KIHON
Posizioni di guardia: tachi e kamae
Tachi - posizioni del corpo
Posizioni naturali
Posizioni solide
Spostamenti e rotazioni fondamentali
Posizioni bilanciate
Posizioni con le ginocchia forzate all’interno
Posizioni basate su di una gamba
Kamae-te - guardie di braccia
Ate waza: tecniche d’attacco
“Armi” del corpo
Tecniche con gli arti superiori: tsuki e uchi
Tecniche di pugno (tsuki waza)
Attacchi di pugno doppi
Tecniche di percossa (uchi waza)
Percosse con il pugno chiuso
Percosse con la mano aperta
Percosse utilizzando altre parti della mano
Il colpo di gomito (empi uchi)
Tecniche con gli arti inferiori: keri
Il calcio frontale o diretto (mae geri)
Il calcio laterale (yoko geri)
Calci con traiettorie circolari
Calci all’indietro
Il calcio stampato
Il colpo di ginocchio (hittsui geri)
Tecniche di calcio dal suolo
I calci volanti (tobi geri)
Calci a ruota (guruma geri)
Calci minori
Kyusho: punti da colpire
Uke waza: tecniche di difesa
Parate fondamentali
Spostamenti nella difesa
Parate con la mano aperta in shuto
Le parate con il palmo della mano (teisho uke)
Parate con varie armi della mano
Parate devianti (nagashi uke)
Parate con l’impiego di entrambe le braccia
Parate afferrando (tsukami uke)
Sukui uke - parate a cucchiaio
Le parate colpendo (ate uke)
Parate verso il basso
Parate con le gambe
Il corpo a corpo
Nage waza: tecniche di proiezione
Proiezioni utilizzando le gambe
Proiezioni utilizzando il resto del corpo
Tecniche di sacrificio (sutemi waza)
I prototipi d’attacco dell’Aikido.
Alcune proiezioni fondamentali dell’Aikido
Altre proiezioni “specializzate”
Ne waza: tecniche al suolo
Tecniche di strangolamento (shime waza)
Kansetsu e katame waza: tecniche di lussazione e controllo
Tuite-jutsu: l’arte di “afferrare le mani”.
Tecniche oltre l’apparenza: le chiavi per interpretarle
I nomi originali delle tecniche
Tecniche: gli aspetti esteriore e nascosto
Abituarsi a considerare più punti di vista
La shuto uke: una tecnica dai mille volti
Una prima regola: parare e afferrare
Una seconda regola: parare colpendo
Un’altra regola: applicare leve e proiezioni
Altre tecniche da riconsiderare
Qualche conclusione?
La teoria della circolazione dell’energia: i meridiani ed i punti di pressione
Le tecniche d’attacco ai punti di pressione
Come e quando colpire i punti vitali: alcune tecniche d’esempio ed i loro effetti
I veri bersagli delle tecniche “rivisitate”
Oi zuki come tecnica di kyusho jutsu: attacchi multipli nascosti in uno solo
Tuite jutsu avanzato
Kyusho jutsu: i punti di pressione più accessibili
Il muro del silenzio: le tecniche sui punti vitali sono state sistematicamente celate
dai maestri di arti marziali?
KATA
La pratica dei kata
Kata: stili e nomi
L’elenco dei kata conosciuti
In appendice all’elenco
Kata coreani (pumse del Tae-kwon-do)
Kata: comparazione tra stili
Chinto, Jion, Jite, Jiin, Kushanku, Passai, Rohai, Sanchin, Sesan
Un esempio di trasformazione: da “Chibana no Kushanku Sho” a “Kanku Sho”
Kata per immagini
Pin-an (Heian) Pin-an “standard”
Nidan, Shodan, Sandan, Yodan, Godan
Gli antichi Pin-an di stile Shorin
Nidan, Shodan, Sandan, Yodan, Godan
I Pin-an di Gichin Funakoshi
Naianchi Tekki Shodan, Nidan, Sandan, Naianchi Sandan
Altre versioni dei kata Naianchi
I Naianchi di Gichin Funakoshi
Ricostruzione del kata Koshiki Naifanchin
Tensho
Gekisai Ichi, Ni
Anan
Ananko
Chinte
Chinto Koshiki no Chinto, Gankaku
Il kata Chinto di Gichin Funakoshi
Hakucho
Hakufa
Hakutsuru Kumemura Hakutsuru, Fukien Hakutsuru Sho
Happoren
Heiku
Jiin
Jion
Jite Il kata Jite di Gichin Funakoshi
Kururunfa
Kushanku Kunyoshi no Kushanku, Itosu no Kushanku, Kanku Dai
Kushanku Dai eseguito dal maestro G. Funakoshi
L’Itosu no Kushanku di Hisateru Miyagi
Niseishi (Nijushiho)
Paiku
Passai Tomari no Passai, Bassai Dai e Sho, Matsumura no Passai, Chibana no Passai
Rohai Matsumura no Rohai, Meikyo
Saifa
Sanchin Uechi-ryu no Sanchin, Goju-ryu no Sanchin
Sanseiru
Seienchin
Seipai
Sesan Uechi-ryu no Sesan, Goju-ryu no Sesan, Seidokan no Seisan, Hangetsu
Shisochin
Sochin Aragaki (Niigaki) no Sochin, Shotokan no Sochin
Suparinpei
Unsu
Useishi Koshiki no Useishi, Gojushiho Sho
Wanduan
Wankan Koshiki no Wankan, Shotokan no Wankan
Wanshu Koshiki no Wanshu, Koshiki no Wanshu (finale alternativo), Enpi
Kata Bunkai: l’applicazione delle forme
Il significato dei movimenti nei kata
Differenza tra tecniche “apparenti” e “reali”
Differenza tra significato trasmesso e dedotto
Tecniche con significato trasmesso/dedotto apparente
Tecniche con significato trasmesso/dedotto reale
Tecniche e contenuti non marziali
Esempi di bunkai
Le chiavi per interpretare i passaggi dei kata
Qualche conclusione finale sul kata bunkai
KUMITE
Le forme fondamentali di kumite
Forme di kumite prestabilito
Kihon sambon kumite - Combattimento prestabilito a tre attacchi
Kihon ippon kumite - Combattimento prestabilito ad un attacco
Bunkai kumite - Combattimento basato sulle applicazioni delle sequenze dei kata
Bunkai kumite e yakusoku kumite di Choki Motobu
Esempi di bunkai kumite
Kunyoshi no Kushanku
Koshiki no Wanshu
Koshiki no Chinto
Anan, Heiku, Paiku
Jion
Passai
Rohai
Sesan
Useishi (Gojushiho)
Forme di kumite semilibero
Jiyu ippon kumite - Combattimento semilibero ad un attacco
Jiyu sambon kumite - Combattimento semilibero a tre attacchi
Jiyu kumite - Combattimento libero
Forme standard di kihon ippon (yakusoku) kumite
La strategia della difesa
Il controllo interiore ed i suoi principi
Yin, yang, chi: l’energia cosmica
Principio di centralizzazione
Principio di estensione
Principio del controllo guidato
Principio di sfericità
L’energia psicofisica
La respirazione
Il kime
Il kiai
Kata ed energia psicofisica
L’atteggiamento mentale
Lo Zen ed il Karate
La mente e lo spirito
Gli insegnamenti di Miyamoto Musashi: la Via della spada e la Via del Karate
La cadenza nella strategia della difesa
L’energia psicofisica nella pratica
APPENDICE 1
Karate di Okinawa: una storia di uomini e di stili
Le origini
La nascita del Karate
Gli uomini che fecero il Karate
Principali scuole e stili di Karate
Le radici: gli stili ed i maestri cinesi legati al To-de.
I grandi del Karate per immagini
APPENDICE 2
Bubishi: una delle fonti del Karate
Il misterioso libro segreto venerato dai maestri
Articolo 20 - Le sei mani “j” dello stile di Shaolin
Articolo 21 - Il tocco della morte ritardata: i dodici diagrammi orari
Articolo 24 - La statua dell’uomo di bronzo
Articolo 25 - Erbe mediche di Shaolin e illustrazione di cure, malattie e traumi
Articolo 27 - Applicazione delle 32 mani d’acciaio di Zeng e lo stile della “Scimmia Bianca”
Articolo 28 - Il “Pugno della Gru Bianca dei 18 Studiosi” e i “54 Passi della Tigre Nera”
Articolo 6 - Quattro quan del "Pugno del Monaco"
Articolo 32 - Mano e piede di Shaolin, posizioni per l’addestramento di ossa e muscoli
Articolo 29 - I quarantotto diagrammi d’autodifesa
Qualche considerazione sulle analisi dei quarantotto diagrammi d’autodifesa dell’articolo 29
APPENDICE 3
Il Kobudo di Okinawa
Le armi del Kobudo
Storia e cronache del Kobudo
APPENDICE 4
Terminologia comune delle arti marziali
Nozioni di pronuncia giapponese
Dojo kun
BIBLIOGRAFIA
RICORDI…
Il KARATE è un’Arte Marziale originaria dell’arcipelago delle Ryukyu, situato
nel Mar Cinese Orientale ed equidistante da Giappone, Cina e Taiwan… ma non
è questo il momento di parlare della sua storia, almeno in modo completo. Lo
faremo più avanti (APPENDICE 1). Abbiamo invece scelto di iniziare il nostro
viaggio parlando delle tecniche, limitiamoci a raccontare quella parte di storia che
ci può aiutare a capire cosa sia il KARATE e come lo sia diventato.
Centinaia di allievi delle scuole di Okinawa (2a Junior High School) impegnati in tecniche di
KIHON sotto la guida del maestro JUHATSU KYODA, sistemato su di una specie di palchetto. Ci
troviamo a Shuri, nel cortile principale del castello, nell’anno 1937.
TACHI - POSIZIONI DEL CORPO.
Esistono caratteristiche generali, comuni a più guardie, che permettono di
individuare l’atteggiamento strutturale di ogni posizione. Ad esempio le guardie
si possono definire FRONTALI, LATERALI o DIAGONALI in base alla
direzione assunta dalle spalle o dalle anche rispetto all’avversario o alla direzione
di marcia. SOLIDE od ELASTICHE sono invece definizioni relative
all’atteggiamento dinamico, mentre AVANZATE, ARRETRATE o
BILANCIATE sono termini derivanti dalla distribuzione del peso del corpo Fig. 1a
rispetto alla gamba avanzata e a quella arretrata.
Nelle pagine seguenti l’utilizzo di determinati insiemi di posizioni ha il solo
scopo di semplificare la trattazione e non deve essere interpretato come un
sistema di schematizzazione di valore assoluto.
POSIZIONI NATURALI.
Le prime posture che analizzeremo sono quelle che richiedono un atteggiamento
naturale del corpo, pur garantedo la possibilità di un rapido passaggio a guardie Fig. 1b Fig. 1c
più adatte all’azione. Sono quelle legate a situazioni come il saluto, la
concentrazione o l’attesa prima di un esercizio ma anche alcune conseguenti a
tecniche di liberazione e svincolamento.
Fig. 4
Nella figura 6 qui sotto si possono confrontare le posture dei piedi nelle posizioni
di base HEISOKU, MUSUBI, HACHIJI e HEIKO DACHI.
Fig. 6
POSIZIONI SOLIDE.
Le guardie che seguono sono invece orientate al combattimento e caratterizzate
dalla grande “solidità” che viene loro data da un’ampia base d’appoggio e da un
baricentro tenuto molto basso.
Da sinistra:
Fig. 8, 9, 10, 11
Esistono molti tipi di rotazioni (TAI SABAKI) sia parziali (per variare la
direzione di marcia di angoli intorno ai 90 gradi) che totali (per angoli intorno ai
180 gradi). La rotazione detta “sul posto” (fig. 15a) è la più utilizzabile nella
pratica di combattimento e provoca una inversione della guardia da sinistra a
destra o viceversa, mentre nei KATA fondamentali se ne trova un’altra più
profonda e dinamicamente più complessa (fig 15b). Le rotazioni non servono
solo per fronteggiare nuovi avversari provenienti da diverse direzioni: la loro
importanza deriva soprattutto dal legame che hanno con i movimenti di parata,
schivata e contrattacco.
Nella pratica di palestra, al comando “MAWATTE” (Girare!) si deve eseguire la
rotazione sul posto.
Fig. 14
Fig. 15a
Fig. 15b
KOKUTSU DACHI - Posizione arretrata (fig. 16 e 17).
È caratterizzata da una distribuzione del peso opposta rispetto alla ZENKUTSU
DACHI, della quale conserva la profondità di un passo: in essa il corpo viene
sorretto per circa il 60% dalla gamba arretrata molto piegata, mentre quella
anteriore lo è appena. I piedi sono tra loro perpendicolari (quello avanzato è
diretto verso l’avversario), con i talloni allineati all’ideale linea di movimento.
Questo fa della KOKUTSU DACHI una guardia diagonale, molto più stretta
della ZENKUTSU.
L’atteggiamento statico-dinamico che ne deriva è decisamente prudenziale (le
anche e le spalle posizionate diagonalmente rendono il corpo defilato) e con una
chiara attitudine agli spostamenti all’indietro. Inoltre la gamba avanzata, che
gode di una certa mobilità, può schivare facilmente attacchi bassi di piede od
essere usata per colpi d’incontro e di “sbarramento” senza sbilanciare
eccessivamente la figura. Per queste caratteristiche la KOKUTSU DACHI viene Fig. 16
talvolta chiamata “guardia di difesa”. Da questa posizione arretrata si può passare
rapidamente a quella avanzata sfruttando la spinta della gamba posteriore,
eseguendo il tipico movimento di una delle più classiche combinazioni di
parata/contrattacco utilizzate nell’allenamento a coppie.
Storicamente, la KOKUTSU DACHI si può considerare una guardia recente, se
non come nascita, almeno come utilizzo: fu infatti adottata da alcuni collaboratori
del maestro ANKO ITOSU, il quale aveva appena elaborato i PIN-AN NO
KATA, in sostituzione della RYU DACHI e della NEKO ASHI DACHI (vedi
segg.). Questo avvenne sempre nell’ottica di garantire una certa sicurezza nella
pratica tra allievi di scuole numerose e perciò poco controllabili da parte di un
insegnante: usandola in maniera generalizzata, la maggiore staticità e profondità
della KOKUTSU dà, per esempio, maggiori garanzie della più agile NEKO
ASHI, la quale, di sua natura, favorisce la corta distanza. Attualmente viene Fig. 17
utilizzata largamente solo dallo stile SHOTOKAN.
POSIZIONI BILANCIATE.
Distribuendo uniformemente il peso del corpo sulle gambe si possono ottenere
dei vantaggi nella stabilità e nell’equilibrio, soprattutto sui terreni irregolari, o Fig. 21
anche avere maggior possibilità di movimento in più direzioni.
Fig. 24
Come spostamenti si utilizza il passo normale, quello doppio e la scivolata (fig.
25, 26 e 27). Nella difesa personale la guardia del cavaliere è indicata per la sua
adattabilità a qualsiasi tipo di terreno e per la possibilità di far fronte a tre
direzioni diverse contemporaneamente.
Durante il combattimento libero (KUMITE), gli allievi tendono, per la sua Fig. 25
facilità, ad assumere KIBA DACHI continuamente ma, abusando di una guardia
laterale, rischiano di scoprire la schiena e di non essere in grado di portare
contrattacchi veloci con il braccio e la gamba arretrati.
Fig. 26
POSIZIONI CON LE GINOCCHIA FORZATE ALL’INTERNO.
Questo particolare modo di tenere le ginocchia è caratteristico degli stili di
KARATE di origine SHOREI (come il GOJU RYU) ma lo si ritrova anche in
molte guardie degli stili SHORIN, poiché deriva dalla loro matrice comune che è Fig. 27
il KUNG-FU.
Forzare le ginocchia verso l’interno favorisce la contrazione muscolare e
protegge, nel caso di posizioni con una gamba più avanti, l’inguine dai calci
montanti.
Fig 34
NEKO NO KAMAE - Guardia del gatto (fig. 38). Atteggiamento al livello medio
di palmo o di taglio da legare alla corrispondente posizione frontale.
TSURU NO KAMAE - Posizione della gru (fig. 39). Nella posizione omonima
od anche in NEKO ASHI DACHI, come atteggiamento di passaggio o di
apertura.
Fig. 40
INU NO KAMAE - Guardia del cane (fig. 41). Atteggiamento CHUDAN adatto
a posizioni basate sulla gamba arretrata.
RYU NO KAMAE - Guardia del drago (fig. 42). Si presenta sotto diverse forme,
per lo più utilizzata con l’omonima posizione.
Fig. 43 Fig. 44
Oltre a questi atteggiamenti se ne adottano altri direttamente derivati dai KATA,
come il TETTSUI KAMAE del primo movimento del PINAN NIDAN o la
caratteristica postura del primo movimento del PINAN SHODAN (SEIKEN) o
del PINAN YODAN (SHUTO).
Avendole citate, è proprio da queste ultime due posizioni che si può prendere lo
spunto per parlare delle posture originali del KUNG-FU (dette TAI-DU) dalle
quali derivano (basti vedere la BAO-ZI), come pure un pò tutte le guardie del
KARATE.
Dal lungo, anche se necessariamente incompleto, elenco che segue si potranno
trarre esempi e scoprire interessanti analogie.
LI LONG-NAN LONG-
aratro drago del sud DONG
drago dell’est
LONG-XI LU NU
drago cervo balestra
dell’ovest
SHOTEI Palmo
EMPI
Gomito
(HIJI)
TSU
Testa (fronte e nuca)
(ATAMA)
ARMI PARTICOLARI DELLA MANO
KAKATO Tallone
SHITO Alluce
HITTSUI
Ginocchio
(HIZA)
TECNICHE CON GLI ARTI SUPERIORI:
TSUKI E UCHI.
Fig. 4
Fig. 6
Fig. 7
MAWASHI ZUKI - Pugno circolato (lett. mandato in giro, attorno).
È simile al gancio della Boxe: dalla posizione di HIKITE il pugno raggiunge il
bersaglio con il SEIKEN, colpendolo di lato dopo un largo percorso circolare
(fig. 8a). I fianchi assecondano il movimento ma, a differenza del Pugilato, non si
deve appoggiare la tecnica con il peso del corpo per non sbilanciarsi e aprire così
dei varchi ad un eventuale contrattacco avversario. La stessa tecnica eseguita
molto stretta con l’avambraccio parallelo al torace prende il nome di KAGI
ZUKI, pugno a uncino, molto frequente nei KATA (fig. 8b).
URA ZUKI - Pugno chiuso (lett. rovesciato o con il retro; fig. 9). Fig. 8a Fig. 8b
Corrisponde al montante della Boxe (uppercut): si sferra da HIKITE senza
ruotare il pugno e seguendo una traiettoria circolare lungo un piano verticale, con
il braccio piegato e contratto. Il tronco e la spalla danno forza alla tecnica che è
una delle più potenti e difficile da parare. URA ZUKI è comunque utile solo nella
corta distanza, tenendo conto del rischio di scoprirsi che comporta. Come
superficie di impatto si utilizza il SEIKEN, mentre i bersagli prefereriti sono il
plesso solare ed il mento.
Fig. 14
Fig. 15
Fig. 18
Fig. 19 a, b, c
Fig. 29
PERCOSSE UTILIZZANDO ALTRE PARTI DELLA MANO.
Più difficili da applicare, ma interessanti e soprattutto micidiali, anche se
utilizzati raramente in un KARATE moderno che guarda sempre più alla parte
sportiva, sono quegli attacchi di più esplicita derivazione cinese che usano
particolari armi della mano contro ben determinate zone corporee dette “punti di
pressione” (TSUBO) o “punti vitali” (KYUSHO). Queste zone furono
individuate, secondo la tradizione, dal monaco taoista CHANG SAN FENG,
ideatore di un sistema di difesa personale derivato dalle tecniche degli stili “duri”
insegnati presso il famoso Tempio di SHAOLIN integrate dalla sua esperienza di
agopunturista. In questo modo egli utilizzò i punti trattati dall’agopuntura e la
teoria della “circolazione dell’energia” al fine di danneggiare l’avversario. Per
Fig. 30: il movimento finale della serie
celare ai profani queste tecniche CHANG SAN FENG le codificò all’interno “afferrare la coda del passero”, dal
delle altre nei TAOLU (KATA) del suo metodo detto DIM MAK (colpire i punti TAOLU tradizionale di TAI CHI
vitali), il quale cambiò diversi nomi nel tempo, per divenire l’attuale TAI CHI CHUAN di stile YANG.
CHUAN (come si vede questo, nella sua più intima sostanza, non è solo quella
specie di “ginnastica” salutare, lenta ed aggraziata, che siamo abituati a vedere
ma bensì un micidiale sistema di combattimento). In seguito il DIM MAK
divenne patrimonio comune di tutti gli stili cinesi che lo incorporarono nelle loro
forme, le stesse che passarono poi nel TO-DE di Okinawa. Nel nome di alcuni
KATA (CHINTE, CHINTO, SEIENCHIN, SHISOCHIN, SOCHIN) si
trova,infatti, un chiaro riferimento al DIM MAK nell’ideogramma (CHIN),
che nel dialetto dell’isola richiama proprio questo metodo d’attacco, ed un esame Fig. 31
attento e approfondito delle sequenze può svelarne le tecniche abilmente
occultate.
Fig. 42 Fig. 43
TECNICHE CON GLI ARTI INFERIORI:
KERI.
Uno degli aspetti più conosciuti del KARATE è il notevole uso che vi si fa degli
arti inferiori sia per l’attacco che per la difesa.
Più di tutto, questo è dovuto all’ovvia spettacolarizzazione che vediamo al
cinema o in televisione, ma dobbiamo ricordare che nell’antico TO-DE di
Okinawa si utilizzavano ben poche tecniche “scenografiche”, così come si fa
anche nella maggioranza degli stili odierni, e che i calci, in particolare, erano
raramente rivolti a bersagli più alti del plesso solare.
In generale nell’effettuare un calcio sono importanti questi quattro punti:
1. La massima rapidità di esecuzione sia nel colpire sia nel ritornare col piede a
terra.
2. L’equilibrio del corpo sulla gamba di sostegno, con la giusta inclinazione del
busto per evitare sbilanciamenti.
3. La mobilità dell’articolazione dell’anca per aumentare la potenza e la
precisione.
4. L’uso del ginocchio come cerniera per favorire la velocità e l’efficacia.
Fig. 51
Fig. 62, 63
USHIRO AGE GERI - Calcio montante da dietro (in avanti) (fig. 64).
Questa è una tecnica molto particolare che si esegue muovendo la gamba, flessa
di 45/90 gradi, in avanti, torcendola all’esterno, per colpire con l’esterno della
caviglia. È inoltre opportuno inclinare il busto dal lato opposto per equilibrare la
figura ed imprimere potenza al calcio.
Tipico colpo d’incontro, in particolare è applicabile quando, evitando un attacco
dell’avversario che avanza, si esegue un movimento diagonale in avanti,
spostando la gamba che ci farà poi da appoggio.
Il movimento di ritorno segue la stessa via dell’andata.
L’USHIRO AGE GERI ha come bersagli preferenziali l’addome ed il plesso
solare, mentre è più difficile raggiungere la gola ed il volto.
Fig. 64
IL CALCIO STAMPATO.
Nella difesa personale le gambe ed i piedi sono bersagli molto importanti: anche
se non sempre colpirli può risultare di per sé decisivo, è indubbio che porta
comunque un notevole vantaggio tattico, limitando la mobilità dell’avversario ed
anche condizionandolo psicologicamente.
Nel combattimento sportivo (SHIAI) non è permesso invece insidiare gli arti
inferiori per la difficoltà di valutare la reale efficacia del colpo e per evitare
possibili incidenti.
Tra le tecniche di calcio ne esistono alcune che considerano i bersagli bassi come
preferenziali: sono i “calci stampati”, distinguibili tra FUMIKOMI (battenti) e
FUMIKIRI (taglienti):
Tutti i calci stampati sono particolarmente adatti contro avversari che assumono
guardie statiche (come la ZENKUTSU DACHI) o molto alte (come la guardia
della BOXE).
Poiché sono difficilmente parabili, la miglior difesa contro di loro rimane la
schivata, eseguita arretrando o sollevando rapidamente la gamba attaccata. Per
Fig. 66
questo si rivelano utili al fine d’imporre all’avversario una certa distanza di
combattimento quando si voglia evitare il corpo a corpo.
IL COLPO DI GINOCCHIO (HITTSUI GERI).
L’HITTSUI (o HIZA) GERI occupa, tra i colpi di gamba, il posto che l’EMPI
UCHI ha tra quelli di braccia. Come questo è istintivo e potente (anzi è forse la
tecnica più potente che abbiamo a disposizione) ed è utilissimo nella corta
distanza e nel corpo a corpo.
Colpo classico della THAI BOXE, può essere eseguito in diverse forme.
Fig. 73
Il movimento d’esecuzione nasce da un passo doppio, seguito da una veloce
rotazione che, come al solito, parte dalle anche. È importante mantenere un
completo controllo del corpo per non provocare pericolosi squilibri.
A questo punto se lo slancio della gamba avverrà quando ancora diamo le spalle
al bersaglio eseguiremo USHIRO MAWASHI GURUMA GERI, utilizzando il
tallone per colpire. Rispetto all’USHIRO MAWASHI normale non si dovrà
piegare la gamba (fig. 74).
Se invece attenderemo di rivedere il bersaglio prima di slanciare la gamba,
trovandoci perciò un po’ più di fronte ad esso, colpiremo con la parte esterna del
piede, seguendo i pricipî del GYAKU MAWASHI GURUMA GERI.
Queste tecniche di così difficile esecuzione sono, in compenso, anche di
problematica neutralizzazione e permettono di uscire da situazioni complesse,
Fig. 74
magari eseguendone una serie in veloce successione secondo la strategia DE
ARASHI, già citata in precedenza trattando del MAWASHI GERI.
CALCI MINORI.
Esistono molte variazioni delle tecniche di gamba sin qui incontrate che fanno
parte del bagaglio tecnico dei vari stili di KARATE.
Per esempio: allo stesso modo del MAWASHI KUBI GERI anche il MAE
KEAGE può essere eseguito utilizzando come “arma” il collo del piede
(HAISOKU), per colpire l’avversario all’inguine o, se chino, al costato e al volto.
In questo caso viene chiamato KIN GERI (calcio all’inguine) e trova
applicazione nella difesa personale.
Sempre il calcio frontale può adottare, come superficie d’impatto, le nocche delle
dita del piede strettamente arricciate verso il basso: si ha in questo caso lo
TSUMASAKI GERI (calcio con le nocche o le dita del piede), preferito da
diverse scuole di Okinawa al MAE GERI con i KOSHI.
Allo stesso modo, negli stili derivati dal NAHA-TE come il GOJU RYU ma
anche in alcune scuole SHORIN, esiste una forma di calcio frontale (SHITO
GERI) che, in sostituzione di KOSHI o di TORA NO HA, utilizza la sola punta FUNAKOSHI mentre sta
dell’alluce contro punti vitali della coscia e del ventre. Il calcio laterale a schiaffo eseguendo KUSHANKU.
(YOKO KEAGE) viene talvolta sostituito, come avviene nello stile Il suo calcio sembrerebbe un
KIN GERI o, persino, uno
KYOKUSHINKAI, dalla versione YOKO AGE GERI, cioè montante, TSUMASAKI GERI od uno
slanciando la gamba tesa verso il bersaglio, senza nessun caricamento iniziale. SHITO GERI.
KYUSHO: PUNTI DA COLPIRE
I “punti vitali” o KYUSHO sono particolari punti del corpo umano i quali,
utilizzati come bersaglio, offrono la possibilità di massimizzare il danno causato
dalle tecniche d’attacco, che in questo modo possono provocare un dolore più
intenso, la perdita della conoscenza e persino la morte di chi le subisce.
Non è facile distinguere tra i punti vitali veri e propri, che in pratica conducono a KYUSHO
quest’estremo, e gli altri, poiché certi attacchi portano alla morte solo nel caso
non si applichi in tempo un’appropriata tecnica di rianimazione, perciò in questa
appendice sono da considerarsi realmente “vitali” solo quei punti per i quali non
esiste la possibilità di rianimare chi subisce il danno.
Nelle pagine seguenti, i principali KYUSHO sono indicati con il loro nome
originale giapponese e la precisa locazione sul corpo, assieme alle armi naturali
più indicate per colpirli efficacemente ed ai principali effetti ottenibili dagli
ATEMI. Questi non sono necessariamente cumulabili e dipendono moltissimo dal
tipo di tecnica utilizzata, oltre che dalla precisione con la quale si raggiunge il
bersaglio e dalla potenza applicata.
Vedremo in seguito che esiste un altro approccio all’ottimizzazione delle tecniche
d’attacco, oltre a questo esclusivamente fisico, legato, invece, al modello
energetico orientale, che permette di sganciarsi quasi del tutto dal principio
“maggiore la forza, maggiore il danno”, di certo poco adatto alle donne ed ai più
anziani e perciò poco in linea con la dottrina stessa dell’arte marziale. Questo
metodo, parte integrante di tutte le arti marziali d’origine cinese, è detto
KYUSHO-JUTSU.
CHUDAN SHUTO UKE - Parata media col taglio della mano (fig. 11). Fig. 10
Quando si parla di CHUDAN SHUTO UKE si intende una parata che è presente
nell’assoluta maggioranza dei KATA. I diversi stili danno interpretazioni di
questa tecnica che spesso si scostano nettamente l’una dall’altra. Questo avviene
perché, come per altre parate, la forma insegnata nel KIHON risulta macchinosa e
di difficile applicazione in una reale situazione di combattimento.
È il caso della CHUDAN UDE UKE più conosciuta, praticata in special modo
dallo stile SHOTOKAN: l’indiscussa eleganza del gesto e la plasticità
dell’atteggiamento finale ne fanno un’ottimo elemento di analisi delle capacità Fig. 11
tecniche di un praticante ed allo stesso tempo uno dei capisaldi di quella
raffinatezza estetica raggiunta dai KATA di questa scuola. Allo stesso tempo la
rendono praticamente inapplicabile nel KUMITE, a meno che le mani non si
trovino già in anticipo nella posizione di preparazione alla parata, cosa in verità
poco probabile. Vedremo in seguito come giustificare allora la presenza di questo
tipo di CHUDAN SHUTO UKE anche nei KATA più antichi, i quali dovrebbero
trasmettere solo cose realistiche. Per ora limitiamoci ad analizzarla nelle sue
versioni più conosciute, non a caso tutte ritrovabili nel KUNYOSHI NO
KUSHANKU, la versione maggiormente vicino all’originale della forma più
rappresentativa degli stili SHORIN.
Fig. 17b
CHUDAN SOTO TEISHO UKE - Parata media di palmo dall’esterno.
Iniziamo da questa perché è la parata con il palmo per eccellenza. Il movimento è
simile a quello della SOTO UDE UKE ma in questo caso l’arto dell’avversario
non va colpito con forza ma bensì schiaffeggiato o accompagnato con la mano
(fig. 18 e 19).
Si usa la parata a schiaffo, adoperando SHOTEI, su attacchi poco potenti o
improvvisi dalla corta distanza, mentre l’azione deviante si applica per
controllare colpi più pesanti tirati da lontano ed impiegando TEISHO.
Durante tutto il movimento che precede il contatto la mano deve restare aperta in
modo naturale, senza tensione, per dare al braccio una buona leggerezza e
velocità d’esecuzione. La parata risulta così molto agile e può essere fatta seguire Fig. 18
da analoghe tecniche di contrattacco o difesa in rapida successione, cosa
utilissima nei combattimenti a distanza ravvicinata.
Fig. 22
HAISHO UKE - Parata con il dorso della mano (fig. 23).
Parata naturale ed istintiva, si può eseguire in due modi differenti.
Il primo adotta lo stesso principio della UCHI UDE UKE, ruotando un pò meno il
braccio per eseguire il bloccaggio con il dorso della mano o con l’avambraccio.
Nel secondo la deviazione si effettua con il braccio teso e la mano in linea con
esso, così come si incontra in numerosi KATA, quali PIN-AN GODAN, TEKKI
SHODAN, BASSAI DAI.
In tutti i casi si deve rammentare che il dorso della mano aperta è ben più
vulnerabile del pugno o del taglio, perciò questa parata, se errata, può portare a
Fig. 23
danneggiarlo.
Fig. 28
EMPI (HIJI) UKE - Parata con il gomito (fig. 29).
È una variazione della SOTO UDE UKE, nella quale, invece dell’avambraccio
(GAI WAN), si utilizza il gomito, estendendolo maggiormente in fuori.
Poco sfruttata, se non nel GOJU RYU, può servire quando non si ha il tempo di
preparare la SOTO UDE UKE, pur volendo sfruttare un effetto finale ed una
potenza simili a questa.
Parlando più in generale, durante una parata il braccio non occupato si può
sempre atteggiare a protezione delle parti più scoperte, magari sfruttando lo
stesso movimento per contrattacchi o altre parate consecutive alla prima, come
troviamo in diversi KATA e come, da sempre, insegnano molti antichi stili di
KUNG FU cinese.
Fig. 41
Esistono alcune tecniche di parata con entrambe le braccia che, di solito, sono
considerate come specializzate nella liberazione da prese o da tentativi di
strangolamento frontali.
Anche se non arrivano ad afferrare con la mano l’arto dell’avversario, esistono Fig. 49
due parate specificatamente rivolte ad imprigionare le gambe: le SUKUI UKE.
SUKUI UKE - PARATE A CUCCHIAIO.
Sono parate a livello basso che uniscono in un unico movimento due azioni
distinte: la prima è quella di parare spazzando, la seconda di avvolgere l’arto
dell’avversario per bloccarlo o semplicemente ostacolarlo.
Fig. 52
Fig. 53
LE PARATE COLPENDO (ATE UKE).
A volte una tecnica di contrattacco può già essere compresa in una di difesa:
avviene quando la parata stessa ha lo scopo di danneggiare l’arto dell’avversario
contemporaneamente al bloccaggio oppure quando questo viene preceduto da una
tecnica d’attacco inclusa nel suo movimento di preparazione o ancora che l’atto
di parare faccia parte di un più ampio gesto di affondo offensivo.
NUKI ZUKI UKE - Parata colpendo con la mano a lancia (fig. 56a, 56b).
Se l’attacco è un GEDAN OI ZUKI si può mettere in pratica ciò che ci mostra il
finale di alcuni PIN-AN NIDAN, andando a colpire il fianco del nostro
avversario con la mano a lancia (NUKITE), mentre il movimento stesso del
braccio devierà il suo pugno come una GEDAN BARAI appena accennata.
Fig. 56a
EMPI SHURI UKE - Parata con il gomito scorrevole (fig. 57a, 57b).
Nel caso di un JODAN OI ZUKI si può eseguire questa parata/attacco
semplicemente trasformando una tecnica di pugno al volto in difesa, arcuando il
braccio, quasi come per un MAWASHI ZUKI, quel tanto che basterà al gomito
per deviare l’attacco “scorrendo” lungo il braccio dell’avversario.
Se necessario, il corpo può assecondare il movimento inclinandosi in avanti, con
la testa protetta dalla spalla.
Fig. 56b
Rispetto alla precedente questa tecnica utilizza come ostacolo la gamba sinistra,
posta anch’essa dietro alla destra del nostro avversario. È molto simile alla DE
ASHI BARAI, anche se qui siamo noi a provocare il movimento dell’avversario,
tirando la sua manica destra verso il basso. Per favorire il suo sbilanciamento è
meglio afferrargli con la mano destra il bavero sinistro del GI.
Analoga alla O SOTO GARI, utilizza però la gamba destra inserita all’interno
delle gambe dell’avversario, formando l’ostacolo con il nostro piede che blocca il
suo tallone destro, mentre lo si spinge sulla spalla sinistra con la mano destra e gli
si tira il braccio destro con la sinistra.
KO SOTO GAKE - Piccolo agganciamento esterno.
Differisce dalla KO SOTO GARI per il fatto che la nostra gamba destra non si
limita ad un’azione passiva di ostacolo ma “aggancia” letteralmente quella del
nostro antagonista, provocandone la caduta di forza. Nel caso egli si trovasse in
una posizione con i piedi piuttosto ravvicinati si potrebbe agire su entrambe le
gambe, aumentando l’effetto della proiezione.
Questa tecnica è simile alla KO SOTO GARI con la differenza che il nostro piede
sinistro preme con la pianta appena sotto al ginocchio destro dell’avversario. In
questo modo la sua caduta risulta più rotolata.
Per applicare questa tecnica si deve ruotare in senso antiorario, piazzando il piede
destro all’interno dei suoi, avendo cura di restare sempre a stretto contatto con
l’antagonista, dandogli quasi la schiena e passandogli il braccio destro intorno
alla vita mentre gli si tira la manica destra con la mano sinistra.
Piegando dapprima le ginocchia per poi raddrizzarle, lo si “carica” sulla nostra
anca sfruttando solo la forza delle gambe.
Questa proiezione risulta molto efficace anche contro avversari di taglia maggiore
della nostra.
IPPON SEOI NAGE - Proiezione caricando un punto sulla schiena.
Esistono altre variazioni della SEOI NAGE, in funzione di dove sono applicate le
prese alla casacca:
Si effettua senza variare la presa classica alla manica destra ed al bavero sinistro e
portando, nella rotazione, l’avambraccio destro sotto all’ascella destra
dell’antagonista.
Consiste nel far cadere l’antagonista all’indietro, prima portando la gamba destra
tra le sue, poi chinandosi in avanti per afferrargli le gambe il più in basso
possibile e quindi effettuando una potente trazione verso l’alto e all’indietro con
le braccia.
Come la precedente, anche questa tecnica si basa sull’uso delle braccia per
afferrare e squilibrare il nostro antagonista. Come preparazione ci si deve porre
quasi completamente dietro all’avversario, ruotando attorno al suo lato destro ma
restando sotto al suo braccio destro. Il cucchiaio o meglio la forbice con le
braccia è composta dal nostro braccio sinistro davanti al suo torace e dal destro
che si pone dietro alla sua coscia destra.
Rialzando con forza le anche si effettuerà la proiezione.
PRESE FONDAMENTALI
FRONTALI DORSALI
Colpo basso
all’addome
COMBINAZIONI FONDAMENTALI
Frontali Dorsali
Fig. 1
Fig. 3
Fig. 4
ALTRE PROIEZIONI “SPECIALIZZATE”.
Ancora a titolo d’esempio, mostriamo qualche tecnica esplicitamente rivolta alla
liberazione da forti prese eseguite a due mani tratte dall’elenco delle possibili
aggressioni mostrato all’inizio.
Fig. 7 Fig. 8
Fig. 9
NE WAZA: TECNICHE AL SUOLO.
Le arti marziali prevalentemente orientate al contatto fisico come JUDO e
JU-JITSU non possono ovviamente trascurare lo studio delle possibilità di
neutralizzare un avversario che si trovi al suolo. Le tecniche di strangolamento o
di soffocamento unite a quelle di controllo o di lussazione nascono soprattutto
con questo scopo ed è senz’altro utile dar loro uno sguardo, anche se superficiale,
pensando alla loro possibile applicazione nella difesa personale.
Fig. 13
SODE GURUMA JIME - Strangolamento a ruota con la manica.
In realtà sarebbe più giusto chiamarlo ERI GURUMA JIME, poiché si strangola
l’antagonista con il suo stesso bavero e non con la propria manica. Infatti si
prepara restandogli alle spalle e afferrandogli appunto il medesimo bavero prima
con una mano e poi con l’altra, incrociando le braccia in una presa simile a quella
utilizzata per NAMI JUJI JIME. Si esegue poi lo strangolamento tirando con
entrambe le mani (fig. 14).
Fig. 20 Fig. 21
KANSETSU E KATAME WAZA:
TECNICHE DI LUSSAZIONE E CONTROLLO.
Esiste un enorme numero di tecniche orientate al controllo dell’avversario
mediante torsioni e lussazioni delle articolazioni, in particolare quelle degli arti
superiori, o bloccaggi al suolo.
JU-JITSU, JUDO e AIKIDO sono le discipline che hanno elaborato al massimo
questo aspetto del corpo a corpo anche se con diversi punti di vista. Le prime due
utilizzano le leve articolari quali tecniche più orientate alla messa fuori Fig. 22
combattimento dell’antagonista mentre l’AIKIDO propende come sempre ad un
uso complesso ma meno violento, spesso servendosene per proiettare l’avversario
sfruttando i movimenti obbligati dalle prese che sono più dolorose che
invalidanti.
Come e più che per le proiezioni, a causa della vastità dell’argomento non è
possibile pensare di elencare o descrivere compiutamente questo tipo di tecniche:
ci limitiamo perciò a prenderne solo alcune a titolo d’esempio affidandoci più
alle illustrazioni che alla descrizione.
Fig. 25
Fig. 26
TUITE-JUTSU: L’ARTE DI “AFFERRARE LE MANI”.
Se vengono letti con la giusta “chiave”(*), i KATA di KARATE contengono
moltissime sequenze interpretabili non solo quali tecniche di percussione, ma
bensì come applicazioni di leve articolari, spesso simili a quelle dell’AIKIDO
nella forma e nelle intenzioni.
Questo non è per niente casuale, poiché non va dimenticata l’esistenza, parallela
al TO-DE, di un’arte marziale nativa di Okinawa detta semplicemente TI (o Fig. 27
anche TE, arte o mano), praticata per autodifesa e come mezzo di miglioramento
spirituale dalle classi aristocratiche, che richiama moltissimo quello stile
nipponico, ma trae origine, in buona parte, dal CHIN-NA (afferrare e controllare)
del KUNG-FU. Questo particolare sistema di combattimento, basato sulla
meccanica del corpo umano ma anche sulla manipolazione della circolazione del
CHI (KI), non è uno stile vero e proprio, tuttavia quasi tutte le scuole cinesi, in
particolare quelle del sud, ne insegnano una propria versione.
Questo metodo, tramandato, ancor più segretamente del KARATE, da padre a
figlio primogenito, si basa infatti sul principio di sfruttare la durezza e la forza
dell’avversario per batterlo, utilizzando una grande varietà di tecniche soprattutto
di presa e proiezione, ma anche percussive e potenzialmente mortali. Lo scopo
finale resta quello di “vanificare le situazioni sgradevoli senza ricorrere allo Fig. 28
scontro fisico e, nel caso che si venga attaccati, controllare l’aggressore in modo
tale che si accorga del proprio errore e diventi una persona migliore”, come
afferma il maestro SEIKICHI UEHARA del MOTOBU-RYU, una delle scuole
dove si insegna oggigiorno il TI. Gli scambi di tecniche e strategie tra TI e
TO-DE furono naturalmente inevitabili e si ritrovano celati proprio in quei
passaggi di KATA di cui parlavamo, interpretabili alla luce della regola “afferra
dopo aver parato” oppure “afferra parando” o, ancora, “afferra per liberarti”,
tanto che nell’antico TO-DE erano molto curati gli esercizi atti al miglioramento
della presa, utilizzando anche una specifica attrezzatura, composta di pesi di
pietra e di vasi di terracotta (fig. 27), da riempirsi con sabbia od altro, che
dovevano essere afferrati all’esterno dell’imboccatura solo con la punta delle dita.
La branca “nascosta” all’interno del KARATE, relativa all’arte di afferrare e
Fig. 29
manipolare gli arti dell’avversario, è detta TUITE-JUTSU.
Le tecniche che la compongono sono tutte ritrovabili nei BUNKAI di livello
maggiormente avanzato dei KATA antichi, legati al punto di vista della difesa
personale più semplice, cioè quando si deve dare un’immediata risposta ad una
presa al polso o alla casacca, ad un gesto minaccioso, ad una spinta o ad un
tentativo di colpo diretto.
Le nozioni di base, che diamo qui di seguito, si basano su alcune prese e leve
fondamentali, dall’elaborazione delle quali si possono trovare le soluzioni a tutte
le situazioni più classiche.
Per prima cosa esaminiamo tre modi di manipolare mano e polso: nella figura 28
vediamo la torsione verso l’esterno del polso di un avversario, accompagnata da
una pressione sull’attaccatura del suo pollice vicino all’indice e da un’eventuale
altra pressione sull’interno dell’avambraccio.
Il disegno 29 rappresenta, invece, la fase finale di una torsione verso l’interno del
polso dell’antagonista, con il nostro pollice che preme su di un punto del dorso
della sua mano (poco più in basso dell’attaccatura di mignolo ed anulare) e le
altre dita che schiacciano l’interno del polso.
Nelle figure 30a e 30b è mostrata una torsione verso l’esterno simile a quella
dell’illustrazione 28, applicata però mediante una diversa presa. In alternativa,
questa può essere effettuata sulle dita dell’avversario con ugual efficacia.
Fig. 30
(*)
Vedi capitolo “TECNICHE OLTRE L’APPARENZA: LE CHIAVI PER INTERPRETARLE”.
Il repertorio del TUITE-JUTSU comprende un’infinita serie di metodi di
liberazione e svincolamento: vediamo anche per questi qualche tecnica di base.
Ovviamente, questi movimenti si possono applicare anche in situazioni differenti
dalle seguenti nell’apparenza ma non nella sostanza.
Le prime tecniche che trattiamo mostrano i modi più classici per sottrarsi ad una
presa diretta al polso. In essi si utilizzano dei movimenti circolari del braccio
catturato, con lo scopo di capovolgere la situazione a nostro vantaggio e poter
applicare leve o tecniche d’attacco.
Ipotizziamo di trovarci con il polso destro afferrato dalla mano sinistra Fig. 31a
dell’avversario (fig 31a). Il metodo più immediato prevede semplicemente di
ruotare il polso in senso orario attorno al suo, passandogli al di sopra. In questo
modo si potrebbe già liberare la mano, passando per il punto più debole della
presa, cioè dalla parte del pollice; nel caso che il nostro antagonista fosse molto
forte o avesse una grande mano, ci potremmo aiutare afferrandogli il polso con la
mano sinistra. Se utilizziamo lo stesso movimento non tanto per liberarci
immediatamente ma bensì per afferrargli a nostra volta il polso, usando la mano
sinistra per facilitare il bloccaggio, gli mettiamo in leva il braccio (fig. 31b).
Un altro metodo ci suggerisce di eseguire una rotazione antioraria, cioè di passare
al di sotto del polso dell’avversario dal lato del mignolo. Si ottiene, così,
un’iper-estensione del suo braccio ed una rotazione dello stesso che pone il
gomito alla mercè di un’eventuale tecnica di lussazione (fig. 32). Fig. 31b
Nel caso che il polso destro fosse afferrato dalla mano destra del nostro
avversario si può applicare questo metodo giungendo all’identico risultato,
naturalmente la rotazione del polso dovrà essere invertita (fig. 33).
La figura 34 ci dà un esempio di come applicare un’altra presa di base di
TUITE-JUTSU contro un tentativo di spingerci, di afferrarci il bavero od anche
in risposta ad un gesto di minaccia. In questo caso avremo la possibilità di
afferrare le dita dell’avversario, in particolare l’indice, dalla parte del palmo e di
applicargli un’efficace torsione verso l’esterno ed all’indietro con l’aiuto del
taglio dell’altra mano.
Fig. 32
Fig. 33
Fig. 34
Per terminare con gli esempi di TUITE-JUTSU, riportiamo alcuni sistemi di leva
al gomito. Questo tipo di chiave articolare permette un buon controllo
dell’avversario, portandolo facilmente alla resa o creando delle opportunità di
contrattacco. Nelle figure 35, 36 e 37 è illustrata la cattura del braccio avversario
mediante un movimento di avvitamento che inizia dall’esterno verso l’interno e
dall’alto verso il basso, per poi continuare al contrario. La leva si effettua
bloccando l’avambraccio od il polso contro al nostro corpo, mentre si spinge sul
braccio o sul gomito verso l’interno.
In particolare, la figura 36 mostra una contromossa ad una doppia presa ai
fianchi, che può essere utilizzata anche come contrattacco nel caso di una presa
ad entrambi i polsi, dopo essersi liberati con un duplice movimento analogo a
quello già visto della figura 31a.
La complessa chiave illustrata dalla figura 37 è tipica dello JU-JITSU.
Fig. 35
Torneremo a parlare di TUITE più avanti, ad un livello un po’ più avanzato.
Fig. 36
Fig. 37
3). Il fatto che l’altra mano termini il suo movimento davanti al plesso solare,
invece di essere ritirata al fianco come di consueto, non rappresenta una
protezione dello stesso, come spesso viene spiegato, ma bensì la possibile presa
del braccio che ci ha attaccato, aiutata anch’essa dal primo contrattacco, con
l’applicazione di una pressione su alcuni punti particolari dell’avambraccio
legati, secondo la medicina orientale, alla circolazione dell’energia vitale.
Riprenderemo più avanti questo discorso: per ora limitiamoci ad affermare che la
concatenazione delle azioni di pressione e percussione non è casuale ma bensì
mirata a rendere ancor più “recettivo” il bersaglio finale della tecnica, cioè il seno
carotideo.
Fig. 2 Fig. 3
UNA PRIMA REGOLA: PARARE E AFFERRARE.
Analizzando la SHUTO UKE, si è dimostrato come un gesto, quello della mano
posta davanti allo stomaco, di solito considerato semplicemente posizionale,
possa significare un controllo dell’arto dell’avversario in seguito ad una parata.
Questa considerazione va estesa anche alla classica posizione di stazionamento
della mano al fianco: già il termine che la indica (HIKITE) non si riferisce ad una
situazione statica ma anzi significa “ritirare la mano” e quindi affermare che
serva solamente come preparazione alle tecniche con le braccia sarebbe riduttivo.
Immaginiamo una situazione nella quale, a seguito di una parata eseguita
dall’interno verso l’esterno, siamo riusciti ad afferrare il polso di chi ci ha
attaccato: a questo punto riportare verso il fianco la mano, grazie anche al
caratteristico movimento d’avvitamento, ci permette di torcere il braccio al nostro
avversario, obbligandolo così ad una posizione che ci apre molte possibilità di
contrattacco.
Come abbiamo già avuto modo di affermare trattando di TUITE-JUTSU, nei
Il potente gesto di HIKITE del maestro
KATA esistono moltissimi passaggi legati alla regola “afferra dopo aver parato” MASUTATSU OYAMA.
o “afferra parando”, poiché il TO-DE cercava l’efficacia nel combattimento non
solamente contro altri adepti, cosa che richiedeva tecniche adatte alla media e
lunga distanza, ma particolarmente contro attacchi ravvicinati tipici della difesa
personale, con la necessità di rispondere in modo adeguato a prese, spinte e gesti
minacciosi.
Descrivendo la versione “rivisitata” della SHUTO UKE si è proprio incontrata
una tecnica di TUITE al polso, con l’interessamento di determinati punti di
pressione localizzati su di esso.
In ultimo, notiamo che le parate afferrando sono molto più applicabili nella realtà
della difesa personale che nella frenesia del combattimento sportivo, dove sono
addirittura vietate le trattenute, e questo le ha inevitabilmente declassate nel
KARATE moderno.
quella degli altri ed il metro giusto di paragone resta quello di capire ciò che
viene fatto e perché, senza preconcetti.
In questi ultimi anni abbiamo assistito alla nascita e alla morte di miriadi di
federazioni, alle guerre o ai semplici ostruzionismi tra di esse. Il loro stesso
esistere innesca una catena economica che le lega sempre più all’aspetto sportivo
dell’Arte, quale miglior mezzo propagandistico delle palestre. Queste, per
riempirsi, si debbono rivolgere ad un pubblico il più vasto possibile, arruolando
perciò chiunque, tralasciando troppo spesso di filtrare le loro doti morali. Legioni
di ragazzini sono state addestrate come feroci SAMURAI, incapaci di rendersi
conto pienamente dei veri significati del KARATE. Si sono distribuiti cinture e
livelli a piene mani, più come incentivo esteriore, perché gli allievi se ne
potessero fregiare, che come simbolico superamento di un gradino posto lungo
una strada che non porta altro che a noi stessi. Si proclama a gran voce la non-
violenza del KARATE moderno e, contemporaneamente, si tollerano pericolosi
atteggiamenti nelle gare, con il risultato di vedere incidendi ormai non più tanto
casuali. Ci si vanta di applicare metodologie moderne e scientifiche alle tecniche
per adeguarle al presente: come si può farlo quando di queste non si conoscono
abbastanza tutti gli aspetti? Quanti maestri sono preparati al di là del loro stile e
perciò in grado di trasmettere il KARATE nella sua globalità? Non vorremmo più Il SAMURAI era un guerriero mercenario,
legato ad un codice guerriero che, ai nostri
sentire proclamare l’assoluta e aprioristica superiorità di una scuola su di un’altra, occhi, può apparire intriso di fanatismo, con
soprattutto se si adducono motivazioni risibili. Sarebbe ora di rivedere tutto, la cancellazione della propria personalità di
anche a costo di scalzare qualche pappagallo pluridecorato dal suo trespolo o di fronte al proprio signore e all’onore.
Paragonare i SAMURAI ai nostri cavalieri
dover creare una dolorosa frattura tra Sport e Arte. Ognuno ha il diritto di seguire medievali ed il BUSHIDO al codice
la strada che vuole, ma smettiamo di prenderci in giro... cavalleresco è, in effetti, un po’ azzardato.
LA TEORIA DELLA CIRCOLAZIONE
DELL’ENERGIA: I MERIDIANI ED I
PUNTI DI PRESSIONE
Molti gesti contenuti in certe tecniche, come s’è potuto vedere, sono mirati ad
agire su ben determinati punti del corpo seguendo le antiche teorie della
circolazione dell’energia interna.
Spesso, nei DOJO, trattando degli ATEMI si parla anche dei loro bersagli
migliori, vale a dire dei “punti vitali” del corpo umano, ma l’analisi degli effetti
degli attacchi contro di essi è basata sulla medicina occidentale e deriva perciò da
un approccio scientifico. In questo modo si ha uno studio preciso delle
conseguenze dell’applicazione della potenza dei colpi ma si rischia anche di dare
l’idea che una tecnica sia tanto più efficace quanto più la si esegua con forza.
L’esperienza degli antichi maestri cinesi aveva invece indirizzato, già molti secoli
fa, la ricerca dell’efficacia nella direzione dello studio dell’energia interna e dei
suoi percorsi nel corpo umano. Anche noi occidentali conosciamo, almeno di
fama, l’agopuntura cinese e lo SHIATSU nipponico: entrambe queste forme di
WANG WEIYI (987-1067) fu il medico cinese
medicina orientale, per lenire il dolore o curare alcune patologie, agiscono incaricato di condensare le teorie terapeutiche
stimolando determinati punti del corpo, nell’intento di tonificare o disperdere dell’epoca per facilitarne l’insegnamento. Egli
l’energia circolante (CHI o KI). fece fondere due statue di bronzo a grandezza
naturale, con riportati 657 fori corrispondenti
La teoria energetica, nata dalla ricerca sperimentale, fu tracciata per la prima ai punti d’agopuntura. Le statue erano piene
volta più di 4.000 anni fa ed è tuttora alla base della medicina tradizionale cinese. d’acqua e ricoperte di cera, cosicché, quando
Dapprima vi fu l’individuazione di tredici punti del corpo che, stimolati con gli studenti inserivano gli aghi nei posti
corretti, l’acqua colava fuori.
punture d’aghi, aiutavano la cura di certe patologie. Col tempo, questi punti A completamento dei bronzi, WANG WEIYI
(chiamati “cavità” (HSUEH) o “punti di pressione”, poiché corrispondono a zone scrisse anche il libro TONGREN SHUXUE
della pelle caratterizzate da una piccola depressione se premute con le dita) ZHEN JIU TUJING (Manuale Illustrato
dell'Uomo di Bronzo Indicante i Punti
divennero ben 365 e furono classificati in funzione degli organi del corpo sui d’Agopuntura e Moxibustione).
quali producevano effetti. Si verificò, così, che, collegando i punti di pressione Qui sotto, un modello di Uomo di Bronzo e
legati ad uno stesso organo, si tracciavano delle linee ideali, lungo gli una pagina del libro di WANG.
avvallamenti tra muscoli, tendini ed ossa, che furono dette TCHING o
“meridiani”. È attraverso questi che il flusso di CHI scorre per tutto l’organismo,
ed è sui loro punti che si può intervenire per manipolarlo, al fine di ristabilire
equilibrio e armonia, perseguendo scopi curativi, o per causare gravi danni, se
non addirittura la morte, come richiedono le arti marziali. In seguito furono
scoperti altri punti non legati ai meridiani tradizionali e per questo chiamati
“extra” e “nuovi”.
Recentemente, la validità di questo modello energetico è stata confermata da
esperimenti scientifici, che hanno evidenziato lungo i meridiani un potenziale
elettrico diverso da quello dei tessuti circostanti. Con strumenti capaci di
misurare correnti elettriche minuscole, si è potuto seguire il loro preciso tracciato
individuando i punti: si è così scoperto che questi corrispondono a quelli segnati
sulle antiche mappe cinesi dei meridiani.
Tornando alla nascita della teoria energetica, la sperimentazione empirica portò
alla definizione di dodici meridiani principali ed otto straordinari, gli stessi ancor
oggi utilizzati dalla medicina orientale. I primi (che sono in realtà ventiquattro a
causa della simmetria del corpo) rappresentano i canali della circolazione
energetica e sono legati sei ad un organo (YIN) e sei ad un viscere (YANG); gli
straordinari, invece, sovrintendono alla regolazione quantitativa dell’energia
presente nei meridiani principali.
I meridiani YIN sono: Polmone, Milza, Cuore, Rene, Pericardio, Fegato.
I meridiani YANG sono: Intestino Crasso, Stomaco, Intestino Tenue, Vescica YIN YANG
Urinaria, Triplice Riscaldatore (sistema linfatico), Cistifellea.
Gli otto meridiani straordinari, detti anche “vasi”, a differenza dei precedenti, non Polmone Intest. Crasso
hanno vincoli con gli organi interni e solo due, Governatore e Concezione, hanno Milza Stomaco
punti e percorsi propri e sono collegati con i dodici principali: il primo “governa”
i meridiani YANG, il secondo quelli YIN. Cuore Intest. Tenue
YIN e YANG, secondo il pensiero cinese, sono le due forze complementari ed Rene Vescica Ur.
opposte dalla cui costante interazione è generata ogni forma di vita. Ognuno di
essi non ha consistenza indipendente, ma solo in relazione all'altro, non esistono, Pericardio Triplice Risc.
cioè, in assoluto, ma sono l'uno in relazione all'altro in un rapporto dinamico. Per
Fegato Cistifellea
esempio, secondo questa filosofia, YANG corrisponde a caldo, movimento,
giorno, cielo, uomo, duro, mentre YIN alle qualità opposte, come freddo, L’associazione tra i meridiani YIN ed i
immobilità, notte, terra, donna, morbido. meridiani YANG.
Nella cosmologia orientale, il dualismo YIN e YANG è generato dall’unità
(TAO) e, a sua volta, genera le cinque categorie elementari (o elementi) alle quali
può essere fatta risalire qualsiasi manifestazione dell’energia terrestre: Terra,
Metallo, Acqua, Legno e Fuoco.
Secondo il “Principio di Mutua Creazione”, i cinque elementi interagiscono tra
loro proprio come avviene in natura: il legno è combustibile per il fuoco, dal
fuoco proviene la cenere che alimenta la terra, dalla terra si estrae il metallo, sul
metallo si condensa all'acqua, l’acqua alimenta il legno degli alberi e la sequenza
riprende da capo. Questo è anche detto “Ciclo Creativo”, dove ogni elemento, Il dualismo YIN/YANG
posto lungo un cerchio, è generato da quello che lo precede ed a sua volta genera
quello a lui successivo. Il loro legame è simile a quello tra madre e figlio, con
ogni elemento che sta accanto a quello che lo crea ed a quello che lo ha creato.
In termini opposti, per il “Principio di Mutua Distruzione”, gli elementi seguono
il “Ciclo Distruttivo”, rappresentato da una stella a cinque punte che unisce ogni
elemento a quello da cui è “dominato” e all’altro che invece esso stesso
“domina”. In questo caso si considera che il legno indebolisce la terra
sottraendone la sostanza, la terra limita l’acqua arginandola o assorbendola,
l’acqua spegne il fuoco, il fuoco fonde il metallo e questo, sotto forma di lama,
può intagliare il legno.
In quanto parte dell'universo, il corpo e la mente umana sono anch’essi soggetti
alle energie dei cinque elementi: ognuno di questi è associato ad un organo YIN Il “Ciclo Creativo” (il cerchio) ed il
ed a uno YANG, dunque ogni squilibrio energetico in un elemento si manifesterà “Ciclo Distruttivo” (la stella) che legano
con dei sintomi in uno o in entrambi gli organi della coppia collegata e del tra loro i cinque elementi.
meridiano corrispondente.
Un’altra caratteristica del fluire del CHI lungo i diversi meridiani durante le
ventiquattrore (“ciclo giornaliero”) è quella di far sì che ognuno di essi abbia una
punta, della durata di due ore, di massima attività, così come un analogo periodo,
dodici ore dopo, di attività particolarmente ridotta.
Per maggior chiarezza, nella pagina seguente riportiamo due tabelle che riportano
le principali informazioni su meridiani e cinque elementi.
CHI
La prima elenca i dodici meridiani principali, in ordine di “ciclo giornaliero”, e i
due straordinari più importanti, abbinandoli agli elementi loro associati ed al
periodo del giorno in cui hanno il loro massimo energetico, con in più
l’abbreviazione con la quale li indicheremo in seguito.
La seconda tabella espone le caratteristiche legate ai cinque elementi, tra le quali,
oltre ai meridiani, vi sono parti del corpo umano, sensi, colori, proprietà
atmosferiche, emozioni in difetto ed in eccesso.
Meridiano Ore di Elemento
Tipo Abbr.
(organo) massimo associato
Senso: Tatto, Parola Senso: Gusto Senso: Odorato Senso: Umido Senso: Vista
Sapore: Amaro Sapore: Dolce Sapore: Piccante Sapore: Salato Sapore: Aspro
Colore: Rosso Colore: Giallo Colore: Bianco Colore: Nero Colore: Verde/Blu
Stagione: Estate Stagione: Fine stagione Stagione: Autunno Stagione: Inverno Stagione: Primavera
Direzione: Sud Direzione: Centro Direzione: Ovest Direzione: Nord Direzione: Est
Emoz. Dif.: Ciclotimia Emoz. Difet.: Ansia Emoz. Dif.: Tristezza Emoz. Dif.: Paura Em. Dif.: Depressione
Emoz. Ecces.: Gioia Em. Ecces.: Ossessione Emoz. Ecc.: Angoscia Emoz. Ecc.: Coraggio Emoz. Ecc.: Collera
Aspetto: Peli Aspetto: Strut. Fisica Aspetto: Respiro Aspetto: Capelli Aspetto: Unghie
Tempo: Caldo Tempo: Umido Tempo: Secco Tempo: Freddo Tempo: Vento
Questa gran massa d’informazioni è utilizzata sia dalla medicina orientale sia
dalle arti marziali. Infatti, entrambe, pur perseguendo scopi diametralmente
opposti, utilizzano i punti di pressione ed i meridiani per influenzare la
circolazione dell’energia.
In realtà, è opportuno ricordare che tutte le arti di combattimento classiche, come
il TAI CHI CHUAN, hanno un aspetto energetico/curativo compreso nei loro
movimenti marziali e, di conseguenza, pure il KARATE, anche se, ormai, lo si
ritrova solo in alcuni KATA, soprattutto dei più antichi.
LOCALIZZAZIONE DI VASI, MERIDIANI E PUNTI.
(1)
Nelle figure seguenti mostriamo i vasi ed i meridiani principali, con riportati tutti Secondo l’agopuntura, la circolazione
del CHI in un meridiano si svolge a
i punti di pressione, individuati, come d’uso, da un numero progressivo(1). partire dal suo punto “uno”. Nel metodo
La tradizione orientale ha attribuito ad ogni punto di pressione un nome curativo, infatti, si interviene sul flusso
specifico, indicativo della sua caratteristica principale. energetico “esterno”, che segue questo
percorso. Nelle arti marziali (metodo
Ad esempio, il sesto punto del meridiano del Pericardio (PE 6) è detto, in cinese,
distruttivo) si opera, invece, sul flusso
NEIGWAN, “cancello d’ingresso”, e permette di “entrare” nel sistema del CHI “interno”, che circola nella
energetico. Per scopi marziali, è utilizzato per alterare il bilanciamento direzione opposta.
YIN/YANG dell’intero corpo, ma è soprattutto uno dei migliori punti di
“preparazione” ad attacchi decisivi, usato in combinazione con altri, come, ad
esempio, ST 9, il nono punto del meridiano dello stomaco. In questo caso il colpo
contro PE 6 precederà di poco quello diretto a ST 9, alterando il bilanciamento
dell’energia interna, influenzando il battito cardiaco e aumentando, così, gli
effetti del secondo attacco, che ha come risultato un crollo della pressione
sanguigna.
Vedremo più avanti alcune delle tecniche d’attacco contro i punti di pressione,
isolati o in combinazione tra loro.
Nelle immagini che seguono, mostriamo i percorsi ed i punti dei meridiani e dei
due vasi principali, insieme ad alcuni punti “extra” e “nuovi”.
PO - Polmone
IC - Intestino Crasso
ST - Stomaco
MI - Milza
CU - Cuore
IT – Intestino Tenue
VE - Vescica
RE - Rene
PE - Pericardio
TR – Triplice Riscaldatore
CI - Cistifellea
FE - Fegato
GO - Vaso Governatore
CO - Vaso Concezione
LE TECNICHE D’ATTACCO AI PUNTI DI PRESSIONE.
L’arte di utilizzare la circolazione dell’energia per scopi “distruttivi”, chiamata
DIM MAK in cinese e KYUSHO JUTSU in giapponese, ha sempre fatto parte di
tutti i sistemi di combattimento orientali.
Se è stata nascosta all’interno delle forme e delle tecniche, questo è avvenuto per
ragioni di segretezza e sicurezza. Originariamente, i maestri del TO-DE
insegnavano le applicazioni della teoria energetica solo ai discepoli più fidati,
destinati a tramandare la conoscenza dell’Arte, e spesso passavano le
informazioni complete solo ai loro allievi “interni”.
Quando, all’inizio del XIX secolo, il KARATE cominciò ad essere diffuso alle
masse, addirittura a livello scolastico come educazione fisica, non solo queste
informazioni non furono divulgate, ma, anzi, maestri come ITOSU,
FUNAKOSHI, MABUNI ed altri pensarono bene di “semplificare” le forme
originarie, con il duplice scopo di renderle più facili da imparare come movimenti
ma ancor più difficili da “tradurre” in tecniche micidiali. Più avanti
approfondiremo tutto questo grazie ad un interessantissimo scritto del maestro
RICK CLARK. Per ora ci fermiamo, semplicemente citandone questa frase:
“Pensate questo: essendo in grado di insegnare a colpire leggermente
determinate parti del corpo mettendo fuori combattimento un avversario,
vorreste che qualsiasi studente di liceo della vostra città abbia questa
conoscenza?”
Il KYUSHO JUTSU prevede di agire su precise zone del corpo in un modo
predeterminato: la tecnica può influire direttamente sul funzionamento
dell’organo “bersaglio” oppure può sollecitare, rendendoli più “sensibili” e perciò
vulnerabili, altri punti vitali, secondo i collegamenti teorizzati dalla teoria
energetica. In questo caso non è decisiva la prima azione, ma è una combinazione
di tecniche che conduce al risultato finale.
Risulta chiaro quanto l’argomento sia straordinariamente complesso, dato che un
attacco errato oltre a non attivare il bersaglio finale può persino favorire la
circolazione dell’energia invece di ostacolarla, ottenendo così un effetto opposto
a quello cercato. Il KYUSHO JUTSU prevede, infatti, un enorme numero di
conoscenze specifiche, in particolare:
L’esatta localizzazione dei punti di pressione.
Il meridiano al quale appartengono.
Il periodo orario di sua maggiore o minore attività.
L’organo ad esso collegato.
L’elemento associato.
I meridiani che gli sono legati nei diversi cicli.
La tecnica più idonea all’attacco.
La direzione e l’angolo di quest’ultimo. Antiche raffigurazioni cinesi di
Gli effetti fisici che produrrà. meridiani e punti di pressione.
Pericardio CO 17 VE 14
5. Attaccare considerando i punti “speciali”.
Oltre alle regole citate, esistono due gruppi di punti particolari detti MU Tripl. Risc. CO 5 VE 22
(punti d’allarme) e SHU (punti associati). I primi, appartenenti a diversi
Cistifellea CI 24 VE 19
meridiani e situati soprattutto nella parte frontale del corpo, sono assegnati
uno per meridiano e sono così chiamati perché diventano particolarmente Fegato IC 14 VE 18
sensibili in presenza di problemi ai corrispondenti organi. I secondi sono tutti
situati sul dorso ed appartenenti al meridiano della vescica. Come per i primi, I punti d’allarme e associati relativi ad
ogni meridiano.
sono ognuno associato ad un organo. Entrambi i tipi di punti “speciali”
possono essere utilizzati come bersagli, combinandoli con i punti dei
meridiani ad essi collegati.
La JINTAI KYUSHO riportata da GICHIN FUNAKOSHI nel suo libro KARATEDO KYOHAN del 1935.
IL MURO DEL SILENZIO: LE TECNICHE SUI PUNTI VITALI
SONO STATE SISTEMATICAMENTE CELATE DAI MAESTRI DI
ARTI MARZIALI?
Per comprendere come sia possibile che aspetti tanto importanti del KARATE
quanto quello dell’energia vitale appaiano, se non proprio sconosciuti, per lo
meno trascurati dalle scuole moderne, può risultare utile leggere questo saggio
del maestro RICK CLARK, esperto di KYUSHO-JUTSU ed attento ricercatore.
Proprio l’ultima frase di RICK CLARK potrebbe essere la chiusura migliore per
un capitolo come questo, che appare davvero ispirato dal suo invito a rivolgersi
verso le fonti originali del KARATE, invece pensiamo di riportare ancora
un’altra testimonianza che, provenendo da un maestro fondatore di uno stile
moderno, caratterizzato da impressionanti prove di forza e da combattimenti con
pieno contatto, acquista un valore enorme. Il maestro è MASUTATSU “MAS”
OYAMA che, nel suo libro del 1965 “This is Karate”, scrisse:
<<Ci sono differenze enormi tra il KARATE moderno e quello che potrebbe o
dovrebbe essere. A causa di una sorta di modifica nei fondamenti dell’arte,
accostando il KARATEKA odierno all’antico, quello moderno ne esce sempre
male. Questo solo perché gli attuali maestri di KARATE giapponesi sono andati
troppo lontano dall’idea di base che il KARATE si sviluppa da punti, angoli e MASUTATSU OYAMA
cerchi>>. Più avanti OYAMA afferma che <<Questo problema rende assai
evidente la necessità di studiare il KARATE da una punto di vista che prenda in
considerazione Teoria, Dinamica, e Psicologia. Finché gli stili moderni di
KARATE continueranno ad ignorare questi elementi sostanziali, continueranno a
“cadere appena dopo la linea di partenza” e non saranno mai niente più di un
esercizio fisico, mentre il vero significato di questa disamina è la nostra fede
profonda nella necessità che il KARATE debba seriamente ritornare più vicino
all’arte originale, per ringiovanire>>.
KATA
I KATA (“forma”, “modello”) sono delle serie preordinate di tecniche che il
KARATEKA compie in assolo, nella più totale concentrazione, rispettando
scrupolosamente direzione, tempo e velocità di ogni movimento ed il ritmo
generale della respirazione.
Attraverso queste sequenze, a volte eleganti e spettacolari ma sempre piene di
significati, c’è stato tramandato il sapere tecnico dei grandi maestri del passato. I
loro insegnamenti sono, infatti, racchiusi nei KATA, talvolta, però, in modo tanto
nascosto e difficile da comprendere che capirne il significato è diventata un’arte
nell’Arte, un motivo di studio al quale si dedicano molti maestri in tutto il
mondo.
prettamente tecnico ad un altro, che coinvolge non solo il livello mentale interiore
(quasi una meditazione in movimento) ma anche quello più espanso verso
l’esterno (interazione completa con l’ambiente e con l’avversario).
(1)
I KATA nascono come raccolta di tecniche difensive. Ognuno di loro, in questo Comprendere che un KATA (o un gruppo
ristretto di essi) è uno “stile” marziale
senso, rappresenta uno “stile” particolare(1), eppure la loro origine è intimamente specifico, perciò con le sue tecniche tese a
legata pure ad un aspetto psicologico che si trasmette al praticante. I maestri risolvere tutte le più comuni situazioni di
creatori volevano anche farci giungere il loro pensiero, non solo la loro difesa personale, legate tra loro in modi
complessi ed articolati e con significati
conoscenza tecnica.
plurimi, aiuta l’estrapolazione del BUNKAI.
Facciamo ancora un passo avanti nell’approfondire l’analisi della pratica dei
KATA. A prima vista, più di due terzi delle tecniche di un KATA appaiono come
bloccaggi, colpi o pugni e come tali sono eseguite durante le gare. Le
interpretazioni più profonde affermano, invece, che sono soprattutto mosse di
leva, proiezione e percussione, sempre destinate verso punti di pressione, con ben
definite direzioni e angoli d’impatto per trasferirvi al meglio l’energia. La
differenza, come approfondiremo in seguito, sta tutta nel livello di BUNKAI
adottato, ma certo influenza il modo di muoversi ed eseguire ogni tecnica.
Nelle competizioni moderne, un KATA eseguito nella seconda maniera viene
giudicato troppo morbido e persino goffo, mentre, nella realtà quotidiana, la
prima forma d’esecuzione dà forza ai detrattori del KARATE, che affermano la
sua inefficacia ed inapplicabilità giudicandolo in base alle tecniche effettuate
proprio in quel modo, adatto alle situazioni “di palestra” e non “di strada”.
I maestri crearono i KATA con l’intenzione primaria di trasmettere la loro
conoscenza tecnica nel modo più semplice, poi operarono un occultamento degli
aspetti maggiormente pericolosi, spesso trasformandoli in gesti simbolici.
Quasi certamente tennero conto anche dell’aspetto “scenico” complessivo,
curando la bellezza nell’alternanza di sequenze e passaggi, spesso ispirandosi alla
danza tradizionale d’Okinawa, profondamente radicata nella cultura degli isolani,
ma, del resto, tutti i movimenti che possiedono motivazioni profonde e
richiedono uno status psicofisico estremo hanno in ogni caso una loro bellezza.
Nelle competizioni la prospettiva scenografica, nata come secondaria, è diventata
invece la prominente, giustificando ulteriori variazioni alle forme originali per
uniformarle a questo punto di vista. Per assurdo, si è giunti a modifiche che non
solo vanificano l’efficacia delle tecniche, ma sono persino discutibili dal lato del La danza ODORI di Okinawa ha sempre
miglioramento estetico, che pure ne è stato la causa scatenante! influenzato il TO-DE e viceversa.
CHIARO E SEMPLICE
Un KATA si deve eseguire sempre con tecniche chiare e semplici, che rendano
inequivocabile il significato che gli abbiamo dato.
In tutti gli stili, nell’esecuzione delle tecniche, vige la regola della massima
economia di movimento: MUDA NO DOOZA, nessuno spreco di gesti. Questo,
attualmente, non vale per lo SHOTOKAN e, di conseguenza, nelle moderne gare
sportive che esso ha fortemente influenzato, dove, ormai, si propende per una
teatralizzazione. Alcune altre scuole hanno persino adottato apposite versioni “da
gara” delle loro forme tradizionali, adattandole all’orientamento arbitrale più
diffuso.
L’economia di movimento è importantissima nell’applicazione reale delle
tecniche, dove si cerca l’efficacia, data dalla precisione e dalla potenza. Questa, a
sua volta, è legata alla velocità d’esecuzione, vale a dire alla distanza percorsa
dalla tecnica ed al tempo impiegato nell’eseguirla. Se, però, la si ottiene con
movimenti troppo ampi (aumento della distanza), la tecnica diventerà prevedibile,
dunque si deve soprattutto lavorare per accelerare il gesto (riduzione del tempo)
senza esagerarne il percorso.
Per di più non serve un ulteriore “caricamento” delle tecniche, pensando di
aumentare l’effetto, poiché, oltre a rallentarne il tempo totale d’esecuzione, vale
la regola dell’impossibilità di aggiungere energia ad un’azione oltre a quella
necessaria per compierla (ad esempio, è illogico, partendo per una gara sui cento MUDA NO DOOZA
metri, andare prima all’indietro per dieci passi allo scopo di aumentare la velocità
all’arrivo: questa rincorsa ci farà solo incrementare il tempo impiegato e perdere
così la gara).
LE TECNICHE
L’intera gestualità contenuta in un KATA dipende dal tipo di stile o scuola che lo
pratica. La coscienza di quello che si sta facendo deve influenzare l’esecuzione
(1)
d’ogni tecnica. Muoversi come burattini(1), eseguendo gesti privi, almeno per noi, Ripetiamo un’analoga affermazione
di GICHIN FUNAKOSHI :“Se vi
di significato, rende il KATA vuoto ed inutile.
limitate solamente a muovere le mani ed
Per evitarlo, si devono conoscere i significati pratici di ogni movimento, i piedi ed a saltare su e giù come
possibilmente allenandone il BUNKAI con dei compagni d’allenamento. Anche burattini, allora lo studio del KARATE
non è molto diverso da quello della
se per tutti i passaggi esistono più livelli d’applicazione, si possono adottare
danza. Non arriverete mai al cuore della
anche solo quelli più evidenti ed elementari, al fine di semplificarne l’esecuzione materia ed avrete mancato di
a vuoto durante il KATA. comprendere la quintessenza del
KARATE-DO”.
LE POSIZIONI
Così come non è sensato costruire una casa senza buone fondamenta, è
impossibile pensare di fare del vero KARATE senza curare le posizioni di
guardia, cercando di renderle, al tempo stesso, potenti e flessibili, ancorate
fermamente al suolo ma anche capaci di farci esprimere agilità istantanea. Anche
se nelle gare sono apprezzate le posizioni basse e profonde, certo più belle da
vedere, bisogna ricordare che, se utilizzate con troppa insistenza, esse non sono
salutari, poiché il nostro stesso peso tenderà ad essere trasferito direttamente sulle
articolazioni e sulla parte bassa della schiena. Dal punto di vista del
combattimento, specie “da strada”, le posizioni troppo basse sono maggiormente
vulnerabili e tolgono troppa mobilità, affaticando, per di più, i muscoli delle
gambe, che perdono parte della loro potenza e rapidità. Analogamente
un’esagerata altezza di guardia renderà il praticante lo stesso attaccabile e lo
porterà ad introdurre determinate tensioni muscolari legate al mantenimento
dell’equilibrio.
GLI SPOSTAMENTI
Pur attenendosi alle regole dettate dallo stile d’appartenenza, durante qualsiasi
spostamento le anche devono dirigere l’intero corpo, mantenendo sempre
costante la loro distanza da terra, salvo indicazioni diverse.
I movimenti potranno essere fluidi o marcati, ma sempre legati alle caratteristiche
del KATA, badando a non sembrare una specie di robot e prestando attenzione al
mantenimento costante dell’equilibrio.
IL RITMO
Il ritmo di esecuzione rappresenta il legame temporale tra le sequenze di tecniche
che compongono un KATA. Dettato, in prima istanza, dalle immodificabili
peculiarità di questo, è importantissimo ai fini della corretta effettuazione. Deve
essere supportato da una forte coscienza di ciò che si sta facendo, dalla giusta
potenza necessaria alle tecniche e da spostamenti precisi e naturali.
Anche se ogni KATA ha un suo specifico ritmo da rispettare, non lo si deve
eseguire in modo meccanico, “marciando” per il DOJO. Il ritmo è scandito da
pause e da movimenti ora rapidi ora lenti, ora potenti ora leggeri. Nel
caratterizzarlo, la respirazione, in tutti gli stili e soprattutto in quelli derivati dal
NAHA-TE, occupa un posto di primo piano.
Eseguendo un KATA si dovrà comunque interpretarne il ritmo anche in modo
personale, naturalmente senza saltellare qua e la in maniera bizzarra, ma
comprendendo appieno il significato trasmessoci da ogni sequenza, come
affermavano i grandi maestri: KAN KYU JI ZAI (lenti, veloci, essere se stessi).
Un KATA è una sorta di combattimento, caratterizzato, perciò, da momenti
frenetici, ma anche da pause e spostamenti tattici, che molto dipendono dalle KAN KYU JI ZAI
caratteristiche del praticante.
LA RESPIRAZIONE
A partire dai due ceppi principali del KARATE, cioè SHOREI-RYU e
SHORIN-RYU, il modo di respirare durante un KATA è uno dei punti fermi di
ogni scuola e determina anche il corretto atteggiamento fisico e mentale del
praticante nei confronti della forma eseguita e, di conseguenza, delle tecniche e
delle tattiche che essa gli trasmette.
Fermo restando che una cattiva respirazione non permette d’alimentare muscoli e
cervello dell’ossigeno necessario, rendendo fisicamente difficile la buona
esecuzione di un KATA lungo e complesso, la giusta alternanza d’inspirazioni ed
espirazioni, più o meno lunghe e profonde, è dettata dalle regole tecniche di ogni
stile, così come il modo di eseguirle.
Nelle gare moderne si tende ad enfatizzare l’espirazione in ogni tecnica,
utilizzando una forte e rapida respirazione addominale. Tipica dello
SHOTOKAN, è stata adottata anche da altre scuole, come il WADO-RYU e lo
SHITO-RYU (dove, al contrario, vigerebbe la regola che solo il praticante deve
poter sentire il proprio respiro), per motivi spettacolari, poiché fa sembrare più
“potenti” le tecniche.
Nei KATA del NAHA-TE la respirazione serve a produrre un forte baricentro,
accumulando o emettendo una potente energia. In questo caso può essere udibile,
anche se non deve apparire troppo forzata o persino “asmatica” come accade
talvolta. Nel GOJU-RYU, in particolare, si distingue tra IBUKI-IN (respirazione
JU, morbida e silenziosa) e IBUKI-YOO (respirazione GO, forzata e rumorosa).
Ricordiamo che la respirazione deve armonizzarsi con i movimenti ed è anche
strettamente legata alla posizione del corpo, che non deve mai essere debole e per
questo non si deve mai essere completamente “vuoti” d’aria, conservandone una
costante riserva nei polmoni.
LO SGUARDO
Troppo spesso trascurato dai praticanti, il modo di indirizzare lo sguardo durante
un KATA assume due significati ben marcati.
Il primo è fisico: bisogna puntare gli occhi (CHAKUGAN) verso l’ideale CHAKUGAN
avversario per eseguire le tecniche con verosimiglianza. Lo sguardo deve sempre
precedere i nostri cambiamenti di direzione, eventualmente aiutato dalla rotazione
della testa, quando contemplato dal KATA o, più in generale, dallo stile. Inoltre
dev’essere costantemente indirizzato all’altezza degli occhi: mai osservare il
pavimento o il soffitto mentre si esegue una forma, tranne per quelle tecniche
espressamente dirette verso il basso o verso l’alto.
Il secondo significato è più mentale e richiama il pensiero secondo il quale gli
occhi sono lo “specchio” dell’anima, concetto comune a tutte le culture. Essi
trasmettono le nostre emozioni e possono tradire intenzioni e sensazioni, ma
anche essere utilizzati per proiettare il nostro spirito in avanti, oltre alle nostre
tecniche.
Alcuni antichi maestri affermavano che, durante un KATA, non andrebbero
sbattute le palpebre e che i nostri occhi dovrebbero essere come quelli della tigre:
attenti, freddi, decisi e implacabili. In effetti, se si esegue un KATA in modo
corretto, significa che è corretta la struttura del corpo, cosa che ci pone,
automaticamente e volutamente, in uno stato mentale “istintivo” o “animale”,
estraniati dal resto dell’ambiente e totalmente presi dalla lotta “virtuale”…
Certe scuole professano un loro sistema per gestire lo sguardo in modo preciso
(METSUKE, metodo degli occhi), altre danno solo qualche indicazione; in ogni METSUKE
caso l’uso corretto dello sguardo è legato alla conoscenza del particolare
BUNKAI attribuito al KATA, per saper sempre dove dirigerlo prima e durante
ogni sequenza.
KIME
È un aspetto psicofisico legato all’esecuzione delle tecniche. In un KATA il
KIME rappresenta la focalizzazione costante del proprio spirito verso ciò che si
sta facendo, la concentrazione, insieme, della potenza fisica e mentale. Alcuni
stili preferiscono una focalizzazione istantanea, vale a dire solo al momento finale
della tecnica, altri considerano molto importante il mantenimento di un alto
livello di “decisione” per tutto il KATA.
Nelle forme di tipo SHOREI l’utilizzo dell’energia è ancora diverso, poiché i
movimenti tendono ad essere potenti ma continui e le tecniche si susseguono KIME
come se una fosse la preparazione dell’altra, spesso lentamente e con
l’accompagnamento d’una forte respirazione addominale, spesso escludendo una
qualche forma d’arresto del gesto con conseguente “esplosione” d’energia.
Fermo restando che, per qualunque stile, l’intera esecuzione deve essere
caratterizzata da un’elevatissima concentrazione, qualche praticante, talvolta,
esagera nel voler mostrare il suo grande KIME, del resto molto apprezzato nelle
gare, rischiando di eseguire movimenti più legati e rigidi che potenti, lontani
dall’efficacia reale o, comunque, dalla forma originale, cioè proprio dallo scopo
per cui sono stati creati e codificati.
Ad ogni modo, ricordiamo che tecnica e spirito devono sempre essere una sola
cosa: SHIN GI ICHI NYO.
SCELTA DI TEMPO
Bisogna sempre coordinare l’esecuzione di una tecnica con i movimenti del
corpo. Per un OI TSUKI, ad esempio, è necessario che il momento terminale del
pugno coincida esattamente con l’assunzione della posizione d’arrivo. Questo
vale anche per le sequenze di un KATA, dove una cattiva scelta di tempo falsa
l’effetto finale delle tecniche, non solo dal punto di vista estetico, ovviamente, ma
anche da quello dell’efficacia.
SHIN GI ICHI NYO
Il timing, come lo chiamano gli anglosassoni, è anche legato alla corretta
visualizzazione del bersaglio, aiutata dall’esatta conoscenza del BUNKAI di ciò
che si sta facendo.
Si esercita praticando le tecniche dapprima con lentezza, per coordinare
esattamente tutti i movimenti, aumentando via via la velocità e la potenza.
BUNKAI
Abbiamo affermato più volte quanto sia importante conoscere i livelli di
BUNKAI di un KATA per poterlo eseguire al meglio.
Torneremo dopo sugli aspetti più particolari del BUNKAI; per ora ci limiteremo
a precisare che, esercitandosi in una forma, basta scegliere un solo modo
BUNKAI
d’applicazione delle tecniche, purché questo ci aiuti a rendere pieno e reale ogni
nostro gesto. Non appena imparato il KATA sotto il punto di vista formale,
dobbiamo passare all’esercizio a coppie del BUNKAI, per comprenderlo
interamente, scegliendo poi, tra le tante possibili interpretazioni, quelle che
concorrono a migliorare la nostra esecuzione, permettendoci una precisa
focalizzazione degli immaginari avversari anche quando pratichiamo le tecniche
in assolo.
KIHON
All’inizio di quest’opera si è sostenuto che il KIHON nasce dai KATA e dalla
necessità di generalizzare il lavoro sui singoli movimenti, per migliorare la forma
tecnica e quella fisica.
Scomporre e ricomporre di continuo i KATA ci porta così a perfezionarne la
conoscenza esteriore, passo necessario per iniziarne lo studio più profondo.
ZANSHIN
Questo termine significa, letteralmente, “restare attenti”. Potremmo, come prima
approssimazione, interpretarlo come la concentrazione che è necessario rimanga
costante durante tutto il KATA. La sua esecuzione deve avvenire in modo
automatico ma perfettamente naturale, gesti e movimenti hanno l’obbligo di
rappresentare al meglio cosa simboleggiano, mentre noi li viviamo mentalmente ZANSHIN
come se l’avversario fosse davvero davanti a noi.
ZANSHIN è perciò l’assoluta consapevolezza di ciò che stiamo facendo, uno
stato di coscienza molto simile a quello del musicista mentre interpreta la musica
di un grande compositore o a quello dell’attore calato appieno nella sua parte, una
condizione psicologica che precede l’azione, la permea completamente e non
cessa immediatamente al suo termine.
KIAI
Il KIAI è un attimo, un’esplosione d’energia istantanea, l’unione nel momento
finale della tecnica decisiva di corpo e spirito. Di certo non è un semplice grido,
poiché certi maestri non lo eseguono in modo udibile. Nelle gare, come per il
KIME, si tende ad esagerarlo, nel volume e nella durata, ma è un grossolano
errore. Il vero KIAI lo deve sentire chi lo emette e chi lo subisce; gli altri, se sono
adepti di livello sufficiente, lo percepiranno anche senza alcun suono.
L’uso del KIAI varia molto tra scuola e scuola. Anche se oggigiorno tutte lo
hanno codificato rigidamente, in passato erano solo evidenziati alcuni punti
KIAI
chiave dei KATA, lasciando al praticante la libertà di scegliere in quali di questi
far esplodere la sua energia.
Certi stili derivati dal NAHA-TE, come per il KIME, non lo considerano
necessario nei propri KATA, mentre quelli originati da SHURI-TE e
TOMARI-TE ne prevedono uno o più per ogni forma.
Per finire citiamo questo motto: TAI REN, SHIN REN, CHI REN (esercita la
forma fisica, il controllo della mente, la massima conoscenza).
Disgraziatamente, troppi si fermano solo al primo stadio...
CHINTE
Come tutti i KATA più antichi, è la rielaborazione di un’antica forma cinese.
Un passaggio di CHINTE che
Praticato esclusivamente nell’area di SHURI fino dal XVIII secolo, conserva
richiama le antiche tecniche di
molti elementi del TO-DE originale, come alcune alternanze di posizione tra percussione contro avversari in
parata e contrattacco che si sono perse nel KARATE moderno e sportivo. armatura di cuoio.
Leggendolo alla giapponese, il suo nome significherebbe “mano invincibile” (ma 1 2 3
anche “curiosa”), mentre il primo ideogramma (o KANJI), pronunciato CHIN in
Okinawense, viene detto TIENHSUE in cinese ed è riferito ad un metodo I diversi KANJI “CHIN” utilizzati nei
d’attacco ai punti vitali del corpo legato ai cicli giornalieri e alla circolazione nomi di alcuni KATA:
1 = Okinawa.
dell’energia, il KYUSHO JUTSU o DIM MAK. Si avrebbe così “tecnica 2 = Giappone (solo per CHINTE).
d’attacco ai punti vitali sfruttando la circolazione dell’energia”. Lo stesso 3 = Nel nome SANCHIN.
ideogramma si ritrova nei KATA CHINTO, SOCHIN, SEIENCHIN e
SHISOCHIN (e non in SANCHIN, come talvolta viene affermato erroneamente).
Nello sforzo di propagandare l’Arte in Giappone, il Maestro GICHIN
FUNAKOSHI, conscio del nazionalismo imperante e della costante rivalità (che
sfociò poi in guerra) con la Cina, cambiò molti nomi di KATA, sostituendo gli
scomodi termini cinesi originali con altri nipponici. Anche CHINTE non sfuggì
alla regola e venne chiamato SHOIN. A differenza di quasi tutti gli altri, riprese CHINTE: due modi particolari di
in seguito il suo nome antico. attaccare con la mano, spariti in quasi
tutti i KATA SHOTOKAN ma non in
CHINTO questo.
“Combattendo verso Est (o dove sorge il sole)”. Una leggenda racconta che
questo fosse il nome di un marinaio cinese, esperto di arti marziali, naufragato ad
Okinawa, il quale trasmise le proprie conoscenze al grande maestro SOKON
“BUSHI” MATSUMURA. Questi le amalgamò con il TO-DE indigeno
dell’epoca (spesso chiamato semplicemente TE), dando così inizio alla corrente
SHURI-TE, in seguito indicata come stile SHORIN. Questo KATA fu rinominato
dal maestro FUNAKOSHI, ispiratosi ad alcune delle difficili posizioni da
assumere durante la sua esecuzione, “GANKAKU”: la “gru sulla roccia” (in
agguato). Egli affermava, inoltre, che CHINTO è da riportarsi al sistema Il passaggio che ha ispirato il nome
GANKAKU. Non è però presente, in
“interno” cinese (NEI-CHIA), anche se proprio nella sua versione sono evidenti questa forma, nelle versioni derivate
le correlazioni con la scuola “della Gru” (HAO PAI), appartenente invece al dal TOMARI-TE.
sistema “esterno”. Ne esistono diverse interpretazioni, tra cui MATSUMURA (o
ARAKI NO CHINTO, forse la più vicina all’originale), YABU, SHIROMA e
ITOSU dai nomi dei maestri che le elaborarono, ed una antica praticata nel
TOMARI-TE e conosciuta come CHAN-MI-GUA NO CHINTO. Quest’ultimo
KATA, contenente alcuni gesti che si situano al confine tra il KARATE e la
danza tradizionale di Okinawa (RYUKYU BUYO), è stato trasmesso dal maestro
KIYAN: CHAN-MI-GUA (KIYAN dai piccoli occhi) non è altro, infatti, che il
suo soprannome.
Il movimento iniziale dell’antico
CHINTO, con una possibile azione su
GEKISAI alcuni punti di pressione.
Sono due KATA, ICHI (uno) e NI (due), creati intorno al 1940 dal maestro
MIYAGI, fondatore del GOJU-RYU, che si ispirò ai PIN-AN del maestro ANKO
ITOSU per fornire ai principianti delle forme di base più semplici da apprendere,
infatti si staccano dai più classici KATA di questo stile per la forma
dell’EMBUSEN e per la maggiore naturalezza e fluidità richieste nell’esecuzione.
Il loro nome significherebbe “distruggere” o “demolire”. Esistono in due
versioni: una, probabilmente l’originale, detta DAI (lunga) ed un’altra
ulteriormente semplificata. La forma ICHI contiene tecniche adatte alla media
distanza, la NI altre più utilizzabili nella corta distanza.
GEKISAI: guardie molto raccolte e
potenti sono una caratteristica degli
HAKUCHO stili SHOREI.
“Cigno”, breve TAO dello stile cinese BAI HE QUAN (“Boxe della Gru Bianca”,
HAKUTSURU-KEN in giapponese).
Insegnato dal maestro cinese GOKENKI a Okinawa e trasmesso dalla scuola
GOJU-RYU di EIKO MIYAZATO e dallo SHITO-RYU di KENWA MABUNI.
Appartenendo allo stesso stile, presenta ovvie affinità con il KATA HAKUFA,
con il quale viene, talvolta, confuso. Le ali del cigno in HAKUCHO.
HAKUFA
“Airone bianco”, TAO dello stile cinese BAI HE QUAN (“Boxe della Gru
Bianca”, HAKUTSURU-KEN in giapponese), risalente al KUNG-FU del
monastero di SHAOLIN e diffuso, in Cina, nella regione del Fujian (o Fukien) e
nell’isola di Taiwan. Questa scuola ha notevolmente influenzato il KARATE,
dalle origini ai tempi moderni, sia con la tecnica sia con i suoi concetti
sull’energia interna (CHI o KI) e sulla respirazione.
Fu il maestro CHOJUN MIYAGI a divulgare questo KATA ad Okinawa, dove è
HAKUFA: la gru dispiega le ali.
ancora praticato dalle locali scuole di GOJU-RYU.
Durante l’esecuzione, si imita, con le braccia, il battere d’ali dell’uccello ed i
movimenti della sua testa mentre colpisce con il becco.
HAPPOREN
“Le otto direzioni concatenate”. Come HAKUFA e HAKUCHO, è un TAO dello
stile cinese BAI HE QUAN, per la precisione legato a quella categoria di tecniche
detta anche YUKAKU, “Gru che Gioca”.
Si fa risalire ad esso il SANCHIN NO KATA, che però se ne discosta
moltissimo, non solo nella gestualità e nel percorso ma soprattutto nell’uso
dell’energia e nella tecnica di respirazione. Movimenti ora ampi ora stretti delle
Molto più vicino a questo TAO sarebbe TENSHO, in particolare nella sua prima braccia e posizioni molto più naturali
stesura e soprattutto se si accetta l’identificazione di HAPPOREN con la forma della SANCHIN DACHI nel KATA
ROKKISHU citata nell’antico libro di arti marziali BUBISHI, nel quale si HAPPOREN, che tanto ha influito
sugli stili SHOREI.
descrivono storia e strategie dello stile della Gru Bianca e che fu sempre
considerato come una specie di “Bibbia” da parte di molti grandi maestri di
Okinawa, tanto da influenzarne spesso l’impostazione tecnica e l’atteggiamento
mentale.
JIIN
Una traduzione letterale del suo nome può dare “pavimento del tempio”. La
radice JI è però anche la contrazione del motto sanscrito “JIHI” (compassione,
benevolenza) per cui si può avere “tempio dell’amore del Buddha”. Incontreremo
questo KANJI con il medesimo significato nei KATA JION e JITE. La tipica guardia del KATA JIIN.
Con ogni probabilità è stato creato dai monaci di un omonimo tempio,
analogamente a JION che richiama in alcuni passaggi.
Ad Okinawa fu forse praticato, almeno in origine, dal TOMARI-TE, e talvolta
chiamato SHOKYO.
JION
“Amore di Buddha e riconoscenza” o “suono del tempio”. Come per JIIN fu
probabilmente trasmesso dai monaci dell’antico e famoso tempio buddista
JION-JI e ripreso, in seguito, dal TOMARI-TE, anche se questo nome è molto
Il finale del KATA JION SHOTOKAN.
comune per i templi nipponici. Secondo un’altra fonte, piuttosto attendibile, fu
trasmesso da un omonimo monaco guerriero e, come gli altri due, avrebbe origine
dallo stile della “Gru Tibetana”.
JITE
“Mani del tempio” o “tecnica della benevolenza”, ma anche “benevolenza
prefissata, decisa”. È conosciuto anche come JITEI, JITTE o JUTE (in
giapponese). In questo caso vuol dire “dieci mani”, contrazione di una frase che
significa che chi padroneggia questo KATA diventerebbe efficace come se avesse
dieci mani o anche che potrebbe battere dieci avversari pur armati di bastoni,
impadronendosene ed utilizzandoli a propria volta, come mostrerebbero alcuni Eleganza e fluidità nel JITE dello
passaggi che celano movenze di BO JUTSU. SHOTOKAN-RYU.
KIHON
“Fondamenta”. Sono KATA di base praticati da alcune scuole SHORIN. Quella
di tipo KOBAYASHI insegna le forme ICHI, NI e SAN ai principianti durante il
loro primo trimestre di pratica, mentre lo ZEN NIPPON SHORINJI RYU pratica
delle versioni equivalenti dette TEN, KUU e CHI.
Racchiudono sequenze rintracciabili nei KATA superiori quali SESAN ed
ANANKO.
KIHON: semplici tecniche di base.
KURURUNFA
“Fermare l’attacco che arriva e spezzare”.
Il nome cinese, KUN LUNG FA, richiama il metodo insegnato nel tempio
buddista del monte KUN LUN: infatti nel KATA compare una guardia detta
YAMA KAMAE, guardia “a montagna”, ed è probabile che il nome del KATA
prenda spunto da essa.
Contiene molte proiezioni e tecniche particolari, tanto da essere uno dei più
impegnativi KATA di SHOREI-RYU, ed appartiene al gruppo di forme del
GOJU-RYU dette JU-NO-KATA, da eseguirsi, cioè, in agilità. La YAMA KAMAE, come tecnica
liberatoria da una presa da tergo, nel
KUSHANKU KATA KURURUNFA.
Nome datogli in ricordo del maestro di KUNG-FU cinese che lo insegnò a
NAHA nel XVIII secolo (KWANG-SHANG-FU, o KOSOKUN in dialetto di
Okinawa). Egli era un addetto militare, esperto dello stile SHAOLIN del Nord
(monastero originale) e praticante taoista, inviato ufficialmente nel 1761
dall’imperatore MING ad Okinawa nella colonia cinese di KAMEMURA,
nell’ottica degli scambi economico-culturali tra il continente e l’isola. Ancora in
Cina, KWANG-SHANG-FU istruì come allievo interno (discepolo dell’ombra)
YARA, un nativo del villaggio di CHATAN di Okinawa. Questi, già esperto
conoscitore delle arti marziali cinesi, poté accedere anche ai significati “nascosti” Il tipico movimento di apertura di
della forma, che trasmise integralmente al suo ritorno in patria, e che fu poi tutte le versioni di KUSHANKU.
tramandata nella sua famiglia. Tramite YOMITAN YARA, nipote di CHATAN
YARA, e SHINKICHI KUNYOSHI, il KATA arrivò al maestro KYAN,
diventando KUNYOSHI NO KUSHANKU. Questa versione, che è dunque la più
antica e vicina all’originale, è tuttora praticata da alcuni stili SHORIN, come il
MATSUBAYASHI-RYU.
Come per molti altri KATA, abbiamo però un altro canale di trasmissione: ad
Okinawa, tra gli altri, KWANG-SHANG-FU avrebbe avuto modo d’insegnare la
sua forma anche a SAKUGAWA, già tanto famoso nell’isola da essere
soprannominato “TO-DE” per la sua abilità nell’Arte di allora. Meno avvezzo
alle teorie sull’energia interna e più orientato ad una lineare interpretazione delle Interpretazioni diverse per uno stesso
tecniche, questi ebbe una visione superficiale del KATA, maggiormente orientata movimento: nel KANKU DAI (a
sinistra) e nel KUNYOSHI NO
ad un lavoro fisico piuttosto che mentale. Non comprendendo appieno le
KUSHANKU (a destra).
numerose sottigliezze presenti dentro alcune tecniche, le sostituì con altre
eseguite costantemente con potenza. In seguito SAKUGAWA trasmise la sua
personale interpretazione ai suoi allievi, tra cui SOKON “BUSHI”
MATSUMURA (da cui la versione MATSUMURA NO KUSHANKU), il quale
a propria volta passò la sua ad ANKO ITOSU (ITOSU NO KUSHANKU).
Da un’elaborazione di quest’ultima fu tratta l’attuale versione SHOTOKAN, che
FUNAKOSHI rinominò poi KANKU, “sguardo al cielo (o al vuoto o
all’universo)” ispirandosi al caratteristico movimento iniziale, e quella insegnata
nel WADO-RYU. A proposito del nome KANKU, bisogna dire che in Giappone Una posizione presente nelle versioni
esiste una sorta di ginnastica energetica, simile al CHI-KUNG cinese, dove si più antiche, in seguito variata dagli
esegue una posizione molto simile al passaggio iniziale di questo KATA e, allievi di ITOSU ma ripresa dal
WADO-RYU.
guarda caso, proprio denominata “KANKU”…
Oltre alle sopracitate, esistono altre versioni, tra cui: SHIHO (presente nello
SHITO-RYU moderno), CHIBANA ed i KOSOKUN di alcune scuole SHORIN.
Il maestro ITOSU creò anche il KUSHANKU SHO, forma breve, nel quale
riversò le proprie idee pedagogiche. Il figlio di FUNAKOSHI trasformò
quest’ultimo in un senso più acrobatico, così come lo praticava il TOMARI-TE,
ispirandosi ad alcuni movimenti introdotti dal maestro CHIBANA nella sua
versione DAI.
Anche al variare delle interpretazioni, KUSHANKU NO KATA è una delle KANKU SHO SHOTOKAN: un salto
che ricorda quello di UNSU.
forme più lunghe e complete tra quelle di stile SHORIN.
MATSUA
Il significato del nome è attualmente ignoto. MATSUA è una forma di base che
nello SHORIN-RYU di tipo KOBAYASHI si insegna nel secondo trimestre di
pratica.
NAIANCHI
“Passi segreti” o “combattere lateralmente”, detto anche NAIFANCHI,
NAIHANCHI o NAIHANCHIN, in cinese DAI-PO-CHIN. In questi casi l’ultimo MATSUA: una classica SHUTO UKE
KANJI è lo stesso CHIN di cui abbiamo già trattato parlando del KATA in NEKO ASHI DACHI.
CHINTE. Il termine originale venne sostituito con quello giapponese di TEKKI,
“cavaliere (o cavallo) di ferro”, dal maestro FUNAKOSHI, che affermò di essersi
ispirato alla posizione di guardia che li caratterizza. In realtà, egli aveva appreso
le tre forme dai maestri ANKO ASATO e ANKO ITOSU e proprio quest’ultimo
era soprannominato “cavallo di ferro” per la potenza che sprigionava eseguendo
questi KATA.
ITOSU aveva derivato le tre forme direttamente dal KOSHIKI NAIFANCHIN
NO KATA, insegnatogli dal suo maestro SOKON MATSUMURA, e, in più, li
aveva ulteriormente variati, seguendo i suoi scopi pedagogici. Alcuni affermano
che invece sia stato MATSUMURA a sviluppare i primi due NAIANCHI mentre
il terzo sarebbe opera del maestro CHOKI MOTOBU, grande esperto di questa Tecniche potenti e precise nel
forma e famoso combattente. Alla luce delle attuali conoscenze questa ipotesi non NAIANCHI SHODAN
avrebbe però nessun fondamento reale.
Questo KATA, di origini antiche, era un tempo praticato anche dagli stili
SHOREI, dei quali richiama molto lo spirito, anche se attualmente i tre
NAIANCHI/TEKKI sono patrimonio dei soli stili di derivazione SHORIN, quali
SHITO, SHOTOKAN, WADO e SHORIN-RYU di Okinawa.
Sulle origini e le particolarità di questo KATA esistono alcune teorie
contrapposte: la meno propugnata lo lega allo stile cinese del “Leopardo” mentre
un’altra più fondata lo fa discendere dalle tecniche derivate da un gruppo di stili
cinesi detto NAMPA, “Battello del Sud”, ed introdotte ad Okinawa dal maestro
cinese ASON. In questo caso la posizione di guardia, che viene mantenuta Movimenti un po’ più fluidi nel
NAIANCHI NIDAN.
durante tutta l’esecuzione, è NAIANCHI DACHI, variazione della più stretta
SANCHIN DACHI, ed i caratteristici spostamenti della forma nascono dalla
ricerca dell’equilibrio sugli scogli e sulle barche della Cina meridionale.
Una terza e valida teoria è invece seguita dalle scuole più legate allo stile
SHORIN che furono molto influenzate dagli stili cinesi del gruppo HOKU-HA,
“Cavallo del Nord”: allora si deve andare ancor più indietro nel tempo, addirittura
ai duelli tra guerrieri abituati a montare a cavallo e costretti a muoversi con
pesanti armature. Da qui deriva l’adozione di KIBA DACHI, posizione del
cavallo, adottata dalle scuole di SHURI-TE, o dell’analoga SHIKO DACHI,
posizione quadrata, caratteristica del TOMARI-TE. Comunque sia, il tema Braccia sempre sincronizzate nel
fondamentale dei tre KATA è, almeno apparentemente, l’applicazione di una NAIANCHI SANDAN.
difesa statica contro più avversari che ci attaccano di fronte e dai lati, rimanendo
strategicamente addossati ad un muro per proteggersi le spalle.
NISEISHI
“Ventiquattro”, nome di origine buddista. In giapponese è detto NIJUSHIHO,
“Ventiquattro passi”, in cinese LEE-ZATTU-ISUIN.
È un KATA contenente tecniche apparentemente classiche ma dotato di un
proprio spirito e di alternanze di ritmo particolari. Per questo, secondo alcuni
maestri, richiamerebbe UNSU: del resto entrambi provengono dal TOMARI-TE
della scuola di ARAGAKI. In particolare i tre tempi iniziali imitano quelli
dell’onda e della risacca: lento, veloce, lento, al fine di caricare, esplodere ed
ancora riassorbire la potenza interiore. È un classico esempio di come
NISEISHI: la tecnica di gomito
l’osservazione di un fenomeno naturale (in questo caso legato al continuo all’inizio del KATA.
rinnovamento dell’energia) venisse poi applicato nelle arti marziali.
PASSAI
Il significato del nome è molto dibattuto e dipende anche dai KANJI con cui lo si
scrive. Perciò può interpretarsi “penetrare nella fortezza (castello, ostacolo)” ma
anche “uscir fuori” da essa o “distruggerla”. Può essere inteso anche come
“guadagnare il territorio dell’avversario”. Secondo alcuni significherebbe: “togli
un sasso dalle fondamenta e tutto crolla” e per altri si potrebbe anche interpretare
come “attaccare separatamente”.
A livello esteriore, i significati più comuni del nome indicano già una precisa
scelta tattica: una difesa “attiva” contro più avversari che ci attorniano dappresso Il movimento iniziale comune a tutte
con contrattacchi diretti e penetranti. A livello interiore invece PASSAI esprime le versioni di PASSAI con pochissime
la ricerca di “spezzare le porte della percezione”, superando i limiti imposti dal variazioni.
pensiero cosciente. Tra l’altro le versioni più antiche contengono non solo
movimenti diretti di difesa o di attacco ma anche, nella parte finale, delle vere e
proprie tecniche di combattimento “notturno”, da eseguirsi lentamente a tentoni
I KANJI più spesso utilizzati per la
nel buio cercando l’avversario.
scrittura di PASSAI:
Detto BASSAI in giapponese, è un KATA antichissimo (la tradizione orale lo fa 1. Estrarre, far uscire, superare +
risalire addirittura al XIV secolo), conosciuto in moltissime versioni riconducibili Castello, ostacolo, ostruzione.
a due ceppi di trasmissione distinti: in origine fu introdotto dalla Cina in tempi 2. Idem + Fortezza.
diversi (c’è chi dice che deriverebbe dallo stile del “Serpente”, mentre AKIO 3. Liberare, fuggire, scoprire +
Castello, ostacolo, ostruzione.
KINJO, esperto e ricercatore di Okinawa, lo collega alle forme del “Leopardo” e
del “Leone”. Egli afferma che il nome stesso significa Leopardo-Leone:
“BAOSHI” in Mandarino, “BAASSAI” nel dialetto di Fuzhou and “PAUSAI” in
quello di Quanzhou) e seguì così due vie che, da maestro a maestro, si sono molto
differenziate.
Le tracce di questo fatto si possono far risalire alla fine del XVIII secolo o
all’inizio del XIX quando la forma cinese apparve a Tomari, insegnata da esperti
di stili del sud (CHATAN YARA e SHIONJA/CHINJO CHOKEN). Da qui passò
a PEICHIN OYADOMARI e ad altri maestri del TOMARI-TE: nacque così
OYADOMARI NO PASSAI, tuttora praticato da alcuni stili SHORIN di Nel finale del TOMARI PASSAI
Okinawa assieme a TOMARI NO PASSAI, equiparabile ad esso, e ISHIMINE appaiono le tecniche “notturne”.
NO PASSAI, che ne è una variazione. Contemporaneamente, anche se in questo
caso non se ne conosce la precisa provenienza, il KATA venne adottato anche dal
maestro MATSUMURA, l’antesignano dello SHURI-TE. Egli ne sviluppò la
variante più praticata (MATSUMURA NO PASSAI), ripresa poi dal maestro
ANKO ITOSU nella sua versione (ITOSU NO PASSAI) dalla quale presero
origine quelle attualmente praticate dagli stili giapponesi e da molte scuole di
Okinawa, come i CHIBANA e TAWADA NO PASSAI ed il BASSAI DAI dello
SHOTOKAN.
È interessante notare come il PASSAI di MATSUMURA contenga alcune Figura presente nei vari PASSAI, qui
tecniche molto simili a quelle dello stile cinese del Nord XINGYI QUAN. Come dal KATA dello SHITO-RYU.
per altri KATA, ITOSU creò due versioni distinte: DAI, più lunga, e SHO, più
breve e con le mani aperte, che si rifà, in qualche modo, alle forme antiche.
Ritornando al significato del nome PASSAI, il maestro CHEN, esperto di
KUNG-FU della provincia cinese del Fukien, afferma che il primo ideogramma
rappresenta un concertato attacco militare portato improvvisamente con molti
soldati, mentre il secondo sta a significare cancello o passaggio, cioè un’apertura
od una breccia verso qualcosa che sta al di là. Inoltre la loro unione forma un
termine militare di uso comune: quando un esercito arriva vicino alla sua meta
(fortezza, accampamento, città od altro) ma è fronteggiato da quello avversario
che si inframmette, deve “sfondare”, “aprirsi un varco” per riuscire a prendere Un passaggio particolare del
l’obiettivo militare. PASSAI è allora quell’azione tattica, posta all’interno di una MATSUMURA NO PASSAI.
manovra strategica di più ampio respiro, compiuta allo scopo di penetrare una
linea difensiva nemica.
PIN-AN
Sono cinque KATA nati dall’esperienza del Maestro ANKO ITOSU, padre degli
stili SHORIN moderni e, più in generale, della visione odierna del KARATE.
Egli li derivò, all’inizio del XX secolo, da un KATA più antico, il CHIANG
NAN, insegnatogli da un cinese che viveva ad Okinawa; il nome PIN-AN
sarebbe nato per semplificare la pronuncia originale, ostica agli okinawensi. Il tipico inizio del BASSAI SHO.
ITOSU li completò con alcune tecniche prese da diversi KATA superiori, come
KUSHANKU e JION, il tutto con lo scopo di farne delle forme più accessibili ai
principianti. Alcuni esperti affermano invece che egli li creò ex-novo, ispirandosi
esclusivamente a questi KATA, mentre altri ancora sostengono che i primi due
della serie sarebbero in realtà opera del suo maestro SOKON MATSUMURA,
sempre come derivazione del citato CHIANG NAN.
In effetti, il maestro CHOSIN CHIBANA, allievo fedelissimo di ANKO ITOSU,
insegnò nel suo KOBAYASHI-RYU solo il quinto PIN-AN, mentre il maestro
HOHAN SOKEN, erede dello stile di famiglia di MATSUMURA, trasmise solo i
primi due, affermando che questi erano stati appunto creati dal suo avo, il quale La guardia iniziale del PIN-AN
avrebbe anche posto le basi del terzo e del quarto KATA. In più, nello stile di SHODAN versione WADO-RYU: un
famiglia dei MOTOBU, il figlio di CHOKI MOTOBU, CHOSEI, insegna un occhio alla tradizione ed uno
SHIRAGUMA NO KATA che chiama abitualmente CHANNAN. Lo stesso all’evoluzione tecnica.
CHOKI raccontava che, una volta, ITOSU gli mostrò un KATA molto simile al
CHANNAN che lui conosceva, spiegandogli che, in effetti, questa ne era una sua
personale elaborazione e che lo aveva chiamato PIN-AN seguendo il parere dei
suoi giovani allievi, al quale piaceva di più questo nome!
In seguito, il nome PIN-AN è stato nipponizzato per lo SHOTOKAN in HEIAN
(cioè “pace celeste”), con riferimento ad un omonimo periodo storico del
Giappone, paragonabile al nostro Rinascimento.
Pur essendo brevi ed adatti all’apprendimento di base, i PIN-AN contengono un
senso profondo ed anche alcuni passaggi di una certa difficoltà tecnica. Una tecnica dell’HEIAN GODAN.
Molte delle differenze attualmente riscontrabili tra i PIN-AN delle varie scuole
sono dovute al fatto che ITOSU, dopo averli ufficialmente introdotti nella
primavera del 1904, li variò spesso nei primi cinque anni della loro esistenza: di
conseguenza alcuni dei suoi allievi ne impararono una versione diversa da quella
di altri. Lo stesso GICHIN FUNAKOSHI non li apprese direttamente da lui ma
bensì da KENWA MABUNI e solo nel 1919. Un allievo di ITOSU, HISATERU
MIYAGI, raccontava che il maestro insegnava con passione solo i primi tre
KATA, trascurando gli ultimi due. Tra le variazioni subentrate già nei primi anni
troviamo, ad esempio, alcuni passaggi che inizialmente venivano eseguiti con le L’antica KOKUTSU DACHI (RYU
mani aperte: poiché questo poteva risultare difficile ed anche pericoloso per gli DACHI) caratterizza il finale delle
allievi più giovani, ITOSU (o chi per lui) preferì adottare il pugno chiuso. versioni di PIN-AN GODAN più
Con le stesse motivazioni furono poi unificate le diverse tecniche di ZUKI nel legate all’originale.
solo pugno avvitato. Oggi alcuni studiosi affermano che persino l’introduzione in
alcuni stili della moderna KOKUTSU DACHI, in sostituzione di quella più antica
e della NEKO ASHI DACHI, sarebbe dovuta a queste stesse ragioni.
RO-HAI
“Visione di un airone bianco”, di provenienza TOMARI-TE, è conosciuto anche
come LOREI. Nello SHURI-TE, come per NAIFANCHIN, ne furono create tre
versioni, differenti dall’originale, da MATSUMURA o da ITOSU, tutte ancora
praticate dalla scuola okinawense di SHORIN-RYU ortodosso che si richiama
proprio a MATSUMURA e dallo SHITO-RYU. Per il suo stile SHOTOKAN,
FUNAKOSHI lo rinominò MEIKYO (“pulire lo specchio” o “specchio
luminoso”, nome ispirato alla mitologia nipponica della dea Amaterasu). Il nome
evoca lo stato di “spirito puro” perseguito nel corso del KATA. La scuola
A sinistra il SANKAKU TOBI del
PYONG HWA DO, che si rifà in parte al TOMARI-TE ed è molto legata alle
MEIKYO. A destra una posizione
origini cinesi, afferma che RO-HAI è una versione semplificata della forma “dell’airone” presente in molte
KUAN MUAN, “sogni della gru”, che essa ancora tramanda, portata a Tomari versioni di RO-HAI.
dal monaco cinese AHN (o ANAN), un eremita che viveva in una grotta. Da
questa forma è stato eliminato l’influsso continentale ed alcune delle sottigliezze
che conteneva, legate allo stile della gru, al DIM MAK e alla respirazione di tipo
taoista e buddista. Altre fonti legano ROHAI ad un altro maestro cinese,
KANRYU UKU, che insegnò a Tomari lo stile della “Gru che Grida” a
MATSUMORA e OYADOMARI.
SAIFA
Detto anche SAIFUA. Il suo nome cinese (ZUO FA) rimanda ad un metodo per
“vincere, attraverso tecniche di presa, un avversario che attacca”. Letteralmente
significa “rompere separatamente e distruggere”. Fu introdotto dal maestro
MIYAGI ed è il primo, come pure il più breve, dei KATA superiori del
GOJU-RYU. SAIFA insegna a concentrare la
Ha movimenti di mano e di gamba simili a quelli della Gru Bianca, tratta di massima potenza delle tecniche
parate ed attacchi con un sol braccio e richiede equilibrio e destrezza. nell’istante preciso dell’impatto.
SANCHIN
In cinese significherebbe “le tre battaglie” (cioè quelle necessarie al controllo di
corpo, mente e spirito), anche se alcuni lo traducono con “tre passi” riferendosi al
suo caratteristico tracciato.
Sono esistite tantissime forme con questo nome, a volte molto diverse tra loro ma
tutte legate allo stile NAHA-TE del quale, si dice, contenga l’essenza stessa
(unica eccezione una versione che venne, almeno per qualche tempo, praticata
nello SHURI-TE, eseguita con ampi movimenti circolari a mano aperta, pugni
diritti ma non avvitati e con una respirazione naturale).
Come per SESAN, SANSEIRU, PASSAI e KUSHANKU, SANCHIN fu Concentrazione e potenza sono al
introdotto e tramandato ad Okinawa da più maestri separatamente: KANEI centro del SANCHIN NO KATA del
GOJU-RYU, rielaborato dal maestro
UECHI, KANRYO HIGAONNA e NORISATO NAKAIMA. MIYAGI, e sono espresse attraverso
Il primo, fondatore della scuola omonima, lo apprese da SHU SHI WA, esperto tecniche e posizioni.
cinese dello stile PANGAI-NOON (che significa “duro-morbido”) durante un
lungo soggiorno nel sud della Cina.
Più incerta la provenienza della versione praticata da HIGAONNA: attualmente
un’ipotesi, che si può considerare storicamente attendibile, afferma che la forma
originaria del KATA (SAMCHIEN in cinese) fu appresa dal maestro, padre del
NAHA-TE, direttamente da un esperto della colonia cinese di Kumemura ad
Okinawa, tal CHEUNG SIU SHU, allievo del maestro FANG JINIANG. In ogni
caso, il primo maestro di HIGAONNA, ARAGAKI, era di Kumemura ma non
cinese e praticava già il SANCHIN… Qualsiasi provenienza avesse, la forma
prevedeva l’uso delle mani aperte, con respirazione e movimenti fluidi e morbidi, Mani aperte e numerose differenze
così come si esegue ancora oggi nello UECHI-RYU ed in alcune scuole di rispetto a quello del GOJU-RYU nel
Okinawa. Fu, in seguito, il maestro MIYAGI ad utilizzare le mani serrate a pugno SANCHIN dello UECHI-RYU.
ed a introdurre la contrazione muscolare e la caratteristica respirazione dura e
sonora (IBUKI), variando anche leggermente il percorso.
NAKAIMA, fondatore del metodo di famiglia oggi conosciuto come
RYUEI-RYU, apprese la sua versione in Cina dal maestro RU RU KO.
Il KATA SANCHIN racchiude il concetto di GO dello SHOREI: insegna la
posizione, gli spostamenti, il pugno, la respirazione lunga e la contrazione
muscolare. Per verificare e stimolare quest’ultima, in molte scuole si usa persino
percuotere il praticante mentre lo sta esercitando. Sull’origine più antica di
SANCHIN vi è una grande incertezza, anche se, in genere, si dà per scontata la
sua derivazione da HAPPOREN, una forma cinese tuttora tramandata da alcune
scuole di GOJU-RYU classico. In particolare, si fa una gran confusione sullo stile
cinese di provenienza di questo TAO: alcune fonti l’attribuiscono allo stile “dei
diciotto Buddha”, dal quale sarebbero stati tratti pure i KATA SEISAN e
SUPARIMPEI, mentre altre lo legano alla “Mantide Religiosa” del sud o alla
scuola della “Gru Bianca”. Al di là di tutte queste teorie, la realtà è che non si
possono trovare delle somiglianze tecniche tra HAPPOREN e SANCHIN che
vadano oltre ai primissimi movimenti iniziali ed a qualche altro; inoltre non si
trovano tracce di quest’ultimo nella Cina odierna, ad eccezione di una esercizio di
CHI-KUNG (allenamento al KI) dello stile WING-CHUN detto SIU NIM TAO,
“sequenza della piccola idea”.
SANSEIRU
Questo KATA ha un nome cinese che, come quelli di molti altri tramandati dagli Un passaggio dello UECHI NO
stili SHOREI, rappresenta un numero multiplo di tre, il numero fondamentale SANCHIN (a sinistra) ed uno di
HAPPOREN: poche somiglianze tra i
dell’universo secondo il taoismo. In questo caso è il trentasei, che in cinese si
due. Semmai gli ultimi tre movimenti
pronuncia SAN SHI LIU. Simbolicamente, il 36 è ricavato dalla formula “6x6". Il del secondo possono, forse, ricordare
primo 6 rappresenta occhio, orecchio, naso, lingua, corpo e spirito, il secondo TENSHO...
simboleggia colore, voce, gusto, odorato, tatto e giustizia. Tratta di parate e
attacchi con entrambe le braccia. Richiede una buona dose di equilibrio ed è
considerato uno dei più completi di GOJU-RYU, RYUEI-RYU e UECHI-RYU,
dove è detto SANSERYU.
SEIENCHIN
I suoi KANJI significano “attaccare-lontano-sopprimere”, ma spesso questo
KATA viene chiamato SEIUNCHIN e scritto con altri ideogrammi:
= “Controllare-tirare-combattere”. SANSEIRU: INU NO KAMAE.
= “Combattimento del falco blu” (CHAI IN CHIN in cinese).
= = “Seguire il movimento dell’energia” (in cinese SUI YUN JING,
dove SUI significa “seguire liberamente (il cambiamento della situazione di
combattimento)”, YUN movimento e JING forza o energia.
Praticato da stili sia SHOREI (RYUEI-RYU, GOJU-RYU) sia SHORIN
(ISSHIN-RYU, RYUKYU-KENPO), è caratterizzato dalla successione di
importanti KAMAE, nella ricerca di un equilibrio statico, piuttosto che dinamico,
per dare maggior efficacia alle tecniche di mano. SEIENCHIN è uno dei KATA
più complessi in assoluto e rappresenta benissimo la parte JU dello spirito
SHOREI. È conosciuto anche con il nome di SAIPA e con il significato di SEIENCHIN: TORA NO KAMAE.
“tregua nella tempesta”.
SEIPAI
Anche SEPAI. KATA SHOREI del tipo JU-NO-KATA (KATA agili) come
SEIENCHIN, SHISOCHIN e KURURUNFA. Il nome è cinese (ZATTU-PEI) e
significa letteralmente “diciotto”, così come pure il termine SHIBA. Si pensa,
perciò, che il KATA derivi dalla SHI BA SHOU, tecnica di base del SHIBA
LUOHAN QUAN, una delle correnti dello SHAOLIN QUAN del sud. Come per
SANSEIRU, anche qui il numero 18 deriva da una formula: 6x3. Qui il tre
SEIPAI: il doppio NAKADAKA
rappresenta buono, cattivo e pace. Forma SHOREI tra le più difficili, ne
IPPON-KEN GEDAN ZUKI.
rappresenta lo spirito: un insieme di tecniche morbide (JU) e dure (GO).
SESAN
Conosciuto anche come SEISHAN o SEISAN, è, forse, il KATA da più tempo
praticato ad Okinawa. Il suo nome nipponico è HANGETSU, “mezzaluna”, dai
movimenti e dalla guardia tenuta.
Come è avvenuto per il NAIANCHI, SESAN è un KATA adottato da entrambe le
scuole di Okinawa, SHOREI e SHORIN.
La forma del NAHA-TE è basata su prototipi cinesi del XIX secolo reimportata,
da maestri quali NAKAIMA, HIGAONNA e UECHI, rispetto a quella SHORIN,
La YAMA KAMAE nel KATA
che può essere fatta risalire a MATSU HIGA, vissuto a cavallo del 1700, che HANGETSU SHOTOKAN.
l’apprese dal cinese KOGUSHIKU.
Esiste anche una versione, praticata nel CHITO-RYU, che discende direttamente
da SEISHO ARAGAKI, con forti richiami al SESAN del NAHA-TE. È in effetti
difficile, a tutt’oggi, distinguere quali furono le provenienze dei KATA che
hanno caratterizzato la scuola di HIGAONNA e, di riflesso, il GOJU-RYU.
Il SESAN SHORIN ha invece origini molto più antiche (XVII secolo) ed è diviso
in due parti distinte: la prima lenta e potente, la seconda rapida ed agile.
Il nome originale ha il significato letterale di “tredici”, probabilmente derivato
dall’espressione SHI SAN SHI, “le tredici energie”, tratta dal Libro dei
Mutamenti, uno dei grandi testi classici cinesi, base del confucianesimo e del Passaggio del SESAN NO KATA
nella versione GOJU-RYU.
taoismo.
Nell’intepretazione del GOJU-RYU è un KATA per la forza e la precisione.
La SHORINJI-RYU di Okinawa lo adotta come forma di base, eseguendo la
parte iniziale in forte tensione dinamica, con movimenti lenti e vigorosi, proprio
come si fa nel GOJU-RYU.
Esiste anche in altre versioni, tra cui una, molto antica, detta MATSUMURA NO
SESAN.
La forma GOJU-RYU attuale è la sintesi di due diverse fonti alle quali attinse il
maestro HIGAONNA: egli infatti apprese SESAN sia dall’esperto di TO-DE
JUHAKIRA KANKEN sia dal maestro cinese RYU RYUHO (WOO LU CHIN).
La versione di SESAN raccolta dal maestro KANBU UECHI, analogamente a Tecnica del SESAN UECHI-RYU.
SANCHIN e SANSEIRU, è tuttora tramandata fedelmente dallo stile da lui
fondato. Questa forma ha conservato molte tracce della sua origine cinese, in
particolare dell’arte di utilizzare tutte le possibilità della mano aperta in attacco
ed in difesa, mentre negli altri stili è più spesso utilizzato il pugno chiuso.
SHINPA
“Nuova opportunità oppure rottura o anche goccia, lacrima”.
Questo KATA, di tipo SHOREI, fa parte dell’immenso repertorio dello
SHITO-RYU.
La sua creazione viene attribuita da taluni al fondatore stesso di questo stile, il
maestro KENWA MABUNI, ispirato da una visita al DOJO del maestro UECHI. SHINPA: KOKEN UKE eseguita in
Altri affermano la sua origine diretta dalla Cina o comunque l’appartenenza alla NEKO ASHI DACHI.
linea del NAHA-TE del maestro HIGAONNA.
SHISOCHIN
Appartiene ai quei KATA di NAHA-TE di tipo JU, da eseguirsi in agilità ed
insegna a padroneggiare colpi sui punti vitali, leve articolari, proiezioni, prese ed
immobilizzazioni, cioè le cosiddette “cinque tecniche a mani nude”
(TAIJUTSU-GOJI).
Il nome cinese è SHI ZHEN JING, dove ZHEN vuol dire strangolamento o
pressione e JING forza, proprio a significare il contenuto del KATA.
Il suo nome si può anche tradurre come “combattere quattro monaci” oppure
“combattere verso quattro direzioni”, riferendosi ad una sua tipica serie di SHISOCHIN contiene degli ampi
tecniche eseguite in quattro direzioni differenti. movimenti rotatori che partono dalle
anche.
Nel nome contiene il KANJI “CHIN” già descritto in CHINTE.
SOCHIN
Il KANJI “SO” può tradursi come robusto, virile, vigoroso, grande oppure come
pace antica; “CHIN” è ancora lo stesso visto in CHINTE oppure può significare
reprimere, sopprimere o anche pacificare, calmare.
Si incontrano spesso delle traduzioni come: “grande silenzio (forza e calma)” e
“grande premio”. Appartiene all’area del TOMARI-TE, scuola di ARAGAKI,
come NIJUSHIHO e UNSU.
In Giappone si ritrova solo negli stili SHITO-RYU e SHOTOKAN (per qualche
tempo con il nome di HAKKO), nel quale fu incorporato da YOSHITAKA Si incontrano interpretazioni molto
FUNAKOSHI, figlio di GICHIN. Questa versione è caratterizzata dalla posizione diverse confrontando la versione
FUDO DACHI (posizione “consolidata” o “immutabile”) assunta per quasi tutta SHOTOKAN con quella più antica
la durata del KATA, tanto da essere spesso chiamata SOCHIN DACHI. La forma attribuita ad ARAGAKI (a destra) del
KATA SOCHIN.
originale (ARAGAKI HAN), ancora praticata dal KOBAYASHI SHORIN-RYU
e dallo SHITO-RYU, è molto diversa, con l’inizio che riecheggia quello di
SANCHIN e le posizioni di guardia più alte e naturali.
SUPARINPEI
Come SEISAN, è un KATA per padroneggiare la forza e la precisione. Contiene
un enorme numero di tecniche, tanto da essere considerato come una sintesi
tecnica del NAHA-TE: comincia con SANCHIN e prosegue con MAWASHI
UKE, GERI, TOBI GERI e molte forme diverse di ZUKI e UKE. Proprio per la
sua complessità lo stile GOJU-RYU lo situa al termine dell’apprendistato. Si dice
che HIGAONNA lo abbia preso dallo stile cinese HUNG, dove era chiamato
YEPATLINPA (oppure YI BAI LING BA), ma, di certo, il KATA era già
Nella parte di SUPARINPEI da
praticato dal suo primo maestro, ARAGAKI. Il nome, pronunciato anche eseguirsi più in agilità è presente
IBAIRINPA, significa “108” e alluderebbe all’origine buddista del KATA (108 anche un MAE TOBI GERI.
sono le passioni, radici di sventura, che ogni uomo deve sforzarsi di dominare nel
corso della vita) ma anche al numero di tecniche che contiene.
Sull’origine del nome “108” esiste anche una bella leggenda riportata dal maestro
cinese CHEN: intorno al XVII secolo una banda di eroi-guerrieri attraversava la
Cina riparando i torti e togliendo ai ricchi per dare ai poveri (proprio come Robin
Hood ed i suoi compagni). Essi erano 108 e venivano chiamati “Le 108 Mani”.
Alla fine furono però sconfitti e dispersi. Almeno uno di loro sarebbe poi giunto
ad Okinawa, dove avrebbe insegnato la sua arte marziale. Il KATA sarebbe stato
perciò intitolato “108” in onore di quegli uomini che combattevano l’ingiustizia.
Questa forma è anche detta HIAKUACHI e più spesso PECHYURIN o Le posizioni “a clessidra” presenti nel
BETCHURIN dal cinese BAI BU LIAN che significa “collegare cento passi” SUPARINPEI NO KATA non si
intendendo “passo” come “tecnica” e “cento” come “gran numero”: questo devono eseguire con la tensione
esasperata che invece esigono le
sarebbe perciò un KATA nel quale “un gran numero di tecniche sono collegate
forme SANCHIN e TENSHO.
tra loro”.
TENSHO
“Girare la mano”, “palmi rotolanti” o “cambio di presa” ma anche “mani
eleganti”. È il riarrangiamento, da parte del maestro MIYAGI, della forma
ROKKISHU dello stile cinese della Gru Bianca del tempio di SHAOLIN:
FUKIEN-SHORIN HAKKA-KUMON. Altre fonti affermano, invece, che questo
TAO fosse dello stile TANG LANG, della Mantide Religiosa del sud. Richiama
comunque moltissimo, nella gestualità e nello spirito, il KATA HAPPOREN,
confermando, di riflesso, l’identità tra questo e ROKKISHU, le “sei mani di
TENSHO: la parte finale della
SHAOLIN” mostrate nel BUBISHI. Legato al principio JU degli stili SHOREI, MAWASHI UKE che fa da
TENSHO è considerato complementare al SANCHIN, che invece ne rappresenta preparazione ad un attacco con
l’idea GO. entrambi i palmi. Questa è una
Fa parte dei KATA di base del GOJU-RYU ed insegna l’utilizzo delle mani, la combinazione presente in diversi
KATA sia SHOREI sia SHORIN.
respirazione corta e l’estensione.
UNSU
“Le mani come le nuvole (del temporale)”, in cinese UNCHU. Di incerta origine,
veniva praticato nel TOMARI-TE, ma era uno dei KATA più rappresentativi di
ARAGAKI. Oggigiorno ad Okinawa viene tramandato solo da alcune scuole
appartenenti a quello stile di tipo SHORIN che più è stato influenzato dal
Maestro ANKO ITOSU: il KOBAYASHI. Gli stili moderni che lo adottano sono
lo SHITO-RYU e, in una versione più spettacolare, lo SHOTOKAN, che lo Il caratteristico MAWASHI GERI dal
utilizzano come KATA di punta nelle competizioni: è infatti uno dei più difficili suolo dell’UNSU NO KATA nella
versione SHOTOKAN-RYU. Lo
da eseguirsi in assoluto, per il ritmo particolare, la difficoltà di molte tecniche e SHITO-RYU, più legato alla forma
per l’equilibrio che richiede. Inoltre si distingue dagli altri KATA SHORIN per le originale, esegue in questo modo
continue inversioni di direzione. USHIRO GERI.
USEISHI
“Cinquantaquattro” (in giapponese GOJUSHIHO, cioè 54 passi). Il nome è,
forse, di origine buddista, ma il KATA è citato nell’antico BUBISHI, come “i 54
passi della Tigre Nera”, il che ne fa uno dei più antichi KATA di SHORIN-RYU
ancora praticati.
Nello SHOTOKAN esiste nelle forme SHO e DAI, molto simili tra loro e, in
realtà, derivati dalla versione SHITO-RYU. FUNAKOSHI ne cambiò il nome in
HOTAKU (“picchio verde”, in riferimento alle particolari tecniche di picca della
mano che contiene, le quali richiamerebbero i colpi di becco di quell’uccello
contro i tronchi d’albero), ma questo appellativo non attecchì. USEISHI: a sinistra uno degli attacchi
di IPPON NUKITE che ricordano il
Alcuni maestri vedono in alcuni movimenti di questo KATA il comportamento
picchio. A destra, tratto da una
incerto ed imprevedibile di un uomo ebbro, legandone così l’origine allo stile versione antica, il “passo dell’ubriaco”.
cinese “dell’Ubriaco” (TSUI PA HSIEN).
A differenza della maggioranza degli altri KATA SHORIN, le versioni delle
diverse scuole non si discostano molto dal tracciato originale.
WANDUAN
Questo oscuro e poco conosciuto KATA di origini cinesi era praticato nell’area di
Tomari e racchiude in se’ le caratteristiche di TOMARI-TE, SHURI-TE e
NAHA-TE, comprovando le strette relazioni che sono sempre intercorse tra
questi antichi metodi di TO-DE. Contiene complesse tecniche di braccia e gambe
adatte alla breve distanza, con l’uso di ginocchio e prese. Il suo nome è dedicato
ad un grande re guerriero delle isole Ryukyu. La forma cinese originale, KUANG
Un HIZA GERI in WANDUAN che
ZAUNG TSOU, “mani di guerra dell’imperatore”, è antica di circa 300 anni e
riecheggia una tecnica originale del
trasmette la tecnica della Mantide Religiosa, legata alle teorie sui punti di MATSUMURA NO PASSAI.
pressione, sulla respirazione e sull’energia interna CHI KUNG (KIKO in
okinawense).
Ad Okinawa sarebbe stato portato da IWAH, maestro cinese discendente della
linea di WANG-JI/WANSHU, che visitò l’isola nel XIX secolo ed insegnò a
TOMARI.
WANKAN
“Corona di re”. È un KATA del TOMARI-TE, breve ma difficile per l’estrema
fluidità che richiede.
Il nome è okinawense e tramanderebbe il maestro che lo insegnò, anche se è di
origini cinesi: in particolare la versione più antica si rifà alle agili tecniche a
mano aperta e agli spostamenti evasivi tipici dello stile della Tigre dello
A sinistra un passaggio del KATA
SHAOLIN del sud. WANKAN versione SHOTOKAN.
È anche conosciuto come OKAN, SHIFU o HITO, mentre il suo nome A destra la preparazione all’attacco
giapponese è MATSUKASE, “vento tra i pini”, ancora adottata dallo della tigre nella forma antica dello
SHOTOKAN FMK, legato allo stile originale di GICHIN FUNAKOSHI, e da SHORINJI-RYU.
alcune scuole di SHITO-RYU.
WANSHU
Conosciuto anche come WANCHU o WANSU, il suo nome cinese originale è
HWANG YING YANG PAO (o KUAN YIN YANG PAO), traducibile come
“Gru Bianca, Tigre Nera”.
Ad Okinawa fu chiamato così dal nome dell’addetto militare cinese WANG JI (o
XIU). Questi trasmise le sue conoscenze marziali (derivate dalla Boxe della Gru
Bianca del tempio di SHAOLIN) ad un ristretto ma valido gruppo di discepoli del
villaggio di Tomari, intorno al 1683. Fino al 1870 questo KATA fu infatti
praticato dal solo TOMARI-TE. Una tecnica presente in tutte le
La data precisa dell’introduzione della forma ad Okinawa ci viene da fonti versioni di WANSHU.
storiche: WANG JI (detto nel dialetto isolano SAPPUSHI WANSHU) era il
responsabile dell’amministrazione delle isole RYU-KYU e proprio in quell’anno
vi si recò, alla testa di una delegazione composta da ben 500 importanti
funzionari civili e militari, per intervenire all’investitura ufficiale del nuovo re,
vassallo dell’imperatore cinese, giungendo a bordo del “battello della corona”
(UKANSHIN), così come voleva la tradizione. Esiste un’altra versione della
storia, non necessariamente in contrasto con la precedente, che attribuisce a
questo KATA Taiwan come patria d’origine.
Il suo nome nipponico è ENPI, “rondine in volo”, ispirato al maestro
FUNAKOSHI dalla leggerezza e dalla rapidità necessarie per la sua corretta
La particolare posizione di partenza
esecuzione. del pugno nella forma più antica di
WANSHU, ancora praticata nello
IN APPENDICE ALL’ELENCO. SHORIN-RYU di Okinawa di tipo
Si può notare come, tra i tanti appena citati, vi siano solo pochi KATA originari MATSUBAYASHI.
d’Okinawa, creati dai più famosi maestri dell’isola e rivolti, soprattutto,
all’insegnamento di base. Tutte le altre forme sono invece d’origine cinese e
trasmettono l’eredità tecnica più antica.
In realtà, di KATA nati sull’isola ne esistono molti altri. Nello SHITO-RYU se
ne insegnano alcuni creati da KENWA MABUNI: AOYAGI, JUROKU,
MYOJO, MATSUKASE. Per arricchire il proprio repertorio tecnico, basato
inizialmente su soli tre KATA, il maestro UECHI, suo figlio ed alcuni allievi
elaborarono KANSHIWA, SERYU, KANCHIN, KANSHU, SECHIN. Le
scuole SHORIN-RYU di tipo KOBAYASHI e MATSUBAYASHI praticano
cinque FUKYO, dei quali il secondo altro non è che il GEKISAI ICHI di
MIYAGI. TATSUO SHIMABUKU (ISSHIN-RYU) creò il KATA SUNSU.
Esistono poi altre forme originali, ancora di origine cinese, praticate da stili poco
conosciuti fuori da Okinawa, ma tecnicamente molto interessanti, come
RYUEI-RYU e KOJO-RYU.
Il primo ha le stesse origini del NAHA-TE di HIGAONNA e, di conseguenza, del
GOJU-RYU, con i quali ha in comune SANCHIN, SESAN, SANSEIRU e
SEIENCHIN, inoltre pratica il NISEISHI dello SHORIN-RYU ed altre forme
originali cinesi come ANAN, OHAN, PACHU, PAIKU, HEIKU e PAIHO.
Quest’ultimo KATA proviene dall’insegnamento del maestro di Gru Bianca
GOKENKI, che insegnò ad Okinawa altre forme cinesi, passate poi in diverse
scuole, tra cui lo SHITO-RYU, che ancora trasmette HAKUCHO e HAKUFA,
oltre a NIPAIPO, derivato dal NEPAI di GOKENKI.
Il KOJO-RYU vanta, invece, una secolare tradizione marziale di famiglia,
trasmessa, di generazione in generazione, attraverso sei KATA a mani nude:
TEN (paradiso), KU (cielo), CHI (terra), HAKURYU (drago bianco), HAKO
(tigre bianca) e HAKUTSURU (gru bianca), praticato nelle versioni SHINPO MATAYOSHI, figlio ed
SHORINJI-SHO, SHORINJI-KEN ed OSHO. erede tecnico del grande esperto di
Ed è proprio HAKUTSURU che si ritrova, in molteplici versioni, in quasi tutti gli KOBUDO SHINKO, mentre esegue
stili, dei quali rappresenta la parte “segreta” dell’insegnamento. Tra le varie un passaggio della sua versione del
interpretazioni spicca quella di MATSUMURA, tramandata sino ad oggi per vie KATA HAKUTSURU.
interne e di famiglia.
KATA COREANI (PUMSE del TAE-KWON-DO).
Al termine di questo capitolo abbiamo aggiunto anche le forme (PUMSE)
ufficiali del TAE-KWON-DO, la lotta coreana da sempre vicinissima al
KARATE, tanto da poterne essere considerata uno stile. Infatti, il generale
dell’esercito coreano CHOI HUNG HI, che lo codificò nel 1955, affermò che “il
TAE-KWON-DO è una sintesi di TAEKYON, un’antica forma di lotta disarmata
coreana che principalmente impiegava i calci, e KARATE, un’arte marziale
giapponese che soprattutto contava su tecniche di mano”. Il padre del
TAE-KWON-DO, studiò il KARATE SHOTOKAN a Kyoto, mentre si trovava
in Giappone come studente universitario.
I PUMSE sono di creazione moderna, con percorsi che richiamano quelli dei
PIN-AN e marcate simmetrie. Sono, in ordine di insegnamento: gli otto Il generale CHOI HUNG HI fu il
vero creatore del TAE KWON DO,
TAEGUK, KORYO, KUNGANG, TAEBEK e PYONGWON.
anche se le tradizioni marziali della
Vengono praticate anche altre ventiquattro forme, molto più antiche, dette Corea sono antichissime. Egli, che
HYONG, tra cui la più nota è HWA-RANG, l’ottava di esse. aveva studiato KARATE intorno al
Per la precisione, agli inizi del TAO-KWON-DO si praticavano le stesse forme 1937, fondò dapprima la scuola OH
DO KWAN, da cui nacque l’attuale
dello SHOTOKAN-RYU, dal quale, del resto, lo stile coreano era derivato. Nella arte marziale coreana, diffusa ormai
tabella seguente mostriamo i nomi che furono adottati in Corea, rapportati a in tutto il mondo e già arrivata alle
quelli okinawensi e giapponesi. Olimpiadi.
Un passaggio del TAEGUK PAL CHIANG, l’ottavo PUMSE della serie TAEGUK, che viene
insegnato prima delle forme superiori. È evidente la somiglianza del TAE-KWON-DO con il
KARATE di stile SHOTOKAN.
KATA: COMPARAZIONE TRA STILI.
Scorrendo l’elenco delle forme più praticate ed osservando alcune delle figure
esplicative, si nota subito quante versioni di esse siano proliferate partendo
dall’originale, soprattutto negli stili SHORIN.
A questo punto riteniamo interessante approfondire quest’aspetto, mostrando
alcune delle diverse interpretazioni che i varî stili danno di analoghe serie di
tecniche tratte da alcuni KATA.
Spesso queste sequenze si differenziano solo nell’apparenza, altre volte, invece,
proprio nel contenuto, cioè nell’applicazione reale (BUNKAI). In ogni caso, per
comprendere il significato di un passaggio di un KATA, si dovrebbe sempre tener
conto anche delle versioni dissimili da quella studiata, in particolare se queste
rispecchiano le forme originali, vale a dire i KOSHIKI NO KATA, dalle quali si
può imparare moltissimo senza per questo rinnegare il proprio stile.
CHINTO
Iniziamo da questa forma molto interessante in tutte le sue versioni. Il concetto
legato alle tecniche sui punti di pressione si è un pò perso nelle versioni più
moderne, ma il KATA originale è ancora praticato con fedeltà da diverse scuole
d’Okinawa.
Il GANKAKU SHOTOKAN ed il CHINTO della WADO-RYU, molto simili tra
loro, si staccano, infatti, dalla forma antica non solo per alcune modifiche del
percorso (che si svolgeva tutto a 45 gradi rispetto alla posizione di partenza, caso
unico nei KATA conosciuti) ma soprattutto per una differente interpretazione Fig. 1
tecnica.
Questo si nota in particolare nella fase iniziale: una successione di tecniche,
composta di una parata e di un colpo d’attacco contro alcuni punti di pressione
sull’avambraccio dell’attaccante (qui tratte dall’ITOSU NO CHINTO, fig. 1), è
stata trasformata in una singola parata rinforzata (GANKAKU, fig. 2). Anche se
entrambe le versioni portano ad una presa, seguita poi da un contrattacco,
secondo la raffinata teoria della circolazione energetica si ottengono risultati ben Fig. 2
diversi. Può essere interessante notare come la posizione terminale del primo
movimento sia in sostanza la stessa nelle due versioni, quasi che quella moderna
si sia basata più su quest’immagine finale che sullo sviluppo reale della tecnica.
Dato che questo fatto si ripresenta in altri KATA, si dovrebbe indagare sul
quando e su chi ha introdotto simili variazioni, troppo sbrigativamente attribuite
in massa a GICHIN FUNAKOSHI o a suo figlio mentre, con ogni probabilità,
molte di esse sono state operate dai loro allievi nipponici di seconda e terza
generazione, i veri artefici del KARATE “moderno”.
Un’altra sequenza di CHINTO variamente interpretata comprende tre movimenti Fig. 3
in avanti, dei quali i primi due avanzando con il passo normale ed il terzo
compiendo, invece, una rotazione al contrario. Questa caratteristica resta sempre
presente anche se le tecniche variano moltissimo. La ragione risiede soprattutto
nei diversi BUNKAI adottati.
In questo caso la versione della MATSUBAYASHI-RYU, rispecchiando le
intenzioni originarie, mostra un atteggiamento chiaramente rivolto ad una
controffensiva (fig. 3), mentre nel GANKAKU vediamo uno dei più comuni gesti
“standardizzati”: la doppia parata in direzioni opposte in KOKUTSU DACHI.
Questo movimento, illustrato dalla figura 4 con il suo classico ma improbabile
BUNKAI, si ritrova in moltissime altre forme della SHOTOKAN-RYU. Fig. 4
Nello SHIROMA NO CHINTO praticato nello GENSEI-RYU, pur spostandosi
nella stessa direzione, si eseguono le medesime parate doppie in KIBA DACHI
presenti negli antichi KATA NAIANCHI e PASSAI, però perpendicolarmente al
senso di marcia (fig. 5).
Nelle tre versioni, oltre al modo di avanzare, l’unico punto in comune è
l’atteggiamento delle braccia, una diretta verso l’alto e l’altra verso il basso,
anche se con motivazioni molto differenti.
Le sequenze dove si calcia sono quelle che hanno subito la maggior
trasformazione. Nelle versioni più antiche (nel complesso molto differenti dalle Fig. 5
moderne) era prevista solo una posizione di passaggio a gambe incrociate con
una parata doppia od una singola bassa: l’elegante (ma scomoda) posizione “della
gru sulla roccia”, punto caratterizzante il KATA SHOTOKAN che ne porta il
nome, non era presente.
Nella figura a fianco (fig. 6) vediamo il passaggio antico, mentre qui sotto
mostriamo (fig. 7, da destra a sinistra) gli stessi movimenti tratti dal CHINTO del
WADO-RYU e dal GANKAKU (disegno in basso a sinistra). Come in tutti i
KATA SHOTOKAN, l’abbinamento tra tecnica di parata e forma di calcio è
sostituito da un colpo di pugno rovesciato contemporaneo ad un calcio laterale,
perfetto esempio di “traduzione tecnica” applicata sistematicamente.
Fig. 6
Fig. 7
Fig. 9
Fig. 10
Fig. 12 Fig. 13
Tutto questo dimostra che non si può approfondire realmente un KATA moderno
senza risalire alle forme da cui discende.
Resta però da dimostrare se vi sia stata realmente un’evoluzione...
KUSHANKU
Abbiamo già accennato alla complessa storia di questo che è senz’altro il più
rappresentativo tra i molti KATA di stile SHORIN.
Per un’efficace comparazione, confrontiamo tra loro tre versioni che fotografano
esattamente altrettanti periodi storici: KUNYOSHI (la più fedele alla forma
originale, insegnata da KUSHANKU a CHATAN-YARA nella prima metà del
1700), ITOSU (così come la praticava questo maestro alla fine del 1800, legata a
quella risalente all’interpretazione di “TODE” SAKUGAWA e filtrata
dall’esperienza di “BUSHI” MATSUMURA) e KANKU DAI (rappresentativa
della revisione stilistica attuata dal moderno stile SHOTOKAN).
Versioni, queste, distanti non solo nel tempo e perciò adatte ad evidenziare modi
diversissimi di intendere l’Arte. Se poi si aggiungono anche dei passaggi tratti da
qualche versione intermedia, si può raggiungere una comprensione più profonda
del perché di certe differenze.
In generale i tracciati di tutte le versioni di KUSHANKU sono molto simili,
contenendo passaggi o gruppi di tecniche relativamente analoghi e quasi sempre
eseguiti con la stessa successione. Ciò che cambia radicalmente è
l’interpretazione dei movimenti, che ha portato alle variazioni più sensibili. La
parte iniziale, dopo il particolare gesto di apertura caratterizzante qualsiasi
versione (fig. 14), mostra subito un’allontanamento delle ultime due dal modello
più antico, pur conservando, in un certo senso, dei richiami all’originale. La
sequenza del KUNYOSHI (fig. 15), che si svolge in una stessa direzione
seguendo un preciso BUNKAI, subisce nell’ITOSU (fig. 16) un’alternanza del
verso delle tecniche, arrivando, nel KANKU (fig. 17), a mostrare
un’interpretazione più superficiale ed estetica.
Da notare che alcune altre versioni aggiungono, ai primissimi movimenti di
parata dei KATA più moderni, delle tecniche di contrattacco per rendere Fig. 14
maggiormente razionale il BUNKAI.
Fig. 15
Fig. 16
Fig. 17
Un passaggio che ha subito un cambiamento radicale è quello descritto nella
figure 18a e 18b: nel KANKU DAI (fig. 19a e 19b) sono stati rivisitati il
movimento in KAKE DACHI e quelli da accucciati. Questi ultimi erano ancora
presenti, tali e quali, nella versione di ITOSU e sono stati conservati, con piccole
differenze, nel KUSHANKU del WADO-RYU (fig. 20), cosa che potrebbe farci
sospettare che anche GICHIN FUNAKOSHI eseguisse così il KATA, almeno
prima della sua avventura giapponese. Questa serie di movimenti del KANKU
DAI attuale assomiglia, comunque, a quella presente nel KUSHANKU DAI
praticato dal maestro CHIBANA, allievo fedele di ITOSU, che, forse, influenzò
la versione SHOTOKAN. Tra l’altro, le uniche differenze, che riguardano una
RYU DACHI al posto della KOKUTSU ed i pugni chiusi invece delle mani
aperte nel movimento successivo, non sono presenti nell’esecuzione di
FUNAKOSHI.
Fig. 25
PASSAI
Questo KATA è uno dei più antichi e praticati di tutto il KARATE di Okinawa,
ma, pur seguendo, come si è visto, due vie diverse di trasmissione, il suo spirito è
rimasto sostanzialmente lo stesso in tutte le versioni delle diverse scuole, sia di
Tomari sia di Shuri.
Per questa ragione una sua analisi può servire a rilevare le differenze stilistiche e
concettuali tra i due ceppi dello stile SHORIN-RYU.
Dopo il caratteristico inizio, pressochè identico in tutti i PASSAI, la prima
variazione notevole riguarda le tecniche immediatamente seguenti. La forma più
antica proseguiva con una particolare tecnica di liberazione unita ad un ATEMI Fig. 26
eseguito con la testa (fig. 26), semplificata nelle forme di SHURI-TE (fig. 27, dal
CHIBANA NO PASSAI, simile a quello di MATSUMURA) e poi scomparsa nel
BASSAI DAI. Questo movimento era detto SUIRAKAN-NO-KAMAE, guardia
dell’ubriaco, con un’evidente allusione all’omonimo stile di KUNG-FU).
Sono rimaste simili le serie di parate e contrattacchi successive, quella di parate
in avanzamento culminanti nel FUMIKOMI GERI, anche se con interpretazioni
tecniche diverse tra i PASSAI di TOMARI (fig. 28, 31, 34) e di MATSUMURA
(fig. 29, 32, 35) ed il BASSAI DAI (fig. 30, 33, 36).
Fig. 27
Fig. 37
Fig. 38 Fig. 39
La chiusura del KATA antico contiene due parate dette SAGURI-TE UKE (fig.
40) che celano, si dice, delle tecniche di combattimento “notturno”, utili, cioè, per
trovare a tentoni l’avversario nel buio più fitto. Conservate abbastanza
fedelmente nelle versioni intermedie, sono diventate, nel BASSAI DAI una serie
di SHUTO UKE, anche se un poco particolari (fig. 41).
Fig. 40 Fig. 41
RO-HAI
Anche se certamente questo KATA può vantare origini cinesi molto lontane nel
tempo, il fatto di essere stato sempre poco praticato al di fuori delle singole
scuole ne ha permesso il proliferare in moltissime versioni, talvolta simili tra loro,
ma per lo più profondamente diverse nelle tecniche e nello spirito.
La sua stessa storia okinawense resta piuttosto oscura, anche se si può individuare
un canale di trasmissione che, partendo dall’antica forma KUAN MUAN
insegnata a Tomari dal cinese ANAN, ha portato alle versioni praticate da
MATSUBAYASHI, SHORINJI e SHITO-RYU, relativamente simili nei passaggi
principali.
SHOTOKAN e WADO-RYU, invece, escono da questa traccia quasi del tutto,
rivelando pesanti modificazioni stilistico-tecniche.
In comune tra loro, questi ultimi due stili hanno un inizio quasi identico, figure
42 e 45, che ha suggerito il nome nipponico MEIKYO ed è anche ricollegabile, in
qualche modo, a quello più antico (fig. 44). Le somiglianze, però, si fermano qui
e raramente si possono trovare gli stessi passaggi, tanto che alcuni di quelli
caratterizzanti le forme antiche sono del tutto assenti nelle moderne, sostituiti da
altri completamente originali.
È il caso della sequenza introdotta dalla posizione dell’airone, illustrata nella
figura 43 nella versione SHITO-RYU, identica a quella praticata nella
SHORINJI-RYU e simile, a parte le posizioni più alte, all’interpretazione della
MATSUBAYASHI-RYU.
Fig 43
Fig. 42
Fig. 44
Fig. 45
Oltre alla curiosa “passeggiata” (fig. 46) ritrovabile solo nei KATA antichi, anche
se con qualche differenza nel numero dei passi e nella loro direzione, un’altra
sequenza presente in questi e rimasta simile anche nelle versioni di SHITO e
WADO-RYU, è quella contenente una tecnica di pugno doppio ritrovabile anche
in PASSAI. La figura 47 ne mostra una versione antica, eseguita con un
movimento molto più leggero rispetto a quello delle forme moderne (fig. 48) e
maggiormente proteso in avanti.
In ultimo presentiamo il passaggio originale dal quale, molto alla lontana,
discende il particolarissimo SANKAKU TOBI (salto a triangolo) del MEIKYO
NO KATA della SHOTOKAN-RYU (fig. 49 e 50). Fig. 46
Una cosa del genere è avvenuta anche con il KATA WANSHU/ENPI, dove
un’altra ampia rotazione è stata trasformata in un salto.
Fig. 47 Fig. 48
Fig. 49 Fig. 50
SANCHIN
Come per i KATA di stile SHORIN, anche la forma più rappresentativa tra quelle
SHOREI si presenta sotto più versioni, dovute sia alla sua introduzione ad
Okinawa da parte di tre diversi maestri, NAKAIMA, HIGAONNA e UECHI, sia
ad interpretazioni successive di alcuni dei loro allievi, come MIYAGI, discepolo
di HIGAONNA.
Le differenze riguardano il percorso, sempre articolato su tre passi ma con
combinazioni diverse tra avanzate, arretramenti e cambi di direzione, e
soprattutto la tecnica di respirazione e l’atteggiamento delle mani.
In origine la forma veniva eseguita con le mani aperte ed in una posizione
piuttosto naturale, mentre la tensione muscolare era aiutata da inspirazioni ed
espirazioni brevi e forti, così come la si pratica ancor oggi negli stili
RYUEI-RYU e UECHI-RYU. KANRYO HIGAONNA adottò la chiusura delle
mani a pugno, ed il suo successore CHOJUN MIYAGI, creando il moderno
GOJU-RYU, introdusse la rumorosa respirazione forzata tipica dello stile ed una
ancor più forte tensione dinamica, variando le tecniche finali, simili a quelle di
TENSHO, ed anche l’EMBUSEN, differente anche da quello della SHITO-RYU
di MABUNI.
La figura 51 mette a confronto le tecniche delle versioni UECHI e MIYAGI a
fronte di una stessa sequenza.
Fig. 51
SESAN
Come abbiamo avuto modo di affermare, questo KATA è, attualmente, l’unico
che sia praticato da entrambe le correnti che formano il KARATE: la SHOREI e
la SHORIN.
SESAN, antichissima forma del KUNG-FU meridionale, giunse ad Okinawa
attraverso tre canali distinti, gli stessi di SANCHIN, cioè grazie ai maestri
NAKAIMA, UECHI ed HIGAONNA. Fu la versione di quest’ultimo che passò
nello SHURI-TE di MATSUMURA ed ITOSU e che fu poi rinominata
HANGETSU da FUNAKOSHI.
La forma SHORIN mostra una notevole reinterpretazione delle tecniche rispetto a
quella dello stile GOJU-RYU, la quale, a sua volta, differisce enormemente da
quella importata dal maestro KANBUN UECHI, probabilmente la più vicina
all’originale cinese.
Confrontando le tre versioni si può trovare una certa affinità tra le sequenze
iniziali, che riprendono SANCHIN (fig. 52), anche se la scuola UECHI preferisce
saltare questa parte per abbreviare la durata dell’esecuzione. Negli stili SHORIN
la posizione SESAN o HANGETSU sostituisce la SANCHIN DACHI (fig. 53),
ma rimane comunque la tensione dinamica.
La figura 54 mostra la sequenza della YAMA-KAMAE presente nel KATA
HANGETSU dello SHOTOKAN, comparata con l’equivalente SHORIN (fig. 55)
e con quella dello UECHI NO SESAN (fig. 56). Queste tecniche non si trovano
nella versione GOJU, mentre, come si può vedere nella figura 57, vi sono
presenti le stesse, di palmo, che le seguono nella forma di UECHI-RYU (fig. 58).
Fig. 52 Fig. 53
Fig. 57 Fig. 58
Tutte e tre le versioni presentano poi delle tecniche con entrambe le braccia
abbastanza assimilabili tra loro (fig. 59 SHOTOKAN e SEIDOKAN, fig. 60
GOJU-RYU, fig. 61 UECHI-RYU). Tutta la parte centrale presenta più
differenze che somiglianze tra i tre stili, anche se l’EMBUSEN appare sempre
affine. Si nota, in genere, la solita essenzialità degli stili SHORIN (fig. 62), con
uno sfoltimento della gestualità, presente invece nella versione GOJU-RYU (fig.
63) e soprattutto in quella del maestro UECHI, che tra l’altro privilegia la mano
aperta e utilizza anche il pugno ad una nocca. Il movimento finale di MAWASHI
UKE della scuola GOJU (fig. 65), non presente nella UECHI-RYU, è ripreso da Fig. 59
alcune scuole SHORIN, talvolta con differenze tecniche (fig. 66), ma è stato
sintetizzato in una semplice doppia parata di palmo nei KATA SHOTOKAN (fig.
64) e WADO-RYU (fig. 67), che la esegue in schivata.
Fig. 60 Fig. 61
Fig. 62
Fig. 63 Fig. 64
PIN-AN NIDAN
Questo KATA contiene delle serie di tecniche relativamente complesse solo
all’inizio e alla fine, mentre tutta la parte centrale è basata sulla solida posizione
ZENKUTSU dalla quale si eseguono, sempre avanzando, GEDAN BARAI, AGE
UKE e OI ZUKI.
1 2 2a 3 4 5 5a
F G H
PIN-AN SHODAN
Si presenta nettamente più complesso del precedente per le tecniche contenute,
mentre ne conserva lo stesso ritmo.
1 2 3 4 8 8a 8b
Traiettoria movimento 17 17 18 19
Diverse scuole dei vari stili eseguono il movimento 2 considerandolo come una
parata in UCHI UDE UKE sinistra, CHUDAN o JODAN, con in più una
protezione della fronte con il pugno destro.
Alcune scuole di SHORIN-RYU effettuano le tecniche iniziali limitandosi ad
A
assumere MAMAE NEKO ASHI DACHI (fig. A), a parte, talvolta, per il
TETTSUI UCHI, mentre lo SHITO-RYU non si allontana molto dalla versione
descritta, se non per l’interpretazione del punto 3, composto da una GEDAN
OTOSHI UKE dx con il sx che si carica per il TETTSUI UCHI (fig. B).
Nello SHORIN-RYU La preparazione alla tecnica di parata media e calcio
frontale del punto 8a è distinta da questa assumendo MAMAE NEKO ASHI B
DACHI ed incrociando le braccia al fianco sinistro, mentre, come nel NIDAN, la
MOTO DACHI sostituisce ZENKUTSU DACHI portando OI e GYAKU ZUKI,
NUKITE UCHI ed AGE UKE, mentre le quattro SHUTO UKE dei movimenti
13, 14, 15 e 16 sono eseguite in guardia frontale e verso quattro diverse direzioni.
Inoltre le UDE UKE dell’asse di ritorno (punti 17 e 20) vengono effettuate in
KAKE DACHI (fig. C). C
La forma HEIAN NIDAN dello SHOTOKAN differisce dal PIN-AN più classico
soprattutto nella parte iniziale: le tecniche ai punti 2, 3, e 4, come pure le
simmetriche 5, 6, e 7, si effettuano restando fermi in KOKUTSU DACHI (fig. D)
mentre il calcio che segue è diventato uno YOKO KEAGE e la UDE UKE uno
YOKO RIKEN UCHI (fig. E).
D
Il contrattacco in OI NUKITE UCHI destro al punto 12 è accompagnato da una
parata pressante con il palmo sinistro (fig. F).
Come per il finale di HEIAN SHODAN vi sono le quattro SHUTO UKE in
altrettante direzioni. In modo analogo si effettuano le GEDAN BARAI e le AGE
UKE degli assi finali, dove le prime parate sono seguite, sul posto, da una
SHUTO AGE UKE, di solito effettuata lentamente.
Il secondo KIAI non accompagna la MOROTE UKE ma bensì l’ultima
FUMIKOMI AGE UKE. E F
PIN-AN SANDAN
A differenza dei primi due, si presenta meno rigido, richiedendo una certa fluidità
di movimento. Contiente alcune tecniche difficili da interpretare nel BUNKAI,
variazioni di ritmo e di altezza dal suolo delle anche.
1 2 3 4 8 9 10 11 11a
Viste in diagonale:
13a, 17a (se NAMI ASHI) 15, 17 15a (se passo normale)
C D
PIN-AN YODAN
È il più lungo dei cinque PIN-AN. Contiente alcuni passaggi complessi, con
ritmo e tipo di tecniche che richiamano lo SHODAN.
1 2 3 8 9 10
14 15 16 17 30 31
H I
PIN-AN GODAN
Nonostante sia piuttosto breve quest’ultimo PIN-AN si presenta difficile da
eseguire sia per il tipo di tecniche che per l’intensità interpretativa che richiede.
Alterna fluidità e potenza, posizioni solide ad altre più alte e flessibili. Per questi
motivi è maggiormente simile al SANDAN che agli altri tre. Unico tra i PIN-AN,
racchiude una tecnica in salto.
1 2 3 4 11 15 16 17
18 19 20 21 23 Viste laterali: 24 25
Questo KATA è oggetto di molte interpretazioni da parte dei vari stili: mentre la
parte iniziale viene eseguita in KOKUTSU DACHI dal solo stile SHOTOKAN,
la parte centrale e quella finale sono le più differenziate. Come primo esempio i
tempi 10 e 11 (parata a croce e susseguente presa) sono diversi per
SHORIN-RYU (fig. A) e WADO-RYU (fig. B); il 12 (TETTSUI UCHI), che in
questi stili si esegue nella stessa posizione, nello SHITO-RYU prevede una
rotazione di anche che porta in HACHIJI DACHI laterale (analogo al TETTSUI
A
di fig. D). Ancora più complesso è descrivere le altre interpretazioni: tenendo
conto che quasi tutti i movimenti differiscono tra stile e stile, riportiamo solo
alcuni esempi, a volte con viste differenti, per chiarire le tecniche: la figura C
mostra come esistano nello SHORIN-RYU due movimenti prima dei tempi 14 e
15 e come quest’ultimo sia interpretato. A loro volta WADO e SHITO hanno una
loro versione per i tempi 15 e 16 (fig. D). Ancora lo SHORIN si stacca dagli altri
nelle tecniche precedenti il salto (fig. E) e nel finale (fig. F), dove, per lo meno,
cambiano le direzioni e un poco le posizioni ma non l’idea tecnica per WADO e
SHITO. B
C D
E F
GLI ANTICHI PIN-AN DI STILE SHORIN
Presentando le versioni precedenti, abbiamo mostrato solo alcuni passaggi tipici
dei PIN-AN più antichi. Vediamo adesso queste forme, così come vengono
praticate nel MATSUBAYASHI-RYU, stile creato da SHOSHIN NAGAMINE,
allievo di grandi maestri come KYAN, MOTOBU e ANKICHI ARAGAKI.
Nota: i disegni nei riquadri rappresentano tecniche osservate da un lato
dell’esecutore rispetto com’è posizionato inizialmente.
PIN-AN NIDAN
1 2 3 4
9 10 11 12 13
3-4 14 15 15 16 17 18
10 - 11
18 19 20 21 22 23
19 - 20
PIN-AN SHODAN
1 2 3 4 5
10 11 12 13 14 15
1-2
16 17 18 18 19 20
4-5
7-8
21 22 23 24 25
9 - 10
17 - 18
26 27 28 29 30
PIN-AN SANDAN
1 2 3 4 5 6
4-5 7 8 9 10
7-8
11 12 13 14
12 - 13
9 - 10 14 15 16
20 - 21
17 18 19
11 - 22
22 - 23 20 21 22 23
PIN-AN YODAN
1 2 3 4 5
11 12 13 14 15 16
5-6
8-9
17 18 19 20 21
11 - 12
14 - 15 22 23 23 24 25
27 - 28
28 - 29
26 27 27 28 29 30
PIN-AN GODAN
1 2 3 4 5
3-4
13 14 14
6-7
15 - 16
17 - 18
15 16 17 18 19
21 - 22
22- 23
23 - 24
22 23 24
I PIN-AN DI GICHIN FUNAKOSHI
Al contrario di come si crede, FUNAKOSHI non inparò mai i PIN-AN dal suo
maestro ANKO ITOSU (e forse questo è un motivo in più per rivedere i reali
rapporti tecnici tra i due) ma bensì da KENWA MABUNI nel 1919, all’età di 51
anni. Fu perciò da questa versione che elaborò la propria.
Le immagini che mostriamo qui di seguito sono tratte dal suo secondo libro,
RENTAN GOSHIN TODE-JUTSU, pubblicato nel 1924/5 e scritto dopo che le
matrici del primo, RYUKYU KEMPO TODE, erano andate distrutte nel terribile
terremoto di Tokio del 1923. Inoltre, pare che i disegni del primo libro siano stati
tratti da queste stesse fotografie, che, di conseguenza, risalirebbero addirittura al
1922. Comunque, abbiamo l’eccezionale possibilità di vedere lo stile di
FUNAKOSHI così come lo insegnava nei primi anni della sua permanenza in
Giappone, iniziata nel 1922.
NAIANCHI (TEKKI)
Sono tre KATA: SHODAN, NIDAN e SANDAN. TEKKI è il nome giapponese
usato dallo stile SHOTOKAN. Per molte scuole, NAIANCHI fu il KATA di base
fino alla creazione dei PIN-AN. Il maestro KENTSU YABU era solito citare
“KATA wa NAIANCHI ni hajimari, NAIANCHI ni owaru”, cioè che “i KATA
iniziano e finiscono con NAIANCHI”, e che per padroneggiare NAIANCHI lo si
deve eseguire almeno 10.000 volte!
Il BUNKAI di questi KATA può essere interpretato da due punti di vista: il
primo che lo vede come lo studio di una tattica difensiva contro più avversari,
cercando di controllarli utilizzando solo minimi spostamenti e mantenendosi
addossati ad un muro o ad un altro ostacolo per proteggersi le spalle; questa
tattica porta all’utilizzo di parate potenti e di contrattacchi a corta distanza, rapidi
e solo a colpo sicuro.
Il secondo prevede di analizzare ogni movimento (od ogni serie di essi) come
fossero diverse soluzioni difensive contro attacchi diretti (gesti minacciosi, prese
e pugni). Per uscir fuori da queste situazioni, si utilizzano tecniche di leva, di
controllo o di proiezione e si adoperano, in particolare, attacchi contro i punti di
pressione legati alla teoria energetica. Si dice che i tre NAIANCHI, sotto questo
profilo, contengano informazioni per l’utilizzo di ben 120 KYUSHO sui 365
principali dell’agopuntura. D’altra parte il nome più antico con cui era conosciuto
il KATA da cui sono stati derivati i tre attuali era NAIFANCHIN, contenente il
solito ideogramma CHIN riferito all’arte di colpire i punti vitali.
Nel diagramma che segue sono illustrate le linee di trasmissione che, partendo
dall’archetipo cinese, conducono alle versioni praticate oggi dai vari stili NAIANCHI DACHI
okinawensi e nipponici.
Esistono, oltre alla posizione utilizzata, delle altre differenze di esecuzione tra le
varie scuole: per esempio, lo SHOTOKAN aggiunge ad alcuni spostamenti in
passo doppio un movimento verso l’alto della gamba. L’interpretazione più
moderna è perfino orientata ad effettuare una sorta di MAE GERI a gamba
semi-tesa, seguito da un FUMIKOMI nel ritornare in guardia.
Gli stili più tradizionali, invece, come lo SHORIN-RYU, si limitano ad un
movimento di NAMI GAESHI, mentre quelli che adottano la NAIANCHI
DACHI non eseguono altro che il passo doppio.
Come esempio vediamo queste differenze in un passaggio della forma SHODAN,
dove anche la serie di tecniche immediatamente conseguente mostra diverse
interpretazioni:
1. SHOTOKAN
2. WADO-RYU
3. SHORIN-RYU
1 2a 2b 2c 3 4 5 6 7a
7b 7c 8 9 10 11 12
13 14 15 16a 16b
1. MUSUBI DACHI, mani aperte davanti ai capi della cintura. 2a. Sguardo a dx,
flettere le ginocchia, passo doppio a dx. 2b. Sollevare la gamba dx, incrociare le
braccia 2c. Scendere in KIBA DACHI dx, CHUDAN HAISHU UKE dx. 3. Sul
posto: MAE EMPl UCHI sx contro il palmo dx. 4. Voltarsi di scatto a sx,
HIKITE dx, pugno sx sopra il dx (dorso in avanti). 5. Sul posto: GEDAN BARAI
sx. 6. Sul posto: CHUDAN KAGI ZUKI dx, HIKITE sx. 7a. Passo doppio a sx.
7b. Sguardo avanti, sollevare la gamba sx, incrociare le braccia. 7c. CHUDAN
UCHI UDE UKE dx frontale. 8. Sul posto: GEDAN BARAI dx, JODAN
HAIWAN NAGASHI UKE sx. 9. Sul posto: JODAN RIKEN UCHI sx, dorso del
pugno dx sotto al gomito sx, braccio dx orizzontale (MIZU NAGARE KAMAE).
10. Verso sx: voltare la testa di scatto sollevando la gamba sx in NAMI GAESHI.
11. Riassumere KIBA DACHI, CHUDAN MOROTE UKE a sx, ruotando
Ìavambraccio sx in SOTO. 12. Verso dx: voltare la tasta di scatto sollvando la
gamba dx in NAMI GAESHI. 13. Riassumere KIBA DACHI, CHUDAN
MOROTE UKE a dx, ruotando Ìavambraccio sx. 14.Voltarsi di scatto a sx,
HIKITE dx, pugno sx sopra il dx (dorso in avanti). 15. Sul posto: CHUDAN
MOROTE ZUKI (YOKO ZUKI sx e KAGI ZUKI dx), KIAI. 16a. Sul posto: CHOKI MOTOBU in alcuni passaggi del
incrociare le braccia aprendo le mani. 16b. Sul posto: CHUDAN HAISHU UKE NAIFANCHI SHODAN, il suo KATA
preferito.
sx verso sx.
Da questo punto in poi il KATA si esegue ripetendo le tecniche dal numero 3 al
15, effettuandole, però, in modo speculare.
TEKKI NIDAN
Questo KATA richiede, come base, le stesse caratteristiche interpretative dello
SHODAN, ma vi sono alcuni passaggi da eseguirsi con una fluidità di movimento
non presente in quest’ultimo. Inoltre non presenta due sole sequenze
simmetriche, ma più serie di tecniche ripetute sia a destra che a sinistra. Resta la
presenza costante della posizione di KIBA DACHI. TEKKI NIDAN è più breve
ma, in fin dei conti, più difficile da interpretare correttamente del precedente.
1 2 2a 3 4 5 6 6a 7 8 9
1. HACHIJI DACHI. 2. Passo doppio a dx, pugni davanti al petto con i gomiti
verso l’esterno (RYO HIJI SUIHEI NI HARU). 2a. Sollevare il ginocchio dx ed
entrambi gli avambracci, serrare le spalle. 3. KIBA DACHI, HAIWAN
CHUDAN UKE dx, sx in KAMAE parallelo al petto. 4. Passo doppio a dx,
SOTO GEDAN MOROTE UKE dx, mano sx aperta sopra il gomito dx. 5. KIBA
DACHI, UCHI GEDAN MOROTE UKE dx, mano sx aperta sopra il gomito dx.
6. Piede dx fermo: HEISOKU DACHI, sguardo a sx, braccia nel KAMAE di fig.
2. 6a. Come fig. 2a, verso sx. 7. Come fig. 3, verso sx. 8. Come fig. 4, verso sx.
9. Come fig. 5, verso sx. 10. Sul posto ruotare la testa verso l’avanti, mani in
KAMAE al fianco sx, pugno dx nel palmo della mano sx. 11. SuI posto, verso
dx: CHUDAN MOROTE UKE dx, mano sx aperta sul lato SOTO
dell’avambraccio dx. 12. Sul posto, voltare la testa verso l’avanti: sollevare verso
l’alto il ginocchio dx, mani in KAMAE al fianco dx, pugno dx nel palmo della
mano sx. 13. Ritornare con il piede dx in KIBA DACHI: EMPI UCHI dx
frontale, mano sx aperta, che fa da perno, contro al pugno dx. 14. Sul posto,
voltandosi a dx: TSUKAMI UKE dx, mano sx in HIKITE. 15. Sul posto:
CHUDAN KAGI ZUKI sx, HIKITE dx. (Da questa alla fig. 19 si eseguono
tecniche identiche ad alcune del TEKKI SHODAN). 16a. Passo doppio a dx,
parte superiore del corpo immobile. 16b. Sguardo frontale, sollevare la gamba dx
e incrociare le braccia. 16c. KIBA DACHI, CHUDAN UDE UKE sx. 17. Sul
posto, dopo aver incrociato le braccia davanti al petto, GEDAN BARAI dx e
JODAN HAIWAN NAGASHI UKE dx. 18. Sul posto: JODAN RIKEN UCHI
dx, dorso del pugno sx sotto al gomito dx, braccio sx orizzontale, KIAI.
Dalla tecnica numero 19 fino al termine si ripete, ma a specchio, la sequenza che
va dalla figura 10 alla 18. Si esegue un secondo KIAI nel 27° movimento,
analogo al 18°, per poi terminare in HACHIJI DACHI.
TEKKI SANDAN
Per questo KATA valgono gli stessi principi espressi per il NIDAN. Come
caratteristiche ha una simmetria ancora meno marcata, con la quasi totalità delle
tecniche eseguite coinvolgendo entrambe le braccia.
1 2 3 4 5 6 7 8
1. HACHIJI DACHI. 2. Spostando il piede dx: KIBA DACHI, UCHI UDE UKE
sx. 3. UCHI UDE UKE dx, GEDAN BARAI sx. 4. SOTO UDE UKE dx, braccio
sx orizzontale davanti al petto. 5. Braccio dx: NAGASHI UKE, sx fermo. 6.
Braccio dx: RIKEN UCHI, sx fermo. 7. Ritirare il braccio dx in HIKITE, aprire
mano sx. 8. Braccio dx: CHUDAN CHOKU ZUKI, sx: stessa posizione, palmo
sopra il gomito dx.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20 21 22
In questa immagine, vediamo CHOKI MOTOBU ritratto in due pagine del suo libro “OKINAWAN KEMPO
TODE-JUTSU KUMITE-HEN”, mentre dimostra NAIFANCHI SHODAN. Ricordiamo che, essendo questo un
testo giapponese, le immagini vanno seguite da destra a sinistra, come indicano i numeri riportati.
TENSHO
Questo KATA forma con SANCHIN la coppia delle forme fondamentali degli
stili SHOREI. Mentre l’altro rappresenta il concetto di GO (durezza), TENSHO
illustra il principio JU (cedevolezza).
La sua creazione, relativamente recente, è dovuta al Maestro CHOJUN MIYAGI.
Dal punto di vista tecnico, questo KATA, che appare legatissimo allo stile della
Gru Bianca, è rivolto all’approfondimento dell’utilizzo delle mani, della
respirazione e dell’estensione dell’energia.
Prevede precisi tempi di esecuzione e concatenazione dei movimenti, legandoli
ad inspirazioni ed espirazioni.
L’esecuzione dev’essere lenta e contratta, esprimendo costantemente una grande
sensazione di potenza controllata.
Il caratteristico percorso si svolge su sei soli passi: durante i primi tre, effettuati
avanzando, viene eseguita una stessa serie di tecniche prima con il braccio destro,
poi con il sinistro ed infine con entrambe le braccia. Nella seconda parte, SEIKICHI TOGUCHI, allievo
composta di tre passi arretrando, si ripetono due particolari concatenazioni di di MIYAGI e fondatore della
parata e attacco a due mani. scuola SHOREI-KAN, mentre
esegue TENSHO.
1. HACHIJI DACHI.
2. Passo avanti con il dx: SANCHIN DACHI, MOROTE UCHI UDE UKE.
2a. Pugno sx in HIKITE, caricare la mano dx aperta alla spalla sx.
3. KAKE UKE dx.
3a. Ruotare il palmo dx verso l’alto.
4. Caricare la mano dx all’ascella dx (palmo in avanti, dita verso l’alto).
5. JODAN TEISHO UCHI dx.
6. Caricare la mano dx al fianco dx (palmo in avanti, dita verso il basso).
7. GEDAN TEISHO UCHI dx.
7a. Ruotare il dorso verso l’alto formando WASHIDE.
8. CHUDAN KOKEN UKE dx verso l’alto.
9. CHUDAN SEYRYUTO UCHI (o UKE) dx verso il basso.
10. CHUDAN KOKEN UKE dx orizzontalmente verso l’esterno.
11. CHUDAN TEISHO UKE dx orizzontalmente verso l’interno.
12. Passo avanti con il sx: SANCHIN DACHI, UCHI UDE UKE sx, HIKITE dx.
Dal movimento 13 al 21 si ripetono in modo speculare le tecniche presentate dal
punto 3 al punto 11, poi si esegue (22) un passo avanti con il dx: SANCHIN
DACHI, MOROTE UCHI UDE UKE.
Dal movimento 23 al 31 si ripetono ancora le stesse tecniche viste dal 3 all’11 e
dal 13 al 21, ma eseguendole contemporaneamentecon entrambe le braccia.
32. Sul posto: MOROTE TEISHO SUKUI UKE.
33. MOROTE NUKITE UCHI.
34. e 35. Passo indietro con il dx: ripetere le tecniche 32 e 33.
36. Preparare MAWASHI UKE.
36a. Eseguire MAWASHI UKE.
37. Preparare MOROTE TEISHO UCHI.
37a. Eseguire MOROTE TEISHO UCHI.
38. 38a. 39. 39a. Passo indietro con il sx: eseguire le tecniche da 36 a 37a ma in
modo speculare.
40. Indietro il piede dx: HACHIJI DACHI, fine del KATA.
Movimenti e tecniche principali:
1 2 2a 3 3a 4 5 6 7
8 9 10 11 32 33 36 36a 37 37a
I disegni successivi illustrano le differenti tecniche del GEKISAI DAI ICHI, con
l’OI ZUKI in HANKUTSU (MOTO) DACHI ai punti 3 e 6, una diversa
interpretazione dei movimenti 15/16 e 23/24 ed il finale senza diagonali e con
qualche particolarità gestuale.
GEKISAI NI
Il secondo GEKISAI segue lo stesso tracciato del primo, con le identiche tecniche
fino al movimento17, al posto del quale si eseguono tre KAKE UKE in
SANCHIN DACHI (sequenza A), due avanzando ed una arretrando (la versione
YAMAMOTO sostituisce anche le UDE UKE 8 e 9 con KAKE UKE). Il finale
prevede due MAWASHI UKE in NEKO ASHI DACHI (sequenza B), con la
diagonale destra eseguita per prima, ed un ritorno alla posizione iniziale più
complesso (sequenza finale).
ANAN
NORISATO NAKAIMA, dopo le forme cinesi di RYU RU KO (SANCHIN,
SESAN, SANSEIRU e SEIENCHIN), arricchì lo stile di famiglia con altri
KATA, tra cui ANAN, da molti collegato al maestro cinese ANNAN, che
insegnò ad Okinawa la “Gru Bianca Ancestrale” (SHU TSURU, connessa allo
stile della “Tigre”) a molti famosi artisti marziali, come MATSUMORA,
OYADOMARI, ARAGAKI, MATSUMURA e lo stesso NAKAIMA.
Nota: i disegni nei riquadri a righe tratteggiate mostrano le tecniche da una
angolazione di 45 gradi rispetto alla direzione effettiva, sempre indicata dalle
TSUGUO SAKUMOTO (RYUEI-RYU),
linee incrociate. I riquadri a righe continue mostrano tecniche viste da dietro. pluricampione mondiale con ANAN.
0a 0b 0c 1 2 2a 3 4
5 6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30 31
32 33 34 35 36 36 37a 37b
38 39 40 41 42 43 44 44
45 46 45 46 47 48
3
2
1
CHINTO
La storia dell’introduzione nel TO-DE di questo KATA viene raccontata così dal
maestro RONALD LINDSEY: “È ormai stabilito che un marinaio della Cina del
sud naufragò sulle coste meridionali di Okinawa; essendo affamato, fu costretto a
rubare del cibo ai contadini della zona. Le autorità locali incaricarono SOKON
“BUSHI” MATSUMURA, il celebre maestro, di catturare il ladro. Dopo il
fallimento di molti tentativi d’arrestarlo, MATSUMURA finì per diventarne
amico. Col tempo, il marinaio gli insegnò alcune tecniche e KATA della Gru
Bianca, di cui era un esperto. La storia tramanda il nome di questo marinaio come
CHINTO...”.
KOSHIKI NO CHINTO
Nella versione più antica, illustrata qui di seguito, sono contenute molte tecniche
particolari, sia di proiezione sia di percussione sui punti di pressione, come lascia
ANSEI UESHIRO, un maestro di
intuire il KANJI “CHIN” contenuto nel nome stesso. Presenta, inoltre, un insolito Okinawa molto attivo negli Stati
EMBUSEN, orientato tutto a 45 gradi rispetto alle posizioni di inizio e fine, ricco Uniti, mentre esegue CHINTO del
di continui cambi di posizione e di direzione. Il KATA che presentiamo è molto MATSUBAYASHI-RYU.
simile a quello praticato nel MATSUBAYASHI SHORIN-RYU ed a quello
trasmesso da CHOTOKU KIYAN (CHAN-MI-GUA NO CHINTO).
Il gesto iniziale (rif. disegno 1) e la tecnica d’approccio per l’agganciamento (rif. disegno 30) eseguiti in tre stili diversi. Da sinistra:
MATSUBAYASHI-RYU, ISSHIN-RYU e SEIDOKAN. Anche se tra loro esistono differenze, questi KATA mantengono pressoché inalterata la
sostanza della forma originale, trasmessa dal maestro KYAN, presentando lo stesso EMBUSEN diagonale, le tecniche più caratteristiche ed anche le
stesse interpretazioni ed applicazioni (BUNKAI).
GANKAKU
Le versioni moderne di CHINTO sono derivate da quella chiamata
“MATSUMURA NO CHINTO”, che in realtà è già un’interpretazione posteriore,
passando attraverso quella del maestro SHIROMA, mentre invece la versione
attribuita al maestro ITOSU, a differenza di moltri altri casi, non si distacca quasi
dall’originale.
Le forme praticate attualmente dagli stili SHOTOKAN e WADO-RYU non sono
molto differenti tra loro, fatta eccezione per alcuni passaggi dove il primo
presenta qualche suo tipico movimento standard, come lo YOKO GERI lanciato
contemporaneamente a RIKEN (URAKEN) UCHI, tecnica rintracciabile in
moltissimi altri KATA.
Qui sotto presentiamo proprio questa forma, rinominata GANKAKU, cioè “gru
sulla roccia”, dal maestro GICHIN FUNAKOSHI. Si tratta di un bellissimo La “gru sulla roccia” di ROLAND
KATA, molto ricco di tecniche e cambi di posizione e direzione, che ricorda solo HABERSETZER, esperto francese
in alcuni aspetti quello antico, abbandonando, di questo, gli aspetti più legati agli di SHOTOKAN, WADO-RYU e
stili cinesi. Protagonista di una
attacchi ai punti di pressione e, in parte, spazzate e proiezioni, introducendo, ricerca molto approfondita sui
però, alcuni passaggi che presentano una certa difficoltà tecnica. KATA antichi e moderni di tutti gli
stili di KARATE.
Alcuni passaggi visti da una diversa prospettiva:
0 1a 1b 2a 2b 3a 3b
4a 4b 5a 5b 6 7
20 21 22 23 24 25a
25b 25c 26 27 28 29 30
Da 10 ripetere
ancora due volte la
sequenza 3 - 9: una
volta a sinistra, poi
ancora a destra, ma
con entrambe le
mani (10 - 23).
Nota: in alcune versioni
la sequenza 41/42 viene
ripetuta identica altre
due volte
KUMEMURA HAKUTSURU
Come primo esempio di KATA HAKUTSURU, illustriamo quello definito “di
KUMEMURA”, dal nome del villaggio d’Okinawa fondato dalle “36 famiglie”
cinesi che giunsero sull’isola nel 1392, nell’ottica di un grande scambio
economico/culturale tra il regno delle Ryu-kyu e la Cina. Divulgato dal maestro
GEORGE ALEXANDER (maestro di MATSUMURA SHORIN RYU e
fondatore della INTERNATIONAL SHORIN RYU KARATE KOBUDO
FEDERATION), anche questo KATA, come tanti HAKUTSURU, non sfugge a
critiche ed a insinuazioni di non originalità. Comunque, questa forma, pur molto
lunga, mantiene una notevole coerenza stilistico-tecnica.
SIFU (maestro) TONG MU-YAO, stimato
Nota: i disegni nei riquadri mostrano i movimenti visti di lato rispetto esperto di BAI HE QUAN (Gru Bianca) di
all’orientamento del KATA. Inoltre, i passaggi dal numero 84 al 92 sono Taiwan, mentre mostra un passaggio di una
forma. È certo interessante confrontare
disegnati leggermente in diagonale rispetto alla direzione reale (frontale). questa fotografia con il movimento 63 del
KATA KUMEMURA HAKUTSURU.
1 2a 2b 3a 3b 3c 3d 4
5 6 7 8 9a 9b
10a 10b 11 12 13a 13b 14a
39 40 41 42 43a 43b 44
45a 45b 46 47 48 49 50
51 52 53 54 55 56
57 58 59 60 61 62a
62b 63 64 65 66 67
81 82 83 84 85 86 87 88 89
90 91 92 93 94 95 96
97 98 99 100 101 102 103a 103b 104
0 1 2a 2b 3a 3b 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18
19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30
1 2a 2b 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27
28 29 30a 30b 31 32a 32b
33 34a 34b 35 36 37 38 39
9 11 12 13
46a 46b 47
14 18 19 36 37 38
JIIN
È il meno sofisticato della serie dei KATA “JI”. Ecco la versione SHOTOKAN.
JION
I KATA JION, JIIN e JITE, vengono spesso accomunati per la radice JI
contenuta nei nomi, per la stessa posizione iniziale (pugno destro dentro la mano
sinistra) e per alcuni passaggi simili. Secondo le ricerche più recenti, JION era il
nome d’un monaco buddista che, alla fine del 1600, portò ad Okinawa uno stile
di gru bianca decisamente originale, come si nota analizzando i tre KATA che
tramandò. Questo sistema apparteneva ad una linea ben diversa da quelli che già
avevano influenzato il TODE d’Okinawa e sarebbe stato molto simile al metodo
della gru bianca del Tibet. Nella provincia cinese di Shanki esiste un tempio
buddista di retaggio tibetano conosciuto come tempio di JION, dove si tramanda
che i monaci antichi praticassero un sistema della gru bianca, con tecniche simili
a quelle dei tre KATA, sin dal IX secolo. Da quel monastero sarebbe giunto il
monaco, perciò chiamato JION, oppure questo potrebbe essere il nome buddista
da lui adottato. Ad Okinawa, il monaco ebbe come allievo MATSU HIGA. Col
tempo, i tre KATA furono abbandonati ma fu il maestro cinese ASON, a
riportarli ad Okinawa a metà ‘800. Egli aveva infatti studiato in un monastero
buddista legato al monaco JION. ASON risedette a lungo ad Okinawa, lasciando
la sua eredità ad importanti adepti come: ARAGAKI, MATSUMORA,
OYADOMARI, SHIROMA, NAKAIMA, TOMOYOSE, MATSUMURA. In
ogni caso, i KATA furono praticati a lungo dal solo TOMARI-TE, finché ANKO
ITOSU li incluse nel suo repertorio, anche se non diede loro una particolare
importanza didattica.
Nelle foto i maestri GICHIN FUNAKOSHI e
Analizzando i KANJI che compongono il nome JION, si trova che il primo può CHOMO HANASHIRO mentre eseguono
significare “amore universale”, “tenerezza” o “gentilezza”, il secondo JION. Nell’interpretazione del primo, rispetto
“gratitudine” o “riconoscenza”. Il riferimento all’origine buddista va ricercato in alla forma più antica praticata dal secondo, si
notano alcune differenze, passate poi, senza
questi significati e non nel termine JI tradotto come “tempio”, poiché gli ulteriori grandi modifiche, nell’attuale forma
ideogrammi sono diversi anche se si leggono allo stesso modo. SHOTOKAN.
La versione di JION che riportiamo è molto vicina alla più antica, della quale era
famosa l’interpretazione del grande maestro di SHORIN-RYU CHOMO
HANASHIRO (1869 - 1945). Tra l’altro, in questa pagina vediamo lui e GICHIN
FUNAKOSHI in alcune fotografie che li ritraggono impegnati proprio in JION.
1 2 3 4 5 6
7 8 9a 9b 10 11
18a 18b 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28a 28b
29 30 31 32 33a 33b 34
35 36 37 38 39 40 41
42 43 44a 44b 45 46
Movimenti alternativi a
25/27 24/44b 48a/48b
50 51
In queste fotografie, vediamo alcuni dei
movimenti iniziali di JION eseguiti dal
maestro KENJI TOKITSU, fondatore
della scuola SHAOLIN-MON. Cercando
di risalire ai veri contenuti marziali del
KARATE (anche se per collegarlo più
strettamente al BUDO nipponico), egli ha
compiuto valide ricerche sia storiche sia
tecniche, pubblicate in libri ed articoli.
JITE
La caratteristica principale di questo breve ma intenso KATA è quella di
contenere molte tecniche mutevoli, che nascondono, cioè, numerose applicazioni
differenti senza dover essere stravolte nel gesto formale.
In particolare, le movenze di JITE mostrano difese ed attacchi adatti contro degli
avversari che ci assalgono a mani nude, ma insegnano anche come eludere e
capovolgere a nostro favore attacchi portati con il bastone lungo. Cosa ancora più
interessante (e poco conosciuta) è che JITE può essere eseguito tutto come se
fosse una forma di BO-JUTSU, utilizzando il bastone dall’inizio alla fine del
KATA. Parleremo ancora di queste sue caratteristiche nel capitolo dedicato al
BUNKAI KUMITE.
Il nome JITE viene ottenuto dall’unione dell’ideogramma già visto per JION con
diversi caratteri pronunciati TE o TEI, che possono significare “tecnica”, “mano”, KENEI MABUNI, figlio maggiore del
fondatore dello SHITO-RYU, esegue un
“fissare” o “decidere”, perciò non è semplice capire cosa vuol dire realmente. In passaggio del JITE del suo stile,
Giappone si è adottato il nome JUTE, inteso come “dieci mani”, che però non ha differente da quello corrispondente nella
nessun aggancio storico o estetico, ma solo un’assonanza con l’originale. Questo versione di FUNAKOSHI (a destra) e
presente anche nel KATA illustrato qui
non è un KATA che ha subito molte trasformazioni: la versione che presentiamo di seguito (disegni 18 e 19).
ricalca quella moderna dello SHOTOKAN, con l’inclusione di alcuni passaggi
della forma più antica, come le due RYU NO KAMAE presenti verso la fine.
IL KATA JITE DI GICHIN FUNAKOSHI
Il libro di FUNAKOSHI del 1924/5 dimostra come il KATA non sia molto
cambiato, anche se qualche passaggio, identico alla versione antica, ha poi subito
modifiche, in direzione (seconda foto) o tecnica (quinta immagine).
KURURUNFA
TAI SABAKI e gesti rapidi per una forma dello stile del “Dragone”.
KUSHANKU
La lunga storia del KATA più significativo del KARATE di tipo SHORIN è KWANG-SHANG-FU
riassunta, nei tratti principali, nel diagramma qui a fianco. (Cina e Okinawa)
Per completezza d’informazione, aggiungiamo qualche altra notizia sul SIFU
cinese di cui porta il nome e del quale tramanda lo stile.
STEPHEN RITTERSPORN scrive che, nel 1761, <<un funzionario militare
YARA SAKUGAWA
cinese, KWANG-SHANG-FU (KUSHANKU o KOSOKUN), fu inviato ad
(Cina e Okinawa) (Okinawa)
Okinawa>> e che, grazie al suo arrivo, <<l’Arte divenne ancor più conosciuta. Si
dice che KUSHANKU avesse imparato il CH’UAN-FA da un monaco
SHAOLIN. Altri affermano che lo fosse lui stesso. Durante la sua missione ad
Okinawa, KUSHANKU eseguì una dimostrazione d’arte marziale>>. TOMARI-TE SHURI-TE
La più antica fonte storica che tramanda l’avvenimento è il “Giornale di
Oshima”, scritto nel 1762 da RYOEN TOBE (1713-1795), studioso confuciano
della provincia di Toba, di cui Oshima è una località. Questi fu incaricato di KUNYOSHI MATSUMURA
raccogliere le testimonianze degli Okinawensi che, diretti a Satsuma per portarvi i
tributi, a causa di una furiosa tempesta finirono alla deriva, finché la loro nave si
arenò sulla spiaggia di Oshima, nell’isola di Shikoku. Nel documento si narra che KYAN ITOSU
KUSHANKU era giunto ad Okinawa qualche tempo prima con molti allievi e che
“con i suoi movimenti circolari e misurati, applicava la sua arte marziale e
vinceva l’assalitore sforbiciando le sue gambe.” Queste caratteristiche sono le
SHORIN-RYU FUNAKOSHI
stesse ritrovabili nel KATA KUSHANKU ed anche nel celebre libro d’arte
(KUSHANKU) (KANKU)
marziale BUBISHI.
(Okinawa) (Giappone)
KWANG-SHANG-FU visse per molti anni a Okinawa, nel villaggio di Kume,
prima di ritornare in Cina intorno al 1790. Altri autori dicono che egli arrivò ad
Okinawa nel 1756 con alcuni dei suoi studenti del gruppo CHING SAPPOSHI
GUAN KUI. Quest’ultima fonte si riallaccia alla storia che vuole sia stato il suo
stesso allievo interno CHATAN YARA (o KITAYARA), nativo di Okinawa, a
convincerlo a recarsi sull’isola per diffondervi la sua arte marziale.
KUNYOSHI NO KUSHANKU
La versione senz’altro più fedele all’originale, derivata direttamente dagli
insegnamenti di YARA, contiene quei passaggi che caratterizzavano lo stile di
combattimento di KWANG-SHANG-FU. Fu questi ad introdurre nell’antico
TO-DE il ritorno della mano al fianco (HIKITE) e le prime forme d’allenamento
a coppie e di combattimento regolamentato.
Come tutte le forme antiche, il KUNYOSHI NO KUSHANKU presenta un
BUNKAI molto ricco, spesso complesso ed oscuro laddove s’incontrano delle
tecniche “nascoste”. Queste sono sia di proiezione e di leva articolare, sia di
lussazione e di attacco ai punti vitali, a partire dalla prima serie di movimenti, SHOSHIN NAGAMINE in
caratteristici del KATA e spesso presi solo come un modo, molto coreografico, di URA-GAMAE, la “posizione
preparazione e concentrazione iniziale. rovesciata” caratteristica di
certe versioni di KUSHANKU.
Nota: i disegni nei riquadri rappresentano tecniche osservate non dalla
prospettiva iniziale ma dalla destra dell’esecutore com’è posto in figura. 1/2.
Nota: il movimento 59 può essere compiuto in salto. In questo
caso si tralascia il 61, eseguendo rapidamente le tecniche che
seguono e tenendo lo sguardo avanti e verso il basso nella 64.
Ovviamente, differenti interpretazioni di uno stesso passaggio
celano differenti BUNKAI…
ITOSU NO KUSHANKU
Il KATA che tramanda l’arte marziale di KWANG-SHANG-FU, come abbiamo
già avuto modo di raccontare, oltre alla linea di trasmissione iniziata da YARA ed
arrivata sino a KYAN, ne seguì anche un’altra che, forse partita da
SAKUGAWA, proseguì per MATSUMURA giungendo fino a ITOSU. A
differenza di ciò che fece con la maggior parte dei KATA, questi non modificò in
modo sostanziale la forma, anzi la utilizzò come una delle fonti principali,
insieme al/ai KATA CHIANG-NAN, per lo sviluppo dei PIN-AN, nati per
diventare le basi dell’apprendimento del KARATE. Nel caso del KUSHANKU,
come in quello del PASSAI, ITOSU creò anche una forma “breve” (SHO),
Il finale di ITOSU NO KUSHANKU
contenente le sue idee personali. eseguito da PIERRE PORTOCARRERO,
Confrontando questa versione con quella più antica, si possono riscontrare molte noto praticante di arti marziali francese,
analogie ma soprattutto molte differenze, che furono a loro volta trasmesse nelle appassionato di storia, cultura e tecnica del
KARATE, che ha lungo soggiornato in
versioni moderne dello SHOTOKAN e del WADO-RYU. Cina, Giappone e Okinawa.
Parleremo anche di un’altra variante di questo KATA, che lo avvicinerà ancor di
più ai PIN-AN/HEIAN.
L’ITOSU NO KUSHANKU DI HISATERU MIYAGI
Raccontando i mutamenti di questo KATA, non si può tacere del KUSHANKU
praticato da HISATERU MIYAGI, un allievo di ITOSU alla Scuola d’Okinawa.
Il suo KATA fa pensare che ITOSU “modernizzò” il KUSHANKU DAI, per Nelle foto, HISATERU MIYAGI in alcuni
adeguarlo alle neonate forme di base. Anzi, il KATA di MIYAGI è più vicino ai passi del suo ITOSU NO KUSHANKU. In
futuri HEIAN dello stesso KANKU DAI di FUNAKOSHI. Del resto, lui li particolare, le due foto più a destra mostrano
un’assoluta identità con il gesto iniziale del
imparò nel 1919, mentre aveva appreso KUSHANKU molto prima di questi PIN-AN YODAN e con la fase iniziale della
possibili mutamenti e per di più, pare, da ANKO ASATO. tecnica di “liberazione” del SANDAN.
KANKU DAI
La versione praticata dallo SHOTOKAN, segue la linea di trasmissione:
SAKUGAWA MATSUMURA ITOSU FUNAKOSHI.
Fu quest’ultimo a modificare il nome KUSHANKU in KANKU, giocando
abilmente sull’assonanza dei due termini e sul significato del nuovo (dove KUN
vuol dire “apparenza, aspetto, vista” e KU “vuoto o universo”), che appare
immediatamente collegabile ai movimenti iniziali, dove lo sguardo sale in
direzione del cielo e le mani sembrano volerne catturare l’immensità.
Nel dare il nome nipponico ai KATA, GICHIN FUNAKOSHI adoperò spesso il
metodo di “fotografare” un aspetto esteriore che fosse tipico della forma, mentre,
di solito, il nome originale rispecchiava la storia o il contenuto del KATA,
talvolta dando delle chiare indicazioni sullo scopo stesso dei movimenti e sulla
TAIJI KASE impegnato nel “saluto al sole”.
chiave per interpretarli correttamente.
Questo maestro giapponese, allievo di
Nota: i disegni nel riquadro mostrano alcune tecniche viste da un’angolazione GIGO FUNAKOSHI e KAMIKAZE
laterale rispetto alla direzione iniziale del KATA. mancato per caso, è stato uno dei maggiori
divulgatori dello SHOTOKAN in Europa.
NISEISHI (NIJUSHIHO)
La storia di questo KATA si può far risalire al XVII secolo, quando fu introdotto
ad Okinawa da un maestro cinese, diventato cittadino del regno delle Ryu-Kyu
con il nome di KOGUSHIKU. Il nome NISEISHI è, però, specialmente legato a
quello di SEISHO ARAGAKI, tanto che, erroneamente, alcuni gliene
attribuiscono la paternità. Fu, infatti, grazie a questo celebre maestro che la forma
“ventiquattro” si diffuse maggiormente. Oggi vi sono alcuni tra gli stili più
diffusi che ne praticano versioni per lo più simili, come SHITO-RYU, CHITO-
RYU e RYUEI-RYU. Qui riportiamo il KATA insegnato nelle scuole
SHOTOKAN, detto NIJUSHIHO, importato, ben dopo il 1930, dallo SHITO- HIDETAKA NISHIYAMA, decimo DAN
RYU (linea ARAGAKI HIGAONNA MABUNI). SHOTOKAN, mentre esegue NIJUSHIHO.
PAIKU
“Tigre Bianca”, KATA del RYUEI-RYU con movimenti tipici di questo stile,
fortemente legato alle sue origini cinesi. Richiama il più celebre ANAN, forma
della stessa scuola, utilizzata spesso nelle competizioni di alto livello, ed è il
complementare di HEIKU, “Tigre Nera”. Tecnicamente, contiene una gran
varietà di armi della mano ed il suo BUNKAI presenta numerose sfumature e
alternative.
A destra, TSUGUO SAKUMOTO (RYUEI-RYU) in un passaggio di PAIKU.
Nota: i disegni nei riquadri a righe tratteggiate mostrano le tecniche viste da una
angolazione laterale rispetto alla direzione iniziale del KATA.
0 1a 1b 2a 2b 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14 15
OYADOMARI, TOGUCHI,
ITOSU
MATSUMORA ARAGAKI
MATSUMURA NO PASSAI
I disegni si riferiscono all’interpretazione del maestro McCARTHY.
CHIBANA esegue il finale del PASSAI DAI del
suo stile KOBAYASHI, abbastanza simile alla
versione di Tomari.
tenere la mente e l’interno del corpo morbidi e flessibili mentre può rendere la
parte esterna del corpo dura e forte.
lo studente avanzato, eseguendo un KATA SANCHIN estremamente evoluto,
controlla la mente ed ogni muscolo del corpo, restando tuttavia completamente
calmo e stabile in ogni posizione. È pronto perciò a subire un attacco, indifferente
a distrazioni mentali od a tentativi di squilibrarlo fisicamente. Per mezzo
dell’atteggiamento fisico, della forza e dei principi psicologici del KARATE, lo
studente raggiunge e fissa il centro dell’equilibrio fisico e mentale. Può dunque
focalizzare tutta l’energia fisica e mentale possibile in ogni movimento.
L’addestramento al SANCHIN consente allo studente di raggiungere anche una
condizione di meditazione e d’interazione armoniosa tra mente e corpo,
attraverso le quali può agire e reagire naturalmente e spontaneamente. Ci
vogliono molti anni di studio prima che uno studente possa arrivare ad un tale
livello. Una volta raggiunte, questa capacità si possono applicare a tutte le
successive tecniche di KARATE ed alla vita stessa.
Attraverso questo tranquillo e quieto stato di unità mente-corpo, si arriva a
comprendere la propria anima segreta. Si impara a distinguere tra l’ordinario “io
cosciente” ed il vero “io interiore”, centro dell’esistenza.
Per mezzo di questa perdita dell’ego, lo studente alla fine raggiunge la Addirittura il bastone per verificare
consapevolezza del suo vero essere, della sua vera natura. se è presente la giusta contrazione
durante SANCHIN.
La meta finale del KATA SANCHIN è il miglioramento mentale e
l’auto-realizzazione.>>
UECHI-RYU NO SANCHIN
Quella che illustriamo per prima in queste pagine è proprio la versione trattata nel
brano precedente. Il SANCHIN dello UECHI-RYU è rimasto fedele alla forma
cinese originale appresa dal suo fondatore e si stacca da quello praticato
attualmente dal GOJU-RYU per molti particolari tecnici, ma soprattutto per
l’utilizzo delle mani aperte, come invece lo eseguiva HIGAONNA e lo ha
tramandato il suo allievo interno KYODA, fondatore del TOON-RYU.
Bisogna dire, però, che alcuni dettagli variano da maestro a maestro. Per esempio,
il numero di doppi NUKITE (disegni 51, 54 e 57) talvolta è maggiore ( 4 o 5) e,
nel finale, dopo la posizione della gru (disegno 58) ci si volta a destra e non a
sinistra, anche se queste variazioni non influenzano il significato dei movimenti.
Nello UECHI-RYU NO SANCHIN la respirazione è sonora ma eseguita in modo UECHI-RYU NO SANCHIN eseguito dal
figlio di KANBUN UECHI, KANEI,
che un avversario non possa distinguere tra espirazioni ed inspirazioni, mentre la succeduto al padre come responsabile
posizione è meno rigida di quella del GOJU-RYU. tecnico della scuola.
GOJU-RYU NO SANCHIN
Il KATA fondamentale degli stili SHOREI insegnato da HIGAONNA fu
ulteriormente elaborato dal suo successore “esterno” CHOJUN MIYAGI,
fondatore del GOJU-RYU, ma anche da altri suoi discepoli.
MIYAGI gli diede un contenuto ancor più rivolto allo sviluppo della potenza e
della forza interiore, introducendo le mani chiuse a pugno, quasi a bloccare
l’energia raccolta grazie alla respirazione.
Le differenze tra le varie versioni riguardano anche il percorso: MIYAGI, ad
esempio, avanzava ed arretrava di tre passi senza mai cambiare direzione come
invece avviene nella forma che presentiamo nella pagina seguente.
MORIO HIGAONNA, figura
rappresentativa del GOJU-RYU,
mentre esegue SANCHIN.
Il maestro ALBERTO EVANGELISTA nel KATA SANCHIN.
EVANGELISTA, nato a Roma nel 1938, dopo aver iniziato a studiare
WADO-RYU con AUGUSTO BASILE nel 1964 ed aver conseguito
notevoli risultati sportivi, nel 1967, durante un viaggio d’istruzione a
Tokyo, conobbe il maestro GOGEN YAMAGUCHI e diventò suo
allievo. Passato sotto la guida di GONNOHYOE YAMAMOTO, nel
1970 tornò in Italia e iniziò la diffusione del GOJU-RYU a cominciare
da Roma. Fece parte della nazionale italiana che partecipò al primo
campionato del mondo di KARATE, ed è stato, per molti anni, il più
alto in grado per il GOJU-RYU in tutta Europa.
SANSEIRU
1 2 3a 3b 3c 3d 4a 4b 4c 5a 5b
6 7a 7b 7c 7d 8a 8b 9a 9b
KOSHIKI NO USEISHI
La versione TOMARI-TE che riportiamo contiene movimenti tratti dallo stile NAGAMINE mentre dimostra il
particolare “colpo di becco”
“dell’Ubriaco”, mentre i calci utilizzano la punta delle dita. contenuto in USEISHI.
Nota: i disegni nei riquadri rappresentano tecniche osservate dal retro
dell’esecutore rispetto a com’è posto in figura 0.
GOJUSHIHO SHO
Dei due KATA GOJUSHIHO dello SHOTOKAN, ne presentiamo la versione
SHO (per la verità, i nomignoli SHO e DAI vengono, talvolta, invertiti tra le
forme, come nel caso di KANAZAWA e NAKAYAMA, che vediamo impegnato
proprio in GOJUSHIHO SHO nella fotografia qui a destra).
0 1a 1b 2a 2b 3a 3b 4
5/6 7 8 9 10/11 12 13
14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
28b 28c 29 30 31 32 33 34 35 36
37 38 39 40 41 42 43 44 45
56a 56b 57 58 59 60 61 62 63
28b 28c 58 59 60 61
WANDUAN
Fino ad alcuni anni fa, questo KATA era annoverato tra quelli “perduti”, dei
quali, cioè, si è interrotta la trasmissione tecnica ed è restato solo il nome. Invece
WANDUAN, chiamato anche WANDOH, ha continuato ad essere praticato nella
zona di Tomari da un ristretto gruppo di esperti.
Oltre ad esserne “ritrovata” la versione okinawense, se ne è rintracciata anche la
forma originale cinese (HUANG KUANG TSOU) dalla quale si stacca molto
poco.
Rispetto al KATA di Okinawa, il TAO antico insiste molto sui concetti relativi
all’uso dell’energia interna (CHI o KI), legandoli ad una respirazione sofisticata
che permette di indirizzarla verso i punti del corpo più opportuni, per esaltare
l’effetto delle tecniche di attacco e di difesa.
La versione cinese della tecnica 2b
di WANDUAN, qui eseguita da un
allievo del maestro GRAHAM,
AHNAN TOMARITE SOCIETY.
Alcuni movimenti visti dalla prospettiva opposta:
Sempre eseguite da allievi dell’AHNAN TOMARITE SOCIETY, le mosse della HUANG KUANG TSOU equivalenti ai disegni 10/17 e 50, a
sinistra, mentre nelle tre foto a destra vediamo i passaggi dei disegni 24, 39 e 49 confrontati con un’altra versione d’Okinawa e con la cinese.
WANKAN
Anche “corona di re”, come tante altre, è una forma che è stata praticata per
lungo tempo a Tomari, prima di entrare a far parte del vasto repertorio dello
SHORIN-RYU. Attualmente viene praticato da poche scuole d’Okinawa e dagli
stili giapponesi SHITO-RYU e SHOTOKAN. Si presenta sotto più versioni,
alcune così semplificate da farne uno dei KATA più brevi.
KOSHIKI NO WANKAN
La versione più antica, che illustriamo qui sotto, mostra chiaramente le sue
origini cinesi, legate al sistema della “tigre bianca”, stile sviluppato da uno dei
monaci scampati alla distruzione, avvenuta nel 1760, del tempio SHAOLIN del
Fukien, una delle principali fucine delle arti marziali orientali. Può essere
interessante notare che questo maestro (FUNG DOE DOC DOA JUNG) è anche NAGAMINE mentre dimostra il
tra i cinque fondatori di quello che è oggi conosciuto come WING CHUN, uno WANKAN della sua scuola
MATSUBAYASHI-RYU.
degli stili più efficaci di KUNG FU, anche se il merito della sua creazione è
attribuita soprattutto alla monaca NG MUI. Le basi della Tigre Bianca e del
WING CHUN ricordano molto quelle dello stile cosiddetto di MATSUMURA.
HERBERT HAß impegnato in un
passaggio del MATSUKASE dello
SHITO-RYU, versione di WANKAN
molto simile all’antica.
WANSHU
Come tanti altri, questo KATA, tramandato per secoli nel TOMARI-TE e passato
nello SHURI-TE solo verso la fine del 1800, dimostra l’importanza che il primo
stile ebbe nello sviluppo dello SHORIN-RYU.
Gli scambi tra questi due modi d’interpretare il TO-DE furono sempre numerosi,
ma, in particolare, ebbero un enorme incremento nella seconda metà del secolo
XIX, portandoli, in pochi decenni, a confluire nella corrente SHORIN. In seguito,
poiché la maggioranza dei maestri proveniva dallo SHURI-TE, vi fu la tendenza
a sottovalutare e, talvolta, persino a denigrare, il valore del TOMARI-TE,
accusato di infarcire i KATA di fronzoli e particolari superflui. In realtà dietro
questi “fronzoli” vi erano le tecniche dell’antico TI Okinawense e del primo
TO-DE, con tutto il bagaglio di TUITE e KYUSHO-JUTSU che questo
comportava e che molti di quei maestri ignoravano, ma forse già da queste
critiche si poteva prevedere la nascita del KARATE “moderno”, forse più fisico
ed essenziale, ma senz’altro più povero di reali contenuti tecnici.
Oggigiorno, sono molte le scuole di Okinawa che praticano i diversi tipi di
WANSHU ed alcune di queste sono anche specializzate nel TI e nel KOBUDO,
come la scuola BUGEIKAN, fondata da SEITOKU HIGA, il cui KARATE
deriva dal TOMARI-TE di OYADOMARI e che fu allievo del maestro di TI
KISHIMOTO e dei migliori insegnanti di KOBUDO.
KOSHIKI NO WANSHU
L’antica versione che presentiamo mostra tecniche di originale provenienza
TOMARI-TE, unite ad altre più tipiche dello SHURI-TE. Sono interessanti i
KAKUSHI ZUKI o pugni “nascosti” (figure 9/10 e 14/15), l’uso del “mezzo
pugno” o, in alcune scuole, del palmo (figura 20) e l’alternanza quasi continua di
posizioni basse ed alte.
Nota: i disegni nei riquadri rappresentano tecniche osservate dalla destra FUNAKOSHI mentre esegue WANSHU, il
dell’esecutore rispetto a com’è posto in figura 1/2. futuro ENPI. La sua versione non si stacca
molto dalle altre dello SHURI-TE, ma mostra
alcuni particolari non ancora “SHOTOKAN”.
KOSHIKI NO WANSHU (FINALE ALTERNATIVO)
Esistono alcune versioni di WANSHU, legate alla più pura trasmissione del
TOMARI-TE ed insegnate in stili come ISSHIN-RYU e RYUKYU KENPO, che,
pur contenendo le caratteristiche proprie della forma appena mostrata, si
distinguono per una parte finale molto più ricca ed estesa. In particolare, le
interpretazioni di scuola SHURI-TE si limitano a terminare, dopo la tipica
proiezione, con una coppia di SHUTO UKE. I disegni che seguono presentano
questo finale alternativo o, come sarebbe meglio dire, integrativo, da sostituirsi
nel KATA illustrato sopra dalla figura 35.
Nota: i movimenti 36 e 40 in KAKE UKE sono in realtà preceduti da una rapida
GEDAN SHUTO UKE eseguita durante lo spostamento. Nelle immagini seguenti
mostriamo questo gesto da un’angolazione diversa (tre quarti da dietro):
35 gesto preparatorio al 36
1) OMOTE WAZA
L’applicazione diretta dell’apparenza esteriore di ogni movimento si rifà al
rispetto della nomenclatura tecnica che già abbiamo utilizzato nel capitolo
riservato al KIHON: un OI-TSUKI è un OI-TSUKI, una GEDAN BARAI è
una GEDAN BARAI e così via... Di solito, a questo livello, la maggioranza di
tecniche applicate sono attacchi diretti (ATEMI WAZA) come pugni, calci e
percosse. Si dice allora che esse rappresentano le tecniche GOHO (di stile OMOTE WAZA: FUNAKOSHI, in un
duro) del KARATE. suo libro, mostra il primo OI ZUKI del
suo HEIAN SHODAN.
2) URA WAZA
L’interpretazione dei movimenti di un KATA, al livello inverso o interno, si
orienta maggiormente verso soluzioni quali leve articolari, proiezioni e
strangolamenti. Queste tecniche sono le JUHO (di stile morbido).
3) KAKUSHI WAZA
A questo livello si studiano tecniche appartenenti ad entrambi i tipi
d’applicazione, con un risultato detto GOJUHO (di stile duro-morbido). URA WAZA: il movimento di OI ZUKI
usato da FUNAKOSHI come sgambetto.
4) HENKA WAZA
Le tecniche dei KATA, apparentemente nate esclusivamente per la lotta
disarmata, si possono interpretare anche utilizzando armi come il bastone
lungo (BO), la spada (vera o di legno, KATANA o BOKKEN), SAI,
NUNCHAKU ed altre, appartenenti al KOBUDO tradizionale di Okinawa.
Queste tecniche sono dette BUKIHO (di stile d’armi).
5) SUTEMI WAZA
KAKUSHI WAZA: non cambia la
Questo, che è il più alto livello del BUNKAI, include le tecniche di tutti i sostanza del gesto di OI ZUKI anche se
livelli precedenti utilizzate come “tecniche di sacrificio”, ad esempio per qui FUNAKOSHI mette insieme una
sfruttare al massimo una situazione del tipo peggiore in un combattimento. presa al polso ed una tecnica ad arpione.
Questo livello, ovviamente, è il più difficile da comprendere e richiede la
perfetta conoscenza dei precedenti tipi d’applicazione.
A qualsiasi livello, ogni BUNKAI prevede uno o, ben raramente, più avversari,
pressoché mai armati.
Appare evidente come le combinazioni sono in pratica infinite: tecniche
apparentemente identiche in diversi KATA sono capaci di nascondere
interpretazioni differenti, mentre ogni singolo movimento di una forma può HENKA WAZA: SHIMABUKU mostra
racchiudere molte risposte a più attacchi. OI ZUKI eseguito con il SAI, tratto dal
La complessità del BUNKAI è la ragione per la quale solo un grande maestro, KUSHANKU SAI del suo ISSHI-RYU.
spesso il fondatore di uno stile o di una scuola, è in grado di creare un nuovo
KATA o anche semplicemente di modificarne uno antico nel contenuto o
nell’apparenza.
Considerando un KATA unicamente come una “serie preordinata di tecniche che
il KARATEKA compie in assolo” (la prima definizione con cui lo si definisce)
non si capirebbe perché qualsiasi adepto, abbastanza esperto e creativo, non possa
inventarne in gran numero: in fondo si tratterebbe di unire sequenze di tecniche
prese dai diversi tipi di KUMITE o da qualche forma preesistente,
armonizzandole tra loro grazie ad opportuni spostamenti e rotazioni, magari
(1)
aggiungendo qualche spettacolare e atletico passaggio(1). In realtà questo succede già nei
tornei ufficiali di molte federazioni,
Se il BUNKAI fosse unicamente quello di tipo OMOTE, una presunzione del dove sono ammessi o anche richiesti
genere sarebbe perfettamente legittima, ma non è così: ogni singolo passaggio di KATA “liberi”, di propria creazione,
un KATA non ha mai un solo BUNKAI che lo spieghi in modo definitivo. negli spareggi o nelle finali, o
KATA “musicali”, dove un atleta
Prendiamo ad esempio i NAIANCHI: in essi vi si ritrovano tutti i vari modi
(oppure tre in sincrono) eseguono
d’interpretazione, in particolare OMOTE WAZA (se s’immagina una situazione una forma di loro composizione,
dinamica di combattimento contro più avversari, con parate, spostamenti e farcita di salti acrobatici e tecniche
contrattacchi adatti alla bisogna) e KAKUSHI WAZA (rivolto, invece, a spettacolari, a tempo di musica.
Domanda: ma non esiste già la
suggerirci una quantità di risposte ad attacchi diretti da parte di una sola persona ginnastica a “corpo libero” per
che ci minaccia, afferra o tenta di colpire, come può capitare nelle normali questo tipo di “sport-spettacolo”?
situazioni studiate dalla difesa personale).
Quest’ultimo tipo di BUNKAI è, per di più, applicabile a parti del KATA non
necessariamente sequenziali, cioè, immaginando di numerare ogni singolo
movimento del NAIANCHI SHODAN, la combinazione delle tecniche 6 e 7
porta a certe soluzioni, ma la serie 6, 7, 8 e 9 ha un’altra chiave di lettura, e la
singola mossa 9 da sola un’altra ancora, come pure se la consideriamo insieme a
quella seguente... del resto, letteralmente, il termine BUNKAI si traduce con
“scomporre”, “smontare”, dove il KANJI BUN sta per “parte” e KAI per
“spiegazione”, quindi KATA BUNKAI vuol dire proprio fare a pezzi e
ricomporre più volte un KATA, per riuscire ad analizzare e spiegare tutte le
sequenze che vi si possono ricavare. È comprensibile, allora, la definizione di
KATA come espressione dell’intera esperienza del suo creatore, frutto di
un’analisi complessa e, talvolta, durata tutta una vita, ed allo stesso modo risulta
I KANJI del termine BUNKAI.
evidente perché, per comprenderne le infinite sfumature, nascoste anche nelle
forme reputate più semplici e trasparenti, si debba applicare uno studio attento e
molto approfondito, poiché non basta assolutamente la sola pratica, per quanto
seria e coscienziosa, se non sappiamo esattamente quello che stiamo facendo e
perché.
Riprendiamo quello che abbiamo letto nell’articolo di RICK CLARK “Il muro
del silenzio...”, riportato prima, quando viene citato FUNAKOSHI: “Se vi
limitate solamente a muovere le mani ed i piedi ed a saltare su e giù come
burattini, allora lo studio del KARATE non è molto diverso da quello della
danza. Non arriverete mai al cuore della materia ed avrete mancato di
comprendere la quintessenza del KARATE-DO”.
FUNAKOSHI credeva (scrive CLARK, ma noi sosterremmo che lo sapeva
benissimo...) al principio per cui i veri segreti del KARATE erano da trovarsi nei
vari KATA: “Esaminando i tanti KATA praticati, uno studente dovrebbe esser
capace di vedere che molti sono per lo più variazioni di pochi. Se veramente
capisci una singola tecnica, hai bisogno di osservare solo le forme e distinguere i
punti essenziali delle altre”.
CLARK così conclude: “Afferrare l’essenza del KARATE-DO è una meta
sfuggente raggiunta solo da pochi. Prendete come consigliere chi ha davvero
compreso i KATA perché vi punti nella direzione corretta”.
Aggiungiamo ancora questo: siamo certi che solo attraverso un attento e obiettivo
confronto tra le diverse interpretazioni di una stessa forma si possa comprendere
completamente ciò che il suo creatore e chi, dopo di lui, lo ha rivisitato volevano
trasmetterci.
Alla luce di quanto detto finora, invitiamo ancora tutti gli appassionati a ricercare
le verità celate nei KATA, i “tesori infiniti” del KARATE-DO, senza rinchiudersi
ottusamente entro il proprio stile e la propria scuola.
IL SIGNIFICATO DEI MOVIMENTI NEI KATA.
Se domandate ad un maestro di KARATE dov’è contenuta la conoscenza tecnica
del suo stile, egli vi risponderà: “Nei KATA della mia scuola”... o per lo meno
dovrebbe, dato che molte cose sono cambiate rispetto al passato, specialmente
dopo l’avvento del KARATE sportivo e la crescente “separazione delle carriere”
tra chi gareggia nel KUMITE e chi lo fa nei KATA.
Anche se tutte le scuole di KARATE continuano ad affermare che i KATA sono
il cuore della loro pratica, per la maggioranza di esse, soprattutto se d’indirizzo
sportivo, eseguirli è diventato quasi un rito, una tradizione svuotata dai significati
originali, per il fatto che nessuno capisce veramente cosa trasmettono queste
forme, mentre tutti continuano a seguire le interpretazioni (BUNKAI) “ufficiali”
senza discuterle, anche quando sono grossolane o persino ridicole.
Ovvio che così un allievo perda considerazione nei KATA, persino se li pratica
volentieri e con passione per le gare o no, dato che ormai non può fare a meno di
considerarli una sorta di esercizio aerobico, esteticamente bello e ricco di quel
fascino esotico che non guasta...
Fig. 4
Dai NAIANCHI (TEKKI) prendiamo come sequenza d’esempio una serie di
tecniche comuni a tutti e tre i KATA e pressoché identiche in tutti gli stili, se non
per qualche particolare proprio legato al BUNKAI.
Nella nostra descrizione dello SHODAN, le mosse sono la 5, 6, 7, 8 e la 9
(tralasciamo la 8a, presente nei soli TEKKI, perché è un’aggiunta recente). Il
BUNKAI OMOTE più tradizionale (fig. 5) prevede una GEDAN BARAI su di
un attacco medio/basso di calcio destro, seguita da un KAGI ZUKI che colpisce
l’avversario mentre appoggia il piede al suolo.
A questo livello, il movimento 8 rappresenta solo uno spostamento verso sinistra
per meglio fronteggiare un altro antagonista.
Questi, nel momento in cui stiamo ultimando il movimento, ci attacca con uno
TSUKI sinistro che pariamo con UCHI UDE UKE destra.
La sequenza appena vista, che in questo BUNKAI proseguirebbe ancora sempre
contro l’ultimo avversario, appare completamente differente, nei concetti e nei
contenuti, secondo un BUNKAI KAKUSHI (fig. 6).
In comune le due applicazioni hanno solo il movimento di parata iniziale, che
qui, però, è la risposta ad un attacco di pugno sinistro (Nota: per comodità, nella
figura abbiamo riportato la prima tecnica come appare nell’analoga sequenza
delle forme NIDAN e SANDAN, con KAKE UKE al posto di GEDAN BARAI,
poiché la sostanza non varia).
Un po’ come nell’interpretazione di tipo URA del PIN-AN NIDAN, il ritorno in
HIKITE del pugno sinistro indica una nostra presa al polso dell’avversario e la
conseguente rotazione del suo braccio, in modo da esporre lo stesso ad un attacco
di NAKADAKA IPPON KEN, da portarsi contro alcuni punti di pressione situati
lungo la parte centrale del tricipite (TR 11 e 12).
Il “passo” del movimento 8 non è altro che un attacco portato con il nostro piede
destro contro al ginocchio sinistro dell’antagonista, cosa che lo costringe a
chinarsi, scoprendosi, in questo modo, ad un ultimo e risolutivo ATEMI lanciato
con il rovescio del pugno verso altri KYUSHO posti sul lato della testa (TR 17,
IT 17 o GO 20, secondo la posizione di questa al momento di essere colpita).
Da notare, in questo BUNKAI, l’uso di entrambe le mani nelle tecniche, senza
“ritorni al fianco” a vuoto, spesso ingiustificati in una reale situazione di
combattimento.
Fig. 5
Fig. 6
Abbiamo notato come certi stili giapponesi si siano avviati lungo una strada che
porta solo alla ricerca della potenza e della tattica “para e contrattacca” quasi
esclusivamente perché hanno avuto come principale riferimento i BUNKAI di
tipo OMOTE.
Oggi, però, assistiamo ad un apprezzabile sforzo da parte di alcuni maestri di
SHOTOKAN-RYU, i quali tentano di approfondire i BUNKAI dei loro KATA.
Forse per seguire ciò che aveva affermato GICHIN FUNAKOSHI, “per
padroneggiare la difesa personale basta approfondire i KATA HEIAN”, uno di
I KANJI del termine OYO.
loro (TAIJI KASE) ha creato persino una sorta di “estratto” di queste cinque
forme, denominandolo HEIAN OYO, dove OYO sta per “applicato”, composto
di 25 sequenze. L’idea di base è di creare una forma adattabile alle situazioni “da
strada”, il cui BUNKAI non differisca dalle tecniche eseguite “a vuoto”. In realtà
questo tentativo tradisce proprio una scarsa conoscenza delle applicazioni meno
banali, altrimenti non sarebbe assolutamente necessario elaborare delle
variazioni, talvolta notevoli, ai movimenti dei KATA: questi contengono già il
necessario, se lo si sa cercare. Nel caso poi di quei passaggi che, a causa
dell’esasperata formalizzazione presente nello SHOTOKAN-RYU, appaiono
effettivamente privi dei livelli superiori di BUNKAI, basterebbe “voltarsi
indietro”, cioè cercare alla fonte dei PIN-AN più antichi, per capire quale fosse
l’applicazione suggerita in origine. In sostanza, con lo sviluppo di questo tipo di Fig. 7
“forme applicabili”, si ottiene solo il risultato di svuotare ancor di più il
significato dei KATA originali agli occhi dei praticanti, avallando la loro
presunta inapplicabilità.
Nelle figure dalla 7 alla 11 mostriamo il BUNKAI della sequenza iniziale del
KATA HEIAN OYO, dove, mentre l’interpretazione delle tecniche si stacca
completamente dalla classica OMOTE, diventando di tipo KAKUSHI, le stesse
restano fedeli, nella forma, a quelle che compongono l’inizio della versione
SHODAN.
La sequenza illustrata dalle figure 12, 13 e 14, appare, invece, come
un’elaborazione molto personale, non essendo presente in alcun HEIAN, anche
se le tecniche sono assimilabili a quelle contenute in queste forme. Fig. 8
Fig. 16
Fig. 17
Fig. 18 Fig. 19
LE CHIAVI PER INTERPRETARE I PASSAGGI DEI KATA.
Dei vari livelli di BUNKAI, OMOTE WAZA (le tecniche prese da un punto di
vista esteriore, apparente) e KAKUSHI WAZA (le tecniche dissimulate o
nascoste) sono quelli che, nella pratica, concorrono maggiormente a creare le basi
del KARATE.
Dal BUNKAI OMOTE deriva, infatti, la massima parte del KIHON, mentre dal
KAKUSHI si ricavano gli insegnamenti tecnici e tattici più profondi. Inoltre,
essendo molto più semplice ed immediato nelle sue applicazioni, il primo
permette ai praticanti di esercitare i KATA “visualizzando” con facilità gli
immaginari avversari, semplificando l’apprendimento dei movimenti e
l’applicazione del necessario KIME. Quando, però, si vuole comprendere l’altro
Senza le giuste chiavi interpretative, chi può
livello di BUNKAI, bisogna analizzare in dettaglio ogni singola tecnica o intere capire cosa significano realmente questi tre
sequenze dei KATA. Per poterlo fare si devono conoscere delle particolari “atteggiamenti iniziali” di altrettanti KATA
“chiavi” di lettura. Anche se ogni stile o scuola ne possiede alcune legate alle assunti da GICHIN FUNAKOSHI?
forme praticate, possiamo provare a crearne un elenco un po’ generalizzato.
Un primo gruppo di “chiavi” le possiamo ricavare considerando il tipo di
movimento richiesto dal KATA:
SPOSTAMENTO IN AVANTI - Può sottintendere una situazione offensiva
(contrattacco, proiezione, leva articolare).
SPOSTAMENTO ALL’INDIETRO - Può celare una situazione difensiva
od una prosecuzione di tecniche liberatorie.
PASSO LATERALE INCROCIATO - Può rappresentare un calcio
stampato o pressante contro il ginocchio dell’avversario (come nel KATA
NAIFANCHIN) o anche una spazzata alla caviglia (come nei KATA
KUSHANKU e PASSAI).
ROTAZIONE - Un’ampia rotazione può interpretarsi come la fase di
“lancio” di una proiezione, in particolare se termina con un movimento di
parata bassa (per lo meno in apparenza).
ROTAZIONE IN SALTO - È spesso un’aggiunta moderna in sostituzione di
una rotazione rappresentante una tecnica di proiezione o altro
(ENPI/WANSHU, MEIKYO/ROHAI, PINAN GODAN).
DIREZIONE DELLO SGUARDO - Non indica nuovi avversari, ma dove
portare l’avversario o come posizionarci noi rispetto a lui.
Per trovare altre “chiavi”, esaminiamo anche le tecniche, singole o in serie:
PARATA CON PREVENTIVO CARICAMENTO - Racchiude, nella
realtà, una sequenza completa di parata e contrattacco (come per la SHUTO
UKE e le altre parate “rivisitate”).
ATTACCO CON GLI ARTI SUPERIORI - A volte, considerandolo nella
situazione generale, un apparente attacco percussivo cela una proiezione (OI
ZUKI) o una parata (YOKO TETTSUI UCHI).
ATTACCO CON GLI ARTI INFERIORI - Una tecnica di calcio, ad
esempio MAE GERI, può essere un ampio caricamento di una potente
spazzata, mentre una ginocchiata una semplice schivata di un attacco basso,
con una contemporanea preparazione di un contrattacco mediante un calcio
stampato, nel caso che, di seguito, si posi il piede in avanti. Per i calci, molto
dipende dalla situazione tattica presa in considerazione.
SEQUENZA DI STESSI ATTACCHI O PARATE - Non sempre
rappresenta la semplice ripetizione della stessa tecnica, poiché ognuna può
assumere diversi significati, ad esempio: parata, contrattacco percussivo,
proiezione finale.
COMBINAZIONE DI ATTACCHI E PARATE - Anche in questo caso,
come nel precedente, il significato delle tecniche si può rovesciare rispetto a
quello più apparente.
HIKITE - Il gesto di “ritirare la mano” può nascondere il tirare a noi
l’avversario dopo averlo afferrato, come nella SHUTO UKE, ma anche la
parata di un suo attacco basso, compiuta colpendone l’arto.
PARTICOLARI POSIZIONI DI MANI E PIEDI - Talvolta la mano non
impegnata in un attacco, invece d’esser ritirata al fianco, è portata, aperta o
chiusa, in altre posizioni. In questo caso è possibile che indichi semplicemente
il bersaglio della nostra tecnica offensiva, ossia i punti di pressione da colpire
(WANKAN). Analogamente, alzare il piede verso il proprio ginocchio o
l’interno della coscia può mostrare dove, in realtà, dev’essere diretto il calcio
(NAIFANCHIN).
Infine, una “chiave” generica ma importante per chi studia i BUNKAI:
IL VERO CENTRO DEL KATA - È sempre il nostro avversario, a
prescindere dalle direzioni standard che si eseguono a vuoto.
Sempre il citato articolo di RICK CLARK “Il muro del silenzio...” riportava
l’ammissione del maestro SHIGERO EGAMI riguardo agli “YOI” iniziali dei
vari KATA, cioè di non conoscerne il reale significato. In effetti, egli sospettava
che sottintendessero qualche tipo di tecnica, ma nessuno dei suoi maestri gli
aveva ufficialmente insegnato quali queste fossero: GICHIN FUNAKOSHI, che
certo le conosceva, non lo aveva fatto intenzionalmente e nemmeno le aveva
trasmesse a suo figlio YOSHITAKA (detto “GIGO” e maestro diretto di
EGAMI), al quale, in ogni caso, interessava molto di più esasperare il lato
fisico/atletico del KARATE, anche nelle forme, che cercare le sfumature tecniche
dei fluidi e naturali KATA antichi.
Inevitabilmente, nel KARATE moderno, questi movimenti iniziali di “apertura”
non sono incorporati nel BUNKAI come elementi dinamici, ma, al più,
considerati semplici atteggiamenti di saluto o d’attesa (come se fosse
perfettamente logico assumere il KAMAE iniziale di JION o di WANSHU
attendendo l’attacco di un agguerrito avversario...).
In realtà questi gesti stilizzano alcune soluzioni difensive, anche raffinate: solo i
movimenti legati ai saluti rituali presenti all’inizio ed alla fine di un KATA si
possono considerare “estranei” al suo BUNKAI, nel senso che rappresentano il
distacco dalla realtà circostante ed il ritorno ad essa una volta terminata
l’esecuzione, poiché questa prevede una concentrazione assoluta da parte del
praticante. Per esempio, la classica sequenza d’apertura di KUSHANKU (fig. 19)
è un’efficace tecnica di liberazione e d’immediato contrattacco, mentre la sua
interpretazione nell’ottica della concentrazione dell’energia interna nasce solo
come un possibile sviluppo del movimento ed ha senso quando si esegue tutto il
KATA perseguendo l’obiettivo della “ricerca interiore”. Altri segmenti di KATA
da decifrare in un certo modo, sono quelli dove entrambe le braccia vengono
esplicitamente chiamate in causa.
Diciamo “esplicitamente”, perché il KARATE più antico prevede, nella quasi
totalità delle situazioni, l’uso delle mani in contemporanea, senza lasciarne una
“disoccupata” al fianco o al petto. Il movimento di “caricamento” o di
“protezione”, durante un attacco od una parata, non è per niente la norma. Fu,
infatti, il maestro ITOSU a generalizzare il gesto di HIKITE, la cui introduzione
nel TO-DE si fa risalire, per lo meno, al cinese KUSHANKU (KWANG SHANG
FU), per facilitare l’apprendimento delle forme, standardizzando i gesti di base.
Molto spesso, come si è già detto, la mano richiamata al fianco o allo stomaco
sottintende una presa ad un arto dell’avversario, con la sua conseguente trazione
per sbilanciarlo o controllarlo, quando non è persino una parata/colpendo con le
nocche. Altre volte il braccio apparentemente inutilizzato esegue, invece, la vera
tecnica offensiva, come nel caso di alcune leve. Del resto abbiamo già analizzato
alcune di queste soluzioni tecniche.
Fig. 19
Nell’applicare le “chiavi” opportune per interpretare un KATA qualsiasi, ci si
accorge subito che il suo svolgersi lungo più direzioni, addirittura otto, nel caso
di PINAN SHODAN e NIDAN, non pretende per niente d’illustrare una difesa da
più assalitori, ma dà, semplicemente, indicazioni riguardo a come posizionarsi
rispetto ad un unico avversario, tanto che, di solito, le rotazioni che collegano i
diversi assi rappresentano solo una tecnica di proiezione.
KENWA MABUNI, che fu, probabilmente, il più grande esperto di KATA di
tutti i tempi, nel suo libro “KOBO KENPO KARATEDO NYUMON” del 1938,
volle esprimere alcuni concetti su quest’argomento, che vedeva, già allora,
frainteso dal KARATE nipponico. Vediamo questi passaggi, che lasciano ben
poco spazio all’immaginazione e, soprattutto, alle solite, trite e ritrite, idee sul
reale valore marziale dei KATA, come si vede, circolanti da troppo tempo in certi
ambienti del KARATE:
<<Il significato delle direzioni presenti nei KATA non è ben compreso e spesso si
commettono errori nell’interpretarne i movimenti. In tanti casi si sente dire
“questo KATA si svolge in otto direzioni, perciò è stato ideato per combattere
otto avversari” o altre sciocchezze del genere. Ora desidererei rivolgermi
specificatamente a questo problema.
Esaminando l’ENBUSEN del PINAN NIDAN, si vede come un KATA di KARATE
si muova in tutti i sensi: avanti ed indietro, a sinistra e a destra. Interpretandolo,
però, non si devono prendere troppo alla lettera queste direzioni. Per esempio,
non si cada nella trappola di pensare che se un KATA comincia verso sinistra
allora l’avversario attacchi sempre da sinistra.
Ci sono due modi di spiegare questo movimento:
(1) Il KATA mostra una difesa contro un attacco proveniente da sinistra.
(2) Il KATA invita a girarsi a sinistra contro un attacco frontale.
Di primo acchito, entrambi sembrano buoni. Tuttavia, guardando solo al primo
punto, il significato del KATA diventa limitato, e tremendamente scarno nella sua
applicazione, mentre, in realtà, dovrebbe essere liberamente adattabile a
qualunque situazione.
Vediamo un esempio reale: tutti i KATA PINAN cominciano verso sinistra e poi
ripetono la stessa serie di tecniche a destra.
Secondo l’interpretazione (1), un avversario attacca sempre da sinistra e, mentre
il difensore lo combatte, un altro oppositore arriva alle spalle di questo,
costringendolo a voltarsi per fronteggiarlo. Questo tipo d’interpretazione è molto
irragionevole.
Considerando l’interpretazione (2), invece, i KATA PINAN mostrano come si
possa controbattere un attacco frontale spostandosi sia a sinistra sia a destra,
mettendosi nella posizione difensiva più vantaggiosa.>>
Più avanti, parlando di proiezioni e chiavi articolari, MABUNI affronta anche lo
spinoso argomento di quanto KARATE sia davvero arrivato in Giappone:
<<Il KARATE esibito a Tokio è in realtà una singola parte di un intero ben più
ampio. Il fatto che chi ha imparato il KARATE a Tokio pensi che consista solo in
attacchi di mano e calci, e che proiezioni e chiavi articolari siano solo
competenza di JU-JUTSU o JUDO, può solo attribuirsi alla mancanza di
conoscenza di quest’Arte. Sebbene si possa affermare che questa sia una KENWA MABUNI, nei suoi libri,
situazione inevitabile, perché è stata importata solo una piccola parte di mostrò spesso dei BUNKAI di
primo livello, cioè quello più ovvio,
KARATE, questo è molto triste dal punto di vista della sua divulgazione. Chi anche se in molti passaggi, come nei
pensa davvero al futuro del KARATE non dovrebbe avere una mente chiusa, due riportati in questa pagina, diede
limitandosi ad imparare solo un guscio vuoto, ma dovrebbe sforzarsi di studiare informazioni di grandissimo valore,
come sempre, però, utili solo a
l’Arte completa. I KATA di GOJU-RYU contengono molte interessanti proiezioni
quelli davvero disposti a recepirle!
e tecniche articolari che non sono state trasmesse a Tokio, ed i praticanti di quel
sistema non trascurano mai il loro studio di queste cose. >>
QUALCHE CONCLUSIONE FINALE SUL KATA BUNKAI.
Nel concludere quest’argomento non si può che rimarcarne l’estrema
complessità. Appare evidentissimo che, pur conoscendo le giuste chiavi
interpretative, non è assolutamente semplice estrapolare i tanti livelli di BUNKAI
celati nei passaggi dei KATA, anche perché, nel tempo, molti maestri ne hanno
variato tecniche e movimenti, per adattarli a teorie personali o persino alle loro
caratteristiche fisiche.
Risalire alle versioni originali o anche solo a quelle intermedie è ancora un
compito difficile, anche se ormai la conoscenza del KARATE e delle sue origini
è molto diffusa ed accessibile ai più, per lo meno in alcuni paesi. Di quasi tutti i
KATA si conoscono le principali versioni e, talvolta, perfino l’archetipo cinese,
come nel caso di ROHAI.
Studiare i corretti BUNKAI dovrebbe diventare un dovere anche per i praticanti
degli stili nipponici, i meno orientati in questo senso, i quali, chiudendosi nelle
loro scuole, sono inevitabilmente portati verso un KIHON esasperato ed un
KUMITE sempre più orientato al punto di vista sportivo.
Il KIHON basato solo su tecniche “apparenti” porta ad un impoverimento
tecnico, poiché diventa troppo distaccato dalla realtà della difesa personale e, al
tempo stesso, troppo ancorato alle “regole” della competizione sportiva,
fortemente limitanti le infinite sfumature dell’Arte.
Tutto questo conduce i praticanti sempre di più ad un’improvvisazione ben poco
costruttiva, piuttosto che ad un auspicabile sforzo per conoscere i veri contenuti
del KARATE, cosa che tutti gli adepti dovrebbero desiderare e perseguire,
naturalmente a partire dal raggiungimento di un certo livello psico-tecnico di
base.
Esiste un antico detto cinese, ON KO CHI SHIN, che invita a studiare il passato
per conoscere il futuro. Anche nella nostra Arte saremo sempre in grado di
migliorare solo conoscendone a fondo, senza pregiudizi, il passato tecnico-
storico, comprendendolo e amalgamandolo con la realtà moderna. Questo
facevano i grandi maestri che ci hanno preceduto e così pure dobbiamo fare noi.
Molto spesso, quando le tecniche e gli spostamenti sono del tutto prestabiliti,
l’esercizio si definisce YAKUSOKU KUMITE, dove YAKUSOKU significa
“promesso”. Molti maestri hanno creato serie di tecniche del genere, come
CHOKI MOTOBU, che ne realizzò dodici, e SHOSHIN NAGAMINE, che ne ha
introdotte sette nel suo MATSUBAYASHI-RYU.
Nelle tre figure un tipico esempio di “attacco parata e contrattacco”, in pratica l’applicazione del
principio GO NO SEN nel KIHON IPPON KUMITE.
BUNKAI KUMITE - Combattimento basato sulle applicazioni delle
sequenze dei KATA.
Con questo termine si indica esplicitamente l’allenamento a coppie delle
applicazioni tratte da un KATA.
Quest’esercizio richiama le forme di KIHON KUMITE e non prevede
l’esecuzione del KATA contro più avversari, utilizzabile principalmente come
esibizione più che come metodo d’apprendimento.
In questo tipo d’esercizio, si eseguono i BUNKAI dei varî passaggi seguendo
l’ordine dato dal KATA oppure prendendoli isolatamente o, ancora, si uniscono
più tecniche, tratte da diverse parti della forma, per analizzare nuove tattiche
difensive (ad esempio per studiare soluzioni alternative ad una sequenza
prefissata che non sta andando a buon fine).
Nel TO-DE, almeno fino alla fine del XIX secolo, questo era l’unico metodo
d’allenamento a coppie, non essendo praticato alcuno dei KUMITE che
conosciamo oggi. Quest’esercizio integrava la pratica dei KATA, insieme con CHOKI MOTOBU impegnato in un
attività di potenziamento muscolare e, secondo i maestri, con le singole tecniche BUNKAI KUMITE.
eseguite a vuoto come nell’attuale KIHON.
Naturalmente, l’insegnamento dei diversi livelli di BUNKAI seguiva un preciso
ordine temporale, legato alle caratteristiche dell’allievo. Solo a chi mostrava di
possedere determinati valori caratteriali e morali era permesso di progredire in
questo studio, mentre gli altri si dovevano fermare a conoscenze più superficiali.
In particolare erano solamente gli UCHI DESHI (allievi interni) a condividere
l’intera esperienza dei maestri, anche se i SOTO DESHI (allievi esterni) migliori
erano sempre messi in condizione di pervenire, con il tempo, a questa specie di
“illuminazione” tecnica, anche se il suo raggiungimento era possibile solo ad una
loro ferrea e corretta determinazione nella pratica, nello studio e nella ricerca.
Esistono molti casi del genere, anzi i più noti maestri del KARATE moderno
GICHIN FUNAKOSHI e alcuni suoi
sono proprio dei SOTO DESHI che hanno completato faticosamente la loro allievi mentre eseguono il BUNKAI
strada tecnico-filosofica partendo dagli insegnamenti dei loro SENSEI. Ad KUMITE di HEIAN SANDAN. Da
esempio, GICHIN FUNAKOSHI era un SOTO DESHI di ANKO ASATO, il cui notare la SHIKO DACHI al posto
della KIBA DACHI usata al giorno
allievo interno si chiamava CHOJO OGOSOKU; allo stesso modo JUHATSU d’oggi in questo stesso passaggio.
KYODA era l’UCHI DESHI di KANRYO HIGAONNA, mentre CHOJUN
MIYAGI ne era un SOTO DESHI, anche se fu il maggior continuatore del suo
NAHA-TE e, probabilmente, il massimo esempio d’adepto veramente teso alla
ricerca della “verità marziale”, eternamente in altalena tra dubbi ed intuizioni,
demoralizzazioni ed entusiasmi.
Il tipo di “educazione marziale” appresa fa sì che gli UCHI DESHI rimangano
molto più nell’ombra, legati ad una trasmissione dell’Arte meno generalizzata e
più fedele agli insegnamenti del loro maestro, al quale, del resto, non li unisce
solo una motivazione tecnica. Questo porta ad un certo conservatorismo, talvolta
non del tutto positivo. Al contrario, la continua ricerca dei migliori SOTO DESHI
li porta, volenti o nolenti, a rinnovare l’Arte, impedendole di fossilizzarsi, anche
a rischio di qualche “deviazione”…
d’analizzare tutti i passaggi dei KATA che conosce con qualche compagno
d’allenamento. Un simile lavoro va fatto avendo sempre un forte spirito critico:
l’obiettivo è ricavare delle applicazioni apprezzabili, dunque un BUNKAI poco
efficiente o, peggio, inefficace, non serve a nulla. Del resto, di questi ne abbiamo
caterve di esempi facilmente reperibili…
KUNYOSHI NO KUSHANKU
(2)
È quasi d’obbligo cominciare dal KATA più significativo degli stili SHORIN(2), Lo possiamo definire “KATA più
significativo” solo escludendo eventuali
anche perché il suo BUNKAI è di una complessità inimmaginabile. forme “segrete” o comunque riservate
Intanto, al suo interno vi troviamo tutti i gradi applicativi primari (marziale, all’addestramento finale o superiore che
terapeutico verso se stessi e terapeutico verso terzi), poi, marzialmente, si hanno fatto parte, o ancora lo fanno, del
curriculum di molti RYU, come, ad
possono estrapolare tutti e cinque i livelli di BUNKAI già citati, con numerose
esempio, HAKUTSURU.
mosse e relative contromosse e diverse tecniche alternative, utili in caso di Questo aspetto, al solito di derivazione
mancato completamento di quelle che le precedono. cinese, s’è perso negli stili moderni.
Nella versione più antica di WANSHU e più precisamente nella seconda parte, non trasmessa dai
KATA più moderni, troviamo, come già accennato inizialmente, alcune risposte ad attacchi di
calcio frontale o laterale. Nelle fotografie 1 e 2 qui sotto, dopo aver intercettato il calcio e catturato
il piede trattenendolo al fianco, il contrattacco suggerito è un colpo con la punta dell’alluce contro
l’interno della coscia. Nella terza immagine, invece, la tecnica consigliata è uno YOKO KEKOMI
o un FUMIKIRI GERI verso lo stesso bersaglio oppure contro l’interno del ginocchio. In questo
caso, infatti, la precedente difesa ci ha posto lateralmente all’avversario. Entrambe le tecniche
funzionano benissimo anche come reazione ad una presa al polso o ad un attacco di mano.
KOSHIKI NO CHINTO
Come tutte le forme archetipe, anche il BUNKAI di questo KATA presenta una
gran varietà di possibilità. In particolare, CHINTO rivela un contenuto marziale
molto denso, in pratica senza applicazioni curative, composto di tecniche spietate. Le immagini a lato mostrano una mossa
di TUITE celata in uno dei passaggi più
Nonostante questo, in linea con tutto l’antico TODE, ci sono sempre BUNKAI singolari del KATA. Qui è in risposta ad
alternativi, dove leve e proiezioni possono sostituire le mosse micidiali. una presa al polso incrociata, per altro
uno dei gesti aggressivi meno pericolosi
e più semplici da rintuzzare. In una
esplicita situazione di combattimento, si
può considerare la tecnica precedente, in
apparenza una SHUTO UKE destra,
come una finta d’attacco alla quale si fa
seguire, immediatamente, una presa con
la nostra mano sinistra al polso destro
dell’avversario, che ha istintivamente
alzato il braccio per proteggersi.
Un’altra possibilità è la presa alla testa
del nostro antagonista, sempre per
mezzo della “SHUTO UKE”, con
dislocazione del collo e proiezione al
suolo. La presa alla testa è molto usata in
CHINTO.
Un’altra serie di movimenti caratteristica di CHINTO si trova proprio all’inizio del KATA. Sotto
mostriamo un BUNKAI classico, applicabile anche contro altri tipi d’offesa. A destra (fig. A)
vediamo una tipica applicazione di 1° livello dell’analogo passaggio di GANKAKU.
ANAN, HEIKU, PAIKU
Una delle cose degne d’attenzione del RYUEI-RYU è il fatto di essere stato, per
un secolo e mezzo, un tipico stile di famiglia, tramandato in assoluta segretezza.
In questo modo, i suoi KATA hanno mantenuto intatte tutte le caratteristiche dei
loro prototipi cinesi. In particolare, ANAN, HEIKU e PAIKU, oltre ad essere
molto belli da vedere ed eseguire, mostrano interessanti spunti marziali, sia
espliciti sia più nascosti, nella migliore tradizione dell’Arte Cinese.
B
PASSAI
Questo KATA, bellissimo e molto antico, fu uno dei preferiti di pressoché tutti i
maestri degli stili SHORIN, dei quali rappresenta la fluidità e l’eleganza dei gesti,
che non dovrebbero, però, mai essere disgiunte dalla loro efficacia.
Oggigiorno, purtroppo, questo non succede tanto spesso, anche se nel mondo si
moltiplicano le scuole di tutti gli stili, pure nipponici, che ritornano allo studio di
BUNKAI, TUITE JUTSU, KYUSHO JUTSU, eccetera.
I primi movimenti di PASSAI sono tra i peggio interpretati dalle scuole
moderne. Addirittura, qualche maestro di stile SHOTOKAN o WADO-
RYU, dopo il solito ridicolo “atteggiamento iniziale di guardia” (vedi
WANSHU), pensa al caratteristico balzetto in avanti come ad una semplice
“parata aumentata”. In questo modo, visto come procede, ad esempio, il
BASSAI DAI e vista la loro tipica esecuzione del KATA come lotta contro
più avversari, ci troveremmo di fronte al caso limite di un KARATEKA che
effettua otto o nove parate di seguito contro almeno due o tre avversari,
prima di tirare, finalmente, un colpo d’attacco! Per lo meno, nella figura A
vediamo un’interpretazione un po’ più aggressiva, anche se non spiega
perché l’altra mano è in quella posizione né la scelta della strana guardia…
In risposta, nelle foto a fianco mostriamo il BUNKAI di base, che, partendo
da un classico gesto minaccioso, permette il controllo completo
dell’avversario, compresa la scelta di colpirlo o meno con il ginocchio e di
trattenerlo o no durante la proiezione per procurargli ulteriori danni.
Nella parte centrale di PASSAI si trova una serie di movimenti che comprendono una complessa
gestualità e due calci verso il basso.
Abbiamo già sostenuto che la migliore applicazione di un KATA è quella che, per così dire, “concede” a
chi ci aggredisce un solo gesto d’offesa. La nostra risposta dev’essere immediata, efficace e conclusiva.
Si dice che se l’avversario ha il tempo di scagliare un secondo attacco allora la nostra tecnica non è buona
e dev’essere rivista.
Per la verità, quest’affermazione, pur valida in valore assoluto, ovviamente non esclude che, in certe
circostanze, si sia costretti a fronteggiare più attacchi consecutivi. Una cosa del genere l’abbiamo vista
parlando del gesto iniziale dei KATA del RYUEI-RYU e, con lo stesso intento di studio, la mostriamo
per queste tecniche, che, comunque, possono offrire altri spunti che rientrano nella regola citata.
Le foto 1 e 2 espongono proprio una tale situazione, dalla quale si può uscire afferrando il braccio
dell’avversario dall’esterno e schiantandogli il ginocchio con il calcio laterale, subito seguito da quello
frontale, che sfrutta l’intero peso del corpo.
Anche l’analoga serie dei KATA SHOTOKAN e WADO-RYU può essere interpretata così, pensando che
il calcio pressante della foto 4 è compreso nella rotazione “al volo” per la SHUTO UKE seguente.
ROHAI
Questo è tra i KATA più modificati in assoluto nel tempo e varia tra stile e stile al
punto da essere irriconoscibile. Ecco due passaggi tratti dalla versione antica.
SESAN
Forma di base per secoli, presenta lo stesso un BUNKAI ricco e variato. Questa è
la parte finale: da notare come l’ultimo gesto sia spesso banalizzato (foto 4 e
figura A). Più sotto un semplice ma efficace BUNKAI dei movimenti iniziali. A
USEISHI (GOJUSHIHO)
KATA tra i più antichi e significativi, USEISHI presenta molte versioni, con
differenze a volte importanti, ma sostanzialmente fedeli alla struttura originale.
L’interpretazione delle sue tecniche, però, varia profondamente tra scuola e
scuola, spesso mettendo in mostra, come al solito, approssimazione e banalità.
L’inizio di USEISHI può essere interpretato in diverse maniere. In particolare, tutte le versioni che presentano una rapida avanzata, accompagnata da
URAKEN UCHI destro e OSAE UKE sinistra, offrono due possibilità principali, che mostriamo nelle immagini qui sopra.
La tecnica nella prima fotografia deriva dal BUNKAI di primo livello ed è anche la più comune. Secondo il maestro KENJI TOKITSU (famoso
studioso e storico del KARATE) <<l’obiettivo tecnico di questa sequenza consiste nell’avvicinarsi il più possibile all’avversario per portare un colpo
di URAUCHI. In questa sequenza devono essere soddisfatte due esigenze fondamentali:
1. Avanzare rapidamente senza subire un attacco dell’avversario, in altre parole avanzare rapidamente, protetti, senza esporsi agli attacchi
dell’avversario.
2. Colpire con URA UCHI, senza presentare dei vuoti, cioè senza essere vulnerabili>>.
In seguito, TOKITSU va ben oltre, affermando che <<Utilizzando questo criterio come strumento di analisi e valutazione, se esaminate tutti i kata
che avete conosciuto fino ad ora riconoscerete una serie di movimenti nefasti: la cadenza del combattimento lontana dalla realtà, la vulnerabilità del
viso scoperto di fronte ad un eventuale attacco, la rigidità del corpo e delle tecniche in contrasto con la necessità di essere mobili>>.
Potremmo anche condividere, almeno in parte, questi concetti, se, però, tenessero conto della molteplicità del BUNKAI di ogni parte di un KATA.
Porre come postulato “questo è il vero e unico scopo di questa mossa” è un’inaccettabile limitazione tecnica.
Infatti, le foto successive mostrano come la stessa sequenza sia particolarmente efficace se interpretata come una liberazione, con chiave articolare ed
eventuale proiezione dell’avversario al suolo.
Il passaggio più caratteristico di USEISHI/GOJUSHIHO è, senza dubbio, quello che lo ha fatto soprannominare “KATA del picchio verde”, dove le
mani sembrano davvero mimare il picchiettare dell’uccello sul legno. Seppur molto stilizzata in tutti gli stili, questa sequenza offre numerosissimi
spunti marziali. Nelle immagini qui sopra, mostriamo come questi gesti possano essere utilizzati per bloccare l’avversario, afferrandolo alla testa che
viene poi sottoposta a torsione e controtorsione. Ovviamente questa tecnica è estremamente pericolosa e può avere conseguenze anche mortali.
Più semplicemente, ci si può limitare a spiegare i movimenti secondo la teoria parata-contrattacco, come si fa di solito laddove le forme non vengono
ritenute valide per l’autodifesa e si ignora il vero studio del BUNKAI. Esemplare l’applicazione di GOJUSHIHO SHO illustrata in figura A, con due
attacchi consecutivi parati con un braccio, mentre l’altro assume posizioni poco giustificabili, e contrattacco in realtà troppo lungo per le reali distanze
della difesa personale.
A
FORME DI KUMITE SEMILIBERO.
I tipi di KUMITE che abbiamo sin qui esaminato sono un ponte fra il KIHON ed
i KATA, intesi come allenamenti in singolo, ed il combattimento vero e proprio,
dove il termine JIYU esprime il concetto di libertà d’azione.
PRIMA SERIE.
Azione fissa di difesa: arretrare il piede destro in KOKUTSU DACHI, eseguire
HIDARI CHUDAN SHUTO UKE (o TSUKAMI UKE O KAKE UKE), seguita
da TSUKAMI (presa) della stessa mano sinistra al polso destro dell’attaccante.
1. Contr.: Avanti a sx il piede dx (all’esterno dell’attaccante), ZENK. D.,
MAWASHI EMPI U. dx alla gola.
Proiez.: O SOTO GARI.
Finale: HIZA KUSSU (ginocchio piegato), GYAKU Z. dx (KIAI).
2. Contr.: Avanti piede sx, ZENK. D., CHUDAN GYAKU Z. dx.
Proiez.: Afferrare i risvolti del GI, ruota verso il basso a dx.
Finale: D., GYAKU Z. dx (KIAI).
3. Contr.: Avanti piede dx, KIBA (o SANCHIN) D., RIKEN U. dx orizzontale
al viso.
Proiez.: Afferrare il GI alla spalla sx, ruota verso il basso a sx.
Finale: HIZA KUSSU, GYAKU Z. dx (KIAI).
4. Contr.: GEDAN MAWASHI GERI dx (effetto: l’avversario si piega in
avanti).
Proiez.: Presa dx al colletto dietro la testa (pollice interno), o alla nuca col
palmo, ruota a dx, testa verso il basso, polso verso l’alto.
Finale: HIZA KUSSU, GYAKU Z. dx, o FUMIKOMI GERI (KIAI).
5. Contr.: JODAN MAWASHI GERI dx (effetto: l’avversario si inclina
all’indietro).
Proiez.: HIZA KUSSU dx (o sx), SOTO SUKUI UKE all’interno del
ginocchio dx, ginocchio verso l’alto, polso verso il basso.
Finale: HIZA KUSSU, GYAKU Z. dx (KIAI).
SECONDA SERIE.
Azione fissa di difesa: arretrare il piede destro in ZENKUTSU (o NEKO ASHI)
DACHI, HIDARI CHUDAN SOTO SHOTEI UKE.
1. Contr.: TSUKAMI sx al polso dx dell’attaccante.
Proiez.: DE ASHI BARAI sx sul piede dx.
Finale: HIZA KUSSU, GYAKU Z. dx, o FUMIKOMI GERI (KIAI).
2. Contr.: TSUKAMI sx al polso dx dell’attaccante, JODAN MAWASHI GERI
dx, ritorno del piede in avanti (esterno a sx).
Proiez.: HIZA KUSSU dx, UCHI UDE UKE all’interno del ginocchio sx.
Finale: GYAKU Z. dx (KIAI).
3. Contr.: TSUKAMI sx al polso dx dell’attaccante, JODAN MAWASHI GERI
dx al mento.
Proiez.: HIZA KUSSU dx, GEDAN BARAI all’interno del ginocchio dx.
Finale: GYAKU Z. dx (KIAI).
4. Contr.: SHUTO U. sx alla gola.
Proiez.: Grande forbice con le braccia (sx alta alla gola o al viso, dx
all’interno del ginocchio dx).
Finale: GYAKU Z. dx (KIAI).
5. Contr.: TSUKAMI sx al polso dx dell’attaccante, CHUDAN GERI sx
(YOKO, USHIRO MAWASHI, GYAKU MAWASHI), lasciare il
polso dx.
Proiez.: Rotazione indietro a dx, SUTEMI, la gamba sx blocca la caviglia dx,
la gamba dx spazza l’interno del ginocchio sx (piccola forbice con le
gambe).
Finale: Completare la rotazione, finendo seduti a cavalcioni sulla schiena
dell’avversario, colpo o strangolamento.
Qui è mostrata la seconda forma della terza serie, caratterizzata dalla tecnica di SUTEMI GERI, molto efficace se eseguita di sorpresa.
Proprio per la sua particolarità, tutte le fasi di questa sequenza vanno eseguite con grande velocità e assoluta precisione tecnica.
LA STRATEGIA DELLA DIFESA
Il KARATE nasce con l’obiettivo primario dell’autodifesa, come risposta ad
un’aggressione che in ogni caso non dev’essere mai provocata intenzionalmente,
perciò l’attacco è sempre e solo legato ad una tecnica difensiva. In questo senso si
può parlare di una strategia riguardante la difesa più propriamente che di una
strategia del combattimento.
Nota: i concetti espressi in questo capitolo sono per lo più tratti dal bel libro
Qui sotto, due disegni di OSCAR RATTI,
“Aikido e la sfera dinamica”, di OSCAR RATTI e ADELE WESTBROOK con suoi appunti tecnici, raffiguranti la
(Edizioni Mediterranee), al quale rimandiamo per eventuali approfondimenti. tecnica detta KAZUSHI.
1. Percezione dell’aggressione.
2. Valutazione di questa e decisione sul tipo di tecnica da applicare.
3. Reazione, cioè applicazione della tecnica.
In queste tre fasi del processo difensivo operano alcuni fattori di diversa natura
che, per semplicità, condenseremo in soli due gruppi:
FATTORI INTERNI, che si riferiscono all’uso della mente, la quale deve guidare
il corpo dal momento iniziale della percezione dell’attacco sino a quello finale
dell’azione di risposta.
Nelle arti marziali orientali quest’ultimo gruppo viene anche definito “controllo
interiore” e la sua importanza è considerata superiore a quella del controllo fisico
inteso come semplice apprendimento di tecniche: senza di esso queste sarebbero
molto meno efficaci se non addirittura prive di significato.
Il controllo interiore nasce dalla fusione di quattro principi strategici
fondamentali:
1. PRINCIPIO DI CENTRALIZZAZIONE.
2. PRINCIPIO DI ESTENSIONE.
4. PRINCIPIO DI SFERICITÀ.
Questi sono indissolubilmente legati tra loro in una progressione nella quale ogni
principio comprende e supera i precedenti.
YIN, YANG, CHI: L’ENERGIA COSMICA.
Prima di approfondire questi quattro punti, vediamo di chiarire un poco il
concetto di CHI (KI in giapponese), termine che incontreremo più volte. Senza
addentrarci troppo nella filosofia cinese dalla quale scaturisce, partiamo dal
concetto di YIN e YANG, apparso per la prima volta nel “Libro dei Mutamenti”
scritto più di 3000 anni fa. Essi rappresentano le forze opposte ma complementari
della natura: YIN, indicato con una linea spezzata, simboleggia il femminile, il
freddo, il buio, il silenzio ed il riposo; YANG, definito da una linea intera, il
maschile, il calore, la luce, il suono e l’attività. In realtà non sono definibili
singolarmente, bensì in termini di relazione di uno con l’altro, poiché la legge
universale mostra come nulla sia assoluto e come un principio contenga e generi
quello opposto, come indica il famosissimo simbolo del TAI CHI.
In particolare, dall’unione di YANG e YIN, altrimenti passivi e immobili, si
produce una terza energia, che impregna l’universo rendendo possibile il
processo creativo: il CHI.
L’ideogramma stesso che lo rappresenta aiuta a comprenderne il concetto, poiché
è l’unione di altri due simboli: riso e vapore. Il vapore è l’aspetto meno
manifesto, l’energia intelligente (YANG) che scaturisce dal riso che cuoce
nell’acqua, l’energia inerte (YIN). L’unione di queste due energie genera, come
suggerisce l’ideogramma, l’energia suprema, il CHI.
Lo sviluppo delle arti marziali orientali ruota intorno alla consapevolezza
dell’esistenza del CHI (affrontata nel primo dei quattro principi strategici) e alla
ricerca di come controllarlo ed utilizzarlo (sviluppata negli altri tre).
CENTRALIZZAZIONE SOGGETTIVA.
Nella pratica delle arti marziali assume particolare importanza la chiarezza di
percezione dell’attacco, siccome è da questa che deriva la decisione sulla tecnica
difensiva da attuare. In particolare la chiarezza di percezione presenta due aspetti:
la consapevolezza costante dell’intero campo d’azione in cui ci si trova e la
concentrazione sul dettaglio significativo che richiede intervento.
Da quest’atteggiamento mentale deriva sempre un riscontro fisico, vale a dire
stabilità equilibrata ed agilità fluida e rilassata: un praticante d’arti marziali deve
imparare ad osservare la realtà che lo circonda con un sereno distacco,
mantenendo un’indipendenza mentale che gli permetta di prendere le decisioni
più idonee alla situazione contingente senza che questa lo coinvolga
emotivamente.
Senza questa distanza tra la nostra mente e gli eventi, questi prevarranno su di
noi, impedendoci l’utilizzo naturale ed istintivo della nostra arte.
CENTRALIZZAZIONE OGGETTIVA.
A questo punto si deve ampliare il concetto di centralizzazione per potervi
includere anche la personalità dell’aggressore. Il nostro centro addominale deve
perciò diventare, per noi, come il centro della sua stessa azione.
Dal punto di vista filosofico, un aggressore, come tale, ha perso il suo “centro” di
riferimento, lanciandosi in un atto irrazionale. L’arte marziale diviene, quindi, il
mezzo che permette non solo di neutralizzarlo, ma anche di riportarlo all’interno
della sua sfera d’equilibrio mentale.
controllo indipendente
mentale
chiarezza di visione
equilibrio stabile
Soggettiva fisica
flessibilità rilassata
Centralizzazione
mobilità ed energia
funzionale
centralizzata
Debole
ai lati Potente al
punto d’impatto
Debole oltre il
Debole al Limite esterno punto d’impatto
limite interno (molto forte)
1. Alla sorgente.
3. Ai lati dell’estensione
dell’estensione aggressiva
In ognuno di questi punti, il contatto avviene in modo estremamente coordinato
con il flusso della forza unificata dell’attacco.
È importante ottenere la centralizzazione dell’intera azione difensiva anche
quando si compie una schivata o un altro movimento evasivo. La guida
controllata è in ogni caso una fusione tra elementi interiori, psicologici, ed altri
esteriori, funzionali, sia dinamici sia fisici.
L’attacco iniziale va mantenuto in piena estensione e guidato opportunamente
sino alla fine dell’applicazione della tecnica di reazione.
PRINCIPIO DI SFERICITÀ.
Fino qui abbiamo elaborato i seguenti concetti:
3. Sia il centro sia l’energia, fusi in maniera attiva assicurano il controllo guidato
della forza unificata dell’attacco.
IL KIME.
Il verbo giapponese KIMERU, letteralmente, significa “decidere” o “stabilire”:
Eseguire una parata od un attacco con stile è senz’altro una cosa positiva, ma non
basta: perché esse non restino un semplice movimento, magari vuoto ed
inefficace, bisogna sempre applicare il KIME, la “suprema decisione”. Questo
significa eseguire una tecnica impiegando la massima potenza, la massima
velocità e la massima concentrazione: è proprio il KIME quel che rende valido KIME
l’allenamento da soli o a coppie, evitando che l’esecuzione delle tecniche sia
priva di forza reale e perciò inutile. Il senso del KIME viene talvolta frainteso,
specialmente quando lo si considera solo come l’istante di “arresto” della tecnica,
rendendo la tecnica rigida e privandola della reale capacità di trasmettere energia.
IL KIAI.
KI, letteralmente, significa “spirito”, “animo”, “intenzione” o “attenzione”,
mentre AI vuol dire “unione”, “armonia”.
Mentre il KIME si riferisce all’atteggiamento psicofisico generale, il KIAI,
“l’unione degli spiriti”, è legato all’esecuzione finale della tecnica.
Esteriormente il KIAI è il famoso “urlo” del KARATEKA o del JUDOKA ma in
realtà è qualcosa di ben più profondo. Questo grido non è altro che il prodotto
dell’emissione violenta d’aria dovuta alla contrazione istantanea dei muscoli
addominali e ventrali: l’urlo non è il KIAI, bensì l’effetto sonoro dell’emissione KIAI
istantanea d’energia che parte dall’HARA.
Con l’esercizio, la contrazione non si limita più all’HARA, ma interessa anche
tutti gli altri muscoli del corpo: è un attingere alla propria energia psicofisica, per
superare, grazie alla concentrazione, i nostri stessi limiti fisici.
In quest’ottica trovano una propria ragione d’esistere le spettacolari “prove di
forza” o SHIWARI, cioè le tecniche di rottura di tavolette, mattoni, blocchi di
ghiaccio, eccetera. Queste, nella normale pratica di palestra, possono anche
aiutarci a raggiungere un così difficile obiettivo ma oggi sono tanto abusate da
diventare deleterie all’immagine stessa del KARATE, presentandolo come una
fabbrica di bruti urlanti o di animali da circo.
IL FA JING.
Il FA JING, termine cinese che significa “trasmettere (FA) la potenza interna
(JING)”, è un modo di eseguire le tecniche che ne rappresenta il livello più
avanzato, permettendoci di trasferire tutta la nostra energia interna (KI o CHI) nel
bersaglio. Difficile tanto da spiegare quanto da comprendere, richiede,
fisicamente, l’uso di tutto il corpo in un movimento esplosivo, paragonabile a
quello, involontario, d’uno starnuto. Nel lanciare, ad esempio, un pugno, la
tecnica dovrà essere completamente priva di tensione, praticamente rilassata, fino
al momento dell’impatto. A questo punto il movimento delle anche agirà come
quello della mano di chi dà una frustata(1), Il KIAI scaturisce nell’attimo del
(1)
L’estremità di una frusta è morbida e
flessibile, ma capace, grazie ad un
contatto, poi, prima che la resistenza stessa dell’obiettivo ci possa restituire una
brusco richiamo nel preciso momento di
parte dell’energia, la mano torna subito indietro, con un moto altrettanto rapido e colpire il bersaglio, d’infliggere dure
rilassato, mettendoci in grado di portare nuovi attacchi. ferite, poiché permette a tutta l’energia
di viaggiare solamente in una direzione:
dentro l’obiettivo.
KATA ED ENERGIA PSICOFISICA. Ovviamente, starnuto e frusta sono solo
Nel KARATE esiste la possibilità di legare la ricerca dell’equilibrio psicofisico a delle immagini, che non possono
quella della perfezione tecnica mediante la pratica dei KATA. Un maestro rappresentare totalmente la tecnica. Si fa
spesso richiamo anche al concetto di
affermò che queste forme non sono altro che “ZEN in movimento”, intendendo “vibrazione” ed al fatto di abbandonarsi
che nell’esecuzione di una qualsiasi di esse, a prescindere dal suo livello di completamente al movimento, con il
difficoltà apparente, si possono trovare tutti i principî trattati in questo capitolo: corpo e la mente che lavorano assieme.
Quando gli antichi maestri affermavano
controllo interiore, respirazione, KIME, KIAI. che l’intero corpo è un’arma, non si
Così, mentre i KATA si pongono all’inizio del discorso tecnico dell’Arte, poiché riferivano, perciò, solo alle singole parti
ne racchiudono l’essenza, ancora li ritroviamo al termine della parte più sottile ed anatomiche, come mani, piedi o testa,
piuttosto suggerivano come utilizzare e
esoterica trattando di mente, spirito ed energia. trasmettere la nostra energia interna.
Per la verità, il concetto di JING è molto
più complesso. Questa “potenza interna”
nasce dal CHI, ma, per ottimizzare
questa trasformazione, si dovrebbe
padroneggiare la tecnica respiratoria,
usando la “condensazione del respiro”,
procedimento complesso che serve a
“spremere” il midollo osseo. Per motivi
di spazio, non possiamo entrare nei
particolari di questo sistema, comunque,
secondo gli esperti, il FA JING è solo
un primo livello, quello superficiale,
seguito dal DING JING, grazie al quale
la potenza è trasferita senza muovere il
corpo e dal LING KUNG JING, una
forma superiore di CHI KUNG, che
permetterebbe, addirittura, di trasferire
l’energia interna a distanza.
Alcuni maestri contemporanei stanno
indagando queste possibilità, anche se
sanno un po’ troppo di “paranormale”.
Tra questi, RICK MONEYMAKER e
altri esperti del RYUKYU KEMPO.
L’ATTEGGIAMENTO MENTALE
LO ZEN ED IL KARATE.
Dopo aver affrontato argomenti quali “centralizzazione”, “controllo” e
“concentrazione”, si può anche comprendere come mai capiti sempre più
frequentemente di sentir accomunate le arti marziali al buddismo Zen, spesso in
modo indissolubile.
Molti grandi maestri lo hanno affermano esplicitamente: MASUTATSU
OYAMA, fondatore del KYOKUSHINKAY, proclama che “il KARATE è
ZEN”, poiché, per praticarlo, si deve raggiungere uno “stato d’impassibilità detto
MU o nullità nello ZEN” attraverso il “concentrarsi sulla sincerità e sullo spirito
ZEN
unificante, dimenticando noi stessi, i nostri nemici, di vincere o di perdere”.
Partendo dagli stessi principi, il Maestro YAMAGUCHI, padre carismatico del
GOJU-RYU giapponese, era solito portare i suoi allievi tra le montagne,
intervallando a pesanti allenamenti delle lunghe meditazioni Zen e Shinto (la
religione nazionale nipponica di cui lui era sacerdote), eseguite sotto le gelide
cascate di qualche ruscello, con lo scopo dichiarato di fortificare al massimo lo
spirito.
La stessa leggenda di BODHIDARMA sembrerebbe dimostrare quanto questo
legame ZEN-KARATE sia fondato e reale: egli, conosciuto come DAMO in
cinese e DARUMA in giapponese, fu il fondatore della setta buddista CH’AN,
divenuta poi ZEN in Giappone, e creatore, nel monastero cinese di SHAO-LIN
della prima forma di lotta cinese, più tardi definita CH’UAN FA o KUNG FU
come la conosciamo in Occidente.
BODHIDARMA, del resto, proveniva dall’India, dove, prima di ricevere
l’”illuminazione”, apparteneva alla casta guerriera dei KSATRIYA e perciò
aveva praticato il VAJRAMUSHTI (pugno di diamante), antica forma di
combattimento da cui deriva l’arte marziale indiana del KALARIPAYAT
(addestramento per il campo di battaglia).
Eppure, nonostante tutte queste affermazioni, non è poi così vero che il KARATE
sia ZEN o, per lo meno, che sia assolutamente necessario seguire questa filosofia
di vita per riuscire a praticare il vero KARATE: l’applicazione del buddismo
ZEN nelle arti marziali è, in realtà un’evoluzione soprattutto nipponica e, non a
caso, i maestri appena citati sono tra i rappresentanti più caratteristici dello BOHIDARMA/DAMO/DARUMA
sviluppo del KARATE in Giappone. Ad Okinawa, l’originario TO-DE non era
mai stato troppo legato a considerazioni filosofiche che fossero meno che
pratiche, come l’approfondimento, come al solito di derivazione cinese, del CHI
(o KI), o gli studi sull’efficacia della concentrazione e della respirazione e sulla
circolazione dell’energia riferita ai punti vitali del corpo umano(1). (1)
SOKON “BUSHI” MATSUMURA,
in un documento scritto di suo pugno, si
In ogni caso, il legame tra spirito e corpo resta un punto fermo delle arti marziali
richiama alle “sette virtù dell’arte
orientali, un centro attorno al quale sono nate e si sono sviluppate nei secoli: noi marziale di cui il Santo Maestro fa
occidentali possiamo sì interpretarlo, alla luce della nostra diversa cultura, ma l’elogio”, dove questo non è altri che
non dovremmo assolutamente spezzarlo, come invece, purtroppo, abbiamo già CONFUCIO.
Il maestro ANKO ITOSU, invece,
cominciato a fare, creando aberrazioni quali il FULL-CONTACT ed il scelse di iniziare la già citata lettera del
SEMI-CONTACT. 1908, dove espone i dieci punti
Al di là di qualsiasi esasperazione, è indubbio che la meditazione sia utile per fondamentali del TO-DE, affermando
che: “Il TO-DE non nacque né dal
migliorare la propria capacità di centralizzazione e che, prima di accingersi ad Confucianesimo né dal Buddismo”.
iniziare un allenamento o un combattimento, serva a “ripulire” la mente dai
problemi quotidiani, per essere più attenti e recettivi. Molti KARATEKA la
utilizzano nei momenti precedenti le gare sportive, così come tanti atleti d’altri
sports usano il “Training Autogeno” per “caricarsi” a dovere.
In generale potremmo affermare che la meditazione, nel KARATE moderno, è
una pratica importante, anche senza dover diventare tutti buddisti. È facile
comprendere quanto conti, in una situazione di combattimento, la capacità di
concentrazione, per ottenere quello stato di “serena attenzione” che ci permetta di
raggiungere il “massimo risultato con il minimo sforzo”, come ci ha insegnato il
Maestro JIGORO KANO, fondatore del JUDO ed iniziatore di quella “via” (DO)
lungo la quale si sono incamminate tutte le “arti” (JUTSU) marziali, tra cui il
KARATE-DO.
LA MENTE E LO SPIRITO.
Molti grandi maestri ci hanno lasciato descrizioni basilari per la comprensione
del giusto atteggiamento psichico da tenere nella pratica del KARATE. Il
Maestro GICHIN FUNAKOSHI spiegava il significato dell’ideogramma KARA
(vuoto) avvicinandolo molto al MU già citato: “Come la levigata superficie di
uno specchio riflette qualsiasi cosa le stia davanti ed una quieta valle riecheggia
anche i più lievi suoni, così il KARATEKA deve svuotare la sua mente
dall’egoismo e dalle debolezze, nello sforzo di interagire adeguatamente con la
realtà che lo circonda”.
Analogamente il Maestro NISHIYAMA riprende due antiche metafore: MIZU
NO KOKORO e TSUKI NO KOKORO.
La prima significa “lo spirito come l’acqua”: “Lo spirito dev’essere come l’acqua
calma di uno stagno che riflette, senza deformarli, gli oggetti. Deve, in altre
parole, essere libero da ogni pensiero, da qualsiasi preoccupazione d’attacco o di
difesa, libero da aggressività o paura: solo in tal modo esso potrà percepire
istantaneamente le intenzioni di un avversario ed agire di conseguenza”. Se
l’acqua dello stagno invece non è calma le immagini riflesse vengono distorte;
così lo spirito turbato da pensieri e preoccupazioni non potrà avere una
percezione corretta.
La seconda metafora si può tradurre “Lo spirito come la Luna”: “Lo spirito
dev’essere come la Luna che, con la sua luce diffusa, illumina uniformemente
tutti gli oggetti”. Se, però, s’interpongono delle nubi, in pratica tutto ciò che può
turbare la mente, gli oggetti non sono più visibili come prima.
Entrambe le metafore evidenziano la necessità di svuotare la mente da ogni
pensiero, di agire inconsciamente. L’idea centrale è che essa sia in grado di
percepire e valutare il generale ed il particolare, ciò che è più lontano e ciò che è
più vicino, ma questo lo può fare solamente se è centralizzata e quindi più
protetta da ogni genere di distrazione.
GLI INSEGNAMENTI DI MIYAMOTO MUSASHI: LA VIA DELLA
SPADA E LA VIA DEL KARATE.
Volendo approfondire questo tema, per molti versi affascinante, si dovrebbero
conoscere almeno alcuni dei concetti che tanti grandi maestri, soprattutto di
spada, hanno elaborato nei secoli d’oro del BUDO, quando la pratica costante era
garanzia di sopravvivenza e la teoria nasceva direttamente da essa. Non essendo
però questo un trattato specifico, ci limiteremo a chiamarne in causa uno solo:
MIYAMOTO MUSASHI, probabilmente il più grande e famoso maestro
nipponico di KEN JUTSU. Vissuto a cavallo del 1600, prese parte ad una
settantina di combattimenti, spesso contro più avversari, rimanendo sempre
imbattuto.
Fondò, inoltre, la scuola NITEN ICHI RYU (due cieli, una scuola), dove
insegnava la sua caratteristica tecnica di scherma con due spade: una lunga
(TACHI o KATANA), impugnata con la mano destra e destinata a colpire di
taglio, ed una corta (WAKIZASHI), usata per affondi di punta.
All’età di sessant’anni si ritirò in una grotta, dove, vivendo in povertà ed
applicandosi alla meditazione, scrisse un testo divenuto basilare per le arti
marziali: GORIN NO SHO, il libro dei cinque anelli.
In esso, trattando della strategia (HENJO) MUSASHI s’ispira a cinque elementi MIYAMOTO MUSASHI
naturali: terra, acqua, fuoco, vento e vuoto. (1584-1645)
Elemento Strategia
In generale MUSASHI afferma che “tutto segue uno HYOSHI (ritmo o cadenza)
ben determinato”, e che “conoscendo il ritmo del proprio avversario potremo
adottarne un’altro che lo sconcerti e così sconfiggerlo”. Per fare questo “la mente
deve restare distaccata, fredda: non dev’essere soffocata dal corpo, così come il
corpo non dev’essere bloccato dalla mente”. Inoltre “non basta guardare, bisogna
saper percepire ed intuire: percepire è più importante che vedere”, si deve
“percepire anche quello che non si vede”.
LA CADENZA NELLA STRATEGIA DELLA DIFESA.
Parlando di KIHON IPPON KUMITE, si è fatto cenno a tre principi di base dai
quali si possono sviluppare tutte le strategie della difesa:
GO NO SEN - Parata e conseguente contrattacco.
SEN NO SEN - Parata e contrattacco simultanei.
SEN - Attacco d’anticipo.
A questo proposito è interessante conoscere come il maestro KENJI TOKITSU,
partendo da questi, abbia ancora approfondito il concetto di cadenza o ritmo,
elaborando un’interessante analisi del processo evolutivo del passaggio da parata
a contrattacco esposta nel suo libro “Lo Zen e la Via del Karate”:
KENJI TOKITSU, residente a Parigi, fu
allievo di KASE, dal quale apprese lo
1. Ton-ton-ton - Il primo ton è l’attacco dell’avversario, il secondo il bloccaggio stile SHOTOKAN. Insoddisfatto, cercò di
ed il terzo il contrattacco. Questo è il ritmo più rudimentale nella difesa e risalire allo stile originario di GICHIN
FUNAKOSHI e studiò SHORIN-RYU. In
contrattacco. È difficile avere la meglio sull’avversario, perché la difesa e
seguito imparò il TAI CHI CHUAN (stile
l’attacco costituiscono due momenti indipendenti e separati; in ogni caso da CHEN e stile “di sintesi”) ed il CHI
questi deve cominciare l’apprendimento. KUNG. Nel 1986 fondò una sua scuola
che chiamò SHAOLIN MON KARATE
DO. Autore di numerosi libri e articoli e
2. Ton-toton - Il primo ton è l’attacco, il toton che segue esprime il bloccaggio e stimato storico e ricercatore delle arti
il contrattacco ravvicinati ma le cadenze di chi attacca e di chi si difende sono marziali, pratica anche stili cinesi come
separate: si contrattacca immediatamente dopo il bloccaggio che interviene BA-GUA e XING YI.
Queste cinque fasi sono legate dall’autore alle idee di MAAI (distanza, intesa
come espressione dei rispettivi movimenti d’avvicinamento e d’allontanamento
tra persone od oggetti), di HYOSHI (ritmo che scaturisce dalle mosse dei
contendenti durante un combattimento) e di YOMI (l’intuizione, la capacità di
“leggere” nell’avversario, anticipando le sue intenzioni), le prime due non
separabili dalla terza che le unisce tra loro.
L’ENERGIA PSICOFISICA NELLA PRATICA.
Notiamo come ogni ricerca sulla strategia del combattimento, non appena si fa
più profonda, arriva inevitabilmente ad affrontare una dimensione diversa
dall’usuale, dove i concetti di spazio e tempo devono essere completati dalla sfera
psichica, dall’intuito, dalla coscienza di sé e di quello che ci circonda.
Ad un allievo, anche se già ben avviato lungo la Via, tutto questo può sembrare
un di più, esageratamente profondo ed esoterico, troppo al di fuori delle proprie
possibilità e necessità, trovandosi già faticosamente alle prese con l’assimilazione
di tecniche, forme e quant’altro riguardi il lato “fisico” dell’Arte. Eppure, proprio
i tradizionali metodi d’addestramento, anche se non in maniera esplicita,
contengono il necessario per entrare nelle dimensioni di MAAI, HYOSHI e
YOMI, per comprendere il significato di centralizzazione e di estensione e per
incanalare l’energia psicofisica.
Solamente individuando la sfera psico-fisica nella sua interezza come obiettivo
principale degli esercizi i progressi degli allievi saranno più rapidi e apparirà loro
perfettamente focalizzata l’unità tra l’aspetto fisico e quello mentale del
KARATE.
Ad esempio la pratica del KIHON aiuta a sviluppare il KIME in ogni tecnica ed
a comprendere l’uso del KIAI. Il corretto approccio con i KATA permette di
approfondirli ulteriormente, apprendendo anche il concetto di HYOSHI rispetto a
se stessi, mentre le diverse forme di KUMITE lo aprono anche verso
l’avversario, introducendo l’idea di MAAI e facendo nascere quella di YOMI.
Alla fine, cercando di esplorare anche i lati più spirituali e nascosti, siamo tornati
là dove eravamo partiti, ossia dalle tre “K” del KARATE:
APPENDICE 1
KARATE DI OKINAWA:
UNA STORIA DI UOMINI E DI STILI
Il KARATE nasce dalla cultura marziale orientale, cresce al suo interno e si
evolve, fino ai giorni nostri, senza mai recidere le sue radici, affondate soprattutto
nelle tradizioni cinesi, legate alle filosofie taoista e buddista.
Per questa ragione è necessario risalire indietro nel tempo e negli stili per
comprendere la sua storia e la sua stessa essenza tecnica.
REKI SHI, la “Storia”
LE ORIGINI.
L’arte del combattimento è antica quanto l’uomo. Nel momento stesso in cui egli
cominciò a tramandare, insegnandola, la propria abilità nella caccia e nella lotta
fu creato il primo “stile” e nacque la “teoria” come importante sostegno
all’esperienza ed alla pratica. Allo stesso tempo, probabilmente, fu composto
anche il primo KATA, compendio delle tecniche e dei movimenti essenziali,
appiglio mnemonico insuperabile per chi doveva apprenderli per la propria
sopravvivenza e per quella della tribù. Dopo di allora, storia e leggende parlano
spesso di tipi di lotta praticati da guerrieri d’ogni razza e cultura e certamente gli
incontri tra i popoli antichi, avvenissero per colpa della guerra o per motivi
commerciali e culturali, portarono anche ad influenzare i diversi metodi di
combattimento. In questo testo sarebbe eccessivo cercare di ricostruire a fondo i
legami più antichi tra gli stili di combattimento. Per praticità, partiamo dal
momento in cui le tecniche marziali cinesi si evolsero ad un livello superiore per
l’impulso dato, secondo la leggenda, dal mitico BODHIDARMA, il monaco
indiano 28 patriarca della setta “DHYANA” (pura meditazione). Egli, dopo un
infruttuoso incontro teologico con l’imperatore cinese, si ritirò nel tempio di
SHAOLIN (piccola o giovane foresta), dove in seguito creò la setta buddista
CH’AN (ZEN). Allo scopo di fortificare i monaci, insegnò loro un tipo d'esercizi
marziali che ben conosceva, provenendo da una casta guerriera. Da allora il
BODHIDARMA, DARUMA in giapponese.
tempio divenne la fucina dei principali stili marziali, dai quali derivarono, quasi
direttamente, tutti quelli attuali, tra cui lo stesso KARATE d’Okinawa.
Chissà se questo sottile filo conduttore India/Cina possa invece essere davvero
Grecia/India/Cina, considerando gli influssi occidentali sull’arte della lotta
indiana che risalirebbero ad Alessandro Magno, come affermano gli attuali
ricercatori/ricreatori dell’antico PANCRAZIO e degli altri stili di combattimento
tipici della cultura greco-latina. Dopo il sistema originario, detto dei “18
Monaci”, si sviluppò quello dei “Cinque Animali”, poi il metodo dei “Cinque
Ancestrali” ed ancora quello detto “Pugno del Sud”. All’interno di questi sistemi
emersero numerosi stili, tra i quali ricoprì una notevole importanza, riguardo alla
nostra ricostruzione storica, quello della “Gru Bianca” (PAI HAO Q’UAN o HE
Q’UAN, HAKUTSURU in giapponese), poiché influenzò pesantemente tutta
l’arte marziale d’Okinawa. Ma adesso, per continuare la nostra storia, conviene
trasferirci proprio su questa piccola isola dell’estremo oriente. Il tempio di SHAOLIN, com’è oggi.
JANA OYAKATA
Personaggio storico (scritto anche JANNA, ZANNA o ZANA), letterato e
guerriero, primo ministro (OYAKATA indica un’alta carica pubblica) del re SHO
NEI al tempo dell’invasione SATSUMA del 1609. Dopo la sconfitta, fu lui a
condurre le trattative di pace con i giapponesi. Qualche tempo dopo, insieme ad
altri due compatrioti, fu accusato di ribellione dai nipponici, arrestato e condotto
a Kagoshima, Giappone, dove venne condannato a morte. Prima dell’esecuzione,
in spregio della morte e dei suoi carnefici, JANA eseguì un KATA a mani nude.
Questo è il primo riferimento conosciuto al TE d’Okinawa. Della morte di JANA
e dei suoi compagni esistono più versioni. Una narra che i tre fossero in missione Il simbolo di Okinawa. Secondo alcuni
diplomatica presso lo SHOGUN che non esitò a farli uccidere, forse per attestare rappresenterebbe i tre antichi regni
(Sanzan) in cui era divisa l’isola
in modo feroce la sottomissione delle Ryukyu. Un’altra descrive i tre come (Hokuzan, Chuzan, e Nanzan) e non il
patrioti fedeli al re e ribelli al giogo nipponico. Comunque, i racconti concordano supplizio di JANA OYAKATA e dei
sull’orrenda fine loro riservata: bolliti vivi! Una terza storia riporta che JANA si suoi due compagni.
gettò nel calderone trascinando con sé i due SAMURAI che lo tenevano. Oltre alla condanna a morte i nipponici
pretesero addirittura che la famiglia di
JANA cambiasse il nome in SINDA,
MATSU (HAMA) HIGA PEICHIN con il significato di “morte”. Solo dopo
Questo precursore (1647-1721), appartenente alla classe nobiliare con il titolo di molti anni poté prendere quello di
PEICHIN(1), può essere considerato, con il suo allievo TAKAHARA, il IKEMIYAGUSIKU, che infine divenne
responsabile dell’evoluzione dell’Arte da BUSHI NO TE, esclusiva delle classi OYATA. Un discendente diretto di
nobili e militari, ad OKINAWA TE. HIGA praticò sotto quattro maestri cinesi JANA è, infatti, TAIKA OYATA,
maestro di RYUKYU KENPO.
che risedettero ad Okinawa alla fine del XVII secolo: WANG JI (XIU), il monaco
JION, KOGUSHIKU (nome nel dialetto d’Okinawa), e l’ufficiale governativo
TIEN SHIN WANG. In particolare, KOGUSHIKU, un cinese emigrato per
motivi politici e poi naturalizzatosi Okinawense, fu il suo primo maestro e gli (1)
Secondo le cronache del tempo,
insegnò i KATA SESHUN (SEISAN) e NISEISHI. HIGA è anche collegato HAMA HIGA accompagnò il Re SHO
all’emissario cinese ZHANG XUE LI, presente ad Okinawa nel 1663, che, però, SHIN ed il Principe NAGO CHOGEN
potrebbe essere lo stesso KOGUSHIKU oppure TIEN SHIN WANG. HIGA è in un loro viaggio a Edo, dove ebbe
occasione di giocare a GO con l’allora
direttamente responsabile degli inizi di tutte le correnti del TO-DE, poi famoso maestro giapponese HON’INBO
denominate SHURI-TE, TOMARI-TE e NAHA-TE, basti vedere quali furono i DOSAKU il 17 aprile 1682.
suoi successori: dal suo allievo TAKAHARA i suoi insegnamenti passarono a Con il permesso del capo del clan
SAKUGAWA e da questi a MATSUMURA di SHURI, maestro di ITOSU e SATSUMA, HIDEHISA SHIMAZU,
AZATO, e ad OKUDA e MAKABE, entrambi di TOMARI; da un altro suo HIGA si esibì in KATA di TODE e
SAI-JUTSU di fronte al 4° SHOGUN
discepolo, PEICHIN ARAGAKI, l’Arte fu trasmessa a BUSHI SAKIYAMA, TOKUGAWA TSUNAYOSHI.
maestro di SHINKICHI KUNYOSHI, ed a SEISHO ARAGAKI, che insegnò a
HIGAHONNA e a molti altri maestri dell’epoca. HIGA, come tutti i maestri del
passato, fu anche esperto di KOBUDO ed esistono alcune forme di BO, TONFA
e SAI attribuite a lui.
TAKAHARA PEICHIN
Nato forse nel 1683 e morto nel 1762, visse nel villaggio di Akata Cho a Sud di
Shuri e fu un famoso astronomo e cartografo. Le sue mappe di Okinawa e delle
isole Ryukyu furono utilizzate nel 1797 dai giapponesi nei loro piani tesi a
prevenire le incombenti infiltrazioni degli occidentali; infatti, le Ryukyu erano
considerate come l’avamposto sud dell’impero. Allievo di PEICHIN MATSU
HIGA e del cinese HAI BAO, che passò da Okinawa all’inizio del ‘700, divenne
un esperto d’arti marziali cinesi e del primitivo TE. A lui è attribuito questo
concetto: “Il TODE-JUTSU è un modo di vivere, il mezzo per capire e preservare
il TODE-JUTSU è il KATA ed è per mezzo del KATA che si possono insegnare le
tecniche di combattimento reale”. Sarebbe stato il primo maestro di KANGA
SAKUGAWA, anche se su questo fatto si dovrebbero verificare meglio le date,
visto quant’è dibattuta quella di nascita di SAKUGAWA.
Due immagini attribuite a TODE SAKUGAWA. In realtà, quella di sinistra dovrebbe essere una
fotografia di suo figlio, mentre quella di destra potrebbe essere un ritratto di MATSU HIGA,
omonimo del pioniere già citato e grande esperto di KOBUDO del XIX secolo.
MATSUMURA (BUCHO) “BUSHI” SOKON
Nato (1792/6 o 1805/9) nel villaggio di Yamagawa a Shuri dalla nobile
(SHIZOKU) famiglia KIYO, come da tradizione ebbe un nome isolano (GO
UNYU BUCHO) ed uno cinese (BUSEÏ TATSU). Fu un noto calligrafo e
studioso dei classici cinesi. Fin da ragazzo apprese i fondamenti del TI, l’arte
marziale dei nobili d’Okinawa, e, raccomandato da suo padre SOFOKU, divenne
allievo di SAKUGAWA. Fu guardia del corpo ed istruttore marziale di corte per
gli ultimi tre re di Okinawa (SHO KO, che gli modificò in MATSUMURA,
villaggio del pino, il suo nome di famiglia, SHO IKU e SHO TAI), arrivando al
rango di CHIKUDON e, come loro inviato, ebbe modo di visitare la Cina ed il
Giappone. Qui, nella signoria dei SATSUMA, studiò l’arte della spada presso la
scuola JIGEN-RYU del maestro YASHICHIRO IJUIN. In Cina MATSUMURA
forse visitò il celebre tempio di SHAOLIN e fu allievo degli addetti militari
IWAH (pronuncia nipponica del nome cinese WEI BO) e di ASON. Il primo in
particolare era un esperto di HISING-I QUAN, una delle principali scuole del
nord. MATSUMURA praticò presso di lui per tutti i quindici mesi del suo primo
soggiorno cinese, intorno al 1836. Tornato ad Okinawa, modificò gli ideogrammi
del suo nome SOKON, cambiandone il significato da “discendente principale” a
“maestro dell’arte del bastone”. Questo gioco di parole, si dice, fu opera di
Due ritratti di SOKON MATSUMURA.
IWAH, che lo giudicava abilissimo con quell’arma. MATSUMURA cercò di
approfondire la sua arte per tutta la vita, incontrando esperti e studiandone gli
stili, approfondendo e personalizzando i KATA, meritandosi il soprannome di
BUSHI (guerriero) per la sua abilità nel combattimento. La sua scuola fu detta
SHURI-TE, dalla città dove insegnava. Fu partendo dalla sua visione dell’arte
marziale che i suoi allievi portarono il TO-DE alla svolta decisiva. In un
documento giunto fino a noi, il maestro trasmise il suo pensiero al discepolo
RYOSEI KUWAE. Tra l’altro vi affermò che “l’obiettivo dell’arte marziale
consiste nel dominare la violenza, nel rendere inutili i soldati, nel proteggere il
popolo, nello sviluppare la qualità della persona, nell’assicurare alla gente la
tranquillità, nel creare un’armonia tra i gruppi e poi nell’accrescere i beni della
società. Sono le sette virtù dell’arte marziale di cui il Santo Maestro (Confucio)
fa l’elogio”. È interessante notare come il suo concetto d’arte marziale fosse
legato al confucianesimo e non al buddismo come invece fu necessario fare ai
suoi eredi per inserire il KARATE nel BUDO nipponico. Morì nel 1893 o nel
1896, anche se c’è chi riporta il 1901 come data corretta, lasciando una lunga
Il rotolo (MAKIMONO) autografo lasciato
teoria di discepoli, tra cui molti diventati fondamentali nella storia del TO-DE, da MATSUMURA a RYOSEI KUWAE.
come ASATO, ITOSU, KYAN, YABU, HANASHIRO, FUNAKOSHI. Avrebbe,
però, trasmesso la sua arte completa, inclusi gli insegnamenti della “Gru Bianca”,
solo a suo nipote NABE, dando inizio ad un tipico stile “di famiglia”. Come nel
caso di SAKUGAWA, notiamo quanta confusione regni anche nelle date di
nascita e morte di MATSUMURA, non sempre per mancanza di riscontri ma, più
spesso, per il tentativo di molti di far collimare opportunamente la vita del
maestro con quella di determinati precursori e successori. Allo stesso modo non è
facile sapere quali furono esattamente i KATA che egli introdusse nel TO-DE,
poiché spesso gli si attribuisce la creazione di forme in realtà ben più antiche, e
nemmeno quali trasmise, dato che anche le scuole che si proclamano dirette eredi
dei suoi insegnamenti “di famiglia” non sempre concordano tra loro. Di
MATSUMURA si raccontano molti aneddoti, tra i quali alcuni celebrano la sua
capacità di risolvere i problemi aggirandoli con astuzia ed intelligenza, anche se,
talvolta, i suoi sistemi appaiono sconcertanti, almeno dal nostro punto di vista
occidentale e moderno. Tra gli altri racconti, sono interessanti quelli che NABE MATSUMURA, detto TANMEI,
riguardano sua moglie, che, in un ambiente marziale come quello di Okinawa, (“vecchio signore”), circa 1860-1930.
dominato dagli uomini, era descritta come un’artista marziale di grande abilità, Ereditò l’insegnamento completo dal
tanto che una fonte minore la dice figlia del celebre KUSHANKU. In realtà il suo famoso nonno, compresa la parte segreta
HAKUTSURU, cioè le tecniche della
nome era CHIRU YONAMINE ed apparteneva ad una nobile famiglia Gru Bianca, che invece non fu passata
d’Okinawa; eccelleva nel TI, l’antica arte d’autodifesa nobiliare dell’isola, e nella nemmeno agli allievi più celebri. Fedele
danza ODORI, anch’essa da sempre legata alle pratiche marziali, tanto da averne alla tradizione, NABE tenne celato il
lasciato traccia nel KATA USEISHI tramandato dal marito. Inoltre, ancor oggi si sistema di famiglia, trasmettendolo solo
tramanda una forma di HAKUTSURU detta “della moglie” in alcuni stili legati a al nipote, figlio di sua sorella, HOHAN
SOKEN.
MATSUMURA.
ASATO (AZATO) (YASUTSUNE) ANKO
Figlio di un TONICHI, una delle due più alte classi della società di Okinawa, fu
tra i maggiori esperti di KARATE della sua epoca e consulente militare del re.
Oggi, AZATO (1827 - 1906) è soprattutto ricordato come uno dei maestri di
GICHIN FUNAKOSHI, il fondatore dello stile SHOTOKAN, ma in realtà egli
trasmise la sua arte seguendo la logica dell’esoterismo, così come l’aveva a sua
volta appresa da SOKON MATSUMURA, del quale era un allievo interno. La
rigorosa applicazione della trasmissione nascosta (OKUNEN) ha fatto sì che ben
pochi sappiano il nome dell’allievo interno di AZATO, CHOJO OGOSOKU
(OSHIRO) (1889-1930) che divenne uno stimato maestro e membro della
“Associazione per la Ricerca del Tode d’Okinawa” fondata nel 1924, e che
nessuno conosca altri suoi discepoli esterni oltre a FUNAKOSHI. ANKO
AZATO era un uomo di grande taglia, molto apprezzato come maestro.
Affermava la “necessità di considerare le mani ed i piedi dell’avversario come
una spada” non facendosi, perciò, mai toccare. Casa sua era come una palestra,
piena d’armi e attrezzi d’allenamento, tra cui un “uomo di legno”, tipico del
KUNG-FU. Egli era amico e compagno di pratica di ANKO ITOSU. Come il suo
maestro MATSUMURA, era un esperto spadaccino della scuola JIGEN-RYU(1), (1)
La scuola di spada chiamata JIGEN-RYU
anche se famoso è un duello con l’abile schermidore YORIN KANNA, armato di (sopra) fu fondata da TOGO SHIGEKURA
KATANA, nel quale AZATO vinse a mani nude con irrisoria facilità. Nel 1886 BIJEN NO KAMI (1563-1643) ed è ancora
attiva. I suoi esperti prediligono gli attacchi
fece un viaggio in Giappone, sconfiggendo i maggiori marzialisti nipponici, e uno degli allenamenti consiste nel colpire
incluso il miglior JUDOKA del tempo, YOKOYAMA. AZATO era anche un infinite volte un tronco d’albero con il
ottimo cavallerizzo ed arciere e, in particolare, un uomo molto colto; per i suoi BOKKEN, un po’ come si fa nel KARATE
scritti usava il soprannome di RINKAKUSAI. Si teneva, inoltre, accuratamente con il MAKIWARA. Era molto apprezzata
informato sui maestri di Okinawa e sulle loro caratteristiche tecniche e tattiche, dai SAMURAI del clan SATSUMA e, sia
MATSUMURA che ASATO, ebbero modo
seguendo il detto cinese: “Il segreto della vittoria è conoscere te stesso ed il tuo di apprenderla quando accompagnavano il
avversario”. re che, per una certa parte dell’anno, doveva
forzatamente risiedere in Giappone in segno
MATSUMORA CHIKUDON PEICHIN KOSAKU di sudditanza.
Nato a Tomari nel 1829 e morto nel 1898, era il primogenito di KOTEN,
dell’antico clan YUJI, quindi discendente indiretto del primo re d’Okinawa,
SHO. Il suo nome da ragazzo era TARUKANE, quello cinese YUIKAN. Non
molto alto aveva tuttavia una corporatura robusta.
Inizialmente studiò il TO-DE sotto UKU GIKO o KANRYU (1800 - 1850) e
TERUYA KISHIN (1804 - 1864). Il primo era un cinese del villaggio di
Kumemura che insegnava SHU TSURU, lo stile della “Gru che Grida”,
responsabile dell’introduzione del KATA ROHAI a Tomari, mentre il secondo fu
il suo insegnante principale. In seguito, MATSUMORA ebbe modo di
apprendere le tecniche dai cinesi ASAN, un addetto militare, e ANAN,
naufragato nelle Ryukyu e stabilitosi a Tomari.
MATSUMORA aveva perso il dito mignolo della mano destra già da giovane, a
seguito di un vittorioso scontro a mani nude contro un SAMURAI del clan
SATSUMA armato di KATANA, ma non ebbe mai problemi nemmeno nel KOSAKU MATSUMORA
maneggio delle armi, in cui eccelleva.
Fu uno dei maggiori oppositori all’assorbimento da parte del Giappone del regno
delle Ryu-kyu.
MATSUMORA, con il suo amico e coetaneo KOKAN PEICHIN
OYADOMARI, (che fu allievo interno di SHION-JA, esperto del sud della Cina)
è considerato il principale esponente del TOMARI-TE. Questo stile, anche se
simile a quello di SHURI, era molto più legato alle origini cinesi, come mostrano
le sue caratteristiche più evidenti, tipo la morbidezza e fluidità dei movimenti e le
guardie molto naturali.
Alcuni KATA furono praticati dal solo TOMARI-TE per molti anni, se non
secoli, e fu KOSAKU MATSUMORA, tra gli altri, a diffonderli fuori del suo
villaggio, innescando quella che fu la fusione del suo stile con lo SHURI-TE. L’altare commemorativo degli antenati della
Tra i suoi allievi vi furono rinomati maestri, tra i quali CHOKI MOTOBU. A lui famiglia MATSUMORA.
e a KENTSU YABU, la prima volta in cui lo andarono a trovare, impartì una
lezione di “inamovibilità”, citando poi l’antico detto “RYUSUI SAKI O
KISOWATSU”: l’acqua che scorre in un fiume non compete con nulla.
ITOSU ANKO (YASUTSUNE)
Secondo molti autori, lo SHURI-TE di MATSUMURA sarebbe giunto fino a noi
soprattutto attraverso il suo discepolo ITOSU, vero fondatore del KARATE
moderno. Nato nel 1830 (o 1832) nel villaggio di Yamagawa, a Shuri, egli
divenne suo allievo solo intorno ai trent’anni, dopo aver avuto una prima
preparazione marziale non ben conosciuta. Si citano: NAGAHAMA PEICHIN di
Naha come suo iniziale insegnante, un cinese di nome CHIANG NAN (da cui
avrebbe appreso il KATA omonimo, fonte dei cinque PIN-AN), SHIROMA (o
GUSUKUMA) di Tomari ed anche YASURI, allievo interno di IWAH. Secondo
ricerche storiche più recenti, in realtà ITOSU iniziò con MATSUMURA, ma
lasciò il maestro perché questi non apprezzava il suo modo di praticare. Passò,
dunque, sotto NAGAHAMA e, alla sua morte, sebbene gli avesse detto di tornare
da MATSUMURA, preferì diventare allievo di SHIROMA di Tomari. Questo
spiegherebbe come mai il curriculum di ITOSU sia, fondamentalmente, basato
più sui KATA di Tomari che su quelli di Shuri, tuttavia, non chiarisce gli stretti
rapporti con MATSUMURA ed i suoi discepoli. ANKO ITOSU era piccolo di
statura (appena 1,55 m.) ma possedeva un corpo robustissimo ed una forza
straordinaria, coltivata meticolosamente con l’allenamento al MAKIWARA e con
i KATA, di cui fu un grande esperto ed innovatore. La sua personale concezione
dell’Arte lo portò a modificare pressoché tutte le forme SHORIN di allora: oltre a
creare i PIN-AN e le versioni SHO di PASSAI e KUSHANKU, semplificò il
NAIANCHI insegnato da MATSUMURA dividendolo in tre e la stessa cosa fece ANKO ITOSU, due ritratti fedeli alla
con l’originario ROHAI. In generale rivisitò molte delle tecniche fondamentali in classica iconografia del grande maestro.
vista del raggiungimento dell’obiettivo che si era posto: diffondere il TO-DE
nelle scuole come disciplina d’educazione fisica, cosa che gli riuscì intorno al
1905. Questo primo passo avrebbe spalancato all’Arte l’accesso al mondo intero,
creando, però, anche molti problemi connessi alla verità tecnica del KARATE.
Tra i condiscepoli, furono KENTSU YABU e CHOMO HANASHIRO quelli
che, almeno all’inizio, lo aiutarono nel lavoro di diffusione dell’Arte, mentre fu il
suo allievo GICHIN FUNAKOSHI che esportò lo stile SHORIN-RYU, come lo
aveva chiamato ITOSU, in Giappone.
Di ITOSU (morto nel 1915/16) si raccontano molti aneddoti, particolarmente
legati alla sua forza ed alla sua capacità di assorbire qualunque colpo gli fosse
inferto. A differenza del suo amico AZATO, più rapido e portato alla schivata,
egli insisteva sulla necessità di allenare il corpo in modo tale da sopportare
qualsiasi attacco, anche il più potente: classico esempio di come le caratteristiche
fisiche influenzino la pratica dell’Arte e, di conseguenza, la sua stessa
trasmissione. Nel 1905 l’ormai settantacinquenne ITOSU sconfisse, in una ANKO ITOSU espresse le sue idee su
cos’era il TODE in una lettera/rapporto,
pubblica sfida, un ben più giovane JUDOKA, campione della polizia imperiale, datata ottobre del 41° anno dell’era Meiji
destando una grande impressione nell’opinione pubblica giapponese. (cioè il 1908), indirizzata al Dipartimento
dell’Educazione della Prefettura di Okinawa
(vedi sopra). In essa, il già anziano maestro,
al fine di ottenere che l’insegnamento
dell’Arte fosse diffuso in tutte le scuole,
espose i suoi “dieci precetti del TODE”,
facendone risaltare il lato marziale, utile per
il futuro dell’esercito, che sempre più
avrebbe avuto bisogno di soldati fisicamente
e mentalmente forti e preparati.
NAKAIMA NORISATO
La storia dell’arte marziale praticata dalla famiglia NAKAIMA è il miglior
esempio di trasmissione segreta di uno stile da padre in figlio. NORISATO (o
KENRI, circa 1850-1927) nacque a Kumemura da genitori benestanti. Ottimo
studente, a 19 anni si recò, come usava nelle buone famiglie, a Fuchou per gli
studi superiori. Qui, grazie ad un’ex guardia dell’ambasciata cinese nelle
Ryukyu, iniziò la pratica delle arti marziali con un maestro noto come RYU RU
KO (si è quasi certi che questi sia lo stesso che, in seguito, insegnò anche a
KANRYO HIGAONNA). Dopo cinque o sei anni, ricevuto l’attestato di merito
dal maestro, NORISATO viaggiò attraverso la Cina, toccando anche Canton e
Pechino, per impratichirsi pure nelle armi bianche. Tornò ad Okinawa verso il
1880, portando con se, pare, una copia del celebre libro d’arti marziali BUBISHI.
NORISATO trasmise, segretamente, la sua arte al figlio KENCHU che a sua
volta la passò solamente al figlio KENKO, legandolo al vincolo di segretezza KENKO NAKAIMA (1911-1989) fondatore
del RYUEI-RYU. Quando questo stile uscì
(HEPPAN, giuramento di sangue). Nel 1971, però, KENKO NAKAIMA (1911- dal velo di segretezza che lo aveva nascosto
1989), ormai sessantenne, ritenne che non ci fossero più gli estremi per rispettare per un secolo, fu accettato immediatamente
questo segreto e decise di rendere pubblico il suo stile di famiglia (nel frattempo dalle autorità del KARATE d’Okinawa per
arricchito, ma non inquinato, da conoscenze tecniche provenienti da maestri quali la sua evidente validità tecnica, che lo portò
KENTSU YABU) chiamandolo RYUEI-RYU, oggi guidato da suo figlio KENJI. anche ad una rapida diffusione mondiale.
HIGAONNA (HIGASHIONNA) KANRYO
Nato a Nishima, presso Naha, il 10 Marzo 1853, era il quarto figlio di KANYO
della nobile famiglia SHIN ormai in povertà. Il suo nome cinese era
SHINZEN’EN, mentre da giovane era chiamato MOSHI. Imparò i fondamenti
del TI (l’arte marziale segreta dei nobili d’Okinawa) e quelli del TO-DE dal
maestro di Kume SEISHO ARAGAKI. Questi, quando dovette lasciare Okinawa
per recarsi in Cina nel Settembre 1870, lo raccomandò ad un suo collega dello
stesso villaggio, TAITEI KOJO (pronunciato anche KAHO oppure
KOGUSUKU, 1837-1917), già allievo di IWAH. Intorno al 1872 (si dice nel
Marzo 1873) HIGAONNA decise di andare in Cina, a Fuchou, facendo il viaggio
grazie a YOSHIMURA UDUN CHOMEI, un amico di famiglia. Laggiù studiò,
dapprima, nel DOJO che la famiglia KOJO aveva aperto presso il “centro
d’accoglienza okinawense” e con il maestro WAN SHING ZAN (WAI
XINXIAN), diplomatico che ebbe molti altri allievi di Okinawa; poi apprese lo
stile LU QIA QUAN, una delle cinque grandi scuole dello SHAOLIN QUAN del
sud, sotto il maestro RYU RU KO. Questo personaggio, che pure tanto influenzò
le scuole SHOREI, resta piuttosto misterioso. Secondo le attente ricerche di
McCARTHY, il suo vero nome era XIE ZHONGXIANG, faceva il commerciante
di scarpe e RYU RU KO era il suo soprannome: RYU RU = “continuare!”, KO =
“fratello maggiore”. In effetti aveva solo un anno più di HIGAONNA. Era stato
allievo di PAN YUBA, a sua volta discepolo di LIN SHIXIAN, maestro della
Gru Bianca. In seguito, HIGAONNA fu nominato assistente e divenne famoso
nei circoli di boxe cinese. Egli era piuttosto piccolo ma veloce e dotato di anche Un ritratto ed una fotografia del maestro
potenti: in realtà la sua boxe differiva dal GOJU-RYU attuale, erede del suo stile, HIGAONNA. Questa risale all’ultimo
periodo della sua vita (circa 1913).
poiché molto più leggera, con un grande lavoro sugli spostamenti e con calci
bassi e veloci. Fu il suo migliore allievo esterno CHOJUN MIYAGI, fondatore
del GOJU-RYU, a caratterizzare così lo stile che HIGAONNA aveva denominato
SHOREI-RYU, anche se continuò ad essere più conosciuto con la denominazione
di NAHA-TE. In verità, la reale durata del suo soggiorno cinese è tuttora
discussa: alcuni parlano di una decina d’anni, ma altri, tra cui un suo pronipote,
di soli tre, nel qual caso si dovrebbero rivedere molte cose. In ogni caso, tornato
ad Okinawa, vi trovò una situazione sociale sconvolta e, per sopravvivere, si mise
a fare il commerciante di legname. Dopo un periodo di grave sconforto ed
abbandono, su richiesta di molti, aprì un DOJO a Naha, insegnando il suo
NAHA-TE ai figli delle famiglie ricche della città. Il tipo d’insegnamento era
duro e noioso (si passavano anche tre anni senza fare altro che il SANCHIN NO
KATA) e spesso scoraggiava gli allievi. Tra questi i più notevoli, oltre a TAITEI KOJO fu uno dei maestri di
MIYAGI, furono KOKI SHIROMA, JUHATSU KYODA (l’allievo interno), HIGAONNA. Discendente da una delle
TSUNETAKA GUSUKUMA, e KENWA MABUNI (fondatore dello “36 famiglie” cinesi di Kumemura, la
SHITO-RYU). Morì alla fine del 1915. casata KOJO, tutt’oggi attiva nel mondo
del KARATE, può vantare almeno sette
generazioni di artisti marziali ed uno
YABU KENTSU stile originale e molto apprezzato.
Nato nel 1863 (o 1866), è passato alla storia del KARATE come “sergente
YABU”, poiché fu il primo soldato d’Okinawa decorato dall’esercito giapponese.
Proprio alla visita di leva, nel 1891, stupì i medici per il suo stato di forma fisica
così come il suo compagno di pratica CHOMO HANASHIRO, dando una spinta
al processo d’introduzione dell’Arte nel curriculum scolastico voluto da ITOSU.
YABU aveva iniziato lo studio del TO-DE sotto MATSUMURA, passando poi
ad allievo di ANKO ITOSU, quando questi, in qualità di successore, ne rilevò la
scuola, e divenendo, in seguito, uno dei primissimi insegnanti d’arti marziali
nelle scuole dell’isola sotto la sua supervisione. YABU, però, non approvò mai
totalmente le idee di ITOSU, come l’introduzione dei KATA propedeutici
PIN-AN, il NAIANCHI suddiviso e semplificato, e la sostituzione di alcune
tecniche con movimenti educativi. Fu comunque lui il primo ad applicare la
disciplina militare all’interno del DOJO, facilitando l’insegnamento e la
diffusione del KARATE. Il suo KATA prediletto era USEISHI (GOJUSHIHO).
KENTSU YABU era un grande combattente, mai sconfitto da nessuno. Il suo
KATA preferito era USEISHI. Nel 1921 si recò una prima volta in California,
dove viveva suo figlio KENDEN. Nel 1927, di ritorno ad Okinawa dopo una
seconda visita, si fermò 9 mesi alle Hawaii insegnando KARATE. Morì nel 1937. KENTSU YABU nel 1927.
FUNAKOSHI GICHIN
È forse la figura più conosciuta del KARATE. Il suo nome è citato come quello
del fondatore dello stile SHOTOKAN e, più in generale, del KARATE moderno,
infatti, la diffusione dell’Arte in Giappone e, di conseguenza, nel mondo sono
senz’altro dovute in buona parte a questo insegnante elementare, che vi dedicò
tutta la vita. Non fu né il primo né l’unico ad insegnare ai nipponici il TO-DE,
ma, grazie alla sua cultura e alla sua tenacia, fu lui che in maggior misura creò le
condizioni per l’accettazione dell’OKINAWA-TE all’interno del BUDO
nipponico. Nato a Shuri nel 1868, iniziò la pratica sotto ANKO AZATO, che,
legato alla trasmissione segreta del TO-DE, lo istruiva la notte, alla luce della
luna o di una lanterna. I KATA erano al centro dell’allenamento, con ripetizioni
ossessive ed estenuanti. A queste lezioni era spesso presente ANKO ITOSU,
grande amico e condiscepolo di AZATO sotto il maestro SOKON
MATSUMURA. FUNAKOSHI divenne così allievo di entrambi, addestrandosi
anche con altri esperti marziali, come lo stesso MATSUMURA, KYUNA,
TOONNO e ARAGAKI. Quando fonderà in Giappone il proprio stile, la radice
tecnica FUNAKOSHI la prese da ITOSU, mentre lo spirito della pratica, sempre
costante e severa, lo attingerà da AZATO. Nei primi anni del secolo si tennero ad
Okinawa molte manifestazioni pubbliche di KARATE, ormai non più segreto,
con lui tra i principali partecipanti. Nel 1916/7, anno della morte di ITOSU, fu
invitato a tenerne una a KYOTO. Anche se fu TSUYOSHI CHITOSE (fondatore
del CHITO-RYU) il primo a dimostrare la sua arte fuori di Okinawa, la bravura
tecnica e l’eloquenza di FUNAKOSHI fecero sì che fosse designato ad
organizzare una manifestazione di fronte al principe HIRO HITO (1921) in visita
ad Okinawa. Di conseguenza, fu poi invitato ancora a KYOTO ed a TOKYO nel
1922. Qui presentò il TO-DE al KODOKAN, il DOJO di JIGORO KANO, padre
dello JUDO, che divenne suo amico e sostenitore. Sentendo la necessità di
diffondere l’Arte, portando avanti il lavoro iniziato da ITOSU, FUNAKOSHI
resterà per sempre in Giappone. I primi anni furono durissimi, ma pian piano gli
allievi aumentarono, trovando il TO-DE una grande presa nelle università. Verso
il 1930 nacque l’esigenza di modificare il nome dell’Arte per adeguarla al
dilagante spirito nazionalista. FUNAKOSHI fu tra i primissimi propugnatori del
cambio dei termini “arte cinese” in “mano vuota”, integrandolo con DO, “via”.
Questo darà al KARATE-DO la spinta finale per essere integrato nel BUDO.
All’inizio, molti maestri si opposero alla variazione del nome, ma questo fu poi
accettato universalmente. Nel 1938 venne costruito il primo DOJO di
FUNAKOSHI: lo SHOTOKAN, la casa del fruscio della pineta, distrutto dai
bombardamenti americani nel 1945. Il maestro, ormai settantenne, lasciò in
GICHIN FUNAKOSHI in diversi
quegli anni molta della responsabilità tecnica al suo terzo figlio, YOSHITAKA. periodi della sua vita.
Fu questi che introdusse le caratteristiche principali che distinguono ancor oggi lo
SHOTOKAN-RYU dagli altri stili SHORIN, come ad esempio le posizioni basse,
la ricerca esasperata della potenza fisica e del colpo unico e risolutore. Inoltre
continuò, in modo ancor più pesante, la modifica dei KATA, codificati da suo
padre secondo le idee di ITOSU, ed introdusse il combattimento libero. Molte di
queste innovazioni furono introdotte senza l’approvazione iniziale di GICHIN,
che, in ogni modo, le accettò come segno dei tempi. Nel 1947, YOSHITAKA,
sofferente di tisi, morì e così pure la moglie di GICHIN. Ancora una volta fu il
KARATE a dargli la forza di ricominciare da capo e così egli si rimise, ormai Il DOJO SHOTOKAN.
ottantenne, alla guida dello SHOTOKAN. Il maestro morì nell’Aprile del 1957 ed
in quello stesso anno scoppiarono le tante contraddizioni in seno alla sua scuola,
già presenti da anni dopo la nascita della JAPAN KARATE ASSOCIATION (che
appena pochi mesi dopo la sua morte indisse il primo campionato nipponico),
dello SHOTOKAI (almeno inizialmente più fedele agli insegnamenti del
maestro) e dei gruppi universitari (legati a diverse università). La J.K.A. è
responsabile della grandissima diffusione della scuola nel mondo, ma anche dello
stravolgimento dello stile originario, con una spinta verso lo sport che ha portato
all’impoverimento tecnico attuale. FUNAKOSHI fu anche autore di alcuni
famosi libri sul KARATE, come “RYUKYU KEMPO TODE” (1922),
“RENTAN GOSHIN TODE-JUTSU” (1925), “KARATE-DO KYOHAN” GICHIN con al suo fianco il figlio
YOSHITAKA (GIGO, 1906-1945).
(1935) e “KARATE-DO ICHIRO”.
HANASHIRO CHOMO
Questo grande allievo di MATSUMURA e di ITOSU fu tra i primissimi, insieme
a FUNAKOSHI, a propugnare il cambio di KANJI da TO a KARA, decretando la
nascita del nome “mano vuota” al posto dell’antico “arte cinese”. Questo pensiero
si ritrova nei suoi scritti fin dal 1905 (“KARATE SHOSHU HEN”). Fu, con il
suo amico e compagno di pratica YABU, uno dei primi maestri a diffondere il
KARATE nel sistema scolastico, insegnando educazione fisica nella scuola
media di Shuri.
Sempre con YABU, si batté contro le modifiche che, in Giappone, si stavano CHOMO HANASHIRO
operando sui KATA. Tra questi il suo preferito era JION. Visse dal 1869 al 1945.
KYAN CHOTOKU
Anche se questo grande KARATEKA non fondò mai una scuola vera e propria,
molti maestri di SHORIN-RYU lo hanno indicato come il loro punto di
riferimento. Entrato nella “filiazione interna” che risaliva a YARA, uno dei suoi
meriti fu quello d’essere stato il maggior punto di contatto tra le scuole di Tomari
e di Shuri, poiché la trasmissione di un gran numero di KATA di questi stili è
passata attraverso di lui. Fu sempre fedele alla trasmissione segreta del TODE,
esibendosi in pubblico raramente, se non nella tipica danza tradizionale di
Okinawa, nella quale eccelleva, che contiene molti elementi coreografici
ritrovabili anche nei KATA più antichi, in particolare del TOMARI-TE. A causa
di ciò, secondo alcuni tecnici, in queste forme vi sarebbero inclusi movimenti
addizionali privi d’efficacia dal punto di vista del combattimento o, meglio, da
quello di chi non ne conosce il reale significato nascosto. KYAN nacque nel 1870
a Shuri in una famiglia nobile. Suo padre CHOFU era cerimoniere dell’ultimo re
delle Ryukyu, SHO TAI, che lo stimava molto e lo volle con se a Tokyo quando
vi si recò in esilio. Incaricato di custodire i documenti più importanti, aveva una CHOTOKU KYAN
grande cultura letteraria sia giapponese che cinese ed era un praticante di TODE.
Gli insegnamenti del padre e del nonno OYAKATA, durante i quattro anni di
permanenza a Tokyo, furono importanti per la formazione fisica e spirituale di
KYAN ma decisive furono le loro conoscenze nell’ambiente delle arti marziali: al
ritorno ad Okinawa, infatti, CHOTOKU fu presentato a tutti i maggiori maestri
dell’epoca. Poté così apprendere i KATA: SESAN, NAIANCHI e USEISHI da
SOKON MATSUMURA (SHURI-TE); KUSHANKU da YOMITAN YARA
(1816-?), parente (forse nipote) di CHATAN, palafreniere dell’ex re delle
Ryukyu (certamente ricevette l’insegnamento dello stesso KATA anche dal
maestro SHINKICHI KUNYOSHI, erede tecnico di YARA); PASSAI da
KOKAN OYADOMARI (TOMARI-TE); CHINTO da KOSAKU
MATSUMORA (TOMARI-TE); WANSHU da PECHIN MAEDA, allievo di CHOFU KYAN
MATSUMORA; ANANKU da un cinese di Taiwan, ANAN, naufragato ad
Okinawa, che viveva vicino a Tomari (altre fonti affermano che lo riportò come
“souvenir” da un viaggio a Taiwan). Alcuni affermano che fu anche allievo di
ITOSU, ma questo sembra improbabile. Grazie alla sua eccezionale preparazione
tecnica e dotato di un’enorme forza morale, KYAN elaborò una tattica personale,
al fine di ovviare alla bassa statura ed al fisico minuto, basata su rapidi
spostamenti e tecniche di gambe che gli permettessero di non arretrare mai di
fronte ad un avversario ma di parare e schivare lateralmente i suoi attacchi, per
poter entrare con facilità nella sua guardia. In breve si guadagnò la fama di
invincibile nel KAKE-DAMESHI, un durissimo tipo di combattimento “a sfida”,
rendendosi celebre tra i praticanti d’arti marziali con il soprannome di
CHAN-MI-GUA (KYAN dagli occhi piccoli), a causa del suo strabismo o,
secondo MURAKAMI, per l’abitudine a strizzare gli occhi nel controllare i suoi
allievi. Le scuole eredi dell’arte di KYAN utilizzano ancora molte tecniche
particolari di mano, come il TATE KEN al posto del pugno avvitato, poiché egli
non seguì la via della semplificazione stilistica dei successori di ITOSU.
Analogamente, i KATA da lui trasmessi presentano molte tecniche nascoste,
mostrandosi tra i più fedeli alla linea storica originale. KYAN, scampato alla CHOTOKU KYAN nel suo abituale
KAMAE detto “fuoco ed acqua”.
battaglia d’Okinawa, che fece tantissime vittime anche fra i civili, morì di lì a Nel 1930, KYAN pubblicò il suo unico
poco di stenti nel nord dell’isola (1945), anche perché preferiva cedere il poco scritto: “KEMPO KAISETSU”, cioè
cibo a sua disposizione ai bambini del villaggio dove si era rifugiato. “Trattato sul Combattimento”.
MOTOBU CHOKI
Fu uno dei personaggi più caratteristici del KARATE: famoso per la sua abilità
nel combattimento, non lasciò successori, ma influenzò un gran numero di
maestri con la sua particolare concezione tecnica.
Nato nel 1871, era il terzo figlio di una nobilissima famiglia, discendente dal re
SHO SHITSU delle Ryukyu, che regnò dal 1648 al 1669. A lui non venne perciò
insegnato il sistema “segreto” di TI familiare, tramandato da ben undici
generazioni solo al primogenito e per questo solo a suo fratello CHOYO.
Attratto lo stesso dalle arti marziali, cominciò fin da ragazzo ad allenarsi al
MAKIWARA e a sfidare chiunque avesse un aspetto forte e robusto,
assorbendone la tecnica. Per la sua agilità fu soprannominato MOTOBU SARU,
vale a dire “MOTOBU la scimmia”. Sviluppò, in questo modo, un sistema di
CHOKI MOTOBU
combattimento personale, ma, essendosi creato una pessima reputazione, venne
rifiutato da molti maestri, tra cui ANKO ITOSU. Riuscì a diventare allievo di
PECHIN TOKUMINE, esperto di TODE e di BO, ma questi fu presto esiliato da
un magistrato locale, avendo malmenato ben trenta poliziotti in una rissa. Alla
fine fu accettato da KOSAKU MATSUMORA, che gli insegnò NAIHANCHI e
PASSAI, senza però svelargli subito tutti i segreti dei loro BUNKAI. CHOKI,
allora, lo spiò dalle fessure tra le assi del DOJO.
Quando si dovette decidere chi mandare in Giappone per propagandare
l’OKINAWA-TE, MOTOBU fu scartato per la sua megalomania e per il fatto
che, fedele all’orgoglio nobiliare della sua famiglia, non parlava assolutamente il
Giapponese.
Trasferitosi nel 1921 ad Osaka per gravi motivi economici, divenne famosissimo Il fratello maggiore di CHOKI,
CHOYO, grande esperto di TI, l’arte
per aver battuto un campione di pugilato occidentale: dopo essersi limitato a
marziale “nobile” di Okinawa.
schivarne i colpi per tutto il primo round, MOTOBU lo colpì con una sola e
precisa tecnica, mandandolo KO. Il racconto che, pochi anni dopo, ne fece la
diffusa rivista KINGU divenne uno dei motivi di lancio della nuova (per il
Giappone) arte marziale.
Nel 1932 si recò anche in visita alle Hawai, presso la fiorente colonia
okinawense, ma per via della sua cattiva fama, anche se ormai ingiustificata, le
autorità statunitensi non gli permisero di trattenersi.
All’inizio della diffusione del KARATE in Giappone, MOTOBU fu spesso in
urto con FUNAKOSHI, tanto da sostenere che il suo TODE era “solo
un’imitazione, poco di più di una danza” e che se lo avesse incontrato lo avrebbe
fatto “tornare di corsa ad Okinawa”. FUNAKOSHI, da parte sua, lo definiva
“rozzo ed ignorante”. Qualcuno racconta che ci sia stato davvero uno scontro tra i
due, finito con un’umiliante sconfitta per FUNAKOSHI, ma non ne esistono
prove concrete. Qui si vede l’articolo originale della
Nel 1936, MOTOBU, desideroso di riesaminare la propria personalissima rivista KINGU che narrava la vittoria
tecnica, fece un viaggio d’istruzione ad Okinawa, recandosi dai più noti maestri e di MOTOBU sul pugile occidentale. È
ristudiando i KATA sotto KENTSU YABU, uno dei pochissimi che lo avessero curioso notare che chi disegnò le
illustrazioni si ispirò chiaramente al
mai battuto in combattimento. Tornò definitivamente sull’isola nel 1940. primo libro di FUNAKOSHI (1922) per
Già malato allo stomaco da qualche anno, morì nel 1944. raffigurare il KARATEKA, che infatti
MOTOBU, a dispetto della sua fama di “illetterato”, scrisse due libri: assomiglia a lui e certamente non a
“OKINAWAN KEMPO TODE-JUTSU KUMITE-HEN”, pubblicato nel 1926, e MOTOBU. Conoscendo i rapporti tra i
due, di certo CHOKI MOTOBU non ne
“WATASHI-NO TODE-JUTSU”, del 1932.
sarà stato particolarmente soddisfatto!
La copertina di “WATASHI-NO TODE-JUTSU” e alcune immagini tratte dai libri di MOTOBU: le prime due tratte da quello del 1926, mentre le
altre mostrano alcuni BUNKAI tratti da NAIANCHI, il KATA preferito del maestro.
UECHI KANBUN
Nacque il 5 Maggio 1877 da una famiglia SHIZOKU decaduta. Suo padre si
trasferì da Shuri ad Izumi, nella penisola di Motobu, dove divenne agricoltore.
Poiché i vicini si approfittavano del suo carattere tranquillo e dolce, al giovane
KANBUN parve utile imparare un’arte marziale per difendersi e farsi rispettare.
Nel 1897 partì alla volta della Cina dove si stabilì a Fuchou, nella provincia del
Fukien. Uno dei motivi di questo viaggio fu quello d’evitare la circoscrizione
obbligatoria, imposta con l’avvento dell’era MEIJI.
Inizialmente UECHI entrò nel DOJO della famiglia KOJO, come lui originaria di
Okinawa, ma divenne poi allievo di CHOU TSU HO (o anche ZHOU ZI HE,
SHU SHI WA in okinawense), una figura un po’ misteriosa: nato nella regione
cinese di Zhitian nel 1874 e morto nel 1926, si ritiene che fosse legato alle società
segrete che volevano il ritorno della dinastia MING ed anche che fosse un
monaco taoista. Aveva, comunque, un negozio di medicine e UECHI lo aiutava
raccogliendo le erbe per mantenersi. Per vendere, allievo e maestro (per altro
quasi coetanei) usavano esporre la merce per le vie, attirando la gente con una
dimostrazione di KUNG-FU.
KANBUN UECHI apprese così lo stile PANGAI NOON (FWAN GE NUN) che
significa “duro-morbido”. Situata al confine tra scuole interne ed esterne, questa
scuola era basata sulla sintesi delle forme della tigre, della gru e del drago. Il
pugno chiuso era poco utilizzato, a favore di armi della mano più sofisticate, i
calci difficilmente avevano bersagli sopra la cintura. Il nome derivava dall’uso di
attacchi duri ma di parate morbide.
Seguendo un allenamento estremamente austero UECHI padroneggiò le forme
Due immagini di KANBUN UECHI.
SANCHIN, SESAN e SANSEIRU, anche se non ebbe il tempo di imparare a
fondo SUPARIMPEI, il KATA più importante dello stile.
Sviluppò così una grande abilità tecnica che, nel 1904 o 1908, portò CHOU TZU
HO ad autorizzarlo ad insegnare, riconoscendolo entro la successione della sua
scuola, fatto rarissimo per uno straniero. KANBUN aprì allora un DOJO a
NANJING, duecento chilometri a sud di Fuchou. Nel 1910, però, un suo allievo
uccise un uomo nel corso di una rissa tra contadini. Come maestro, egli fu
biasimato per non avergli insegnato un miglior controllo. Il fatto lo sconvolse
tanto da farlo ritornare ad Okinawa, ripromettendosi di non insegnare mai più.
Un paio d’anni dopo giunse sull’isola un suo vecchio allievo, mercante di tè, che
si stabilì a Naha. Questi partecipò a numerose sfide contro altri esperti di TO-DE,
dalle quali uscì sempre vittorioso indicando come suo maestro UECHI.
Nonostante le numerose richieste egli non cambiò idea, mostrando la sua arte
solo una volta in pubblico, durante una manifestazione a Naha, dopo i ripetuti
inviti di ANKO ITOSU: eseguì SESAN NO KATA, impressionando a tal punto i
maestri presenti da essere ammesso immediatamente nell’associazione dei
professori di OKINAWA-TE. Nel 1924, KANBUN UECHI emigrò in Giappone, KANBUN UECHI, all’età di 64 anni, con
a Wakayama. Fu là che, con uno stratagemma, fu convinto a riprendere l’allievo SHIMABUKURO NATSUKICHI.
l’insegnamento da RYUYU TOMOYOSE, già allievo di CHOJUN MIYAGI.
Aperto un piccolo DOJO nell’Aprile 1925, trasmise l’Arte al figlio KANEI
(1911-1991), suo continuatore e diffusore dello UECHI-RYU nel mondo, dopo la
morte del padre, ormai tornato ad Okinawa, avvenuta il 25 Novembre del 1948.
CHIBANA CHOSIN
Questo grande maestro ebbe come unico insegnante ANKO ITOSU, con il quale
iniziò, dopo due rifiuti, a praticare all’età di quindici anni.
Nato nel 1885 nel villaggio di Torihori, vicino Shuri, fondò là il suo primo DOJO
a trentaquattro anni, insegnando fedelmente il KARATE di ITOSU. In seguito lo
trasferì a Kumoji, presso Naha, ed infine, nel 1929, nel cortile del barone
NAKIJIN a Gibo, un villaggio nei dintorni di Shuri, chiamandolo TODE
KENKYU SHO (associazione per la ricerca del TODE). Dopo la guerra aprì
diversi DOJO spostandosi continuamente, finché divenne istruttore di KARATE
della polizia di Shuri. Fu il primo presidente della Federazione del KARATE-DO
di Okinawa (1956), finché fondò, nel 1958, l’Associazione del KARATE-DO
SHORIN-RYU di Okinawa. Stimato da tutti gli esperti d’arti marziali e carico di
onorificenze, morì nel 1969. Alcuni affermano che fu lui e non ITOSU ad
adottare ufficialmente il nome SHORIN-RYU nel 1935, utilizzando i caratteri CHOSIN CHIBANA
cinesi che significano “piccola foresta” (SHAOLIN). Nel farlo scelse, però, un
KANJI errato, che portò alla lettura nipponica KOBAIASHI anziché
SHOBAIASHI, più corretta. CHIBANA affermava che il KARATE, essendo
un’arte marziale, “non dovrebbe essere insegnato come sport o come un semplice
esercizio fisico”; per far sì che mani e piedi diventino effettivamente armi
micidiali “si deve raccogliere la propria energia spirituale, dimenticando ogni
cosa”, senza esagerare nell’esercitare il corpo, poiché “esso si fortifica fino ad
una certa età, ma in seguito non si può che rallentare: allora si sviluppa un altro
tipo di forza” e anche: “Nei tempi antichi studiavamo il KARATE come un’arte
marziale, ma ora si ci allena come fosse uno sport ginnico. Penso che si debba
evitare di trattare il KARATE come un sport: dev’essere un’arte marziale a tutti
gli effetti! Le tue dita e punte dei piedi devono essere frecce, le tue braccia di
ferro. Devi pensare che se calci, cerchi di calciare l’avversario a morte. Se gli
dai un pugno, cerchi di abbatterlo. Se colpisci, allora colpisci per uccidere
l’avversario. Questo è lo spirito di cui hai bisogno per progredire nel tuo
allenamento”. Fedele agli insegnamenti di ITOSU, pensava anche che si
dovessero adattare e sviluppare i KATA alle caratteristiche del proprio corpo ed CHIBANA nel PASSAI NO KATA.
al temperamento.
KYODA JUHATSU
Nato a Naha il 5 Dicembre 1887, quarto figlio di JUKYO KYODA, amico di
KANRYO HIGAONNA, con il quale iniziò a praticare dall’età di quindici anni,
un mese prima di CHOJUN MIYAGI. Questi divenne il successore ufficiale della
scuola, ma pochi sanno che KYODA era in realtà il discepolo “interno” di
HIGAONNA. Ebbe comunque altri maestri: da YABU apprese il KATA JION e
praticò brevemente anche con ITOSU. Nel 1925 fondò la OKINAWA TO-
DE-JUTSU KENKYU KAI, associazione per la ricerca sul TO-DE. Dopo aver
già aperto alcuni DOJO, negli anni ‘30 apprese i KATA NEPAI e ROKISHU da
GOKENKI (WU XIAN HUI, 1886-1940), un cinese importatore di tè trasferitosi
a NAHA nel 1912, poi naturalizzatosi giapponese con il nome di YOSHIKAWA,
esperto della forma di SHAOLIN meridionale della Boxe della Gru Bianca, che
ebbe molta influenza sul KARATE dell’epoca, essendo molto amico anche di
MIYAGI e MABUNI. In seguito KYODA fondò con i maggiori maestri
dell’epoca l’associazione KARATE-JUTSU KENKYU KAI e fu nominato capo-
istruttore di KARATE (branca NAHA-TE) per il DAI NIPPON BUTOKU KAI.
Nel 1944 si trasferì nell’isola di Kyushu, in Giappone, dove visse fino alla morte,
avvenuta nel 1968. KYODA chiamò il suo stile TO’ON-RYU, da una pronuncia
alternativa dei KANJI di HIGAONNA. La scuola fu poi portata avanti da suo
figlio JUKO (1926-1983). JUHATSU KYODA
MIYAGI CHOJUN
Questo grande maestro, fondatore del GOJU-RYU ed erede ufficiale del
NAHA-TE di HIGAONNA, nacque nel 1888, da una famiglia di ricchi
commercianti di Higashi Machi, Naha. Dopo aver iniziato a praticare all’età di 11
anni con RYUKO ARAGAKI, grazie ad una raccomandazione di quest’ultimo, a
14 anni entrò nel DOJO di KANRYO HIGAONNA. Di corporatura forte, amante
dello sport, era conosciuto come un ragazzo indisciplinato. Resistette al
durissimo e ripetitivo allenamento impostogli dal maestro e si rivelò il migliore,
con KYODA, allievo di HIGAONNA. Dopo il servizio militare e su invito del
suo maestro, partì per la Cina, alla ricerca delle radici dello stile. In questo
viaggio nel Fukien fu accompagnato da GOKENKI. I due non riuscirono a CHOJUN MIYAGI
trovare la vecchia scuola di HIGAONNA, ma MIYAGI riportò ad Okinawa nuovi
KATA e libri sull’arte marziale. Durante (o subito dopo) il ritorno in patria, il suo
maestro morì, lasciandolo erede diretto del NAHA-TE. Da quel momento
MIYAGI cominciò a viaggiare moltissimo per diffondere il suo KARATE (in
Giappone e, nel 1931, persino alle Hawaii) e per approfondire la tecnica (ancora
nel Fukien ed a Pechino, passando per la Corea). Nel 1935 ottenne il titolo di
KYOSHI (secondo livello) nel BUDO, cosa eccezionale per l’epoca: infatti,
FUNAKOSHI e MABUNI conseguirono il terzo livello solo nel 1939, un anno
dopo di OTSUKA, il giapponese fondatore del WADO-RYU. Il nome
GOJU-RYU dato alla sua scuola nacque quasi per caso nel 1937, quando al suo
allievo JINAN SHINZATO, durante una manifestazione presso il DAI NIPPON
BUTOKUKAI, fu chiesto il nome dello stile del suo maestro. Non sapendo cosa
rispondere, egli si consultò con MIYAGI che scelse il nome GOJU estraendolo
dalla frase “GO-JU, DON-TOSU”, tratta dagli “Otto precetti dell’arte del
combattimento” (KENPO TAIYO HAKKU) contenuti nel libro più classico del
KARATE d’Okinawa: il BUBISHI. Oltre alla sua grande opera di maestro MIYAGI e KYODA giovanissimi.
(innovatore sì, ma senza mai stravolgere la tradizione), MIYAGI fu fondamentale
per l’energia che mise nell’espansione dell’Arte, al pari di FUNAKOSHI e
MABUNI. Secondo lui, il KARATE non si sarebbe dovuto scindere in una
miriade di scuole (come invece avvenne), ma, al contrario, si dovevano unificare
gli stili, collegandoli mediante forme di base comuni a tutti. Non poté portare fino
in fondo questo progetto, poiché mori improvvisamente nel 1953, anzi, dopo di
lui, lo stesso GOJU-RYU si scisse in due branche principali: quella nipponica
(guidata da GOGEN YAMAGUCHI e legata ad un punto di vista “moderno” e
manageriale) e quella di Okinawa (che si richiama con più fermezza ai valori
tecnici e morali del fondatore).
MIYAGI scrisse il libro “TODE-DO GAISETSU”, cioè “Spiegazione Generale
sulla Via del TODE”, pubblicato il 23 Marzo 1934. La copertina di TODE-DO GAISETSU.
MATAYOSHI SHINKO
Nato nel 1888 a Kakinohana, vicino Naha, e cresciuto a Shinbaru, Chatan,
trascorse tredici anni in Cina studiando armi, boxe e medicina. Laggiù ebbe una
vita avventurosa, vivendo persino con dei banditi in Manciuria.
Tornato in Giappone, partecipò alle prime dimostrazioni d’arti marziali
okinawensi, tra cui la prima a Tokyo, nel 1916 con GICHIN FUNAKOSHI, ed
un’altra, nel 1921 ad Okinawa con CHOJUN MIYAGI, alla presenza del principe
e futuro imperatore HIRO HITO. Fu famoso soprattutto per la sua abilità nel
KOBUDO, ma ebbe modo di studiare diversi metodi cinesi di lotta, tra cui il
KINGAI-NOON, affine allo stile PANGAI-NOON di UECHI.
Morì nel 1947, lasciando la successione al figlio SHINPO (1921-1997), che fu
allievo di GOKENKI a Naha, imparando da lui la Gru Bianca.
MATAYOSHI SHINKO
MABUNI KENWA
Nacque a Shuri nel 1889 da una famiglia di funzionari reali. Suo padre, in seguito
al cambio di regime, divenne pasticcere.
Da ragazzino, KENWA era di salute cagionevole e, fin dall’età di 10 anni, per
irrobustirsi iniziò a praticare il TO-DE sotto la guida di un domestico,
MATAYOSHI. A 13 anni divenne allievo di ANKO ITOSU, di cui fu uno dei
migliori studenti. Intorno al 1908 il suo amico MIYAGI lo presentò al maestro
HIGAONNA che lo addestrò al NAHA-TE.
Terminato il militare e diventato poliziotto, incominciò un lavoro di ricerca
tecnica che non ebbe mai eguale, incontrando i maggiori maestri di KARATE e
KOBUDO dell’epoca e creando, nel 1918, un gruppo d’insegnamento formato da
esperti di tutti gli stili, quali MIYAGI, KYODA, HANASHIRO, CHIBANA,
YABU, FUNAKOSHI e molti altri protagonisti del KARATE moderno.
Nel 1924 aprì un DOJO nel proprio giardino, facendosi aiutare, nella direzione KENWA MABUNI
tecnica, dai primi quattro del vecchio gruppo più MOTOBU e GOKENKI, del
quale fu molto amico e che influenzò molto le sue scelte future. Furono loro ad
organizzare una grande manifestazione di KARATE in onore di JIGORO KANO,
in visita ad Okinawa nel 1926. In seguito a quest’incontro, come già era successo
a FUNAKOSHI, MABUNI prese la decisione di partire per il Giappone, dove si
stabilirà ad Osaka nel 1929. Egli chiamò la sua scuola dapprima MABUNI-RYU,
poi si associò (1935) al GOJU-RYU di MIYAGI, ma la formazione tecnica di
questo era legata al solo NAHA-TE, mentre MABUNI doveva molto anche allo
SHURI-TE, per questo decise di adottare il nome di SHITO-RYU in onore dei
suoi due maestri nel 1938. Infatti, in giapponese, l’ideogramma iniziale di ITOSU
si può pronunciare sia ITO che SHI, quello di HIGAONNA sia HIGA che TO, da KENWA MABUNI con a fianco il
cui il nome SHITO. Morì nel 1952, lasciando ai figli KENEI e KENZO una figlio KENEI.
scuola che, ereditando le sue immense conoscenze tecniche, è quella con il più
vasto repertorio di KATA esistente: il fondatore vi trasmise ben 49 forme, 12 di
NAHA-TE, 23 di SHURI-TE, 10 di TOMARI-TE ed altre provenienze e 4 create
da lui stesso. Attualmente nello SHITO-RYU si arrivano a contare ben 60
KATA: una vera enormità. MABUNI, evidentemente, non era d’accordo con chi
pretendeva che la vera conoscenza dell’Arte passasse attraverso
l’approfondimento di poche forme, ma sosteneva la necessità di impararne il più
possibile, per avere poi la possibilità di estrarne la sostanza.
MABUNI fu autore di molti libri, tra cui: “KEMPO KARATE-DO: SEIPAI-NO
KENKYU” (1934), interamente dedicato al KATA SEIPAI e “KOBO KEMPO
KARATE NYUMON” (1938) scritto assieme a GENWA NAKASONE.
OTSUKA HIRONORI
Nacque nel 1892 ad Ibaragi, vicino Tokyo. Sua madre discendeva da una
famiglia di guerrieri e anch’egli, già dall’età di cinque anni, fu istruito nel JU-
JUTSU e nel KENDO. A 28 anni ricevette il diploma della scuola YOSHIN-
RYU.
Nel 1922, saputo della dimostrazione di KARATE-JUTSU di FUNAKOSHI
presso il DOJO di JIGORO KANO e certo della serietà del fondatore del JUDO,
si recò dal maestro di Okinawa e rimase affascinato dalla nuova arte, grezza, ai
suoi occhi di praticante di BUDO giapponese tradizionale, ma ricca di contenuti e
potenzialità. Diventò così uno dei primi allievi nipponici di FUNAKOSHI,
applicandosi con una tale passione da imparare i quindici KATA del suo HIRONORI OTSUKA in azione.
repertorio in solo un anno e mezzo e divenire, in pratica, l’assistente del maestro.
Con lui preparò una manifestazione che si tenne presso il DOJO del Palazzo
Imperiale, integrando la classica esecuzione di KATA e di tecniche preordinate
con delle forme a due nelle quali si mostravano le tecniche a mani nude del
KARATE contro un assalitore armato di spada. Il grande successo della
dimostrazione pubblica portò alla nascita di nuovi DOJO di KARATE in una
decina di università della regione di Tokyo.
OTSUKA però non comprese mai completamente il carattere dei KATA che
aveva appreso da FUNAKOSHI e, non potendo recarsi ad Okinawa direttamente,
si affidò a MABUNI per rivisitarli e, in seguito, introdusse nella sua pratica molti
elementi di JU-JUTSU e il combattimento libero.
La frattura con il suo maestro fu inevitabile e OTSUKA divenne il primo
giapponese a fondare, nel 1934, una sua scuola di KARATE, alla quale, nel 1938, OTSUKA riceve il diploma da GICHIN
diede il nome di WADO-RYU. Inizialmente, nel curriculum del suo stile FUNAKOSHI.
mantenne solo nove KATA, ritenendo che molti fossero solo semplici ripetizioni
tecniche di questi. In seguito, per ampliare l’insegnamento, nel WADO-RYU
sono stati introdotti altri sette KATA.
HIRONORI OTSUKA morì nel 1982.
NAKAMURA SHIGERU
Questo famoso KARATEKA, nato nel 1892 (o 94/95) e morto nel 1969,
fondatore dell’OKINAWA KENPO, ebbe la fortuna di studiare con i più famosi
maestri della sua epoca: imparò i rudimenti a livello scolastico con YABU e
HANASHIRO ed il celebre NAIANCHI NO KATA praticato da CHOKI
MOTOBU, che era un amico di famiglia.
In seguito si allenò sotto la guida di ITOSU ed anche di SHINKICHI
KUNYOSHI (detto anche BUSHI KUNISHI di KUMOJI), un allievo in linea
diretta di CHANTAN YARA che aveva praticato in Cina per diversi anni, prima
di tornare ad Okinawa ed aprire un DOJO a Nago.
NAKAMURA orientò il suo stile verso il combattimento libero con contatto
pieno, utilizzando particolari armature protettive.
Il suo stile è molto diffuso negli U.S.A. grazie al suo allievo BRUCE
HEILMANNS, capo della OKINAWA KEMPO IKKF. SHIGERU NAKAMURA
KONISHI YASUHIRO
Nato nel 1893 in Giappone a Takamatsu, iniziò a praticare fin da piccolo
KENDO e JU-JITSU dello stile TAKENOUCHI-RYU, contenente tecniche
d’attacco molto simili al KARATE.
Ebbe occasione di conoscere il TODE tramite un suo compagno d’università
originario di Okinawa, che gli mostrò alcuni KATA. Proprio presso l’ateneo dove
si era laureato, nel 1923 KONISHI aprì un DOJO, dove si praticavano solo JU-
JITSU, KENDO e BOXE occidentale, ma l’anno seguente gli si presentò
GICHIN FUNAKOSHI, accompagnato dall’allievo HIRONISHI OTSUKA, con
una lettera di presentazione di un professore dell’università, dove gli si chiedeva
di ospitare nella palestra anche i praticanti di TODE. Anche se era una cosa
insolita, KONISHI accettò, ricordando la dimostrazione di quel suo compagno di
studi, aiutando FUNAKOSHI a creare il primo club universitario di KARATE in YASUHIRO KONISHI
Giappone: il “Gruppo di Ricerca sul KARATE dell’Università di Keio”.
KONISHI e, più in generale, questo gruppo universitario influenzarono molto lo
sviluppo del KARATE di FUNAKOSHI: i nomi giapponesi dei KATA, lo
sviluppo dell’allenamento a coppie e persino la definitiva adozione di “KARA”
in sostituzione di “TO”, nel 1929, furono tutte novità che presero le mosse dal
club.
Negli anni seguenti, KONISHI, coerente con l’apertura mentale che aveva
mostrato con FUNAKOSHI, frequentò numerosi altri maestri di Okinawa, tra cui
KENWA MABUNI, CHOJUN MIYAGI e CHOKI MOTOBU. Proprio
quest’ultimo lo impressionò particolarmente e, diventato suo allievo, fece di tutto
per sostenere e far conoscere le qualità di quello che reputava un vero genio
marziale. MOTOBU, del resto, economicamente non si trovava in buone acque
ed in più, non parlando giapponese, aveva addirittura bisogno di un interprete,
quando insegnava o faceva dimostrazioni pubbliche.
Gli fece da insegnante anche MABUNI, anzi, il maestro risedette presso
KONISHI ben dieci mesi tra il 1927 ed il 1928 ed i due divennero ottimi amici.
Quando, nel 1935, il KARATE venne finalmente riconosciuto come BUDO dalla
NIPPON BUTOKU-KAI, KONISHI fu tra i primi tre KYOSHI nominati. Dei tre
solo MIYAGI era di Okinawa, mentre l’altro era SANNOSUKE UESHIMA,
nipponico, fondatore, con KENSEI KINJO di Okinawa, della scuola KUSHIN-
RYU. Solo nel 1939 FUNAKOSHI e MABUNI divennero RENSHI (maestri di
terzo grado) come il giapponese OTSUKA già investito l’anno precedente.
Proprio dal 1938, KONISHI era stato scelto come esaminatore dalla NIPPON
KONISHI insieme ai grandi maestri di
BUTOKU-KAI per il KARATE. KONISHI, su consiglio di MORIHEI Okinawa che insegnarono in Giappone.
UESHIBA, il fondatore dell’AIKDO del quale fu anche allievo, chiamò la sua
scuola SHINDO JINEN-RYU KARATE-JUTSU. Morì nel 1983.
TAIRA SHINKEN
Nacque nel 1897 a Nakazato, villaggio di Kumejima, una delle isole
dell’arcipelago delle Ryukyu. Il suo vero nome era MIYASATO, ma lo cambiò
in età adulta.
Per ragioni di studio, si recò a Tokio nel 1922, dove conobbe FUNAKOSHI e
iniziò a praticare il KARATE e, nel 1929, il KOBUDO con YABIKU MODEN
(1882-1945).
Nel 1933 aprì un suo DOJO nella Prefettura di Guma ed ebbe occasione di
esercitarsi con MABUNI. Tornò ad Okinawa nel 1942, dove fondò la RYUKYU
KOBUDO HOZON SHINKO KAI, un’associazione per la salvaguardia del SHINKEN TAIRA
KOBUDO originale.
Fu stimato da molti come il massimo esperto di KOBUDO della sua generazione,
anche se bisogna ricordare che il maestro SOKEN non fu tenero nei suoi
confronti, considerandolo più un superficiale collezionista di tecniche che un
vero esperto.
Ad ogni modo, TAIRA influenzò moltissimo sia il KOBUDO che il KARATE,
dimostrando una costante volontà di ricerca.
Morì nel 1970.
TAIRA mentre esegue tecniche al suolo con
MABUNI, dal libro che questi scrisse con
NAKASONE nel 1938.
CHITOSE TSUYOSHI
Nacque a Naha il 18 ottobre 1898, nella zona denominata Kumochi.
Il suo nome di nascita era CHINEN (GOCHOKU) MASUO. Suo padre CHINEN
(MASUO) CHIYOYU si era sposato assumendo il nome di famiglia della moglie.
CHITOSE assunse il nuovo nome dopo essersi trasferito in Giappone, nel 1922,
per studiare medicina.
Mentre suo padre non era un marzialista, il nonno materno di TSUYOSHI era il
celebre SOKON “BUSHI” MATSUMURA.
Iniziò a praticare con SEISHO ARAGAKI, che per i primi sette anni gli insegnò
TSUYOSHI CHITOSE. Nelle fotografie
il solo KATA SEISAN, prima di procedere oltre. qui sotto è con KYAN e FUNAKOSHI.
Alla scuola pubblica fu allievo di GICHIN FUNAKOSHI ed ebbe come
compagni di classe suo figlio YOSHITAKA e SHOSHIN NAGAMINE,
fondatore del MATSUBAYASHI-RYU.
CHITOSE, in seguito, divenne allievo anche di HIGAONNA, insieme a MIYAGI
e MABUNI, e, più tardi, di CHOTOKU KYAN, che fu uno dei suoi principali
maestri.
In Giappone, tra il 1922 ed il 1932, insegnò KARATE all’università, facendo da
assistente a FUNAKOSHI, il suo vecchio insegnante di scuola.
Frequentò molti altri maestri, come CHOYO MOTOBU, GOKENKI e CHOMO
HANASHIRO.
CHITOSE fu sempre molto stimato dai contemporanei, tanto da essere uno dei
partecipanti alla celebre riunione di maestri ad Okinawa che approvò l’uso del
nuovo nome KARATE in luogo dell’antico TODE.
Fondò un primo DOJO nel 1946 e, nel 1948, chiamò la sua scuola CHITO-RYU,
che significa “la millenaria scuola cinese”, amalgamando NAHA-TE, SHURI-TE
e TOMARI-TE, in un modo simile a quello di MABUNI nel suo SHITO-RYU.
TSUYOSHI CHITOSE morì il 6 giugno 1984.
ARAGAKI ANKICHI
Nato nel 1899 nel villaggio Akata di Shuri, da una famiglia agiata che
commerciava in liquori e primo di undici fratelli, iniziò a praticare KARATE già
alle scuole elementari con SHINPAN GUSUKUMA e poi, alle medie, con
HANASHIRO.
Lasciata la scuola, continuò sotto CHIBANA ed infine, nel 1921 dopo il servizio
militare, completò il suo addestramento con KYAN.
Morì nel 1928 a causa di un attacco d’ulcera.
Nonostante la sua breve esistenza, viene ancora ricordato per esser stato uno dei
più dotati KARATEKA dell’epoca e di lui, anche se fu un ottimo insegnante, si
cita più frequentemente il favoloso TSUMASAKI GERI, il calcio con la punta
delle dita, nel quale eccelleva.
Di lui si raccontano molti episodi riguardanti la sua abilità nel combattimento,
come quello nel quale risultò vincitore su di un gigantesco lottatore di SUMO
all’età di appena diciannove anni, ma se ne ricordano anche la grande cultura
storica marziale, l’abilità come calligrafo, musicista e danzatore e la capacità di
affrontare con successo qualsiasi sport, grazie al suo fisico.
UEHARA SEIKICHI
UEHARA, nato nel 1903, divenne quasi per caso l’erede della scuola di TI della
famiglia MOTOBU UDUN, per undici generazioni insegnante di quest’arte
nobiliare alla casa reale: CHOYU MOTOBU (1865-1927). Due immagini di ANKICHI ARAGAKI.
Il già citato fratello maggiore di CHOKI, e maestro dell’ultimo re delle Ryukyu,
avrebbe voluto che suo figlio CHOMO continuasse la tradizione di famiglia, ma,
poiché questi non volle, decise di passare l’incarico al suo allievo UEHARA, che,
dopo la morte del maestro, si addossò la responsabilità di tramandare questa
particolare e rara arte marziale, in verità con grande successo.
Nel 1947 UEHARA chiamò la scuola MOTOBU-RYU, in onore del maestro.
SEIKICHI UEHARA
SHIMABUKURO ZENRYO
(1904-1969). Allievo di KYAN dal 1928 fino al 1944, fondò il CHUBU
SHORIN-RYU, conosciuto nel mondo come SEIBUKAN, dal nome del DOJO.
Suo successore è il figlio ZENPO.
NAGAMINE SHOSHIN
Nato nel 1907 a Tomari, per migliorare la propria salute, iniziò la pratica del
KARATE a 17 anni con un vicino di casa: CHOJIN KUBA. In seguito ebbe
come maestri KOTATSU IHA (TOMATI-TE), TARO SHIMABOKURO di ZENRYO SHIMABUKURU
Shuri e ANKICHI ARAKAKI. Dal 1931, anno in cui entrò nella polizia, al 1936,
quando si recò presso il dipartimento di polizia di Tokyo per un periodo di
aggiornamento, fu allievo di CHOTOKU KYAN. In Giappone ebbe modo di
apprendere le tecniche di KUMITE di CHOKI MOTOBU. Nel 1940,
raccomandato da CHOJUN MIYAGI, ricevette la qualifica di RENSHI. Proprio
in occasione dell’apertura del primo DOJO di NAGAMINE, nel maggio del
1942, KYAN fece la sua ultima dimostrazione pubblica. Coinvolto nella battaglia
d’Okinawa del 1945, finì prigioniero dell’esercito statunitense, riprendendo solo
dopo qualche anno ad insegnare le arti marziali. Esperto anche di JUDO e
KENDO, NAGAMINE chiamò il proprio stile, che era uno SHORIN-RYU
influenzato sia dal TOMARI-TE derivato da MATSUMORA sia dallo SHURI-
TE proveniente da MATSUMURA, MATSUBAYASHI-RYU, traducibile come
“foresta di pini”, ma anche pronunciabile “SHORIN-RYU”, utilizzando
abilmente il primo KANJI dei due maestri. SHOSHIN NAGAMINE morì nel
SHOSHIN NAGAMINE
1997, lasciando l’eredità della sua scuola, ormai diffusa in tutto il mondo, al
figlio TAKAYOSHI.
SHIMABUKU TATSUO
Il futuro fondatore della scuola ISSHIN-RYU nacque ad Okinawa nel villaggio di
Chan (Kinaka), presso la città di Gushikawa, nel 1908. Come consuetudine, ebbe
un nome da ragazzo, KANA, ed uno giapponese, SHINKICHI, per i documenti
ufficiali, che cambiò in TATSUO, “ragazzo drago”. Imparò i primi rudimenti
d’arte marziale da uno zio materno, che era anche esperto di I CHING, un metodo
tradizionale di divinazione cinese. Quando SHIMABUKU aveva circa 23 anni,
poiché la sua esperienza marziale era limitata, lo zio lo mandò da CHOTOKU
KYAN, con il quale studiò per quattro anni. Nel 1936 fu allievo di CHOJUN
MIYAGI e nel 1938 anche di CHOKI MOTOBU. Si trasferì in Giappone nel
1939, dove, scoppiata la guerra, portò anche la famiglia. Tornato ad Okinawa, nel
1947 cominciò ad insegnare KARATE, chiamand