisce in particolare una ricerca australiana, P. Williams. «Nutritional composition of red
meat». In: Nutrition & Dietetics 64.4 (2007), pp. 113–119, che spiega come i bovini nutriti al pascolo
siano una migliore fonte di grassi omega-3 rispetto ai bovini nutriti a cereali da foraggio (ad esempio
quelli negli Stati Uniti), la cui carne di minore qualità risulta non salutare - e per questo ed altri motivi
se ne sconsiglia l’acquisto (come brevemente accennato nel Cap. 1 di questo lavoro).
30
Per questioni di brevità, si rimandano eventuali approfondimenti a A. Savory e J. Butterfield. Holistic
Management: A New Framework for Decision Making. Washington: Island Press, 1998.
31
J. Jeavons. How to grow More Vegetables (and Fruits, Nuts, Berries, Grains, and Other Crops) than
you ever thought possible on less land than you can imagine. Berkeley: Ten Speed Press, 2012, pp. 7-10.
60
del suolo - con la conseguenza di migliorare anche la vita delle piante stesse. Fra le tecniche
utilizzate si menzionano: la doppia scavatura; il compostaggio e fertilizzanti organici; la
semina ravvicinata; l’associazione e rotazione delle coltivazioni e sementi a impollinazione
aperta.
61
eco-compatibili e sicure per gli operatori negli uliveti di collina e montagna. L’agricoltura
montana del Cilento per sopravvivere ha bisogno di meccanizzarsi -anche per la mancanza
di manodopera che ha abbandonato la campagna per la città. Giuseppe si rende conto,
all’epoca, che le macchine sul mercato non erano adatte ai paesaggi cilentani, perché ob-
bligavano a lavorare a "rittochino" (ossia lungo la linea di massima pendenza) per evitare
che l’operatore si ribaltasse, ma contribuendo pesantemente all’erosione del suolo.32 Co-
sì insieme a due ditte, la Energreen di Vicenza e la Bosco di Piacenza, la cooperativa
progetta una trattrice radiocomandata, di forma, dimensioni e potenza adatte ai versanti
collinari del Cilento: una rivoluzione, un esempio per le attività agricole montane.33
62
coltivazione.
La scelta di Salella, Rotondella, Oliva Bianca, Pisciottana, Frantoio è stata dettata
dal fatto che in anni di esperienza sul campo, queste varietà si sono rivelate le più adatte
all’ecosistema locale, nel processo di selezione naturale secolare. Esse infatti presentano
quattro caratteristiche vantaggiose: maggiore resistenza ai parassiti; maggiore resistenza
alla siccità; più facile raccolta meccanizzata (soprattutto la Salella); maggiore presenza
di antiossidanti sia nella pianta, che nei frutti e nell’olio. Le olive sono raccolte a mano,
accuratamente selezionate e spremute a freddo con il Sistema Integrale, che conserva
maggiormente gli antiossidanti presenti nelle olive.
Oltre all’olio, viene usato ciò che l’estrattore produce: sansa e paté. La sansa viene
usata per il compost,35 mentre il paté alimenta l’impianto di biogas. Ora stanno studiando
una maniera per estendere e ingegnerizzare il processo di compostaggio della sansa. La co-
sa assume per lo meno un rilievo nazionale, visti gli esiti delle analisi e delle cromatografie
e i problemi connessi allo smaltimento.
Per le soluzioni minerali,36 in cooperativa si usano principalmente: zeolite cubana
o caulino, contro la mosca olearia;37 zolfo-calce arricchito con solfato di zinco, per la
disinfezione di tagli da potatura, al fine di evitare tumori e altre patologie; boro; concime
fogliare con rame (nelle quantità consentite nel biologico); solfato di rame; polvere di
roccia. Inoltre quest’anno, sulla base del principio che più il suolo è strutturato e sano, più
la pianta sta bene e dunque meno si ammala, hanno iniziato ad usato alcuni biofertilizzanti
sugli ulivi. Fra i biofertilizzanti preparati in dall’azienda, si menzionano: letame, siero
di latte, cenere, minerali, zucchero e lievito come starter; oppure la versione stessa senza
letame. Tuttavia non nasconde Cilento la difficoltà nel riuscire a coltivare davvero secondo
questi principi biologici e naturali, se attorno vengono praticate forme semplificatrici a
base di chimica e macchinari pesanti. Questo problema si riscontra in primis nel fatto
35
Giuseppe Cilento chiamò infatti Jairo Restrepo Rivera affinché venisse ad insegnare agli agricoltori
della cooperativa a trasformare le sanse in un compost profumato come terra di bosco, con una ricetta
a base di sansa (50%) carica batterica (20-30% di letame, lievito e zucchero), frasche triturate e carbone
vegetale (circa 25%). Questo terriccio viene somministrato agli olivi, al posto dei concimi minerali, e gli
effetti sono ottimi: le piante affaticate ritrovano vigore ed equilibrio, la concentrazione di antiossidanti
nell’olio – i polifenoli e i tocoferoli - raggiunge alti livelli
36
Le soluzioni possono essere a freddo, per la difesa dalle patologie fungine; e a caldo, per la difesa
da insetti e malattie. In ogni caso si tratta di soluzioni che oltre a difendere la pianta apportano anche
nutrimenti minerali. In più, essendo trattamenti a contatto, si possono rimuovere dal frutto semplicemente
con acqua. Dettagli in DEAFAL, Manuale di campo. Per l’Agricoltura Organica e Rigenerativa.
37
La zeolite cubana è anche meglio del caulino contro la mosca poiché, essendo materiale vulcanico,
contiene molti più minerali, è più ricca di nutrienti per la pianta, oltre a svolgere la stessa funzione di
copertura.
63
che il convenzionale e il chimico utilizzano prodotti che inquinano il terreno e le falde,
ed insetticidi inquinanti e ad ampio spettro che compromettono il lavoro degli insetti
impollinatori e della micro e macrofauna in generale. Si tratta di pratiche agricole che
hanno effetti anche oltre gli ettari in cui vengono applicati. Ancor più serio è il problema
della mosca olearia, con la quale la cooperativa riuscirebbe a non avere problemi spersino
solo anticipando la raccolta ad ottobre ed eventualmente facendo monitoraggio e usando
esche. Tuttavia queste operazioni possono non essere efficaci se nelle vicinanze si usano
invece trattamenti chimici, come il dimetoato (meglio noto come Rogor ).
Riguardo il parco macchine, utilizzano un aratro a dischi, che preferiscono alla van-
gatrice,38 per seminare leguminose e graminacee. In particolare consociano le due per
equilibrare il rapporto carbonio e azoto e per l’inerbimento fra gli ulivi.39 Ad esempio
consociano la sulla, una leguminosa che ha radici profonde che rendendo aerobo il terreno
in profondità, con delle graminacee, che invece hanno radici che si crescono in orizzontale.
In questo modo, con il solo inerbimento, si è già reso più aerobo il terreno sia in profondità
che in superficie, oltre al fatto che l’inerbimento favorisce l’imbibizione del terreno.40 In
cooperativa usano anche il Roller crimper, un rullo abbattitore che schiacciando ad inter-
valli regolari le piante su cui passa, copre il terreno di vegetazione. Si tratta di una sorta
di coltivazione di copertura (cover crop) utile per diversi motivi. In particolare, usato
nel momento della semina - in contemporanea - delle leguminose utili per l’azoto e delle
coltivazioni da reddito, fa risparmiare almeno 2 passaggi di trattore su 3 necessari con le
tecniche convenzionali (a volte anche 4). Quindi si ha già un’importante riduzione delle
emissioni dovute all’uso del trattore. Le piante seminate tra le piante terminate coprono
in breve il terreno coprendo la pacciamatura che si è formata.
Cilento fa notare che il disastro ecologico sui suoli agricoli italiani, soprattutto di
collina e montagna è stato determinato dall’utilizzo di fresa, motozappa e vanga. Ci sono
persone che ancora trinciano. I problemi di rese, mosche olearie, vulnerabilità delle colture
in generale, viene dal fatto che oramai da troppo tempo non stiamo coltivando più bene.
38
Proprio a causa dell’uso della vangatrice, hanno avuto perdite di raccolto, in particolare di cipolle
canine e cicoria.
39
Ci vuole del tempo per ottenere un imerbimento perenne; poiché le leguminose e le graminacee hanno
bisogno di alcuni anni per competere con le piante spontanee già presenti.
40
Spiega infatti Giuseppe Cilento che quello delle piogge, che sembra un danno per l’agricoltura in
termini di allagamento e dilavamento, è in verità un non problema se si mantiene sempre coperto il
terreno con sovescio, pacciamatura, o inerbimento. Anzi, le piogge sono una buona occasione per il
terreno di accumulare riserve d’acqua in profondità - indispensabili in estate o in generale in caso di
siccità.
64
I tecnici agricoli e non solo degli ultimi 50 anni sono stati addestrati a curare le piante,
ma non a integrare la vita del terreno, a rispettare le stratificazioni naturali, la microflora
e microfauna del terreno.
Riguardo il "Tecnolivo Cilento" hanno diversi piccoli trattori (macchine polifunzionali)
cingolati radiocomandati a distanza Energreen e Bosco Mac equipaggiati di: vibroscuoti-
trice degli ulivi per la raccolta; testata idraulica per trinciare residui di potatura, erbe e
rovi lungo le scarpate; barra potatrice pieghevole/telescopica dischi; ombrello di raccolta
semovente con quattro ruote motrici. Questi trattori radiocomandati potrebbero rappre-
sentare una inversione di processo, in quanto possono arare trasversalmente ai pendii,
ossia seguendo le curve di livello, esattamente come facevano i buoi.
Di recente la cooperativa ha sperimentato, insieme con il Parco del Cilento, l’Uni-
versità di Napoli, il fuoco prescritto per l’aumento della biodiversità e per la pastorizia,
ottenendo ottimi risultati.41 Alla sperimentazione hanno partecipato anche ingegneri
portoghesi chiamati dal Parco, che utilizzavano la tecnica del fuoco e controfuoco con dei
lanciafiamme, ben nota nelle tecniche pastorizie tradizionali.
65
protetta dai presidi Slow Food e dalla DOP Cilento. A tal fine, inserisce nella sua rete
commerciale i fichi bianchi del Cilento, le olive “Salelle Ammaccate”, i fagioli di Controne,
i ceci di Cicerale, le alici di “Menaica”, la soppressata di Gioi, vari tipi di miele, vini BIO
e DOP Cilento, i grani antichi (Carosella, Sen. Cappelli, Saravolla, Gentilrosso). Sono
diventati il centro di trasformazione olivicolo più importante della Campania, sia per qua-
lità (DOP, BIO), che per quantità. Nel complesso, la cooperativa fattura un milione e
mezzo di euro l’anno.
Sui prezzi dei prodotti agricoli, Giuseppe evidenzia che i clienti notano e riconoscono
la qualità del prodotto e sono disposti a pagare un prezzo al litro più alto. La prezzo dei
prodotti della cooperativa lo decidono i soci in assemblea.
Riguardo le tecniche di bioedilizia applicate in cooperativa: hanno un tetto fotovoltaico
(con cui sostanzialmente sono autonomi, poiché accumulano circa 46 kwh)
66
per la macellazione, che risultano proibitivi per i piccoli pastori. Altro ostacolo quello
della forestale che non permette l’istallazione di ricoveri provvisori notturni in montagna
- anche semplici tende o capanni di paglia e legno temporanei - necessari principalmente
per le capre. Secondo la cooperativa, tale accanimento diventa ancor più opprimente nelle
zone 1 del Parco, dove si dimenticherebbe che la forma storica di quei boschi è stata data
anche dagli animali, la cui assenza espone quelle aree al degrado e al pericolo di incendi.
dell’esodo degli anni ’60, negli anni Forme di filiera corta: vendita diretta e GAS
in cui iniziava ad affermarsi l’agri- Distanza dal centro urbano: 15km da Rieti; 90 km
e non si è fatto uso di prodotti di Via case sparse, 4 - 02015 Ponzano di Cittaducale
67
20 a pascolo e il resto a bosco. Su questi ettari a seminativo si è scelto di coltivare grano,
per il valore storico che esso ha sempre avuto nell’economia reatina. L’idea di Tularù
era quello di cominciare dal grano, per il suo legame storico col territorio, per dare avvio
a un’economia sociale, una sorta di social valley, che ripartisse da un’agricoltura soste-
nibile con la coltivazione di grani antichi e ricostruisse il tessuto sociale dell’Appennino
reatino. Sulla scia delle social street urbane,42 il progetto voleva coinvolgere produttori
e consumatori nella coltivazione nei campi affinché insieme facessero rete, valorizzando
un territorio ormai abbandonato e abbassando allo stesso tempo anche il prezzo dei pro-
dotti venduti alla comunità. L’input decisivo è arrivato nel 2015 col premio (del valore
di 10 mila euro) che la Fondazione Edoardo Garrone ha conferito al progetto di Tularù,
nell’ambito del concorso ReStartApp, che punta a trovare e finanziare idee di sviluppo
sostenibile per l’area appenninica. A due anni di distanza, oramai la filiera corta è stata
avviata, coinvolgendo agricoltori, molini, panifici e pastifici della zona; ma soprattutto
realizzando la Festa della Mietitura: luglio, agricoltori, anziani maestri mietitori del rea-
tino, consumatori assieme nei campi a mietere al mattino, e dal pranzo alla sera coinvolti
in pasti collettivi, eventi culturali e ricreativi.
68
mantiene stabile intorno ai 17-18q/ha.
Anche per la carne riescono a chiudere la filiera, vendendo direttamente al consumato-
re. Sono partiti con una mandria di 6 vacche e un toro, ma dopo due anni, le unità sono
aumentate a 11. I vitelli hanno uno svezzamento naturale: restano con la mamma finché
non si staccano naturalmente. Con lo svezzamento naturale la vacca resta incinta ogni
due anni, ma in questo modo ci si assicura che il vitello abbia assunto attraverso il latte
materno le difese immunitarie necessarie per non ammalarsi. La macellazione non avviene
prima dei 18-24 mesi, dunque sono di fatto dei vitelloni. La carne viene portata ad un
mattatoio nella provincia di Rieti dove viene anche frollata. La carne è acquistabile solo
su prenotazione: vengono fatte 2-3 macellazioni l’anno e chi è interessato, prenotandosi,
verrà avvisato sul periodo di macellazione, in modo da potersi organizzare per ritirare e
conservare la carne. La carne viene consegnata in cassette con tagli misti, sottovuoto.
In azienda vi è anche un pollaio, che nel breve periodo verrà convertito in pollaio
mobile 43 , per essere associato allo spostamento della mandria al pascolo.
La vendita avviene principalmente attraverso gruppi di acquisto solidale. Tularù col-
labora infatti con PosTribù.net, una ONLUS reatina per la sensibilizzazione ambientale
e sviluppo culturale che gestisce un GAS di una quarantina di famiglie (40 nominale,
20 reale) di Rieti. Per il commercio romano, partecipano al mercato contadino di Villa
Certosa. Con queste modalità d’acquisto, Tularù si assicura anche l’acquisto dei prodotti
che non riesce ad autoprodurre. L’azienda ha anche un orto per il momento solo per
autoconsumo, ma con progetto di incremento per il ristorante del piccolo b&b(tre camere
triple) che stanno avviando.
69
di anno - piovoso, siccitoso, etc... Si tratta di una sperimentazione che anche in questi
soli tre anni di attività già dà risultati più che soddisfacenti in termini sia qualitativi che
quantitativi.
Riguardo la mandria, si tratta di meticce ben adattate al luogo, dunque più resilienti
rispetto ai capi in purezza. L’azienda applica il pascolo razionale di Voisin e già solo
due tre anni di attività si vedono i primi risultati. Solo nel giro di un anno il pascolo è
aumentato in quantità: le vacche sono riuscite a mangiare erba fino a gennaio, mentre
l’anno precedente solo fino a metà ottobre e per il resto del tempo con fieno. Oltre
al risparmio sul fieno, la mandria ha mangiato di più. Trattandosi di una zona con
inverni rigidi ed estati secche, si sta ultimando anche la progettazione di disegno Keyline
- con gps rover di precisione fornito da DEAFAL - sui terreni a pascolo, per aumentare
l’assorbimento di acqua nel terreno.
Al pascolo viene associato il pollaio mobile (ancora in via di sperimentazione): 3-4
giorni dopo che le vacche hanno pascolato in un settore, vengono portati i polli che an-
dranno ad aprire, ruspando, il letame che sarà popolato di larve ed insetti. In questo modo
il letame sarà più facilmente assimilabile dal terreno e dalle piante, e a loro volta i polli e le
galline concimeranno con la pollina - che è molto azotata - apportando ulteriore beneficio
al pascolo. In questo modo si ha una produzione a ciclo chiuso, in cui la manodopera è
necessaria quasi soltanto per aprire e chiudere le recinzioni, spostare il pollaio e portare
l’acqua nei punti in cui ancora non ce n’è. Inoltre anche le uova delle galline alimentate a
pascolo sono ricche di omega 3, che prendono sostanzialmente dall’erba. Vengono nutrite
anche con gli scarti della trebbiatura del grano o con gli scarti alimentari. In sostanza
con questi due pascoli vengono essenzialmente indirizzati dei processi naturali (imitando
le mandrie selvatiche e gli uccelli che vanno al letame per trovare cibo).
L’orto è coltivato con metodo biointensivo, al momento solo per autoproduzione, ma
con progetto di ingrandirlo per il b&bin via di realizzazione.
70
di fitodepurzione’. Attualmente, l’evento principale è la Festa della Mietitura in cui ven-
gono coinvolti gli anziani della zona, detti maestri mietitori, che insegnano come mietere
il grano a mano e realizzare i covoni. La festa dura 3 giorni e partecipano principal-
mente persone del luogo che possono pernottare in azienda nella forma di eco-campeggio,
usufruendo della compost toilet, delle docce con acqua calda riscaldata dal termocompo-
st, con pasti offerti dal’azienda stessa. Inoltre chi partecipa ha diritto a uno sconto del
10% sul pane per l’anno a seguire. Generalmente i partecipanti del GAS vengono tutti.
In quei giorni vengono organizzate anche presentazioni di libri, dibattiti e incontri sulla
sostenibilità ambientale, proiezioni di film e documentari su pratiche sostenibili e molto
altro.
Contemporaneamente alla festa in genere si organizza anche il campo di volontariato
internazionale (circa 10 ragazzi ogni volta) in collaborazione con la cooperativa sociale
Lunaria che coinvolge giovani da Korea, Russia, Francia e Spagna.
Un’altra attività è ’Dalla pianta al vasetto, l’ho fatto da solo’: nei periodi di intenso
raccolto, ad esempio per le more in agosto, si coinvolgono le persone del luogo a dare una
mano, ripagandosi con un pomeriggio nella natura e portandosi a casa della marmellata.
Nella ex-porcilaia è inoltre in progetto la realizzazione di un’aula permanente per i
bambini dove trovare attività di osservazione della natura, una mini falegnameria per bam-
bini. Per i bambini si organizzano anche campi estivi ’Scuola Natura’, in collaborazione
con Associazione Postribù e Associazione Bubuleya.
Aspetti socio-economici Per i seminativi, oltre alle rese stabili, hanno abbattuto le
spese delle sementi e dei trattamenti. Inoltre, vendendo il pane a 5 euro al kg, quei
17q/ha rendono un guadagno che un convenzionale non potrebbe avere, senza considerare
i benefici per la salute e per l’ambiente. Per i consumatori il prezzo non è più alto,
trattandosi di un pane che mantiene la sua freschezza per almeno 5 giorni - abbattendo
lo spreco domestico e riducendo l’acquisto di pane anche a una sola volta alla settimana.
Per la carne, i vitelloni vengono venduti a 14 euro/kg in pacchi da 5kg (con 3kg di
primo taglio e 2kg di secondo) o 10kg. Spiega Miguel che, nella zona, normalmente un
allevatore di chianine in purezza, vende i vitelli - al più intorno ai 1000 euro - alle aziende
toscane che effettuano il finissaggio in stalla con foraggio. Mentre Tularù, che per ogni
vitellone riesce a ricavare 180-200kg di carne, ha un guadagno intorno 2800 euro (cifra
71
per l’ultimo capo di 200kg), ed è da considerare che la domanda è risultata maggiore
dell’offerta.
I costi per il pollaio sono solo di manodopera, neanche eccessiva, poiché si nutrono nelle
aree del pascolo, con gli scarti della trebbiatura e alimentari. Le uova vengono vendute
in confezioni da 6 uova 2,50 euro/confezione.
Riguardo le tecniche di bioedilizia applicate in azienda, vi sono: una stufa pirolitica
(da cui ricavano anche il biochar per l’orto), un termocompost per l’acqua calda delle
docce, due compost toilet, due laghetti in cui si effettua la fitodepurazione delle acque
di scarico della casa e del b&b (acqua che in parte viene incanalata in degli swale 45 che
forniscono acqua al frutteto sottostante); intonaco in terra cruda; varie cisterne per la
raccolta di acqua piovana e collegate agli impianti d’irrigazione; impianto solare termico
per la casa e il b&b.
45
Gli swale sono lunghi fossati scavati seguendo le linee isometriche, che possono variare per ampiezza e
tipo di finitura. Si tratta di un tipo di lavorazione del terreno la cui funzione è aumentare la permeabilità
del terreno, immagazzinare acqua nello stesso o nei sedimenti sottostanti affinché essa intercetti la falda
sotterranea o ogni apparati radicali di alberi e arbusti più a valle rispetto allo swale. Cit. da B. Mollison
e R. M. Slay. Introduzione alla Permacultura. Firenze: AAM Terranuova, 2007, p. 62-63.
72
4.2.3 Progettazione in Permacultura
73
risparmio energetico, progettazione del paesaggio, scienze ambientali e naturali, econo-
mia, architettura, antropologia), Mollison sintetizza la progettazione in permacultura nei
seguenti principi: ubicazione relativa, ossia ciascun elemento del sistema (casa, stagno,
strada ecc.) deve collocarsi in relazione agli altri elementi, in modo che ognuno sia di
supporto agli altri; ciascun elemento deve svolgere più funzioni; ogni funzione importante
deve essere supportata da più elementi; pianificazione energetica - e dunque economica -
efficiente (per zone e settori); preminenza dell’uso di risorse d’origine biologica rispetto a
quelle derivanti da combustibili fossili; riciclo in loco dell’energia (sia quella derivante da
combustibili che quella umana); utilizzare e accelerare avvicendamenti naturali di piante
per realizzare ambienti e terreni favorevoli; ricorso alla policoltura e impiego di una grande
diversità di specie utili per sviluppare un sistema produttivo e interattivo; uso di modelli
(pattern) naturali e valorizzazione dell’effetto margine per ottenere il miglior risultato
possibile.49 Dagli anni ’80 hanno iniziato a diplomarsi i primi esperti permacultori, che
iniziarono a progettare i primi sistemi permaculturali in Australia e via via nel resto del
mondo. Se in genere si associa la permacultura alla progettazione di sistemi su piccola
scala, degno di menzione è dunque il caso cubano che si considera il primo esperimento
permaculturale su larga scala.
Come noto, con la caduta dell’Unione Sovietica alla fine degli anni ’80, Cuba soffrì
una rapida perdita dei sussidi sovietici e dei suoi principali mercati d’esportazione. A ciò
si aggiunse il Cuban Democracy Act, con cui il bloqueo nordamericano fu reso ancor più
stringente,50 provocando quella profonda crisi - carenza di cibo, macchine e petrolio - che
portò il governo cubano a dichiarare il Período especial en tiempos de paz. Fra le misure
messe in atto dal governo di Fidel Castro per superare le critiche condizioni economiche,
vi fu l’avvio di quello è appunto il primo modello al mondo di sviluppo sostenibile su
scala nazionale, denominato da Botella-Rodríguez inward-looking development, basato su:
l’autoproduzione di cibo, la sostituzione degli input, la liberalizzazione interna, il decentra-
mento del territorio e la piccola agricoltura sostenibile.51 Come parte di questa iniziativa
49
Mollison e Slay, Introduzione alla Permacultura, Cap. 1.
50
All’Assemblea Generale dell’ONU, dal 1992 al 2014, c’è stato un susseguirsi di oltre 20 votazioni
che a maggioranza si sono sempre dichiarate contrarie al blocco, richiamando il principio di uguaglianza
sovrana degli Stati, quello di non intervento e non ingerenza negli affari interni di un altro Stato ed infine
la libertà di commercio e di navigazione internazionale. Dal 2010, gli unici voti contrari erano di Stati
Uniti e Israele, con Isole Marshall, Micronesia e Palau che negli anni seguenti decisero per l’astensione.
51
E. Botella-Rodríguez. «Cuba’s inward-looking development policies: towards sustainable agriculture
(1990-2008)». In: Historia Agraria 55.Dic. (2011), pp. 135–176.
74
governativa, vi fu l’aiuto di organizzazioni non governative e associazioni internazionali,
principalmente in termini di know how,52 , che combinandosi con le pratiche tradizionali,
la conoscenza e la sperimentazione di una popolazione residente molto istruita, permise
a Cuba di soddisfare i bisogni alimentari nazionali. Inoltre il miglioramento della riforma
agraria del ’59 e del ’6353 permise al governo cubano di aumentare l’occupazione nella
produzione agricola locale urbana e agreste di colture alimentari, e di attuare approc-
ci alternativi tra cui l’agricoltura biologica, l’agro-ecologia e la permacultura.54 Dato il
crescente interesse a livello mondiale nella realizzazione di sistemi alimentari alternativi
locali sostenibili, Cuba è spesso citata come modello vivente di sostenibilità, esempio di
produzione alimentare ecologicamente sostenibile e come sistema efficace per soddisfare
le esigenze locali e adattarsi alle circostanze d’emergenza, come quelle associate al picco
del petrolio.55 Anche la FAO riconosce la paradigmaticità dell’esperienza cubana. Col
forte appoggio del governo, Cuba è infatti riuscita a rispondere all’insicurezza alimentare,
economica e sociale che gli eventi storici l’avevano costretta ad affrontare, abbandonan-
do il metodo di coltivazione chimico-industriale - con monocolture di canna da zucchero,
tabacco e caffè, e uso di prodotti di sintesi - divenendo «pionera en la transición global
hacia una agricultura sostenible que produce “más con menos”».56
Attualmente, il Permaculture Worldwide Network conta 2340 progetti in tutto il
mondo.57
52
Tra le ONG che fornirono il massimo sostegno alle problematiche del verde urbano e della produzione
di cibo (a partire dalla riconversione ad ortofrutta dei terreni usati per la produzione di tabacco, canna
da zucchero e caffè) vi fu la Fundacion de la Naturaleza y el Hombre di Antonio Nuñez Jimenez, che
sviluppò un ampio programma di educazione ambientale, tra cui workshop sulla permacultura.
53
La prima riforma agraria del maggio 1959, fissava per le proprietà terriere un massimo di 402 ettari
o di 1342 se la produttività dell’azienda superava del 50% la media nazionale. La superficie veniva
espropriata e l’indennizzo, calcolato in base al valore dichiarato al fisco, pagato in buoni del tesoro. La
terra resasi così disponibile fu assegnata a cooperative ovvero distribuita in lotti individuali, dei quali,
per impedire ulteriori suddivisioni e stroncare sul nascere la piaga del minifondismo, la legge proibiva la
vendita - se non allo stato - e l’affitto. Nell’ottobre del 1963 fu varata la seconda riforma, che fissava a
67 ettari il limite massimo delle terre usufruibili privatamente. Tale norma, dettata anche dalla volontà
di indebolire i medi proprietari agricoli che alimentavano la protesta controrivoluzionaria, finì per fare
controllare allo stato il 60% della superficie coltivabile, percentuale che aumentò nel tempo.Cit. da A.
Trento. La rivoluzione cubana. Firenze: Giunti, 2002, p. 26.
54
Botella-Rodríguez, «Cuba’s inward-looking development policies: towards sustainable agriculture
(1990-2008)».
55
R. Levins. «How Cuba is going ecological». In: Capitalism Nature Socialism 16.3 (2005), pp. 7–25.
56
FAO. Ciudades más verdes en América Latina y el Caribe. Un informe de la FAO sobre la agricultura
urbana y periurbana en la región. Roma: Pubblicazioni ufficiali della FAO, 2014c, p. 10.
57
Il dato è fruibile attraverso la mappatura realizzata al seguente link: www.permacultureglobal.org/
projects.
75
4.2.3.1 L’Azienda Agricola Ragas
Permacultura (nel 2007, con tu- Via Ca’ Dasiotto 35 - 40038 Amore di Vergato
76
vità commerciale- con l’aiuto saltuario della moglie, Angela, che svolge un’altra attività
lavorativa - ma soprattutto la rigenerazione di un’area in cui, negli anni, i suoli sono stati
sfruttati, erosi e poi abbandonati.
77
Riguardo la distribuzione, oltre alla vendita diretta nello spaccio aziendale, vendono
i trasformati al ’Mercato della Terra’ a Bologna o presso punti vendita (alimentari o
erboristici) biologici nelle città di Imola, Modena e Firenze.
Pratica la riproduzione dei semi.
Aspetti agronomici I primi risultati non si sono fatti attendere. A distanza di 14 anni
la biodiversità è aumentata soprattutto dove inizialmente vi erano solo rovi e gramigna e
suoli poveri di sostanza organica. Oltre alle piante introdotte per soddisfare autoconsumo
e attività commerciale, sono state anche ripristinate piante autoctone in sofferenza o in via
d’estinzione. L’obiettivo è quello di recuperare la perduta complessità delle fattorie e del-
l’ambiente agrario, tipico dell’Italia di 70 anni fa. A ricostituire l’ecosistema partecipano
anche i tre stagni realizzati e la grotta per pipistrelli creata da Giovanni stesso.
Parte delle conoscenze di Giovanni Zanni sui piccoli frutti provengono dai lavori del
medico ed erborista francese Jean Valnet, che ha dedicato diversi libri sulla fitoterapia,
con particolare attenzione ai piccoli frutti. L’idea è di proporre al consumatore cittadino
dei prodotti che contengono nutrienti in genere carenti nella dieta quotidiana, utili a chi
sceglie la fitoterapia come cura o prevenzione.62 Dal punto di vista agronomico, i piccoli
frutti risultano piuttosto adatti alle caratteristiche climatiche in cui si trova l’azienda.63
Si sta sperimentando, già con ottimi risultati, la concimazione del frutteto con anatre,
oche e galline; nonché il nutrimento delle stesse con il frutteto (sistema foraggero per
piante e animali).
Per rimboschire le zone dell’azienda a rischio - e in parte già in processo - di erosione
e dilavamento, soprattutto le zone a margine - quindi utili anche come frangivento - sono
stati messi a dimora arbusti da bacca, erbacce perenni (come la consolida) in associazione
con le piante bulbose e alberi adatti al bosco. Per accelerare il processo di rigenerazione
del suolo, si usano anche biofertilizzanti usati in AOR. Di recente, tale operazione costante
negli anni, può vantare d’aver fermato uno smottamento. L’azione prosegue proprio in
quanto lo smottamento è un fenomeno che nella zona si è piuttosto diffuso - a causa delle
passate coltivazioni convenzionali e l’abbandono successivo. È in progetto la realizzazione
62
Il ribes nero mantiene il 70% delle sue proprietà anche a un anno dalla trasformazione. Uno dei testi
di riferimento è: J. Valnet. La santé par les fruits, les légumes et les céréales. Paris: Vigot, 2001.
63
In particolare il ribes rosso resiste facilmente sia al troppo secco che al troppo bagnato. Il lampone
invece, è stato un bioindicatore della cattiva gestione dell’acqua di proprietà vicine situate a monte: il
troppo bagnato ha creato le condizioni per patologie fungine alla pianta.
78
di un bosco micorrizzato e di una serra accanto all’orto. L’obiettivo è quello di diversificare
sempre più l’ambiente agricolo.
Per l’irrigazione, ci sono cisterne che raccolgono acqua piovana e di sorgente collegate
all’impianto di irrigazione a goccia, che non necessita di pompa poiché la posizione scelta
per le cisterne permette l’irrigazione a caduta. Per le esigenze nutrizionali delle piante (in
particolare i piccoli frutti) l’acqua di sorgente è troppo ricca di minerali: dunque prima
di arrivare alle piante, l’acqua passa per dei tubi rivestiti in alcuni punti di magneti o fili
di rame al fine di diminuire la percentuale di minerali.
79
Riguardo la bioedilizia: in azienda ci sono compost toilet; le acque grigie della casa
vengono depurate in una cisterna contenente microrganismi e utilizzata per l’irrigazione
di arbusti e alberi da frutto.
80
4.2.3.2 L’Azienda Agricola Luciana Sabatini
81
Morera Perez dell’Accademia di Permacultura italiana), il diploma di progettista in per-
macultura (farà la ’presentazione di medio percorso’ ad Aprile 2017). In continuità con
questo impegno di studio e lavoro del figlio, la madre sta iniziando a svolgere le pratiche
per lasciare al figlio Cristiano la gestione ufficiale dell’azienda.
Ordinamento produttivo I 13ha sono divisi in: 1ha di vigneto, 7ha di seminativi, 2ha
di uliveto, 7000m2 di foodforest accanto all’orto di 1000m2 , il resto è a bosco, giardino
di piante aromatiche e mellifere e un piccolo pollaio, per il momento di circa 100 capi fra
galline, tacchini e conigli (capi solo per autoconsumo).
Riguardo l’uva, il vigneto ha oltre vent’anni ed è allevato a guyot. Le rese sono di 60-
80q di uva all’anno venduta, tolta quella utilizzata per l’autoconsumo (5q al massimo).
Non avendo ancora una cantina aziendale, vendono il raccolto a una cantina storica di
Palazzone (Ravazzi). Vicino la vigna c’è un declivio molto pendente (maggiore del 15%),
dove è in programma di realizzare una tartufaia.
Nella parte a seminativi si mettono a dimora, a rotazione, cereali (grano duro e grano
tenero) e leguminose (in particolare favino e foraggio come erba medica). Finora i cereali
sono stati venduti a un grossista, ma con la gestione progressiva del figlio, i seminativi sono
attualmente in conversione verso la messa a dimora di grani antichi (Senatore Cappelli
e Verna) nella forma della vendita diretta insieme a farro e legumi. Per le leguminose,
sinora sono state utilizzate per la produzione di fieno e mangime per il piccolo allevamento
(al momento solo per autoconsumo, ma in futuro anche per la vendita).
I due uliveti distribuiti in due blocchi separati (circa 300 piante in totale), rendono
fra i 15-20q annui di olive raccolte. Al momento nell’ulivo vi sono solo erbe spontanee e
sovescio, poiché si sta preparando il terreno a farci orto e nella parte più umida a oltre
a essere luogo ideale per un piccolo impianto elicicolo. Inoltre si stanno migliorando le
recinzioni per inserire nell’uliveto anche le galline, ma soprattutto tacchini - perché a
differenza delle galline mangiano anche le olive - per realizzare la consociazione uliveto-
animali su larga scala, al fine di controllare le spontanee e fare una prima prevenzione
contro la mosca olearia - poiché mangerebbero le larve svernanti della mosca olearia. In
generale le galline e i tacchini (le faraone soprattutto per le zecche) risultano molto utili
per ripulire i vigneti, gli ulivi, l’orto (a fine raccolta), sia dalle spontanee, che dai parassiti,
larve di insetti e insetti antagonisti delle colture, oltre a concimare con le loro deiezioni.
82
La foodforest è in via di realizzazione. Da progetto, la foodforest avrà: susini, peri,
meli, albicocchi, noci, peschi, ciliegi, officinali, recinti per elicicoltura, mentre a livello
arbustivo e seminativo tutto ciò che è possibile, coltivando a gilde. Si pensa a leguminose,
cereali, piante da tubero a cui si consociano le siepi di piccoli frutti. Inoltre l’associazione
di alberi da frutto e arbusti da piccoli frutti con il sistema delle gilde servirà anche per
favorire la formazione di tartufi (dunque realizzazione di una tartufaia) e di una fungaia
(nella zona di serra).
Per la parte orticola, sia quella vicino alla foodforest che quella attorno all’azienda-
abitazione, si stanno sperimentando più metodi. Nella parte di 150m2 che accanto all’a-
bitazione si è realizzato un orto sperimentale che si pone l’obiettivo di non utilizzare più
mezzi meccanici (obiettivo raggiunto: si fanno solo delle movimentazioni con la forca, i
trapianti e ci si assicura che il terreno sia sempre pacciamato) e di massimizzare la pro-
duzione al metro quadro. Vi sono: quattro aiuole rese camere biointensive (metodo John
Jeavons per Agricoltura Organica e Rigenerativa); un’aiuola rialzata a terrazzamento che
sfrutta la pendenza; un’aiuola con metodo Manenti (lavorazione semplice a 45° con forca)
e due bancali sinergici. Il primo dato ufficiale che è possibile riportare (anno 2016) è quel-
lo che è stato rilevato su uno dei due bancali sinergici, che per la sua posizione fungeva
anche da trappola termica. In 7m2 di bancale si è riusciti a produrre 70kg di ortaggi;66 ,
raggiungendo l’obiettivo di massimizzazione della resa. Si sta monitorando anche la capa-
cità di autoriproduzione delle ortive: salvo necessità di trapianti di altre piante, si lascia
che la pianta si autoproduca una volta prodotto il seme. Al centro dell’orto sperimentale
c’è un piccolo stagno. Accanto all’orto vi è invece una serra in policarbonato, a scaffali,
utilizzata per il semenzaio e un piccolo frutteto (con ciliegio e noce, da incrementare con
altre cinque piante) sotto il quale ha seminato erba medica per alimentare i conigli. Nel-
lo stesso terreno, insieme a frutteto ed erba medica, ha seminato diversi semi di piante
commestibili che si sono autorigenerate, e che sono diventate perenni. Inoltre, sempre per
l’orto sperimentale si stanno progettando delle recinzioni per le aiuole, al fine di poter
introdurre gli animali del pollaio adiacente l’orto anche durante la crescita delle ortive: in
questo modo gli animali, ruspando, svolgerebbero le funzioni di concimazione e governo
delle spontanee e degli insetti antagonisti delle ortive.
A questa parte ortiva sperimentale, si stanno realizzando altre due aree ortive: una in
Il dato medio nazionale della coltivazione degli "ortaggi in piena aria" dal 2000 al 2011 in 7m2 è
66
83
serra insieme a funghicoltura (con metodo Manenti); e una parte esterna con metodo bio-
intensivo. Per l’edificio dell’abitazione e dell’azienda è in programma la sperimentazione
delle tecniche di orto in vaso su balcone e sulle pareti dell’edificio con l’orto verticale.
Fra i macchinari in programma d’acquisto, da sostituire a precedenti macchinari ac-
quistati e non necessari - poiché troppo invasivi, ci sono: un ripuntatore (o eventualmente
un aratro Yeoman) al fine di diminuire progressivamente l’uso dell’aratro. Per i semi, si
usa un vaglio del 1900.
Riguardo la distribuzione, si effettua vendita diretta in azienda: il cliente può riempire
la cassetta con i prodotti dell’orto e pagare al peso. L’azienda ha come cliente anche un
consorzio agrario, un ristorante e un negozio che vende ortofrutta.
La maggior parte dell’irrigazione avviene a goccia per caduta, con acqua che viene
raccolta in cisterne. Si sta realizzando anche un pozzo che invece necessiterà di una
piccola pompa.
84
centro dell’orto ospita pesci rossi, gambusie (antagoniste delle zanzare) e piante acqua-
tiche come egeria, ninfea e lenticchia d’acqua. Lo scopo dello stagno è di aumentare la
biodiversità del luogo e migliorarne il microclima e la microfauna (nel 2016 sono arrivate
spontaneamente le rane). Per accelerare la germinazione dei semi per l’orto si pratica
l’imbibizione: ossia ammollo con acqua o acqua e tè.
Nelle zone margine, come ad esempio le scarpate, è in programma la ripulitura e e
controllo piantumando vetiver, piante da frutto, l’acacia e la robinia (piante mellifere),
tutte piante che faranno da frangivento, aumentando inoltre la biodiversità (sono zone di
riproduzione per insetti, uccelli e quant’altro). L’obiettivo costante è quello di tendere
a naturalizzare il più possibile l’agricoltura, benché essa sia di fatto un allevamento di
piante, animali e insetti.
85
di un metro cubo, utile per l’orto. Lo stagno è stato realizzato recuperando un grande
copertone di trattore (per realizzare l’argine).
L’agricoltura biodinamica è un metodo di agricoltura formulato negli anni ’20 del ’900 dal
filosofo Rudolf Steiner, che con le sue otto lezioni Geisteswissenschaftliche Grundlagen
zum Gedeihen der Landwirtschaft tenute a Koberwitz in Polonia (1924), ha introdotto
questo metodo di agricoltura che si propone di ottenere i prodotti dalla terra operando in
sintonia con i cicli naturali e sfruttando l’energia presente in essi.68 Tali lezioni erano state
svolte in occasione di un corso richiesto dagli agricoltori di quella zona, preoccupati della
perdita di fertilità dei loro terreni, della diminuzione della germinabilità delle sementi,
della difficoltà nella riproduzione degli animali allevati e dallo scadimento della qualità
delle patate. Benché sia forte la componente filosofico-spirituale dell’agricoltura biodina-
mica, tale caratteristica non rende meno scientifico questo metodo che data la longevità
ha avuto modo di essere oggetto di verifiche e sperimentazioni accademiche che ne confer-
mano l’efficacia in termini di qualità dei prodotti,69 e di effetti positivi (nutraceutici) per
68
Benvenuti, Agricoltura Biologica e Biodinamica per lo Sviluppo Sostenibile, p. 110 e L. Morra e R.
Pergamo. L’agricoltura biodinamica: verso un modello produttivo agroecologico. Caserta: CREA, 2016.
69
Benvenuti, Agricoltura Biologica e Biodinamica per lo Sviluppo Sostenibile, pp. 127-129.
86
la salute del consumatore e del suolo.70 Dal punto di vista strettamente agroecologico,
l’approccio biodinamico porta a concepire le operazioni agronomiche nel loro insieme. Si
potrebbe riassumere la forma mentis del metodo biodinamico nel fatto che l’agricoltore
biodinamico cerca di evitare il più possibile di curare i vegetali o gli animali, preferendo
invece l’azione a monte, ossia assicurarsi che il terreno sia ben strutturato, aerato e con
una buona percentuale di sostanza organica (in sostanza un terreno sano): se il terreno è
sano, allora anche le piante e gli animali lo saranno, realizzando nell’azienda quel sistema
a ciclo chiuso denominato equilibrio della salutogenesi. Ma l’obiettivo della biodinamica
non è soltanto quello di preservare la fertilità, essa si pone soprattutto come metodo per
convertire terreni impoveriti da tecniche convenzionali e chimiche, associando i preparati
biodinamici71 alle tecniche di lavorazione del terreno proposte dal metodo. I preparati
biodinamici in caso di conversione dal convenzionale al biodinamico, ma la incrementa in
quantità e qualità. Particolarmente interessante il lavoro accurato riguardo l’humus. In
biodinamica si ritiene possibile far eveolvere le forme dell’humus: oltre all’humus di natu-
ra, esiste un humus antropico, costruito in millenni di lavoro agricolo. In ciascun terreno
coltivato è stato plasmato un humus tipico, frutto del lavoro di generazioni di agricoltori,
che riflette i caratteri etnici delle popolazioni rurali. Con la biodinamica si intende creare
forme di humus innovative, che siano tipiche in ciascuna realtà a ciclo chiuso. Per ottenere
questo la biodinamica si serve di disciplinari e linee guida specifici, ma la buona pratica
supera gli stretti confini normativi degli standard. Ciascun agricoltore deve adottare un
metodo creativo per fare del suo terreno un organo di senso del pianeta. Esistono quindi
tante espressioni della biodinamica quanti sono gli agricoltori che le praticano. Uno dei
preparati più trasversali della biodinamica è comunque il corno di letame: uno o più corni
di vacca vengono riempiti con deiezioni fresche di vacca e sotterrati per circa 6 mesi. Dopo
questo periodo il letame è completamente trasformato in humus ed è pronto per essere
irrorato sul terreno. Altri preparati, a base di germogli, corteccia, cristalli di silice, vesci-
che di cervo maschio o budello di bovino sono tutti basati sulla pratica dell’interramento
e della successiva ridistribuzione dell’humus prodotto. Queste pratiche, effettivamente al
limite della stregoneria, ripercorrono le tradizioni rurali e hanno dimostrato soddisfacenti
effetti sul ripopolamento del suolo da parte dei microrganismi. Bisogna sottolineare che
70
Risulta che i prodotti da metodo di coltivazione biologico-biodinamico contengono più sostanze anti-
ossidanti rispetto a quelli ottenuti seguendo tecniche di coltivazione convenzionali, e sono privi di residui
di pesticidi
71
Sui preparati biodinamici
87
la qualità di humus prodotto da questi preparati dipende fortemente dalla qualità del
suolo in cui vengono interrati, motivo per cui alcune aziende biodinamiche si trovano a
offrire questo servizio altrimenti alla portata di tutti. Basti pensare a quanto sia lungo
e complesso il procedimento per produrre una soddisfacente pasta madre per il proprio
pane, e quanto è sicuramente molto più semplice chiederne un pezzo ad un amico che la
possiede già.
88
agricoltore: coltivava principalmente vite e olivo e produceva in media 24 botti di vino
all’anno, oltre a olio e grano. Poi la svolta: a causa della grandine vanno persi tre anni
consecutivi di raccolto, la crisi economica che ne consegue costringe il padre ad emigrare
con la famiglia in Toscana, a Ponte Buggianese (PT) a 8 km da Montecatini Terme.
A circa 20 anni, terminati gli studi all’Istituto Professionale per le Arti Grafiche, da
linotipista specializzato, impianta a Roma una tipografia (tra l’altro, nell’uso dei colori
complementari in biodinamica, dice di essere stato molto aiutato dalla sua esperienza
tipografica). L’attività procede bene per alcuni anni, ma poi, sopraffatto dalla mole degli
impegni (a poco più di 20 anni, ha 2 operai e lavora 15 ore al giorno), non sentendosi più
padrone della propria vita, cambia radicalmente attività: viene assunto da una banca (un
istituto di credito) nel 1977, per la quale lavorerà per circa 20 anni. Sono anni in cui non
farà il lavoro stressante di prima, e neppure perseguirà la carriera bancaria, proprio per via
del fatto che anche questo non era il lavoro per lui. Ma l’esigenza di mantenere una famiglia
insieme alla moglie insegnante lo fecero rimanere impiegato in questa attività fino alla fine
degli anni ’90. Inizia ad accarezzare l’idea di tornare al mestiere del padre ma il paradigma
agricolo convenzionale affermatissimo in quegli anni, troppo lontano dalla sua concezione
di agricoltura, lo scoraggia. Sarà poi la notizia dell’abolizione del prepensionamento
attraverso un fondo privato, cui Carlo contava per abbandonare il lavoro e l’incontro con
un un medico omeopatico, cui si era rivolto per il malessere accumulato in quegli anni
che porta Carlo Noro a scoprire il paradigma agricolo biodinamico a lui affine. Nel 1998
abbandona definitivamente il lavoro in banca e, seguendo il richiamo delle radici, avvia
l’azienda biodinamica Carlo Noro.
Ordinamento produttivo Gli ortaggi prodotti sono sia quelli estivi come pomodoro,
melanzana, peperone, zucchino, asparago, fragola che quelli invernali quali cavoli, lattughe
canasta e cappuccia, radicchio, etc. Da pochi anni, ha aggiunto alla vendita di ortaggi
freschi anche quelli trasformati (confetture, passate, sottolio, sughi pronti). La vendita
dei prodotti avviene al mercato locale (km zero) e al mercato di Roma; ed il prezzo
di vendita è standard (2,20euro/kg) per tutti gli ortaggi, con eccezione delle patate che
non superano 1euro/kg, le fragole e gli asparagi a 5euro/kg. L’azienda produce anche
vino, nel laboratorio aziendale e lo vende al mercato a 12euro/bottiglia per il rosso e
8euro/bottiglia il bianco. Per l’olio, il prezzo è di 12euro/litro. Non sono allevati animali
in azienda. L’azienda produce i preparati biodinamici che poi sono venduti ad una parte
89
delle aziende biodinamiche italiane. I corni per alcuni di questi preparati sono acquistati
dai mattatoi provinciali mentre per i semi fanno riproduzione con semenzaio in azienda o
acquistano da vivaio biologico a Sabaudia.
Aspetti agronomici Il precedente proprietario del terreno su cui sorge oggi l’azienda
utilizzava circa 20 sistemici l’anno, e dunque la terra poteva essere considerata a tutti
gli effetti avvelenata eppure per completare la transizione fra convenzionale e biologico,
sono bastati 2-3 anni. La biodinamica in genere consiglia 200-300 grammi di preparato
corno-letame per ettaro/anno mentre Carlo ne ha utilizzato (e ne consiglia) una dose più
massiccia (1kg-1.5kg distribuito in 4-5 volte l’anno - il dosaggio originale delle 8 conferenze
di Steiner), almeno per i primi anni.
Aspetto interessante della biodinamica e di questa azienda è la prevenzione delle malat-
tie. In genere, sopraggiunto il problema, l’agricoltore si rivolge al consorzio all’agronomo
o l’entomologo, che hanno spesso il rimedio chimico per risolvere il problema. Ad esempio.
Si prenda la peronospera (Phytophtora infestans), una malattia crittogamica (o funginea)
che può colpire le solanacee (ma non solo, anche la zucchina ne è vittima frequente) in
qualsiasi momento dello sviluppo. Il consorzio probabilmente consiglierà l’ossicloruro di
rame e chiuderà la questione. Secondo Carlo bisogna invece chiedersi perché un fungo, il
cui ambiente naturale è il terreno, è andato a posarsi sulla pianta. La sua riposta è che
probabilmente il terreno ha bisogno di essere ristrutturato e biofertilizzato.
Il compito del’agricoltore è ricostituire e mantenere il terreno sano. Se una pianta mo-
stra carenze nutritive, questo non vuol dire necessariamente che nel terreno quel nutriente
manchi, può darsi semplicemente che la pianta non riesce a raggiungerlo poiché il terreno
non ha una buona struttura, magari è semplicemente compatto. Magari quel nutriente
(ossia quel microelemento) non riesce ad organigarsi, cioè ad andare in circolo. Il segreto
dell’agronomia, della salute delle piante non è altro che la struttura umica e colloidale.
L’approccio biodinamico è quello di osservare umilmente la natura e i suoi processi.
Oggi si decide cosa, quando e quanto si vuole dal terreno in termini di rese e la scienza
agronomica ci viene incontro con l’analisi del terreno e l’aggiunta delle sostanze necessarie
attraverso i fertilizzanti. Per la biodinamica invece la terra ha una sua potenzialità che
dipende dal luogo in cui si trova (e quindi per quali piante è inizialmente più adatta),
da quanto è stata impoverita. La terra ci dice come dobbiamo agire in base alle sue
potenzialità.
90
L’azienda non segue rotazioni particolari. Addirittura sotto tunnel il pomodoro è
coltivato in alternanza biennale con lo zucchino da quindici anni senza che siano mai
comparse problematiche fitopatologiche. L’agricoltore non ricorre all’analisi del terreno.
Sono praticati sovesci autunno-vernini in pieno campo per apportare sostanza organica e
migliorare la struttura del terreno. Sono costituiti da una quindicina di specie (ma quella
predominante è il favino) la cui trinciatura avviene prima che giungano a piena fioritura.
In serra, invece, il sovescio è trinciato anche se non ha raggiunto la fioritura ma in funzione
dell’epoca di trapianto delle ortive.
La concimazione di base degli ortaggi è il letame, che è acquistato da aziende biologiche
o convenzionali della zona e poi compostato attraverso la tecnica del cumulo. Il cumulo
di compostaggio è statico e non rivoltato. La temperatura interna del cumulo, se fatto
bene, non deve superare i 50°C. Superata la fase termofila nel cumulo di compost vanno
inseriti i preparati biodinamici con un dosaggio di 2 grammi per ognuno. In un cumulo di
compost ogni 6 metri lineari vengono praticati 5 fori che raggiungono il centro, in ognuno
dei quali va inserito un preparato biodinamico72 . Un preparato a base di valeriana viene
inoltre sciolto in 5 litri di acqua tiepida e distribuito uniformemente sull’intera massa.
Il cumulo viene dunque ricoperto con abbondante paglia. Il compost è utilizzato in dosi
variabili in funzione della specie coltivata da 50 a 200q/ha (es. per il pomodoro si usa
la dose maggiore). L’agricoltore consiglia di fare il cumulo in primavera per concludere
il compostaggio ad ottobre-novembre. Il cumulo va bagnato se tende ad asciugare per
mancanza di pioggia.
L’agricoltore per le lavorazioni utilizza una macchina da lui modificata ("fresa miraco-
lo")73 Il controllo delle erbe spontanee, nello specifico contesto aziendale, non è ritenuta
una criticità. Il ricorso alla pacciamatura con film plastici è marginale e in via di elimina-
zione. Quando necessario si opera con lavorazioni meccaniche, infatti un unico passaggio
di sarchiatura basta per dare il vantaggio competitivo alle piante coltivate.
L’agricoltore afferma di non ricorrere ad alcuno dei principi attivi ammessi per la difesa
dei parassiti in agricoltura biodinamica. È utilizzato solo il rame nel vigneto in accordo
al regime di deroga previsto nel disciplinare Demeter.
72
Per maggiori dettagli sulla tipologia di preparato: Morra e Pergamo, L’agricoltura biodinamica: verso
un modello produttivo agroecologico.
73
L’attrezzo è una specie di fresa con lame foggiate e a L in grado di interrare direttamente il sovescio
e ripuntare il terreno alla profondità massima raggiungibile dall’attrezzo (30-32cm). La rotazione della
fresa è lenta , pari a un giro al secondo. La fresa Kubota è usata per la preparazione del letto di semina
più affinato quando è necessario.
91
Multifunzionalità Questo il quarto anno di corsi in azienda e nel campo agronomico,
i corsi coprono pressoché ogni ambito. In genere ai corsi partecipano molti giovani, ma
anche persone del settore che vengono dal convenzionale, dal biologico e dal biodinamico.
Molti giovani stanno approfittando dei Piani di Sviluppo Rurale (PSR) e dunque parte-
cipano allo scopo di avviare un’attività. Il ritorno alla terra dei giovani oggi, è un ritorno
diverso, ossia si torna per smettere di fare quella vita di città, di cibo di scarsa quali-
tà, di vita frenetica, per perseguire obiettivi di autosufficienza e per cercare un rapporto
con l’ambiente naturale. Coloro che vengono dal convenzionale, spesso vengono con la
disperazione di chi sta per chiudere l’azienda - perché col convenzionale non riescono ad
arrivare alla fine dell’anno. Queste persone sono fortemente motivate ed hanno la mente
predisposta ad accogliere le soluzioni ai problemi che il paradigma agricolo convenzionale
gli ha posto. Si fa lezione sia teorica che pratica sul campo, così chi è del mestiere si
accorge direttamente sul campo dei risultati della biodinamica. L’aspetto interessante è
che alla fine del corso, gli agricoltori già di mestiere passano al biodinamico e chi invece
viene per interessi hobbistici, molto spesso inizia a mettere in pratica la biodinamica.
Carlo ha inoltre fatto consulenza ad diverse aziende convenzionali che in due anni hanno
risparmiato sui costi dei fitofarmaci e hanno anche iniziato a migliorare le rese.
92
4.3 Dalla micro- alla macroeconomia: osservazioni sul-
la valenza paradigmatica di questi metodi
Dall’analisi dei casi di studio, oltre all’aspetto motivazionale legato alle scelte di vita
degli intervistati, si è voluto porre particolare attenzione agli aspetti determinanti la
strategia aziendale: le sovrapposizioni tra la sfera familiare e quella aziendale; i rapporti
con il mercato; la rilevanza delle componenti multifunzionali dell’attività aziendale; le
determinanti del ricambio generazionale.
Dal punto di vista delle necessarie esternalità positive ambientali e sociali è possibile
affermare che i metodi e i casi di studio presi in esame possono evidentemente mostrare di
soddisfare queste richiesta (per giunta in terreni acclivati). Dal punto di vista economico
la questione va problematizzata.
In primis ci sarebbe da chiedersi quale significato storico-economico possa avere l’uti-
lizzo di categorie dell’economia agricola industriale, come quella delle rese, nel tentativo
di valutare e penetrare le moderne proposte post-industriali provenienti dall’agroecologia.
In secondo luogo, si potrebbero fare due osservazioni per lasciare problematico il punto
precedente ma fornire al contempo due dati di fatto emersi dai casi di studio di cui so-
pra. La prima osservazione è che questi metodi agroecologici si possono ritenere resilienti
ai mutamenti climatici in termini di rese ed efficienti in termini di riduzione progressiva
dei fattori produttivi. La seconda è che l’unico vincolo di questi metodi agroecologici
sono i naturali tempi di crescita delle piante e degli animali (poiché non utilizzano input
non-naturali per forzare la crescita e realizzare colture o allevamenti a ciclo veloce).
Preso atto di quanto emerso da questa valutazione dell’agroecologia, la tentazione di
provare ad affermare che questi eterogenei - e per certi versi creativi - paradigmi agroe-
cologici, abbiano le caratteristiche ambientali, sociali ed economiche per passare dall’ap-
plicazione su piccola scala a quella su larga scala, potrebbe essere un fatale azzardo se
non si avesse la consapevolezza che vanno ripensate le seguenti questioni: l’accesso alle
conoscenze e alla terra; gli attuali costi burocratici per le aziende agricole; il rapporto
produttore-consumatore e città-campagna. Questi temi richiederebbero e meriterebbero
un altro lavoro di queste dimensioni, che dunque l’autrice rimanda a ricerche future.
93
Conclusione
Senza alcuna pretesa di offrire delle conclusioni, il lavoro condotto nelle pagine prece-
denti ha tentato di dimostrare come il settore agroalimentre globale e più approfondi-
tamente quello italiano, siano giunti a un crocicchio che vede da una parte una strut-
tura e formulazione del settore operante secondo le categorie dell’affermata agricoltu-
ra convenzionale-chimica e globalizzata; e dall’altro delle prospettive agroecologiche, al
momento pionieristiche ed operanti su piccola e media scala.
Se della prima via si è mostrato, con modesta completezza, che un eventuale prosieguo
in quella direzione avrà nefaste conseguenze ambientali, economiche e sociali; della seconda
si è potuto affermare che i principi su cui si basa, le proposte che indica e i casi di studio
che fino ad ora può portare a riprova (sia i casi mondiali che quelli italiani) possono essere
senz’altro d’ausilio all’interno della riflessione sul come ristrutturare il settore agricolo (e
più in generale agro-alimentare e in relazione con lo spazio urbano).
Visto il ruolo chiave dell’agricoltura nella gestione delle macrovariabili del nostro tem-
po (aumento della popolazione e mutamenti climatici di origine antropica),è evidente che
questo lavoro abbia cercato primariamente di problematizzare, e successivamente di ri-
spondere, alla domanda urgente di questa epoca: in che modo, in quale nuova veste e
dopo aver operato quale ristrutturazione, l’agricoltura potrà porsi sulla scena mondiale
e nazionale come settore centrale nel determinare gli assetti economici, storici e sociali
dell’oggi e del domani?
Ed è stato proprio ponendo l’agricoltura di fronte a questa questione e inserendola
in questo processo di trasformazione e nuove sfide dell’età contemporanea che è sta-
to necessario andare alle origini di quell’agricoltura che può offrire spunti e prospetti-
ve per la definizione e realizzazione di una concreta modernizzazione post-industriale
dell’agricoltura.
Si è tornato dunque all’origine dell’agroecologia globale e italiana, se ne è ricostruito il
94
percorso storico, contemporaneo ma meno felice di quello dell’agricoltura convenzionale-
chimica, e se ne è infine delineato l’attuale stato in termini di metodi, tecniche, competenze
e capitale umano già operante.
Così è emerso che l’agroecologia è divenuta progressivamente un concetto che può
prestarsi a costituire le fondamenta per una svolta radicale nel percorso evolutivo del
settore agricolo, con riferimento al complesso delle interazioni tra agricoltura, società e
ambiente.
Lo spazio rurale viene collocato in un percorso di sviluppo dove l’impronta antropica
agricola è congiunta alle risorse naturali; e l’agricoltura si fa custode di quel bene comune
che è la sovranità alimentare.
«L’aratro è una delle più antiche e più utili invenzioni dell’uomo; ma molto prima che
esso esistesse la terra era infatti regolarmente arata, e continua ad essere arata dai lombri-
chi».74 Il moderno paradigma agricolo, qualunque sarà, dovrà custodire l’indispensabile
esistenza di quella microflora e microfauna che fino ad ora abbiamo ignorato.
74
C. Darwin. La formazione della terra vegetale per l’azione dei lombrici con osservazioni intorno ai
loro costumi. Torino: Unione tipografico-editrice, 1882.
95
Appendice
La stima della superficie agricola utilizzata dal 1931 al 2011 (Tabelle 4.3 e 4.3) in Italia è
stata ottenuta a partire dai dati riguardanti gli ettari relativi al terreno arabile, le culture
permanenti e i pascoli in Italia.75 I dati mancanti relativi al 1937-1944, 1948, 1992, 1994,
2001, 2002, 2004, 2006 e 2008 sono stati stimati facendo la media tra la precedente e la
successiva misurazione disponibile. Notare come i valori della superficie agricola utilizzata
forniti dall’Istat76 negli anni 2003, 2005 e 2007 coincidono esattamente con questa stima.
La serie storica dal 1931 al 2011 della distribuzione di concimi chimici semplici e composti
in Italia (Tabelle 4.3, 4.3 e 4.3) è ottenuta a partire dai dati Istat.77
75
http://timeseries.istat.it/fileadmin/allegati/Agricoltura/tavole_inglese/Table_13.5.xls
76
http://dati.istat.it/
77
Dati fertilizzanti semplici 1931-2010: http://timeseries.istat.it/fileadmin/allegati/Agricoltura/
tavole_inglese/Table_13.18.xls Dati fertilizzanti composti 1931-2010: http://timeseries.istat.it/
fileadmin/allegati/Agricoltura/tavole_inglese/Table_13.19.xls Dati fertilizzanti semplici+composti
2011-2011: http://www.istat.it/it/files/2015/01/Fitosanitari-e-fertilizzanti.pdf?title=Distribuzione+
di+fertilizzanti+e+fitosanitari+-+20\%2Fgen\%2F2015+-+Testo+integrale.pdf
96
Tabella 4.1: Superficie agricola utilizzata dal 1931 al 1970 (migliaia di ettari)
97
Tabella 4.2: Superficie agricola utilizzata dal 1971 al 2011 (migliaia di ettari)
98
Tabella 4.3: Fertilizzanti chimici distribuiti dal 1931 al 1960 (migliaia di quintali)
99
Tabella 4.4: Fertilizzanti chimici distribuiti dal 1961 al 1990 (migliaia di quintali)
Tabella 4.5: Fertilizzanti chimici distribuiti dal 1991 al 2011 (migliaia di quintali)
100
Bibliografia
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