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diagnostico
Tra le patologie della tiroide, la patologia nodulare tiroidea risulta essere degna di nota non solo per
il suo grande impatto epidemiologico ma anche per i problemi di diagnosi differenziale che essa
pone. Lo scopo di questo articolo è effettuare un rapido e pratico riepilogo dell’appropriato iter
diagnostico da seguire in presenza di un nodulo tiroideo.
Definizione
Per nodulo tiroideo si intende una lesione all’interno della ghiandola tiroide distinguibile
radiologicamente dal tessuto tiroideo circostante. Il criterio radiologico è importante dal momento
che le lesioni palpabili ma non radiologicamente distinguibili dal tessuto tiroideo circostante non
possono definirsi propriamente noduli [1].
Tra i fattori di rischio più importanti per l’insorgenza dei noduli tiroidei vi è la iodio-carenza ovvero
l’inadeguato apporto iodico.
L’apporto iodico giornaliero raccomandato ammonta a circa 150 mcg/die nell’adulto [6] ed a 250
mcg/die nella donna incinta [4] ed è di fondamentale importanza per l’adeguata sintesi degli ormoni
tiroidei necessari, tra l’altro, ad un corretto sviluppo del sistema nervoso fetale durante la
gestazione.
La iodo-carenza in età adulta può causare l’ingrandimento della ghiandola tiroide (il cosiddetto
gozzo) che può essere globale (gozzo diffuso) o nodulare (uni- e multi-nodulare). Tale fenomeno
riguarda gran parte del mondo inclusa l’Italia ed è per contrastare la iodo-carenza ed i suoi effetti
che il Ministero della Salute ha introdotto la legge n° 55/2005 che ha regolamentato la vendita del
sale iodato, oggi accessibile in tutti i punti vendita e di cui si consiglia l’utilizzo a tutte le fasce della
popolazione. Il programma di iodio-supplementazione in Italia ha sortito degli effetti positivi come
dimostrato da diversi studi [7] anche se ancora solo il 50% della popolazione utilizza regolarmente
il sale iodato [8].
Clinica ed esame obiettivo
I noduli tiroidei sono pressoché asintomatici salvo quelli di grandi dimensioni che possono, per
fenomeni di compressione, dislocare le strutture adiacenti causando dispnea, disfagia e sensazione
di corpo estraneo. Talvolta è il paziente stesso che nel corso di un’autopalpazione volontaria o
accidentale percepisce la presenza di una piccola neoformazione nella regione anteriore del collo e
si rivolge al medico.
Questa prima fase è molto importante, basti pensare che la presenza di un nodulo duro, poco
mobile, indolente alla palpazione associato a linfoadenopatia in pazienti con anamnesi positiva per
esposizione a radiazioni ionizzanti (ad esempio in età pediatrica per il trattamento di neoplasie
ematologiche) o con anamnesi familiare di carcinoma tiroideo, pone il sospetto di malignità.
Alla presenza di un rilievo palpatorio più o meno specifico, sarà necessaria un’ecografia tiroidea
mirata, per confermare il sospetto diagnostico ed avere una migliore caratterizzazione morfologica
del nodulo ed un dosaggio dei parametri di funzionalità tiroidea, per inquadrare la patologia sotto il
profilo funzionale.
L’ecogenicità.
Mentre l’iperecogenicità rispetto ai tessuti circostanti è indice di benignità, l’ipoecogenicità rispetto
al circostante tessuto tiroideo o rispetto allo strato muscolare sovrastante la ghiandola, rappresenta
un carattere di sospetta malignità. Poiché fino al 55% dei noduli benigni può essere ipoecogeno,
l’ipoecogenicità non gode di alta specificità ed a ciò si aggiunge che i noduli più piccoli, e quindi a
minor rischio di malignità, sono frequentemente ipoecogeni [12].
I margini che possono essere regolari o irregolari.
I margini irregolari a loro volta possono essere infiltrativi, microlobulati o spiculati e sono indicativi
di possibile malignità. È importante ricordare che il margine irregolare è definito come un margine
in cui la demarcazione tra il nodulo ed il parenchima è ben visibile ma di morfologia irregolare. I
margini scarsamente definiti o mal identificabili non devono essere considerati come irregolari [9].
La forma.
Quando il diametro antero-posteriore (DAP) è maggiore del trasversale (DT) si parla di forma
“taller-than-wide” e si associa a sospetta malignità; questo vale soprattutto per i noduli neoplastici
da cui originano i carcinomi papillari della tiroide [20]. Tuttavia, i noduli maligni da cui originano i
carcinomi follicolari della tiroide sono più frequentemente di forma ovalare con DT > DAP [18]
[21].
Ognuna di queste caratteristiche non deve essere considerata da sola ma in associazione con le altre,
dal momento che l’associazione di microcalcificazioni, margini irregolari e forma taller-than-
wide ha una specificità per diagnosi di carcinoma tiroideo che raggiunge il 90% [9] [10] [12] [17]
[20].
Ricordiamo che i carcinomi follicolari della tiroide e le varianti follicolari del carcinoma papillare
presentano caratteri ecografici diversi: i noduli sono iso- o iper-ecogeni, non calcificati, ovoidali
(DT > DAP) e i margini sono spesso regolari [18] [21].
Alla luce di ciò si potrebbe pensare che nodulo tiroideo sia sinonimo di neoplasia tiroidea. In realtà
solo lo 0.3% dei noduli alla fine è di natura maligna [22] ed è per questo che una volta identificati, i
noduli vengono stratificati seguendo tutti i criteri di cui sopra in noduli a rischio alto, intermedio,
basso, molto basso e noduli benigni [14] [15] [23] come riassunto nella Tabella 1 [24].
Nel sospetto di malignità, sarà opportuno effettuare anche un’ecografia dei linfonodi del collo. Per
quanto riguarda l’ecografia dei compartimenti centrali e laterali dei linfonodi cervicali, gli aspetti
ultrasonografici predittivi di metastatizzazione linfonodale da considerare sono le
microcalcificazioni, l’aspetto cistico, la vascolarizzazione periferica, l’iperecogenicità e la forma
ovoidale. Di fronte ad un linfonodo sospetto si raccomanda l’esecuzione di un esame citologico e la
determinazione della tireoglobulina (proteina prodotta dai tireociti normali e dai carcinomi
differenziati della tiroide) sul liquido di lavaggio dell’ago utilizzato; se positivo, potrebbe indicare
la presenza di metastasi linfonodali [25].
Solo dopo aver caratterizzato il nodulo, il medico potrà orientarsi verso l’esecuzione di ulteriori
approfondimenti diagnostici, primo fra tutti l’ago-aspirato tiroideo (Fine Needle Aspiration Biopsy,
FNAB) in modo da confermare il sospetto diagnostico.
Sulla base delle linee guida più recenti, l’ago aspirato dovrebbe essere effettuato nei seguenti casi
(Tabella 1) [24]:
Noduli maggiori o uguali di 1 cm con caratteri ultrasonografici altamente o moderatamente
sospetti di malignità.
Noduli maggiori o uguali di 1.5 cm con caratteri ultrasonografici scarsamente sospetti di
malignità.
Noduli maggiori o uguali di 2 cm con caratteri ultrasonografici estremamente poco sospetti di
malignità (in questi pazienti si potrebbe anche non eseguire l’ago aspirato).
In tutti gli altri casi e per i noduli puramente cistici le linee guida non consigliano l’esecuzione di
alcun agoaspirato.
Una volta eseguito l’ago aspirato, sarà opera del citologo analizzarlo mediante l’utilizzo di diverse
classificazioni riconosciute internazionalmente tra cui la classificazione della Società Italiana di
Anatomia Patologica e Citologia (SIAPEC) o la classificazione Bethesda (Bethesda System for
Reporting Thyroid Cytopahtology). La classificazione SIAPEC ad esempio dà indicazioni non solo
sul rischio di malignità del nodulo ma anche sull’approccio diagnostico-terapeutico da adottare,
come riassunto nella Tabella 2 [26].
Una panoramica dell’iter diagnostico può essere riassunta nella flow-chart sottostante.
Conclusioni
Ciononostante è importante eseguire le varie indagini diagnostiche volte a stabilire la natura dei
noduli tiroidei in modo appropriato.
È solo mediante un’adeguata stratificazione morfo-funzionale del nodulo che sarà possibile evitare
di sottoporre i pazienti con noduli benigni che non richiedono approfondimenti diagnostico-
terapeutici ad esami invasivi e superflui evitando al contempo l’allungamento delle liste d’attesa ed
i tempi di latenza per quei pazienti i cui noduli richiedono ulteriori accertamenti.