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Fusi - M. - Valerii - Martialis - EpigrammatoN LIBER TERTIUS PDF
Fusi - M. - Valerii - Martialis - EpigrammatoN LIBER TERTIUS PDF
COMMENTARE MARZIALE
1
M. Valerii Martialis Epigrammaton liber primus, introduzione, testo, apparato critico e
commento a cura di M. C., Firenze 1975 (482 pagine complessive).
2
«RFIC» 107, 1979, pp. 83-92.
3
F. G., Martial, Buch VI (Ein Kommentar), Göttingen 1997.
4
Chr. S., Martial, Buch 8, Einleitung, Text, Übersetzung, Kommentar, Stuttgart 2002.
5
M. Valerii Martialis Epigrammaton libri mit erklärenden Anmerkungen von L. F.,
Leipzig 1886 (= Amsterdam 1961).
8 Piergiorgio Parroni
6
P. H., A Commentary on Book One of the Epigrams of Martial, London 1980; Martial
Epigrams V, edited with an Introduction, Translation and Commentary by P. H.,
Warminster 1995.
7
Marcus Valerius Martialis Epigrammaton liber decimus, Text, Übersetzung, Interpre-
tationen … von G. D. und A. H., Frankfurt am Main - Berlin - Bern - Bruxelles - New York -
Oxford - Wien 2004 (in realtà il lavoro è frutto di una équipe di oltre venti collaboratori).
8
Mi riferisco al commento al VII libro di Galán Vioque, di cui si veda la recensione
giustamente severa di Fusi in «RPL» 26, 2003, pp. 201-209.
Commentare Marziale 9
traduzione è bene che sia piana e priva di pretese letterarie9 senza essere
sciatta. Insomma deve essere quella che oggi si suole definire ‘traduzione di
servizio’. Essa da un lato rappresenta per il commentatore la riprova di aver
compreso realmente il testo e gli impone di fare delle scelte in qualche caso
difficili, dall’altro aiuta il lettore a orientarsi subito su un testo come quello
di Marziale in molti casi tutt’altro che piano. Sono dotati di traduzione i già
ricordati commenti di Howell, di Schöffel e di Damschen e Heil, e inoltre
quelli di Williams per il II libro10 e di Leary per il XIII e il XIV11. Per un
orientamento immediato è anche opportuno far precedere il commento da
un’introduzione all’epigramma, preferibilmente breve: introduzioni troppo
lunghe, come p. es. quella di Grewing, finiscono per distogliere l’attenzione
del lettore dirottandola su problemi e questioni di carattere generale che
spesso hanno solo rapporti indiretti col testo che si sta esaminando.
Le prefazioni dei commenti marzialiani seguono ormai un percorso
canonico e toccano qual più qual meno i principali problemi posti dai
singoli libri: datazione, cronologia, struttura, temi, ‘cicli’, metri, tradizione
manoscritta. Per quanto riguarda quest’ultima si deve dire che nessuno
finora ha seguito l’esempio di Citroni, che ha fondato il suo commento
su una nuova edizione critica. I commentatori successivi si sono adagiati
sul giudizio di Shackleton Bailey12, che ha valutato come inutile fatica
la rinnovata ispezione della tradizione manoscritta operata da Citroni,
e si sono quindi basati in genere13 o sul suo testo teubneriano o, più
prudentemente, su quelli di Lindsay14 o di Heraeus-Borovskij15.
Una lodevole eccezione è rappresentata da Alberto Canobbio che,
9
Inutile e fuorviante una traduzione come quella di G. Ceronetti (Torino 1964), anche per
alcuni clamorosi fraintendimenti (basti dire che in X 61, 4 manibus exiguis [i Mani di Erotion]
è tradotto «alle sue magre manine» con evidente confusione di mānibus con mănibus).
10
Martial Epigrams Book Two, edited with Introduction, Translation and Commentary by
C. A. W., Oxford-New York 2004.
11
Martial Book XIII. The Xenia, Text with Introduction and Commentary by T. J. L., London
2001; Martial Book XIV. The Apophoreta, Text with Introduction and Commentary by T.
J. L., London 1996.
12
M. Valerii Martialis Epigrammata, post W. Heraeum ed. D. R. Sh. B., Stutgardiae 1990,
p. XI.
13
Fa eccezione Schöffel, che ha costituito un suo testo dotandolo di un apparato costruito
su varie edizioni critiche partendo da quella di Schneidewin.
14
Oxford 1903; 19292. Si sono rifatti a Lindsay Kay, Leary e Williams.
15
Leipzig 1976; 1982 (editio correctior). Ha seguito questo testo Henriksén (su cui vd. n. 18).
10 Piergiorgio Parroni
nel pubblicare dal V libro gli epigrammi relativi al ‘ciclo’ della lex Roscia
theatralis, ha dotato il suo testo di un apparato tutto di prima mano16. C’è
da aspettarsi che nell’edizione completa del libro V, che spero non si farà
molto attendere, egli continui, così come promesso, ad attenersi a questo
sano principio. Avevo già a suo tempo osservato17 e ho di recente ribadito
recensendo il commento al IX libro di Henriksén18 che riesaminare da
capo una tradizione manoscritta non è mai una fatica inutile, un arare
litus per usare la pittoresca espressione di Shackleton Bailey: fornire allo
studioso un apparato di prima mano, far corrispondere le canoniche sigle
cumulative delle tre famiglie a gruppi certi di manoscritti (evitando così di
attribuire all’archetipo lezioni tramandate da un solo codice), distinguere
meglio anche cronologicamente gli interventi delle varie mani, eliminare
le imprecisioni che si accumulano quando gli apparati si costruiscono
su preesistenti apparati (il che avviene in pratica dai tempi di Lindsay),
scoprire che lezioni esatte ritenute frutto di congetture umanistiche sono
già presenti nei codici poziori, ebbene tutto questo a me non pare cosa
da poco, anche se, dai saggi finora effettuati, appare chiaro che da un
simile inglorius labor difficilmente potrà essere rivoluzionata la tradizione
di Marziale19. Ciò che soprattutto irrita in tutto questo è l’indifferenza
e il disprezzo per i dati materiali, che porta a fenomeni di ‘persistenza
dell’errore’. P. es. Citroni20 aveva segnalato che il cod. A della terza famiglia
è il Leid. Voss. Lat. O 56 e non Q 56 e che il recenziore C è il Leid. Voss. Q
89 e non F 89, eppure tali errori non sono scomparsi né nella teubneriana
di Shackleton Bailey né nei successivi commenti. Anche sulla storia della
trasmissione del testo, specie sulle sottoscrizioni di Torquato Gennadio,
oggi ne sappiamo di più rispetto ai tempi di Lindsay e di Otto Jahn, ma
la bibliografia, anche nei più recenti commenti, non va oltre questi due
16
A. C., La lex Roscia theatralis e Marziale: il ciclo del libro V, Introduzione, edizione
critica, traduzione e commento, Como 2002. Questo aspetto è stato sottolineato anche da
Fusi nella recensione in «RFIC» 130, 2002, p. 477.
17
Su alcuni epigrammi di Marziale (in margine a una recente edizione), «RPL» 16, 1993
(In Memory of Sesto Prete, Part II), p. 57.
18
Martial, Book IX. A Commentary by Chr. Henriksén, «RFIC» 130, 2002, p. 375.
19
Vd. già M. D. Reeve, Martial in L. D. Reynolds (ed.), Texts and Transmission. A Survey
of the Latin Classics, Oxford 1983, p. 243.
20
Citroni, ediz. cit., p. LVII n. 46. La cosa è stata da me ribadita in Su alcuni epigrammi cit.
e nella recensione a Henriksén cit., ma inutilmente.
Commentare Marziale 11
21
Nessuno p. es. che faccia cenno agli studi di O. Pecere, del quale si veda La tradizione
dei testi latini tra IV e V secolo attraverso i libri sottoscritti in A. Giardina (ed.), Società
romana e impero tardoantico, IV, Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura,
Roma-Bari 1986, in particolare pp. 34-40.
22
Il commento di F. Della Corte (Genova 19863) non può infatti competere, per impianto,
con quelli fin qui ricordati. Su quello di F. Fortuny Previ (Murcia 1983) si veda il giudizio di
U. Carratello, «GIF» 39, 1987, p. 151.
12 Piergiorgio Parroni
poesia di Marziale non va mai presa nel suo ‘valore facciale’, e chi l’ha fatto
ha frainteso lo spirito che la anima23), dato che nel quarto epigramma ci dice
che farà ritorno a Roma solo quando «avrà imparato l’arte di far quattrini»,
un’arte che notoriamente gli fu sempre poco congeniale, prova ne sia che
alla fine della carriera dovette accettare da Plinio il Giovane il viaticum per
il ritorno in patria. E sarà proprio a Bilbilis che il timore del provincialismo
lo coglierà di nuovo, e in maniera assai più drammatica, perché questa volta
la sua scelta era definitiva e il suo ritorno nella capitale ormai impossibile.
Nella prefazione del XII libro vuol conoscere il giudizio spassionato e
preventivo dell’amico Prisco sulla sua ultima fatica per non correre il rischio
di inviare a Roma un libro Hispanus, cioè spagnolo (provinciale) invece che
Hispaniensis, cioè scritto materialmente in Spagna24.
La composizione del libro lontano da Roma si riflette sugli argomenti
trattati, che non contengono allusioni a personaggi ed eventi storici, il che
crea qualche imbarazzo per la cronologia (i temi, oltre a quelli sulla difficile
condizione del cliente a Roma – in carattere con la ‘fuga’ del poeta dalla città –
perseguono come sempre la varietas, che naturalmente si riflette sull’estensione
degli epigrammi e sulla loro struttura metrica). Lo spirito beffardo che anima il
poeta in questo particolare momento può forse giustificare anche il largo spazio
accordato alla pars obscena (circa un terzo dell’intero libro, il che rappresenta un
unicum nel complesso della produzione marzialiana). E qui forse val la pena di
osservare che l’oscenità in Marziale è sempre scoperta (greve, direi, per i nostri
gusti di moderni, più disposti ad accogliere l’erotismo che l’oscenità) e che sono
quindi fuori strada coloro che vogliono cogliere riposte allusioni oscene in
epigrammi che non hanno nulla di malizioso25. Mi par giusto che in questi casi
anche la traduzione debba essere in carattere col testo e non si debba far ricorso
ad eufemismi, sia pur divertenti come quelli escogitati alla metà dell’Ottocento
dal Cav. Magenta26.
23
Vd. p. es. quanto ho osservato in proposito in Gli stulti parentes di Marziale e il prezzo
di una vocazione (nota a Mart. 9, 73), in Studi di Poesia Latina in onore di Antonio
Traglia, Roma 1979, pp. 833-839.
24
Si veda quanto ho osservato in Nostalgia di Roma nell’ultimo Marziale, «Vichiana» n. s.
13, 1984 (Miscellanea Arnaldi), pp. 126-134.
25
È un atteggiamento oggi diffuso e riguarda anche Catullo (si veda il riaffiorare di interpre-
tazioni del passer che credevamo avessero fatto il loro tempo). Ad esso non sfugge neppure il
pur equilibrato Henriksén (vd. la mia recensione in «RFIC» cit., p. 375 sg.).
26
Gli Epigrammi di M. Valerio Marziale con traduzione e note del Cav. P. M., Venezia 1842.
Commentare Marziale 13
Le due sezioni del libro sono divise da una sorta di proemio al mezzo
(epigr. 68); il precedente, che conclude la prima sezione, può forse celare,
come osserva Fusi, un’intenzione metaletteraria: nella stanchezza dei marinai
durante una gita in barca nella calura estiva cispadana potrebbe essere
rappresentata la stanchezza del lettore per una lunga serie di epigrammi privi
di elementi piccanti. Dunque un libro inaequalis (in carattere del resto con
le aspirazioni del poeta, come si ricava da VII 90), ma assai interessante,
perché consente di penetrare nell’animo del poeta spagnolo, sempre in bilico
fra amore e odio per quella città che è fonte della sua ispirazione ma non
lo accoglie come egli sente di meritare. La malinconia per la lontananza da
Roma, che, dopo l’abolizione della sportula voluta da Domiziano, non è più
in grado di offrirgli neppure le condizioni minime di sopravvivenza, benché
temperata dalla calorosa accoglienza riservatagli dall’ospite amico (forse
Faustino), è percepita come una sorta di esilio: a tradire questo sentimento
sono le numerose allusioni ai Tristia e alle Epistulae ex Ponto di Ovidio, un
poeta caro a Marziale non meno di Orazio e Catullo27. La patetica esagerazione
deve dare al lettore la misura di uno scherzo che non è tale fino in fondo.
Nel fare di sopra una rapida rassegna dei commenti finora usciti ho
delineato una specie di prototipo di commento ideale. Ma a fare un buon
commento non bastano i buoni precetti. Specie per un autore come Mar-
ziale, così dotto, così sottile, così a volte impenetrabile per la presenza di
allusioni che ci sfuggono, occorre una solida preparazione tecnica e una
raffinata sensibilità letteraria. Se il presente commento di Alessandro Fusi
risponda a tutte queste esigenze non sta a me giudicare. Quello che però
salta subito agli occhi è l’ampia informazione bibliografica, l’estrema cura
volta a mettere in evidenza la complessa trama delle allusioni su cui sono
costruiti gli epigrammi, l’impegno a chiarire ogni volta il Witz non sempre
evidente che in essi si cela, l’indipendenza del giudizio e spesso l’originalità
delle soluzioni28.
Ma questo libro, al di là del suo valore, che lascio ad altri valutare,
27
Su un discusso epigramma dipendente da Ovidio Fusi ha scritto una nota che forse
risolve definitivamente un’annosa questione: Marziale e la fama di Ovidio (Nota a Mart.
5, 10), «RFIC» 128, 2000, pp. 313-322.
28
Si veda p. es. l’interpretazione di III 19 anticipata in Orsi di bronzo e orsi mansueti
(Marziale, III 19), «RPL» 24, 2001, pp. 48-55, nuova e ben sostenuta con argomentazioni
di carattere archeologico (contra M. Salanitro, Una statua assassina (Mart., 3, 19), «A&R»
n.s. 48, 2003, pp. 78-80).
14 Piergiorgio Parroni
PIERGIORGIO PARRONI
Abbreviazioni bibliografiche 15
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Si trovano qui abbreviati gli studi citati in apparato e quelli che nel lavoro ricorrono più d’una
volta; per gli altri l’indicazione bibliografica è riportata per esteso ad locum; le abbreviazioni
delle riviste sono quelle dell’Année Philologique.
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J.N. Adams, A Type of Sexual Euphemism in Latin, «Phoenix» 35,
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Adams 1983
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Adams, LSV
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Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, hrsgg. von H. Temporini
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Lezioni di un codice posseduto da Adrian Beverland desunte da
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Varron. Satires Ménippées, édition, traduction et commentaire par J.P.
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M. Citroni, recensione a Burnikel 1980, «Orpheus» 6, 1985, pp. 186-
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46 Abbreviazioni bibliografiche
Introduzione 47
INTRODUZIONE
1
Il solo altro caso di pubblicazione fuori da Roma, solo per certi versi paragonabile a
questo, è quello del XII libro, l’ultimo, che Marziale scrive dopo il suo definitivo ritorno
in Spagna.
2
1; 2; 4; 5 (l’epigr. 3 è concordemente considerato spurio): su questi epigrammi vd. Merli
1993, p. 240; Scherf 2001, p. 28 sg.
3
Il v. 3 hunc legis et laudas librum fortasse priorem è stato lungamente dibattuto tra gli
interpreti, ma, come sostenuto da Citroni, p. XIV, Marziale si riferisce probabilmente al
libro II. Per le altre ipotesi e per la discussione della questione vd. la n. ad loc.
4
La pointe dell’epigramma è costruita sul motivo dell’inferiorità di ciò che è ‘provinciale’
nei confronti di ciò che è ‘urbano’ (vd. la n. al v. 6).
5
Sul largo uso da parte di Marziale del modulo dell’apostrofe al libro, inaugurato da Orazio
con l’epistola I 20 e sviluppato in modo originale da Ovidio nelle elegie dell’esilio, vd.
Citroni 1986, p. 136 sgg.
48 Alessandro Fusi
6
Ovidio è probabilmente, insieme a Catullo, il poeta più imitato da Marziale: un’idea, per lo
più ‘quantitativa’, dell’influenza del poeta di Sulmona si può ricavare dai numerosissimi loci
similes raccolti nel corso dei decenni: vd. A. Zingerle, Martials Ovidstudien, Innsbruck
1877; E. Wagner, De M. Valerio Martiale poetarum Augusteae aetatis imitatore, Diss.
Königsberg 1880 (studio confluito nell’apparato di loci similes di Friedlaender); E.
Siedschlag, Ovidisches bei Martial, «RFIC» 100, 1972, pp. 156-161; Fletcher 1983; di un
caso particolare di allusione ovidiana mi sono occupato nell’articolo Marziale e la fama
di Ovidio (Nota a Mart. 5, 10), «RFIC» 128, 2000, pp. 313-322. L’influenza delle opere
ovidiane dell’esilio sul formulario di invio dei libri è stata evidenziata da Citroni nel suo
studio sull’apostrofe al libro, modulo di cui Marziale fa ampio uso (Citroni 1986). Sui
contatti con l’Ovidio dell’esilio vd. anche Pitcher 1998, pp. 59-72.
7
Oltre che in questo passo l’attributo longinquus, di uso prevalentemente prosastico, ricorre
in Ovidio soltanto un’altra volta ancora in un’opera dell’esilio e in riferimento, seppure in
modo meno preciso, al Ponto: Ibis 145 sg. sive per immensas iactabor naufragus undas, /
nostraque longinquus viscera piscis edet. Forse l’individuazione di un sottotesto ovidiano
ha suggerito all’umanista che ha postillato di correzioni il codice f la variante quo … orbe
in luogo di qua … urbe in 4, 3 si quibus in terris, qua simus in urbe rogabit.
Introduzione 49
8
Il mestiere di citaredo era molto redditizio. L’affermazione non va naturalmente presa alla
lettera, come hanno fatto alcuni studiosi, ma va inquadrata nel tema, ricorrente nell’opera
di Marziale, della povertà del poeta, spesso in contrasto con la ricchezza di personaggi di
umili origini (vd. la n. ad loc.).
9
Certamente Marziale non intendeva chiudere ad Imola i propri giorni, come sostengono
E. Paratore (La letteratura latina dell’età imperiale, nuova edizione aggiornata, Firenze-
Milano 1969, p. 156) e Norcio 1960, p. 187 sg.; quest’ultimo ha successivamente attenuato
la sua posizione: vd. Norcio, p. 14.
10
Cfr. Suet. Dom. 7, 1; vd. Gsell 1894, p. 86.
11
Vd. Salanitro 1991-92, p. 286 sgg. e la mia n. al verso.
50 Alessandro Fusi
12
Di questa opinione sono, ad es., Izaac, I, p. XIII; Citroni 1987, p. 143; Sullivan 1991, p.
30 sg.
13
SB2, I, p. 3 n. 8.
14
Naturalmente il libro potrà contenere epigrammi scritti precedentemente all’allonta-
namento di Marziale da Roma e non ancora pubblicati in un libro. Questo non incide
tuttavia sulla valutazione complessiva del libro ‘cispadano’.
15
1 sg. numquam dicis ‘have’ sed reddis, Naevole, semper, / quod prior et corvus dicere
saepe solet.
16
Vd. Citroni 1988, p. 17 sgg.; Merli 1993, p. 237 sgg.
17
I 4, 1 sg. contigeris nostros, Caesar, si forte libellos, / terrarum dominum pone super-
cilium.
Introduzione 51
grammi lascivi18. Gli altri epigrammi del libro per Domiziano sono quelli
del ciclo dei leoni e delle lepri, che probabilmente Marziale aveva già
presentato all’imperatore19. Nel libro II Marziale celebra l’assunzione
da parte di Domiziano del titolo di Germanicus (epigr. 2), che risaliva
a circa tre anni prima della pubblicazione del libro20; l’epigramma era
stato dunque certamente presentato in precedenza all’imperatore; i
soli due altri epigrammi che riguardano l’imperatore sono II 91 e 92, il
primo una richiesta del ius trium liberorum, il secondo uno scherzoso
ringraziamento per l’adempimento del suo voto (anche questi due
epigrammi risalgono certamente a vari anni prima della pubblicazione del
libro, poiché Domiziano aveva confermato al principio del suo regno i
privilegi conferiti da Tito).
Non deve perciò stupire la quasi completa assenza dell’imperatore dal
libro, tenuto conto anche del fatto che una sezione cospicua di esso (epigr.
68-100) è riservata a epigrammi di carattere licenzioso, caratterizzati da
linguaggio esplicito, come Marziale si preoccupa di dichiarare in una
sorta di ‘proemio al mezzo’ (epigr. 68). L’allontanamento di Marziale, se
pure ebbe tra le sue cause l’abolizione della sportula, non si configurò
certo come una critica esplicita all’editto dell’imperatore, come testimonia
il sempre maggiore avvicinamento a Domiziano che si nota a partire
proprio dal libro IV che, pur non formalmente dedicato all’imperatore,
ne celebra in apertura il genetliaco (IV 1) e contiene numerosi epigrammi
adulatori21. Il V libro, formalmente dedicato all’imperatore, segnerà la
definitiva affermazione di Marziale come poeta di prestigio nella Roma di
Domiziano22.
18
I 4, 5-8 qua Thymelen spectas derisoremque Latinum, / illa fronte precor carmina
nostra legas. / innocuos censura potest permittere lusus: / lasciva est nobis pagina, vita
proba.
19
Vd. Citroni, p. XXIV sg.; Citroni 1988, p. 18.
20
Viene collocata tra il 9 giugno e il 28 agosto dell’83: vd. T.V. Buttrey, Documentary
Evidence for the Chronology of the Flavian Titulature, Meisenheim am Glan 1980, p. 52
sgg.; Marziale ne fa menzione già negli Xenia: serus ut aetheriae Germanicus imperet aulae
/ utque diu terris, da pia tura Iovi (XIII 4).
21
Vd. Citroni 1988, p. 19 sgg.
22
Vd. Citroni 1988, p. 21 sgg.
52 Alessandro Fusi
23
Punto di partenza per le ricerche sulla cronologia dei libri di Marziale è la Einleitung
dell’edizione di Friedlaender (I, pp. 50-67). Importanti contributi sono stati recati da Citroni:
vd. l’introduzione del commento al I libro (pp. IX-XXI); Citroni 1988, p. 11 sgg.; Citroni
1989, pp. 214-225; vd. anche Syme 1978, pp. 12-21; Syme 1980, p. 43 sg.; A. Canobbio,
Sulla cronologia del V libro di Marziale, «Athenaeum» 82, 1994, pp. 540-550, rielaborato
con aggiornamenti in Canobbio 2002, pp. 44-52.
24
L’anno è garantito dalla menzione dei Ludi Saeculares (v. 7 sg.), che furono celebrati
nell’88. Come data per la pubblicazione del libro IV si possono assumere i Saturnali dell’88
(vd. Friedlaender, I, p. 55 sg.; Citroni 1989, pp. 217-220); R. Syme sposta la data al gennaio
89 in considerazione della rivolta di Antonio Saturnino, ricordata in IV 11 e scoppiata il
primo gennaio 89 (Syme 1978, pp. 12-21; Syme 1980, p. 43 sg.).
25
L’ipotesi nasce da un’esegesi poco persuasiva di III 1, 3: vd. la n. ad loc.
26
Citroni 1987, p. 138 n. 7. L’ipotesi riceve conforto da un dato statistico: il libro II è,
quanto al numero dei versi, il più breve fra i dodici di Marziale (546 contro una media di
circa 700; vd. le statistiche in Scherf 2001, p. 107 sgg.).
27
A questa cronologia ampia si è limitato Friedlaender, I, p. 54 sg.
Introduzione 53
28
La sua ipotesi è riassunta in Citroni 1989, p. 222 sg. n. 38.
29
6, 1 lux tibi post Idus numeratur tertia Maias.
30
Come già osservato da Friedlaender, I, p. 56.
31
19 sg. an aestuantis iam profectus ad Baias / piger Lucrino nauculatur in stagno?
32
Vd. Friedlaender, SR II 94, 6.
33
La condivide Sullivan 1991, p. 30, secondo il quale il libro «was published late in 87».
54 Alessandro Fusi
Citroni ritiene che Marziale debba aver lasciato la Cispadana nei primi mesi
dell’88 per avere il tempo di tornare a Roma e ricevere gli inviti per l’estate
sul golfo di Napoli. Questo terminus ante quem può forse essere messo
in discussione: nell’epigr. 58 Marziale descrive la villa a Baia dell’amico
Faustino, dedicatario del libro (cfr. epigr. 2); si tratta dell’epigramma più
lungo dell’intero corpus marzialiano (51 vv.), collocato in posizione di rilievo
quasi al centro del libro. Il componimento, che testimonia di un soggiorno
invernale34 a Baia, successivo al libro II35, costituisce un elaborato omaggio
al patrono: la singolare collocazione di un lungo epigramma dedicato alla
villa di Baia nel libro ‘cispadano’ non sarà completamente disinteressata36;
poiché, come cerco di dimostrare nel § 3, ritengo che Faustino sia stato
ospite di Marziale durante il suo soggiorno cispadano, l’indubbio legame
stabilito nel periodo con il patrono e l’esplicito omaggio alla sua villa
baiana, all’interno di un libro a lui dedicato37, rendevano probabilmente
superfluo un ritorno a Roma nei primi mesi dell’88 per ottenere gli inviti
per l’estate. Una conferma sembra venire da IV 57: nell’epigramma, scritto
in estate a Baia38, Marziale si rivolge a Faustino, che è invece a Tivoli39;
egli lamenta l’oppressiva calura e si autoinvita con eleganza nella fresca
località laziale40. È probabile che Marziale si trovasse nella villa di Faustino
a Baia (come ritiene lo stesso Citroni, p. 85 sg.). Se questa ricostruzione
della vicenda cogliesse nel segno, verrebbe a cadere il terminus ante quem
dei primi mesi dell’88. Mi sembra anzi che l’88 possa essere considerato
più probabile come anno di pubblicazione41. Innanzitutto, se è vero che
34
Cfr. v. 8 sg. hic post Novembres imminente iam bruma / seras putator horridus refert uvas.
35
Per la riconosciuta tendenza da parte di Marziale a collocare gli epigrammi nel primo
libro utile, per evitare che perdano in attualità.
36
È significativo che Marziale apostrofi Faustino in un distico nel quale lamenta la mancata
ricompensa da parte di un tale adulato in un suo epigramma: laudatus nostro quidam,
Faustine, libello / dissimulat, q u a s i n i l d e b e a t : imposuit (V 36). Senz’altro ben
diverso doveva essere il comportamento del patrono.
37
Faustino è menzionato nel libro ancora negli epigr. 25; 39; 47.
38
1 sg. dum nos blanda tenent lascivi stagna Lucrini / et quae pumiceis fontibus antra
calent.
39
3 sg. tu colis Argei regnum, Faustine, coloni, / quo te bis decimus ducit ab urbe lapis.
40
7-10 ergo sacri fontes et litora grata valete, / Nympharum pariter Nereidumque domus.
/ Herculeos colles gelida vos vincite bruma, / nunc Tiburtinis cedite frigoribus.
41
Pone la pubblicazione del libro nell’88 anche Norcio 1960, p. 185 n. 4, senza tuttavia
sostenere l’ipotesi con alcuna argomentazione.
Introduzione 55
42
È lui stesso ad affermarlo in X 70, 1 sg. quod mihi vix unus toto liber exeat anno /
desidiae tibi sum, docte Potite, reus. L’espressione non va naturalmente presa alla lettera.
43
Sono rivelatrici le parole rivolte al dedicatario Prisco nell’epistola prefatoria del libro:
cfr. XII epist. 1 sgg. scio me patrocinium debere contumacissimae trienni desidiae; […]
accipe ergo rationem. in qua hoc maximum et primum est, quod civitatis aures, quibus
adsueveram, quaero et videor mihi in alieno foro litigare; si quid est enim quod in li-
bellis meis placeat, dictavit auditor: illam iudiciorum subtilitatem, illud materiarum
ingenium, bibliothecas, theatra, convictus, in quibus studere se voluptates non sentiunt,
ad summam omnium illa quae delicati reliquimus desideramus quasi destituti.
44
Si veda in particolare III 7, che descrive i momenti immediatamente successivi all’editto
di Domiziano; se questo fosse precedente al II libro, Marziale non avrebbe ritardato fino
al libro successivo l’inserimento di un epigramma che considerava rilevante; cfr. anche III
14, in cui l’esuritor Tuccio riceve arrivando a Roma la notizia dell’abolizione della sportula,
che quindi doveva essere recente.
56 Alessandro Fusi
45
La data può essere posticipata se si colloca il soggiorno a Baia attestato dall’epigr. 58
nell’inverno dell’87. Sulla durata del soggiorno di Marziale in Cispadana ha ragione Citroni
1987, p. 138 a sottolineare che deve essere stato piuttosto lungo, se Marziale vi pubblicò
anche un libro. Forse qualche indicazione più precisa può essere desunta da IV 26: quod
te mane domi toto non vidimus anno, / vis dicam quantum, Postume, perdiderim? /
tricenos, puto, bis, vicenos ter, puto, nummos. / ignosces: togulam, Postume, pluris emo.
Anche se il destinatario è probabilmente fittizio, l’epigramma può contenere elementi reali
e rivelare, senza pretese di rigore, la durata del soggiorno di Marziale in Cispadana. Non
sarà casuale che l’epigramma segua nel libro quello, già ricordato, che loda le bellezze
del litorale veneto: alla rievocazione del periodo trascorso fuori Roma fa da pendant un
epigramma che sottolinea gli obblighi clientelari cui Marziale si è sottratto in quei mesi.
46
Friedlaender (I, p. 55) riteneva che IV 25 potesse essere stato composto al momento
della pubblicazione del libro III e che Marziale ne avesse per qualche ragione rinviato la
pubblicazione al libro successivo, ma tale ipotesi è giustamente considerata scarsamente
probabile da Citroni 1987, p. 140 n. 11.
47
Sarebbe in tal caso significativa la sua collocazione nel libro a chiusura della sezione
‘casta’, quasi fosse un commiato dai luoghi dove ha trascorso i mesi precedenti.
Introduzione 57
3. L’ospite di Marziale
48
L’ipotesi è prospettata con estrema cautela da Citroni 1987, p. 155 sg.
49
1-5 cuius vis fieri, libelle, munus? / festina tibi vindicem parare, / ne nigram cito raptus
in culinam / cordylas madida tegas papyro / vel turis piperisve sis cucullus.
58 Alessandro Fusi
/ i puer et caro perfer leve munus amico, / qui meruit nugas primus
habere meas. I versi esprimono riconoscenza all’amico e, dal momento
che, secondo la cronologia sopra proposta (§ 2), il libro IV fu pubblicato
in tempi piuttosto vicini al III, è plausibile leggere nel componimento la
gratitudine per l’ospitalità ricevuta (cfr. in particolare il v. 4 qui m e r u i t
nugas p r i m u s habere meas). L’epigramma più lungo ed elaborato del
libro terzo (e dell’intero corpus marzialiano) descrive, come ho già avuto
occasione di dire, la villa di Faustino a Baia (epigr. 58). Si è già accennato
all’epigr. 6, che celebra il taglio della barba di Marcellino e il compleanno
del padre, amico di Marziale; da VI 25, scritto mentre Marcellino si trova in
servizio nelle province del nord, impegnato in operazioni militari, emerge
il rapporto di amicizia che lega Marziale al padre del ragazzo50. In VII
80, ormai conclusasi la guerra sarmatica, Marziale si rivolge a Faustino
perché mandi a Marcellino i suoi carmi, che ora avrà il tempo di leggere.
Friedlaender (ad III 6, 2) ha supposto, a mio avviso con piena ragione,
che il padre di Marcellino fosse proprio Faustino51: mi sembra del tutto
naturale che per inviare una missiva a un ragazzo impegnato in guerra ci si
rivolga alla famiglia piuttosto che a un amico.
Un legame tra Faustino e la Cispadana emerge da X 51: Marziale si
rivolge al patrono rammaricandosi del fatto che i suoi impegni romani
gli impediscano di godere delle belle giornate primaverili: v. 5 sg. quos,
Faustine52, dies, qualem tibi Roma Ravennam / abstulit! o soles, o
tunicata quies!53. I versi seguenti però sembrano mostrare che il luogo
dove Faustino potrebbe trascorrere queste giornate non è Ravenna,
ma Terracina (v. 8 Anxur). Molti editori considerano Ravennam una
corruttela: Friedlaender, Lindsay e SB pongono il nome fra cruces;
Heraeus invece mantiene il testo tramandato dalla seconda famiglia,
50
3 sg. ille vetus pro te patriusque quid optet amicus / accipe et haec memori pectore vota
tene.
51
La sua ipotesi è accettata da A. Stein, RE XIV 2, 1441 e da L. Petersen, PIR² M 183; ad
essa si mostrano cautamente favorevoli Citroni 1987, p. 156; Sullivan 1991, p. 31; Grewing,
p. 193; Galán Vioque, p. 442.
52
C. Damon, The Mask of the Parasite. A Pathology of Roman Patronage, Ann Arbor
1997, p. 162 n. 37 ipotizza che Faustine in questo verso sia una corruttela di Frontine (cfr.
X 58, in cui Marziale si rivolge a Frontino menzionandone la villa ad Anxur). La correzione
appare tuttavia arbitraria.
53
Il v. 5 è così tramandato dalla seconda famiglia, mentre la terza ha quos, Faustine, dies,
quale sit tibi Roma Ravennae. L’epigramma non compare nei codici della prima famiglia.
Introduzione 59
54
Egli cita come esempi affini i nomi delle ville di Plinio il Giovane, Comoedia e Tragoedia,
presenti in epist. IX 7, 3 altera imposita saxis more Baiano lacum prospicit, altera aeque
more Baiano lacum tangit. itaque illam tragoediam, hanc appellare comoediam soleo;
illam, quod quasi cothurnis, hanc, quod quasi socculis sustinetur.
55
Un collegamento con la Cispadana è realizzato anche da Izaac, che interviene sul testo
tràdito e legge quos, Faustine, dies, quales tibi Roma, Ravennas, / abstulit, intendendo
Ravennas come cognomen di Faustino. L’interpretazione dello studioso francese è però
scarsamente persuasiva: si tratterebbe dell’unico caso tra le 19 occorrenze in Marziale in cui
al nome Faustino è affiancato un cognomen; quos e quales inoltre, entrambi riferiti a dies,
rivestirebbero la medesima funzione, in modo decisamente poco elegante.
56
Cfr. v. 1 sg. sic me fronte legat dominus, Faustine, serena / excipiatque meos, qua solet
aure, iocos.
60 Alessandro Fusi
4. I t e m i d e l l i b r o
57
Si potrebbe pensare che Faustino sia morto dopo la pubblicazione del X libro, ma gli stretti
rapporti che Marziale intrattenne con lui durante tutto il suo soggiorno romano avrebbero
senz’altro meritato un epigramma funebre. Il silenzio di Marziale fu probabilmente dettato
da ragioni di opportunità.
58
Su questi epigrammi vd. Merli 1998, p. 144 sgg.
59
Vd. Merli 1993, p. 240.
60
Rufo compare soltanto nella sezione ‘oscena’ del libro (forse anche in 82, 33) ed era
Introduzione 61
probabilmente un lettore interessato alla poesia più licenziosa. Per alcune proposte di
identificazione vd. la n. intr. all’epigr. 100.
61
Marziale non si preoccupa della contraddittorietà che può risultare dalla presenza di più
dedicatari dello stesso libro: vd. § 6.
62
Il verso crea tuttavia perplessità per il fatto che il contadino di Baia offra del formaggio
62 Alessandro Fusi
5. L ’ o r d i n a m e n t o d e g l i e p i g r a m m i
di una campagna lontana, mentre Marziale sottolinea nel passo che la villa di Faustino può
disporre di freschi prodotti locali (vd. al riguardo la n. ad loc.).
63
L’importanza del libro emerge anche dalla frequenza con la quale il tema libri/lettori è
trattato negli epigrammi (vd. Fowler 1995, p. 31). Senz’altro eccessivo il rilievo attribuito
alla diffusione orale da W. Burnikel, Zur Bedeutung der Mündlichkeit in Martials
Epigrammbüchern I-XII, in G. Vogt-Spira (Hrsg.), Strukturen der Mündlichkeit in der
römischen Literatur, Tübingen 1990, pp. 221-234. Molti apparenti riferimenti all’oralità
sono in realtà spiegabili, come rilevato da Fowler 1995, p. 38, come casi di «fingierte
Mündlichkeit» (l’espressione è mutuata da P. Goetsch, studioso tedesco della letteratura
inglese del XIX secolo).
64
Osservazioni sull’ordinamento degli epigrammi si trovano già in Pertsch 1911, pp. 58-
68. Sulla struttura di singoli libri vd. specialmente Citroni, pp. XXVI-XXXVIII (I libro); Kay,
p. 5 sg. (XI); Grewing, pp. 29-51 (VI); si veda anche Merli 1993 (sulle serie proemiali
dei libri); Merli 1998; J. Scherf, Zur Komposition von Martials Gedichtbüchern 1-12, in
Grewing, Toto notus, pp. 119-138; Scherf 2001; S. Lorenz, Waterscape with Black and
White: Epigrams, Cycles, and Webs in Martial’s Epigrammaton liber quartus, «AJPh»
125, 2004, pp. 255-278.
65
Non hanno trovato molto consenso tra gli studiosi le architetture interne rintracciate
da K. Barwick (Zur Kompositiontechnik und Erklärung Martials, «Philologus» 87, 1932,
pp. 63-79; Barwick 1958) e dal suo allievo H. Berends (Die Anordnung in Martials’
Gedichtbüchern I-XII, Diss. Jena 1932). Barwick, cui pure si deve riconoscere il merito
di aver richiamato l’attenzione degli studiosi di Marziale sulla struttura dei libri, fino ad
allora trascurata, ravvisava nella disposizione dei componimenti un complesso gioco
di corrispondenze basate sul numero dei versi, sul metro, sul tono degli epigrammi,
ipotizzando la costituzione dei libri attraverso l’aggregazione di cicli epigrammatici.
Tali sottili legami si sono dimostrati spesso molto incerti e, soprattutto, difficilmente
potrebbero essere percepiti dal lettore (si vedano sull’argomento le ragionevoli osservazioni
di Citroni, pp. XXVI-XXIX; Merli 1993, p. 229 sg.). Risultati più fruttuosi hanno portato
Introduzione 63
a una ricerca di varietà nei toni, nella lunghezza dei componimenti, nella
scelta dei metri66. Lo scopo principale è evitare di annoiare il lettore,
ma si possono individuare altri criteri ponderati nella disposizione degli
epigrammi. Gli esordi sono particolarmente curati: la presentazione del
libro è un momento molto delicato e Marziale cerca di garantire alle sue
opere l’appoggio di influenti patroni o dell’imperatore stesso. Un’analoga
cura presiede alla disposizione degli epigrammi di chiusura del libro67.
Il libro terzo presenta una struttura peculiare: gli epigr. 1-67 sono
dedicati ad argomenti di vario genere, mentre l’ultima parte del libro
(epigr. 68-100), introdotta da un nuovo proemio (68), contiene epigrammi
dedicati quasi esclusivamente al sesso e caratterizzati da un linguaggio
esplicito. Se si considera che l’epigr. 3 è ritenuto unanimemente spurio, il
nuovo proemio si colloca esattamente dopo due terzi del libro e introduce
la sezione licenziosa che occupa l’ultimo terzo del libro68. Le due sezioni
del libro sono nettamente distinte anche dal punto di vista lessicale: la
le indagini sui cicli epigrammatici intesi come variazioni di un motivo, realizzate in testi
posti a distanza ravvicinata: vd. V. Buchheit, Martials Beitrag zum Geburtstag Lucans als
Zyklus, «Philologus» 105, 1961, pp. 90-96, sul ciclo indirizzato a Polla Argentaria, vedova di
Lucano, e dedicato alla celebrazione del genetliaco del poeta (VII 21; 22; 23); J. Garthwaite,
Martial, Book 6, on Domitian’s Moral Censorship, «Prudentia» 22, 1990, pp. 13-22, sugli
epigrammi dedicati alla restaurazione della Lex Iulia de adulteriis coercendis (VI 2; 4; 7;
22; 45; 90; 91); W. Hofmann, Motivvariationen bei Martial. Die Mucius Scaevola- und die
Earinus-Gedichte, «Philologus» 134, 1990, pp. 37-49 e C. Henriksén, Earinus: an Imperial
Eunuch in the Light of the Poems of Martial and Statius, «Mnemosyne» 50, 1997, pp. 281-
294, sul ciclo di Earino, coppiere di Domiziano; J. Garthwaite, Revaluating Epigrammatic
Cycles in Martial, Book Two, «Ramus» 30, 2001, pp. 46-55; M. Ciappi, Ille ego sum
Scorpus. Il ciclo funerario dell’auriga Scorpo in Marziale (X 50 e 53), «Maia» 53, 2001, pp.
587-609; Canobbio 2002, sul ciclo del V libro dedicato alla restaurazione domizianea della
Lex Roscia theatralis.
66
Il principio dell’aequalitas è esplicitamente rifiutato da Marziale (VII 90): iactat inae-
qualem Matho me fecisse libellum: / si verum est, laudat carmina nostra Matho. / aequales
scribit libros Calvinus et Umber: / aequalis liber est, Cretice, qui malus est; vd. al riguardo
Citroni 1968, p. 272.
67
Sulla chiusura dei libri vd. specialmente Fowler 1989; che le sequenze di chiusura di
Marziale presentino aspetti originali e brillanti è stato messo in luce da Fowler 1989, p. 107
sg.; vd. anche Fowler 1995, passim; Scherf 2001, p. 32 sgg.
68
La proporzione è meno precisa riguardo al numero di versi: la prima sezione ne conta,
senza l’epigr. 3, 438 (68, 01% circa); la seconda 206 (31, 99% circa). La lunghezza media è
di 6, 63 vv. per gli epigrammi della prima sezione, di 6, 24 per quelli della seconda. La media
complessiva è di 6, 50 vv. (i dati non comprendono l’epigr. 3).
64 Alessandro Fusi
69
Quali merda (17, 6) e cacare (44, 11).
70
È piuttosto rara la successione di più di due monodistici, che Marziale evita per mostrare
la propria scaltrezza stilistica. Un caso eccezionale costituiscono i 5 monodistici che si
susseguono nel II libro (78-82), che vengono, non a caso, dopo un epigramma (II 77) in cui
Marziale si era difeso dall’accusa di Cosconio di scrivere epigrammi troppo lunghi e sono
dunque una dimostrazione della capacità del poeta di comporre anche epigrammi brevi (vd.
Merli 1993, p. 232; sui monodistici in Marziale vd. anche Lausberg 1982, pp. 459-462).
71
Due invettive, in scazonti; il diverso uso di questo metro all’interno delle due sezioni
del libro riflette la diversa natura degli epigrammi in esse contenuti: mentre nella seconda
sezione è legato al tradizionale tono di invettiva, nella prima ricorre in epigrammi di
diversa ispirazione: 20, dove esprime la nostalgia per l’amico Canio Rufo; 47, lusus bonario
sull’improduttività della tenuta di campagna dell’amico Basso; 58, elaborata descrizione
della villa del patrono Faustino; 64, elogio del fascino affabulatorio dell’amico Canio
Rufo.
72
Le coppie, individuate da Watson-Watson, p. 31 n. 108, sono: 24/91; 32/76; 34/87;
51/72; 67/78.
73
Cunnus (72, 6); arrigere (76, 1); mentula (76, 3; 91, 12); mingere (78, 1); meiere (78, 2).
74
Cfr. V 2, 1-8 matronae puerique virginesque, / vobis pagina nostra dedicatur. / tu,
quem nequitiae procaciores / delectant nimium salesque nudi, / lascivos lege quattuor
libellos: / quintus cum domino liber iocatur; / quem Germanicus ore non rubenti /
coram Cecropia legat puella.
Introduzione 65
75
Cfr. VIII epist. 11 sgg. quamvis autem epigrammata a severissimis quoque et summae
fortunae viris ita scripta sint ut mimicam verborum licentiam affectasse videantur, ego
tamen illis non permisi tam lascive loqui quam solent. cum pars libri et maior et melior
ad maiestatem sacri nominis tui (sc. Domitiani) alligata sit, meminerit non nisi religiosa
purificatione lustratos accedere ad templa debere; 1, 1-4 laurigeros domini, liber, intrature
penates / disce verecundo sanctius ore loqui. / nuda recede Venus; non est tuus iste libellus:
/ tu mihi, tu, Pallas Caesariana, veni.
76
Cfr. XI 2, 1-8 triste supercilium durique severa Catonis / frons et aratoris filia Fabricii
/ et personati fastus et regula morum, / quidquid et in tenebris non sumus, ite foras. /
clamant ecce mei ‘Io Saturnalia’ versus: / et licet et sub te praeside, Nerva, libet. / lectores
tetrici salebrosum ediscite Santram: / nil mihi vobiscum est: iste liber meus est; 16, 1-4 qui
gravis es nimium, potes hinc iam, lector, abire / quo libet: urbanae scripsimus ista togae; /
iam mea Lampsacio lascivit pagina versu / et Tartesiaca concrepat aera manu.
77
Sull’ipotesi priva di fondamento di Immisch 1911, p. 492 che l’epigramma si rivolga ad
un destinatario preciso vd. la n. al v. 1 tibi.
78
La scelta del metro è dovuta alla evidente allusione alla dedica di Catullo a Cornelio
Nepote (1, 1 cui dono lepidum novum libellum): cfr. v. 1 cuius vis fieri, libelle, munus?
e la relativa n.
66 Alessandro Fusi
79
Vd. Giarratano 1908, p. 72 sg. e la n. intr. all’epigr.
Introduzione 67
80
Circa un terzo degli epigrammi lunghi è seguito da monodistici (vd. Merli 1993, p. 232;
Lausberg 1982, passim).
81
Al componimento fa da pendant l’epigr. 91, anch’esso racconto in versi di un aneddoto
concluso con la castrazione di un soldato congedato.
82
Si tratta dell’unico caso in Marziale dell’utilizzo di questo metro (vd. Giarratano 1908,
p. 73).
68 Alessandro Fusi
83
Vd. Merli 1998, p. 142 sg.
70 Alessandro Fusi
84
A questo epigramma sembra essersi rifatto il falsario autore dell’epigr. 3.
Introduzione 71
(96) a un tale che vanta le sue prestazioni con la puella del poeta. L’epigr.
97 introduce propriamente la parte conclusiva del libro e contiene una
dedica scherzosa a Rufo85, cui Marziale affida il libro per evitare che lo
legga Chione. Il seguente (98) descrive in modo caricaturale un tale dal
culus macer. L’epigr. 99 riprende la vicenda del ciabattino (cfr. 16; 59),
che Marziale rappresenta irato per la satira contro di lui. Il componimento
riveste il carattere di una apologia della poesia satirica, ma innocua, cui
il poeta contrappone la crudeltà degli spettacoli gladiatori, che fornisce
invece notorietà a chi li sovvenziona. Chiude il libro un epigramma di
dedica a Rufo (100), che, con un’arguzia realizzata all’insegna di un’ironica
svalutazione della propria opera, si ricollega all’epigramma di apertura,
conferendo al libro una struttura circolare.
L’analisi condotta consente senz’altro di ribadire in conclusione le
osservazioni iniziali: la disposizione degli epigrammi nel libro è studiata
per ottenere un effetto di varietà nei contenuti, nella lunghezza dei
componimenti e nei metri. La sezione proemiale e quella conclusiva sono
ben distinte dal resto del libro. Gli epigrammi formano spesso piccole serie
legate da affinità tematica. L’ultima sezione del libro (68-100), introdotta
da un nuovo proemio (68), ospita gli epigrammi osceni. I componimenti
più significativi ricevono una collocazione volta a metterne in risalto
l’importanza e sono spesso composti in metri differenti dal distico elegiaco,
che è la forma prevalente86. I temi principali sono sviluppati in epigrammi
distribuiti in maniera equilibrata nel corso del libro.
85
Sulle ipotesi di identificazione del personaggio vd. la n. intr. all’epigr. 100.
86
Sono in distici elegiaci 1234 epigrammi su 1560 (79, 10%): vd. Scherf 2001, pp. 113;
115.
72 Alessandro Fusi
87
Vd. White 1974, p. 40 sgg. e, recentemente, P. White, Martial and Pre-Publication Texts,
«EMC» 40, 1996, pp. 397-412.
Introduzione 73
88
Come ricordato da Fowler 1995, p. 38 la pratica di celebrare molteplici destinatari in un
libro è ben attestata a Roma: ad esempio da Orazio nelle Odi e nelle Epistole, ma anche
da Catullo, da Ovidio nelle Epistulae ex Ponto, dall’elegia, per non parlare delle Silvae di
Stazio.
89
Cursorem sexta tibi, Rufe, remisimus hora / carmina quem madidum nostra tulisse
reor: / imbribus immodicis caelum nam forte ruebat. / non aliter mitti debuit iste liber.
90
L’apparente incongruenza è probabilmente all’origine di un problema testuale: vd. al
riguardo la n. al v. 4 iste.
74 Alessandro Fusi
91
Un’ampia esposizione si trova in Citroni, pp. XLV-LXXIII, cui rimando anche per le
approfondite notizie sui singoli codici; ottima la sintesi di Reeve 1983. Importanti i contributi
di Friedlaender, I, pp. 67-96; Lindsay 1900-1901, pp. 353-355; 44-46; Id. 1901, pp. 413-420;
Id. [pp. I-XX]; Id. 1903; Heraeus 1925; Pasquali 1934, pp. 415-427; sulla fase tardoantica
vd. Schmid 1984; P. Mastandrea, Per la storia del testo di Marziale nel quarto secolo. Un
prologo agli epigrammi attribuibile ad Avieno, «Maia» 49, 1997, pp. 265-297.
92
I meriti di questa edizione, non cumuni per la sua epoca, sono stati sottolineati da S.
Timpanaro, La genesi del metodo del Lachmann, Padova 19853, p. 61 sg.; vd. anche Citroni,
p. XXXVIII sgg.
93
Sembra decisivo in tal senso l’ordine dei libri nel corpus marzialiano, comune a tutti i
codici, per cui Xenia e Apophoreta, pubblicati prima del libro I, sono collocati dopo il XII
libro (l’ultimo in ordine cronologico). La scelta risalirà al curatore di un’edizione completa
di Marziale, allestita dopo la morte dell’autore. Le edizioni moderne si attengono a questo
ordine: liber de spectaculis, libri I-XII, Xenia, Apophoreta.
94
Su meriti e limiti di queste edizioni vd. Citroni, p. XL sg.
95
Lindsay 1900-1901; 1901; 1902; 19032 e soprattutto Lindsay 1903.
96
Housman 1925, p. 199 = Class. Pap., p. 1099.
97
Per primo collazionò L, il codice più importante della famiglia, e riconobbe in f, codice
umanistico trascurato da Schneidewin, un importante testimone della stessa famiglia. Già
per l’edizione di Friedlaender egli aveva collazionato il codice Q.
Introduzione 75
98
X 2, 1-4 festinata prior, decimi mihi cura libelli / elapsum manibus nunc revocavit opus.
/ nota leges quaedam, sed lima rasa recenti; / pars nova maior erit: lector, utrique fave.
99
L’incremento di composizioni celebrative dell’imperatore nei libri VIII e IX lascia pen-
sare che ancora maggiore dovesse essere lo spazio per la componente adulatoria nel libro
X (vd. Citroni 1988, p. 27). Sulla cronologia delle due edizioni vd. ora Damschen-Heil, pp.
3-8 con bibliografia.
100
Successivamente Pasquali ha mostrato maggiore cautela e compiuto una parziale marcia
indietro sulla questione, ammettendo di avere probabilmente ecceduto nell’individuazione
di varianti d’autore proprio nel caso di Marziale: vd. G. Pasquali, Preghiera, «SIFC» 22,
1947, p. 261; Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 19522, p. XXI.
101
Vd., ad es., Citroni, p. XLIII; Reeve 1983, p. 243 sg. Un riesame di molte delle varianti
selezionate da Lindsay è stato recentemente condotto da Di Giovine 2002, che, pur
evitando di parlare di varianti d’autore, ritiene alcune lezioni, in genere trascurate dagli
editori, conformi all’usus linguistico e stilistico di Marziale. Le analisi di Di Giovine che
riguardano epigrammi di questo libro sono discusse nel commento: vd. le nn. a 27, 1; 72, 3;
86, 3. Per alcune varianti si può senz’altro pensare ad un’origine tardoantica (sull’argomento
Schmid 1984): vd. le nn. a 24, 2; 31, 2.
102
Scutoque , scipioque ; venetoque, accolto dalla maggioranza degli editori, è il testo
della prima famiglia, rappresentata da T.
76 Alessandro Fusi
103
Scorpoque aveva congetturato già Gruter (1602).
104
Compianta da Marziale in X 50 e 53.
105
Zweite Auflage im Altertum, Leipzig 1941, p. 357 sg.
106
Una posizione originale è espressa da Schmid 1984, p. 406 sgg. che sostiene la genuinità
di scutoque.
107
Sull’ipotesi di varianti d’autore lo studioso si esprime con la consueta nettezza: «trium
recensionum lectiones varias ad poetam non redire ex ipsarum natura certo certius est» (SB1,
p. VII).
108
X 74, 2-6 quam diu salutator / anteambulones et togatulos inter / centum merebor
plumbeos die toto, / cum Scorpus una quindecim graves hora / ferventis auri victor auferat
saccos? Per un approfondito esame della questione vd. C. Di Giovine, Per il testo e l’esegesi
di Marziale 10, 48, 18-24, «RFIC» 128, 2000, p. 460 sgg., il quale, pur sostenendo il testo
della prima famiglia, guarda con un certo favore all’ipotesi di Lindsay. Sull’argomento mi
propongo di tornare prossimamente.
109
Per quanto riguarda gli epigrammi di questo libro, Lindsay 1903, pp. 22-24 mostrava
di considerare come possibili varianti d’autore quelle di 13, 1 e di 27, 1; collocava inoltre
tra le varianti per cui la scelta è estremamente incerta le seguenti: 16, 5 lusisti corio T :
lusisti satis est ; 44, 13 non licet natare T : non sinis natare ; 63, 6 modos : choros ;
68, 4 videre viros T : videre mares ; 91, 9 qui parte iacebat : cum parte iaceret T. Su
questi passi si vedano le relative nn. Sulla questione delle (presunte) varianti d’autore nei
testi antichi sono fondamentali le riflessioni di S. Mariotti, Varianti d’autore e varianti di
trasmissione, in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro, Atti del
Convegno di Lecce, 22-26 ottobre 1984, Roma 1985, pp. 97-111 (ora anche in S. Mariotti,
Scritti di filologia classica, Roma 2000, pp. 551-563).
Introduzione 77
110
Vd. Citroni, p. XLII sg. Il solo Heraeus, pur servendosi per lo più delle collazioni già
utilizzate da Lindsay, poté usare anche quelle apprestate da Thiele, morto prematuramente
quando aveva appena iniziato l’opera di edizione per la Bibliotheca Teubneriana (vd.
Heraeus, p. VIII). Lo studioso tedesco però corregge soltanto qualche piccolo errore delle
edizioni precedenti, attenendosi per il resto a un criterio ancor più selettivo di quello di
Lindsay nella costituzione dell’apparato.
111
Canobbio 2002; si tratta di V 8; 14; 23; 25; 27; 35; 38; 41, di cui lo studioso presenta
anche un ricco commento perpetuo. Il progetto di Canobbio è di condurre a termine
l’edizione commentata dell’intero libro V (vd. Canobbio 2002, p. 9). I restanti commenti a
singoli libri, la cui pubblicazione si è notevolmente infittita nel corso dell’ultimo decennio,
non contengono l’edizione critica del testo, limitandosi a una discussione delle varianti
desunte dagli apparati di Lindsay o Shackleton Bailey. L’unica eccezione è costituita da
Schöffel, che propone un apparato non frutto di un riesame personale, ma basato su
diverse edizioni critiche a partire da quella di Schneidewin. Una via diversa è quella tentata
dal recente commento al libro X di Damschen-Heil, frutto in realtà della collaborazione di
diversi studiosi, che presenta un’appendice critica in cui sono discussi i problemi testuali.
112
Tralascio quello di Canobbio per l’esiguo numero di epigrammi oggetto dello studio, che
non consente valutazioni più ampie.
113
Citroni, p. LXXIV; lo scetticismo sulle novità testuali che potrebbero emergere da un
completo riesame della tradizione traspare dalle parole di Reeve 1983, p. 243: «A thorough
study of the tradition, however rewarding, would hardly benefit editors».
114
Appare dunque eccessivo il sarcasmo mostrato nei confronti del lavoro di Citroni dal più
recente editore di Marziale, D.R. Shackleton Bailey, il quale, come noto, tralascia nelle sue
edizioni l’aspetto della recensio, affidandosi agli apparati esistenti: «In primi libri editione
(1975) M. Citroni singulorum ex familiis codicum discrepantias accuratius protulit;
qua diligentia hoc tamen profectum est, ut posteriores ne litus ararent moneri possent»
(SB1, p. XI). La necessità di condurre un’edizione critica di Marziale secondo i criteri indicati
da Citroni è invece ribadita da Parroni 1993, p. 57.
78 Alessandro Fusi
La tradizione medievale
La prima famiglia
115
Almeno per la seconda famiglia l’origine tardoantica è assicurata dalle sottoscrizioni
presenti in tutti i codici (su cui vd. infra). È evidente che l’assenza di un archetipo inteso
come progenitore della nostra tradizione non consente di utilizzare il criterio meccanico
dell’accordo di due famiglie contro una per la costituzione del testo. Ne offre conferma
l’alto numero di lezioni tramandate da una sola famiglia contro l’accordo delle altre due:
vd. l’elenco in SB1, pp. VIII-X.
116
Come osservato da Carratello 1974, p. 145. Quanto ai rapporti tra i due codici, per
Knoche 1940, p. 262 sg. n. 4 R sarebbe stato scritto poco dopo T, nello stesso scriptorium,
ma le più attendibili datazioni dei due codici smentiscono questa ipotesi e L. Zurli (I codici
T ed R di Marziale, «RFIC» 129, 2001, pp. 51-56) ha sostenuto, con buone ragioni, che
T integri intenzionalmente gli epigrammi tralasciati da R non solo nel De spectaculis, ma
anche nei libri I-XII e negli Xenia (a partire da XIII 74 T trascrive tutti i distici, senza
curarsi del fatto che siano o meno in R).
117
Un terzo codice, il Vindobonensis Lat. 277 del IX sec. (H), contiene di Marziale soltanto
epigr. 18, 5 sg.; 19-30; I 3; 4, 1 sg. ed è pertanto inutilizzabile per il libro terzo (sul codice
vd. Citroni, p. XLV sg.). La relazione tra H e T, affrontata dagli editori dei testi che vi sono
tràditi, è tuttora oggetto di discussione: vd. J. Richmond, The Relationship of Vindob. 277
and Paris. Lat. 8071, «Philologus» 142, 1998, pp. 80-93 con una rassegna delle ipotesi e
bibliografia. Per Lindsay, [p. IV sg.] T è copia di H.
118
La presenza del libro nei codici di altre famiglie è dovuta a contaminazione, operata
almeno dal XIV sec. Sull’argomento e sulla tradizione del De spectaculis vd. Reeve 1980,
p. 193 sgg. e la prefazione dell’edizione di Carratello (M. Valerii Martialis Epigrammaton
liber, Introduzione e testo critico di U. C., Roma 1981, rist. dell’ed. del 1980, p. 20 sgg.).
119
Lindsay 1903 pensava ad un’edizione tardoantica in usum elegantiorum; spetta a Hous-
man 1925, p. 202 (= Class. Pap., p. 1003) il merito di aver ricondotto tali sostituzioni a
«mere monkish horror of women»; a dimostrarlo in modo sicuro è il fatto che termini
volgari come, ad es., mentula, culus, fellare / fellator siano trascritti senza alcun problema,
Introduzione 79
La seconda famiglia
d.C. a Roma nel Foro di Augusto, come risulta dalle subscriptiones presenti,
con lievi varianti, in tutti i codici123. Essa comprende un manoscritto di XII
secolo (L), valorizzato da Lindsay124, che per primo lo utilizzò nella sua
edizione, e tre codici di età rinascimentale (P Q f). Gli errori presenti nei
quattro riconducono a un archetipo in beneventana125. Il testo recato da
questa famiglia viene considerato meno attendibile di quello della prima,
ma più di quello della terza. Friedrich 1909, pp. 88-117 ha notato una
tendenza a normalizzare il testo sulla base di passi analoghi.
2, 11 cocco] cocco Lf croco P¹ croceo Q; 12, 4 cenat] cenat Lf tentat PQ; 16, 2 sica
rapit] sica rapit Lf sicca rapit P¹Q; 25, 4 Neronianas] neronianas Lf neronicanas P
neronicanat Q; 36 tit. ad fabrianum sterilem amicum f (fabianum f²) ad fabiam s.
a. L de mechanico PQ (ad 35 pertinens); 43 tit. ad l(a)etinum qui caput tingebat Lf
ad l(a)etinum PQ; 44, 3 circa] circa Lf cura PQ; 46, 6 ingenuumque] ingenuumque
Lf ingeniumque P¹Q; 47, 8 porrum] porrum Lf possum PQ; 54, 1 possim] possim
Lf possum PQ; 58, 17 Rhodias] rhodias Lf rhadias PQ¹; 58, 37 fetum] fetum Lf²
vetus PQ; 73, 4 credere te] credere te Lf te credere PQ; 76, 4 Hecaben] (h)ecaben
Lf hecuben P echuben Q; 85, 1 abscidere] abscidere Lf abscindere PQ; 86, 4 mimis]
mimis Lf minus PQ; 91, 9 iacebat] iacebat Lf latebat PQ; 93, 19 virumque] virumque
Lf visumque PQ (vir- Q²).
126
Come rilevato da Lindsay 1900, p. 354; Id., [p. IX]; Citroni, p. LV sg.
82 Alessandro Fusi
La terza famiglia
127
Vd. Lindsay 1902, p. 315 sg.
128
Lindsay [p. XI sg.]; Reeve 1983, p. 239 n. 5.
129
In questo libro cfr. 2, 12 vindice : iudice ; 13, 1 pisces T: piscem pisces leporem ;
pullos T : mullos ; 22, 3 ferre : ferres ; 25, 4 is : hic ; 27, 1 venias cum saepe R :
cum sis prior ipse ; 42, 4 creditur esse malum T : creditur esse nefas (cfr. 72, 2 nescio
quod magnum suspicor esse nefas); 44, 13 non licet natare T : non sinis natare (vv. 12
sonas; 14 tenes); 47, 15 urbem : Romam ; 60, 4 sugitur T : sumitur (vv. 3 sumis; 5
sumo); 72, 2 nescio quod magnum suspicor esse nefas T : n. q. maius s. e. n. (cfr. 42, 4
quod tegitur maius creditur esse malum); 73, 2 Phoebe : Galle ; 80, 1 de nullo loqueris
T: de nullo quereris ; 82, 18 ipse : ille ; 91, 9 exciduntque senem : exciditque senem
(v. 8 continuo ferrum noxia turba rapit); 99, 3 ludere T : laedere (v. 2 laesa).
130
Il codice è erroneamente indicato come Voss. Q 56 nell’edizione di Lindsay e nelle
successive. Nonostante la precisazione di Citroni, p. LVII n. 46, l’errore ricorre ancora in
SB e in alcuni commenti (Kay; Leary1; Grewing; Henriksén; Schöffel; Damschen-Heil). Un
Introduzione 83
X = Parisinus Lat. 8067 (Puteaneus), saec. IX3/4. Scritto forse a Corbie. Tra
i manoscritti più importanti della famiglia è quello che presenta il numero
più elevato di interventi congetturali (per alcuni esempi vd. p. 84).
Citroni, p. LVIII; B.L. Ullman, A list of classical manuscripts (in an eight century codex)
perhaps from Corbie, «Scriptorium» 8, 1954, p. 27; B. Bischoff, Hadoard und die
Klassikerhandschriften aus Corbie, in Mittelalterliche Studien. Ausgewählte Aufsätze zur
Schriftkunde und Literaturgeschichte, I, Stuttgart 1966, pp. 55-63.
errore analogo riguarda il Voss. Lat. Q 89 (C), per il quale vd. p. 86 n. 135.
131
Nonché nei testimoni discendenti dal Florilegium Gallicum (per i quali vd. p. 95 n. 151)
e nelle prime edizioni a stampa (per le quali vd. p. 93 sg.).
132
Il fatto che il passo trasposto comprenda 304 righe veniva valutato da Lindsay 1903
Addendum, come una prova che l’archetipo della terza famiglia avesse 19 righe a pagina
(e non 20).
84 Alessandro Fusi
4, 5 cur absim quaeret breviter tu multa fatere] cur absim quae breviter quaeret tu
multa fatere EA cur absim breviter quaeret tu multa fatere XV; 4, 7 quando venit dicet
tu respondeto poeta] quando veniae dicit tu responde poetae EA quando si veniet
dicit responde poeta X et quando veniet dicens responde poetae V; 4, 8 citharoedus]
citharoedis EAV citharoedus X; 12, 2 here] heres EAV here X; 13, 1 dum non vis
pisces dum non vis carpere pullos] dum non vis pisces leporem dum non vis carpere
mullos EA dum non vis pisces leporem dum carpere non vis mullos V dum pisces
leporem dum non vis carpere mullos X; 14, 1 esuritor Tuccius] esurit orto cocius EA
esurit orco cocius V esuritor tuccius X; 24, 8 colla premitque manu] manu premitque
colla E¹A¹ colla manuque premit V colla premitque manu X; 32, 2 non vetula es] non
tula es EA²V non vetula es X; 38, 12 pallet] pallet et EA pallet XV; 42, 3 simpliciter]
simplici uter EA¹ simpliciter XV; 44, 10 stanti] tanti EA tantae V stanti X; 46, 5
umbone repellet] umbo repellet EA¹ quos umbo repellet V umbone repellet X; 48, 2
pauperis Olus habet] paupe tu solus habet EA pauper tu solus habet V pauperis olus
habet X; 50, 5 perlegitur dum] perge tordum EAV porrigitur dum X; 50, 6 tertius]
testius EA tertius XV; 52, 3 potes] potest EA potes XV; 53, 3 natibusque] natibus EAV
natibusque X; 58, 13 pavones] paones EA pavones XV; 58, 23 festos lucet ad lares]
festo lucet ad lare EAV festos lucet ad lares X; 61, 2 si nil Cinna petis] si nihil cinna
petis E¹A¹ si nil cinna petis E²A²XV; 68, 7 sed aperte] per te EAX per te nunc V; 75,
6 sollicitata Venus] sollicita venus EA sollicitata venus XV; 77, 4 tibi Phasis] tiphasis
EAV tibi phasis X; 82, 5 iacet] iacetque EAX iacet V; 83, 2 potui brevius] potuit ore tuis
EAX potuere tuis V¹; 88, 1 diversa sed] diversi sed EAX diversa sed X.
133
Manca in questi esempi il testo di V, la cui conoscenza da parte di Lindsay è insufficiente
e per lo più derivata da Malein 1900: vd. Lindsay, [p. XIV].
Introduzione 85
1, 1 id est] id est EA est XV; 1, 6 liber] liber EA libor XV; 2, 4 cordylas] cordylas (-di-)
EA cordydas (-di-) XV; 14, 4 a ponte] a ponte EA ad ponte X ad pontem V; 20, 2
tradit] tradit EA tradidit XV; 20, 9 tinctos Attico] tinctos attico EA tinctos ant(h)ioco
XV; 22, 1 trecenties] trecenties EA trecentias XV; 36 tit. ad fabianum sterilem amicum
EA ad fabinianum sterilem amicum XV; 38, 2 speras] speras EA superas XV; 40 tit.
de phiola EA ad phiola XV; 41, 2 quas] quas EA quis XV; 46, 4 lecticam] lecticam
EA lectica XV; 58, 7 testa] testa EA testas X²V (testes X¹); 63, 5 Nili] nili EA lini XV;
82, 19 lambentis] lambentes EA labentes XV; 82, 20 partitur] partitur EA parcitur V
pascitur X; 91, 2 cum grege] cum grege EA congrege XV; 93, 4 cum geras] cum geras
EA congeras XV; 99, 4 iugulare] iugulare EA vigilare XV.
32, 4 nondum erit illa canis, nondum erit illa lapis] erit (alt.) A erat EXV; 47, 12 faba]
faba A fabo EXV; 58, 11 prurit] prurit A purit EX furit V; 75, 3 bulbique] bulbique
A bullique EXV.
I 66, 7 pater chartae] pater chartae A partae EXV; 66, 8 inhorruit] inhorruit A
horruit EXV.
134
Anche l’ipotesi di contaminazione, prospettata con cautela da Citroni, p. LXII sg. (vd.
anche Canobbio 2002, p. 67), si fonda, per il momento, su un numero troppo limitato di
86 Alessandro Fusi
4, 7 quando venit dicet tu respondeto poeta] et quando veniet dicens responde poetae
VB quando veniae dicit tu responde poetae EA si quando veniet dicit responde poeta
casi. Sembrano però deporre a sfavore della contaminazione i numerosi casi in cui EA
trascrivono un testo privo di senso o ametrico (vd. gli esempi citati a p. 84).
135
Il codice è indicato come Voss. F 89 nell’edizione di Lindsay e nelle successive. L’errore
ricorre ancora, nonostante la precisazione di Citroni, p. LVII n. 46, in SB e in alcuni commenti
(Kay; Leary1; Grewing; Schöffel; Damschen-Heil).
136
Per quanto riguarda VB gli esempi sono tratti da Malein 1900, p. 45, da cui, come detto,
sembra dipendere sostanzialmente la conoscenza di V da parte di Lindsay.
137
Alle medesime conclusioni conduce la collazione del primo libro di Citroni (p. LXIV).
Introduzione 87
X; 6, 1 numeratur] narratur VB numeratur EAX; 11, 3 pro Laide Thaida dixi] pro
thaide thaida dixit VB pro laide thaida dixit EAX; 13, 1 dum non vis carpere pullos]
dum carpere non vis mullos VB dum non vis carpere mullos EAX; 23, 1 omnia cum
retro pueris obsonia tradas] omnia cum pueris tu retro obsonia tractes V²B omnia
cum pueris retro obsonia tractas EAX; 32, 2 et vetulam sed tu mortua non vetula es]
et vetulam non tu mortua non tula es VB et vetulam sed tu mortua non tula es EA²
et vetulam sed tu mortua non vetula es X; 34 tit. de mechanico VB (ad 35 pertinens)
ad chionen EX ad chionem A; 38, 14 si bonus es casu] si casu bonus es VB si bonus
casu E¹A si bonus et casu E² si bonus es casu X; 41, 3 esse tibi magnus Telesine videris
amicus] esse tibi lete si magnus vivis amicus VB esse tibi laete si magnus viveris amicus
EX esse tibi laeti magnus viveris amicus A¹; 46, 5 umbone] quos umbo VB umbo EA¹
tuus umbo A² umbone X; 58, 11 prurit] furit VB purit EX prurit A; 68, 7 sed aperte]
per te nunc VB per te EAX; 83, 2 potui brevius] potuere tuis V¹B potuit ore tuis EAX;
94, 1 coctum leporem] leporem coctum VB coctum leporem EAX; 96, 3 prendero
Gargili] praetendere garrili V¹B¹ praetendero garrili B²V² prendere gargili EAX.
14, 1 esuritor Tuccius] esurit ortococius EAG¹ esurit orco cocius V esuritor tuccius X;
17, 1 diu mensis scribilita secundis] dimensis scribit ita secundus AG dimensis scripsit
ita secundus E dimensis scribit ita secundis XV; 20, 15 Titine] petine AVG¹ pertine E
petitne X; 24, 8 colla premitque manu] colla manuque premit A²VG manu premitque
colla EA¹ colla premitque manu X; 27, 3 vitium est] fuit dum AG¹ fuit dum est EXV;
27, 4 et mihi cor non est et tibi Galle pudor] et mihi cor non est tibi galle pudor E¹A¹G
et mihi cor non est nec tibi galle pudor A²V et mihi cor non est et tibi galle pudor
E²X; 35, 2 pisces aspicis] respicis aspicis EAG v.l. respices aspicis XV; 41, 3 esse tibi
magnus, Telesine, videris amicus] esse tibi thelesi magnus viveris amicus A²G¹ esse tibi
laete si magnus viveris amicus EX esse tibi laete si magnus vivis amicus V; 42, 3 pateat]
puteat A¹G¹ pateat EA²XVG²; 46, 5 umbone] tuus umbo A²G umbo EA¹ umbone X
138
Schneidewin1, p. LXXIV definisce C «antesignanus librorum recentiorum».
88 Alessandro Fusi
quos umbo V; 46, 6 ingenuumque latus] ingeniumque latos AG¹ ingenuumque latus
XV ingenuumque latos E; 47, 15 immo rus] immoros A inmoros G¹ immo rus EXV;
58, 7 multa fragrat testa] multos f. testa AG multas f. testa E multas f. testas X²V; 58,
15 Numidicaeque] numicideque AG¹ numidicaeque EXV; 58, 47 furem] euremque
AG eurem EXV; 58, 50 pullos] pullus AG pullos EXV; 63, 11 amet] amat AG¹ amet
EXV; 68, 7 schemate] semate AG¹ scemate EXV; 72 tit. ad saufelam AG ad saufeiam
EXV; 91, 5 steriles] sceriles EA²G² steriles XV; 93, 7 corcodilus] cocodrillus AG
corcodrillus E crocodrillus X crocodillus V; 93, 20 si Sattiae] si satire AG¹ si saciare
E si satiare XV.
2, 4 cordylas] cordidas XVC cordylas EA; 13, 1 dum non vis pisces dum non vis
carpere pullos] dum pisces leporem dum non vis carpere mullos XC dum non vis
pisces leporem dum non vis carpere mullos EA dum non vis pisces leporem dum
carpere non vis mullos V; 20, 5 improbi iocos] improbi licos XC improbi locos EA
improbi iocos V; 22, 1 Apici bis] apicibos X apici cibos C apici bis EA apicius V; 38,
10 sunt ibi] sunt tibi XC sunt ibi EAV; 44 tit. ad ligorinam poetam XC ad ligorinum
poetam EV ad ligurinum poetam A; 44, 3 Ligurine solitudo] solitudo ligurgine XC
ligurgine solitudo EA¹ ligurine solitudo A²V; 44, 4 quid sit scire cupis] quod si scire
cupis XC quod scire cupis EAV; 47, 11 Gallici canis dente] gallicanis dentibus XC
gallici canis dente V gallici canis dentes EA; 50, 5 perlegitur dum] porrigitur dum XC
perge tordum EAV; 50, 7 librum] broma XC bruma EAV; 58, 7 multa fragrat testa]
multas flagrat testas X²VC multas flagrat testes X¹ multas fraglat testa E multos fraglat
testa A; 58, 21 agnus] annus X annis C agnus EA anus V; 63, 5 Nili] lini XVC nili EA;
64, 2 gaudiumque crudele] gaudiumque crudelem AXC gaudiumque crudele EV; 70,
1 Scaevine] schevine XC scevine EAV; 76, 4 Hecaben] hecuben XC hecaben EAV;
85, 2 parte] parce XC parte EAV; 93, 4 cum geras] congeras XV aggeras C cum geras
EA; 93, 18 nupturire] numtuire XV num tu ire C nuptuire EA.
139
Secondo l’elenco fornito da Reeve 1983, p. 242 n. 26 il quadro della tradizione medievale
di Marziale, fatta eccezione per i numerosi florilegi (per i quali vd. p. 95 sg.), è completato
dai seguenti codici, non utilizzati in questa edizione: Ambros. H 39 sup., saec. XII, usato da
Citroni (Y: vd. p. LXIV); Aberdeen 152 (saec. XII-XIII); Ivrea 37 (saec. XI, contiene soltanto
XIII 1-110); vd. anche B. Munk Olsen, L’étude des auteurs classiques latins aux XIe et XIIe
Introduzione 89
La tradizione umanistica
siècles, II, Catalogue des manuscrits classiques latins copiés du IXe au XIIe siècle. Livius-
Vitruvius. Florilèges-Essais de plume, Paris 1985, pp. 93-104.
140
Si tratta di oltre 110 manoscritti, di cui una ventina datati: vd. F.-R. Hausmann,
Datierte Quattrocento-Handschriften lateinischer Dichter (Tibull, Catull, Properz, Ovid-
Epistula Sapphus ad Phaonem, Martial, ‘Carmina Priapea’) und ihre Bedeutung für die
Erforschung des Italienischen Humanismus, in U.J. Stache-W. Maaz-F. Wagner (Hrsgg.),
Kontinuität und Wandel. Lateinische Poesie von Naevius bis Baudelaire. Franco Munari
zu 65. Geburtstag, Hildesheim 1986, p. 624.
141
Alcune delle congetture attestate in questi manoscritti sono ormai stabilmente recepite
nelle edizioni: in questo libro cfr. 10, 4 essent; 74, 1 levas.
90 Alessandro Fusi
142
L’edizione romana è generalmente accreditata come princeps, anche se l’assenza di una
datazione lascia qualche margine di incertezza. Sulla questione vd. Carratello 1973.
143
Merula curò successivamente altre due edizioni di Marziale: Venezia, Giovanni da Colo-
nia e Johann Manthen, 1475 (Hain 10812; IGI 6219; Flodr, s.v. Martialis, nr. 5) e Milano,
Filippo da Lavagna, 1478 (Hain 10813; IGI 6221; Flodr, s.v. Martialis, nr. 7). Sulla filologia
di Merula vd. V. Fera, Tra Poliziano e Beroaldo: l’ultimo scritto filologico di Giorgio
Merula, «Studi Umanistici» 2, 1991, pp. 7-41; M. Campanelli, Manoscritti antichi, testi
a stampa e principi di metodo: spigolando negli scritti filologici di Giorgio Merula, «La
parola del testo» 2, 1998, pp. 253-292.
92 Alessandro Fusi
144
Sul Cornu copiae e sul metodo di Perotti si veda M. Furno, Le Cornu Copiae de Niccolò
Perotti. Culture et méthode d’un humaniste qui aimait le mots, Genève 1995; S. Prete,
L’edizione critica del Cornu Copiae di Niccolò Perotti, in Nicolai Perotti Cornu Copiae,
I, pp. I-X; bibliografia aggiornata in Nicolai Perotti Cornu Copiae, VIII, pp. 15-20.
145
Su Calderini vd. J. Dunston, Studies in Domizio Calderini, «IMU» 11, 1968, pp. 71-150;
C. Dionisotti, Calderini, Poliziano e altri, «IMU» 11, 1968, pp. 151-185; Campanelli 2002,
spec. p. 13 sgg. sulla sua polemica con Perotti.
146
Vd. Campanelli 2002, p. 38 sgg.
147
Sul complesso rapporto tra Poliziano e Calderini vd. L. Cesarini Martinelli, In margine
al commento di Angelo Poliziano alle Selve di Stazio, «Interpres» 1, 1978, pp. 103-124
(rist. con alcune varianti e aggiornamenti bibliografici con il titolo Poliziano e Stazio: un
commento umanistico, in Il Poliziano latino. Atti del Seminario di Lecce-28 aprile 1994,
a c. di P. Viti, Galatina 1996, pp. 67-85). Un importante capitolo sulla filologia marzialiana
del Quattrocento, dedicato alle interpretazioni di Calderini, Merula e Poliziano dell’oscuro
distico di VI 77, 7 sg., ha scritto S. Timpanaro, Atlas cum compare gibbo, «Rinascimento»
2, 1951, pp. 311-318 (rist. con brevi aggiunte in Id., Contributi di filologia e di storia della
lingua latina, Roma 1978, pp. 333-343); su Poliziano e il testo di Marziale vd. anche P.
Saggese, Poliziano, Domizio Calderini e la tradizione del testo di Marziale, «Maia» 45,
1993, pp. 185-195; Campanelli 1998, pp. 169-180.
Introduzione 93
luogo e data, stampata con i tipi del Silio Italico (Roma 1471). Presenta,
come quasi tutte le prime edizioni a stampa, la trasposizione di III 22-63
dopo V 67, affine a quella attestata in A e in alcuni recenziori della terza
famiglia (vd. p. 82 sg.).
Hain 10805; IGI 6215; Flodr, s.v. Martialis, nr. 3; Hausmann 1980, p. 253.
ed. Ven. = Editio Veneta, Wendelin von Speyer, Venetiis 1472 c. Curata
da Giorgio Merula. Per la trasposizione di III 22-63 dopo V 67 vd. ed.
Rom. 1.
Hain *10809; IGI 6217; Flodr, s.v. Martialis, nr. 1; Hausmann 1980, p. 265 sg.
ed. Ald. = Editio Aldina, Venetiis 1501. L’edizione per i prestigiosi tipi di
Aldo Manuzio fu modello per successive stampe, specialmente in Francia
(ad es. quelle di Sebastian Gryphius ed eredi a Lione). Per la trasposizione
di III 22-63 dopo V 67 vd. ed. Rom. 1. Una seconda Aldina, probabilmente
migliore della prima148, fu stampata nel 1517.
Hausmann 1980, p. 255.
148
Vd. Schneidewin1, p. XXXVII; Saggese 1995, p. 55 sg. n. 48.
149
Sulla ricezione di Marziale nella Francia dei secoli XVI-XVII vd. K.H. Mehnert,
Sal Romanus und Esprit Français. Studien zur Martialrezeption im Frankreich des
sechzehnten und siebenzehnten Jahrhunderts, Bonn 1970.
Introduzione 95
150
Conservati in un esemplare dell’edizione di S. Gryphius (Lugduni 1553), che si trova a
Leida.
151
Si tratta di: (Nostradamensis) Parisinus Lat. 17903, sec. XIII (n); Parisinus Lat. 7647, sec.
XII-XIII (p); Escorialensis Q I 14, sec. XIII-XIV (e); (Diezianus) Berolinensis, Deutsche
Staatsbibliothek, Diez. B. Sant. 60, sec. XIV (d).
152
Sul Florilegium Gallicum vd. B.L. Ullman, «CPh» 23, 1928, pp. 128-174; 24, 1929,
pp. 109-132; 25, 1930, pp. 11-21; 26, 1931, pp. 21-30; 27, 1932, pp. 1-42; A. Gagnér,
Florilegium Gallicum. Untersuchungen und Texte zur Geschichte der mittelalterlichen
Florilegienliteratur, Lund 1936; R.H. Rouse, The A text of Seneca’s tragedies in the
thirteenth century, «RHT» 1, 1971, pp. 103-121; Id., Florilegia, Orléans and Latin Classical
Authors in the Twelfth and Thirteenth Centuries, «Viator» 10, 1979, pp. 131-160; B. Munk
Olsen, Les classiques latins dans les florilèges médiévaux antérieurs au XIIIe siècle, «RHT»
9, 1979, pp. 75-83 = La réception de la littérature classique au Moyen Age (IXe-XIIe siècle,
Copenhagen 1995, pp. 174-183; per quanto riguarda il testo di Marziale vd. B.L. Ullman,
«CPh» 27, 1932, pp. 22-24; Carratello 1974, pp. 142-158; Reeve 1980, p. 199 sg.
96 Alessandro Fusi
153
Citroni, p. LXVIII. Il testo è per lo più quello della terza famiglia, con notevoli affinità con
quello della prima, probabilmente dovute a contaminazione.
154
Un elenco si può trovare in Friedlaender I, p. 67 sg. n. 1. Quelli utilizzati da Citroni, per lo
più sulla base di collazioni pubblicate (vd. Citroni, p. LXX), sono: (Frisingensis) Monacensis,
Bayerische Staatsbibliothek ms. 6292 sec. XI (Fris.); Parisinus Lat. 10318 (Salmasianus),
sec. VII (Salmas.); Parisinus Lat. 8069 sec. XI (Paris.); Londiniensis, British Museum,
Royal 15. B. XIX, sec. IX (Brit.); Lipsiensis, Rep. 1, 74, sec. X (Lips.).
155
Essi risalgono alla tarda antichità, come ampiamente mostrato dalle indagini di Landgraf
1902 (sui tituli della seconda famiglia) e di Lindsay 1903, p. 34 sgg.
156
Si veda, ad es., la n. a 32, 1.
Introduzione 97
32, 1 quaeris (P) vel quereris (Qf, -re L) BA. In realtà: quereris PQf, quaerere L.
32, 3 matria BA : matrinia CA. In realtà: matrinia AX matria EV.
47, 12 victati (victicti) CA. In realtà: victati XV victicti EA. L’accordo di questi due
codici fornisce con ogni probabilità il testo dell’archetipo (vd. pp. 84; 86).
93, 19 visumque BA. In realtà: visumque PQ virumque Lf. Qui con ogni probabilità
l’accordo di L con f riconduce all’archetipo, mentre visumque sarà corruttela presente
nel progenitore comune di PQ (vd. p. 81).
157
L’innovazione, generalmente attribuita a Heraeus, risale all’edizione di Duff, che l’aveva
già suggerita nella recensione a Lindsay («CR» 17, 1903, p. 220). È però il prestigio della
teubneriana di Heraeus ad aver giocato il ruolo maggiore nella definitiva affermazione di
nelle successive edizioni.
158
Ital. per Lindsay; It. per Heraeus; Itali per Citroni (che si serve anche della sigla dett.);
per Duff e SB. La tradizione umanistica è invece riesaminata da Canobbio 2002, che
registra in apparato le lezioni dei singoli codici ed edizioni.
159
Come sottolineato da Citroni, di cui vd. anche gli esempi tratti dal libro I (p. LXXIV sg.).
160
TR per la prima famiglia; LPQf per la seconda; EAXV per la terza. Per quanto riguarda
la prima famiglia allo stesso criterio si attiene, tacitamente, SB. Citroni (p. LXXV) evita invece
del tutto la sigla , registrando sistematicamente le varianti di HTR.
98 Alessandro Fusi
Nel caso della I famiglia, per lo più rappresentata dal solo T (più
raramente dal solo R; in pochissimi casi da entrambi) Lindsay attribuisce
alcune varianti allo scriba di T (o di R), altre al capostipite della famiglia
(AA). L’intento è, come detto, quello di offrire al lettore la ricostruzione
dell’archetipo; tuttavia, trattandosi spesso di un solo testimone, che peraltro
mostra chiari segni di trascuratezza161, la scelta appare talora arbitraria162.
Qualche esempio:
4, 1 requiret] Lindsay (seguito da Heraeus) scrive: requirit AA (pro –ret); SB, più
opportunamente: requirit T
11, 2 cur in te factum distichon esse putas] Lindsay (seguito da Izaac) scrive: ecce AA:
esse BACA. Anche in questo caso l’ipotesi di errore singolare di R appare più probabile
(SB scrive: esse ecce R).
65, 2 quod de Corycio quae venit aura croco] Lindsay scrive: pervenit AA. Qui si
tratterà presumibilmente di un errore di T causato dall’abbreviazione del pronome
(Heraeus e SB infatti non riportano la variante di T).
4, 5 quaeret breviter] Lindsay scrive: quae breviter quaeret ut vid. CA (sic E; quae br.
A; br. quaeret XBFG). In realtà: quae breviter quaeret EA breviter quaeret XV. La
lezione dell’archetipo, come correttamente ipotizzato da Lindsay, è quella, ametrica,
di EA, mentre quella di XV è un tentativo di rabberciamento, presente, con ogni
probabilità nel comune capostipite dei due codici (di V Lindsay non mostra una
conoscenza soddisfacente).
13, 1 dum non vis pisces, dum non vis carpere pullos] Lindsay scrive: pisces AA :
piscem BA : pisces cum v. l. leporem CA (unde dum non vis pisces leporem EA, dum
non vis pisces BG, dum pisces leporem XC). Qui è probabile che nell’archetipo della
terza famiglia la varia lectio leporem fosse già penetrata nel testo a fianco di pisces:
161
Come rilevato dallo stesso Lindsay, [p. V]: «Quam neglegenter codex descriptus sit, ex iis
locis apparet ubi parentis (H) testimonium restat».
162
La medesima opinione è espressa da Citroni, p. LXXV; Reeve 1980, p. 199.
163
Una lista con la retrodatazione di alcune congetture attribuite a filologi del Cinquecento
e del Seicento si trova in appendice a Saggese 1995, pp. 54-56: si tratta di sedere (V 14, 11:
vd. anche Canobbio 2002, pp. 97; 102); si draucus (IX 27, 10); darent (XI 3, 10); buccis
placentae (VII 20, 8); poeta non vult (XI 24, 15).
Introduzione 99
così si spiega il verso tràdito in forma ametrica da EA, i testimoni più scrupolosi
nel riprodurre l’archetipo (e da V, non citato da Lindsay), mentre X ha tentato un
rabberciamento congetturale eliminando l’anafora di non vis.
19, 2 Lindsay: fictae AACA: pictae BA (così Heraeus, Izaac e SB); in realtà: fictae
EAXV¹: pictae T V². La lezione corretta è qui attestata soltanto dalla terza famiglia.
20, 5 Lindsay, seguito da Heraeus, Izaac e SB, attribuisce ai testimoni umanistici la
variante iocos. Essa però si trova già in VBh²; si tratterà dunque di congettura (locos
EA licos X), ma di IX secolo.
25, 4 Lindsay: is BA ut vid. (is Lf: si P: om. Q). In realtà: is LPf: om. Q. Questa è perciò
con certezza la lezione dell’archetipo della famiglia.
26, 5 nec me puta velle negare, attribuita dagli editori a Madvig e accolta da Friedlaender
e Izaac, è già nelle Animadversiones di Scriverius (1618).
32, 1 Lindsay: num possum ed. a. 1473; Heraeus: num possum O; SB: num possum
ed. Rom. Tutti e tre gli editori fanno riferimento all’edizione di Niccolò Perotti del
1473 (ed. Rom. 2). Questa però ha, come v2, l’autografo di Perotti, non possum.
32, 1 Lindsay: quaeris AA: quaeris (P) vel quereris (Qf; -re L) BA: quereris CA. Heraeus
e SB: quereris : quaeris P. In realtà quereris PQf quaerere L quereis Q. La
lezione dell’archetipo della seconda famiglia è senz’altro quereris. L’interpunzione
(non possum vetulam. quereris, M.?), accolta da Heraeus e SB e attribuita a Friedrich,
è largamente diffusa nella tradizione umanistica (v2 ed. Rom. 1 ed. Ven. ed. Rom. 2
Ramirez de Prado).
39, 2 Lindsay: lusta CA ut vid. In realtà: iusta EAXV.
44, 14 Lindsay: sonas ad aurem CA. In realtà: sonas in aurem EAXV.
44, 15 Heraeus e SB attribuiscono fugas edentem a Ramirez de Prado. In realtà fugas
edentem è già in f²XC²Fh e nell’ed. Ferr.
47, 11 Lindsay: Gallici canis dente Ital. In realtà: VBGh²
50, 7 librum] Lindsay scrive: librum BA : bruma (EAGB²) vel broma (XC) (i.e.
?) CA; SB, semplificando: librum : bruma vel broma . In realtà: bruma
EAVGB² broma XC. Considerando che C è quasi certamente apografo di X (vd. pp.
86; 88), la lezione dell’archetipo della famiglia era senz’altro bruma, mentre broma è
congettura (peraltro non banale) di X, che tra i quattro manoscritti è quello che più
interviene sul testo dell’archetipo, non di rado in modo corretto.
58, 29 Lindsay: urbanus CA ut vid. (sed –nos X). In realtà: urbanus EAXV (l’errore è
segnalato da Lindsay nei Corrigenda et Addenda).
65, 8 Lindsay (seguito da SB): nardos parta CA ut vid. (sed nardo parta XBC). In realtà:
nardos parta EAXVBC.
66, 1 Lindsay: Phariis Ital. In realtà: CG²h. Lindsay: fartis (-tus) BA (SB: fartis vel –tus
). In realtà: fartus L fartis Qf fractis P. Le lezioni di PQf inducono a considerare
fartis come probabile lezione dell’archetipo e fartus aberrazione singolare di L.
68, 12 Lindsay: legis AABA : leges CA. In realtà: leges T legis (l’errore è segnalato da
Lindsay nei Corrigenda et Addenda).
87, 1 Lindsay: salitam AA (sol- T). In realtà: salitam T.
93, 20 Lindsay: si satiae BA (sisatirae P, si sactie f): sisatiae ut vid. CA (-tire AG¹, -tiare,
-ciare EVXBCG²). Heraeus, semplificando, scrive: satiae ut vid. Ma P ha si satciae,
100 Alessandro Fusi
probabile corruttela di sactiae. Per quanto si può ricavare dalle lezioni della terza
famiglia (si saciare E, si satiare XV, si satire A), l’archetipo doveva avere si saciare (o
–tiare).
164
Sia sufficiente rimandare agli studi esistenti, dove è possibile reperire ulteriore bibliogra-
fia: W. Maaz, Lateinische Epigrammatik im hohen Mittelalter. Literarhistorische Unter-
suchungen zur Martial-Rezeption, Hildesheim 1992; F.-R. Hausmann, Martial in Italien,
«StudMed» 17, 1976, pp. 178-218; Hausmann 1980; G. Billanovich, ‘Veterum vestigia
vatum’ nei carmi dei preumanisti padovani, «IMU» 1, 1958, pp. 155-243; Sullivan 1991,
pp. 253-312; J.P. Sullivan (ed.), The classical heritage, New York-London 1993.
101 Sigla
M. Valerii Martialis
Epigrammaton
liber tertius
SIGLA
Prima familia
Secunda familia
Tertia familia
Recentiores
Editiones antiquissimae
hab. T tit. ad lectorem Tf : om. LPQ 1 id est EA: idem T est XV longinquis
T AXV: loginquis E 2 nomine TPQf : nomini L 4 putas. edd.: putas? Dousa (sed iam
v1) 5 sane TLPf : plane Q placeat T² : placeas T¹ 6 vincere TLPf : vivere Q liber
T EA: libor XV
non potrà competere con quello composto nella domina urbs (vd. Parroni
1984, p. 127 sgg.). All’affettazione di modestia, topica nelle presentazioni
di opere letterarie, si sovrappone probabilmente in questo caso un’effettiva
apprensione per il fatto che il libro scritto lontano da Roma, fonte unica di
ispirazione per la sua poesia, e non sostenuto dalla presenza del suo autore
nell’Urbe, riceva un’accoglienza più fredda da parte del pubblico rispetto
alla raccolta che lo ha preceduto. In modo analogo, nella prefazione al
dodicesimo e ultimo libro, scritto dopo il definitivo ritorno in Spagna, il
poeta si mostra preoccupato di inviare a Roma un prodotto non all’altezza
della capitale e domanda all’amico Prisco, dedicatario del libro, di giudicare
l’opera con sincerità per evitargli figuracce (XII epist. 22 sgg. cit. nella n.
al v. 6).
Non appare motivata la proposta di invertire l’ordine dei vv. 4 e 6 avanzata
da Hartman 1897, p. 336, che spiega: «priorem librum … huic praestare
dices; nimirum hic in provincia est scriptus, ille in urbe. Neque ego obsto
quominus ita censeas, dummodo mihi hac condicione uti liceat ut quae tibi
meliora visa fuerint tamquam mea agnoscam, quae peiora respuam».
libri non proprio cittadini a tutti gli effetti, bensì schiavetti. Ben diversa
consapevolezza mostrerà Marziale in XII 2 (3), 5 sg. cit. nella n. al v. 5,
ormai sicuro della fama acquisita. Verna come attributo del libro, anche
se al diminutivo, ricorre nuovamente in V 18, 4 praeter libellos vernulas
nihil misi; cfr. anche I 49, 24 vernas apros (cinghiali ‘nativi del luogo’); 84,
4 equitibus vernis (sono i figli generati da Quirinale con le sue serve; vd.
Citroni, ad loc.); X 30, 21 lupos vernas; XIII 43, 2 vernae tubures.
Epigramma 2 113
al proprio libro: esso avrà bisogno di un protettore se non vuole fare una
fine prematura in una fumosa cucina come carta per avvolgere il pesce nel
cucinarlo o come cartoccio per l’incenso o il pepe. Dopo essersi assicurato la
protezione dell’influente patrono Faustino potrà andare in giro con lussuose
vesti, senza preoccuparsi dei critici più agguerriti, poiché sarà egli stesso, con
la sua autorità, a difenderlo da eventuali attacchi.
Il modulo dell’apostrofe al libro, ampiamente diffuso nella letteratura
europea, ha origine con Orazio (epist. I 20); riceve quindi un ampio e
originale sviluppo nelle elegie ovidiane dell’esilio. Ma è Marziale a rendere
l’allocuzione al proprio libro un modulo costante e a sviluppare i tratti di
personificazione dei suoi libelli (cfr., ad es., II 1; III 4; 5; IV 89; VII 97;
VIII 1; X 104; XI 1; XII 2). L’apostrofe al libro diviene nella sua poesia la
maniera elegante attraverso la quale il poeta cerca di stabilire contatti con i
suoi patroni e con i lettori in generale, nel tentativo di assicurare il sostegno
più ampio possibile alle sue opere (vd. Citroni 1986, pp. 111-146; per
Marziale p. 136 sgg.). In questo epigramma la personificazione è arricchita
dalla minuziosa descrizione (vv. 7-11) della lussuosa ‘veste’ editoriale di cui
il libellus potrà fare sfoggio.
Faustino è il dedicatario primo del libro (sulla compresenza di più dedica-
tari nello stesso libro vd. l’Introduzione, § 6) e, probabilmente, l’ospite di
Marziale durante il suo soggiorno in Cispadana (vd. l’Introduzione, § 3).
Era un ricco ed influente patrono, certamente fra coloro che assicurarono il
maggiore sostegno al poeta durante la sua lunga permanenza a Roma. È tra
i personaggi più di frequente nominati nell’opera di Marziale (19 volte) e in
maniera costante nell’arco di quasi tutta la sua produzione epigrammatica:
presentato come competente di letteratura (cfr. VI 61 [60]) e come poeta
(cfr. I 25), possedeva numerose ville (cfr. III 58; IV 57; V 71; VII 80; X 51).
Oltre a questo libro Marziale gli dedica anche il quarto (cfr. IV 10); in VII
80 dedica il libro, tramite Faustino, a Marcellino (con buona probabilità suo
figlio: vedi l’Introduzione, p. 58 e la n. intr. all’epigr. 6); in VII 12 si difende
da coloro che scrivono carmi velenosi e li diffondono sotto il suo nome
invocando Faustino come testimone della propria innocenza (9 ludimus
innocui: scis hoc bene). È ricordato anche in I 114; III 25; 39; 47; V 32; VI
7; 53; VIII 41. Solo nel libro terzo Marziale lo nomina 5 volte (negli altri
libri 3 volte al massimo) e il dato sembra confermare l’ipotesi che egli abbia
ospitato Marziale in questo periodo. Il contatto di Faustino con la corte
imperiale è forse ipotizzabile sulla base di VII 12, in cui Marziale si rivolge a
Epigramma 2 115
parvo (sc. bibliotheca Iuli Martialis); 80, 5 sg. sed si parva tui munuscula
quaeris amici / commendare, ferat carmina nostra puer; 84, 5 parva
dabis caro sed dulcia dona sodali; IX 99, 8 grande tui pretium muneris
auctor erit.
2. festina: esprime la preoccupazione che il libro faccia la fine descritta
nei vv. 3-5. – vindice: il termine appartiene al lessico giuridico. Il vindex
era una figura di garante che si opponeva alla procedura di manus iniectio
su uno schiavo manumissus, affermandone la libertà e impedendo così che
il suo assistito diventasse indebitamente proprietà altrui (vd. al riguardo
G. Wesener, s.v. vindex, RE suppl. XIV; Volterra 1967, p. 205): cfr. Fest.
p. 516 L. vindex ab eo quod vindicat, quo minus is, qui prensus est ab
aliquo teneatur. Il termine si trova già nelle Leges XII Tabularum I 4
adsiduo vindex adsiduus esto; proletario iam civi quis volet vindex esto
(Gell. XVI 10, 5); ricorre anche in Gaio, inst. IV 21; 25; 46. Viene poi
eliminato dai Digesta da Triboniano, quaestor sacri palatii di Giustiniano,
che presiedette la commissione di giuristi incaricata della redazione del
Digesto. Il vindex era anche detto adsertor libertatis (Don. Ter. Ad. 194
adsertores dicuntur vindices alienae libertatis), definizione che Marziale
utilizza in I 52, in cui invita Quinziano ad intervenire in qualità di adsertor
in difesa dei suoi libelli, che sono stati manumissi da lui e dei quali un altro
poeta tenta illegittimamente di appropriarsi (5 adsertor venias; 7 dicas esse
meos manuque missos). Allo stesso modo in questo epigramma Marziale
rappresenta il suo libro come uno schiavetto (vd. la n. a 1, 6 verna liber)
che deve cercarsi un vindex che lo protegga da appropriazioni indebite
(vv. 3-5). Vindex ricorre ancora in III 91, 10 pluteo vindice, dove non c’è
però allusione all’accezione giuridica. In modo simile Stazio definisce un
suo patrono, Manlio Vopisco, vir eruditissimus et qui praecipue vindicat
a situ litteras iam paene fugientes (silv. I praef. 26 sg.).
3. cito raptus: il nesso cito raptus (o rapta) ricorre spesso in epigrafi
funerarie per morti immature: CLE 489, 4 sed cito rapta silet; 502, 4 fato
cito raptus iniquo; 667, 6 sg. hunc cito sideream raptum omnipotentis
in aulam / et mater blanda et frater sine funere quaerunt; 647, 3 sic tibi
non rapiat mors invida tam cito natos; 751, 1 hic puella iacet pr[imis
cito rap]ta sub annis; 1215, 2 qui cito raptus abit; 1219, 4 sg. heu nimium
cito rapte patri, cito reddite fatis / et matri cito rapte tuae cito redditus
umbris; 1282, 5 proles cito rapta; 1339, 11 cito rapta marito; 1401, 8
aeterno vulnere rapta cito; 1673, 2 fatis cito [raptus; 1847, 1 h]ic cito
118 M. Val. Martialis liber tertius
rapta iacet; 2096, 4 i]am cito raptus abit. In Marziale (sui cui rapporti con
le epigrafi metriche vd. L. Gamberale, Fra epigrafia e letteratura. Note a
Mart. 10.71, «A&R» 38, 1993, pp. 42-54) cfr. I 116, 3 hoc tegitur cito rapta
suis Antulla sepulcro; XI 69, 11 nec queror infernas quamvis cito rapta
sub umbras; IX 29, 2 rapta es ad infernas tam cito Ditis aquas? (ironico);
cfr. anche nessi simili in I 88, 1 raptum crescentibus annis; VI 52, 1 raptus
puerilibus annis; VII 40, 7 festinatis raptum … annis. Marziale dunque
allude mediante il nesso cito raptus alla morte prematura che il suo libro
rischia di subire se non si procurerà un patrono adeguato (per il topos
della fine prematura dei libri cfr. Catull. 95, 7 at Volusi Annales Paduam
morientur ad ipsam). Un’analoga intenzione è forse ravvisabile anche in
X 12, 9 sgg. et venies albis non adgnoscendus amicis / livebitque tuis
pallida turba genis / sed via quem dederit rapiet cito Roma colorem, in
cui Marziale si rivolge all’amico Domizio, che sta per recarsi in Emilia,
dove potrà fruire di bellissime giornate assolate e, tornando, farà invidia ai
pallidi amici della capitale, che però lo priverà presto dell’abbronzatura: la
definizione dei Romani come pallida turba (così gli abitanti degli Inferi in
Tib. I 10, 38 errat ad obscuros pallida turba lacus, nella stessa posizione
metrica) e il nesso rapiet cito dipingono scherzosamente Roma come un
inferno in cui regna il pallore. – nigram … culinam: l’attributo niger si
riferisce spesso in Marziale a ciò che è annerito dal fumo; il nesso ricorre
anche in I 92, 9 pasceris et nigrae solo nidore culinae; X 66, 3 faciem nigra
violare culina; cfr. anche I 26, 8 nigros … cados; II 90, 7 nigros … fumos
(il fumo che annerisce); V 78, 7 nigra … patella; VII 53, 6 nigra lagona;
61, 8 nigra popina. Culina è termine della sfera quotidiana, raro in poesia;
in Marziale ricorre ben 7 volte. In questo caso l’attributo si adatta alla
metafora della morte prematura: infatti niger (e, in generale, gli aggettivi
che indicano oscurità, come ater) è attributo legato al mondo degli inferi
(vd. André 1949, p. 49 sgg.): cfr., ad es., Verg. Aen. VI 134 nigra Tartara;
in Marziale cfr. V 34, 3 parvola ne nigras horrescat Erotion umbras; X 50,
6 occidis et nigros tam cito iungis equos. La cucina dunque rappresenta gli
Inferi, dove il malcapitato libello corre il rischio di finire.
4 sg.: i versi prospettano due diverse pene, cui potrebbe essere sottoposto
il libro (come evidenziato dalla disgiuntiva vel): nel v. 4 Marziale fa riferi-
mento all’utilizzo della papyrus come involucro per i pesci cucinati ‘al car-
toccio’, mentre nel successivo allude all’uso di avvolgere con la carta cibi e
spezie in vendita al mercato.
Epigramma 2 119
facio’; Iuv. 8, 235 ausi quod liceat tunica punire molesta; vd. Friedlaender,
SR II, p. 91), si comprende solo se è al rogo che è destinato il libellus
(l’evidente allusione a Catull. 95, 8 cit. supra fornisce una conferma ulteriore
anche all’esegesi del passo catulliano; recentemente H. Tränkle, Exegetisches
zu Martial, «WS» 109, 1996, p. 133 sgg., ha nuovamente sostenuto, senza
però elementi persuasivi, che in questo epigramma si alluda alla funzione
di incartare il pesce al mercato); VI 61 (60), 7-8 quam multi tineas pascunt
blattasque diserti / et redimunt soli carmina docta coci! (su cui vd. il
commento di Grewing); in XIII 1, 1 sg. ne toga cordylis et paenula desit
olivis / aut inopem metuat sordida blatta famem non è chiaro se Marziale
abbia voluto distinguere le due diverse destinazioni (in cucina e al mercato:
vd. Leary2, ad loc.). Il topos ricorre ancora al principio dello pseudovirgiliano
Liber Pedagogus (AL 675 Riese): carmine si fuerint te iudice digna favore, /
reddetur titulus purpureusque nitor. / si minus, aestivas poteris convolvere
sardas, / aut piper aut calvas hinc operire nuces (richiamato da G. Brugnoli,
Sarde al cartoccio, «InvLuc» 9, 1987, pp. 13-15); la menzione di Sidon. carm.
9, 318 sgg. nos valde sterilis modos Camenae / rarae credimus hos brevique
chartae / quae scombros merito piperque portet, sembra invece ignorare
le due diverse destinazioni, come dimostra l’uso della copulativa -que e del
verbo portare. L’uso di cucinare il pesce al cartoccio è testimoniato da una
ricetta di Apicio per le sarde farcite: Apic. IX 10, 1 sardam farsilem sic
facere oportet: sarda exossatur et teritur puleium, cuminum, piperis grana,
menta, nuces, mel. impletur et consuitur. involvitur in charta et sic supra
vaporem ignis in operculo componitur. conditur ex oleo, caroeno, allece.
L’uso di avvolgere i cibi con la carta prima della cottura è testimoniato anche
per altri cibi (Apic. VIII 6, 11; 7, 1; X 8; 9). Sul genere di condimento che
veniva utilizzato cfr. Apic. IX 10, 5 ius in cordula assa: piper, ligusticum, apii
semen, mentam, rutam, careotam, mel, acetum, vinum et oleum. convenit
et in sarda. – cordylas: gr. . Si tratta dei piccoli tonni:
Plin. nat. IX 47 cordyla appellatur partus, qui fetas (sc. thynnos) redeuntes
in mare autumno comitatur; XXXII 146 cordyla et haec pelamys pusilla;
cum in Pontum a Mareotide exit, hoc nomen habet. In Marziale anche in
XI 52, 7; XIII 1, 1. Per Thompson, Fishes, p. 245 cordyla indicherebbe lo
sgombro (cfr. IV 86, 8; Catull. 95, 8; Pers. 1, 43) piuttosto che il piccolo
tonno.
5: per la pratica di usare il papiro per involgere le spezie in vendita
al mercato cfr. Plin. nat. XIII 76, 4 sgg. nam emporetica (sc. papyrus)
Epigramma 2 121
cantat nostros mea Roma libellos, / meque sinus omnes, me manus omnis
habet; II 6, 7 sg. haec (sc. epigrammata) sunt singula quae sinu ferebas /
per convivia cuncta, per theatra; cfr. anche Gell. IV 18, 9 prolato e sinu
togae libro. È anche possibile interpretare l’espressione fugis in sinum in
senso più lato come ‘fuggi in seno’ (cfr. Cic. resp. 1, 5 in barbariae sinus
confugisse; Catull. 44, 14 in tuum sinum fugi; Plin. paneg. 6, 3 confugit
in sinum tuum concussa res publica), ma la scena descritta perderebbe
certamente di concretezza. – sapisti: il verbo ricorre in un contesto analogo
di apostrofe al libro in Auson. epigr. 34, 1-4 p. 310 P. (praef. 5, 1-4 G.) si
tineas cariemque pati te, charta, necesse est, / incipe versiculis ante perire
meis. / ‘malo, inquis, tineis’, sapis, aerumnose libelle, / perfungi mavis
quod leviore malo. Il perfetto sapii, forma sincopata di sapivi (per cui
cfr. Char. 320, 16 B. sapio sapis sapivi et sapui; Non. 817, 16 L. sapivi
pro sapui), è testimoniato da Prisciano (GLK II 499, 17 sgg.): ‘sapio’ tam
‘sapui’ vel ‘sapii’ quam ‘sapivi’ protulisse auctores inveniuntur; Probo
tamen ‘sapui’ placet dici, Charisio ‘sapui’ vel ‘sapivi’, Aspro ‘sapivi’ et
‘sapii’ secundum Varronem, quod Diomedes etiam approbat. Nonius
tamen Marcellus de mutatis coniugationibus sic ponit: ‘sapivi’ pro ‘sapui’.
Novius virgine praegnante (fr. 1, p. 327 R.): quando ego / plus sapivi,
qui fullonem conpressi quinquatribus. Terentius similiter (heaut. 843 sg.):
cum intellego / resipisse, pro ‘resipivisse’. Caper utrumque in usu esse
contendit … Plautus in rudente (899): pol magis sapisset, si dormivisset
domi. La forma è attestata soltanto in Plaut. Rud. 899 cit. supra e in
Marziale (3 occorrenze, sempre nella II persona sing.); cfr. anche Ter.
heaut. 844 cit. supra. In Marziale l’uso del perfetto sapisti sembra dettato
unicamente dalla possibilità di collocarlo in fine di verso, sia negli esametri
che nei faleci: cfr. IX 10, 1 nubere vis Prisco: non miror, Paula: sapisti; XI
106, 4 transis hos quoque quattuor? sapisti.
7-11: Marziale descrive il suo libro con tutte le caratteristiche di un
pregiato volumen papiraceo: sarà ben unto di olio di cedro per preservarlo
dalle tarme (7), levigato su entrambe le frontes (8), avrà l’umbilicus colorato
(9), una fodera di pergamena colorata di porpora (10) e infine l’index, con
il titolo dell’opera, anch’esso scritto con inchiostro rosso (11). Dettagliate
descrizioni di edizioni di lusso si trovano in Catull. 22, 6-8 chartae regiae,
novi libri, / novi umbilici, lora rubra, membranae, / derecta plumbo et
pumice omnia aequata (sull’esegesi del carme vd. Gamberale 1982); Ov.
trist. I 1, 5-12 (‘in negativo’, coerentemente con la condizione di esiliato
Epigramma 2 123
intr. all’epigr. 58 e le nn. ai vv. 10; 22; 26; in generale sulla presenza di
Orazio in Marziale vd. Salemme 1998 con bibliografia.
8. frontis gemino … honore: enallage: cfr. Ov. trist. I 1, 11 geminae …
frontes; Lygd. 1, 13 geminas … frontes. Gli orli superiore e inferiore del
rotolo di papiro (frontes) erano lisciati con la pietra pomice: Isid. orig. VI
12, 3 (= Suet. fr. 104 Reiff.) circumcidi libros Siciliae primum increbuit.
nam initio pumicabantur. unde et Catullus ait: ‘cui dono lepidum
novum libellum / arida modo pumice expolitum?’ (1, 1 sg.). Numerose
le attestazioni letterarie di tale uso a partire da Catullo: cfr. Catull. 1, 2 cit.
supra; 22, 8 pumice omnia aequata; Hor. epist. I 20, 2 pumice mundus (sc.
liber); Ov. trist. III 1, 14 cit. nella n. al v. 7; una variazione, nell’ambito della
personificazione del liber, presenta Ovidio, che assimila metaforicamente
l’azione di levigare le frontes al taglio dei capelli: cfr. Ov. trist. I 1, 11 sg.
nec fragili geminae poliantur pumice frontes / hirsutus sparsis ut videare
comis; così anche Lygd. 1, 10 (= [Tib.] III 1, 10) pumex cui canas tondeat
ante comas (la metafora è viva in italiano: di un libro non rifilato si dice
‘con barbe’). In Marziale sono presenti vari riferimenti: I 66, 10 pumicata
fronte; 117, 16 rasum pumice; IV 10, 1 dum novus est nec adhuc rasa
mihi fronte libellus; VIII 72, 1 sg. nondum murice cultus asperoque /
morsu pumicis aridi politus. Secondo Friedlaender (ad loc.) in questo
verso Marziale farebbe riferimento alle estremità dell’umbilicus (cornua) e
non alla levigatura delle frontes: vedi però la n. al v. successivo.
9: l’umbilicus (gr. ) è la bacchetta attorno a cui veniva arrotola-
to il papiro, le cui estremità (cornua) erano di osso o di avorio e potevano
essere colorate. Si tratta di una caratteristica non comune, propria di rotoli
di lusso, dato che non sembrano esisterne rappresentazioni figurative, e
che, nei papiri conservatici, i resti di umbilici sono rari (Birt 1907, p. 230
sgg.; E.G. Turner, Greek Papyri. An Introduction, Oxford 1968, p. 173 sg.
n. 34 del cap. 1). La prima menzione poetica del termine si trova in Catull.
22, 7 novi umbilici; in Marziale l’umbilicus è elemento ricorrente nelle
descrizioni di rotoli pregiati: I 66, 11 nec umbilicis cultus atque membrana;
V 6, 15 nigris … umbilicis; VIII 61, 4 umbilicis … decorus; cfr. anche
Stat. silv. IV 9, 8 et binis decoratus umbilicis. Secondo un’ingegnosa
ipotesi di Birt 1907, p. 234 il plurale nei passi di Marziale e di Stazio farebbe
riferimento a rotoli particolarmente raffinati forniti di due umbilici, forse
cavi e infilati l’uno dentro l’altro, dei quali uno restava nella parte da svolgere
del volumen, mentre l’altro serviva a riavvolgerlo nel corso della lettura
Epigramma 2 125
sg.). Per lo più era colorata di porpora: cfr. Ov. trist. I 1, 5 nec te purpureo
velent vaccinia fuco; Stat. silv. IV 9, 7 noster purpureus (sc. libellus); Lucian.
merc. cond. 41; poteva però anche essere giallastra: cfr. Lygd. 1, 9 (= [Tib.]
III 1, 9) lutea sed niveum involvat membrana libellum (con il commento
di Navarro Antolín); Isid. orig. VI 11, 4 membrana … aut candida aut lutea
aut purpurea sunt (sul colore designato dall’aggettivo luteus vd. André 1949,
p. 151 sgg.). In Marziale è caratteristica ricorrente dei libri di lusso: I 66, 11
nec umbilicis cultus atque membrana; I 117, 16 rasum pumice purpuraque
cultum; V 6, 14 quae cedro decorata purpuraque (sc. pagina); 6, 19 purpureum
… libellum; VIII 72, 1 nondum murice cultus (sc. libellus); X 93, 4 carmina
purpurea sed modo culta toga; XI 1, 2 cultus (sc. liber) Sidone non cotidiana.
– velet: l’uso del verbo rimanda a Ov. trist. I 1, 5 cit. nella n. ai vv. 7-11.
11: l’index (o titulus; gr. ) era il cartellino con il nome dell’autore
e il titolo dell’opera, che si poneva sull’orlo superiore del rotolo: cfr. Ov. trist.
I 1, 109 sg. cetera turba (sc. librorum) palam titulos ostendet apertos / et
sua detecta nomina fronte geret; Pont. I 1, 15 miserabilis index; IV 13, 7
sg. ipse quoque, ut titulum chartae de fronte revellas, / quod sit opus video
dicere posse tuum; Lygd. 1, 11 sg. (= [Tib. III 1, 11 sg.]) summaque praetexat
tenuis fastigia charta / indicet ut nomen littera picta tuum; le lettere erano
scritte in rosso: cfr. Ov. trist. I 1, 7 nec titulus minio … notetur. Giunto
ormai all’apice della sua fama Marziale potrà consentire al suo libro di fare a
meno del titulus, sicuro della propria celebrità: XII 2 (3), 17 sg. quid titulum
poscis? versus duo tresve legantur, / clamabunt omnes te, liber, esse meum. In
I 61, 1 SB, seguendo Baehrens (II, p. 60), stampa Verona docti sillybos amat
vatis (SB2: «Verona loves the name tags of an accomplished poet»), ma il
tràdito syllabas (‘versi’ per sineddoche) non ha motivo di essere emendato (vd.
Citroni, ad loc.). – cocco: il coccum era una bacca (Plin. nat. IX 141 coccum
Galatiae rubens granum) da cui si estraeva un colore rosso purpureo; il
termine indica metonimicamente il colore stesso (CGL V 494, 69 coccum vel
coccinum color rubens; vd. Fenger 1906, p. 28). – superbus: l’attributo opera
una personificazione dell’index e ne indica al tempo stesso la collocazione in
cima al rotolo (per l’imitazione oraziana vd. la n. al v. 7 licet ambules).
12: con il sostegno di un protettore autorevole (su vindex vd. la n. al v.
2) come Faustino il libro non corre alcun pericolo. La sua autorità è tale
che non sarà attaccato neanche dai grammatici più severi, rappresentati
da Probo. Non mi sembra si possa dedurre da questo verso, come faceva
L. Valmaggi (Illo vindice nec Probum timeto, «BFC» 21, 1914-15, pp. 88-
Epigramma 2 127
11; 90, 4; XI 34, 1; XII 18, 14; 83, 4. – Probum: Marco Valerio Probo di
Berytus (l’odierna Beirut), l’insigne grammatico del I sec. d.C. (Girolamo
pone il suo floruit nel 56: chron. a. Abr. 2072). Senz’altro doveva essere
ancora in vita al momento della pubblicazione del III libro (88, secondo
l’ipotesi avanzata nell’Introduzione, § 2), né vi sono persuasive ragioni per
dubitarne, come fa, ad es., J. Vahlen, Opuscula academica, Lipsiae 1907 (=
Hildesheim 1967), I, p. 51, che ipotizza un uso antonomastico del nome da
parte di Marziale, suggerendo il parallelo con Hor. ars 450 fiet Aristarchus.
Marziale lo nomina qui come illustre grammatico e come tale, insieme a
Emilio Scauro, è menzionato ancora da Ausonio (1, 20 p. 2 P. = praef. 1,
20 G.; 205, 12 p. 63 P. = prof. 15, 12 G.; 210, 7 p. 66 P. = prof. 20, 7 G.).
Gellio lo nomina più volte nelle Noctes Atticae, definendolo grammaticus
inlustris (I 15, 18) e grammaticus inter suos aequales praestanti scientia
(IV 7, 1). Il dibattito tra gli studiosi sulla sua attività filologica prende
le mosse dall’interpretazione del celebre passo di Suet. gramm. 24 (vd.
Kaster, ad loc.) e dell’Anecdoton Parisinum (GLK VII 533 sgg.; GRF,
pp. 54-56 Funaioli): alla sopravvalutazione dell’opera e dell’influenza del
grammatico operata da Fr. Leo (Plautinische Forschungen, Berlin 19122, p.
40 sg.) e dai suoi allievi è succeduto ora un ridimensionamento della figura
di Probo: vd. N. Scivoletto, La ‘filologia’ di Valerio Probo di Berito, «GIF»
12, 1959, pp. 97-124 (edizione accresciuta in Studi di letteratura latina
imperiale, Napoli 1963, pp. 155-221); H.D. Jocelyn, The Annotations of
M. Valerius Probus, «CQ» 78, 1984, pp. 464-472; 79, 1985, pp. 149-161;
466-474; M.L. Delvigo, Testo virgiliano e tradizione indiretta, Pisa 1987;
L. Lehnus, s.v. Probo, in EV IV, pp. 284-286; S. Timpanaro, Per la storia
della filologia virgiliana antica, Roma 20022, pp. 15 sgg.; 77-127; passim;
Id., Virgilianisti antichi e tradizione indiretta, Firenze 2001, p. 37 sgg.
Epigramma 3 129
hab. T, om. LPQ¹f, add. Q² in mg. secl. Schneidewin², quem secuti sunt edd., praeter
Izaac tit. ad eam quae faciem formosam (formonsam E) habet : ad eam quae faciem
formonsam habuit T² ad eam quae faciem monsam habuit T¹ consilium deformi Q² 1
formosam Q²AXV: formonsam TE c(a)elas TEAX: velas Q²V 2 formoso Q²AVF:
formonso TE formose X 4 aperi TQ²p.c.: operi Q² tunicata Q² : tunica T <tu>
tunicata Schneidewin lava TQ²EAV: leva X
hab. T tit. ad eundem LPQ¹fEAV: item ad librum suum X ad librum suum T ad librum
Q² 1 vade T EXV: valde A requiret : requirit T 2 aemiliae : aemeliae T 3 qua
TPQf¹ : quo f²s.l. quid L urbe TLPQf¹ : orbe f²s.l. rogabit XV: rogavit EA rogarit
T 4 corneli : cornelii T 5 absim TQf²s.l. : absit LPf¹ quaeret breviter T : breviter
quaeret XV quae breviter quaeret EA 7 quando venit T : quando veniae EA quando si
veniet X et quando veniet V dicet T V²: dicit EAX dicens V¹ tu respondeto T : tu
responde EA responde XV poeta T XV²: poetae EAV¹ 8 exierat TLPQf² : exiceat f¹
cithar(o)edus LPQ²fX: citheredus Q¹ cytharohedus T citharoedis EAV
sono spesso definiti togati: cfr. I 108, 7 unum … togatum; II 57, 5 grex
togatus; 74, 1 cinctum togatis … Saufeium; 74, 6 greges togatorum; III
46, 1 operam sine fine togatam; V 26, 4 beta togatorum; VI 48, 1 turba
togata; IX 100, 1 togatum; X 74, 3 togatulos; 82, 2 togatus; XI 24, 11
togatulorum. L’attributo vanus sottolinea efficacemente la frustrazione
per numerose fatiche, considerate inutili, che, per di più, non fruttano ora
neanche una sportula (vd. Salanitro 1991-92, p. 286 sgg.); per il suo uso
in relazione agli officia clientelari cfr. anche X 82, 7 sg. parce, precor, fesso
vanosque remitte labores / qui tibi non prosunt et mihi, Galle, nocent.
– taedia ferre: il nesso ricorre nella stessa posizione metrica, anche se in
un contesto completamente diverso, in Ov. ars II 531 dedecet ingenuos
taedia ferre sui. Taedium indica il fastidio provocato al poeta dal caos
della capitale anche in XII 57, 27 sg. taedio fessis / dormire quotiens
libuit, imus ad villam. Il verbo sottolinea lo sforzo sostenuto da Marziale
per compiere gli officia di cliente anche in XII 29, 8 sgg. at mihi quem
cogis medios abrumpere somnos / et matutinum ferre patique lutum /
quid petitur? (cfr. l’uso analogo di perferre in VII 39, 1-3 discursus varios
vagumque mane / et fastus et have potentiorum / cum perferre patique
iam negaret).
7 sg.: Marziale annuncia che tornerà a Roma quando potrà svolgere
una professione in grado di garantirgli elevati profitti, diversamente dalla
poesia; poeta è significativamente collocato in fine del v. 7, quasi a voler
rappresentare una dimensione passata. L’affermazione è venata di amara
ironia e non va certo interpretata alla lettera, quasi Marziale intendesse
realmente dedicarsi all’arte citaredica o chiudere i propri giorni a Imola,
come pure ritengono alcuni studiosi (vd., ad es., I. Lana, Marziale poeta
della contraddizione, «RFIC» 33, 1955, p. 233; E. Paratore, La letteratura
latina dell’età imperiale, nuova edizione aggiornata, Firenze-Milano 1969,
p. 156). Il disagio patito dal poeta per la vita in una società che non gli
tributa adeguati riconoscimenti per la sua arte, come faceva quella augustea,
e per il facile successo ottenuto da categorie sociali inferiori (per cui vedi la
n. intr. all’epigr. 16) è uno dei motivi più sentiti nella poesia di Marziale, il
quale spesso lamenta l’assenza di un Mecenate, che gli consenta di dedicarsi
completamente, come vorrebbe, alla poesia: I 107, 3 sg. otia da nobis, sed
qualia fecerat olim / Maecenas Flacco Vergilioque suo / condere victuras
temptem per saecula curas / et nomen flammis eripuisse meum; VIII 55
(56), 5 sint Maecenates, non derunt, Flacce, Marones; XI 3, 7 sgg. at quam
136 M. Val. Martialis liber tertius
essa era divenuta soltanto un pretesto per aumentare il prezzo delle loro
prestazioni sessuali: cfr. XIV 215, 1 sg. (tit. fibula) dic mihi simpliciter
comoedis et citharoedis, / fibula, quid praestas? ‘carius ut futuant’ con il
commento di Leary1; Iuv. 6, 61 sgg.; 379 sgg. Sui citaredi in generale vd. RE
XI 1, 530-534; Daremberg-Saglio, s.v. citharoedus, II, pp. 1215-1217. Non
convince la recente interpretazione di J. Gómez Pallarès (A new proposal
on Martial 3, 4 Citharoedus, «Athenaeum» 89, 2001, pp. 216-222), il quale
ritiene che con il termine citharoedus Marziale alluda alla poesia lirica e,
in particolar modo, a Orazio, al cui successo poetico nelle alte sfere del
potere egli ambirebbe: l’esplicita contrapposizione nel distico tra poeta,
collocato significativamente nella chiusa del v. 7, e citharoedus, ribadita in
V 56, 7 sgg. cit. supra, consente senz’altro di escludere questa possibilità.
138 M. Val. Martialis liber tertius
fratres tot domus alta Remi. Diversamente il libro dei Tristia inviato da
Ovidio dal Ponto, giungendo a Roma si considerava ospite alla ricerca di
accoglienza: dicite lectores, si non grave, qua sit eundum / quasque petam
sedes hospes in urbe liber (trist. III 1, 19 sg.).
4. adsiduum nomen in ore meo: la frequente menzione di una persona
lontana (o defunta) testimonia la persistenza dell’affetto: cfr. Ov. met. VII 708
pectore Procris erat, Procris mihi semper in ore; X 204 semper eris mecum
memorique haerebis in ore; Pont. III 5, 44 nunc quoque Nasonis nomen in
ore tuo est?; Stat. Theb. XII 114 sg. unum Polynicis amati / nomen in ore
sedet; CLE 618, 3 perit corpus, sed nomen in ore est. Il secondo hemiepes
del verso mostra una coincidenza quasi completa con quello di alcuni versi
ovidiani: epist. 19, 40 nil nisi Leandri nomen in ore meost; trist. III 3, 20
ut foret amenti nomen in ore tuum (cfr. anche fast. VI 528 estque frequens,
Ino, nomen in ore tuum, con diverso significato). È possibile che Marziale
abbia voluto richiamare allusivamente l’Ovidio dell’esilio, che, come notato
(vd. l’Introduzione, § 1), è largamente presente negli epigrammi proemiali
del libro.
5: Marziale fornisce al libro le indicazioni topografiche necessarie a
trovare la dimora di Giulio Marziale. Si tratta di una costante negli epi-
grammi di apostrofe al libro che Marziale invia ad amici e patroni: cfr.
I 70, 3-12; X 20 (19), 4-11, dove l’apostrofe è rivolta a Talia, incaricata
di portare il libro a Plinio; XI 1, 9-12; XII 2 (3), 7-10. Anche questa
caratteristica deriva dall’Ovidio dell’esilio: cfr. Pont. IV 5, 9 sg. protinus
inde domus vobis Pompeia petatur: / non est Augusto iunctior ulla
foro; vd. Citroni 1986, p. 138. – primae … Tectae: felice congettura
di Gronovius, necessaria per il senso e accolta da tutti gli editori, che
modifica solo lievemente il testo tràdito. La via Tecta è nominata da
Seneca in apocol. 13, 1 per campum Martium et inter Tiberim et viam
Tectam descendit ad inferos e da Marziale anche in VIII 75, 2 a Tecta
Flaminiaque recens. Doveva trattarsi di una via porticata, che si trovava
nel Campo Marzio e connetteva la via Flaminia al Tarentum, luogo sacro
alle divinità infernali Dite e Proserpina (vd. Platner-Ashby, p. 568; LTUR
V, s.v. Via Tecta, p. 145 sg.). Potrebbe trattarsi della via fornicata quae
ad campum erat menzionata da Liv. XXII 36, 8 (vd. F. Coarelli, s.v. Via
Fornicata, LTUR V, p. 137 sg.). La via è pertanto riconoscibile nell’asse
Via dei Coronari – Via delle Coppelle – Via della Colonna Antonina, e la
casa di Giulio Marziale sarebbe da collocare nei pressi di piazza Colonna
142 M. Val. Martialis liber tertius
(vd. E. Rodriguez Almeida, s.v. Domus: Iulius Martialis, LTUR II, p. 122).
Una via Tecta, situata fuori dalla porta Capena, è nominata da Ov. fast. VI
191 sg. lux eadem Marti festa est, quem prospicit extra / adpositum Tectae
porta Capena viae. – in limine: l’espressione ben si adatta ad indicare il
principio di una via porticata.
6. Daphnis: il personaggio non è altrimenti noto (vd. PIR D 8). Non
vi sono pertanto elementi per affermare, con Friedlaender, che fosse un
conoscente del poeta. Doveva comunque trattarsi di una persona nota, la
cui menzione nell’epigramma non risultasse oscura per i lettori di Marziale.
– lares: l’uso metonimico di lar per indicare la casa è attestato fin dal
periodo ciceroniano e frequente in poesia (vd. ThlL VII 2, 966, 42 sgg.).
Marziale utilizza sia il singolare (4 volte) che il plurale (7 volte).
7 sg.: si tratta di un’accoglienza calorosa, quale si riserva ad un familiare.
– manibusque sinuque / excipiet: per excipere sinu cfr. Ov. epist. 13, 146
excipietque suo corpora lassa sinu; Val. Max. VII 1, 1 earum subolem sinu
suo exciperet; Sen. Med. 284 paterno ut genitor excipiam sinu (vd. anche
Ov. epist. 18, 101 excipis amplexu feliciaque oscula iungis). In Marziale
excipere ricorre ancora in riferimento all’accoglienza da riservare ai libelli
personificati in IX 58, 5 excipe sollicitos placide, mea dona, libellos; cfr.
anche Ov. Pont. I 1, 3 sg. si vacat, hospitio peregrinos, Brute, libellos / excipe.
– tu vel pulverulentus eas: il libro può anche presentarsi pulverulentus per
il viaggio (cfr. Quint. inst. V 10, 81 iter pulverulentum facit): l’amicizia
non richiede formalità (si confronti, all’opposto, l’elaborata descrizione
delle caratteristiche esteriori del libro nell’epigr. 2, vv. 7-11). Il fatto che
il viaggio verso Roma renda il libro impolverato fornisce una conferma
che esso viene inviato da Marziale nei mesi caldi (sulla cronologia del libro
vd. l’Introduzione, § 2), quando le strade erano più polverose: cfr. XII 5
(2), 1 sg. quae modo litoreos ibatis carmina Pyrgos, / ite Sacra- iam non
pulverulenta- via (in dicembre; l’interpunzione del v. 2 risale a W. Gilbert,
«RhM» 40, 1885, p. 220 sg.); Verg. georg. I 66 pulverulenta … aestas; Cic.
Att. V 14, 1 iter conficiebamus aestuosa et pulverulenta via (in luglio).
9. hanc illumve: l’ordo tràdito dalla seconda famiglia e accolto da tutti
gli editori moderni appare senz’altro migliore. Il solo SB preferisce hunc
illamve di , senza peraltro fornire elementi a sostegno della sua scelta.
Hunc illamve era stata accolta da Schneidewin1, che preferì però hanc
illumve nell’editio minor.
10. dices: futuro iussivo. È un tratto della lingua dell’uso, che esprime la
Epigramma 5 143
11 sg. et satis est: per la collocazione in principio di verso cfr. Ov. am. II
14, 43 sg. di faciles, peccasse semel concedite tuto; / et satis est; poenam culpa
secunda ferat. Hoc satis est, diffusa nella tradizione umanistica, è congettura
basata probabilmente sull’analogia con VII 99, 6 sgg. ‘temporibus praestat
non nihil iste tuis, / nec Marso nimium minor est doctoque Catullo.’ /
hoc satis est: ipsi cetera mando deo. Qui tuttavia l’inelegante ripetizione del
dimostrativo la rende senz’altro poco probabile (10 hoc dices; 11 hoc satis
est). Ingiustificata anche la congettura id di Heinsius. – alios commendet
epistula: la pratica della raccomandazione era molto diffusa nella società
romana, nell’ambito dell’intreccio e del mantenimento di relazioni sociali fra
cittadini. L’epistolario di Cicerone (soprattutto il libro XIII delle Familiares)
offre un vasto campionario di lettere commendatizie. In questo caso non
ci sarà bisogno di un’epistola di raccomandazione, dal momento che il
destinatario del libro è Giulio, amico intimo di Marziale (2 cui non eris
hospes), che dunque non ha bisogno di null’altro che di sapere che è l’amico
a inviarglielo (9-11). Marziale approfitta della finzione di privatezza dell’invio
del libro a Giulio per giustificare l’assenza di un’epistola prefatoria, scelta
che invece derivava da una precisa strategia comunicativa e che rispondeva
al tentativo di non risultare troppo pesante per il lettore. Anche altrove
Marziale parla di raccomandazioni sempre a proposito dei propri libelli,
rappresentandoli come persone che vuole inserire nella società, garantendo
loro gli adeguati contatti: cfr. XII 11, 6 sgg. tradat ut ipse duci carmina
nostra roga, / quattuor et tantum timidumque brevemque libellum /
commendet verbis ‘hunc tua Roma legit’; VII 68, 1 sg. commendare meas
Instanti Rufe, Camenas / parce, precor, socero: seria forsan amat. In altri
casi il verbo commendare ha la valenza meno stretta di ‘affidare’: I 52, 1;
IV 82, 1; V 34, 2. Epistula ricorre come termine tecnico per designare la
prefazione in prosa anche in Plinio il Vecchio (nat. epist. 1; 2; 33) e Stazio
(silv. II praef. 4; IV praef. 10; 18); in Marziale anche in I epist. 13; 17; II epist.
1; 5; 8; 13. – peccat / qui commendandum …: sul frequente uso da parte
di Marziale di sententiae di carattere generale in conclusione di epigramma
vd. Barwick 1959; cfr., ad es., I 9, 2; 33, 4; II 12, 3; 18, 8; V 58, 8; VI 34, 8; in
questo libro cfr. anche 9, 2; 12, 4 sg. – suis: l’uso del possessivo fa parte del
tono affettuoso con cui ci si rivolge agli amici; si tratta di una caratteristica
già della lingua neoterica: vd. Lunelli 1969, p. 164 n. 1; Hofmann, LU, p.
294 sgg.; Hofmann-Szantyr, p. 178 sg.; White 1978, p. 80 sg.
Epigramma 6 145
contrapposizione con il mondo degli inferi (vd. OLD s.v. 4) e scelto per la
sua cifra stilistica: cfr. Verg. Aen. I 546 sg. quem si fata virum servant, si
vescitur aura / aetheria neque adhuc crudelibus occubat umbris; VI 761 sg.
primus ad auras / aetherias Italo commixtus sanguine surget. – ortus: indica
generalmente il sorgere del sole o di un astro (vd. ThlL IX 2, 1063, 59 sgg.);
pertanto il suo uso per un uomo sviluppa spesso l’implicita assimilazione a
un astro (un elemento del culto imperiale promosso da Domiziano, su cui
vd. Sauter 1934, pp. 138-145): cfr. Ov. fast. III 727 ante tuos ortus (sc. Liber)
arae sine honore fuerunt; Manil. II 507 sgg. contra Capricornus in ipsum
/ convertit visus (quid enim mirabitur ille / maius, in Augusti felix cum
fulserit ortum?) (sul catasterismo di Augusto cfr. Manil. I 9 concessumque
patri mundum deus ipse mereris); Stat. silv. II 7, 94 post ortus obitusque
fulminatos (sc. Alexandri Magni); Sil. I 110 sgg. horreat ortus / iam pubes
Tyrrena tuos (sc. Hannibal), partusque recusent / te surgente, puer, Latiae
producere matres (qui anche l’uso di surgere contribuisce all’assimilazione
ad astro del fanciullo); vd. OLD s.v. nr. 4; in Marziale cfr. VII 22, 1 sg. vatis
Apollinei magno memorabilis ortu / lux redit, dove si tratta del genetliaco
di Lucano, celebrato con enfasi in un ciclo di epigrammi (VII 21; 22; 23). Il
nesso aetherii ortus (plurale poetico) adula dunque elegantemente Faustino,
descrivendone la nascita come il sorgere di un astro. Poco plausibile e non
adeguata al contesto l’ipotesi di Fröhner 1912, p. 169 sg. che l’espressione
aetherii ortus alluda alla credenza popolare, secondo cui sorgeva una stella
in concomitanza con la nascita di ogni uomo (cfr. Plin. nat. II 28, che la cita
soltanto per prenderne le distanze): i vv. 3-4 esplicitano le due ricorrenze
da celebrare; qui perciò Marziale indica senz’altro la nascita del padre di
Marcellino e non altri eventi ad essa connessi. – parenti: anche in VI 25
Marziale fa riferimento al padre di Marcellino nell’epigramma rivolto a lui,
ancora senza nominarlo (1 Marcelline, boni suboles sincera parentis). Questo
conferma che si deve trattare di un patrono influente e molto presente nei
suoi epigrammi, come è Faustino.
4. libat: libare indica in origine l’atto di versare liquidi offerti in cerimonie
sacre (Isid. diff. I 349 ‘libare’ … quando pateras mero plenas aris fundebant,
nam ‘libare’ proprie fundere est); quindi l’offerta rituale in genere. Qui nel
verbo sono presenti le nozioni di ‘tagliare’ e ‘dedicare’; nella medesima
accezione ricorre in IX 76, 4 sgg. gaudebatque suas pingere barba genas, / et
libata semel summos modo purpura cultros / sparserat; per l’uso in analoghi
contesti dedicatori cfr. Ov. fast. III 561 sg. mixta bibunt molles lacrimis
150 M. Val. Martialis liber tertius
per di più di bassa qualità, in contrasto stridente con i cibi ricercati che i
patroni riservavano per sé (cfr. l’epigr. 60). Il malcontento diffuso dovette
aver la meglio sulle intenzioni dell’imperatore: due epigrammi del IV libro
(pubblicato durante i Saturnali dell’88 o agli inizi dell’89) presuppongono
la reintroduzione della sportula (IV 26; 68), che continuò ad essere tema
frequente della poesia di Marziale (VI 88; VII 86; VIII 42; 49, 10; IX 85;
X 27, 3; 70, 13 sg.; 74, 4; 75, 11). Sulla sportula vd. Marquardt 1886, p. 207
sgg.; Daremberg-Saglio IV 2, p. 1443 sg.; Friedlaender, SR I, p. 226 sgg.;
Hug, RE III A, 2, 1883 sgg.; Citroni, ad I 59, 1.
Il tema dell’abolizione della sportula, sviluppato in altri tre epigrammi (14;
30; 60), può senz’altro essere considerato come il motivo più significativo
del libro (vd. l’Introduzione, p. 60). Il componimento è collocato in una
posizione di rilievo, dopo la serie proemiale (1-5), di cui si può considerare
parte anche l’epigr. 6 (vd. l’Introduzione, p. 65 sg.; Merli 1993, p. 240 sg.);
anche la variazione del metro (coliambo; 1-6 sono in distici elegiaci, con
l’eccezione dell’epigr. 2 in faleci) contribuisce a differenziarlo dai precedenti
epigrammi. La rilevanza del tema si può evincere anche dall’allusione di
Marziale in uno degli epigrammi proemiali (4, 5 sg. cur absim, quaeret,
breviter tu multa fatere: / ‘non poterat vanae taedia ferre togae’), in
cui il poeta aveva anticipato la causa del suo allontanamento da Roma,
motivandolo con la difficoltà nel condurre la vita di cliente. Marziale
introduce il tema attraverso la personificazione della sportula, che si sviluppa
nei primi tre versi, conferendo un tono elevato all’epigramma. Egli dà
l’addio al donativo con la affettuosa familiarità che si riserva ai propri defunti
(miselli), rievocando quindi la misera situazione in cui veniva distribuito
(1-3). La scelta di un lessico alieno dalla poesia (anteambulo, congiarium,
balneator, elixus) fa da contraltare al tono elevato dell’apostrofe, ricon-
ducendo il lettore alle miserie quotidiane del cliente. Al v. 4 Marziale
interroga gli altri clienti (significativamente apostrofati, ancora attraverso
una personificazione, fames amicorum) sulla loro opinione in proposito.
Nell’interpretazione vulgata, proposta da Friedlaender (ad loc.) e accolta
da tutti gli editori, il v. 5 conterrebbe una constatazione ulteriore da parte
di Marziale sulla situazione (regis superbi sportulae recesserunt), mentre
l’ultimo verso sarebbe da attribuire agli amici chiamati in causa al v. 4,
ai quali Marziale farebbe esprimere la propria opinione sull’argomento:
i patroni dovrebbero ora, eliminate le sportulae, dare un vero e proprio
stipendio (salarium). La soluzione, seppure condivisa dalla quasi totalità
Epigramma 7 153
a salve): cfr. Catull. 101, 10 frater, ave atque vale!; Verg. Aen. XI 97 sg.
salve aeternum mihi, maxime Palla, / aeternumque vale; Marziale gioca
con la formula in V 66 saepe salutatus numquam prior ipse salutas: /
sic eris? aeternum, Pontiliane, vale; IX 6 (7), 4 non vis, Afer, havere?
vale (vd. Henriksén, ad loc.). Ricorre assai spesso nelle epigrafi: cfr., ad
es., CIL II 3506; 3512; 3519; numerosi esempi nelle Concordanze dei
Carmina Latina Epigraphica, a c. di P. Colafrancesco e M. Massaro con
la collaborazione di M.L. Ricci, Bari 1986.
2. anteambulonis: precedere per la strada il patrono in lettiga costituiva
per il cliente un obbligo faticoso e umiliante, perché condiviso con uomini
di condizione servile; in Marziale cfr. II 18, 5; 74; IX 22, 10; 100, 3; X 74,
3; l’assenza del battistrada è considerata fra i pregi di un carretto ricevuto
in dono in XII 24, 7. Tale abitudine ha attirato l’ironia di Luciano, che nel
Nigrino la descrive come una delle tante assurdità di Roma:
(sc.
sostenuta da Paley-Stone, p. 77, non è convincente: in III 36, 5 sg. cit. nella
n. al v. 2 e X 70, 13 cit. supra è attestata chiaramente la distribuzione della
sportula nelle terme alla sera, pur non essendo menzionato esplicitamente
il balneator. Dividere non sembra adattarsi all’interpretazione di SB2,
mentre è abbastanza comune nel senso di distribuere (vd. ThlL V 1, 1597,
49-1599, 63): cfr. III 82, 27 sg. non erubescit … nobis / dividere moechae
pauperis capillare (unica altra occorrenza del verbo in Marziale). A volte
invece la donazione coincideva con la salutatio matutina: cfr. XIV 125 si
matutinos facile est tibi perdere somnos, / attrita veniet sportula saepe
toga; Iuv. 1, 95 sg. sportula primo / limine parva sedet turbae rapienda
togatae; 127 sg. ipse dies pulchro distinguitur ordine rerum: / sportula,
deinde forum iurisque peritus Apollo. In alcuni casi la salutatio matutina
viene definita, con una certa esagerazione, come notturna: cfr. X 58,
11 sg. sed non solus amat qui nocte dieque frequentat / limina; 70, 5
non resalutantis video nocturnus amicos; 82, 2 mane vel a media nocte
togatus ero; XII 29 (26), 7 at mihi, quem cogis medios abrumpere somnos;
Iuv. 3, 127 sg. pauperis hic meritum, si curet nocte togatus / currere; 5,
19 sgg. habet Trebius propter quod rumpere somnum / debeat; Luc. Nigr.
22 ; in Marziale è probabilmente da
intendere in tal senso I 80, 1 sportula, Cane, tibi suprema nocte petita est
(vd. Salanitro 1991, p. 10 sg.). – balneator: come balneum (per cui vd. la n.
a 20, 16) è termine di uso colloquiale; escluso dalla poesia elevata, ricorre in
Plauto e Marziale (anche in III 93, 14). – elixus: il bagnino è ‘cotto’ perché
sottoposto durante tutta la giornata ai vapori del balneum; la definizione
collima con la distribuzione della sportula alla sera. L’attributo designa
propriamente cibi bolliti in acqua a scopo culinario o medicinale: cfr. Non.
p. 69, 17 sgg. L. elixum quidquid ex aqua mollitur vel decoquitur; nam
lixam aquam veteres esse dixerunt; vd. ThlL V 2, 394, 10 sg. Questa è
l’unica attestazione relativa a una persona (vd. ThlL V 2, 394, 68 sgg.), ma
in riferimento a parti del corpo ‘trattate’ per favorire la depilazione ricorre
in Pers. 4, 40 elixas … nates, da cui dipende Auson. epigr. 93, 3 p. 346 P.
(100, 3 G.) elixo … podice.
4. fames amicorum: metonimia per famelici amici (amicorum è genitivo
epesegetico). Per l’uso metonimico di fames cfr. Catull. 47, 1 sgg. Porci et
Socration, duae sinistrae / Pisonis, scabies famesque mundi; Lucan. I 318
sg. quid iam rura querar totum subpressa per orbem / ac iussam servire
famem. Per un uso analogo della qualità per la persona che la possiede in
Epigramma 7 159
Marziale cfr. I 42, 2 dolor; XIV 117, 2 ingeniosa sitis (vd. Fenger 1906, p.
19 sg.; H. Lausberg, Handbuch der literarischen Rhetorik, München 1960,
p. 294). Fames è usato metonimicamente da Marziale anche per indicare la
miseria di una sportula in I 59, 2 inter delicias (sc. Baianas) quid facit ista
fames?; una villa che non produce nulla in III 58, 45 at tu sub urbe possides
famem mundam (vd. la n. ad loc.).
5. regis … superbi: l’uso di rex per indicare il patrono è comune fin da
Plauto (Cap. 92; Men. 902; St. 455; As. 919) e Terenzio (Ph. 70; 338). Si
tratta di un termine tecnico che offre un’idea di potenza e di magnificenza.
In greco non c’è un uso corrispondente di (vd. Fraenkel 1960,
p. 182 sgg.). In Marziale e Giovenale il termine è usato abitualmente con
questo significato: cfr. II 18, 5 (cit. nella n. al v. 2). 8 (bis); IV 40, 9; V 19,
13; 22, 14; X 96, 13; Iuv. 1, 136; 5, 14. 130. 137. 161; 7, 45; spesso si trova
insieme a dominus nella formula di saluto del cliens: cfr. I 112, 1; II 68, 2.
5. 7; IV 83, 5; X 10, 5; XII 60, 14; Iuv. 8, 161. In aderenza allo stesso campo
metaforico anche i possedimenti dei patroni sono definiti regna: cfr. IV 40, 3
praetulimus tantis solum te, Postume, regnis; XII 48, 15 sg. convivas alios,
cenarum, quaere, magister, / quos capiant mensae regna superba tuae; 57,
19 Petilianis delicatus in regnis; in IX 73, 3 Praenestina tenes decepti regna
patroni, la lezione decepti regna di , è senz’altro preferibile a defuncti rura
di T (accolta da Gilbert, Lindsay, Ker), che ha tutta l’aria di essere una
banalizzazione; poco felice è anche la contaminazione delle due tradizioni
(decepti rura) operata da Schneidewin e Friedlaender. Per una convincente
difesa del testo di vd. Parroni 1979, p. 837 sgg. (anche Henriksén, ad loc.).
Superbus designa l’alterigia del patrono, altrove qualificata dall’attributo
tumidus, di senso equivalente: cfr. II 18, 5 tumidi … regis; V 19, 13 tumidi
… reges; vd. anche epigr. 2, 3 feri … regis (Nerone); XII 15, 4 sg. superbi
/ regis (Domiziano; negli ultimi due casi la denigrazione del tiranno è,
naturalmente, post mortem). Poco plausibile l’ipotesi, sostenuta da alcuni
commentatori sulla base di epigr. 2, 3 cit. supra, che la iunctura si riferisca
a Nerone, che aveva introdotto l’uso della sportula (cfr. Suet. Nero 16, 2;
vd. Collesso; Guttmann 1866, p. 39; Stephenson, p. 238). – recesserunt: qui
recedere è utilizzato eufemisticamente per mori ed esprime il rimpianto per
la ‘scomparsa’ delle sportulae: cfr. IV 73, 7 a luce recessit; Verg. Aen. IV
704 sg. omnis / dilapsus calor atque in ventos vita recessit (Serv., ad loc.:
evanuit); Lucan. VII 688 spes numquam implenda recessit; vd. OLD s.v.,
nr. 2 c.
160 M. Val. Martialis liber tertius
hab. R tit. de quinto R 1 quam thaida thaida luscam RL²f²V: quam thaidam thaida
luscam EAX quam thaida luscam L¹Pf¹ verum quam thaida luscam Q 2 oculum R² :
oculus R¹
cum Thaida sustinet; 6 O 25 sg. exuit illic / personam docili Thais saltata
Triphallo. Il nome è ben attestato nell’index di CIL VI. Offrono conferma
della sua diffusione a Roma per meretrici e schiave l’interrogativa (Quam
Thaida?) e l’utilizzo del nome da parte di Marziale in numerosi epigrammi:
cfr. III 11; IV 12; 50; V 43; VI 93; XI 101. Sulla diffusione a Roma di nomi
greci per prostitute vd. Griffin 1976, p. 96 sg.; Nisbet-Hubbard1, ad Hor.
carm. I 19, 5. In questo libro cfr. anche Chione (30; 34; 83; 87; 97); Lycoris
(39); Chloe (53); Saufeia (72). Quintus è praenomen tra i più comuni, qui
scelto da Marziale poiché consente il gioco numerico di III 11, 6. – Thaida
luscam: il difetto fisico andava naturalmente a scapito della bellezza: cfr.
XII 22, 1-3 quam sit lusca Philaenis indecenter / vis dicam breviter tibi,
Fabulle? / esset caeca decentior Philaenis. In Marziale i lusci sono spesso
oggetto di satira: vd. la n. intr. all’epigr. 39; Watson 1982.
2. Unum oculum Thais …: la collocazione alle estremità del verso dei
numerali, su cui è costruita la pointe, ne accresce l’effetto comico. Marziale
mostra anche altrove un certo gusto per i giochi numerici: cfr. III 11, 6
si non vult Quintus, Thaida Sextus amet; 92, 1 sg. ut patiar moechum
rogat uxor, Galle, sed unum. / huic ego non oculos eruo, Galle, duos; vd.
anche V 38, 7; VIII 43; per la diffusione nella tradizione epigrammatica
vd. B. Sprenger, Zahlenmotive in der Epigrammatik und in verwandter
Literaturgattungen alter und neuer Zeit, Diss. Münster 1962, pp. 10-22.
Piuttosto capziosa e poco convincente la proposta di Fröhner 1912, p.
170 e di Th. Birt (Martiallesungen, «RhM» 79, 1930, p. 303) di modificare
l’interpunzione del verso, ponendo la virgola dopo Thais, sostenuta con la
motivazione che altrimenti si sarebbe dovuto intendere «Taide non ha un
occhio, Quinto ne ha due» (vd. l’interpretazione dell’epigramma di Paley-
Stone citata nella n. intr.): cfr. III 27, 4 et mihi cor non est et tibi, Galle,
pudor (sc. non est Parimenti è da respingere la proposta di Ed.B. Stevens
(«CW» 37, 1943-1944, p. 171) di eliminare la virgola dal verso per ottenere
la costruzione
Epigramma 9 165
Un tale Cinna scrive carmi contro Marziale, cui però un solo verso è
sufficiente per annichilire in modo spietato il rivale: un poeta che non ha
lettori è come se non scrivesse.
L’attacco diretto contro i poeti rivali risale alla poesia ellenistica (si pensi
alla polemica di Callimaco contro i Telchini nel Prologo degli Aitia) ed
era diffuso a Roma fin da Catullo e dai neoteroi (cfr., ad es., Catull. 14, 17
sgg.; 22; 36; 95, 7 sg.; 105; 116). Anche in altri epigrammi Marziale prende
di mira poeti rivali: cfr. II 77; III 69; VII 25 e, in particolare, VI 64, lungo
componimento in esametri (32 versi), dove Marziale, per contrattaccare
un detrattore, si serve dello stesso motivo della mancanza di lettori come
condanna senza appello per i suoi carmi: audes praeterea, quos nullus
noverit, in me / scribere versiculos miseras et perdere chartas (22 sg.).
Il distico si presenta in forma bipartita, secondo una delle strutture
tipiche degli epigrammi scommatici: alla narratio del primo verso segue
la sententia di carattere generale del pentametro, che annulla le speranze
del poetastro. Il carattere di tale conclusione e la mancata apostrofe
diretta al rivale sono gli strumenti di cui Marziale si serve per negare a
Cinna persino lo status di bersaglio satirico. Il nome, che ricorre in altri
epigrammi scommatici, senza peraltro celare un’unica persona, sarà con
ogni probabilità fittizio. In X 21, 3 sg. (non lectore tuis opus est, sed
Apolline libris: / iudice te maior Cinna Marone fuit) Marziale mostra
di considerare il poeta neoterico Cinna un autore oscuro e difficilmente
comprensibile; è possibile che la scelta del nome Cinna per un poeta senza
lettori contenga un’allusione sarcastica allo scarso successo di pubblico di
certe oscurità neoteriche.
166 M. Val. Martialis liber tertius
VIII epist. 1 sg. omnes quidem libelli mei, domine, quibus tu famam,
id est vitam, dedisti, tibi supplicant (per l’opposto topos della morte
prematura della poesia priva di lettori vd. la n. a 2, 3). Diversamente dal
suo rivale, Marziale sa invece di poter ormai contare su numerosi lettori.
L’affermazione orgogliosa dell’ampio successo di pubblico della propria
poesia è motivo frequente nei suoi epigrammi: cfr. I 1; III 95, 6 sg.; IV 49,
9 sg.; V 13, 3 sg.; 16, 2 sg.; VII 17, 10; 88; VIII 3, 3-8; 61, 3-5; IX 81, 1; 97,
1 sg.; X 2, 5 sgg.; XI 24, 6 sgg.; XII 11, 8.
168 M. Val. Martialis liber tertius
10
del proprio patrimonio, che ammontava, secondo Macr. Sat. III 14, 14, a
venti milioni di sesterzi; questi, giovane dissoluto, spendeva cifre enormi
per lussi superflui, quasi volesse liberarsi come di un peso di tutto quel
denaro (cfr. Cic. Att. XI 15, 3; Hor. sat. II 3, 239 sgg.; Val. Max. IX 1, 2;
Plin. nat. IX 122; X 141; XXXV 163).
I primi quattro versi costituiscono la narratio; il quinto, che introduce
un elemento di novità nella situazione, sembra preparare una conclusione
favorevole a Filomuso, ma l’ultimo verso, che richiama nella struttura
il primo (constituit, Philomuse, pater tibi / exheredavit te, Philomuse,
pater) contiene l’ , che chiude l’epigramma con un
paradosso: nel caso di Filomuso nominarlo erede universale (heredem ex
asse relinquere) equivale a diseredarlo (exheredare).
Philomusus è probabilmente un nome parlante, scelto con intento
antifrastico (gr. ‘amico delle Muse’). Il nome è attestato più
volte nell’index di CIL VI e ricorre in Marziale anche in VII 76; IX 35; XI
63 per diversi tipi.
11
vv. 1-2 hab. R tit. ad quintum R 1 si : sic R quinte R EAX: quinta V 2 esse :
ecce R 3 ‘Sed simile est aliquid.’ Pro Laide Thaida dixi? dist. Izaac: sed simile est aliquid:
pro laide thaida dixi edd. pler. sed simile est aliquid? pro laide thaida dixi? Friedlaender
sed EAV: sic X simile est XV: similest EA laide EAXV²s.l.: thaide V¹ dixi V²:
dixit EAXV¹ dixti b ed. Rom. 1 ed. Ven. 6 amet L²PQfV²s.l.: amat L¹EAXV¹
che la sua satira rifugge dall’attacco personale e che i nomi utilizzati nei
suoi epigrammi sono fittizi: cfr. II 23, 1 sg. non dicam, licet usque me
rogetis, / qui sit Postumus in meo libello; IX 95b, 1 sg. nomen Athenagorae
credis, Callistrate, verum. / si scio, dispeream, qui sit Athenagoras. Tale
principio di poetica è espresso chiaramente in X 33, 10 parcere personis,
dicere de vitiis (vd. al riguardo Citroni 1968, p. 264).
In molti epigrammi, spesso all’interno dello stesso libro, ma anche in libri
diversi, Marziale rappresenta la reazione di persone che si sono identificate
nei protagonisti presi di mira nei suoi epigrammi: cfr., in questo libro,
gli epigr. 16, 59, 99, dedicati a un ciabattino arricchito che offre giochi
gladiatorii; inoltre IV 71, 81; II 57, V 26; IX 95, 95b. Tali epigrammi
presuppongono, per essere compresi, la lettura del libro per intero, a ulte-
riore conferma del ruolo primario svolto da esso nella diffusione degli
epigrammi di Marziale (vd. Scherf 2001, p. 41 sg.).
iugera centum an / mille aret. ‘at suave est ex magno tollere acervo’; Plin.
epist. III 21, 6 tametsi quid homini potest dari maius, quam gloria et laus
et aeternitas? ‘at non erunt aeterna quae scripsit’: non erunt fortasse, ille
tamen scripsit tamquam essent futura; Iuv. 7, 104 sg. quis dabit historico
quantum daret acta legenti? / ‘sed genus ignavum, quod lecto gaudet et
umbra’ . Che l’affermazione sed simile est aliquid sia da attribuire a Quinto
mi sembra ricevere conferma dalla domanda di Marziale del verso seguente,
che vi corrisponde esattamente: 3 ‘Sed simile est aliquid’ – 4 Dic mihi
quid simile est? (l’attribuzione a Quinto dell’intero verso è probabilmente
all’origine della congettura umanistica dixti, che però mal si lega al verso
seguente). Tutto sommato plausibile anche l’interpunzione proposta da
Friedlaender, seguito da Heraeus (sed simile est aliquid? pro Laide Thaida
dixi?). Assai poco convincente appare invece l’interpunzione adottata da
vari editori moderni (Gilbert, Lindsay, SB) a partire da Schneidewin (sed
simile est aliquid: pro Laide Thaida dixi), così spiegata da SB2, I, p. 208
n. b: «In v. 3 M. moots the possibility of his having used a name similar
to the real one, e.g. Thais for Lais, in order to dismiss it in v. 4». Tra
le possibili interpunzioni va registrata anche quella di H. Jackson, fatta
propria da Duff e da Ker (sed simile est aliquid. pro Laide Thaida dixi?).
– Laide: Lais fu nome di due famose cortigiane; la più nota era di Corinto
(vd. RE XII, 513 sgg.). Marziale la nomina in X 68, 11 sg. tu licet ediscas
totam referasque Corinthon, / non tamen omnino, Laelia, Lais eris; XI
104, 21 sg. si te delectat gravitas, Lucretia toto / sis licet usque die: Laida
nocte volo. Qui il nome, che ricorre spesso nell’index di CIL VI, è scelto
unicamente per la sua quasi completa identità, anche metrica, con il nome
Thais.
4: Marziale si chiede quale somiglianza ci sia tra il nome che lui ha usa-
to nell’epigramma e il vero nome della ragazza di Quinto, che dunque è
Ermione. Appare infondata l’esegesi di Ker, il quale ritiene che in questo
verso Marziale proponga a Quinto di cambiare in Hermione il nome della
ragazza nell’epigramma 8 (che dunque sarebbe Lais, anche se Ker non lo
dice esplicitamente), ma in tal caso Marziale avrebbe dovuto dire allora
quid simile est Lais (nome vero) et Hermione (nome fittizio)? Inoltre, a
differenza di Quintus–Sextus (nomi isometrici), Thais non potrebbe essere
sostituito con Hermione nell’epigramma. – Dic mihi: locuzione affettiva
di natura colloquiale, utilizzata di frequente da Marziale (una ventina di
casi, spesso in principio di verso). – quid simile est: simile va inteso come
174 M. Val. Martialis liber tertius
sostantivato: cfr. Varro ling. VIII 41 nec Perpenna et Alfena erit simile
(vd. anche VIII 54; 75; IX 72; 74; 91; X 8). – Hermione: il nome compare
soltanto qui negli epigrammi di Marziale. Esso ricorre spesso in iscrizioni
latine (cfr., ad es., CIL I 818; II 3139; III 3085; V 7437; VII 397; molte
occorrenze nell’index di CIL VI). Due donne con questo nome sono
menzionate nei rescritti dell’imperatore Alessandro Severo del 223 (Cod.
Iust. VI 58, 1) e degli imperatori Diocleziano e Massimiano del 294 (Cod.
Iust. VIII 53, 10). La clausola tetrasillabica di pentametro, evitata per lo più
da Ovidio, ricorre spesso in Marziale, talora in conclusione di epigramma
(vd. Th. Birt, in Friedlaender, I, p. 30 sg.; Wilkinson 1948): in questo libro
cfr. 21, 2 invidia; 26, 4 ingenium; 28, 2 auriculam; 33, 4 ingenua; 65, 10
invidia; 68, 6 Terpsichore; 69, 2 carminibus; 70, 4 arrigere; 75, 2 arrigere;
76, 4 Andromachen; 77, 10 ; 79, 2 perficere; 85, 4 Deiphobi;
95, 10 Oceanus.
6. Sextus: praenomen comune, scelto in questo caso perché, oltre a esse-
re prosodicamente equivalente a Quintus, consente il gioco ‘numerico’
(‘il quinto’, ‘il sesto’); cfr. anche V 21, 1 sg. Quintum pro Decimo, pro
Crasso, Regule, Macrum / ante salutabat rhetor Apollodotus. – amet:
il congiuntivo, tramandato dalla seconda famiglia, è preferito da tutti gli
editori all’indicativo amat della terza, accolto nel testo soltanto da SB e
Walter. Amet corrisponde a mutemus del verso precedente ed esprime
in modo spiritoso la disponibilità del poeta ad accontentare Quinto. Con
amat si ottiene una sorta di citazione dell’incipit dell’epigr. 8, nella versione
‘corretta’, con un effetto senz’altro più debole.
Epigramma 12 175
12
vv. 3-5 hab. T tit. ad fabullum T EXV: ad fabulum A 1 unguentum PQf : ungentum
L 2 convivis T AXV: conviviis E here PfXV²: heres EAV¹ heret Q herede L scidisti
TLPQf¹ : edisti f² 3 salsa LPf : falsa TQ et : est T esurire TLPQ²f : exurire Q¹
4 cenat TLf : tentat PQ unguitur : ungitur T fabulle LQ²fXV: fabulla Q¹ fabullae
PEA fabule T
1 sg.: i versi sono citati da Prisciano (inst. X 4, 24 = GLK II 516, 25) tra gli
esempi del perfetto scidi (attestato a partire da Seneca) rispetto all’arcaico
scididi (cfr. Gell. VI 9, 16): ‘scidit’ ponit Martialis in III epigrammaton
‘Unguentum, fateor, bonum dedisti / convivis here, sed nihil scidisti’.
1. Unguentum … bonum dedisti: l’abitudine di offrire unguentum
durante o dopo il banchetto è bene attestata sia in Grecia che a Roma
(vd. Blümner 1911, p. 385 sgg.; RE I A, s.v. Salben, 1855 sg.). In Orazio
l’unguentum, insieme alle corone di fiori, è componente abituale dei
banchetti (carm. II 7, 7; 22; 11, 16; III 14, 17; ars 374 sgg.); dal soffitto di
Trimalchione scende una ruota, cuius per totum orbem coronae aureae cum
alabastris unguenti pendebant e i convitati vengono pregati haec apophoreta
… sumere (Petron. 60, 3 sg.). In Marziale opobalsama compaiono tra gli
apophoreta (XIV 59); vd. anche II 59, 3; III 82, 26 sgg.; V 64, 3; VII 94;
VIII 77, 3 sg.; XI 15, 5 sg.; XII 17, 7. Il sostantivo, che simboleggia le
pretese di raffinatezza dell’ospite, è collocato significativamente in apertura
di epigramma. - fateor: inciso di natura colloquiale (vd. Hofmann, LU, p.
251), compare in commedia, nell’epistolario e nelle orazioni di Cicerone,
Epigramma 12 177
13
hab. T tit. ad neviam TPQf : ad nevian L 1 non vis pisces T: non vis piscem non vis
pisces leporem EAV pisces leporem X non vis carpere EAX: nos vis capere T carpere
non vis V pullos T² V²in mg.: pullas T¹ut vid. mullos EAXV¹ 2 patri T : putri
Heinsius parcis L²Qf : pascis T parvis L¹ut vid. P 3 accusas : accussas T
14
tit. de tuccio LPf : de titio Q 1 esuritor tuccius LPX: esuritor tuctius f² esuritor ducius f¹
esuritor ticcius Q² exuritor ticcius Q¹ esurit orto cocius EA esuritorco cocius V 3 fabula
: fabulla 4 a ponte EA: ad ponte X ad pontem V rediit Qlv1 ed. Rom. 1 ed. Ven.
ed. Ald.: redit LPf mulvio Lf¹ : milvio PQf²
15
tit. de cordo 1 plus L²f²s.l. : plos L¹PQf ¹ credit : credet tota quam Gc: quam
tota cordus LPQf²s.l. : cordum f¹ codrus Chbkvv1v2 ed. Rom. 1 ed. Ven. ed. Rom.
2 ed. Ald.
1. credit: il gioco di parole sul doppio senso del verbo credere si trova già
in Plaut. Curc. 540 sgg. LY. nec tu quidem umquam subiges redditum ut
reddam tibi, / nec daturus sum. TH. idem ego istuc, quom credebam credidi,
/ te nil esse redditurum; Sen. suas. VII 5 credamus Antonio, Cicero, si bene
illi pecunias crediderunt faeneratores; cfr. anche Cic. Att. I 16, 10; VI 2, 3;
fam. VII 27, 1. – nemo tota … in urbe: il ricercato accostamento nemo tota
mette in risalto l’eccezionalità del personaggio e prelude al capovolgimento
finale. Marziale utilizza il nesso tota in urbe in altri epigrammi satirici, al fine
di amplificare l’effetto comico: cfr. I 73, 1; II 72, 6; IV 84, 1; XII 38, 2; sull’uso
del nesso in relazione alla circolazione di poesia diffamatoria vd. Fabbrini
2002, pp. 543-556. L’ordo verborum conservato soltanto da Gc (tota quam)
appare nettamente preferibile a quello del resto della tradizione (quam tota)
per via della cosiddetta ‘legge di Marx’, che sancisce il divieto di porre un
monosillabo tra cesura pentemimere e parola spondaica (vd. Marx 1922, pp.
198; 210 sgg.). La lezione di Gc, sostenuta da Gilbert 1884, p. 516 e accolta
nella sua edizione, è stata successivamente preferita da tutti gli editori. Sulla
legge di Marx vd. anche H. Drexler, Einführung in die römische Metrik,
Darmstadt 1967, p. 99; J. Hellegouarc’h, Le monosyllabe dans l’hexamètre
latin. Essai de métrique verbale, Paris 1964, p. 106 sgg.; Id., Les yeux de
la marquise…Quelques observations sur les commutations verbales dans
l’hexamètre latin, «REL» 65, 1987, pp. 261-281; L. De Neubourg, La base
métrique de la localisation des mots dans l’hexamètre latin, Bruxelles 1986,
p. 128 sgg. La stessa incertezza sull’ordo verborum presentano i codici di
Marziale in altri casi: cfr., ad es., I 92, 5 sed si nec focus est nudi nec sponda
grabati (nec nudi T); III 36, 3 horridus ut primo semper te mane salutem
( ; te semper ); 65, 3 vinea quod primis floret cum cana racemis ( ; cum
floret T ); VII 21, 1 haec est illa dies, magni quae conscia partus ( ; quae
magni R ).
2. ‘Cum sit tam pauper, quomodo?’: l’intervento di un interlocutore fittizio,
che riproduce una situazione dialogica, è un tratto frequente negli epigrammi
di Marziale e prepara spesso, come in questo caso, la pointe (vd. Siedschlag
1977, p. 26 sg.): cfr., ad es., I 10, 4; II 11, 10; 17, 5; 28, 5; 49, 2; 56, 4; III 84,
2; IV 53, 8; 71, 5 sg.; 77, 4; 84, 4; 85, 1; V 43, 2; VI 77, 9; IX 4, 4; 22, 16; X
74, 12. – Caecus amat: l’amante accecato dalla passione crede a tutto ciò che
gli dice l’amata: cfr. Petron. 37, 5 mero meridie si dixerit illi (sc. Fortunata
Trimalchioni) tenebras esse credet. L’arguzia dell’epigramma si perde se si
interpreta caecus in senso proprio (come, ad es., Burger, in ThlL III 42, 47).
188 M. Val. Martialis liber tertius
16
il nome è diffuso per schiavi e liberti (cfr. CIL VI 44; 200; 4327; 36245;
vd. ThlL onom. II 335, 26 sgg.); ricorre nel titolo di una fabula di Novio
(Bubulcus Cerdo) in Non. p. 89, 26 M.; in Petron. 60, 8 Cerdo è uno dei
Lari di Trimalchione (gli altri due sono Felicio e Lucrio); in Apul. met.
II 13 è il nome di un negotiator. Cerdo è anche attestato come nome
comune nell’accezione di ‘persona di infimo grado sociale’, ‘plebeo’: cfr.
Pers. 4, 51 respue quod non es; tollat sua munera cerdo; Iuv. 4, 153 sg. sed
periit postquam cerdonibus esse timendus / coeperat; 8, 181 sg. quae /
turpia cerdoni, Volesos Brutumque decebunt?; CGL V 653, 34 cerdones:
pauperes infimi; 494, 27 certones (sic): vulgares; Schol. Iuv. 4, 153 cerdo
est proprie turpis lucri cupidus; 8, 181 sg. cerdoni. graece dixit turpem
vulgarem lucri cupidum; Schol. Pers. 4, 51 per cerdonem plebeiam turbam
significat. ita populus dictus, , id est a lucro. Tuttavia
che qui si tratti di nome proprio (come in 59, 1; 99, 1), come proposto da
Crusius, p. 150, è assicurato dal fatto che è accompagnato da apposizione,
sia qui (1 sutorum regule) che in 59, 1 (sutor); sulla questione vd. Van
Wageningen 1912, p. 147 sgg. Cerdo come nome proprio si è affermato
nelle edizioni di Marziale a partire da Heraeus.
tenersi nei propri limiti, a non giudicare oltre le proprie competenze: vd.
Tosi 1994, nr. 543). Il diminutivo pellicula, che in poesia ricorre solo nei
satirici, ha valore dispregiativo (vd. Hanssen 1951, p. 146; ThlL X 1, 1000,
67 sgg.; cfr. anche v. 1 regule; 9, 1 versiculos): così in Hor. sat. II 5, 37
sg. ire domum atque / pelliculam curare iube; Iuv. 1, 10 sg. unde alius
furtivae devehat aurum / pelliculae.
194 M. Val. Martialis liber tertius
17
individuare l’origine del cattivo alito dei due personaggi. Un precedente per
questi epigrammi è costituito, come rilevato da Citroni 1985, p. 189, da AP XI
240 di Lucillio:
.
Il nome Sabidius, qui con ogni probabilità fittizio, ricorre anche in I 32 non
amo te, Sabidi, nec possum dicere quare: / hoc tantum possum dicere, non
amo te, che allude probabilmente al c. 85 di Catullo; poco convincente l’ipotesi,
suggerita anche dalla presunta identità con il protagonista di questo epigramma,
che Marziale alluda a un vizio di Sabidio così spregevole da non potersi dire
o alla mancanza di parole adeguate ad esprimere il suo disgusto (nec possum
dicere quare; per questa interpretazione vd. Jocelyn 1981, p. 278 sg.).
18
Sebbene lamenti un mal di gola, Massimo non rinuncia alla sua recitatio.
La moda delle recitazioni, introdotta a Roma da Asinio Pollione (cfr. Sen.
contr. IV 2), è uno dei temi preferiti dai satirici: cfr. Hor. sat. I 4, 22 sgg.
cum mea nemo / scripta legat, volgo recitare timentis ob hanc rem /
quod sunt quos genus hoc minime iuvat; 4, 73 sg. nec recito cuiquam nisi
amicis, idque coactus, / non ubivis coramve quibuslibet; Pers. 1 passim; il
motivo è ricorrente in Giovenale: cfr. 1, 1 sgg. semper ego auditor tantum?
numquamne reponam / vexatus totiens rauci Theseide Cordi? / inpune
ergo mihi recitaverit ille togatas, / hic elegos eqs.; 3, 6 sgg. nam quid tam
miserum, tam solum vidimus, ut non / deterius credas horrere incendia,
lapsus / tectorum assiduos ac mille pericula saevae / urbis et Augusto
recitantes mense poetas?; 7, 82-87, dove, secondo l’interpretazione di V.
Tandoi (Il ricordo di Stazio ‘dolce poeta’ nella Sat. VII di Giovenale, «Maia»
21, 1969, pp. 103-122 = Tandoi 1992, pp. 802-817), Giovenale accusa con
tono sarcastico l’asservimento di Stazio ai gusti deteriori del pubblico delle
recitationes. Plinio il Giovane fornisce ulteriori testimonianze sulla grande
diffusione di recitationes a Roma, ma, diversamente dai satirici, mostra
soddisfazione per l’alto numero di persone dedite alla poesia, si lamenta
dello scarso successo delle recitazioni, cui egli partecipa assiduamente,
recita egli stesso le proprie composizioni (cfr. epist. I 13; III 10; 18; V
3; 12; VIII 21). Marziale, che pure ne era un frequentatore (cfr. X 70, 10
auditur toto saepe poeta die), schernisce in vari epigrammi la pratica delle
recitationes e quei poetastri che non possono fare a meno di recitare: cfr.
198 M. Val. Martialis liber tertius
I 63; II 88; IV 41; IX 83; XIV 137 (142); in questo libro costituiscono
un ciclo contro il poetastro Ligurino, instancabile recitator, gli epigr. 44;
45; 50 (vd. la n. intr. all’epigr. 44). Un motivo analogo a quello di questo
epigramma è svolto in VI 41 qui recitat lana fauces et colla revinctus,
/ hic se posse loqui, posse tacere negat. Sulla moda delle recitazioni vd.
Friedlaender, SR III, p. 225 sgg.; RE, s.v. recitationes, I A, 435, 54-446, 20;
il commento di Mayor a Iuv. 3, 9.
Il nome Maximus ricorre in I 7; 69; II 18; 53; V 70; VII 73; X 77. Per
alcuni di questi epigrammi è stata suggerita l’identificazione con Vibio
Massimo (vd. la n. intr. di Citroni a I 7). Qui, come in II 18; 53, il nome è
senz’altro fittizio.
Il v. 1 contiene la narratio, il v. 2, attraverso l’interrogativa finale, esprime
lo stupore del poeta per il comportamento di Massimo.
19
hab. T cum 18 confl. Q¹ tit. de ursa LPfEXV: de versa A de hyla T om. Q¹ de vipera
in ore ursi Q² 2 fictae EAXV¹: pictae T V²s.l. qua EAV: quam T qui X platanona
TLf²: planta nona plata nova Pf¹ prata nova Q ferae T V²: pare EAXV¹ 3 adludens
T V²s.l.: adludet EAX adludit V¹ 5 caeco L²PQf² : caecos L¹ celo T cero f¹ut vid.
scelerata LPQf¹V²in mg.: scelata T c(a)elata f²EAXV¹ latebat : iacebat T aere
T EAXV¹: ore V²s.l. 6 deteriore T² : deteraore T¹ 7 esse TLPQ²in mg.f : om. Q¹
8 perit TLPQf¹ : putat f² facinus T EA²XV: facinul A¹
giocano con le lepri è oggetto di un elaborato ciclo nel I libro (cfr. 6; 14; 22;
48; 51; 60; 104; vd. anche 44; 45); sugli spettacoli con fiere ammansite vd.
Toynbee 1973, pp. 15-31; 93-100 (sugli orsi); Daremberg-Saglio, s.v. bestiae
mansuetae, cicures; Fusi 2001, p. 52 n. 17; sul ciclo del I libro vd. Citroni,
p. 35 sgg.; Weinreich 1928, pp. 90-103. In questi spettacoli la propaganda
ufficiale celebrava il numen dell’imperatore, capace di ammansire gli animali
più feroci (sui motivi propagandistici presenti nel Liber de Spectaculis vd. G.
Moretti, L’arena, Cesare e il mito. Appunti sul De spectaculis di Marziale,
«Maia» 44, 1992, pp. 55-63). Le statue dell’Hecatostylum erano dunque
state probabilmente erette per celebrare il potere divino dell’imperatore
e rappresentavano fiere mansuete. Tale ipotesi può essere suffragata
dall’esistenza a Roma, nella regio VII, di un sito denominato Mansuetae,
di cui offrono testimonianza la Notitia Urbis e il Curiosum (per cui vd.
R. Valentini-G. Zucchetti, Codice topografico della città di Roma, I, Roma
1940, pp. 112; 173). Si tratta, con buona probabilità, di un gruppo di statue
rappresentanti fiere ammansite (vd. Platner-Ashby, s.v. mansuetae; G. Lugli,
I monumenti antichi di Roma e suburbio, III, Roma 1938, p. 282; LTUR
III, s.v. mansuetae). La collocazione di questo gruppo nella regio VII sembra
impedire l’identificazione con le fictae ferae di Marziale, ma non si può
escludere che le statue siano state spostate successivamente, forse salvate
dall’incendio che distrusse l’Hecatostylum nel 247 d.C. Se tale ipotesi coglie
nel segno la conclusione dell’epigramma acquista l’arguzia tipica di Marziale,
necessaria in componimenti di questo genere: la vera orsa, ammansita,
avrebbe consentito al fanciullo di giocarci senza fargli del male, mentre la
sua rappresentazione si è rivelata paradossalmente ben più pericolosa per lui!
I lettori di Marziale, che conoscevano bene il luogo descritto dal poeta, non
avevano bisogno di altri elementi per comprendere l’arguzia.
Offre una rielaborazione di questo epigramma AL 276 Shackleton Bailey
(282 R.), dal titolo De ursa aenea, in qua serpens fuit, ubi inscius puer
manum misit: Aere cavo falsam serpens impleverat ursam, / addidit et
morsum et iubet esse feram / … / implevit serpens quod minus artis erat.
Evidente l’identità del tema come anche le somiglianze lessicali (5 caeco …
in aere ~ AL 276, 1 aere cavo; 6 fera ~ AL 276, 2 feram; 8 falsa … ursa ~
AL 276, 1 falsam … ursam), ma l’autore dell’epigramma dell’Anthologia
Latina, diversamente da Marziale, ha voluto evidenziare che il serpente,
compiendo ciò che l’arte non aveva potuto, ha reso realmente viva la fiera.
La morte di un fanciullo di dodici anni causata dal morso di una vipera è
Epigramma 19 203
20
EAX inpodicibus ineo V¹ 17 rure V²s.l.: rura EAXV¹ tulli X: tuli EA tullii V fruitur
EAXV²s.l.: struitur V¹ 18 pollionis PQf : apollinis L currit ad : curritat quartum
LPf : quaternum Q 19 aestuantis : aestuantes baias LQf : balas P 20 nauculatur
LPQ¹f¹XV: nauculator EA naviculatur Q² iaculatur f² 21 canius Q : cannius LPf
Marziale si rivolge alla Musa per avere notizie dell’amico Canio Rufo: egli si
chiede se sta scrivendo opere letterarie (storia, favola, elegia, epica, tragedia),
oppure se narra storie piacevoli nel circolo dei poeti; se passeggia per i portici
o prende il sole del pomeriggio nei giardini; se si lava alle terme o se è partito
per la campagna o per la caldissima Baia. L’ultimo verso contiene la risposta
della Musa: Canio ride. Canio Rufo, conterraneo e ottimo amico di Marziale
(proveniva da Cadice: cfr. I 61, 9), era un letterato versatile (in prosa e in versi)
e una persona di spirito, amante del riso: in I 69 Marziale, probabilmente in
occasione di un soggiorno di Canio a Taranto, afferma che in città la fama di
208 M. Val. Martialis liber tertius
una statua di Pan ridente è stata offuscata da quella del volto ilare di Canio
(per questa interpretazione, che mi pare probabile, anche alla luce dell’ultimo
verso di questo epigramma, vd. la n. intr. di Citroni; Jocelyn 1981, p. 280
pensa invece a un diverso Canio residente a Taranto, al cui sfrenato desiderio
sessuale Marziale farebbe riferimento paragonandolo a Pan). Gli interessi
letterari di Canio erano, come testimonia qui Marziale, molto vasti: in I 61
egli lo inserisce nel novero dei grandi letterati iberici: gaudent iocosae Canio
suo Gades (9); la sua abilità di affabulatore (8-9) viene ricordata nell’epigr.
64 di questo libro, in cui Marziale paragona il fascino dei suoi racconti a
quello del canto delle Sirene; in VII 69 Marziale ricorda ancora la sua attività
letteraria, che potrà trarre giovamento dalla critica di Teofila, sua promessa
sposa: vivet opus quodcumque per has emiseris aures; / tam non femineum
nec populare sapit (5 sg.). Il suo nome ricorre anche in VII 87, 2 e X 48, 5.
Per la difficoltà di identificazione nei casi in cui compare il solo cognomen
(Rufus) vd la n. intr. all’epigr. 82. L’epigramma si apre con la domanda
alla Musa e si sviluppa attraverso le numerose ipotesi del poeta, curioso di
sapere cosa faccia l’amico; il catalogo delle possibili attività di Canio prepara
e accresce l’effetto comico della pointe, che si concentra nell’ultima parola:
fra tutte le eventualità che Marziale prospetta, Canio non fa altro che ridere!
L’ultimo verso riprende quasi esattamente il primo: Marziale, probabilmente
per influenza catulliana (cfr. Catull. 16; 36; 52; 57; vd. Paukstadt 1876, p. 34),
chiude spesso i componimenti con un verso identico a quello iniziale (cfr. II
6; IV 64; 89; VII 26) oppure, come qui, con uno molto simile (II 41; VII 17;
IX 57). Altre volte l’ultimo verso richiama un verso interno all’epigramma
(cfr. IV 2; VI 42; VII 39; IX 55; X 37). In questo caso la ripresa del verso
iniziale ha l’effetto di azzerare tutte le ipotesi prospettate per chiudere con
una bonaria presa in giro dell’amico. Il componimento, al di là della sua
componente ludica, tradisce la nostalgia di Marziale per i luoghi e le attività
di Roma; si può pertanto immaginare che egli lo abbia scritto dopo un
periodo piuttosto lungo di soggiorno fuori dalla capitale (per una possibile
collocazione cronologica dell’epigramma vd. la n. al v. 19 e l’Introduzione,
p. 56). La struttura dell’epigramma con le numerose domande sull’amico
ricorda l’epistola I 3 di Orazio a Giulio Floro, dove egli chiede informazioni
su di un gruppo di amici impegnati in una spedizione in Asia. L’epigramma
è in scazonti; il metro, tradizionalmente legato all’invettiva, è però usato per
uno spettro più ampio di soggetti: cfr., ad es., Catull. 31. Marziale lo utilizza
anche per epigrammi adulatori nei confronti dell’imperatore (cfr., ad es., IX
Epigramma 20 209
1. Dic, Musa, quid agat: l’allocuzione alla Musa come intermediaria fra
il poeta e un’altra persona può essere considerata una variante del modulo
di apostrofe al singolo componimento (vd. Citroni 1986, p. 115). Il primo
esempio nella letteratura latina è l’epistola I 8 di Orazio, rivolta a Celso
Albinovano (1 sg. Celso gaudere et bene rem gerere Albinovano / Musa
rogata refer). In Marziale il modulo, che consente un’elegante variazione
delle comuni formule epistolari, è utilizzato anche in V 6 e in XII 11,
entrambi indirizzati a Partenio, l’influente segretario di Domiziano. –
Canius meus Rufus: sull’uso del possessivo come elemento affettivo della
lingua familiare vd. la n. a 5, 12.
2-7: l’elenco, che comprende i principali generi letterari, con l’aggiunta
della favola, non andrà considerato una testimonianza attendibile degli
interessi letterari di Canio (cfr. l’elenco in ordine di importanza decrescente
di XII 94). A maggior ragione mi sembra da escludere che Marziale faccia
riferimento a tutte opere già scritte e pubblicate di Canio, come ritiene
Carratello 1964, p. 133 sg. Marziale è curioso di sapere cosa stia facendo
l’amico e l’ampio ventaglio di possibili attività prospettate è in funzione
della scherzosa conclusione. Per analoghe movenze, caratterizzate dal tono
cortigiano, cfr. Stat. silv. I 3, 99 sgg. hic tua Tiburtes Faunos chelys et iuvat
ipsum / Alciden dictumque lyra maiore Catillum; / seu tibi Pindaricis
animus contendere plectris, / sive chelyn tollas heroa ad robora, sive /
liventem satiram nigra rubigine turbes, / seu tua non alia splendescat
epistola cura; II 2, 112 sgg. hic ubi Pierias exercet Pollius artes, / seu volvit
monitus, quos dat Gargettius auctor, / seu nostram quatit ille chelyn, seu
dissona nectit / carmina, sive minax ultorem stringit iambon.
2. chartis … victuris: chartae come metonimia per indicare opere lettera-
rie (o volumi o scritti) è di uso prevalentemente poetico (ma cfr. Cic. Cael.
40): ricorre in Lucrezio, Orazio, Ovidio, Fedro, nell’Appendix Vergiliana.
Soltanto Marziale però ne fa un ampio uso: una decina di casi, anche al
singolare (vd. ThlL III 998, 46 sgg.). In questo verso, trattandosi di un’opera
storiografica l’uso di chartae richiama quello di Catull. 1, 5 sg. ausus es …
/ omne aevum tribus explicare chartis, a proposito dell’opera storica di
Cornelio Nepote. Il nesso chartae victurae per ‘opere imperiture’ ricorre
210 M. Val. Martialis liber tertius
ann. XIV 11, 1; hist. V 12, 2; non appare convincente l’ipotesi di Schubert
1998, p. 294 n. 20, per il quale si farebbe riferimento ai principati di Tiberio
e Claudio, trascurando quello di Caligola.
4. falsus … scriptor: in opere storiografiche e frequentemente in prosa
scriptor equivale a ‘storico’ (vd. Forcellini, s.v. scriptor, nr. 3, p. 390; OLD
s.v., nr. 3 c), ma l’uso del termine in questo passo (unica occorrenza
in Marziale) non può naturalmente costituire un elemento a sostegno
dell’una o dell’altra interpretazione. – adstruit: il verbo è piuttosto raro in
età classica e usato in poesia solo una volta in Ovidio e in Silio (vd. ThlL
II 978, 37 sgg.); pur nell’accezione traslata, esso mantiene il significato
proprio di ‘costruire accanto, in aggiunta’ e dunque si adatta ad esprimere la
‘costruzione’ falsificata di eventi storici; cfr. Plin. epist. IX 33, 11 haec tu qua
miseratione, qua copia deflebis, ornabis, attolles! quamquam non est opus
adfingas aliquid aut adstruas: sufficit, ne ea, quae sunt vera, minuantur.
L’uso del presente non autorizza a desumere che si tratti di uno storico di
età flavia (come fa Schubert 1998, p. 294, che pure non esclude che possa
trattarsi di uno storico dell’età neroniana). L’eventualità di uno storiografo
filoneroniano di età flavia sembra piuttosto remota. Priva di fondamento
l’ipotesi di Herrmann 1950, pp. 86 sg.; 98, che interpreta il verso come un
riferimento all’Apocolocyntosis (Neroni sarebbe un dativo di vantaggio), di
cui sostiene l’attribuzione a Fedro.
5: è questa la prima e quasi unica menzione del favolista nell’antichità
(dopo Marziale Fedro è nominato solo da Aviano, praef. ad Theodosium).
Seneca nella Consolatio ad Polybium afferma che nessun romano si è
dedicato alla favola esopica (dial. XII [XI] 8, 3 fabellas quoque et Aesopeos
logos, intemptatum Romanis ingeniis opus), anche se la mancata menzione
di Fedro è probabilmente deliberata (vd. G. Mazzoli, Due note anneane, I,
Fedro e Sen. Cons. ad Pol. 8, 3, «Athenaeum» 46, 1968, pp. 355-363; Mazzoli
1970, p. 152; Kurth, p. 102 sgg.); neanche Quintiliano nomina Fedro (inst. V
11, 19 sgg.). L’identificazione con il favolista è stata negata da Friedlaender
in base alla considerazione che né ioci né improbus potrebbero designare le
favole di Fedro (dubbi sull’identificazione con il favolista esprime anche H.
MacL. Currie, Phaedrus the Fabulist, in ANRW II 32, 1, p. 502). Secondo lo
studioso tedesco potrebbe trattarsi di un Fedro autore di mimi a noi
sconosciuto (per l’uso dell’attributo in relazione al mimo cfr. III 86, 4 non
sunt haec mimis improbiora). Ma la definizione di ioci per le favole ricorre
nello stesso Fedro in III prol. 37 fictis … iocis; IV 7, 2 hoc iocorum … genus;
Epigramma 20 213
cfr. anche I prol. 5 sgg. calumniari siquis autem voluerit, / quod arbores
loquantur, non tantum ferae, / fictis iocari nos meminerit fabulis. Così
non sarà casuale la scelta del verbo aemulari: anche Fedro parlava di
aemulatio per definire il proprio rapporto con Esopo in II 42, 7 non est
invidia, verum est aemulatio (per l’uso del verbo in contesto letterario cfr.
Hor. carm. IV 2, 1 Pindarum quisquis studet aemulari). Per una possibile
allusione all’opera di Fedro in questo epigramma vd. la n. al v. 7. Appare per-
ciò naturale che Marziale faccia riferimento alle favole di Fedro con il termine
che egli stesso utilizzava per qualificarle. L’identificazione con il favolista è
inoltre avvalorata dal fatto che si tratta dell’unico nome proprio menzionato
da Marziale nell’elenco dei generi letterari: la favola era certo un genere poco
coltivato dai Romani (cfr. Sen. dial. XII [XI] 8, 3 cit. supra) e perciò Marziale
si serve dell’unico autore latino che ad essa si era dedicato per definirla. Per
la stessa ragione mi sembra da escludere che si possa trattare di un altrimenti
sconosciuto autore di mimi: altrove Marziale nomina un Catullo come
mimografo per antonomasia (V 30, 3 sg. nec te facundi scaena Catulli /
detineat; XII 83, 1-4 derisor Fabianus hirnearum, / omnes quem modo
colei timebant / dicentem tumidas in hydrocelas / quantum nec duo
dicerent Catulli). A favore dell’identificazione con il favolista depone anche
la conoscenza dell’opera di Fedro da parte di Marziale, provata da numerose
riprese: vd. M. Dadone, Fedro e Marziale, «RSC» 2, 1954, pp. 83-86; A.
Guarino, La società col leone, «Labeo» 18, 1973, pp. 72-77. Carratello 1964,
p. 144 sgg. accoglie il testo di Heraeus (improbi Phaedri: vd. infra)
e sostiene, riproponendo un’identificazione risalente a Calderini, che il Fedro
menzionato in questo passo sia il protagonista dell’omonimo dialogo plato-
nico; egli si basa su un passo (243c) in cui Socrate utilizza l’avverbio
(= improbe) a proposito del discorso di Fedro e del suo primo
discorso. Ma i del Fedro platonico non possono essere considerati
un genere letterario e la definizione non può certo valere per il corpus dei
dialoghi platonici. Assolutamente priva di ogni serio fondamento è l’ipotesi
di Herrmann 1950, p. 111 sg., per cui iocos Phaedri alluderebbe, oltre che
alle favole, al Culex, di cui sostiene la paternità fedriana; Canio Rufo sarebbe
l’autore delle presunte ‘aggiunte post-staziane’ al Culex, individuate dallo
studioso (Herrmann 1950, p. 101 sgg.). Lo stesso Herrmann ha altrove
(Autour des Fables de Phèdre, «Latomus» 7, 1948, p. 199 sg.) attribuito due
favole a Canio Rufo, soltanto sulla base di questo verso. – improbi: l’esatto
significato dell’attributo è oggetto di discussione: Friedlaender gli attribuiva
214 M. Val. Martialis liber tertius
Thiele 1911, p. 548 e Housman 1919, p. 69 sg. (= Class. Pap., p. 983 sg.)
hanno indipendentemente proposto logos, fondandosi soprattutto su Sen.
dial. XII (XI) 8, 3 fabellas quoque et Aesopeos logos (Housman considerava
anche la possibilità di leggere logus, con desinenza greca, più vicina a locus
della seconda famiglia: cfr. IV 39, 3 Praxitelus genitivo; vd. anche «CQ» 17,
1923, p. 163 n. = Class. Pap., p. 1073 n. 1, in cui Housman riconosce a
Thiele la priorità della congettura). Logus è spesso confuso nei manoscritti
con locus (vd. ThlL VII 2, 1612, 77 sgg.). La proposta non è da escludere,
ma ritengo che l’uso fedriano di ioci, iocari in relazione alle sue favole (vd.
supra) renda preferibile un uso allusivo del termine da parte di Marziale.
Inoltre nel passo senecano con Aesopei logi bisogna probabilmente intendere
favole in prosa come quelle di Esopo (vd. Mazzoli 1970, p. 152): cfr. Aristoph.
pax 129; Quint. inst. V 11, 20. Possibilità ancora minori mi sembra possedere
, proposto da Heraeus 1915, p. 36 sg. n. 1 (= Heraeus 1937, p. 221
n. 1), e accolto, oltre che nell’edizione dello stesso Heraeus, da Giarratano e
SB: l’uso di un termine greco non sembra giustificato dal contesto (per il
greco negli epigrammi di Marziale vd. Weinreich 1928, p. 161 sgg.). è
inoltre terminus technicus per favole, e in generale opere, prosastiche (vd.
LSJ s.v. nr. 5, 1).
6 sg.: gli attributi (lascivus, severus, horridus), grammaticalmente riferiti
a Canio, qualificano i generi letterari.
6. lascivus elegis: lascivus / lascivia caratterizzano comunemente la poesia
elegiaca: cfr. Prop. II 34, 87 lascivi … Catulli; Ov. trist. II 427 lascivo …
Catullo; V 1, 15 lasciva carmina; Tac. dial. 10, 4 elegorum lascivias; Quint.
inst. X 1, 88 lascivus in herois quoque Ovidius; X 1, 93 Ovidius utroque (sc.
Tibullo et Propertio) lascivior (in Quintiliano l’attributo qualifica soprattutto
lo stile, negli altri autori il contenuto delle elegie); in Marziale cfr. VIII 73, 5
lascive Properti. Per l’uso dell’attributo in relazione alla poesia epigrammatica
vd. la n. a 86, 1. – severus herois: severus / severitas, all’opposto di lascivus
/ lascivia, caratterizzano la poesia elevata (epica e tragedia: cfr. VIII 3, 13
sgg.): cfr. Hor. carm. II 1, 9 severae Musa tragediae; Prop. II 3 a, 5 aut ego
si possem studiis vigilare severis; AL 429, 1. 13 ludere, Musa, iuvat; Musa
severa, vale; per contrasto la poesia epigrammatica è definita parum severa:
cfr. I 35, 1 sgg. versus scribere me parum severos / … / Corneli, quereris;
X 20 (19), 1 nec doctum satis et parum severum (sc. meum libellum); Plin.
epist. V 3, 2 facio non numquam versiculos severos parum. Marziale invita
i destinatari dei suoi epigrammi a spogliarsi della severitas per apprezzare le
216 M. Val. Martialis liber tertius
sue nugae: cfr. I 35, 12 sg. quare deposita severitate / parcas lusibus et iocis
rogamus e, specialmente, IV 14, 1 sgg., rivolto a Silio Italico, il cui poema
epico ricorda nei vv. 2-5: Sili, Castalidum decus sororum, / qui periuria
barbari furoris / ingenti premis ore perfidosque / astus Hannibalis levisque
Poenos / magnis cedere cogis Africanis: / paulum seposita severitate, / … /
(10) nostris otia commoda Camenis.
7: il verso presenta analogie con Phaedr. IV 7, 5 et in cothurnis prodit
Aesopus novis. Se si tratta di voluta allusione, il verso costituisce un elemento
in più per l’identificazione del Fedro del v. 5 con il favolista: Marziale avrebbe
incastonato nell’epigramma un verso modellato su Fedro in omaggio alla
passione dell’amico Canio per il favolista. – in cothurnis … Sophocleis: i
cothurni, calzari alti degli attori tragici, indicano metonimicamente la
tragedia per la prima volta in Verg. ecl. 8, 10 cit. infra, quindi, in poesia,
in Orazio, Ovidio, Manilio, Giovenale (vd. ThlL IV 1087, 68 sgg.). Nella
letteratura greca non c’è un analogo uso di (vd. W. Beare, The
Roman Stage, London 1950, p. 183). Qui non si tratta propriamente di
metonimia (cothurni = tragedia), ma il tragediografo è rappresentato come
attore tragico: cfr. Hor. carm. II 1, 11 sg. grande munus / Cecropio repetes
cothurno con il commento di Nisbet-Hubbard2; Phaedr. IV 7, 5 cit. supra.
Per l’uso metonimico in Marziale cfr. VIII 3, 13; 18, 7; XI 9, 1; XII 94, 3.
I cothurni possono essere anche, più genericamente, simbolo della poesia
elevata: cfr. V 5, 8 cothurnati … Maronis (la iuctura ricorre anche in VII
63, 5). Il nesso cothurni Sophoclei (o cothurnus Sophocleus), che unisce al
genere letterario il nome del tragico per antonomasia, secondo un giudizio
diffuso al tempo e sostanzialmente concorde con quello della critica
moderna (cfr. Plin. nat. VII 109 Sophoclem tragici cothurni principem),
si trova per la prima volta in Verg. ecl. 8, 10 sola Sophocleo tua carmina
digna cothurno; quindi in Ov. am. I 15, 15 nulla Sophocleo veniet iactura
cothurno (varia Properzio: II 34, 41 desine et Aeschyleo componere verba
cothurno). In Marziale la iunctura ricorre anche in V 30, 1 Varro, Sophocleo
non infitiande cothurno. – horridus: l’attributo si trova qui soltanto in
riferimento alla tragedia e allude probabilmente alla paura ( ) suscitata
negli spettatori, in cui Aristotele individuava uno degli elementi costitutivi
del genere (poet. 1449 b 24 sgg.).
8. in schola poetarum: il luogo, che Marziale frequentava con letterati
e amici, è menzionato anche in IV 61, 3 sg. in schola poetarum / dum
fabulamur. Doveva trovarsi nelle vicinanze dei portici degli Argonauti e
Epigramma 20 217
p. 107), è sostenuta da Ker e Izaac (in modo però troppo perentorio, come
osservato da Housman 1931, p. 83 = Class. Pap., p. 1174). Un’altra ipotesi
degna di considerazione è quella di Castagnoli 1950, p. 72, che pensa al
templum Divorum, costruito da Domiziano nel Campo Marzio in onore di
Vespasiano e Tito divinizzati, nei pressi del tempio di Iside, i cui portici sono
ricordati nei Cataloghi Regionari (vd. F. Coarelli, LTUR II, p. 19 sg.): in tal
caso la generica menzione di porticus templi verrebbe ad assumere un valore
encomiastico nei confronti del programma architettonico domizianeo. Se
invece si accetta la localizzazione della schola poetarum presso il tempio di
Hercules Musarum (vd. la n. al v. 8), la porticus templi andrà identificata con
la p. Philippi, menzionata da Marziale in V 49, 12 (vd. M.J. Kardos, L’Urbs
de Martial. Recherches topographiques et littéraires autour des Epigrammes
V, 20 et V, 22, «Latomus» 60, 2001, p. 403). Poco persausiva la proposta
di Friedrich 1907, p. 378 sg. di identificazione con il tempio di Apollo sul
Palatino, costruito da Augusto e fornito di portici e di una biblioteca greca e
latina (cfr. Suet. Aug. 29, 3; Prop. II 31, 1 sg. Phoebi / porticus), le cui sale,
secondo Friedrich, potrebbero aver costituito la schola poetarum: il percorso
di Canio si svolge nel Campo Marzio e questo rende senz’altro poco probabile
l’identificazione con il tempio di Apollo sul Palatino (che oltretutto Marziale
avrebbe potuto definire, con Properzio, porticus Phoebi).
11. spatia … Argonautarum: si tratta del portico degli Argonauti, fatto
costruire da Agrippa nel 25 a.C. nel Campo Marzio. Il nome deriva dalle
pitture sulle sue pareti che ritraevano le imprese degli Argonauti (Cass. Dio
LIII 27, 1). Era tra i più frequentati luoghi di passeggio a Roma (vd. Platner-
Ashby, p. 420; LTUR IV, p. 118 sg.); Marziale lo nomina anche in II 14, 6;
XI 1, 12. Spatia carpere ricorre, oltre che qui, soltanto in Sen. Phaed. 1078
carpens spatia. – lentus: l’attributo suggerisce che Canio vada alla ricerca
di incontri galanti: cfr. Ov. ars I 67 tu modo Pompeia lentus spatiare sub
umbra (al verso ovidiano, modellato su Prop. IV 8, 75 tu neque Pompeia
spatiabere cultus in umbra, Marziale allude esplicitamente in XI 47, 3 nec
Pompeia lentus spatiatur in umbra).
12. delicatae … Europae: il portico di Europa, vicino ai Saepta, è
menzionato soltanto da Marziale, ancora in II 14, 3. 5. 15; VII 32, 12; XI 1,
11. Era, come gli altri portici del Campo Marzio, uno tra i luoghi privilegiati
per il passeggio, l’ozio, gli incontri, nei cui pressi si trovava la pianura dove i
giovani svolgevano esercizi fisici (II 14, 3-4; VII 32, 11-12; vd. Lugli 1961, p.
12 sgg.). Vi si trovavano pitture o, con maggiore probabilità (vd. la n. al v. 13),
220 M. Val. Martialis liber tertius
21
22
epigr. 22-63, 4 post V 67, 5 hab. AGh (eandem transp. hab. c nonnullis epigr. omissis)
tit. ad apicium PQfEXV: ad apicum L om. A epigr. cum priore conflato 1 apici bis
LQ²fEA: aprici bis PQ¹ apicius bis V² apicibos X apicius V¹ trecenties LfEA: tricenties
PQ trecentias XV 2 et f²s.l. : sed LPQf¹ supererat Pf¹ : superat LQf² centies PQf :
centiens L laxum LPQf¹A²: leixum A¹ut vid. luxum EXV luxu f²s.l. 3 tu EA²s.l.XV:
om. A¹ ferre LPQ¹f¹: ferres Q²f² 4 summa L²PQfEAV: summe L¹ suma X perduxti
Scriverius: perduxit EAXV¹ duxisti perduxisti V² 5 nihil : nullum EAXV² nullus V¹
tibi gulosius PQf : tigulosius L
23
cum 22 confl. LPf tit. ad c(a)enipetam avarum : ad eundem f²in mg. om. LPQf¹ 1
retro pueris LPf: recto pueris Q pueris retro EAXV¹ pueris tu retro V² tradas LPQf¹V³:
tractas f²s.l.EAXV¹ tractes V²s.l.
24
Colpevole per aver brucato una vite, stava per essere ucciso presso l’altare
un capro, o Bacco, vittima gradita alle tue fiamme.
Volendolo sacrificare al dio, un aruspice Etrusco
aveva detto ad un rozzo campagnolo
di tagliare subito i testicoli e con una falce affilata, 5
perché se ne andasse il disgustoso odore dell’immonda carne.
236 M. Val. Martialis liber tertius
1: il verso è modellato su Ov. met. XV 114 vite caper morsa Bacchi mactatus
ad aras. L’origine del sacrificio del capro a Bacco, individuata nel danno
provocato alla vite (vite … rosa), dono del dio, è menzionata da Marziale
anche in XIII 39 (tit. haedus) lascivum pecus et viridi non utile Baccho /
det poenas; nocuit iam tener ille deo; egli vi allude in VIII 50 (51), 12 ipse
tua pasci vite, Lyaee, velis, dove il capro cesellato su una phiala è talmente
bello che lo stesso dio gli consentirebbe di pascersi delle sue viti. L’eziologia
del sacrificio è presente nelle fonti a partire da Varr. rust. I 2, 18 sg. eae enim
(sc. caprae) omnia novella sata carpendo corrumpunt, non minimum vites
atque oleas … sic factum ut Libero patri, repertori vitis, hirci immolarentur,
proinde ut capite darent poenas; cfr. anche Verg. georg. II 378 sgg.; Ov. met.
XV 114 sg.; fast. I 353 sgg.; AL 187 R. (177 SB); testimonianze sul sacrificio
del capro offrono anche Hor. carm. III 8, 6 sg.; Ov. Pont. II 9, 31; Calp. ecl. 2,
67; Suet. Dom. 14, 2; per ulteriori informazioni vd. Bömer1, p. 44. A Roma il
capro come vittima sacrificale nel culto statale è molto raro (vd. Bömer1, p. 44;
W. Krause, RE Suppl. V 250 sgg.); il suo sacrificio potrebbe pertanto essere
solo «a literary fiction» (Mynors, p. 148). – nocens: il verbo sottolinea la colpa
dell’animale che è all’origine del sacrificio: cfr. XIII 39, 2 cit. supra; vd. anche
Verg. georg. II 380; Ov. met. XV 114 cit. supra; fast. I 361. – rosa: per rodere
nell’accezione di ‘brucare’ cfr. Ov. fast. I 357 rode, caper, vitem; vd. OLD
s.v. nr. 1 a. – stabat … ad aras: l’espressione è ricorrente nelle descrizioni
del sacrificio: Verg. georg. II 395 et ductus cornu stabit sacer hircus ad aram;
III 486 stans hostia ad aram; Ov. fast. I 357 cum stabis ad aram (sc. caper);
Sen. Herc. O. 784 stetit ad aras omne votivum pecus; vd. anche Sen. Oed.
303 victima ante aras stetit. Aras è plurale poetico (vd. Löfstedt, Syntactica,
I, p. 43; G. Landgraf, ALL 14, 1906, p. 68; ThlL II 388, 83 sgg.). Ad aras è
frequente come clausola esametrica: in Virgilio si trova 7 volte al plurale, 4 al
singolare; in Marziale ricorre, sempre al plurale, anche in VIII 4, 1; IX 31, 5;
XII 60, 5 (cfr. anche IX 43, 9 ad Libycas … aras, ultima parola dell’esametro);
in IX 42, 9 e 90, 17 è clausola del falecio.
238 M. Val. Martialis liber tertius
nocte Venus. / casta placent superis: pura cum veste venite / et manibus
puris sumite fontis aquam; vd. Daremberg-Saglio IV 2, s.v. sacrificium, p.
977; Wissowa 1912, p. 416 n. 3. Il verso parodia lo stile epico: ingens, attributo
caro all’epica, qualifica sempre persone o luoghi enormi (vd. A. Grillo, s.v.
ingens, EV II, p. 968 sg.); anche apparuit contribuisce a creare l’attesa di
qualcosa di notevole, che viene delusa, con effetto comico, dall’apparizione
dell’ernia; è probabile qui un’allusione in chiave parodica a Virgilio: cfr. Aen.
VIII 241 sg. at specus et Caci detecta apparuit ingens / regia; X 579
inruit adversaque ingens apparuit (sc. Aeneas) hasta (il parallelo con i
due passi virgiliani è segnalato da Citroni 19872, p. 398). – iratis … sacris: i
riti, personificati, sono adirati per l’impurità di colui che officia il sacrificio;
l’espressione è ricalcata su quella più comune iratis dis (Otto, Sprichwörter,
p. 110): cfr. Plaut. Mil. 314; Pers. 666; Poen. 452; Ter. Phorm. 74; Hor. sat.
II 3, 8; Phaedr. IV 21, 15; Sen. apocol. 11, 3; Iuv. 10, 129; vd. anche Hor.
sat. I 5, 97 sg. Gnatia lymphis / iratis exstructa; II 7, 14 Vertumnis …
natus iniquis. In Marziale cfr. IV 43, 5 sg. iratam mihi Pontiae lagonam, /
iratum calicem mihi Metili.
10. occupat hanc ferro: occupare ferro (o gladio o ense) è locuzione di
stampo epico, che ha in genere il senso di ‘colpire anticipando’: cfr. Verg.
Aen. IX 768 sgg. Lyncea … / vibranti gladio … / occupat; Sen. Thy. 716
quem … ferro occupat (vd. anche Sil. XIV 133; XVII 469). Come nel verso
precedente l’uso di una locuzione epica nel contesto comico dell’episodio è
parodico.
11 sg.: i due versi evidenziano comicamente l’ottusità del rusticus, che
crede in tal modo di adempiere antichi riti e di compiacere gli dèi. – talibus
et fibris: sulla posposizione della congiunzione vd. la n. a 19, 5.
13: l’aruspice è divenuto Gallus da Tuscus che era. Il verso gioca sul doppio
senso di Gallus: l’attributo indica in primo luogo la nazionalità, ma Galli
erano chiamati i sacerdoti di Cibele, che erano castrati. L’uso antonomastico
di Gallus per ‘evirato’ risale ad Hor. sat. I 2, 121 ed è frequente in Marziale
(cfr. I 35, 15; II 45, 2; III 73, 2; 81, 1 e 5; VII 95, 15; XI 72, 2; 74, 2).
Una simile pointe presenta l’epigramma XI 74 curandum penem commisit
Baccara Raetus / rivali medico. Baccara Gallus erit; un analogo gioco
sull’ambiguità del termine ricorre in XIII 63 tit. capones. ne nimis exhausto
macresceret inguine gallus, / amisit testes. nunc mihi Gallus erit (Gallus
maiuscolo nel v. 2, necessario a mio avviso per la pointe, è in Friedlaender,
Ker, Giarratano, Leary); cfr. anche XIII 64. La pointe ricorre anche in Priap.
Epigramma 24 243
55, 5 sg. (è Priapo a parlare) quae (sc. tela) si perdidero, patria mutabor,
et olim / ille tuos civis, Lampsace, Gallus ero. – fueras: il piuccheperfetto
ricorre spesso in poesia in luogo dell’imperfetto per ragioni metriche (vd. la
n. a 4, 8).
14: il verso presenta una comica ‘metamorfosi’ dell’aruspice basata, come
nel precedente, sul doppio senso dei termini: caper è sinonimo di hircus
(vd. ThlL III 305, 84 sgg.), ma significa anche ‘castrato’: cfr. Gell. IX 9, 10
auctore … M. Varrone is demum latine ‘caper’ dicitur, qui excastratus est;
CGL V 275, 17 caper hircus castratus. Il verso è citato a mo’ di proverbio
nell’epigramma De lenone uxoris suae in AL 127, 9 sg. R. (= 116, 9 sg.
SB): solus vera probas iucundi verba poetae: / ‘dum iugulas hircum, factus
es ipse caper’, nel senso di ‘diventare vittima delle proprie trame’. Al v. 10
i codici dell’Anthologia Latina tramadandano concordemente cum, che
Riese e Shackleton Bailey correggono in dum; un errore di memoria nella
citazione non mi sembra tuttavia da escludere.
244 M. Val. Martialis liber tertius
25
tit. ad faustinum EXV: ad fautinum A 2 vix LPQf² : vis f¹ 3 lavetur : labetur LQf¹
habetur P ut lavetur f² sabineium LQf : sabineum PCF 4 neronianas Lf : neronicanas
P neronicanat Q is LPf¹: hic f²s.l. om. Q refrigerat Qf² : refrigera LPf¹
Plaut. trin. 675 sgg.; AP IX 15 (adesp.); APl. 209 (adesp.); Porc. Licin. 6
Mor. - 6 Bläns. (Gell. XIX 9, 13); CIL IV 4967 (epigramma di Tiburtino);
sul motivo vd. V. Tandoi, Gli epigrammi di Tiburtino a Pompei, Lutazio
Catulo e il movimento dei preneoterici, «QuadFoggia» 1, 1981, pp. 133-175
(ora in Tandoi 1992, pp. 128-155); A. M. Morelli, L’epigramma latino prima
di Catullo, Cassino 2000, p. 212 sgg. In Marziale, come ha recentemente
messo in luce M. Salanitro (L’amore incendiario in Marziale, «Maia» 55,
2003, p. 310 sgg.), un’arguzia basata su questo topos è presente in XIV 193
(tit. Tibullus) ussit amatorem Nemesis lasciva Tibullum, / in tota iuvit
quem nihil esse domo. Fraintende completamente l’epigramma Calderini,
che spiega: «Iocatur in Sabineum rhethorem qui tantum ventum emittebat
podice ut possit refrigerare balnea calidissima».
I retori sono bersaglio della satira di Marziale anche in V 21; 54 (entrambi
ironizzano sulla loro scarsa memoria). Il nome Sabineius, che in Marziale
compare solo qui, è formato dall’etnico Sabinus, come Apuleius da Apulus
(vd. W. Gilbert, Zu Martialis, «NJP» 127, 1883, p. 643). Sabinaeum,
presente in P e in altri recenziori, è stato accolto da Schneidewin2. Su
Faustino, dedicatario del libro e probabile ospite di Marziale in Cispadana,
vd. l’Introduzione, § 3. Sui balnea nella poesia greco-latina vd. Busch 1999.
26
hab. R tit. ad candidum R 2 aurea RLPQ²f : autrea Q¹ 5 hoc me puta velle negare
RPf¹, L¹Q¹ut vid.: hoc me puto velle negare L²Q²f²s.l.EA²XV hoc meto velle negare A¹
nec me puta velle negare Madvig (sed iam Scriverius in Animadv.) nec me puto velle
negare Scriverius in textu ne me puta velle negare! Gilbert hoc me puta nolle negare
Shackleton Bailey 6 uxorem RLPQ²f : uxurem Q¹ candide R AXV: candite E
Candido è un ricco signore che ama non solo ostentare i propri possedi-
menti e preziosi oggetti, ma anche vantare le proprie doti intellettive. Marzia-
le ne celebra le ricchezze in un crescendo di ammirazione che sembra cul-
minare nell’iperbolico omnia solus habes del v. 5; l’affermazione in realtà
prepara il terreno per la pointe, introdotta da una parentetica in cui Marziale,
come spesso, sembra tranquillizzare il suo interlocutore, per colpirlo invece
in modo più graffiante: Candido possiede, lui solo, ogni cosa, ma condivide
la moglie con il popolo!
L’epigramma è scandito dalla martellante anafora del refrain (solus ha-
bes), presente in ogni verso, sempre nella stessa posizione metrica, che,
probabilmente, riprende un vanto abituale del patrono (vd. la n. al v. 1) e
ne mette in luce la gretta mentalità, che attribuisce importanza esclusiva al
possesso. Una struttura analoga, caratterizzata dalla ripetuta anafora di solus
presenta IV 39 argenti genus omne comparasti, / et solus veteres Myronos
artes, / solus Praxitelus manum Scopaeque, / solus Phidiaci toreuma
248 M. Val. Martialis liber tertius
caeli, / solus Mentoreos habes labores. / nec desunt tibi vera Gratiana, /
nec quae Callaico linuntur auro, / nec mensis anaglypta de paternis. /
argentum tamen inter omne miror / quare non habeas, Charine, purum; la
pointe dell’epigramma è concentrata nell’ultima parola, purum, che riferito
all’argento significa non caelatum, ma che allude alle perversioni sessuali
del protagonista. La ripetizione di una struttura fissa (o quasi) è modulo
compositivo caro a Marziale, spesso vòlto ad accrescere l’effetto di sorpresa
dell’ultimo verso: cfr. I 77; II 33; VII 10; 92; IX 97; X 79; XI 47; 94; XII 28
(29). La conclusione dell’epigramma consente di vedere nel protagonista
il tipo del marito sciocco (su cui vd. Brecht 1930, p. 86 sg.), vittima delle
beffe di Marziale anche in I 73 (dove però per Citroni si tratterebbe del
tipo del marito che prostituisce la moglie); III 85; V 61; XII 93; un’evidente
allusione allo stupidus maritus, carattere protagonista del cosiddetto ‘mimo
dell’adulterio’ (su cui vd. R.W. Reynolds, The Adultery Mime, «CQ» 40,
1946, pp. 77-84), è ravvisabile in V 61 (sull’influsso del mimo su Marziale
vd. Canobbio 2001, specialmente p. 203 sgg.). Candido compare anche in II
24; 43; III 46; XII 38. Il nome è senz’altro fittizio (sulla sua diffusione vd.
Kajanto 1965, p. 227).
significherebbe ‘particularly well’ con legit e forse ‘alone’ con facit). Alcuni
interpreti, influenzati da II 43, in cui Candido è un ricco avaro che non dà
nulla al suo amico Marziale, hanno inteso l’espressione solus habes come un
riferimento all’avarizia di Candido, che non condivide nessuno dei suoi beni
con gli altri (vd. Ker: «Lands are yours alone»; Izaac: «Tu as des domaines
qui son à toi seul»; Scàndola: «Possiedi da solo dei poderi»). Tale ipotesi non
appare persuasiva: in tal modo non si spiega il verso 4 et cor solus habes,
solus et ingenium, dove è evidente che habere ha il normale significato di
‘possedere’, che quindi deve avere anche negli altri versi perché l’anafora
abbia tutta la sua efficacia; inoltre la parentetica del v. 5 non avrebbe ragion
d’essere se l’espressione omnia solus habes costituisse un rimprovero al
patrono; infine la conclusione dell’epigramma verrebbe a contraddire
proprio l’affermazione omnia solus habes, che la parentetica del v. 5 serve a
garantire. Fornisce un valido sostegno a questa interpretazione il confronto
con Petron. 50, 2 cit. supra. Marziale riprende ironicamente l’esagerato vanto
di Candido per beffarlo nella conclusione. Mi sembra corretta la traduzione
di SB2: «Nobody but you has land, nobody but you has…».
2. aurea: metonimia per ‘coppe d’oro’ (vd. OLD s.v. nr. 4 b): cfr. IX 59, 17;
X 49, 3 sg.; XIII 110, 1 sg.; XIV 109. Secondo Friedlaender (seguito da Ker
e SB2) si tratta genericamente di «goldenes Geschirr», ma l’accostamento
con murrina sembra indicare che si tratta di coppe: cfr. XIII 110, 1 sg.
Surrentina bibis? nec murrina picta nec aurum / sume. – murrina: ‘coppe
di murra’. La murra era una pietra pregiata, portata a Roma dall’Oriente
in seguito alla vittoria di Pompeo su Mitridate nel 63 a.C. (cfr. Plin. nat.
XXXVII 18). È probabile che con questo termine si indichi la fluorite (vd.
A. Loewenthal-D.B. Harden, Vasa Murrina, «JRS» 39, 1949, pp. 31-37;
G.C. Whittick, «JRS» 42, 1952, pp. 66-67; RE VIII A 1, 432, 25 sgg.). I
murrina erano oggetti di lusso, dal prezzo molto elevato (cfr. Plin. nat.
XXXIII 5 murrina … quibus pretium faceret ipsa fragilitas): secondo la
testimonianza di Plinio il Vecchio (nat. XXXVII 18) una coppa era stata
pagata 70000 sesterzi ed il suo valore era ulteriormente aumentato; l’ex
console Tito Petronio (unanimemente ritenuto l’autore del Satyricon) prima
di morire spezzò un mestolo di murra che aveva pagato 300000 sesterzi;
Nerone aveva pagato una coppa addirittura un milione di sesterzi. Sono
sempre menzionati da Marziale come oggetti di lusso: cfr. III 82, 24 sg.; IV
85, 1; IX 59, 14; X 80, 1; XI 70, 8; XIII 110, 1; XIV 113; vd. anche Sen. epist.
123, 7; Iuv. 6, 155; 7, 133; ThlL VIII 1684, 14 sgg.
250 M. Val. Martialis liber tertius
sentis, / magna rogas - puta me velle negare: licet?- / et nisi iuratus dixi eqs.
Quella di intendere così il passo sembra comunque la soluzione migliore,
pur restando qualche dubbio. Hanno mantenuto il testo meglio attestato
nei codici, con interpunzione esclamativa, Schneidewin, Lindsay, Duff, Ker,
Giarratano, Heraeus (vd. anche Citroni, p. 211; Kay, p. 198). Ha però goduto
di una certa fortuna la congettura nec me puta velle negare, attribuita a J.N.
Madvig (Adversaria Critica, II, Kopenhagen 1871 = Hildesheim 1967, p.
163), ma già avanzata da Scriverius nelle Animadversiones: l’hanno accolta
Friedlaender, Izaac, Norcio. In tal modo, con un lieve intervento sul testo,
si ottiene un’imperativo negativo, senz’altro adeguato per il senso. Nec con
l’imperativo è attestato nella poesia augustea (Virgilio, Tibullo, Ovidio) e
ricorre in Marziale in IV 14, 10 sg. nostris otia commoda Camenis, / nec
torva lege fronte, sed remissa (sc. libellos); XIII 55, 1 musteus est: propera,
caros nec differ amicos, dove però segue, come di norma, un imperativo
affermativo (vd. Hofmann-Szantyr, p. 340), mentre questo sarebbe l’unico
caso in cui segue un verbo all’indicativo. Né appare più convincente
l’ipotesi di Gilbert di leggere ne me puta velle negare: il costrutto, che
appartiene alla lingua colloquiale (vd. Hofmann-Szantyr, p. 340), è piuttosto
frequente in Marziale per rendere l’imperativo negativo (V 10, 11; 48, 7;
VI 27, 5; VIII 59, 3; XII 55, 3; XIV 69, 1; 97, 1; 178, 1), ma non sarebbe
facile giustificare la corruttela; l’accostamento dei due monosillabi (ne me),
seppur poco elegante, ricorre in II 68, 3 ne me dixeris esse contumacem;
cfr. anche epigr. 27 (24), 3 ne te decipiat ratibus navalis Enyo; X 65, 15 ne
te, Charmenion, vocem sororem; XI 102, 7 audiat aedilis ne te videatque
caveto. Molto poco plausibile appare infine la proposta di Shackleton
Bailey 1989, p. 133, accolta nelle sue edizioni, di leggere hoc me puta nolle
negare: la costruzione, piuttosto forzata e innaturale, rivela i suoi limiti
nella traduzione fornita dallo stesso SB2: «Suppose I don’t choose to deny
it». Una interpretazione completamente diversa degli ultimi due versi ha
proposto Schuster 1926, p. 344 sg., che mantiene il testo tràdito eliminando
però l’interpunzione esclamativa. Il senso sarebbe l’opposto rispetto a
quanto ipotizzato dagli altri interpreti: Marziale intenderebbe negare
soltanto la sua ultima affermazione (omnia solus habes: hoc me puta velle
negare). Candido possiede solo molte ricchezze, ma non tutto, poiché la
moglie la condivide con il popolo. L’ipotesi è scarsamente convincente: il
valore non avversativo, ma illustrativo di sed nell’ultimo verso («und zwar»
traduce Schuster) non sembra ammissibile; puta inoltre non avrebbe
Epigramma 26 253
27
hab. R tit. ad gallum R 1 venias cum saepe RLPQf¹: cum sis prior ipse f²v.l. 3
alios vitium est R V²s.l.: alio fuit dum est EXV¹ alio fuit dum A utriusque RPQ²f :
utrisque LQ¹ 4 et (alt.) RLPQf¹E²X: nec f²s.l.A²V om. E¹A¹
Non ricambi mai l’invito, benché tu venga spesso invitato a cena da me:
ti perdono, o Gallo, se non inviti nessuno.
Tu inviti altri: il difetto è d’entrambi. ‘Quale?’ dici.
Io non ho cervello, tu, o Gallo, non hai pudore.
Gallo non invita mai a cena il poeta, pur essendo da lui spesso invitato.
La scortesia sarebbe scusabile se il suo comportamento fosse uguale con
tutti, ma egli invita altre persone. La colpa è di entrambi, dice Marziale: a lui
manca l’intelligenza, poiché ha continuato a invitare una persona che non
lo meritava, a Gallo manca il pudore, perché ha continuato ad accettare gli
inviti del poeta, pur non avendogli mai ricambiato la cortesia. L’epigramma,
uno tra i più scialbi del libro, sviluppa un tema attinente al bon ton nei
rapporti sociali a Roma, dove la reciprocità nei benefici, commisurata alle
proprie possibilità, è presupposto rilevante per il mantenimento dei rapporti
di amicitia: cfr. Cic. off. I 47 sg.; Brut. 15; Att. XIII 12, 3; Sen. ben. II 18,
5; vd. R.P. Saller, Personal Patronage under the Early Empire, Cambridge
1982, p. 14. Marziale mostra di aderire al precetto in XII 48, 17 sg. me meus
ad subitas invitet amicus ofellas. / haec mihi quam possum reddere cena
placet. Gallo dunque non ricambiando gli inviti di Marziale viene meno a
questa norma di cortesia. Ad argomento analogo è dedicato II 79, nel quale
Nasica invita Marziale a cena solo quando sa che quest’ultimo ha ospiti, in
modo da compiere il gesto formale dell’invito, senza però dover sostenere le
spese di una cena, e, probabilmente, nella speranza di ricevere un invito (v. 1
invitas tunc me, cum scis, Nasica, vocasse). Gallus è nome fittizio ricorrente
negli epigrammi di Marziale per diversi tipi.
Epigramma 27 255
1. venias cum saepe vocatus: voco assoluto indica spesso l’invito a cena
a partire da Plauto (vd. OLD s.v. nr. 3); numerose sono le occorrenze in
Marziale. Per l’uso con venio cfr. XI 35, 2 quare non veniam vocatus ad te.
La lezione cum sis prior ipse vocatus di , accolta fra gli editori moderni dal
solo Schneidewin1, sarà probabilmente da considerare un tentativo, piuttosto
maldestro, di colmare la lacuna creata dalla caduta di venias per omeoteleuto,
intervento basato forse su V 66, 1 saepe salutatus numquam prior ipse salutas
(Heraeus 1925, p. 323; Heraeus, p. XXXI): qui il comportamento inurbano
di Gallo consiste nel non ricambiare mai i frequenti inviti del poeta; non è
pertanto in questione la priorità di un gesto (il saluto in V 66; cfr. anche III
95, 1 sg. numquam dicis have, sed reddis, Naevole, semper, / quod prior et
corvus dicere saepe solet). Casi analoghi non sono infrequenti nella famiglia
(vd. Heraeus 1925, p. 323). In modo pertanto poco persuasivo Lindsay 1903,
p. 22, inserisce il caso tra quelli per cui è possibile ipotizzare la variante d’autore
e attribuisce soltanto «greater force» alla versione di RLPQf¹. Muove invece
dalle considerazioni di Lindsay Di Giovine 2002, p. 131, che, rovesciando il
ragionamento di Heraeus, si serve di V 66, 1 per dimostrare la plausibilità della
lezione di rispetto alla lingua e all’uso di Marziale, senza dover necessariamente
parlare di variante d’autore, e si mostra scettico sulla possibilità di interpolazioni
basate su epigrammi di altri libri, che presupporrebbero moderni strumenti di
consultazione (Di Giovine 2002, p. 131 n. 54).
2. nullum: l’uso di nullus in luogo di nemo appartiene alla Umgangssprache
fin dall’età arcaica ed è attestato anche in età classica; frequente in età
postclassica, si afferma nel latino tardo; in poesia è favorito da ragioni metriche
(vd. Hofmann-Szantyr, p. 204 sg.; Axelson 1945, p. 76 sg.). In Marziale, dove
nemo ricorre frequentemente (mai il dat. e l’acc.), cfr. I 23, 1; 73, 1; IV 83, 3;
VI 64, 22; VII 42, 6.
3. invitas: sc. ad cenam; l’uso assoluto, come per voco (vd. la n. al v. 1), è
comune (vd. ThlL VII 2, 228, 55 sgg.). – ‘Quod?’ inquis: l’intervento diretto
del bersaglio dell’epigramma è tecnica molto usata da Marziale, che rende più
mosso l’andamento del componimento e spesso, come qui, prepara la pointe:
cfr., solo per citare i casi in cui compare inquis, II epist. 2; 65, 2; III 38, 3; 46,
3; IV 33, 3; 72, 4; V 16, 13; 61, 7; 63, 1 e 5; VI 34, 1; 54, 3; 56, 5; VIII 10, 3; 17,
3; 37, 3; X 11, 5; XII 40, 5.
256 M. Val. Martialis liber tertius
28
hab. R cum 27 confl. f tit. ad nestorem RLPQf in mg. 1 olere? distinxi: olere. edd.
miraris olere : miraresolerer R
1977, p. 123 sg.): cfr. V 73, 1 sgg. non donem tibi cur meos libellos / …
/ miraris, Theodore?; VI 11, 1 sg. quod non sit Pylades hoc tempore, non
sit Orestes / miraris?; 89, 7 miraris, quantum biberat, cepisse lagonam?;
VII 18, 3 sg. cur te tam rarus cupiat repetatque fututor / miraris?; X 84,
1 miraris, quare dormitum non eat Afer?; XI 38, 2 miraris pretium tam
grave?; 57, 1 sg. miraris docto quod carmina mitto Severo, / ad cenam cum
te, docte Severe, vocem?; XII 51, 1 sg. tam saepe nostrum decipi Fabullinum
/ miraris, Aule?; XIII 74, 2 miraris? (analoghi moduli interrogativi sono
quelli, numerosissimi, introdotti da quaeris / requiris, per i quali vd. la n.
intr. di Grewing a VI 67; Siedschlag 1977, p. 24 sg. e la mia n. a 32, 1).
In questo caso l’interrogativa contribuisce a porre un accento più marcato
sul pronome personale che apre il pentametro, in modo da intensificarne
il tono accusatorio. – auriculam: diminutivo ‘banalizzato’ già in tarda età
repubblicana (cfr. Catull. 67, 44; Lucr. IV 594), che si differenzia unicamente
nel ‘volume’ sillabico dalla forma originaria (vd. Ronconi 1940, p. 3 sgg.;
Hofmann, LU, p. 297 sgg.; Hanssen 1951, p. 117 sgg.; Väänänen 1974, p.
170 sg.): la completa perdita del valore diminutivo è evidente in Varr. rust.
II 9, 4 auriculis magnis. In Marziale auricula, comodo dal punto di vista
metrico, ricorre, sempre come ultima parola del pentametro, anche in V 77,
2; XII 29 (26), 12; XIV 137, 2. Si tratta di una forma della lingua familiare,
come testimoniano il suo uso in frasi proverbiali (vd. Otto, Sprichwörter,
pp. 43; 46 sg.), nonché l’esito romanzo (‘orecchia’, ‘oreille’, ‘oreja’).
2. garris in auriculam: garrire, verbo della sfera colloquiale, ha qui una
sfumatura negativa e suggerisce un chiacchiericcio continuo e fastidioso:
cfr. Hor. sat. I 9, 11 sgg. ‘o te, Bolane, cerebri / felicem!’ aiebam tacitus,
cum quidlibet ille / garriret, vicos urbem laudaret; per la iunctura cfr. I
89, 1 garris in aurem semper omnibus; V 61, 3 dominae teneram … garrit
in aurem; XI 24, 2 aurem dum tibi praesto garrienti; Pers. 5, 96 ratio …
secretam garrit in aurem.
258 M. Val. Martialis liber tertius
29
om . Q¹, add. Q² in mg. tit. ad saturnum de zoilo : de zoilo LPf in zoilum Q² 1 dedicat
Q²f² : dicat LPf¹
1. has: l’uso del deittico in principio del verso, che mette in rilievo
l’oggetto dell’offerta, è tratto caratteristico dell’epigramma anatematico: in
Marziale cfr. anche I 31, 1 sg. hos tibi, Phoebe, vovet totos a vertice crines /
Encolpos; IV 45, 1 sg. haec tibi pro nato plena dat laetus acerra, / Phoebe,
Palatinus munera Parthenius. – cum gemina compede: le compedes erano
i ceppi con cui, per punizione, si legavano i piedi degli schiavi fuggitivi
(Plaut. Men. 79 sgg. homines captivos qui catenis vinciunt / et qui fugitivis
262 M. Val. Martialis liber tertius
servis indunt compedes / nimis stulte faciunt mea quidem sententia) o dei
condannati ai lavori forzati, come, ad es., quelli che lavoravano la terra
(Mart. IX 22, 4 et sonet innumera compede Tuscus ager); vd. Daremberg-
Saglio II, p. 1428; Marquardt 1886, p. 182. – catenas: per le mani: cfr. Plin.
epist. VII 27, 5 cruribus compedes, manibus catenas gerebat.
2. Saturne: il nome della divinità cui viene dedicato l’oggetto è
collocato enfaticamente al principio del secondo verso anche in IV 45,
dopo la descrizione dell’offerta. – anulos priores: secondo una diffusa
interpretazione (vd. R. Schmook, De M. Valeri Martialis epigrammatis
sepulcralibus et dedicatoriis, Diss. Lipsiae 1911, p. 96 sg.; Ker; Izaac; SB2;
vd. anche Grewing, p. 574; Kay, p. 151) sia in questo epigramma che in
XI 37 cit. nella n. intr. il riferimento sarebbe all’anulus aureus dei cavalieri
(su cui vd. S. Demougin, De l’esclavage à l’anneau d’or du chevalier,
in C. Nicolet [dir.], Des ordres à Rome, Paris 1984, pp. 217-241; Ead.,
L’ordre équestre sous les Julio-Claudiens, Rome 1988, pp. 789-794; 814-
817); la critica di Marziale sarebbe pertanto rivolta non solo alla volgare
ostentazione, ma anche all’usurpazione di Zoilo dello status di cavaliere.
L’ipotesi non è però persuasiva: in questo caso il paragone e il meccanismo
della pointe funzionano se ai ceppi e alle catene, che precedentemente
costringevano piedi e mani di Zoilo, corrispondono più anelli, di cui viene
messo in evidenza soprattutto il peso: per l’uso scherzoso di compedes per
pesanti bracciali cfr. Petron. 67, 7 ‘videtis’ inquit ‘mulieris compedes … sex
pondo et selibram debet habere’; Plin. nat. XXXIII 152 argentum succedit
aliquando et auro luxu feminarum plebis compedes sibi facientium.
Anche in XI 37 cit. nella n. intr. Marziale sottolinea le dimensioni e il peso
inusitato dell’anello per mettere in luce la volgarità del parvenu. In entrambi
gli epigrammi bisogna sottolineare la completa assenza di ‘spie’ che lascino
intravedere un riferimento all’anulus aureus dei cavalieri. L’ostentazione
di gemme appariscenti è invece un tratto ricorrente nella satira contro il
parvenu: cfr. Petron. 32, 3 cit. nella n. intr.; Mart. II 29, 2 cuius et hinc
lucet sardonychata manus; Iuv. 7, 139 sg. Ciceroni nemo ducentos / nunc
dederit nummos, nisi fulserit anulus ingens. Il tentativo da parte di abusivi
di passare per cavalieri, imitandone abbigliamento e atteggiamenti, è invece
centrale nel ciclo del V libro dedicato alla restaurazione domizianea della
Lex Roscia theatralis (vd. Canobbio 2002, p. 60 sg.; passim). Un’analoga
forma di irrisione ricorre nei Versus populares contro Sarmento (p. 112 M.;
248 sg. Bläns.): aliud scriptum habet Sarmentus, aliud populus voluerat.
Epigramma 29 263
30
65; VIII 13, per diversi tipi. Il nome ha poche attestazioni nel CIL (vd.
Kajanto 1965, p. 147). In R (f. 101v) sotto il titolo Ad convivam ingratam
(sic) è tràdito un distico composto dal v. 1 di questo epigramma seguito dal
pentametro accipis (accipias R¹) haut reddis nullus in ore pudor, che va
considerato un’arbitraria elaborazione di un copista; da notare l’ignoranza
del genere grammaticale di conviva, forse unita a pregiudizio sessista (vd.
Mastandrea 1996, p. 117 sg.). Il caso non è isolato: inserita tra III 11 e III
16 (f. 101r) R riporta una redazione abbreviata di II 32, sotto il titolo De
balbo, dove al primo verso (Lis mihi cum Balbo est, tu Balbum offendere
non vis), è abbinato un pentametro assolutamente estraneo al senso
originario dell’epigramma (balbus erit quisquis dicere recta nequit).
137; Sen. epist. 86, 9; Iuv. 2, 152; 6, 447. Secondo SB2 anche in III 7, 3
quos (sc. centum quadrantes) dividebat balneator elixus Marziale farebbe
riferimento al prezzo di un quadrante per l’entrata alle terme, che esaurirebbe
l’intera sportula (ma l’esegesi non è persuasiva: vd. la n. ad loc.). – unde vir
es Chiones: Chione è una prostituta anche in I 34, 7; 92, 6; III 34, 2; 83, 2;
87, 2; 97, 1; XI 60, 1 sgg. e in Iuv. 3, 135 sg. cum tibi vestiti facies scorti
placet haeres / et dubitas alta Chionen deducere sella, dove l’identità del
tema rende molto probabile una ripresa da questo verso (vd. Colton 1991,
p. 115). Il nome ricorre tre volte nell’index di CIL VI. Sull’uso di nomi
greci per prostitute, frequente a Roma, vd. Griffin 1976, p. 96 sg.; Nisbet-
Hubbard1, ad Hor. carm. I 19, 5, p. 240. Le tariffe partivano da cifre molto
basse, quali presuppone anche questo verso: cfr. I 103, 10 asse cicer tepidum
constat et asse Venus; II 53, 7 si plebeia Venus gemino tibi vincitur (codd.;
iungitur Heinsius) asse; IX 4, 1 sg. aureolis futui cum possit Galla duobus /
et plus quam futui si totidem addideris (una conferma sui prezzi viene dalle
iscrizioni pompeiane: cfr., ad es., CIL IV 1969 add. p. 213; 4024; 4592; 5408);
somme più alte erano senz’altro commisurate al livello della prostituta: cfr.
VII 10, 3 centenis futuit Matho milibus; X 75, 1 milia viginti quondam me
Galla poposcit; sull’argomento vd. Friedlaender ad I 103, 10; K. Schneider,
s.v. meretrix, RE XV 1, 1025-1027. Per l’uso di termini del matrimonio (vir)
per rapporti sessuali cfr. Plaut. cist. 43 sgg. haec quidem ecastor cottidie viro
nubit, nupsitque hodie, / nubet mox noctu. numquam ego hanc viduam
cubare sivi. / nam si haec non nubat, lugubri fame familia pereat; vd.
Adams, LSV, p. 159 sgg. In Marziale vd. la n. a 82, 2 Summemmianas …
uxores. Vir è del resto comune nel lessico elegiaco nell’accezione di ‘amante’
(Pichon, p. 297).
5 sg.: l’antitesi summa ratione-nulla ratione ricorre in Cic. leg. II 16 quid
est enim verius quam neminem esse oportere tam stulte adrogantem …
ut ea, quae vix summa ingenii ratione comprehendantur, nulla ratione
moveri putet?
6. quod vivis, nulla cum ratione facis: si tratta di una movenza colloquiale:
cfr. VII 30, 7 sg. qua ratione facis, cum sis Romana puella, / quod Romana
tibi mentula nulla placet?; Cic. Att. XII 44, 3 quod domi te inclusisti ratione
fecisti; vd. anche Cic. fin. III 16; Att. VII 7, 3; XII 43, 2; Quint. decl. 349, 12;
Plin. epist. VI 2, 4; VIII 4, 1; Hor. sat. I 4, 17. Sull’ampio utilizzo da parte
della lingua d’uso di verbi come ‘fare’, ‘essere’ vd. Hofmann, LU, p. 335
sgg.; Hofmann-Szantyr, pp. 754-756.
268 M. Val. Martialis liber tertius
31
hab. T om. EAXV¹, add. V²in mg. tit. ad rufinum fastidiosum T: ad rufinum divitem
LP ad rufinum diutem Q ad rufinum f in rufinum V² 1 diffusi : difusi TV² 2
urbanique V²: albanique T 3 dominae numerosus V²: domino numerosa T 4 massa
T: mensa V² dapes T² V²: dabes T¹ 5 tamen noli TLPQ²fV²: noli tamen Q¹ 6
didymos L: didymus V² didimus TQ dydimus Pf
1. Sunt tibi: per il modulo incipitario cfr. Verg. Aen. XII 22 sg. sunt tibi
regna patris Dauni, sunt oppida capta / multa manu. Per un analogo
sviluppo del periodo in Marziale cfr. VII 73, 1 sgg. Esquiliis domus est,
domus est tibi colle Dianae, / et tua patricius culmina vicus habet; / hinc
viduae Cybeles, illinc sacraria Vestae, / inde novum, veterem prospicis
inde Iovem, che mette in evidenza le molte case possedute da Massimo.
– confiteor: inciso di natura colloquiale, usato per lo più in poesia a partire da
Ovidio (vd. Hofmann, LU, pp. 251; 376; ThlL IV 227, 32 sgg.); in Marziale
confiteor si trova anche in IV 49, 10 e IX 50, 3, ma in principio di verso,
dopo una pausa forte (11 volte ricorre l’equivalente fateor, per cui vd. la n.
a 12, 1). L’ammissione prelude all’attacco satirico. – diffusi iugera campi: il
segmento di verso presenta affinità metrico-ritmiche con Dirae 77 et late
teneant diffuso gurgite campum (cfr. anche Lucan. III 376 telluris parvum
diffuso vertice campum). La conoscenza dell’opera da parte di Marziale
è provata dall’evidente allusione a Dirae 26 lusibus et nostris multum
cantata libellis in IX 49, 1 haec est illa meis multum cantata libellis. Non
è pertanto da escludere una reminiscenza (per alcuni esempi di ricorsività
della veste sonora di un verso vd. G.B. Conte-A. Barchiesi, Imitazione e
arte allusiva, in SLRA I, p. 100 sgg.). Per diffusus nell’accezione di latus,
amplus, vastus: cfr. epigr. 2, 9 Claudia diffusas ubi porticus explicat umbras;
l’uso, prevalentemente prosastico, ricorre in poesia, oltre che in Marziale,
soltanto in Manilio, Dirae, Lucano, Silio Italico, Stazio (vd. ThlL V 1, 1112,
22-66). Un’analoga espressione ricorre in III 58, 4 lati spatia … campi. Per il
nesso iugera campi cfr. Ov. am. III 15, 12 moenia, quae campi iugera pauca
tenent; Stat. Theb. I 568 centum per iugera campi (in clausola); VI 678 sg.
horrida campi / iugera; Claud. rapt. Pros. II 339 novem … iugera campi.
2. urbanique tenent …: la casa di città di Rufino occupa molti terreni. La
critica moralistica all’eccessiva estensione delle case urbane, pari a quella di
vasti campi, ricorre in Val. Max. IV 4, 7 anguste se habitare nunc putat cuius
domus tantum patet quantum Cincinnati rura patuerunt; Sen. epist. 90,
43 (gli uomini dell’età dell’oro) non habebant domos instar urbium; 114,
9 in ipsas domos inpenditur cura, ut in laxitatem ruris excurrant; Plin.
nat. XXXVI 111 nimirum sic habitabant illi, qui hoc imperium fecere
270 M. Val. Martialis liber tertius
nel contesto tuttavia opposto della frugale cena del poeta. – aurea massa: la
lezione di T è stata preferita a ragione da tutti gli editori moderni a mensa di
V². Massa indica la materia allo stato grezzo e, metonimicamente, oggetti
fabbricati con essa (vd. ThlL VIII 430, 58 sgg.). Il sostantivo dunque,
mettendo in maggior rilievo la materia rispetto all’oggetto prodotto con
essa, si presta perfettamente ad esprimere l’ostentazione volgare di Rufino.
Per l’uso in un contesto moralistico cfr. Petron. 88, 10 noli ergo mirari, si
pictura defecit, cum omnibus diis hominibusque formosior videatur massa
auri quam quicquam Apelles Phidiasque, Graeculi delirantes, fecerunt.
Nel 16 d.C. il senato aveva proibito l’uso di vasellame d’oro massiccio per
i cibi (cfr. Tac. ann. II 33, 1); il divieto era tuttavia largamente infranto,
come si deduce da numerose testimonianze: cfr. Sen. dial. VII 17, 2; XII
11, 3; epist. 119, 3; Iuv. 5, 39; 10, 27. Altrove Marziale parla di vasellame
placcato d’oro (chrysendetae) come simbolo del lusso dei patroni: I 37, 1;
II 43, 11; 53, 5; III 26, 2; IV 39, 7; VI 94, 1; X 49, 4 sg.; XI 29, 7; XII 49,
4; XIV 97; 109 (cfr. Isid. orig. XX 4, 8 chrysendeta vasa deaurata; Mart.
IV 39, 7 quae Callaico linuntur auro; sulle chrysendetae vd. Leary1 a XIV
97, p. 158; RE III 2494, 63 sgg.; Hilgers 1969, p. 145). Massa pone pertanto
in risalto l’eccessiva esibizione di ricchezze da parte di Rufino. La lezione
mensa di V² ha perciò tutta l’aria di una banalizzazione, favorita sia dalla
vicinanza grafica dei due nomi che dalla presenza nel contesto prossimo di
dapes (cfr. III 58, 42 nec avara servat crastinas dapes mensa). Tra l’altro non
sono attestate mensae aureae, ma quelle di maggior pregio erano di legno
di cedro: cfr. XIV 89 tit. mensa citrea. accipe felices, Atlantica munera,
silvas: / aurea qui dederit dona, minora dabit (con il commento di Leary1);
vd. anche II 43, 9; IX 22, 5; 59, 10; X 80, 2; 98, 6; XII 66, 6; XIV 3. Tale
considerazione è certamente alla base della congettura citrea per aurea di
Heinsius, che leggeva mensa.
5. fastidire … noli … minores: l’invito a tenere un contegno meno
altezzoso verso i meno abbienti (minores) contiene un’implicita richiesta
di non valutare le persone con il solo metro della ricchezza (secondo un
diffuso adagio l’uomo tanto vale quanto possiede: vd. Otto, Sprichwörter,
p. 157; Tosi 1994, nr. 1784). Per l’atteggiamento di rispetto verso gli inferiori
cfr. Sen. nat. IVa praef. 18 adice adversus minores humanitatem, adversus
maiores reverentiam. Il nesso fastidire minores ricorre ancora in Claud.
VIII 303 sg. his tamen effectis neu fastidire minores / neu pete praescriptos
homini transcendere fines. Per una iunctura analoga cfr. Quint. decl. 301,
Epigramma 31 273
per i nomi propri maschili greci, che i copisti tendono a normalizzare: cfr.
I 31, 2 Encolpos (-os : -us T ; vd. anche V 48, 2); I 50, 1 Mystillos (-os
LP: -us TQ in ras. ); I 92, 1 Cestos (-os L : -us TPQf); VI 68, 4 Eutychos;
VII 10, 1 Eros (vd. anche X 56, 6; 80, 1. 5); IX 56, 1 Spendophoros (-us
E); sulla grafia dei nomi propri greci in Marziale vd. Renn 1888-89, pp.
21-23; Lindsay 1904, p. 29 sg.; in generale Neue-Wagener I, pp. 191-207,
specialmente 204 sg. per i nomi di persona. Gli esempi citati consentono
di osservare come spesso L conservi la grafia originaria. L’accostamento di
nomi propri con desinenze greca e latina risponde al gusto alessandrino per
la variatio e ricorre spesso nella poesia augustea: cfr. Ov. epist. 13, 53 Ilion
et Tenedos Simoisque et Xanthus et Ide; 18, 127 vel tua me Sestus, vel te
mea sumat Abydos (corregge Sestos Kenney 1996); met. I 579 sg. populifer
Sperchios et inrequietus Enipeus / Apidanusque senex lenisque Amphrysos
et Aeas; III 210 Pamphagos et Dorceus et Oribasos, Arcades omnes; in
Marziale cfr. VI 77, 1 sg. cum sis tam pauper quam nec miserabilis Iros, /
tam iuvenis quam nec Parthenopaeus erat, dove hanno Irus, ma heros
di T rende assai probabile Iros di Heinsius, accolto da tutti gli editori con
l’eccezione di SB, che rimanda a XII 32, 9 Irus tuorum temporum (Irus
, manca la prima famiglia), dove però l’uso antonomastico del nome
non avrebbe giustificato la desinenza greca (Irus ricorre in Ov. epist. 1,
95; trist. III 7, 42; ma Iron in rem. 747, senza necessità metrica); VII 10,
1 pedicatur Eros, fellat Linus (vd. anche la n. a 32, 3 possum Hecubam,
possum Nioben). – Philomelus: si tratta dello stesso personaggio nominato
in IV 5, 9 sg. unde miser vives? ‘homo certus, fidus amicus’ / hoc nihil est:
numquam sic Philomelus eris, che corrobora l’ipotesi di ingenti ricchezze
ottenute con mezzi non onesti. Potrebbe trattarsi dello stesso Filomelo
nominato in III 93, 22 come uomo molto vecchio (vd. la n. ad loc.).
Epigramma 32 275
32
vv. 1-2 hab. R tit. ad matriniam f²X: ad matrinia EAV ad matroniam R ad matriam
LPQf¹ 1 an possim vetulam quaeris, M.? distinxi: an possim vetulam quaeris, M. ed. Ferr.
Heraldus non possum vetulam. quereris, M.? v2 ed. Rom. 1 ed. Ven. ed. Rom. 2 Friedrich
num possim vetulam, quaeris M. Scriverius an possum R non possum quaeris R:
quaereris EAF quereris PQfXV quaerere L¹ te quaerere L² matrinia f² : matronia R
matria LPf¹ sed matria Q 2 sed tu R EAXV²s.l.: non tu V¹ mortua RLPf : matria
Q non vetula es R X: non tula es EA²V mortua es A¹ 3 hecubam L²Pf : heccubam Q
hubam L¹ nioben Qf: niobē L¹ niobā L² niobam P matrinia f²AXV²: matria LPf¹EV¹
o matria Q 4 erit (pr.) LPQf¹EAX: erat f²s.l.V erit (alt.) LPQf¹A: erat f²s.l.EXV
1-46; Richlin 1992, pp. 105-143). Nel corpus marzialiano il tema ricorre
frequentemente: particolare rilievo merita, per la sua notevole estensione,
l’epigr. 93 di questo libro; cfr. anche VII 75; IX 37; X 67; 90; XI 29; 62;
97. L’impossibilità di avere rapporti con una donna troppo anziana, se non
dietro pagamento, è alla base di VII 75; XI 29. Un comico capovolgimento
del motivo si trova nell’epigr. 76 di questo libro (Basso si eccita soltanto
con le vecchie). Il nome Matrinia, senz’altro fittizio, ricorre in Marziale
solo in questo epigramma (per la variante Matronia di R vd. la n. al v. 1).
3: la menzione di grandi figure del mito nel contesto umile degli epigrammi
produce effetti di notevole comicità; Marziale vi fa ricorso frequentemente:
cfr. I 62, 6 (una casta matrona in villeggiatura a Baia) Penelope venit, abit
Helene (vd. Citroni, ad loc.); III 76, 4 (a Basso che si eccita solo con donne
vecchie) cum possis Hecaben, non potes Andromachen!; in relazione alla
vecchiaia cfr. X 67; Priap. 57. Alcuni epigrammi di Lucillio (AP XI 69; 278;
408) costituiscono certo un precedente, ma avrà probabilmente influito su
Marziale anche la demitizzazione degli eroi omerici operata da Ovidio (cfr.,
ad es., ars II 709 sgg.). – Hecubam: la figura di Ecuba, sbiadita nell’Iliade,
era stata ingigantita dai tragici e presto presa come bersaglio dai comici
(vd. Sittig, RE VII 2652-2662; Roscher I 2, 1878, 26-1883, 61). Il nome è
usato da Marziale in modo antonomastico per indicare una donna vecchia
in III 76, 4 cit. supra. L’uso ricorre nell’epigramma greco in Mirino (poeta
della Corona di Filippo) che definisce la vecchia Laide (AP
XI 67, 2) e Lucillio (AP XI 408, 6); nella letteratura latina non vi sono
altri esempi. Per Ecuba come exemplum di vecchiaia cfr. Mart. X 90, 5 sg.
istud … belle / non mater facit Hectoris, sed uxor; Priap. 12, 1 quaedam
haud iunior Hectoris parente; vd. anche AP V 103, 4. In questo caso
non c’è antonomasia, ma Marziale afferma scherzosamente di ‘potersi
fare’ la vera Ecuba, purché ancora non trasformata in cagna. – Nioben:
citata in relazione alla sua vecchiaia dal solo Marziale anche in X 67, 2 (la
vecchissima Pluzia) quam vidit Niobe puella canam. La vecchiaia di Niobe
non è evidenziata dalla tradizione e Marziale l’avrà probabilmente dedotta
dall’elevato numero dei suoi figli (14 secondo la tradizione più diffusa),
che la avvicina ad Ecuba (cui la unisce anche la metamorfosi che Marziale
sfrutta per la pointe). Su Niobe vd. il commento di Bömer2 a Ov. met. VI
146 sgg.; Roscher III 1, 372, 1- 423,55; Lesky, RE XVII 645, 9-706, 7. Il
nome è sempre usato dai poeti latini e da Marziale secondo la declinazione
greca (come gli altri nomi greci in –e: vd. Renn 1888-89, pp. 16-17): cfr.
V 53, 2 Nioben; X 67, 2 Niobe; Prop. II 20, 7; Ov. am. III 12, 31; met.
VI 148; 156; 165; 273; 287; Pont. I 2, 31; trist. V 1, 57; 12, 8; Stat. Theb.
VI 124; IX 682; Iuv. 6, 177; Nioba ricorre in poesia soltanto in Prop. III
10, 8 et Niobae lacrimas supprimat ipse lapis. Appare dunque nettamente
preferibile la lezione della seconda famiglia (L¹Qf), mentre Niobam ha
tutta l’aria di una normalizzazione (hanno scelto Nioben Friedlaender,
Duff, Ker, Heraeus; Niobam Schneidewin, Gilbert, Lindsay, Izaac, SB, che
considera anche in apparato la possibilità di leggere Hecaben … Nioben,
280 M. Val. Martialis liber tertius
33
34
35
om. P ( = LQf) tit. de mechanico Lf : pisces lignei Q 1 artis V²: aris EAXV¹ phidiacae
E: pidiacae AXV clarum LQf¹ : clarum apici f² 2 pisces aspicis QfV²in mg.: pisces
apicis L respices aspicis EA respicis aspicis XV¹ adde Lf : addo Q
sgg. Il vocabolo ricorre per la prima volta in poesia in Culex 67; quindi in
Marziale (IV 39, 4; VIII 6, 15; XI 11, 1; XII 74, 5; XIV 94, 1; 101, 2) e in
Epigr. Bob. 21, 3; qui si tratta probabilmente di una phiala.
2. adde aquam, natabunt: la struttura paratattica del periodo ipotetico,
con imperativo nella protasi, seguito per lo più da futuro, è propria della
lingua d’uso: cfr., ad es., Plaut. Asin. 350 ausculta ergo, scies; Petron. 44,
3 serva me, servabo te; ricorre anche in poesia: cfr. Ov. am. II 2, 40; III 9,
37 sg.; fast. I 17 (numerosi esempi ovidiani in Bömer1, p. 9); in Marziale la
forma è frequente: cfr. I 58, 6; II 29, 10; IV 29, 10; VII 58, 7 sgg.; XIII 79,
2; XIV 146, 1; sull’argomento vd. Hofmann-Szantyr, p. 656 sg.; Hofmann,
LU, p. 255 sg.
290 M. Val. Martialis liber tertius
36
hab. T; vv. 1-4 hab. R tit. ad fabianum sterilem amicum Rf²EA: ad favianum sterilem
amicum T ad fabrianum sterilem amicum f¹ ad fabinianum sterilem amicum XV ad fabiam
sterilem amicum L de mechanico PQ (ad 35 pertinens) 1 novus R : nonus T 2 fabiane
EXV: famiane A 3 semper te : te semper 4 per mediumque R EA²XV: per
medium quae A¹ per medium T trahat EXV: trahit A lutum LPQf² : lutus f¹ 5
decima TPQ² : decuma LQ¹f 6 sequar : sequor T laver Q²f² : laber TLQ¹f¹ liber
P titi T EA¹XV: lacu A²s.l. 7 fabiane T AV: faviane EX 9 fabiane TLPQf² : om. f¹
toga tritaque TQ : togata tritaque LPf meaque T V²: meraque EAXV¹
Marziale si lamenta con il patrono Fabiano dei servigi che questi continua
ad imporgli come cliente, sebbene lo conosca ormai da trent’anni, e chiede
in conclusione di essere congedato dagli obblighi. La recriminazione per le
fatiche patite come cliente è uno dei motivi centrali dell’opera marzialiana:
Epigramma 36 291
cfr. I 108; II 5; 32; 46; 55; IV 26; V 19; 20; 22; VIII 14; IX 6 (7); 100; X 56; 74;
82; XII 29; 40. In questo libro il tema trova ampio spazio (vd. l’Introduzione,
p. 60): cfr. gli epigr. 37; 38, 11 sg.; 41 (40); 46; vd. anche 7; 14; 30; 60, che
riguardano l’abolizione della sportula e il peggioramento delle condizioni
dei clienti. Al distico iniziale, che presenta il motivo della recriminazione
del poeta, fa seguito la menzione esplicita dei faticosi officia cui egli deve
sottostare abitualmente (3-6). Gli ultimi versi (7-10), attraverso l’anafora di
hoc merui e l’uso delle interrogative, mettono in risalto il disagio del poeta,
che conclude l’epigramma con una richiesta di congedo. La delusione per
la mancata evoluzione nel corso degli anni del rapporto patrono-cliente
consente di avvicinare a questo epigramma VII 86, in cui Marziale lamenta
di non essere stato invitato al pranzo di compleanno di Sesto pur essendone
un vetus sodalis. Il nome Fabianus, piuttosto diffuso (vd. Kajanto 1965, p.
146), ricorre in IV 5; 24; XII 83. Qui è probabilmente fittizio.
3: la salutatio, uno tra gli obblighi principali dei clienti, si svolgeva di primo
mattino; Marziale lamenta spesso il sonno perso e le lunghe camminate per
recarsi di buon ora nella dimora del patrono e parla a volte, con esagerazione,
di notte fonda per le sue salutationes: I 108, 5 migrandum est ut mane domi
te, Galle, salutem; II 18, 3 mane salutatum venio; IV 8, 1 prima salutantes
atque altera conterit hora; V 22, 1 mane domi nisi te volui meruique videre;
VI 88, 1 mane salutavi; VIII 44, 4 sg. omne limen conteris salutator / et
mane sudas urbis osculis udus; X 10, 2 mane salutator; 70, 5 non resalutantis
video nocturnus amicos; 82, 2 mane vel a media nocte togatus ero; XII
29 (26), 1 sgg. sexagena teras cum limina mane senator, / esse tibi videor
desidiosus eques, / quod non a prima discurram luce per urbem; XIV 125 tit.
toga. si matutinos facilest tibi perdere somnos / attrita veniet sportula saepe
toga; cfr. anche Iuv. 3, 126 sgg. quod / pauperis hic meritum, si curet nocte
togatus / currere; 5, 19 sg. habet Trebius propter quod rumpere somnum /
debeat. – horridus: ‘intirizzito dal freddo’: cfr. IX 92, 5 sg. Gaius a prima
tremebundus luce salutat / tot dominos; l’attributo sottolinea la povertà del
cliente, coperto soltanto da una toga logora: cfr. II 46, 7 sg. tu spectas hiemem
succincti lentus amici / pro scelus! et lateris frigora trita times (times codd.;
tui è congettura anonima apud Schrevel, accolta da alcuni editori e tutt’altro
che risolutiva; il testo tradito però suscita notevoli perplessità). Per questa
accezione di horridus cfr. Pers. 1, 54 scis comitem horridulum trita donare
lacerna (Serv. georg. III 199 id est trementem), in analogo contesto; Ov. am.
II 16, 19 si premerem ventosas horridus Alpes; vd. ThlL VI 3, 2995, 38-
41; in Marziale cfr. VII 36, 5 horridus … December; 95, 1 riget horridus
December, in cui l’attributo va inteso in senso causativo (‘che fa rabbrividire’).
Per l’uso di horreo in contesti analoghi cfr. Petron. 83, 9 v. 10 sola pruinosis
horret facundia pannis; Iuv. 1, 93 horrenti tunicam non reddere servo (schol.
trementi, nudo). – ut: sulla posposizione delle particelle, frequente a partire
dalla poesia augustea, vd. la n. a 19, 5; in questo epigr. cfr. anche v. 5 lassus ut.
– primo … mane: per mane sostantivato in Marziale cfr. I 49, 36 mane totum
dormies (vd. Citroni, ad loc.); VII 39, 1 vagum … mane. L’uso è attestato fin
da Plauto, prevalentemente in testi di carattere umgangssprachlich e nel latino
tardo, ma cfr. anche Verg. georg. III 325 mane novum; Hor. sat. I 3, 17 sg. ad
ipsum / mane. – semper te: l’ordo verborum offerto dai codici delle famiglie
appare migliore di quello della famiglia (te semper) per via della ‘legge
di Marx’ (vd. Marx 1922, pp. 198; 210 sgg. e la n. a 15, 1). Accolgono tuttavia
il testo della prima famiglia Schneidewin, Gilbert, Friedlaender.
Epigramma 36 293
4: seguire a piedi il patrono trasportato in lettiga nei suoi giri per la città
era il servigio più stancante per i clienti (cfr. v. 5 lassus) e quello che sottraeva
loro più tempo: cfr. III 46, 4 vix ego lecticam subsequar; IX 22, 10 et mea sit
culto sella cliente frequens; 100, 3 praecedere sellam (si tratta della mansione
dell’anteambulo, su cui vd. la n. a 7, 2); X 10, 7 lecticam sellamve sequar?
nec ferre recusas. – per medium … lutum: le strade fangose costituivano per
il cliente, costretto a lunghe camminate, un fastidio ulteriore: cfr. X 10, 8 per
medium pugnas et prior ire lutum; XII 29 (26), 7 sg. at mihi quem cogis
medios abrumpere somnos / et matutinum ferre patique lutum; VII 61, 6
medio … luto (in un contesto diverso); Iuv. 3, 247 pinguia crura luto; 7, 131
lutulenta … turba; vd. anche Lucian. merc. cond. 13; 24.
5 sg.: il cliente concludeva spesso la propria giornata accompagnando il
patrono alle terme, dove riceveva la sportula: cfr. 7, 2 sg. anteambulonis
congiarium lassi / quos (sc. centum quadrantes) dividebat balneator elixus
e la n. ad loc.; X 70, 13 sg. balnea post decimam lasso centumque petuntur /
quadrantes. Lassus ricorre spesso per indicare le fatiche sostenute dai clienti:
III 7, 2 cit. supra; V 22, 10 negat lasso ianitor esse domi; X 74, 1 sg. iam
parce lasso, Roma, gratulatori, / lasso clienti; XII 29 (26), 2 sgg. esse tibi
videor desidiosus eques, / quod non a prima discurram luce per urbem /
et referam lassus basia mille domum; Iuv. 1, 132 vestibulis abeunt veteres
lassique clientes. – ut: sulla posposizione delle particelle vd. la n. a 19, 5.
– decima vel serius hora: cfr. X 70, 13 cit. supra; in I 108, 9 ipse salutabo
decima te saepius hora, la lezione della seconda famiglia (i. s. decima vel
serius hora) è con buona probabilità interpolata da questo verso e rigettata
da tutti gli editori (vd. Citroni, ad loc.; Lindsay 1903, p. 15).
6: le terme di Agrippa si trovavano nel Campo Marzio, a S del Pantheon;
quelle di Tito a NE dell’Amphiteatrum, a fianco della Domus Aurea
(vd. LTUR V, ss.vv. thermae Agrippae; thermae Titi). Sono nominate
insieme ancora in III 20, 15 Titine thermis an lavatur Agrippae? (vd. la
n. ad loc.). L’espressione brachilogica cum laver ipse Titi (sc. in thermis)
è probabilmente alla base della congettura lacu di A² s.l. Sulle brachilogie,
ampiamente diffuse nella lingua d’uso, vd. Hofmann, LU, p. 339 sgg.,
specialmente p. 347; Hofmann-Szantyr, p. 827.
7 sgg.: l’epigramma si conclude con due interrogative scandite dall’anafora di
hoc merui (7; 9). La collocazione del dimostrativo in apertura di entrambi i versi
enfatizza la delusione del poeta per quanto ottenuto. Il tono di disapprovazione
emerge anche dalla ripetizione del nome del patrono al vocativo nei vv. 7; 9.
294 M. Val. Martialis liber tertius
tam bonus gladiator rudem tam cito?; Hor. epist. I 1, 2 sg. spectatum satis
et donatum iam rude quaeris, / Maecenas, iterum antiquo me includere
ludo?; Ov. trist. IV 8, 24 me quoque donari iam rude tempus erat; Iuv. 7,
171 ergo sibi dabit ipse rudem. Nel verso marzialiano la metafora appare par-
ticolarmente calzante, perché suggerisce un legame tra la misera e faticosa
condizione del cliente e quella del gladiatore.
296 M. Val. Martialis liber tertius
37
om. A ( =EXV) tit. ad amicos felices : ad amicos LPf ad amicos divites Q 2 facitis
XV: factis E facite f² : facere LPQf¹
38
quam modo moecha fuit (turpius , Heraeus, SB: turpior , Lindsay; vd.
Grewing, ad loc.); VII 96, 7 sg. sic ad Lethaeas, nisi Nestore serior, undas
/ non eat (serior , edd.: serius ); XI 84, 5 mitior implicitas Alcon secat
enterocelas (mitior , edd.: mitius T).
4. in triplici … foro: nei tre fori (Romano, di Cesare, di Augusto)
veniva esercitato il diritto (vd. ThlL VI 1, 1207, 46-78; LTUR II, ss.vv. f.
Augustum, f. Iulium, f. Romanum); l’espressione ricorre ancora in VIII
44, 6 foro … triplici; vd. anche VII 65, 2 tribus … foris; Ov. trist. III 12,
24 pro … tribus … foris; Sen. dial. IV 9, 4 trina … fora; Stat. silv. IV 9,
15 trino … foro. Il Foro di Nerva, nominato in I 2, 8 come Palladium
forum, fu dedicato dall’imperatore nel 97. Dal momento che Marziale lo
menziona soltanto nel decimo libro come opera recente (28, 6; cfr. anche
51, 12; Stat. silv. IV 1, 14 sgg.), la sua presenza in I 2 è un forte indizio per
la seriorità dell’epigramma, peraltro già suggerita dall’autopresentazione
di Marziale come poeta celebre e richiesto (sulla questione vd. Citroni, ad
loc.). L’uso di triplex per tres è prevalentemente poetico; in Marziale cfr.
anche VIII 44, 6 cit. supra; X 51, 12 triplices thermae.
5 sg. egit Atestinus causas et Civis …: l’avvocatura è attività scarsamente
redditizia anche in VI 8; XII 72; XIV 219; Iuv. 7, 106 sgg.; viene presentata
da Marziale come remunerativa solo rispetto all’attività poetica: cfr. II 30,
5 sg.; V 16, 14; IX 68, 5 sg.; XII 68. Atestino e Cive sono due causidici non
altrimenti noti. Secondo SB i due nomi potrebbero essere fittizi (vd. index
nominum, ss. vv.). Il nome Civis è attestato nel CIL (vd. ThlL onom. II
465, 62 sgg.; Kajanto 1965, p. 314). Atestinus è nome proprio derivato
dall’etnico (da Ateste, l’odierna Este, in Veneto, su cui vd. Hülsen, RE II
1925); non ricorre altrove. – utrumque / noras: se Sesto è un cisalpino
(cfr. v. 2), probabilmente anche Atestino e Cive dovevano esserlo (dunque
il nome Atestinus tradirebbe la sua origine). L’esempio di Marziale
risulterebbe così molto efficace per il provinciale Sesto. Il passato sembra
indicare che i due non erano più in vita al momento della composizione
dell’epigramma (cfr. V 10, 10 norat Nasonem sola Corinna suum). Per
Friedlaender invece dovevano aver lasciato di nuovo Roma per le loro
difficoltà economiche. L’inserzione di espressioni parentetiche è frequente
nella lingua d’uso (vd. Hofmann, LU, p. 262 sgg.; Hofmann-Szantyr, p. 472
sg.); per una formula analoga in Marziale cfr. VII 51, 3 Pompeium quaeres
-et nosti forsitan-Auctum. – sed neutri pensio tota fuit: l’impossibilità di
pagare la pigione è indice della misera condizione anche in III 30, 3 unde
302 M. Val. Martialis liber tertius
tibi togula est et fuscae pensio cellae? Il pagamento dell’affitto era versato con
scadenza annuale: cfr. XII 32, 2-4 vidi, Vacerra, sarcinas tuas, vidi; / quas
non retentas pensione pro bima / portabat uxor; Iuv. 3, 225 quanti nunc
tenebras unum conducis in annum; vd. RE Suppl. VI 386, 44 sgg.; questo
provocava difficoltà ai meno abbienti nel reperimento dell’intera somma
(tota). Non persuasiva appare pertanto la proposta di Fröhner 1912, p. 170
di leggere tuta fuit «keiner von beiden war sicher, seine jährliche Hausmiete
bezahlen zu können». Sugli elevati affitti a Roma vd. B.W. Frier, The rental
market in early imperial Rome, «JRS» 67, 1977, pp. 29-37; L.E. Dearns,
«AJAH» 9, 1984, pp. 163-164. Neuter, piuttosto raro in poesia classica (4
casi in Ovidio, uno in Orazio e in Ciris), ricorre in Marziale ancora in X
46, 2; cfr. anche V 20, 11 nunc vivit necuter sibi, bonosque (necuter sibi
Schneidewin, edd.: neuter sibi nec ut eius ibo ).
7. hinc: l’uso dell’avverbio in luogo di un pronome è già nel latino arcaico,
anche di tono solenne (vd. Nisbet-Hubbard1, p. 151); è diffuso nella lingua
colloquiale: vd. Löfstedt, Syntactica, II, p. 149 sgg.; Hofmann-Szantyr, p.
208 sgg.; cfr. Catull. 63, 74; 68, 10; 116, 6; Ov. fast. IV 171; 230; in Marziale
cfr. XI 31, 7 sgg. – veniet: per l’accezione ‘tecnica’ di venire cfr. IV 61, 11
hereditatis tibi trecenta venisse; XIV 125, 2 attrita veniet sportula saepe
toga. – pangentur: l’uso metaforico di pangere per ‘comporre’ un’opera
letteraria appartiene allo stile alto: la prima attestazione ricorre in Enn.
Ann. 299 V2 tibia Musarum pangit melos. Pangere carmina è iunctura
presente in Lucr. I 933 sg. obscura de re tam lucida pango / carmina;
Tac. ann. XIII 3, 3 carminibus pangendis; cfr. anche Hor. epist. I 18, 40
poemata panges; vd. ThlL X 1, 207, 69- 208, 12. Sesto dunque si esprime
in termini comicamente altisonanti; l’uso ironico dello stilema si trova già
in Orazio ars 416 sgg. nunc satis est dixisse:‘ego mira poemata pango. /
occupet extremum scabies, mihi turpe relinqui est / et quod non didici
sane nescire fateri’, che attribuisce queste parole al poeta che non vuole
sottoporsi alle fatiche che l’arte poetica richiede (vd. il commento di Brink,
ad loc.). In Marziale cfr. anche XI 3, 7 at quam victuras poteramus pangere
chartas. – nobis: il dativo d’agente, usato prevalentemente con il part.
perf. pass. o con forme composte del verbo, ricorre in poesia in modo
piuttosto libero (vd. Hofmann-Szantyr, p. 96 sgg.); le forme pronominali
sono frequenti. In Marziale cfr. III 60, 4 sugitur inciso mitulus ore mihi;
IV 86, 1 si vis auribus Atticis probari; VI 85, 1 sg. editur en sextus sine
te mihi, Rufe Camoni / … liber; X 70, 13 sg. balnea post decimam lasso
Epigramma 38 303
fame; Prud. C. Symm. II 916 mortalis pallere inopes ac panis egenos; vd.
anche Ps. Quint. decl. 12, 2; 12, 7. – cetera turba: la contrapposizione con
tres aut quattuor mette in risalto l’elevato numero di coloro che soffrono
la fame. Turba indica la folla degli indigenti anche in X 10, 3 sg. hic ego
quid faciam? quid nobis, Paule, relinquis, / qui de plebe Numae densaque
turba sumus?
13. Quid faciam, suade: l’interpunzione di SB appare senz’altro preferibile
a quella vulgata (quid faciam? suade), influenzata probabilmente da Iuv. 3,
41 quid Romae faciam? mentiri nescio eqs., in contesto analogo (cfr. anche
Mart. X 10, 3 hic ego quid faciam?). Le offre sostegno l’esatto parallelo
di questa espressione in Ps. Quint. decl. 5, 12 suadete, quid faciam (=
7, 3). – certum est: locuzione di stampo colloquiale; esprime una decisa
risoluzione (vd. ThlL III 911, 17 sgg.). Essa ricorre ben 63 volte in Plauto
e 8 volte in Terenzio. In Marziale cfr. anche V 60, 3 certum est hanc tibi
pernegare famam.
14. si bonus es: a Roma soltanto i disonesti hanno la certezza di arricchirsi,
mentre i boni possono affidarsi unicamente al caso: cfr. VI 50, 1 sgg. cum
coleret puros pauper Telesinus amicos, / errabat gelida sordidus in togula:
/ obscenos ex quo coepit curare cinaedos, / argentum, mensas, praedia
solus emit. / vis fieri dives, Bithynice, conscius esto. / nil tibi vel minimum
basia pura dabunt (su cui vd. il commento di Grewing); vd. anche IV 5, 1
sg. vir bonus et pauper linguaque et pectore verus, / quid tibi vis urbem
qui, Fabiane, petis?; 9 sg. unde miser vives? ‘homo certus, fidus amicus’ /
hoc nihil est: numquam sic Philomelus eris (su Filomelo vd. la n. a 31, 6);
Plin. epist. II 20, 12 in ea civitate, in qua iam pridem non minora praemia,
immo maiora, nequitia et improbitas quam pudor et virtus habent; Iuv.
1, 73 sgg. aude aliquid brevibus Gyaris et carcere dignum, / si vis esse
aliquid. probitas laudatur et alget; / criminibus debent hortos, praetoria,
mensas, / argentum vetus et stantem extra pocula caprum; 3, 21 sgg. hic
tunc Umbricius:‘quando artibus-inquit-honestis / nullus in urbe locus,
nulla emolumenta laborum’ eqs. Non appaiono pertanto giustificate le
correzioni del testo proposte da Shackleton Bailey 1978, p. 276 = Id. 1997,
p. 68 (ni bonus es o si penus est) e da L. Håkanson, Miscellanea critica,
«Phoenix» 36, 1982, p. 241 sg. (censu per casu), rigettate dallo stesso SB
nelle sue edizioni (vd. SB1 in apparato: «nullam, si quis bonus est, certam
quaestus viam inveniet, si malus, multas. eis quae ego et Håkanson olim
coniecimus nihil opus erat»). Altrettanto poco plausibile l’ipotesi, avanzata
306 M. Val. Martialis liber tertius
da Walter, p. 132 sg, che bonus significhi «gut im Bett». – casu vivere
… potes: Marziale evidenzia, con amara ironia e con un’espressione
paradossale, un’anomalia della vita a Roma, città nella quale gli onesti
devono tirare avanti senza certezze, in balia del caso, mentre i corrotti sono
sicuri di arricchirsi. Casu ha qui valore pressoché avverbiale (cfr. CGL IV
216, 13 ; II 461, 20 ; II 98, 17. 293, 34 ).
Meno persuasiva l’interpretazione di Friedlaender, ad loc.: «Durch einen
(glücklichen) Zufall, also, wenn du Glück hast», condivisa da Hey (ThlL III
575, 27 sgg.): l’affermazione di Marziale assume un carattere di sententia
generale se non si dà a casus il valore di ‘singolo evento (positivo)’, ma
quello più ampio di ‘caso’, ‘sorte’. Costituisce un parallelo unicamente
lessicale con questa espressione Soph. O. T. 979 ,
citato da SB2, I, p. 227 n. b, in cui Giocasta esorta Edipo a vivere alla
giornata, senza troppe preoccupazioni. Non molto più di una affinità
formale con Marziale mostra anche Sen. epist. 71, 3 ignoranti quem
portum petat nullus suus ventus est. necesse est multum in vita nostra
casus possit, quia vivimus casu, citato a confronto da Shackleton Bailey
1978, p. 276 = Id. 1997, p. 68, dove il filosofo lamenta l’assenza di un
fine nelle azioni dell’uomo, che si muove colpevolmente in balia del caso,
ignorando quale sia il vero bene.
Epigramma 39 307
39
per una simile conclusione cfr., ad es., XII 50, 7 sg. atria longa patent. sed
nec cenantibus usquam / nec somno locus est. quam bene non habitas!
Il nome Lycoris, associato ad Apollo ( è epiteto del dio), era
stato reso famoso dalle elegie di Cornelio Gallo (cfr. VIII 73, 6 ingenium
Galli pulchra Lycoris erat); esso compare anche in Hor. carm. I 33, 5 per
una bella fanciulla. In Marziale ricorre spesso, con intenzione antifrastica,
per etere (si tratta per lo più del tipo dell’etera brutta e invecchiata): cfr.
I 72, 6 sg.; 102; IV 24; 62, 1; VI 40; VII 13. Altrove è raramente attestato
(vd. Pape-Benseler, p. 827). Forse in questo caso ha influito nella scelta la
possibilità di realizzare l’allitterazione (lu … Ly …).
40 (41)
om. Q¹, add. Q² in mg. cum 39 confl. LPf tit. de phiola EA: ad phiola XV ad phialum
f² in mg. de lacerta celata Q² om. LPf¹ 1 ducta Q²f² : ductat LPf¹
phiala aurea caelata di Mys è il soggetto di XIV 95; il dono di una phiala
suggerisce a Marziale un fantasioso epigramma (VIII 33), in cui ne descrive
la sottigliezza attraverso un succedersi di immagini (vd. al riguardo le fini
osservazioni di La Penna 1992, p. 7 sgg.); in VIII 50 Marziale esalta una
phiala donatagli da Instanio Rufo attribuendola scherzosamente ai maggiori
cesellatori. – ducta: duco qui nell’accezione ‘tecnica’ relativa a opere scolpite
o cesellate: cfr. Verg. Aen. VI 847 sg. excudent alii spirantia mollius aera /
(credo equidem), vivos ducent de marmore vultus; vd. ThlL V 1, 2148, 64-
2149, 17; Bömer 1952, p. 120 sg. Per ducta assoluto (sc. ex aere) cfr. Claud.
carm. min. 7, 7 sg. (tit. De quadriga marmorea) una silex tot membra ligat
ductusque per artem / mons patiens ferri varios mutatur in artus; un uso
analogo del verbo in greco si trova in Mimn. El. 10, 5 sg. D. (=
5, 5 sg. G.-P.)
. Non appaiono pertanto necessarie le congetture ductae di Heinsius
e docta di Rooy. La lezione ductat (LPf¹) può essere forse una dittografia
dipendente dalla scrittura: nella beneventana infatti la a e la t si confondono
(ad un archetipo in beneventana per la seconda famiglia conducono alcuni
errori caratteristici della scrittura: vd. Lindsay 1901, p. 416 sg.; Reeve 1983,
p. 240). Per casi analoghi cfr. V 18, 8 musca (muscat ); XI 8, 4 verna
(vernat ); vd. Heraeus, ad I 48, 6, p. XXIV.
2. lacerta: il soggetto dell’opera è posto in risalto all’inizio del verso, in
rima interna con l’incipit dell’epigramma (inserta). Sulla corrispondenza
tra lacerta e / vd. RE XI 1957, 60 sgg.; ThlL VII 2, 828,
40 sgg.; cfr. XIV 172, 1 (tit. Sauroctonos Corinthius) ad te reptanti, puer
insidiose, lacertae. Il femminile ricorre in Copa 28; Hor. carm. I 23, 7;
Ov. met. V 458; il maschile lacertus in Verg. ecl. 2, 9; georg. IV 13. – vivit:
l’opera è così realistica da sembrare viva; sull’uso pregnante di vivere in
contesti analoghi vd. Bömer 1952, p. 122; Fuà 1973, p. 54.
Epigramma 41 311
41 (40)
A Telesino, che si sente munifico per aver prestato al poeta una somma
di denaro elevata, Marziale controbatte che non è tanto lodevole il suo
prestito, dal momento che è ricchissimo, quanto la restituzione della somma
da parte dell’amico bisognoso. Prestiti e debiti costituiscono il tema di
numerosi epigrammi di Marziale: cfr. I 75; II 3; 30; VI 5; 20; 30; VIII 9; IX
102; X 15 (14); XI 76 (sul motivo vd. Grewing, p. 98 sgg.). L’idea di fondo
dell’epigramma è che il ricco patrono potrebbe senz’altro permettersi di
donare quanto gli viene richiesto e dunque esigere la restituzione del prestito
equivale ad ammettere la propria scarsa generosità (sul tema del declino del
patronato cfr., ad es., XII 36). Il nome Telesino ricorre anche in VI 50 e XII
25; in quest’ultimo è un ricco che presta denaro soltanto dietro garanzia. In
Iuv. 7, 25 Telesino è il nome di un poeta indigente. Per le attestazioni del
nome, che deriva dalla città di Telesia, vd. Kajanto 1965, pp. 50; 52; 187.
42
Polla è una vecchia etera che tenta di nascondere i segni del tempo con
un preparato di farina di fave (lomentum). Nell’ultimo distico, che assume
la forma di un ammonimento morale, Marziale la invita non nascondere
i propri difetti e conclude con un’espressione dal carattere sentenzioso.
L’epigramma è rivolto a coloro che tentano di apparire migliori di quello
che sono, celando i propri difetti: allo stesso filone appartengono gli
epigrammi contro chi si profuma troppo (vd. la n. intr. all’epigr. 55) e
contro chi si tinge (vd. la n. intr. all’epigr. 43, rivolto ad un tale che si tinge
i capelli). Il nome Polla, piuttosto diffuso (vd. Kajanto 1965, p. 243 sg.),
ricorre in Marziale anche in X 40; 69; 91; XI 89 per diversi tipi; in VII 21;
23; X 64 si tratta di Polla Argentaria, la vedova di Lucano.
43
hab. R tit. ad l(a)etinum qui caput tingebat Lf: ad l(a)etinum RPQ 1 iuvenem
R EA²XV: iuvem A¹ 2 modo RLP²s.l.Qf : om. P¹ cycnus EAX: cygnus R cignus V
3 non RLPQ²f : nam Q¹ fallis RLPQf¹: falles f²s.l.
A Letino, che si tinge i capelli per apparire giovane, Marziale ricorda che
egli potrà anche ingannare gli uomini, ma non sfuggire alle leggi di natura
(rappresentate da Proserpina). L’epigramma prende di mira l’uso di tinture
o cosmetici per assumere un aspetto più giovanile. Il tema è diffuso sia
nell’epigramma greco del tardo periodo repubblicano e della prima età
imperiale (cfr. AP V 76, 5; XI 66; 67; 68; 69; 256; 310; 374) che nel mondo
romano (cfr. Tib. I 8, 9 sgg.; 43 sgg.; Prop. I 2; II 18 b; Ov. am. I 14; ars III
163 sg.); sull’argomento vd. Brecht 1930, pp. 62-64; Pertsch 1911, p. 39 sg. In
Marziale ricorre ancora in IV 36 cana est barba tibi, nigra est coma: tinguere
barbam / non potes -haec causa est- et potes, Ole, comam (che, come questo,
prende di mira un uomo, differenziandosi dalla tradizione, in cui tale satira
appartiene alla vetula-Skoptik). Come rilevato già da Prinz 1911, p. 55 sg. e
da Pertsch 1911, p. 18, l’epigramma mostra significative analogie con AP XI
408 (per un’accurata analisi comparativa vd. Burnikel, 1980, p. 48 sgg.):
; 5
.
Epigramma 43 317
canizie cfr. Aristoph. Vesp. 1064; Eur. Herc. 692 sgg.; Ba. 1365; in ambito latino
cfr. Ov. trist. IV 8, 1 sg. iam mea cycneas imitantur tempora plumas, / inficit
et nigras alba senecta comas. Cycnus, grecismo lessicale, appartiene alla lingua
poetica (a partire da Lucrezio).
3. fallis: la lezione di RLPQf¹ è senz’altro corretta: falles di f²s.l. sarà da
attribuire ad omeoteleuto (omnes falles) o ad attrazione del futuro del v. seguente
(detrahet). La stessa alternanza ricorre in IV 42, 15 iam scio nec fallis ( , edd.:
falles facilis ). Tra gli editori moderni solo Schneidewin1 ha accolto il futuro.
– scit te Proserpina canum: Proserpina, dea degli Inferi, recideva, secondo la
tradizione poetica, la ciocca di capelli fatale dal capo delle persone al momento
della loro morte (il motivo risale ad Eur. Alc. 74): cfr. Verg. Aen. IV 698 sg.
nondum illi flavum Proserpina vertice crinem / abstulerat Stygioque caput
damnaverat Orco; Hor. carm. I 28, 19 sg. nullum / saeva caput Proserpina
fugit (vd. anche Stat. silv. II 1, 147 iam complexa manu crinem tenet infera
Iuno). Su Proserpina e la sua funzione vd. C. Bailey, Religion in Virgil, Oxford
1935, p. 252 sg.; I. Chirassi Colombo, s.v. Proserpina, in EV IV, pp. 324-327. Il
nome latino Proserpina, derivato dal greco (vd. Wissowa 1912,
p. 310), già attestato nel latino arcaico (Naev. carm. frg. 29 M.; Enn. var. 59
V2), è l’unico usato da Virgilio e da Orazio (Prŏ- in Hor. carm. II 13, 21; Sen.
Herc. f. 548); in Ovidio si alterna con il greco Persephone; quest’ultimo soltanto,
comodo metricamente, è in Properzio e in Ligdamo. In Marziale Proserpina
ricorre ancora in XII 52, 13.
4. personam: la persona, maschera degli attori tragici, simboleggia qui l’ipo-
crisia di Letino. La metafora è piuttosto comune: cfr., ad es., Lucr. III 57 sg.
nam verae voces tum demum pectore ab imo / eliciuntur <et> eripitur
persona manet res; Publ. sent. H 19 heredis fletus sub persona risus est (vd.
anche Hor. epist. I 17, 29; Ov. Pont. III 1, 43); è molto cara a Seneca: cfr. clem.
I 1; dial. IX 17, 1; epist. 24, 13; 80, 8; ben. II 13, 2; sull’uso del filosofo vd.
M. Armisen-Marchetti, Étude sur les images de Sénèque, Paris 1989, p. 167; in
generale sulla metafora vd. M. Bellincioni, Il termine persona da Cicerone a
Seneca, in AA. VV., Quattro studi latini offerti a Vittore Pisani, Parma 1981,
pp. 37-115 (anche in Ead., Studi senecani e altri scritti, Brescia 1986, pp. 35-
102). In questo caso, come in AP XI 408, 4 cit. nella n. intr., il riferimento è
più preciso poiché il tentativo di finzione, come nel caso di una vera maschera,
riguarda il capo.
Epigramma 44 319
44
455 sg. vesanum tetigisse timent fugiuntque poetam / qui sapiunt; 474
indoctum doctumque fugat recitator acerbus. Un precedente significativo
per Marziale è anche l’Eumolpo petroniano, instancabile recitatore (cfr.
Petron. 90, 3; 92, 6; 115), sul quale agisce l’ironia dell’autore nei confronti
dei letterati contemporanei, schiavi della moda imperante delle recitationes
(vd. G.B. Conte, L’autore nascosto. Un’interpretazione del «Satyricon»,
Bologna 1997, p. 61 sgg.; M. Labate, Eumolpo e gli altri ovvero lo spazio
della poesia, «MD» 34, 1995, pp. 156-162; sulle recitationes vd. la n. intr.
all’epigr. 18). La satira contro poetastri è diffusa nell’epigramma greco,
specialmente in Lucillio: cfr. AP XI 10; 127; 129; 133-137; 185; 234; 394
(vd. la n. intr. all’epigr. 50 per le somiglianze con AP XI 394); sul motivo
vd. Pertsch 1911, p. 25; in Marziale Ligurino è senz’altro il personaggio
delineato con tratti più ricchi e precisi; per il tipo del poetastro cfr. anche II
71; 77; 88; III 9. Il nome Ligurino, derivato dall’etnico Ligus (vd. Kajanto
1965, p. 196), ricorre in Marziale soltanto in questi epigrammi (44; 45;
50) ed è con ogni probabilità fittizio: si tratta infatti di un nome parlante
antifrastico, derivato dal gr. , ‘melodioso’, usato in Omero per il
canto delle Sirene (cfr. Od. XII 44 ; vd. anche
Theocr. 17, 113; LSJ s.v. (alla stessa radice appartiene , ‘melodioso’,
per cui cfr. Hom. Od. XXIV 62 ). La scelta potrebbe
contenere un richiamo allusivo a Petronio, che al suo poetastro aveva
dato il nome antifrastico di Eumolpus (gr. ‘dal bel canto’;
vd. Priuli 1975, p. 50 sg.). Una valenza antifrastica sembra avere anche
il nome Ligeia che Marziale dà alla vecchia ripugnante di X 90 e XII 7.
Poco persuasiva pertanto l’ipotesi di Pavanello 1994, p. 171, per la quale
corrisponderebbe al latino stridulus, argutus e dunque il nome
alluderebbe al suono stridulo e fastidioso della voce di Ligurino. In Hor.
carm. IV 1, 33; 10, 5 Ligurino è il nome del puer che suscita l’amore del
poeta (secondo Romano, p. 847 potrebbe trattarsi di nome reale di un
personaggio reale, poiché Orazio usa forme greche per gli pseudonimi; vd.
anche EO I, p. 778). In Cic. Att. V 20, 6 ut etiam Ligurino satis
faciamus, il nome va connesso con l’etnico Ligus, ‘ligure’ (vd. RE XIII 1,
534, 41 sgg.).
Pseud. 9 sgg.; Ter. Eun. 558 sg.; Heaut. 613) e in prosa (cfr. Cic. dom. 125;
leg. agr. 2, 39; Verr. II 2, 49; Pis. 58; Phil. 4, 10; Mur. 5; Petron. 132, 13);
in Marziale cfr. VIII 17, 2 misisti nummos quod mihi mille, quid est?;
vd. anche II 12, 1 esse quid hoc dicam, quod olent tua basia murram
/ quodque tibi est numquam non alienus odor?; V 10, 1 sg. esse quid
hoc dicam, vivis quod fama negatur / et sua quod rarus tempora lector
amat?
2. quod, quacumque venis: la formula ricorre anche in 55, 1 quod,
quacumque venis, Cosmum migrare putamus. – fuga est: l’immagine
deriva da Orazio: ars 455 sg. vesanum tetigisse timent fugiuntque poetam
/ qui sapiunt; 474 indoctum doctumque fugat recitator acerbus.
3. circa te … solitudo: per l’espressione cfr. Sen. epist. 9, 9 florentes
amicorum turba circumsedet, circa eversos solitudo; vd. anche epist. 80,
2 cogito mecum … quantus ad spectaculum non fidele et lusorium fiat
concursus, quanta sit circa bonas artes solitudo.
4. nimis poeta es: risposta ironica, che realizza una sorta di pointe
intermedia. La colpa di Ligurino consiste in realtà nell’essere nimis
recitator. L’identità tra i due sostantivi realizzata nel verso produce un
effetto comico, intensificato dall’inconsueto accostamento di avverbio e
sostantivo, per cui cfr. Stat. Ach. II 37 sg. nimis o suspensa nimisque /
mater; Apul. met. VII 21 istum pigrum tardissimumque et nimis asinum;
IX 28 admodum puer; Tac. dial. 1, 5 iuvenis admodum; sull’uso vd.
Hofmann-Szantyr, p. 171.
5. hoc valde vitium periculosum: Giovenale colloca i recitatori tra
i pericoli di Roma: 3, 7 sgg. incendia, lapsus / tectorum assiduos ac
mille pericula saevae / urbis et Augusto recitantes mense poetas. Nel
caso di Ligurino il pericolo riguarda in primo luogo lui stesso, perché
lo rende temibile agli occhi degli altri (cfr. vv. 8; 18). Il tono colloquiale
dell’espressione contrasta con l’elaborato parallelo dei versi seguenti (6-8).
Valde appartiene alla lingua d’uso (vd. Hofmann, LU, p. 202 sg.): evitato
da Cesare, Livio e Tacito, è frequente nelle lettere di Cicerone e in Petronio,
specialmente nei dialoghi dei liberti (vd. Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae,
p. 35 sgg.; Axelson 1945, p. 36 sg.; P. Soverini, Sull’uso degli avverbi in
Petronio; avverbi intensivi e asseverativi, «RAIB» 63, 1974-1975, p. 208
sgg.). In poesia ricorre, oltre che qui, soltanto in Catullo (68, 77; 69, 7); in
Orazio valdius in ars 321; epist. I 9, 6. Periculosus, impossibile in metrica
dattilica, ricorre in poesia solo una volta in Orazio e nei Priapea, tre in
Epigramma 44 323
/ quot tua Roma novas vidit, Germanice, tigres (sulla presenza di tigri
negli spettacoli imperiali vd. Jennison 1937, p. 76 sg.; Toynbee 1973, p.
71). – citata: per citare nell’accezione di impellere, incitare, vd. ThlL III
1201, 16 sgg.
7. dipsas: la dipsas (gr. è una specie di vipera (Cerastes vipera: vd.
RE II 1, 1530 sg.), propria delle regioni desertiche dell’Africa: cfr. Amm.
XXII 15, 27 serpentes quoque Aegyptus alit innumeras, ultra omnem
perniciem saevientes … dipsadas. L’etimologia antica collegava il suo nome
all’effetto letale del suo morso: cfr. Isid. orig. XII 4, 13 dipsas genus aspidis,
qui latine situla dicitur, quia quem momorderit, siti perit; CGL V 408,
35 genus serpentis est intolerabilis; quando percusserit, siti moritur ipse
homo (vd. Maltby 1991, p. 190); vd. però anche Lucan. IX 610 in mediis
sitiebant dipsades undis, che, all’inverso, considera la sete causa della nocività
del serpente. Il grecismo, attestato per la prima volta in latino da Celso, è
piuttosto raro (vd. ThlL V 1226, 59-75), ma trova cittadinanza nella lingua
poetica latina per opera di Lucano (cinque occorrenze, tutte nel IX libro). –
medio perusta sole: l’espressione riflette la convinzione che l’intensità del sole
accresca la virulenza del veleno (Paoli, p. 161; M. Schuster, Zur Erklärung
von Martial III, 44, «PhW» 54, 1934, pp. 1023-24): cfr. Lucan. IX 698 sg.
concipiunt dirosque fero de sanguine rores, / quos calor adiuvit; 718 torrida
dipsas; Stat. Theb. V 521 siccique nocens furit igne veneni; Sil. I 285 accensis
sole venenis; III 312 sg. atro rabidas effervescente veneno / dipsadas. Più
che un riferimento all’ora di massima intensità del calore solare (SB2: «burnt
by the midday sun»; cfr. Stat. Theb. V 85; Sil. III 671), il nesso medio … sole
andrà però inteso come un’indicazione geografica (Izaac: «brulée par le soleil
des Tropiques»): medius sol designa la zona equatoriale anche in Manil. IV
592 Auster amat medium solem Zephyrusque profectum; 650 sg. altera sub
medium solem duo bella perinde / intulit Oceanus terris (vd. ThlL VIII 585,
33 sgg.; OLD s.v. sol, nr. 2 b). Perustus inoltre è abitualmente riferito alle terre
e alle popolazioni equatoriali: cfr. specialmente Lucan. IX 754 famam dipsas
habet terris adiuta perustis; vd. anche IV 679 Maurus, inops Nasamon, mixti
Garamante perusto; IX 314 zonae … perustae; 274 sg. perusti / zona poli.
Il nesso sole perustus ricorre in due casi su tre per le popolazioni africane:
cfr. Prop. IV 9, 46 Libyco sole perusta coma; Lucan. X 221 sg. testis tibi
sole perusti / ipse color populi (sc. Aethiopum); vd. anche Lucan. VI 622
membris sole perustis. La notazione, che contiene ugualmente il riferimento
all’intensità del sole, concorre all’ambientazione esotica del paragone.
Epigramma 44 325
Latin Poetry, «BICS» 42, 1997-98, p. 155) invece circum (e sedentem, per
cui cita a confronto Ov. am. III 2, 1 non ego nobilium sedeo [sc. in circo]
studiosus equorum; trist. II 284 hic [sc. in circo] sedet ignoto iuncta puella
viro; ma vd. infra). Egli propone inoltre l’inversione dell’ordine dei vv.
14-15, che produrrebbe un ordine più naturale degli eventi. Gli interventi
sul testo non appaiono giustificati; i due versi, dedicati alla cena, sono
collegati fra loro e descrivono due diversi momenti: il primo quello di
partenza (ad cenam propero), il secondo quello d’arrivo (ad cenam venio);
la raffigurazione dipinge efficacemente l’insistenza molesta di Ligurino.
Lectum di Mayer è stato accolto nel testo da Watson-Watson. – fugas
edentem: la lezione, comunemente attribuita a Ramirez de Prado e accolta,
tra i moderni, da Duff, Izaac, SB, Watson-Watson, è già in f²XC²Fh e può
contare sostanzialmente sul sostegno di due famiglie, dal momento che
fuga sedentem di TEAV deriva chiaramente da un’errata divisione delle
parole; inoltre, più di un secolo prima di Ramirez de Prado, essa ricorre
nell’ed. Ferr. Anche dal punto di vista del senso edentem è nettamente
preferibile: la recitazione durante l’atto di mangiare appare senz’altro più
fastidiosa e dunque in linea con le altre azioni di Ligurino, che ostacola il
poeta nelle sue funzioni fisiologiche e nei bisogni primari (Salanitro 2002,
p. 560; cfr. vv. 11; 16). Fugas sedentem della seconda famiglia (LPQf¹),
accolto da Schneidewin, Friedlaender, Gilbert, Lindsay, Heraeus, è stato
difeso da Gilbert 1883, p. 19 sg. in base ad un’osservazione stilistica («Ergo
sedentem servandum est … etiam propter praeclaram gradationem, quae
efficitur participiis euntem, sedentem, iacentem» p. 20). Tuttavia la precisa
simmetria ottenuta tra questo verso e il precedente, in entrambi i quali
sarebbero giustapposti un verbo di movimento e uno di quiete (tenes
euntem; fugas sedentem), non giustifica l’inelegante ripetizione di sedentem
dopo sedenti del v. 10 (per quanto riguarda la simmetria, anche nei vv. 10-11
alla precisa contrapposizione tra stanti e sedenti segue quella più libera tra
currenti e cacanti). A sfavore di sedentem depone anche la considerazione
di carattere storico che i Romani cenavano stesi sui letti tricliniari e non seduti
(come già osservato da Ramirez de Prado: «nam veteres non sedentes, sed
recumbentes cenabant»). Il caso di VIII 67, 6 sternantur lecti: Caeciliane,
sede, citato a sostegno di sedentem, non è calzante, poiché, come messo
in luce da SB2, I, p. 231 n. a, lì il convitato viene invitato a sedersi perché
è giunto troppo presto e dunque deve attendere la preparazione dei letti
tricliniari. La sola attestazione dell’uso di stare seduti prima del convivio
328 M. Val. Martialis liber tertius
45
hab. T; vv. 5-6 hab. R tit. ad eundem T : ad ligurinum poetam R 1 fugerit TL²PQf :
fuerit L¹ phoebus mensas T : mensas phoebus LPf mensam phoebus Q 2 ignoro
TLPf : ignosco Q nos T V²: non EAXV¹ 3 illa T : ista PQf iste L instructa :
inrumructa T 4 omnino : omino T 5 rhombos : rhombum mullumve Pf :
mulumve Q nullumve L mulumque 6 boletos E²X: letos E¹AV
1 sg.: la fuga dal poetastro, Leitmotiv del ciclo (cfr. 44, 1 sgg.; 50, 9 sg.), è
messa in risalto in apertura d’epigramma dalla presenza del verbo fugere (cfr.
anche v. 2 fugimus). Sull’inversione del corso del sole cfr. Sen. Thyest. 220
sg.; 776 sgg.; Apollod. epit. II 1-14; Hygin. fab. 82-88; sul mito in generale
vd. Roscher V 912, 94-914, 39; RE A 1, 662, 28-679, 9. Il tema fu forse il
più fortunato nel teatro romano (vd. A. La Penna, Atreo e Tieste sulle scene
romane, in Studi in onore di Quintino Cataudella, Catania 1972, pp. 357-
371, anche in Id., Fra teatro, poesia e politica romana, Torino 1979, pp.
127-141). La sua diffusione nella poesia latina è provata dalla sua frequente
menzione da parte di Marziale negli epigrammi di polemica contro la
poesia mitologica: cfr. IV 49, 3 sg. ille magis ludit qui scribit prandia saevi
/ Tereos aut cenam, crude Thyesta, tuam; V 53, 1 Colchida quid scribis,
quid scribis, amice, Thyesten?; X 4, 1 sg. qui legis Oedipoden caligantemque
Thyesten, / Colchidas et Scyllas, quid nisi monstra legis?; 35, 5 sg. non haec
(sc. Sulpicia) Colchidos adserit furorem, / diri prandia nec refert Thyestae
(vd. anche Pers. 5, 8). Appare dunque particolarmente appropriata nella
polemica contro un recitatore la scettica menzione (Fugerit an Phoebus …
/ ignoro) del mito. È anche possibile che il mito fosse trattato nei versi di
Ligurino (se non si tratta di un personaggio fittizio); in questo caso la scelta
di Marziale sarebbe ancora più arguta. La cena di Tieste è già menzionata
con finalità comica in Plaut. Rud. 508 sg. scelestiorem cenam cenavi tuam
/ quam quae Thyestae quondam aut posita est Tereo (su cui vd. Fraenkel
1960, p. 72). – Fugerit an: per la posposizione delle particelle, frequente a
partire dalla poesia augustea, vd. la n. a 19, 5. – Phoebus: sulla metonimia
Febo = sole, frequente nella poesia latina, vd. O. Gross, De metonymiis
sermonis Latini a deorum nominibus petitis, Diss. Halle 1911, p. 338 sgg.;
Bömer2, ad met. II 24, p. 244 sg.; sull’uso in Marziale vd. Fenger 1906, p.
5. – cenam … Thyestae: la locuzione designa in modo quasi proverbiale la
vicenda mitica: cfr. Hor. ars 90 sg. indignatur item privatis ac prope socco /
dignis carminibus narrari cena Thyestae.
2. fugimus: per la fuga causata da Ligurino cfr. III 44, 2 quod, quacumque
venis, fuga est. – nos: plurale sociativo (cfr. v. 5 mihi) con cui il poeta
Epigramma 45 331
39). Sui rombi in generale vd. Thompson, Fishes, p. 223; André 1981, p.
101. Rhombum di sembra un tentativo di normalizzare, uniformando
il numero al secondo pesce menzionato nel verso. Per la tendenza alla
normalizzazione del testo della terza famiglia vd. Friedrich 1907, pp. 360-
379; 1909, pp. 88-117; Heraeus 1925, pp. 314-336; Citroni, pp. LXXI-LXXIII;
in questo libro cfr. 44, 13 non licet natare (licet T : sinis ). – mullumve
bilibrem: la triglia era un pesce pregiato: cfr. II 43, 11; III 77, 1; IX 14, 3;
XI 49 (50), 9; XII 48, 9; secondo la testimonianza di Sen. nat. III 17, 2 il
vivaio poteva, per garanzia di freschezza, trovarsi addirittura nella sala da
pranzo. Quello di due libbre era considerato un peso di tutto rispetto: cfr.
XIV 97 grandia ne viola parvo chrysendeta mullo: / ut minimum, libras
debet habere duas; Plin. nat. IX 64 ex reliqua nobilitate et gratia maxima
est et copia mullis, sicut magnitudo modica binasque libras ponderis
raro admodum exsuperant, nec in vivariis piscinisque crescunt; per pesi
maggiori cfr. Mart. X 31, 3 sg.; 37, 7 sg. I prezzi erano elevati: l’imperatore
Tiberio tentò di calmierarli dopo che tre triglie furono vendute per 30000
sesterzi (Suet. Tib. 34, 1); Seneca (epist. 95, 42) riferisce di una triglia di
4 libbre e mezzo pagata 5000 sesterzi; Marziale parla in X 31, 3 sg. di un
mullus di quattro libbre pagato 1200 sesterzi; vd. anche Macr. Sat. III
16, 9 (7000 sesterzi per una triglia). In generale sui mulli vd. Thompson,
Fishes, p. 264 sgg.; Marquardt 1886, p. 434; André 1981, p. 100. L’enclitica
-ve della seconda e della terza famiglia è senz’altro preferibile al -que
di e riceve ulteriore sostegno da XI 49, 9 nunc ut emam grandemve
lupum mullumve bilibrem, in cui ricorre la stessa clausola. L’oscillazione
è frequente: in questo libro cfr. 2, 5 vel turis piperisve : -que ; 20, 14
sedet ambulatve : -que .
6. boletos, ostrea: i boleti sono sempre menzionati fra i cibi più pregiati:
cfr. I 20, 2; III 60, 5; VII 78, 3; XII 17, 4; 48, 1; XIII 48; Iuv. 5, 146 sg. Allo
stesso modo le ostriche, specialmente quelle del lago Lucrino (per cui vd.
la n. a 60, 3): cfr. V 37, 3; VII 20, 7; 78, 3; IX 14, 3; XII 17, 4; XIII 82; Plin.
nat. XXXII 59; vd. Thompson, Fishes, p. 190 sgg.; RE II 2, 2590-1, s.v.
Austern. – tace: l’imperativo conclude bruscamente il discorso ed anche
l’epigramma. La medesima conclusione di epigramma ricorre in II 27, 4
facta est iam tibi cena, tace.
Epigramma 46 333
46
hab. T; vv. 9-10 hab. R tit. ad candidum 2 eo T E¹AXV: emo E² mitto T² EAX:
mitte T¹V 3 multo plus esse V²: multo plus este EAXV¹ multum plus est T 4
lecticam TLQfEA: leticam P lectica XV ille T EAXV²: illa V¹ 5 umbone T XV²:
umbo EA¹ quos umbo V¹ tuus umbo A² 6 ingenuumque LP²fEXV: ingeniumque TP¹QA
latus T XV: latos EA 7 quidlibet : quilibet T causa Tf² : causam LPQf¹ narraveris
TQf²s.l. : narraberis LPf¹ 8 at tibi T E²V: additibi E¹AX sophos T X: sopos EA
sopor V 11 nihil : mihi T nobis T X: vobis EAV praestabis TLPQ²s.l.f¹AX:
prestabs E prestabit Q¹f²s.l.V
concreta di quanto dice: cfr. XII 96, 5 plus tibi quam domino pueros
praestare probabo.
4: seguire a piedi il patrono portato in lettiga era uno degli obblighi più
stancanti del cliente. Marziale ce la farà a mala pena a stargli dietro, mentre
il liberto potrà anche portare la lettiga, un atto che, oltre a richiedere uno
sforzo maggiore, è ben più umiliante: cfr. X 10, 7 lecticam sellamve sequar?
nec ferre recusas (Paolo, pur essendo console, si sottopone alle azioni
più umilianti della clientela). Lettighe più o meno ampie costituivano un
simbolo di opulenza; Marziale parla di una lettiga octo Syris suffulta (IX 2,
11) e di hexaphori (II 81, 1; VI 77, 9); vd. anche Catull. 10, 16; Sen. dial.
IX 12, 4; X 12, 6; epist. 22, 9; 31, 10; 80, 8; 110, 17; Iuv. 1, 121; 3, 239 sg.;
sull’argomento Marquardt 1886, p. 149 sg.; Blümner 1911, pp. 446-49.
5: per l’immagine cfr. Hor. sat. II 6, 28 luctandum in turba et facienda
iniuria tardis; 30 sg. ‘tu pulses omne quod obstat / ad Maecenatem
memori si mente recurras.’; Sen. dial. IX 12, 4 quorundam quasi ad
incendium currentium misereberis: usque eo impellunt obvios et se
aliosque praecipitant, cum interim cucurrerunt aut salutaturi aliquem
non resalutaturum … et lecticam adsectati quibusdam locis etiam
tulerunt; Iuv. 3, 239 sgg. si vocat officium, turba cedente vehetur / dives
et ingenti curret super ora Liburna / … / (242) ante tamen veniet: nobis
properantibus obstat / unda prior, magno populus premit agmine lumbos
/ qui sequitur, ferit hic cubito, ferit assere duro / alter, at hic tignum
capiti incutit, ille metretam. Per la paratassi in luogo di una ipotetica,
propria dello stile colloquiale, vd. la n. a 38, 8 audieris, dices; cfr. anche
infra v. 9. – cunctos umbone repellet: la congettura cuneos di Turnebus e
Heinsius, derivante dall’interpretazione di umbo come clipeum e tesa a
sviluppare l’immagine militare, è stata accolta da Schneidewin2, ma non è
necessaria (cfr. Hor. sat. II 6, 30 e Sen. dial. IX 12, 4 citati supra). Umbo è
hapax in Marziale, qui nell’accezione, piuttosto rara, di cubitum: cfr. Stat.
Theb. II 671 clipeum nec sustinet umbo con il commento di Mulder; Ach.
II 141 excipere immissos scutato umbone molares (scutato P; curvato ).
Per l’immagine cfr. Iuv. 3, 244 ferit hic cubito, in contesto analogo. Poco
persuasiva l’ipotesi di S.B. Slack (On Martial III 46, 5, «CR» 7, 1893, p.
203) di intendere umbo come ‘footpath’ o ‘kerb-stone’ (vd. OLD, s.v.,
nr. 2 a), come, ad es., in Stat. silv. IV 3, 47 tunc umbonibus hinc et hinc
coactis, dove si parla dei blocchi di pietra posti ai lati della Via Domitiana:
ad umbo di questo verso corrisponde latus del seguente e l’ablativo
336 M. Val. Martialis liber tertius
47
(vd. André 1981, pp. 27 sg.; 32.). – sessiles … lactucas: un tipo di lattuga
chiamata Laconica: cfr. Plin. nat. XIX 125; viene menzionata da Marziale
anche in X 48, 9 lactuca sedens; vd. André 1956. Il nesso ricorre nella
stessa posizione metrica in Priap. 51, 19. Anche la lattuga fa parte della
gustatio: vd. la n. a 50, 4. Sui suoi poteri lassativi vd. l’epigr. 89 di questo
libro.
9: sul potere lassativo della bietola cfr. Plin. nat. XIX 135 mira differen-
tia, si vera est, candidis (sc. betis) alvum elici, nigris inhiberi; XX 71
coquitur et cum lenticula addito aceto, ut ventrem molliat; vd. anche
Diosc. II 123. Marziale nomina la bietola ancora soltanto in XIII 13
ut sapiant fatuae, fabrorum prandia, betae, / o quam saepe petet vina
piperque cocus!
10. coronam pinguibus gravem turdis: i tordi venivano legati insieme
a formare una sorta di corona, come testimoniato anche in XIII 51 tit.
turdorum decuria. texta rosis fortasse tibi vel divite nardo, / at mihi de
turdis facta corona placet (vd. ThlL IV 987, 74 sg.; per un’analogo uso
di corona cfr. XII 32, 19; XIII 35, 2). Il tordo era considerato un cibo
prelibato: cfr. XIII 92 inter aves turdus, si quid me iudice certum est, /
inter quadrupedes mattea prima lepus; vd. anche III 77, 1; VI 75, 1; VII
20, 6; Hor. epist. I 15, 40 sg.; Macrob. Sat. III 13, 12; il suo prezzo era alto:
cfr. Varro rust. III 2, 15; vd. André 1981, p. 122; veniva cacciato nei poderi
suburbani: cfr. II 40, 3; III 58, 26; IV 66, 6; XI 21, 5. Era fra i doni che si
inviavano agli amici nella celebrazione dei Caristia il 22 febbraio: cfr. IX
54; 55 con il commento di Henriksén.
11: i cani da caccia gallici erano rinomati: cfr. Gratt. cyneg. 156 magna-
que diversos extollit gloria Celtas (vd. però Verdière, ad loc., che ritiene
si tratti dei Celti orientali o Galati); Arrian. cyneg. 3, 6; Oppian. cyneg. I
373; sull’argomento vd. Orth, RE VIII, s.v. Hund, 2553, 23 sgg.; Orth,
RE IX 1, s.v. Jagd; Toynbee 1973, p. 108 sgg. Il canis Gallicus che insegue
una lepre ricorre in un’elaborata similitudine di Ovidio (met. I 533 sgg., a
proposito di Apollo e Dafne): ut canis in vacuo leporem cum Gallicus arvo
/ vidit, et hic praedam pedibus petit, ille salutem / (alter inhaesuro similis
iam iamque tenere / sperat et extento stringit vestigia rostro; / alter in
ambiguo est, an sit comprensus et ipsis / morsibus eripitur tangentiaque
ora relinquit) / sic deus et virgo, est hic spe celer, illa timore (vd. Bömer2,
ad loc.). In Marziale cfr. XIV 200 tit. canis vertragus. non sibi sed domino
venatur vertragus acer, / inlaesum leporem qui tibi dente feret (vertragus
Epigramma 47 345
48
hab. R post 46 hab. Q tit. ad olum R 1 cellam RLPfX: cellas Q cellam cellam EAV
vendidit R² AXV²: vendidi EV¹ vindedit R¹ olus R X: holus V² om. EAV¹ 2 praedia
R V²in mg.: pr(a)etia EAXV¹ nunc RPQf : nulla L pauperis olus R XV²s.l.: paupe
tusolus EA pauper tu solus V¹
Nella opulenta Roma dei Flavi era diffusa fra i ricchi la moda di simulare
per gioco la povertà. È Seneca a diffondersi su questa degenerazione morale
e a parlare delle cosiddette cellae pauperum, stanzette disadorne, costruite
nei pressi di ricchissime ville, dove ci si isolava talvolta fingendo di essere
poveri: in una lettera egli suggerisce a Lucilio di abituarsi alla povertà per
qualche giorno, quasi come ammaestramento morale, aggiungendo però:
non est nunc quod existimes me dicere Timoneas cenas et pauperum cellas
et quidquid aliud est per quod luxuria divitiarum taedio ludit: grabattus
ille verus sit et sagum et panis durus ac sordidus (epist. 18, 7); egli ritorna
sull’argomento successivamente, ribadendo il giudizio di condanna (epist.
100, 6): desit sane varietas marmorum et concisura aquarum cubiculis
interfluentium et pauperis cella et quidquid aliud luxuria non contenta
decore simplici miscet. Sulla simulazione di povertà da parte dei ricchi cfr.
ancora Sen. dial. XII 12, 3 nec tantum condicio illos (sc. locupletes) tem-
porum aut locorum inopia pauperibus exaequat: sumunt quosdam dies,
cum iam illos divitiarum taedium cepit, quibus humi cenent et remoto
auro argentoque fictilibus utantur. dementes! hoc, quod aliquando
concupiscunt, semper timent. Olo, protagonista dell’epigramma, si era fatto
costruire una cella pauperis, dove si atteggiava talvolta a povero; ma ha
venduto i suoi praedia e gli è rimasta soltanto la stanzetta. L’interpretazione
prevalente dell’epigramma (vd., ad es., Friedlaender, Ker, Izaac) appare la
più convincente: Olo è finito in rovina e, costretto a vendere tutti i suoi
terreni, ora deve vivere in quella che è divenuta, per ironia della sorte, una
348 M. Val. Martialis liber tertius
vera cella pauperis. La ripetizione del nesso nel secondo verso con spostamento
del significato realizza l’arguzia beffarda del componimento: la condizione prima
simulata è ora reale. Marziale prefigura un simile destino ad uno spendaccione
nel monostico VII 98 omnia, Castor, emis: sic fiet ut omnia vendas. Piuttosto
lambiccata e scarsamente persuasiva l’interpretazione di SB2, p. 235 n. e (già
avanzata in Shackleton Bailey 1978, p. 276 = Id. 1997, p. 68), per il quale: «Olus
had not become poor in earnest; he still owned the house. The point is in the
double sense of habere, ‘have’ and ‘own (especially of land)’. The land Olus used
to own is now represented by the ‘poor man’s cubbyhole’ which was built out
of the proceeds of the sale». Olo dunque avrebbe venduto soltanto i terreni e
Marziale ironizzerebbe sul fatto che i suoi possedimenti si riducono ora alla cella
pauperis. Ma se Olo non è divenuto povero, non si vede il motivo per cui avrebbe
dovuto, pur vendendo i suoi terreni, conservare la sola cella. La conclusione
sarebbe sorprendentemente priva di sale. Neanche i passi citati da SB2 a sostegno
della sua interpretazione (X 31, 6; XII 16, 3) appaiono adeguati: in X 31 Marziale
sferza un certo Calliodoro che ha venduto un servo per acquistare un mullus
di quattro libbre e bene cenare una sola volta; la sua conclusione è spietata:
non est hic, improbe, non est / piscis, homo est; hominem, Calliodore, comes.
L’espressione hominem comes, con cui Marziale esprime icasticamente lo stolto
spreco di Calliodoro, non è certo paragonabile al v. 2 di questo epigramma come
vorrebbe spiegarlo SB (una simile equazione realizza XII 16 addixti, Labiene,
tres agellos; / emisti, Labiene, tres cinaedos; / pedicas, Labiene, tres agellos, dove
è però presente anche una allusione erotica). In entrambi gli epigrammi addotti
da SB è immediamente percepibile la condanna morale del comportamento dei
protagonisti, mentre in questo caso non vi sono elementi che muovano verso
tale interpretazione. Il nome Olo ricorre in Marziale ancora in II 68; IV 36; VII
10; X 54, sempre per persone fittizie.
2. nunc: l’avverbio evidenzia la distanza del presente dal passato: cfr. III
24, 13; VI 71, 6; IX 95, 1; XII 33, 2. – habet: il verbo viene comunemente
interpretato nel senso di ‘abitare’ (Ker, Izaac, Norcio, Scàndola), per cui
cfr. Verg. Aen. VII 131 quae loca quive habeant homines (vd. Serv. ad loc.:
habeant habitent); Ov. rem. 630 alter, si possis, orbis habendus erit; tuttavia
in questa accezione il verbo è utilizzato sempre in modo assoluto (vd. ThlL
VI 3, 2401, 6 sgg.; l’unica eccezione è appunto Ov. rem. 630). Forse è più
probabile intendere habet in senso proprio, supponendo che la concisa
espressione epigrammatica sottintenda tantum o nil nisi.
Epigramma 49 349
49
hab. T tit. ad rufum T : ad vuam (aut uvam) 1 veientana PQf : vegentana T valenta
L ubi T : tu c ed. Ferr. tibi ed. Ald. Ramirez de Prado massica TPQf : marsica
L potas T AX: poetas EV ponis Ramirez de Prado 2 olfacere TLPQf² : olfascere f¹
malo T A²V: mallo EA¹X
sibimet ipsis ministrant aut procedente mensa subiciunt; Petron. 31, 4 sg.
‘ad summam, statim scietis’ ait ‘cui dederitis beneficium: vinum
dominicum ministratoris gratia est’; vd. anche Val. Max. IV 3, 11; Suet.
Iul. 48; Spart. Hadr. 17, 4. Sebbene il tema dell’epigramma sia
immediatamente riconoscibile, la precisa esegesi dei versi ha creato diversi
problemi: al v. 1 ubi è stato interpretato in senso avversativo (vd., ad es.,
Ker: «whereas»; Izaac: «alors que»; Norcio: «ma»). Tale accezione
dell’avverbio non sembra però essere attestata (vd. OLD, s.v.; Hofmann-
Szantyr, p. 651 sgg.). Muovendo da questa considerazione Ker 1950, p. 16
ha proposto di correggere in tibi (come già nell’Aldina del 1501; tu si trova
in c e nell’edizione ferrarese; per il testo di Ramirez de Prado vd. infra). La
congettura, pur facilmente giustificabile sotto l’aspetto paleografico,
introduce un dativus commodi poco appropriato al contesto (né costituisce
un parallelo adeguato VII 54, 8 dormi tibi, citato da Ker). Consapevole
delle difficoltà linguistiche del testo di Ker, SB1, agendo in modo ancor più
radicale, legge tibi … ponis, citando come esempio per la corruttela IV
69, 1 tu Setina quidem semper vel Massica ponis (ponis : potas T). Il
suo intervento, peraltro già proposto da Ramirez de Prado, è però
scarsamente persuasivo, non solo per essere poco economico, ma anche
per via della trasmissione concorde del testo da parte di tutte e tre famiglie,
che rende piuttosto improbabile la doppia corruttela (per l’intera opera di
Marziale Reeve 1983, p. 243 cita solo sei casi di errore comune a tutta la
tradizione). Lo stesso SB si mostra forse non troppo convinto della
soluzione proposta, che pure accoglie nel testo, quando scrive in apparato,
discutendo la presunta corruzione in potas: «potuit etiam nomen, ut Corde,
excidere, tum trad. supponi». Al v. 2 per Friedlaender haec pocula si riferisce
alla coppa dell’anfitrione, mentre bibere sottintende mea; egli così parafrasa
il verso: «Ich will lieber an den letzteren Bechern riechen als (aus den mir
vorgesetzen) trinken». La sua interpretazione è accolta da Izaac e Norcio
(«Preferisco odorare le tue coppe che bere le mie»). Il dettato del verso
suggerisce però di intendere haec come oggetto di entrambi i verbi. Così
fa Ker, per il quale però l’espressione haec pocula sottintende mea («I
would rather smell these cups of mine than drink them»). È tuttavia
evidente che il profumo di cui si può accontentare Marziale può essere
soltanto quello del pregiato Massico. Per SB infine haec si riferirebbe, con
una licentia inconsueta per Marziale, ad entrambe le coppe: «Massica,
quae potare non licet, olfacere mavult quam Veientana bibere (haec ad
Epigramma 49 351
1. Veientana: sc. vina (sull’uso del neutro plurale vd. la n. a 26, 3 Massi-
ca); Marziale attesta la qualità scadente del vino di Veio anche in I 103, 9 et
Veientani bibitur faex crassa rubelli; II 53, 3 sg. liber eris … / Veientana
tuam si domat uva sitim; cfr. anche Hor. sat. II 1, 143; Pers. 5, 147; in
generale i vini etruschi appaiono mediocri: cfr. Mart. I 26, 5 sgg.; vd. anche
XIII 118, 2, dove però SB2 e Leary2 accolgono la congettura Latiis per
Tuscis di Gilbert (sulla questione vd. il commento di Leary2, ad loc.). Per
una rassegna sui vini in Marziale vd. La Penna 1999, pp. 163-181. – Massica:
sul Massico, fra i vini più celebrati dell’antichità, vd. la n. a 26, 3. Sull’uso
del neutro plurale vd. la n. a 26, 3 Massica.
2: l’intensità del profumo del Massico è testimoniata da Hor. sat. II 4,
51 sgg. Massica si caelo suppones vina sereno, / nocturna siquid crassi
tenuabitur aura / et decedet odor nervis inimicus; sull’argomento vd. Lilja
1972, p. 119. – olfacere: il verbo appartiene alla lingua d’uso; assente in
poesia elevata, ricorre solo due volte in Catullo, una in Fedro e Giovenale,
tre in Marziale. – bibere: per la chiusa del pentametro con una sillaba breve,
per lo più evitata nella poesia augustea, vd. la n. a 19, 6 fera.
Epigramma 50 353
50
Per una puntuale analisi comparativa tra i due componimenti vd. Burnikel
1980, p. 26 sg. Notevoli somiglianze sono però state evidenziate da Citroni
1985, p. 189 anche con AP XI 137 (specialmente vv. 1-3).
XII 87; vd. anche Hor. epist. I 13 ,15). Deponere soleas (e simili espressioni)
denota dunque la fase preliminare della cena: cfr. Plaut. Most. 384; Truc. 367;
479; poscere soleas indica invece l’intenzione di abbandonare il convivio: cfr.
Hor. sat. II 8, 77. La paratassi (deposui … adfertur) mette efficacemente in
risalto la rapidità con cui la recitazione ha inizio, quando il poeta ha avuto
appena il tempo di prendere posto sul letto tricliniare. - adfertur protinus
ingens: l’espressione produce l’attesa di una eccezionale portata, la cui
menzione viene ritardata dalla collocazione alla fine del verso successivo.
Ingens è attributo caro all’epica, spesso collocato in fine di verso (vd. EV, s.v.
ingens, II, p. 968 sg.); per l’uso in un contesto di parodia epica vd. la n. a 24,
9 ingens iratis apparuit hirnea sacris. - inter lactucas oxygarumque: si tratta
della gustatio, di cui la lattuga era parte abituale: cfr. V 78, 4; X 48, 9; XI 52,
5; XIII 53, 1 sg.; Hor. sat. II 4, 59; 8, 8. In tempi precedenti a Marziale veniva
tuttavia consumata alla fine del pasto: cfr. XIII 14 tit. lactucae. cludere quae
cenas lactuca solebat avorum, / dic mihi, cur nostras inchoat illa dapes? In
generale vd. André 1981, p. 176 sg. L’oxygarum era composto da garum
misto ad aceto: cfr. Apic. VIII 4, 2; I 32 (18); I 34 (20); vd. ThlL IX 2, 1209,
5-22; RE VII 844, 51 sgg. Il sostantivo ricorre soltanto qui in poesia. Lactuca
e oxygarum sono associati nella gustatio anche in CGL III 658, 6. - liber:
l’inattesa e sorprendente menzione del libro, che Marziale rappresenta come
recato in tavola in mezzo alle vivande, realizza una sorta di
al mezzo. Per l’espressione cfr. Hor. sat. II 8, 42 sg. adfertur squillas inter
murena natantis / in patina porrecta.
5: non è ancora giunto il primo piatto ed è già letto per intero un secondo
libro. Ad una recitazione continua, che non concede requie (ben espressa
dal composto perlegitur), fa da contraltare l’assenza di cibi (fercula prima
morantur). Senz’altro da scartare dunque porrigitur di XCG³f², accolto
da Schneidewin e Gilbert. Tale lezione è di certo un tentativo congetturale
di X a fronte del testo corrotto nell’archetipo della famiglia, attestato da
EAV. - dum fercula prima morantur: per quest’accezione di morari
(OLD, s.v. moror, 8 b ‘to be late in appearing’) cfr. XIV 119, 1 (tit. matella
fictilis) dum poscor crepitu digitorum et verna moratur, / o quotiens
paelex culcita facta mea est!; Apul. met. V 2 nec … tibi regales epulae
morabuntur. Poco persuasiva l’esegesi di Ker («while the first course
stands waiting») e Izaac («pendant que le premier service attend»), che
attribuisce un valore inconsueto a moror; l’attesa dei cibi che non arrivano
caratterizza questo verso e il successivo.
356 M. Val. Martialis liber tertius
51
Quando lodo il tuo viso, quando ammiro le tue gambe e le tue mani,
sei solita dire, o Galla: «Nuda ti piacerò di più»,
eppure eviti sempre i bagni comuni con me.
Forse, o Galla, temi che io non ti piaccia?
Alle lodi del poeta sulla sua bellezza Galla è solita rispondere che nuda
riuscirà ad affascinarlo ancora di più. Eppure sfugge sempre dai bagni
comuni, che le offrirebbero l’occasione di mostrare il proprio corpo nudo.
La conclusione di Marziale insinua il sospetto che Galla abbia qualche
difetto fisico che desidera nascondere (cfr. III 72, 1 sg. vis futui nec vis
mecum, Saufeia, lavari. / nescio quod magnum suspicor esse nefas).
Marziale offre numerose testimonianze sui bagni comuni cfr. III [3]; 72;
87; VII 35; XI 47; 75; XIV 60; sull’argomento vd. Busch 1999, pp. 487-502,
specialmente p. 490 sgg. Sui bagni come teatri per esibizionisti e voyeurs,
nonché luoghi privilegiati di incontro, anche per omosessuali, cfr. I 23; 96;
VII 35; IX 33; XI 47; 51; 63; 75. Il nome Galla ricorre frequentemente
negli epigrammi di Marziale per diversi tipi; in questo libro cfr. anche gli
epigr. 54; 90. Qui, come nell’epigr. 54, si tratta di una prostituta (vd. la n.
al v. 4).
1. faciem … crura manusque: si tratta delle parti del corpo non coperte
dai vestiti e sempre visibili (cfr. III 53, 1 sg.).
3. et semper vitas …: per il tentativo di evitare gli incontri nei bagni co-
muni cfr. III 72, 1 sg. cit. nella n. intr. L’avverbio semper rivela che Galla
sfugge sistematicamente alla possibilità di essere vista nuda e prepara il
terreno per l’ultimo verso.
4: l’interrogativa finale sorprende il lettore (che si attenderebbe numquid,
360 M. Val. Martialis liber tertius
52
1: duecentomila sesterzi era una cifra piuttosto bassa per una casa a Roma
(cfr. XII 66, 1); sui prezzi delle case vd. Friedlaender, SR III, p. 84, nn. 3-
4. – fuerat: per erat; sull’uso del piuccheperfetto in luogo del perfetto o
dell’imperfetto, frequente in poesia per comodità metrica, vd. la n. a 4, 8
exierat. Per Watson-Watson, p. 302 fuerat sarebbe invece «more emphatic».
2. nimium casus in urbe frequens: gli incendi erano all’ordine del giorno
nell’antica Roma: cfr. Strabo V 3, 7; Hor. sat. I 1, 76 sgg.; Mart. V 7; Iuv.
3, 6 sgg.; 14, 303 sgg.; sull’argomento vd. Friedlaender, SR I, p. 25 sgg.;
P. Werner, De incendiis Urbis Romae aetate imperatorum, Diss. Leipzig
1906, p. 47; A.G. McKay, Houses, Villas and Palaces in the Roman world,
London 1975, pp. 85-89.
3 sg.: l’interrogativa esprime in modo velato i sospetti del poeta, che si mo-
stra più preoccupato per le apparenze, quasi che per lui l’onestà di Tongiliano
non fosse in discussione; più esplicita la condanna di Giovenale in 3, 221 sg.
cit. nella n. intr. Su rogo, inciso di natura colloquiale, vd. la n. a 44, 9. – decies:
sc. centena milia; sul frequente uso ellittico del moltiplicativo vd. la n. a 22,
2 centies … laxum.
Epigramma 53 363
53
tit. ad c(h)loen LPf : ad clohem Q 1 tuo EXV: tua A 3 natibusque X: natibus EAV
clunibusque L²PQf² : colunibusque L¹ clunisque f¹
Del volto di Cloe il poeta poteva fare a meno, e così del suo collo, delle
mani, delle gambe, così dei suoi seni, delle sue natiche, e insomma, di
tutta Cloe poteva fare a meno! Marziale gioca con la tradizione erotica, di
cui l’epigramma realizza una parodia: il preambolo, che enumera alcune
parti del corpo di Cloe ed occupa i primi tre versi, sembra preludere alla
menzione di una sua qualità irrinunciabile per il poeta, forse la donna
stessa nel suo insieme, ma l’ultimo verso realizza la pointe: di Cloe nel
suo complesso egli poteva fare a meno (tota, in posizione di rilievo al
principio dell’ultimo verso, realizza il sovvertimento delle aspettative).
L’epigramma si chiude con un verso che richiama quello iniziale (entrambi
significativamente chiusi dal verbo carere, appartenente al lessico erotico:
vd. la n. al v. 1). Non si può escludere che Marziale intenda richiamare il
c. 86 di Catullo, in cui il poeta contrappone la bellezza di Quinzia, limitata
alle singole qualità del corpo (2 haec ego sic singula confiteor) a quella
complessiva di Lesbia (5 sg. Lesbia formosa est, quae cum pulcerrima
tota est, / tum omnibus una omnis subripuit veneres). Con la differenza
che Cloe non attrae il poeta né con le singole parti del suo corpo, né nel
complesso. Anche la scelta del nome Cloe, che in Marziale ricorre anche in
IV 28, 1 e IX 15, 2, rivela forse un’intenzione allusiva alla poesia erotica e in
364 M. Val. Martialis liber tertius
particolare ad Orazio, che in carm. III 26 usa il nome per una donna altera
e sprezzante, su cui invoca la punizione di Venere (cfr. v. 11 sg. sublimi
flagello / tange Chloen semel arrogantem). In tal caso il disinteresse di
Marziale potrebbe rispondere ad una sorta di solidarietà tra poeti a danno
del ‘tipo’ dell’amante altezzosa. In Orazio il nome ricorre anche in carm.
I 23, 1; III 7, 10; 9, 6. 9. 19, senza che si possa pensare a una sola persona
(vd. al riguardo I. Gualandri, in EO I, p. 693 sg.). Chloe è comunque nome
attestato nelle iscrizioni (vd. ThlL. onom., s.v. Chloe).
54
Galla è una prostituta che chiede una cifra troppo elevata per il poeta.
Dal momento che questo significa implicitamente rifiutare, perché non
farlo in modo più schietto? L’epigramma, piuttosto debole, ha come tema
di fondo la sincerità, di cui Marziale lamenta in diversi casi l’assenza (vd. la
n. al v. 2 multo simplicius). Galla è una prostituta anche in III 51; IX 4; in
X 75, 1 sg. pretende una somma alta, ma non ingiustificata: milia viginti
quondam me Galla poposcit / et, fateor, magno non erat illa nimis. Sui
prezzi delle prostitute vd. la n. a 30, 4.
55
56
1. Sit cisterna … malo: per la paratassi, abituale con malo, cfr. II 71,
6 malo tamen recites; VI 81, 4 inguina malo laves. Cisterna ricorre in
poesia classica soltanto qui.
2: il motivo dell’acqua venduta a caro prezzo compare già in Hor. sat. I
5, 88 sg. venit vilissima rerum / hic, aqua.
370 M. Val. Martialis liber tertius
57
58
tit. ad bassum LPQf¹ : de iocundissima villa add. f² 1 baiana LPQf²: balana f¹ nostri :
nosti 2 myrtetis AXV: myrtectis E 3 tonsilique A: tonsileque EXV 4 lati EAXV²:
lata V¹ 5 rure LPf : ruie aut rive Q laetatur EAV: litatur X 6 farta LPf : sata
Q angulo E²AXV: angulos E¹ omni LPQ²fV²: somni EAXV¹ om. Q¹ 7 multa :
multas EXV multos A fragrat v: flagrat XV fraglat EA testa EA: testas X²V testes X¹
senibus EA²XV: solibus A¹ 8 post PQf : est L bruma LPQ²f : brumae Q¹ 10 valle
EAV: velle X 11 prurit PQfA: pruria L purit EX furit V 12 omnis EAX: omnisque V
c(h)ortis f²EAX: cohortis LPQf¹V 13 gemmeique EAV: gemineique X pavones XV:
paones EA 14 pinnis LPfEAX: pennis QV 15 perdix LPf : pernix Q numidicaeque
EXV: numicidaeque A 16 phasiana : phasianae 17 rhodias superbi feminas LQ²f:
rhadias superbi feminas PQ¹ rhodias superbi minas V² rhodia superbis minas EAXV¹
premunt : promunt 18 sonantque turres EA²X: sonant turres A¹ sonantque turtures
V columbarum L²f² : columnarum L¹PQf¹ 20 sinum LPf : genus Q 21 agnus EA:
annus X anus V 22 serenum LPQf¹: sesenum EA¹XV¹ se circum f²in mg.A²V²s.l. lactei
LPQf¹ : lutei f²in mg. 23 larga LPQ²f : largo Q¹ festos X: festo EAV lucet LPQ²f :
luces Q¹ ad lares XV²: ad lare EAV¹ 24 caupo VB: copo f²v.l. capo EAX carbo LPQf¹
25 lubricus EAXV²s.l.: libricus V¹ 26 avidis LPQf² : avis f¹ rete A²XV²in mg.: te
EA¹V¹ subdolum f²s.l. : subdole LPQf¹ 27 tremulave LQf : tremulane P 28 cassibus
LPQ²f : classibus Q¹ dammam L²PQf : dampnam L¹ 29 (h)ortus Lf : (h)ormis PQ
urbanos LPQf¹: urbanus umbras f²v.l.V²v.l. 30 iubente PQf : vivente L 32 delicatus
V²s.l.: delicatos EAXV¹ opere LPQ²f : operere Q¹ 34 ceris cana LPf : curicana Q ut
vid. 35 sassinate LPQf² : sassinocte f¹ 36 somniculosos EXV: somniculosus A glires
PQf : clyres L 37 hic f² : hinc LPQf¹ fetum Lf² : vetus PQ ferrum f¹ 38 alius V²s.l.:
alios EAXV¹ 39 dona matrum V²in mg.: a matrum EAXV¹ vimine offerunt Scriverius:
374 M. Val. Martialis liber tertius
consonanti con I 49, in cui Marziale descrive la bellezza della Spagna, sede
privilegiata della vita ideale, lontana dai taedia urbani (vd. la n. intr. di
Citroni all’epigr.). Sono stati inoltre segnalati numerosi punti di contatto
tra l’epigramma e il secondo Epodo di Orazio, sia nello sviluppo del tema
che in precise riprese verbali (cfr. vv. 10; 22; 26; vd. Duret 1977, pp. 173-
192; sulla presenza del modello oraziano negli epigrammi che elogiano la
vita campestre già G. Donini, Horatius in Martiale, «AJPh» 85, 1964, p.
56 sgg.; in generale sull’influenza oraziana vd. ora Salemme 1998, pp. 44-
46). L’epigramma ha suscitato l’interesse di Benedetto Croce, che gli ha
dedicato un breve saggio dal titolo Marziale. L’epistola a Basso. (Epigr. III
58), in Poesia antica e moderna. Interpretazioni, Bari 1941, pp. 108-115,
nel quale mostra apprezzamento soprattutto per il sentimento di adesione
alla rustica vita campestre. Il metro usato è il coliambo, che, pur rimanendo
per lo più legato all’invettiva, è utilizzato da Marziale per epigrammi di
diverso tono, persino adulatori (cfr., ad es., IX 1; 5). In questo libro il
metro è usato in due lunghe invettive (82; 93), ma anche in due epigrammi
dedicati all’amico Canio (20; 64) e in una bonaria satira sull’improduttività
del rus dell’amico Basso (47).
pulchra testudine postis / inlusasque auro vestis Ephyreiaque aera, / alba nec
Assyrio fucatur lana veneno, / nec casia liquidi corrumpitur usus olivi; / at
secura quies et nescia fallere vita; cfr. anche Hor. epod. 2, 1 sgg. beatus ille, qui
procul negotiis, / … / paterna rura bubus exercet suis, / … / neque excitatur
classico miles truci, / neque horret iratum mare (i contatti dell’epigramma
con l’Epodo sono già stati ricordati nella n. intr.).
1: il verso agisce come epigrafe del componimento, intrecciando ele-
gantemente la menzione del luogo descritto, del suo proprietario e del
destinatario del carme. – nostri: il possessivo rivela la confidenza con Faustino
non soltanto del poeta, ma anche di Basso (cfr. epigr. 47). Sull’uso del possessivo
come elemento affettivo della lingua vd. la n. a 5, 12 suis.
2. non otiosis ... myrtetis: il mirto, pianta adatta a climi caldi, cresceva
in particolare sui litorali (cfr. Verg. georg. II 112 litora myrtetis laetissima;
IV 124 amantis litora myrtos; Mart. IV 13, 6 litora myrtus amat), ma
veniva anche usato nei giardini (cfr. Hor. carm. II 15, 6 cit. nella n. ai vv. 1-5
con il commento di Nisbet-Hubbard2; vd. Grimal 1990, p. 275 sgg.). Sulla
presenza di mirteti a Baia cfr. Hor. epist. I 15, 5 sgg. sane murteta relinqui
/ dictaque cessantem nervis elidere morbum / sulpura contemni vicus
gemit; Cels. II 17 siccus calor est … quarundam naturalium sudationum,
ubi terra profusus calidus vapor aedificio includitur, sicut super Baias in
murtetis habemus. Per l’uso di otiosus nell’accezione di ‘improduttivo’ cfr.
Sen. dial. X 7, 5 nihil … incultum otiosumque iacuit (in metafora); Sol. 23,
3 nihil in ea (sc. Hispania) otiosum, nihil sterile; vd. ThlL IX 2, 1170, 74
sgg. – ordinata: da collegare a spatia (ThlL IX 2, 940, 56; SB2), non a villa
(OLD, s.v. ordino, nr. 1 a). Il verbo, cui sono riferiti anche gli ablativi del
verso seguente (vidua … platano; tonsili … buxeto), è estraneo alla lingua
poetica (vd. Axelson 1945, p. 101): ricorre soltanto quattro volte in Orazio
e in Sen. Thyest. 716; è usato nella stessa accezione in contesti agricoli: cfr.
Colum. IV 17, 2 iugum … harundinibus … ordinatum est; V 3, 7 per senos
pedes … vitibus locum … ordinare; vd. ThlL IX 2, 940, 50 sgg.
3. vidua … platano: il platano è ‘vedovo’ poiché inadatto a sostenere le
viti: la iunctura allude, variando, a Hor. carm. II 15, 4 platanus … caelebs
(sulle affinità con l’ode oraziana vd. la n. ai vv. 1-5); cfr. anche Verg. georg. II
70 steriles platani; per viduus riferito ad alberi che non sostengono viti cfr.
Hor. carm. IV 5, 30 et vitem viduas ducit ad arbores; Iuv. 8, 78 stratus humi
palmes viduas desiderat ulmos; viduus designa invece la vite priva di albero
in Catull. 62, 49 ut vidua in nudo vitis quae nascitur arvo; cfr., all’opposto,
Epigramma 58 379
l’uso di marita / maritare per gli alberi usati nella viticoltura (ad es. Cato agr.
32, 2; Catull. 62, 54; Hor. epod. 2, 10; Colum. III 11, 3; IV 1, 6; V 2, 32; XI
2, 79; Plin. nat. XIV 10; Quint. inst. VIII 3, 8); sull’uso di terminologia tratta
dalla sfera matrimoniale per la viticoltura su alberi vd. F. Della Corte, Catullo,
la vite e l’olmo, «Maia» 28, 1976, pp. 75-81 (= Id., Opuscula, VII, Genova
1983, pp. 63-69). Il platano era un elemento tradizionale del locus amoenus
per la gradevole ombra che procurava; a Roma e in Italia era soprattutto
presente nei giardini di ricche dimore: cfr. Ov. rem. 141; Sen. epist. 12, 2;
Plin. nat. XII 8; Plin. epist. I 3, 1; V 6, 20; Mart. XII 50, 1 sg.; vd. al riguardo
Grimal 1990, p. 278; per la critica della coltivazione di alberi improduttivi cfr.
Sen. dial. VII 17, 2 cur arbores nihil praeter umbram daturae conseruntur?;
Quint. inst. VIII 3, 8 sterilem platanum tonsasque myrtos quam maritam
ulmum et uberes oleas praeoptaverim? – tonsili … buxeto: i bossi si prestano
ad una potatura artistica che li rendeva molto apprezzati nei giardini romani:
cfr. Plin. nat. XVI 70 tertium genus (sc. buxi) nostratis vocant … virens
semper ac tonsile; Plin. epist. V 6, 17 buxum multiformem; 6, 34 buxus … in
formas mille discripta; al riguardo vd. Grimal 1990, p. 278. Giardini di bossi
si trovavano nel portico d’Europa: vd. la n. a 20, 13.
4. ingrata … spatia: l’uso non comune di ingratus nel senso di ‘improdutti-
vo’, che suggerisce una personificazione del terreno, ricorre in Marziale anche
in X 47, 4 non ingratus ager; cfr inoltre Gratt. 33; Ps. Quint. decl. 12, 4; vd.
ThlL VII 1 1561, 15-31. Per l’uso speculare di gratus cfr. Plin. paneg. 31, 1;
Quint. decl. 298, 4.
5. rure … barbaro …: per barbarus nell’accezione positiva di ‘naturale’,
‘spontaneo’, in contrapposizione con quanto è artefatto, cfr. X 92, 3 sg. has
tibi gemellas barbari decus luci / commendo pinus ilicesque Faunorum; vd.
ThlL II 1740, 27-30. – laetatur: per Von Kamptz (ThlL VII 2, 882, 7 sgg.)
il passo appartiene agli esempi in cui laetari significa ‘vi debilitata fere i. q.
frui, praeditum esse’. La villa è comunque in certa misura personificata e
rappresentata come vivente da Marziale.
6 sgg.: inizia la descrizione della villa, scandita dall’anafora di hic. Il primo
posto è riservato alla agri cultura, che comprende coltivazione dei cereali e
della vite (6-9). Marziale descrive non tanto il lavoro quanto i frutti già raccolti
del lavoro, mettendo in risalto la produzione quasi spontanea della tenuta.
6. hic farta premitur: l’espressione suggerisce l’idea di abbondanza del
raccolto che deve essere stipata: cfr. III 41, 2 ex opibus tantis quas gravis
arca premit. – angulo … omni: la iunctura ricorre in Plaut. Aul. 437; 451;
380 M. Val. Martialis liber tertius
sg. argutos … olores; Prop. I 18, 30 argutas … aves; Culex 153 argutis
… cicadis; in Marziale cfr. IX 54, 8 arguto passere; XI 18, 5 argutae …
cicadae. L’attributo, che consente l’allitterazione (cfr. v. 15 picta perdix),
potrebbe alludere al celeberrimo episodio delle oche che con il loro
strepitio sventarono la presa del Campidoglio da parte dei Galli (cfr. Liv.
V 47). Marziale vi fa riferimento in XIII 74 (tit. anseres). Sull’allevamento
dell’anser vd. Capponi 1979, p. 67 sgg. Ne veniva apprezzato il fegato:
vd. la n. a 82, 19. – gemmei … pavones: sull’allevamento del pavone vd.
Capponi 1979, p. 392 sg.; gemmeus allude alla sua coda variopinta, quasi che
fosse ricoperta di gemme: cfr. Phaedr. III 18, 8 pictis … plumis gemmeam
caudam explicas; AL 199, 70 gemmeam (vv. ll. gemmantem, gemmatam)
pinnis … caudam; vd. anche Ov. met. I 723 cit. infra; Colum. VIII 11,
8 gemmantibus pinnis; Mart. XIII 70, 1 (tit. pavones) miraris, quotiens
gemmantis explicat alas; Stat. silv. II 4, 25 sgg. psittacus … / quem non
gemmata volucris Iunonia cauda / vinceret aspectu. Secondo la versione
del mito attestata da Ovidio le gemme del pavone deriverebbero dai cento
occhi di Argo, trasportati da Giunone sulla coda dell uccello a lei sacro:
cfr. met. I 720 sgg. Arge, iaces, quodque in tot lumina lumen habebas, /
exstinctum est, centumque oculos nox occupat una. / excipit hos volucrisque
suae Saturnia pennis / conlocat et gemmis caudam stellantibus inplet. In
XIV 85, 2 Marziale segue un’altra versione nella quale Giunone trasforma
direttamente Argo nel pavone (vd. il commento di Leary1, ad loc. e quello
di Bömer2 ad I 722.
14: si tratta probabilmente del Phoenicopterus ruber L., caratterizzato da
piumaggio alare rosso (vd. Thompson, Birds, p. 304 sg.; Capponi 1979, p.
411 sg.). I Romani ne apprezzavano la lingua come una delicatezza (XIII 71,
1 sg.; Sen. epist. 110, 12; Plin. nat. X 133; Suet. Vit. 13, 2). Il fenicottero
(gr. ) è menzionato da Marziale attraverso una perifrasi
etimologizzante anche in XIII 71, 1 (tit. phoenicopteri) dat mihi pinna rubens
nomen; per l’uso di tali perifrasi cfr. anche IX 12 (13), 1 sg. nomen habes
(sc. Earinus) teneri quod tempora nuncupat anni, / cum breve Cecropiae
ver populantur apes; 13 (12), 1-4 si daret autumnus mihi nomen, Oporinos
essem, / horrida si brumae sidera, Chimerinos; / dictus ab aestivo Therinos
tibi mense vocarer: / tempora cui nomen verna dedere quis est?; XIV 43, 1
(tit. candelabrum Corinthium) nomina candelae nobis antiqua dederunt; sul
gusto di Marziale per l’etimologia vd. Grewing 1998, specialmente p. 331 sg. Il
gioco etimologico sul nome del fenicottero è già in Aristoph. Av. 271-273.
Epigramma 58 383
15. picta perdix: si tratta della Alectoris rufa rufa L. (vd. Thompson,
Birds, p. 235; Capponi 1979, p. 396 sg.); O. Probst (Zu Martial III 58, 12
ff., «Philologus» 68, 1909, p. 319 sg.) proponeva invece l’identificazione
con l’attagen (francolino). L’allevamento della pernice nelle ville romane è
testimoniato da Varro rust. III 11, 4; sulla sua rarità come cibo cfr. Mart.
XIII 65, 1 (tit. perdices) ponitur Ausoniis avis haec rarissima mensis;
sul suo prezzo elevato cfr. XIII 76, 2. Pictus nell’accezione di ‘colorato
naturalmente’ è di uso poetico (vd. OLD, s.v., nr. 1 b): cfr. Verg. georg. IV
13 picti … lacerti; Phaedr. III 18, 8 pictis … plumis; in Marziale cfr. I 104,
1 sg. picto … collo / pardus; XIV 85, 1 sg. (tit. lectus pavoninus) nomina
dat spondae pictis pulcherrima pinnis / … avis. – Numidicae … guttatae:
specie di gallina, conosciuta anche come Africana (vd. Capponi 1979, p.
258 sg.): cfr. Colum. VIII 2, 2 Africana est quam plerique Numidicam
dicunt, similis, nisi quod rutilam galeam et cristam capite
gerit, quae utraque sunt in Meleagride caerulae; VIII 12 tit. de Numidicis
et rusticis gallinis; sulla sua importazione in Italia cfr. Plin. nat. X 132; in
Marziale cfr. XIII 45, 1 Libycae … volucres; 73 (tit. Numidicae) ansere
Romano quamvis satur Hannibal esset, / ipse suas numquam barbarus
edit aves; vd. anche Varro rust. III 9, 18; Petron. 55, 6; 93, 12; Iuv. 11, 142
sg.; Suet. Cal. 22, 3; Porph. Hor. epod. 2, 53; sulla confusione negli scrittori
fra i vari tipi di pollame vd. Toynbee 1973, p. 253 sg. Guttatus definisce la
macchiettatura del piumaggio: cfr. Varro rust. III 9, 18 gallinae Africanae
sunt … variae; Plin. nat. X 74 variis sparsum plumis (sc. genus); l’attributo
è forse un neologismo di Marziale; in seguito ricorre soltanto in Pallad. IV
13, 3 colores (sc. equorum) … albus, guttatus, candidissimus; Isid. orig.
XII 1, 48 color … guttatus; 1, 50 guttatus, albus nigris intervenientibus
punctis. Per guttae nell’accezione di maculae, puncta vd. ThlL VI 2373,
20 sgg.
16. impiorum phasiana Colchorum: il nome dell’uccello deriva dal fiu-
me Fasi nella Colchide, suo luogo di origine (sulla provenienza del fagiano
dalla Colchide vd. Capponi 1979, p. 408 sg.; Thompson, Birds, p. 299): cfr.
III 77, 4 nec Libye mittit nec tibi Phasis aves; XIII 45, 1 si Libycae volucres
et Phasides essent; Plin. nat. X 132 phasianae in Colchis. Per Marziale
l’importazione del fagiano risalirebbe alla spedizione degli Argonauti: cfr.
XIII 72 tit. phasianae. Argoa primum sum transportata carina: / ante
mihi notum nil nisi Phasis erat. Il sostantivo, soltanto qui in poesia, in
Marziale è sempre femminile, come in Plin. X 132; XI 114; Suet. Cal.
384 M. Val. Martialis liber tertius
22, 3; Vit. 13, 2; solo tardo il maschile phasianus (Paul. sent. III 6, 76;
Pallad. I 29, 1; Amm. XVI 5, 3; Hist. Aug. Hadr. 21, 4; Heliog. 20, 6). Il
mito argonautico è richiamato allusivamente anche in questo verso tramite
l’attributo impius, che qualifica i Colchi a causa di Medea: l’accostamento
ritorna in Drac. Romul. X 177 impia Colchis (sc. terra); per l’impietas
di Medea cfr. Ov. trist. III 9, 9 impia desertum fugiens Medea parentem;
Culex 249 impietate fera vecordem Colchida matrem; Sen. Ag. 119 impia
virgo; Val. Fl. IV 13 sg. dabit impia poenas / virgo; vd. anche Ov. met. VII
396 impius ensis (sc. Medeae).
17: sulla lascivia dei galli cfr. Physiogn. 83 insatiabiles esse veneris ut galli
quos Graeci vocant (vd. anche 131); Eustath. Bas. hex. 8,
3 p. 949A lascivus est gallus; vd. anche Varro rust. III 9, 5 gallos salaces.
Essa era tra le cause della castrazione: cfr. XIII 63, 1 sg. (tit. capones)
ne nimis exhausto macresceret inguine gallus, / amisit testes. nunc mihi
Gallus erit con il commento di Leary2; Colum. VIII 2, 3 mares autem
galli, semimares capi, qui hoc nomine vocantur cum sint castrati libidinis
abolendae causa. – Rhodias: da Rodi proveniva una delle specie migliori di
gallinacei (Capponi 1979, p. 248): cfr. Varro rust. III 9, 6; Colum. VIII 2,
4; Plin. nat. X 48. – superbi: sull’indole altezzosa dei galli si diffonde Plin.
nat. X 46 sg. proxime gloriam sentiunt et hi nostri vigiles nocturni …
imperitant suo generi et regnum in quacumque sunt domo exercent … et
plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa, caelumque
sola volucrum aspicit crebra, in sublime caudam quoque falcatam
erigens; cfr. anche Colum. VIII 2, 9 mores autem … maxime … generosi
probantur, ut sint elati, alacres, vigilaces; in generale sui galli nell’antichità
vd. Orth, RE VIII 2519, 48 sgg. – premunt: per l’uso eufemistico relativo
al ruolo maschile nell’atto sessuale vd. OLD, s.v., nr. 2 b; cfr. IV 4, 4 quod
pressa piger hircus in capella; Lucr. IV 1079 sg. quod petiere, premunt
arte faciuntque dolorem / corporis; Prop. I 13, 21 sg. non sic Haemonio
Salmonida mixtus Enipeo / Taenarius facili pressit amore deus; Suet. Cal.
25, 1 ‘noli uxorem meam premere’; per l’equivalente uso di comprimo cfr.
IV 66, 11 vilica vel duri compressa est nupta coloni; Prop. II 26, 47 sg.
testis Amymone, latices dum ferret, in Argis / compressa; vd. ThlL III
2157, 70 sgg.; OLD, s.v., nr. 2; Adams, LSV, p. 182.
18: le colombaie romane avevano la forma di una torretta posta sul tetto:
cfr. XII 31, 6 quae … gerit similes candida turris aves; Ov. ars II 150 quas
… colat turres Chaonis ales habet; trist. I 9, 7 sg. aspicis ut veniant ad
Epigramma 58 385
(OLD, s.v. silva, nr. 3 a) cfr., ad es., Ov. met. VII 242; Sen. Her. O. 1641;
Val. Fl. III 311; 427; Stat. silv. III 1, 185.
24 sgg.: la tenuta di Faustino si differenzia dalla città perché tutti gli
schiavi vi sono occupati in modo proficuo e attivo. I versi contengono
pertanto un’implicita condanna del possesso di numerosi schiavi, sfruttati
come oggetti sessuali o ostentati come segno di ricchezza: cfr. II 43, 13;
57, 5; X 98, 1 sgg.; XII 66, 8.
24. albo … otio: per la figura, frequente in Marziale, per cui il predicato
proprio di una persona viene riferito ad un elemento caratterizzante di
essa, vd. la n. a 46, 1 operam … togatam; albus indica il pallore prodotto
dalla oziosa vita di città: cfr. I 55, 13 sg. non amet hanc vitam quisquis me
non amat, opto, / vivat et urbanis albus in officiis; X 12, 9 sg. et venies
albis non adgnoscendus amicis / livebitque tuis pallida turba genis; vd.
anche Hor. sat. II 2, 21; epod. 7, 15; carm. II 2, 15 sg. – pallet: sul pallore
come esito di una vita non sana cfr. I 77, in cui il pallor del protagonista
è causato dalle sue pratiche sessuali (6 cunnum lingit Charinus); XI 6,
6 pallentes … curae; XIV 162, 2 pallida cura; Hor. sat. II 3, 78 argenti
pallet amore; Sen. ben. IV 13, 1 corpora ignavia pallentia; dial. X 2, 4
quam multi continuis voluptatibus pallent!; Pers. 5, 15 pallentis radere
mores; Iuv. 2, 50 Hispo subit iuvenes et morbo pallet utroque. Otium qui
nella sua accezione negativa (vd. ThlL IX 2, 1176, 29 sgg.): cfr., ad es.,
Sen. ben. VII 2, 2 animus … otio torpet. – caupo: la forma con occlusione
del dittongo copo è preferita da Schneidewin, Gilbert, Friedlaender, SB;
sembrano tuttavia ricondurre a caupo, accolto da Lindsay, Heraeus, Izaac,
le lezioni corrotte di entrambe le famiglie (capo, carbo) e il tono più
sostenuto dell’epigramma.
25. nec perdit oleum: l’attività ginnica è qui vista come spreco di tempo
e di risorse alimentari (oleum): per la svalutazione dello sport a vantaggio
dell’agricoltura cfr. anche XIV 49, 1 sg. (tit. halteres) quid pereunt stulto
fortes haltere lacerti? / exercet melius vinea fossa viros. Il biasimo della
palestra costituisce un motivo diffuso della critica moralistica a Roma:
cfr. Varro rust. II 1 sg.; Sen. epist. 88, 18 sg.; dial. X 12, 2; Cic. Tusc.
IV 70; rep. IV 4; Plin. nat. XV 19; XXIX 26; XXXV 48; Lucan. VII
270-272; Plin. epist. IV 22, 7; paneg. 13, 5; Sil. XIV 134-138; Plut. Mor.
274 D; sull’argomento vd. RE VII 2061-2085; Marquardt 1886, pp. 117;
122; Blümner 1911, p. 329. – lubricus palaestrita: palaestrita, grecismo
completamente ambientato nella lingua latina al tempo di Marziale, indica
388 M. Val. Martialis liber tertius
aut pressa puris mella condit amphoris. Per l’uso metonimico di cera per
‘favo’ cfr. V 37, 10; Verg. georg. IV 57 (vd. OLD, s.v. cera, nr. 2 a). Il verso
è molto simile, pur nella diversità del metro, ad Ov. fast. IV 546 in ceris
aurea mella suis. Mella è plurale poetico (vd. ThlL VIII 605, 64 sgg.); in
Marziale vi sono sette occorrenze contro un solo caso al singolare (XIII
24, 1).
35: ha creato difficoltà agli interpreti la menzione in questo contesto del
formaggio proveniente da Sarsina, poiché ci si aspetterebbe che il salutator
portasse un prodotto della sua terra e non certo di una regione così distante.
Si è tentato di sanare l’aporia intervenendo sul testo: Heinsius proponeva
metamque lactis Sassinatis, de silva, inaccettabile metricamente, poiché in
quinta sede dello scazonte non è mai ammesso lo spondeo (vd. Giarratano
1908, p. 61); Rooy, seguito da Friedlaender, ha corretto in metamque lactis
Sassinatis; e silva, che permette di superare le difficoltà metriche, ma
comporta due interventi sul testo e obbliga ad intendere ‘Käse nach Art
der Sassinatischen’ (Gilbert apud Friedlaender); inoltre l’interpunzione
crea una pausa innaturale, in una serie di versi sintatticamente compiuti,
facendo gravitare e silva sul verso seguente. Citroni 1987, p. 151 n. 31 si
domanda «se Sassinate non sia lezione interpolata da I 43, 7 ove ricorre:
rustica lactantis nec misit Sassina metas e non nasconda un diverso
nome di località prossima a Baia». La difficoltà sussiste e, in assenza di
una soluzione convincente, appare opportuno mantenere il testo tràdito
come fanno tutti gli editori moderni, con l’eccezione di Friedlaender. Il
formaggio di Sarsina era noto per la sua qualità (cfr. Plin. nat. XI 241;
Sil. VIII 461 sg.; vd. RE II A, 1, 51) ed è ricordato da Marziale in I 43, 7
cit. supra, dove Sassina è stato restituito con certezza da Heinsius (sasina
T fuscina om. ). Lac assoluto per ‘formaggio’ ricorre soltanto qui; di
norma è accompagnato da un participio che ne specifica lo stato: cfr. VIII
64, 9 massam … lactis alligati; Verg. ecl. 1, 81 pressi … lactis; Ov. met.
VIII 666 lactis massa coacti; XIII 796 lacte coacto. Meta solo qui e in I 43,
7 cit. supra è usato per formaggio di forma conica (vd. ThlL VIII 863, 62
sg.). Sul formaggio nel mondo romano vd. André 1981, pp. 155-158.
36. somniculosos … glires: i ghiri erano considerati leccornie: cfr. Petron.
31, 10; Plin. nat. XXXVI 4 (vd. anche VIII 223); per la loro presenza nelle
ville cfr. Varro rust. III 2, 14; 3, 3 sg.; 12, 2; 14, 1. L’attributo somniculosus,
solo qui in Marziale e raro in poesia (cfr. Cinna fr. 10), allude al proverbiale
letargo invernale del ghiro: cfr. XIII 59 (tit. glires) tota mihi dormitur
Epigramma 58 391
hiems et pinguior illo / tempore sum quo me nil nisi somnus alit; Laber.
mim. 5 et iam hic me optimus somnus premit ut premitur glis; vd. Otto,
Sprichwörter, s.v. glis; ThlL VI 2046, 27-38. Sull’impronta prosaica degli
aggettivi in –osus vd. Axelson 1945, p. 60 sg.
37. vagientem matris hispidae fetum: un capretto. L’animale è indicato
con analoga perifrasi in VII 31, 3 et fetum querulae rudem capellae. Dal
verso del capretto deriverebbe l’uso di vagire per neonati umani secondo
Varrone, ling. VII 103 sg. multa ab animalium vocibus tralata in homines,
partim qu<ae> sunt aperta, partim obscura … eiusdem (sc. Enni) ab
<ha>edo: clamor ad caelum volvendus per aethera vagit (ann. 531 V2);
cfr. anche Plaut. Poen. 30 sg. ne et ipsae sitiant et pueri pereant fame /
neve essurientes hic quasi haedi obvagiant; Ov. met. XV 466 sg. aut qui
vagitus similes puerilibus haedum / edentem iugulare potest (altrove vagire
è usato per le lepri: Suet. fr. 161 p. 250 Reiff. leporum vagire; AL 762, 60
lepores vagiunt; Isid. diff. 607). Da escludere pertanto l’ipotesi, suggerita
probabilmente dall’uso di hispidus (vd. infra), che si tratti di un maialino,
attestata nel Forcellini, s.v. vagio 2 b e in altri lessici (Georges, Calonghi,
Castiglioni-Mariotti). I maiali sono nominati al v. 20 e gli animali e i prodotti
recati in dono dal rusticus ai vv. 34-40 non sono menzionati altrove nell’epi-
gramma. Per il verso del maiale il latino utilizza il verbo grunnire (o grundire)
e il sostantivo grunnitus (o grunditus): vd. ThlL VI 2338, 55 sgg.; 2339,
12 sgg. L’attributo hispidus, usato per lo più per suini (cfr. Phaedr. V 10,
4 hispidi … suis; Sen. Ag. 892 hispidus … aper; vd. ThlL VI 3, 2833, 9
sgg.), ricorre solo qui per una capra; cfr. però Verg. georg. III 287 hirtas …
capellas; Ov. met. XIII 927 hirtae … capellae; Iuv. 5, 155 hirsuta … capella;
Iuvenc. IV 267 hirtis … capellis; Avien. ora 218 hirtae … capellae. Fetus è
comune per la prole di animali: vd. ThlL VI 1, 637, 52 sgg.; in riferimento al
capretto ancora in VII 31, 3 cit. supra; Tib. I 1, 31 sg. fetum … capellae; Iuv.
15, 12 fetum … capellae.
38: i capponi sono menzionati tra gli Xenia: cfr. XIII 63 tit. capones. ne
nimis exhausto macresceret inguine gallus, / amisit testes. nunc mihi Gallus
erit; 64 tit. idem. succumbit sterili frustra gallina marito. / hunc matris
Cybeles esse decebat avem. – coactos non amare: sull’uso eufemistico di
amare per futuere vd. Adams, LSV, p. 188; cfr. VI 93, 3 ab amore recens
hircus.
39. vimine offerunt texto: congettura certa di Scriverius per il tràdito vi-
mineo ferunt texto: cfr. IX 72, 3 texto … vimine; vd. anche II 85, 1 vimine
392 M. Val. Martialis liber tertius
… levi; IV 88, 7 rugosarum vimen breve Picenarum; VII 53, 5 cum vimine
Picenarum.
40. grandes … virgines: grandis si riferisce all’età, relativamente alle fasi
della vita: cfr. Don. Ter. Ad. 673 grandem ad aetatem veteres rettulerunt,
non ad corpus, et in parte aetatis dicitur grandis non in tota vita, nisi
additur natu … et grandis infans et grandis puer et grandis ephebus et
grandis virgo recte dicitur; Plaut. Aul. 191 virginem dabo grandem; Trin.
374 soror illi est adulta virgo grandis; Ter. Ad. 673 an sedere oportuit
domi virginem tam grandem; in Marziale cfr. VIII 3, 16 grandis virgo;
vd. anche II 48, 5 et grandem puerum diuque levem; VII 10, 14 poscit iam
dotem filia grandis.
41. vocatur: l’uso assoluto di voco (sc. ad cenam) è comune da Plauto in
poi e frequente in Marziale.
42: l’abitudine della tenuta rustica contrasta con quella cittadina, per cui
gli avanzi di una cena venivano talora riproposti in cene successive: cfr.
II 37, 10 sg., in cui Marziale rimprovera argutamente il commensale che
arraffa senza misura ogni cibo che viene servito: ullus si pudor est, repone
cenam: / cras te, Caeciliane, non vocavi; X 48, 17 sg. pullus ad haec
cenisque tribus iam perna superstes / addetur.
43 sg.: tutti ricevono lo stesso trattamento, persino i servi, che quindi
non hanno nulla da invidiare agli altri commensali. Diversa, come è noto,
la consuetudine a Roma, dove i clienti ricevevano cibi più scadenti (vd. la
n. intr. all’epigr. 60). Sull’invidia generata dalla disparità di trattamento cfr.
IV 68 invitas centum quadrantibus et bene cenas. / ut cenem invitor,
Flacce, an ut invideam? – satur minister: avere un servo ben pasciuto è
uno dei desideri espressi da Marziale in II 90 (v. 9 sit mihi verna satur).
45 sgg.: gli ultimi versi introducono nuovamente ed in modo inatteso il
destinatario del componimento Basso, la cui menzione nel v. 1 sembrava
un gesto allocutorio estraneo allo sviluppo dell’epigramma.
45. at: la particella avversativa marca un netto contrasto con la florida
tenuta di Faustino fin qui descritta. – famem mundam: efficace e originale
espressione metonimica, che associa l’eleganza esteriore della tenuta di
Basso e la sua carenza sostanziale (cfr. v. 49 pictam … villam). Fames
per ‘luogo sterile’ non offre altre attestazioni (vd. ThlL VI 1, 233, 78
sg.; per altri usi metonimici del sostantivo vd. la n. a 7, 4). Per mundus
nell’accezione di ‘elegante’, ‘rifinito’ vd. ThlL VIII 1631, 41 sgg.; OLD,
s.v., nr. 2; cfr. Hor. epist. I 20, 2 Sosiorum pumice mundus (sc. liber); Sen.
Epigramma 58 393
epist. 86, 12 postquam munda balnea inventa sunt, spurciores sunt (sc.
homines). Meno persuasiva mi sembra l’ipotesi di attribuire all’aggettivo
valore intensivo come in Petron. 41, 11 et mundum frigus habuimus (vd.
Hofmann, LU, p. 197), sostenuta da von Kamptz in ThlL VIII 1631, 73 e,
recentemente, da Salanitro 2002, p. 561, che propone di rendere il verso,
«senza la necessità di evidenziare il riferimento alla villa che risulta da
ciò che segue», con un’espressione idiomatica italiana («tu nel suburbio
possiedi una fame nera»). Tale esegesi mal si adatta all’uso metonimico di
fames, garantito da possides. – sub urbe: sulla tenuta suburbana di Basso
cfr. l’epigr. 47.
46. meras laurus: per merus nell’accezione di ‘non nisi, nihil praeter’
vd. ThlL VIII 848, 26 sgg.; cfr. VII 54, 1 semper mane mihi de me mera
somnia narras; Cic. Att. IX 13, 1 mera scelera loquuntur; Hor. epist. I 7,
84 sulcos et vineta crepat mera; II 2, 88 ut … meros audiret honores.
47. furem Priapo non timente: Priapo, custode dell’orto, non teme i
ladri poiché non c’è nulla da rubare.
48 sgg.: i versi richiamano III 47, 6 sgg., dove Marziale rappresenta il
viaggio di Basso con un carro pieno di ogni cibi, destinato, come si scopre
in conclusione, non in città, ma in campagna.
49. pictam … villam: cfr. I 55, 5 picta … Spartani frigora saxi (i marmi
colorati dei ricchi palazzi nobiliari); vd. anche X 30, 13 pictam phaselon.
50: tutti prodotti tipici della campagna: vd. III 47, 7 sgg.; VII 31.
51: conclusione arguta: se non produce nulla, la villa suburbana di
Basso deve essere considerata una domus lontana e non una tenuta
campagnola (rus). All’opposto Sparso possiede un autentico rus in
urbe (XII 57, 21); la villa di Giulio Marziale può essere invece definita
domus per l’affabilità del suo proprietario: hoc rus, seu potius domus
vocanda est, / commendat dominus: tuam putabis, / tam non invida
tamque liberalis, / tam comi patet hospitalitate (IV 64, 25 sgg.). In VII
31 Marziale scherza sull’improduttività della propria tenuta campagnola.
– domus longe: l’espressione sottintende un participio (ad es. sita): cfr. X
58, 2 propius Baias; Stat. Ach. I 174 sgg. insequitur (sc. Achillem) … /
Patroclus tantisque extenditur aemulus actis, / par studiis aevique modis,
sed robore longe.
394 M. Val. Martialis liber tertius
59
dell’indignazione del poeta. Bononia fu colonia romana dal 189 a.C. (cfr.
Liv. XXXVII 57, 7; Vell. I 15, 2; vd. Hülsen, RE III 701 sg.; Suppl. I
255; Nissen, IL, II, p. 262 sgg.). Cultus, soltanto qui riferito ad una città,
lascia supporre un ambiente elegante e raffinato; l’epiteto stride perciò
con l’umiltà del personaggio (Citroni 1987, p. 146 sg.). Nel 69 d.C. per
ordine di Fabio Valente fu costruito a Bononia un anfiteatro (Tac. hist. II
67, 2), dove si svolse uno spettacolo gladiatorio in onore di Vitellio (Tac.
hist. II 71, 1). Si trattava con ogni probabilità di una struttura lignea. Il
ritrovamento di una lastra con un rilievo gladiatorio nel 1930 presso la
città conferma le notizie attestate dalle fonti letterarie (vd. al riguardo S.
Aurigemma, Gli anfiteatri romani di Placentia, di Bononia e di Forum
Cornelii, «Historia» 6, 1932, p. 565 sgg.). Bologna appare ancora negli
epigrammi di Marziale in VI 85, 5 sg., in cui il poeta lamenta la morte
dell’amico Camonio Rufo, conosciuto probabilmente durante il soggiorno
cisalpino, invitando l’intera città a piangerne la scomparsa: funde tuo
lacrimas orbata Bononia Rufo, / et resonet tota planctus in Aemilia.
2. fullo: il mestiere del lavandaio era considerato tra i più umili: cfr. Firm.
math. III 8, 7 artes aut sordidae aut squalidae … quales sunt … fullones
eqs.; vd. Daremberg-Saglio, s.v. fullonica; Marquardt 1886, pp. 527-30;
R.J. Forbes, Studies in Ancient Technology, IV, Leiden 19642, pp. 81-98;
in Marziale cfr. XII 59, 6 sg. hinc instat tibi textor, inde fullo, / hinc
sutor modo pelle basiata. – Mutinae: menzionata qui soltanto da Marziale.
La lana di Modena era rinomata (cfr. Strabo V 1, 12; Colum. VII 2, 3)
e questo provocò la fioritura del mestiere di lavandaio; Marziale ricorda
altrove l’alta qualità della lana di Parma: cfr. XIV 155, 1 sg. velleribus
primis Apulia, Parma secundis / nobilis; vd. anche II 43, 4; IV 37, 5; V
13, 8. I dati epigrafici confermano le fonti letterarie riguardo alla fioritura
nella Cisalpina della produzione tessile (vd. E. Noè, La produzione tessile
nella Gallia Cisalpina, «RIL» 108, 1974, pp. 918-932; G. Mansuelli, I
Cisalpini, Firenze 1962, p. 208 sgg.). Su Mutina, colonia romana dal 183
a.C., vd. RE XVI 939, 45- 946, 59; Nissen, IL, II, p. 264 sgg. – nunc ubi
copo dabit?: traspare dalla domanda un sarcasmo venato di amarezza per
l’ascesa sociale di ceti umili, cui sembra non esistere limite. Mentre a Roma
non era permesso al tempo che un privato offrisse un munus gladiatorio,
le fonti rivelano che in provincia questo accadeva frequentemente (vd. la
n. intr. all’epigr. 16; Ville 1981, pp. 161 sgg.; 200 sgg.). Sulla preferenza per
la forma copo vd. la n. a 57, 1.
396 M. Val. Martialis liber tertius
60
Dato che non mi si invita più a cena dietro compenso come prima,
perché non mi viene data la tua stessa cena?
Tu prendi ostriche nutrite nel lago Lucrino,
io succhio un mitilo dopo averne inciso il guscio.
A te toccano boleti, io prendo funghi porcini; 5
tu hai a che fare col rombo, io con lo sparulo.
Un’aurea tortora ti riempie con le sue cosce enormi,
a me viene servita una gazza morta in gabbia.
Perché ceno senza di te, pur cenando con te, o Pontico?
Il fatto che non c’è la sportula offra un vantaggio: mangiamo gli stessi cibi. 10
Il poeta si lamenta con un patrono che gli offre una cena scadente, mentre
riserva per sé cibi raffinati. Il tema ricorre spesso in Marziale: cfr. I 20; 43;
III 49; IV 68; 85; VI 11; IX 2; X 49; XII 27 (28); presenta affinità con questo
epigramma nello svolgimento del tema VI 11 (vd. Siedschlag 1977, p. 53
sg. e il commento di Grewing all’epigr.): quod non sit Pylades hoc tempore,
non sit Orestes / miraris? Pylades, Marce, bibebat idem, / nec melior panis
Epigramma 60 397
turdusve dabatur Orestae, / sed par atque eadem cena duobus erat. / tu
Lucrina voras, me pascit aquosa peloris eqs.; vd. anche Plin. epist. II 6 (con
il commento di Sherwin-White); Iuv. 5 (con il commento di Courtney). Qui
il tema viene contestualizzato da Marziale nel periodo di abolizione della
sportula (vv. 1; 10; cfr. gli epigr. 7; 14; 30 di questo libro), che dovrebbe
almeno garantire al cliente una recta cena come quella del patrono. Pontico
è con ogni probabilità un nome fittizio (ricorre ancora in II 32, 2; IV 85,
1; V 63, 2; IX 19, 2; 41,1 e 10; 82, 1; anche in IV 85 si tratta di un patrono
avaro). Il nome del patrono è ritardato fino al v. 9, con l’effetto di accrescere
il tono indignato dell’ultimo distico. L’epigramma sviluppa unitariamente
due temi ben presenti nel libro: l’abolizione della sportula (cfr. 7; 14; 30) e
la lamentela per la condizione dei clienti (cfr. 36; 37; 38; 46); esso costituisce
una sorta di riflessione conclusiva sull’argomento, che non compare più nel
resto del libro.
1. Cum vocer: forma incipitaria tra le più comuni in Marziale: essa introduce
un dato di fatto che può suscitare un interrogativo (cfr., ad es., III 23, 1
sg. omnia cum retro pueris obsonia tradas, / cur non mensa tibi ponitur
a pedibus?). Vocer è lezione di T, mentre i codici delle famiglie recano
vocor; l’indicativo, pur possibile, determinerebbe però un valore temporale
per il cum che mal si adatta al contesto. Per la frequente corruttela cfr. I 59, 4
laver : lavor ; VII 23, 3 precer : precor ; vd. anche la n. a 32, 1. – non
iam venalis ut ante: sull’abolizione della sportula da parte di Domiziano vd.
la n. intr. all’epigr. 7. La sportula era talvolta associata all’invito a cena (vd. la
n. a 30, 1).
2: per la distribuzione della sportula il patrono si sentiva autorizzato ad
offrire cibi scadenti ai suoi clienti; nelle aspettative di Marziale la sua abolizione
dovrebbe comportare un miglioramento del trattamento (cfr. v. 10). Per la
forma analoga della recriminazione per la disparità dei cibi cfr. VI 11, 3 sg.
cit. nella n. intr.; Iuv. 5, 51 sg. non eadem vobis poni modo vina querebar? /
vos aliam potatis aquam.
3. ostrea: sulle ostriche, considerate tra i cibi più prelibati vd. la n. a 45, 6.
Quelle del lago Lucrino erano rinomate: cfr. V 37, 3; VI 11, 5; X 37, 11; XII
48, 4; XIII 82; 90, 2; vd. anche Hor. epod. 2, 49; Petron. 70, 6; sull’argomento
vd. RE II 2, 2590-1, s.v. Austern. – stagno … Lucrino: sulla definizione vd.
la n. a 20, 20. – saturata: in Marziale il verbo ricorre 3 volte su 4 al participio
passato (VIII 28, 4; 48, 5; XIII 24, 1); in Virgilio 2 occorrenze su 4 sono part.
398 M. Val. Martialis liber tertius
pass.: cfr. Aen. VIII 213 sg. saturata … / … armenta; vd. EV IV, s.v. satur.
4: il mitulus è una specie di concha marina (‘mytilus edulis L.’): cfr.
Athen. III 85 e , ;
Porph. Hor. sat. II 4, 28; vd. Steiner, RE XVI 785 sgg.; Thompson, Fishes,
p. 259. Il termine è usato per la prima volta in poesia da Orazio sat. II 4,
28. – sugitur: sumitur di è senz’altro una banalizzazione, favorita molto
probabilmente dal contesto prossimo (cfr. vv. 3 sumis; 5 sumo). – inciso …
ore: cfr. Plin. nat. IX 80 muricem … neque aspero neque rotundo ore; 130
rotunditate oris (sc. conchae) in margine incisa. Il particolare aggiunge un
tratto ulteriore alla descrizione del misero trattamento riservato al cliente: il
mitilo che gli viene servito, oltre ad essere più scadente nella qualità, non è
stato neanche preparato a dovere e il poeta deve anche inciderne il guscio.
Mi sembra quindi che fraintenda il passo SB2, che traduce: «I cut my mouth
sucking a mussel».
5. sunt tibi boleti: sui pregiati boleti vd. la n. a 45, 6. – suillos: soltanto
i codici della terza famiglia conservano qui la lezione corretta (pusillos
è corruttela facilmente spiegabile). Si tratta di funghi porcini, non tanto
scadenti, quanto pericolosi: cfr. Plin. nat. XXII 96 tertium genus suilli,
venenis accomodatissimi. familias nuper interemere et tota convivia …
quae voluptas tam ancipitis cibi? (vd. anche XVI 31); sull’identificazione
vd. G. Maggiulli, Nomenclatura micologica latina, Genova 1977, p. 73
sgg. La situazione descritta nel verso è certamente ripresa da Giovenale 5,
146 sg. vilibus ancipites fungi ponentur amicis, / boletus domino (vd. al
riguardo Colton 1991, p. 200).
6. res tibi cum … est: l’espressione ricorre in commedia (Plaut. Men. 323;
Ter. Eun. 759), in prosa (Cic. Verr. II 5, 109: div. II 109; Caes. Gall. VII
77, 4; Liv. V 3, 8; XXVIII 42, 17; Tac. dial. 10, 5; Suet. Iul. 68, 2), ma anche
in Verg. Aen. IX 154 sg.; Tib. I 6, 3; Sil. XII 706. – rhombo: sul rombo,
pesce prelibato, vd. la n. a 45, 5. – sparulo: lo sparulus, menzionato in [Ov.]
Hal. 107 et super aurata sparulus cervice refulgens, è stato identificato
con il Sargus Annularis della famiglia degli Sparidae (vd. il commento di
Capponi, ad loc.).
7. aureus … turtur: la tortora era un cibo raffinato: cfr. XIII 53, 1 sg.
(tit. turtures) cum pinguis mihi turtur erit, lactuca valebis: / et cocleas
tibi habe. perdere nolo famem; vd. anche VII 20, 15; Plaut. Most. 46; Iuv.
6, 39. Per l’uso di aureus cfr. III 58, 19 cereus turtur; qui l’attributo, oltre
al colore (su cui vd. André 1949, p. 155 sg.), mette in risalto il pregio del
Epigramma 60 399
61
hab. R tit. ad cinnam : de cinna R 2 nil (pr.) RLQfE²A²XV: nihil PE¹A¹ nego
RLPf : dabo Q
1. Esse nihil: espressione della lingua colloquiale nel senso di ‘essere una
cosa da nulla’: cfr. Plaut. Mos. 981 sg. nihil hoc … est, / triginta minae;
Hor. sat. II 3, 116 mille cadis-nihil est, tercentum milibus; vd. OLD, s.v.
nr. 8 a; in Marziale l’espressione ricorre ancora in IV 5, 9 sg.; IX 41, 3;
XIII 2, 8 sg. – improbe: per questa accezione dell’attributo cfr. Isid. orig.
X 135 improbus dictus, quod instat etiam prohibenti; in Marziale cfr. IV
1, 10 pro tanto quae sunt improba vota deo?; vd. anche V 80, 7; XI 80, 6;
ThlL VII 1, 691, 6 sgg.
Epigramma 62 401
62
dall’anafora di quod cfr. I 104, 1-10; II 11, 1-6. Per quest’uso di quod vd.
la n. a 42, 2.
1. Centenis … ducenis: sc. milibus; per l’ellissi vd. OLD, s.v., nr. 1 c; in
Marziale cfr. II 65, 5; IV 37, 5; V 35, 2; VIII 16, 2; XI 76, 4; XII 75, 8;
l’elevata cifra di centomila sesterzi per un giovane schiavo è attestata in
diversi epigrammi: cfr. I 58, 1 sg.; XI 70, 1; vd. anche II 63, 1 sg.; altrove
Marziale censura il comportamento di personaggi che vendono un podere
per acquistare un puer (IX 21; XII 16; 33). Sui prezzi degli schiavi vd. Citroni,
p. 193; Blümner 1911, p. 280 sg.; Westermann, RE Suppl. VI 1011 sg.
2. sub rege Numa: si tratta di un’iperbole comica: cfr. XIII 111 (tit. Fa-
lernum) de Sinuessanis venerunt Massica prelis: / condita quo quaeris
consule? nullus erat. Numa Pompilio, secondo re di Roma, simboleggia un
periodo remoto anche in X 39, 1 sg. consule te Bruto quod iuras, Lesbia,
natam, / mentiris: nata es, Lesbia, rege Numa?; per il riferimento alla
Roma arcaica vd. anche XI 44, 1 orbus es et locuples et Bruto consule
natus.
3. decies: sc. centena milia; per il frequente uso ellittico del moltiplicativo
vd. la n. a 22, 2 centies. – non spatiosa supellex: Marziale potrebbe
riecheggiare qui Persio (4, 52): noris, quam sit tibi curta supellex, dove
pure supellex è usato in senso metaforico. Supellex indica genericamente
il mobilio: cfr. Paul. Dig. XXXIII 10, 3 supellectili haec continentur:
mensae … subsellia, scamna, lecti etiam inargentati, culcitae, toralia … ,
vasa aquaria, pelves … candelabrae, lucernae; in Marziale cfr. V 62, 3 aut
si portatur tecum tibi magna supellex.
4. libra … argenti: una libbra d’argento a Roma costava circa 270 sesterzi.
L’espressione si riferisce certamente a un oggetto d’argento lavorato
artisticamente (vd. ThlL II 525, 76 sgg.; Friedlaender, SR IV, p. 301 sg.;
D.E. Strong, Greek and Roman Silver Plate, Ithaca 1966, p. 19 sg.): l’uso è
frequente in Marziale: cfr. II 76, 1; III 40 (41), 2; IV 39, 1. 9; 88, 3; V 59, 1;
VI 50, 4; VII 53, 12; VIII 6, 3; 34, 1; 71, 1; X 15 (14), 8; 57, 1; XI 70, 7 sg.;
XII 36, 1; XIII 48, 1; vd. anche VII 86, 6 sg. nulla venit a me / Hispani tibi
libra pustulati. – rapit: esprime lo sproposito della somma pagata, quasi
un furto: cfr. III 16, 2 quodque tibi tribuit subula, sica rapit (dove la sica
simboleggia gli spettacoli gladiatori); VII 32, 6 et rapit immeritas sordidus
unctor opes; vd. anche VIII 64, 15 sit tandem pudor et modus rapinis; XII
55, 6 hoc vendit quoque nec levi rapina.
Epigramma 62 403
Epigrams, «AUB (sect. class.)» 7, 1979, pp. 71-85, spec. 81-83; per un
caso analogo di varianti nella collocazione di sostantivo e aggettivo cfr.
VI 64, 28 fumantem vivi nasum temptaveris ursi : fumantem nasum
vivi T . Sullo scarso peso dell’accordo di due famiglie contro una nella
costituzione del testo di Marziale vd. Citroni, p. LXXI sgg.; SB1, pp. VIII-
X. – animus … pusillus: la condanna di Quinto è realizzata da Marziale
attribuendo all’espressione un significato opposto a quello comune: cfr.,
ad es., Sen. ben. II 34, 4 parcissimum … hominem vocamus pusilli animi
et contracti, cum infinitum intersit inter modum et angustias. Pusillus
per Marziale è invece colui che spreca denaro credendosi per questo un
grand’uomo. Sull’aggettivo, appartenente alla sfera quotidiana, vd. la n. a
42, 3.
Epigramma 63 405
63
vv. 1-4 hab. R 63, 5-V 67, 5 post 21 hab. AG(c)h (vd. epigr. 22) tit. ad cotilum (-ty-)
R EXV: anapiciua A in mg. (fort. ex ad apicium, ad 22 pertinens) 2 bellus homo. dist.
Friedlaender: bellus homo? Lindsay dic mihi bellus homo RQf² : dic mihi cotile bellus
homo Pf¹ dic mihi cotile bellus homo es L¹ cotile bellus homo L² 3 flexos R AXV:
flexus E digerit LPf : digeris R dirigit Q 4 qui : quis R cinnama RLPf : cinnama
qui Q 5 nili EA: lini XV qui gaditana h²lv2²: qui gaditani AXVh¹ qui graditani E qui
et gaditana PQfv2¹ qui et gauditana L 6 movet LQf²EXV: movit Pf¹ vomet A modos
f²in mg. : choros LPQf¹ 8 desidet LPQ²f : besidet Q¹ aliqua LPQ²f : alia Q¹ 9
missas V: missa EAX 11 qui A: quis EXV amet EXV: amat A convivia EXV:
conviva A 12 hirpini LPf : harpini Q 13 hoc est hoc est : hoc est homo cotile
bellus LPf: cotile bellus Q cotile homo bellus EXV lecoti homo bellus A 14 pertricosa
LPf¹EXV: perticosa A perridicula f²in mg. pretiosa quidem Q homo L²Pf : homo est
L¹ut vid.Q
uno che legge biglietti inviatigli da una parte e dall’altra e ne scrive a sua
che rifugge il mantello del gomito vicino; [volta; 10
uno che sa quale donna ami ciascuno, che corre per banchetti,
uno che conosce bene i remoti antenati di Irpino.»
Che mi racconti? Questo, proprio questo è un uomo di mondo, Cotilo?
È una cosa intricata, Cotilo, un uomo di mondo.
incinit ore modos; Ov. Ib. 452 ad Phrygios … modos (Mart. XI 84, 4); vd.
anche l’analoga espressione relativa alla danza di Lucr. IV 769 bracchia … in
numerum iactare (vd. ThlL II 2158, 67 sgg.). La lezione choros della seconda
famiglia, trascurata da tutti gli editori, era invece collocata da Lindsay tra le
varianti per cui la scelta è difficile (Lindsay 1903, p. 24). Il termine chorus,
pur non estraneo al contesto (cfr., ad es., Prop. III 5, 19 sg. me iuvat …
/ Musarum … choris implicuisse manus), sembra tuttavia adattarsi male
all’espressione movere bracchia in … (vd. ThlL III 1, 1022, 53–1023, 52).
– bracchia vulsa: anche la depilazione maschile è un tratto caratteristico
dell’effeminato: cfr. Ov. ars III 437 sg.; med. 25 sg.; Sen. epist. 47, 7; 114,
14; nat. VII 31, 2; Plin. nat. XIV 123; XXIX 26; Plin. epist. II 11, 23; Iuv.
8, 114; Suet. Iul. 45, 2; Aug. 68; in Marziale cfr. II 29, 6; 62, 1; V 61, 6; IX
27; X 65, 8; XII 38; vd. al riguardo Herter, Effeminatus, 633 sg.; Obermayer
1998, pp. 117-120.
7 sg.: Cotilo trascorre giornate intere in compagnia di donne, cui parla
continuamente all’orecchio. Il particolare ritorna nel ritratto dell’effeminato
di XII 38, 1 sgg. hunc qui femineis noctesque diesque cathedris / incedit tota
notus in urbe nimis (per l’ipotesi di lacuna dopo il v. 1 vd. Housman 1907,
p. 260 = Class. Pap., p. 735). – inter femineas … cathedras: la cathedra è
una sedia con schienale, ma senza braccioli, usata prevalentemente da donne
(vd. Marquardt 1886, p. 726); cfr. Iuv. 6, 91 molles … cathedras; Sidon. epist.
II 9, 4 inter matronarum cathedras. La iunctura deriva probabilmente
da Calp. ecl. 7, 27 inter femineas spectabat turba cathedras (dei posti
nell’anfiteatro). – desidet: per l’accezione di tempus otiose terere vd. ThlL
V 1, 696, 10 sgg.; cfr. Ter. Hec. 800 frustra ubi totum desedi diem; Suet.
rhet. 25 ibi homines adulescentulos dies totos desidere. – aliqua semper in
aure sonat: il bellus homo bisbiglia all’orecchio, come se si trattasse sempre
di argomenti strettamente riservati e confidenziali: in I 89 Marziale descrive
comicamente la degenerazione di questa abitudine: garris in aurem semper
omnibus, Cinna, / garrire et illud teste quod licet turba (1 sg.); cfr. anche
V 61, 3 nescio quid dominae teneram qui garrit in aurem; Hor. sat. II
8, 78 stridere secreta divisos aure susurros; Pers. 5, 96 secretam garrit in
aurem. Marziale ha qui probabilmente imitato Properzio: I 12, 5 sg. nec
mihi consuetos amplexu nutrit amores / Cynthia, nec nostra dulcis in
aure sonat (per la virgola dopo Cynthia, cui reca sostegno anche il passo di
Marziale, vd. Fedeli1, ad loc.).
9: Cotilo vuole dare a vedere di avere numerose relazioni amorose;
410 M. Val. Martialis liber tertius
sull’utilizzo delle tabellae come ‘bigliettini’ per messaggi galanti vd. Marquardt
1886, pp. 801-806; cfr. Ov. am. I 11, 7 sgg.; 12, 1 sgg.; ars I 437 sgg.; Prop. III
23, 1 sgg.; in Marziale cfr. XIV 6; 8; 9 (con il commento di Leary1); il tipo del
seduttore fallito è schernito in XI 64, 1 sg. nescio tam multis quid scribas,
Fauste, puellis: / hoc scio, quod scribit nulla puella tibi.
10: il bellus homo teme che il contatto con il vicino sul letto tricliniare possa
rovinare l’elaborato panneggio del suo mantello; la medesima preoccupa-
zione sembrerebbe muovere il Prisco di II 41, 9 sg. debes non aliter timere
risum / quam ventum Spanius manumque Priscus. La disposizione della
toga, cui i Romani prestavano molta attenzione (cfr. Quint. inst. XI 3, 137
sgg.; vd. Marquardt 1886, p. 554 sg.), era oggetto di cura quasi maniacale
da parte di chi aveva pretese di eleganza: l’atteggiamento di Cotilo trova
un precedente in Q. Ortensio Ortalo, il quale, secondo il racconto di Macr.
Sat. III 13, 4 (vd. anche Gell. I 5, 2 sg.), arrivò a citare per ingiurie un tale
che, urtandolo incidentalmente per strada, gli aveva rovinato le pieghe della
toga; sulla cura per la toga quale indice di ostentazione di eleganza cfr. Hor.
epod. 4, 7 sgg.; Tib. I 6, 38 sg.; Ov. rem. 680; Sen. contr. II 6, 2; Tert. pall. 5.
Il pallium era un mantello leggero, usato sia da uomini che da donne: cfr.
XIV 138; sul suo uso nei banchetti cfr. VIII 59, 9; XI 23, 11 sg.; Petron. 32,
2; vd. RE XVIII 3, 249 sgg.; Wilson 1938, pp. 78-83; Herter, Effeminatus,
629 sgg. – vicini … cubiti: originale sineddoche per vicini hominis (vd.
Fenger 1906, p. 19). Cubitum ponere equivale a cenare in Petron. 27, 4 hic
est … apud quem cubitum ponitis; per la frequente menzione del cubitum
in contesti conviviali vd. ThlL IV 1275, 54 sgg.
11: il bellus homo partecipa alla vita mondana dell’Urbe ed è informato
sui pettegolezzi. – quam quis amet: proposizione relativa propria del latino
tardo: cfr. Vict. Vit. 3, 19 notariis scribentibus, quis quid diceret; Iord.
Get. 152 bellando quis quem valebat expellere; il primo esempio di tale
proposizione è considerato CIL VIII 2728 (152 d.C. circa): vd. Hofmann-
Szantyr, p. 557 (anche p. 202 sg.); Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae, p. 272
sg. In questi casi quis assume il valore di quisque. Questo verso di Marziale
permette di retrodatare tale uso al I sec. d.C. Poco persuasiva l’ipotesi di
interpretare la frase come un’interrogativa indiretta introdotta da quam
(vd., ad es., Collesso: «qui novit quam quis depereat»). Si adatta senz’altro
meglio al ritratto del salottiero bellus homo la superficiale conoscenza
delle relazioni amorose piuttosto che quella dell’intensità della passione di
qualcuno.
Epigramma 63 411
64
Marziale loda a Cassiano le doti affabulatorie del suo amico Canio Rufo
(sul quale vd. la n. intr. all’epigr. 20) asserendo che il fascino delle sue parole
è addirittura superiore a quello proverbiale delle Sirene (su cui vd. Otto,
Sprichwörter, s.v. Siren). Il mito delle Sirene (Od. XII 39 sgg.) costituisce
uno tra i più noti episodi omerici (vd. Roscher IV 601-639; E. Kaiser,
Odyssee-Szenen als Topoi, I, Der Gesang der Sirenen, «MH» 21, 1964,
pp. 111-136; EV, s.v. Sirene, IV, p. 891 sg.). Al potere ammaliatore delle
Sirene allude il celebre distico di Furio Bibaculo su Valerio Catone (fr. 6
Bläns. = 17 M.): Cato grammaticus, Latina Siren / qui solus legit ac facit
poetas; forse influenzata dall’epigramma di Marziale la lode di Pollio Felice
in Stat. silv. II 2, 112 sgg. hic ubi Pierias exercet Pollius artes / … / (116)
hinc levis e scopulis meliora ad carmina Siren / advolat, hinc motis audit
Tritonia cristis. L’epigramma evoca nei primi quattro versi il mito delle
Sirene: Marziale ne pone in risalto con gusto retorico il fascino esiziale
attraverso tre nessi ossimorici appositivi (1 hilarem … poenam; 2 blandas
… mortes; gaudium … crudele); quindi ricorda come Ulisse avesse saputo
414 M. Val. Martialis liber tertius
resister loro. Negli ultimi due versi Marziale esalta le capacità affabulatorie
dell’amico, che gli avrebbero consentito di trattenere l’eroe itacese. Le
possibilità retoriche insite nel tema sono sviluppate anche dallo pseudo-
claudianeo In Sirenas (carm. min. app. 1): dulce malum pelago Sirenae
volucresque puellae / Scyllaeos inter fremitus avidamque Charybdin /
musica saxa fretis habitabant, dulcia monstra, / blanda pericla maris,
terror quoque gratus in undis. / delatis licet huc incumberet aura carinis
/ implessentque sinus venti de puppe ferentes, / figebat vox una ratem. nec
tendere certum / delectabat iter reditus, otiumque iuvabat, / nec dolor
ullus erat: mortem dabat ipsa voluptas. Ispirato dallo stesso gusto retorico
per l’ossimoro è l’epigramma di Ausonio dal titolo de Hyla quem Naiades
rapuerunt (95 p. 348 P. = epigr. 106 G.): adspice quam blandae necis
ambitione fruatur / letifera experiens gaudia pulcher Hylas. / oscula et
infestos inter moriturus amores / ancipites patitur Naidas Eumenidas (su
cui vd. Kay, Ausonius Epigrams). Evidente il debito con l’epigramma di
Marziale di Auson. Comm. prof. Burd. 15, 7 sg. te fabulantem non Ulixes
linqueret, / liquit canentes qui melodas virgines. Cassiano, il cui nome
ricorre soltanto in questo epigramma, doveva essere un amico del poeta
e dello stesso Canio (si tratta comunque di un nome ben attestato: vd.
Kajanto 1965, p. 144).
1 sg.: i due versi contengono tre ossimori che mettono in risalto gli
opposti esiti del canto delle Sirene: gioia e morte. La disposizione chiastica
del v. 2 evidenzia l’intreccio indissolubile degli estremi (mortes, gaudium).
Per l’uso dell’ossimoro in Marziale cfr. I 82, 8 securo … damno; 82, 11
innocens ruina, dove il poeta evidenzia il carattere miracoloso dell’evento
(un portico crollato subito dopo il passaggio di Regolo: vd. la n. intr. di
Citroni); IV 18, 6 tabuit in calido vulnere mucro tener; VII 29, 1 Thestyle,
Victoris tormentum dulce Voconi (per il topos ‘dolce-amaro’ in contesti
amorosi vd. la ricca esemplificazione di Galán Vioque, ad loc.); XII 18,
10 sg. hic pigri colimus labore dulci / Boterdum Plateamque. – hilarem:
‘laetitiam praestans’ (vd. ThlL VI 3, 55 sgg.). – blandas … mortes: cfr.
Lucil. 1097 M. mite malum blandum atque dolosum; Sen. ben. II 14, 4
blandum et adfabile odium; Oct. 428 luxuria, pestis blanda; Auson. 95,
1 p. 348 P. (epigr. 106, 1 G.) cit. nella n. intr.; 108, 11 sg. p. 351 P. (epigr.
115, 11 sg. G.) marcentem … / blandus letali solvat dulcedine morbus.
– gaudium … crudele: cfr. Ov. met. VI 653 dissimulare nequit crudelia
Epigramma 64 415
gaudia Procne; Rut. Nam. I 578 fluxerunt madidis gaudia mesta genis;
Auson. 95, 2 p. 348 P. (epigr. 106, 2 G.) cit. nella n. intr.; Claud. 26, 407
lacrimosa … gaudia miscent.
4. fallax Ulixes: fallax è epiteto abituale di Ulisse, la cui immagine
negativa fu la più diffusa a Roma per l’influenza di Virgilio (vd. EV, s.v.
Ulisse, V, pp. 358-361; W. B. Stanford, The Ulysses Theme, Oxford 1954
[19682], p. 128 sgg.): cfr. Ov. met. XIII 712 fallacis Ulixis; Sen. Tro. 149
fallacem … Ulixem; vd. anche Verg. Aen. II 90 pellacis Ulixi (v.l. fallacis);
164 scelerum … inventor Ulixes; VI 529 hortator scelerum Aeolides (Ov.
met. XIII 45); IX 602 fandi fictor; Sen. Tro. 750 machinator fraudis.
Qui l’aggettivo allude anche allo stratagemma che gli permise di ascoltare
indenne il canto delle Sirene. Si noti anche l’effetto paronomastico (fallax
Ulixes). – dicitur: il verbo rimanda alla dimensione lontana del mito,
spesso contrapposto ad una concreta realtà presente: cfr. epigr. 24 (21),
1 sg. quidquid in Orpheo Rhodope spectasse theatro / dicitur, exhibuit,
Caesar, harena tibi; 29 (25 b), 3 sg. sic miser (sc. Leandrus) instantes
affatus dicitur undas: / ‘parcite dum propero, mergite dum redeo’; II 84, 1
sg. mollis erat facilisque viris Poeantius heros / vulnera sic Paridis dicitur
ulta Venus; vd. anche I 104, 6 sg.
5 sg.: le doti narrative di Canio sono lodate anche in III 20, 8 sg. an
otiosus in schola poetarum / lepore tinctos attico sales narrat? La pointe
è qui realizzata attraverso una sorta di ‘légende corrigée’ (vd. al riguardo
Laurens 1965, p. 330), per cui il soggetto presentato è considerato superiore
alle figure paradigmatiche del mito; il modulo è caro a Marziale, che se ne
serve più volte nell’adulazione dell’imperatore, ma anche in epigrammi
non cortigiani (esempi nella n. intr. di Citroni a I 36). In questo caso,
pur trattandosi di un’ipotetica, Canio viene implicitamente considerato più
suadente delle Sirene.
416 M. Val. Martialis liber tertius
65
Il profumo che esala una mela quando la morde una delicata fanciulla,
quello dell’effluvio che proviene dallo zafferano coricio;
quello di una vigna quando argentea fiorisce con i primi grappoli,
quello che emana l’erba che una pecora ha appena brucato;
il profumo del mirto, di un mietitore arabo, dell’ambra sfregata, 5
quello della fiamma pallida dell’incenso orientale;
quello di un terreno quando viene irrorato lievemente dalla pioggia estiva,
quello di una ghirlanda che è stata a contatto con chiome madide di nardo:
tutti insieme, crudele fanciullo Diadumeno, li sprigionano i tuoi baci.
E che sarebbe se li concedessi interamente, senza ritrosia? 10
priamelica, evocando nei vv. 1-8 profumi molto ricercati, còlti in un pre-
ciso momento e definiti con molta finezza; soltanto in conclusione (9) le
molteplici percezioni olfattive vengono ricondotte dal poeta ai baci del
puer. La menzione ritardata del nome del puer (9), procedimento comune
nella poesia celebrativa (cfr. V 37, in cui il nome di Erotion compare
soltanto al v. 14; vd. Citroni, p. 310), concorre ad accrescere l’effetto di
sorpresa della conclusione. Il gusto per l’accumulo di immagini costituisce
un tratto distintivo della poesia di Marziale (vd. soprattutto La Penna
1992, spec. p. 9 sg. su questo epigramma; Siedschlag 1977, pp. 39-55). Egli
adotta tale tecnica anche in altri epigrammi incentrati sulla descrizione
di odori particolari, anche sgradevoli: cfr. IV 4; VI 93; XI 8; vd. inoltre
V 37, 9 sgg. fragravit ore (sc. Erotion) quod rosarium Paesti, / quod
Atticarum prima mella cerarum, / quod sucinorum rapta de manu
gleba. In questi epigrammi la serie delle immagini, che dovrebbe meglio
definire l’oggetto principale, «tende fortemente ad una funzione estetica
propria, che consiste nell’imprimere all’immaginazione un movimento
rapido e gioioso» (La Penna 1992, p. 12). Il motivo dei fragrantia basia
ha una lunga tradizione poetica (vd. al riguardo Lilja 1972, pp. 120-124;
index, s.v. kisses), anche epigrammatica: cfr., ad es., AP V 118 (Marco
Argentario); XII 68 (Meleagro); V 305; XII 123 (anonimi). In Marziale
il tema è sviluppato in forma strettamente analoga a questo epigramma
in XI 8, dedicato alla fragranza dei baci di un anonimo puer: uguale la
struttura, scandita dall’anafora di quod, cui è correlato in chiusura hoc;
simili alcune percezioni olfattive descritte (cfr. le nn. ai vv. 1; 2; 8); uguale
la chiusa dell’epigramma che lega tutti i profumi alla fragranza dei baci
del puer. L’epigramma appartiene a un ciclo dedicato ai baci del puer
Diadumeno, che comprende anche V 46; VI 34. Il nome Diadumenos
allude certamente alla celebre statua omonima di Policleto, modello di
sensuale bellezza giovanile (cfr. Plin. nat. XXXIV 55 diadumenum fecit
molliter iuvenem), datata circa al 420 a.C. e nota da diverse copie: vd. E.
La Rocca, Policleto e la sua scuola, in R. Bianchi Bandinelli (ed.), Storia
e civiltà dei Greci, IV, Milano 1979, p. 537 sgg. Non si può comunque
escludere che si tratti di un reale puer delicatus del poeta: era diffusa
l’usanza di dare ai pueri delicati nomi greci volti a metterne in risalto la
bellezza: in Marziale cfr. Callistos (V 64, 1; VIII 67, 5); Alexis (VIII 63,
1); Hyacinthos (VIII 63, 2); Hylas (XI 28, 2). Sulla diffusione del nome a
Roma vd. ThlL onom. III 123, 80 sgg.
418 M. Val. Martialis liber tertius
in cui esprime una critica nei confronti delle sparsiones, considerate un inutile
spreco di denaro (così già Sen. epist. 90, 15); VIII 33, 3 sg. hac fuerat nuper
nebula tibi pegma perunctum, / pallida quam rubri diluit unda croci; IX
38, 5 lubrica Corycio quamvis sint pulpita nimbo. – Corycio: lo zafferano
migliore era considerato quello proveniente dal monte Corico in Cilicia: cfr.
Plin. nat. XXI 31 prima nobilitas Cilicio et ibi in Coryco monte; vd. anche
Colum. III 8, 4; Sol. 38, 6; Vib. Seq. 6, 34 Parroni (254 Gels.); Isid. orig. XIV
3, 45; era usato anche per aromatizzare il vino (Plin. nat. XXI 33). L’attributo
Corycius è spesso legato al croco: cfr. Hor. sat. II 4, 68; Colum. IX 4, 4; Ciris
317; Eleg. in Maec. I 133 (sostantivato); Lucan. IX 809; Marcell. med. IX 91;
Diosc. I 26. In generale sullo zafferano vd. Orth, RE I A, 1728, 26-1731, 19.
– aura: indica l’effluvio di un profumo (o di un cattivo odore) anche in IV
4, 3; XI 8, 2 cit. supra; XII 32, 17; vd. ThlL II 1474, 11-62; per il nesso con
spiro cfr. Verg. georg. IV 417 dulcis compositis spiravit crinibus aura; Val.
Fl. V 585 multa spirat coma flexilis aura.
3: l’immagine unisce una notazione cromatica (cana) alla descrizione del
profumo. Per l’uso di floreo in relazione alla vigna cfr. Hor. epod. 16, 44
imputata floret usque vinea. – primis … cana racemis: sul colore dell’uva
ancora non matura cfr. Hor. carm. II 5, 9 sgg. tolle cupidinem / inmitis
uvae: iam tibi lividos / distinguet autumnus racemos / purpureo varius
colore; Prop. IV 2, 13 prima mihi variat liventibus uva racemis; Iuv. 2, 81
uvaque conspecta livorem ducit ab uva; per quest’accezione di canus cfr.
Verg. ecl. 2, 51 cana … mala; vd. André 1949, p. 65 sg.; ThlL III 296, 60
sgg. – floret cum: l’ordo verborum di , preferito, tra gli editori moderni,
da Heraeus e SB, appare migliore di quello tràdito dalle altre due famiglie (c.
f.) per la cosiddetta legge di Marx (su cui vd. Marx 1922, pp. 198; 215 e la
n. a 15, 1), nonché per l’anastrofe della congiunzione, adeguata alla finezza
stilistica del componimento, che lo rende senz’altro difficilior. Il fatto
che la norma di Marx non sia sempre seguita, specialmente in presenza
di una congiunzione, come osservato da E.J. Kenney (apud Watson-
Watson, p. 258), non costituisce, a mio avviso, un argomento probante in
favore di cum floret, accolto comunque da Friedlaender, Lindsay, Izaac,
Giarratano.
4: il profumo è còlto ancora nel momento preciso in cui si sprigiona (cfr.
v. 1). Sul profumo dell’erba cfr. Sulp. Sev. dial. III 18, 2 suave redolentibus
… graminibus; il nesso gramina carpere ricorre in Verg. georg. III 174;
Ov. trist. IV 8, 20; Sil. VII 299. – carpsit ovis: in clausola di pentametro
420 M. Val. Martialis liber tertius
in Ov. fast. IV 750 pabulaque e bustis inscia carpsit ovis; cfr. anche Verg.
georg. III 295 sg. incipiens stabulis edico in mollibus herbam / carpere
ovis.
5: il verso evoca tre distinti profumi, scanditi dalla triplice anafora di
quod, non comune nello stesso verso (vd. Wills 1996, p. 369 sgg.): in
Marziale cfr. I 68, 2 si gaudet, si flet, si tacet, hanc loquitur; VI 4, 3 sg. tot
nascentia templa, tot renata, / tot spectacula, tot deos, tot urbes; X 97, 3
iam scrobe, iam lecto, iam pollinctore parato; XIV 107, 1 nos Satyri, nos
Bacchus amat, nos ebria tigris. – myrtus: sul profumo del mirto cfr. Verg.
ecl. 2, 54 sg.; Hor. carm. II 15, 5 sgg.; Ov. ars III 690; Plin. nat. XXI 69. –
quod messor Arabs: l’etnico richiama la regione dell’Arabia felix, ben nota
nell’antichità per la sua produzione di profumi (vd. RE II 355, 57 sgg.; G.
W. Bowersock, Roman Arabia, Cambridge Mass. and London 1983); per
l’uso del singolare cfr. Tib. II 2, 3 sg. odores, / quos tener e terra divite
mittit Arabs; III 8, 18 cit. infra; Stat. silv. V 3, 43 odoratas nec Arabs
decerpsit aristas. In Marziale Arabs ricorre ancora in epigr. 3, 7, sempre
con ă-; sull’alternanza della scansione della prima sillaba di Arabs, Arabia,
Arabius vd. Platnauer 1951, p. 53; Fedeli1, p. 331. Anche per i profumi si
parla di mietitura, anche se propriamente essi si ricavano dall’incisione dei
relativi alberi: cfr. [Tib.] III 8, 17 sg. metit quidquid bene olentibus arvis
/ cultor odoratae dives Arabs segetis; Plin. nat. XII 58 (sc. tus) meti semel
anno solebat. – quod sucina trita: l’ambra, se sfregata con la mano, emette
profumo di canfora e pino (vd. Lilja 1972, p. 93 sg); perciò le matrone
romane usavano tenere nelle mani monili di ambra (cfr. Prop. II 24, 12;
Ov. met. II 365 sg.; Plin. nat. XXXVII 30-49; Iuv. 6, 573 sg.; vd. RE, s.v.
Bernstein, III 303, 32 sgg.); il profumo dell’ambra è evocato da Marziale
anche in V 37, 9-11 fragravit ore (sc. Erotion) … / … / quod sucinorum
rapta de manu gleba; XI 8, 6 sucina virginea quod (sc. spirat) regelata
manu; per l’immagine dell’ambra sfregata cfr. anche IX 12, 6 gemma …
Heliadum pollice trita.
6. pallidus … ignis: l’incenso, che veniva bruciato a Roma in diverse
occasioni (vd. Lilja 1972, pp. 31-47; 50-52), provoca una fiamma pallida:
cfr. Merob. poet. 88 nullus in aris … palleat ignis. – Eoo ture: Eous,
aggettivo di uso prevalentemente poetico, indica genericamente l’Oriente
(vd. OLD, s.v. nr. 2). Qui si riferisce all’Arabia felix (vd. la n. al v. 5),
regione che produce l’incenso: cfr. Verg. georg. I 57 India mittit ebur,
molles sua tura Sabaei; II 115 Eoas … domos Arabum; 117 solis est turea
Epigramma 65 421
virga Sabaeis; Lygd. 2, 23, sg. illic quas mittit dives Panchaia merces /
Eoique Arabes, dives et Assyria; Stat. Theb. I 263 turis Eoi. Eous ricorre
in Marziale ancora in VIII 26, 1; 36, 2, sempre con la prima sillaba lunga
(gr. ), come in prevalenza nella tradizione poetica latina: cfr. Verg.
georg. I 221; II 115; Aen. I 489 (sull’uso di Virgilio vd. EV II, s.v. Eoo, p.
325 sg.); Tib. II 2, 16; [Tib.] III 8, 20; Prop. I 15, 7; 16, 24; II 18, 8; III 13,
15; IV 3, 10; 5, 21; Ov. fast. I 140; III 466; V 557; VI 474; am. II 6, 1; ars
I 202; III 537; Pont. II 5, 50; IV 6, 48; 9, 112; Lucan. I 252; II 55. Come
il greco ( ) anche il latino ammette la scansione breve: cfr. Verg. Aen.
II 417; VI 831; Prop. III 24, 7; IV 6, 81; Ov. am. I 15, 29 (sostantivato);
met. IV 197; trist. IV 9, 22 (sostantivato); Lucan. IV 66; 352; V 71; VI
52. Properzio usa con gusto erudito entrambe le scansioni in II 3, 43 sg.
ostendet Eois / uret et Eoos.
7: su questo profumo cfr. Plin. nat. XVII 39 quod si admonendi sumus,
qualis sit terrae odor ille qui quaeritur, contingit … cum a siccitate
continua immaduit imbre. tunc emittit illum suum halitum divinum
ex sole conceptum, cui comparari suavitas nulla possit; gleba indica per
traslato solum, terra, humus (vd. ThlL VI 2043, 4 sgg.): cfr. V 13, 7; IX
22, 3.
8: un’altra immagine ricercata: il profumo di una corona di fiori si associa
a quello dell’unguento che impregnava i capelli su cui era posata: cfr. Claud.
XV 183 mixtis redolent unguenta coronis. L’associazione di corone di fiori
e profumi rimanda ad un contesto simposiale: sull’usanza, proveniente dalla
Grecia e diffusa a Roma, di ungere i capelli con balsami profumati e portare
corone di fiori al banchetto vd. RE, s.v. Salben, I A, 1855, 31-1856,19. Profumo
e corone di fiori sono elementi tradizionali nella poesia simposiale (esempi
in ThlL IV 979, 3 sgg.). La medesima percezione olfattiva è richiamata in XI
8, 10 quod modo divitibus lapsa corona comis, dove dives allude certamente
all’unguentum con cui sono profumati i capelli, come si evince anche da
Ov. am. I 6, 38 madidis lapsa corona comis, modello del verso di Marziale
(vd. Kay, ad loc.). – madidas … comas: per la iunctura cfr. Ov. am. I 6, 38
cit. supra; epist. 14, 30 madidas … comas; vd. ThlL VIII 36, 72 sgg.; 37, 15
sgg. L’attributo si riferisce ancora ai capelli unguentati in V 64, 3 madidus
… crinis amomo; XIV 24, 1 madidi … crines. – nardo passa: la lezione è
conservata soltanto da T². L’uso inconsueto di patior ha senz’altro favorito le
corruttele nardo sparsa ( , cfr. v. 7 spargitur) e nardos parta ( ).
9. hoc … fragrant: il dimostrativo, in posizione enfatica, richiama tutte le
422 M. Val. Martialis liber tertius
66
sgg.; in Marziale cfr. anche V 69, 4 hoc admisisset nec Catilina nefas. Scelus
admittere è iunctura frequente: cfr. Hor. sat. II 3, 212; Ov. Pont. III 16,
13; Val. Max. V 9, 1; Petron. 17, 6; Iuv. 10, 340; 13, 237. – Phariis: Pharius,
propriamente ‘dell’isola di Faro’ (dinanzi ad Alessandria), è frequente in
poesia, a partire da Tib. I 3, 32, nell’uso metonimico per Aegyptius (vd.
OLD, s.v.). In Marziale vi sono 7 occorrenze (cfr. spec. V 69, 1 Phario …
Pothino). In IX 40, 2 Pharus si riferisce per metonimia ad Alessandria o
all’Egitto (vd. Henriksén, ad loc.). Qui l’attributo accresce la condanna per
Antonio, colpevole di un delitto ai danni di un concittadino.
2. vultus … sacros: la iunctura ricorre nel racconto dell’uccisione di
Pompeo in Lucan. VIII 669 sg. ac retegit sacros scisso velamine vultus /
semianimis Magni (vd. anche VIII 677 Pompei diro sacrum caput ense
recidis); in Marziale sacer è usato ancora per Cicerone in V 69, 7 quid
prosunt sacrae pretiosa silentia linguae; vd. anche VIII 55, 3 ingenium
sacri miraris desse Maronis.
3 sg.: Pompeo e Cicerone sono individuati come guide della Roma re-
pubblicana, l’uno nel campo militare, l’altro in quello oratorio. Roma è
personificata e rappresentata come un corpo di cui i due costituiscono la
testa. L’immagine tradisce un certo gusto per il macabro, in considerazione
del fatto che Cicerone e Pompeo furono entrambi decollati (cfr. v. 2). Per
la non rara metafora cfr. Cic. Mur. 51 dixit (sc. Catilina) duo corpora
esse rei publicae, unum debile infirmo capite, alterum firmum sine capite;
huic … caput se vivo non defuturum; Liv. V 46, 6 corpori valido (sc.
exercitui Romano) caput deerat; vd. ThlL III 399, 35 sgg.; Valerio Massimo
definisce Cicerone caput Romanae eloquentiae et pacis clarissima dextera
(V 3, 4); Pompeo è per Lucano summa caputque / orbis (IX 123 sg.). Per
l’uso di caput nel senso di ‘guida’ vd. ThlL III 421, 38 sgg. – laurigeros …
triumphos: la iunctura ricorre, nella stessa posizione metrica, in Claud. 7,
12. L’alloro è uno degli elementi principali del trionfo (vd. RE VII A, 505,
66 sgg.): di alloro erano le corone dei comandanti (cfr. Hor. carm. IV 2,
33 sgg.; 3, 6 sg.; Ov. am. I 7, 36; II 12, 1; met. I 560 sg.; XIV 720; Pont.
II 2, 80; III 4, 102); di alloro erano adornati i cavalli che sfilavano (cfr.
Ov. fast. V 52; Pont. II 1, 58; trist. II 178; IV 2, 22; vd. anche Prop. III 1,
10). Lauriger è composto di uso poetico, che ricorre per la prima volta in
Prop. III 13, 53; per l’uso in relazione al trionfo cfr. Mart. VII 6, 6 Martia
laurigera cuspide pila virent; 8, 7 sg. festa coronatus ludet convicia miles,
/ inter laurigeros cum comes ibit equos; Stat. Theb. XII 520 laurigero
426 M. Val. Martialis liber tertius
67
tit. ad pueros nautas Pf¹ : ad pueros nantas L ad pueros nantes f²s.l. ad pueros Q 1 cessatis
PQf : cessastis L nihilque LPQ²fEAX: nilque V mihique Q¹ nostis : mostis Lipsius,
Scriverius 2 vaterno LPQf¹EAXV¹: veterno f²s.l.V²s.l. Vatreno Scriverius (coll. Plin. nat.
III 119 sq.), SB rasinaque : res iniqu(a)e EAXV¹ resinaque V²s.l. pigriores AXV: priores
E 4 tinguitis LPf : tingitis Q remos L²PQf : renios L¹ 5 phaetonte sudat aethon P²f :
phetonte sudata ethon P¹Q phatonte sudato ethon L 7 interiungit LPQ²f : interingit Q¹
meridiana LPQf²AXV: meridiano E mediana f¹ 8 at P²Q²f²s.l.X: ad LP¹Q¹ f¹EAV placidas
LPQf² : plagidas f¹ 9 tuta … carina LPQf¹: tuta … carinae EAXV¹ tutae … carinae f²V²C
ed. Ven. ed. Ald. tute … carinae hbvv1 ed. Rom. 1 ed. Rom. 2 luditis : ducitis Heinsius
10 argonautas LP²Qf²EAV: argonauatas f¹ agronautas P¹ argonautos X
1. Cessatis: per la valenza negativa del verbo cfr. Don. Ter. Eun. 405 cessat
desidiosus, requiescit defessus; Ov. ars III 259 cum mare compositum est,
securus navita cessat; vd. ThlL III 959, 1 sgg. – nihilque nostis: l’espressione,
se intesa alla lettera, crea difficoltà e già Lipsius, seguito da Scriverius,
correggeva in mostis. Shackleton Bailey 1989, p. 134 ha giustamente
evidenziato che l’espressione non può riferirsi all’incompetenza dei
marinai, come si intende generalmente, ma deve alludere alla loro pigrizia;
egli pertanto la traduce con l’espressione idiomatica: «You … dead to
the world» (SB2). All’indolenza dei marinai fa riferimento la traduzione
di Norcio: «Non vi curate di nulla». Mi sembra che possa costituire una
resa adeguata della iunctura l’espressione italiana ‘essere buono a nulla’,
che designa non solo l’inetto, ma anche il fannullone (vd. Vocabolario
della lingua italiana, Roma 1986, I, s.v. buono, p. 542 n. 4 d). La forma
sincopata del verbo ricorre in Marziale ancora in II 44, 4; III 37, 1; V 6, 9;
VII 37, 1; 51, 3; 97, 1; IX 47, 7.
2. Vaterno: il Vaternus (oggi Santerno) è un affluente del Po, che, scen-
dendo dall’Appennino, scorreva nei pressi di Forum Corneli. Riunitosi
al principale emissario meridionale del Po (oggi Po di Primaro), formava
con esso un’ampia foce, denominata portus Vatreni (o Eridanum
ostium o ancora ostium Spineticum: cfr. Plin. nat. III 119 sg.). Alla grafia
concordemente tràdita dai manoscritti di Marziale Scriverius ha preferito,
sulla base di Plinio il Vecchio (nat. III 119 sg.), la forma Vatreno, seguito,
tra gli editori moderni, dal solo SB; trattandosi però delle uniche attestazioni
latine del nome, sarà forse più prudente attenersi alla lezione concorde dei
codici. – Rasinaque: l’idronimo non offre altre attestazioni, ma i tentativi
di emendare il testo (Tesinaque Scriverius; Natisique Heinsius; Eridanoque
Cluver) sono tutti scarsamente plausibili. Appare perciò opportuno atte-
430 M. Val. Martialis liber tertius
con la n. ad loc. – luditis otium: l’uso di ludo transitivo esprime ‘quid quis
per ludum agat’ (ThlL VII 2, 1780, 60); in questo caso sarà da intendere
‘otiamini ludentes, luditis per otium, luditis otiose’ con Friedlaender, il
quale richiama l’espressione plautina ludere operam (Capt. 344; Cas. 424;
Pseud. 369; cfr. anche Ter. Phorm. 332), che significa ‘ludendo consumere
operam’ o ‘inter operam ludere’. Ludere otium è un’espressione inconsueta,
che ritorna soltanto nel tardo Opt. Porph. carm. 5, 16 omnia laeta …
ludent otia (vd. Polara, ad loc.: «otio fruuntur»). Non per questo acquisisce
un maggiore grado di probabilità la congettura ducitis di Heinsius (con la
vulgata umanistica tutae … carinae).
10. Argonautas: la pointe si basa su un’originale etimologia del termine
(da ‘pigro’), che lo rende equivalente, con un effetto dissacrante
nei confronti della celeberrima saga, a pigri nautae. La stessa etimologia
ricorre quindi nei glossari (cfr. CGL III 293, 38 piger
nauta; pressoché identica in CGL III 489, 28; 508, 60) e in Eust. Comm.
ad Od. XIII 156, p. 1737 (vd. M. Haupt, Coniectanea, «Hermes» 7,
1873, p. 373, anche in Opuscula, III, Lipsiae 1876 = Hildesheim 1967,
p. 599). Dell’etimologia del nome della nave (e quindi di
) esistevano nell’antichità almeno tre interpretazioni: 1) dal
nome del suo costruttore e collaboratore di Atena; 2) da ‘veloce’; 3)
dalla città dove sarebbe stata costruita, Argo (per le fonti vd. RE, s.v. Argo,
II 723, 7 sgg.; Roscher, s.v. Argo, I 503, 6 sgg.). Una quarta era stata avanzata
da Ennio, sc. 249 sgg. V.2 quae (sc. navis) nunc nominatur nomine / Argo,
quia Argivi in ea delecti viri / vecti petebant pellem inauratam arietis
(su cui vd. il commento di Jocelyn). Alla seconda etimologia, con intento
polemico nei confronti di Ennio, allude Catullo al principio del c. 64 con il
nesso cita … puppi (v. 6): vd. al riguardo A. Traina, Allusività catulliana
(due note al c. 64), in Studi classici in onore di Q. Cataudella, III, Catania
1972, p. 99 sgg. = Id., Poeti latini (e neolatini), Bologna 19862, p. 131 sgg.;
R.F. Thomas, Catullus and the Polemics of Poetic Reference (Poem 64,
1-18), «AJPh» 103, 1982, pp. 148-154. Sulla diffusione di tale etimologia
in ambito latino cfr. Serv. auct. Verg. ecl. IV 34 sane quidam Argo a
celeritate dictam volunt, unde verso in Latinum verbo argutos celeres
dici; vd. Maltby 1991, p. 50 sg. Per un altro possibile gioco etimologico
su Argonautae (da ’bianco lucente’) cfr. Hor. epod. 3, 9 sg. ut
Argonautas praeter omnis candidum / Medea mirata est ducem con il
commento di Cavarzere. Marziale chiude pertanto significativamente la
Epigramma 67 433
sezione ‘casta’ del libro con un gioco etimologico che si inserisce nel solco
della tradizione poetica latina di impronta alessandrina, che però il poeta
rilegge con il consueto sorriso dissacrante nei confronti del mito. Per il
gusto di Marziale per i giochi etimologici sui nomi propri cfr., in questo
libro, 34, 2 Chione; vd. Joepgen 1967, p. 121 sgg.; Grewing 1998, p. 340
sgg.; un’altra dissacrante etimologia di un nome epico è in 78, 2 Palinurus
(vd. la n. ad loc.). Un tentativo di rendere in una lingua moderna il gioco
linguistico è quello di Ker («Not tars do I hold you, but tarriers»), che però
comporta la perdita del riferimento mitologico..
434 M. Val. Martialis liber tertius
68
hab. T tit. ad matronam pudicam T 1 huc TQ²f²: hoc LPQ¹f¹ hic f²s.l. est usque
: aestus que T scriptus T EA²XV: scriptas A¹ libellus T² : libellis T¹ 2 sint
TLPQEXV: sunt fA 3 gymnasium TLPf : ginnasium est Q 4 viros TLPQf¹: mares
f²in mg. 5-6 post 7-8 hab. EAXV¹ (rectum ordinem restituit V²) 5 vina L²PQf :
via L¹ una T 6 dicat T : dicas ter(p)sic(h)ore T EAX: tersit horae V 7 schemate
b²kv1v2: scemate TLPQf¹EXVb¹ semate A stemate f²s.l. nec : ne T sed aperte
T V²s.l.: per te EAX per te nunc V 9 custodem TLPQ²f : custodet Q¹ medio TPQf :
mevio L 10 proba : proca T virgo TL²PQf : virga L¹ 12 totum : tantum
T leges T : legis
gerade gut gearbeitet» p. 113). Pur aderendo all’ipotesi che vuole i Priapea
posteriori a Marziale (per cui mi sembra persuasiva l’argomentazione di
Citroni, p. 31, riproposta in «Gnomon» 66, 1994, p. 411 sg.; vd. anche l’analisi
dei paralleli testuali di Buchheit 1962, pp. 108-123; Grewing, pp. 459-464),
ritengo che la dipendenza del priapeo da questo epigramma possa essere
avvalorata piuttosto da altre considerazioni: anzitutto Priap. 8 va messo in
relazione non soltanto con questo, ma anche, cosa che Buchheit tralascia di
fare, con l’epigr. 86. La struttura di questo componimento è strettamente in
relazione con l’ordinamento degli epigrammi nel libro e Marziale fa riferimento
nel v. 1 sg. al cambiamento di temi e di linguaggio nella sezione che viene
introdotta. La lunga serie di perifrasi dei vv. 5-10 è motivata dall’intenzione da
parte di Marziale di mostrare la sua capacità tecnica di evitare termini osceni,
ma anche dalla posizione intermedia dell’epigramma, che introduce la nuova
sezione ed è però ancora legato alla parte ‘casta’ del libro. Anche la pointe
appare strettamente connessa alla struttura del libro e presuppone la sua lettura
continua. Nell’epigr. 86, quindi verso la metà della nuova sezione, Marziale,
rappresenta, come si diverte spesso a fare (vd. al riguardo la n. intr. all’epigr.
11), le reazioni dei lettori (le matrone) alla lettura di questo componimento
e constata divertito l’inutilità del suo avvertimento. Lo sviluppo del motivo
attraverso i due epigrammi appare pertanto perfettamente in sintonia con lo
stile del poeta e armonicamente inserito nella struttura del libro. Diversamente
nel priapeo i due momenti (avvertimento e reazione) si succedono in modo,
a mio avviso, piuttosto brusco (vv. 1-2; 3-5), con risultati non entusiasmanti
(di parere radicalmente opposto Buchheit 1962, p. 38, che ritiene il priapeo
un capolavoro di pregnanza epigrammatica). Inoltre il priapeo non si astiene
dall’uso del termine osceno (mentula), contraddicendo in qualche modo
quanto detto al v. 2. Questi motivi mi inducono a ritenere che il motivo sia
da attribuire all’invenzione di Marziale e che il priapeo abbia, come spesso fa,
imitato il maggior epigrammista latino. Il componimento e il suo scherzoso
seguito (86) presuppongono comunque un pubblico femminile per gli
epigrammi, un vanto che Marziale non manca di esprimere anche altrove: cfr.
V 2, 1 sg. matronae puerique virginesque, / vobis pagina nostra dedicatur;
VII 88, 3 sg. me legit omnis ibi senior iuvenisque puerque / et coram tetrico
casta puella viro; XI 16, 7 sg. tu quoque nequitias nostri lususque libelli /
uda, puella, leges, sis Patavina licet; sull’allargamento del pubblico di lettrici
a Roma in età imperiale vd. Cavallo-Chartier 1995, p. 53 sgg.
Epigramma 68 437
carmen; III 4, 1 sg. dic age tibia, / regina, longum, Calliope, melos. Qui
però l’espressione sottolinea il carattere leggero degli epigrammi, descritti
come parole pronunciate in libertà dalla Musa ebbra. – saucia: saucius
definisce un’alterazione inferiore all’ebrietas (OLD, s.v. nr. 4): cfr. Sen. dial.
IV 9, 15 pro cuiusque natura quidam ebrii effervescunt, quidam sauci; vd.
anche Petron. 67, 11; Apul. met. IX 5; Tert. ieiun. 9 p. 285, 30; in Marziale
l’aggettivo ricorre in questa accezione anche in IV 66, 12 incaluit quotiens
saucia vena mero (traslato). La Musa epigrammatica è rappresentata come
ebbra anche in X 20 (19), 12 sg. sed ne tempore non tuo disertam / pulses
ebria ianuam videto (sc. Thalia). – Terpsichore: Tersicore è la Musa della
danza (cfr. Plato Phaedr. 259c; Claud. 9 praef. 9 sg.); nominata per la prima
volta da Hes. Theog. 78, presenta scarse attestazioni nel mondo latino: cfr.
Iuv. 7, 35, dove rappresenta genericamente l’ispirazione poetica; Ps. Cato
Mus. 5 (Auson. 367, 5 p. 412 P.); Auson. 403, 28 p. 236 P. (epist. 8, 28 G.);
in generale vd. Roscher V 388, 68-390, 57. In questo passo è la Musa della
poesia giocosa (cfr. Fest. p. 363 M. Terpsicore nomen Musae, quae deos
hominesque delectat), ruolo abitualmente riservato da Marziale a Talia
(IV 8, 12; 23, 4; VII 17, 4; 46, 4; VIII 73, 3; IX 26, 8; 73, 9; X 20, 3; XII
94, 3). Nella poesia latina il legame delle singole Muse con determinate
categorie non è rigidamente fissato: vd. al riguardo F.A. Todd, De Musis
in carminibus poetarum Romanorum commemoratis, Jena 1903; W.
Suerbaum, s.v. Muse, EV III, p. 634.
7 sgg.: il carattere licenzioso della sezione viene definito dall’uso di
un linguaggio esplicito, rappresentato dal termine osceno per eccellenza
(mentula: vd. Adams, LSV, p. 9 sgg.), cui però Marziale si riferisce in
questi versi solo attraverso perifrasi, come forma di riguardo nei confronti
delle matrone che ancora stanno leggendo il libro (nel resto della sezione
il termine compare sette volte). Un riferimento analogo al linguaggio
franco dell’epigramma attraverso una perifrasi ellittica si trova in XI 15,
8 sgg. nec per circuitus loquatur illam, / ex qua nascimur, omnium
parentem, / quam sanctus Numa mentulam vocabat; vd. anche IX 40,
4 sg. illam lingeret ut puella simplex / quam castae quoque diligunt
Sabinae. Interamente giocato sull’uso di perifrasi eufemistiche per termini
osceni è Priap. 3 obscure poteram tibi dicere: ‘da mihi quod tu / des licet
assidue, nil tamen inde perit. / da mihi, quod cupies frustra dare forsitan
olim, / cum tenet obsessas invida barba genas / quodque Iovi dederat
qui raptus ab alite sacra / miscet amatori pocula grata suo / quod virgo
440 M. Val. Martialis liber tertius
prima cupido dat nocte marito, / dum timet alterius volnus inepta loci.’
/ simplicius multo est ‘da pedicare’ Latine / dicere. quid faciam? crassa
Minerva mea est (su questo tratto idiomatico vd. Hey, Euphemismus, p. 528
sg.; Adams 1981, p. 124). Mentula designa l’elemento lascivo della poesia
in I 35, 3-5 hi libelli, / tamquam coniugibus suis mariti, / non possunt
sine mentula placere; III 69, 1 sg. omnia quod scribis castis epigrammata
verbis / inque tuis nulla est mentula carminibus; cfr. anche XI 90, 8,
in cui Salanitro 1991, p. 18 sgg. ravvisa un uso metaforico del termine.
Sull’argomento vd. J.P. Hallett, Nec castrare velis meos libellos. Sexual and
poetic lusus in Catullus, Martial and the Carmina Priapea, in Satura
Lanx. Festschrift für Werner A. Krenkel zum 70. Geburtstag, hrsgg. von
C. Klodt, Hildesheim-Zürich-New York 1996, pp. 321-344 (spec. pp. 321-
327); C.A. Williams, Sit nequior omnibus libellis. Text, Poet, and Reader
in the Epigrams of Martial, «Philologus» 146, 2002, pp. 150-171.
7. schemate nec dubio: schema appartiene al lessico della retorica ed è
generalmente sinonimo di figura; per l’accezione di ‘giro di parole’, ‘pe-
rifrasi’ vd. OLD, s.v., nr. 4 b; cfr. Sen. contr. II 4, 10 obiecit pater quod
fratrem abdicasset, non schemate sed derecto. Per la posposizione della
particella vd. la n. a 19, 5.
8: Marziale allude qui ad un rito falloforico che si svolgeva nel mese di
giugno (sexto … mense). Incerta è tuttavia l’identificazione del rito e ha
goduto di un certo credito (Ker; Izaac; Norcio) l’ipotesi che si tratterebbe
della processione falloforica delle matrone romane adepte di Iside verso
il tempio di Venere Ericina presso la Porta Collina, che aveva luogo in
agosto. Tale ipotesi è però completamente destituita di fondamento: il 19
agosto era l’anniversario della fondazione di un tempio dedicato a Venus
Obsequens presso il Circo Massimo nel 295 a.C., mentre del tempio di
Venere Ericina presso la Porta Collina si celebrava il 23 aprile la ricorrenza
della dedica, giorno dei Vinalia, noto anche come dies meretricum: vd.
Schilling 1949, p. 947 = 1979, p. 150; Id., La religion romaine de Vénus
depuis les origines jusqu’au temps d’Auguste, Paris 1954, p. 254 sgg. (da qui
deriva la poco persuasiva ipotesi, avanzata da Gilbert nelle Notae criticae,
p. XVII, di leggere quarto in luogo di sexto). Con l’espressione sexto mense
Marziale designa senz’altro il mese di giugno: il calendario arcaico era già
caduto nell’oblio da tempo, come dimostrano i Fasti ovidiani; per l’uso di
Marziale cfr., ad es., VIII 8, 1 principium des, Iane, licet velocibus annis.
Secondo Schilling 1949, pp. 946-950 (= 1979, pp. 149-153) il verso farebbe
Epigramma 68 441
69
‘puro’, contrapposto alla lascivia epigrammatica: cfr. VII 17, 3 sg. inter
carmina sanctiora si quis / lascivae fuerit locus Thaliae; VIII 1, 1 sg.
laurigeros domini, liber, intrature penates / disce verecundo sanctius ore
loqui; vd. anche Quint. inst. X 1, 115 sancta et gravis oratio et castigata.
4: cfr. I 4, 8 lasciva est nobis pagina, vita proba; XI 16, 3 iam mea
Lampsacio lascivit pagina versu; Ov. trist. V 1, 43 sg. nec tamen ut lusit
rursus mea littera ludet: / sit semel illa malo luxuriata meo.
5 sg.: i versi individuano il pubblico degli epigrammi in giovani dissoluti
(nequam iuvenes), ragazze facili (faciles … puellae), ma anche anziani
ancora tormentati da Eros (senior … quem torquet amica); Marziale si
vanta anche altrove di avere un pubblico ampio e vario: cfr. VII 88, 3 sg. me
legit omnis ibi senior iuvenisque puerque / et coram tetrico casta puella
viro. – nequam iuvenes: nequitia è termine centrale nel lessico elegiaco (vd.
Pichon, p. 212); nequam ricorre quasi soltanto nei generi poetici ‘pedestri’:
in Lucilio (5 volte); Orazio (3 volte nelle Satire, 1 nelle Odi); Fedro e
Giovenale (1 volta); in Marziale ricorre 4 volte il comparativo: cfr. I 109,
4; II 41, 16; X 35, 11; XI 15, 3-4. – facilesque puellae: ‘facili a concedersi’;
l’accezione è comune nella poesia erotica (vd. Pichon, p. 141); in Marziale
cfr. I 57, 2 nolo nimis facilem difficilemque nimis (sc. puellam); IX 32, 1
hanc (sc. puellam) volo quae facilis, quae palliolata vagatur. – senior: in
poesia è spesso privo del valore comparativo ed equivalente a senex (vd. il
commento di Bömer2 a Ov. met. XI 157; Hofmann-Szantyr, p. 168 sg.); in
Marziale anche in VII 74, 5; 88, 3; IX 93, 2; XI 32, 3; XII 68, 4. – sed quem
torquet amica: per l’accezione erotica di torqueo vd. Pichon, p. 281; OLD,
s.v. nr. 5; in Marziale cfr. IV 38,1 satiatur amor nisi gaudia torquent; XI
43, 7 torquebat Phoebum Daphne fugitiva; vd. anche VII 26, 1 Thestyle,
Victoris tormentum dulce Voconi.
7 sg.: i castigati carmi di Cosconio possono andar bene soltanto per un
pubblico scolastico (pueris virginibusque); il nesso pueri virginesque fa
riferimento alla scuola anche in IX 68, 1 sg. quid tibi nobiscum est, ludi
scelerate magister, / invisum pueris virginibusque caput?; vd. anche Hor.
III 1, 2-4 carmina non prius / audita Musarum sacerdos / virginibus
puerisque canto. Marziale mostra anche altrove di non auspicare un uso
scolastico dei propri epigrammi: cfr. I 35, 1-5 versus scribere me parum
severos / nec quos praelegat in schola magister, / Corneli, quereris: sed hi
libelli, / tamquam coniugibus suis mariti, / non possunt sine mentula
placere; VIII 3, 13 sgg. an iuvat ad tragicos soccum transferre cothurnos
Epigramma 69 445
70
attestazioni della massima vd. Otto, Sprichwörter, p. 193; Tosi 1994, nr. 894.
La conclusione di Marziale sfrutta il comune tema satirico dell’impotenza
maschile, ma sortisce anche un effetto dissacrante nei confronti della poesia
erotica, riducendo uno dei suoi temi ricorrenti a una questione meramente
fisica (non potes arrigere). La trasformazione di un personaggio da amante
a marito, considerata però da un diverso punto di vista, è alla base di I 74
moechus erat: poteras tamen hoc tu, Paula, negare. / ecce vir est: numquid,
Paula, negare potes? I nomi dei due protagonisti dell’epigramma (Scaevinus,
Aufidia), evidentemente fittizi, ricorrono soltanto qui in Marziale. Scaevinus
presenta scarse attestazioni (vd. Kajanto 1965, p. 243). Aufidius / Aufidia è
un antico gentilizio plebeo (vd. ThlL II 1338, 59 sgg.; RE II 2288, 34 sgg.).
71
72
Vuoi che io ti fotta, ma non vuoi, Saufeia, fare il bagno con me.
Sospetto che tu abbia non so quale grande difetto:
o ti pendono dal petto delle flosce mammelle
o hai paura di rivelare nuda i solchi del ventre
o la tua vagina lacera sta spalancata con un’enorme apertura 5
o sporge qualcosa dalla tua fica.
Ma non è nulla di tutto questo, sono certo, sei bellissima nuda.
Se è vero, hai un difetto peggiore: sei una sciocca.
ricorre qui soltanto negli epigrammi di Marziale (Saufeius in II 74, 1). Sulla
sua diffusione in Italia RE II A, 256, 7-257, 63.
come qui (v. 6), alla eccessiva grandezza della clitoride anche in Priap. 12, 13
sg. qui tanto patet indecens hiatu / barbato macer eminente naso (su cui vd.
il commento di Goldberg); CIL IV 10004 Eupla laxa landicosa. - inguen:
sostituto eufemistico di cunnus: cfr. Iuv. 9, 4; 10, 322; Auson. 127, 1 p. 344 P.
(epigr. 86, 1 G.); vd. Adams, LSV, p. 47 sgg. Come eufemismo per i genitali
maschili cfr. III 81, 5; VI 73, 6; VII 30, 5; Priap. 1, 6; 83, 43; Auson. 120, 3 p.
341 P. (epigr. 74, 3 G.). L’uso ricorre anche nella satira (Hor. sat. I 2, 26; 116;
Iuv, 1, 41) e in poesia elevata (Verg. georg. III 281; Ov. met. XIV 640).
6: l’eccessiva grandezza della clitoride è oggetto di aggressione scommatica:
vd. Adams, LSV, pp. 79; 97 sg.; in Marziale cfr. anche VII 67, 1 sgg. (con
il commento di Galán Vioque); 70, 1 sg. Per l’uso metaforico di os si può
confrontare quello correlato di labia (vd. Adams, LSV, p. 99 sg.; ThlL IX
1092, 7 sgg.). Secondo Adams, LSV, p. 98, in I 90, 8 mentiturque virum
prodigiosa Venus Marziale alluderebbe ad una clitoride di straordinarie
dimensioni; per Citroni e Howell1 è invece più probabile un riferimento
all’ . Cunnus è il termine osceno più comune per i genitali femminili
(vd. Adams, LSV, p. 80 sg.). Di uso frequente nelle iscrizioni pompeiane ed
ercolanesi, ricorre in poesia tre volte nel primo libro delle Satire di Orazio,
una in Catullo, sei nei Priapea, ventisette in Marziale (quattro cunnilingus).
7 sg.: Saufeia non ha difetti fisici e perciò la sua ritrosia è dovuta ad un
falso pudore che Marziale critica. – credo: inciso di natura colloquiale che
esprime una presa di posizione soggettiva del parlante (vd. Hofmann, LU,
p. 249 sg.); Marziale utilizza soprattutto puto (vd. la n. a 55, 4; Citroni, p.
34 sg.). – fatua es: letteralmente ‘sciocca’; qui indica probabilmente un
atteggiamento ritroso determinato da pruderie. Schneider 2000, p. 350 ha
individuato nella conclusione fatua es un voluto anagramma del nome Saufeia
(con l’eccezione di una lettera) e ha trovato una conferma della volontà di
Marziale di realizzare tale effetto nel fatto che il nome non appartiene alla
diffusa categoria dei nomi parlanti. Non si può escludere un gioco fonico
con futui del v. 1 che legherebbe principio e fine di epigramma.
Epigramma 73 455
73
Febo dorme con ragazzi ben ‘dotati’ e non riesce ad avere un’erezione. Per
Marziale deve trattarsi di un pathicus, ma alcune voci insinuano il sospetto
che egli possa essere altro (un fellator).
Nella morale sessuale romana, rispecchiata in questo epigramma, la fellatio
era considerata la perversione peggiore per un uomo (vd. Obermayer 1998,
p. 241 sgg.): cfr. specialmente II 28; VI 56; i fellatores sono bersaglio di
numerosi epigrammi di Marziale: cfr. I 96; III 77; 80; 82; 84; 87; 88; VI
66; IX 27. L’epigramma presenta un linguaggio allusivo, che non indulge
a volgarismi: Marziale ricorre alla perifrasi (non stat tibi quod stat illis)
e all’eufemismo (mollem … virum); anche la conclusione, in forma
di insinuazione attribuita alle voci (rumor), presenta la perversione del
protagonista per antitesi, lasciando la deduzione al lettore (negat esse te
cinaedum). Il tono del componimento può forse dipendere dalla volontà
del poeta di variare rispetto al crudo realismo dell’epigr. precedente. Febo,
nome fittizio frequente in Marziale (in questo libro cfr. anche 89, 2), è un
personaggio dalla bassa moralità anche in I 58; IX 63.
VIII 1731, 11 sg.) deriva da mutunium (‘i.q. membrum virile’ ThlL VIII
1731, 22); cfr. anche mutto, -onis (‘i.q. membrum virile’ ThlL VIII 1730, 8
sgg.); vd. Ernout-Meillet, s.v. muto, p. 426. L’aggettivo ricorre anche in XI
63, 2 sg. quare mihi tam mutuniati / sint leves pueri subinde quaeris e in
Priap. 52, 9 sg. salax asellus / et nil deterius mutuniatus (dove è congettura
di Buecheler, universalmente accolta, per i tràditi mutiniatus; minuciatus vel
minutiatus; metulatus). Mutto ricorre soltanto nei satirici (Lucilio, Orazio),
che evitano invece mentula; è pertanto probabile che il termine e i suoi derivati
fossero percepiti come meno volgari (vd. Adams, LSV, p. 62 sg.). Si veda anche
l’equivalente mentulatus, che ricorre in Priap. 36, 11 deus Priapo mentulatior
non est. Mutunus Tutunus (o Mutinus Tutinus o Mutinus Titinus), arcaica
divinità fallica, fu gradualmente rimpiazzato a Roma da Priapo (cfr. Aug. civ.
IV 11 Mutunus vel Tutunus, qui est apud Graecos Priapus, che, attingendo
da Varrone, identifica le due divinità); vd. RE XVI, s.v. Mutunus Tutunus, 979
sgg.; XIX 1719, 36 sgg.; Roscher II 1, 204, 47 sgg.; Wissowa 1912, p. 243.
2. non stat tibi …: sc. mentula; stare per indicare l’erezione è frequente
in Marziale: cfr. II 45, 1; III 75, 1. 8 (cfr. la pointe dell’epigramma basata sul
doppio senso di stare); VI 23, 1; VII 58, 4; XI 25, 2; 27, 1; vd. anche VI 49, 2 sg.;
altrove in Priap. 73, 2; Apul. met. II 7; per l’equivalente uso in greco di
cfr. AP XII 232, 1. – Phoebe: Galle di , pur accolta da Lindsay, Duff, Ker,
Giarratano, Heraeus, ha tutta l’aria di una glossa: cfr. III 81, 1 quid cum femineo
tibi, Baetice Galle, barathro e la n. ad loc. Marziale riserva l’epiteto Gallus ad
evirati e non ad impotenti: cfr. I 35, 14 sg.; II 45, 2; III 24, 13; 81, 5; V 41, 3; VII
95, 15; XI 72, 2; 74, 2; XIII 63, 2. L’appellativo Galle sarebbe inoltre possibile
tutt’al più nel verso seguente, dopo la menzione del nome proprio.
3. rogo: su rogo, inciso colloquiale, vd. la n. a 44, 9.
4. mollem … virum: mollis vir equivale qui a pathicus; mollis ha spesso
una connotazione negativa, per lo più a sfondo sessuale: cfr. Catull. 25, 1 sgg.
cinaede Thalle, mollior cuniculi capillo / vel anseris medullula vel imula
oricilla / vel pene languido senis situque araneoso; Priap. 64, 1 quidam mollior
anseris medulla; vd. ThlL VIII 1379, 26-52; Marziale utilizza frequentemente
l’aggettivo in relazione all’omosessualità maschile passiva: cfr. I 96, 10; II 84,
1; V 41, 2; VII 58, 5; IX 25, 3; 59, 3; XII 75, 4; vd. al riguardo R.A. Pitcher,
The mollis vir in Martial, in K. Lee-Ch. Mackie-H. Tarrant (edd.), Multarum
artium scientia. A ‘chose’ for R. Godfrey Tanner. Contributes by his allies
upon rumours of his retirement, Auckland 1993, pp. 56-67; Merli 1996, pp.
217-219.
Epigramma 73 457
74
om. f¹, suppl. f² in mg. tit. ad gargilianum LPQf²EXV: ad gargillanum A 1 levas v1²s.l.,
Scriverius: lavas LPQf² v1¹ vv. 2 et 6 commut. LPQf² (rectum ordinem restituit f²p.c.)
3 facient ungues LP²Qf²: faciunt ungues P¹ facie tingues EA¹XV¹ faciem tinguis V²s.l. facie
tinguis A² nam certe LP²Q f² : certe nam P¹ 4 veneto LPQ²f² : vento Q¹ resecare
LQf² : reserare P 5 desine LPQf²EXV: disine A
moralisti: cfr. Sen. nat. VII 31, 2 levitate et politura corporum muliebres
munditias antecessimus; in Marziale essa è spesso oggetto di aggressione
satirica: cfr. II 29, 6; 62; III 63, 6; V 61, 6; IX 27; X 65, 6 sgg.; vd. Hagenow
1972, pp. 48-59; Herter, Effeminatus, 633 sg. Il nome Gargiliano, senz’altro
fittizio, ricorre in III 30; IV 56; VII 65; VIII 13 per diversi tipi; per le sue
attestazioni epigrafiche vd. Kajanto 1965, p. 147.
75
3 sg.: l’elenco degli afrodisiaci ricalca quello di Ov. ars II 415 sgg. sunt
quae praecipiant herbas, satureia, nocentis / sumere; iudiciis ista venena
meis / … / (421) candidus, Alcathoi qui mittitur urbe Pelasga, / bulbus
et, ex horto quae venit, herba salax / ovaque sumantur; cfr. anche rem.
795 sgg.
3. nihil … faciunt: l’espressione, equivalente a nec prosunt del v. 4,
appartiene all’uso medico: vd. OLD s.v. facio, nr. 30 b; cfr. Suet. Cl. 16,
4 nihil aeque facere ad viperae morsum quam taxi arboris sucum; Scrib.
Larg. 49 facit et hoc medicamentum bene; Plin. nat. XXXIV 170 ad
haec … lotura plumbi facit. – erucae … bulbique salaces: cibi dal potere
afrodisiaco; sono associati anche in Ov. ars II 422 cit. nella n. al v. 3 sg.;
rem. 795 sgg.; Cels. IV 28, 2; Colum. X 105 sgg. Sulla rucola (eruca) come
afrodisiaco cfr. Varro Men. 581; Moretum 84; Iuv. 9, 134; Plin. nat. X 182;
XIX 154; Priap. 46, 8; 47, 6; 51, 20; Theod. Prisc. log. 34, p. 133, 2; Marc.
med. 33, 50; Diosc. II 125; CGL II 578, 41. Sulle cipolle (bulbi) come
afrodisiaci cfr. XIII 34 tit. bulbi. cum sit anus coniunx et sint tibi mortua
membra, / nil aliud bulbis quam satur esse potes; vd. anche Plin. nat. XX
105; Petron. 130, 7; Stat. silv. IV 9, 30; Athen. II 63d; 64b. Salax in questa
accezione ricorre in Ov. ars II 422 cit. nella n. al v. 3 sg.; rem. 799; Colum.
X 372; Mart. X 48, 10; Priap. 51, 20.
4. improba … satureia: il neutro plurale satureia ricorre, oltre che qui,
soltanto in Ov. ars II 415 cit. nella n. al v. 3 sg. Il termine è probabilmente
un incrocio tra satureia, -ae e satyrion (gr. ), e designa diversi
tipi di orchidee afrodisiache: cfr. Plin. nat. XXVI 96 sgg.; XXVIII 119;
Petron. 8, 4; 20, 7; 21, 1; vd. André 1956, p. 282 (anche André 1985, p.
227). Anche SB2, p. 256, n. a, sospetta una confusione con satyrion. Meno
probabile che si tratti di un plurale eteroclito di satureia, -ae ‘santoreggia’
(vd. OLD, s.v.). Questa infatti stimola, ma non è nociva (come si evince da
Ov. ars II 415 sg. cit. nella n. al v. 3 sg.). Improbus è usato qui nell’accezione
erotica, con valore causativo (vd. ThlL VII 1, 691, 51 sgg.; OLD, s.v. n. 7;
Pichon, p. 172). – nec: per la posposizione della particella vd. la n. a 19, 5.
5. puras … corrumpere buccas: espressione eufemistica che indica le pratiche
di sesso orale ottenute da Luperco a pagamento (opibus). Purus in relazione al
sesso orale ricorre spesso in Marziale: cfr. II 61, 9; III 82, 4; IV 39, 10; VI 50, 6;
66, 5; IX 63, 2; 67, 5; XI 61, 14; XIV 70, 2. Lambertz (ThlL IV, s.v. corrumpo,
1058, 13) colloca questo passo tra gli esempi in cui il verbo indica corruzione
attraverso denaro (cfr. la traduzione di SB2: «You have started corrupting
Epigramma 75 465
pure mouths with your money»); tuttavia è più probabile un riferimento più
esplicito allo stuprum, favorito dall’espressivo uso metonimico di buccae e
dall’attributo purus, spesso usato da Marziale in riferimento al sesso orale
(vd. supra): cfr. XI 61, 2 Summemmianis inquinatior buccis. Izaac traduce:
«Tu t’es mis, grace à tes richesses, à souiller des bouches innocentes». Sulle
espressioni eufemistiche per irrumare vd. Adams, LSV, p. 211 sgg.
6: il sesso orale è considerato il miglior rimedio per l’impotenza: cfr. IV
50, 1 sg. quid me, Thai, senem subinde dicis? / nemo est, Thai, senex ad
irrumandum; XI 46, 5 sg. cit. infra; Hor. epod. 8, 19 sg. quod ut superbo
provoces ab inguine / ore adlaborandum est tibi. - sic quoque non: i. e. ne
sic quidem; cfr. Ov. fast. V 520; Lucan. VII 841; Val. Fl. IV 598. – vivit: sulla
‘morte’ come metafora per l’impotenza cfr. XI 46, 5 sg. quid miseros frustra
cunnos culosque lacessis? / summa petas: illic mentula vivit anus; XIII 34, 1
cum sit anus coniunx et sint tibi mortua membra; Ov. am. III 7, 65 nostra
tamen iacuere velut praemortua membra; Petron. 20, 2 sollicitavit inguina
mea mille iam mortibus frigida; 129, 1 funerata est illa pars corporis, qua
quondam Achilles eram; vd. anche AP XI 29, 3 sg.; 30, 3 sg.; XII 216, 2; 232,
4. – sollicitata: nell’accezione di ‘stimolato sessualmente’; per l’uso cfr. VI 68,
9 sg.; 71, 3 sg.; VIII 55, 15 sg.; XI 22, 3 sg.; 46, 3 sg.; Ov. am. III 7, 55 sg.; 73
sg.; Petron. 20, 2; vd. Adams, LSV, p. 184 sg. – Venus: qui per mentula. L’uso
risale a Lucr. IV 1270 clunibus ipsa viri Venerem si laeta retractat; cfr. Mart.
I 46, 1 sg. cum dicis ‘propero, fac si facis’, Hedyle, languet / protinus et cessat
debilitata Venus; Iuv. 11, 167 inritamentum Veneris languentis; Priap.
83, 4 Venus fuit quieta; Apul. met. II 16 iam saucius paulisper inguinum
fine lacinia remota impatientiam veneris Photidi meae monstrans; per tale
metonimia vd. Adams, LSV, p. 57; J.N. Adams, Anatomical Terminology in
Latin Epic, «BICS» 27, 1980, pp. 50-52. L’accezione deriva probabilmente
dall’uso comune di Venus per ‘rapporto sessuale’: cfr., ad es., I 103, 10 asse
cicer tepidum constat et asse Venus; XII 43, 5 sunt illic Veneris novae
figurae.
7. credere possit: clausola ovidiana (epist. 18, 123; met. XV 613; trist. I 2,
81); ricorre quindi in AL 878, 29 R.; Claud. 21, 191.
8: la conclusione, che chiude ad anello il componimento (cfr. v. 1 stare), è
realizzata con un gioco di parole basato sul doppio senso di stare (‘stare eretto’
e ‘costare’), che favorisce una sorta di contraddizione in termini (quod non
stat / magno stare). Su questo genere di conclusioni, molto caro a Marziale,
vd. la n. intr. all’epigr. 13.
466 M. Val. Martialis liber tertius
76
hab. T; vv. 1-2 hab. R tit. ad bassum 1 arrigis TR¹ : eras. R² ad PQf : at L
vetulas L²PQf : vetulaes L¹ 2 formosa RPQf : formonsa TL 3 non haec est TLf :
non est haec PQ 4 (h)ecaben LfV: haecaben EA hecuben PX echuben Q hecubam T
andromac(h)en : andromachae T
ma latinizzata Hecuba (III 32, 3; VI 71, 3); Ovidio utilizza una forma
ibrida (Hecube al nominativo e vocativo; Hecubae, -am nei casi obliqui e
all’accusativo). La forma Hecabe è stata restituita per congettura in Ilias
546; 551; 1017, ma senza motivi cogenti (vd. il commento di Scaffai, ad
locc.). L’interpunzione esclamativa, che pone ulteriore enfasi sul paradosso
conclusivo, è stata, a mio avviso a ragione, preferita da tutti gli editori, con
l’eccezione di SB. – Andromachen: altrove menzionata tra gli exempla di
fedeltà coniugale: cfr. Ov. trist. I 6, 19 sgg.; V 14, 35 sgg.
Epigramma 77 469
77
Betico mangia solo cibi di pessima qualità ed evita quelli più raffinati.
Marziale finge di sospettare che egli abbia qualche problema di stomaco,
ma insinua copertamente il sospetto che Betico sia impurus ore (il vitium è
reso esplicito nell’epigr. 81, rivolto allo stesso personaggio). Betico dunque,
470 M. Val. Martialis liber tertius
mangiando cibi dal sapore acre, tenta di mascherare il cattivo odore del suo
alito, provocato dalla sua pratica del sesso orale (per questa convinzione
diffusa nel mondo romano vd. la n. intr. all’epigr. 17); è però proprio
questo comportamento a renderlo sospetto agli occhi del poeta che lo
colpisce in maniera velata. L’epigramma presenta un’equilibrata struttura
tripartita: ai primi quattro versi, che, scanditi dalla martellante anafora di
nec, elencano i cibi raffinati che sorprendentemente il protagonista mostra
di non apprezzare, ne corrispondono altrettanti dedicati invece a quelli
di bassa qualità che preferisce (5-8). L’ultimo distico realizza la pointe,
preparata dal v. 9, che evidenzia i sospetti del poeta, ed espressa al v. 10 in
forma interrogativa; come di frequente in Marziale, il fulmen si concentra
nell’ultima parola: il verbo (non attestato nella letteratura
greca) si riferisce ai cibi nauseanti di cui Betico si nutre, ma certo contiene
un’allusione alle pratiche sessuali che egli tenta di nascondere. Il cognomen,
derivato dal fiume iberico Baetis (e dalla provincia Baetica), ricorre anche
nelle iscrizioni: cfr., ad es., CIL II 395; VI 13499; 14217; 22258; VIII
19135; XII 4116; vd. Kajanto 1965, p. 198.
78
pp. 56-60) rispecchia le riflessioni degli antichi, nel cui solco si colloca
la comica soluzione di Marziale: nell’episodio di Palinuro in Virgilio le
diverse accezioni di (‘guardiano’, ‘vento favorevole’) interagiscono
fra loro (vd. al riguardo M. Paschalis, Vergil’s Aeneid. Semantic Relations
and Proper Names, Oxford 1997, pp. 124 sg.; 201 sgg.); secondo Philip
Ambrose 1980, p. 451 sg. già il Palinuro del Curculio plautino potrebbe
essere nome parlante: cfr. il gioco di parole sul vento nei vv. 314 sgg. (su
cui vd. Fraenkel 1960, p. 31).
Epigramma 79 477
79
tit. de sertorio 1 omnes LPQf¹ : omnem f²s.l. 2 ego EXV: ergo A cum futuit
PQf : sum futtuit L¹ ut vid. si futtuit L²
80
Apicio non parla male di nessuno, eppure si dice in giro che sia una
‘malalingua’. Il distico è basato sul doppio senso dell’espressione malae
linguae esse, che, riferita nell’accezione comune alla maldicenza (cfr. v.
1), nasconde anche un’allusione maliziosa alle pratiche sessuali del pro-
tagonista (sulla satira rivolta contro i fellatores vd. la n. intr. all’epigr. 73).
Il nome Apicio, qui fittizio, ricorre in Marziale anche in VII 55, 4. Per
l’Apicio noto ghiottone vd. la n. intr. all’epigr. 22. Presenta significative
analogie con questo epigramma e con la fraseologia marzialiana Minucio
Felice, Oct. 28, 10: qui medios viros lambunt, libidinoso ore inguinibus
inhaerescunt, homines malae linguae etiam si tacerent. Medios viros
lambere è espressione marzialiana, che ricorre in II 61, 2 lambebat medios
improba lingua viros; III 81, 2 haec debet medios lambere lingua viros;
inguinibus inhaerescunt trova riscontro in II 61, 7 haereat inguinibus
potius tam noxia lingua. La conclusione del periodo (homines … etiam si
tacerent) realizza una arguzia che sembra trarre spunto proprio da questo
epigramma.
è il senso in Catull. 83, 6 hoc est, uritur et loquitur (cfr. v. 3 sgg. si nostri
oblita taceret, / sana esset: nunc quod gannit et obloquitur, / non solum
meminit eqs.); il verso perciò non va toccato, come fanno invece alcuni
editori, i quali accolgono la congettura coquitur di Lipsius (ad es. Kroll,
e, da ultimo, Thomson; per la difesa del testo tràdito vd. N.I. Herescu,
«Latomus» 9, 1950, pp. 31-33). In Marziale dicere presenta lo stesso
significato in VII 18, 1 sg. cum tibi sit facies de qua nec femina possit /
dicere; cfr. anche Prop. II 20, 13 de te quodcumque, ad surdas mihi dicitur
aures e, per l’analogo uso di loquax, Prop. III 24, 21 sg. risus eram inter
convivia mensis / et de me poterat quilibet esse loquax. Invece Prop. IV
7, 42 garrula de facie si qua locuta mea est, citato da Heraeus (nella adn.
crit.), ha il significato opposto (sc. bene loqui), come rilevato da Housman
1925, p. 202 (= Class. Pap., p. 1102; vd. anche Löfstedt 1936, p. 71 n. 1);
sull’uso, attestato con una certa frequenza anche nelle iscrizioni (cfr., ad es.,
CIL XI 6204 Athenaidi coniugi incomparabili … de cuius pudore nemo
dicere potuit), vd. anche Löfstedt 1936, p. 69 sgg.; Löfstedt, Peregrinatio
Aetheriae, p. 283; Hofmann-Szantyr, p. 827. Loqueris della prima famiglia
(T) è quindi senz’altro difficilior rispetto a quereris ( ), agevolmente
spiegabile come glossa penetrata nel testo oppure, con minore probabilità,
come esito di aplografia (nullo loqueris) e successiva correzione di
queris (vd. Helm 1956, p. 301). Quereris è tuttavia accolto da vari editori
moderni (Lindsay, Duff, Ker, Giarratano, Izaac); per loqueris invece si
sono schierati Schneidewin, Friedlaender, Gilbert, Heraeus, SB. – nulli
maledicis: nullum di T è da considerare una banalizzazione: maledico con
accusativo ricorre per la prima volta in Petron. 58, 13; 96, 7 (in parti dove
prevale il sermo vulgaris; altrove si trova con il dativo: cfr., ad es., 117, 11;
132, 13), mentre si generalizza soltanto nel latino cristiano (vd. E. Wöllflin,
Über die Aufgaben der lateinischen Lexicographie, «RhM» 37, 1882, pp.
117-118; Löfstedt 1936, p. 218; J. Schrijnen, I caratteri del latino cristiano
antico, Bologna 19863, p. 82; Hofmann-Szantyr, pp. 34; 87). Il verbo è
usato assolutamente da Marziale in IX 9, 9 clamas et maledicis et minaris.
Sul carattere cristiano di alcune sostituzioni eufemistiche di termini osceni
presenti nella prima famiglia, messo in luce da Housman 1925, p. 202 (=
Class. Pap., p. 1003), vd. ora Mastandrea 1996, pp. 103-118.
2. rumor ait: sull’attribuzione a voci popolari delle allusioni a sfondo
sessuale vd. la n. a 73, 5 rumor. – linguae … esse malae: espressione collo-
quiale, conservatasi nell’italiano essere una malalingua; ricorre anche in
480 M. Val. Martialis liber tertius
Petron. 37, 7 est tamen malae linguae, pica pulvinaris (sc. Fortunata);
Min. Fel. 28, 10 cit. nella n. intr.; per il nesso mala lingua cfr. Publ. Syr.
App. Sent. 265, p. 387 R. mala lingua eum quem carpit meliorem indicat;
Ov. am. II 2, 49 nocuit mala lingua duobus; Sen. dial. V 22, 5 qui tam
malam haberent linguam; in Marziale indica la maldicenza dell’epigramma
in II epist. 5 sg. epigrammata curione non egent et contenta sunt sua, id est
mala, lingua. Per una accezione affine, legata al malocchio, cfr. Catull. 7,
11 sg. quae (sc. basia) nec pernumerare curiosi / possint nec mala fascinare
lingua; Verg. ecl. 7, 27 sg. si ultra placitum laudarit, baccare frontem /
cingite, ne vati noceat mala lingua futuro (cfr. Serv. ad loc.: mala lingua:
fascinatoria, nocendi scilicet studio). In Marziale la menzione della lingua
è spesso legata alla critica di perversioni sessuali: cfr. II 61, 2; 61, 7; III 81,
2 citati nella n. intr.; IX 27, 13 sg. pudet fari / Catoniana … quod facis
lingua; XI 61, 1 lingua maritus, moechus ore Nanneius; vd. anche III 84,
2; VII 24, 7 sg.; sull’argomento vd. Greenwood 1998, pp. 241-246.
Epigramma 81 481
81
tit. ad b(a)eticum 1 quid EAV: qui X b(a)etice LPQ : bectice f galle LQf : galli
P barat(h)ro PQf : barothro L 2 medios PQf : modios L 3 samia LPf : sanna Q
4 tam V²s.l.: iam EAXV¹ b(a)etice LPQ : bectice f erat EAXV²s.l.: erit V¹ 5 sis
LPQ²f : sus Q¹ inguine L²PQf : ingine L¹ gallus EAX: gallis V 6 decipis LPQ²f :
decipit Q¹
82
L’epigramma è il secondo più lungo del libro (33 versi); collocato verso
la metà della sezione ‘oscena’ del libro, in posizione di risalto, è dedicato
alla descrizione della cena offerta da Zoilo, che costituisce il tema anche
di II 19; V 79. Il personaggio, che percorre tutta l’opera di Marziale,
incarna, pur con sfumature di volta in volta diverse, il tipo del parvenu
(vd. al riguardo la n. intr. all’epigr. 29). Qui Zoilo è un anfitrione gretto
(per questo tipo vd. la n. intr. all’epigr. 60), che ostenta volgarmente le
proprie ricchezze e si circonda di schiavi adibiti a soddisfare le necessità
corporali del padrone. La sua effeminatezza, che emerge dalle notazioni
iniziali e dal suo abbigliamento (cfr. v. 5), è alla base della pointe (il crudo
fellat chiude l’epigramma). Per questo personaggio Marziale trovava
un modello unico nel Trimalchione petroniano, con il quale sono state
infatti segnalate numerose affinità (a partire dall’appellativo di Malchio
del v. 32; vd. C. Marchesi, Petronio e Marziale, «Athenaeum» 10, 1922,
p. 278 sg.; Colton 1982): l’eccezionale estensione del componimento
rivela dunque la volontà di porsi in rapporto di aemulatio con il modello
petroniano. Il linguaggio è prosaico, abbondante di colloquialismi e si
Epigramma 82 487
età imperiale, «Aevum» 72, 1998, spec. p. 120 sgg.; Herter, Effeminatus,
629 sgg.): per il verde cfr. V 23, 1 herbarum fueras indutus, Basse, colores;
Iuv. 2, 97 caerulea indutus scutulata aut galbina rasa; Lampr. Heliog. 19,
2 aestiva convivia coloribus exhibuit, ut hodie prasinum, vitreum alia
eqs.; Vopisc. Aurelian. 34, 2 clamide coccea, tunica galbina … ornatus;
per l’identificazione del colore con i mores in Marziale cfr. l’audace traslato
di I 96, 9 fuscos colores, galbinos habet mores. Seneca parla con disprezzo
dell’uso da parte di uomini di abiti dai colori troppo vivaci (nat. VII 31
colores meretricios matronis quidem non induendos viri sumimus). Il
verde, colore caro a Trimalchione (cfr. Petron. 27, 2 soleatus pila prasina
exercebatur; 28, 8 ostiarius prasinatus; 64, 6 puer … catellam nigram
… prasina involvebat fascia; 67, 4 Fortunata … galbino succincta
cingillo), è apprezzato anche da Zoilo: cfr. anche v. 11 prasino … flabello.
Marziale mostra una particolare predilezione per gli aggettivi in –atus per
indicare l’abito di una persona, soprattutto in relazione al colore: si tratta
di formazioni tarde, appartenenti alla lingua d’uso, per lo più evitate in
poesia elevata (vd. André 1949, p. 210 sg.); tali aggettivi sono a volte hapax
assoluti, a volte ricorrono in Marziale per la prima volta (vd. il commento
di Citroni a I 96, 5 sg.; E. Stephani, De Martiale verborum novatore,
«Breslauer philologische Abhandlungen» IV 2, 1889, p. 63 sgg.; Watson
2002, p. 242 sg.): cfr. coccinatus (I 96, 6; V 35, 2); baeticatus (I 96, 5);
leucophaeatus (I 96, 5); amethystinatus (II 57, 2); canusinatus (IX 22, 9);
vd. anche prasinatus (Petron. 28, 8).
6: per l’immagine degli ospiti quasi spinti giù dai letti tricliniari cfr.
Petron. 70, 11 paene de lectis deiecti sumus, adeo totum triclinium
familia occupaverat. I modi villani di Zoilo non trovano però precedenti
in Trimalchione (non calzante il parallelo proposto da Colton 1982, p. 77
con Petron. 39, 2 reclinatus in cubitum).
7: il dettaglio compare in Petronio, dove Trimalchione è positus … inter
cervicalia minutissima (32, 1) e fultus … cervicalibus multis (78, 5). La
porpora, con cui erano rivestiti i lecti (vd. ThlL IX 2, 1161, 70 sgg.), e i
cuscini di seta sono simboli di lusso: cfr. Hor. epod. 8, 15 sg. quid? quod
libelli Stoici inter Sericos / iacere pulvillos amant; carm. III 29, 14 sg.
pauperum / cenae sine aulaeis et ostro; vd. anche Prop. I 14, 20-22. Sericus
significa ‘di seta’, per metonimia dalla regione di provenienza del prezioso
tessuto (vd. OLD, s.v. Sericus, nr. 2; RE II A, s.v. Serica, 1724, 24-1727,
44). In IX 37, 3; XI 8, 5; 27, 11 l’aggettivo è sostantivato. Il diminutivo
490 M. Val. Martialis liber tertius
ducat? quidni ego feliciorem putem Mucium, quod sic tractavit ignem
quasi illam manum tractatori praestitisset. La diffusione dell’attività è
testimoniata dalle iscrizioni (cfr., ad es., CIL VI 32775, 2); un certo Xanthus
fu tractator degli imperatori Tiberio e Claudio (CIL VI 33131).
14. manum … doctam: per la iunctura cfr. Tib. I 8, 11 sg. ungues /
artificis docta subsecuisse manu; Sen. Tro. 885 crinemque patere docta
distingui manu; per il tono sarcastico cfr. Sen. epist. 47, 6 alius pretiosas
aves scindit; per pectus et clunes certis ductibus circumferens eruditam
manum frusta excutit. Per doctus riferito all’abilità manuale cfr. Mart. VI
52, 3 sg. vix tangente vagos ferro resecare capillos / doctus et hirsutas
excoluisse genas. – spargit: manum spargere in questa accezione non offre
paralleli; l’espressione spargenda est manus di Sen. epist. 29, 2 ha diverso
significato.
15 sgg.: la scena è ripresa da Petron. 27, 5 sgg. Trimalchio digitos
concrepuit, ad quod signum matellam spado ludenti subiecit (vd. Colton
1982, p. 79). L’uso di una matella per l’urina è attestato ancora in VI 89, 1
sg.; XIV 119 (tit. matella fictilis); cfr. anche X 11, 3 sg.; CLE 932, 2. Seneca
definisce la mansione servile et contumeliosum ministerium (epist. 77,
14). Lo schiavo di Zoilo è costretto ad un servigio ancora più umiliante. –
digiti crepantis signa: per lo schiocco delle dita come ordine per lo schiavo
cfr. VI 89, 2 arguto … pollice; XIV 199, 1 crepitu digitorum; Petron. 27,
5 digitos concrepuit. – delicatae sciscitator urinae: comica espressione che
attribuisce al servo incaricato dell’umiliante azione un titolo che non può
non apparire fortemente sarcastico (come l’uso di delicatus per l’urina del
padrone). Sciscitator è probabilmente conio di Marziale; quindi ricorre
soltanto in Amm. XXII 16, 16; Auson. grat. act. V 21; Prud. cath. VII
193. La rarità del vocabolo è alla base della banalizzazione suscitator della
tradizione umanistica. Sulla predilezione di Marziale per i sostantivi in –tor
vd. la n. a 14, 1 esuritor. – ebrium … penem: per l’uso dell’attributo per
parti del corpo invece che per la persona cfr. Petron. 73, 3 diduxit usque
ad cameram os ebrium; 79, 9 cum solutus mero remisissem ebrias manus.
Qui concorre alla comica personificazione del penis. Penis, sebbene sia
considerato un’oscenità da Cic. epist. IX 22, 2, è termine colloquiale, usato
da Sall. Cat. 12, 4 e dai satirici (Pers. 4, 35; 48; Iuv. 6, 337; 9, 43), che
evitano mentula (su cui vd. la n. a 68, 7 sgg.); al riguardo vd. Adams, LSV,
p. 35 sg.; in Marziale ricorre otto volte contro 49 di mentula.
18. ipse: l’uso di ipse per dominus (cfr. anche v. 26 et Cosmianis ipse fuscus
492 M. Val. Martialis liber tertius
ampullis) appartiene alla lingua d’uso (vd. OLD s.v. nr. 12): cfr. Plaut. Cas.
790 ego eo quo me ipsa misit; Aul. 356 si a foro ipsus redierit; Catull. 3, 6
sg. nam mellitus erat (sc. passer) suamque norat / ipsam tam bene quam
puella matrem; CGL V 535, 20 ipsa: domina (vd. Heraeus 1937, p. 78
sg.). Il pronome è usato, con sfumatura sarcastica, per Nasidieno (Hor.
sat. II 8, 23 Nomentanus erat super ipsum, Porcius infra), Trimalchione
(Petron. 29, 8 pyxis aurea non pusilla in qua barbam ipsius conditam esse
dicebant) e Virrone (Iuv. 5, 114 anseris ante ipsum magni iecur). – ad
pedum turbam: sugli schiavi ad pedes, che accompagnavano il padrone al
banchetto, assistendolo presso il letto tricliniare, vd. la n. a 23, 2.
19: Zoilo ciba i cagnolini con fegato d’oca. Il comportamento stravagante
e villano trova un curioso parallelo in Lampr. Heliog. 21, 1 canes iecinoribus
anserum pavit. Sul fegato d’oca, cibo tra i più raffinati, cfr. XIII 58 con il
commento di Leary2; Hor. sat. II 8, 88; Stat. silv. IV 6, 9 sg.; Iuv. 5, 114;
vd. André 1981, p. 129 sg. – lambentis: sulle forme di accusativo plurale in
–is vd. la n. a 10, 2 omnis.
20 sg.: Zoilo riserva per i suoi schiavi cibi di prima qualità. Marziale tace
su quanto è offerto agli ospiti, ma si evince chiaramente che si tratta di cibi
di qualità inferiore (per i vini cfr. v. 22 sgg.). – apri glandulas: si tratta della
parte più delicata dell’aper (vd. André 1981, p. 115; ThlL VI 2030, 48 sgg.);
cfr. VII 20, 4 ter poscit apri glandulas. – palaestritis: su questo genere di
schiavi, incaricati di allenare il padrone, ma spesso usati a scopo sessuale,
cfr. VI 39, 9; XIV 201 con il commento di Leary1; vd. anche la n. a 58, 25.
– turturum natis: un’altra delicatezza (vd. la n. a 60, 7 aureus immodicis
turtur te clunibus implet). Sulle forme di accusativo plurale in –is vd. la n.
a 10, 2. Natis accusativo plurale ricorre altre sei volte in Marziale, contro
un solo caso di nates (I 92, 8).
22 sg.: per l’uso di servire agli ospiti vini peggiori di quelli che beve
l’anfitrione vd. la n. intr. all’epigr. 49. – Ligurum … saxa: ardita espressione
metonimica per indicare ‘vino della rocciosa Liguria’ (cfr. la metonimia in
XIV 118, 1 cit. infra; sulle metonimie, spesso originali, di Marziale vd.
Fenger 1906, spec. p. 31 sg.). La scarsa qualità dei vini liguri è attestata da
Strabone IV 6, 2; tra i vini liguri Plinio il Vecchio attribuisce la palma a quello
di Genova (nat. XIV 68). Sulla conformazione rocciosa del territorio ligure
cfr. Strabo V 1, 12. Assolutamente improbabile la correzione di Heinsius
vappa cum ministretur (cfr. XII 48, 14 et Vaticani perfida vappa cadi).
– cocta fumis musta Massilitanis: il vino di Marsiglia era affumicato per
Epigramma 82 493
fuscus vd. André 1949, p. 123 sgg.). La lezione fuscus riceve il sostegno di
entrambe le famiglie di codici, poiché anche fuscis della seconda famiglia si
spiega agevolmente come corruttela determinata da omeoteleuto (Cosmianis
… fuscis ampullis). Essa è stata difesa da Heraeus (con l’approvazione di
Housman 1925, p. 200 = Class. Pap., p. 1100), seguito da Giarratano e SB; la
lezione umanistica fusus, accolta dagli editori precedenti a Heraeus, da Izaac
e, recentemente, da Watson-Watson, è senz’altro di origine congetturale e,
pur se accettabile per il senso (cfr. Tib. I 7, 50 multo tempora funde mero;
Lygd. 2, 20 niveo fundere lacte [sc. ossa]), appare certamente da rigettare
(contra vd. Helm 1956, p. 301). Su Cosmo, il profumiere più celebre del
tempo, vd. la n. a 55, 1. Ampulla, termine della sfera colloquiale, designa
il recipiente che conteneva il profumo: cfr. Petron. 78, 3 statim ampullam
nardi aperuit omnesque nos unxit; vd. ThlL I 2018, 39 sgg. Qui è metonimia
per il profumo in essa contenuto (vd. Fenger 1906, p. 29 sg.).
27 sg.: ancora una disparità di trattamento per gli ospiti, che ricevono un
profumo di infima qualità (sull’uso di distribuire profumo al banchetto vd.
la n. intr. all’epigr. 12). – non erubescit: per la vergogna (vd. ThlL V 2, 821,
17 sgg.): cfr. VII 20, 6 nec erubescit peierare de turdo; VIII 17, 4 tanto plus
debes … quod erubui; 59, 11 sg. nec dormitantem vernam fraudare lucerna
/ erubuit fallax; XI 15, 5 sg. qui (sc. libellus) vino madeat nec erubescat
pingui sordidus esse Cosmiano; 16, 9 erubuit posuitque meum Lucretia
librum; la costruzione con l’infinito ricorre per la prima volta in Verg. ecl.
6, 2 neque erubuit silvas habitare Thalea. – murice aureo: l’uso del murex
come recipiente per unguento è attestato soltanto qui. La raffinatezza del
contenitore stride con la miseria del profumo (cfr. infra). – moechae pauperis:
la notazione chiarisce la bassa qualità del prodotto ed evoca lo squallido
ambiente delle prostitute (cfr. vv. 1-4). L’uso di moecha nell’accezione di
meretrix risale a Catull. 42, 3; 11 sg.; 19 sg. (vd. ThlL VIII 1325, 54 sgg.;
Adams 1983, p. 350 sgg.; C. Fayer, Denominazioni di meretrici a Roma,
in . In ricordo di Maria Laetitia Coletti, a c. di M.S. Celentano,
Alessandria 2002, p. 102 sgg.). In Marziale cfr. anche III 93, 15 bustuarias
moechas. – capillare: sc. unguentum; l’uso sostantivato è hapax.
29: per l’ubriachezza dell’ospite cfr. Petron. 78, 5 Trimalchio ebrietate
turpissima gravis. Il septunx equivale ad una misura di sette ciati; il termine
ricorre anche in VIII 50 (51), 25. – perditus stertit: per la descrizione degli
esiti della sbronza cfr. Cael. fr. 17 Malcovati ipsum (sc. C. Antonium)
offendunt temulento sopore profligatum, totis praecordiis stertentem.
Epigramma 82 495
costituisce per lui una minaccia adeguata (vd. Adams, LSV, p. 126). Per
Zoilo come fellator cfr. XI 30, 1 sg. os male causidicis et dicis olere poetis.
/ sed fellatori, Zoile, peius olet; 85, 1 sg. sidere percussa est subito tibi,
Zoile, lingua, / dum lingis. certe, Zoile, nunc futuis; vd. anche II 42;
VI 91, 1. Fellare è volgarismo frequente nelle iscrizioni parietali, usato in
letteratura solo nell’epigramma (Catullo, Marziale, Ausonio): vd. ThlL VI
1, 456, 29 sgg.; Adams, LSV, p. 130 sgg. In Marziale fello presenta undici
occorrenze, cinque fellator. La spiegazione del verso come un riferimento
all’irrumatio viene attribuita da SB1 ad Housman 1907, p. 258 (= Class.
Pap., p. 733): «nec vindicari possumus irrumando; fellator est enim, ut
eam poenam non invitus passurus sit»; essa era però già stata esposta
negli stessi termini da Gilbert (apud Friedlaender): «Und wir können uns
nicht durch irrumatio rächen, denn das ist für ihn keine Strafe». Che la
minaccia di irrumatio fosse soltanto una forma di aggressione verbale è
generalmente riconosciuto: vd. Housman 1907, p. 257 (= Class. Pap., p.
733): «The Romans had a rough pleasantry, in the form of a threat, which
they used to fling indiscriminately at friends and foes without any serious
meaning»; Adams, LSV, pp. 125-130; cfr. Catull. 16, 1. 14; 21, 7 sg. e 13;
37, 7 sg.; 74, 5 sg.; Priap. 35, 5; 44, 3 sg.; in Marziale cfr. III 96, 3. Non
persuasive le argomentazioni di A. Richlin (The meaning of irrumare in
Catullus and Martial, «CPh» 76, 1981, p. 42) che non ritiene indebolita la
minaccia.
Epigramma 83 497
83
2. ‘Fac mihi quod Chione’: Chione è una fellatrix, come si evince dagli
epigr. 87 e 97 di questo libro; l’espressione fac mihi quod Chione è pertanto
un insulto di natura sessuale espresso in termini eufemistici: vd. al riguardo
Adams, LSV, p. 127 sgg.; Housman 1907, p. 257 (= Class. Pap., p. 733).
Per questo genere di insulto, che ha perso la sua forza originaria, cfr. XI 58,
11 sg. at tibi nil faciam, sed lota mentula lana / cupidae dicet
avaritiae (vd. anche VII 55, 6 sgg.); Petron. 42, 2 cum mulsi pultarium
obduxi, frigori laecasin dico; CIL IV 1854 Caliste, devora; 5396 Ccossuti
[sic], fela ima; sull’argomento E. Degani, Laecasin = , «RCCM»
4, 1962, pp. 362-365 (ora in Filologia e Storia. Scritti di Enzo Degani, I,
Hildesheim-Zürich-New York 2004, pp. 383-386); Housman 19312, p. 410
sg. (= Class. Pap., p. 1182 sg.). L’espressione, posta tra virgolette dagli
editori a partire da Lindsay, ha dato luogo ad alcuni fraintendimenti: Izaac,
Ceronetti (Torino 1964) e Norcio, l’hanno attribuita a Cordo e considerata
un’ulteriore richiesta di epigrammi brevi (l’errore di Izaac era stato già
segnalato nella recensione di Housman 1931, p. 82 = Class. Pap., p. 1173;
vd. ora Merli 1996, p. 220); si veda, ad es., la traduzione di Norcio: «Mi
esorti, o Cordo, a scrivere epigrammi più brevi e mi dici: “Fai con me,
come fa Chione”».
Epigramma 84 499
84
cum 83 confl. f post 85 hab. P tit. ad gongylionem f¹ in mg. (gonc- f²s.l.): ad congylionem
ad goncilionem P ad concylionem L ad goncilium Q 2 Gongylion Schneidewin²: congylion
gongylium f goncylium PQ² gonciliom Q¹ concylium L Tongilion h²blvv1 ed. Rom. 1
ed. Ferr. ed. Ven. ed. Ald. 1501 Schneidewin¹
85
hab. T; vv. 1-2 hab. R tit. ad maritum zelotypum EXV: ad maritum zelopitum A 1
persuasit TR² : persuassit R¹ naris T: nares R abscidere Lf : abscindere PQ 2
parte LPQf²EAV: parce X parcte f¹ 3 stulte TPQf : sulte L nihil T : nil tibi T:
tua 4 tui LPfEAX: tua V sui Qv1 tibi T ed. Rom. 2 ed. Ald. sibi ed. Ferr. deiphobi
LPf¹: dei phoebi Qf² diei phoebi T
86
L’epigramma è ancora rivolto alla matrona, che nell’epigr. 68, sul limitare
della sezione oscena del libro, Marziale aveva diffidato dal proseguire la
lettura di epigrammi licenziosi. Come ipotizzato dal poeta nei versi finali
di quell’epigramma (11 sg.), il suo avviso non ha sortito alcun effetto,
stimolando anzi una lettura più attenta della sezione. Il primo distico
dell’epigramma si ricollega esplicitamente all’epigr. 68: incurante del suo
avviso a non procedere nella lettura, la matrona continua a leggere. Ma
come assiste a teatro al mimo (rappresentato dai nomi di Pannicolo e
Latino), così può leggere i suoi epigrammi che non sono certo più licenziosi
(improbiora). L’epigramma sviluppa dunque una forma di apologia della
poesia piccante, attraverso un parallelo con il mimo, genere licenzioso,
ma considerato innocuo. Come nel caso dell’epigr. 68 (di cui vd. la n.
intr.), il modello del discorso di Marziale è Ovidio, che si era servito del
mimo per giustificare la licenziosità dei suoi carmi: trist. II 497 sgg. quid
si scripsissem mimos obscena iocantes, / qui semper vetiti crimen amoris
habent, / in quibus adsidue cultus procedit adulter, / verbaque dat stulto
callida nupta viro? / nubilis hoc virgo matronaque virque puerque /
spectat, et ex magna parte senatus adest; 515 sg. scribere si fas est imitantes
turpia mimos, / materiae minor est debita poena meae. Marziale istituisce
Epigramma 86 505
consueto delle matrone, anche nelle epigrafi; cfr. Priap. 8, 1 sg. matronae
procul hinc abite castae / turpe est vos legere impudica verba; vd. ThlL III
566, 53 sgg.; qui contiene una sfumatura ironica.
2. praedixi et monui: il riferimento è all’epigr. 68.
3. Panniculum … Latinum: due celebri mimi del tempo. Marziale li
nomina ancora insieme come rappresentanti del genere in II 72, 3 sg.; V
61, 11 sg. Latino, favorito di Domiziano e forse suo delatore (cfr. Iuv. 1,
33 sgg. con il commento di Courtney), è menzionato anche in I 4, 5 (con
Timele) e in XIII 2, 3. Marziale scrisse anche un epitafio per lui (IX 28),
probabilmente destinato ad un suo ritratto (vd. RE XXII A 937, 40 sgg.).
Le matrone potevano liberamente assistere ai mimi: cfr. Ov. trist. II 501 cit.
nella n. intr.; Mart. II 41, 15 sg. – spectas et: il testo tràdito da T, accolto da
tutti gli editori moderni, appare senz’altro preferibile rispetto a si spectas di
e a spectas tu di LPQf¹. All’origine delle varianti sta certamente la caduta
di un monosillabo, supplita in diversi modi. Mentre la lezione di LPQf¹
è evidentemente insostenibile, poiché è necessaria una congiunzione tra
Panniculum e Latinum, la lezione di , accolta da Schneidewin1, è stata
tenuta in considerazione da Heraeus («fortasse recte» p. XXXII) e sostenuta
da Schmid 1984, p. 432, che considera la lezione di T una normalizzazione,
con l’attribuzione immediata del verbo a Panniculum. Per una rivalutazione
della variante di , dominante nella tradizione umanistica e nelle edizioni
prescientifiche, vd. anche Di Giovine 2002, p. 139 sg., che a sostegno
del costrutto con anafora di si nello stesso verso, con il verbo legato al
secondo si, cita IV 86, 6 si te pectore, si tenebit ore; VI 64, 30 si dolor et
bilis, si iusta coegerit ira; VIII 73, 10 si qua Corinna mihi, si quis Alexis
erit; X 13 (20), 9 si tibi mens eadem, si nostri mutua cura est. Tuttavia la
lezione di T sembra preferibile in quanto Marziale nomina Pannicolo e
Latino come coppia di mimi anche in II 72, 3 sg. os tibi percisum quanto
non ipse Latinus / vilia Panniculi percutit ora sono e V 61, 11 sg. o quam
dignus eras alapis, Mariane, Latini: / te successurum credo ego Panniculo;
Latino svolgeva il ruolo del cultus adulter e Pannicolo quello dello stupidus
maritus, sua spalla nel cosiddetto ‘mimo dell’adulterio’ (vd. Canobbio
2001, p. 203 sgg.); la congiunzione et unisce pertanto opportunamente
i due attori che facevano parte dello stesso spettacolo, laddove l’anafora
del si lascerebbe pensare a due distinti mimi. La lezione di è inoltre
sconsigliata dalla cosiddetta ‘legge di Marx’, che sancisce il divieto di porre
un monosillabo tra cesura pentemimere e parola spondaica (vd. le nn. a
Epigramma 86 507
15, 1; 36, 3; 65, 3). L’interpunzione del verso (casta vocativo tra virgole) si
deve a Gilbert 1884, p. 516.
4. mimis improbiora: sulla licenziosità del mimo cfr. VIII epist. 12 sg.
mimicam verborum licentiam; Ov. trist. II 497 mimos obscena iocantes;
515 imitantes turpia mimos; Diom. gramm. I 491, 13 (= Suet. frg. 3
p. 13, 1) mimus est sermonis cuiuslibet <et> motus … cum lascivia
imitatio; in generale sul mimo vd. H. Reich, Der Mimus. Ein litterar-
entwicklungsgeschichtlicher Versuch, I, Berlin 1903, spec. pp. 50-80
(testimonianze antiche sul mimo). Per improbus nell’accezione erotica di
‘lascivo, licenzioso’ (ThlL VII 1, 691, 51 sgg.) cfr. III 75, 4 improba …
satureia; VIII 24, 2 improba … charta; Ov. am. II 5, 23 improba …
oscula; ars III 796 improba verba; trist. II 441 sg. improba … / carmina;
vd. Friedlaender, SR II 394 sg. Per l’opposizione castus / improbus cfr. IV
6, 1 sgg. credi virgine castior pudica / et frontis tenerae cupis videri, /
cum sis improbior eqs. – lege: per la chiusa del pentametro con una sillaba
breve, per lo più evitata nella poesia augustea, vd. la n. a 19, 6 fera.
508 M. Val. Martialis liber tertius
87
hab. T tit. ad chionem (-ē L)EAV: ad hionem X ad chione T 1 narrat te rumor chione
PQ²f² : narrat te rumor chionem L narrata rumor chione f¹ut vid. narrat rumor te chione
Q¹ narrat te chione rumor T fututam LP²QfEA²XV: futuitam P¹ futuam A¹ salitam T 2
nihil cunno : mihi monstro T purius TPQf : prius L 3 qua : que T 4 transfer
TQf² : transfers LPf¹ subligar : subligare T
88
tit. de duobus fratribus : de geminis fratribus 1 diversa sed LPfV: diversaque Q diversi
sed EAX 2 sunt : sint similes LP²Qf : dissimiles P¹
89
hab. R tit. ad phoebum R 1 mollibus R E²AV: mollis E¹X malvis RQ² : malbis
LPQ¹f 2 nam : non R durum R EAXV²: duram V¹
1. lactucis: sui poteri lassativi della lattuga cfr. XI 52, 5 sg. prima tibi
dabitur ventri lactuca movendo / utilis con il commento di Kay; vd.
anche Cels. II 29, 1; Colum. I praef. 16; Plin. nat. XXXII 101. – mollibus
… malvis: cfr. X 48, 7 exoneraturas ventrem … malvas. Le sue doti
lassative sono ricordate spesso: cfr. Cic. epist. VII 26, 2; Hor. epod. 2,
58; carm. I 31, 16; Ov. fast. IV 697; Plin. nat. XX 222 sgg.; Cels. II 20, 1;
29, 1; Scrib. Larg. 99. Anche l’etimologia del termine veniva ricondotta ai
suoi poteri: cfr. Plin. nat. XX 222 alteram ab emolliendo ventre dictam
putant malachen; Isid. orig. XVII 10, 5 malva ex parte graeco vocabulo
appellatur ; vd. Maltby 1991, p. 361 sg. La iunctura
realizza quindi un gioco etimologico.
2. durum: per l’uso dell’attributo in analogo contesto cfr. Catull. 23,
20 sg. nec toto decies cacas in anno / atque id durius est faba et lapillis
(lupillis Gulielmus); vd. ThlL V 1, 2305, 18 sgg.; per la valenza avverbiale
cfr. Cels. II 7, 5 venter nihil reddit nisi et aegre et durum; vd. ThlL V 1,
Epigramma 89 513
2313, 7 sgg. – cacantis: forte volgarismo (per cui vd. la n. a 44, 11). In II
87, 2 qui faciem sub aqua, Sexte, natantis habes, la lezione di cacantis
(natantis R ) è probabilmente interpolata da questo verso (cfr. faciem
nella stessa posizione metrica e il secondo hemiepes del pentametro, pres-
soché identico Sexte, natantis habes ~ Phoebe, cacantis habes).
514 M. Val. Martialis liber tertius
90
hab. R tit. de galla : ad gallam R 1 vult non vult RPAV²: volt non volt Lf volt non
vult QEX vult non vul V¹ 2 quod R : quid vult et non vult R²PAV: volt et non volt
Lf volt et non vult QEX et non vult R¹ quid : quod R
91
990 sg.); Tac. ann. XIII 19, 2 insignis genere, forma, lascivia (sc. Iuliana
Silana). – nequitia: termine centrale nel lessico elegiaco (vd. Pichon, p.
212); in Marziale ha spesso una connotazione erotica: cfr. I 106, 6 certae
nequitias fututionis; IV 42, 4 nequitias tellus scit dare nulla magis; V 2,
3-5 tu, quem nequitiae procaciores / delectant nimium salesque nudi,
/ lascivos lege quattuor libellos; IX 67, 1 sg. lascivam tota possedi nocte
puellam, / cuius nequitias vincere nemo potest; vd. anche la n. a 69, 5
nequam iuvenes.
5 sg.: il racconto di Marziale, in ossequio alla brevità epigrammatica,
omette alcuni passaggi della vicenda: qui si deve immaginare che la
comitiva si fosse fermata ad una locanda per trascorrervi la notte. – steriles
… viri: sterilis vir si definisce l’evirato Attis in Catull. 63, 69 ego Maenas,
ego mei pars, ego vir sterilis ero?; in Marziale cfr. IX 7, 8 ne faceret steriles
saeva libido viros; vd. anche XIII 64, 1 sg. (tit. capones) succumbit sterili
frustra gallina marito. / hunc matris Cybeles esse decebat avem. – sed
tacitos sensit et ille dolos: per l’espressione cfr. III 19, 7 non sensit puer
esse dolos. Taciti doli è iunctura presente in Val. Fl. I 63; Sil. XV 326 sg.
(al singolare).
7. mentitur, credunt: il verso tratteggia la rapida successione degli
eventi, espressa attraverso l’asindeto. – somni … petuntur: per la iunctura
cfr. Verg. Aen. VII 88; Tib. I 10, 9; Ov. met. XIII 676; Sil. XIII 637 sg.;
Quint. inst. IX 4, 12. – post vina: espressione brachilogica, per cui vd. la
n. a 68, 5.
8. continuo … rapit: i termini, collocati agli estremi del verso, definiscono
la repentina azione della schiera. Continuo ricorre in prosa e in commedia,
ma anche in poesia elevata: cfr. Lucr. I 671; Verg. Aen. V 368; Ov. met.
XIV 362 (vd. Bömer2, ad loc.; ThlL IV 728, 42 sgg.). – noxia turba: la
iunctura ricorre nella stessa posizione metrica in Ov. Ibis 174 per designare
i dannati: quasque tenet sedes noxia turba, coles. Rapio esprime l’idea di
forza e rapidità; compare spesso, anche nelle forme composte, nell’epica
virgiliana in relazione ad armi (vd. EV, s.v. rapio, IV, pp. 400-402): cfr. Verg.
Aen. VII 340 arma velit poscatque simul rapiatque iuventus; VIII 220
rapit arma manu; XI 651 nunc validam dextra rapit indefessa bipennem;
vd. anche VIII 211 rapto … telo; XII 737 ferrum aurigae rapuisse Metisci;
260 sg. ferrum / corripite; 278 sg. ferrum / corripiunt.
9. excidunt: il verbo è sinonimo di castrare (vd. ThlL V 2, 1241, 84
sgg.): cfr. Ov. fast. IV 361 cur … Gallos, qui se excidere, vocamus?; Sen.
Epigramma 91 519
nat. VII 31, 3 alius genitalia excidit (abscidit ); Quint. inst. V 12, 17
puerorum virilitate excisa. Excidunt della seconda famiglia è senz’altro
preferibile a excidit della terza, che ha l’aria di una normalizzazione (v. 8
rapit); il plurale trova sostegno anche nella lezione incidunt della prima
famiglia. – spondae qui parte iacebat: la lezione di T (cum parte iaceret)
è facilmente spiegabile come errore meccanico. Ker 1950, p. 16 sg. ha
proposto di correggere spondae qua parte iacebat (cfr. v. 5 qua parte
cubaret), attribuendo a sponda il significato metonimico di ‘letto’, ma
spondae parte significa «in lectuli parte quae sponda vocatur» (SB1 in app.):
cfr. Isid. orig. XX 11, 5 sponda autem exterior pars lecti, pluteus interior;
vd. Marquardt 1886, p. 703; RE III A 2, 1847, 17 sgg.
10. pluteo: il pluteus è la spalliera del letto, che difendeva il puer (cfr. Isid.
orig. XX 11, 5 cit. nella n. al v. 9): cfr. Suet. Cal. 26, 2 et cenanti modo ad
pluteum modo ad pedes stare succinctos linteo passus est; vd. OLD, s.v., n.
3; RE III, s.v. Betten, 371.
11 sg.: la conclusione realizza un gioco di parole che allude scherzosamente
al mito di Ifigenia in Aulide: la giovane fu salvata da Artemide che le sostituì
una cerva al momento del sacrificio (suppositam … pro virgine cervam); ora
è una mentula ad essere sostituita ad un cervus (così erano detti gli schiavi
fuggitivi: vd. infra). Sul mito cfr. Eur. Iph. Aul. 1578 sgg.; Iph. Taur. 28.
11: il verso che rievoca la vicenda di Ifigenia ha come modello Ovidio:
met. XII 34 supposita fertur mutasse Mycenida cerva; cfr. anche trist.
IV 4, 67 sg. hic pro supposita virgo Pelopeia cerva / sacra deae coluit
qualiacumque suae; Prop. III 22, 34 nec solvit Danaas subdita cerva rates;
Aetna 595 sg. nunc tristes circa subiectae altaria cervae / velatusque pater.
– quondam fama est: l’ordo verborum di T è stato preferito da tutti gli
editori, con l’eccezione di Duff e Ker, che accolgono il testo di (fama
est quondam), che elimina l’omeoteleuto (per la cui presenza in Marziale
vd. Shackleton Bailey 1994, pp. 52-55). – pro virgine cervam: l’espressione
cerva pro virgine era divenuta proverbiale, come dimostrano Apul. met.
VIII 26 sed postquam non cervam pro virgine, sed asinum pro homine
succidaneum videre, nare detorta magistrum suum varie cavillantur:
non enim servum, sed maritum illum scilicet sibi perduxisse; Ach. Tat. VI
2, 3 … ;
Lib. ep. 1509, 3 ; Ambr. virg. II 4, 31 ecce non
fabulosum illud cerva pro virgine, sed quod verum est, miles ex virgine; cfr.
anche Plaut. Epid. 489 sg.
520 M. Val. Martialis liber tertius
12. pro cervo: cervi erano chiamati gli schiavi fuggitivi: cfr. Paul. Fest.
p. 343 M. (460 L.) aedem Dianae dedicaverit in Aventino, cuius tutelae
sint cervi, a quorum celeritate fugitivos vocent cervos; Don. Ter. Andr.
865 an quadrupedem pro cervo et fugitivo posuit?, dove cervo è stato
restituito da Wessner per il tràdito servo. È probabilmente da considerare
un’interpolazione (o una glossa incorporata nel testo) la lezione puero di
T (presente anche in f²s.l.), che crea una precisa rispondenza con virgine
del v. 11. Per un’altra interpolazione in T in questo libro vd. la n. a 31, 2
urbani. – mentula supposita est: la conclusione con un termine osceno
riconduce bruscamente in basso il tono dopo l’evocazione della vicenda
mitica del verso precedente. Su mentula vd. la n. a 68, 7 sgg.
Epigramma 92 521
92
a lungo (vd. L. Ascher, Was Martial really unmarried, «CW» 70, 1976-1977,
pp. 441-444; J.P. Sullivan, Was Martial really married? A reply, «CW» 72,
1978-1979, p. 238 sg.), nasce probabilmente da un fraintendimento di II 92,
3 sg. valebis uxor. / non debet domini perire munus (vd. Kay, p. 276 sg.;
Sullivan 1991, p. 25 sg.). Orientano in tale direzione gli epigrammi scommatici
rivolti alla presunta moglie del poeta (XI 43; 104; cfr. anche IV 24; VII 95,
7). In generale la distinzione tra persona poetica e ‘io’ autobiografico è un
dato ormai acquisito dagli interpreti di Marziale (vd., ad es., Sullivan 1991,
pp. 26 sgg.; 170 sg.), anche se forse si esagera talvolta nel senso opposto.
Una diversa ipotesi è stata di recente prospettata da P. Watson (Martial’s
Marriage. A new Approach, «RhM» 146, 2003, pp. 38-48; vd. anche Watson-
Watson, pp. 3; 107 sg.), la quale ha sostenuto, sulla base di II 91, 5 quod
fortuna vetat fieri, permitte videri, che Marziale abbia avuto uno o forse più
matrimoni improduttivi, conclusi prima dell’inizio della sua carriera poetica.
Il nome Gallus, frequente in Marziale, è qui probabilmente fittizio. I codici
della terza famiglia (con l’eccezione di A) presentano il curioso titolo Ad
Gallum de Galla: può darsi che la misteriosa Galla provenga dall’epigr. 90
(De Galla , Ad Gallam R), ma è ingegnosa l’ipotesi di Lindsay 1903, p.
59 sg. che la sua origine sia dovuta alla variante ortografica attestata da L al
v. 2 (Gallae). Per un altro caso di titolo apparentemente ingiustificato vd. la
n. intr. all’epigr. 49.
oculos possa riferirsi ai testicoli, pur riconoscendo che non sembra che ve ne
siano altre attestazioni. Rendono ulteriormente improbabile la proposta la
frequenza del nesso oculos eruere (vd. ThlL V 2, 845, 38 sgg.) e la preferenza
mostrata da Marziale (come da Catullo) per termini assolutamente espliciti
in ambito sessuale (sfavorevole all’ipotesi anche Eden 1999, p. 579). – eruo:
l’indicativo presente è frequente in interrogative ‘deliberative’ nel dialogo
(vd. Hofmann-Szantyr, p. 307 sgg.).
524 M. Val. Martialis liber tertius
93
vv. 1-12, 16-19, 21-22 hab. T tit. de vetustilla TL: ad vetustillam PQf ad vetustinam
1 vetustilla : vestustilla T² vestultilla T¹ vetustina 2 quattuorque TLPf : quatuorve
Q sint Tf² : om. LPQf¹ 3 crus TLQf : crux P 4 cum geras T EA: congeras XV 5
araneorum TLQfEAX: aranearum PV pares TLPQ²f : compares Q¹ mammas :
mamillas T 7 niliacus f² : nillacus LPf¹ nil latus Q nil iacusis T corcodilus Gudius,
Schneidewin: corcodrillus TE cocodrillus A crocodilus LPf trochodilus Q crocodrillus X
crocodillus V 8 meliusque T EA²XV: melius quae A¹ ravennates TLPf : ravennatae
Q 9 atrianus TEAXV¹: adrianus V²s.l. (h)adriacus dulcius TLPQf² : dulcis f¹
Epigramma 93 525
tricensimus instat; VIII 45, 4 amphora centeno consule facta minor; vd.
ThlL IV 568, 4 sgg.; altrove la data di nascita è ricondotta con esagerazione
comica al primo console: cfr. X 39, 1 sg. consule te Bruto quod iuras,
Lesbia, natam, / mentiris; XI 44, 1 orbus es et locuples et Bruto consule
natus. Trecenti indica un numero iperbolico: vd. E. Wölfflin, Sescenti,
mille, centum, trecenti als umbestimmte und Runde Zahlen, ALL 9, 1896
(= Hildesheim 1967), pp. 177-192; R.G. Kent, Latin Mille and certain
other Numerals, «TAPhA» 42, 1911, pp. 69-89; Hofmann-Szantyr, p. 211.
– Vetustilla: la forma riceve il sostegno sostanzialmente delle prime due
famiglie, mentre ha Vetustina. Entrambi i nomi sono attestati nelle
epigrafi (cfr. CIL V 4662; VI 27141; IX 1171; vd. Kajanto 1965, p. 302);
Vetustina è tràdito concordemente in II 28, 4 (una fellatrix). La stessa
alternanza (-illa / -ina) si presenta in VI 7, 4 Telesilla T : Telesina ; VII
87, 8 Telesilla : Telesina ; XI 97, 2 Telesilla T : Telesina .
2: la rappresentazione iperbolica dei tratti fisici è un motivo ricorrente
della Vetula-Skoptik; in Marziale per l’esiguità dei capelli cfr. XII 7,
1 sg. toto vertice quot gerit capillos, / annos si tot habet Ligeia, trima
est; la scarsità numerica dei denti è un motivo frequente in Marziale: I
19, 1 si memini, fuerant tibi quattuor, Aelia, dentes; II 41, 6 tres sunt
tibi, Maximina, dentes; VIII 57, 1 tres habuit dentes, pariter quos expuit
omnes (un uomo); vd. anche VI 74; Priap. 12, 9 dentem de tribus excreavit
unum; 82, 26 bidens amica.
3-13: sull’ , tratto di origine popolare, tipico della poesia satirica,
vd. G. Monaco, Paragoni burleschi degli antichi, Palermo 19672; Fraenkel
1960, pp. 162 sgg.; 421 sg. Sul paragone con un referente che possiede al
massimo grado la caratteristica indicata, utilizzato da Marziale sia negli
elogi che nelle invettive, cfr. I 109, 1-5; 115, 2-5; V 37, 1-13; VIII 33, 17-
22; 64, 5-11; vd. Citroni, pp. 336 sg.; 351 sg. Per la lunga serie di fantasiosi
paragoni nella descrizione di una vecchia si può confrontare Priap. 32,
1-10 uvis aridior puella passis, / buxo pallidior novaque cera, / collatas
sibi quae suisque membris, / formicas facit altiles videri, / cuius viscera
non aperta Tuscus / per pellem poterit videre haruspex, / quae suco caret
usque et usque pumex, / nemo viderit hanc ut expuentem, / quam pro
sanguine pulverem scobemque / in venis medici putant habere.
3. pectus cicadae: la sottigliezza della cicala è usata in un comico paragone
con un rus minuscolo: XI 18, 5 argutae tegit ala quod (sc. rus) cicadae. –
crus colorque formicae: la piccolezza delle formiche è proverbiale, come il
Epigramma 93 529
loro colore nero (vd. ThlL VI 1, 1091, 51 sgg.): cfr. Priap. 32, 3 sg. cit. nella
n. ai vv. 3-13; vd. anche AP XI 104; 392; 407; Epigr. Bob. 65; sul colore
cfr. Mart. I 115, 4 sg. sed quandam volo nocte nigriorem, / formica, pice,
graculo, cicada; vd. anche AL 104.
4. rugosiorem … stola frontem: la fronte rugosa è tratto ricorrente nella
descrizione di vecchie: cfr. Verg. Aen. VII 417 et frontem obscenam rugis
arat (sc. Allecto); Hor. epod. 8, 3 sg. et rugis vetus / frontem senectus
exaret. Marziale paragona in modo originale la fronte rugosa alle grinze di
una stola: cfr. Vitr. IV 1, 7 stolarum rugas; vd. RE IVA 56 sgg. Rugosus è
attributo frequente nelle descrizioni di vecchi: cfr. Priap. 12, 6 rugosas …
manus; Ov. am. I 8, 112 rugosas … genas; Lygd. 5, 25 rugosa … senecta;
Prop. IV 5, 67 rugoso … collo; vd. Grassmann 1966, p. 20.
5: i seni grinzosi e cadenti sono un tratto caratteristico della Vetula-
skoptik: cfr. III 72, 3 aut tibi pannosae dependent pectore mammae; Hor.
epod. 8, 7 sg. mammae putres / equina quales ubera. Per la menzione delle
ragnatele in paragoni ingiuriosi cfr. Catull. 25, 3 (cinaede Talli mollior)
situ … araneoso; Priap. 83, 30 araneosus obsidet forem situs.
6 sg.: i coccodrilli, esibiti per la prima volta a Roma nel 58 a.C. da M. Scauro
(cfr. Plin. nat. VIII 96), furono in seguito un’attrazione in vari spettacoli
imperiali (vd. Jennison 1937, index s.v. crocodile; Toynbee 1973, pp. 218-220;
passim). Alla loro presenza negli spettacoli di Domiziano fa probabilmente
riferimento Marziale in V 65, 14 improba Niliacis quid facit Hydra feris? (vd.
Howell2, ad loc.). – corcodilus: la forma corc-, in luogo della più comune croc-,
necessaria metricamente, è stata introdotta in questo verso da Schneidewin.
Essa ricorre in Cic. Tusc. V 78 e, garantita da ragioni metriche, in Phaedr. I
25, 4. 6 (introdotta da Gudius nell’edizione di P. Burmann, 1698, p. 36); cfr.
anche GLK V 575 crocodillus (Keil; corcodrillus L, corcodrillis M) generi
masculini. nam prius corcodillus (corcodrillus L, corcodrillis M) dicebatur;
vd. ThlL IV 1213, 79 sgg.; sulla forma con geminazione della liquida vd. L.
Havet, LL dans corcodillus, ALL 9, 1896 (= Hildesheim 1967), p. 135 sg.; la
forma - è attestata in greco: vd. LSJ s.v.
8 sg.: la voce di Vetustilla è così sgradevole che al confronto il gracidio delle rane
e il ronzio delle zanzare, rumori proverbialmente fastidiosi, appaiono gradevoli.
Marziale menziona qui due luoghi che ebbe senz’altro modo di visitare durante
il suo soggiorno cisalpino. I fastidiosi rumori sono associati anche in Hor. sat. I
5, 14 sg. mali culices ranaeque palustres / avertunt somnos.
8. ranae … Ravennates: Ravenna era stata edificata su una zona paludosa;
530 M. Val. Martialis liber tertius
Gilbert, Lindsay, Duff e Giarratano hanno optato per Achori (già proposto
da Stephanus Claverius e Buecheler), ipotizzando un nome parlante (dal gr.
, ‘privo di danze’, ‘lugubre’; cfr. Soph. O. C. 1222). Poco persuasiva
l’ipotesi di Colin 1956, pp. 325-331, per il quale Acorus sarebbe un dio o
genio della morte, il cui nome compare in due epigrafi della provincia della
Gallia Narbonese (CIL XII 5783; 5798). Il realismo della scena suggerisce
che si tratti di una persona reale, come conferma la presenza dell’ustor nel v.
26. SB pone la parola fra cruces, ma guarda con favore (SB2, p. 271 n. b) alla
congettura Orci di T. Roeper (In Martialis epigrammata, «Philologus» 10,
1855, pp. 573-576), accolta da Friedlaender, per cui si possono confrontare
X 5, 9 Orciniana qui feruntur in sponda; Apul. met. III 9 Orci familia;
IV 6 Orci penates. Appare tuttavia piuttosto improbabile che un nome così
comune si sia corrotto in tal modo. Per i numerosi tentativi di congettura
su questa sezione del verso da parte degli editori precedenti a Lindsay vd.
Colin 1956.
25. thalassionem: il thalassio è un’invocazione del rito nuziale (cfr. Liv.
I 9, 12; Plut. quaest. Rom. 31; Romul. 15; Serv. Aen. I 651; Fest. p. 478,
34 sgg.); l’origine e la grafia del termine sono incerte (vd. R. Schmidt, De
Hymenaeo et Talasio dis veterum nuptialibus, Diss. Kiliae 1886, p. 81 n.
1; Citroni, p. 117; RE IV A 2064, 5-2065, 40). In Catull. 61, 127 (134) e in
Mart. XII 42, 4 Talasius è un dio delle nozze. In Marziale cfr. anche I 35,
6 sg. quid si me iubeas thalassionem / verbis dicere non thalassionis. Qui
vale per metonimia nuptiae (cfr. anche XII 95, 5).
26. ustor …: l’ustor era l’addetto alla cremazione dei cadaveri: cfr. Catull.
59, 5; Lucan. VIII 738; vd. Daremberg-Saglio, s.v. ustrina, ustrinum, V,
p. 605; s.v. funus, II 2, p. 1394 sgg. - taedas: le fiaccole sono un altro
elemento condiviso dalle due cerimonie (nuziale e funebre): cfr. Sil. II 184.
Sulle fiaccole nella cerimonia nuziale vd. Treggiari 1991, p. 163; cfr. Catull.
61, 15; Prop. III 19, 25; Verg. Aen. VII 397; Ov. epist. 4, 121; fast. II 558;
met. I 658; IV 758 (con il commento di Bömer2); Mart. IV 13, 2; VI 2, 1.
– novae nuptae: ‘la sposa novella’ (vd. OLD, s.v. nupta, b; Treggiari 1991,
p. 163); la definizione ha qui un’alta dose di sarcasmo.
27: conclusione cruda dell’epigramma: Vetustilla è pronta per la crema-
zione, piuttosto che per un uomo. La collocazione in chiusura di un termine
osceno costituisce una sorta di marchio del suo carattere epigrammatico.
536 M. Val. Martialis liber tertius
94
epist. 47, 6 alius pretiosas aves scindit; vd. OLD, s.v., nr. 5 d. Per il secondo
cfr. Ov. Ib. 183 hic tibi de Furiis scindet latus una flagello; Sen. contr. II
5, 5 scissum corpus flagellis; Sil. I 171 sg. verbera … / ictibus innumeris
lacerum scindentia corpus; vd. OLD, s.v., nr. 5; Voc. Iur. Rom. V 1, s.v.
scindo, nr. 1.
538 M. Val. Martialis liber tertius
95
vv. 1-4, 7-12 hab. T tit. ad n(a)evolum TAXV: ad navolum E ad nevulum 1 dicis
T EXV: discis A have A: ave EXV habe T reddis Tf²s.l. : rides LPQf¹ n(a)evole T :
nevule 2 prior : prius T corvus T: curvus LPQ¹f¹ curius Q²f² 3 expectas TQ :
expectes LPf n(a)evole : nevolae T nevule 4 nec melior T V: ne melior EAX me
melior C n(a)evole : necvole T nevule 7 legor LP²Qf : legos T legar P¹ notumque
T EAV: netumque X 8 expectato … rogo T : expectatos … rogos 9 est et TQ² :
esset LPQ¹f vidit T XV: vidi EA 10 et TLPQ²f : sed Q¹ te suscitat TLPQf¹ : se
succitat f²s.l. 11 quot Q²f²s.l.X: quod TLPQ¹f¹EAV cives T EA²XV: tives A¹ 12 nec :
ne T suspicor TL²PQ²f : sospicor Q¹ suspicior L¹ 13 n(a)evole : nevule 14 n(a)evole
: nevule have kv2²: ave LPQf¹V²in mg.v2¹ habe f²v.l.EAXV¹
A Nevolo che non saluta mai per primo, ma si limita a ricambiare con
sussiego il saluto del poeta, quasi che gli fosse dovuto un certo ossequio,
Marziale risponde affermando orgogliosamente i suoi motivi di vanto: i
premi e lo ius trium liberorum ricevuti da Tito e Domiziano (5 sg.), la fama
acquisita grazie alla sua poesia (7 sg.), la carica di tribunus semestris (9 sg.),
la cittadinanza che ha ottenuto per molte persone (11 sg.). Nevolo invece è
soltanto un pathicus, che, lascia intendere Marziale, si arricchisce concedendo
favori sessuali (13 sed pedicaris, sed pulchre … ceves). Marziale conclude
riconoscendogli sarcasticamente il primato e il diritto a ricevere per primo
il saluto (14). La chiusa dell’epigramma contiene una nota di amara ironia:
la società consente a personaggi come Nevolo di arricchirsi enormemente
e pretendere ossequio da chi vale in realtà molto più di loro. Marziale lascia
che la differenza tra lui e Nevolo emerga chiaramente dai dati di fatto e si
affida all’ironia nel tributare all’effeminato l’ossequio che desidera. Presenta
affinità con questo l’epigramma V 13, in cui Marziale contrappone la propria
condizione di cavaliere e poeta povero, ma noto, a quella di un ricco liberto:
sum, fateor, semperque fui, Callistrate, pauper, / sed non obscurus nec male
notus eques, / sed toto legor orbe frequens et dicitur ‘hic est’; / quodque cinis
paucis, hoc mihi vita dedit. / at tua centenis incumbunt tecta columnis / et
libertinas arca flagellat opes, / magnaque Niliacae servit tibi gleba Syenes, /
tondet et innumeros Gallica Parma greges. / hoc ego tuque sumus: sed quod
sum non potes esse; / tu quod es, e populo quilibet esse potest (per l’elenco dei
motivi di orgoglio da parte del poeta, che lo rendono oggetto di invidia da
parte di altri si veda anche IX 97). Nevolo è un pathicus anche nell’epigr. 71
di questo libro; il nome ricorre anche in I 97; II 46; IV 83 per diversi tipi.
era l’obbligo principale del cliente (vd. la n. a 36, 3). Sul tema del saluto si
veda anche V 66, 1 sg. saepe salutatus numquam prior ipse salutas. / sic
eris? aeternum, Pontiliane, vale (l’interpunzione del v. 2 è di Housman
1919, p. 71 = Class. Pap., p. 985). – have: è la forma consueta di saluto (gr.
: cfr. V 51, 7 have Latinum, non potest Graecum; Sen. ben.
VI 34, 3). In Marziale ricorre anche il raro infinito havere (vd. la n. a 5, 10).
– sed reddis: reddere salutem è espressione consueta: cfr. Sen. dial. II 13,
3; vd. OLD, s.v. reddo, nr. 6.
2: i corvi erano ammaestrati a salutare: cfr. XIV 74, 1 corve salutator;
Phaedr. App. 23; Plin. nat. X 121 sgg.; Macr. Sat. II 4, 29. Altri animali
erano addestrati al saluto: cfr. XIV 73 (psittacus); 76 (pica) con il commento
di Leary1, ad locc. – prior: prius di T è senz’altro una lectio facilior; per
simili scambi vd. la n. a 38, 3 disertior.
3. expectas: ‘de iis, quae tamquam debita, vel more vel lege praescripta
petuntur: fere i.q. exigere’ (ThlL V 2, 1897, 8 sgg.). L’indicativo è senz’altro
preferibile rispetto al congiuntivo di LPf, in considerazione del tono
colloquiale del passo e della predilezione della Umgangssprache per
la paratassi rispetto alla subordinazione; in particolare i verba dicendi
seguono spesso la domanda, invece di introdurla, come in questo caso
(vd. Hofmann, LU, p. 249 sgg.); si veda anche la n. a 88, 2. – rogo: inciso
di natura colloquiale, frequente in Marziale (vd. la n. a 44, 9).
4. puto: inciso colloquiale che attenua l’affermazione (vd. la n. a 55, 4);
qui contiene una netta sfumatura ironica. – prior: ‘praevalente respectu
gradus, aestimationis, dignitatis, potentiae, praestantiae, sim.’ (ThlL X 2,
1331, 41 sgg.). Prior pertiene alla posizione sociale, melior al valore.
5 sg.: Tito e Domiziano hanno conferito al poeta vari praemia e l’ambito
ius trium liberorum. – laudato … mihi: per la lode ricevuta dall’imperatore
cfr. IV 27, 1 saepe meos laudare soles, Auguste, libellos. – Caesar uterque:
Tito e Domiziano; l’ipotesi di Th. Mommsen (Römische Staatsrecht, II,
Leipzig 1871, p. 828, 4) che l’espressione si riferisca a Vespasiano e Tito è
oggi giustamente esclusa (vd. Daube 1976, pp. 145-147; utile dossografia in
H. Szelest, ANRW II 32, 4, p. 2565 n. 7). La iunctura ricorre in Ov. trist.
IV 2, 8; AL 424, 2; in Marziale, sempre in clausola, anche in IX 97, 5 cit.
infra. – natorum … iura paterna trium: Marziale ricorda orgogliosamente
il privilegio in forma pressoché identica in IX 97, 5 sg. rumpitur invidia,
tribuit quod Caesar uterque / ius mihi natorum, rumpitur invidia. Egli
testimonia in II 91 e 92 la sua richiesta a Domiziano del privilegio (91, 5
Epigramma 95 541
sg. quod fortuna vetat fieri permitte videri, / natorum genitor credar ut
esse trium) e il successivo ottenimento da parte dell’imperatore (92, 1 sgg.
natorum mihi ius trium roganti / Musarum pretium dedit mearum /
solus qui poterat). Il privilegio fu probabilmente accordato da Tito, forse
come ricompensa per il Liber de Spectaculis, con cui Marziale celebrò
l’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, e, successivamente, confermato da
Domiziano al principio del suo regno; vd. al riguardo K. Prinz, Martials
Dreikinderrecht, «WS» 49, 1931, pp. 148-153; Daube 1976, pp. 145-147; in
generale M. Zablocka, Il ius trium liberorum nel diritto romano, «BIDR»
91, 1988, pp. 361-390. Iura paterna designa il ius trium liberorum anche
in VIII 31, 2 coniuge qui ducta iura paterna petis.
7 sg.: l’orgogliosa attestazione della propria fama poetica è realizzata
attraverso un’allusione a Ovidio e, forse, a Virgilio (vd. infra). Marziale
ricorda più volte il suo ampio successo di pubblico, anche fuori d’Italia:
cfr. I 1, 1 sg.; V 13, 3; VI 60 (61), 1-2; VII 88; VIII 3, 3 sg.; 61, 3 sgg.;
XI 3, 1-5. – ore legor multo: l’incipit del verso richiama esplicitamente
il penultimo verso delle Metamorfosi di Ovidio: XV 878 ore legar populi
(cfr. anche trist. IV 10, 128 in toto plurimus orbe legor). In Marziale cfr.
anche VIII 3, 7 me tamen ora legent. Per ore legere cfr. Ov. am. I 12, 24;
ars III 344; Pont. III 4, 54; Ib. 66. L’espressione allude probabilmente
al fatto che il modo abituale di leggere era quello a voce alta (vd., ad es.,
Cavallo-Chartier 1995, p. 47; utile raccolta di materiali in J. Balogh, Voces
paginarum. Beiträge zur Geschichte des Lauten Lesens und Schreibens,
«Philologus» 82, 1927, pp. 84-109; 202-240). – notumque per oppida
nomen: l’espressione solenne contiene forse un’allusione a Verg. georg. II
176 Ascraeumque cano Romana per oppida carmen. Giovenale ha ripreso
in chiave parodica il verso di Marziale in 3, 35 notaeque per oppida buccae
(vd. Colton 1991, p. 95); cfr. anche Stat. silv. I 1, 8 sg. nunc age Fama
prior notum per saecula nomen / Dardanii miretur equi. Per nomen
nell’accezione di ‘celebrità’, ‘fama’ (OLD, s.v. nomen, nr. 11) cfr. Ov.
met. XV 876 nomen … erit indelebile nostrum; trist. III 3, 79 sg. quos
(sc. libellos) ego confido, quamvis nocuere, daturos / nomen et auctori
tempora longa suo; 10, 2 et superest sine me nomen in Urbe meum; IV 10,
121 sg. cit. infra; Pont. IV 16, 3 sg. cit. infra; in Marziale cfr. VI 61 (60),
2 et nomen toto sparget in orbe suum; IX 84, 6 nescia nec nostri nominis
Arctos erat; X 26, 7 sed datur aeterno victurum carmine nomen; 103, 4
nam decus et nomen famaque vestra sumus. – non expectato … rogo: il
542 M. Val. Martialis liber tertius
rogus rappresenta metonimicamente la morte (vd. OLD, s.v. nr. b); per l’uso
in contesto di fama garantita dalla poesia cfr. Ov. am. III 9, 28 defugiunt
avidos carmina sola rogos; trist. V 14, 6 nec potes in maestos omnis abire
rogos; Pont. III 2, 32 effugiunt structos nomen honorque rogos. Il motivo
della fama raggiunta in vita è topico: cfr. Ov. trist. IV 10, 121 sg. tu mihi (sc.
Musa), quod rarum est, vivo sublime dedisti / nomen, ab exsequiis quod
dare fama solet; Pont. IV 16, 3 sg. mihi nomen / tum quoque, cum vivis
adnumerarer, erat; in Marziale cfr. I 1, 4 sg. cui, lector studiose, quod dedisti
/ viventi decus atque sentienti, / rari post cineres habent poetae; sulla sua
presenza nell’epigrafia funeraria vd. P. Cugusi, Un tema presente nei CLE: la
gloria raggiunta in vita, «AFMC» 5, 1981, pp. 5-20. – dat mihi fama: qui la
fama è in certa misura personificata: cfr. VIII 3, 3 sg. iam plus nihil addere
nobis / fama potest; Ov. trist. IV 10, 121 sg. cit. supra.
9 sg.: Marziale fu tribunus semestris, carica che dava diritto al rango di
cavaliere e a sedere a teatro nei posti riservati. Il titolo gli fu probabilmente
conferito da Tito insieme al ius trium liberorum e confermato da
Domiziano. La carica di tribunus semestris, istituita da Claudio (Suet.
Claud. 25, 1), era onorifica e non comportava un reale servizio (vd. S.
Demougin, L’ordre équestre sous les Julio-Claudiens, Rome 1988, pp. 293-
298); cfr. anche Iuv. 7, 88 sg. (con il commento di Courtney); Plin. epist. IV
4, 2. Marziale ricorda sempre orgogliosamente il proprio cavalierato: cfr.
V 13, 1 sg. cit. nella n. intr.; IX 49, 4 in hac (sc. toga) ibam conspiciendus
eques. – est et in hoc aliquid: anche la poesia, attività considerata dallo
stesso Marziale priva di remunerazioni adeguate, ha procurato qualche
vantaggio materiale al poeta; per l’espressione cfr. Cic. Brut. 193 tenet
auris vel mediocris orator, sit modo aliquid in eo; vd. OLD, s.v. aliquis,
nr. 9. – vidit me Roma tribunum: l’uso di videre conferisce all’espressione
una solennità maggiore e la personificazione della città enfatizza il valore
del titolo conseguito dal poeta: cfr. Lucan. V 662 vidit Magnum mihi
Roma secundum. – et sedeo qua te suscitat Oceanus: Oceanus era l’addetto
al controllo dei posti riservati ai cavalieri a teatro; è menzionato anche in V
23, 4; 27, 4; VI 9, 2. Marziale nomina un altro dissignator theatralis di nome
Leitus in V 8, 12; 14, 11; 25, 2; 35, 5. Suscitare ricorre in Marziale come
verbo ‘tecnico’ per indicare l’azione del dissignator che fa alzare l’abusivo:
cfr. V 35, 5 et suscitanti Leito reluctatur; VI 9, 2 et quereris si te suscitat
Oceanus? Sedeo senza altre specificazioni significa spesso ‘sedere a teatro’
(vd. OLD, s.v., n. 1 b): cfr. II epist. 9 sg. ego inter illos sedeo qui protinus
Epigramma 95 543
96
1. Lingis, non futuis: sulla contrapposizione tra le due pratiche sessuali cfr.
XI 47, 8 cur lingit cunnum Lattara? ne futuat; 85, 1 sg. sidere percussa est
subito tibi, Zoile, lingua, / dum lingis. certe, Zoile, nunc futuis (in entrambi
i casi si tratta di effeminati).
2. garris: ‘falso gloriaris’ (ThlL VI 1696, 20). – moechus: sul sostantivo vd.
la n. a 70, 1. – fututor: il sostantivo, derivato dall’osceno futuo (per cui vd. la
n. a 72, 1), ricorre in letteratura solo in Marziale (otto occorrenze; cfr. anche
fututrix in XI 22, 4; 61, 10), nei Priapea (57, 6; 58, 4; 63, 16; 68, 30) e in AL 148,
8; è frequente nelle iscrizioni (cfr., ad es., CIL IV 1503; 4815; XIII 10008, 7).
3. prendero: per l’accezione di ‘cogliere sul fatto’ cfr. Priap. 35, 1 sg.
pedicabere, fur, semel; sed idem, / si prensus fueris bis, irrumabo; vd. anche 6,
3; 11, 1; ThlL X 2, 1163, 14 sgg. – tacebis: Marziale minaccia Gargilio di farlo
tacere attraverso l’irrumatio; sullo stesso motivo è costruita la pointe del c.
74 di Catullo: 5 sg. quod voluit fecit: nam, quamvis irrumet ipsum / nunc
patruum, verbum non faciet patruus; sulla minaccia, puramente verbale, di
irrumatio vd. la n. a 82, 33.
546 M. Val. Martialis liber tertius
97
hab. R tit. ad rufum R 1 hunc RPQf : huic L mando tibi RLPf : tibi mando Q
2: Marziale realizza la pointe giocando sul doppio senso del verbo laedere,
che nel primo caso va inteso in senso morale, nel secondo in senso fisico.
Laedere è verbo tecnico che designa l’aggressione satirica: cfr. III 99, 2 ars
tua, non vita est carmine laesa meo; in Marziale ricorre spesso in contesti
apologetici: cfr. V 15, 1 sg. quintus nostrorum liber est, Auguste, iocorum,
/ et queritur laesus carmine nemo meo; VII 12, 1 sgg. sic me fronte legat
dominus, Faustine, serena / … / ut mea nec iuste quod odit pagina laesit;
X 5, 1 sg. quisquis stolaeve purpuraeve contemptor, / quos colere debet
laesit impio versu. Sull’uso di laedere in contesti di apologia letteraria cfr.
Ter. Eun. 2; 6; 18; Phorm. 11 (vd. G. Focardi, Linguaggio forense nei
prologhi terenziani, «SIFC» 44, 1972, spec. p. 69 sg.); Hor. sat. I 4, 78;
II 1, 21; 67. Nella poesia dell’esilio Ovidio afferma di essere l’unico che
sia stato danneggiato dai suoi carmi: trist. IV 1, 30 sg. vis me tenet ipsa
sacrorum / et carmen demens, carmine laesus, amo; Ib. 5 nec quemquam
nostri nisi me laesere libelli; cfr. anche trist. V 1, 67 sg. – laedere et illa
potest: Chione può laedere attraverso il sesso orale (i. e. mordere fellando:
vd. R. Verdière, Notes critiques sur Martial, «ACD» 5, 1969, p. 106); cfr.
Lucr. IV 1080 sgg. dentes inlidunt saepe labellis / osculaque adfigunt,
quia non est pura voluptas / et stimuli subsunt, qui instigant laedere
Epigramma 97 547
id ipsum, / quod cumque est, rabies unde illaec germina surgunt. Meno
probabile che Marziale si riferisca alla possibilità di vendetta della fellatrix
attraverso i suoi baci, come suggerito da SB2, p. 273 n. e; per questo tipo di
conclusione cfr. II 23, 3 sgg., in cui Marziale rifiuta di rivelare il vero nome
del Postumo, il cui impurum os ne rende repellenti i baci (cfr. II 10; 12; 21;
22): quid enim mihi necesse est / has offendere basiationes, / quae se tam
bene vindicare possunt? L’idea che la pratica della fellatio lasciasse un alito
sgradevole è alla base di numerosi epigrammi di Marziale (cfr. I 83; II 15;
42; III 17; 28; VII 94; XI 30; 95; XII 85; vd. la n. intr. all’epigr. 17; Richlin
1992, p. 26 sgg.).
548 M. Val. Martialis liber tertius
98
tit. ad sabellum : ad labellum (sed v. 2 sabelle) 1 sit culus tibi Pf²X: sit cuius tibi Lf¹
sicculus tibi E sic culus tibi V siculus tibi A sit tibi culus Q quam macer LPf : macer
quam Q 2 culo LPQ²f : cullo Q¹
99
hab. T tit. ad cerdonem T 1 Cerdo Crusius (cfr. 16, 1): cerdo TLPQf²s.l. credo f¹
3 innocuos LPQ²f : innucos Q¹ non nocuos T permitte sales T EAXV²s.l.: permittis
ales V¹ ludere T : l(a)edere 4 liceat licuit : licuit liceat T iugulare T EA: vigilare
XV
1. Irasci nostro non debes, Cerdo, libello: sulla reazione adirata alla
lettura di epigrammi cfr. IV 17, 1 sg. facere in Lyciscam, Paule, me iubes
versus, / quibus illa lectis rubeat et sit irata; vd. anche 37, 1 irasci tantum
felices nostis amici e la relativa n. intr.
2: la poetica di Marziale esclude attacchi ad personam: cfr. I epist. 1 sgg.
spero me secutum in libellis meis tale temperamentum ut de illis queri
non possit quisquis de se bene senserit, cum salva infimarum quoque
personarum reverentia ludant; X 33, 9 sg. hunc servare modum nostri
550 M. Val. Martialis liber tertius
100
tit. ad rufum 1 sexta LP²Qf : rufe sexta P¹ remisimus V²: misimus EAXV¹ 2
quem EAX: quae V 3 immodicis LPQf²s.l. : immodices f¹ nam LPf : tunc Q ruebat
A²XV: rubeat E rubat A¹ 4 iste : ille
Marziale chiude il libro con una dedica scherzosa a Rufo: il poeta ha affidato
il libro al cursor inviatogli dall’amico mentre pioveva a dirotto; è questo il
modo più adeguato per mandare un’opera del genere. La conclusione del
libro è all’insegna dell’understatement, così come lo era stato l’inizio (cfr. 1,
5 sg. sull’inferiorità del libro ‘gallo’ rispetto a quello ‘romano’).
Sul Rufo dedicatario di questo epigramma e del libro (insieme a Faustino e
a Giulio Marziale: cfr. epigr. 2 e 5) sono state formulate due ipotesi: secondo
Friedlaender si tratta di Canio Rufo, caro amico del poeta, nominato in que-
sto libro negli epigr. 20 e 64. L’ipotesi appare poco probabile: la dedica del
libro, sia pure con un epigramma scherzoso, e il tono di understatement
presuppongono un rapporto cliente-patrono (cfr. IV 10, dedica del libro a
Faustino); Canio fu invece in rapporti di stretta amicizia con Marziale, come
dimostra il tono ironico dell’epigr. 20 di questo libro. Per lo stesso motivo
appare poco persuasiva la proposta, formulata in via del tutto ipotetica da
Citroni 1987, p. 154 sg., che possa trattarsi di Camonio Rufo, giovane amico
bolognese, cui il poeta renderebbe omaggio al termine del libro ‘cisalpino’
(la sua ipotesi è condivisa da Sullivan 1991, p. 31). Il nome di Camonio
compare per la prima volta in VI 85, in cui Marziale ne piange la morte
prematura, all’età di vent’anni (cfr. anche IX 74 e 76 su un ritratto di Camonio
da fanciullo). Considerando la data di pubblicazione del VI libro (verso la
Epigramma 100 553
fine del 90: vd. Grewing, pp. 20-23), Camonio, che il poeta può certamente
aver conosciuto durante il soggiorno cisalpino, doveva avere all’epoca della
pubblicazione del III libro soltanto diciassette o diciotto anni. Altre ragioni
sconsigliano l’identificazione con il giovane bolognese (contrario all’ipotesi
di Camonio Rufo anche Grewing, p. 543): il Rufo di questo epigramma è
con ogni probabilità lo stesso dell’epigr. 97 (e, verosimilmente, anche di 82,
33; vd. Grewing, p. 526), cui Marziale affida il libro per evitare che lo legga
la prostituta Chione; quest’ultima era una prostituta romana, come appare
evidente da 30, 4 (anche l’epigr. 82 è di ambientazione romana: cfr. 82,
2-3. 26). È dunque piuttosto probabile che Rufo sia un patrono romano,
cui poteva risultare gradito il tono di scherno nei confronti dei provinciali,
presente in vari epigrammi del libro (1, 5 sg.; 91). Individuare a quale delle va-
rie persone con questo cognomen apostrofate nei suoi epigrammi Marziale
si riferisca non è agevole; tuttavia la sua presenza all’interno della sezione
oscena del libro, ribadita dalla dedica finale, rivela un’inclinazione verso la
poesia licenziosa.
T AV O L A S I N O T T I C A
INDICE ANALITICO
protasi di periodo ipotetico 289, loqui assoluto per male loqui 478 sg.,
nihil est 400, nihil est + comparativo 443, noli + infinito 273, paratassi
245, 331, 355, 369, 540, paratassi in luogo di periodo ipotetico 289, 303,
326, piuccheperf. ind. in luogo di imperf. o perf. 136, quid cum … tibi?
482, quid ergo? 500, quid est quod 321 sg., res est in funzione predicativa
di un sostantivo o un infinito 177 sg., res tibi cum … est 398, ut quid
472 sg., si bene te novi 441, vix tres aut quattuor 304; geminazione 411,
544; incisi: confiteor 269, credo 454, dic mihi 173, fateor 176 sg., mihi
crede 140, puto 369, 540, rogo 325; lessico: ampulla 494, anteambulo
156 sg., auricula 257, balneator 158, balneum 222, belle 297, bellus
297, buccae 196, cella 266, cisterna 369, cocus 183, congiarium 157,
copo 371, corium 191, culina 118, debitor 271, fortasse 109 sg., garrire
257, gratis avverbiale 265, hinc in luogo di pronome 302, imponere (=
decipere) 371, ipse (= dominus) 491 sg., is, ea, id 246, longinquus 108,
mentiri aliquid per simulare 317, misellus 155, nec = ne … quidem
127 sg., nequam 444, neuter 302, nullus per nemo 255, numquid 360,
obsonium 233 sg., olfacere 352, omnino 331, ordinare 378, penis 491,
pensio 266, periculosus 322, potio 230, pusillus 315, putidus 357, quis =
quisque 410, regulus 190, salutator 389, sibi placere 368, simpliciter 314,
somniculosus 390 sg., stropha 160, stultus 502, sufflare 196, tamquam
183, valde 322, versiculi 166, vetula 278
lomentum 313 sg.
longinquus 108
loqui assoluto per male loqui 478 sg.
Lucano e Marziale 425, 510 sg.
Lucano, Gn. Domizio (patrono) 222 sg.
Luciano e Marziale 178 sg.
Lucilio, possibile imitazione 154
Lucillio e Marziale 195, 232 sg., 279, 316 sg., 354, 467
Lucrezio, possibile imitazione 453
Lucrino, lago: 223 sg.; ostriche del 397
luctari (uso erotico) 463
ludere: della composizione di poesia minore 551; corio l. suo (espressione
proverbiale) 191; l. otium 432
Lupercus 463
lusci: presenza negli epigrammi 164; satira contro 307
Lussorio e Marziale 438
Indice analitico 569
341; genae 150; gladiatores 190; gula 196; lares 142; Ligurum saxa 492;
Nilus 408; Phaeton 431; Phoebus 330; purpura 125 sg.; rogus 541 sg.;
silva 386 sg.; Venus 465; vitrum 367
metrica: condizionamento metrico: crede mihi / mihi crede 140, hĕrĕ /
hĕr 177, sapisti 122, piuccheperf. ind. in luogo di imperf. o perf. 136;
esametro: legge di Marx 187, 292, 419, 506 sg., spondeiazon 297, termini
ricorrenti in sedi fisse: auricula 257, hiatus 203 sg., memento 192; falecio:
collocazione del comparativo in clausola 430, elisione 178; pentametro:
chiuso con sillaba breve 205, con clausola tetrasillabica 174, 256, 472;
plurali poetici: arae 237, cinnama 367, colla 240, convicia 337, iura
paterna 541, Massica 250, mella 390, munera 150, vina 438; scazonte 64
n. 71, 208 sg., 377, 390; sotadeo 261; trattamento del dimetro giambico
185; trimetro giambico + dimetro giambico 184; versi ecoici 256
mihi crede 140
Milvio, ponte 185
mimo: ed epigramma 504 sg.; attori: Pannicolo 506; Latino 506
mingere 475
Minucio Felice, probabile ripresa di Marziale 478
misellus per i defunti 155
mito, degradazione del 474; dissacrazione del 432 sg.
mittere, termine tecnico nella dedica dei libri 108
Modena 395
modestia, falsa 106 sg., 497, 552
moecha (= meretrix) 494
moechus 447
moralistici, motivi: biasimo della palestra 387; critica: dell’abitudine maschile
di portare anelli 260; della cosmetica 316, 367; della depilazione maschile
458 sg.; dell’estensione eccessiva delle case urbane 269 sg.; dell’ipocrisia
313, 318; del lusso 403; dell’uso eccessivo di profumi 366
morfologia: accusativo plurale in -is 169, 502; forme sincopate: perduxti
230; nostis 429
mortuus (uso ironico) 178 sg.
mugire (di urla adulatorie) 337
murrina 249
Musa, allocuzione alla 209
musica: egizia 408; di Cadice 408
muta cum liquida, trattamento 238 sg.
Indice analitico 571
lauriger 425 sg.; lux per dies 147 sg.; ortus, ‘nascita’ 149; pangere 302;
Pharius 425; Phidiacus 288; tergeminus 337
polemiche letterarie: apologia dell’epigramma lungo 497 sg.; apologia della
poesia licenziosa 442, 504; apologia della poesia satirica 549
Polla 313
Pollio 223
Pompeo, Gneo 423, 425
ponere per adponere 331
Ponticus 397
porri: capitati 343; sectivi 343; parte della gustatio 343
porticus templi 218 sg.
possessivo, uso del, come tratto affettivo 144
posposizione di particelle 204
posse (uso ellittico erotico) 277 sg.
Potino 423
potio 230
praefatio 198
premere (uso erotico eufemistico) 384
prestiti 311
Priamel 416 sg.
Priapea: cronologia 435 sg.; Priap. 8 e Marziale III 68 e 86 435 sg.
Probo, Marco Valerio, come critico severo 128
proedria, diritto di, a teatro 56 sg., 543
proemiali, epigrammi 48, 60, 65
proemio ‘al mezzo’ 51, 69, 435
profumi: al banchetto 176; critica all’uso eccessivo 366
Properzio e Marziale 367, 409, 452 sg.
propinatio 351
Proserpina 318
prosodia: scansione: ous 421; pr pinat / prŏpinat 493; trattamento di
muta cum liquida 238 sg.
prostitute: denominazioni: bustuariae moechae 531, moecha 494,
Summemmianae uxores 487 sg.; nomi: Chione 267, 498, 553, Leda 488;
prezzo 267
proverbi ed espressioni proverbiali: cerva pro virgine 519; corio ludere suo
191; labra linere 314; tenere se in pellicula sua 192
prurire: uso erotico 533; p. in pugnam 381
Indice analitico 575
sciscitator 491
scorpios 325
scribilita 195 sg.
sed (uso enfatico) 522
semivir 517
Seneca filosofo e Marziale 178, 229, 347, 366
sententiae conclusive 144, 166, 178, 200, 231, 306, 315
Sertorius 477
sessuale, comportamento: impotenza maschile 447, 462 sg., 477; omo-
sessualità maschile 449, 456, 543 sg.; rapporti orali 194, 469 sg., 481, 499,
509, 510, 545
sessuali, metafore: barathrum 482; hiatus 453 sg.
severus qualifica la poesia elevata 215 sg.
Sextus 174, 300
sibi placere 368
sica (daga dei gladiatori) 190 sg.
Sidonio Apollinare e Marziale 217
silva (metonimia per ‘legna’) 386 sg.
simplex pro composito: ponere per adponere 331
simpliciter 314
sincopate, forme: perduxti 230; nostis 429
sineddoche 410
sinus della toga 121 sg.
si pudor est 460
somniculosus 390 sg.
sophos sost. 337
sottoscrizioni nei codici di seconda famiglia 10 sg., 78 n. 115, 79 sg.
sottrazione di cibi al banchetto 232 sg.
Sperlonga, antro di Tiberio a 115
sportula: abolizione 49, 51, 55, 60, 151 sg., 184, 264, 397; addio alla 152;
ammontare 154 sg.; distribuzione alle terme 157 sg., 36; miseria della
153, 155; personificazione 152
stagnum (per il lago Lucrino) 223 sg.
Stazio e Marziale 150, 223
stile: allitterazione 182, 218, 308, 370, 382, 418, 437, 453; anafora 148, 180,
247, 248, 266, 273, 286, 291, 293, 325, 340, 379, 400, 401 sg., 408, 417,
420, 470, 501, 506; anastrofe 419; antanàclasi 180, 264, 281; asindeto 91;
578 Indice analitico
chiasmo 191, 264, 286, 325, 414, 447, 449; comparatio compendiaria
424; enallage 124, 341, 505; geminazione 411, 544; metafora: 118, 150,
159, 196, 217, 294 sg., 302, 318, 356, 425, 428 sg., 431, 437, 443, 454,
465, 482, 534, 550; metonimia: 123, 125 sg., 126, 142, 150, 158 sg., 190,
196, 209 sg., 216, 283, 294, 330, 341, 367, 380 bis, 386 sg., 390, 393, 408,
431 bis, 465, 475, 492, 494, 527 sg., 541 sg.; omeoteleuto 176, 325, 364,
370, 466, 467, 519; ossimoro 413 sg.; paratassi 245, 331, 355, 369, 540;
paratassi in luogo di periodo ipotetico 289, 303, 326; paronomasia 182,
227, 287, 364, 415; posposizione di particelle 204; sineddoche 410
stropha 160
stultus 502
subligar (costume per le terme) 509
subula 190
sufflare 196
suilli (tipo di funghi) 398
Summemmianae uxores 487 sg.
tabellae per messaggi galanti 410
tamquam 183
Tecta, via 141 sg.
Telesinus 311
temi del libro 60-62
tenera puella (iunctura erotica) 418
tenere se in pellicula sua 192
tergeminus 337
terme: di Agrippa 221 sg., 293; di Nerone 246; di Tito 221 sg., 293; prezzo
d’ingresso 267
termini chiave, collocazione in principio di epigramma 265, 311 sg., 317,
463
terque quaterque 196
Tersicore, Musa della poesia giocosa 439
testiculi 239
Thais 163 sg.
thalassio 535
Tiberio, ‘antro’ di, a Sperlonga 115
Tieste, mito di 330
Tigillini balneum 222
tipi epigrammatici: amante cieco 162, 186; anfitrione avaro 61, 66, 175,
Indice analitico 579
180, 351 sg., 486; bellus homo 406; etera invecchiata 313; impurus ore
194, 256, 469 sg., 499; marito sciocco 248, 501; parvenu 188, 260 sg.,
486; pathicus 449, 539; recitator acerbus 320 sg.; retore ‘freddo’ 244;
scialacquatore 168, 401; vecchia bramosa 275 sg., 526
tiro 294
Tito, terme di 221 sg., 293
tmesi di hucusque 437
toga: cura per la disposizione 410; richiesta per la salutatio matutina 294;
simbolo della vita da cliente 134 sg.; sinus della 121 sg.
togata: Gallia 108 sg.; opera 334
togula 266
Tongilianus 361
topografia urbana: balneum Tigillini 222; Hecatostylum 203; Horatiorum
campus 342; ponte Milvio 185; porta Capena 341; portici: degli Argonauti
219, di Europa 219 sg., porticus templi 218 sg.; pusilli Herculis fanum
342; schola poetarum 216 sg.; terme: di Agrippa 221 sg., 293, di Nerone
246, di Tito 221 sg., 293; via Tecta 141 sg.
topografiche, descrizioni, precisione nelle 203, 340
tordo 344
toreuma 288 sg.
torquere (uso erotico) 444
tractatrix 490
tradizione manoscritta: tripartizione dei codici 74, 78; prima famiglia: 78
sg., censura dei termini osceni 78 n. 119, 448; seconda famiglia: 79-82,
archetipo in beneventana 80, 310, sottoscrizioni 10 sg., 78 n. 115, 79
sg.; terza famiglia: 82-89, normalizzazioni 326, 332, glosse penetrate nel
testo 346; tituli degli epigrammi: esito di fraintendimento 288, poco
comprensibili 351 sg., 522; tradizione umanistica: codici 89-92; edizioni
a stampa 91-94; interpolazioni 79 n. 121, 191 sg., 238, 270, 293, 351 sg.,
452, 513, 520; presunte varianti d’autore 75 sg., 181 sg., 255, 315, 326
traducere, ‘esporre al ludibrio’ 460 sg.
triglia 332
Trimalchione, modello per lo Zoilo di Marziale 486
triplex per tres 301
Tuccius 184
Tullo, Gn. Domizio (patrono) 222 sg.
tunica molesta 119 sg.
580 Indice analitico