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IL BELLO MUSICALE

di Eduard Hanslick

L'ESTETICA DEL SENTIMENTO

(…) Fino a oggi il modo in cui è stata considerata l’estetica musicale si è basato su un grosso
equivoco: cioè essa non cerca di conoscere cosa sia il bello nella musica, ma fa una descrizione
dei sentimenti che questa suscita in noi. Queste ricerche corrispondono in tutto al punto di
vista di quegli antichi sistemi estetici che consideravano il bello solo in relazione alle sensazioni
che esso risveglia e che, come è noto, tenevano a battesimo anche la filosofia del bello, figlia
della sensazione.
L’applicazione di queste estetiche, in sé e per sé non filosofiche, alla più eterea delle arti le
attribuisce senza dubbio un qualcosa di sentimentale che, se rallegra le anime belle, offre pochi
chiarimenti a colui che desidera apprendere. Chi cerca di sapere qualcosa sull’essenza della
musica desidera uscire dall’oscuro dominio del sentimento e non esservi continuamente
rimandato, come accade con la maggior parte dei manuali.
L’impulso verso una conoscenza il più possibile oggettiva delle cose, che nella nostra epoca
muove tutti i campi del sapere, deve toccare necessariamente anche l’indagine sul bello.
Questa potrà seguirlo soltanto se abbandona un metodo che parte dal sentimento soggettivo
per ritornare di nuovo al sentimento, dopo una poetica passeggiata lungo tutta la periferia
dell’oggetto. Se non vuol divenire affatto illusoria, l’indagine sul bello dovrà avvicinarsi al
metodo delle scienze naturali quel tanto da provare a cogliere le cose stesse in carne ed ossa e
di ricercare che cosa vi sia in esse di permanente e oggettivo, prescindendo dalle mille diverse
e mutevoli impressioni.
A tale riguardo la poesia e le arti figurative sono in uno stadio più avanzato della musica per
quanto riguarda la ricerca e la fondazione estetica. Innanzitutto la maggior parte degli studiosi
di tali discipline ha oramai abbandonato l’illusione che l’estetica di una determinata arte possa
essere ricavata attraverso una mera applicazione del concetto generale metafisico della
bellezza (che produce in ogni arte una serie ulteriore di differenziazioni). La servile dipendenza
delle estetiche speciali dal supremo principio metafisico di un’estetica generale sta venendo
sempre meno di fronte alla persuasione che ogni arte vuol essere conosciuta nelle sue proprie
particolarità tecniche e compresa in se stessa. Il “sistema” sta poco a poco cedendo il posto
alla “ricerca”, e questa risponde al principio che le leggi della bellezza in ogni arte sono
inseparabili dalle caratteristiche particolari del suo materiale e della sua tecnica.
Inoltre sia l’estetica letteraria che quella delle arti figurative, così come la loro applicazione
pratica, ovvero la critica d’arte, stabiliscono la regola che nelle ricerche estetiche la prima cosa
da prendere in esame è l’oggetto bello e non il soggetto senziente.
Solo la musica sembra non poter ancora raggiungere questo punto di vista oggettivo. Essa
separa rigorosamente le sue regolo teorico-grammaticali dalle ricerche estetiche e ama
mantenere le prime quanto più possibile aridamente intellettuali, le seconde lirico-sentimentali.
Finora l’estetica musicale ha ritenuto che porsi di fronte al suo contenuto in maniera chiara e
netta come a un bello in sé proprio risultasse uno sforzo proibitivo. E invece il vecchio spettro
delle “sensazioni” continua a imperversare anche in pieno giorno. Il bello musicale continua a
essere considerato solo dal lato dell’impressione soggettiva che esso produce, e in libri, critiche
e discorsi si conferma quotidianamente che le affezioni sono l’unico fondamento estetico della
musica e che esse sole hanno il diritto di fissare i limiti del giudizio su quest’arte.
Si dice che la muscia non può essere in relazione con l’intelligenza attraverso concetti, come fa
la poesia, e nemmeno con l’occhio mediante forme visibili, come fanno le arti figurative; il suo
compito, quindi, è quello di dover agire sui sentimenti dell’uomo. “La musica ha a che fare con
i sentimenti”. Questo “avere a che fare” è una delle espressioni caratteristiche dell’attuale
estetica musicale. In che cosa consista il rapporto della musica con i sentimenti, il rapporto di
determinati pezzi musicali con determinati sentimenti, secondo quali leggi di natura agisca,
secondo quali leggi dell’arte sia da configurarsi: ebbene coloro appunto che vi avevano “a che
fare” hanno lasciato questi problemi completamente all’oscuro. Soltanto dopo aver abituato un
po’ l’occhio a questa oscurità si scopre che nell’attuale visione musicale dominante i sentimenti
giocano un ruolo ambiguo.
In primo luogo si stabilisce come scopo e destinazione della musica il dover suscitare
sentimenti o “bei sentimenti”. In secondo luogo si designano i sentimenti come il contenuto che
la musica esibisce nelle sue opere.
Le due affermazioni hanno questo in comune: sia l’una che l’altra sono sbagliate.
Non ci fermeremo a lungo sulla confutazione della prima affermazione, che viene utilizzata
come frase introduttiva nella maggior parte dei trattati di musica. Il bello è in generale senza
scopo; esso è pura forma che può essere applicata agli scopi più diversi a seconda del
contenuto con il quale è riempita, ma che in sé non ha altro scopo che se stessa. Se dalla
contemplazione del bello sorgono in chi osserva sentimenti piacevoli, questi non riguardano
affatto il bello in quanto tale. Certo io posso presentare un bello a chi contempla con
l’intenzione determinata che egli ne provi piacere, ma questa intenzione non ha niente a che
vedere con la bellezza della cosa presentata. Il bello è e rimane bello anche se non suscita
alcun sentimento, perfino se non viene né visto né considerato; il bello è per il piacere di un
soggetto contemplante, ma non mediante questo piacere (…)

Tratto da:
"Il Bello musicale"
Aesthetica edizioni, 2001, Palermo
info: +39.091.308 290

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