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“I SISTEMI AGROALIMENTARI ALTERNATIVI”

BOZZA 17/3/14 sera – 23:48

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Sommario
Introduzione................................................................................................................................. 3
1. LA RILOCALIZZAZIONE DEI SISTEMI AGROALIMENTARI...................................................4
1.1 Il sistema agroindustriale globale e la delocalizzazione della produzione..............................4
1.1.1 La sicurezza alimentare..................................................................................................6
1.1.2 I problemi ambientali.......................................................................................................9
1.1.3 La distribuzione del valore.............................................................................................12
1.2 Sistemi agroalimentari alternativi: alla ricerca di una definizione.........................................15
2. ESEMPI DI SISTEMI AGROALIMENTARI ALTERNATIVI.....................................................24
2.1 I mercati contadini................................................................................................................ 24
2.1.1 I mercati dei contadini nel mondo..................................................................................25
2.1.2 Considerazioni sull’esperienza dei mercati contadini....................................................29
2.2 I box schemes...................................................................................................................... 30
2.2.1 I box schemes nel mondo.............................................................................................30
2.2.2 Considerazioni sui box schemes...................................................................................31
2.3 Gli appalti pubblici per le mense..........................................................................................32
2.3.1 Il green procurement in Italia.........................................................................................35
2.4 L’Agricoltura sostenuta dalla comunità locale......................................................................38
2.4.1 Le prime esperienze: i Teikei in Giappone....................................................................39
2.4.2 Le Community Supported Agriculture (CSA) negli Stati Uniti.......................................41
2.4.3 L’Association pour le Maintien d'une Agriculture Paysanne: le AMAP francesi.............45
2.4.4 Le csa in Italia............................................................................................................... 47
3. I GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE....................................................................................49
3.1 I Gruppi di Acquisto Solidale storia e aspetti organizzativi...................................................49
3.2 I GAS come gruppi di partecipazione politica e nicchie di innovazione...............................54
3.2.1 Il gas di Cassina de’ Pecchi, uno spazio di partecipazione civica..................................61
3.2.2 Spiga&Madia - una filiera corta partecipata e solidale per i gas dell’area metropolitana di
Monza e della Martesana.......................................................................................................76
Conclusioni................................................................................................................................ 88
BIBLIOGRAFIA.......................................................................................................................... 90
SITOGRAFIA............................................................................................................................. 94

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Introduzione

Le domande a cui ho tentato di rispondere, scrivendo questa tesi, riguardano qualcosa che mi
riguarda molto da vicino: il mio modo “alternativo” di fare la spesa.
La spesa per la mia famiglia, infatti, la faccio attraverso un gruppo d'acquisto solidale, fondato
insieme ad alcune amiche, otto anni fa.
Questa diversa modalità di fare la spesa, investe molte delle mie energie, ma anche quelle delle
tante famiglie (in otto anni siamo cresciute da dodici a centoquaranta) con cui condivido questo
percorso. Mi interessava approfondire, da un punto di vista teorico, più oggettivo, il fenomeno
dei “sistemi agroalimentari alternativi” per comprenderne le possibili evoluzioni.
La prima domanda che mi sono posta ha riguardato la definizione di questi sistemi, soprattutto
per comprendere a cosa si ritenessero alternativi. Dal 1990 in poi è stata prodotta un'ampia
letteratura per l'indagine di questi sistemi, che sembra giunta in questi ultimi anni ad un punto
di maturazione e di revisione critica dei suoi stessi metodi. E' a questa ricerca che è dedicato il
primo capitolo.
Il secondo capitolo, invece, raccoglie una serie di esempi di letteratura che ne documentano la
diffusione nel mondo e la storia dell'affermazione delle forme più diffuse quali: i mercati
contadini, i box schemes, esperienze di Community Supported Agriculture e gli appalti pubblici
per le mense.
Nel terzo capitolo, invece, ho voluto dare una particolare attenzione ad una forma tipicamente
italiana di questo fenomeno, i Gruppi d'Acquisto Solidali (GAS), una realtà che come già detto,
conosco dall'interno e di cui ho voluto offrire uno scorcio, raccontando il GAS a cui appartengo
ed un'esperienza di co-produzione a cui partecipo.
Quello che ho scoperto è un fenomeno molto più complesso e diffuso nelle sue diverse forme di
quanto dalla mia visione interna, soggettiva e riduttiva, immaginassi. Ho avuto la sensazione di
trovare un mondo intero, in fermento, alla ricerca, per tentativi più o meno felici, di risposte alle
istanze di salute della Terra e dei suoi abitanti e alle istanze, altrettanto pressanti di giustizia
sociale.
Tutto questo sforzo, a mio parere, merita un'attenzione maggiore dalle Istituzioni per gli spunti
originali che può offrire nei termini, ma soprattutto nei metodi di ricerca delle soluzioni ai
complessi problemi dei nostri tempi.

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1. LA RILOCALIZZAZIONE
DEI SISTEMI
AGROALIMENTARI

1.1 Il sistema agroindustriale globale e la


delocalizzazione della produzione.

Il sistema agroalimentare comprende tutte le attività di produzione, trasformazione e


distribuzione di prodotti alimentari. La struttura del sistema agroalimentare ed il comportamento
delle imprese che vi operano dipende anche dall’ambiente socio-culturale e istituzionale di
riferimento. Le attuali caratteristiche del sistema agroalimentare derivano dai diversi
cambiamenti intervenuti in relazione ad alcune importanti fasi dello sviluppo delle economie
occidentali.
Dal dopoguerra ad oggi abbiamo assistito alla modernizzazione. alla internazionalizzazione e
alla terziarizzazione dei sistemi agroalimentari. Il processo di produzione, trasformazione e
distribuzione dell’agro-alimentare appare, oggi, sempre più globalizzato e concentrato nelle
mani di pochi attori internazionali. Il realizzarsi di questo stato di cose è stato facilitato dalle
innovazioni tecnologiche, dai progressi nei trasporti, dai sussidi della PAC e del WTO.
L’obiettivo primario delle politiche agricole del dopoguerra era, infatti, quello di garantire il
soddifacimento del bisogno alimentare delle Nazioni, tanto nel senso strategico che in quello
quantitativo e igienico sanitario.
Nei paesi sviluppati, la ricerca di efficienza economica nella produzione quantitativa ed

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igienicamente adeguata di alimenti che fossero anche accessibili tramite una disponibilità di
alimenti sul mercato a basso prezzo, ha prodotto importanti modificazioni nei sistemi produttivi
e distributivi. I sistemi agroalimentari, organizzati su scala globale, agiscono, oggi, adottando
processi produttivi specializzati con un elevato livello di adattamento a standard di efficienza e
competitività economica. Il consumatore, nei paesi industrializzati, ha molteplici esigenze nei
consumi alimentari sia per quanto riguarda le caratteristiche qualitative del prodotto che per il
contenuto di servizio dello stesso, quindi il mercato ne mette a disposizione un vasto
assortimento per soddisfare questi bisogni. I prodotti che incorporano un elevato livello di
servizio sono, spesso, il risultato di un sistema agroindustriale complesso, anche dal punto di
vista geografico. Le materie prime, prodotte in luoghi lontani dai centri di consumo, sia per
motivi climatici che in virtù dei bassi costi di produzione e di trasporto, subiscono le
trasformazioni iniziali nei luoghi di origine e quelle a più elevato valore aggiunto nei luoghi di
consumo. La delocalizzazione può essere di tipo orizzontale, o diretta, che si realizza tramite
l’acquisizione delle realtà produttive locali da parte delle multinazionali dell’agroalimentare.
(Schiattarella, 1999) Questa formula consente, attraverso il riconoscimento dell’indipendenza
del management delle unità produttive acquisite di valorizzare al meglio le risorse locali.
(Robinson, 2004).
In alternativa, la delocalizzazione, nei sistemi agroalimentari, può essere di tipo verticale dove i
soggetti coinvolti operano in ambiti geografici separati.(Schiattarella,1999) Analogamente a
quanto accade ad altri sistemi produttivi nei settori no-food, la punta estrema di questo processo
vede i sistemi agro-alimentari sottoposti ad un fenomeno di polverizzazione dei processi
produttivi in segmenti che possono essere delocalizzati fuori dall’impresa finale, anche
all’estero (offshoring). Di conseguenza, anche il commercio internazionale si configura in
maniera crescente come trade-in-tasks piuttosto che trade-in-goods, spostandosi dal
tradizionale scambio di beni completi a commercio, fra nazioni, dei vari “compiti” necessari alla
produzione di quei beni. Si tratta, in altri termini, di un nuovo assetto della divisione
internazionale del lavoro, in cui un numero crescente di beni sono il risultato di lunghe catene
produttive globali alle quali diversi Paesi contribuiscono, aggiungendo gradualmente frammenti
di valore. Questo fenomeno determina la creazione di filiere produttive e distributive cosiddette
filiere lunghe .(Mancini, 2010).
Questo modello di filiera ha un’efficienza finanziaria notevole, garantendo la migliore
allocazione delle risorse finanziarie al fine di massimizzare gli obiettivi produttivi. Non sempre
però risulta altrettanto efficiente in termini socio-economici ed ambientali.1

1
Dichiarazione per la riforma della PAC da parte di un gruppo di eminenti economisti (2009)

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La società, il mondo scientifico e la politica si interrogano, infatti, sui i cambiamenti climatici in
atto, sulle diseguaglianze sociali ed economiche diffuse tra paesi a diverso grado di sviluppo,
sulle differenze in termini di concentrazione di ricchezza e divario sociale nei paesi sviluppati,
sulle conseguenze sulla salute umana dei nuovi stili di vita prodotti da questo modello di
produzione, trasformazione e consumo, sul persistere del problema della sicurezza alimentare,
anche nella sua dimensione quantitativa e di accesso, nei paesi meno sviluppati, e nella sua
dimensione qualitativa in quelli sviluppati. E’ noto, infatti, il dibattito pubblico in corso, in tutto il
mondo, ormai da quasi trent’anni, sulla sostenibilità di questo modello dal punto di vista
ambientale, sociale ed economico. Questo aspetto incide, anche, sulle dinamiche delle
tendenze di consumo. Sempre maggiore è, infatti, l’attenzione agli aspetti socio-ambientali e
culturali dei consumi alimentari che risponde all'esigenza del consumatore di perseguire, anche
attraverso l'attività di consumo, la tutela delle risorse materiali e immateriali (consumi
“ecologici”, solidali). (Belletti, Marescotti 1996 ).
Molteplici le prospettive teoriche dalle quali si invoca la necessità della rilocalizzazione dei
sistemi agroalimentari, di seguito una breve e non esaustiva rassegna delle prospettive teoriche
di questo complesso fenomeno.

1.1.1 La sicurezza alimentare


I rapidi cambiamenti socioeconomici, che si sono succeduti dagli anni ‘60 in poi, hanno
profondamente modificato lo stile di vita delle persone e i loro comportamenti di consumo
favorendo l’affermarsi di nuove tendenze come il time-saving, ovvero la crescente richiesta di
servizi incorporati nei beni di consumo che permettono di risparmiare tempo sia nella fase
dell’acquisto, che in quella della preparazione dei pasti; la destrutturazione dei pasti (snacking),
e la tendenza, sempre più accentuata di consumare pasti fuori di casa. Nel sistema
agroalimentare, questi cambiamenti hanno contribuito spostamento del peso economico dalle
attività di produzione a quelle di trasformazione e di distribuzione. (Belletti, Marescotti 1996).
Dagli anni 90, si registra una nuova attenzione al prezzo (dopo gli anni del consumo euforico
70-80), complice la crisi economica ma anche in una cornice di ricerca razionale di allocazione
del reddito nel soddisfacimento dei molteplici bisogni del consumatore [Censis 1994; Fabris
1995].Si può dire che i consumi, nella società contemporanea, tendono a soddisfare un bisogno
crescente di attenzione per i problemi legati agli aspetti materiali (consumi salutistici) e
G. Anania, L. Bartova, S.v. Cramon-Taubadel, F.X.M. de Avillez, T. Doucha, E. Erjavec, G. Faber, S.E. Frandsen, J.
Garcia Alvarez-Coque, D. Gavrilescu, M. Hofreither, I. Kriščiukaitiené, A. Matthews, A. Miglavs, P. Mishev, K. Pietola, J.
Popp, E. Rabinowicz, A. Swinbank, J. Swinnen, R. Värnik, J. Wilkin, V. Zahrnt
http://www.reformthecap.eu/home

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immateriali (edonistici e identitari) della propria soggettività (Belletti, Marescotti 1996). Come
affermava Mardsen (1998) “i mercati alimentari si stanno differenziando sulla base di una serie
di criteri di definizione della qualità socialmente costruiti”.
La tendenza salutistica dei consumi probabilmente è da attribuire al fatto che negli ultimi anni si
stanno moltiplicando da più parti le raccomandazioni nutrizionali per una dieta più salutare. E’
ormai riconosciuto il legame tra alimentazione e salute pubblica. Nel 2002 la Food and
Agriculture Organization (FAO) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno
costituito un comitato consultivo a servizio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) che
ha prodotto il rapporto tecnico OMS nr 916 riguardante l’attuale rischio alimentare rispetto alla
salute. I rischi per la salute evidenziati nel rapporto si riferiscono tanto a quelli strettamente
igienici dovuti alla contaminazione degli alimenti da virus o sostanze tossiche (influenza aviaria,
mucca pazza, diossina, etc.) che a quelli dovuti allo stile di vita e ai comportamenti alimentari
squilibrati che portano a malattie come l’obesità , il diabete e le malattie cardiovascolari. Esiste
poi, anche il caso di quei rischi non sempre calcolati come quelli relativi agli organismi
geneticamente modificati sulla cui sicurezza non è stata ancora raggiunta un’evidenza
scientifica. L’Organizzazione Mondiale della sanità calcola che un miglioramento delle diete
potrebbe prevenire tra il 30 e il 40% dei casi di cancro e che circa un terzo dei casi di malattie
cardiovascolari sono riconducibili a cattive abitudini alimentari ( Mazzocchi,2005).
L’opinione pubblica è stata sollecitata a riflessioni sul tema della qualità dai numerosi scandali
sanitari che si sono susseguiti negli ultimi anni come la BSE, l’inquinamento da botulino in
conserve industriali, la presenza di carni di cavallo non destinate all’alimentazione all’interno di
prodotti di nota marca . Gli scandali hanno incrinato la fiducia del consumatore che la grande
distribuzione aveva costruito dal dopoguerra agli anni ‘90. Ciò ha contribuito ad aumentare la
tendenza della grande distribuzione a mettere a punto un numero elevato di standard privati,
precorrendo la regolamentazione pubblica obbligatoria, con l’obiettivo di selezionare i fornitori al
fine di raggiungere livelli più elevati di sicurezza alimentare. I costi di questa strategia gravano
però sulla fase di produzione della filiera e sul consumatore finale, aumentando quindi quelli
che si definiscono i costi di transazione. (de Stefano, 2007).
La sicurezza alimentare, oggi, non è riferibile al solo aspetto quantitativo, come accadeva fino a
qualche decennio fa quando l’attenzione all’ aspetto qualitativo riguardava, quasi
esclusivamente, l’integrità igienico sanitaria degli alimenti (Caswell, 1991); oggi, nei paesi
avanzati il concetto è più complesso in quanto comprende oltre alla salubrità aspetti qualitativi
multidimensionali che si riferiscono a valori etici, sociali ed ambientali, quindi sempre più legati
allo sviluppo sostenibile (de Stefano, 2007).

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Il problema globale della malnutrizione che interessa i paesi più sviluppati, come ipernutrizione
(che spesso riguarda gli strati più poveri delle società) e i paesi meno sviluppati come
l’iponutrizione, può essere inteso come un problema di sicurezza alimentare in questa nuova
accezione.
La profonda trasformazione operata dalla globalizzazione, dal progresso tecnologico, dalla
terziarizzazione e dalla finanziarizzazione dell’economia, si riflette anche sulle filiere
agroalimentari. L’apertura dei mercati ha rotto gli equilibri competitivi consolidati generando
maggiori occasioni per un’intensificazione delle attività speculative nelle commodities. Alcuni
paesi hanno alimentato la volatilità del mercato adottando nuove forme di protezionismo in
assenza di un governo globale della sicurezza alimentare, creando disparità nella ripartizione
tra gli attori delle filiere. (Frascarelli, Sotte, 2010). Negli anni ‘70 si definiva la sicurezza
alimentare come “disponibilità in ogni momento di adeguate riserve mondiali di prodotti
alimentari di base….per sostenere una rapida espansione del consumo di cibo …e per arginare
le fluttuazioni nella produzione e nei prezzi del cibo (ONU 1975)”. La definizione di “sicurezza
alimentare” è cambiato nel corso del tempo a testimoniare l’evoluzione dell’idea che è sottesa a
queste parole. Negli anni ‘80 il piano della definizione si sposta sul diritto individuale di accesso
al cibo, infatti una delle più citate definizioni di food security, tratta da uno studio della World
Bank (1986) recita: “La food security è l’accesso da parte di tutte le persone, in ogni momento
della propria esistenza, ad una quantità di cibo sufficiente per condurre una vita attiva e
salutare”.
Secondo la Fao (2009) la crescita dei prezzi del 2007-2008 ha determinato un aumento dei
sottonutriti a livello globale di circa 100 milioni di individui, allontanando drammaticamente il
raggiungimento del primo obiettivo del millennio, ovvero il dimezzamento del numero degli
affamati.
Nei paesi meno sviluppati, infatti, la sicurezza alimentare è ancora un problema di accesso al
cibo. Una parte consistente del nostro mondo soffre ancora la fame. I dati FAO ci dicono che
sono 842 milioni le persone che soffrono di fame cronica nel mondo, nel periodo 2011-2013.
Sebbene si registri un miglioramento rispetto ai periodi precedenti, questo risulta di entità
minima, e sicuramente lontano dagli obiettivi che l’ONU si era data negli otto Millenium Goals
da realizzare, inizialmente entro il 2010 e poi rimandati al 2015.
Successivamente si sono inclusi nel concetto di sicurezza alimentare anche aspetti qualitativi
del cibo in questo modo: “La condizione di food security viene raggiunta quando tutte le
persone, hanno accesso fisico, sociale ed economico a cibo sufficiente, sicuro e nutriente, che
incontri le loro necessità nutrizionali e le loro preferenze, tanto da permettergli di condurre una

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vita attiva e sana” (FAO 1996).
Per i movimenti per il diritto al cibo dei paesi del sud del mondo (es La via campesina) la ri-
localizzzazione dei sistemi agroalimentari in un ottica di sovranità alimentare è la base per una
reale sicurezza alimentare. Al Forum per la Food Sovereignty in Selinguè, Mali, nel Febbraio
2007, circa 500 delegati provenienti da più di 80 paesi hanno adottato la Dichiarazione di
Nyèlèni che afferma: “la sovranità alimentare è il diritto degli individui al cibo sano e
culturalmente appropriato, prodotto attraverso metodi sostenibili ed ecologicamente validi e il
loro diritto a definire il loro sistema agricolo ed alimentare”. Il concetto di sovranità alimentare
affrontando il problema dell’accesso e delle forme di controllo delle risorse per produrre il cibo
esce da un ambito strettamente tecnico per confluire in un ambito tecnico-politico.(Fiammingo,
Bocchi, 2010)

1.1.2 I problemi ambientali


I cambiamenti climatici in atto, la riduzione delle riserve energetiche fossili, l’impoverimento
della terra sottoposta a sistemi di coltivazione non sostenibili, la competizione rispetto ad usi
diversi del suolo, sono questioni globali che non vanno poste in secondo piano quando si parla
di sviluppo agricolo in relazione all’ambiente. Gli scenari futuri prevedono sempre meno risorse
a fronte di maggiori bisogni per una popolazione in crescita.
Gli ambientalisti mettono l’accento soprattutto sulla salute della Terra e dei suoi abitanti e
quindi sugli effetti negativi che il sistema agroindustriale ha su di essi: inquinamento della terra,
contributo all’effetto serra, riduzione della biodiversità, eccessivo consumo di acqua, riduzione
della fertilità dei suoli.
Questi effetti. che gli economisti definiscono esternalità negative, sono da tempo oggetto di
ricerca e di politiche di mitigazione. Anche la Comunità Europea, a partire dal 1992, ha riservato
uno spazio sempre maggiore all’interno della PAC alle misure a salvaguardia dell’ambiente
attraverso l’agricoltura, favorendo gli agricoltori che adottano tecniche di coltivazione e
allevamento a basso impatto ambientale, ovvero agricoltura integrata e agricoltura biologica.
L’agricoltura a basso impatto ambientale limita fortemente le esternalità negative, influendo
sull’ecosistema per il minore impatto ambientale su flora e fauna e biodiversità potenziale; sul
suolo e la sua fertilità; sulla riduzione dell’inquinamento delle acque. L’agricoltura biologica, poi,
a differenza dell’integrata, da origine a prodotti che sono facilmente identificabili tramite un
marchio che trasmette al consumatore l’idea che le condizioni di produzione siano più
ecocompatibili. (Franco 2007).
Nella valutazione dell’impatto ambientale dei prodotti agricoli, non bisogna, però, tralasciare il

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consumo energetico a questi connesso. Anche se il parametro è di difficile valutazione sembra
che si possa affermare che soltanto una quota minoritaria (stimata da vari studi tra un quinto ed
un terzo) dell’ energia associata agli alimenti venga consumata in fase di produzione e che il
resto sia, invece, attribuibile al trasporto e alla trasformazione (Pollan 2006). Il margine di
salvaguardia ambientale riconducibile alla scelta di preferire un acquisto biologico ad uno di un
prodotto convenzionale, risulta, alla luce di queste considerazioni, veramente ridotto. La
differenza di prezzo di questi prodotti rispetto agli analoghi convenzionali, differenza che trova
giustificazione nella valorizzazione dell’aspetto di salvaguardia ambientale del prodotto bio, non
appare più così giustificabile, se non si prendono in considerazione in detta valutazione anche
altre variabili, come ad esempio, la collocazione geografica del luogo di produzione rispetto a
quello di consumo.
Il concetto di cui stiamo parlando e quello del “food miles”, ovvero la stima dell’impatto
ambientale del trasporto del cibo dal luogo di produzione a quello di consumo tramite la
misurazione dei chilometri percorsi durante la fase produttiva e distributiva. Il trasporto del cibo
impatta su una notevole gamma di fattori: inquinamento dell’aria, traffico, incidenti,
inquinamento acustico, emissioni di biossido di carbonio, consumo di combustibili fossili
( quest’ultimo aspetto rientra anche nella fase di produzione).
La Soil Association, la più rappresentativa associazione britannica per il sostegno al biologico,
ha deciso di negare il marchio biologico ai prodotti trasportati per via aerea sottolineando la
contraddizione tra tutto ciò che dovrebbe rappresenta il termine “biologico” rispetto all’impatto
con l’ambiente e certe modalità distributive, altamente impattanti sull’ambiente stesso. Questa
contraddizione ha portato, infatti, nel mercato britannico, ad un effetto di sostituzione tra
alimenti biologici e alimenti di produzione locale a favore di questi ultimi. La regolamentazione
comunitaria del biologico si riferisce solo alla conduzione dei processi produttivi e non da
nessuna indicazione, nemmeno di indirizzo, rispetto alle modalità distributive , diversamente
l’IFOAM (International Organic Food Movement) sollecita ad “usare risorse rinnovabili all’interno
di sistemi di produzione organizzati su base locale”, e “progredire verso una catena di
produzione completamente organica che sia socialmente giusta e ecologicamente
responsabile” (IFOAM, 1996) (Franco, 2007).

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Illustrazione 1: (Testo tratto da Fonte, Agostino 2008)

Il principio ecologico ci richiama i valori dell’ agroecologia. L'agroecologia è definita dall'OCSE


(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) come «lo studio del rapporto fra
coltivazioni agricole e ambiente». Non si tratta di una vera e propria disciplina, ma piuttosto di
un approccio differente alle problematiche agricole inserite nel contesto ambientale.
Fin dagli anni ‘90, sotto la spinta degli ambientalisti, conseguente alla crisi dell’inquinamento da
fitofarmaci e fertilizzanti dei corpi idrici degli anni ‘80, l’Europa ha cominciato ad introdurre
misure di supporto, attraverso la PAC, ad una agricoltura più rispettosa dell’ambiente, le
cosiddette misure agro-ambientali. Nel 1991 con il regolamento CEE 2092\91 si introdusse il
disciplinare biologico, che prevedeva, oltre a misure agronomiche da reintrodurre nella pratica
colturale, fondamentalmente l’esclusione dei fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi in favore di quelli

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organici, sulla base dell’assunto che questi ultimi fossero meno dannosi per l’ambiente.
Assunto, in verità, non sempre giustificato da evidenze scientifiche in campo agronomico.
L’introduzione di tali misure ha fatto si che la ricerca, dagli anni ‘90 in poi, si dirigesse anche in
campo agronomico, non concentrando le risorse esclusivamente nel campo delle agro-
biotecnologie e dell’aumento della produttività. In questo caso, la comunità scientifica
agronomica, in particolare quella italiana, ha fallito la missione di supportare queste politiche
agricole e ha dovuto assumere, ex post, il ruolo di supporto scientifico all’innovazione
nell’ambito dei vincoli imposti dalla normativa.(Roggero, Toderi, Seddaiu, 2006). A fronte degli
innegabili risultati in termini di efficienza di produzione ottenuti dalla “rivoluzione verde”, gli
effetti negativi sull’ambiente sono altrettanto evidenti. L’approccio agroecologico si prefigge di
capirne le cause assumendo la necessità, a tale scopo, di una visione multidimensionale,
sistemica, degli agrosistemi in luogo della visione tradizionale settoriale, basata sulle discipline
scientifiche quali l’agronomia, la genetica, la patologia vegetale, l’entomologia etc, focalizzando,
invece, l’attenzione sulle connessioni e le interdipendenze ecologiche tra le diverse componenti
dell’agrosistema. (Vandermeer, 1995).

1.1.3 La distribuzione del valore


Un altro aspetto critico del sistema convenzionale di produzione e distribuzione del cibo, è
quello della giustizia sociale nel senso dell’equa ripartizione del valore prodotto nel sistema tra
gli attori del processo produttivo, trasformativo e distributivo.
Le possibilità offerte dalla tecnologia hanno moltiplicato la gamma di prodotti alimentari
estremamente diversificati e personalizzati sulle esigenze dei consumatori, producibili in vasta
scala a partire da materie prime praticamente non differenziabili. In queste condizioni, la
maggiore quota di valore va a vantaggio dei trasformatori industriali e dei distributori che
operano adottando nuove forme di concentrazione oligopolistica a danno di agricoltori e
consumatori.(Sotte ,2010).
Nel modello neoclassico che analizza il processo di sviluppo, la dinamica strutturale del
processo implica il declino del contributo relativo alla formazione del reddito e all’occupazione
da parte del settore agricolo sia destinato a ridursi man mano che lo sviluppo procede. Nei
paesi ad economia sviluppata, il settore primario occupa una posizione decisamente marginale,
avendo subito un condizionamento esogeno tramite l’introduzione nel processo produttivo
agricolo di fattori della produzione e tecnologia provenienti appunto dall’esterno, ovvero
dall’industria. Ciò porta ad un processo di industrializzazione dell’agricoltura che abbandona gli
schemi tradizionali e diventa agroindustria. L’alternativa, per l’impresa che non si sviluppa

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secondo questo modello, è la marginalizzazione o l’uscita dal mercato. Le aziende agricole, si
trovano impotenti ad essere compresse fra i crescenti costi dei fattori produttivi e i bassi prezzi
del mercato all'ingrosso, il cosiddetto “squeeze on agriculture” (Van der Ploeg, 2006).Secondo
Van der Poeg ci sono tre risposte possibili quando le aziende si trovano a questo punto: un
incremento di scala molto accelerato che implica una riduzione delle aziende e il rafforzamento
di quelle aziende che sono in grado di adottare un modello industriale; il trasferimento
dell’attività agricola in contesti diversi dall’Europa occidentale riutilizzando i terreni a fini diversi
da quelli agricoli; lo sviluppo rurale , secondo un nuovo paradigma, alternativo a quello vigente
nel contesto moderno, la cosiddetta ri-contadinizzazione dell’agricoltura (van der Ploeg, 2006).
Secondo l’autore la modernizzazione agricola rompe l’unità produzione-riproduzione dei fattori
produttivi sganciando l’azienda dal contesto locale inteso come ecosistema e come prodotto di
rapporti sociali. L’introduzione in azienda dei fattori di produzione esterni determina una
standardizzazione dei processi produttivi, sempre più sganciati dai contesti locali e sempre più
dipendenti dalle prescrizioni esterne (regulatory treadmill), ovvero dal regime tecnologico
dominante. L’alternativa prevede, invece, la valorizzazione delle capacità gestionali
dell’agricoltore e della sua attitudine a sperimentare per migliorare la produzione nell’ambito di
un processo autonomo, cioè determinato dai soggetti sociali che operano a livello locale e che
elaborano strategie di sviluppo economicamente e socialmente sostenibili. (Cavazzani,2007). ll
valore risiede nelle qualità consentite dal progresso tecnico, accompagnate dalle azioni di
marketing. Ad ogni prodotto agricolo tradizionale corrisponde, oggi, un’ampia gamma di
prodotti, di varianti tipologico-qualitative e di servizi connessi, richiesti all’agricoltura. Aumenta
la gamma dei prodotti alimentari che si caratterizzano anche per i propri contenuti immateriali
(confezione, formato, marca, etichetta, tracciabilità, garanzia di qualità, tipicità) e ciò investe
tutta la filiera. La crescita dell’attenzione da parte del consumatore all’aspetto multifunzionale
della produzione agricola che include, oggi, anche prodotti energetici, turistico ricreativi,
culturali, curativi e riabilitativi, di valorizzazione di beni pubblici e privati aumenta la complessità
delle scelte dell’agricoltore che deve interrogarsi non solo sul come produrre, ma anche su
quali qualità orientare la produzione, per chi produrre, quando e come vendere. L’impresa che
rinuncia a diversificare e si attesta sulle attività produttive tradizionali, rischia di perdere
opportunità di valorizzazione dei fattori della produzione impiegati e di essere penalizzata sotto
il profilo economico. (Sotte, 2006)

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Il triangolo del valore dell’agricoltura diversificata

La figura tratta da una ricerca europea X (Countrysides: Rural Development Processes in


Europe: the State of the Art, Elsevier, EBI, van der Ploeg, J.D., Long A., Banks J. Living, 2002),
presenta i termini della questione in modo particolarmente efficace. A partire dall’ambito,
divenuto ormai ristretto, dell’agricoltura tradizionale, rappresentato dal triangolo interno, la
ricerca del valore spinge l’agricoltura a diversificare in tre fondamentali direzioni:
l’approfondimento, l’allargamento e il riposizionamento I tre termini “approfondimento”,
“allargamento” e “riposizionamento” sono la migliore traduzione (Sotte, 2006) degli originali
“deepening”, “broadening” e “regrounding”.

L’approfondimento si riferisce a tutte le innovazioni di prodotto o processo, alle trasformazioni


dei prodotti in ambito aziendale, alla filiera corta ed all’uso di input interni in sostituzione di quelli
esterni.
L’allargamento riguarda quelle attività che affiancano l’attività agricola, come il contoterzismo,
l’agriturismo, fattorie didattiche, musei agricoli, occasioni per agricoltura sociale (servizi
residenziali, terapeutici, di recupero sociale), ma anche tutte quelle attività connesse alla cura
dell’ambiente e del paesaggio sia come servizi a i privati che agli enti pubblici.
Il riposizionamento si riferisce invece a quelle attività esterne all’attività agricola, ma integrate e
complementari con essa in ambito rurale al fine di ottimizzare l’impiego dei fattori produttivi
fornendo integrazioni di reddito all’agricoltore e alla sua famiglia (integrazione rurale) in settori
l’artigianato, la produzione artistica, il commercio il turismo.
Secondo la ricerca citata la diversificazione è già in atto e riguarda un numero considerevole di
piccole aziende in tutta Europa, la percentuale di aziende del campione che avrebbero

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approfondito o allargato la propria attività risultava superiore al 50% e nel sub-campione
italiano al 55%.

1.2 Sistemi agroalimentari alternativi: alla ricerca di


una definizione
La globalizzazione dei sistemi agroalimentari, da quanto detto finora, non ha portato alla
scomparsa dei sistemi agroalimentari locali, che, anzi, spesso si caratterizzano proprio
valorizzando la specificità della loro dimensione locale e la propria capacità di interfacciarsi con
l’aspetto sociale e ambientale dei territori.
Molte delle esperienze volte ad una rilocalizzazione dell’economia, attraverso lo spostamento
delle attività di produzione, distribuzione e consumo all’interno dei territori sono organizzate
secondo modalità di filiera corta e\o locale: vendita diretta in azienda, mercati dei produttori,
vendita diretta a distribuzione periodica (box-schemes), vendita diretta in spacci collettivi,
agricoltura supportata dalle comunità (CSA), Gruppi di acquisto Solidali, contratti pubblici per
forniture alimentari di origine locale.
Le piccole e medie imprese che rispondono a questa nuova domanda di prodotti più sani e
sostenibili, sperimentando la vendita diretta, la trasformazione in azienda dei prodotti, la
multifunzionalità, sembrerebbero ritrovare, in queste esperienze di “rilocalizzazione” , spazi di
azione, elaborando strategie che permettono di sottrarsi alla logica del mercato globale e della
tecnologia del sistema dominante, aumentando la redditività aziendale e nello stesso tempo la
propria autonomia, nonché riappropriandosi del ruolo di produzione di capitale sociale tipico
della civiltà contadina. Considerando che le piccole medie imprese agricole ( in Europa
costituiscono circa l’80% della totalità delle imprese agricole) soffrono la marginalizzazione
imposta loro dalla globalizzazione, ci rendiamo conto che, per esse, la scelta dei canali di
sbocco della filiera corta potrebbe costituire un’alternativa all’uscita definitiva dal mercato.
Nel report per la UE “Filiera corta e sistemi agroalimentari locali nell'UE. Uno stato dell'arte
delle loro caratteristiche socio-economiche.” (2013) c’è un tentativo di identificare e definire
quelli che potremo definire sistemi alternativi ai sistemi convenzionali di produzione e
distribuzione, al fine di sviluppare politiche di sostegno e di consolidamento.
Si parte dalle filiere corte e dalle filiere locali per trovare le caratteristiche di sostenibilità sociale,
ambientale che dovrebbero essere proprie dei sistemi alternativi.
“Un sistema alimentare locale-LFS è- quello in cui vengono prodotti alimenti , trasformati e
commercializzati all'interno di una zona geografica delimitata”.

15
Si constata, però, che è difficile una definizione di locale, in quanto la definizione di questo
attributo è soggettiva e dipende dal contesto e dallo scopo. Inoltre la produzione di alimenti,
oggi, rende difficile definire un cibo “locale”, in quanto alcuni dei fattori produttivi impiegati su un
determinato prodotto potrebbero avere origini tutt’altro che locali, anche per prodotti molto
semplici. I prodotti possono essere coltivati o allevati in un luogo e spostati altrove per il
confezionamento o la trasformazione e tornare poi nel luogo di origine per la vendita. Questo
potrebbe indurre in inganno i consumatori che acquisterebbero come “locale” un prodotto che
magari incorpora una certa quantità di “food miles”2.
Esempi di sistemi alimentari locali sono: mercati degli agricoltori , vendite dirette , box
schemes , CSA e sistemi di appalti pubblici che favoriscano l’origine locale dei cibi.
Molti ricercatori sostengono che “la capacità di risocializzazione e rispazializzazione del cibo
appartenga soprattutto ai sistemi agroalimentari a filiera corta, SFSC” In questi sistemi il
consumatore associa il prodotto ad un ben definito luogo, ad un produttore specifico, ad un
processo produttivo documentato (magari anche sulla confezione o comunicato presso il punto
vendita); questo permette al consumatore di dare un valore ad aspetti che giudica significativi
per la sua esperienza di consumo ed al produttore di spuntare un prezzo superiore. In teoria
quanto più un prodotto si radica nel suo luogo di produzione tanto più accresce la sua specificità
e quindi la sua scarsità nel mercato.
I ricercatori individuano tre principali tipologie di SFCS in grado di operare una connessione tra
consumatore e produttore:
● faccia a faccia, che include: la vendita diretta (anche tramite internet); il pick your own,
ovvero la possibilità per il consumatore di raccogliere da sé il prodotto all’interno
dell’azienda; gli spacci aziendali; i mercati contadini; le vendite sul ciglio della strada.
● vicinanza spaziale: i prodotti sono prodotti e venduti al dettaglio in un luogo specifico, i
punti vendita sono gestiti da rivenditori specializzati in grado di istruire il consumatore
sulla specificità del prodotto; i prodotti sono somministrati in luoghi di consumo (pub,
ristoranti, etc) che si caratterizzano per l’offerta di cibo di produzione locale; strutture
pubbliche che offrono nelle loro mense prodotti di provenienza locale tramite sistemi di
appalti che favoriscono l’origine locale delle derrate; in alcuni paesi, come la Francia e
l’Inghilterra si sta affermando la tendenza di supermercati che vendono prodotti
alimentari di provenienza locale.
● spazialmente esteso: le informazioni sul luogo e sui processi di produzione vengono
2
è un termine che si riferisce alla distanza cibo viene trasportato dal momento della sua produzione fino al
consumatore . Miglia alimentari sono uno dei fattori utilizzati nel valutare l' ambientale impatto dei prodotti alimentari, tra cui
l'impatto sul riscaldamento globale

16
comunicati ai consumatori che sono al di fuori della regione di produzione. In questa
categoria ricadono tutti i prodotti che sono riconducibili ad una specifica zona geografica
da un riconoscibile sistema di etichettatura, come ad esempio la DOP o l’IGT.
Le obiezioni per l’inclusione di quest’ultima categoria nei sistemi agroalimentari alternativi
riguardano gli alti costi di certificazione che possono essere sostenuti solo da realtà “grandi”, e
ciò allontanerebbe dall’obiettivo di sostenere la piccola e media impresa, e il fatto che queste
produzioni, pur avendo un‘accezione locale non soddisfano necessariamente i requisiti di
sostenibilità sociale e ambientale che il consumatore richiede.
Nel dibattito europeo sulla definizione dei sistemi agroalimentari alternativi, la Francia ha la
posizione istituzionale più avanzata. In Francia si è abbastanza concordi sul collegare la
brevità della filiera al numero di intermediari tra produttore e consumatore che questo numero
dovrebbe essere al massimo uno. Il Ministero dell’Agricoltura francese definisce infatti gli SFSC
come sistemi con uno o meno di un intermediario. Sempre secondo autori francesi a questa
definizione si può aggiungere la locuzione di locale se il processo avviene in un raggio
geografico limitato (80 km).
SFSC tipologie
vendita di prossimità VENDITA DIRETTA IN AZIENDA
realizzata da contadini singolarmente o collettivamente, ma di (on farm sales)
prodotti sempre riconducibili alla denominazione dell’azienda spaccio aziendale
produttrice agriturismi, B&B, etc
vendite sul ciglio della strada
pick-your own

VENDITA DIRETTA FUORI DALL’AZIENDA


(off farm sales)
mercati contadini o altri mercati
punti vendita di proprietà dell’azienda
fiere e sagre
vendita a cooperative di consumatori o gruppi di acquisto

VENDITA DIRETTA FUORI DALL’AZIENDA


(off farm sales)
vendita dei prodotti a mense (ospedali, scuole) dove
l’istituzione pubblica viene considerata il consumatore finale

CONSEGNE DIRETTE DALL’AZIENDA


box schemes

CSA (o equivalenti, GAS, AMAP)


presentano differenze in base alle diverse regioni e paesi,
maseguono gli stessi principi essenziali per cui gli abbonati
ricevono una quota del raccolto in cambio di denaro e lavoro.

vendita a distanza CONSEGNE DIRETTE DALL’AZIENDA


realizzata da contadini singolarmente o collettivamente, ma di box schemes
prodotti sempre riconducibili alla denominazione dell’azienda commercio elettronico
produttrice negozi specializzati

17
Anche negli Stati Uniti il fenomeno della rilocalizzazione dei sistemi agricoli è in atto, fin dagli
anni ‘90. L’USDA, il dipartimento per l’agricoltura degli Stati Uniti, in un interessante report del
(Local food systems, 2010), cerca di definire il fenomeno. Negli USA, il concetto di locale non
ha una definizione univoca, ma dipende molto dalle caratteristiche delle aree considerate e
dalla loro vastità e densità abitativa. Se per alcuni mercati contadini ci si riferisce ad una
distanza variabile a seconda dei casi tra 75 e 100 miglia, in alcuni casi ci si riferisce ai prodotti
all’interno della contea o addirittura allo stato in cui il prodotto viene commercializzato. Non è
solo l’ambito geografico che definisce per gli statunitensi ciò che è locale e ciò che non lo è,
entrano nella definizione anche i concetti legati ai temi ambientali, alla sostenibilità, al
benessere animale. Non ultimo rientra nell’accezione di locale quello che potremmo definire il
“senso del luogo”, ovvero tutto ciò che il prodotto rappresenta in termini di legame con il
territorio.
Il rapporto distingue due tipologie di mercato dei prodotti locali, su una base organizzativa:
“direct-consumer market” e “direct-retail\foodservice market”. Nella prima categoria rientrano
tutte quelle esperienze di vendita diretta al consumatore dal pick-your-own3 alla CSA4. Nel
secondo caso, invece, le vendite ai distributori e il cosiddetto procurement, ovvero le forniture
ad enti che preparano pasti per le comunità. Le statistiche del report indicano che i mercati dei
prodotti locali rappresentano una piccola, ma crescente, quota di produzione agricola degli Stati
Uniti. Per le aziende più piccole la vendita diretta ai consumatori rappresenta una percentuale
più elevata delle vendite rispetto a ciò che accade per le aziende di grandi dimensioni. Il
dinamismo del fenomeno e la sua diffusione sono tali da influenzare anche il marketing della
grande distribuzione organizzata, che tende ad offrire prodotti locali nei suoi punti vendita. Nel
2007 il cibo locale venduto negli stati Uniti attraverso la vendita diretta al consumatore era di
1,2 miliardi di dollari contro i 5 miliardi di dollari dell’altro canale di vendita. L’aspetto più
interessante della situazione negli USA è quello riguardante il procurement e, in particolare, i
programmi Farm to school. Questi programmi rappresentano una forma istituzionale di
sostegno allo sviluppo dei mercati agroalimentari locali. Nati tra il 1994 e il 1997 (in questo
triennio si registravano 2 programmi attivi), nel 2009 erano più di 2000, in 41 stati e riguardanti
più di 8000 scuole con un il trend di crescita esponenziale.
Il sostegno pubblico al cibo locale, sano, sostenibile non passa solo attraverso il “green
procurement” da parte delle scuole, ma anche da un notevole dispiegamento di mezzi sia a
livello locale che federale a favore di politiche di supporto alla diffusione di questo tipo di cibo,
3
diffuso nei paesi anglofoni, è una modalità di vendita diretta che prevede la raccolta da parte del cliente, soprattutto per la
frutta.
4
Community Supported Agriculture - vedi capitolo 2.

18
sia in termini di servizi di marketing che di programmi di sviluppo rurale. I motivi di questo
sostegno sono da ricercarsi nei potenziali impatti in termini economici, ambientali , sanitari e
sociali dei sistemi agro-alimentari locali. La dimensione del fenomeno non permette di definire
un’evidenza scientifica dei vantaggi conseguibili da questi sistemi, ma esistono evidenze
empiriche su molti dei programmi attuati. In particolare, il programma Farm to school porta
oggettivi riscontri in merito all’aumento della salubrità dell’alimentazione delle scuole coinvolte
nel programma affiancata ad un maggior sviluppo economico locale. Ancora partendo dal
presupposto che il sistema agroalimentare convenzionale degli Stati uniti contribuisce con il
16%, consumo di energia, in gran parte da combustibili fossili, la riduzione potenziale
dell’incidenza nel consumo da parte del trasporto risulta interessante.
Molte delle esperienze “virtuose” citate dai numerosi studi nascono dall’iniziativa o dei piccoli
produttori o dei consumatori che cercano risposte alle loro esigenze, diverse da territorio a
territorio, ma accomunate dalla necessità di sottrarsi al mercato globale. La ricerca di qualità e
di salubrità degli alimenti, con l’approvvigionamento diretto, si accorda con la sostenibilità
economica degli acquisti da parte di consumatori provati dalla crisi e concede, dall’altro lato,
margini più ampi alle imprese la cui dimensione non permette altre possibilità di aumento della
redditività della produzione. Una recente ri-definizione di queste filiere corte è Food Community
networks (Pascucci, 2010). La caratteristica comune dei prodotti scambiati in queste filiere è
l’elevato “costo di transazione” connesso all’individuazione e quantificazione della qualità in essi
contenuta. (prodotti biologici, prodotti del commercio equo, prodotti da “agricoltura sostenibile”).
Nei FCN, i costi di transazione si riducono notevolmente. La certificazione della qualità viene
spesso affiancata o, addirittura sostituita, dal rapporto fiduciale che si crea tra produttore e
consumatore. I costi di transazione poi si riducono ulteriormente grazie all’eliminazione o alla
forte riduzione degli intermediari. La possibilità di poter collocare anche piccole quantità,
eliminando le barriere imposte dagli operatori di mercato aumenta il potere di mercato dei
piccoli produttori. Nel caso di filiera strettamente locale si registrano benefici effetti sulla
collettività, grazie al risparmio energetico nelle fasi di trasporto e confezionamento e tramite
l’attivazione di economie locali.
In queste “filiere corte partecipate” dove il consumatore partecipa al processo produttivo e
distributivo, con risorse finanziarie, competenze e tempo, la relazione fiduciale che si genera tra
gli attori della filiera favorisce l’instaurarsi di relazioni di lungo termine simile alle alleanze
strategiche tra imprese. Si riduce l’asimmetria informativa tipica dei sistemi convenzionali. I
consumatori tramite la loro partecipazione attiva al processo produttivo e distributivo,
contribuiscono, in pratica, alla creazione di quel patrimonio di fiducia che permette di

19
stabilizzare il rapporto con i produttori, di conseguenza si riduce l’instabilità del reddito di questi
ultimi e l’incertezza sugli investimenti.
Da quanto detto quindi, ne discende che un fattore caratterizzante l’”alternatività” di questi
sistemi vada ricercato anche nella relazione tra consumatori e produttori, e agli effetti della
partecipazione dei consumatori nel processo produttivo-distributivo.
Da ciò, se il report europeo e quello statunitense affrontano la questione dei sistemi
agroalimentari alternativi , fondamentalmente da un punto di vista economico-organizzativo, ci
sembra interessante prendere in considerazione anche gli aspetti innovativi della questione
anche nel senso sociale e tecnico, secondo l’approccio suggerito dallo studio comparativo tra
diversi paesi europei, tra cui l’Italia, IN-SIGHT “Strengthening Innovation Processes for
Growth and Development” – European commission – 2006-2008, mette l’accento proprio
sull’aspetto innovativo di questi processi in atto, analizzandoli da diversi punti di vista.
Lo studio prende in considerazione esclusivamente esperienze bottom-up, in quattro paesi
europei Francia, Italia, Svizzera e Olanda e analizza i sistemi alternativi per gli aspetti
innovativi dal punto di vista economico, organizzativo, tecnico e sociale.

tipo di innovazione
economica tecnica organizzativa sociale
vendita diretta tramite x x x
internet
gas e csa x (x) x x
negozi collettivi x (x) x x
vendita diretta in aree x (x) ?
dedicate dei supermercati
vendita in gruppo a x (x) x
singoli

In particolare dal report si evince che quando l’innovazione parte dallo stimolo consumatore,
sono maggiormente implicate le variabili di carattere etico-sociale, quando invece parte dagli
agricoltori, sono preponderanti gli aspetti economici. Appare chiaro che quando l’innovazione
presenta carattere sociale, il processo che la porta a palesarsi è necessariamente di tipo
collaborativo, anzi la collaborazione tra gli attori del sistema risulta essere una sorta di strategia
integrata dell'innovazione che si sviluppa in un processo di scambio e apprendimento reciproco
continuo.
Molti studi confermano la presenza, nella filiera corta locale una vera e propria innovazione nel
senso della “risocializzazione” e “rispazializzazione” del cibo attraverso le relazioni di prossimità
che questi meccanismi ricreano tra produttori e consumatori. La competitività di queste aziende
si basa proprio sul valore aggiunto del legame tra produttore e consumatore alleati nella difesa

20
di principi ecologici (riduzione dell’impronta, salvaguardia della biodiversità), culturali
(autenticità, identità, cultura alimentare), etici (solidarietà, rispetto, equità) e politici
(cambiamento dei rapporti di forza nella filiera, riorientamento dei modelli di produzione e
consumo).
Le esperienze di rilocalizzazione delle produzioni agroalimentari, dove non si consideri
l’accorciamento delle distanze tra chi produce e chi consuma solo dal punto di vista fisico, ma
anche sociale, culturale ed economico, sono di difficile definizione. Non si può, in
contrapposizione alle convenzionali filiere lunghe e globali, definirle semplicemente “filiera corta
e\o locale”.
La dimostrazione che potrebbe essere riduttivo intendere la rilocalizzazione esclusivamente nel
senso dell’avvicinamento geografico tra luogo di produzione e quello di consumo è data dal
caso Slow Food. Il movimento Slow food e la sua rapida espansione dimostrano l’efficacia di
una competizione dei prodotti che incorporano una cultura locale percepita come specifica ed
eccellente. La tipicità, in questo caso, diviene un simbolo di identità che si contrappone alla
globalizzazione dei consumi e che può essere scambiata anche su mercati “distanti” oltre che
locali, senza perdere quel valore dell’alleanza tra produzione e consumo nella ricerca
dell’affermazione di valori diversi e non riconducibili alla sola logica del profitto.
Slow Food è un'associazione no-profit che conta 100.000 membri in 150 paesi del mondo.
Fondata da Carlin Petrini nel 1986, si pone l’obbiettivo di promuovere nel mondo il cibo buono,
pulito e giusto (Slow Food). L’associzione Slow food è un esempio di un processo di
costruzione di significati alternativi per la qualità (Brunori 2006). Il simbolo della lumaca che
caratterizza il suo logo, l’invito a rallentare in contrapposizione alla spinta del fast food degli anni
ottanta, esprime una forma specifica di qualità basata su uno stile di vita diverso, lento, che si
contrappone a ciò che il fast food significa, ovvero, standardizzazione e delocalizzazione. La
contrapposizione si gioca tra cibo tradizionale e cibo industriale, tra qualità organolettiche
peculiari del primo e standardizzazione del gusto del secondo. Ogni gruppo Slow food ha una
storia, ma volendo generalizzare, si può dire che il metodo che l’associazione usa, consiste
nell’identificazione di un prodotto locale che abbia un potenziale di valorizzazione e lavorando
insieme con i produttori crea un progetto locale di valorizzazione, includendo la comunità locale
nella rete Slow food, mettendo a disposizione le competenze dell’associazione e la sua
visibilità. Dal canto loro i produttori devono riqualificare il prodotto e adottare un preciso codice
di condotta, questo conferisce al prodotto lo stato di Presidio. Il prodotto può quindi accedere al
Salone del gusto, la fiera biennale di Slow food che si tiene a Torino, e aumentare la rete di
diffusione, facendo crescere la sua reputazione, sviluppando, in conseguenza di ciò, strategie di

21
rilocalizzazione. L’organizzazione, spesso basata sull’azione di volontari, in pratica, connette
produttori, amministrazioni, consumatori consapevoli, negozi specializzati, reti locali e reti più
ampie. Solo in Italia, l’associazione conta 200 presidi, coinvolgendo 1600 produttori. Slow food
trasforma, con il suo lavoro di comunicazione , il Local Food in Locality Food (Brunori 2006), un
cibo cioè con qualità peculiari legate al Territorio che lo produce. La sempre maggiore
consapevolezza delle comunità dei Presìdi ha permesso di espandere il campo di azione dal
concetto iniziale di Buono (qualità organolettiche dei cibi locali) a quelle attuali di Pulito (qualità
ambientale, sostenibilità, difesa della biodiversità) e Giusto (dimensione etica della qualità, nel
senso della giustizia sociale, modalità di produzione, lavoro).
L’esempio Slow Food ci indica il potenziale del binomio cibo-luogo nella generazione e nello
sviluppo di Sistemi Agroalimentari Alternativi.
La rilocalizzazione può avvenire secondo tre strategie: rilocalizzazione simbolica, fisica e
relazionale. (Brunori 2006)
La rilocalizzazione simbolica è quella che assegna al luogo di origine del prodotto un'idea di
sicurezza e di qualità, un esempio può essere proprio il Made in Italy. La difesa della
corrispondenza reale di un determinato prodotto al luogo di origine si effettua tramite la
tracciabilità e le etichettature.
La rilocalizzazione fisica riguarda una riconfigurazione dei modelli di approvvigionamento delle
materie prime e localizzazione degli impianti di trasformazione per usufruire del valore aggiunto
legato ad un luogo di produzione. In Italia l’uso dei marchi DOP e Igt è, talvolta strumentle,
permettendo, alcuni disciplinari, di localizzare, obbligatoriamente, solo alcune fasi del processo
produttivo di questi prodotti. L’attenzione maggiore dei consumatori alla coerenza dei processi,
il movimento Food Miles, stanno incoraggiando i produttori a spostare fasi della produzione
all’interno delle zone delimitate.
La rilocalizzazione relazionale è quella che si realizza intorno alle iniziative di “marketing bottom
-up”, come la vendita diretta, nelle sue varie accezioni, o lo sviluppo dei distretti agricoli. Si
caratterizza per la crescita delle reti locali, l’aumento dei flussi informativi con ricadute in termini
di apprendimento e di innovazione.
Le strategie citate non si escludono a vicenda, ma possono essere molto interrelate. Su questi
criteri, simbolico, fisico, relazionale si può operare una distinzione tra diversi “tipi” di cibo in
relazione al luogo: Local food e Locality food (rapporto Curry DEFRA, 2002). Il Local Food viene
inteso come il cibo della comunità locale, prodotto e riprodotto al suo interno, consumato
localmente, abitualmente e garantito da un rapporto fiduciale tra consumatori e produttori. Il
Locality food non presuppone l’appartenenza di consumatori e produttori alla stessa comunità,

22
viene spesso consumato fuori dai luoghi di produzione sulla base della percezione, da parte del
consumatore, di peculiari caratteristiche dovute alla provenienza da un determinato luogo,
certificato attraverso sistemi formali di qualità e\o commercializzato attraverso modelli che ne
permettano l’identificazione e il controllo delle caratteristiche di qualità. Infine si può introdurre
una terza categoria, il Localistic Food, in cui la scelta dei consumatori del cibo prodotto
localmente riflette anche una ricerca di qualità associata a fattori ambientali, di sicurezza e
freschezza, nonché ad una ricerca di identità che viene co-costruita con i produttori e costituisce
la garanzia della qualità ricercata.
Questa analisi suggerisce che la strategia più consona alla rilocalizzazione dei sistemi
agroalimentari, laddove non esistano caratteristiche della produzione che si vuole rilocalizzare
ascrivibili alla dimensione Local o Locality, è quella relazionale. I produttori dovrebbero, non
potendo conferire ai propri prodotti un valore del luogo tale da spuntare su mercati lontani un
prezzo premium, recuperare valore aggiunto chiudendo i cicli aziendali, trasformando
internamente i prodotti, per risparmiare sui costi di produzione. Dovrebbero, poi,
commercializzare tramite filiere corte, organizzandosi in rete sia tra produttori che con i
consumatori e sostituendo le certificazioni con la fiducia personale per ridurre i costi di
transazione.
E’ chiaro che esista un’oggettiva difficoltà di definizione di questi sistemi, ciò è dovuto
fondamentalmente al fatto che questi sono definiti più per quello che non sono che per quello
che sono (Treager, 2011). Nella interessante review sulla letteratura prodotta in questo ambito
dal 1990 in poi ”Progressing knowledge in alternative and local food networks: Critical
reflections and a research agenda” a cura di Angela Treager si affronta proprio il problema della
definizione di questi sistemi, considerando le diverse prospettive teoriche da cui sono stati
analizzati., senza omettere gli studi che analizzano le negatività in ambito sia economico che
sociale attribuibili a questi sistemi, come l’esclusività e l’elitarismo che talvolta li caratterizzano
o il dubbio sugli effetti moltiplicatori per le economie locali che non sempre si realizzano o che
semplicemente vanno a compensare perdite in settori diversi qualora si realizzino.

23
2. ESEMPI DI SISTEMI
AGROALIMENTARI
ALTERNATIVI

2.1 I mercati contadini


L’agricoltore che sceglie di vendere in azienda i propri prodotti fa una scelta di totale autonomia
decisionale sia per l’aspetto produttivo che per quello commerciale. Alcune tipologie di prodotto
si prestano particolarmente a questa scelta e sono gli ortaggi, la frutta, che non richiedono
trasformazione o prodotti come la carne i formaggi l’olio il vino, ben valorizzati, in particolare
quando la prima trasformazione avviene in azienda. E’ molto importante che i prodotti offerti
direttamente al consumatore siano di qualità e varietà sufficienti a soddisfare i bisogni del
consumatore stesso. In genere hanno successo in questa attività le aziende piccole e flessibili
nella modifica degli ordinamenti produttivi che siano localizzate in zone periurbane o comunque
in prossimità di luoghi molto frequentati. Le forme possono essere diverse e più o meno
impegnative sia dal punto di vista economico che dal tempo necessario a realizzarle e vanno
dal pick-your-own, in cui il cliente entra in campo e “si serve da solo” raccogliendo il prodotto
che vuole acquistare (in genere frutta) fino a vere e proprie botteghe all’interno dell’azienda. Un
alternativa alla vendita diretta in azienda sono i mercati contadini.
I farmers’ markets o farmers markets (letteralmente “mercati dei contadini” o “mercati
contadini”) sono mercati, dove i produttori agricoli effettuano la vendita diretta delle proprie
produzioni. Il fenomeno è iniziato a partire dagli anni '70, nei paesi occidentali, nelle zone
periurbane su iniziativa dei produttori e delle loro organizzazioni. Dagli anni '90 in poi la

24
diffusione di questa nuova modalità distributiva ha cominciato a crescere esponenzialmente, sia
per la domanda, altrettanto crescente, di prodotti da “filiera corta” sia per i contesti istituzionali
spesso favorevoli.( Rossi, Brunori, Guidi,2008)

2.1.1 I mercati dei contadini nel mondo

Negli USA , dove si sono diffusi a partire dalla California, negli anni ‘90, si chiamano farmers’
markets e costituiscono una realtà significativa. ll numero di mercati è salito a 7.864 nel 2012
contro i 5.274 nel 2009, 2.756 nel 1998 e 1.755 nel 1994, secondo l’ USDA. L’82% dei
farmers’markets è auto-finanziato direttamente dai produttori, il resto è supportato da enti vari,
sia locali che statali e federali, ma anche da imprese private e organizzazioni no-profit. L’aspetto
educativo è parte integrante dei farmer’s market statunitensi: dal ’92 è attivo un programma
finanziato dal Congresso per svolgere attività di educazione alimentare all’interno dei farmers
market. I destinatari sono i bambini, i giovani e le donne, cui si insegna a riconoscere, mangiare
e cucinare i prodotti freschi dell’agricoltura. Il Dipartimento dell’agricoltura degli Usa ha
approvato un programma di promozione dei mercati contadini con una dotazione finanziaria di 1
milione di dollari. Ogni mercato può ricevere contributi sino a 75.000 dollari. Al di là dei sostegni,
i farmers market nella maggioranza dei casi sono autosufficienti in quanto le entrate coprono
tutti i costi di gestione. Il Dipartimento agricoltura del governo statunitense è impegnato anche
nella promozione dei mercati contadini e nella gestione di tutte le forme di vendita diretta. Una
delle iniziative di promozione è, dall’agosto 2006, la settimana nazionale dei mercati contadini. Il
valore della vendita diretta tramite i farmers’ markets, viene ritrovato soprattutto nelle
caratteristiche di freschezza e genuinità dei prodotti e nel risanamento e all’animazione dei
centri storici delle città.

In Francia un analoga iniziativa è rappresentata di “Marché paysan” nata nel 1992 nel
dipartimento dell’Aveyron, sono mercati espressamente destinati ai produttori agricoli che
vendono direttamente i propri prodotti. La formula ha subito delle evoluzioni: da «Marché de
pays» la denominazione si è trasformata in «Marché de producteurs de pays» e infine in
«Marché paysan». Non si è trattato di una semplice evoluzione linguistica ma di una precisa
strategia di marketing: nei «Marché paysan» sono presenti produttori agricoli che vendono solo i
loro prodotti mentre negli altri casi possono essere presenti anche artigiani e commercianti con
prodotti, locali. Le varie formule, comunque, continuano a sussistere e, oggi la vendita diretta

25
dei prodotti rappresenta il 20% del totale.). Il ruolo di promozione e di coordinamento dei
«Marché paysan» viene svolto, spesso, dalle Chambres d’agriculture attraverso l’adozione di
una carta degli impegni e di un regolamento che devono essere condivisi, di uno stesso logo e
di campagne promozionali. I mercati contadini necessitano di un’autorizzazione alla vendita e
all’uso del suolo pubblico. La responsabilità dell’organizzazione è di una collettività locale o di
un’associazione. I prodotti posti in esposizione e in vendita devono essere ottenuti con l’impiego
di materie prime aziendali e mediante processi di trasformazione non industriali, oltre a essere
conformi alle norme vigenti in materia di protezione dei consumatori e sicurezza igienico-
sanitaria. Inoltre quasi tutti i mercati prevedono momenti di animazione in quanto contribuiscono
al loro successo.

In Germania nel 2008 risultavano attivi più di 5.000 mercati contadini. Una delle prime realtà è
sorta a Coburgo in Baviera nel gennaio del 1992 ed è oggi è una delle esperienze tedesche più
avanzate. Gli organizzatori del mercato dei contadini di Coburgo sono partiti da uno studio con
cui sono state analizzate le potenzialità del mercato e le attese dei consumatori (domanda
commerciale, struttura dell’offerta, analisi dei giorni e luoghi del mercato). I risultati sono stati
poi esaminati da un gruppo di lavoro che ha pensato, innanzitutto, a come rendere uniforme e
armonica l’immagine del mercato. Il risultato ha portato all’elaborazione di un logo da riportare
sulle strutture adibite alla vendita, sulle borse per gli acquisti e sui dépliant utilizzati per la
promozione. Grazie a questo studio, l’iniziativa , nei primi tempi osteggiata dai commercianti
della città , si è rivelata successivamente un volano per lo sviluppo dello stesso commercio
locale. Il mercato di Coburgo è diventato da mensile a cadenza settimanale, il volume di affari
degli esercizi che insistono sulla piazza del mercato contadino nei giorni di apertura è
aumentato del 50% e gli amministratori cittadini possono utilizzarlo come strumento di
animazione del centro storico e di marketing urbano. I venti produttori del mercato contadino
hanno stipulato, tramite l’associazione che gestisce il mercato, accordi di fornitura con le mense
cittadine per la ristorazione collettiva. Ogni anno, dal 1994, nei primi giorni dell’anno, si tiene a
Monaco di Baviera «La conferenza sul mercato contadino bavarese», che ha il compito di fare
nuove proposte, curare la formazione per i dirigenti dei mercati contadini e l’immagine
complessiva di questi ultimi, per i quali si è elaborato anche un marchio di qualità. Il Ministero
per l’alimentazione l’agricoltura e l’ambiente ha promosso sin dal 1998, un progetto pilota di
ottimizzazione dei mercati contadini bavaresi con il compito di fare nuove proposte e curare la
formazione per i dirigenti dei mercati contadini e l’immagine complessiva di questi ultimi, per i
quali è stato anche elaborato un marchio di qualità.

26
L’associazione bavarese dei mercati del contadino (Bayerischer Bauern Verband), inoltre, è
arrivata ad un tale livello di efficienza che offre ai propri associati un vero e proprio pacchetto di
servizi che comprende: consulenza legale, contabile e fiscale; assicurazioni; formazione e
consulenza .

Nel Regno Unito, invece, il fenomeno dei farmers’ markets è più recente: il primo fu inaugurato
nel 1997 e nel 2008 un’indagine dell’Associazione Nazionale Vendita Diretta e Mercati dei
Produttori (FARMA) ne contava 500 per un fatturato di 2 miliardi di sterline. FARMA è una
grande organizzazione, rappresenta le aziende agricole che vendono direttamente ai clienti
attraverso spacci aziendali, pick-your-own, mercati contadini, consegna a domicilio e alla
ristorazione. Questa associazione fornisce assistenza tecnica, promuove e supporta ila vendita
diretta ed è un ente certificatore. I criteri di cui tiene conto sono il rapporto diretto produttore-
consumatore, la presenza di una tradizione aziendale, il benessere animale e la capacità di
differenziarsi dal mercato ambulante tradizionale. Rappresenta gli interessi dei mercati presso
le istituzioni locali, regionali e presso le agenzie comunitarie e ogni anno organizza un concorso
che premia il migliore mercato contadino dell’anno .

In Italia, i mercati contadini sono regolamentati dal d.lgs. 228/2001 e il d.m. 20 novembre 2007
e sono gestiti dagli agricoltori in forma riunita o tramite le loro associazioni o dal personale dei
Comuni che li promuovono e li ospitano. Campagna Amica della COLDIRETTI ha censito 878
farmer’s market nel 2011, in zone urbane o periurbane, ai i quali hanno accesso le imprese
agricole locali, per un totale di 20.800 imprenditori agricoli e un fatturato stimato in 320 milioni di
euro nel 2010.
Le prime forme di vendita diretta dei prodotti agricoli nascono in Italia quarant’anni fa, non come
mercati a sé stanti ma all’interno di fiere e sagre di paese, con l’unica eccezione di quanto
accade nel Comune di Jesi che già dal 1960 offre un apposito spazio ai produttori provenienti
dalle valli jesine e dalla Valle dell’Aso. Dalla fine degli anni 80 al 2000, comincia, nel nostro
paese un processo di valorizzazione della vendita diretta all’interno di mercati di produttori.
Verso la fine degli anni Novanta che si utilizza per la prima volta la dicitura “mercato del
contadino” per contraddistinguere dalle abituali strutture dedicate al commercio all’ingrosso e al
dettaglio quelle aree riservate invece alla distribuzione di ortofrutta, miele, formaggi, ecc. da
parte degli stessi produttori: i mercati del contadino di Bolzano sono del 1996, quello di Varese
Ligure del 1998.
Ma è il Decreto legislativo del 2001 detto “legge di orientamento” (D. Lgs. 228/2001) a dare

27
l’opportunità ai produttori agricoli di accedere senza intermediazioni alla vendita al dettaglio in
forma itinerante; la legge aveva dato forza all’esercizio di tale pratica, ampliandola anche alla
commercializzazione di prodotti acquistati presso terzi, e collocandola comunque al di fuori della
disciplina ordinaria del commercio. Da allora, il fenomeno è in continua crescita. Il Decreto del
2007 ha contribuito a rafforzare queste esperienze, esso fa specifico riferimento alla
‘realizzazione di mercati riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli’, allo
scopo di ‘soddisfare le esigenze dei consumatori in ordine all’acquisto di prodotti agricoli che
abbiano un diretto legame con il territorio di produzione’. La legge definisce soggetti e modalità
di vendita e demanda ai Comuni la concreta realizzazione degli stessi attraverso la messa a
punto di un disciplinare che regoli i mercati e le attività educative sulla qualità agroalimentare
che è possibile sviluppare all’interno dei mercati stessi. I mercati contadini e la vendita diretta in
generale rispondono anche a quei criteri di apertura della azienda agraria che sono alla base
della multifunzionalità a cui la PAC ha indirizzato buona parte delle sue risorse.
I soggetti promotori di questi mercati sono, sia istituzioni pubbliche che associazioni di
produttori, associazioni ambientaliste, movimenti culturali . Infatti le forme che questi mercati
assumono e la cadenza con cui si tengono differiscono molto tra loro a seconda degli obiettivi
degli organizzatori. Citiamo ad esempio i Mercati della terra che seguono le linee guida di Slow
Food (cibi locali “buoni, puliti, giusti”) o i Mercati di campagna Amica di organizzati dalla
Coldiretti in cui i produttori interessati si riuniscono in un’associazione che organizza e il
mercato e viglia sui requisiti degli aderenti; nei mercati di campagna Amica i prezzi vengono
mantenuti a meno 30% sui prezzi giornalieri rilevati dal sistema SMS consumatori
www.smsconsumatori.it..
Ancora si possono citare le biodomeniche di Legambiente, riservati ai soli produttori biologici
con cadenza annuale o i “mercati delle identità”, ovvero i mercati contadini sostenuti da ANCI-
Res Tipica che offrono non solo prodotti di qualità, ma anche servizi culturali legati all’arte ed
alla tradizione enogastronomica del territorio: degustazioni, lezioni di cucina, corsi di
educazione alimentare, momenti di informazione e formazione sui saperi rurali.
Una delle prime esperienze in tal senso è la riattualizzazione della Fierucola del pane di Firenze
risalente al 1984. La Fierucola era un mercato contadino storico di epoca medioevale interrotto
nell’800. Questo mercato che si replica circa venti volte all’anno, da spazio alle realtà produttive
medio piccole al fine di valorizzarle non solo sul piano commerciale, ma anche e soprattutto su
quello culturale e sociale. In Toscana, nel 2005 si contavano una decina di esperienze simili. e
sono in crescita esperienze analoghe in tutta Italia. Le amministrazioni stanno infatti scoprendo
le potenzialità di queste iniziative nei processi di sviluppo rurale e locale o di marketing

28
territoriale. Alcune Regioni (Toscana , Lazio, Lombardia) hanno cominciato a sostenerne lo
sviluppo attraverso specifiche misure legislative( Rossi, Brunori, Guidi,2008).

2.1.2 Considerazioni sull’esperienza dei mercati contadini

I mercati contadini hanno molteplici funzioni, incrementano la produzione agricola locale, danno
ai contadini una possibilità di entrare in circuiti commerciali più remunerativi, rafforzano il
rapporto fiduciale tra produttori e consumatori, educano i consumatori alla consapevolezza
fornendo indicazioni sulla modalità di produzione , aiutano i produttori ad acquisire minime
strategie di marketing, migliorano la vita sociale dei centri ove si svolgono.(Rossi, Brunori,
Guidi,2008) In alcuni paesi, ad esempio gli USA, un ulteriore motivo è legato alla questione
della sicurezza alimentare Infatti, secondo alcuni sondaggi, i consumatori in questi anni, hanno
mostrato un maggiore interesse verso i prodotti coltivati e realizzati in loco, rispetto a quelli
importati, considerato l’aumento del rischio di terrorismo.(USDA, 2010). Nei paesi nordeuropei,
che presentano una sensibilità ambientalista più spiccata, un altro motivo di successo è da
ricercarsi nella riduzione della impronta ecologica dei consumi attraverso il ricorso al cibo
prodotto e commercializzato localmente.
Per quanto riguarda i mercati italiani, uno degli aspetti critici rilevati, man mano che le
esperienze evolvono, è la debolezza, nei mercati di recente attivazione, degli agricoltori che
raramente vengono coinvolti nei processi decisionali relativi alla organizzazione e conduzione
del mercato, ma invitati a presenziare in un contesto definito a priori. Un‘altra criticità è quella
dell’indebolimento del sistema valoriale che stava alla base delle prime esperienze, che
manifestavano una forte volontà di riorientare il sistema di produzione e consumo verso una
maggiore sostenibilità sociale, economica ed ambientale. Nascono spesso, infatti, conflitti sulla
configurazione da dare al mercato e all’offerta di prodotti poichè molti operatori sono più
orientati al profitto che non al rispetto degli aspetti più etici, ecologici e politici dell’esperienza.
Anche il problema del giusto prezzo impegna i dibattiti tra all’interno delle varie organizzazioni
dei piccoli produttori, soprattutto dato il periodo di recessione economica che attraversiamo. Le
strategie di valorizzazione dei prodotti da filiera corta passano o dalla solidarietà verso la
piccola agricoltura (riconoscendo il valore ambientale, sociale e territoriale di queste realtà) o
dalla convenienza economica del consumatore : prodotti genuini a prezzi bassi.
La conformità alle norme igienico sanitarie e delle certificazioni della veridicità delle
dichiarazioni sulle qualità del prodotto, sono altri punti del dibattito intorno a queste forme di
vendita che richiedono una formalizzazione e una redifinizione delle regole ad hoc al fine di

29
consolidare e diffondere questa tipologia di di distribuzione, senza incorrere nel rischio di una
convenzionalizzazione e standardizzazione del settore, la cui forza innovativa sta proprio nella
peculiarità delle sue forme locali.

2.2 I box schemes


Il box scheme è una forma distributiva di prodotti agricoli stagionali, solitamente biologici o da
agricoltura sostenibile, organizzata direttamente dal produttore o da gruppi di piccoli produttori,
gestito su base locale o regionale. I consumatori si abbonano, con una cadenza settimanale o
quindicinale , e ricevono a domicilio una cassetta (box) di prodotti freschi, fondamentalmente
frutta e verdura, prodotti nell’azienda presso la quale si sottoscrive l’abbonamento e, spesso,
assortiti a discrezione del produttore in base alla disponibilità in azienda.

2.2.1 I box schemes nel mondo

Il box scheme è una forma di approvvigionamento dei prodotti agro-alimentari diffusa soprattutto
negli Stati Uniti, in Canada e nei Paesi del Nord Europa. La distribuzione di cassette di frutta e
verdura biologiche, fresche e di stagione è un fenomeno che si è diffuso rapidamente nel Regno
Unito, dove all'inizio del 2007, secondo la Soil Association, le vendite al dettaglio attraverso tali
sistemi erano al di sopra di £ 100 milioni all'anno. Un tale successo ha suscitato anche
l’interesse della Grande Distribuzione Organizzata inglese, infatti, alcune delle più grandi
catene hanno offerto il servizio di box schemes di prodotti biologici a domicilio ai propri clienti.
Anche in Germania la dimensione del fenomeno è imponente sia per la tradizione di vendita
diretta che questo paese ha per l’agroalimentare che per l’affidabilità percepita di questo
sistema che è presente dai primi anni 90. Nel 2004 in Germania si contavano circa 300
aziende che praticavano questa modalità di vendita, di cui 145 erano in grado di praticare
soluzioni complesse come la personalizzazione del box, con ordini settimanali medi per azienda
da un minimo di 400 fino ad un massimo di 2000. Anche qui il successo dell’iniziativa è tale da
spingere la GDO a offrire i box come una forma aggiuntiva di servizio verso la propria clientela.
In Danimarca e nel Regno Unito, invece l’offerta è più concentrata, catalizzandosi
principalmente intorno a poche aziende leader. In questi paesi la GDO copre circa il 75-85% del
mercato dei prodotti biologici, imponendo una basso grado di assortimento, concentrandosi su

30
8-15 prodotti base e offrendoli a prezzi bassi. Questo aspetto unito a considerazioni ambientali
(riduzione dei food miles,eccesso di imballaggi) ed etiche (scarso riconoscimento agli agricoltori
in termini di pagamento dei prodotti in campo), ha favorito lo spostamento dei consumatori critici
verso alternative di distribuzione come i “box schemes”. (Haldy,2004)
In Olanda, il pioniere in questa forma di vendita è stato Natural food shop, una catena di
botteghe di prodotti biologici, che, negli anni 90, non avendo nei suoi punti vendita sufficienti
spazi per ospitare i prodotti freschi, li utilizzava come punti di raccolta ordini e di consegna di
“Bag” di prodotti freschi biologici (Bag system) che provenivano da piccoli produttori locali. Nel
2001 due imprese olandesi detenevano il 78% del mercato dei prodotti freschi bio con
modalità box-schemes. Con la diffusione di negozi di alimenti naturali e la maggiore disponibilità
di cibi bio nei supermercati, il fenomeno è andato declinando.
In Italia cominciano a diffondersi esperienze di box schemes dagli anni 2000. A Lagundo in
provincia di Bolzano ha sede la cooperativa Bio Kistl Südtirol costituita da cinque produttori
biologici ha cominciato nel 2001 a vendere ortofrutta bio in abbonamento con consegna a
domicilio. Il sistema Bio Kistl, letteralmente Bio Cassetta, prevede la consegna a domicilio di
cassette di sola verdura o solo frutta bio di stagione o mista, nelle versioni Borsa single, Cassa
piccola e Cassa grande, con abbonamento settimanale. Una formula che ha incontrato
rapidamente il favore dei consumatori altoatesini facendo lievitare gli abbonamenti settimanali
dai 230 dell’aprile 2001 ai 2.200 del 2005. I costi variano da 18 a 28 Euro a cassetta, con un
giro d’affari annuo di 1,7 milioni di euro. Nel 2003 la cooperativa Cornale in provincia di Cuneo,
già attiva nella vendita diretta nel proprio spaccio aziendale, ha avviato un servizio di consegna
a domicilio dei prodotti dei suoi soci che nel 2005 l e ha permesso di fatturare oltre 300000 euro
(la metà del fatturato complessivo). In Lombardia è recente (2012), in provincia di Milano,
l’esperienza di Orticolti. A queste esperienze di vendita diretta si aggiungono anche altre con un
minimo di intermediazione costituita da piattaforme web che fanno da intermediario tra piccoli
produttori e consumatori (Cortilia).

l
2.2.2 Considerazioni sui box schemes
Il mercato di base di Box-schemes si attiva principalmente in presenza di due fattori : presenza
di domanda di prodotti biologici in una situazione di scarsità di offerta e capacità degli
agricoltori di organizzarsi per fornire alti livelli di qualità e di servizio al consumatore.
Di solito gli agricoltori biologici delle zone periurbane, in risposta ad una domanda di cibo bio e
in presenza di una scarsità di offerta dello stesso attraverso canali convenzionali, per

31
aumentare i propri margini iniziano con l’offrire, in vendita diretta, un “box” standard in base alla
disponibilità aziendale con reciproca soddisfazione del produttore e del consumatore. Accade
però che con l’aumento sul mercato della disponibilità dei prodotti biologici i clienti della prima
ora dei box-schemes maturino richieste di un più elevato livello di servizio, come ad esempio
una maggiore varietà della “scatola”. L’azienda agricola si dota, allora di una struttura
organizzativa più adeguata (frigoriferi) e arricchisce la sua offerta rivolgendosi a grossisti del
settore, assumendo un profilo da rivenditore oltre che i vendita diretta. Quando la concorrenza
con i canali di distribuzione convenzionale, aumenta ulteriormente, per la crescita dell’offerta di
alimenti freschi biologici , gli agricoltori che offrono i “boxes” per reggere la concorrenza di
prezzo debbono puntare sulla freschezza dei propri prodotti e aumentando la componente di
servizio della propria offerta: l’azienda in genere reagisce aumentando la personalizzazione
(prodotti strettamente locali o atti a soddisfare esigenze particolari o l’esclusione di alcuni
prodotti a discrezione del cliente). Ciò si traduce in una diminuzione dei margini per il
produttore, sia per l’aumento delle spese di gestione sia per le scelte discrezionali del cliente
che generano invenduti di ciò che l’azienda reperisce dal grossista. Ancora, un passo
successivo, prevede la costituzione di reti di produttori, per offrire a i clienti sempre più esigenti
anche prodotti lattiero caseari o carne, nonchè la valorizzazione della relazione diretta con il
produttore attraverso l’offerta di visite all’azienda, di momenti ricreativi e culturali che rafforzino
la relazione con il cliente e garantiscano la sua fidelizzazione.
Questa formula distributiva richiede, quindi, all’agricoltore, un’evoluzione nel senso
dell’orientamento al mercato; questo risulta essere l’aspetto più critico nei mercati emergenti
del biologico, data la scarsa capacità imprenditoriale dell’agricoltore di piccola impresa, che
spesso finisce per attuare, esclusivamente, strategie di competizione sul prezzo piuttosto che
di ampliamento dei servizi e della promozione di una cultura della sostenibilità sociale,
economica e ambientale della produzione e della distribuzione di alimenti. (Haldy,2004)

2.3 Gli appalti pubblici per le mense


L’origine di queste iniziative potrebbe essere ricercata nel programma “Farm to school”
dell’USDA, operante negli Stati Uniti, inizialmente in Florida, a partire dagli anni ‘90 nel
tentativo di trovare un mercato di sbocco per i prodotti locali dei piccoli agricoltori. Il successo

32
immediato di queste iniziative, dovuto, fondamentalmente al miglioramento della dieta
scolastica delle scuole interessate favorì la rapida espansione dell’esperienza che, infatti, in
dieci anni era conosciuta in tutti gli Stati Uniti, fino a configurarsi come un vero e proprio
movimento. Nel 1999 un convegno dell’USDA, CFSC ( Community Food Security Coalitioni),
CFJ (Center for Food and Justice) connotò le ragioni fondanti del movimento. Il movimento si è
espanso in maniera esponenziale, in questo manifestino i numeri oggi:

I motivi del successo di questa iniziativa sono molteplici e sono da ricercarsi nell’approccio
sistemico che il movimento ha avuto nei confronti dell’introduzione del cibo locale nelle scuole.
Al di là dell’aspetto di supporto economico alla comunità agricola locale, l’introduzione di
alimenti freschi, non “processati”, ha comportato dei benefici sulla salute degli studenti
favorendo uno stile alimentare più salutare. Nel contesto statunitense, dove la spesa

33
alimentare, dal dopoguerra agli anni ottanta, era stata spinta verso l’utilizzo massiccio di prodotti
industriali, ad altissimo contenuto di servizio, l’introduzione di cibi freschi (real food) a scuola si
è connotata come una vera rivoluzione culturale. Accanto all’introduzione dei prodotti agricoli
nelle mense sono stati messi in atto programmi didattici volti a valorizzare questa scelta, a
sottolinearne le valenze in campo ambientale e in quello della salute pubblica, nonché il valore
sociale di rinsaldamento della relazione tra consumo e produzione come base del senso della
comunità locale. Le barriere alla ulteriore diffusione di questa modalità di approvvigionamento
sono di tipo funzionale (cucine scolastiche inadeguate, personale non formato alla lavorazione
del cibo fresco, etc) , economico (negli Stati Uniti è possibile accedere ad un cibo molto
economico anche se di scarsa qualità), organizzative ( la relazione con le piccole aziende locali
richiede molto più lavoro per le istituzioni scolastiche). L’impulso determinante, che ha
permesso di trasformare il movimento “Farm to school” in una vera politica governativa
trasversale (salute, ambiente, economia) è stata la promulgazione della normativa Healty
Hunger Free Kids Act del 2010. Migliorare la nutrizione del bambino è il punto focale della
normativa che autorizza i finanziamenti e definisce la politica per i programmi di nutrizione del
bambino ridefinendo l’ammissibilità anche interpretando l’obesità come un segno di
malnutrizione e quindi di nutrizione non adeguata (storicamente i programmi erano stati
concepiti per la sotto nutrizione) . Lo School Lunch National Program è un programma federale
offerto nelle scuole pubbliche e private no-profit e nelle istituzioni di assistenza all'infanzia
residenziali. Esso fornisce un'alimentazione equilibrata, a basso costo o pranzi gratuiti per i
bambini per ogni giorno di scuola. Il Breakfast School Program fornisce assistenza in denaro
agli stati per predisporre, senza scopo di lucro i programmi colazione nelle scuole e negli istituti
per l'infanzia residenziali. Il Summer Food Service Program (SFSP) è stato istituito al fine di
garantire che i bambini a basso reddito continuino a ricevere pasti nutrienti quando la scuola
non è aperta. Pasti gratuiti, che soddisfano le linee guida federali di nutrizione, vengono forniti a
tutti i minori di 18 anni e sotto in siti SFSP approvati in zone con concentrazioni significative di
bambini a basso reddito. Altri programmi riguardano le case di cura, le strutture assistenziali, lo
snacking sano nelle scuole. Accanto al finanziamento per favorire l’ingresso del cibo sano nelle
scuole, sono stati sviluppati programmi di assistenza per tutti gli operatori coinvolti al fine di
rendere effettivamente possibile questo cambiamento delle politiche del cibo. Ingenti anche le
energie per la formazione degli insegnanti e per l’inserimento all’interno dei programmi
scolastici della tematica del cibo, della sua produzione nell’ottica della sostenibilità. Infine, con

lo scopo di stabilire obiettivi realistici per quanto riguarda "l'aumento della disponibilità di cibi
locali nelle scuole ammissibili", l'USDA ha condotto censimento federale sul programma Farm

34
to school (Census).http://www.fns.usda.gov/farmtoschool/census/#/ pubblicato nel 2013.

Anche in Europa si sono diffuse a partire dagli anni 2000, pratiche di “public procurement” di
cibo locale e sostenibile, volte a identificare sistemi agroalimentari che integrino politiche
ambientali, di sostenibilità, di salute pubblica e di sicurezza alimentare.
Il rapporto FOODLINKS “Knowledge brokerage to promote sustainable food consumption and
production: linking scientists, policymakers and civil society organizations” (FP7-ENV-2010-
265287) 2011-2013 documenta le migliori pratiche in cinque paesi europei.
I paesi coinvolti nell’indagine sono cinque: Italia, Austria, Danimarca, Svezia e Scozia,
attraverso i case studies riguardanti la pratica dell’introduione di cibi sostenibili nelle scuole
nelle capitali (tranne per la svezia dove la città interessata è Malmo). In tutti i paesi (eccetto per
la Danimarca dove l’indicazione riguarda solo la scelta del biologico) si è scelto di introdurre nei
menu scolastici cibi locali giustificandola in termini di maggiore sostenibilità ambientale per la
riduzione delle emissioni nel trasporto. L’introduzione di cibi biologici, stagionali e la riduzione
della presenza della carne sono gli altri punti forti dei programmi. Gli ultimi due punti inoltre,
aiutano a contenere il prezzo del pasto compensando in parte il maggior esborso dovuto agli
ingredienti biologici.

2.3.1 Il green procurement in Italia

Per quanto riguarda l’Italia, la normativa che favorisce l’ingresso di programmi di “green
procurement” da parte delle pubbliche amministrazioni è la legge finanziaria DL488\99, che
crea il quadro anche normativo per l’introduzione di cibo biologico nelle scuole. La città di
Roma, amministrata a quell’epoca da un Sindaco ambientalista, colse immediatamente
l’occasione, riformulando i bandi di gara per l’appalto della ristorazione scolastica. Si richiedeva
alle imprese interessate al bando di introdurre nel menu tutta una serie di prodotti biologici
(pasta, riso, olio, etc) identificati per la possibilità di essere forniti in quantità sufficienti a
soddisfare la domanda. La gara fu condotta nel modo più aperto possibile ridefinendo anche le
zone di riferimento in modo da consentire la partecipazione delle imprese più competitive,
interrompendo i legami di continuità tra le ditte di catering, che avevano fino ad allora operato, e
le amministrazioni. Il bando venne indetto secondo il criterio della “migliore offerta economica”,
predisponendo un sistema di valutazione a punti che fissava al 51% l’incidenza del fattore
prezzo (ovvero il peso del vantaggio di prezzo sul vantaggio complessivo dell’offerta). Altri 30

35
punti erano riferiti agli aspetti organizzativi (numero addetti, trasporto sostenibile, certificazioni
della qualità ambientale), 15 punti alle azioni di educazione al consumo consapevole per gli
utenti delle mense ed infine 4 punti per prodotti biologici addizionali o con certificazioni DOC e
IGT. Dal 2004 ad oggi, di triennio in triennio, sono stati introdotti altri criteri, sempre attraverso il
sistema dei punti. Oltre alla stagionalità, alla varietà, sono stati introdotti criteri per la
provenienza territoriale del prodotto, agendo anche sulla shelf-life dei prodotti. Imponendo tempi
molto brevi dal momento del confezionamento dei cibi a quello del consumo, di fatto, si
incoraggia la provenienza locale dei prodotti. I criteri del nuovo bando 2013-2017 oltre a
richiedere che il menu sia composto per il 70% da cibi bio, richiedono una provenienza locale
delle derrate (150 km di raggio intorno a Roma), riduzione dell’energia impiegata, provenienza
dei cibi da agricoltura sociale e limitazione degli sprechi attraverso il riuso delle eccedenze da
parte degli enti caritatevoli, se possibile o in alternativa, la destinazione a mangime o a compost
degli avanzi. Il servizio messo a bando nella nuova gara vale 426 milioni di euro.
Un punto di forza del caso Roma è stato sicuramente il ruolo politico dell’amministrazione
nell’indirizzo verso una maggiore sostenibilità dei menu proposti. Importante anche la gradualità
con cui è stato promosso il cambiamento e l’approccio partecipato, attraverso l’istituzione delle
Commissioni mensa, incaricate del monitoraggio e del rilievo delle criticità e di appositi
organismi di controllo aggiuntivi per l’accertamento della qualità e della sicurezza sanitaria.
Una difficoltà riscontrata è quella del taglio delle food miles, che risulta difficile, nella realtà, per
l’organizzazione logistica degli approvvigionamenti: anche i prodotti locali, infatti, transitano, per
come sono, oggi, organizzate le filiere, su piattaforme lontane da Roma. Un’altra sfida di natura
organizzativa si può individuare nell’accesso delle produzioni artigianali locali ai menu della
ristorazione collettiva.
Un esempio virtuoso di risposta alle due sfide appena citate, riduzione reale delle “food miles”
attraverso l’introduzione dei cibi locali nella ristorazione pubblica e reale rilocalizzazione
dell’economia attraverso il ricorso a prodotti artigianali, da piccola media impresa locale, ci è
dato dalla città di Piacenza.
La città di Piacenza, fin dal 2003, ha attuato la pratica del “green procurement” per la
ristorazione scolastica adottando criteri e modalità molto simili a quelli di Roma, con una
fondamentale differenza. La riorganizzazione del sistema non ha riguardato, in maniera
univoca, la domanda da parte dell’amministrazione di un altro tipo di ristorazione, bensì anche
la riorganizzazione dell’offerta sul territorio. Il territorio piacentino è caratterizzato da una grande
varietà di produzione agricola e di trasformazione artigiana, in piccola scala ( aziende di collina
e montagna), anche biologica. I prodotti del territorio, difficilmente avrebbero potuto accedere

36
direttamente alle mense scolastiche per soddisfare la richiesta di “locale” e biologico dei
capitolati d’appalto, visto che le ditte di catering che operano sul territorio si riforniscono usando
le piattaforme logistiche di Reggio Emilia. Un gruppo di agricoltori piacentini, riuniti nel consorzio
Biopiace, con una “strategia multiprodotto”, ha cominciato a commercializzare direttamente i
propri prodotti. Nel 2010 al consorzio si è affiancata una cooperativa, Agripiace, che ha
permesso l’ingresso anche di produttori convenzionali e la creazione di una vera e propria
piattaforma logistica multiprodotto che ha semplificato sempre più il percorso di filiera e
conseguentemente ridotto i costi di commercializzazione. La cooperativa gestisce circa 300
referenze, con una struttura molto “leggera” esternalizzando tutte le componenti di servizio. In
questo modo tanti piccoli agricoltori, con un piccolissimo investimento, sono riusciti a collocarsi
sul mercato, divenendo fornitori privilegiati della CIR-Food service, l’azienda di catering che si è
aggiudicata, complice il capitolato d’appalto per la ristorazione piacentina (inizialmente
scolastica e successivamente anche ospedaliera) che attribuisce ben 9 punti all’introduzione di
prodotti locali nei menu in sede di gara.
L’aspetto innovativo di questa vicenda sembra ritrovarsi nel dialogo tra gli attori del territorio
rispetto alle politica locale del cibo intesa sia nella sua componente economica
(rilocalizzazione), ambientale (riduzione degli impatti), educativa (sana alimentazione) e
culturale (la cultura gastronomica locale è un patrimonio del territorio).
Le motivazioni economiche in questi processi sono sempre presenti, costituendo la principale
motivazione nel coinvolgimento degli agricoltori. Quelle sociali sono importanti soprattutto
quando i processi sono attivati dai consumatori li coinvolgono sostanzialmente in termini di
relazione con il produttore. Le innovazioni organizzative sono quelle che migliorano le modalità
di produzione, distribuzione o consumo e\o aumentano la qualità del prodotto

Un esempio italiano di “public procurement” per la ristorzaione collettiva tratto dal sito del
consorzio: BioPiace

37
2.4 L’Agricoltura sostenuta dalla comunità locale

Accanto a tutte le forme di filiera corta finora descritte, che tendono a conciliare i bisogni dei
produttori e quelli dei consumatori all’interno di una logica strettamente di mercato, più o meno
supportato dalle istituzioni, troviamo delle altre forme di relazione di produttori e consumatori
che tendono a eludere le leggi di mercato e basarsi piuttosto su contratti che sanciscono delle
vere e proprie alleanze tra “contadini” e “mangiatori” per conseguire vantaggi reciproci tra
soggetti che si collocano all’interno del sistema. Queste esperienze vengono classificate come
CSA, Community Supported Agricolture.

38
2.4.1 Le prime esperienze: i Teikei in Giappone

I teikei (espressione traducibile con “cibo che porta la faccia dell’agricoltore”) sono nati in
Giappone più di quaranta anni fa e sono diventati nel corso degli anni un fenomeno di massa
che coinvolge circa 16 milioni di persone, un dato attualmente non riscontrabile altrove, in
quanto strettamente correlato al contesto sociale, economico e culturale del Giappone. I teikei
sono una applicazione pratica del concetto Yuki in base al quale, secondo la tradizione
popolare e religiosa giapponese, nel suo lavoro, l’agricoltore deve rispettare alcune regole di
relazione armonica sia nei confronti della natura che nei rapporti sociali.
Dopo la seconda guerra mondiale, durante il protettorato americano, fu avviata una riforma
agraria che smantellò il sistema feudale frazionando la proprietà fondiaria in unità della
dimensione media di 1,5 ettari. I piccoli produttori , al fine di aumentare il proprio potere
contrattuale si unirono in cooperative, che costituiscono ancora oggi una parte consistente del
mercato agricolo giapponese.
Gli Stati Uniti, inoltre, esportarono in Giappone il modello dell’agricoltura chimica e intensiva; i
teikei nacquero, proprio, come risposta ai danni che quel tipo di agricoltura produceva
all’ambiente e alla salute delle persone. Si unirono, da una parte, dei contadini che non
riscontravano in quel tipo di agricoltura l’osservanza delle regole Yuki, e dall’altra delle donne
che cercavano cibi più sani in alternativa a quelli venduti nei moderni supermercati . Le
cooperative, sia di produttori che di consumatori, facilitarono i teikei fornendo struttura e
diffusione a questi patti tra consumatore e produttore.
Grande promotrice dei patti teikei è stata ed è l’Associazione per l'agricoltura biologica del
Giappone (JOAA), fondata nel 1971 conta, oggi, un'adesione di circa 3000 soci, tra cui
agricoltori (circa un quarto dell'adesione totale) e consumatori, accademici, agronomi, medici,
giornalisti e altre persone coinvolte nei vari aspetti del movimento dell'agricoltura biologica in
Giappone. E’ un’associazione indipendente senza fini di lucro. L'organizzazione pubblica una
newsletter mensile e tiene seminari mensili su vari aspetti del movimento agricoltura biologica in
Giappone. La JOAA promuove attivamente l'interazione diretta tra agricoltori e consumatori e
crede nel coinvolgimento, in questo processo, delle istituzioni governative, scolastiche, dei
lavoratori. La JOAA auspica la creazione di legami tra i consumatori urbani e gli agricoltori
rurali, in un’ottica molto orientale, attraverso relazioni di reciprocità al di là degli e degli interessi
economici, salutistici o ambientalisti dei singoli.

39
I motivi per cui il teikei ha funzionato, in Giappone, vanno trovati, oltre che nel contesto culturale
anche nel sistema cooperativo della produzione e consumo di alimenti, molto forte e sviluppato;
nell’atteggiamento dei consumatori nei confronti del cibo e nella sensibilità dei giapponesi verso
le tematiche ambientali e la salute; nelle caratteristiche organolettiche e di qualità dei prodotti,
percepite dai consumatori; nell’ organizzazione sociale: il sistema Han (l’organizzazione
amministrativa feudale in clan) per quanto abolito, sopravvive culturalmente nella abitudine
dell’organizzazione collettiva degli ordini e delle consegne delle derrate; nell’impegno di
istituzioni, come le scuole che promuovono i patti teikei tra i propri utenti mettendo anche a
disposizione i propri ambienti per favorire l’incontro tra le parti.
ll sistema teikei, in questi quarant’anni ha coinvolto molti consumatori, ma la rapida
industrializzazione del Giappone e le politiche governative di disimpegno rispetto
all’autosufficienza alimentare del paese hanno messo a dura prova il sistema tradizionale. Negli
anni successivi questi patti sono andati via via declinando in favore della gdo e degli alimenti

40
importati. Attualmente la JOAA denuncia anche un processo poco democratico , da parte del
governo Giapponese, rispetto alle decisioni riguardanti le procedure di etichettamento e
certificazione dei cibi biologici: la convinzione della JOAA è che un’agricoltura possa dirsi
biologica esclusivamente se rispetta la connessione con il territorio e la relazione umana tra
produttore e consumatore, ovvero il principio yuki. Spesso infatti i contratti stipulati tra contadini
e consumatori hanno specifiche più rigide delle certificazioni ufficiali.
L’Associazione per l'agricoltura biologica Giappone ha avuto il merito , attraverso la affiliazione
con la IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements) di stimolare la
riflessione su questo concetto di compartecipazione nel mondo, influenzando la nascita del
movimento Community Supported Agricolture negli Stati Uniti.

41
2.4.2 Le Community Supported Agriculture (CSA) negli Stati Uniti

Nel 1980 Robyn Van En, proprietaria della Indian Line Farm, una piccola azienda agricola
statunitense, in difficoltà come molti piccoli contadini nordamericani, provava a sopravvivere
ispirandosi al modello di “sottoscrizione alla fattoria”- su base settimanale o mensile diffuso
attraverso il libro di Booker T. Whatley “How to Make $100,000 Farming 25 Acre”s (Rodale,
1987) (Come guadagnare 100.000$ coltivando 25 Acri). Il modello non teneva conto, però, del
problema delle anticipazioni colturali e del rischio che l’attività agricola porta con sé. Nell’estate
del 1985, Jan Van Tuin un agricoltore biodinamico che aveva applicato i principi del teikei ad
una azienda agricola in Svizzera., incontrò, all’ Indian Line Farm, Robyn van En. Quest’incontro
stimolò la nascita di un gruppo base di organizzatori che fecero partire il progetto denominato
“Agricoltura Sostenuta dalla Comunità”. Da allora il modello ha cominciato ad espandersi: il
movimento contava meno di una dozzina di aziende CSA nei primi anni 1990, conta oggi oltre
3.000 aziende agricole, molto spesso in rete tra loro al fine di condividere tecniche colturali e
mezzi.
Le CSA a differenza dei teikei che avevano una forma abbastanza codificata differiscono molto
tra loro nelle forme organizzative: attraverso una ricerca condotta nella seconda metà del 2011
sono stati classificati e analizzati 95 casi studio di Community Supported Agriculture (Csa), Con
i dati raccolti è stata effettuata un’analisi cluster, identificando cinque forme organizzative
diverse rispetto alla combinazione di alcune variabili relative ai meccanismi di governo, quali il
grado di scambio delle risorse e il tipo di contratto, oltre a quelle legate all’approccio di Grandori
e Furnari, vale a dire gli elementi organizzativi di mercato, burocratici, comunitari e democratici.
I 5 gruppi identificati presentano delle caratteristiche molto diverse tra di loro. Tuttavia possono
essere evidenziati alcuni tratti comuni. Per esempio le Csa spesso utilizzano una membership
molto formalizzata per definire non solo le condizioni di spedizione dei prodotti, ma anche per
condividere il rischio e trasferire alcuni diritti decisionali. Tuttavia i risultati mostrano che la
possibilità di decidere da parte dei consumatori nel processo produttivo è alquanto limitata,
specialmente se guardiamo alle decisione sull’allocazione della terra per diversi usi. Lo studio si
propone come preliminare ad un’indagine che metta in correlazione i diversi modelli
organizzativi con la relativa performance sia dal punto di vista del produttore, mettendo
l’accento sull’organizzazione interna delle aziende per ottenere dati aziendali specifici e riuscire
a calcolare indici di performance reali, come l’indice di efficienza o l’indice di innovazione, che
da quello del consumatore, approfondendo maggiormente le motivazioni che muovono la
partecipazione e capendo meglio quanto e perché una particolare forma organizzativa riesce

42
più di un’altra ad attrarre e soddisfare i consumatori. Secondo Robyn Van En (attualmente
presidente del coordinamento nordamericano di CSA), i progetti di CSA che hanno più
successo iniziano con un gruppo centrale di consumatori e produttori che approvano un bilancio
che rifletta i costi annuali di produzione. Il bilancio include tutti gli stipendi degli
agricoltori/orticoltori, i costi di distribuzione e di amministrazione, i costi dei semi, degli
ammendanti del suolo, degli attrezzi, ecc. La somma complessiva è divisa tra il numero dei
partecipanti per cui la fattoria/orto può produrre. Questo determina il costo di una singola parte
di raccolto (“share” o abbonamento), che è pensato per dar da mangiare a 2-4 persone con una
dieta mista o ad 1-2 persone vegetariane, garantendo loro tutte le verdure di cui hanno bisogno
settimana per settimana . Famiglie numerose o ristoranti comprano più abbonamenti. Il gruppo
di consumatori-abbonati è d’accordo sul pagare la propria parte dei costi di produzione e di
condividere il rischio finanziario coi produttori. In cambio gli abbonati ricevono una cassetta di
verdure ed erbe fresche di giornata, generalmente biologiche; una volta a settimana per tutta
l’estate e una volta al mese per tutto l’inverno (a Est delle Montagne Rocciose) se c’è la
disponibilità di un refrigeratore o una cantina interrata. I progetti garantiscono tipicamente
almeno 40 differenti varietà tra frutta e verdura; Indian Line Farm e’ in grado di dar da mangiare
a 300 persone per 43 settimane all’anno da poco più di due ettari di terra.

43
44
2.4.3 L’Association pour le Maintien d'une Agriculture Paysanne: le AMAP francesi

Nel 2001, dopo un viaggio negli Stati Uniti durante il quale avevano scoperto gli agricoltori
CSA, i coniugi Vuillon, proprietari di una azienda agricola di circa 10 ettari, nella regione del Var,
decisero di provare a costituire un patto di reciprocità con alcuni consumatori locali fondando la
prima AMAP (Associazione per il mantenimento di un'agricoltura contadina) in Francia. In
pratica organizzarono tre giornate di sensibilizzazione all’interno dell’azienda, raccontando agli
intervenuti l’esperienza delle CSA statunitensi. Da questi incontri nacque un gruppo di trentadue
famiglie , disposto a sperimentare il modello. Si costituì un comitato che gestisse la
pianificazione aziendale in modo partecipato. Nel giro di due anni, con questo sistema i Vuillon
convertirono tutta la produzione di Les Olivades, la loro azienda, in produzione per l’AMAP, che
ormai contava tre gruppi da 70 famiglie ciascuno; inoltre, Les Olivades aveva stabilizzato
quattro lavoratori, tutto questo in un contesto ostile ad aziende agricole di piccola- media
dimensione che continuavano a chiudere. I coniugi Vuillon, sostenuti dal sindacato agricolo
francese Confédération Paysanne5, cominciarono a dedicarsi alla costruzione di una rete locale
( rete della Provenza) e a promuovere il modello in tutta la Francia, infatti fin dal 2001, i Vuillon
fondano Alliance Provence, un’associazione che ha lo scopo di svolgere a livello locale il
compito che Alliance PEC svolge a livello nazionale.
L'Associazione “Alliance Provence Paysans Ecologistes Consommateurs” è la rete regionale
delle AMAP, che ha lo scopo di promuovere la creazione di nuove AMAP sul territorio,
coordinare le iniziative e le attività dei vari gruppi, sviluppare la conoscenza sull’agricoltura
contadina e sostenere i produttori che fanno parte della rete. Dal 2003,
l’Associazione è proprietaria del nome AMAP, depositato presso l’INPI, l’Istituto Nazionale per
la Proprietà Industriale francese. Alliance PEC è, invece, l’associazione nazionale che coordina
tutte le AMAP: Alliance Paysans Écologistes Consommateurs (Alleanza Contadini Ecologisti
Consumatori) La rete provenzale oggi conta 100 AMAP, in Francia se ne contano circa 600
organizzate in diverse reti.
I dati di diffusione del fenomeno sono stimati, non esiste un censimento di queste realtà.
Esistono invece studi sui profili degli attori AMAP: i consumatori che aderiscono alle AMAP

5
La CP è un sindacato degli agricoltori, nato nel 1987, che si pone l'obiettivo di difendere l'agricoltura contadina in
contrapposizione all'agricoltura industriale, ponendo alla base delle sue attività il principio secondo cui l’agricoltura e l’alimentazione
sono innanzitutto “un affare di tutti”. L’operato del sindacato si inserisce in un contesto più ampio, a livello europeo con il
Coordination Paysanne Européene e a livello internazionale nell’ambito del movimento La Via Campesina Sono stato incaricato
dalla Confédération Paysanne di realizzare delle economie diverse.

45
sono prevalentemente coppie (il 73%) giovani o di mezza età (il 73% ha un’età compresa tra i
25 ed i 50 anni), la metà dei quali con figli. Generalmente hanno un livello di educazione
piuttosto elevato e molti (circa il 64%) provengono da esperienze pregresse di associazionismo
(in campo ambientale, sociale, dei diritti umani e dei consumatori, sindacale, religioso, ecc). I
produttori che riforniscono le AMAP hanno seguito traiettorie diverse nel corso della loro attività:
alcuni erano specializzati, coltivavano poche varietà e rifornivano i mercati all’ingrosso; altri
perseguivano già alcuni ideali essendo passati all’agricoltura biologica; altri ancora erano
produttori in pensione o hobbisti. Nella maggior parte dei casi, però, si trattava di vecchi
produttori, cioè di persone che avevano svolto sempre il lavoro di produttori durante la loro vita.
Nell’ambito della rete delle AMAP si è sviluppata anche una rete tra produttori: gli agricoltori che
hanno maturato negli anni l’esperienza delle AMAP mettono a disposizione dei potenziali nuovi
produttori le conoscenze acquisite relativamente ai metodi produttivi, alla logistica, alla gestione
della distribuzione e dei rapporti con i consumatori. Molti di questi produttori aderiscono al
sindacato Confédération Paysanne. A supporto di questa esperienza, nel 2007, viene infine
fondata l’associazione CREAMAP France - Centre de Ressources pour l'Essaimage des AMAP
en France, che ha lo scopo di diffondere i principi di base delle AMAP, mettendo a disposizione
di tutti informazioni sui metodi di creazione e di diffusione di queste esperienze, su come fare
comunicazione, mutuando le esperienze già in atto e promuovendo il dialogo con le istituzioni a
tutti i livelli, locale, regionale, nazionale, europeo.
Ciascuna AMAP stabilisce le proprie regole tenendo come linee guida ”la carta dei principi delle
AMAP”, alcuni dei principi fondamentali sono il rapporto diretto tra produttore e consumatore;
solidarietà verso l’agricoltore che si esplica nella condivisione dei rischi climatici e nella
contribuzione in termini di lavoro nei momenti problematici; la distribuzione del surplus ai
consumatori, quando la produzione è in eccesso; il rispetto norme sociali soprattutto per
quanto riguarda la regolarità del lavoro impiegato; favorire la conversione alla produzione
biologica dando il tempo all’agricoltore di adattarsi al sistema amap che richiede una grossa
diversificazione delle colture, quindi presenta già in se delle difficoltà prima di iniziare un vero e
proprio processo di conversione al biologico; perseguire, oltre che il concetto di filiera corta
quello di filiera locale.

46
Un esempio di AMAP: Les olivades in Provenza
Les Olivades è l’azienda agricola dei Vuillon in cui si è costituita, appunto , la prima AMAP.
Ogni anno c’è la possibilità di stipulare due patti di reciprocità con l’agricoltore, per la stagione
autunno\inverno, in cui è possibile approvvigionarsi di sola verdura o per la stagione primavera\
estate, che prevede anche la produzione di frutta. Un comitato organizzativo, in seguito ad
un’assemblea con i futuri consumatori, detti “eaters” ,decide , per ogni stagione, cosa piantare.
Vengono calcolati i costi di produzione, i salari, le spese e la giusta remunerazione del
produttore; sulla base di queste valutazioni si stabilisce il prezzo del paniere settimanale che
contiene la quantità di vegetali necessari all’alimentazione di tre adulti o due adulti e due
bambini. Il prezzo di un di un paniere varia da 24 a 27,50 euro, a seconda della stagione, ed
in una stagione ne vengono consegnati 25, uno per ogni settimana. La distribuzione avviene
presso l’azienda ed è curata da un coordinatore volontario. Alla Olivades fanno capo tre gruppi
di 70 membri ciascuno e ci sono quindi tre coordinatori che insieme al produttore costituiscono
la presidenza del comitato organizzativo dell’AMAP, che un’associazione formalizzata. I
volontari, ad inizio stagione, fanno firmare i contratti o i rinnovi agli aderenti e raccolgono le
sottoscrizioni , che possono essere versate in un’unica soluzione o rateizzate fino alle sei quote
mensili. Oltre a due picnic organizzati in corrispondenza delle assemblee di inizio stagione, si
presentano diverse occasioni di visita della fattorie e di interazione con il produttore, soprattutto
nella stagione produttiva, quando si presentino picchi di lavoro, per il quale il produttore può
chiedere l’aiuto dei sottoscrittori o se ci sono eccedenze: vengono, infatti, organizzati
dall’azienda laboratori di autoproduzione di conserve.

2.4.4 Le csa in Italia

Fino al 2013 non erano state documentate esperienze italiane che potevano essere definite
strettamente come esperienze di Csa. La prima esperienza italiana documentata, in questo
ambito, nasce a Pisa nel 2010 e si chiama CAPS, ovvero Comunità Agricola di promozione
sociale.La CAPS nasce in un contesto di consolidate pratiche di economia solidale del territorio
Pisano all’interno del DES (distretto di economia solidale) Alto Tirreno, nel 2010, con lo scopo di
sperimentare una coproduzione del cibo, secondo principi di solidarietà, sostenibilità e
partecipazione alla creazione e gestione del bene comune. Il patto prevede il coinvolgimento di
un centinaio e un contadino senza terra. Il metodo di coltivazione dell’appezzamento, un terreno
in affitto di 3 ha, è quello biologico. La gestione è partecipata. Al contadino viene riconosciuto

47
una quota sociale annua in modo da garantire il suo reddito indipendentemente dall’andamento
della produzione. L’associazione ha sostenuto i costi di avviamento dell’impresa e provvede alla
manutenzione straordinaria, tutto ciò in cambio dei prodotti che vengono divisi trai soci. E’
prevista anche la partecipazione alle attività agricole nel momento del bisogno. Un’esperienza
sicuramente innovativa che durante i tre anni di sperimentazione ha registrato delle criticità
legate, soprattutto all’assenza di una cornice istituzionale per questo tipo di impresa. La forma
giuridica è infatti, quella dell’associazione di promozione sociale con socio contadino retribuito.
Un altro problema riguarda le difficoltà di gestione della partecipazione che ha comportato la
perdita di un numero di soci tali da indurre una situazione di sofferenza economica nell’impresa
che una comunicazione esterna poco efficace non è stata in grado di soppiantare.
Un’altra esperienza , più recente (2013) è quella della cooperativa Arvaia di Bologna. La base
sociale è costituita da 180 soci, che in gran parte hanno alle spalle esperienze da “gasisti”
(ovvero partecipanti a gruppi di acquisto solidali). Il terreno è un terreno pubblico, e ciò
costituisce una novità in questo campo. Il metodo di coltivazione adottato è quello
biologico/biodinamico.
Attualmente la cooperativa impiega tre persone su 2 ha e produce prodotti ortofrutticoli, ma
l’idea è quella di ampliare la gamma dei prodotti includendo anche prodotti zootecnici e
trasformati. Tra gli obiettivi della cooperativa, c’è soprattutto l’attività formativa e la diffusione di
una nuova cultura rurale. La cooperativa è collocata all’interno di una area vincolata a parco, il
parco Citta-campagna di Borgo Panigale che ha una una superficie totale di 47 ettari. (Rossi,
2013).
E’ interessante notare che entrambe le esperienze italiane di Csa, non nascono , come in
Francia, per importazione del modello americano, ma a partire da lunghi percorsi di
consapevolezza ed esercizio del consumo critico all’interno delle realtà dei gas (gruppi
d’acquisto solidale) prima e dei Des (distretti di economia solidale) dopo . L’impulso non viene
dal produttore che coinvolge i consumatori dei suoi prodotti, ma nasce come un percorso,
partecipato fin dalla costituzione, di cittadini e produttori e, nel caso di Bologna, anche di un
ente pubblico.

48
3. I GRUPPI DI ACQUISTO
SOLIDALE

3.1 I Gruppi di Acquisto Solidale storia e aspetti


organizzativi

In Italia le suggestioni delle esperienze di CSA si sono concretizzate in una forma diversa,
meno strutturata e soprattutto non contrattuale e cioè nei Gruppi d’Acquisto Solidale (GAS). I
GAS sono gruppi auto-organizzati di consumatori che acquistano collettivamente attraverso una
relazione diretta con i produttori, con riferimento a principi etici condivisi (il concetto di
“solidarietà”) (Brunori et al. 2007; Rossi e Brunori 2010)
I GAS sono gruppi, per lo più informali che nascono al fine di esercitare collettivamente il
consumo critico, selezionando i prodotti da acquistare in base a criteri sociali, ambientali e
ricercando un contatto diretto con il produttore con il quale si creano relazioni solidali.
Le prime testimonianze, sulla nascita del fenomeno GAS in Italia, risalgono ai primi anni ‘90. Nel
1993, a Verona, durante il quinto raduno del movimento “Beati i costruttori di pace” veniva
lanciata la campagna “Bilanci di giustizia” che invitava le famiglie a formare gruppi di riflessione
critica sui consumi, a monitorare i propri bilanci e ad effettuare gli acquisti spostando il consumo
verso beni la cui produzione rispondesse a criteri etici e di giustizia sociale (soprattutto nei
confronti del sud del mondo). Questo movimento è ancora attivo e vicino al movimento per la
Decrescita.
Nel 1994 a Fidenza, nasceva il primo Gruppo di Acquisto Solidale che, su ispirazione
dell’incontro di Verona, si proponeva una riflessione critica sul consumo e l’acquisto collettivo di

49
beni che rispondessero a criteri di solidarietà, sia nei confronti dei piccoli produttori bio e di altre
attività di economia “alternativa”, al fine di sottrarli alle pressioni della grande distribuzione, sia
nei confronti dei membri del gruppo , auto-rganizzandosi in mutualità per la raccolta degli ordini
e la consegna delle merci acquistate collettivamente.
Nel 1997 nasceva la Retegas, che tuttora mette in collegamento tramite internet, tutti i gas che
decidono di aderirvi, al fine di facilitare lo scambio di informazioni su prodotti e produttori e di
diffondere l’idea del GAS.
La diffusione di questa pratica sul territorio nazionale comincia ad essere evidente dall’anno
2000 in poi. Oggi sono registrati alla Retegas 974 gruppi e 14 reti di coordinamento locale
(costituite a loro volta da una serie di gruppi anche se da una ricerca recente dell’osservatorio
CORES6 (Forno 2013) si è evidenziato che ne sono molti di più, circa 2000.
Dei 974 gruppi censiti da Retegas, 253 (429 per la ricerca CORES) sono in Lombardia e delle
14 reti locali (retìne) auto censite su retegas ben 6 sono in territorio lombardo. Ciò fa della
Lombardia la regione in cui il fenomeno è più rappresentato ed evoluto. Le retine, a loro volta
tendono a ad interagire con altri soggetti sul territorio (cooperative sociali, botteghe del
commercio equo, piccoli produttori, commercianti di prossimità, artigiani, istituzioni locali)
cooperando per ricreare le condizioni di un’economia locale, riconoscendo la capacità degli
scambi economici di generare capitale sociale. Questi coordinamenti che si autodefiniscono
Distretti di Economia Solidale (DES), si propongono come laboratori di pratiche economiche che
non si pongono l’obiettivo della massimizzazione del profitto, bensì quello della
massimizzazione del benessere collettivo. L’obiettivo di questi organismi che spesso si
istituzionalizzano, trasformandosi in Associazioni di Promozione Sociale, è quello di creare un
sistema economico dentro la comunità locale con l’intenzione di riportare il mercato ad una
dimensione di “civiltà” e di socialità, dove si ritessano, attraverso gli scambi, le relazioni umane
nel rispetto pieno e consapevole della dignità dell’altro in un’ottica ecologica di cooperazione e
solidarietà.
All’ interno del GAS, la spesa collettiva svolge un importante ruolo autoeducante favorendo la
consapevolezza che scegliere di consumare in un certo modo influisce sul sistema produttivo e
sull’ambiente di produzione del cibo in tutte le sue variabili (gestione del territorio, paesaggio,
sostegno alla piccola impresa, lavoro) (Forno 2013).
I gruppi gas sono molto eterogenei, spesso sono gruppi informali. Sono costituiti da un numero
variabile di membri, anche se mediamente si attestano intorno ai 20-30 componenti. La

6
Cores Università degli Studi di Bergamo, Gruppo di ricerca su Consumi, Reti e Pratiche di Economia Sostenibile ,
www.unibg.it\cores

50
gestione degli ordini, in genere, è condotta tramite internet ed avviene secondo scadenze
specifiche. Una volta selezionato il produttore, spesso in seguito ad incontri di presentazione
organizzati con lo stesso, al fine di apprendere, senza mediazione le modalità di produzione e le
caratteristiche del prodotto, un membro del gruppo si fa carico del rapporto con il produttore
diventando referente per quel determinato prodotto o gruppo di prodotti. Il referente lancia
online l’ordine a scadenze definite con il GAS, trasmettendo al gruppo il listino del produttore
che viene compilato e rinviato al referente, il quale provvede a raccogliere gli ordini in unico file
e a comunicare l’ordine al produttore. Successivamente il referente comunica le modalità, il
luogo ed il tempo della consegna al gruppo. Spesso si effettuano ordini di prova che vengono
poi valutati dal gruppo che decide se ammettere o meno un determinato prodotto nella sua lista.
Il gruppo dei referenti si incontra periodicamente per discutere di tutte le questioni
organizzative, per selezionare i nuovi prodotti, per organizzare incontri di formazione. Alla
consegna vengono raccolti i pagamenti e si provvede a pagare il produttore, talvolta, ma più
raramente è richiesto il pagamento anticipato. E’ anche diffuso il sistema di appoggiarsi ad un
sito web per la gestione degli ordini in una apposita sezione riservata. L’utilizzo di internet
appare fondamentale nella gestione degli ordini. Una volta che un produttore è stato ammesso
nella lista dei produttori del GAS si tende a mantenerlo, gestendo gli eventuali problemi che si
dovessero generare nel corso della relazione commerciale, al fine di garantirgli una sicurezza di
reddito, privilegiando sempre la relazione, segnalando eventuali criticità riscontrate e cercando
una mediazione nel caso si verificassero. Gli aspetti di prezzo non sono fondamentali, interessa
di più, in un GAS, la qualità sociale ed ambientale del prodotto e gli aspetti di solidarietà e di
fiducia.
Le consegne avvengono in spazi messi a disposizione da altri enti (associazioni, parrocchie,
negozi del commercio equo) o da membri del gruppo. Si tende a ridurre al minimo gli imballi e a
riusare i contenitori dei prodotti consegnati (cassette, scatole, vasetti) .
Il momento della consegna è spesso anche un momento sociale, ci si incontra , ci si confronta,
ci si scambia informazioni. Al di là delle consegne e dei momenti di incontro periodici, lo
scambio trai membri (e tra gruppi) prosegue on-line tramite email.
Per quanto riguarda le spese organizzative, alcuni gruppi ricorrono a quote annuali, che
forniscono anche una cassa contanti per anticipare il pagamento degli ordini che lo richiedano,
altri ricaricano gli acquisti di una minima percentuale (4-5%).
Anche quando i gruppi si consolidano tendono a rimanere informali, ed è possibile entrare ed
uscire dal gruppo in qualsiasi momento. La decisione di formalizzarli in associazione
sopravviene quando la dimensione del gruppo è tale da non consentire una facile gestione della

51
liquidità: un gas ha di solito un numero di membri variabile stimato in un range di 15-100
famiglie ed un bilancio annuo che varia tra 30000 e 100000 euro.
Le reti di gas associati (retìne) nascono con lo scopo di scambiarsi informazioni, organizzare
eventi di sensibilizzazione sul territorio, gestire insieme ordini che richiedano minimo d’ordine o
per prodotti che richiedano trasporti lunghi al fine di abbattere i costi di trasporto ed il relativo
impatto ambientale o ancora per condividere spazi per la logistica. Alcuni gas sono
“naturalmente “ in rete tra loro, in quanto, uno dei modi di generare un gas, è la “gemmazione”
da un gas preesistente, nel momento che si ritenga più opportuno dal punto di vista
organizzativo creare due gruppi al posto di uno. Esiste anche la possibilità che un GAS attivo in
un territorio favorisca la nascita di altri gas fornendo un servizio di “tutoraggio” , cosa che crea,
ovviamente, una relazione trai gruppi.
La ricerca CORES, Dentro il capitale delle relazioni, ha recentemente pubblicato i dati del
censimento GAS per la Lombardia, che con i suoi 429 gruppi di acquisto solidale e i suoi dieci
DES, risulta essere la regione italiana più interessata da questo fenomeno. Lo scopo della
ricerca è quello di comprendere i meccanismi di diffusione dei GAS, approfondendo le
motivazioni che facilitano l’adesione, nonché le dinamiche interne e le strategie di azione. Per
ogni provincia lombarda è stato identificato un referente interno al movimento, che assistito
dallo staff di ricercatori, ha proceduto ad una prima fase di sola mappatura dei i GAS della
propria zona informandoli anche degli obiettivi della ricerca. Nella seconda fase sono stati
somministrati i questionari per l’indagine conoscitiva. Dei 429 GAS mappati, 204 sono stati
quelli che hanno risposto all’indagine, coinvolgendo 1658 gasisti.
L’indagine ha rilevato che la maggioranza dei gasisti è donna (62%), di età media, con famiglia,
con figli. Il reddito medio è risultato non particolarmente elevato, compreso tra 2000-3000 euro,
mentre elevato rispetto alla media nazionale è il livello culturale del gasista medio(45,6% di
laureati). Il 69,8% dei gasisti dichiara di essere molto o abbastanza interessato alla politica,ma
presenta un basso grado di fiducia verso alcune istituzioni (es. fiducia nei partiti 25%), molto
alta la fiducia nella magistratura, le associazioni dei consumatori, le cooperative sociali. Queste
posizioni sembrano collocare i gasisti tra i “cittadini critici” , individui che sentono molto i principi
democratici, ma rivelano una sfiducia nelle istituzione i cercando nuovi spazi di partecipazione
politica e sociale (Forno 2013). Molti gasisti hanno altre esperienze associative, si dividono
equamente tra credenti e non credenti. Le motivazioni per l’adesione sono, nell’ordine, la salute,
il sostegno ai piccoli produttori, il bisogno di costruire relazioni, voglia di partecipazione con
azioni concrete, i problemi ambientali e per il ultimo il prezzo. I Gas acquistano soprattutto cibo,
non tutti le stesse cose, farina, frutta, formaggi, verdura e olio sono acquistati da quasi tutti i

52
GAS I prodotti meno acquistati sono il pesce e i dolciumi. La frequenza di acquisto differisce da
prodotto a prodotto e da GAS a GAS. E’ molto difficile stimare il valore degli acquisti, non tutti i
gruppi tengono una rendicontazione economica, dei 169 che avevano dati sulle somme spese,
si va da un minimo di 2000 euro ad un massimo di 170.200 euro annui, per un totale di
4.625.917 di euro per i 169 GAS che hanno risposto.
Circa la metà dei gruppi presa in considerazione ha adottato forme di sostegno ai produttori
tramite finanziamento anticipato. Normalmente i produttori vengono pagati dopo la consegna,
una volta raccolti i soldi.
I produttori vengono scelti nel 74,5% dei casi dall’assemblea dei gasisti, solo nel 7,9% dei casi
dal referente di prodotto, per il resto da sotto gruppi appositamente definiti. i criteri di scelta
sono in ordine decrescente, la qualità del prodotto, la prossimità e il contatto diretto con il
produttore, il rispetto di condizioni etiche sia verso l’ambiente che verso il lavoro, la dimensione
aziendale (si preferisce la piccola), ultimi il prezzo e la capacità di innovazione dell’azienda. C’è
da dire che a fronte della preferenza per prodotti di prossimità, di fatto trai gas intervistati solo il
4% dei prodotti food è acquistato ad una distanza inferiore ai 60 km. La maggioranza dei gas
discute degli acquisti e dei rapporti con i fornitori in riunioni plenarie mensili. Le cause di rottura
dei rapporti sono fondamentalmente di natura logistica, del produttore o del gas, e relativi alla
qualità percepita del prodotto.
Proprio per ovviare ai problemi logistici, alcune retine hanno provato a dare risposte in questo
senso tramite la creazione di cooperative che facilitassero gli acquisti. Gli esempi più felici di
questa evoluzione in Lombardia, si ritrovano nella provincia di Varese e di Como,
rispettivamente la cooperativa Aequos e la cooperativa Corto circuito.
Aequos è una società cooperativa nata nel Distretto di Economia Solidale di Varese, di cui è
socia. La sua attività inizia nel 2010, i GAS sono soci della cooperativa e gestiscono attraverso i
propri membri delegati, a titolo volontario tutta la parte amministrativa, la gestione degli ordini, il
rapporto con i fornitori, la parte culturale, come avviene in ogni gas con la differenza di essere
coadiuvati nella parte strettamente logistica da personale retribuito. Le famiglie servite da
Aequos sono 2000, 40 i produttori con cui si programmano le produzioni per un totale130
tonnellate di frutta, 130 tonnellate di verdura e 40 tonnellate di altro (formaggi, farine, succhi,
marmellate e yogurt) fornite nel 2012. Nell’operatività sono coinvolte 600 persone. L’attenzione
all’ottimizzazione dei costi e alla riduzione degli sprechi e dei rifiuti e massima. L’incidenza
totale dei costi logistici è poco più di 0,2 euro\kg ed include trasporto, magazzino, celle
refrigerate, personale retribuito. Non ci sono uffici, vengono utilizzati allo scopo spazi pubblici e
privati già illuminati e riscaldati e quindi non si generano emissioni aggiuntive. Gli imballi sono

53
aboliti, la merce arriva in cassette e viene consegnata in cassette che vengono riutilizzate. Il
prezzo medio al kg della merce venduta è pari a 1,73 euro\kg, che risulta essere pari
praticamente alla metà del prezzo della stessa tipologia di prodotto GDO, calcolato con
analoghe modalità.
La Cooperativa Corto Circuito è una Cooperativa Sociale di tipo A formata da GAS e piccoli
produttori locali – agricoltori e artigiani, costituita nel maggio 2009 per consorziare produttori e
consumatori coinvolti in un lungo percorso di collaborazione nell’ambito dell’economia solidale,
della filiera corta e del consumo responsabile. Fondata nel 2007 serve diversi gas della zona,
nonché consumatori associati al Gas Corto Bio (gestito direttamente dalla cooperativa), un
mercato settimanale dei produttori ed una bottega. Organizza periodicamente mercati dei
produttori no food, manifestazioni culturali, corsi di autoproduzione, visite didattiche alle fattorie,
percorsi con le scuole, corsi di formazione per agricoltori etc. Nel 2012 ha distribuito 55
tonnellate di ortofrutta proveniente dal territorio limitrofo.

3.2 I GAS come gruppi di partecipazione politica e


nicchie di innovazione

Un aspetto interessante della ricerca CORES riguarda la valutazione del cambiamento degli
stili di vita dei partecipanti ai gas. Sembra che i cambiamenti nel modo di fare la spesa , scelta
dei prodotti e produttori condivisa, ad esempio, le modalità democratiche con cui viene
organizzata la spesa, la suddivisione dei compiti, la responsabilizzazione rispetto alle scelte di
acquisto svolgano un vero e proprio ruolo auto-educante: La ricerca registra un aumento, infatti,
dei comportamenti che favoriscono uno stile di vita sostenibile e un aumento la capacità
cooperativa dei partecipanti.
Negli ultimi anni il fenomeno GAS è stato molto analizzato dal punto di vista sociologico. I GAS
presentano alcune caratteristiche tipiche dei movimenti: informalità, relazioni di rete, solidarietà,
ma difettano della capacità di organizzare una protesta collettiva; non possono essere ridotti a
semplici organizzazioni di consumatori in quanto rappresentano una forma di consumerismo
politico. In molti casi i GAS si comportano come gruppi di pressione mobilitandosi su questioni
ambientali e di giustizia sociale, organizzando iniziative di sensibilizzazione su temi di consumo
critico ed ecologia o attraverso la proposta e la sperimentazione di progetti locali ecocompatibili.
Un altro aspetto interessante dei GAS dal punto potrebbe essere il ruolo di guida all’innovazione

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dei rapporti produzione-consumo.
Quello che spinge un consumatore a diventare gasista è, prioritariamente, la ricerca di un cibo
di qualità, a prezzi accessibili e garantito sulla base di un rapporto fiduciale. La fiducia nei
sistemi convenzionali di produzione e distribuzione è stata incrinata da truffe, scandali di varia
natura e anche le ripercussioni sull’ambiente o in termini etici spingono alcuni consumatori a
esprimere il loro bisogno di autonomia nell’atto di consumo e spesso un bisogno di spazi
accessibili di partecipazione politica.
Attraverso l’azione collettiva, il gruppo ridefinisce e riorganizza radicalmente le pratiche di
acquisto riconfigurando il sistema socio-tecnico. Seppure queste esperienze mostrino una
scarsa rilevanza dimensionale (anche se in crescita ad un ritmo sostenuto) portano in se una
grande capacità di sperimentare innovazioni e possono identificarsi come nicchie socio tecniche
in un regime socio-tecnico molto diverso (Brunori-Rossi -Guidi 2012).
Le nicchie possono avere un ruolo determinante come generatori di innovazioni, ovvero di
possibili alternative nella modalità di produzione, distribuzione e consumo di fronte alla crisi. Le
nicchie sono sede di processi di apprendimento. I GAS hanno una caratteristica inclusiva,
restando aperti a chiunque voglia farne parte, in questo modo i livelli di consapevolezza e di
coerenza nei comportamenti di consumo presenti all’interno del gruppo sono differenti e
questo genera interazioni e scambi. la spesa gas comporta una riorganizzazione del modello di
consumo, spesso un vero e proprio cambiamento nello stile di vita che scaturisce dalla
riflessione sui bisogni e sulle modalità alternative di soddisfacimento degli stessi. Spesso si
generano attività collaterali alla spesa collettiva, quali lo scambio o la condivisione, anche di
saperi, il baratto, occasioni di convivialità e socialità. All’interno del gruppo, tuttavia, i
consumatori vivono questa esperienza collettivamente e quindi l’apprendimento diviene
“apprendimento sociale” nel senso che tale innovazione è condivisa e diviene parte di uno
schema comune di pensiero e azione, che rafforza il percorso dei singoli e crea sinergie. (ivi) . I
gas interagiscono anche coi i produttori, per gli aspetti organizzativi, per gli accordi sui prezzi,
sulla qualità del prodotto, per stabilire una relazione di fiducia. La relazione si crea più con il
produttore che con il prodotto acquistato. Di conseguenza, spesso, per conservare la relazione
con il produttore, di fronte a diversi tipi di problemi si perviene a soluzioni condivise che hanno
un certo carattere di originalità.
Altre volte la relazione si esplica nel supporto alla conversione al biologico, al coordinamento
per la gestione della stagionalità della produzione, a vere e proprie esperienze di co-
produzione.
La relazione tra gas e agricoltori, spesso si estende ad altri soggetti del territorio, come, ad

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esempio, associazioni o botteghe del commercio equo che mettono a disposizione le proprie
strutture come centri di sezionamento degli acquisti, cooperative sociali che supportano la
logistica, associazioni di agricoltori, amministrazioni locali etc. Questo tipo di relazioni sono alla
base della possibilità di sviluppo di altre forme di partecipazione civica e politica. Sempre più
spesso i gas sono coinvolti in iniziative volte alla difesa del territorio, della legalità o nella
promozione della cultura della solidarietà, della cultura ecologica. E’ caso recente la
mobilitazione in sostegno delle campagne referendarie contro la privatizzazione dell’acqua e
contro l’energia nucleare.
“Cambiare atteggiamento di consumo implica lo sviluppo di nuovi schemi cognitivi e normativi
(cioè di strumenti di comprensione e di interpretazione), realizzato all’interno di nuove relazioni,
attraverso l’interazione e l’apprendimento collettivo” (Brunori-Rossi -Guidi 2012) sia dal punto di
vista tecnico ed organizzativo, sia dal punto di vista cognitivo che da quello teorico. In pratica,
fare la spesa con un gruppo di acquisto solidale, vuol dire cambiare le proprie abitudini di
approvvigionamento, ricorrere a cibi meno elaborati, recuperare competenze, ma vuol dire
anche imparare nuove cose su quello che si acquista attraverso il rapporto con il produttore, e
sul modo di utilizzarlo ed infine vuol dire anche elaborare una visione del mondo diversa, più
consapevole dell’incidenza del proprio stile di vita sull’ambiente circostante, una vera propria
esperienza di innovazione sociale.
In riferimento alle esperienze di economia solidale come esperienze di partecipazione politica e
ricerca di una qualità etica dei prodotti, non si può non citare il caso del consorzio di produttori
agrumicoli Le galline felici, che da dieci anni ormai, serve i gas del nord Italia, offrendo agrumi
biologici e “pizzo-free”, raccolti da braccianti regolari, trasportati nel pieno rispetto delle regole.
Una piccola rivoluzione rispetto al sistema convenzionale dove la mafia è spesso infiltrata,
controllando l'intera filiera dal reclutamento dei lavoratori, alla logistica e distribuzione,
comprese vendite significative di falso Made in Italy alimentare, e il reclutamento di lavoro (si
stima 400.000 lavoratori) attraverso caporalato (Forno,2011). Negli ultimi tre anni vengono
organizzate delle manifestazioni dimostrative per pubblicizzare e diffondere l’iniziativa in
occasione della consegna degli agrumi. L’iniziativa Sbarchi in piazza mira a potenziare il
rapporto Nord -Sud nel campo dell’economia solidale e nel contempo a promuovere la
conversione di altri agrumicoltori a queste modalità di produzione e distribuzione, istituendo patti
di solidarietà che prevedano l’impegno del consorzio al ritiro della produzione e
all’organizzazione con i Gas del sistema di distribuzione in una cornice di Garanzia Partecipata
al fine di ridurre i costi di transazione eliminando le certificazioni recita: “I sistemi di garanzia
partecipativa (PGS–Participatory Guarantee Systems) secondo la definizione di IFOAM “sono

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sistemi di assicurazione della qualità che agiscono su base locale. La certificazione dei
produttori prevede la partecipazione attiva delle parti interessate (stakeholders) ed è costruita
basandosi sulla fiducia, le reti sociali e lo scambio di conoscenze.”
La promozione di questi sistemi è oggetto anche di un progetto lombardo del 2012 finanziato
da un bando Cariplo “Per una pedagogia della terra”, condiviso tra il Des Varese, Il Des Como e
il Des Brianza con la collaborazione di AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) che ha
avuto come obiettivo quello di creare il primo nucleo di un PGS (Partecipatory Guarantee
System) lombardo.
La necessità di attivare questo processo nasce dalla difficoltà per i piccoli produttori di accesso
alle certificazioni tradizionali bio (quelle che in Europa fanno riferimento al regolamento 834\07,
che ha sostituito il 2092\91). Una difficoltà che in alcuni ambiti marginali è tale da far
abbandonare (o non fare intraprendere) pratiche di agricoltura biologica. La certificazione
partecipativa può essere proposta per le realtà che scelgono il biologico come forma di azione
collettiva, basata su un rapporto fiduciario tra produttori e consumatori come quello che si attua
tra i Gas e i loro produttori locali all’interno dei DES. Il sostegno di AIAB a questo progetto è
dovuto al riconoscimento da parte dell’associazione che l’attuale modello per l’agricoltura
biologica sia obiettivamente un ostacolo allo sviluppo del settore, tanto che in sintonia con il
dibattito condotto a livello mondiale da IFOAM, AIAB ha condotto uno studio sull’evoluzione del
controllo in agricoltura biologica nel 2009 i cui esiti in termini di proposta sono stati, la
semplificazione burocratica per le piccole aziende, l’attivazione della certificazione di gruppo
anche per le aziende europee e non solo per i prodotti dai paesi terzi (prevista dall’attuale
regolamento) ed infine la diffusione dei PGS. Quest’ultimo approccio è al di fuori del
regolamento europeo con la conseguenza( che anche se l’agricoltore adotta in campo gli
standard del biologico previsti dal regolamento europeo la sua produzione non è certificabile
come biologico. La certificazione di parte terza risulta particolarmente onerosa proprio per
quelle piccole aziende che applicano una diversificazione della produzione e dei redditi,
integrando produzioni animali e vegetali, in linea idealmente con il biologico. AIAB ha sostenuto
la sperimentazione lombarda con l’obiettivo di far rientrare la modalità di garanzia partecipata,
nei termini in cui è stata messa a punto nella sperimentazione all’interno del regolamento
europeo (Triantafyllidis Ortolani 2013).
La garanzia partecipata si adatta molto bene al modello di Community supported Agriculture,
che in Italia non è molto diffuso nelle forme descritte per la Francia e gli USA, ma il cui spirito
riecheggia in alcuni progetti che prevedono patti di coproduzione tra Gas\Desr e piccoli
produttori.

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Un progetto di questo tipo è nato all’interno del DesBri (associazione di promozione sociale
nata dal comitato promotore per un distretto di economia solidale in Brianza) è un progetto di
coproduzione vero e proprio che mira alla costruzione di una filiera corta, sostenibile e
partecipata per il pane.
Il progetto nasce nel 2006 da un patto di co-produzione tra una cooperativa agricola biologica
un proprietario fondiario e consumatori appartenenti a gruppi di acquisto solidale. Il patto viene
facilitato dal Desbri. In pratica i consumatori si impegnano a pianificare i propri consumi (farina e
pane). In funzione della richiesta il produttore semina la superficie necessaria a produrre il
fabbisogno richiesto. I costi di anticipazione per la semina vengono ripartitti tra la cooperativa e i
consumatori. Il prezzo viene definito attraverso una procedura trasparente, sulla base dei costi
di produzione dell’intero processo (dalla semina alla panificazione). (De Santis Dentro il
capitale delle relazioni) Il progetto è ancora attivo e nell’ultimo anno ha interessato tre agricoltori
su una superficie di circa 12 ha coltivata con metodo biologico, circa 600 famiglie di gasisti,
cinque panificatori locali, un mugnaio per una produzione di 1800 pagnotte al mese (prezzo 4
euro al chilogrammo) e 100 quintali di farina, in una zona d'Italia, la Brianza, caratterizzata da
un forte tasso di urbanizzazione. E’ un progetto che ha un valore simbolico notevole rispetto
all’uso alternativo della terra, in zone in cui è fortemente interiorizzato nel senso comune il
valore della terra esclusivamente come valore di edificazione, una modalità di valorizzazione
che seppure economicamente conveniente non sempre lo è altrettanto dal punto di vista
sociale e ambientale. Il valore simbolico del progetto è stato enfatizzato nel momento in cui i
campi dai quali il progetto era partito nel 2006, nel comune di Caponago, faticosamente
convertiti alla coltivazione biologica, sono stati sottoposti a esproprio per la realizzazione dello
svincolo tra la TEEM (Tangenziale Est Esterna Milano) e l’autostrada A4. Gli attori del progetto
hanno intrapreso un’azione legale presentando un’istanza per “lesa sovranità alimentare” alla
Commissione Europea. Le spese legali della causa sono sostenute dai consumatori dei prodotti
Spiga e Madia. La disponibilità a pagare per sostenere un’idea di valorizzazione della terra
improntata alla sostenibilità ambientale e sociale oltre che economica diversa da quella
dominante, è alla base di tanti progetti in giro per l’Europa, come ad esempio il progetto
friburghese Regionalwert AG della Agronauten. Agronauten è un'organizzazione di ricerca no-
profit per l'agricoltura sostenibile e l'economia regionale. Ha sede sia a Stoccarda che a
Friburgo. I ricercatori di Agronauten provengono da diverse discipline, scienze agrarie,
sociologia, scienze della comunicazione. Il loro scopo è quello di integrare valore sociale ed
ambientale. Regionawert AG è un fondo azionario cittadino della città di Friburgo in Brisgovia,
che sostiene lo sviluppo dell'agricoltura biologica (anche favorendo l’accesso alla terra a giovani

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agricoltori) e la produzione, commercializzazione e distribuzione di cibo locale biologico con un
capitale azionario pari 1.700.000 € detenuto da circa 500 soci investito in 6 aziende agricole e
imprese per la trasformazione, distribuzione e commercializzazione. La società di ricerca
Agronauten ha sviluppato una precisa metodologia estimativa per riferire ai soci di RWAG tutto
quanto riguarda l’impatto economico, sociale ed ambientale degli investimenti del fondo nella
regione attraverso un report annuale che costituisce di fatto “il ritorno”, decisamente
immateriale, sul capitale investito.
L’idea che sta alla base di queste azioni, rilevati in diverse nazioni europee, è la stessa idea di
riconnessione tra consumatori e produttori dei Food community network e si ricollega a questi
ultimi in quanto nasce negli stessi ambienti e recluta azionisti tra i loro membri.
La premessa di questi movimenti riguarda l’uso sostenibile della terra, la preoccupazione di
sottrarla pressione speculative e cementificatorie o a fenomeni di concentrazione e al
successivo uso agricolo intensivo e convenzionale.
L’esperienza si pone come una risposta alla difficoltà d’accesso alla terra per chi voglia
intraprendere l’attività agricola. I metodi di coltivazione favoriti sono quelli biologici e le imprese
che nascono su questi terreni vengono concepite come decisamente multifunzionali, con una
particolare attenzione allo sviluppo di attività di agricoltura sociale. I canali distributivi scelti sono
quelli della filiera corta.
La rete, poi riveste un’importanza strategica, le imprese rimangono collegate tra loro, sia a
livello nazionale che internazionale.
In Francia una azione simile è portata avanti da Terre de liens.
Terre de liens è un’organizzazione complessa che prevede la presenza di tre enti giuridici in
rete tra loro: Terre de liens un ente associativo nazionale che coordina 19 associazioni regionali
con funzione culturale e di networking; Terre de liens gestion una società di accomandita per
azioni che acquista e amministra i terreni; Terre de liens foundation, fondazione che gestisce le
donazioni.
La quota di capitale per azionista è, mediamente, di 2000 euro, la responsabilità degli azionisti è
nei limiti della quota versata e non gestiscono il capitale, non c’è remunerazione su queste
quote. La gestione compete, invece, agli accomandanti che sono : l’associazione, la
cooperativa di finanza etica nef e il fondatore e ispiratore Sjoerd Wartena, che rispondono della
società con il loro patrimonio.

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Questa tabella tratta da http://terredeliens.org/ riassume in cifre la realtà di Terre de liens. che
costituisce un benchmark per le iniziative analoghe in Europa.

In Italia, l’azionariato fondiario si fa tramite i GAT. Il primo gruppo è stato costituito a Scansano
(Gr). Altri due sono in costituzione.
I GAT sono progetti di azionariato popolare in cui i cittadini investono i propri risparmi per
acquistare terreni da dare in affitto ad agricoltori che li utilizzeranno per produrre cibi biologici da
commercializzare attraverso filiera corta (mercati contadini e GAS). Altri obiettivi dei GAT sono
la diffusione dell’agricoltura sociale e la messa in rete delle esperienze nazionali e internazionali
al fine di esercitare un’attività di lobbying.
L’idea è quella di un coinvolgimento consapevole degli investitori, nel solco delle esperienze
della cosiddetta finanza alternativa o etica, proponendo quindi come prospettiva di guadagno,
accanto a quella materiale, quella immateriale dell’aumento del benessere collettivo, attraverso
la valorizzazione economica e sostenibile di un bene come la terra che, sebbene limitato,

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presenterebbe la possibilità di produrre, se gestito con metodi sostenibili, illimitatamente, valore
ambientale e sociale.
I GAT scelgono come modalità di acquisto e gestione mediante raccolta di pubblico risparmio
dei terreni, una modalità for profit su base locale.
Ogni GAT è una s.r.l. il capitale è diviso in quote (100 del valore di 10000 euro ciacuna) e
ciascun socio può detenerne un numero limitato (4). Ogni società opera localmente ma
stabilisce rapporti di rete con le altre società nazionali. Il capitale viene remunerato (con una
tassazione al 12,5%) ed è possibile il diritto di recesso dal secondo anno con l’applicazione di
una penale per il terzo anno e incentivi a restare per il quarto e quinto. E’ sempre possibile la
cessione della quota a aspiranti soci graditi alla società.
Il marchio registrato GAT garantisce il funzionamento dell’attività agricola secondo un protocollo
definito nel rispetto della sostenibilità ambientale e sociale e contraddistingue quindi la
produzione delle aziende GAT sul mercato.(Moiso, Pagliarini 2013).

3.2.1 Il gas di Cassina de’ Pecchi, uno spazio di partecipazione civica

Cassina de’ Pecchi è un piccolo centro dell’area metropolitana milanese, di cui occupa una
posizione relativamente esterna, dove è ancora possibile riconoscere i caratteri del sistema
territoriale della pianura irrigua.
Circa metà della sua superficie (7,6 Km 2 ) ricade all’interno del Parco Agricolo Sud Milano.
E’ attraversata dal torrente Molgora , dal naviglio della Martesana e dalla rete  di canali e
rogge che da esso derivano. Storicamente era una stazione di posta per i cavalli sulla via
che Milano va a Venezia (Padana superiore, oggi Statale 11). Nell’ottocento inglobò due
comuni limitrofi S.Agata Martesana e Camporicco, attualmente frazioni del Comune. Il
Parco Agricolo si estende  tra queste due  frazioni e ospita le sei cascine ancora produttive.
Sono collocate in quest’area anche la Cascina Bindellera, abbandonata dal ‘79, di proprietà
comunale, la Cascina Casale sempre di proprietà comunale recuperata ed ospitante il
Centro Civico.
Dagli anni ‘60 in poi, con lo sviluppo delle linee tranviarie, prima, e della ferrovia
metropolitana, poi, il paese ha assistito ad un rapido sviluppo demografico, economico e
urbanistico. La sua densità abitativa è 1755 ab\Km 2.. La popolazione è demograficamente
abbastanza stabile con una tendenza all’invecchiamento, la fascia d’età più rappresentativa

61
è quella trai 30-59 anni che rappresenta circa il 50% della popolazione ed appartiene, per lo
più, al ceto medio impiegatizio. Il paese è abitato soprattutto da famiglie, gli scolari
rappresentano circa il 18% della popolazione.
Il comune ha ospitato fino agli anni 2000 importanti aziende del settore telecomunicazioni,
appartenenti sia al settore produttivo sia al terziario, che negli ultimi anni, però, hanno quasi
tutte abbandonato il territorio. Persistono poche piccole e medie imprese. Il commercio è
marginale e limitato ai negozi di vicinato essenziali e a due piccoli supermercati, un
supermercato di medie dimensioni ed un discount .
Operano sul territorio due cooperative sociali di tipo B che hanno sede nel Comune e
erogano servizi a persone disabili, una cooperativa sociale impegnata in campo culturale e
numerose associazioni.
Il Comune di Cassina de’ Pecchi nel 1999 ha ricevuto il premio Città sostenibile dei bambini
e delle bambine”. E’ un comune Riciclone (premio Legambiente per i comuni che hanno
una buona gestione dei rifiuti).
Il paese non ha un centro storico, nè una “piazza”, un luogo pubblico di ritrovo. In
compenso, nonostante l’ingente pressione edificatoria, sul territorio comunale, si rileva la
presenza di tante aree verdi, cinque parchi attrezzati comunali, un parco attrezzato
oratoriale, aree attrezzate per le attività sportive all’aperto, due aree cani, piste ciclabili, di
cui una lungo la Martesana, oltre alla vasta area agricola ricadente nel Parco Agricolo Sud
Milano. Sul territorio comunale sono presenti una Biblioteca Civica, un Teatro Civico, una
Ludoteca Civica, una Scuola Civica di Musica, completa la dotazione di servizi comunali
un’accogliente Nido per l’infanzia che ospita anche servizi di sostegno alla genitorialità.
Per quanto riguarda il settore agricolo, le aziende agricole di Cassina de’ Pecchi sono in
aziende convenzionali localizzate soprattutto nella frazione S.Agata e sono soprattutto ad
indirizzo foraggero-zootecnico, si produce principalmente latte. E’ presente sul territorio
anche un’apicoltura e un’azienda che produce piccoli frutti in serra fotovoltaica fuori terra.
Nel raggio di 7 km, sono, invece. presenti aziende che hanno attuato strategie di
diversificazione e che vendono direttamente i propri prodotti, nel comune di Cernusco sul
Naviglio, infatti, si trovano: una azienda biologica ad indirizzo orticolo-vivaistico, un’azienda
biologica ad indirizzo zootecnico con un‘importante attività di agricoltura sociale, un’azienda
familiare ad indirizzo produttivo misto.
Da quanto detto emergerebbe che gli abitanti di Cassina de’ Pecchi, siano soprattutto

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famiglie di ceto-medio, sensibili all’ambiente, che l’hanno scelta come luogo dove vivere per
la sua dimensione residenziale, la comodità dei collegamenti con Milano, la presenza di
verde e servizi e per la “ruralità residua” che ancora conserva.

L’Associazione Amici della Ludoteca-Gas Cassina la storia


L’associazione denominata “AMICI DELLA LUDOTECA“, (ADL) si è costituita da un gruppo
di genitori, in gran parte utenti ed ex-utenti del servizio comunale di Cassina de' Pecchi
“Tempo per le famiglie”, un servizio di sostegno alla genitorialità per giovani genitori
(soprattutto mamme) e bambini da zero a tre anni che non frequentassero altri spazi
educativi (es. nidi). Il servizio, ancora attivo, nasce anche con finalità di facilitare rapporti di
rete tra famiglie, di favorire gli scambi mutualistici e la condivisione della cura dei bambini.
Il bisogno che ha spinto i genitori ad associarsi è stato fondamentalmente quello  di un
luogo di riferimento per le famiglie sia in senso ideale che materiale, simile proprio al
servizio “Tempo per le Famiglie” dove continuare a frequentarsi man mano che i bambini
crescevano. E’ stata individuata nella  Ludoteca Comunale, la sede ideale. Il patto con il
Comune consisteva nell’uso non esclusivo della Ludoteca come sede dell’associazione “in
cambio” del supporto e  della promozione del servizio comunale di Ludoteca.
Nel 2006 tutte le famiglie aderenti avevano almeno un figlio in età scolare, alcuni in età
prescolare e alcuni in svezzamento e quindi si mostravano  sensibili all’idea di nutrire i
bambini in modo sano e sostenibile. Alcuni soci erano a conoscenza di gruppi di
acquisto solidale nei comuni vicini.  Si è deciso di prendere contatto con le realtà di altri
GAS già esistenti sul territorio (Vimercate, Vimodrone) e alcuni soci hanno preso parte alle
loro assemblee per mutuarne le modalità di funzionamento. La cultura mutualistica, già
molto radicata nel gruppo, ha favorito la rapida organizzazione per gli acquisti collettivi.
Inizialmente, si sono acquistati solo verdure biologiche da un produttore del comune
limitrofo (Corbari BIO) e formaggio grana bio (caseificio Tomasoni di Brescia) costituendo il
primo nucleo di famiglie del Gas Cassina (12). Data la scarsa disponibilità di tempo e di
energie delle famiglie coinvolte, per circa un anno non si acquistavano altri prodotti.
Successivamente, man mano che altri soci si mettevano a disposizione del gruppo si sono
aggiunti altri prodotti al paniere della spesa. Primo tra tutti , l’ordine collettivo della pasta e
della farina presso il pastificio Iris di Calvatone; la necessità di un minimo d’ordine di 80 colli
(minimo 5kg per collo), per spuntare condizioni economiche più convenienti ha spinto

63
l’associazione ad allargare al territorio l’invito a unirsi al gruppo di acquisto. L’invito venne
esteso a tutte le associazioni e cooperative sociali del territorio ottenendo una risposta
positiva . Il gruppo fino al 2008 ha continuato a crescere ma restando gruppo informale ed
appoggiandosi alla sede dell’associazione ADL solo per il sezionamento settimanale degli
ordini collettivi.
Il gruppo ha aderito alla rete nazionale dei GAS nel mese di novembre del 2008, questo ha
fatto si che arrivassero dai paesi limitrofi persone che intendevano far parte di un gruppo di
acquisto solidale e identificassero il gas di Cassina, attraverso la rete, come quello più
comodo per le loro esigenze.
A gennaio 2009 si è avviato il confronto con gli altri Gruppi d’Acquisto Solidali della zona
della Martesana, ed è stata approvata la creazione di un coordinamento di tali gruppi. I GAS
che ne fanno parte collaborano tra loro nell’organizzazione delle attività di formazione e
negli acquisti comuni. Nel 2010 un piccolo gruppo di soci gorgonzolesi, lasciava il gruppo
per costituirne uno nuovo sul territorio di Gorgonzola (gemmazione) una scheda in fondo al
paragrafo lo descrive e ne racconta l’evoluzione. Il gruppo di Cassina ha aderito alla Retina
della Brianza dall’aprile 2011, con questo coordinamento vengono effettuati alcuni ordini.
Al raggiungimento delle 100 famiglie associate, gli ordini cominciavano ad avere un valore
importante ed i referenti dovevano sostenere l’onere di far transitare sui propri conti cifre
ingenti, con una certa regolarità tutto ciò, unito al fatto di sezionare gli acquisti in uno spazio
pubblico, ha reso necessaria la formalizzazione del gruppo. Nel 2010, l’associazione
cambiava il suo statuto convertendosi in Associazione di Promozione Sociale senza fini di
lucro, iscrivendosi all’albo provinciale ed includendo formalmente il gruppo di acquisto
solidale tra le proprie attività. Si dotava di un conto corrente presso Banca Etica e investiva
il suo minimo capitale sociale (900 euro) in azioni della banca, divenendone socio.  
Fin dall’inizio, oltre alle attività di supporto e promozione dei servizi educativi, venivano
proposte alla cittadinanza, attività di sensibilizzazione al consumo critico e attività di
educazione a stili di vita più sostenibili, sia per gli adulti che per i bambini ed anche  alle
scuole del territorio. Nel 2012 l’associazione ha cominciato,  per i propri associati e  utenti
della Ludoteca, ad autorganizzare  servizi  per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro,
come il Piedibus (accompagnamento dei bambini a scuola a piedi in mutualità )  e laboratori
creativi nei giorni di chiusura delle scuole.
Oggi ADL conta 144 famiglie associate, la tendenza recente prevede un saldo netto di circa

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20 associati in più all’anno.

Le relazioni
Tra soci
La necessità di “mangiare bene” favorendo l’adozione di pratiche alimentari corrette e
sostenibili socialmente, eticamente e ambientalmente, fin dall’inizio, è stata coniugata ad
un’attenzione ai prezzi d’acquisto (numerose sono le famiglie con due o più figli). Questa
attenzione ai prezzi ha spinto l’associazione ad aggregare più soci per godere dei vantaggi
dei grandi numeri. I soci direttamente impegnati nelle operazioni di acquisto e distribuzione
degli ordini collettivi sono, abitualmente, circa 40, mentre 10 sono quelli che si occupano
delle attività sociali e culturali.
Il primo gruppo è costituito dai referenti ordine e si riunisce presso gli spazi di una delle
cooperativa sociale che supporta il gas, in genere, ogni terzo venerdì del mese. L’attività di
referente, come qualsiasi altra attività svolta dai soci, è a carattere volontario e quindi non
remunerata. A tutti i soci è pertanto richiesto di collaborare alle attività sulla base delle
proprie attitudini e della disponibilità di tempo. Non è richiesto a tutti lo stesso impegno, è
sufficiente che ciascuno si impegni secondo le proprie possibilità. Nelle riunioni dei referenti
degli ordini si valutano i nuovi produttori che spesso approfittano di queste occasioni i per
incontrare il gas e presentare i prodotti, si valuta l’andamento degli ordini, si programmano
le attività di acquisto, si pongono e si risolvono le criticità connesse e si discute e si
riferiscono le attività di altri gruppi della rete gas o di progetti di rete che alcuni referenti
seguono. Un ruolo determinante nel gruppo referenti hanno i “giovani “ pensionati, persone
inattive per raggiunti limiti di età o di carriera ma depositari di competenze (informatiche,
gestionali, organizzative), con grande disponibilità di tempo. Svolgono una funzione
essenziale soprattutto nella fase distributiva degli acquisti.
Il  econdo gruppo si riunisce ogni primo mercoledì del mese presso la sede
dell’associazione.
Le relazioni mutualistiche all’interno di questo gruppo sono fortemente legate alla cura
condivisa dei bambini e dello spazio della Ludoteca e alle attività di formazione e
ricreazione per i soci progettate al fine di aumentare le competenze e la coesione del
gruppo. Alcuni soci coltivano un orto condiviso che si trova nel giardino della Ludoteca e
che ha, fondamentalmente, una finalità didattica nell’ambito dei laboratori con i bambini.

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Il direttivo dell’associazione, organo elettivo costituito da sette membri, il Presidente, il
Vicepresidente, il Tesoriere e quatto consiglieri si riunisce una volta al mese, ha
fondamentalmente un compito di coordinamento delle attività associative e di relazione con
l’amministrazione comunale. Un’altra importante funzione presente all’interno del direttivo è
la Tesoreria. Il Tesoriere coadiuvato da un commercialista, presso il quale sono domiciliati i
libri contabili e i registri sociali, tiene la contabilità, i rapporti con la banca e stila il bilancio
annuale, che viene approvato nell’assemblea plenaria annuale e inviato alla Provincia per il
mantenimento dell’iscrizione all’Albo Provinciale delle APS. L’associazione non applica
nessun tipo di ricarico sugli acquisti gas, né sui servizi auto-organizzati. Si autofinanzia con
le quote associative, con le donazioni dei soci e dei benefattori e con i contributi del 5xmille.
Non riceve alcun contributo dall’amministrazione comunale, se non la concessione dello
spazio ad un canone simbolico e l’obbligo di compartecipazione alle spese di riscaldamento
e di elettricità.
Tutti gruppi sono aperti alla partecipazione di ogni socio. Tutte le riunioni vengono
verbalizzate ed i verbali sono puntualmente trasmessi via email.
I rapporti trai soci al di fuori degli incontri periodici si intrattengono tramite posta elettronica
con l’ausilio di appositi gruppi tematici gestiti con l’applicazione google-groups.
La partecipazione non interessa la totalità dei soci, molti (il 50\60%) adottano un
comportamento free-rider, partecipando solo agli acquisiti o alla fruizione dei servizi. Le
motivazioni sono diverse, sarebbe interessante un’analisi approfondita.

Con i produttori
I produttori da contattare vengono scelti durante le riunioni mensili in base ai seguenti
criteri:
- zona di produzione: sono favoriti i produttori locali e/o conosciuti personalmente o tramite
la rete dei GAS
- dimensioni dell’azienda: sono favorite le piccole realtà
- tipologia di prodotto: sono favoriti i prodotti biologici e stagionali
- costi: si cerca un buon rapporto qualità – prezzo, ma cercando di conciliare le esigenze
dei produttori con le nostre
- impatto ambientale: si favoriscono aziende che rispettino l’ambiente
- eticità: si prendono accordi con produttori rispettosi della legislazione vigente, sia per

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quanto riguarda gli aspetti fiscali che per quanto riguarda i diritti dei lavoratori.
I criteri sono abbastanza vaghi, questo, se spesso stimola il dibattito durante la valutazione
degli ordini e favorisce scelte critiche, partecipate ed inclusive, altre volte, in assenza di
dibattito permette l’ingresso nel paniere di beni non propriamente rispondenti a criteri di
sostenibilità o eticità particolari.
Ogni referente interagisce direttamente con il produttore per gli aspetti organizzativi, per gli
accordi sui prezzi, sulla qualità del prodotto, per stabilire una relazione di fiducia, quando
possibile visita la sua azienda e tiene i rapporti tra produttore e il gas. La relazione si crea
più con il produttore che con il prodotto acquistato. Di conseguenza, spesso, per
conservare la relazione con il produttore, di fronte a diversi tipi di problemi si perviene a
soluzioni condivise che hanno un certo carattere di originalità.
Un esempio può essere quello relativo al “salvataggio” del caseificio Tomasoni di Brescia
da parte dei gas tramite l’intermediazione di una cooperativa finanziaria etica.
Tomasoni è un biocaseificio bresciano, a gestione familiare, produttore di grana padano
biologico, dal 1815. Fornisce circa 100 GAS soprattutto lombardi, tra cui il gruppo di
Cassina. A fine 2008 ha affrontato grosse difficoltà finanziarie, trovando chiuse le porte di
tutte le banche, e ha chiesto supporto ai suoi clienti gasisti, che coinvolgendo una mutua
autogestita, la cooperativa Mag2, hanno raccolto 30.000 euro, interessando direttamente
oltre 20 GAS che sono diventati soci ed hanno sottoscritto capitale sociale di Mag 2. Mag2
ha così erogato tre finanziamenti del valore complessivo di 60.000 euro circa, che assieme
a 90.000 euro di anticipi su fornitura, hanno permesso di salvare l’azienda dalla chiusura.
Trentacinque famiglie dell’ADL, fedeli consumatori del grana Tomasoni, hanno versato 15
euro di contributo per fornire la garanzia alla Mag2 affinché finanziasse il caseificio.
All’epoca, il GAS non era ancora costituito come APS e quindi il contributo per ogni
famiglia, stabilito nella cifra di 15 euro, fu versato complessivamente a nome della referente
dell’ordine del grana. Nel 2011 la cifra è ritornata, con gli interessi, nella disponibilità del
GAS che ha deciso di rinnovare la sua adesione alla mutua autogestita arrotondando la
cifra a 600 euro e investendola in un altro progetto di microcredito della Mag2: il sostegno
alla conversione biologica di una azienda suinicola di Cerro al Lambro, la Cascina Lassi.
Massimo Tomasoni, uno dei tre fratelli soci del caseificio, ogni anno per Natale, scrive una
lettera per aggiornare i gasisti sulle scelte aziendali compiute durante l’anno e per
aggiornare il listino.

67
Ecco cosa scrive, nella lettera del Natale 2011 ai gasisti, Massimo Tomasoni:

”"Per quanto riguarda il listino 2012 dico subito che quest’anno, a fronte di un aumento generale dei costi di
produzione e del costo della materia prima pari a circa l’8%, abbiamo fatto di tutto per non ritoccare il listino
che di fatto resterà INVARIATO salvo il grana di 2^scelta ed alcuni formaggi non prodotti direttamente ma
solo commercializzati. Viste le ristrettezze che tutti abbiamo dovuto e dovremo affrontare in futuro, a causa
del calo sensibile del potere d’acquisto, abbiamo cercato di non gravare sui bilanci famigliari riducendo parte
del nostro margine di guadagno confortati anche dal fatto che la nostra fase critica, che ci portò al rischio
chiusura ad inizio 2009, è da considerare conclusa. E’ un po' come restituire parte degli interessi che vi
avremmo dovuto dare sul prestito ricevuto, un modo per ritornare parte della solidarietà ricevuta.

Nella tabella che segue si sintetizzano i produttori , i luoghi e i tempi di consegna indicativi.
oltre ai criteri di valutazione dei prodotti, già spiegato, vale il principio che altri prodotti
possano essere acquistati qualora si identifichino nuove persone disponibili a fare da
referenti.
Questo limita notevolmente l’ingresso di nuovi prodotti, anche la frequenza di acquisto è
limitata dal numero di soci che si rendono disponibili per le consegne.
In funzione del tipo di prodotto e della disponibilità della struttura le consegne avvengono
presso la Ludoteca,presso gli spazi delle cooperative sociali La Speranza e Il Germoglio di
Sant’Agata. Viene favorito il riciclo dei contenitori (cassette per le verdure, cartoni di
consegna dei formaggi, vasetti del miele) in accordo con i produttori. Nel 2013 i soci hanno
effettuato acquisti colletivi per oltre 98.000 euro.

Prodotto Produttore Luogo consegna Tempi consegna


Verdure (frutta) Corbari Ludoteca Ogni giovedì
biologiche, uova bio (Cernusco S.N.) dalle 15.45 alle 17.30

Carciofi, zafferano, Lasa Angela Maria – Ludoteca circa ogni due-tre


dolci sardi Serramanna (Medio mesi
Campitano)
Asparagi rosa Cooperativa CAAM di Ludoteca aprile – maggio
Mezzago (tramite Retina) settimanale
Agrumi bio Licalzi (Sicilia) tramite Coop. Germoglio 3 - 4 consegne in
Retina Brianza autunno e inverno,
mensili
Prodotto Produttore Luogo consegna Tempi consegna
Ciliegie bio AZ. MAROGNA GIACOMO ludoteca Giugno e luglio
Caprino Veronese-VR settimanale
tramite retina

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Mirtilli bio Azienda MirBì Pradella ludoteca Luglio - 1 o 2 volte
Cristina Moncrivello (VC)-
Piemonte
Castagne IGP varola, farina Felice Molinari Ludoteca o La Autunno - due o tre
di castagne Il Castagneto - Speranza consegne
Montella (AV)
Pesche (et al.) bio Azienda Rivalta tramite retina Ludoteca Giugno - luglio
Cachi Azienda R. Papagni – Serravalle Ludoteca autunno
(Asti)
Funghi San Salvatore societa' Ludoteca 3 o 4 volte all’anno
cooperativa agricola –
Montechiarucolo (Parma)
Mele biodinamiche Cooperativa Osiris (AltoAdige) Germoglio mesi invernali (2- 3
volte)
Formaggi Tomasoni Ludoteca 1° o 2° giovedì del
biologici Gottolengo (BS) mese, ore 16 – 17.30

Parmigiano reggiano – Caseificio Gennari - Collecchio La speranza o il Una volta al mese


presidio slow-food PR Germoglio circa, sabato
Formaggi di capra bio Agrimilk Corte Bernuzzo, Ludoteca Ogni due mesi circa -
Solarolo Rainerio (CR) giovedì
Mozzarelle bufala campane F.lli Di Benedetto - Capaccio Ludoteca Ogni due settimane
(Salerno)

Pecorino sardo Mini caseificio F.lli Codonesu Ludoteca Ogni circa 3 mesi -
Castiadas Loc. Camisa (Ca) giovedì
Gelato con prodotti bio Naturale – di L. Chiappa- San Ludoteca Al giovedì – mesi
Vittore Olona-MI estivi
Pesce allevato in alto mare Aqua, Lavagna (Golfo del La Speranza Ogni mese salvo
Tigullio) periodo estivo
Carne bovina, salse, Az. Agr. Il Masapé – Prasco –(Al) La Speranza o Ogni due - tre mesi
marmellate… Piemonte –ccop. Ludoteca
Olio bio Damiani (Assisi) Ludoteca o la 2-3 volte all’anno,
Umbria (+lenticchie) Speranza giovedì o sabato
Prodotto Produttore Luogo consegna Tempi consegna
Olio bio siciliano e mandorle Azienda Caruso - Caltabelotta Ludoteca o la giovedì o sabato
(AG) Speranza pomeriggio; 2-3 volte
all’anno
Miele bio e marmellate Az. Agr. Casellarone – ludoteca Giovedì o Sabato
Rivergaro (PC) mattina, ogni 4-6
mesi
Aceto balsamico di Modena Acetaia Reggianini- Spilanbergo Ludoteca 1 volta all’anno
bio (MO)
Legumi e riso bio Az. Agr. Lesca Lagosco (PV) La Speranza o 1-2 volta all’anno
Germoglio
Pane “Spighe e madia” Progetto Retina ludoteca Giovedì ore 16 – 17.30
Panificio Il fornaio Via Padana settimanale
sup – Villa fornaci
Pasta e farina bio COOP AGR. IRIS A.S.T.R.A BIO Coop. Germoglio Sabato, circa 3 volte
all’anno
Farine bio Mulino Marino Cossano Belbo La Speranza o 1-2 volta all’anno
(CN) Germoglio
Cereali, farine Cascina Pollastri-Cernusco S\N Ludoteca 2 volte all'anno
Riso farro orzo biodinamico Cascine Orsine Bereguardo Ludoteca Ogni 4 -6 mesi

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Pavia
Riso Riseria Merlano Buronzo (VC) La Speranza Ogni 3-4 mesi
Riso DOP
Caffè, thè (commercio equo Bottega Mondo Alegre di Ludoteca 1-2 volte all’anno
- anche bio) Gorgonzola
Caffè (tostatura artigianale) Collettivo Malatesta -Lecco Ludoteca 4 volte circa all’anno
Salumi e affettati (da gran Marco D’ Ludoteca Ogni due o tre mesi,
suino padano-senza Oggiono giovedì pom.
conservanti)
Acciughe e sgombri, tonno Efisio Salis di Sant'Antioco La Speranza Ogni 4 mesi, sabato
giallo (Sardegna) pom.
Detersivi e cosmetici nat. Officina Naturae Ludoteca Sabato o giovedì
pom.
Ogni 4 mesi circa
Olii essenziali, cosmetici e Remedia Ludoteca o La Una - Due volte
creme Sarsina (FC) Speranza all’anno

Sapone artigianale Naturarci udoteca o La Speranza Una - Due volte


a olio oliva Locri (AC) all’anno
Cosmetici, trucchi naturali Sante Salzhemmendorf - Ludoteca Ogni due mesi circa
Germania
Scarpe Calzaturificio Astorflex, Castel La Speranza o Due volte all’anno
d’Ario (MN) ludoteca
Tessile bio - maglieria Made-in-No, rete di artigiani di La Speranza o Una volta all’anno
intima Novara ludoteca
Calze cotone bio Natura di E. Volpe– Brugherio La Speranza o 1 volta all’ anno
(MI) ludoteca

La comunicazione tra referenti degli ordini e produttori avviene prevalentemente tramite


posta elettronica.

Con il territorio
L’associazione si interfaccia con diversi soggetti del territorio; principalmente con
l’amministrazione comunale, proprietaria dello  spazio dove ADL ha sede , sempre coinvolta
nella progettazione delle  attività educative, culturali e di conciliazione, che vengono
patrocinate  e promosse, all’interno delle scuole e presso la cittadinanza, dal Comune
stesso. La collaborazione con gli uffici comunali è buona ed ha una storia lunga otto anni.
Più conflittuali sono le relazioni con l’interlocutore politico, indipendentemente dal colore
dell’amministrazione. Si avverte una difficoltà a relazionarsi con  un’associazione che vuole
sperimentare nuovi modi dell’agire civico. L’art. 118 della costituzione (di recente
introduzione, 1997) ultimo comma afferma che i poteri pubblici “favoriscono le autonome
iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Ciò significa

70
riconoscere che questi cittadini attivi non sono utenti, assistiti, amministrati, secondo le
categorie del Diritto amministrativo tradizionale. Sono invece soggetti che collaborano con
l’amministrazione nel perseguimento dell’interesse generale o, detto in altro modo, nella
cura dei beni comuni. Sono insomma coloro che, insieme con l’amministrazione, fanno
vivere l’amministrazione condivisa. Questa relazione richiede nuove regole e nuove
disponibilità da parte delle amministrazioni.
Un altro interlocutore importante è la Scuola, alla quale vengono proposte attività educative,
si condividono il Progetto Piedibus e i campi estivi durante la chiusura scolastica.

Le cooperative sociali del territorio coinvolte nell’attività gas sono due: una è La speranza ,
un ex cooperativa di consumo, ora impegnata in campo culturale, l’altra è una cooperativa
di tipo B, che si occupa di educazione all’autonomia di  adulti con disabilità lieve. Queste
cooperative hanno messo a disposizione i propri spazi e le proprie strutture. La cooperative
La speranza, offre gli spazi per le riunioni ed i suoi locali di ex cooperativa di consumo per
alcune consegne che richiedano la refrigerazione degli ordini in attesa di consegna, in
cambio di un canone simbolico e della disponibilità a contribuire a progetti condivisi.

Più articolato è il rapporto con la seconda, la cooperativa Il Germoglio. La strategia di


collaborazione con questo ente è molto innovativa, la cooperativa ha integrato alcune
attività del GAS nelle proprie attività educative, conferendo diversi servizi al GAS,
nell’ambito della logistica e della distribuzione degli acquisti collettivi, ricevendo per parte di
questi servizi un minimo riconoscimento economico. L’attività più onerosa è quella relativa
alla logistica degli agrumi che vengono prelevati in cassette, con un mezzo del Germoglio,
da alcuni utenti del servizio ed un educatore, alla piattaforma di Pozzo d’Adda a cui arrivano
dalla Sicilia, e scaricati presso la sede del Germoglio dove vengono distribuiti ai membri del
gas dal referente dell’ordine. Per questa attività, la coop riceve un riconoscimento
economico da parte del gas. L’ordine collettivo delle mele e quello della pasta e della farina,
invece vengono  scaricati dai rispettivi  produttori direttamente presso la sede del
Germoglio, che agevola l’operazione partecipando alla  sola movimentazione dei carichi,
nel caso delle mele, ed anche al sezionamento degli ordini per famiglia, nel caso della
pasta e della farina. La distribuzione alle famiglie è a cura dei referenti degli ordini. per
motivi assicurativi e di responsabilità della struttura, i referenti degli ordini consegnati
presso i locli della cooperativa sono anche soci della cooperativa, la quota associativa è
sostenuta dal GAS.

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Ancora, gli utenti della cooperativa, supervisionati dal loro educatore, in gruppi di due
partecipano, a settimane alterne, alla consegna del pane del progetto Spiga&Madia.
Durante questa giornata, vengono distribuite le mozzarelle di bufala di Libera (associazione
antimafia che fa attività economica sulle terre confiscate) provenienti dalle aziende
confiscate ai Casalesi. Le mozzarelle vengono acquistate tramite le botteghe del
commercio equosolidale Coop Mondoalegre, che ne curano la distribuzione a livello
nazionale. l’ordine delle mozzarelle ha come referente un’educatrice della cooperativa  che
è anche membro del gas.

La pratica di uno stile collaborativo, l’esercizio quotidiano della mutualità, la coltivazione di


sensibilità ambientale porta ad una serie di “effetti generativi”.

Da quattro anni l’associazione, le due cooperative citate e tutte le associazioni del territorio
organizzano una festa della durata di quattro giorni, a settembre, Encuentro, dove si
promuovono “in pratica” ed in maniera ludica, stili di vita e di consumo sostenibili.
L’organizzazione della festa in tutti i suoi aspetti, strettamente organizzativi, culturali,
ristorativi e ricreativi viene condotta da tutti i soggetti partecipanti attraverso tavoli mensili
da un anno all’altro: In realtà la festa è anche  un pretesto per mantenre vivo il
coordinamento di rete degli attori sociali del territorio durante tutto l’anno.L’ADL, nel 2012
ha attivato un processo di connessione in rete di tutti i soggetti dell’economia solidale del
territorio della Martesana coinvolgendo 10 gas, la coop Il germoglio, il Gruppo Territoriale
della Banca Etica, la Mag2 , le Acli, associazioni locali con finalità di tutela e promozione del
territorio, un micro birrificio cassinese  con punto di ristoro “Km 0”, tre aziende agricole di
Cernusco s\N. L’obiettivo è quello di arrivare a definire un DES per la Martesana. Il gruppo
ha organizzato due eventi collettivi, una cena in una festa di piazza a Gorgonzola con soli
prodotti del territorio (100 coperti), una presentazione del gruppo all’interno di una festa a
Cassano d’Adda. Gestisce alcuni ordini in condivisione e sta procedendo lentamente ad
una mappatura dei soggetti di economia solidale locali. Recentemente ha deliberato per
l’adesione all’Expo dei popoli e si è impegnato alla progettazione di eventi diffusi sul
territorio in occasione di Expo.

Il futuro
Il progetto attualmente sul tavolo, ed in corso di realizzazione, è una scuola di formazione
permanente teorico-pratica per la diffusione di nuovi stili di vita. La prima parte del progetto

72
che partirà nel 2014 è una scuola di cucina naturale conviviale. Le linee guida alimentari
prendono spunto dalle  ricerche  del dottor Franco Berrino (ex direttore del dipartimento    di
eidemiologia dell'Istituto nazionale dei tumori) e dagli insegnamenti del biologo e
nutrizionista macrobiotico Martin Halsey, saranno tenute da un cuoco professionista  che ha
collaborato con la scuola di cucina del professor Berrino. e si è diplomato alla scuola di
M.Haasley. Gli appuntamenti hanno anche lo scopo di offrire un momento di convivialità e
di socializzazione fra partecipanti. I corsi proposti prevederanno incontri teorici e pratici con
cadenza settimanale dove, di volta in volta, si prepareranno insieme menu stagionali
completi ed equilibrati che poi verranno consumati insieme. La scuola sarà ospitata presso
la sede della cooperativa Il germoglio, nell’ambito di un più vasto progetto. Alla scuola di
cucina si affiancheranno, infatti, una scuola di orticultura e sperimentazione di pratiche di
agro-ecologia, una scuola di educazione all’uso responsabile del denaro, una scuola di
Nordic-Walking. Tutte le scuole avranno un carattere teorico-pratico.
Per quanto riguarda le attività già in essere, per quanto rodate, non possono crescere se
non ci si dota di una struttura amministrativa e di governance adeguata.

73
Il Gruppo di Acquisto Solidale di Gorgonzola è nato a settembre 2010 dall'esperienza del Gas  di  Cassina  dè
Pecchi,  perchè  alcuni  suoi  membri  hanno  deciso  di  duplicare l'esperienza nel comune di Gorgonzola.
Inizialmente, le famiglie aderenti erano 15 ma nel corso di 3 anni sono diventate circa 70.

Metodo di lavoro
Il gruppo si riunisce mensilmente ed opera riferendosi a principi del consenso (è importante il parere di ciascuno),
partecipazione (poco lavoro di ciascuno fa una grande azione di gruppo), conoscenza diretta dei prodotti e dei
produttori.
Nella riunione mensile si confrontano le conoscenze di ciascuno, le esperienze personali, la sperimentazione di
pratiche di auto-produzione o produzione collettiva. Nei limiti delle possibilità di ciascuno, a tutti è richiesta
disponibilità e tempo per testare i prodotti, effettuare indagini e ricerche, incontrare i produttori sul campo,
raccogliere gli ordini di acquisto, distribuire i prodotti, tenere i rapporti con gli altri Gruppi d'Acquisto Solidali.

Il Gruppo d'Acquisto è coordinato da due/tre responsabili che, oltre ad armonizzare il lavoro del gruppo, si
impegnano a tenere i contatti nel territorio con altre reti di GAS e organizzazioni del mondo dell’economia solidale.
Ogni prodotto è gestito da due referenti che si occupano di tenere i contatti con il produttore, distribuire i listini al
gruppo e raccogliere gli ordini di chi vuole acquistare, da inviare al produttore.
Successivamente, definita la data di consegna la comunicano al Gruppo, organizzano la distribuzione, durante la
quale raccolgono i soldi da consegnare al produttore.
Il gruppo nomina un cassiere, a cui ogni aderente al GAS versa una somma di 50 € con lo scopo di creare un fondo
per l’eventuale pagamento anticipato di produttori, in modo che questo non gravi sui referenti.
E’ prevista una rotazione di responsabili e referenti su base biennale (e sfasati tra loro), in modo da garantire la
partecipazione attiva di una fascia del gruppo più ampia possibile.

Il  Gas  di  Gorgonzola,  ha  relazioni  con  altri  enti  ed  associazioni  del  Comune,  come Manitese, la Bottega del
Commercio Equo e Solidale, ed ha partecipato ad un'iniziativa di economia  solidale  organizzata  presso  la
Cascina  Pagnana  comunità  solidale  di Gorgonzola.
I prodotti acquistati sono molti, sia freschi che non: agrumi, verdura e uova, pollami, caffè, carne rossa, formaggi
vaccini, formaggi di capra, parmigiano reggiano, miele, olio, pane, pasta e passata, pasta fresca, riso, farine, legumi,
birra, vino, detersivi, scarpe. L'acquisto di verdura, uova, pollami e pane è settimanale, mentre i restanti prodotti
hanno ordini mensili o trimestrali. La consegna avviene, normalmente, vicino al Capannone di Manitese, a cui il Gas
si appoggia anche per il ritiro delle arance (da ritirare a Pozzo d'Adda con un camion) ed eventualmente per lo
stoccaggio di alcuni prodotti, anche se si cerca di consegnare il prima possibile i prodotti freschi. Per molti prodotti,
l'acquisto viene fatto insieme al Gas di Cassina dè Pecchi, così da aumentare i volumi di acquisto e facilitare le
consegne al fornitore. Per gli agrumi, l'acquisto è invece gestito dalla Retina della Martesana.
Fornitori di prodotti freschi
Per alcuni prodotti freschi, come verdura e formaggi, sono stati scelti fornitori locali, che rispondono al criterio del
Km 0, ma non hanno la certificazione biologica. Per l'acquisto di verdura è stata scelta la Cascina delle Galline di
Bellinzago Lombardo, gestita da una piccola produttrice che non ha la certificazione biologica, ma acquista le
sementi dall'azienda Agricola Antonio Corbari (azienda biologica di Cernusco s/n e fornitore di verdura di Cassina
dè Pecchi) e non utilizza prodotti chimici sui suoi prodotti. Il rapporto tra il GAS e la fornitrice, è diventato sempre più
stretto, a tal punto da pianificare insieme gli ortaggi da piantare, in base alle necessità del Gruppo. La Cascina delle
Galline fornisce anche uova, carne di pollo e di coniglio e talvolta frutta di stagione (uva o ciliegie).
Inoltre, la coltivatrice è stata coinvolta nella programmazione didattica della scuola materna Rodari di Gorgonzola,
ed ha svolto alcune lezioni ai bimbi (la semina e l’importanza degli insetti nell’agricoltura), avendo anche la
possibilità  di vendere alcune piantine alla giornata di “scuola aperta”. Anche per quanto riguarda l’acquisto di
formaggi, è stato utilizzato il criterio del Km zero, scegliendo  due  cascine  di  Gorgonzola,  che  producono
formaggi  con  latte  vaccino (Cascina Mugnaga) e formaggi di capra (Cascina ColomboVergani). Entrambi i
produttori non hanno la certificazione biologica, ma il criterio guida per la loro scelta è stato quello di acquistare
prodotti nel territorio gorgonzolese-

74
Elenco dei punti di forza-debolezza (analisi interna) e delle opportunità-minacce (analisi
esterna)
obiettivi forza debolezza opportunità minacce
sperimentare un aumento dei amministrazione, sensibilità della assenza di politiche
modello praticabile consumi”locali” ed logistica e popolazione alla dedicate
di acquisto e “ecosostenibili” distribuzione questione ambientale
consumo e in genere risparmio per il insufficienti e|o assenza di un quadro
di soddisfacimento consumatore grazie organizzativamente normativo di
dei propri bisogni alla molto onerose
crescita della ”cultura riferimento
come laboratorio di riduzione dei costi di
della rete” e
educazione alla transazione
dell’alfabetismo difficoltà a reperire
consapevolezza (acquisto diretto)
alti costi di “tempo” per informatico produttori locali in
ecologica
la partecipazione e la grado di soddisfare i
processi decisionali riorganizzazione aumento del bisogno fabbisogni di acquisto
partecipati domestica della di spazi di
condivisione della fequenza e dello partecipazione civica e
responsabilità del stoccaggio della politica in forme non riduzione del potere di
processo, aumento spesa. convenzionali acquisto
della consapevolezza
nei consumi
scarsa offerta di perdita di competenze
prodotti time-saving. aumento del tasso di di base nella
disoccupazione preparazione dei pasti
spazio di azione civica
a partire da materie
e politica
ambito limitato: prime scarsamente
esclusione degli trasformate o
aumento della
“analfabeti” informatici strettamente stagionali
popolazione inattiva,
empowerment della e di persone con
ma ancora
comunità, sviluppo di limitata capacità di
relativamente
capacità autonoma di spesa che privilegiano
“giovane”
azione consumi non (neopensionati)
alimentari

occasioni di socialità e
convivialità presenza di
comportamenti free-
learn by doing di un riders
metodo di lavoro
collaborativo e non
gerarchico

moltiplicazione di
”legami deboli”

generazione di azioni
virtuose a cascata

leggerezza della
struttura

75
3.2.2 Spiga&Madia - una filiera corta partecipata e solidale per i gas dell’area
metropolitana di Monza e della Martesana

Il progetto Spiga&Madia è nato all’interno del DesBri (associazione di promozione sociale


nata dal comitato promotore per un distretto di economia solidale in Brianza) è un progetto
co-produzione vero e proprio che mira alla costruzione di una filiera corta, sostenibile e
partecipata per il pane.
Il progetto nasce nel 2006 da un patto di co-produzione tra una cooperativa agricola
biologica, un proprietario fondiario e consumatori appartenenti ad una ventina di gruppi di
acquisto solidale, la retina della Brianza. Il patto viene facilitato dal Desbri, un’associazione
di promozione sociale nata per promuovere la costituzione del Distretto di Economia
Solidale della Brianza .
La Brianza è un territorio estremamente urbanizzato, con una densità abitativa altissima
(2000ab\km2-dato della Provincia MB), la cui economia è caratterizzata da un vivace tessuto
imprenditoriale che opera, soprattutto, nel settore del legno e nel terziario avanzato. E’ una
terra ricca, in termini materiali, di competenze, di spirito imprenditoriale. E’ una terra dove la
tradizione agricola è stata forte e che ancora ospita uno spazio agro-naturale che occupa il
45% del territorio, per una superficie totale di 16000 ettari. Sono, relativamente, tante le
piccole aziende agricole, sempre più “spinte”, in uno sforzo di diversificazione, a valorizzare
la propria produzione. La vendita diretta interessa 64 aziende, quattro sono le fattorie
didattiche, una decina gli agriturismi, cinque le produzioni tipiche di qualità: la patate di
Oreno, l’asparago di Mezzago, il salame Brianza DOP, l’agnello e il pollo Brianzolo. La
presenza agricoltura sul territorio, nonostante gli sforzi, rimane comunque residuale. Gli stili
di vita e di consumo sono decisamente urbani, la pressione cementificatoria ancora alta: si
va da tassi di consumo di suolo del 30 % nelle zone collinari fino al 90%, nelle zone di
Lissone e Vedano. Nonostante la pressione ecologicamente insostenibile dell’urbanizzato, i
comuni continuano a proporre Piani di governo del Territorio che prevedono l’espansione
delle zone edificabili. In assenza di politiche locali volte alla limitazione della
cementificazione, anzi ancora determinate ad aumentare ulteriormente la pressione
edificatoria, all’interno del DESBRI, si è sviluppato un dibattito sulla possibilità di
sperimentare un altro modello di valorizzazione della terra, più eco-sostenibile, ma
comunque capace di generare un reddito e una radicazione nel territorio tale, da vincolare

76
la terra al nuovo uso, sia per la convenienza dell’agricoltore, ma anche nel senso comune.
La scelta di coltivare frumento tenero per panificazione rappresenta  quello che si può
defininire un tentativo di favorire l’“embeddednes”, nel senso di Granovetter, ovvero un
riposizionamento del cibo nel contesto ambientale, sociale, geografico ed economico.
(Goodman 2009).

La filiera Spiga&Madia e i rapporti tra i suoi attori


L’idea su cui si è deciso di focalizzarsi è stata l’agricoltura biologica, il prodotto prescelto il
pane. Le motivazioni della scelta sono da ritrovarsi sia nel significato evocativo di questo
cibo, che ben si presta al tentativo di “risocializzazione”: produrre il pane, un alimento di
base così importante nella nostra cultura, aiuta a veicolare più facilmente l’idea della
relazione trofica tra  uomo e terra. Dal punto di vista organizzativo , poi, la filiera della farina
è relativamente semplice e , nonostante nel 2006, la produzione di grano tenero per
l’alimentazione umana fosse praticamente scomparsa dal territorio, persistevano colture
cerealicole e quindi competenze locali per la coltivazione.(De Santis,2010)
La gestione organizzativa della produzione viene affrontata con il metodo dei GAS, ovvero
quel metodo partecipato e critico di decidere che caratterizza le scelte della maggioranza
dei gruppi di acquisto solidale nella spesa collettiva e più precisamente con la struttura
organizzativa di cui si dota una retina quando affronta ordini collettivi.
Ogni gas produce un suo referente per il progetto, l’assemblea dei referenti si riunisce ogni
mese per discutere l’andamento generale del progetto. Parallelamente viene costituito un
gruppo tecnico, più ristretto e comunque aperto, che gestisce operativamente il progetto. Gli
incontri di entrambi i gruppi, vengono sempre verbalizzati e i verbali sono a disposizione dei
gas coinvolti.
Il gruppo tecnico costituito da soli gasisti è quello che si interfaccia con gli altri attori della
filiera: il proprietario della terra,l’agricoltore, il mugnaio, i panettieri e il gruppo dei referenti
che rappresenta i consumatori.
Tra i diversi attori vengono stipulati dei patti scritti, facilitati dal Desbri.
Nel 2007 i GAS sottoscrivono il primo patto e compartecipano al rischio di impresa,
sostenendo i costi di anticipazione nella misura del 50%; le quote versate prima della
semina permettono all’agricoltore di affrontare l’avvio della produzione. Le quote versate
verranno restituite in farina dopo il raccolto. L’agricoltore, esperto di metodi biologici si
impegna a convertire la produzione. Nell’autunno del 2007 su un terreno nel territorio di
Caponago, concesso in regime di affitto, una superficie di 5 ha. veniva seminata a grano,
varietà Blasco in mix con Bologna, frumenti teneri panificabili ad alta qualità che presentano

77
rese buone e stabili.
La quota di anticipazione, intorno ai 2000 euro, veniva suddivisa per famiglia, le famiglie
inizialmente coinvolte erano circa 200. Si evince che a fronte del minimo rischio per ogni
gasista in termini finanziari, il vantaggio per l’agricoltore è notevole, riducendosi del 50%.la
sua esposizione. Questo è il principio che è alla base dei patti di co-produzione delle CSA,
riconosce all’agricoltore la difficoltà di sottrarsi ad un futuro, magari poco soddisfacente, ma
certo, per affrontare un futuro incerto, seppur stimolante e riconosce anche la difficoltà
organizzativa e, talvolta, anche cognitiva che sta dietro un cambio dell’organizzazione
aziendale per l’agricoltore. La dimensione della superficie da seminare viene invece definita
a partire da un’indagine previsionale, all’interno di ogni gas, sui consumi di farina e pane di
ogni singola famiglia aderente al progetto.
Oggetto del patto sono le quantità domandate dai gas e il prezzo che viene definito con un
criterio di costo di produzione (vedi tabella), operazione per operazione.
I contributi PAC, pur costituendo una voce in attivo per l’agricoltore, di notevole entità, per
mutuo accordo tenuti fuori dal patto.
La condivisione da parte degli agricoltori coinvolti dal progetto delle motivazioni ideali dello
stesso, prevede anche il coinvolgimento di questi nel recupero di pratiche ormai desuete,
quali quella dell’auto-produzione della semente. Il progetto sostiene e facilita, anche
economicamente (finanziando la partecipazione agli incontri nazionali ad esempio),
l’adesione dei produttori coinvolti alla rete rurale che tramite associazioni come Semi Rurali
o Civiltà contadina, mantiene in vita le pratiche contadine tradizionali, quali lo scambio di
semi e di competenze. Questa azione ricolloca l’agricoltore in un contesto più ampio e
sociale della produzione. In progetti di questo tipo, l’agricoltore non è più l’esecutore
individuale di un programma tecnico imposto dall’esterno attraverso gli input acquistati sul
mercato, ma diventa protagonista nel processo di produzione a partire dalla riproduzione
dei fattori necessari alla sua attività , un’autoproduzione che non è autoreferenziale, ma che
si colloca in un contesto di socializzazione delle conoscenze e di costruzione di un
patrimonio condiviso (semi, tecniche) all’interno della comunità rurale. Questo se da un lato
gli permette di sottrarsi al mercato e di risparmiare sui costi,  lo investe di una
responsabilità di cura  e di accrescimento nei confronti del patrimonio   rurale comune e lo
gratifica per una soggettività ritrovata all’interno del processo produttivo. (van der
Ploeg,2006).

78
Spiga e Madia 2008 granella
costo unitario % sul totale
Costi unità costo/ha note
(euro) voce

operazione
1 Distribuzione letame euro ettaro 90 1 90 6%
2 aratura a 25 cm quadrivomere 70 1 110 7%
tradizionalmente il costo delle lavorazioni colturali
3 erpicatura 45 1 45 3%
comprendono costo del lavoro, ammortameni delle
4 sarchiatura strigliatura 45 1 45 3%
macchiene e costi operativi (energia ecc.)
rullatura 25 1 25 2%
5 semina 40 1 52 3%

6 trebbiatura 165 1 214,5 13% Attività gestita attratverso servizio esterno

7 totale costo operazioni (iva compresa) 581,5 36%


% sul totale
materie prime costo unitario unità costo/ha
voce
8 Letame maturo 1 350 350 22% acquistato extra azienda

9 borlande 7,9 15 118,5 7% residui della lavorazione della bietola da zucchero

10 Semente 0,95 190 180,5 11% varietà blasco


11 totale costo materie(iva inc.) 649 41%

% sul totale
costi fissi costo unitario unità costo/ha
voce
costo valorizzato: impegno preso dall'affittuario
12 Manutenzione capitale fondiario 0,03 % 8 1% nei confronti della gestione del fondo (ad esempio
pulizia dei fossi ecc)
13 Affitto 1 268 17% contratto
14 Certificazione 26 1 26 2% costo proporzionale dell''ente do certificazione

15 Interessi sul capitale di anticipazione 0,045 % 55 3% interesse sui capitali anticipati

16 totale costo operazioni (iva compresa) 357 22%

17 totale costi (operazioni + materie + fissi) 1588


ricavo
Ricavi unitario unità q.li ricavo/ha % totale voce
(euro)
il processo di definzione del prezzo: a)
valutazione delle resa ettaro attesa b)
18 Plv (euro/q) 40 40 1600 100%
valutazione del prezzo q.li necessario a
compensare i costi sostenuti
19 Paglia Nel 2007 non è riusciuto a venderla
20 contributi P.A.C.* i contributi agricoli della psr (piano di sviluppo
21 contributi P.S.R. rurale ex pac) pur rappresentando una
componente fondamentale del redditto agricolo
22 contributi no ogm non sono oggetto, per mutuo accordo, del patto
23 contributi A.T.C. sm

24 totale ricavi 1600 100%

R- Co 12 1%

Nell’estate del 2008 il primo raccolto. veniva  destinato alla molitura  


L’idea è quella di molire il grano in più volte in modo da garantirsi una farina sempre
fresca per la panificazione. Quindi c’è necessità di un mulino che sia disponibile a lavorare
piccole quantità e soprattutto a restituire la farina  che provenga  esattamente dalla granella
fornita. Si identifica allo scopo un vecchio mulino nella provincia di Monza che servirà il
progetto fino al 2012 quando per una serie di criticità (vd pgf 2) verificatesi nella fase di
molitura negli anni precedenti si deciderà di affidarsi ad un altro mulino, più distante, nel
comasco, ma più confacente alle necessità del progetto

79
Con lo stesso criterio con cui viene definito il prezzo della granella, viene definito il prezzo
della farina e del pane. Vengono fissati un margine commerciale del 15 % per l’agricoltore
che si occupa anche della gestione amministrativa  della granella e della farina e un
margine per il progetto, conferito al DESBRI nella misura del 3%, equamente ripartito tra il
produttore, il trasformatore, e il consumatore  per  le eventuali spese connesse al
miglioramento del progetto stesso o allo sviluppo di progetti simili all’interno del DES
L’agricoltore spunta in questo modo un prezzo superiore del rispetto alla media di mercato
e soprattutto stabile, anzi legato più alle congiunture del mercato dei fattori produttivi che
non a quello dei prodotti Le prime pagnotte prodotte dal progetto, costavano 2,50 per un
peso di 750 gr ciascuna, un prezzo competitivo per un pane artigianale, a lievitazione
naturale, da agricoltura in conversione al biologico.
Il prezzo del pane, per decisione condivisa non tiene conto dei diversi prezzi delle farine,
ma risponde la criterio del prezzo medio per pagnotta. La farina integrale infatti ha un costo
minore, presentando una più alta resa di molitura (95% contro il 75% della bianca). Questo
dato è interessante in quanto nel sistema convenzionale, avviene esattamente l’opposto. la
farina integrale, in virtù delle qualità salutistiche che le vengono attribuite costa di più.
Il prezzo che non risulta differenziato per tipologia di pane, viene invece differenziato,
all’ingresso progressivo di nuovi artigiani nel progetto, per panificatori (attualmente 4).
Questa decisione nasce dal riconoscimento delle diverse strutture (tecnologie, possibilità di
usfruire di lavoro salariato, etc) che stanno dietro ogni singolo panificatore e che implicano
degli scartamenti di costo e quindi di prezzo e nel caso di nuovi ingressi, nella necessità di
sostenere la conversione dei processi produttivi dei nuovi attori. In questo caso specifico, la
modulazione del prezzo avviene agendo sul margine spettante al progetto per la quota dei
consumatori.

80
Spiga e Madia 2008 farina e pane
Spiga e Madia
dove non indicato esprssamente
Costo di produzione della granella € 0,400 l'IVA è del 4%

costo trasporto Nibai - Mulino - Nibai € 0,015 vedi tabella 1


costo trasporto una tantum- stock presso mulino € 0,013
costo molitura
costo molitura € 0,216 euro kg 0,18 +iva
granella
Costo industriale € 0,644
Costo effettivo x 1 kg. di farina (resa: 75% di granella impiegata) € 0,858
margine di
margine commerciale nibai € 0,154 impresa%. sulla 18%
farina
Costo lordo farina al kg. € 1,01
Prenotato kg
Fatturato lordo € 12.149,28 12000
anno
Margine di soliderietà netto 1.853

FARINA Sacco 25 kg Sacchetto 5 kg Sacchetto 1 kg


Costi di confezionamento farina/kg. € 0,05 € 0,09 € 0,44 IVA 20%
costo/kg. farina confezionata € 1,06 € 1,10 € 1,68
Costo netto farina in sacchi € 26,56 € 5,51 € 1,68

contributo Nibai x DES (1%) € 0,27 € 0,06 € 0,02

Ricavo netto Nibai € 26,30 € 5,45 € 1,66

contributo consumatore x DES (1%) € 0,27 € 0,06 € 0,02

Prezzo (con IVA) farina in sacchi franco Cernusco s.N./ NIBAI ** € 27,35 € 5,67 € 1,73
Totale contributo al DESBRI (a sacco) € 0,53 € 0,11 € 0,03
contributo per sviluppo progetto alla Retina (a sacco) € 1,12 € 0,22 € 0,04
Prezzo (con IVA) finale farina in sacchi franco Cernusco s.N./ NIBAI € 29,00 € 6,00 € 1,80

PANE
costo di panificazione (per kg di pane) € 2,200
costo pane al kg. (farina + panificazione) € 2,901
costo netto pagnotta 750 gr. € 2,176

contributo panificatore x DES (1%) € 0,022

ricavo netto panificatore € 2,154


contributo consumatore x DES (1%) € 0,022
prezzo (con IVA) pagnotta 750 gr. al panettiere € 2,240
Totale contributo al DESBRI € 0,044
contributo per sviluppo progetto alla Retina € 0,216
prezzo finale (con IVA) pagnotta 750 gr. € 2,50

Ai prodotti del ciclo il progetto ha associato un marchio, appunto Spiga&Madia ed un logo


Il coinvolgimento dei gasisti, in questo processo non si limita agli aspetti organizzativi, ma
anche alla controllo della qualità e alla valutazione di gradimento dei prodotti  lo
scambio di informazioni tra gasisti, referenti, tavolo tecnico è costante, per ogni ordine
vengono considerate le eventuali criticità o i punti forti, in un monitoraggio mensile che
raggiunge, praticamente, ogni consumatore, con un’ottica di “feed-back”, ovvero di

81
segnalazione che permette, dove possibile, l’aggiustamento del processo per
l’ottimizzazione del risultato. lo stesso dicasi per la pianifcazione dei consumi che
consente, nel tempo, man mano che i meccanismi si perfezionano e consolidano,
l’annullamento del rischio di eccedenza produttiva e riduce anche nelle singole famiglie i
rischi di spreco. Il controllo della qualità è affidato a laboratori esterni e consiste nella
valutazione della presenza di aflatossine …..e nell’analisi delle caratteristiche tecniche di
panificabilità  della farina.
I gasisti, in questo genere di progetti, vengono coinvolti anche in alcune operazioni in
campo, ad esempio la piantagione delle siepi intorno ai campi, necessario alla certificazione
biologica della coltura o la battitura del grano. Le giornate vengono organizzate come
un’occasione conviviale, una festa, all’aria aperta per le famiglie del progetto, dove si può
contribuire a costruire un pezzo del valore del progetto “sporcandosi le mani”, sviluppando il
senso di appartenenza ad una comunità che si riappropria della capacità di produrre il
proprio cibo sulla propria  terra. Occasioni del genere vengono ricreate, annualmente,  in
occasione della festa del raccolto.
Le richieste per i panificatori che vogliano produrre il pane all’interno di questa filiera,
riguardano la condivisione degli intenti, la  disponibilità a panificare con tecniche tradizionali
a lievitazione lenta con pasta madre, la disponibilità a condividere il prezzo trasparente
con gli altri panificatori, la massima trasparenza e disponibilità a condividere le modalità di
produzione e gli ingredienti usati, la disponibilità a effettuare prove minime di panificazione
e a restare in produzione in prova, per almeno quattro mesi e a regime per almeno 10 mesi
l’anno.  
Questa disponibilità ad un confronto aperto  e trasparente da parte di tutti gli attori è la base
per la costruzione di un patrimonio condiviso di fiducia che si fonda su solide basi di
conoscenza delle esigenze e delle motivazioni dell’altro in un processo continuo di scambio
e di apprendimento reciproco. Il riconoscimento della imprescindibilità e dell’interdipendeza
tra gli attori delle filiera stretti nel vincolo del patto accresce la solidarietà del sistema e crea
un capitale relazionale che è la forza ed il ritorno sociale del progetto.

Le criticità lungo il percorso


Per quanto la filiera della farina sia abbastanza semplice e le operazioni dal seme al pane
relativamente poche, si tratta comunque di progetto complesso da gestire nella sua

82
interezza, che prevede tutta una serie di decisioni sia durante l’ordinaria gestione che in
presenza di criticità.
L’approccio del “metodo gas” prevede la programmazione condivisa  del processo di
produzione, cercando con l’aiuto delle parti di prevenire le possibili criticità, ma senza
temere particolarmente l’eventuale verificarsi delle stesse e senza prevedere le possibili
soluzioni, ma rinegoziandole volta per  volta con il contributo attivo di tutti gli attori.
Capita ad esempio che il raccolto non sia sempre sufficiente alle esigenze del progetto a
causa del clima, non sono strettamente prevedibili le rese. Quando ciò si verifica comporta
la riduzione del ritorno in farina per i gasisti delle quote anticipate, ma  anche il problema di
come garantire pane “Spiga&Madia” per tutti e 10 i mesi previsti. Anche le modalità di
confezionamento delle farine per l’uso domestico riguardanti la dimensione dei sacchi e la
conseguente analisi del beneficio in termini organizzativi del sacco da 1kg rispetto a quello
da 5kg e  dei relativi e sensibilmente diversi costi di insacchettamento, la gestione iniziale
della conservazione delle farine, della presenza di parassiti, le analisi qualitative, quando
ad esito positivo , sono state tutte affrontate dal gruppo con il supporto delle competenze
del tavolo tecnico.
Un esempio pratico della gestione sistemica delle criticità è il caso verificatosi nel 2010 di
presenza di muffe nelle farine. Premesso che i controlli di routine erano avvenuti e con esito
negativo, alla segnalazione di uno dei panificatori di un sacco anomalo, è stata bloccata in
via precauzionale tutta la produzione di pane da farine del progetto (si è ricorso ad altre
farine acquistate con il fondo accantonato per gli imprevisti) e nel frattempo si è sottoposta
un’ampia campionatura di granelle e farina ad analisi, presso il dipartimento di Analisi
Chimiche e Tossicologiche dell’Università di Napoli, dotato di strumentazione molto
sensibile ed avanzata. Nell’attesa dell’esito dell’analisi (che peraltro si è rilevata negativa
alle aflatossine, che costituivano il timore maggiore) un ampio dibattito ha avuto luogo tra
tutti gli attori della filiera alla ricerca delle cause possibili del problema. I fattori critici
focalizzati sono stati, fondamentalmente, la scarsa pulizia della granella prima dello
stoccaggio e le condizioni inadeguate di stoccaggio. Non sussistendo la possibilità di
migliorare significativamente queste due e condizioni (il mugnaio molto anziano e prossimo
al ritiro dall’attività non aveva intenzione di impegnarsi in un processo di ottimizzazione),
nell’anno successivo si è cambiato il mulino, preferendone uno più distante, ma che
presentava tutta una serie di caratteristiche positive quali le migliori condizioni di

83
stoccaggio, migliore tracciabilità del prodotto, ottimo prezzo, molitura lenta a pietra e
possibilità di riattivare una certificazione biologica del processo. Nel contempo, si
manifestavano ulteriori criticità costituite dalla maggiore distanza, che complicava la
logistica, l’impossibilità di ottenere una farina zero, quindi bianca ma solo farine dal tipo 1 in
su ed infine un impianto di pulitura della granella. E’ stata inoltre predisposta una strategia
preventiva del possibile sviluppo di muffe sui prodotti consistente in una serie di misure che
vanno dalla raccolta in campo ad un coefficiente di umidità della granella non superiore al
12% alla dotazione di un igrometro nel primo deposito della granelle presso l’agricoltore ed
ad una serie di accortenze sulla gestione della granella, dalla pulizia alla ventilazione ed,
infine, una routine di campionamenti su tutta la filiera ed un numero maggiore di controlli
analitici presso laboratori terzi.
Interessante la soluzione del problema di non poter ottenere più pane bianco dalle farine
del progetto. I panificatori sono stati invitati a effettuare prove di panificazione per verificare
la possibilità di utilizzare le nuove farine. Sul versante consumatori si è deciso di proporre
alle famiglie una transizione graduale dal  solito  pane bianco da farina 0 (che in molti gas
rappresentava oltre la metà del pane acquistato) al pane semintegrale da farina 1 con un
lavoro di comunicazione da parte dei referenti che sottolineasse le migliori qualità
nutrizionali del nuovo pane e tutti i vantaggi del nuovo mulino. La strategia ha dato ottimi
risultati, il consumo di pane non ne ha risentito e il nuovo prodotto è stato ben accettato 8la
verifica del gradimento è sytata fatta tramite la somministrazione ad ogni famiglia di una
scheda di valutazione). Il periodo di transizione è durato un anno.
L’elaborazione comune della risposta alla criticità permette di considerare la stessa come
un’opportunità di crescita delle competenze gestionali e non come un fallimento rispetto alla
mancata previsione. Il coinvolgimento dei consumatori, che sono anche coproduttori, porta
ad una visione diversa dei problemi, rispettivamente, di scarsità, di packaging scomodo, di
scarsa qualità igienica , differenze del prodotto.  La risposta del gruppo  non è il rifiuto del
prodotto, ma una ricerca delle soluzioni possibili per risolvere il problema che viene sentito
come proprio dal consumatore, in un’ottica di condivisione della responsabilità di
produzione e non di ricerca di “colpe”. E’ sicuramente un processo lento, ma lascia, oltre
alla soluzione, qualunque essa sia, il gruppo più consapevole e rafforzato nel metodo.
Alcune criticità non presentano la stessa possibilità di soluzione dei problemi ricorrendo alle
sole risorse del progetto, che hanno limiti di tempo (gruppo tecnico, assemblea dei referenti

84
sono attività volontarie) o di competenze. Alcuni esempi: mentre il costo della produzione
della farina viene dettagliato operazione per operazione, non avviene lo stesso per la
determinazione del  costo di panificazione che invece viene dedotto dalla richiesta del
panificatore per pagnotta, sottratti gli altri costi. La determinazione del costo di panificazione
è più complessa rispetto a quella di produzione della farina e l’artigiano non riesce a fornirla
in maniera trasparente, né il gruppo ha risorse sufficienti a garantire la sostenibilità in
termini economici e di tempo per  un’operazione del genere. Questa è sicuramente una
criticità del progetto.
Ancora, la logistica, affidata quasi interamente al primo agricoltore che ha preso parte al
progetto risulta complicata e spesso genera conflitti con l’agricoltore stesso. La pulizia della
granella poi, che oltre a rappresentare un problema igienico, per il possibile sviluppo di
muffe durante lo stoccaggio, costituisce anche un problema se si vuole autoprodurre la
semente, che inevitabilmente presenterà problemi di purezza.
La soluzione potrebbe essere la esternalizzazione della logistica  e della   restando in capo
all’agricoltore, in parte e per la restante ai referenti volontari vengono percepite  come
attività molto onerose e non gratificanti, generano conflitti con l’agricoltore, impediscono al
gruppo tecnico e all’assemblea dei referenti di dare più spazio alle attività culturali e
politiche del progetto e di conseguenza rischiano di far scadere il potenziale di
partecipazione e di relazione del progetto stesso.
Nonostante le difficoltà il progetto cresce costantemente, interessando sempre più
superficie, agricoltori, gas e panificatori. Oggi investe una superficie di circa 12 ha coltivata
con metodo biologico, coinvolge circa 600 famiglie di gasisti, cinque panificatori locali, un
mugnaio per una produzione di 1800 pagnotte al mese (prezzo 4 euro al chilogrammo) e
100 quintali di farina all’anno. man mano che il progetto si espande ed aumentano gli attori
coinvolti, se da un lato l’effetto di scala riduce delle problematiche (mietitrebbiatura
meccanica in luogo della trebbiature e battitura, “spalmamento” dei costi dell’analisi
qualitativa su una produzione maggiore, etc), la complessità relazionale del progetto
aumenta notevolmente.
La filiera Spiga&Madia non è l’unica filiera corta del pane in Lombardia, sono diverse le
esperienze nei diversi DES, creare connessione tra le diverse intorno a questi esperimenti
di autoproduzione potrebbe essere un modo di generare una struttura multiservizi (logistica,
gestione amministrativa, molitura) che serva con un alta funzionalità di rete tutti i progetti di

85
ricostruzione di filiera locale.

Autoprodurre il pane come azione politica


Il processo di partecipazione, che necessita al progetto, è ingente ed intenso. Essendo
escluse gerarchie, assi lineari di decisione, i processi decisionali sono lunghi e complessi e
coinvolgono un numero di persone che , in questi tempi di scarsa partecipazione politica, di
apparente passività civica, colpiscono. L’assemblea dei referenti si riunisce quasi una volta
al mese ed interessa una trentina di persone, il tavolo tecnico, costituito da sei membri al di
là delle riunioni tiene un’attenzione costante e quotidiana al progetto. In ogni gas,  poi, la
distribuzione settimanale del pane coinvolge una o più persone, impegnate nel lancio
dell’ordine (frequenza mensile), nel ritiro presso il panificatore, nella consegna del pane, nel
ritiro delle somme dovute, nella contabilità. Non mancano le iniziative di promozione,
accompagnate da conferenze sull’uso del suolo, sulla sovranità alimentare, cene di
autofinanziamento, workshops di panificazione domestica. Tante persone impiegano
energie e tempo per poter consumare una pagnotta che potrebbero tranquillamente
acquistare dal fornaio sotto casa Il progetto non è unico, in molte regioni italiane ci sono
progrtti simili nei DES locali, solo in Lombardia sono almeno quattro le filiere del pane
solidale attive. Sembrerebbe   che un simile progetto non abbia  a che vedere solo con la
necessità di autoprodurre un alimento di base in modo sano e sostenibile ad un prezzo
accessibile, ma costituisca un tentativo di “riflessione pratica” sul nostro modello di
consumo e un bisogno di affermazione della propria soggettività politica in un sistema che
assottiglia sempre più gli spazi di azione e di cittadinanza, che attua politiche sempre più
lontane dai territori e dagli interessi locali, un “ribellarsi facendo” come recita lo slogan di
una campagna d’informazione rivolta a portare i contenuti di innovazione sociale e politica
dei territori ad un pubblico più vasto tramite il blog http://comune-info.net/.
Spiga & Madia è  un progetto che ha un valore simbolico notevole rispetto all’uso alternativo
della terra, questo significato  è stato enfatizzato nel momento in cui i campi dai quali il
progetto era partito nel 2006, nel comune di Caponago, faticosamente convertiti alla
coltivazione biologica, sono stati sottoposti ad  esproprio per la realizzazione dello svincolo
tra la TEEM (Tangenziale Est Esterna Milano) e l’autostrada A4. Gli attori del progetto
hanno intrapreso un’azione legale presentando un’istanza per “lesa sovranità alimentare”
alla Commissione Europea. Le spese legali della causa sono sostenute dai consumatori dei

86
prodotti Spiga e Madia attraverso sottoscrizioni ed attraverso eventi di autofinanziamento
della causa.
Elenco dei punti di forza-debolezza (analisi interna) e delle opportunità-minacce (analisi
esterna)

obiettivi forza debolezza opportunità minacce


produrre pane bio buona qualità del packaging inadeguato diffusione del progetto problemi di sanità dei
con buon rapporto prodotti
prodotto
q\p logistica inadeguata rapporti di rete con
prezzo competitivo progetti simili rese incostanti
monitoraggio costante alto costo analisi
qualità
e capillare del
gradimento
sperimentare un redditività costante e amministrazione, attenzione della pressione edificatoria
modello praticabile riduzione del rischio logistica e popolazione a
di valorizzazione del d’impresa distribuzione questione ambientale alto costo di accesso
territorio per l’agricoltore e per insufficienti e|o alla terra
il panificatore organizzativamente
molto onerose
assenza di politiche
dedicate
strutture produttive
inadeguate
riduzione dei costi di
(mulino sprovvisto di
transazione risparmio
attrezzatura per
per il consumatore
pulitura)
(fiducia)

alti costi di “tempo” per


processi decisionali
la partecipazione
partecipati
condivisione della
responsabilità del ambito limitato
processo

87
Conclusioni

Definire i sistemi agroalimentari alternativi non è una operazione semplice.


Le forme, che “l’essere alternativo” al sistema convenzionale assume,  sono molteplici
come diverse sono le prospettive teoriche dalle quali si indaga: economica, sociologica o
relazionale.
Anche i punti di partenza, da cui si mette in discussione il sistema convenzionale, sono
disparati: i problemi connessi ai riflessi negati degli attuali sistemi di produzione,
distribuzione e consumo, sull’ambiente; la sicurezza alimentare, nella sua più recente
accezione di diritto al cibo in quantità e qualità adeguate ed anche nella sovranità dei popoli
sui modi di assicurarsela; la distribuzione del valore prodotto nelle filiere tra gli attori del
sistema.
I modelli diffusi nel mondo, infatti, si differenziano per le forme organizzative (mercati
contadini, box schemes) per il grado e il tipo di innovazione che promuovono (CSA), per la
possibilità di integrazione istituzionale e di “scaling-up” che presentano (appalti pubblici per
le mense).
In tutti i modelli analizzati emergono risposte più o meno felici alle questioni poste in
partenza, spesso anche contradditorie: gli stessi concetti di “corta”, “locale”, “biologica” che
sembrerebbero essere i fattori accomunanti delle filiere che caratterizzano questi sistemi
sono spesso controversi e da queste contraddizioni scaturiscono numerose domande.
E’ più eco-sostenibile un prodotto biologico importato dall’altro emisfero tramite trasporto
aereo o il prodotto da agricoltura convenzionale che proviene dal comune limitrofo?
E’ sostenibile economicamente  una ri-localizzazione dei sistemi agroalimentari?
La riorganizzazione della spesa, del suo stoccaggio, della preparazione dei pasti,  non
sempre molto “time-saving” è sostenibile socialmente ed è inclusiva o limitata a una elìte?
Quanto conta la componente del  coinvolgimento del consumatore e quanto questa ha un
valore politico?
Non è facile dare risposte. Ciò che emerge è che, la possibilità di soddisfare il nostro
bisogno primario per eccellenza, ovvero procurarci il cibo e di farlo in un’ottica di
sostenibilità, declinata nelle sue tre dimensioni, sociale, ambientale ed economica, è un
problema davvero molto complesso che richiede uno sguardo diverso, una prospettiva

88
multipla e una strategia integrata di risposta.
Non è possibile infatti, dal mio punto di vista, attribuire una preminenza ad un approccio
teorico, piuttosto che ad un altro e nessuno di questi, peraltro, è in grado da solo di darci
una comprensione del fenomeno.
La questione non può, secondo me, essere ridotta alla ricerca dei modelli o, ancora più
difficilmente del modello, alternativo.
Il tratto comune che sembra emergere, e che si ritrova anche nel  modello italiano del
Gruppo di Acquisto Solidale illustrato nella story-line riportata nell’ultimo capitolo di questa
tesi, è quello della complessità e dell’approccio sistemico che questi sistemi richiedono e
nelle possibilità che offrono, una volta che si allarghi lo sguardo dal cosa essi sono al
come si strutturano e operano; a quali siano e quanto contino gli scambi, le relazioni tra gli
attori all’interno sistema e rispetto al contesto. Come si evidenzia anche negli esempi
riportati, sembra che, se il cambiamento dalla logica strettamente di prodotto a quella
sistemica di processo, sia un punto di forza, la complessità organizzativa che ne consegue,
i cambiamenti cognitivi necessari a tradurli in atto e la difficile collocazione di questi
esperimenti all’interno di contesti convenzionali richiedano un’attenzione Politico-
Istituzionale per la ricerca collettiva di una possibile evoluzione di questi sistemi che sono
accomunati anche dal fatto di essere generati “dal basso”, testimoniando che probabilmente
esiste un bisogno diffuso di espressione .di soggettività sociale nell'agire quotidiano e
quindi, anche , nell'agire economico.

89
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