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Facta sunt servanda. La dimensione fattuale del diritto nell’epoca della computazione.

Abstract. La computazione, intesa quale rielaborazione di dati attraverso metodi di data mining, machine learning e
simulazioni, nonché possibilità di compiere calcoli di più o meno elevata complessità (equazioni, statistiche), pare stia
ritagliandosi un ruolo di primo piano nel mondo della ricerca, oltrepassando i confini delle scienze naturali. Metodologie
di questo tipo sembrano poter incidere anche sulle scienze sociali, promuovendo un approccio interdisciplinare che metta
in evidenza la dimensione ‘naturale’ dei fenomeni sociali. In quanto naturali, essi sarebbero passibili di un’analisi
scientifica, che consenta di stabilire un legame più solido tra elaborazione teorica e verifica empirica dei fatti. Con la
consapevolezza di introdurre una questione priva di rigidi confini disciplinari, la nostra breve panoramica intende
introdurre il problema del dibattito attorno agli sviluppi della scienza giuridica empirica. Il tentativo sarà di mostrare
come la computazione potrebbe aiutare la scienza giuridica a migliorare la propria comprensione della realtà guardando
al diritto come fatto del mondo, oltre che artefatto formalistico che lo regola dall’esterno.

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Il diritto come ‘norma’ – 2.1. L’oggetto di studio della scienza giuridica – 2.2. I confini
del fenomeno giuridico – 3. La ricerca giuridica empirica – 3.1. Le origini della ricerca giuridica empirica – 3.2. L’impatto
della ricerca giuridica empirica – 4. Il diritto come fenomeno naturale – 5. Osservazioni conclusive: l’empirismo giuridico
computazionale – 6. Bibliografia.

Where you been lately? There’s a new kid in town.


Everybody loves him, don’t they... and you’re still
around.

—“New Kid in Town”, The Eagles (1976)

1. Introduzione
Lo sviluppo della tecnica negli ultimi decenni non ha potenziato le macchine soltanto in termini di
pura potenza di calcolo1. Ad oggi i computer sono in grado di reperire, conservare, digitalizzare e
rielaborare quantità smisurate di dati e informazioni (Big Data), consentendone la gestione e l’analisi
attraverso l’utilizzo di algoritmi, tecniche di data mining, machine learning e simulazioni. Questi
fenomeni costituiscono il nucleo della cd. computazione. Approcci di tipo computazionale giocano
un ruolo centrale nelle scienze dure, ma potrebbero avere un impatto importante anche sulle scienze
molli, in particolare sulle scienze sociali2. Il ricorso a metodi di questo tipo in nello studio dei
fenomeni sociali permetterebbe di costruire modelli di spiegazione della realtà, che forniscano una
possibilità di verifica empirica e sperimentale della tradizionale attività di elaborazione teorica.
Presentandosi come un’intersezione tra scienze sociali, scienze dell’informazione e scienze della
complessità, il paradigma emergente di ricerca delle Scienze Sociali Computazionali (Computational
Social Sciences – in seguito CSS) sembra essere indirizzato in tal senso. La computazione, ossia

1
In questa sede, con il concetto di calcolo si intende una successione più o meno lunga di operazioni atte a fornire la
soluzione di un dato problema aritmetico, o, più in generale, matematico.
2
Le espressioni ‘scienze dure’ e ‘scienze molli’ sono calchi dalla lingua inglese, che si serve delle espressioni hard science
e soft science. Le scienze dure comprendono sia le scienze esatte (matematica, logica) sia le scienze naturali (biologia,
chimica, fisica), mentre le scienze molli comprendono uno spettro abbastanza ampio di discipline sia umanistiche
(filosofia, critica letteraria, studi di genere) che sociali (economia, sociologia, psicologia). La differenza sta nel rigore,
nella falsificabilità e nella cumulatività che caratterizzano le prime. Ciò significa che a differenza delle scienze molli, tali
discipline applicando rigorosamente il metodo scientifico raccogliendo dati con misure sperimentali ripetibili ed
elaborandoli con formule matematiche, analisi statistiche e grafici.
1
l’utilizzo di metodi quantitativi e strumenti matematici, statistici e di simulazione più o meno
sofisticati opera come un potenziatore empirico3, nel senso che ha consentito agli scienziati sociali di
estendere la percezione dei fenomeni di loro interesse attraverso macchine, calcolo e artefatti. Ciò
significa rendere i fenomeni sociali dei fenomeni naturali, ovvero testabili in via sperimentale
attraverso l’utilizzo di modelli di simulazioni ripetibili e riproducibili in silico.

Le euristiche computazionali sembrano poter essere utili anche alla scienza giuridica, nella misura in
cui il diritto non è solo un fattore di regolazione della realtà sociale, ma anche un suo prodotto, un
fatto del mondo che non si esaurisce nelle norme dell’ordinamento giuridico positivo. Il nostro scopo
è di evidenziare come l’esistenza di nuovi strumenti d’indagine e di ricerca possa contribuire ad un
ampliamento degli orizzonti metodologici e teleologici della conoscenza giuridica, avvicinando i
giuristi ad una più profonda comprensione della dimensione fattuale e sociale del fenomeno giuridico.
Nella sezione seguente verranno delineate, in termini generali, le caratteristiche essenziali del
fenomeno giuridico nella consolidata prospettiva di tipo normativo. A ciò seguirà una esposizione
dell’evoluzione e delle caratteristiche fondamentali dei principali paradigmi della ricerca giuridica
empirica, dai primi approcci americani al tempo del New Deal, sino agli sviluppi ed alle prospettive
attuali che guardano al diritto come fenomeno naturale.

3
Il concetto di ‘potenziatore empirico’ (Ingl. epistemic enhancer/empirical extension) è un concetto presente in
Humphreys, P. (2004). Extending ourselves: Computational science, empiricism, and scientific method. Oxford
University Press. L’autore è un noto filosofo della scienza, che nel citato contributo ricostruisce l’influenza
epistemologica e metodologica della computazione sulla scienza. La categoria dell’epistemic enhancer è utilizzata per
spiegare gli obiettivi raggiunti dalla scienza per estendere le nostre abilità di conoscenza del reale. L’autore individua tre
fondamentali epistemic enhancers: Estrapolazione (Extrapolation), Conversione (Conversion) ed Aumentazione
(Augmentation). L’Estrapolazione è la possibilità di estendere il range naturale e limitato di percezione delle nostre
capacità sensoriali. È il caso dell’utilizzo di strumenti come telescopi, microscopi o strumenti in grado di rilevare
frequenza sonore non udibili dall’orecchio umano. La Conversione è la possibilità di convertire in una determinata
modalità sensoriale fenomeni normalmente accessibili e conoscibili in altra forma; è quanto accade con i dispositivi sonar
muniti di display. Possiamo osservare e studiare elementi che per natura non siamo in grado di cogliere (es. particelle
alfa). La Aumentazione riguarda i casi in cui la proprietà non è riconosciuta dai nostri organi sensoriali, perché è
qualitativamente differente da quelle che li stimolano. È il caso del rilevamento del magnetismo. Naturale conclusione di
queste osservazioni è la fine dell’antropocentrismo nel processo di acquisizione (scientifica) della conoscenza.
Utilizzando le parole dell’autore: “The moral of the story is that an activity does not have to be done either by us or for
us in order to be considered scientific […] For such [big] data sets, the image of a human sitting in front of an instrument
and conscientiously recording observations in propositional form before comparing them with theoretical predictions is
completely unrealistic. […] in extending ourselves, scientific epistemology is no longer human epistemology.” (Ibid., pag.
7). Ciò, si badi, non è una forma di dominio delle macchine o della tecnologia, ma un processo di indagine ed acquisizione
della conoscenza in cui l’uomo ha un ruolo diverso: non sono le macchine a trascenderci, bensì siamo noi stessi a
trascenderci (’estenderci’) attraverso le macchine, il calcolo, i nostri artefatti. Con riguardo al diritto, ciò significherebbe
utilizzare la computazione come strumento di estensione della nostra percezione del fenomeno giuridico dalla dimensione
normativa di ‘ordinamento giuridico’ a quella sistemica di ‘artefatto sociale’.
2
2. Il diritto come ‘norma’

La concezione del diritto come ‘norma’, cioè quella consolidata convinzione che il diritto consista di
significati prescrittivi e sia analizzabile in questi termini (cd. normativismo), è un atteggiamento
comune a molte correnti del pensiero giuridico moderno. Tali significati prescrittivi (cd. norme
giuridiche), inquadrati entro il perimetro dell’ordinamento dello stato, costituiscono le cellule
essenziali dell’ordinamento giuridico. Il filosofo e giurista austriaco Hans Kelsen4, uno dei massimi
normativisti della modernità, affermava lapidario: “Senza legge giuridica niente conoscenza
giuridica, senza legge giuridica niente scienza del diritto”5. Sulla base di queste considerazioni, si
cercherà di far luce sull’oggetto di studio della scienza giuridica e di comprenderne i possibili confini.

2.1. L’oggetto di studio della scienza giuridica

Il paradigma normativista si caratterizza per la centralità assoluta attribuita al dato normativo. La


norma viene in evidenza come manifestazione coercitiva della volontà dello stato, che mediante un
legislatore competente ad emanarla, cerca di ottenere da parte dei consociati un determinato
comportamento. Oggetto di studio della scienza giuridica sono queste norme giuridiche, che
costituiscono il diritto. Corollario è la rilevanza giuridica dei soli accadimenti sociali inquadrabili
dentro uno schema normativo predisposto dal legislatore6. Tale configurazione dell’oggetto di studio
della scienza giuridica ha inciso sul metodo utilizzato dai giuristi per studiare i fenomeni di loro
interesse. Una definizione in tal senso del metodo giuridico la fornisce il giurista e filosofo italiano
Uberto Scarpelli, già allievo di Norberto Bobbio:

“Con l’espressione metodo giuridico è appropriato indicare il metodo delle attività che possiamo considerare interne ad
un ordinamento giuridico, concernenti le sue norme dal punto di vista che infatti, ed opportunamente, è stato chiamato
“interno”. Punto di vista interno, rispetto a norme, è il punto di vista di colui che assume le norme a guida della condotta
e criterio di valore. Mettendosi rispetto a norme da un punto di vista interno l’esperienza non si presenta più come un
insieme di fatti, collegati da relazioni causali, dialettiche etc., ma come un reticolo di proposizioni determinanti un dover
essere e come valore dei suoi momenti secondo i loro rapporti con le proposizioni del reticolo”7.

4
La concezione del diritto come norma in questo senso minimo costituisce un elemento centrale della definizione del
concetto di diritto attualmente diffusa nella cultura occidentale. Sono i diversi orientamenti filosofico-giuridici a
specificare poi diversamente questo concetto minimo di norma e di diritto. Nonostante la sua teoria abbia delle peculiarità
che la rendono per certi versi un caso a sé stante, la cd. ‘Dottrina pura del diritto’ (Reine Rechtslehre) di Hans Kelsen
rappresenta la declinazione più influente del normativismo. Per un’analisi più profonda del pensiero di Hans Kelsen v.
Merlino, A. (2012). Storia di Kelsen: la recezione della 'Reine Rechtslehre' in Italia. Ed. Scientifica. Per una panoramica
più esaustiva in merito alla visione formalistico‐legalistica del fenomeno giuridico v. Frosini, V. (1969). Scienza giuridica
(voce), in Novissimo Digesto Italiano, Utet.
5
Kelsen, H. (1997). Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico. Edizioni Scientifiche Italiane pag. 20.
6
In Sandgren, C. (2000). On empirical Legal Science. Scandinavian Stud. L., 40, 445 pagg. 446 ss. si evidenzia come già
allo stato attuale di cose gli studiosi hanno fatto ricorso ad approcci slegati dal puro metodo positivistico. Tali studi si
pongono l’interrogativo della fondatezza o del buon funzionamento delle regole sulla base dell’analisi delle altre fonti del
diritto, della storia della legislazione o della ricostruzione delle opinioni giurisprudenziali più influenti. Ciononostante
tali approcci non possono definirsi empirici, perché si fondano su materiale ‘interno’ alla dimensione normativa del
fenomeno giuridico e sono supportati da argomentazioni di carattere tendenzialmente speculativo.
7
Scarpelli, U. (1971). Il metodo giuridico. Rivista di diritto processuale, 4(1971), 554 pag. 561.
3
Nella prospettiva dell’autore, il diritto è un che di diverso da altre manifestazioni della realtà sensibile
proprio in virtù del suo essere norma. Le norme vanno a creare una dimensione di ‘dover essere’
(Sollen), in cui il diritto vive secondo leggi che non sono quelle degli altri fenomeni della natura
sensibile. Riconosciuta tale evidenza, compito dello scienziato del diritto non può che essere lo studio,
l’elaborazione e la coordinazione dei concetti già contenuti nelle proposizioni normative, che
chiedono di essere rivelati ed ordinati, ma non creati. In questo senso, senza legge giuridica non c’è
conoscenza giuridica e senza legge giuridica non c’è scienza del diritto. Precisato che l’attività
interpretazione delle norme positive è tutt’altro che agevole se calata nel contesto di un ordinamento
giuridico non formalizzato e non ipotetico8, il momento più rilevante dell’attività tipica del giurista
viene, comunque, identificato con l’immissione di una norma nell’ordinamento ed il suo scopo ultimo
con la risoluzione di incongruenze del sistema attraverso l’aggiornamento costante della conoscenza
complessiva dell’ordinamento ed il perfezionamento della capacità di chiarire il significato di tali
norme e coordinare le fonti normative.

2.2. I confini del fenomeno giuridico

Un’identificazione così marcata tra diritto e norma può spiegarsi, probabilmente, tenendo conto che
l’obiettivo storico degli studiosi del diritto e delle facoltà giuridiche è la formazione di professionisti
(avvocati, magistrati, notai) e che questa preoccupazione richiede la familiarità degli studenti con una
dimensione del fenomeno giuridico che sia adatta innanzitutto alla pratica di consulenza, supporto e
aiuto di un pubblico di potenziali clienti9. Il solo utilizzo dei più diversi criteri interpretativi non
consente sempre di andare oltre la dimensione normativa del fenomeno giuridico.

Infatti, per risolvere situazioni di stallo/incertezza del sistema, il giurista si serve di una serie di rimedi
che consentono o una modifica nell’universo astratto delle norme (es. abrogazione, rinvio ecc.)10 o il

8
Non è nostra intenzione ridurre l’attività di esegesi alla sola determinazione del significato di una o più norme giuridiche
positive attraverso la meccanica sussunzione né togliere importanza alle metodologie cui si fa riferimento in Sandgren,
C. (2000) pagg. 446 ss. Difatti la stessa attività interpretativa deve fare i conti con una serie di attività preliminari come
l'individuazione della norma, il controllo della sua validità e vigenza, nonché la determinazione della sua rilevanza per il
discorso del giurista. Inoltre potrebbe rendersi necessario appurare l’esistenza di una consuetudine o, nei casi in cui è
previsto, di un precedente giudiziario vincolante. Tutto ciò, e non solo, concorre in modo determinante alla individuazione
della norma applicabile per la risoluzione di una specifica controversia in via interpretativa. Solo per una questione di
facilità di esposizione, si è scelto di adottare un modello tipizzato di ordinamento giuridico e di giurista.
9
V. amplius Ulen, T. S. (2002). A Nobel Prize in legal science: theory, empirical Work, and the scientific method in the
study of law. U. Ill. L. Rev., 875 pagg. 897 ss.
10
In una prospettiva simile ma su di un piano più generale di limitazioni metodologiche delle scienze sociali, pare
opportuno fare riferimento alla posizione che emerge in Parisi, D. (2014). Future robots: towards a robotic science of
human beings (Vol. 7). John Benjamins Publishing Company. A proposito dei limiti delle scienze sociali nell’analizzare
i fenomeni di cui si occupano, l’autore rileva la tendenza delle stesse a formalizzare le proprie teorie in forma di parole,
talvolta appartenenti a lingue diverse e non perfettamente interscambiabili (es. parola della lingua di partenza che non ha
un corrispondente nella eventuale lingua di arrivo; il poeta inglese Thomas Stearns Eliot parla di “intolerable wrestle with
words and their meanings”). Ciò rappresenta un limite metodologico in ordine al raggiungimento di previsioni esatte,
rigorose e non ambigue ed anche rispetto al dialogo ed al confronto con altri studiosi del proprio ambito disciplinare.
4
guadagno dall’esercizio di un’attività professionale di studio/applicazione/comprensione delle
norme. Gli operatori del diritto sono in grado di intervenire su particolari fattispecie concrete
ricostruendole e spiegandole alla luce di fattispecie astratte presenti nel diritto positivo, ma non
sempre riescono a cogliere gli elementi non positivi che hanno originato la fattispecie concreta nel
tessuto sociale11. Questo significa anche non sentire necessità di ricorrere a rimedi più adeguati di
quelli normativi per risolvere situazioni di stallo del sistema.

In tal modo il diritto è osservato come fattore formale ed esterno di regolazione della vita sociale. La
scienza giuridica, analizzando regole e principi dell’ordinamento positivo unicamente come fattore
di regolazione sociale, non tiene conto della loro natura di risultato dell’interazione sociale stessa. La
peculiarità del diritto è proprio il possesso di questa doppia identità e non tenerlo in considerazione
significa interessarsi solo ad una parte fenomeno giuridico, che è la produzione/positivizzazione di
norme. Il giurista palermitano Santi Romano, nell’opera “L’ordinamento giuridico”, propone una
riflessione sul rapporto tra diritto e fatti e tra scienza giuridica e società, che accoglie in radice
l’indagine della dimensione sociale del diritto:

“[Il concetto di diritto] deve ricondursi innanzitutto al concetto di società. Ciò in due sensi reciproci, che si completano a
vicenda: quel che non esce dalla sfera puramente individuale, che non supera la vita del singolo come tale non è diritto
(ubi ius ibi societas) e inoltre non c’è società, nel senso vero della parola, senza che in essa si manifesti il fenomeno
giuridico (ubi societas ibi ius)”12.

E di seguito:

“[…] prima di essere norma […] [il diritto] è organizzazione, struttura, posizione della stessa società. […] il processo di
obiettivizzazione che dà luogo al fenomeno giuridico non si inizia con l’emanazione di una regola ma in un momento
anteriore; le norme non ne sono che una manifestazione, una delle varie manifestazioni” 13.

Considerare le norme come una della manifestazioni del fenomeno giuridico pone l’accento sulla sua
dimensione di fatto sociale, affiancando al giurista professionista delle norme il giurista come
studioso di cose sociali. La necessità è quella di rivolgersi alla società nel suo continuo divenire e
nella complessità delle sue articolazioni, considerando la possibilità che ognuna di queste possa

Inoltre, indicare con altre parole più chiare il significato delle parole risultate a posteriori ambigue, crea un circolo vizioso
in grado di incidere sul problema amplificandolo. Ulteriore elemento di non obiettività è, infine, l’influenza che le
sovrastrutture morali, politiche, ecc. possono esercitare sul linguaggio, rendendolo non neutrale. Questo genera un
obiettivo ritardo nelle scienze sociali. L’autore propone un enhancement delle scienze sociali attraverso l’utilizzo di teorie
espresse in forma di artefatti neutrali ed universalmente comprensibili in sé. Ibid., pag. 11: “Theories as artefacts are
mirrors in which we see ourselves, whether we like or not what we see in the mirror”. Interessante rilevare che lo stesso
autore non menziona il diritto – almeno nel senso di disciplina autonoma – tra le scienze sociali.
11
In Sandgren, C. (2000) pag. 466 l’autore rileva a proposito: “The legal method nonetheless has its own limitations in
that it is not a result oriented instrument for those who have a problem which is not taken up by positive law”.
12
Cit. Romano, S. (1946). L'ordinamento giuridico. Sansoni, pag. 25-26.
13
Cit. Romano, S. (1946), pag. 27.
5
produrre diritto. In quest’ottica, il paradigma normativista perde il suo primato. La realtà giuridica è,
infatti, un complesso vivente di esigenze, idealità, interessi presenti nella società, fenomeni che il
sistema giuridico deve capire, se vuole integrare quella prospettiva che vede le norme come prodotti
interpretativi o manifestazione di volontà autoritative in grado di poter autonomamente dirigere e
controllare i fatti che disciplinano14. Alla luce di questi rilievi si può, dunque, comprendere perché la
scienza giuridica tradizionale sia sotto pressione15. Rispetto alla necessità di allargare i confini
dell’oggetto di studio della scienza giuridica, più che di fattualità o socialità del fenomeno giuridico,
gli studiosi si esprimono facendo riferimento alla possibilità di rendere lo studio del diritto più
empirico. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole nella misura in cui la sostanza del concetto è
approssimativamente la stessa e la ricerca giuridica empirica ha acclarate radici storiche16. Tuttavia,
questa dimensione merita di essere presa in considerazione per l’apporto che potrebbe garantire agli
sviluppi del diritto come scienza sociale in ragione delle recenti acquisizioni metodologiche e teoriche
delle scienze sociali stesse.

3. La ricerca giuridica empirica

Riflessioni come quelle esposte poco fa hanno portato a considerare l’attività di interpretazione delle
norme giuridiche come parte di una complessa dinamica che nasce nella società e poi a questa
nuovamente si rivolge. Il recupero della dimensione sociale e fattuale del diritto è l’obiettivo che si
pone la ricerca giuridica empirica. Intendere in senso empirico il diritto significa dare importanza alla
sua dimensione di artefatto sociale, testabile attraverso l’utilizzo di metodi quantitativi e/o qualitativi
che spaziano dal semplice conteggio a sofisticate manipolazioni statistiche o ancora alla distribuzione
delle informazioni in gruppi omogenei, all’identificazione di sequenze (cd. process tracing) e
patterns. È necessario precisare che la contrapposizione tra metodologie positiviste, da un lato, e
metodologie empiriche, dall’altro, non è da intendersi come un aut aut17:

“Studies in legal positivism are naturally central for jurisprudence in that traditional legal analysis is irreplaceable for a
high level of quality in law, the preservation of legal certainty and a good legal culture in general. However […] by
complementing such studies with empirical material, the importance of legal science can be increased” 18.

14
V. amplius Grossi, P. (2000). Scienza giuridica italiana: un profilo storico: 1860-1950. Giuffrè.
15
Cfr. Smits, J. M. (2012). The mind and method of the legal academic. Edward Elgar Publishing.
16
Per una puntuale ricostruzione storica della ricerca giuridica empirica (Empirical Legal Research) alla luce non solo
delle discipline e delle correnti di pensiero che la rappresentano, ma anche di un’analisi di ruolo, contenuto ed impatto
delle riviste che le hanno dato spazio si rimanda a Eisenberg, T. (2011). The origins, nature, and promise of empirical
legal studies and a response to concerns. U. Ill. L. Rev., 1713.
17
V. amplius Bradney, A. Law as a Parasitic Discipline (1998). Journal of Law and Society, 25, 71.
18
Cit. Sandgren, C. (2000) pag. 446.
6
Una trattazione organica dell’argomento richiederebbe un chiarimento sull’evoluzione del concetto
di empirismo nella storia della scienza e nella filosofia della scienza, per comprendere soprattutto i
rischi ed i limiti che possono presentarsi nel ricorso a questo tipo di approccio. In questa sede
limiteremo il nostro spettro d’indagine all’applicazione giuridica del concetto, volgendo la nostra
attenzione alle declinazioni più importanti di questo paradigma nella ricerca sociale e giuridica e alle
possibili ragioni che possano giustificare un approccio di questo tipo.

3.1. Le origini della ricerca giuridica empirica

In Europa una inclinazione verso indagini di tipo empirico la si può notare, quantomeno dalla prima
metà del XX secolo19. Tuttavia, uno degli approcci empirici che ebbe un primo impatto diretto sulla
centralità del diritto positivo e dei metodi consolidati di analisi normativa, è stato l’American Legal
Realism, un movimento sviluppatosi negli Stati Uniti al tempo del New Deal.

“The early Realists were a loosely associated but prominent group of scholars who sought to supplant the rigid, doctrine-
centered legal formalism of the late-nineteenth century […] with a more flexible and pragmatic style of scholarship,
attentive to policy, politics, and the law-in-action of self-regulating communities. […] Realists advocated the use of
empirical social science to inform thinking about the law […]”20.

La riflessione parte, dunque, dalla individuazione di due categorie contrastanti: law-in-books ovvero
la dottrina giuridica ottocentesca di stampo positivistico e la law-in-action ovvero una valutazione
etico-politica del diritto in base a cui si ritiene che esso includa, oltre alle tradizionali fonti
positivistiche, anche le cd. norme effettive (es. consuetudini sociali, interessi diffusi, etc.). Tali norme
sarebbero utili non solo a descrivere l’ordinamento, ma anche a prevedere come esso viene percepito
ed applicato soprattutto dai giudici21. Le attività portate avanti dai primi realisti avevano ad oggetto
soprattutto l’implementazione di policies. In tal senso depongono li studi di Underhill Moore e
Charles C. Callahan sulle sanzioni pecuniarie subite dagli automobilisti per la violazione delle norme
relative al parcheggio delle auto, e l’analisi dei processi di decision-making con funzione predittiva
delle decisioni delle giurie o dei giudici senza giuria22. In questo contesto, “empirico” diventa

19
Cfr. amplius Leeuw, F. L. (2015). Empirical Legal Research The Gap between Facts and Values and Legal Academic
Training. Utrecht L. Rev., 11, 19 pagg. 20-21.
20
Cit. Suchman, M. C., & Mertz, E. (2010). Toward a new legal empiricism: empirical legal studies and new legal realism.
Annual review of law and social science, 6, 555-579 pag. 557.
21
Precisa Kruse, K. R. (2011-2012). Getting Real about Legal Realism, New Legal Realism, and Clinical Legal
Education. New York Law School Law Review 56(2), 659 pag. 296: “Missing from the law in books are the myriad ways
the meaning of law shifts as it filters down from appellate opinions to lower court cases; as it spreads from lower court
cases to local practices; as local practices influence the information and advice about the law transmitted by lawyers,
court clerks, social workers, probation officers, friends, neighbors, employers, and others; and as it ultimately shapes the
lives of people who receive information or advice from these multiple sources of legal authority”.
22
Cfr. F. Bell (2016). Empirical Research in Law. Griffith Law Review, 25(2), 262-282 pag. 264.
7
sinonimo di “quantitativo”, conoscenza empirica diventa conoscenza fondata su di una sistematica
raccolta di dati, acquisiti, ordinati ed interpretati secondo metodologie consolidate o almeno in via di
consolidazione. Nonostante l’intuizione del concetto di diritto come costruzione sociale testabile, le
ricerche dei primi realisti non aiutano a definire con chiarezza la ricerca empirica in termini generali,
se non in termini negativi: è empirico ciò che non si serve della sola interpretazione astratta di norme.
Ad oggi quella che possiamo definire Empirical Legal Research (ELR) si è sviluppata in molteplici
direzioni23; con riferimento al diritto possiamo individuare le articolazioni più sistematiche nel New
Legal Realism (NLR) e negli Empirical Legal Studies (ELS)24.

3.2. L’impatto della ricerca giuridica empirica

Ritornando alle categorie del realismo giuridico americano, si può affermare che la law-in-books è
importante, ma non abbastanza da spiegare come si possa produrre un diritto più efficiente. In un
contributo in materia, lo studioso olandese Frans Leeuw parla disposizioni legislative prive di un
reality check25, rielaborando quanto scritto da Oliver Wendell Holmes Jr.:

“For the rational study of the law the black letter man may be the man of the present, but the man of the future is the man
of statistics and the master of economics”26.

La necessità di un approccio empirico al diritto ha, dunque, una giustificazione sia pratica che teorica.
Da un punto di vista teorico l’approccio empirico, alla luce della sua interdisciplinarietà, potrebbe
consentire il recupero del rapporto tra diritto e fatti e scienza giuridica e società, permettendo ai
giuristi di comprendere cosa non conoscono. Con la solita avvertenza della basilare presenza del
metodo giuridico tradizionale e delle altre forme di pratica del diritto professionalizzanti ma non
empiriche (es. il case study), già il giurista statunitense Richard A. Posner nel suo scritto The Decline
of Law as an Autonomous Discipline evidenziava quanto segue:

“[…] we need a new style of judicial opinion writing […] in which formalistic crutches […] that exaggerate the
autonomous elements in legal reasoning are replaced by a more candid engagement with the realistic premises of decision.
[…] The law schools need to encourage the branch of academic law that I call “Legal Theory”, […] the study of the law
not as a means of acquiring conventional professional competence but “from the outside”, using the methods of scientific
and humanistic inquiry to enlarge our knowledge of the legal system” 27.

23
Cfr. van Dijck, G. (2011). Empirical Legal Studies (ELS). WPNR: Weekblad voor privaatrecht, notariaat en registratie,
142(6912), 1105-1112; Leeuw, F. L. (2015).
24
Cfr. Suchman, M. C., & Mertz, E. (2010).
25
Cfr. Leeuw, F. L. (2015) pag. 23.
26
Cit. Holmes, O. W. Jr. (2010). Collected Legal Papers. Peter Smith pag. 139.
27
Cit. Posner, R. A. (1986). The decline of law as an autonomous discipline: 1962-1987. Harv. L. Rev., 100, 761 pag.778-
779.
8
In sostanza, si ribalta la prospettiva scarpelliana del punto di vista “interno”28, in favore di una
contaminazione metodologica tra scienza giuridica ed altre scienze dure e non.

Da un punto di vista pratico, la capacità di comprensione di questa dimensione del diritto può avere
benefici sulla incisività dell’attività accademica. La possibilità di testare e simulare in silico situazioni
con rilevanza normativa consentirebbe una più attenta pianificazione del tipo di intervento da
adottare. Inoltre, un approccio empirico potrebbe rendere più proficuo lo stesso esercizio delle
professioni legali. Diversi settori dell’ordinamento già richiedono che l’operatore sappia servirsi e
comprendere una serie di evidenze empiriche:

“knowing when scientific data are useful in resolving legal issues, knowing what sorts of data are useful, knowing how
to interpret and evaluate such data and how to draw conclusions from them, and, for lawyers in particular, knowing how
to make effective use of scientific data in litigation” 29.

La crescita esponenziale degli approcci empirici rispetto al diritto, prima di condurci oltre una visione
formalistico-legalistica del fenomeno giuridico, pone, però, delle problematiche di ordine:

a. Epistemologico: che tipo di conoscenza viene prodotta e come questa si accumula nel tempo;
b. Metodologico: pianificazione dei percorsi di studio, il ruolo delle teorie, modalità di raccolta,
analisi e reperimento dei dati;
c. Traslazionale: come coordinare i risultati della ricerca empirica con l’azione dei giuristi
positivisti e come fare in modo che questi se ne servano e, innanzitutto, abbiano gli strumenti
per poterli utilizzare.

Quest’ultimo punto è al centro della questione più importante: aggiungere valori (normativi) ai fatti
(empirici), da cui non deriva alcun obbligo legale. Si può, dunque, individuare un gap tra fatti e valori
che deve essere necessariamente colmato per evitare che gli strumenti empirici diventino
semplicemente un’estensione dei metodi scientifici alla ricerca giuridico-sociale o, peggio, si
trasformino in frustranti e complicate raccolte di dati30.

28
V. §2.1., pag. 3.
29
Cit. F. Bell (2016) pag. 273.
30
Per una ricostruzione critica dei metodi proposti dagli studiosi per affrontare il gap ed una analisi di alcuni nuovi
approcci in questa prospettiva si rimanda a Leeuw, F. L. (2015) pagg. 23 ss.
9
Nonostante l’apporto positivo che la ricerca giuridica empirica può dare alla scienza giuridica, essa
ne rimane ai margini. I giuristi, non acquisendo conoscenze e competenze per utilizzare metodi
empirici nel loro percorso di studio, tendono a non utilizzarli e spesso a sovrapporre al concetto di
‘empirico’ quello di ‘professionalizzante’.

4. Il diritto come fenomeno naturale

Appurato che l’utilizzo di metodi più empirici nel diritto è una esigenza storica e che può apportare
dei vantaggi sia all’accademia che ai professionisti, non resta che capire come attualizzarli. Per
attualizzazione della ricerca empirica, si intende una lettura della stessa alla luce dei fenomeni e dei
progressi che hanno caratterizzato le scienze – sociali e non – ed in generale l’acquisizione e la
accumulazione del sapere nella nostra epoca. Il fenomeno alla luce del quale leggere e declinare
l’empirismo è, quindi, per forza di cose, la computazione31. Considerando empiricamente il diritto
come artefatto sociale riproducibile in silico e testabile attraverso ipotesi causali e non causali, il
quadro attuale ci impone di rendere queste ipotesi non solo interdisciplinari, ma soprattutto
computazionali ed in grado di leggere la complessità del fenomeno sociale.

La teoria della complessità, le neuroscienze e la biologia evolutiva stanno permettendo di


comprendere in termini interdisciplinari e quantitativi i processi alla base delle dinamiche sociali,
soprattutto attraverso l’utilizzo di strumenti computazionali di simulazione. La simulazione in silico
consente di applicare il metodo scientifico anche allo studio di dette dinamiche; avendo evidenziato
in precedenza il concetto di diritto come fatto sociale, ciò suggerisce di analizzare anche il fenomeno
giuridico come un fenomeno naturale, ossia come un fatto del mondo analizzato similmente a quelli
di interesse della fisica e delle scienze naturali. Se i primi realisti americani sottoponevano questionari
ai giudici per poter compiere analisi predittive di decision-making, oggi sarebbe, quindi, più adeguato
costruire un modello simulativo utilizzando computer ed algoritmi. In questo senso le CSS
rappresentano un paradigma di ricerca interessante.

Presentandosi come “un’intersezione tra scienze sociali, scienze dell’informazione e scienze della
complessità” le CSS “[…] sembra[no] poter condurre le scienze dell’uomo alla falsificabilità, al
rigore e alla cumulatività che hanno sempre caratterizzato lo studio del mondo fisico e biologico” 32.

31
Per una definizione di computazione vedi §1, pag. 1.
32
Cit. Faro, S., Lettieri, N., eds. (2013). Law and Computational Social Science. Informatica e diritto. Numero
monografico pag. 14. Inoltre “da un punto di vista teorico, il paradigma scientifico alla base delle scienze sociali
computazionali e la natura dei fenomeni da queste indagati può promuovere una maggiore attenzione dei giuristi alla
dimensione empirica dei fenomeni giuridici e una maggiore apertura del dialogo con altre discipline […] Dal punto di
vista metodologico, poi, le scienze sociali computazionali possono incoraggiare la valorizzazione, in ambito giuridico, di
10
Se il legame tra il diritto e le altre scienze sociali è cosa più nota, è opportuno spendere qualche parola
sul legame tra la scienza giuridica e le scienze della complessità. Tali scienze possono rappresentare
uno strumento attraverso cui mettere a fuoco la natura e le caratteristiche dell’oggetto di studio delle
scienze sociali: l’essere umano, i suoi comportamenti, le sue relazioni ed i prodotti di esse.

La teoria della complessità abbandona l’idea del sistema semplice, lineare e controllabile sulla scorta
della consapevolezza che la realtà – o quantomeno buona parte di essa – sia costituita da sistemi
complessi. Si può definire sistema complesso un insieme di componenti con funzioni specializzate
che si influenzano reciprocamente nell’ambito di una molteplicità di livelli ontologici, a loro volta
collegati alle componenti individuali in modo non lineare. Ciò comporta l’impossibilità di dedurre o
prevedere le proprietà e le ‘leggi’ che regolano il suo macro-funzionamento a partire dal micro-
funzionamento dei singoli elementi, perché non solo il micro-livello è connesso al macro-livello, ma
lo stesso macro-livello è connesso al micro-livello in modo non lineare; inoltre essi non tendono quasi
mai a fornire una reazione commisurata agli stimoli esterni – es. è il cd. effetto farfalla. Caratteristica
principale di tali sistemi è, quindi, la cd. uncertainty. Altra differenza con i sistemi semplici, sta
nell’adattività. L’attributo dell’adattività consente ai sistemi complessi di interagire con l’ambiente
esterno in cui si collocano modificandone le proprietà e, viceversa, di modificarsi in base alle
proprietà di tale ambiente – cd. sistemi complessi adattivi33. In parole povere, i sistemi complessi
adattivi si adattano o imparano.

Gli scienziati sociali tendono ad affidarsi a modelli semplici, statici e prevedibili, oppure
“complicati”. Complicato e complesso non sono sinonimi. Un sistema è complicato quando si
presenta come il risultato di un insieme di parti difficili da codificare. Sciogliere la complicazione
può essere faticoso, ma esiste comunque una soluzione. Esempio tipico di sistema complicato è il
meccanismo, che può essere smontato nelle sue parti. In questo caso l’azione sulle singole parti
consente di trovare, più o meno faticosamente, una soluzione che risolva un certo problema per
ciascuna di esse. Una volta risolto il problema, se le parti vengono rimesse insieme funzioneranno.
Stesso discorso varrebbe per un sistema matematico di ‘n’ equazioni lineari in ‘n’ incognite.

un approccio scientifico capace d’offrire, attraverso la ricerca empirica – il ricorso a metodi statistici e matematici e a
tecniche computazionali –, nuovi strumenti di comprensione dei fenomeni rispetto ai quali il diritto è chiamato a svolgere
la propria funzione ordinante” (Ibid., pag. 15). Cfr. Lettieri, N. (2013). Ius in silico. Diritto, computazione e simulazione.
ESI; cfr. Cioffi-Revilla, C. (2010). Computational Social Science. WIREs Comp Stat. 2(3): 259-271. Per una essenziale,
ma esaustiva panoramica generale sulle CSS si rimanda a Conte, R., Gilbert, N., Bonelli, G., Cioffi-Revilla, C., Deffuant,
G., Kertesz, J., ... & Nowak, A. (2012). Manifesto of computational social science. The European Physical Journal
Special Topics, 214(1), 325-346.
33
Per una introduzione a questi temi si rimanda a Pluchino, A. (2016). 10 pillole di complessità. Una guida per capire la
rivoluzione scientifica in corso. Malcor D’.
11
Questo è esattamente l’approccio di tipo analitico cui conduce l’utilizzo del tradizionale metodo di
analisi delle norme. Il fenomeno giuridico è, così, assimilato ad un meccanismo i cui elementi più
semplici sono le norme. Attraverso le norme e la loro interpretazione si ricostruisce e si rende
accessibile una parte del meccanismo. Quel che spesso accade è che interventi di tipo unicamente
interpretativo non producono l’effetto sperato, ma sortiscono addirittura l’effetto opposto.

Da ciò si deduce che la differenza essenziale tra complicato e complesso sta nella prospettiva con cui
ci si approccia al modello indagato. Mentre un approccio complicato guarda all’intero come somma
di parti connesse tra loro in modo più o meno intricato (l’ordinamento come sistema multilivello di
norme connesse tra loro che regolano la vita di individui), un approccio complesso guarda all’intero
come sistema specifico diverso dalla somma delle parti, indipendentemente dalla quantità delle
connessioni che le stesse presentano (l’ordinamento come artefatto sociale prodotto dagli stessi
individui verso i quali esplica la sua funzione ordinante anche attraverso le norme positive)34. A
questo punto non è azzardato ricondurre gli organismi viventi, le organizzazioni economico-sociali,
le politiche e, più in generale, la società umana al modello del sistema complesso adattivo, ovvero
sistema oscillante tra gli estremi di una semplicità lineare che richiama troppo da vicino la staticità di
un meccanismo e la caoticità di un comportamento che sfugge al nostro controllo35. Lapidarie le
parole di Gharajedaghi, teorico del pensiero sistemico:

“Natural science has discovered ‘chaos’. Social science has encountered ‘complexity’. But chaos and complexity are not
characteristics of our new reality; they are features of our perceptions and understanding. We see the world as increasingly
more complex and chaotic because we use inadequate concepts to explain it” 36.

34
Per un’analisi essenziale della complessità del fenomeno giuridico si rimanda a Ruhl, J. B. (2007). Law's complexity:
a primer. Ga. St. UL Rev., 24, 885.
35
Interessante la riflessione riportata in J.B. Ruhl (2007) pag. 908: “Using traditional tools, social scientists have often
been constrained to model systems in odd ways. Thus, existing models focus on fairly static, homogeneous situations
composed of either very few or infinitely many agents (each of whom is either extremely inept or remarkably prescient)
that must confront a world in which time and space matter little. Of course, such simplicity in science is a virtue, as long
as the simplifications are the right ones. Yet, it seems as though the world we wish to know lies somewhere in between
these extremes”.
36
Cit. Gharajedaghi, J. (2006). Systems thinking: Managing chaos and complexity: A platform for designing business
architecture. Elsevier pag. 25.
12
5. Osservazioni conclusive: l’empirismo giuridico computazionale

Riepilogando, si può affermare che la ricerca giuridica empirica merita di essere valorizzata perché
consente non solo di ottimizzare l’esercizio delle professioni legali, ma anche di capire cosa è il
fenomeno giuridico in un’ottica di ripensamento sostanziale dell’oggetto di studio della scienza
giuridica, chiamata a comprendere bene cosa non sa. Per essere utile, dal canto suo, anche la ricerca
empirica va attualizzata. Ciò significa che la ricerca empirica dovrà possedere i seguenti requisiti:

a. Formulare ipotesi testabili capaci leggere la complessità del fenomeno che rappresentano;
b. Servirsi di strumenti computazionali come strumenti in grado non solo di leggere, ma di
spiegare tale complessità;
c. Sfruttare le acquisizioni utili delle altre scienze sociali e naturali, collocandole in un orizzonte
preciso del giuridicamente rilevante, senza riprodurre meccanicamente i metodi altrui.

A questo punto c’è da riflettere su come la computazione stessa possa diventare un paradigma
dispersivo e su come l’uso di artefatti complessi in grado di fare da base a teorie scientifiche e
descrizioni operative di fenomeni sociali possa superare la semplice interdisciplinarità per consentire
al sapere tutto di approdare ad una dimensione non-disciplinare della conoscenza. Dimensione non-
disciplinare è una dimensione in cui i confini delle singole discipline si annullano per abbracciare
fondamenti scientifici comuni per l’analisi di processi del reale che, da diverse prospettive ed in
diverso modo, concorrono alla manifestazione di un medesimo fenomeno. Probabilmente la stessa
computazionalità della Empirical Legal Research (ELR) sarà prima o poi sottintesa nello stesso
concetto di empirismo, che, senza questo attributo, sarebbe un paradigma poco innovativo. È qui,
dunque, che la svolta comincia non solo per la scienza giuridica, ma per tutte le scienze: accedendo
alla prospettiva della complessità si acquisisce la consapevolezza che qualsiasi fenomeno si intenda
studiare sia soltanto un livello del reale, le cui caratteristiche possono compiutamente spiegarsi solo
considerando insieme ad esso i livelli sottostanti e quelli superiori. Il punto è capire in che modo ed
entro quali limiti le singole discipline debbano confrontarsi utilizzando come ‘lingua franca’ la
computazione.

13
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