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Capitolo 1

Impianti antincendio

1.1
Capitolo 1 – Impianti antincendio

Introduzione
Al fine di raggiungere l’obbiettivo prefissato in merito ad un’applicazione pratica,
tutta la seguente trattazione farà riferimento ad un progetto in corso di realizzazione ed
ormai praticamente ultimato. Per poter svolgere il presente lavoro è stato infatti messo a
disposizione tutto il materiale occorrente relativo ad un centro commerciale di imminente
apertura, e soprattutto relativo alla sua autorimessa. Quello che infatti verrà praticamente
ricercato è “l’ottimizzazione del costo di realizzo di un impianto sprinkler per l’autorimessa
di un centro commerciale”, mirando quindi ad un particolare caso specifico, senza però
ledere la validità generale delle conclusioni a cui si perverrà.

Questo primo capitolo introduttivo ha prevalentemente lo scopo di delineare alcuni


punti fondamentali inerenti alla tesi in oggetto, cercando di motivarne le scelte e le
considerazioni presenti.

Premessi alcuni brevi richiami in merito alla prevenzione incendi, verrà giustificato in
un primo momento il perché sia stato necessario realizzare proprio un impianto automatico
a pioggia (impianto sprinkler) quale mezzo attivo di prevenzione incendio per
l’autorimessa in oggetto, richiamando e commentando le normative e le leggi attualmente in
vigore.

Successivamente verranno illustrate a grandi linee le tre tipologie d’impianto sprinkler


esistenti motivando nuovamente perché in definitiva sia stato scelto l’impianto a secco
quale soluzione ottimale per il caso in questione.

Tralasciando considerazioni di carattere generale, verranno quindi richiamati i due


criteri di dimensionamento contemplati da un’apposita normativa, il metodo del precalcolo
ed il calcolo idraulico integrale, esponendo e commentando le sostanziali differenze che li
contraddistinguono.

Nel corso dell’esposizione verranno inoltre più volte sottolineati quei vantaggi
economici che si prevede di ottenere mediante l’utilizzo di uno dei due metodi suddetti,
giustificando anche in questo caso come e perché si riesca ad ottenere questo risparmio
intravisto.

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

1.2 La prevenzione incendi


La “prevenzione degli incendi” è una moderna scienza frutto di studi, ricerche e
sperimentazioni multidisciplinari che tende al raggiungimento di un equilibrato sistema di
soluzioni tecniche tali da consentire il normale svolgimento di attività a rischio e garantire
contemporaneamente un soddisfacente grado di sicurezza per gli addetti alle stesse, per le
persone e per le cose in generale.

Volendo effettuare uno studio completo e dettagliato dell’argomento, bisognerebbe


risalire agli albori di tale scienza, alle cause, ai luoghi ed ai tempi che ne hanno dato
origine. Bisognerebbe impostare un discorso che ne abbracci il settore in tutta la sua
integrità, partendo dagli elementi base responsabili della formazione di un incendio, quali i
combustibili, comburenti e inneschi, per poi passare alla terminologia elementare della
prevenzione, quali resistenza e reazione al fuoco, carico d’incendio, vie di esodo ecc., ed
arrivare a richiamare tutte le tipologie d’impianto antincendio esistenti e le rispettive
normative che ne regolano la progettazione e la realizzazione. Ritenendo che un’analisi di
questo tipo esuli sostanzialmente da quello che è l’obbiettivo finale di questo lavoro,
verranno richiamate nel corso della trattazione solamente le normative e le eventuali
considerazioni strettamente inerenti all’argomento.

In questa prima fase introduttiva è comunque opportuno chiarire almeno due dei
concetti fondamentali della prevenzione: la protezione passiva e la protezione attiva.

La prima si basa sulla progettazione e l’esecuzione di opere, strutture o sistemi capaci


di opporre al cimento termico generato dall’incendio una elevata capacità di lasciare
inalterate le funzioni proprie di tali opere, strutture o sistemi. In questo senso, una
ottimizzata riduzione dei materiali combustibili utilizzati o comunque presenti nelle attività
soggette rende, al limite, intrinsecamente sicura l’attività stessa. Così come l’impiego di
materiali strutturali e di arredamento capaci di un idoneo comportamento rispetto all’azione
del calore e del fumo, l’adozione di adeguate vie di esodo ecc. sono tutti elementi da tenere
in considerazione quando sia necessario conseguire un elevato grado di protezione passiva.

Quando però, per esigenze inderogabili connesse con l’esercizio dell’attività a rischio
presa in esame, non sia possibile ottenere o mantenere un sufficiente livello di protezione

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passiva, occorre allora riequilibrare il sistema di sicurezza in progetto mediante la


protezione attiva, adottando cioè interventi veri e propri contro l’incendio. A tal fine vanno
progettati, eseguiti, gestiti e periodicamente controllati gli impianti di protezione
antincendio.

1.3 Normative e leggi


Con la nascita di nuove attività fino a pochi decenni fa sconosciute o quasi, come
centrali termiche, supermercati, discoteche ecc., ma soprattutto dopo gli incendi di Todi e di
Torino degli anni ottanta, anche in Italia è stato preso molto più in considerazione il
concetto della prevenzione incendi e sono state conseguentemente emanate tutta una serie
di normative atte a sensibilizzare il Paese in merito. Basti pensare che proprio fino agli inizi
degli anni ottanta le principali normative esistenti erano:

- D.M. del 1934 relativo a depositi di oli, benzine ecc.;

- Circolare n.16 del 1951 relativa al Pubblico Spettacolo;

- Circolare n. 91 del 1961 relativa agli edifici a struttura metallica.

- Circolare n. 75 del 1967 relativa ai Centri Commerciali

- D.M. 615, Circolari n.68 e 73 del 1969 e 1971 relative alle Centrali
Termiche;

Dal 1980 in poi vi è stato invece un grande sviluppo normativo con l’introduzione di:

- D.M. del 1982 relativo alle Attività soggette alla prevenzione incendi (P.I.);

- D.M. del 1983 relativo ai termini, definizioni ecc. di prevenzione incendi;

- N.O.P del 1984 relativo al condono per le Attività soggette alla P.I.;

- D.M. del 1986 relativo alle Autorimesse.

Nel 1990 è stata emanata infine l’importante legge n. 46 relativa alla sicurezza di tutti
gli impianti degli edifici ad uso civile, e nel 1991 il D.M. n. 447 contenente il relativo

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regolamento di attuazione, che come è noto riguarda anche gli impianti di protezione
antincendio. Vediamo comunque a questo punto quali sono le leggi ed i requisiti generali
che più interessano per la realizzazione di un impianto antincendio, e soprattutto perché la
scelta del tipo di impianto stesso sia stata sostanzialmente obbligata.

In base al Decreto Ministeriale del 16 febbraio 1982, i ”Locali adibiti ad esposizione


e/o vendita all’ingrosso o al dettaglio con superficie lorda superiore a 400m2 comprensiva
dei servizi e depositi”, così come le ”Autorimesse private con più di 9 autoveicoli, le
autorimesse pubbliche ………” (1) sono ritenute attività soggette al controllo dei Vigili del
Fuoco e necessitano di apposita certificazione CPI (Certificato Prevenzione Incendi).

Con il Decreto Ministeriale del 1° febbraio 1986, Norme di sicurezza antincendio per
la costruzione e l’esercizio di autorimesse e simili, sono state approvate tutta una serie di
regolamentazioni e di normative elaborate dal comitato centrale tecnico-scientifico per la
prevenzione incendi. Tali norme hanno come scopo quello di uniformare la progettazione
della prevenzione al fine di ottenere standard di sicurezza e di efficienza pari a quella degli
altri paesi europei ed mondiali; di tutelare l’incolumità dei cittadini e di preservare i beni
contro i rischi d’incendio e di panico nei luoghi destinati alla sosta; e di far fronte ad un
problema che con l’avvento dell’uso di nuovi materiali nel settore dell’edilizia, con
l’imponente sviluppo della motorizzazione e con l’espansione della grande distribuzione si
fa sempre più sentito anche nel nostro paese.

Per quanto riguarda le norme previste in relazione alle ”Autorimesse aventi capacità
di parcamento superiore a nove autoveicoli” (articolo 3 del suddetto decreto), è
interessante sottolineare alcuni commi in esso contenuti e soprattutto l’effetto e le
conseguenze che questi comportano.

3.1 Isolamento
Ai fini dell’isolamento le autorimesse devono essere separate da edifici
adiacenti con strutture di tipo non inferiore a REI 1202. E’ consentito che

1
Rispettivamente Attività 87 e Attività 92 sempre secondo il Decreto Ministeriale 16 febbraio 1982.
2
Con il simbolo “REI” si identifica un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato,
la stabilità “R”, la tenuta “E” e l’isolamento termico “I”. Il “tempo determinato” in minuti è indicato dal
numero che segue il simbolo REI.

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tali strutture siano di tipo non inferiore a REI 90 se l’autorimessa è protetta


da impianto fisso di spegnimento automatico.
Le aperture dei locali ad uso autorimessa non protetti da impianto fisso di
spegnimento automatico, non devono essere direttamente sottostanti ad
aperture di locali destinati ad attività di cui ai punti 83, 84, 85, 86 e 87 del
decreto ministeriale 16 febbraio 1982.3

3.6 Sezionamento
3.6.1 Compartimentazione
Le autorimesse devono essere suddivise, di norma, per ogni piano, in
compartimenti4 di superficie non eccedente quelle indicate nella tabella …
Limitatamente alle autorimesse situate al piano terra, primo e secondo
interrato … , le superfici indicate possono raddoppiarsi in presenza di
impianti fissi di spegnimento automatico; … …

3.9 Ventilazione
3.9.0 Ventilazione naturale
Le autorimesse devono essere munite di un sistema di aerazione naturale
costituito da aperture ricavate nelle pareti e/o nei soffitti e disposte in
modo da consentire un efficace ricambio dell’aria ambiente, nonché lo
smaltimento del calore e dei fumi di un eventuale incendio.
Al fine di assicurare una uniforme ventilazione dei locali, le aperture di
aerazione devono essere distribuite il più possibile uniformemente e a
distanza reciproca non superiore a 40m.
3.9.1 Superfici di ventilazione
Le aperture di aerazione naturale devono avere una superficie non
inferiore ad 1/25 della superficie in pianta del compartimento
3.9.2 Ventilazione meccanica
Il sistema di ventilazione naturale deve essere integrato con un sistema di
ventilazione meccanica nelle autorimesse sotterranee aventi numero di
autoveicoli per ogni piano superiore a quanto riportato:
Piano primo interrato: 125 autoveicoli;
Piano secondo interrato: 100 autoveicoli;

3
L’attività 87 si riferisce a “Locali adibiti ad esposizione e/o vendita all’ingrosso o al dettaglio con
superficie lorda superiore a 400m2 comprensiva dei servizi e depositi”. Le altre attività non hanno interesse
per la trattazione in corso.
4
Per “compartimento antincendio” si intende parte dell’edificio delimitata da elementi costruttivi di
resistenza al fuoco predeterminata e organizzato per rispondere alle esigenze della prevenzione incendi.

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Piano terzo interrato: 75 autoveicoli;


Oltre il terzo piano: 50 autoveicoli.
3.9.3 Ventilazione meccanica: caratteristiche
La portata dell’impianto di ventilazione meccanica deve essere … …

3.10 Misure per lo sfollamento delle persone in caso di emergenza


3.10.2 Vie di uscita
Le autorimesse devono essere provviste di un sistema organizzato di vie
di uscita per il deflusso rapido e ordinato degli occupanti verso l’esterno o
in luogo sicuro in caso di incendio o di pericolo di altra natura.
Per le autorimesse interrate le vie di uscita possono terminare sotto
grigliati dotati di congegni di facile apertura dall’interno.
3.10.3 Dimensionamento delle vie di uscita
Le vie di uscita devono essere dimensionate in funzione del massimo
affollamento ipotizzabile sulla base di quanto specificato in … …
3.10.5 Ubicazione delle uscite
Le uscite sulla strada pubblica o in luogo sicuro devono essere ubicate in
modo da essere raggiungibili con percorsi inferiori a 40m o a 50m se
l’autorimessa è protetta da impianto di spegnimento automatico.

Trattandosi nel caso in questione proprio di un’autorimessa avente capacità di


parcamento superiore a nove autoveicoli, posizionata al primo e secondo piano interrato e
direttamente sottoposta al centro commerciale, da quanto riportato si evince come la
protezione della stessa con un impianto di spegnimento automatico risulti essere una scelta
quasi obbligata e sicuramente quella più vantaggiosa vista in un’ottica di economia globale
del progetto complessivo.

Un impianto automatico consente infatti di avere dei margini di progettazione


sicuramente più ampi rispetto ad un qualunque altro tipo di impianto di prevenzione, non
tanto per quel che riguarda l’impiantistica vera e propria ma soprattutto per la realizzazione
del lay-out dell’edificio. Oggigiorno è infatti fortemente incentivata la compartecipazione di
ingegneri ed architetti in fase di progettazione preliminare ed esecutiva proprio per superare
problemi di questo tipo e tutti quelli inerenti alla sicurezza in generale. Basti pensare che il
divieto di avere delle aperture del centro commerciale direttamente sopra le aperture di una

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

autorimessa, nel caso in cui non sia presente un impianto di spegnimento automatico,
comporta inevitabilmente una particolare attenzione in fase di progettazione se non
l’impossibilità di realizzare l’autorimessa stessa o, eventualmente, il centro commerciale.
Infatti per poter garantire una efficace ventilazione dei locali, oltre a dover rispettare una
superficie minima delle aperture di aerazione di 1/25 della superficie del compartimento ed
installare un sistema di ventilazione meccanico, si legge dalle norme come la distanza
reciproca delle stesse non debba essere superiore a 40m; questo sostanzialmente vuol dire
che, nel caso in cui le dimensioni dell’edificio siano piuttosto ragguardevoli, il numero di
aperture necessarie risulta così grande che diventa praticamente impossibile far si che queste
non vengano a trovarsi in corrispondenza delle aperture del centro commerciale. In tal caso
risulta quindi evidente come un impianto sprinkler sia praticamente l’unica soluzione
possibile per l’indispensabile approvazione del progetto architettonico stesso.

Sempre nell’ottica dell’economia globale del progetto, dal decreto si nota come la
presenza dell’impianto di spegnimento automatico consenta il passaggio da strutture REI
120 a strutture REI 90, il che si traduce non solo in una riduzione dell’ingombro
complessivo dell’edificio, ma anche e soprattutto in una riduzione considerevole dei costi
per i materiali da costruzione e per la realizzazione dell’edificio stesso. Ulteriormente tale
tipologia d’impianto dà anche la possibilità di raddoppiare le dimensioni dei compartimenti
in cui è necessario suddividere le autorimesse, il che nuovamente vuol dire richiedere meno
materiale, quindi minori costi, e conferire una maggior libertà nella progettazione
dell’edificio. “Le pareti di suddivisione fra i compartimenti devono essere infatti
realizzate”, sempre secondo l’articolo 3 del decreto ministeriale, “con strutture di tipo
almeno REI 90” ed “ogni apertura di comunicazione tra gli stessi deve essere munita di
porte almeno REI 90 a chiusura automatica in caso d’incendio”. E’ evidente pertanto che
più grande è la compartimentazione, minore è il numero di compartimenti necessari e più
contenuti saranno i costi di realizzo. Infine, anche la possibilità di aumentare da 40m a 50m
il limite massimo della lunghezza delle cosiddette “vie di fuga” può talvolta significare la
realizzazione di un numero minore di uscite di sicurezza e di conseguenza una ulteriore
riduzione dei costi e dei problemi distributivi.

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

Quindi, considerato che in virtù delle leggi oggi presenti le autorimesse sono
obbligatoriamente soggette alla prevenzione dagli incendi con tanto di rilascio di
certificazione, in base alle considerazioni fin qui fatte risulta sostanzialmente univoca la
scelta del tipo di impianto da adottare per il progetto in questione, risultando l’impianto
sprinkler il miglior compromesso, appunto, tra il rispetto delle normative ed il minor costo
globale da sostenere.

1.4 Impianti Sprinkler


Gli impianti sprinkler hanno lo scopo di individuare e spegnere un incendio nella sua
fase iniziale oppure di controllarne lo sviluppo in modo da consentire lo spegnimento con
altri mezzi. Essi possono infatti essere parte integrante di una più ampia combinazione di
sistemi protettivi, ed il sistema di allarme di cui sono dotati serve appunto a segnalare che
l’impianto è entrato in funzione e permettere di intervenire per combattere l’incendio con
questi eventuali mezzi complementari; inoltre tale allarme assolve anche il compito di
ricordare di azionare le saracinesche d’arresto dopo l’estinzione, al fine di limitare i danni
dovuti dall’acqua che continua a fluire dagli erogatori anche dopo che l’incendio è stato
spento.

Attualmente in Italia la prevenzione incendi mediante l’utilizzo di impianti sprinkler è


regolamentata da normative specifiche introdotte dal Concordato Italiano Incendi su
derivazione americana, adottate successivamente dall’Ente Nazionale di Unificazione e
diventate definitivamente norma a partire dalla fine degli anni ottanta. A queste fa
riferimento in particolare la legge n. 46 del 1990 riguardante la realizzazione degli impianti
costruiti a regola d’arte.

Queste normative sono le norme UNI-9489, UNI-9490 e UNI-9491, e devono


essere applicate ogni qualvolta si voglia realizzare un impianto fisso di estinzione di nuova
costruzione nelle attività civili ed industriali. Il campo di applicazione di questi impianti è
comunque sempre limitato a tutte quelle attività il cui contenuto non presenti particolari
controindicazioni al contatto con l’acqua, o in cui tale contatto non dia origine ad ulteriori
condizioni di pericolo.

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

Le norme UNI prevedono la possibilità di realizzare tre tipologie di impianto a


seconda delle necessità. Il sistema più semplice e maggiormente usato è l’impianto ad
umido, nel quale tutte le tubazioni, a monte ed a valle della stazione di controllo5, sono
permanentemente riempite di acqua in pressione. Ovviamente impianti di questo tipo
possono essere utilizzati solo quando non si manifesti il pericolo di congelamento o di
vaporizzazione dell’acqua nella rete di distribuzione. Ogni qualvolta questo pericolo sia
presente si deve ricorrere necessariamente agli impianti a secco nei quali invece solo le
tubazioni a monte della stazione di controllo sono permanentemente riempite di acqua in
pressione mentre quelle a valle della stazione medesima sono permanentemente riempite di
aria compressa. Il terzo sistema disponibile è l’impianto alternativo che funziona come un
impianto ad umido nella stagione estiva e come un impianto a secco nella stagione invernale.
Questi impianti sono utilizzati quando il rischio di gelo sussiste solo per un determinato
periodo dell’anno.

Nel caso in questione, essendo gli spazi dell’autorimessa del centro commerciale non
chiusi né tantomeno riscaldati, ed essendo l’attività stessa ubicata in provincia di Firenze
dove annualmente si registrano escursioni termiche fino a temperature inferiori allo 0°C per
archi di tempo anche considerevoli, il pericolo che l’acqua nelle tubazioni della rete di
distribuzione si congeli è un pericolo reale e pertanto la scelta di un impianto ad umido
viene automaticamente scartata. Anche l’ipotesi dell’impianto alternativo viene scartata,
soprattutto, in questo caso per considerazioni di tipo economico. Infatti tale impianto
richiederebbe macchinari, ed attrezzature in genere, rispondenti contemporaneamente ai
requisiti di quelli ad umido e di quelli a secco, e pertanto inevitabilmente più costosi. Inoltre
l’impianto alternativo richiede una manutenzione straordinaria aggiuntiva conseguente al
necessario riempimento e successivo svuotamento della rete di distribuzione dall’acqua. In
definitiva, quindi, la scelta del tipo d’impianto ricade inevitabilmente su quello a secco.

Per quanto riguarda i tipi d’impianto prima menzionati, questi risultano


costruttivamente molto simili tra di loro. Le differenze sostanziali si trovano nel tipo di
stazione di controllo da adottare, e nella necessità, per gli impianti a secco ed alternativi, di

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“Stazione di controllo”: complesso di valvole, strumenti di misura ed apparecchiature di allarme destinato
al controllo del funzionamento di una sezione di impianto (compartimento).

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

un sistema per la produzione di aria compressa finalizzata al mantenimento della rete di


distribuzione in pressione. Gli impianti a secco ed alternativi, talvolta richiedono anche la
presenza di un “acceleratore” che velocizza il riempimento della rete con acqua nel caso in
cui si manifesti un incendio.

Anche le modalità con cui viene effettuato il dimensionamento della rete di


distribuzione, dalla stazione di controllo ai singoli erogatori sprinkler, risulta comune a tutti
e tre i tipi di impianto. In particolare le norme UNI-9489 mettono a disposizione due criteri
per il dimensionamento delle tubazioni: il cosiddetto metodo del precalcolo, con le
limitazioni del caso, e il calcolo idraulico integrale. Mentre quest’ultimo comporta
un’equilibratura della rete mediante appunto un calcolo idraulico completo che deve tenere
in considerazione tutti gli elementi costituenti la rete stessa, e pertanto tutte le perdite di
carico, lineari e concentrate che ne derivano, il metodo del precalcolo consente di
dimensionare le tubazioni della rete di distribuzione in maniera facilitata, semplicemente
seguendo una serie di criteri e di regole che, in funzione esclusivamente di determinati
parametri, fornisce direttamente i valori dei diametri desiderati.

Si può desumere quindi che il metodo del precalcolo sia una soluzione di
compromesso, ideata in virtù della pratica, per ovviare a problemi che si riscontrano nella
risoluzione di impianti di una certa complessità, i quali richiederebbero un onere di calcolo
non indifferente. Non per nulla le normative americane da cui sono state riprese le norme
UNI-9489 sono datate primi anni settanta-ottanta, quando cioè lo sviluppo dell’informatica
“personale” era ancora agli inizi del suo successivo sviluppo. Non era pertanto pensabile
risolvere un problema come quello del dimensionamento di una rete idraulica di certe
dimensioni se non con l’utilizzo di “carta e penna”, il che talvolta poteva risultare compito
lungo e gravoso. L’ideazione di un metodo sostanzialmente standard e guidato, quale può
essere appunto il metodo del precalcolo, poneva una valida e comoda alternativa a problemi
di questo tipo.

Dovendo però essere il primo obbiettivo di un progetto per un sistema di prevenzione


incendi sempre e comunque la garanzia e la sicurezza che l’impianto realizzato sia in grado
di soddisfare le prerogative per cui viene commissionato, è evidente come questo metodo,

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

dovendo avere validità generale, porti ad un dimensionamento esuberante rispetto alle reali
necessità.

Si intravede pertanto che la possibilità di realizzare un codice di calcolo in grado di


risolvere il problema mediante il calcolo idraulico integrale in tempi ragionevoli consenta
di effettuare un dimensionamento proporzionato alle reali richieste del circuito, e
conseguentemente di ottenere, a parità di sicurezza di un impianto precalcolato, un
inevitabile risparmio sul quantitativo di materiale necessario.

L’obbiettivo di questa tesi consiste appunto nel raffrontare le soluzioni ottenute con i
due metodi e dimostrare come l’utilizzo del calcolo idraulico integrale comporti realmente
una consistente riduzione dei costi complessivi d’impianto.

1.5 Norme UNI-9489


E’ interessante a questo punto richiamare dalle norme UNI-9489 quelli che sono i
punti fondamentali per l’attuazione dei due metodi di calcolo prima menzionati, ed
evidenziarne conseguentemente le più significative differenze.

Tralasciando le diversità costruttive in merito al tipo di alimentazione, di valvole ed


apparecchiature ausiliarie, di tubazioni e di erogatori da utilizzare nei due casi (punti 7,8,9 e
10 delle UNI-9489), focalizziamo la nostra attenzione su quelli che sono appunto i criteri di
dimensionamento (punto 13).

13.3.2 Impianti precalcolati


13.3.2.1 Limitazione applicativa
Il precalcolo è applicabile per aree protette di classe A, B e D0 con reti di
distribuzione a pettine o a spina.6
Il precalcolo non può essere applicato qualora:
- la forma e/o la superficie dell’area operativa siano differenti da quelle
specificate in … …
- il dislivello tra la stazione di controllo e gli erogatori … …
13.3.2.3 Punti di riferimento

6
Per ogni chiarimento si rimanda alla norma UNI-9489.

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

Nel dimensionamento delle tubazioni con il metodo del precalcolo i


diametri di queste a valle dei punti di riferimento … … sono prestabiliti in
base al numero di erogatori da essa alimentati.
I punti da scegliere come tali sono specificati in … 13.5.2.1.
13.3.2.4 Tronchi precalcolati
I tronchi di tubazione a valle dei punti di riferimento devono essere
dimensionati in base alle specificazioni riportate da … 13.5.2.7.

13.3.2.5 Tronchi dimensionati mediante calcolo idraulico


I diametri dei tronchi a monte dei punti di riferimento devono essere
dimensionati mediante calcolo idraulico in conformità con quanto
specificato in … 13.5.2.5 e 13.5.2.10. Detti diametri possono diminuire
progressivamente solo nel senso di flusso.

13.3.3 Impianti dimensionati mediante il calcolo idraulico integrale


13.3.3.2 Pressione di scarica
La pressione discarica P di qualsiasi erogatore, con tutti gli erogatori
dell’area operativa di cui esso fa parte contemporaneamente in fase di
scarica, non deve essere minore del valore minimo specificato in …
13.5.3.1.
13.3.3.3 Densità di scarica
La densità di scarica da considerare è quella media di ogni gruppo di 4
erogatori adiacenti posti … …
Tale densità viene calcolata … …
In ogni parte dell’impianto la densità di scarica media, con tutti gli
erogatori compresi nell’area operativa … … contemporaneamente in fase
di scarica, non deve risultare minore di quella minima specificata in …
13.5.3.2.
13.3.3.5 Configurazione e posizione dell’area operativa
Le aree operative idraulicamente più sfavorevoli e più favorevoli hanno
configurazione e posizione come specificato in … … le loro dimensioni
sono specificate in …13.5.3.3.
13.3.3.6 Perdite di carico distribuite
Le perdite di carico per attrito nelle tubazioni devono essere calcolate
mediante la formula di Hazen Williams:
dove:
6.05 ⋅ Q1.85 ⋅ 10 9
p=
C 1.85 ⋅ d 4.87
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Capitolo 1 – Impianti antincendio

- p è la perdita di carico unitaria, in millimetri al metro di


tubazione;
- Q è la portata, in litri al minuto;
- C è la costante dipendente dalla natura del tubo che
deve essere assunta pari a:
100 per tubi di ghisa;
120 per tubi di acciaio;
140 per tubi di acciaio inossidabile e in rame;
- d è il diametro interno medio della tubazione, in
millimetri.
13.3.3.7 Perdite di carico localizzate
Le perdite di carico localizzate dovute
- ai raccordi, curve, ti e raccordi a croce, attraverso i quali
la direzione di flusso subisce una variazione di 45° o maggiore;
- alle valvole di controllo e allarme e quelle di non ritorno;
devono essere trasformate in “lunghezza di tubazione equivalente” come
specificato nel prospetto XVII ed aggiunte alla lunghezza reale della
tubazione di uguale diametro e natura.
13.3.3.8 Velocità di flusso e pressione cinetica
Di norma la velocità nelle tubazioni non deve essere maggiore di 10 m/s,
salvo in tronchi di lunghezza limitata.
La pressione cinetica può essere trascurata nel dimensionamento
dell’impianto.
13.3.3.9 Diametro delle tubazioni
Salvo per particolari tronchi di lunghezza limitata, il diametro delle
tubazioni può andare progressivamente diminuendo nel senso del flusso;
nessuna diramazione né alcun tubo di distribuzione deve tuttavia essere
minore di DN25 con eccezione per gli impianti in aree di classe A, dove
può essere DN20.
13.3.3.10 Numero di erogatori sulle diramazioni
Lungo le diramazioni comprendenti tronchi DN25 non devono essere
installati più di 8 erogatori e più di 16 nel caso di reti a griglia o ad anello.
13.3.3.11 Curve di domanda dell’impianto
Determinate le aree operative idraulicamente più sfavorevole e più
favorevole, si devono tracciare le relative curve di domanda sullo stesso
diagramma sul quale è tracciata la curva delle prestazioni delle
alimentazioni. A tale scopo, … …

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

Essendo nel caso in questione l’attività “autorimessa” classificata come Area protetta
di classe B2, sempre secondo le UNI-9489 al prospetto IX del punto 13.2, verranno di
seguito riportate solamente le normative ad essa riferita.

13.5 Aree protette di classe B e D0


13.5.1 Specificazioni generali 7
13.5.1.1 … … Il massimo numero di erogatori alimentati tramite un’unica
valvola a secco … … è di 250 senza acceleratore o esaustore e 500 con
acceleratore o esaustore, con le limitazioni di cui in 13.5.1.7.
13.5.1.7 Il volume totale interno delle tubazioni a valle della stazione di
controllo di un impianto a secco non deve essere maggiore di 1.5 m3
senza acceleratore e di 4 m3 con acceleratore.
13.5.1.9 L’area specifica protetta non deve essere maggiore di 12 m2
ovvero, nel caso di erogatori a getto laterale, a 9 m2.

13.5.2 Impianti precalcolati


13.5.2.1 Il punto di riferimento da adottare è quello a valle del quale non vi
sono più di 16 o 18 erogatori.
13.5.2.2 Le alimentazioni devono essere capaci di erogare alla stazione di
controllo una pressione dinamica non minore di 0.10 MPa per una portata
di 1000 l/min.
13.5.2.6 La pressione residua a livello dell’erogatore più alto quando tutta
l’acqua è espulsa dal serbatoio a pressione non deve essere minore di
0.14 MPa.
13.5.2.7 Il dimensionamento delle tubazioni a valle del punto di 16/18
erogatori … … può essere determinato in base alle specificazioni riportate
nel prospetto XXIX: …

7
Le seguenti “Specificazioni generali” sono valide sia per gli impianti precalcolati che per quelli
dimensionati mediante il calcolo idraulico integrale.

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

13.5.2.8 Nelle parti di impianto precalcolato conformemente a quanto


indicato in 13.5.2.7, quando tronchi dei tubi di distribuzione collegati a
singole diramazioni adiacenti, o tronchi di diramazione fra singoli erogatori
adiacenti hanno lunghezza equivalente maggiore di 5.2 m, l’effettivo
diametro di tali tronchi a valle di 16/18 erogatori deve essere determinato
come specificato nel prospetto XXX in base alla lunghezza equivalente del
tronco in questione.
13.5.2.10 Il diametro dei tubi fra i punti di 16/18 erogatori alle estremità
della rete e la stazione di controllo deve essere calcolato idraulicamente
con la condizione che la perdita di carico totale fra i detti punti non sia
maggiore di 0.05 MPa alla portata di 1000 l/min.

13.5.3 Impianti dimensionati mediante calcolo idraulico integrale


13.5.3.1 La pressione di scarica di qualsiasi erogatore con tutti gli
erogatori dell’area operativa, di cui fa parte, contemporaneamente in fase
di scarica non deve essere minore di 0.05 MPa.
13.5.3.2 La densità di scarica media … … non deve essere minore di 5
l/m2/min.
13.5.3.3. L’area operativa da adottare per la classe dell’area protetta B2 è
144 m2.

Un’attenta analisi delle normative ora richiamate, evidenzia come il metodo del
calcolo idraulico integrale dia modo di intervenire su una più vasta gamma di parametri di
progetto rispetto al metodo del precalcolo, consentendo, al tempo stesso, di realizzare il
dimensionamento voluto con più ampi margine di azione. I vincoli più restrittivi per questo
metodo sono infatti sostanzialmente rappresentati dal limite sul valore di velocità massima
consentita nelle tubazioni, il numero massimo di erogatori che possono essere alimentati da
un tronco di diramazione DN25 e l’obbligo di rispettare determinati valori di pressione e di
densità di scarica. Gli altri punti della norma sono infatti soprattutto degli elementi guida da
seguire per il calcolo stesso, come per esempio la formula di Hazen Williams per il calcolo
delle perdite di carico distribuite e il prospetto per determinare la “lunghezza di tubazione
equivalente” delle perdite di carico concentrate; oppure la scelta della configurazione e della
posizione delle aree operative e la formula per tracciare la curva di domanda dell’impianto.
Si vede come infatti non compaia alcuna limitazione sul numero massimo di erogatori serviti

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

da un’unica distribuzione (a meno che questa non sia DN25), né tantomeno un’indicazione
sui diametri più opportuni da adottare. Cose queste che invece, per il metodo del
precalcolo, sono strettamente vincolanti ed obbligatorie.

In merito le norme riportano infatti un prospetto dove vengono elencati i valori del
numero massimo di erogatori che possono essere posizionati su ciascun tratto di
distribuzione e di diramazione, identificandone contemporaneamente il diametro da
assegnare. Prospetto che deve essere inderogabilmente seguito e rispettato nell’applicazione
di questo metodo e che, sebbene da un lato costituisca il punto di forza del precalcolo, a ben
vedere rappresenta al tempo stesso un elemento di intralcio per una libera ed ottimale
progettazione dell’impianto. Il dover infatti rispettare queste condizioni, insieme alle molte
altre elencate nelle suddette norme, fa sì che anche l’individuazione stessa del lay-out
generale delle reti di distribuzione e di diramazione atte a collegare tutti gli erogatori sia
fortemente condizionata e vincolata, risultando talvolta necessario adottare delle soluzioni
alquanto irrazionali. Può accadere infatti che per l’esubero di un solo erogatore rispetto ai
valori elencati nelle norme si debba effettuare un nuovo arrangiamento generale delle
tubazioni della rete arrivando in certi casi a configurazioni piuttosto discutibili, oppure
ricorrere all’introduzione di un ulteriore tratto di distribuzione, con tutte le conseguenze che
questo comporta.

Rimane comunque indiscusso come tale prospetto permetta di completare il


dimensionamento dell’impianto in tempi relativamente brevi e quindi con costi progettuali
inferiori rispetto a quelli richiesti per il calcolo integrale. Ovviamente tutto questo nell’ottica
di confrontare i rispettivi tempi di progetto supponendo di applicare i due metodi
“manualmente”. Nel caso in cui l’informatica ci venga incontro per facilitare e velocizzare la
progettazione stessa, quanto finora detto perde sostanzialmente di valore, essendo entrati in
gioco ulteriori elementi discriminanti che fanno risaltare alcuni aspetti fondamentali
altrimenti soltanto ipotizzati.

La possibilità di utilizzare, mediante il calcolo idraulico integrale, tubazioni con


diametri mediamente inferiori rispetto a quelli che inderogabilmente devono essere adottati
con il precalcolo, porta inevitabilmente a dedurre come il risparmio conseguibile con questo
criterio di dimensionamento sia piuttosto cospicuo. Risparmio che si intravede proprio in

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

conseguenza alla richiesta di un quantitativo di tubazioni e simili nettamente più contenuto,


nell’uso di elementi di raccordo per le stesse di più piccole dimensioni e nel poter realizzare
lo staffaggio della rete medesima ricorrendo nuovamente a componenti più semplici, più
leggeri e pertanto più economici.

L’esistenza di un software che attui questo calcolo integrale permetterebbe in


definitiva quindi di riuscire a fornire il progetto completo dell’impianto in tempi altrettanto
competitivi del metodo del precalcolo ma al tempo stesso con costi estremamente più
vantaggiosi.

Ritornando all’analisi dei punti delle norme sopra riportati in relazione al metodo
integrale, una considerazione importante va fatta in merito al limite massimo di velocità
consentita nelle tubazioni. Le norme impongono infatti che tale velocità non superi i 10m/s,
salvo in tronchi di lunghezza limitata. Questa condizione, sebbene in definitiva sia una
limitazione, rappresenta al tempo stesso un enorme vantaggio per il dimensionamento in
questione. Permettendo infatti di poter raggiungere questo limite, che è estremamente alto
per la velocità di un fluido all’interno di una tubazione, le norme danno di conseguenza la
possibilità di ridurre notevolmente i diametri delle tubazioni stesse. Infatti aumentando la
velocità, a parità di portata che deve essere smaltita, i diametri possono essere nettamente
più piccoli, il che in definitiva è proprio l’obbiettivo che si vuole raggiungere. Il poter
giocare sul valore della velocità è stato infatti uno degli elementi base su cui si è appoggiata
l’impostazione e il successivo sviluppo dell’algoritmo risolutivo. Per dare un’idea
dell’enorme vantaggio che tale “limitazione” comporta, si consideri che le velocità in gioco
in un impianto dimensionato con il precalcolo non superano quasi mai i 3.5m/s, se non in
pochi e piccoli tratti di tubazione, arrivando, nelle distribuzioni principali, a non superare
addirittura 1.5m/s. Tale differenza avvalora pertanto sempre di più quell’intravisto risparmio
che già più volte è stato sottolineato.

Per quanto riguarda invece il prospetto fornito dalle norme UNI per l’individuazione
della lunghezza di tubazione equivalente delle perdite di carico concentrate, bisogna
sottolineare come questo risulti sostanzialmente insufficiente per una soluzione ottimale e
realistica del problema. Nel prospetto vengono infatti riportate le lunghezze equivalenti
relative soltanto a pochi tipi di accessori come raccordi, curve ecc.

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Capitolo 1 – Impianti antincendio

In particolare gli elementi presi in considerazione sono testualmente:

- Curva a 45°

- Curva a 90°

- Curva a 90° a largo raggio

- Ti o raccordo a croce

- Saracinesca

- Valvola di non ritorno

Un casistica così limitata è risultata nella pratica, ed anche nello svolgimento della
presente tesi, non essere in grado di soddisfare le reali necessità di un impianto antincendio,
soprattutto se considerevolmente esteso. Sono infatti oggigiorno disponibili sul mercato
molti elementi di raccordo specificatamente realizzati, atti a soddisfare le più disparate
necessità che i singoli casi presentano. Ognuno di questi viene corredato già dalle rispettive
case costruttrici della perdita di carico, espressa come lunghezza di tubazione equivalente,
che essi introducono nel circuito. Una scrupolosa ricerca in merito ha permesso pertanto di
ampliare il prospetto di cui sopra di tutta una serie di elementi di raccordo e di pezzi speciali
che in qualche modo possono essere presi in considerazione nella realizzazione di un
impianto sprinkler. Questo proprio al fine di avere a disposizione una più vasta gamma di
“perdite di carico”, utili al fine del dimensionamento e dell’equilibratura dell’intera rete.

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