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Il presente volume è frutto di ricerche iniziate nel 1999 durante i

miei studi all’Università di Roma «La Sapienza» e condotte, con qualche


interruzione, nel corso di questi anni.
Questo lavoro non sarebbe stato compiuto senza l’affettuosa e saggia
guida di Piergiorgio Parroni: a lui, che ha stimolato e indirizzato i miei studi
su Marziale fin dagli inizi, desidero qui esprimere tutta la mia riconoscenza.
Un ringraziamento particolare va a Carlo Di Giovine, per aver seguito
con attenzione e puntualità l’evoluzione di questo lavoro durante il mio
Dottorato di Ricerca presso l’Università della Basilicata, e a Rosa Maria
D’Angelo, per aver partecipato attivamente alla realizzazione di questo
volume nell’ultimo biennio, durante il quale ho usufruito di un assegno di
ricerca presso l’Università di Catania.
Questo libro non avrebbe visto la luce senza i contributi del Dipar-
timento di Filologia Greca e Latina dell’Università di Roma «La Sapienza»
e della Facoltà di Lettere dell’Università di Catania, che qui ringrazio.

Roma, 31 marzo 2005 A. F.


Commentare Marziale 7

COMMENTARE MARZIALE

orecchio ama placato


la Musa e mente arguta e cor gentile

Gli ultimi trent’anni hanno visto una singolare fioritura di commenti


agli Epigrammi di Marziale. Ad aprire la strada era stato nel 1975 Mario
Citroni con un commento al I libro, che resta a distanza di tempo un punto
di riferimento1. Nel recensire il volume2 esprimevo semmai qualche dubbio
sulla mole del lavoro, che definivo «scoraggiante» per chi avesse voluto
proseguire nell’impresa, ma i miei timori erano evidentemente infondati.
Chi è venuto dopo di lui ha infatti in qualche caso superato, e non di poco,
quei limiti che a me allora erano parsi un po’ eccessivi. Basti pensare che il
commento di Grewing al VI libro (oltretutto privo del testo degli epigrammi)
uscito nel 1997 consta di 592 pagine3 e quello di Schöffel all’VIII del 20024
ha raggiunto addirittura le 723 pagine, per giunta, in entrambi i casi, di
maggior formato rispetto a quelle dell’edizione di Citroni. Bisogna dire
che all’epoca il mio metro era rappresentato ancora da Friedlaender5, che
era riuscito a far entrare edizione critica e commento a tutto Marziale in
due tomi, riuniti poi in un solo volume, anche se corposo, nella ristampa
anastatica. Ma evidentemente a distanza di quasi un secolo quel modello era
ormai improponibile, e d’altra parte la complessità del testo di Marziale è tale
e gli strumenti di indagine nel frattempo si sono così arricchiti e perfezionati
che non ci si poteva più rifare a quella misura.
Le accresciute dimensioni di certi commenti però non sono sempre
andate di pari passo con la loro qualità. E a questo punto è anzitutto
necessario definire che cosa ci si aspetta da un commento in generale e da

1
M. Valerii Martialis Epigrammaton liber primus, introduzione, testo, apparato critico e
commento a cura di M. C., Firenze 1975 (482 pagine complessive).
2
«RFIC» 107, 1979, pp. 83-92.
3
F. G., Martial, Buch VI (Ein Kommentar), Göttingen 1997.
4
Chr. S., Martial, Buch 8, Einleitung, Text, Übersetzung, Kommentar, Stuttgart 2002.
5
M. Valerii Martialis Epigrammaton libri mit erklärenden Anmerkungen von L. F.,
Leipzig 1886 (= Amsterdam 1961).
8 Piergiorgio Parroni

un commento a Marziale in particolare. Un commento non è per lo più un


libro che si legge da capo a fondo, ma uno strumento di ricerca e, come
tale, presuppone un lettore, in qualche caso purtroppo anche frettoloso,
che vuol essere rapidamente e chiaramente informato sulle varie possibilità
di interpretazione di un passo controverso, avere indicazioni precise sulla
soluzione proposta dal commentatore (che perciò non deve barcamenarsi
fra le varie ipotesi per paura di compromettersi), e vuole avere a disposizione
tutto quello che occorre per interpretare correttamente quel passo e solo
quel passo. Il commento non deve perciò essere ‘narrativo’, ma deve
anzitutto essere ispirato a brevitas, il che non vuol dire ieiunitas. Troppo
succinta, p. es., è la formula adottata da Howell per il I e il V libro6.
Una via di mezzo è stata di recente tentata da Damschen e Heil7, che
hanno rinunciato al tradizionale commento «line-by-line» a favore di un’in-
terpretazione generale accompagnata da traduzione e da un’appendice critica.
Questa soluzione rende il commento più agile e fa indubbiamente risparmiare
spazio, ma a mio vedere non soddisfa appieno. Al commento si deve concedere
tutta l’ampiezza di volta in volta necessaria ed è quindi opportuno che esso
non rinunci alla tradizionale forma del commentario perpetuo.
L’importante però è non divagare, restare sempre aderenti al tema, non
riproporre insomma sotto mutate spoglie la formula di certi commentari
settecenteschi nei quali si trova talvolta tutto fuorché quello che si cerca.
I commenti mastodontici come quelli sopra ricordati (il commento di
Schöffel ricorre addirittura alle note a piè di pagina, in cui sono confinati
i rinvii a paralleli latini, a repertori, alla bibliografia in genere) sono poco
utili, specie poi quando la farragine dell’insieme è condita da vacillanti
conoscenze linguistiche e metriche8.
L’utilità di un commento è data anche dalla traduzione. Citroni vi aveva
rinunciato, ma in compenso le sue note di commento sono spesso arricchite
di ‘interpretazioni’ che aiutano a sciogliere le espressioni più complicate. La

6
P. H., A Commentary on Book One of the Epigrams of Martial, London 1980; Martial
Epigrams V, edited with an Introduction, Translation and Commentary by P. H.,
Warminster 1995.
7
Marcus Valerius Martialis Epigrammaton liber decimus, Text, Übersetzung, Interpre-
tationen … von G. D. und A. H., Frankfurt am Main - Berlin - Bern - Bruxelles - New York -
Oxford - Wien 2004 (in realtà il lavoro è frutto di una équipe di oltre venti collaboratori).
8
Mi riferisco al commento al VII libro di Galán Vioque, di cui si veda la recensione
giustamente severa di Fusi in «RPL» 26, 2003, pp. 201-209.
Commentare Marziale 9

traduzione è bene che sia piana e priva di pretese letterarie9 senza essere
sciatta. Insomma deve essere quella che oggi si suole definire ‘traduzione di
servizio’. Essa da un lato rappresenta per il commentatore la riprova di aver
compreso realmente il testo e gli impone di fare delle scelte in qualche caso
difficili, dall’altro aiuta il lettore a orientarsi subito su un testo come quello
di Marziale in molti casi tutt’altro che piano. Sono dotati di traduzione i già
ricordati commenti di Howell, di Schöffel e di Damschen e Heil, e inoltre
quelli di Williams per il II libro10 e di Leary per il XIII e il XIV11. Per un
orientamento immediato è anche opportuno far precedere il commento da
un’introduzione all’epigramma, preferibilmente breve: introduzioni troppo
lunghe, come p. es. quella di Grewing, finiscono per distogliere l’attenzione
del lettore dirottandola su problemi e questioni di carattere generale che
spesso hanno solo rapporti indiretti col testo che si sta esaminando.
Le prefazioni dei commenti marzialiani seguono ormai un percorso
canonico e toccano qual più qual meno i principali problemi posti dai
singoli libri: datazione, cronologia, struttura, temi, ‘cicli’, metri, tradizione
manoscritta. Per quanto riguarda quest’ultima si deve dire che nessuno
finora ha seguito l’esempio di Citroni, che ha fondato il suo commento
su una nuova edizione critica. I commentatori successivi si sono adagiati
sul giudizio di Shackleton Bailey12, che ha valutato come inutile fatica
la rinnovata ispezione della tradizione manoscritta operata da Citroni,
e si sono quindi basati in genere13 o sul suo testo teubneriano o, più
prudentemente, su quelli di Lindsay14 o di Heraeus-Borovskij15.
Una lodevole eccezione è rappresentata da Alberto Canobbio che,

9
Inutile e fuorviante una traduzione come quella di G. Ceronetti (Torino 1964), anche per
alcuni clamorosi fraintendimenti (basti dire che in X 61, 4 manibus exiguis [i Mani di Erotion]
è tradotto «alle sue magre manine» con evidente confusione di mānibus con mănibus).
10
Martial Epigrams Book Two, edited with Introduction, Translation and Commentary by
C. A. W., Oxford-New York 2004.
11
Martial Book XIII. The Xenia, Text with Introduction and Commentary by T. J. L., London
2001; Martial Book XIV. The Apophoreta, Text with Introduction and Commentary by T.
J. L., London 1996.
12
M. Valerii Martialis Epigrammata, post W. Heraeum ed. D. R. Sh. B., Stutgardiae 1990,
p. XI.
13
Fa eccezione Schöffel, che ha costituito un suo testo dotandolo di un apparato costruito
su varie edizioni critiche partendo da quella di Schneidewin.
14
Oxford 1903; 19292. Si sono rifatti a Lindsay Kay, Leary e Williams.
15
Leipzig 1976; 1982 (editio correctior). Ha seguito questo testo Henriksén (su cui vd. n. 18).
10 Piergiorgio Parroni

nel pubblicare dal V libro gli epigrammi relativi al ‘ciclo’ della lex Roscia
theatralis, ha dotato il suo testo di un apparato tutto di prima mano16. C’è
da aspettarsi che nell’edizione completa del libro V, che spero non si farà
molto attendere, egli continui, così come promesso, ad attenersi a questo
sano principio. Avevo già a suo tempo osservato17 e ho di recente ribadito
recensendo il commento al IX libro di Henriksén18 che riesaminare da
capo una tradizione manoscritta non è mai una fatica inutile, un arare
litus per usare la pittoresca espressione di Shackleton Bailey: fornire allo
studioso un apparato di prima mano, far corrispondere le canoniche sigle
cumulative delle tre famiglie a gruppi certi di manoscritti (evitando così di
attribuire all’archetipo lezioni tramandate da un solo codice), distinguere
meglio anche cronologicamente gli interventi delle varie mani, eliminare
le imprecisioni che si accumulano quando gli apparati si costruiscono
su preesistenti apparati (il che avviene in pratica dai tempi di Lindsay),
scoprire che lezioni esatte ritenute frutto di congetture umanistiche sono
già presenti nei codici poziori, ebbene tutto questo a me non pare cosa
da poco, anche se, dai saggi finora effettuati, appare chiaro che da un
simile inglorius labor difficilmente potrà essere rivoluzionata la tradizione
di Marziale19. Ciò che soprattutto irrita in tutto questo è l’indifferenza
e il disprezzo per i dati materiali, che porta a fenomeni di ‘persistenza
dell’errore’. P. es. Citroni20 aveva segnalato che il cod. A della terza famiglia
è il Leid. Voss. Lat. O 56 e non Q 56 e che il recenziore C è il Leid. Voss. Q
89 e non F 89, eppure tali errori non sono scomparsi né nella teubneriana
di Shackleton Bailey né nei successivi commenti. Anche sulla storia della
trasmissione del testo, specie sulle sottoscrizioni di Torquato Gennadio,
oggi ne sappiamo di più rispetto ai tempi di Lindsay e di Otto Jahn, ma
la bibliografia, anche nei più recenti commenti, non va oltre questi due

16
A. C., La lex Roscia theatralis e Marziale: il ciclo del libro V, Introduzione, edizione
critica, traduzione e commento, Como 2002. Questo aspetto è stato sottolineato anche da
Fusi nella recensione in «RFIC» 130, 2002, p. 477.
17
Su alcuni epigrammi di Marziale (in margine a una recente edizione), «RPL» 16, 1993
(In Memory of Sesto Prete, Part II), p. 57.
18
Martial, Book IX. A Commentary by Chr. Henriksén, «RFIC» 130, 2002, p. 375.
19
Vd. già M. D. Reeve, Martial in L. D. Reynolds (ed.), Texts and Transmission. A Survey
of the Latin Classics, Oxford 1983, p. 243.
20
Citroni, ediz. cit., p. LVII n. 46. La cosa è stata da me ribadita in Su alcuni epigrammi cit.
e nella recensione a Henriksén cit., ma inutilmente.
Commentare Marziale 11

nomi21. Insomma io credo che accingersi ad una nuova edizione critica


di tutto Marziale sarebbe un’opera meritoria, perché è inevitabile che
anche un’edizione ottima come quella di Lindsay debba mostrare dopo
un secolo le rughe. E, poiché Marziale ha più bisogno di spiegazioni che
di congetture, penso che il futuro editore dovrebbe indulgere il meno
possibile a queste ultime, rassegnandosi a dichiararsi sconfitto di fronte a
un testo poco comprensibile o dubbio piuttosto che tentare di ricostruirlo
in modo improbabile anche se brillante.
L’utilità di un commento si giudica anche dagli indici. I più agevoli
da consultare sono quelli complessivi (secondo la scelta di Leary), ma
possono essere anche frazionati, senza esagerare (penso ai complicati
indici di Friedlaender). È invece riprovevole la loro assenza (il commento
di Grewing ne è privo). L’indice o gli indici devono soprattutto permettere
di risalire con facilità alle osservazioni riguardanti particolarità linguistiche,
stilistiche e metriche, topoi, reminiscenze ecc., presenti nel commento.
In questa cospicua serie di commenti a Marziale ne è mancato finora
uno al III libro (per completare la serie restano ora solo quelli al Liber de
spectaculis22, al IV e al XII). Il III libro è un libro tutto particolare per essere
stato scritto non a Roma ma a Imola (Forum Corneli). Nell’epigramma
proemiale il poeta scherza col lettore: questo libro gli piacerà sicuramente
di meno perché non nato domina in urbe, ma in provincia. È naturale che
tutto ciò che nasce in provincia sia affetto da mancanza di urbanitas. Il
timore del provincialismo, che riguarda non solo la poesia ma lo stile di vita
in generale, è ben vivo in Roma fin dai tempi di Catullo (tutti i personaggi
marchiati dalla poesia catulliana per goffaggine o sordidezza provengono
dalla provincia, da Asinio il Marrucino a Egnazio il Celtibero, da Mamurra
il Formiano a Rufa la Bolognese all’amante pesarese di Giovenzio), ed è
qui presente anche in Marziale, pur se la consapevolezza di poter tornare a
Roma quando vorrà gli consente di scherzarci sopra. Naturalmente egli vuol
farci credere che non vi metterà mai più piede (è questa un’altra spia che la

21
Nessuno p. es. che faccia cenno agli studi di O. Pecere, del quale si veda La tradizione
dei testi latini tra IV e V secolo attraverso i libri sottoscritti in A. Giardina (ed.), Società
romana e impero tardoantico, IV, Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura,
Roma-Bari 1986, in particolare pp. 34-40.
22
Il commento di F. Della Corte (Genova 19863) non può infatti competere, per impianto,
con quelli fin qui ricordati. Su quello di F. Fortuny Previ (Murcia 1983) si veda il giudizio di
U. Carratello, «GIF» 39, 1987, p. 151.
12 Piergiorgio Parroni

poesia di Marziale non va mai presa nel suo ‘valore facciale’, e chi l’ha fatto
ha frainteso lo spirito che la anima23), dato che nel quarto epigramma ci dice
che farà ritorno a Roma solo quando «avrà imparato l’arte di far quattrini»,
un’arte che notoriamente gli fu sempre poco congeniale, prova ne sia che
alla fine della carriera dovette accettare da Plinio il Giovane il viaticum per
il ritorno in patria. E sarà proprio a Bilbilis che il timore del provincialismo
lo coglierà di nuovo, e in maniera assai più drammatica, perché questa volta
la sua scelta era definitiva e il suo ritorno nella capitale ormai impossibile.
Nella prefazione del XII libro vuol conoscere il giudizio spassionato e
preventivo dell’amico Prisco sulla sua ultima fatica per non correre il rischio
di inviare a Roma un libro Hispanus, cioè spagnolo (provinciale) invece che
Hispaniensis, cioè scritto materialmente in Spagna24.
La composizione del libro lontano da Roma si riflette sugli argomenti
trattati, che non contengono allusioni a personaggi ed eventi storici, il che
crea qualche imbarazzo per la cronologia (i temi, oltre a quelli sulla difficile
condizione del cliente a Roma – in carattere con la ‘fuga’ del poeta dalla città –
perseguono come sempre la varietas, che naturalmente si riflette sull’estensione
degli epigrammi e sulla loro struttura metrica). Lo spirito beffardo che anima il
poeta in questo particolare momento può forse giustificare anche il largo spazio
accordato alla pars obscena (circa un terzo dell’intero libro, il che rappresenta un
unicum nel complesso della produzione marzialiana). E qui forse val la pena di
osservare che l’oscenità in Marziale è sempre scoperta (greve, direi, per i nostri
gusti di moderni, più disposti ad accogliere l’erotismo che l’oscenità) e che sono
quindi fuori strada coloro che vogliono cogliere riposte allusioni oscene in
epigrammi che non hanno nulla di malizioso25. Mi par giusto che in questi casi
anche la traduzione debba essere in carattere col testo e non si debba far ricorso
ad eufemismi, sia pur divertenti come quelli escogitati alla metà dell’Ottocento
dal Cav. Magenta26.

23
Vd. p. es. quanto ho osservato in proposito in Gli stulti parentes di Marziale e il prezzo
di una vocazione (nota a Mart. 9, 73), in Studi di Poesia Latina in onore di Antonio
Traglia, Roma 1979, pp. 833-839.
24
Si veda quanto ho osservato in Nostalgia di Roma nell’ultimo Marziale, «Vichiana» n. s.
13, 1984 (Miscellanea Arnaldi), pp. 126-134.
25
È un atteggiamento oggi diffuso e riguarda anche Catullo (si veda il riaffiorare di interpre-
tazioni del passer che credevamo avessero fatto il loro tempo). Ad esso non sfugge neppure il
pur equilibrato Henriksén (vd. la mia recensione in «RFIC» cit., p. 375 sg.).
26
Gli Epigrammi di M. Valerio Marziale con traduzione e note del Cav. P. M., Venezia 1842.
Commentare Marziale 13

Le due sezioni del libro sono divise da una sorta di proemio al mezzo
(epigr. 68); il precedente, che conclude la prima sezione, può forse celare,
come osserva Fusi, un’intenzione metaletteraria: nella stanchezza dei marinai
durante una gita in barca nella calura estiva cispadana potrebbe essere
rappresentata la stanchezza del lettore per una lunga serie di epigrammi privi
di elementi piccanti. Dunque un libro inaequalis (in carattere del resto con
le aspirazioni del poeta, come si ricava da VII 90), ma assai interessante,
perché consente di penetrare nell’animo del poeta spagnolo, sempre in bilico
fra amore e odio per quella città che è fonte della sua ispirazione ma non
lo accoglie come egli sente di meritare. La malinconia per la lontananza da
Roma, che, dopo l’abolizione della sportula voluta da Domiziano, non è più
in grado di offrirgli neppure le condizioni minime di sopravvivenza, benché
temperata dalla calorosa accoglienza riservatagli dall’ospite amico (forse
Faustino), è percepita come una sorta di esilio: a tradire questo sentimento
sono le numerose allusioni ai Tristia e alle Epistulae ex Ponto di Ovidio, un
poeta caro a Marziale non meno di Orazio e Catullo27. La patetica esagerazione
deve dare al lettore la misura di uno scherzo che non è tale fino in fondo.
Nel fare di sopra una rapida rassegna dei commenti finora usciti ho
delineato una specie di prototipo di commento ideale. Ma a fare un buon
commento non bastano i buoni precetti. Specie per un autore come Mar-
ziale, così dotto, così sottile, così a volte impenetrabile per la presenza di
allusioni che ci sfuggono, occorre una solida preparazione tecnica e una
raffinata sensibilità letteraria. Se il presente commento di Alessandro Fusi
risponda a tutte queste esigenze non sta a me giudicare. Quello che però
salta subito agli occhi è l’ampia informazione bibliografica, l’estrema cura
volta a mettere in evidenza la complessa trama delle allusioni su cui sono
costruiti gli epigrammi, l’impegno a chiarire ogni volta il Witz non sempre
evidente che in essi si cela, l’indipendenza del giudizio e spesso l’originalità
delle soluzioni28.
Ma questo libro, al di là del suo valore, che lascio ad altri valutare,

27
Su un discusso epigramma dipendente da Ovidio Fusi ha scritto una nota che forse
risolve definitivamente un’annosa questione: Marziale e la fama di Ovidio (Nota a Mart.
5, 10), «RFIC» 128, 2000, pp. 313-322.
28
Si veda p. es. l’interpretazione di III 19 anticipata in Orsi di bronzo e orsi mansueti
(Marziale, III 19), «RPL» 24, 2001, pp. 48-55, nuova e ben sostenuta con argomentazioni
di carattere archeologico (contra M. Salanitro, Una statua assassina (Mart., 3, 19), «A&R»
n.s. 48, 2003, pp. 78-80).
14 Piergiorgio Parroni

ha un pregio non secondario, quello di colmare una delle ultime lacune


nella serie dei commenti moderni a Marziale. C’è da sperare che presto
qualcuno si sobbarchi alla restante fatica. Marziale merita questo impegno,
anche se dovremo rassegnarci ad avere in biblioteca almeno quindici
volumi dedicati soltanto a lui.

PIERGIORGIO PARRONI
Abbreviazioni bibliografiche 15

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Si trovano qui abbreviati gli studi citati in apparato e quelli che nel lavoro ricorrono più d’una
volta; per gli altri l’indicazione bibliografica è riportata per esteso ad locum; le abbreviazioni
delle riviste sono quelle dell’Année Philologique.

Adams 1981
J.N. Adams, A Type of Sexual Euphemism in Latin, «Phoenix» 35,
1981, pp. 120-128.
Adams 1983
J.N. Adams, Words for ‘Prostitute’ in Latin, «RhM» 126, 1983, pp.
321-358.
Adams, LSV
J.N. Adams, The Latin Sexual Vocabulary, London 1982.
AL
Anthologia Latina sive poesis Latinae supplementum, pars prior:
carmina in codicibus scripta recensuit A. Riese, fasc. I-II, Leipzig
1869-70.
ALL
Archiv für lateinische Lexicographie und Grammatik, ed. E. Wölfflin,
Leipzig 1884-1909 (= Hildesheim 1967).
André
Apicius. L’art culinaire. De re coquinaria, texte établi, traduit et
commenté par J. André, Paris 1965.
André 1949
J. André, Étude sur les termes de couleur dans la langue latine, Paris
1949.
André 1956
J. André, Léxique des termes de botanique en Latin, Paris 1956.
16 Abbreviazioni bibliografiche

André 1967
J. André, Les noms d’oiseaux en Latin, Paris 1967.
André 1981
J. André, L’alimentation et la cuisine a Rome, Paris 19812 (19611).
André 1985
J. André, Les noms de plantes dans la Rome antique, Paris 1985.
ANRW
Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, hrsgg. von H. Temporini
und W. Haase, Berlin-New York 1972-.
Aubreton
Anthologie Grecque. Première partie. Anthologie Palatine. Tome X
(Livre XI), texte établi et traduit par R. Aubreton, Paris 1972.
Axelson 1945
B. Axelson, Unpoetische Wörter. Ein Beitrag zur Kenntnis der
lateinischen Dichtersprache, Lund 1945.
Baehrens
Catulli Veronensis liber, recensuit et interpretatus est Aemilius
Baehrens, II, Lipsiae 1885.
Bandini
A.M. Bandini, Catalogus codicum manuscriptorum bibliothecae
Mediceae Laurentianae, I-V, Florentiae 1774-78.
Barwick 1958
K. Barwick, Zyklen bei Martial und in den kleinen Gedichten des
Catull, «Philologus» 102, 1958, pp. 284-318.
Barwick 1959
K. Barwick, Martial und die zeitgenössische Rhetorik, «Ber. über die
Verhandl. d. sächs. Akad. der Wiss. zu Leipzig», philol.-hist. Kl., 104,
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M. Bettini, A proposito dei versi sotadei, «MD» 9, 1982, pp. 59-105.
Beverland
Lezioni di un codice posseduto da Adrian Beverland desunte da
Schneidewin1.
Birt 1882
Th. Birt, Das antike Buchwesen in seinem Verhältniss zur Litteratur.
Mit Beiträgen zur Textgeschichte des Theokrit, Catull, Properz und
anderer Autoren, Berlin 1882.
Abbreviazioni bibliografiche 17

Birt 1907
Th. Birt, Die Buchrolle in der Kunst. Archaeologisch-antiquarische
Untersuchungen zum antiken Buchwesen, Leipzig 1907.
Blümner 1911
H. Blümner, Die römischen Privataltertümer, München 1911.
Bömer 1952
F. Bömer, Excudent alii …, «Hermes» 80, 1952, pp. 117-123.
Bömer1
P. Ovidius Naso, Die Fasten, herausgegeben, übersetzt und kom-
mentiert von F. Bömer, I-II, Heidelberg 1957-58.
Bömer2
P. Ovidius Naso, Metamorphosen, Kommentar von F. Bömer, I-VII,
Heidelberg 1969-1986.
Bonvicini 1986
M. Bonvicini, Note sui comparativi in clausola nel falecio di Marziale,
«BSL» 16, 1986, pp. 31-35.
Bonvicini 1995
M. Bonvicini, L’epigramma latino: Marziale, in Senectus. La vecchiaia
nel mondo classico, a c. di U. Mattioli, II, Bologna 1995, pp. 113-136.
Brecht 1930
F.J. Brecht, Motiv- und Typengeschichte des griechischen Spott-
epigramms, «Philologus» Supplementband 22, Heft 2, Leipzig 1930.
Brink
Horace on Poetry. The Ars Poetica, by C.O. Brink, Cambridge 1971.
Buchheit 1962
V. Buchheit, Studien zum Corpus Priapeorum, München 1962.
Buecheler, Kleine Schriften
F. Buecheler, Kleine Schriften, I-III, Leipzig-Berlin 1915-30 (=
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Burnikel 1980
W. Burnikel, Untersuchungen zur Struktur des Witzepigramms bei
Lukillius und Martial, Wiesbaden 1980.
Busch 1999
S. Busch, Versus Balnearum. Die antike Dichtung über Bäder und
Baden im römischen Reich, Stuttgart und Leipzig 1999.
Calderini
Domitii Calderini Veronensis Commentarii in M. Valerium
18 Abbreviazioni bibliografiche

Martialem, Roma, J. Gensberg, 22 III 1474 (derivata dal codice di


dedica a Lorenzo dei Medici: Florentinus Bibliothecae Laurentianae
LIII, 33, datato 1 IX 1473, da me collazionato).
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M. Campanelli, Alcuni aspetti dell’esegesi umanistica di ‘Atlas cum
compare gibbo’ (Mart. VI 77 7-8), «RPL» 21, 1998, pp. 169-180.
Campanelli 2001
M. Campanelli, Polemiche e filologia ai primordi della stampa. Le
Observationes di Domizio Calderini, Roma 2001.
Canobbio 1997
A. Canobbio, Parodia, arguzia e concettismo negli epigrammi di
Marziale, «RPL» 20, 1997, pp. 61-81.
Canobbio 2001
A. Canobbio, Epigramma e mimo: il ‘teatro’ di Marziale, «CGITA»
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Canobbio 2002
A. Canobbio, La Lex Roscia Theatralis e Marziale: il ciclo del libro V,
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F. Capponi, Ornithologia Latina, Genova 1979.
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U. Carratello, Marziale, Canio Rufo e Fedro, «GIF» 17, 1964, pp. 122-148.
Carratello 1973
U. Carratello, L’‘editio princeps’ di Valerio Marziale e l’incunabolo
ferrarese di Leida, «GIF» 25, 1973, pp. 295-299.
Carratello 1974
U. Carratello, ‘Florilegia quaedam’ di Valerio Marziale (per una nuova
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Mercati 1925
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Merli 1993
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esordi dei libri I-XII di Marziale, «Maia» 45, 1993, pp. 229-256.
Merli 19932
E. Merli, Vetustilla nova nupta: libertà vigilata e volontà
epigrammatica in Marziale 3, 93, con qualche osservazione sugli
epigrammi lunghi, «MD» 30, 1993, pp. 109-125.
Merli 1996
E. Merli, Note a Marziale (8, 50; 10, 7; 11, 90; 13, 118), «MD» 36,
1996, pp. 211-223.
Merli 1998
E. Merli, Epigrammenzyklen und ‘serielle Lektüre’ in den Büchern
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Mulder
H.M. Mulder, Publi Papinii Statii Thebaidos liber secundus
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Munro
Congetture di H.A.J. Munro ap. Friedlaender.
Mynors
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Nauta 2002
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Domitian, Leiden-Boston-Köln 2002.
Navarro Antolín
Corpus Tibullianum III. 1-6: Lygdami Elegiarum Liber, Edition &
Commentary by F. Navarro Antolín, Leiden-New York-Köln 1996.
Neue-Wagener
F. Neue, Formenlehre der lateinischen Sprache, dritte, sehr vermehrte
Auflage von C. Wagener, I-IV, Berlin-Leipzig 1892-1905.
Neumeister 2000
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Litterarum Antiquorum. Festschrift für Hans Armin Gärtner zum
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Nicolai Perotti Cornu Copiae
J.-L. Charlet-M. Furno et al. (edd.), Nicolai Perotti Cornu Copiae seu
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Nisbet-Hubbard1
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Nisbet-Hubbard2
A Commentary on Horace: Odes, Book II, by R.G.M. Nisbet and M.
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Norcio
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Norcio 1960
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Norden
P. Vergilius Maro. Aeneis Buch VI, erklärt von E. Norden, Leipzig
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Norden 1923
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Rede, Leipzig 19232 (= Darmstadt 1956).
Obermayer 1998
H.P. Obermayer, Martial und der Diskurs über männliche
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P.G.W. Glare (ed.), Oxford Latin Dictionary, Oxford 1968-1982.
Opelt, Euphemismus
I. Opelt, Euphemismus, in RAC VI 947-964.
Otto, Sprichwörter
Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der Römer,
gesammelt und erklärt von A. Otto, Leipzig 1890 (= Hildesheim 1962).
Paley-Stone
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Paley and W.H. Stone, London 1896 [III 1-2; 4-8; 10-16; 18-23; 25; 27;
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Paoli
Marziale. Epigrammi scelti, a c. di U.E. Paoli, Firenze 1931 [III 2; 7-9;
12-15; 18; 21-22; 25; 37; 39; 41; 43-47; 49-50; 52; 55; 57-58; 60-64; 67;
94; 100].
Paoli 1932
U.E. Paoli, Note di filologia reale su Catullo, Orazio, Marziale, «SIFC»
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36 Abbreviazioni bibliografiche

Pape-Benseler
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Parroni 19792
P. Parroni, recensione a Citroni, «RFIC» 107, 1979, pp. 83-92.
Parroni 1984
P. Parroni, Nostalgia di Roma nell’ultimo Marziale, «Vichiana» N.S.
13, 1984 (Miscellanea di studi in memoria di Francesco Arnaldi), pp.
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Parroni 1993
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edizione), «RPL» 16, 1993, pp. 57-61.
Parroni 1996
P. Parroni, Marziale 3, 33, in Studi latini in ricordo di Rita Cappelletto,
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Pasquali 1934
G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1934 (=
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M. Tulli Ciceronis De natura deorum, edited by A.S. Pease, I-II, Cam-
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Pecere 1986
O. Pecere, La tradizione dei testi latini tra IV e V secolo attraverso i
libri sottoscritti, in Società romana e impero tardoantico, IV, Tradizione
dei classici, trasformazioni della cultura, a c. di A. Giardina, Roma-Bari
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Philip Ambrose 1980
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Pichon
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Platnauer 1951
M. Platnauer, Latin Elegiac Verse. A Study of the metrical Usages of
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Polara
Publilii Optatiani Porfyrii Carmina, recensuit Iohannes Polara,
I, Textus, adiecto indice verborum; II, Commentarium criticum et
exegeticum, Aug. Taurinorum 1973.
Post
Selected epigrams of Martial, edited with introduction and notes by E.
Post, Boston-New York-Chicago-London 1908 [III 2; 4; 7; 12; 14-15;
18; 22; 25; 35; 38; 43-46; 50; 52; 58; 60-61; 63; 99].
Prinz 1911
K. Prinz, Martial und die griechische Epigrammatik, Wien 1911.
Priuli 1975
S. Priuli, Ascyltus. Note di onomastica petroniana, Bruxelles 1975.
RAC
Reallexicon für Antike und Christentum, begrundet von F.J. Dolger-
Th. Klauser-H. Kruse-H. Lietzmann-J.H. Waszink, hrsgg. von Th.
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Rader
M. Valeri Martialis Epigrammaton libri omnes, novis commentariis
38 Abbreviazioni bibliografiche

multa cura studioque confectis explicati, illustrati, rerumque et verborum,


lemmatum item et communium locorum variis et copiosis indicibus
aucti a Matthaeo Radero, de Societate Iesu, Ingolstadii 1602.
Ramirez de Prado
M. Valerii Martialis Epigrammatum Libri XV, Laurentii Ramirez
de Prado Hispani novis commentariis illustrati. Cum indice omnium
verborum Iosephi Langii Caesaremont. et aliis indicibus locupletissimis,
Parisiis apud Claudium Morellum 1607.
RE
Paulys Real-Encyclopädie der klassischen Altertumswissenschaft,
hrsgg. von G. Wissowa-W. Kroll-K. Witte-K. Mittelhaus-K. Ziegler,
Stuttgart-München 1893-1978.
Reeve 1980
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Reeve 1983
M. Reeve, Martial, in L.D. Reynolds (ed.), Texts and Transmission. A
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Renn 1888-89
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Richlin 1992
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Romano
Q. Orazio Flacco, Le Opere, I 2, Le Odi, il Carme Secolare, gli Epodi,
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Ronconi 1940
A. Ronconi, Per la storia del diminutivo latino. Studi esegetici e
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Ronconi 1971
A. Ronconi, Studi catulliani, Brescia 19712 (Bari 19531).
Rooy
Congetture di Antony de Rooy desunte da Schneidewin1.
Roscher
W.H. Roscher, Ausführliches Lexicon der griechischen und römischen
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Saggese 1995
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Salanitro 1991
M. Salanitro, Il sale romano degli epigrammi di Marziale, «A&R» 36,
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Salanitro 1991-92
M. Salanitro, Un’espressione della lingua dell’uso e la vanità della
toga in Marziale, «InvLuc» 13-14, 1991-92, pp. 281-288.
Salanitro 2002
M. Salanitro, Testo critico ed esegesi in Marziale (con note di discussione
di Antonio La Penna), «Maia» 54, 2002, pp. 557-576.
Salanitro 2003
M. Salanitro, Una statua assassina (Mart., 3, 19), «A&R» 48, 2003, pp.
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Salemme 1998
C. Salemme, Marziale, in EO III, pp. 44-46.
Saller 1983
R.P. Saller, Martial on Patronage and Literature, «CQ» 33, 1983, pp.
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Sanders, Gallos
G.M. Sanders, Gallos, in RAC VIII 984-1034.
Sauter 1934
F. Sauter, Der römische Kaiserkult bei Martial und Statius, Stuttgart-
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SB
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SB 1

M. Val. Martialis epigrammata, post W. Heraeum edidit D.R.


Shackleton Bailey, Stutgardiae 1990.
SB 2

Martial, Epigrams, edited and translated by D.R. Shackleton Bailey,


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40 Abbreviazioni bibliografiche

Scàndola-Merli
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Schanz-Hosius
Geschichte der römischen Literatur, von M. Schanz, II4, neuarbeitet
von C. Hosius, München 1935.
Scherf 2001
J. Scherf, Untersuchungen zur Buchgestaltung Martials, München-
Leipzig 2001.
Schilling 1949
R. Schilling, Une allusion au rite des Arréphories dans un passage de
Martial (III 68, 8), in Mélanges d’archéologie et d’histoire offerts à Ch.
Picard, II, Paris 1949, pp. 946-950 (= Schilling 1979, pp. 149-153).
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R. Schilling, Rites, cultes, dieux de Rome, Paris 1979.
Schmid 1984
W. Schmid, Spätantike Textdepravationen in den Epigrammen
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Erbse und J. Küppers, Berlin-New York 1984, pp. 400-443.
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W.J. Schneider, Ein Sprachspiel Martials, «Philologus» 144, 2000, pp.
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Schneidewin
Schneidewin1 e Schneidewin2.
Schneidewin1
M. Val. Martialis epigrammaton libri, Edidit F.G. Schneidewin,
Grimae 1842 (editio maior).
Schneidewin2
M. Val. Martialis epigrammaton libri, Ex recensione sua denuo
recognita edidit F.G. Schneidewin, Lipsiae 1853 (editio minor).
Schöffel
Ch. Schöffel, Martial, Buch 8, Einleitung, Text, Übersetzung,
Kommentar, Stuttgart 2002.
Schrevel
M. Valerii Martialis Epigrammata, cum notis Farnabii et variorum,
geminoque indice tum rerum tum auctorum, accurante Cornelio
Schreveli, Lugduni Batavorum apud Franciscum Hackium 1656.
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Schubert 1998
C. Schubert, Studien zum Nerobild in der lateinischen Dichtung der
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Schulze 1933
W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlin 1933.
Schuster 1926
M. Schuster, Kritische und erklärende Beiträge zu Martial, «RhM» 75,
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Scriverius
M. Val. Martialis nova editio ex museo Petri Scriveri, Lugduni
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P. Scriverii Animadversiones in Martialem. Opus iuvenile et nunc
primum ex intervallo quindecim annorum repetitum, Lugduni
Batavorum apud Ioannem Maire 1618.
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D.R. Shackleton Bailey, Corrections and explanations of Martial,
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D.R. Shackleton Bailey, More corrections and explanations of Martial,
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München 1971).
46 Abbreviazioni bibliografiche
Introduzione 47

INTRODUZIONE

1. Il terzo libro degli epigrammi: l’‘esilio’ di Marziale

Il terzo libro degli epigrammi costituisce un caso quasi unico all’interno


dell’ampia produzione del poeta di Bilbilis: esso viene infatti composto
e pubblicato da Marziale mentre si trova lontano da Roma (nella Gallia
Cispadana)1. L’eccezionalità della situazione è evidenziata tramite un
cospicuo gruppo di componimenti proemiali2. Nell’epigramma di apertura
del libro il poeta, rivolgendosi al generico lettore romano, presenta l’opera
come proveniente dalla Gallia togata (2 Gallia Romanae nomine dicta
togae) e immagina che sarà apprezzata meno del suo precedente libro3,
proprio perché ‘provinciale’4. L’anomalia della pubblicazione, che avviene
in assenza del poeta da Roma, è ribadita negli altri epigrammi proemiali,
in cui Marziale si rivolge al proprio libro personificato5 fornendogli
indicazioni su come dovrà rispondere alle domande che gli verranno poste
(epigr. 4) e su dove dovrà recarsi per avere ospitalità (epigr. 5): 4, 1 sg.
Romam vade liber: si, veneris unde, requiret, / Aemiliae dices de regione
viae; 5, 1 sg. sine me cursurus in urbem, / parve liber. Non solo: nei
tre epigrammi con cui invia il libro a Roma (1; 4; 5; l’epigr. 2, dedica a
Faustino, presenta una diversa tipologia, per cui vd. p. 57), il poeta indirizza
i suoi lettori, attraverso una serie di allusioni testuali, verso un modello a

1
Il solo altro caso di pubblicazione fuori da Roma, solo per certi versi paragonabile a
questo, è quello del XII libro, l’ultimo, che Marziale scrive dopo il suo definitivo ritorno
in Spagna.
2
1; 2; 4; 5 (l’epigr. 3 è concordemente considerato spurio): su questi epigrammi vd. Merli
1993, p. 240; Scherf 2001, p. 28 sg.
3
Il v. 3 hunc legis et laudas librum fortasse priorem è stato lungamente dibattuto tra gli
interpreti, ma, come sostenuto da Citroni, p. XIV, Marziale si riferisce probabilmente al
libro II. Per le altre ipotesi e per la discussione della questione vd. la n. ad loc.
4
La pointe dell’epigramma è costruita sul motivo dell’inferiorità di ciò che è ‘provinciale’
nei confronti di ciò che è ‘urbano’ (vd. la n. al v. 6).
5
Sul largo uso da parte di Marziale del modulo dell’apostrofe al libro, inaugurato da Orazio
con l’epistola I 20 e sviluppato in modo originale da Ovidio nelle elegie dell’esilio, vd.
Citroni 1986, p. 136 sgg.
48 Alessandro Fusi

loro di certo ben noto: Ovidio, e, più precisamente, l’Ovidio dell’esilio6. La


trama allusiva appare evidente nell’epigramma di presentazione del libro,
che si apre con un verso (hoc tibi, quidquid id est, longinquis mittit ab
oris) intessuto di elementi ovidiani: la formula incipitaria (hoc tibi) e il verbo
di invio (mittit) richiamano Pont. I 1, 2 hoc tibi de Getico litore mittit
opus, epistola di presentazione dell’opera; quidquid id est è l’espressione
con la quale Ovidio, nella stessa epistola, mostra di deprezzare le sue elegie
dell’esilio (I 1, 21 quidquid id est, adiunge meis). Marziale inoltre definisce
la Gallia Cisalpina, regione da cui invia l’opera, una terra lontana (longinquis
… ab oris), utilizzando l’attributo usato da Ovidio a proposito del Ponto:
cfr. trist. III 1, 26 longinquo referam lassus ab orbe pedem7. Anche l’idea
espressa in chiusura di epigramma della necessaria inferiorità di un libro
‘straniero’ (Gallus) rispetto a quello composto nella domina urbs riprende
la convinzione, espressa più volte da Ovidio, che i libri scritti in esilio non
siano all’altezza dei precedenti (cfr., ad es., trist. I 1, 35 sgg.; 11, 35 sgg.; IV
1, 1 sgg.). Ancora a Ovidio rimandano l’incipit dell’epigr. 4 (Romam vade,
liber ~ trist. I 1, 15 vade liber), come anche l’idea del dialogo tra il libro
personificato e la città (cfr. trist. III 1), e di iuncturae ovidiane è costellato
l’epigr. 5 (cfr., ad es., v. 1 sine me cursurus in urbem ~ trist. I 1, 1 sine me
liber ibis in urbem; 2 parve liber ~ trist. I 1, 1 parve … liber; per altri
contatti vd. le nn. all’epigr.). Marziale presenta dunque il proprio soggiorno
nella Cisalpina come una sorta di esilio in terre remote.

6
Ovidio è probabilmente, insieme a Catullo, il poeta più imitato da Marziale: un’idea, per lo
più ‘quantitativa’, dell’influenza del poeta di Sulmona si può ricavare dai numerosissimi loci
similes raccolti nel corso dei decenni: vd. A. Zingerle, Martials Ovidstudien, Innsbruck
1877; E. Wagner, De M. Valerio Martiale poetarum Augusteae aetatis imitatore, Diss.
Königsberg 1880 (studio confluito nell’apparato di loci similes di Friedlaender); E.
Siedschlag, Ovidisches bei Martial, «RFIC» 100, 1972, pp. 156-161; Fletcher 1983; di un
caso particolare di allusione ovidiana mi sono occupato nell’articolo Marziale e la fama
di Ovidio (Nota a Mart. 5, 10), «RFIC» 128, 2000, pp. 313-322. L’influenza delle opere
ovidiane dell’esilio sul formulario di invio dei libri è stata evidenziata da Citroni nel suo
studio sull’apostrofe al libro, modulo di cui Marziale fa ampio uso (Citroni 1986). Sui
contatti con l’Ovidio dell’esilio vd. anche Pitcher 1998, pp. 59-72.
7
Oltre che in questo passo l’attributo longinquus, di uso prevalentemente prosastico, ricorre
in Ovidio soltanto un’altra volta ancora in un’opera dell’esilio e in riferimento, seppure in
modo meno preciso, al Ponto: Ibis 145 sg. sive per immensas iactabor naufragus undas, /
nostraque longinquus viscera piscis edet. Forse l’individuazione di un sottotesto ovidiano
ha suggerito all’umanista che ha postillato di correzioni il codice f la variante quo … orbe
in luogo di qua … urbe in 4, 3 si quibus in terris, qua simus in urbe rogabit.
Introduzione 49

Una spiegazione sulle cause di questo autoesilio è fornita dal poeta


nell’epigr. 4, un’apostrofe al proprio libro personificato, che istruisce sulle
informazioni che dovrà dare al suo arrivo a Roma: in questi versi, oltre a
specificare con precisione dove si trovi al momento della pubblicazione
del libro, Marziale chiarisce per quali ragioni si sia allontanato da Roma:
si quibus in terris, qua simus in urbe, rogabit, / Corneli referas me licet
esse Foro. / cur absim, quaeret, breviter tu multa fatere: / ‘non poterat
vanae taedia ferre togae’ (2-6). Egli invia dunque il libro da Forum Corneli
(l’odierna Imola), dove si è recato poiché non riusciva a sopportare i
vanae taedia togae. Per quanto riguarda il suo rientro a Roma, il poeta dà
al libro queste indicazioni: ‘quando venit?’ dicet: tu respondeto: ‘Poeta /
exierat: veniet, cum citharoedus erit’ (7 sg.). Egli ha dunque abbandonato
temporaneamente Roma perché stanco delle fatiche di cliente, di cui la toga
rappresenta la divisa e il simbolo, e vi farà ritorno, come afferma con amara
ironia, soltanto quando sarà divenuto citaredo, ovvero quando potrà svolgere
una professione in grado di arricchirlo8. Nell’allontanamento di Marziale da
Roma non bisogna vedere nulla di traumatico e definitivo9, come dimostra il
fatto che il libro viene inviato a Roma e al lettore romano senz’altro si rivolge
il poeta: Roma rimane sempre la Musa ispiratrice di Marziale e il soggiorno
in Cispadana non influisce in misura significativa sulla sua poesia (vd. p. 61
sg.). Un certo peso nella scelta di Marziale ebbe senz’altro il peggioramento
della condizione dei clienti, in conseguenza di un editto di Domiziano che
aboliva la sportula, il donativo di cento quadranti distribuito dai patroni ai
loro clienti, per restaurare l’antica consuetudine della recta cena10. Il tema
dell’abolizione della sportula occupa uno spazio significativo nel libro (cfr.
epigr. 7; 14; 30; 60) ed è plausibile che con l’espressione vanae taedia togae
il poeta alluda specificamente all’assenza del donativo11.

8
Il mestiere di citaredo era molto redditizio. L’affermazione non va naturalmente presa alla
lettera, come hanno fatto alcuni studiosi, ma va inquadrata nel tema, ricorrente nell’opera
di Marziale, della povertà del poeta, spesso in contrasto con la ricchezza di personaggi di
umili origini (vd. la n. ad loc.).
9
Certamente Marziale non intendeva chiudere ad Imola i propri giorni, come sostengono
E. Paratore (La letteratura latina dell’età imperiale, nuova edizione aggiornata, Firenze-
Milano 1969, p. 156) e Norcio 1960, p. 187 sg.; quest’ultimo ha successivamente attenuato
la sua posizione: vd. Norcio, p. 14.
10
Cfr. Suet. Dom. 7, 1; vd. Gsell 1894, p. 86.
11
Vd. Salanitro 1991-92, p. 286 sgg. e la mia n. al verso.
50 Alessandro Fusi

Marziale decise quindi di riposarsi per qualche tempo dalla vita


caotica dell’Urbe, approfittando probabilmente dell’invito di un patrono12.
Shackleton Bailey13 si domanda se il poeta, ospite di qualche patrono,
avrebbe mancato di menzionarlo e ritiene possibile che gli fosse stata
affidata la gestione di qualche proprietà o qualche affare. L’obiezione è
a mio avviso valida e ritengo che un’analisi approfondita del libro possa
dimostrare che Marziale ha effettivamente menzionato e ringraziato a suo
modo colui che l’aveva ospitato (vd. § 3).
La peculiare situazione in cui il libro viene composto14 e pubblicato si
riflette nel contenuto dei suoi epigrammi, che non presentano allusioni ad
avvenimenti storici contemporanei, con la conseguente difficoltà per gli
studiosi di stabilire una datazione certa del libro. Non vi sono epigrammi
celebrativi o adulatori nei confronti dell’imperatore, che viene menzionato
indirettamente soltanto nell’epigr. 95, in cui all’effeminato Nevolo, che
si comporta in modo altezzoso nei suoi confronti15, Marziale ricorda i
privilegi ottenuti da Tito e da Domiziano grazie alla sua poesia: praemia
laudato tribuit mihi Caesar uterque / natorumque dedit iura paterna
trium (5 sg.); vidit me Roma tribunum / et sedeo qua te suscitat Oceanus.
/ quot mihi Caesareo facti sunt munere cives, / nec famulos totidem
suspicor esse tibi (9-12). Tale assenza di versi che celebrino l’imperatore
va ricondotta alla situazione contingente che lo vede pubblicare il libro
fuori da Roma e alla posizione del poeta, non ancora stabilmente inserito
nella cerchia dei poeti di corte; è stato infatti giustamente evidenziato16
come la presenza dell’imperatore nei primi libri di Marziale sia piuttosto
limitata: nel I libro Marziale si rivolge a Domiziano in modo estremamente
cauto17, senza dedicargli il libro, ma chiedendo tolleranza per i suoi epi-

12
Di questa opinione sono, ad es., Izaac, I, p. XIII; Citroni 1987, p. 143; Sullivan 1991, p.
30 sg.
13
SB2, I, p. 3 n. 8.
14
Naturalmente il libro potrà contenere epigrammi scritti precedentemente all’allonta-
namento di Marziale da Roma e non ancora pubblicati in un libro. Questo non incide
tuttavia sulla valutazione complessiva del libro ‘cispadano’.
15
1 sg. numquam dicis ‘have’ sed reddis, Naevole, semper, / quod prior et corvus dicere
saepe solet.
16
Vd. Citroni 1988, p. 17 sgg.; Merli 1993, p. 237 sgg.
17
I 4, 1 sg. contigeris nostros, Caesar, si forte libellos, / terrarum dominum pone super-
cilium.
Introduzione 51

grammi lascivi18. Gli altri epigrammi del libro per Domiziano sono quelli
del ciclo dei leoni e delle lepri, che probabilmente Marziale aveva già
presentato all’imperatore19. Nel libro II Marziale celebra l’assunzione
da parte di Domiziano del titolo di Germanicus (epigr. 2), che risaliva
a circa tre anni prima della pubblicazione del libro20; l’epigramma era
stato dunque certamente presentato in precedenza all’imperatore; i
soli due altri epigrammi che riguardano l’imperatore sono II 91 e 92, il
primo una richiesta del ius trium liberorum, il secondo uno scherzoso
ringraziamento per l’adempimento del suo voto (anche questi due
epigrammi risalgono certamente a vari anni prima della pubblicazione del
libro, poiché Domiziano aveva confermato al principio del suo regno i
privilegi conferiti da Tito).
Non deve perciò stupire la quasi completa assenza dell’imperatore dal
libro, tenuto conto anche del fatto che una sezione cospicua di esso (epigr.
68-100) è riservata a epigrammi di carattere licenzioso, caratterizzati da
linguaggio esplicito, come Marziale si preoccupa di dichiarare in una
sorta di ‘proemio al mezzo’ (epigr. 68). L’allontanamento di Marziale, se
pure ebbe tra le sue cause l’abolizione della sportula, non si configurò
certo come una critica esplicita all’editto dell’imperatore, come testimonia
il sempre maggiore avvicinamento a Domiziano che si nota a partire
proprio dal libro IV che, pur non formalmente dedicato all’imperatore,
ne celebra in apertura il genetliaco (IV 1) e contiene numerosi epigrammi
adulatori21. Il V libro, formalmente dedicato all’imperatore, segnerà la
definitiva affermazione di Marziale come poeta di prestigio nella Roma di
Domiziano22.

18
I 4, 5-8 qua Thymelen spectas derisoremque Latinum, / illa fronte precor carmina
nostra legas. / innocuos censura potest permittere lusus: / lasciva est nobis pagina, vita
proba.
19
Vd. Citroni, p. XXIV sg.; Citroni 1988, p. 18.
20
Viene collocata tra il 9 giugno e il 28 agosto dell’83: vd. T.V. Buttrey, Documentary
Evidence for the Chronology of the Flavian Titulature, Meisenheim am Glan 1980, p. 52
sgg.; Marziale ne fa menzione già negli Xenia: serus ut aetheriae Germanicus imperet aulae
/ utque diu terris, da pia tura Iovi (XIII 4).
21
Vd. Citroni 1988, p. 19 sgg.
22
Vd. Citroni 1988, p. 21 sgg.
52 Alessandro Fusi

2. La cronologia del libro

Il libro, come già ricordato, non contiene riferimenti a eventi storici


contemporanei e perciò gli elementi per una datazione sono quanto
mai incerti23. Un sicuro terminus ante quem è il 24 ottobre 88, data del
genetliaco di Domiziano, che Marziale celebra in IV 124: senz’altro a
quella data il libro III doveva essere già stato pubblicato, poiché altrimenti
Marziale non avrebbe mancato di inserirvi un componimento celebrativo
così attuale e rilevante. Il terminus post quem è costituito dalla data di
pubblicazione del II libro, anch’essa però difficilmente individuabile con
precisione: Friedlaender (I, p. 54), accogliendo l’ipotesi di Stobbe 1867, p.
62 sg., riteneva che i primi due libri di epigrammi fossero stati pubblicati
congiuntamente verso la fine dell’85 o agli inizi dell’8625. Citroni (p. IX
sgg.), rifiutando, credo con buone ragioni, l’ipotesi di edizione congiunta,
pone la pubblicazione del I libro agli inizi dell’86 e quella del II tra l’86 e
l’87. Egli ritiene comunque verosimile che Marziale possa aver pubblicato
il II libro a breve distanza dal I, sull’onda del successo ottenuto, utilizzando
epigrammi scritti in precedenza, che per ragioni di spazio non erano
potuti entrare nel libro26. È pertanto ragionevole pensare che all’inizio
dell’87 Marziale avesse pubblicato i suoi primi due libri di epigrammi. La
pubblicazione del libro III si colloca dunque in un arco di tempo che va
dall’inizio dell’87 al 24 ottobre dell’8827.

23
Punto di partenza per le ricerche sulla cronologia dei libri di Marziale è la Einleitung
dell’edizione di Friedlaender (I, pp. 50-67). Importanti contributi sono stati recati da Citroni:
vd. l’introduzione del commento al I libro (pp. IX-XXI); Citroni 1988, p. 11 sgg.; Citroni
1989, pp. 214-225; vd. anche Syme 1978, pp. 12-21; Syme 1980, p. 43 sg.; A. Canobbio,
Sulla cronologia del V libro di Marziale, «Athenaeum» 82, 1994, pp. 540-550, rielaborato
con aggiornamenti in Canobbio 2002, pp. 44-52.
24
L’anno è garantito dalla menzione dei Ludi Saeculares (v. 7 sg.), che furono celebrati
nell’88. Come data per la pubblicazione del libro IV si possono assumere i Saturnali dell’88
(vd. Friedlaender, I, p. 55 sg.; Citroni 1989, pp. 217-220); R. Syme sposta la data al gennaio
89 in considerazione della rivolta di Antonio Saturnino, ricordata in IV 11 e scoppiata il
primo gennaio 89 (Syme 1978, pp. 12-21; Syme 1980, p. 43 sg.).
25
L’ipotesi nasce da un’esegesi poco persuasiva di III 1, 3: vd. la n. ad loc.
26
Citroni 1987, p. 138 n. 7. L’ipotesi riceve conforto da un dato statistico: il libro II è,
quanto al numero dei versi, il più breve fra i dodici di Marziale (546 contro una media di
circa 700; vd. le statistiche in Scherf 2001, p. 107 sgg.).
27
A questa cronologia ampia si è limitato Friedlaender, I, p. 54 sg.
Introduzione 53

L’unico tentativo di stabilire una cronologia più precisa è stato


compiuto da Citroni 198728, le cui conclusioni, tenuto conto della scarsità
dei dati oggettivi, sono perfettamente plausibili. Dalle osservazioni di
Citroni è pertanto opportuno prendere le mosse. L’epigr. 6 è dedicato alla
depositio barbae del giovane Marcellino e al compleanno del padre, amico
di Marziale: la festa si celebra il 17 maggio29. La collocazione dell’epigramma
in posizione di rilievo, subito dopo la serie proemiale, suggerisce che
esso descriva una situazione piuttosto attuale, altrimenti l’omaggio
perderebbe il suo valore. Tra le due possibilità (87 o 88) Citroni 1987, p.
140 propende per il 17 maggio dell’87 sulla base di questa considerazione:
il IV libro contiene espliciti riferimenti a un soggiorno estivo di Marziale
in Campania30; Marziale deve perciò aver lasciato la Cispadana nei primi
mesi dell’88 per aver avuto il tempo di tornare a Roma e ricevervi gli inviti
per l’estate sul golfo di Napoli.
Gli inizi dell’88 costituiscono dunque per Citroni un terminus ante
quem per la pubblicazione del III libro. In IV 25 Marziale parla con
entusiasmo del litorale veneto tra Altino e Aquileia, paragonandolo
a Baia e auspicando che possa un giorno essere il porto della sua vec-
chiaia; l’escursione non sarà avvenuta nei mesi più freddi: il marzo 88
comporterebbe tempi troppo ristretti per il rientro a Roma per riallacciare
i rapporti con gli amici e ricevere gli inviti per l’estate; perciò si può
collocare nell’ottobre 87; la pubblicazione del III libro si può collocare
poco prima: nel settembre-ottobre 87. Nell’epigr. 20 Marziale chiede alla
Musa cosa stia facendo l’amico Canio Rufo, se sia a Roma o sia già partito
per Baia31. Poiché è naturale che Marziale lo abbia scritto fuori da Roma,
probabilmente tra fine febbraio e inizio marzo (poco prima dell’inizio della
stagione balneare a Baia32), Citroni ritiene che Marziale potesse trovarsi in
Cispadana già nel febbraio 87.
Tale ipotesi (settembre-ottobre 87) è senz’altro verosimile, tenuto
conto della scarsezza dei dati oggettivi33; tuttavia mi sembra che si possa
discutere uno dei presupposti su cui essa si fonda e riesaminare la questione.

28
La sua ipotesi è riassunta in Citroni 1989, p. 222 sg. n. 38.
29
6, 1 lux tibi post Idus numeratur tertia Maias.
30
Come già osservato da Friedlaender, I, p. 56.
31
19 sg. an aestuantis iam profectus ad Baias / piger Lucrino nauculatur in stagno?
32
Vd. Friedlaender, SR II 94, 6.
33
La condivide Sullivan 1991, p. 30, secondo il quale il libro «was published late in 87».
54 Alessandro Fusi

Citroni ritiene che Marziale debba aver lasciato la Cispadana nei primi mesi
dell’88 per avere il tempo di tornare a Roma e ricevere gli inviti per l’estate
sul golfo di Napoli. Questo terminus ante quem può forse essere messo
in discussione: nell’epigr. 58 Marziale descrive la villa a Baia dell’amico
Faustino, dedicatario del libro (cfr. epigr. 2); si tratta dell’epigramma più
lungo dell’intero corpus marzialiano (51 vv.), collocato in posizione di rilievo
quasi al centro del libro. Il componimento, che testimonia di un soggiorno
invernale34 a Baia, successivo al libro II35, costituisce un elaborato omaggio
al patrono: la singolare collocazione di un lungo epigramma dedicato alla
villa di Baia nel libro ‘cispadano’ non sarà completamente disinteressata36;
poiché, come cerco di dimostrare nel § 3, ritengo che Faustino sia stato
ospite di Marziale durante il suo soggiorno cispadano, l’indubbio legame
stabilito nel periodo con il patrono e l’esplicito omaggio alla sua villa
baiana, all’interno di un libro a lui dedicato37, rendevano probabilmente
superfluo un ritorno a Roma nei primi mesi dell’88 per ottenere gli inviti
per l’estate. Una conferma sembra venire da IV 57: nell’epigramma, scritto
in estate a Baia38, Marziale si rivolge a Faustino, che è invece a Tivoli39;
egli lamenta l’oppressiva calura e si autoinvita con eleganza nella fresca
località laziale40. È probabile che Marziale si trovasse nella villa di Faustino
a Baia (come ritiene lo stesso Citroni, p. 85 sg.). Se questa ricostruzione
della vicenda cogliesse nel segno, verrebbe a cadere il terminus ante quem
dei primi mesi dell’88. Mi sembra anzi che l’88 possa essere considerato
più probabile come anno di pubblicazione41. Innanzitutto, se è vero che

34
Cfr. v. 8 sg. hic post Novembres imminente iam bruma / seras putator horridus refert uvas.
35
Per la riconosciuta tendenza da parte di Marziale a collocare gli epigrammi nel primo
libro utile, per evitare che perdano in attualità.
36
È significativo che Marziale apostrofi Faustino in un distico nel quale lamenta la mancata
ricompensa da parte di un tale adulato in un suo epigramma: laudatus nostro quidam,
Faustine, libello / dissimulat, q u a s i n i l d e b e a t : imposuit (V 36). Senz’altro ben
diverso doveva essere il comportamento del patrono.
37
Faustino è menzionato nel libro ancora negli epigr. 25; 39; 47.
38
1 sg. dum nos blanda tenent lascivi stagna Lucrini / et quae pumiceis fontibus antra
calent.
39
3 sg. tu colis Argei regnum, Faustine, coloni, / quo te bis decimus ducit ab urbe lapis.
40
7-10 ergo sacri fontes et litora grata valete, / Nympharum pariter Nereidumque domus.
/ Herculeos colles gelida vos vincite bruma, / nunc Tiburtinis cedite frigoribus.
41
Pone la pubblicazione del libro nell’88 anche Norcio 1960, p. 185 n. 4, senza tuttavia
sostenere l’ipotesi con alcuna argomentazione.
Introduzione 55

Marziale pubblicò durante la sua carriera circa un libro l’anno42, sembra


più naturale pensare che un cambiamento di residenza significativo abbia
portato un rallentamento dei tempi di composizione e che sia trascorso
più tempo fra la pubblicazione del II libro e quella del III di quanto ne
sia passato tra il III e il IV (secondo l’ipotesi di Citroni un anno e qualche
mese tra il III e il IV; meno di un anno tra il II e il III). Si potrebbe obiettare
che la libertà dagli obblighi clientelari consentisse a Marziale un lavoro più
intenso e tempi di pubblicazione più ristretti del solito. Significativo in
tal senso è però il libro XII, che Marziale pubblica ben tre anni dopo il
precedente, giustificando il periodo di inattività proprio con l’assenza da
Roma, che aveva lasciato, ormai stanco e disilluso, ma che costituiva la
fonte unica della sua poesia43.
Un altro elemento sembrerebbe confortare l’ipotesi di una pubblica-
zione nell’88: si è già detto dello spazio riservato nel libro al tema
dell’abolizione della sportula; Marziale descrive la vita dei clienti in seguito
all’editto di Domiziano: l’epigr. 7 ricrea i momenti che seguirono alla deci-
sione dell’imperatore; l’epigr. 14 narra di un indigente che viene a Roma
dalla Spagna, ma ricevuta la notizia dell’abolizione della sportula se ne torna
indietro; l’epigr. 30 analizza la difficoltà per un cliente di vivere a Roma
senza sportula; l’epigr. 60 descrive la misera cena che viene offerta da un
patrono in luogo del donativo. Marziale dunque sperimentò per qualche
tempo la vita da cliente secondo le nuove disposizioni dell’imperatore.
Poiché il libro II non contiene riferimenti alla sportula, la sua abolizione
andrà collocata successivamente alla pubblicazione del libro44; se dunque

42
È lui stesso ad affermarlo in X 70, 1 sg. quod mihi vix unus toto liber exeat anno /
desidiae tibi sum, docte Potite, reus. L’espressione non va naturalmente presa alla lettera.
43
Sono rivelatrici le parole rivolte al dedicatario Prisco nell’epistola prefatoria del libro:
cfr. XII epist. 1 sgg. scio me patrocinium debere contumacissimae trienni desidiae; […]
accipe ergo rationem. in qua hoc maximum et primum est, quod civitatis aures, quibus
adsueveram, quaero et videor mihi in alieno foro litigare; si quid est enim quod in li-
bellis meis placeat, dictavit auditor: illam iudiciorum subtilitatem, illud materiarum
ingenium, bibliothecas, theatra, convictus, in quibus studere se voluptates non sentiunt,
ad summam omnium illa quae delicati reliquimus desideramus quasi destituti.
44
Si veda in particolare III 7, che descrive i momenti immediatamente successivi all’editto
di Domiziano; se questo fosse precedente al II libro, Marziale non avrebbe ritardato fino
al libro successivo l’inserimento di un epigramma che considerava rilevante; cfr. anche III
14, in cui l’esuritor Tuccio riceve arrivando a Roma la notizia dell’abolizione della sportula,
che quindi doveva essere recente.
56 Alessandro Fusi

si accetta la fine dell’86 o inizio dell’87 come data di pubblicazione del


libro II, i tempi sembrano essere troppo ristretti perché Marziale potesse
trovarsi in Cispadana già nel febbraio-marzo 87, come presuppone la
cronologia di Citroni. L’estate-inizio autunno dell’87 potrebbe essere una
data plausibile per la partenza di Marziale45; l’epigr. 20 tradisce la nostalgia
del poeta per i luoghi dell’Urbe che era solito frequentare con l’amico
Canio Rufo e sarà stato scritto quando il poeta mancava da Roma da
qualche mese (forse nel febbraio-marzo 88); l’epigr. 6 celebrerà la festa del
17 maggio 88 e la pubblicazione del libro si deve immaginare non lontana
da questa data. L’escursione in Veneto cui si fa riferimento in IV 25 può
essere avvenuta nella tarda primavera dell’88 o in estate, in ogni caso dopo
la pubblicazione del libro III46. L’epigr. 67, che descrive una gita in barca
nei dintorni di Forum Corneli, può essere uno degli ultimi composti47
oppure risalire all’estate dell’87. Un ultimo piccolo elemento: in III 95, 9
sg. (vidit me Roma tribunum / et sedeo qua te suscitat Oceanus) Marziale
ricorda con orgoglio il titolo di tribunus semestris che gli garantiva il
diritto di proedria a teatro, mentre il Nevolo bersaglio dell’epigramma
viene cacciato dal dissignator theatralis dal posto al quale non ha diritto.
La situazione descritta si differenzia da quella presupposta in II 29, in cui
un parvenu di origine servile può sedere tranquillamente nelle prime file,
e sembra attestare, già al momento della pubblicazione del libro terzo, una
disciplina più rigida per i posti a teatro (cfr. anche IV 67, 3 sg.). Il diritto

45
La data può essere posticipata se si colloca il soggiorno a Baia attestato dall’epigr. 58
nell’inverno dell’87. Sulla durata del soggiorno di Marziale in Cispadana ha ragione Citroni
1987, p. 138 a sottolineare che deve essere stato piuttosto lungo, se Marziale vi pubblicò
anche un libro. Forse qualche indicazione più precisa può essere desunta da IV 26: quod
te mane domi toto non vidimus anno, / vis dicam quantum, Postume, perdiderim? /
tricenos, puto, bis, vicenos ter, puto, nummos. / ignosces: togulam, Postume, pluris emo.
Anche se il destinatario è probabilmente fittizio, l’epigramma può contenere elementi reali
e rivelare, senza pretese di rigore, la durata del soggiorno di Marziale in Cispadana. Non
sarà casuale che l’epigramma segua nel libro quello, già ricordato, che loda le bellezze
del litorale veneto: alla rievocazione del periodo trascorso fuori Roma fa da pendant un
epigramma che sottolinea gli obblighi clientelari cui Marziale si è sottratto in quei mesi.
46
Friedlaender (I, p. 55) riteneva che IV 25 potesse essere stato composto al momento
della pubblicazione del libro III e che Marziale ne avesse per qualche ragione rinviato la
pubblicazione al libro successivo, ma tale ipotesi è giustamente considerata scarsamente
probabile da Citroni 1987, p. 140 n. 11.
47
Sarebbe in tal caso significativa la sua collocazione nel libro a chiusura della sezione
‘casta’, quasi fosse un commiato dai luoghi dove ha trascorso i mesi precedenti.
Introduzione 57

di proedria a teatro sarà successivamente ratificato dall’editto domizianeo


che restaurava la lex Roscia theatralis (del 67 a.C.), in base alla quale alle
persone di nascita libera e censo equestre venivano riservate le prime
quattordici file a teatro. Il tema riceverà ampio sviluppo nel libro quinto
(pubblicato verosimilmente durante i Saturnali dell’89; sul ciclo dedicato
da Marziale all’argomento vd. Canobbio 2002). La presenza del motivo
in questo libro potrebbe pertanto confortare l’ipotesi di pubblicazione
nell’88 piuttosto che nell’anno precedente.

3. L’ospite di Marziale

Shackleton Bailey ha correttamente osservato che, se Marziale avesse


usufruito dell’invito di un amico o di un patrono in Cispadana, difficilmente
avrebbe fatto a meno di menzionare il suo ospite. Ora, sebbene manchi un
ringraziamento esplicito, ritengo che ci siano validi motivi per affermare che
l’ospite del poeta fu il suo patrono e amico Faustino48. Egli è formalmente il
dedicatario del libro e questo è già un elemento significativo. Nell’epigramma
di dedica (2) Marziale si rivolge direttamente al libro e gli chiede a chi desideri
essere donato, raccomandandogli di scegliere un patrono autorevole, se non
vuole fare una brutta fine49. Quindi immagina che il libro abbia scelto e se ne
congratula con lui: Faustini fugis in sinum? sapisti (6). L’espressione descrive
un’azione immediata: il libro si rifugia nel sinus della veste di Faustino, che
sembra dunque essere presente. In modo diverso negli altri epigrammi
di dedica del libro Marziale sottolinea la lontananza dal destinatario o il
percorso che il libro dovrà compiere per giungere a Roma: cfr. 1, 1 sg. hoc
tibi, quidquid id est, longinquis mittit ab oris / Gallia Romanae nomine
dicta togae; 4, 1 Romam vade, liber; 5, 1 sg. vis commendari sine me
cursurus in urbem, / parve liber, multis, an satis unus erit?; 5, 5 protinus
hunc primae quaeres in limine Tectae; 100, 1 sg. cursorem sexta tibi, Rufe,
remisimus hora, / carmina quem madidum nostra tulisse reor. Marziale
dedicherà a Faustino anche il libro IV: cfr. IV 10, 1-4 dum novus est nec
adhuc rasa mihi fronte libellus, / pagina dum tangi non bene sicca timet,

48
L’ipotesi è prospettata con estrema cautela da Citroni 1987, p. 155 sg.
49
1-5 cuius vis fieri, libelle, munus? / festina tibi vindicem parare, / ne nigram cito raptus
in culinam / cordylas madida tegas papyro / vel turis piperisve sis cucullus.
58 Alessandro Fusi

/ i puer et caro perfer leve munus amico, / qui meruit nugas primus
habere meas. I versi esprimono riconoscenza all’amico e, dal momento
che, secondo la cronologia sopra proposta (§ 2), il libro IV fu pubblicato
in tempi piuttosto vicini al III, è plausibile leggere nel componimento la
gratitudine per l’ospitalità ricevuta (cfr. in particolare il v. 4 qui m e r u i t
nugas p r i m u s habere meas). L’epigramma più lungo ed elaborato del
libro terzo (e dell’intero corpus marzialiano) descrive, come ho già avuto
occasione di dire, la villa di Faustino a Baia (epigr. 58). Si è già accennato
all’epigr. 6, che celebra il taglio della barba di Marcellino e il compleanno
del padre, amico di Marziale; da VI 25, scritto mentre Marcellino si trova in
servizio nelle province del nord, impegnato in operazioni militari, emerge
il rapporto di amicizia che lega Marziale al padre del ragazzo50. In VII
80, ormai conclusasi la guerra sarmatica, Marziale si rivolge a Faustino
perché mandi a Marcellino i suoi carmi, che ora avrà il tempo di leggere.
Friedlaender (ad III 6, 2) ha supposto, a mio avviso con piena ragione,
che il padre di Marcellino fosse proprio Faustino51: mi sembra del tutto
naturale che per inviare una missiva a un ragazzo impegnato in guerra ci si
rivolga alla famiglia piuttosto che a un amico.
Un legame tra Faustino e la Cispadana emerge da X 51: Marziale si
rivolge al patrono rammaricandosi del fatto che i suoi impegni romani
gli impediscano di godere delle belle giornate primaverili: v. 5 sg. quos,
Faustine52, dies, qualem tibi Roma Ravennam / abstulit! o soles, o
tunicata quies!53. I versi seguenti però sembrano mostrare che il luogo
dove Faustino potrebbe trascorrere queste giornate non è Ravenna,
ma Terracina (v. 8 Anxur). Molti editori considerano Ravennam una
corruttela: Friedlaender, Lindsay e SB pongono il nome fra cruces;
Heraeus invece mantiene il testo tramandato dalla seconda famiglia,

50
3 sg. ille vetus pro te patriusque quid optet amicus / accipe et haec memori pectore vota
tene.
51
La sua ipotesi è accettata da A. Stein, RE XIV 2, 1441 e da L. Petersen, PIR² M 183; ad
essa si mostrano cautamente favorevoli Citroni 1987, p. 156; Sullivan 1991, p. 31; Grewing,
p. 193; Galán Vioque, p. 442.
52
C. Damon, The Mask of the Parasite. A Pathology of Roman Patronage, Ann Arbor
1997, p. 162 n. 37 ipotizza che Faustine in questo verso sia una corruttela di Frontine (cfr.
X 58, in cui Marziale si rivolge a Frontino menzionandone la villa ad Anxur). La correzione
appare tuttavia arbitraria.
53
Il v. 5 è così tramandato dalla seconda famiglia, mentre la terza ha quos, Faustine, dies,
quale sit tibi Roma Ravennae. L’epigramma non compare nei codici della prima famiglia.
Introduzione 59

intendendo Ravennam come il nome della villa di Faustino a Terracina54.


Citroni 1987, p. 156, che pure considera più probabile un’interpolazione,
ha però giustamente posto in rilievo il fatto che la tradizione manoscritta
lega il nome di Ravenna proprio al personaggio cui Marziale dedica il libro
‘cispadano’55. La questione testuale non ha trovato soluzioni soddisfacenti
(come dimostra il ricorso alle cruces da parte degli editori), ma la presenza
del nome Ravenna appare difficilmente spiegabile come un’interpolazione.
Se cogliesse nel segno l’ipotesi di Heraeus, il nome Ravenna per la villa
di Faustino ad Anxur attesterebbe in modo inequivocabile un legame
affettivo del patrono con la città.
Un ulteriore elemento per identificare in Faustino l’ospite di Marziale
in Cispadana può essere fornito dall’ordinamento degli epigrammi
nel libro, cui il poeta presta particolare cura (vd. § 5). L’epigr. 58, che
descrive la villa baiana di Faustino, è incastonato fra tre monodistici di
ambientazione cispadana: i due precedenti (56-57) ironizzano sulla carenza
idrica di Ravenna (il nome della città ricorre in chiusura del primo verso di
entrambi); il successivo (59) riguarda il caso di un sutor che offre spettacoli
gladiatorî a Bologna. La ‘cornice’ cispadana al componimento più esteso
del libro non sarà casuale e concorre a suffragare l’ipotesi di vedere in
Faustino l’ospite di Marziale nel suo soggiorno cispadano.
Gli stretti rapporti con Faustino consentono anche di spiegare la
maggiore vicinanza di Marziale alla corte di Domiziano che si nota proprio
a partire dal libro IV. Egli fu infatti con molta probabilità un personaggio
di spicco della Roma domizianea: ne offre prova VII 12, in cui Marziale
si rivolge a Faustino augurandosi che l’imperatore accolga bene i suoi
epigrammi56 e difendendosi da coloro che diffondono epigrammi malevoli

54
Egli cita come esempi affini i nomi delle ville di Plinio il Giovane, Comoedia e Tragoedia,
presenti in epist. IX 7, 3 altera imposita saxis more Baiano lacum prospicit, altera aeque
more Baiano lacum tangit. itaque illam tragoediam, hanc appellare comoediam soleo;
illam, quod quasi cothurnis, hanc, quod quasi socculis sustinetur.
55
Un collegamento con la Cispadana è realizzato anche da Izaac, che interviene sul testo
tràdito e legge quos, Faustine, dies, quales tibi Roma, Ravennas, / abstulit, intendendo
Ravennas come cognomen di Faustino. L’interpretazione dello studioso francese è però
scarsamente persuasiva: si tratterebbe dell’unico caso tra le 19 occorrenze in Marziale in cui
al nome Faustino è affiancato un cognomen; quos e quales inoltre, entrambi riferiti a dies,
rivestirebbero la medesima funzione, in modo decisamente poco elegante.
56
Cfr. v. 1 sg. sic me fronte legat dominus, Faustine, serena / excipiatque meos, qua solet
aure, iocos.
60 Alessandro Fusi

sotto il suo nome. L’allocuzione a Faustino avrebbe poco senso se


quest’ultimo non intrattenesse qualche rapporto con l’imperatore, tale da
poter patrocinare presso di lui la causa del poeta. Non sarà probabilmente
casuale che Faustino faccia la sua ultima apparizione negli epigrammi
di Marziale proprio in X 51, nell’ultimo libro scritto sotto il regno di
Domiziano: il prestigio di cui Faustino godeva presso l’ultimo dei Flavi
avrà determinato il declino del suo astro sotto il nuovo imperatore57.

4. I t e m i d e l l i b r o

Il III libro, come ricordato in precedenza (p. 50), non contiene


epigrammi dedicati a eventi storici contemporanei, né componimenti
adulatori nei confronti dell’imperatore.
Il tema principale del libro può senz’altro essere considerato quello
della difficile condizione a Roma dei clienti, che si divide a sua volta in due
filoni: il primo riguarda l’abolizione della sportula, che viene sviluppato in
quattro epigrammi (7; 14; 30; 60); il secondo analizza in generale i disagi
patiti dai clienti nei rapporti con i patroni e il misero trattamento che questi
ultimi riservano loro (31; 36; 37; 38; 41; 46). Anche se le recriminazioni di
cliente costituiscono un tema presente in tutta l’opera di Marziale, è evidente
che in questo libro il poeta intende dare speciale rilevanza all’argomento58,
a conferma del fatto che nella sua decisione di abbandonare Roma per
qualche tempo abbia influito il peggioramento della condizione del cliente.
La nutrita e compatta serie proemiale (1; 2; 4; 5; l’epigr. 3 è concordemente
considerato spurio) è legata alle condizioni di pubblicazione del libro e riflette
il bisogno di protezione dello stesso in assenza dell’autore59. Sono invece
quasi assenti carmi di omaggio: gli unici patroni nominati sono Faustino,
dedicatario del libro (2), cui è destinato anche il componimento più lungo
(58: descrizione della sua villa a Baia: vd. § 3) e Rufo60, cui Marziale dedica

57
Si potrebbe pensare che Faustino sia morto dopo la pubblicazione del X libro, ma gli stretti
rapporti che Marziale intrattenne con lui durante tutto il suo soggiorno romano avrebbero
senz’altro meritato un epigramma funebre. Il silenzio di Marziale fu probabilmente dettato
da ragioni di opportunità.
58
Su questi epigrammi vd. Merli 1998, p. 144 sgg.
59
Vd. Merli 1993, p. 240.
60
Rufo compare soltanto nella sezione ‘oscena’ del libro (forse anche in 82, 33) ed era
Introduzione 61

il libro in conclusione (epigr. 97; 100)61. L’epigr. 6, che celebra la depositio


barbae di Marcellino, va considerato un indiretto omaggio a Faustino, padre
del ragazzo. Giulio Marziale, cui il poeta invia il libro (5), e Canio Rufo (20;
64) sono amici intimi.
Numerosi sono gli epigrammi scommatici; a quelli osceni è riservata
una sezione specifica, che occupa un terzo del libro, introdotta da un nuovo
proemio (68-100: vd. p. 63). Un piccolo ciclo (44; 45; 50) è dedicato al
poetastro Ligurino, che non fa altro che recitare i propri versi (alla satira
contro un recitator è dedicato anche l’epigr. 18). La denuncia dell’ipocrisia,
svolta in diverse forme, ricorre in 42; 43; 54; 55. Tra i tipi comico-satirici
presentano alcune variazioni quello dell’anfitrione avaro (12; 13; 49; 94) e
quello dell’impurus ore (17; 28; 73; 77; 80; 81; 82; 84). Questioni di polemica
letteraria ricorrono in 9; 69; 83; 99. Tre epigrammi prendono spunto dalla
storia: 21, sul caso di un proscritto salvato dal proprio servo; 22, sul suicidio
del ghiottone Apicio; 66, dedicato a un paragone tra l’uccisione di Cicerone
e quella di Pompeo. La narrazione di un aneddoto di tipo novellistico,
non comune negli epigrammi di Marziale, è presente in due casi, entrambi
conclusi con un’inopinata castrazione (24; 91).
Il soggiorno in Cispadana non incide in misura notevole nell’economia
del libro: oltre agli epigrammi proemiali, che illustrano al lettore la situazio-
ne anomala che vede il poeta pubblicare un libro mentre è assente da Roma
(1; 4), tre epigrammi sono dedicati al caso di un ciabattino che aveva offerto
un munus gladiatorio a Bologna (16; 59; 99; nell’epigr. 59 si parla di un fullo
che aveva fatto lo stesso a Modena); due (56; 57) sfruttano la carenza idrica di
Ravenna per creare una variazione sul motivo della disonestà degli osti; uno
descrive una gita in barca sui fiumi Vaterno e Rasina (67); la vicenda di un
soldato congedato di Ravenna, che viene castrato per errore da un gruppo
di adepti di Cibele, offre il tema per l’epigr. 91; il lungo componimento
scommatico contro la vecchissima Vetustilla contiene un riferimento al
fastidio provocato dal gracidio delle rane di Ravenna e dal ronzio delle
zanzare di Adria (93, 8 sg.); infine nell’epigr. 58 è menzionato il formaggio
proveniente da Sarsina (35 metamque lactis Sassinate de silva62).

probabilmente un lettore interessato alla poesia più licenziosa. Per alcune proposte di
identificazione vd. la n. intr. all’epigr. 100.
61
Marziale non si preoccupa della contraddittorietà che può risultare dalla presenza di più
dedicatari dello stesso libro: vd. § 6.
62
Il verso crea tuttavia perplessità per il fatto che il contadino di Baia offra del formaggio
62 Alessandro Fusi

Come si può notare la vita cispadana non colpì in modo profondo la


fantasia di Marziale, il cui universo poetico continuò a essere quello dell’Urbe.
L’assenza del poeta dalla città non era destinata a durare a lungo.

5. L ’ o r d i n a m e n t o d e g l i e p i g r a m m i

Il libro è per Marziale il veicolo principale per la diffusione dei suoi


epigrammi63. Le analisi condotte sulla struttura di singoli libri64 hanno
dimostrato che i componimenti non si susseguono in modo casuale, senza
alcuna logica. Al contrario, la disposizione degli epigrammi nel libro, pur
non lasciandosi ricondurre a schematizzazioni troppo rigide65, risponde

di una campagna lontana, mentre Marziale sottolinea nel passo che la villa di Faustino può
disporre di freschi prodotti locali (vd. al riguardo la n. ad loc.).
63
L’importanza del libro emerge anche dalla frequenza con la quale il tema libri/lettori è
trattato negli epigrammi (vd. Fowler 1995, p. 31). Senz’altro eccessivo il rilievo attribuito
alla diffusione orale da W. Burnikel, Zur Bedeutung der Mündlichkeit in Martials
Epigrammbüchern I-XII, in G. Vogt-Spira (Hrsg.), Strukturen der Mündlichkeit in der
römischen Literatur, Tübingen 1990, pp. 221-234. Molti apparenti riferimenti all’oralità
sono in realtà spiegabili, come rilevato da Fowler 1995, p. 38, come casi di «fingierte
Mündlichkeit» (l’espressione è mutuata da P. Goetsch, studioso tedesco della letteratura
inglese del XIX secolo).
64
Osservazioni sull’ordinamento degli epigrammi si trovano già in Pertsch 1911, pp. 58-
68. Sulla struttura di singoli libri vd. specialmente Citroni, pp. XXVI-XXXVIII (I libro); Kay,
p. 5 sg. (XI); Grewing, pp. 29-51 (VI); si veda anche Merli 1993 (sulle serie proemiali
dei libri); Merli 1998; J. Scherf, Zur Komposition von Martials Gedichtbüchern 1-12, in
Grewing, Toto notus, pp. 119-138; Scherf 2001; S. Lorenz, Waterscape with Black and
White: Epigrams, Cycles, and Webs in Martial’s Epigrammaton liber quartus, «AJPh»
125, 2004, pp. 255-278.
65
Non hanno trovato molto consenso tra gli studiosi le architetture interne rintracciate
da K. Barwick (Zur Kompositiontechnik und Erklärung Martials, «Philologus» 87, 1932,
pp. 63-79; Barwick 1958) e dal suo allievo H. Berends (Die Anordnung in Martials’
Gedichtbüchern I-XII, Diss. Jena 1932). Barwick, cui pure si deve riconoscere il merito
di aver richiamato l’attenzione degli studiosi di Marziale sulla struttura dei libri, fino ad
allora trascurata, ravvisava nella disposizione dei componimenti un complesso gioco
di corrispondenze basate sul numero dei versi, sul metro, sul tono degli epigrammi,
ipotizzando la costituzione dei libri attraverso l’aggregazione di cicli epigrammatici.
Tali sottili legami si sono dimostrati spesso molto incerti e, soprattutto, difficilmente
potrebbero essere percepiti dal lettore (si vedano sull’argomento le ragionevoli osservazioni
di Citroni, pp. XXVI-XXIX; Merli 1993, p. 229 sg.). Risultati più fruttuosi hanno portato
Introduzione 63

a una ricerca di varietà nei toni, nella lunghezza dei componimenti, nella
scelta dei metri66. Lo scopo principale è evitare di annoiare il lettore,
ma si possono individuare altri criteri ponderati nella disposizione degli
epigrammi. Gli esordi sono particolarmente curati: la presentazione del
libro è un momento molto delicato e Marziale cerca di garantire alle sue
opere l’appoggio di influenti patroni o dell’imperatore stesso. Un’analoga
cura presiede alla disposizione degli epigrammi di chiusura del libro67.
Il libro terzo presenta una struttura peculiare: gli epigr. 1-67 sono
dedicati ad argomenti di vario genere, mentre l’ultima parte del libro
(epigr. 68-100), introdotta da un nuovo proemio (68), contiene epigrammi
dedicati quasi esclusivamente al sesso e caratterizzati da un linguaggio
esplicito. Se si considera che l’epigr. 3 è ritenuto unanimemente spurio, il
nuovo proemio si colloca esattamente dopo due terzi del libro e introduce
la sezione licenziosa che occupa l’ultimo terzo del libro68. Le due sezioni
del libro sono nettamente distinte anche dal punto di vista lessicale: la

le indagini sui cicli epigrammatici intesi come variazioni di un motivo, realizzate in testi
posti a distanza ravvicinata: vd. V. Buchheit, Martials Beitrag zum Geburtstag Lucans als
Zyklus, «Philologus» 105, 1961, pp. 90-96, sul ciclo indirizzato a Polla Argentaria, vedova di
Lucano, e dedicato alla celebrazione del genetliaco del poeta (VII 21; 22; 23); J. Garthwaite,
Martial, Book 6, on Domitian’s Moral Censorship, «Prudentia» 22, 1990, pp. 13-22, sugli
epigrammi dedicati alla restaurazione della Lex Iulia de adulteriis coercendis (VI 2; 4; 7;
22; 45; 90; 91); W. Hofmann, Motivvariationen bei Martial. Die Mucius Scaevola- und die
Earinus-Gedichte, «Philologus» 134, 1990, pp. 37-49 e C. Henriksén, Earinus: an Imperial
Eunuch in the Light of the Poems of Martial and Statius, «Mnemosyne» 50, 1997, pp. 281-
294, sul ciclo di Earino, coppiere di Domiziano; J. Garthwaite, Revaluating Epigrammatic
Cycles in Martial, Book Two, «Ramus» 30, 2001, pp. 46-55; M. Ciappi, Ille ego sum
Scorpus. Il ciclo funerario dell’auriga Scorpo in Marziale (X 50 e 53), «Maia» 53, 2001, pp.
587-609; Canobbio 2002, sul ciclo del V libro dedicato alla restaurazione domizianea della
Lex Roscia theatralis.
66
Il principio dell’aequalitas è esplicitamente rifiutato da Marziale (VII 90): iactat inae-
qualem Matho me fecisse libellum: / si verum est, laudat carmina nostra Matho. / aequales
scribit libros Calvinus et Umber: / aequalis liber est, Cretice, qui malus est; vd. al riguardo
Citroni 1968, p. 272.
67
Sulla chiusura dei libri vd. specialmente Fowler 1989; che le sequenze di chiusura di
Marziale presentino aspetti originali e brillanti è stato messo in luce da Fowler 1989, p. 107
sg.; vd. anche Fowler 1995, passim; Scherf 2001, p. 32 sgg.
68
La proporzione è meno precisa riguardo al numero di versi: la prima sezione ne conta,
senza l’epigr. 3, 438 (68, 01% circa); la seconda 206 (31, 99% circa). La lunghezza media è
di 6, 63 vv. per gli epigrammi della prima sezione, di 6, 24 per quelli della seconda. La media
complessiva è di 6, 50 vv. (i dati non comprendono l’epigr. 3).
64 Alessandro Fusi

prima, pur contenendo volgarismi69, è depurata dai termini attinenti alla


sfera sessuale, che invece costellano la seconda. Il carattere disimpegnato
di quest’ultima si riflette anche sulla lunghezza degli epigrammi: vi si
trovano infatti ben 14 monodistici, spesso consecutivi (78-80; 83-84; 88-
90; 94-95; 97-98; anche gli epigrammi 1-67 ne contengono però 19)70,
ma anche due componimenti lunghi (82 e 9371). È significativo che la
maggior parte degli epigrammi della sezione prenda di mira uomini (23
rispetto a 7 rivolti contro donne): nella società romana, essenzialmente
maschilista, è la ‘perversione’ maschile a suscitare lo scandalo maggiore.
Lo scarto tra le due sezioni è marcato ulteriormente dalla presenza in
entrambe di epigrammi che svolgono motivi affini72: quelli della prima
sono caratterizzati da una lingua sorvegliata, che indulge all’ellissi (32, 1
sgg.), e da una comicità allusiva (24, 13 sg.); quelli della seconda ostentano
un’ampia gamma di termini osceni73.
L’aver relegato gli epigrammi osceni in una sezione delimitata di un
libro costituisce un unicum nell’opera di Marziale; in altri casi è semmai
l’intera raccolta a essere destinata a un pubblico specifico: il quinto libro,
formalmente dedicato all’imperatore, è depurato degli elementi piccanti74,

69
Quali merda (17, 6) e cacare (44, 11).
70
È piuttosto rara la successione di più di due monodistici, che Marziale evita per mostrare
la propria scaltrezza stilistica. Un caso eccezionale costituiscono i 5 monodistici che si
susseguono nel II libro (78-82), che vengono, non a caso, dopo un epigramma (II 77) in cui
Marziale si era difeso dall’accusa di Cosconio di scrivere epigrammi troppo lunghi e sono
dunque una dimostrazione della capacità del poeta di comporre anche epigrammi brevi (vd.
Merli 1993, p. 232; sui monodistici in Marziale vd. anche Lausberg 1982, pp. 459-462).
71
Due invettive, in scazonti; il diverso uso di questo metro all’interno delle due sezioni
del libro riflette la diversa natura degli epigrammi in esse contenuti: mentre nella seconda
sezione è legato al tradizionale tono di invettiva, nella prima ricorre in epigrammi di
diversa ispirazione: 20, dove esprime la nostalgia per l’amico Canio Rufo; 47, lusus bonario
sull’improduttività della tenuta di campagna dell’amico Basso; 58, elaborata descrizione
della villa del patrono Faustino; 64, elogio del fascino affabulatorio dell’amico Canio
Rufo.
72
Le coppie, individuate da Watson-Watson, p. 31 n. 108, sono: 24/91; 32/76; 34/87;
51/72; 67/78.
73
Cunnus (72, 6); arrigere (76, 1); mentula (76, 3; 91, 12); mingere (78, 1); meiere (78, 2).
74
Cfr. V 2, 1-8 matronae puerique virginesque, / vobis pagina nostra dedicatur. / tu,
quem nequitiae procaciores / delectant nimium salesque nudi, / lascivos lege quattuor
libellos: / quintus cum domino liber iocatur; / quem Germanicus ore non rubenti /
coram Cecropia legat puella.
Introduzione 65

come anche l’ottavo75. All’opposto l’undicesimo libro ha carattere in


prevalenza licenzioso, coerentemente con il clima festoso dei Saturnali,
in cui si colloca76. La scelta di confinare in una sola sezione del libro gli
epigrammi a sfondo sessuale produce complessivamente un certo effetto
di ripetitività e di noia nel lettore e non a caso forse l’esperimento rimase
isolato nell’opera di Marziale.
Muoviamo ora dall’analisi generale del libro a quella particolare. Il
III libro contiene una compatta serie di quattro epigrammi proemiali:
il primo, in distici, è rivolto al lettore generico romano77; il secondo, in
faleci78, è una dedica del libro al patrono Faustino in forma di apostrofe
al libro personificato; il terzo (epigr. 4, in distici; il 3 è concordemente
ritenuto spurio) è una nuova apostrofe al libro, che Marziale invia a Roma
istruendolo sulle spiegazioni che dovrà dare riguardo alla sua assenza; il
quarto (epigr. 5, in distici) invia il libro, ancora personificato, all’amico
Giulio Marziale, che lo accoglierà a Roma. La nutrita serie è giustificata
dalla circostanza della pubblicazione, che spinge il poeta a chiarire i motivi
della sua lontananza (4) e a cercare appoggio per il libro (2; 5). L’epigr.
6 (in distici) non è formalmente di dedica, ma costituisce un omaggio a
Faustino, celebrandone il compleanno insieme alla depositio barbae del
figlio Marcellino.
Con l’epigr. 7 si entra nel vivo del libro, di cui non a caso introduce il

75
Cfr. VIII epist. 11 sgg. quamvis autem epigrammata a severissimis quoque et summae
fortunae viris ita scripta sint ut mimicam verborum licentiam affectasse videantur, ego
tamen illis non permisi tam lascive loqui quam solent. cum pars libri et maior et melior
ad maiestatem sacri nominis tui (sc. Domitiani) alligata sit, meminerit non nisi religiosa
purificatione lustratos accedere ad templa debere; 1, 1-4 laurigeros domini, liber, intrature
penates / disce verecundo sanctius ore loqui. / nuda recede Venus; non est tuus iste libellus:
/ tu mihi, tu, Pallas Caesariana, veni.
76
Cfr. XI 2, 1-8 triste supercilium durique severa Catonis / frons et aratoris filia Fabricii
/ et personati fastus et regula morum, / quidquid et in tenebris non sumus, ite foras. /
clamant ecce mei ‘Io Saturnalia’ versus: / et licet et sub te praeside, Nerva, libet. / lectores
tetrici salebrosum ediscite Santram: / nil mihi vobiscum est: iste liber meus est; 16, 1-4 qui
gravis es nimium, potes hinc iam, lector, abire / quo libet: urbanae scripsimus ista togae; /
iam mea Lampsacio lascivit pagina versu / et Tartesiaca concrepat aera manu.
77
Sull’ipotesi priva di fondamento di Immisch 1911, p. 492 che l’epigramma si rivolga ad
un destinatario preciso vd. la n. al v. 1 tibi.
78
La scelta del metro è dovuta alla evidente allusione alla dedica di Catullo a Cornelio
Nepote (1, 1 cui dono lepidum novum libellum): cfr. v. 1 cuius vis fieri, libelle, munus?
e la relativa n.
66 Alessandro Fusi

tema principale: quello dell’abolizione della sportula (vd. p. 60); la rilevanza


dell’epigramma è messa in luce anche dall’uso di un metro differente
(coliambo). I due epigrammi seguenti sono monodistici scommatici, la cui
collocazione sembra tesa a ricercare un tono più leggero dopo il significativo
gruppo iniziale: nel primo (8) Marziale gioca con il motivo della cecità
in amore; nel secondo (9) annichilisce un poetastro che scrive invettive
contro di lui. Seguono ancora due epigrammi scommatici più lunghi (6
versi ciascuno): il primo (10) è rivolto a uno scialacquatore, il secondo (11)
si ricollega all’epigr. 8, mettendo in scena la reazione di un tale che si è
sentito colpito dal distico. Gli epigrammi 12 e 13 costituiscono una coppia
affine, che sviluppa il tema dell’ospite avaro: il gusto della variatio si esercita
nella scelta dei protagonisti (un uomo nel primo, una donna nel secondo)
e del metro (falecio nel primo, distico elegiaco nel secondo). L’epigr. 14
riprende il tema della sportula (cfr. epigr. 7), descrivendo un indigente che
si dirige verso Roma dalla Spagna, ma torna mestamente indietro appresa
la notizia dell’abolizione del donativo. Anche in questo caso la variazione
del metro (trimetro giambico+dimetro giambico, utilizzato da Marziale
ancora soltanto in I 49; IX 77; XI 5979) pone in risalto il componimento
(il ritmo giambico lo lega inoltre all’epigr. 7, che introduce nel libro il
tema della sportula). L’epigr. 15 è un monodistico sul tema della cecità in
amore (l’argomento richiama l’epigr. 8). Il seguente (16) prende di mira un
ciabattino arricchito che ha offerto un munus gladiatorio ed è il primo ad
avere per tema un aneddoto di ambientazione cispadana. Gli epigrammi
17 e 18 costituiscono una coppia dedicata a vizi ‘di gola’: il primo ha
per bersaglio un impurus ore, il secondo un ostinato recitatore. L’epigr.
19 descrive la morte di un fanciullo morso da una vipera annidata nelle
fauci della statua bronzea di un’orsa. Il seguente (20) è un’ammissione
di nostalgia per l’amico Canio Rufo e per Roma; ancora una volta la
variazione del metro (coliambo), l’estensione (21 vv.) e la cura stilistica ne
fanno un componimento eccezionale, il primo dopo la serie proemiale in
cui sia nominata una persona reale. È significativo che il primo epigramma,
eccettuati quelli proemiali, riconducibile all’assenza del poeta da Roma
non contenga elementi sull’attuale soggiorno, ma tradisca tutta la nostalgia
per la città, i cui luoghi più familiari al poeta sono passati in rassegna (vv.

79
Vd. Giarratano 1908, p. 72 sg. e la n. intr. all’epigr.
Introduzione 67

8-15). Il monodistico (21) che, come spesso, segue l’epigramma lungo80,


trae il tema da un aneddoto storico, così come l’epigr. 22, in coliambi
(5 vv.), dedicato al suicidio del ghiottone Apicio. La coppia è seguita da
monodistico (23). L’epigr. 24 (14 vv.; distici) narra un comico aneddoto, in
cui un aruspice etrusco, nel compiere un sacrificio, viene castrato per errore
da un homo agrestis81; a esso segue un componimento in coliambi (25)
rivolto a Faustino, un lusus sulla ‘frigidezza’ di un retore. I due epigrammi
seguenti (26-27, entrambi in distici) hanno come bersagli un ricco che
si vanta in continuazione e un tale che non ricambia gli inviti a cena del
poeta. L’epigr. 28 è un monodistico scommatico rivolto a un impurus ore;
il seguente (29), in sotadei82, è una parodica dedica a Saturno delle catene di
Zoilo, ex-schiavo fuggitivo, ora volgare arricchito. Segue un componimento
(30) che descrive la difficile vita a Roma di un cliente, privato del donativo
della sportula; l’epigr. 31 è rivolto contro un ricco sprezzante. Marziale
dunque incastona l’epigramma sulla misera condizione del cliente (30) tra
quello contro un parvenu (29) e quello contro un ricco altezzoso (31). La
disposizione reca ulteriore risalto al tema, centrale nel libro, della difficoltà
di vivere a Roma. L’epigr. 32, rivolto contro una vecchia che fa avances al
poeta, si chiude con una pointe realizzata attraverso la comica degradazione
di figure mitologiche (Ecuba, Niobe); a esso segue un componimento (33)
che traccia una gerarchia sociale della donna ideale; viene quindi un altro
epigramma scommatico nei confronti della prostituta Chione (34). In
modo simile al gruppo precedente (29-31), i due epigrammi scommatici
contro donne racchiudono un componimento in cui il poeta espone i
propri gusti. L’epigr. 35 è la descrizione del realismo di un’opera di cesello.
Segue un trittico (36-38) sul tema della clientela: il primo epigramma (36, di
10 vv.) lamenta i duri officia cui il poeta è ancora costretto dopo molti anni
di ‘servizio’; il secondo (37) è un monodistico che denuncia l’irascibilità
dei patroni; il terzo (38, di 14 vv.), rivolto a un tale che vuole venire a
Roma in cerca di fortuna, è un’amara considerazione sulla difficoltà di
vivere nell’Urbe per chi è povero e onesto. La serie è dunque composta

80
Circa un terzo degli epigrammi lunghi è seguito da monodistici (vd. Merli 1993, p. 232;
Lausberg 1982, passim).
81
Al componimento fa da pendant l’epigr. 91, anch’esso racconto in versi di un aneddoto
concluso con la castrazione di un soldato congedato.
82
Si tratta dell’unico caso in Marziale dell’utilizzo di questo metro (vd. Giarratano 1908,
p. 73).
68 Alessandro Fusi

con un monodistico che funge da intermezzo tra i due componimenti più


elaborati. Seguono due epigrammi scommatici di due versi ciascuno (40,
in distici; 41, in faleci) che alleggeriscono il tono. L’epigr. 41 richiama il
tema della critica del patronato, descrivendo un tale che si ritiene generoso
solo per un prestito. Segue una coppia di epigrammi in distici di quattro
versi sull’ipocrisia: il primo (42) rivolto a una donna che vuole nascondere
i segni del tempo sul suo corpo; il secondo (43) rivolto a un uomo che si
tinge i capelli per apparire giovane. Gli epigrammi 44-45 costituiscono,
insieme all’epigr. 50, un piccolo ciclo contro il poetastro Ligurino: il primo,
in faleci, è il più lungo (18 vv.) e ritrae il personaggio nel suo tentativo
continuo di recitare i propri versi a chiunque gli capiti a tiro; il secondo,
in distici (6 vv.), descrive la cena che offre, sempre come pretesto per
recitare. L’epigramma seguente (46) affronta ancora il tema della clientela,
sottolinenando l’inadeguatezza di chi è nato libero a compiere certi officia
per i quali, invece, un liberto può andar bene. Nell’epigr. 47 Marziale,
rivolgendosi a Faustino, descrive in 15 coliambi il viaggio di Basso dalla
città verso la sua improduttiva tenuta suburbana su un carro pieno di cibi.
Vengono quindi due monodistici (48-49) che prendono di mira i ricchi: il
primo ne critica l’abitudine di atteggiarsi a poveri; il secondo censura un
anfitrione che serve a se stesso vino pregiato, riservandone uno scadente
agli ospiti. A esso si collega l’ultimo epigramma della serie di Ligurino
(50), che descrive minuziosamente la cena offerta dal poetastro, in cui i
libri prendono il posto delle portate. Gli epigrammi seguenti (51-52) sono
entrambi in distici, di 4 vv.: il primo si rivolge a una donna che non vuole
farsi vedere nuda dal poeta; il secondo getta sospetti su un ricco che, in
seguito all’incendio della sua casa, ha ricevuto moltissimo denaro raccolto
tra la gente; gli epigrammi seguenti (53-55) hanno protagoniste femminili:
nel primo Marziale parodia l’amore elegiaco; gli altri due costituiscono una
coppia dedicata all’ipocrisia.
I due successivi epigrammi (56-57) sono monodistici che sfruttano
a fini comici la carenza idrica di Ravenna; essi riconducono il lettore alla
provenienza cispadana del libro (il nome di Ravenna compare in chiusura
del primo verso di entrambi) e preparano il campo per il successivo
epigramma (58), il più lungo dell’intero corpus di Marziale (51 vv.):
rivolgendosi a Basso egli descrive la villa a Baia del patrono Faustino,
suo ospite in Cispadana (vd. § 3). Il metro (coliambo) e la conclusione
(45-51), che, con un mutamento di tono, prende di mira la tenuta
Introduzione 69

improduttiva di Basso, collegano il componimento all’epigr. 47, cui questo


fa da pendant83. Anche la collocazione (circa alla metà del libro) mette in
risalto l’unicità del componimento. Segue un altro monodistico (59), di
nuovo di ambientazione cispadana, in cui Marziale riprende la vicenda del
ciabattino (cfr. epigr. 16), rivelando che aveva allestito il suo spettacolo
gladiatorio a Bologna e denunciando il moltiplicarsi di casi analoghi nella
regione. L’epigramma sulla villa di Faustino è dunque incorniciato da tre
monodistici che presentano i nomi di tre importanti città della Cispadana
(Ravenna, Bologna, Modena). L’epigr. 60 affronta per l’ultima volta nel
libro il tema della sportula, descrivendo la miseria della recta cena che
doveva sostituirla. L’epigr. 61 è una risposta a un tale che chiede continui
prestiti. La coppia seguente (62-63) prende di mira due personaggi
caratterizzati da una vuota ostentazione: il primo spreca enormi quantità
di denaro per oggetti superflui, il secondo è un bellus homo, dedito a una
vita fatta di mondanità. L’epigr. 64, in coliambi, loda le doti affabulatorie
dell’amico Canio Rufo (l’uso del metro richiama l’epigr. 20, anch’esso
rivolto all’amico). I seguenti tre epigrammi (65-67) presentano temi inediti
nel libro: il primo (65) descrive attraverso fini paragoni la fragranza dei
baci di un puer; il secondo (66) mette a confronto gli assassini di Cicerone
e Pompeo; il terzo (67), in faleci, descrive una gita estiva compiuta lungo
i fiumi Vaterno e Rasina nei pressi di Forum Corneli e si conclude con
un originale gioco etimologico. Marziale chiude dunque la sezione ‘casta’
del libro mostrando la sua scaltrezza nella scelta di temi nuovi, con un
saggio di abilità conclusiva. È significativo che l’ultimo epigramma della
sezione menzioni luoghi della Cispadana, configurandosi in tal modo
come una sorta di congedo dalla regione. L’epigramma consente inoltre
una lettura metaletteraria: nel dipingere la pigrizia dei marinai, unita alla
calura opprimente, Marziale rappresenta forse la stanchezza del lettore per
una lunga serie di epigrammi ‘casti’ e segnala la chiusura della sezione.
L’epigr. 68 è un nuovo proemio ‘al mezzo’ in cui il poeta avverte le
matrone che l’ultima sezione del libro contiene componimenti licenziosi e
gliene sconsiglia la lettura. L’epigr. 69 riveste carattere apologetico: Marziale
critica il poeta Cosconio i cui epigrammi sono privi di elementi piccanti
e difende il carattere licenzioso della propria poesia. I due componimenti
costituiscono una coppia proemiale che introduce l’ultima parte del libro.

83
Vd. Merli 1998, p. 142 sg.
70 Alessandro Fusi

I componimenti successivi (70-76) costituiscono una sorta di catalogo di


perversioni sessuali. L’ultimo (76), per il tema dell’impotenza e l’utilizzo
comico delle figure mitologiche (Ecuba, Andromaca), si ricollega all’epigr.
32. Gli epigr. 77 e 81 sono una coppia rivolta contro un impurus ore; tra
i due epigrammi sono collocati tre monodistici (78-80); viene quindi, in
posizione centrale nella sezione, un lungo epigramma in coliambi (82) che
descrive la cena del parvenu Zoilo; si tratta del componimento più lungo
e significativo della sezione (33 vv.), secondo nel libro solo all’epigr. 58.
La situazione descritta mostra numerosi punti di contatto con la Cena
Trimalchionis petroniana ed è evidente la volontà di aemulatio da parte
di Marziale. Segue un monodistico (83) di carattere apologetico, in cui
Marziale, alle critiche di eccessiva lunghezza da parte di un detrattore,
risponde in tono con il carattere osceno della sezione. Gli epigrammi 84 e
85 sono rivolti a un impurus ore e a un marito tradito che ha mutilato il viso
dell’amante della moglie. L’epigr. 86 costituisce una scherzosa ripresa del
proemio della sezione (68). Il seguente attacca la fellatrix Chione (nominata
anche in 30, 4 e 83, 2)84. Vengono quindi tre monodistici (88-90), cui segue
il racconto di un aneddoto conclusosi con la castrazione di un vecchio
soldato congedato di Ravenna. Il carattere novellistico del componimento
e la sua conclusione rimandano all’epigr. 24, con cui condivide anche
la realizzazione dell’arguzia attraverso un gioco linguistico. Un altro
monodistico (92) anticipa il secondo epigramma lungo della sezione: in 27
coliambi Marziale attacca la vecchissima Vetustilla che, incurante dell’età,
cerca marito. Segue ancora un monodistico su un anfitrione che, per
risparmiare i cibi, finge che non siano stati cotti e fa frustare il cuoco. La
scelta del tema, estraneo al carattere osceno della sezione, è forse orientata
a creare uno stacco dopo l’epigr. 93, eccezionale per la lunghezza e per la
fantasiosità delle immagini.
L’epigr. 95 è l’ultimo del libro di una certa estensione (14 vv.) e rilevanza;
esso apre in qualche modo la serie conclusiva del libro: a un effeminato
dal comportamento sprezzante, Marziale ricorda orgogliosamente il
suo prestigio e la sua fama poetica. L’epigramma non a caso compare
nella sezione oscena: il poeta rivendica la sua unicità all’interno di una
società dove la corruzione morale dilaga, e dove, anzi, a essa seguono
spesso prestigio sociale e ricchezza. Segue una minaccia di irrumatio

84
A questo epigramma sembra essersi rifatto il falsario autore dell’epigr. 3.
Introduzione 71

(96) a un tale che vanta le sue prestazioni con la puella del poeta. L’epigr.
97 introduce propriamente la parte conclusiva del libro e contiene una
dedica scherzosa a Rufo85, cui Marziale affida il libro per evitare che lo
legga Chione. Il seguente (98) descrive in modo caricaturale un tale dal
culus macer. L’epigr. 99 riprende la vicenda del ciabattino (cfr. 16; 59),
che Marziale rappresenta irato per la satira contro di lui. Il componimento
riveste il carattere di una apologia della poesia satirica, ma innocua, cui
il poeta contrappone la crudeltà degli spettacoli gladiatori, che fornisce
invece notorietà a chi li sovvenziona. Chiude il libro un epigramma di
dedica a Rufo (100), che, con un’arguzia realizzata all’insegna di un’ironica
svalutazione della propria opera, si ricollega all’epigramma di apertura,
conferendo al libro una struttura circolare.
L’analisi condotta consente senz’altro di ribadire in conclusione le
osservazioni iniziali: la disposizione degli epigrammi nel libro è studiata
per ottenere un effetto di varietà nei contenuti, nella lunghezza dei
componimenti e nei metri. La sezione proemiale e quella conclusiva sono
ben distinte dal resto del libro. Gli epigrammi formano spesso piccole serie
legate da affinità tematica. L’ultima sezione del libro (68-100), introdotta
da un nuovo proemio (68), ospita gli epigrammi osceni. I componimenti
più significativi ricevono una collocazione volta a metterne in risalto
l’importanza e sono spesso composti in metri differenti dal distico elegiaco,
che è la forma prevalente86. I temi principali sono sviluppati in epigrammi
distribuiti in maniera equilibrata nel corso del libro.

6. Pubblicazione e dediche dei libri in Marziale

Gli epigrammi di presentazione e dedica delle raccolte a singole


persone occupano uno spazio significativo all’interno dei libri di Marziale;
la loro frequenza ha posto un delicato problema interpretativo, al quale
sono state date risposte radicalmente differenti. Nel corpus dei dodici
libri di Marziale, oltre a quattordici epigrammi di dedica all’imperatore, vi
sono circa 45 componimenti di dedica a patroni e amici. Gli unici libri a

85
Sulle ipotesi di identificazione del personaggio vd. la n. intr. all’epigr. 100.
86
Sono in distici elegiaci 1234 epigrammi su 1560 (79, 10%): vd. Scherf 2001, pp. 113;
115.
72 Alessandro Fusi

contenere un solo epigramma di dedica sono il I e il VI; negli altri libri ve


ne sono più di uno, per giungere a un massimo di 11 nel libro VII. Solo in
alcuni casi questi componimenti occupano la prima sede del libro, propria
delle dediche (II epist.; VI 1; IX epist.; XI 1; XII epist.). La pluralità di
epigrammi di dedica e il loro carattere di informale comunicazione privata
hanno condotto P. White87 a ritenere che tutti (o quasi) gli epigrammi di
dedica fossero dediche di raccolte private, presentate individualmente a
singoli amici, che Marziale avrebbe poi inserito nei libri destinati ai lettori
comuni senza curarsi delle contraddizioni che si creavano. Tale modalità
di circolazione privata di brevi raccolte avrebbe ricoperto la funzione di
omaggio a patroni anche dopo l’inizio di regolari pubblicazioni dei libri
di epigrammi (si tratta della cosiddetta ‘libellus theory’). È stato però
messo in luce piuttosto chiaramente da Citroni 1988, p. 33 sgg. come, nel
momento in cui Marziale inizia la pubblicazione regolare dei suoi libri,
questi divengano la sede più importante e significativa anche per i carmi di
omaggio. Naturalmente il poeta avrà continuato a inviare personalmente
ai suoi amici i carmi a loro dedicati prima della pubblicazione del libro e
forse anche piccole raccolte personalizzate, ma la forma di comunicazione
propria della sua poesia è il libro pubblicato (vd. quanto osservato nel § 5);
a esso si riferiscono esplicitamente numerosi epigrammi di dedica, in cui
spesso viene anche indicato il numero di ordine all’interno del corpus (II
93, 1; V 15, 1; VI 1, 1; VIII epist. 5 sg.; XII 4 [5], 1 sg.; vd. Citroni 1988,
p. 34 sg.; importanti argomenti contro la tesi di White anche in Fowler
1995).
La compresenza di numerose dediche mostra non solo come Marziale
non si preoccupi affatto delle contraddizioni che possano emergere,
ma anche come il poeta si diverta, con una finzione tutta letteraria, ad
attribuire al suo libro il carattere di work in progress, pronto a recepire non
solo i consigli e le correzioni di amici e patroni (cfr. V 80; VI 1; VII 28;
XII epist.), ma anche le reazioni dei lettori. Talora egli afferma di inviare
il libro prima che sia stato definitivamente confezionato (IV 10; VIII 72).
In questi casi ciò che Marziale propone non è una raccolta destinata a un
ambito privato, ma un esemplare che si pretende provvisorio di un libro
destinato alla pubblicazione: un caso emblematico è VI 1, in cui si trova

87
Vd. White 1974, p. 40 sgg. e, recentemente, P. White, Martial and Pre-Publication Texts,
«EMC» 40, 1996, pp. 397-412.
Introduzione 73

la richiesta di correzione di un libro già designato col numero d’ordine


nel corpus. Perciò, pur appartenendo al libro pubblicato, gli epigrammi
di dedica assumono il modo informale del biglietto di invio di raccolte
private (e certamente alcuni saranno stati effettivamente biglietti privati
in seguito inseriti nel libro pubblicato: cfr., ad es., VII 17, dedica alla bi-
blioteca di Giulio Marziale di un’edizione comprendente i libri I-VII) e la
presupposizione della provvisorietà del testo inviato, che può ricevere le
correzioni degli amici. Così Marziale può permettersi di offrire i propri
libri a una pluralità di dedicatari, coinvolgendoli anche nelle responsabilità
della pubblicazione88.
Nel caso del libro terzo, l’epigr. 2 dedica il libro a Faustino perché non
debba fare una brutta fine e non debba temere i critici (si tratta dunque di
un libro ‘pubblico’), mentre l’epigr. 5 raccomanda il libro a Giulio Marziale,
dicendo che è preferibile raccomandarlo a una persona sola piuttosto che a
molti (anche in questo caso si tratta di libro ‘pubblico’); a pochi epigrammi
di distanza il libro viene affidato a due persone diverse, mentre si dice che
non è il caso di affidarlo a più d’una persona; inoltre nella sezione ‘oscena’
compaiono due nuove dediche, entrambe a Rufo: l’epigr. 97 gli affida il
libro perché non lo legga Chione (in questo caso il libro sembrerebbe
quindi ‘non pubblico’); nell’epigr. 100 afferma di aver affidato il libro a
uno schiavo inviatogli dal patrono, ma che certamente sarà stato cancellato
dalla pioggia che cadeva incessantemente89. Qui addirittura l’epigramma
chiude il libro che teoricamente il patrono non potrebbe leggere, poiché
cancellato dalla pioggia!90 È evidente il gioco operato dal poeta con le
convenzioni della lettura, così come la sua cura nella disposizione degli
epigrammi nel libro.

88
Come ricordato da Fowler 1995, p. 38 la pratica di celebrare molteplici destinatari in un
libro è ben attestata a Roma: ad esempio da Orazio nelle Odi e nelle Epistole, ma anche
da Catullo, da Ovidio nelle Epistulae ex Ponto, dall’elegia, per non parlare delle Silvae di
Stazio.
89
Cursorem sexta tibi, Rufe, remisimus hora / carmina quem madidum nostra tulisse
reor: / imbribus immodicis caelum nam forte ruebat. / non aliter mitti debuit iste liber.
90
L’apparente incongruenza è probabilmente all’origine di un problema testuale: vd. al
riguardo la n. al v. 4 iste.
74 Alessandro Fusi

7. La tradizione del testo

L’assetto stemmatico della tradizione manoscritta di Marziale91 è stato


fissato da F.W. Schneidewin, autore nel 1842 della prima edizione curata con
metodo scientifico92. Egli ha ripartito i codici in tre famiglie, la cui fonte risale
alla tarda antichità93. Le ricerche sul testo di Marziale hanno però raggiunto il
culmine, dopo le pur importanti edizioni di Gilbert e Friedlaender (entrambe
del 1886)94, all’inizio del XX secolo con gli studi di W.M. Lindsay95, seguiti
dalla sua fondamentale edizione oxoniense (1903), un’opera che, superati i
cento anni, merita ancora le parole di elogio che le dedicò, vent’anni dopo la
sua pubblicazione, un altro importante filologo anglosassone, di certo non
incline a facili lodi, A.E. Housman96: «One of those works which are such
boons to mankind that their shortcomings must be forgiven them. All that
energy could do in the investigation or skill and industry in the collation of
MSS was done, and the fruits of this labour were condensed in an appa-
ratus criticus of the most admirable lucidity». A Lindsay spetta il merito
di aver ricostruito in modo esauriente il testo della seconda famiglia, la cui
conoscenza da parte dei precedenti editori era soltanto parziale97, e di aver
reso conto delle sue scelte ecdotiche in un apparato chiaro e sintetico che

91
Un’ampia esposizione si trova in Citroni, pp. XLV-LXXIII, cui rimando anche per le
approfondite notizie sui singoli codici; ottima la sintesi di Reeve 1983. Importanti i contributi
di Friedlaender, I, pp. 67-96; Lindsay 1900-1901, pp. 353-355; 44-46; Id. 1901, pp. 413-420;
Id. [pp. I-XX]; Id. 1903; Heraeus 1925; Pasquali 1934, pp. 415-427; sulla fase tardoantica
vd. Schmid 1984; P. Mastandrea, Per la storia del testo di Marziale nel quarto secolo. Un
prologo agli epigrammi attribuibile ad Avieno, «Maia» 49, 1997, pp. 265-297.
92
I meriti di questa edizione, non cumuni per la sua epoca, sono stati sottolineati da S.
Timpanaro, La genesi del metodo del Lachmann, Padova 19853, p. 61 sg.; vd. anche Citroni,
p. XXXVIII sgg.
93
Sembra decisivo in tal senso l’ordine dei libri nel corpus marzialiano, comune a tutti i
codici, per cui Xenia e Apophoreta, pubblicati prima del libro I, sono collocati dopo il XII
libro (l’ultimo in ordine cronologico). La scelta risalirà al curatore di un’edizione completa
di Marziale, allestita dopo la morte dell’autore. Le edizioni moderne si attengono a questo
ordine: liber de spectaculis, libri I-XII, Xenia, Apophoreta.
94
Su meriti e limiti di queste edizioni vd. Citroni, p. XL sg.
95
Lindsay 1900-1901; 1901; 1902; 19032 e soprattutto Lindsay 1903.
96
Housman 1925, p. 199 = Class. Pap., p. 1099.
97
Per primo collazionò L, il codice più importante della famiglia, e riconobbe in f, codice
umanistico trascurato da Schneidewin, un importante testimone della stessa famiglia. Già
per l’edizione di Friedlaender egli aveva collazionato il codice Q.
Introduzione 75

per la prima volta rispecchiava la tripartizione della tradizione manoscritta


(sulle caratteristiche e sui limiti di questo apparato vd. § 8).
Ancora a Lindsay si deve un’analisi ampia e dettagliata sulla possibilità
di varianti d’autore nella tradizione di Marziale: l’ipotesi era già avanzata da
Schneidewin1, p. VII, ma l’esame più approfondito della questione è stato
condotto da Lindsay 1903, pp. 13-34 (§ 4 Origin and Nature of the Variations
in Martial’s Text), che ha individuato e discusso un elevato numero di varianti
che potrebbero risalire a Marziale. Almeno in un caso, quello del libro X, è il
poeta stesso ad attestare l’esistenza di una seconda edizione98: la prima risale al
95 ed è probabile che Marziale abbia deciso di ripubblicare il libro nel 98, sotto
il nuovo imperatore Traiano, eliminando gli epigrammi di tono smaccatamente
adulatorio nei confronti di Domiziano, assassinato nel 9699.
Scetticismo sulle ipotesi di varianti d’autore è stato espresso da
Heraeus 1925, pp. 318-323, mentre propenso ad accogliere le valutazioni
di Lindsay si è mostrato, almeno in un primo tempo, Pasquali 1934, p. 419
sgg.100. Oggi l’ipotesi non riscuote molti consensi101. Il caso per il quale
si è discusso con elementi più solidi della possibilità di variante d’autore
è X 48, 23 (de prasino conviva meus venetoque loquatur nel testo di
Lindsay): qui, nelle lezioni della seconda e terza famiglia102, Lindsay 1903,

98
X 2, 1-4 festinata prior, decimi mihi cura libelli / elapsum manibus nunc revocavit opus.
/ nota leges quaedam, sed lima rasa recenti; / pars nova maior erit: lector, utrique fave.
99
L’incremento di composizioni celebrative dell’imperatore nei libri VIII e IX lascia pen-
sare che ancora maggiore dovesse essere lo spazio per la componente adulatoria nel libro
X (vd. Citroni 1988, p. 27). Sulla cronologia delle due edizioni vd. ora Damschen-Heil, pp.
3-8 con bibliografia.
100
Successivamente Pasquali ha mostrato maggiore cautela e compiuto una parziale marcia
indietro sulla questione, ammettendo di avere probabilmente ecceduto nell’individuazione
di varianti d’autore proprio nel caso di Marziale: vd. G. Pasquali, Preghiera, «SIFC» 22,
1947, p. 261; Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 19522, p. XXI.
101
Vd., ad es., Citroni, p. XLIII; Reeve 1983, p. 243 sg. Un riesame di molte delle varianti
selezionate da Lindsay è stato recentemente condotto da Di Giovine 2002, che, pur
evitando di parlare di varianti d’autore, ritiene alcune lezioni, in genere trascurate dagli
editori, conformi all’usus linguistico e stilistico di Marziale. Le analisi di Di Giovine che
riguardano epigrammi di questo libro sono discusse nel commento: vd. le nn. a 27, 1; 72, 3;
86, 3. Per alcune varianti si può senz’altro pensare ad un’origine tardoantica (sull’argomento
Schmid 1984): vd. le nn. a 24, 2; 31, 2.
102
Scutoque , scipioque ; venetoque, accolto dalla maggioranza degli editori, è il testo
della prima famiglia, rappresentata da T.
76 Alessandro Fusi

p. 14 ha visto una corruzione di Scorpoque103, lezione che apparterrebbe


alla prima edizione del libro, sostituita, in seguito alla morte dell’auriga
Scorpo104, nella seconda edizione. L’ipotesi è stata guardata con favore da
H. Emonds105 e da Pasquali 1934, p. 420, contestata da Heraeus 1925, p.
319106. Shackleton Bailey, in modo ancor più radicale, ha accolto nel testo
Scorpoque, senza prendere in considerazione l’idea che si tratti di variante
d’autore107. L’ipotesi di Lindsay, anche se suggestiva, non ha condotto
a conclusioni persuasive: soprattutto non si vede il motivo per il quale
Marziale avrebbe sentito la necessità di sostituire il nome del defunto
Scorpo in X 48, 23, mentre non si sarebbe preoccupato affatto di lasciarlo,
nello stesso libro, in un contesto tutt’altro che celebrativo108.
In conclusione si può affermare che ad oggi l’ipotesi di varianti
d’autore in Marziale non è stata suffragata da nessun esempio che possa
essere considerato, con un relativo margine di probabilità, persuasivo109.

Gli editori successivi si sono basati sostanzialmente sull’apparato di

103
Scorpoque aveva congetturato già Gruter (1602).
104
Compianta da Marziale in X 50 e 53.
105
Zweite Auflage im Altertum, Leipzig 1941, p. 357 sg.
106
Una posizione originale è espressa da Schmid 1984, p. 406 sgg. che sostiene la genuinità
di scutoque.
107
Sull’ipotesi di varianti d’autore lo studioso si esprime con la consueta nettezza: «trium
recensionum lectiones varias ad poetam non redire ex ipsarum natura certo certius est» (SB1,
p. VII).
108
X 74, 2-6 quam diu salutator / anteambulones et togatulos inter / centum merebor
plumbeos die toto, / cum Scorpus una quindecim graves hora / ferventis auri victor auferat
saccos? Per un approfondito esame della questione vd. C. Di Giovine, Per il testo e l’esegesi
di Marziale 10, 48, 18-24, «RFIC» 128, 2000, p. 460 sgg., il quale, pur sostenendo il testo
della prima famiglia, guarda con un certo favore all’ipotesi di Lindsay. Sull’argomento mi
propongo di tornare prossimamente.
109
Per quanto riguarda gli epigrammi di questo libro, Lindsay 1903, pp. 22-24 mostrava
di considerare come possibili varianti d’autore quelle di 13, 1 e di 27, 1; collocava inoltre
tra le varianti per cui la scelta è estremamente incerta le seguenti: 16, 5 lusisti corio T :
lusisti satis est ; 44, 13 non licet natare T : non sinis natare ; 63, 6 modos : choros ;
68, 4 videre viros T : videre mares ; 91, 9 qui parte iacebat : cum parte iaceret T. Su
questi passi si vedano le relative nn. Sulla questione delle (presunte) varianti d’autore nei
testi antichi sono fondamentali le riflessioni di S. Mariotti, Varianti d’autore e varianti di
trasmissione, in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro, Atti del
Convegno di Lecce, 22-26 ottobre 1984, Roma 1985, pp. 97-111 (ora anche in S. Mariotti,
Scritti di filologia classica, Roma 2000, pp. 551-563).
Introduzione 77

Lindsay, tralasciando ogni investigazione sulla tradizione110. Una nuova


collazione dei manoscritti principali è stata compiuta da Mario Citroni per
la sua pregevole edizione commentata del I libro (1975) e, di recente, da
Alberto Canobbio per il gruppo di epigrammi appartenenti al ciclo del
libro V sulla restaurazione domizianea della Lex Roscia theatralis, oggetto
del suo approfondito studio111. Il riesame di Citroni non ha condotto
a sostanziali novità nella costituzione del testo112, come egli stesso
riconosce113; esso ha consentito tuttavia in più punti di chiarire l’effettivo
status della tradizione con un apparato che registra sistematicamente le
varianti dei codici principali114 (sui criteri, analoghi a quelli di Citroni,
adottati nella presente edizione vd. § 8).

110
Vd. Citroni, p. XLII sg. Il solo Heraeus, pur servendosi per lo più delle collazioni già
utilizzate da Lindsay, poté usare anche quelle apprestate da Thiele, morto prematuramente
quando aveva appena iniziato l’opera di edizione per la Bibliotheca Teubneriana (vd.
Heraeus, p. VIII). Lo studioso tedesco però corregge soltanto qualche piccolo errore delle
edizioni precedenti, attenendosi per il resto a un criterio ancor più selettivo di quello di
Lindsay nella costituzione dell’apparato.
111
Canobbio 2002; si tratta di V 8; 14; 23; 25; 27; 35; 38; 41, di cui lo studioso presenta
anche un ricco commento perpetuo. Il progetto di Canobbio è di condurre a termine
l’edizione commentata dell’intero libro V (vd. Canobbio 2002, p. 9). I restanti commenti a
singoli libri, la cui pubblicazione si è notevolmente infittita nel corso dell’ultimo decennio,
non contengono l’edizione critica del testo, limitandosi a una discussione delle varianti
desunte dagli apparati di Lindsay o Shackleton Bailey. L’unica eccezione è costituita da
Schöffel, che propone un apparato non frutto di un riesame personale, ma basato su
diverse edizioni critiche a partire da quella di Schneidewin. Una via diversa è quella tentata
dal recente commento al libro X di Damschen-Heil, frutto in realtà della collaborazione di
diversi studiosi, che presenta un’appendice critica in cui sono discussi i problemi testuali.
112
Tralascio quello di Canobbio per l’esiguo numero di epigrammi oggetto dello studio, che
non consente valutazioni più ampie.
113
Citroni, p. LXXIV; lo scetticismo sulle novità testuali che potrebbero emergere da un
completo riesame della tradizione traspare dalle parole di Reeve 1983, p. 243: «A thorough
study of the tradition, however rewarding, would hardly benefit editors».
114
Appare dunque eccessivo il sarcasmo mostrato nei confronti del lavoro di Citroni dal più
recente editore di Marziale, D.R. Shackleton Bailey, il quale, come noto, tralascia nelle sue
edizioni l’aspetto della recensio, affidandosi agli apparati esistenti: «In primi libri editione
(1975) M. Citroni singulorum ex familiis codicum discrepantias accuratius protulit;
qua diligentia hoc tamen profectum est, ut posteriores ne litus ararent moneri possent»
(SB1, p. XI). La necessità di condurre un’edizione critica di Marziale secondo i criteri indicati
da Citroni è invece ribadita da Parroni 1993, p. 57.
78 Alessandro Fusi

La tradizione medievale

I codici medievali sono suddivisi in tre famiglie, la cui origine risale


presumibilmente alla tarda antichità115:

La prima famiglia

Comprende soltanto due florilegi di origine francese di IX secolo


(T R), che si integrano a vicenda116 e contengono circa due terzi degli
epigrammi117. È l’unica fra le tre a conservare il Liber de spectaculis118.
Caratteristica peculiare di questa famiglia è la sostituzione dei termini
osceni con eufemismi, operazione di censura riconducibile a un ambiente
monastico119. Il suo testo è in genere migliore di quello delle altre due

115
Almeno per la seconda famiglia l’origine tardoantica è assicurata dalle sottoscrizioni
presenti in tutti i codici (su cui vd. infra). È evidente che l’assenza di un archetipo inteso
come progenitore della nostra tradizione non consente di utilizzare il criterio meccanico
dell’accordo di due famiglie contro una per la costituzione del testo. Ne offre conferma
l’alto numero di lezioni tramandate da una sola famiglia contro l’accordo delle altre due:
vd. l’elenco in SB1, pp. VIII-X.
116
Come osservato da Carratello 1974, p. 145. Quanto ai rapporti tra i due codici, per
Knoche 1940, p. 262 sg. n. 4 R sarebbe stato scritto poco dopo T, nello stesso scriptorium,
ma le più attendibili datazioni dei due codici smentiscono questa ipotesi e L. Zurli (I codici
T ed R di Marziale, «RFIC» 129, 2001, pp. 51-56) ha sostenuto, con buone ragioni, che
T integri intenzionalmente gli epigrammi tralasciati da R non solo nel De spectaculis, ma
anche nei libri I-XII e negli Xenia (a partire da XIII 74 T trascrive tutti i distici, senza
curarsi del fatto che siano o meno in R).
117
Un terzo codice, il Vindobonensis Lat. 277 del IX sec. (H), contiene di Marziale soltanto
epigr. 18, 5 sg.; 19-30; I 3; 4, 1 sg. ed è pertanto inutilizzabile per il libro terzo (sul codice
vd. Citroni, p. XLV sg.). La relazione tra H e T, affrontata dagli editori dei testi che vi sono
tràditi, è tuttora oggetto di discussione: vd. J. Richmond, The Relationship of Vindob. 277
and Paris. Lat. 8071, «Philologus» 142, 1998, pp. 80-93 con una rassegna delle ipotesi e
bibliografia. Per Lindsay, [p. IV sg.] T è copia di H.
118
La presenza del libro nei codici di altre famiglie è dovuta a contaminazione, operata
almeno dal XIV sec. Sull’argomento e sulla tradizione del De spectaculis vd. Reeve 1980,
p. 193 sgg. e la prefazione dell’edizione di Carratello (M. Valerii Martialis Epigrammaton
liber, Introduzione e testo critico di U. C., Roma 1981, rist. dell’ed. del 1980, p. 20 sgg.).
119
Lindsay 1903 pensava ad un’edizione tardoantica in usum elegantiorum; spetta a Hous-
man 1925, p. 202 (= Class. Pap., p. 1003) il merito di aver ricondotto tali sostituzioni a
«mere monkish horror of women»; a dimostrarlo in modo sicuro è il fatto che termini
volgari come, ad es., mentula, culus, fellare / fellator siano trascritti senza alcun problema,
Introduzione 79

famiglie120; non è tuttavia esente da interpolazioni121.

T = Parisinus Lat. 8071 (Thuaneus), saec. IX3/4. Il codice è stato attribuito


a un’area francese localizzabile tra Parigi e Auxerre, ma tendenzialmente
verso Auxerre (Bischoff) o a Fleury.
Catalogus codicum latinorum Bibliothecae Regiae, III 4, Paris 1744, p. 424 sg.; Citroni, pp.
XLVI-XLVIII; B. Munk Olsen, Les classiques latins dan les florilèges médiévaux antérieurs au
XIIIe siècle, «RHT» 10, 1980, p. 132 sg.; C. Vecce, Iacopo Sannazaro in Francia, Padova
1988, pp. 93-109; B. Bischoff, lettera a C. Villa apud Vecce, p. 95 n. 2; M. Mostert, The
library of Fleury. A provisional list of manuscripts, Hilversun 1989, p. 223.

R = Leidensis Vossianus Lat. Q 86, a. 850 circ. (Wilmart e Bischoff). Di


provenienza francese: lo assegnano a Fleury Rand e Knoche; a Tours
Wilmart e Reeve.
Citroni, pp. XLVIII-L; de Meyier, II, pp. 197-204.; B. Bischoff apud de Meyier, II, p. 197; A.
Wilmart, Codices Reginenses Latini, II, Città del Vaticano 1945, p. 245; E.K. Rand, A Vade
Mecum of Liberal Culture in a Manuscript of Fleury, «PhQ» 1, 1922, p. 258 sgg.; Knoche
1940, p. 262 sg.; Reeve 1983, p. 240 n. 14.

La seconda famiglia

Discende da un esemplare emendato da Torquato Gennadio122 nel 401

mentre la sostituzione è limitata a cunnus (con il suo composto cunnilingus) e a futuere


(con i suoi derivati fututor e fututrix); sull’argomento si veda ora l’approfondito studio di
Mastandrea 1996.
120
Spesso infatti conserva la lezione genuina contro le altre due: in questo libro cfr. 24, 2
focis T: sacris ; 32, 1 quaeris R: quereris ; 60, 1 vocer T: vocor ; 65, 8 nardo passa
T: nardo sparsa nardos parta ; 68, 1 huc T: hoc ; 80, 1 loqueris T: quereris ; 85,
3 tibi T: tua ; 86, 3 spectas et casta T: spectas tu casta si spectas casta . Per altri casi
vd. SB1, pp. VIII-X.
121
In questo libro cfr. 31, 2 urbanique] Albanique T; 91, 12 cervo] puero T. Sull’argomento
vd. Schmid 1984.
122
Il personaggio non può essere identificato (con Friedlaender, I, p. 69; O. Seeck, in RE
VII 1173, 56-63) con il Torquato Gennadio che nel 396 ricopriva la carica di praefectus
Augustalis d’Egitto e che fu proconsole d’Acaia: la sua opera di emendatio è un esercizio
propedeutico quale quello, compiuto sei anni prima nella stessa scuola di retorica, da
Crispo Sallustio sul testo di Apuleio. Tale attività può essere attribuita solo a uno studente,
forse figlio del magistrato omonimo, il quale certo non avrebbe omesso di menzionare
nelle sottoscrizioni i prestigiosi titoli onorifici acquisiti nella carriera politica (vd. Lindsay
80 Alessandro Fusi

d.C. a Roma nel Foro di Augusto, come risulta dalle subscriptiones presenti,
con lievi varianti, in tutti i codici123. Essa comprende un manoscritto di XII
secolo (L), valorizzato da Lindsay124, che per primo lo utilizzò nella sua
edizione, e tre codici di età rinascimentale (P Q f). Gli errori presenti nei
quattro riconducono a un archetipo in beneventana125. Il testo recato da
questa famiglia viene considerato meno attendibile di quello della prima,
ma più di quello della terza. Friedrich 1909, pp. 88-117 ha notato una
tendenza a normalizzare il testo sulla base di passi analoghi.

L = Berolinensis (olim Lucensis) Lat. fol. 612, saec. XII. Apparteneva


alla biblioteca del Monastero di S. Maria Corteorlandini di Lucca e fu
acquistato poco prima del 1900 dalla Biblioteca di Berlino. Fu riscoperto
e valorizzato da Lindsay.
Citroni, p. L sg.; Lindsay 1901, pp. 413-420; A. Mancini, «SIFC» 8, 1900, p. 124; collazione
in Lindsay 1903, pp. 65-118.

P = Vaticanus Palatinus Lat. 1696, saec. XV. Schneidewin1, p. XLIII sgg. ha


sostenuto che il codice sia da identificare con il Palatino utilizzato da Gruter
(1602). L’ipotesi, contestata da Gilbert 1883, p. 16 sg. e da Friedlaender, I,
p. 78 sg., ha trovato conferma dallo studio di Malein 1900, pp. 1-16.
Citroni, p. LI; Malein 1900, pp. 1-38; E. Pellegrin et al., Les manuscrits classiques latins de
la Bibliothèque Vaticane, II 2, Paris 1982, p. 357 sg.

Q = Londiniensis Musei Britannici Arondellianus 136, saec. XV2/3. Presenta


numerose correzioni, parte di prima mano, parte di mani successive, e

1903, p. 2; Pecere 1986, p. 34).


123
Una formula breve ed essenziale si ripete nei primi dodici libri (per il testo vd. Lindsay
1903, pp. 2 sgg.; 119 sg.). Segnava certo una cesura nell’opera di emendatio di Gennadio
la sottoscrizione lunga tramandata dopo il terzo epigramma degli Xenia: Emendavi ego
Torquatus Gennadius in foro divi Augusti Martis consulatu Vincentii et Fraguitii virorum
clarissimorum feliciter. Sulle subscriptiones tardoantiche di testi latini fondamentali gli
studi di O. Pecere: vd. specialmente Pecere 1986 (p. 34 sgg. sulla subscriptio gennadiana);
inoltre La subscriptio di Statilio Massimo e la tradizione delle Agrarie di Cicerone, «IMU»
25, 1982, pp. 73-123; Esemplari con subscriptiones e tradizione dei testi latini. L’Apuleio
Laur. 68, 2, in Il libro e il testo. Atti del convegno internazionale, Urbino 20-23 settembre
1982, a c. di C. Questa e R. Raffaelli, Urbino 1984, pp. 111-137.
124
Lindsay 1901, pp. 413-420.
125
Lindsay 1901, p. 416 sg.; Reeve 1983, p. 240.
Introduzione 81

molte note marginali, aggiunte di versi o epigrammi omessi dal capostipite


della famiglia. Le correzioni recenti derivano da un testo umanistico.
Citroni, p. LI sg.; Friedlaender, I, p. 79 sgg.; Lindsay 1900-1901, pp. 353-355; 44-46.

f = Florentinus Bibliothecae Laurentianae XXXV, 39, saec. XV3/4. Scritto


dall’umanista fiorentino G.A. Vespucci (A. de la Mare). Le correzioni della
seconda mano (f²), spesso nell’interlinea, talora in margine, sono desunte
da un testo umanistico.
Citroni, p. LII sg.; Lindsay 1902, p. 315 sg.; Lindsay, [p. X]; Bandini, II, cc. 219-221; A. de la
Mare, The handwriting of Italian humanists, I, Oxford 1973, p. 125.

I rapporti tra i codici della famiglia sono stati illustrati da Lindsay


1901, p. 415 sg.: certamente nessuno dei quattro è copia di uno degli
altri. Il codice più importante della famiglia è L, non solo perché è il più
vicino cronologicamente all’archetipo, ma anche perché è l’unico esente
da contaminazione. Spesso concordano in errore PQ che certamente
risalgono a un esemplare comune126; ne offrono conferma i seguenti
esempi tratti dal libro terzo:

2, 11 cocco] cocco Lf croco P¹ croceo Q; 12, 4 cenat] cenat Lf tentat PQ; 16, 2 sica
rapit] sica rapit Lf sicca rapit P¹Q; 25, 4 Neronianas] neronianas Lf neronicanas P
neronicanat Q; 36 tit. ad fabrianum sterilem amicum f (fabianum f²) ad fabiam s.
a. L de mechanico PQ (ad 35 pertinens); 43 tit. ad l(a)etinum qui caput tingebat Lf
ad l(a)etinum PQ; 44, 3 circa] circa Lf cura PQ; 46, 6 ingenuumque] ingenuumque
Lf ingeniumque P¹Q; 47, 8 porrum] porrum Lf possum PQ; 54, 1 possim] possim
Lf possum PQ; 58, 17 Rhodias] rhodias Lf rhadias PQ¹; 58, 37 fetum] fetum Lf²
vetus PQ; 73, 4 credere te] credere te Lf te credere PQ; 76, 4 Hecaben] (h)ecaben
Lf hecuben P echuben Q; 85, 1 abscidere] abscidere Lf abscindere PQ; 86, 4 mimis]
mimis Lf minus PQ; 91, 9 iacebat] iacebat Lf latebat PQ; 93, 19 virumque] virumque
Lf visumque PQ (vir- Q²).

Tra i due certamente P reca in forma più fedele il testo gennadiano,


anche se non mancano correzioni desunte dal testo umanistico. Q
presenta un numero molto più elevato di interventi dovuti a congettura
e a contaminazione. Anche l’antigrafo di f conteneva già varianti dovute
a contaminazione e inserzioni, ma il codice riporta spesso il testo genna-

126
Come rilevato da Lindsay 1900, p. 354; Id., [p. IX]; Citroni, p. LV sg.
82 Alessandro Fusi

diano127. Per la ricostruzione del testo dell’archetipo della famiglia è in


genere sufficiente l’accordo di L con un altro testimone della famiglia,
oppure, se non c’è tale accordo, la lezione del solo L o degli altri tre contro
L.

La terza famiglia

Comprende numerosi manoscritti. L’archetipo di questa famiglia


potrebbe essere stato un manoscritto in minuscola carolina128. Heraeus
1925, pp. 314-336 ravvisa nei codici della famiglia un certo numero di
glosse penetrate nel testo; errori spiegabili come tentativi congetturali
di sanare luoghi corrotti; la tendenza a scambiare le preposizioni nei
composti. Contiene alcune lacune (X 56, 7-72; 87, 20-91, 2). Numerosi
errori derivano da banalizzazione o normalizzazione129. I codici più antichi
e autorevoli sono tre esemplari di origine francese del IX secolo (E X V),
cui si aggiunge un codice dell’area tedesca dell’XI secolo (A).

E = Edinburgensis, National Library of Scotland, Adv. Ms. 18, 3, 1, saec.


IX2. È il codice più autorevole della famiglia, il più aderente all’archetipo
(vd. gli esempi infra).
Citroni, p. LVII; collazione in Lindsay 1903, pp. 65-118; I.C. Cunningham, Latin Classical
Manuscripts in the National Library of Scotland, «Scriptorium» 27, 1973, p. 69 sg.

A = Leidensis Vossianus Lat. O 56130, saec. XI-XII1. Una mano di poco

127
Vd. Lindsay 1902, p. 315 sg.
128
Lindsay [p. XI sg.]; Reeve 1983, p. 239 n. 5.
129
In questo libro cfr. 2, 12 vindice : iudice ; 13, 1 pisces T: piscem pisces leporem ;
pullos T : mullos ; 22, 3 ferre : ferres ; 25, 4 is : hic ; 27, 1 venias cum saepe R :
cum sis prior ipse ; 42, 4 creditur esse malum T : creditur esse nefas (cfr. 72, 2 nescio
quod magnum suspicor esse nefas); 44, 13 non licet natare T : non sinis natare (vv. 12
sonas; 14 tenes); 47, 15 urbem : Romam ; 60, 4 sugitur T : sumitur (vv. 3 sumis; 5
sumo); 72, 2 nescio quod magnum suspicor esse nefas T : n. q. maius s. e. n. (cfr. 42, 4
quod tegitur maius creditur esse malum); 73, 2 Phoebe : Galle ; 80, 1 de nullo loqueris
T: de nullo quereris ; 82, 18 ipse : ille ; 91, 9 exciduntque senem : exciditque senem
(v. 8 continuo ferrum noxia turba rapit); 99, 3 ludere T : laedere (v. 2 laesa).
130
Il codice è erroneamente indicato come Voss. Q 56 nell’edizione di Lindsay e nelle
successive. Nonostante la precisazione di Citroni, p. LVII n. 46, l’errore ricorre ancora in
SB e in alcuni commenti (Kay; Leary1; Grewing; Henriksén; Schöffel; Damschen-Heil). Un
Introduzione 83

più tarda ha corretto il testo in diversi luoghi. Il manoscritto presenta la


trasposizione di III 22-63, 4 dopo V 67, 5, presente, in forma identica o
molto simile, in altri manoscritti seriori della terza famiglia131: Guelferbytanus
Gudianus 157, saec. XII (G, probabilmente copia di A: vd. pp. 86-88); Am-
brosianus H 39 sup., saec. XI-XII (non utilizzato nella presente edizione);
Londiniensis Harleianus 2700, saec. XII (h); Cantabrigiensis, Corpus Christi
College 236, saec. XIII (c); Florentinus Bibliothecae Laurentianae XXXV,
38, saec. XV (F). Per Lindsay, [p. XI n. 2] la trasposizione sarebbe dovuta
allo spostamento di un quaternione nell’archetipo della famiglia, verificatosi
dopo che ne erano stati copiati EXV132.
Citroni, p. LVII sg.; de Meyier, III, p. 102 sg.

X = Parisinus Lat. 8067 (Puteaneus), saec. IX3/4. Scritto forse a Corbie. Tra
i manoscritti più importanti della famiglia è quello che presenta il numero
più elevato di interventi congetturali (per alcuni esempi vd. p. 84).
Citroni, p. LVIII; B.L. Ullman, A list of classical manuscripts (in an eight century codex)
perhaps from Corbie, «Scriptorium» 8, 1954, p. 27; B. Bischoff, Hadoard und die
Klassikerhandschriften aus Corbie, in Mittelalterliche Studien. Ausgewählte Aufsätze zur
Schriftkunde und Literaturgeschichte, I, Stuttgart 1966, pp. 55-63.

V = Vaticanus Lat. 3294, saec. IX2/3. Di provenienza francese (Auxerre


per Bischoff). Appartenuto prima a Francesco Sassetti e poi a Taddeo
Ugoleto, cui sono ascrivibili le correzioni in inchiostro rosso. Fu utilizzato
da Poliziano, che lo cita in Misc. I 23. Passò in seguito alla biblioteca di
Fulvio Orsini.
Citroni, p. LVIII; Parroni 19792, pp. 84-87; A. de la Mare, The Library of Francesco Sassetti
(1421-90), in C.H. Clough (ed.), Cultural Aspects of the Italian Renaissance. Essays in
Honour of P.O. Kristeller, Manchester 1976, pp. 162; 187; B. Bischoff apud de la Mare, p.
187 n. 72; [J. Ruysschaert] Survie des classiques latins, Bibliothèque Apostolique Vaticane
1973, p. 35 nr. 67.

errore analogo riguarda il Voss. Lat. Q 89 (C), per il quale vd. p. 86 n. 135.
131
Nonché nei testimoni discendenti dal Florilegium Gallicum (per i quali vd. p. 95 n. 151)
e nelle prime edizioni a stampa (per le quali vd. p. 93 sg.).
132
Il fatto che il passo trasposto comprenda 304 righe veniva valutato da Lindsay 1903
Addendum, come una prova che l’archetipo della terza famiglia avesse 19 righe a pagina
(e non 20).
84 Alessandro Fusi

Questi quattro manoscritti consentono di ricostruire con sicurezza


l’archetipo della famiglia. Per quanto riguarda i rapporti tra i codici, è certo che
nessuno sia copia di uno degli altri. EA sono i più scrupolosi nel riprodurre
l’archetipo e, tra i due, certamente E si mostra il più fedele all’antigrafo,
come si può osservare dagli esempi raccolti da Lindsay, [p. XII sg.]:

XI 70, 3 rudesve querellae] rudesveque pelle E rudesve puellae X rudesque puellae A;


X 11, 7 donavit Orestae] donavitur esse E donabitur esse X donabit esse A133.

La sostanziale aderenza di EA al testo dell’archetipo si può vedere


chiaramente, laddove essi tramandano un testo ametrico o palesemente
errato, mentre V e, in misura maggiore, X presentano vari interventi di
natura congetturale:

4, 5 cur absim quaeret breviter tu multa fatere] cur absim quae breviter quaeret tu
multa fatere EA cur absim breviter quaeret tu multa fatere XV; 4, 7 quando venit dicet
tu respondeto poeta] quando veniae dicit tu responde poetae EA quando si veniet
dicit responde poeta X et quando veniet dicens responde poetae V; 4, 8 citharoedus]
citharoedis EAV citharoedus X; 12, 2 here] heres EAV here X; 13, 1 dum non vis
pisces dum non vis carpere pullos] dum non vis pisces leporem dum non vis carpere
mullos EA dum non vis pisces leporem dum carpere non vis mullos V dum pisces
leporem dum non vis carpere mullos X; 14, 1 esuritor Tuccius] esurit orto cocius EA
esurit orco cocius V esuritor tuccius X; 24, 8 colla premitque manu] manu premitque
colla E¹A¹ colla manuque premit V colla premitque manu X; 32, 2 non vetula es] non
tula es EA²V non vetula es X; 38, 12 pallet] pallet et EA pallet XV; 42, 3 simpliciter]
simplici uter EA¹ simpliciter XV; 44, 10 stanti] tanti EA tantae V stanti X; 46, 5
umbone repellet] umbo repellet EA¹ quos umbo repellet V umbone repellet X; 48, 2
pauperis Olus habet] paupe tu solus habet EA pauper tu solus habet V pauperis olus
habet X; 50, 5 perlegitur dum] perge tordum EAV porrigitur dum X; 50, 6 tertius]
testius EA tertius XV; 52, 3 potes] potest EA potes XV; 53, 3 natibusque] natibus EAV
natibusque X; 58, 13 pavones] paones EA pavones XV; 58, 23 festos lucet ad lares]
festo lucet ad lare EAV festos lucet ad lares X; 61, 2 si nil Cinna petis] si nihil cinna
petis E¹A¹ si nil cinna petis E²A²XV; 68, 7 sed aperte] per te EAX per te nunc V; 75,
6 sollicitata Venus] sollicita venus EA sollicitata venus XV; 77, 4 tibi Phasis] tiphasis
EAV tibi phasis X; 82, 5 iacet] iacetque EAX iacet V; 83, 2 potui brevius] potuit ore tuis
EAX potuere tuis V¹; 88, 1 diversa sed] diversi sed EAX diversa sed X.

XV condividono un elevato numero di errori assenti in EA. Tali

133
Manca in questi esempi il testo di V, la cui conoscenza da parte di Lindsay è insufficiente
e per lo più derivata da Malein 1900: vd. Lindsay, [p. XIV].
Introduzione 85

corruttele consentono di affermare con sicurezza la loro discendenza da


un esemplare comune; ai casi riportati da Citroni, p. LXI per il primo libro,
si possono aggiungere questi esempi del terzo libro:

1, 1 id est] id est EA est XV; 1, 6 liber] liber EA libor XV; 2, 4 cordylas] cordylas (-di-)
EA cordydas (-di-) XV; 14, 4 a ponte] a ponte EA ad ponte X ad pontem V; 20, 2
tradit] tradit EA tradidit XV; 20, 9 tinctos Attico] tinctos attico EA tinctos ant(h)ioco
XV; 22, 1 trecenties] trecenties EA trecentias XV; 36 tit. ad fabianum sterilem amicum
EA ad fabinianum sterilem amicum XV; 38, 2 speras] speras EA superas XV; 40 tit.
de phiola EA ad phiola XV; 41, 2 quas] quas EA quis XV; 46, 4 lecticam] lecticam
EA lectica XV; 58, 7 testa] testa EA testas X²V (testes X¹); 63, 5 Nili] nili EA lini XV;
82, 19 lambentis] lambentes EA labentes XV; 82, 20 partitur] partitur EA parcitur V
pascitur X; 91, 2 cum grege] cum grege EA congrege XV; 93, 4 cum geras] cum geras
EA congeras XV; 99, 4 iugulare] iugulare EA vigilare XV.

Per quanto riguarda A, di cui sopra si è evidenziata una sostanziale


aderenza al testo dell’archetipo, esso tramanda in alcuni casi da solo la
lezione corretta contro l’errore di EXV:

32, 4 nondum erit illa canis, nondum erit illa lapis] erit (alt.) A erat EXV; 47, 12 faba]
faba A fabo EXV; 58, 11 prurit] prurit A purit EX furit V; 75, 3 bulbique] bulbique
A bullique EXV.

Questi esempi si aggiungono a quelli già segnalati da Citroni, p. LXI sg.,


tra i quali i casi più significativi sono:

I 66, 7 pater chartae] pater chartae A partae EXV; 66, 8 inhorruit] inhorruit A
horruit EXV.

Citroni considera poco probabile la possibilità che in questi casi la


lezione corretta di A sia frutto di congettura e prospetta, in via del tutto
ipotetica, l’eventualità che A possa derivare dall’archetipo per una via diversa,
indipendente, mentre E e il codice da cui dipendono X e V risalirebbero a
un esemplare comune. In effetti, se si ammette l’ipotesi di congettura di A,
si tratterebbe, almeno per il caso di I 66, 7, di un intervento tutt’altro che
semplice, ma è soltanto attraverso un esame sistematico condotto su tutti i
libri che si potranno trarre conclusioni definitive sulla questione134.

134
Anche l’ipotesi di contaminazione, prospettata con cautela da Citroni, p. LXII sg. (vd.
anche Canobbio 2002, p. 67), si fonda, per il momento, su un numero troppo limitato di
86 Alessandro Fusi

Da quanto osservato si può concludere che per la ricostruzione


dell’archetipo della famiglia è sufficiente l’accordo di EA, oppure, laddove
questo non vi sia, quello di uno tra i due con XV. Ai principali codici della
famiglia se ne aggiungono tre più recenti utilizzati da Lindsay e Citroni:

G = Guelferbytanus Gudianus Lat. 157, saec. XII. Presenta, come A (vd.


p. 82 sg.), la trasposizione di III 22, 1-63, 4 dopo V 67, 5.
Citroni, p. LXIII; O. v. Heinemann, Die Handschriften der Herzoglichen Bibliothek zu
Wolfenbüttel, 4 Abt., Wolfenbüttel 1913, p. 171.

B = Leidensis Vossianus Lat. Q 121, saec. XI-XII1. Una mano coeva ha


annotato alcune varianti interlineari e corretto il testo.
Citroni, p. LXIII; de Meyier, II, p. 265 sg.

C = Leidensis Vossianus Lat. Q 89135, saec. XIII1. Fu utilizzato da Scriverius,


che ha lasciato un’annotazione a VIII 28 nel margine inferiore del f. 51r.
Citroni, p. LXIII sg.; de Meyier, II, p. 207 sg.

Per quanto riguarda la posizione stemmatica dei tre manoscritti,


Lindsay, [p. XV] ha segnalato alcuni chiari errori congiuntivi che inducono
a postulare la dipendenza di G da A, di B da V, di C da X136. La collazione
da me effettuata del libro terzo fornisce ulteriori elementi per corroborare
l’ipotesi di Lindsay. Per quanto riguarda B la sua derivazione diretta da V è
pressoché sicura: esso infatti riproduce quasi tutti gli errori singolari di V; i
pochi casi divergenti sono facilmente spiegabili come tentativi congetturali
o errori singolari di B137. Alcuni esempi particolarmente evidenti:

4, 7 quando venit dicet tu respondeto poeta] et quando veniet dicens responde poetae
VB quando veniae dicit tu responde poetae EA si quando veniet dicit responde poeta

casi. Sembrano però deporre a sfavore della contaminazione i numerosi casi in cui EA
trascrivono un testo privo di senso o ametrico (vd. gli esempi citati a p. 84).
135
Il codice è indicato come Voss. F 89 nell’edizione di Lindsay e nelle successive. L’errore
ricorre ancora, nonostante la precisazione di Citroni, p. LVII n. 46, in SB e in alcuni commenti
(Kay; Leary1; Grewing; Schöffel; Damschen-Heil).
136
Per quanto riguarda VB gli esempi sono tratti da Malein 1900, p. 45, da cui, come detto,
sembra dipendere sostanzialmente la conoscenza di V da parte di Lindsay.
137
Alle medesime conclusioni conduce la collazione del primo libro di Citroni (p. LXIV).
Introduzione 87

X; 6, 1 numeratur] narratur VB numeratur EAX; 11, 3 pro Laide Thaida dixi] pro
thaide thaida dixit VB pro laide thaida dixit EAX; 13, 1 dum non vis carpere pullos]
dum carpere non vis mullos VB dum non vis carpere mullos EAX; 23, 1 omnia cum
retro pueris obsonia tradas] omnia cum pueris tu retro obsonia tractes V²B omnia
cum pueris retro obsonia tractas EAX; 32, 2 et vetulam sed tu mortua non vetula es]
et vetulam non tu mortua non tula es VB et vetulam sed tu mortua non tula es EA²
et vetulam sed tu mortua non vetula es X; 34 tit. de mechanico VB (ad 35 pertinens)
ad chionen EX ad chionem A; 38, 14 si bonus es casu] si casu bonus es VB si bonus
casu E¹A si bonus et casu E² si bonus es casu X; 41, 3 esse tibi magnus Telesine videris
amicus] esse tibi lete si magnus vivis amicus VB esse tibi laete si magnus viveris amicus
EX esse tibi laeti magnus viveris amicus A¹; 46, 5 umbone] quos umbo VB umbo EA¹
tuus umbo A² umbone X; 58, 11 prurit] furit VB purit EX prurit A; 68, 7 sed aperte]
per te nunc VB per te EAX; 83, 2 potui brevius] potuere tuis V¹B potuit ore tuis EAX;
94, 1 coctum leporem] leporem coctum VB coctum leporem EAX; 96, 3 prendero
Gargili] praetendere garrili V¹B¹ praetendero garrili B²V² prendere gargili EAX.

Per ciò che riguarda i rapporti tra AG e XC la derivazione, diretta o


indiretta, è, secondo Citroni, molto più incerta: essi presentano infatti «tanti
errori e tante interpolazioni che sarebbe quasi impossibile distinguere,
caso per caso, l’ascendenza stemmatica delle loro lezioni» (Citroni, p.
LXIV). Tuttavia, nonostante l’elevato numero di lezioni dovute a interventi
congetturali o a contaminazione presente in questi codici138, la collazione
del terzo libro sembra condurre a una conferma dell’ipotesi di Lindsay di
derivazione diretta di G da A e di C da X: per la dipendenza di G da A
costituiscono elementi significativi la trasposizione di III 22, 1-63, 4 dopo
V 67, 5 e l’omissione dell’epigr. 37 (aggiunto da G²); inoltre un numero
cospicuo di errori comuni, alcuni dei quali significativi:

14, 1 esuritor Tuccius] esurit ortococius EAG¹ esurit orco cocius V esuritor tuccius X;
17, 1 diu mensis scribilita secundis] dimensis scribit ita secundus AG dimensis scripsit
ita secundus E dimensis scribit ita secundis XV; 20, 15 Titine] petine AVG¹ pertine E
petitne X; 24, 8 colla premitque manu] colla manuque premit A²VG manu premitque
colla EA¹ colla premitque manu X; 27, 3 vitium est] fuit dum AG¹ fuit dum est EXV;
27, 4 et mihi cor non est et tibi Galle pudor] et mihi cor non est tibi galle pudor E¹A¹G
et mihi cor non est nec tibi galle pudor A²V et mihi cor non est et tibi galle pudor
E²X; 35, 2 pisces aspicis] respicis aspicis EAG v.l. respices aspicis XV; 41, 3 esse tibi
magnus, Telesine, videris amicus] esse tibi thelesi magnus viveris amicus A²G¹ esse tibi
laete si magnus viveris amicus EX esse tibi laete si magnus vivis amicus V; 42, 3 pateat]
puteat A¹G¹ pateat EA²XVG²; 46, 5 umbone] tuus umbo A²G umbo EA¹ umbone X

138
Schneidewin1, p. LXXIV definisce C «antesignanus librorum recentiorum».
88 Alessandro Fusi

quos umbo V; 46, 6 ingenuumque latus] ingeniumque latos AG¹ ingenuumque latus
XV ingenuumque latos E; 47, 15 immo rus] immoros A inmoros G¹ immo rus EXV;
58, 7 multa fragrat testa] multos f. testa AG multas f. testa E multas f. testas X²V; 58,
15 Numidicaeque] numicideque AG¹ numidicaeque EXV; 58, 47 furem] euremque
AG eurem EXV; 58, 50 pullos] pullus AG pullos EXV; 63, 11 amet] amat AG¹ amet
EXV; 68, 7 schemate] semate AG¹ scemate EXV; 72 tit. ad saufelam AG ad saufeiam
EXV; 91, 5 steriles] sceriles EA²G² steriles XV; 93, 7 corcodilus] cocodrillus AG
corcodrillus E crocodrillus X crocodillus V; 93, 20 si Sattiae] si satire AG¹ si saciare
E si satiare XV.

Per la dipendenza di C da X agli esempi di Lindsay, [p. XV] si possono


aggiungere:

2, 4 cordylas] cordidas XVC cordylas EA; 13, 1 dum non vis pisces dum non vis
carpere pullos] dum pisces leporem dum non vis carpere mullos XC dum non vis
pisces leporem dum non vis carpere mullos EA dum non vis pisces leporem dum
carpere non vis mullos V; 20, 5 improbi iocos] improbi licos XC improbi locos EA
improbi iocos V; 22, 1 Apici bis] apicibos X apici cibos C apici bis EA apicius V; 38,
10 sunt ibi] sunt tibi XC sunt ibi EAV; 44 tit. ad ligorinam poetam XC ad ligorinum
poetam EV ad ligurinum poetam A; 44, 3 Ligurine solitudo] solitudo ligurgine XC
ligurgine solitudo EA¹ ligurine solitudo A²V; 44, 4 quid sit scire cupis] quod si scire
cupis XC quod scire cupis EAV; 47, 11 Gallici canis dente] gallicanis dentibus XC
gallici canis dente V gallici canis dentes EA; 50, 5 perlegitur dum] porrigitur dum XC
perge tordum EAV; 50, 7 librum] broma XC bruma EAV; 58, 7 multa fragrat testa]
multas flagrat testas X²VC multas flagrat testes X¹ multas fraglat testa E multos fraglat
testa A; 58, 21 agnus] annus X annis C agnus EA anus V; 63, 5 Nili] lini XVC nili EA;
64, 2 gaudiumque crudele] gaudiumque crudelem AXC gaudiumque crudele EV; 70,
1 Scaevine] schevine XC scevine EAV; 76, 4 Hecaben] hecuben XC hecaben EAV;
85, 2 parte] parce XC parte EAV; 93, 4 cum geras] congeras XV aggeras C cum geras
EA; 93, 18 nupturire] numtuire XV num tu ire C nuptuire EA.

Considerando i casi sopra esposti piuttosto stringenti, non ho citato in


apparato le lezioni di GBC, se non nei casi in cui essi attestino una variante
non presente in EAXV (o presente soltanto nel rispettivo antigrafo) accolta
nel testo (o comunque significativa).
Appartengono infine alla terza famiglia i codici139:

139
Secondo l’elenco fornito da Reeve 1983, p. 242 n. 26 il quadro della tradizione medievale
di Marziale, fatta eccezione per i numerosi florilegi (per i quali vd. p. 95 sg.), è completato
dai seguenti codici, non utilizzati in questa edizione: Ambros. H 39 sup., saec. XII, usato da
Citroni (Y: vd. p. LXIV); Aberdeen 152 (saec. XII-XIII); Ivrea 37 (saec. XI, contiene soltanto
XIII 1-110); vd. anche B. Munk Olsen, L’étude des auteurs classiques latins aux XIe et XIIe
Introduzione 89

F = Florentinus Bibliothecae Laurentianae XXXV, 38, saec. XV. Appartiene


alla terza famiglia, anche se mostra un alto grado di contaminazione con
la seconda. Presenta la trasposizione di III 22-63 dopo V 67, pressoché
identica a quella di A (vd. p. 82 sg.).
Citroni, p. LVI sg.; Bandini, II, c. 218; C. Frobeen apud Friedlaender, I, pp. 89; 96-108.

c = Cantabrigiensis, Corpus Christi College, ms. 236, saec. XIII. Omette


alcuni epigrammi. Presenta una trasposizione analoga a quella di A (vd. p.
82 sg.) per quanto riguarda la sezione di testo coinvolta (III 24-63; omette
gli epigr. 22-23), ma l’ordine è ulteriormente perturbato (III 1-21; 64-IV
59; III 50-62; V 68-XI 34; IV 60-V 66; III 24-49; XI 36 sgg.).
M.R. James, A Descriptive Catalogue of the Manuscripts in the Library of Corpus Christi
College, Cambridge, I 3, Cambridge 1910, p. 536 sg.

h = Londiniensis Harleianus 2700, saec. XII. Presenta la trasposizione di


III 22-63, 4 dopo V 67, 5 come A (vd. p. 82 sg.).
A Catalogue of the Harleian Manuscripts in the British Museum, II, London 1808, p. 708.

La tradizione umanistica

La grande fortuna umanistica di Marziale è testimoniata da un elevato


numero di codici del XV secolo140. I recentiores presentano un alto
grado di contaminazione: il testo è per lo più quello della terza famiglia
contaminato con quello della seconda; talora è il caso inverso. Il loro esame
si rivela significativo soprattutto per la storia della tradizione e dell’esegesi
di Marziale, che conosce in questo secolo una notevole fioritura141.

siècles, II, Catalogue des manuscrits classiques latins copiés du IXe au XIIe siècle. Livius-
Vitruvius. Florilèges-Essais de plume, Paris 1985, pp. 93-104.
140
Si tratta di oltre 110 manoscritti, di cui una ventina datati: vd. F.-R. Hausmann,
Datierte Quattrocento-Handschriften lateinischer Dichter (Tibull, Catull, Properz, Ovid-
Epistula Sapphus ad Phaonem, Martial, ‘Carmina Priapea’) und ihre Bedeutung für die
Erforschung des Italienischen Humanismus, in U.J. Stache-W. Maaz-F. Wagner (Hrsgg.),
Kontinuität und Wandel. Lateinische Poesie von Naevius bis Baudelaire. Franco Munari
zu 65. Geburtstag, Hildesheim 1986, p. 624.
141
Alcune delle congetture attestate in questi manoscritti sono ormai stabilmente recepite
nelle edizioni: in questo libro cfr. 10, 4 essent; 74, 1 levas.
90 Alessandro Fusi

Ho utilizzato i seguenti manoscritti:

b = Oxoniensis Bodleianus Ms. Auct. F 2. 17, saec. XV4. Copiato da


Luca Fabiani (A. de la Mare) e forse appartenuto ad Alessandro Braccesi.
Contiene Marziale con le note di commento di Calderini (anonime).
F. Madan, A Summary Catalogue of Western Manuscripts in the Bodleian Library at
Oxford, III, Oxford 1895, p. 21 sg.; P.O. Kristeller, An Unknown Correspondence of
Alessandro Braccesi with Niccolò Michelozzi, Naldo Naldi, Bartolommeo Scala, and
other humanists (1470-1472) in Ms. Bodl. Auct. F. 2. 17, in C. Henderson (ed.), Classical
Mediaeval and Renaissance Studies in Honor of B.L. Ullman, Roma 1964, II, p. 318 sgg.

k = Londiniensis Musei Britannici King’s Ms. 32, a. 1469-1471. Scritto e


postillato da Pomponio Leto per Fabio Mazzatosta. Vi compare di quando
in quando nei margini la mano di Perotti in relazione a parole greche o
grecismi nel testo.
Catalogue of Western Manuscripts in the old Royal and King’s Collections, by sir G.F.
Warner and J.P. Gilson, III, London 1921, p. 11; S. Maddalo, I manoscritti Mazzatosta,
in Cultura umanistica a Viterbo, Atti della giornata di studio per il V centenario della
stampa a Viterbo, 12 novembre 1988, Viterbo 1991, pp. 48-50; 56-75; A. Fairbank, Three
Renaissance Scripts, «The Journal of the Society for Italic Handwriting» 32, 1962, pp. 9-12,
fig. 2; Campanelli 1998, pp. 169-180, spec. p. 175 sg. n. 17.

l = Florentinus Bibliothecae Laurentianae XXXV, 37, saec. XV. Presenta


la trasposizione di III 22-63, 4 dopo V 67, quasi identica a quella di A (vd.
p. 82 sg.). Dopo l’epigr. 62 però è copiato l’intero epigr. 63 (non solo i vv.
1-4).
Bandini, II, c. 217 sg.

v = Vaticanus Lat. 3295, saec. XV3/4. Copiato sotto la direzione di


Pomponio Leto per la famiglia Vespi (il cui stemma compare nel f. 1), ma
non autografo, come erroneamente sostenuto da P. de Nolhac. Appartenne
alla biblioteca di Fulvio Orsini.
V. Zabughin, Giulio Pomponio Leto. Saggio critico, I, Roma 1909, p. 208; G. Muzzioli, Due
nuovi codici autografi di Pomponio Leto (Contributo allo studio della scrittura umanistica),
«IMU» 2, 1959, pp. 340; 347 n. 9; Nolhac 1887, p. 199; Parroni 19792, p. 87 sg.

v1 = Vaticanus Lat. 3296, saec. XV. Appartenuto al Panormita (Antonio


Introduzione 91

Beccadelli). Presenta correzioni marginali della prima mano e qualche nota


dello stesso Panormita; fece parte della biblioteca di Fulvio Orsini.
Nolhac 1887, p. 220.

v2 = Vaticanus Lat. 6848, saec. XV3/4. Autografo di Niccolò Perotti.


Il manoscritto è frutto di diverse fasi di lavoro. Le correzioni e le fitte
annotazioni marginali, con inchiostri di diversi colori, risalgono per
la maggior parte all’inverno 1469-1470 (Monfasani; 1471-72 secondo
Mercati), durante il quale Perotti lavorò al testo di Marziale in collaborazione
con Pomponio Leto.
Mercati 1925, pp. 74 sgg.; 132-135; Hausmann 1980, pp. 266-271, spec. p. 267; J.
Ramminger, Perottis Martialkommentar im Vaticanus lat. 6848, in Nicolai Perotti
Cornu Copiae, VIII, pp. 11-14; A. Marucchi, Codici di Niccolò Perotti nella Biblioteca
Vaticana, «HumLov» 34, 1985, pp. 102; 120 sg.; J. Monfasani, Platina, Capranica, and
Perotti: Bessarion’s latin eulogists and his date of birth, in Bartolomeo Sacchi, il Platina
(Piadena 1421-Roma 1481), Atti del Convegno internazionale di studi per il V centenario
(Cremona, 14-15 novembre 1981), a cura di A. Campana e P. Medioli Masotti, Padova
1986, p. 99 n. 8 (rist. in Id., Byzantine scholars in Renaissance Italy: Cardinal Bessarion
and other emigrés, Aldershot 1995, nr. 6); M.D. Reeve, Statius’ Silvae in the fifteenth
century, «CQ» n.s. 27, 1977, p. 210.

L’interesse per il poeta di Bilbilis nella seconda metà del XV secolo


è inoltre testimoniato dal buon numero di edizioni a stampa che si
succedettero nel volgere di breve tempo a partire dai primi anni settanta.
Si contendono la palma dell’editio princeps la prima edizione romana
(senza luogo né data, del 1470 c.), e l’edizione ferrarese per i tipi di André
Belfort, la prima datata (2 luglio 1471)142. Seguono l’edizione veneta curata
da Giorgio Merula143 per i tipi di Vindelino da Spira (senza data, del 1472
c.) e la seconda edizione romana (30 aprile 1473), dovuta alle cure di

142
L’edizione romana è generalmente accreditata come princeps, anche se l’assenza di una
datazione lascia qualche margine di incertezza. Sulla questione vd. Carratello 1973.
143
Merula curò successivamente altre due edizioni di Marziale: Venezia, Giovanni da Colo-
nia e Johann Manthen, 1475 (Hain 10812; IGI 6219; Flodr, s.v. Martialis, nr. 5) e Milano,
Filippo da Lavagna, 1478 (Hain 10813; IGI 6221; Flodr, s.v. Martialis, nr. 7). Sulla filologia
di Merula vd. V. Fera, Tra Poliziano e Beroaldo: l’ultimo scritto filologico di Giorgio
Merula, «Studi Umanistici» 2, 1991, pp. 7-41; M. Campanelli, Manoscritti antichi, testi
a stampa e principi di metodo: spigolando negli scritti filologici di Giorgio Merula, «La
parola del testo» 2, 1998, pp. 253-292.
92 Alessandro Fusi

Niccolò Perotti, al quale spetta un posto di rilievo nell’esegesi di Marziale


del tempo: il monumentale Cornu copiae, pubblicato postumo a Venezia
nel 1489, nasce infatti come commento al poeta, mai completato per la
vastità della materia. L’opera comprende Liber de spectaculis e parte del
libro I: Perotti muove dal testo degli epigrammi per fornire un ricchissimo
commento lessicografico, corredato di numerose citazioni di classici144.
Gli studi filologici del tempo sono caratterizzati dall’aspra polemica tra i
principali protagonisti: quella tra Perotti e Domizio Calderini, autore dei
celebri Commentarii, pubblicati a Roma il 22 marzo 1474145; quella tra
lo stesso Calderini e Giorgio Merula, autore nel 1478 di un commento
intitolato, in modo significativo, Adversus Domitii Commentarios in
Martialem146. Ancora Calderini infine costituisce un bersaglio privilegiato
delle polemiche di Angelo Poliziano, che però proprio attraverso la con-
trapposizione con il rivale foggia e precisa il suo metodo filologico147. Il
secolo, e con esso il primo periodo delle edizioni a stampa di Marziale, si
chiude con la prima Aldina del 1501, significativa più per il prestigio dei
tipi che per la qualità del testo proposto.
Per l’edizione ho utilizzato i seguenti testimoni:

ed. Rom. 1 = Editio Romana, Romae 1470-1471 c. Priva di indicazione di

144
Sul Cornu copiae e sul metodo di Perotti si veda M. Furno, Le Cornu Copiae de Niccolò
Perotti. Culture et méthode d’un humaniste qui aimait le mots, Genève 1995; S. Prete,
L’edizione critica del Cornu Copiae di Niccolò Perotti, in Nicolai Perotti Cornu Copiae,
I, pp. I-X; bibliografia aggiornata in Nicolai Perotti Cornu Copiae, VIII, pp. 15-20.
145
Su Calderini vd. J. Dunston, Studies in Domizio Calderini, «IMU» 11, 1968, pp. 71-150;
C. Dionisotti, Calderini, Poliziano e altri, «IMU» 11, 1968, pp. 151-185; Campanelli 2002,
spec. p. 13 sgg. sulla sua polemica con Perotti.
146
Vd. Campanelli 2002, p. 38 sgg.
147
Sul complesso rapporto tra Poliziano e Calderini vd. L. Cesarini Martinelli, In margine
al commento di Angelo Poliziano alle Selve di Stazio, «Interpres» 1, 1978, pp. 103-124
(rist. con alcune varianti e aggiornamenti bibliografici con il titolo Poliziano e Stazio: un
commento umanistico, in Il Poliziano latino. Atti del Seminario di Lecce-28 aprile 1994,
a c. di P. Viti, Galatina 1996, pp. 67-85). Un importante capitolo sulla filologia marzialiana
del Quattrocento, dedicato alle interpretazioni di Calderini, Merula e Poliziano dell’oscuro
distico di VI 77, 7 sg., ha scritto S. Timpanaro, Atlas cum compare gibbo, «Rinascimento»
2, 1951, pp. 311-318 (rist. con brevi aggiunte in Id., Contributi di filologia e di storia della
lingua latina, Roma 1978, pp. 333-343); su Poliziano e il testo di Marziale vd. anche P.
Saggese, Poliziano, Domizio Calderini e la tradizione del testo di Marziale, «Maia» 45,
1993, pp. 185-195; Campanelli 1998, pp. 169-180.
Introduzione 93

luogo e data, stampata con i tipi del Silio Italico (Roma 1471). Presenta,
come quasi tutte le prime edizioni a stampa, la trasposizione di III 22-63
dopo V 67, affine a quella attestata in A e in alcuni recenziori della terza
famiglia (vd. p. 82 sg.).
Hain 10805; IGI 6215; Flodr, s.v. Martialis, nr. 3; Hausmann 1980, p. 253.

ed. Ferr. = Editio Ferrariensis, typis Andreae Belfortis, Ferrariae 2 VII


1471. Unica edizione a stampa priva del De spectaculis, aggiunto soltanto
nei primi quattro folia dell’esemplare di Leida, appartenuto a Isaac Voss,
stampati con un carattere 116 R. diverso da quello delle restanti pagine
(115 R.). Poiché il carattere 116 R. fu usato da Belfort nel 1474-1475, è
probabile che egli abbia intorno a quella data aggiunto i fogli contenenti il
De spectaculis, precedentemente omesso, alle copie invendute. Presenta la
trasposizione di III 22-63, 4 dopo V 67 pressoché identica a quella attestata
in A (vd. p. 82 sg.). Dopo l’epigr. 62 però è stampato l’intero epigr. 63 (non
solo i vv. 1-4).
Hain 10810; IGI 6216; Flodr, s.v. Martialis, nr. 2; Schneidewin1, p. XIV sg.; Carratello 1973;
Hausmann 1980, p. 253.

ed. Ven. = Editio Veneta, Wendelin von Speyer, Venetiis 1472 c. Curata
da Giorgio Merula. Per la trasposizione di III 22-63 dopo V 67 vd. ed.
Rom. 1.
Hain *10809; IGI 6217; Flodr, s.v. Martialis, nr. 1; Hausmann 1980, p. 265 sg.

ed. Rom. 2 = Editio Nicolai Perotti, C. Sweynheym-A. Pannartz, Romae 30


IV 1473. Priva del nome del curatore, l’edizione rivela però senza alcun dubbio
la sua paternità per la presenza delle lezioni sostenute da Perotti e presenti
nel suo codice autografo (v2: vd. p. 91). Un riferimento all’edizione a stampa
si trova in una lettera di Perotti a Pomponio Leto pubblicata da Sabbadini,
nella quale egli polemizza con Domizio Calderini sull’interpretazione di XIV
41. Per la trasposizione di III 22-63 dopo V 67 vd. ed. Rom. 1.
Hain 10811; IGI 6218; Flodr, s.v. Martialis, nr. 4; Hausmann 1980, pp. 253; 266-271; R.
Sabbadini, Spogli Ambrosiani latini, «SIFC» 11, 1903, pp. 337-340 (anche in Id., Opere
minori, I, Classici e umanisti da codici latini inesplorati, Padova 1995, pp. 184-187);
Mercati 1925, pp. 93-98.
94 Alessandro Fusi

ed. Ald. = Editio Aldina, Venetiis 1501. L’edizione per i prestigiosi tipi di
Aldo Manuzio fu modello per successive stampe, specialmente in Francia
(ad es. quelle di Sebastian Gryphius ed eredi a Lione). Per la trasposizione
di III 22-63 dopo V 67 vd. ed. Rom. 1. Una seconda Aldina, probabilmente
migliore della prima148, fu stampata nel 1517.
Hausmann 1980, p. 255.

Il testo di Marziale nei secoli XVI e XVII

Il Cinquecento vede numerose edizioni del testo di Marziale, specialmente


in Francia a opera degli stampatori di Lione (1502; 1512; 1518; 1522) e di Parigi
(1526; 1528; 1533), che testimoniano l’interesse per il poeta149. Il più importante
tra gli editori lionesi è Sebastian Gryphius (ed eredi), che dà alla luce una
quindicina di edizioni (quella del 1567 seguita da un commento di Antonius
Gryphius). Nella seconda metà del secolo la critica del testo di Marziale compie
passi avanti nelle edizioni del fisico olandese Adriaen de Jonghe (Adrianus
Iunius): la prima apparsa a Basilea nel 1559, la seconda ad Antwerp nel 1568.
Anche l’esegesi segna progressi: il gesuita austriaco Matthaeus Rader è autore
di un monumentale commento, ancor oggi utile (Ingolstadt 1602, più volte
ristampato). Tra la fine del Cinquecento e il primo ventennio del Seicento
si succedono alcune significative edizioni: quelle dell’olandese Ianus Gruter
(1596; 1602); quella con commento dello spagnolo Laurentius Ramirez de
Prado (1607) e, soprattutto, quella di Peter Schrijver (Scriverius) del 1619, che
rappresenta il livello più alto toccato dagli editori prescientifici di Marziale:
l’edizione presenta i contributi di altri importanti studiosi (J. Lipsius, J. Rutgers,
J.I. Pontanus) e reca note testuali di grande rilievo. Le numerose ristampe del
solo testo (1621; 1628; 1650; 1664; 1696) hanno contribuito a rendere questa
edizione la più autorevole per lungo tempo.
Grande fortuna conosce anche l’edizione commentata di Thomas
Farnaby (Farnabius) del 1615 (più volte ristampata). Nella seconda metà
del secolo si segnala l’edizione di Cornelius Schrevel (1656; 1663), con gli
emendamenti di Johann Friedrich Gronov. Non può mancare in questo

148
Vd. Schneidewin1, p. XXXVII; Saggese 1995, p. 55 sg. n. 48.
149
Sulla ricezione di Marziale nella Francia dei secoli XVI-XVII vd. K.H. Mehnert,
Sal Romanus und Esprit Français. Studien zur Martialrezeption im Frankreich des
sechzehnten und siebenzehnten Jahrhunderts, Bonn 1970.
Introduzione 95

agile prospetto la menzione dei numerosi e brillanti contributi testuali


di Niklaas Heinsius150, il cui nome è ampiamente presente anche negli
apparati di Marziale. Dallo status del testo raggiunto alla fine del Seicento
prenderà le mosse verso la metà del XIX secolo F.W. Schneidewin, la cui
edizione segna l’inizio dell’applicazione dei moderni criteri filologici al
testo di Marziale. Con Schneidewin il discorso sul testo di Marziale, come
si era aperto (vd. p. 74), qui si chiude.

8. Criteri della presente edizione

Questa edizione si basa sulla collazione completa di tutti i testimoni


utilizzati. Ho visto direttamente i codici P V v v1 v2, il Laur. LIII, 33
(commento di Calderini) e tutte le edizioni umanistiche (ed. Rom. 1, ed.
Ferr., ed. Ven., ed. Rom. 2, ed. Ald.); per gli altri manoscritti mi sono
avvalso di microfilm. Ho scelto di tralasciare tutti i florilegi utilizzati da
Citroni, che ne registra invece sistematicamente le varianti nell’apparato: i
più importanti151 sono testimoni discesi dal perduto Florilegium Gallicum,
un’antologia curata probabilmente nel sec. XII nel nord della Francia
(forse a Orléans)152. Essi contengono excerpta di oltre trenta autori. Di
Marziale sono presenti soprattutto versi di carattere moraleggiante. Questi
testimoni, che pure rivestono un notevole interesse per la storia della
tradizione e per la fortuna del testo di Marziale, sono di utilità minima per

150
Conservati in un esemplare dell’edizione di S. Gryphius (Lugduni 1553), che si trova a
Leida.
151
Si tratta di: (Nostradamensis) Parisinus Lat. 17903, sec. XIII (n); Parisinus Lat. 7647, sec.
XII-XIII (p); Escorialensis Q I 14, sec. XIII-XIV (e); (Diezianus) Berolinensis, Deutsche
Staatsbibliothek, Diez. B. Sant. 60, sec. XIV (d).
152
Sul Florilegium Gallicum vd. B.L. Ullman, «CPh» 23, 1928, pp. 128-174; 24, 1929,
pp. 109-132; 25, 1930, pp. 11-21; 26, 1931, pp. 21-30; 27, 1932, pp. 1-42; A. Gagnér,
Florilegium Gallicum. Untersuchungen und Texte zur Geschichte der mittelalterlichen
Florilegienliteratur, Lund 1936; R.H. Rouse, The A text of Seneca’s tragedies in the
thirteenth century, «RHT» 1, 1971, pp. 103-121; Id., Florilegia, Orléans and Latin Classical
Authors in the Twelfth and Thirteenth Centuries, «Viator» 10, 1979, pp. 131-160; B. Munk
Olsen, Les classiques latins dans les florilèges médiévaux antérieurs au XIIIe siècle, «RHT»
9, 1979, pp. 75-83 = La réception de la littérature classique au Moyen Age (IXe-XIIe siècle,
Copenhagen 1995, pp. 174-183; per quanto riguarda il testo di Marziale vd. B.L. Ullman,
«CPh» 27, 1932, pp. 22-24; Carratello 1974, pp. 142-158; Reeve 1980, p. 199 sg.
96 Alessandro Fusi

la costituzione del testo degli epigrammi153. A questi si aggiungono altri


florilegi che tramandano piccoli gruppi di epigrammi, singoli epigrammi o
anche parti di epigrammi154.
L’apparato critico è sempre positivo e registra regolarmente le varianti
di tutti i testimoni principali (TRLPQfEAXV), compresi i tituli, trascurati
dagli editori successivi a Schneidewin (con le eccezioni di Citroni e Canobbio
2002), ma di sicuro interesse per la storia della tradizione155 e utili talvolta per
la ricostruzione dei rapporti tra i codici di una famiglia e tra diverse famiglie.
Ho concesso ampio spazio, forse troppo si dirà, anche a lezioni che possono
apparire di poco o nessun conto nella costituzione del testo: esse sono
tuttavia utili per chiarire i rapporti di parentela tra i vari codici e possono
talvolta offrire qualche valido elemento per la ricostruzione dell’archetipo
della famiglia156; tale materiale può inoltre rivestire qualche interesse per
gli studiosi della storia dell tradizione. Gli altri codici (BCFGchbklvv1v2)
sono menzionati solo nei casi in cui tramandino lezioni accolte nel testo non
attestate (o scarsamente attestate) nei codici principali e lezioni non accolte nel
testo, ma diffuse nella tradizione umanistica e nelle edizioni prescientifiche.
Le edizioni umanistiche (ed. Rom. 1, ed. Ferr., ed. Ven., ed. Rom. 2, ed. Ald.)
sono citate nel caso in cui attestino lezioni accolte nel testo non presenti o
non comuni nei codici oppure laddove testimonino una variante di qualche
interesse non presente o poco attestata nella tradizione medievale. L’apparato
è articolato in questo modo: viene segnalato in primo luogo se l’epigramma è
tramandato (anche parzialmente) dalla prima famiglia (ad es.: hab. T oppure
vv. 1-2 hab. R); segue il titulus nella forma meglio attestata, quindi secondo
il progressivo allontanamento da quella (ad es.: tit. de ingenua et libertina
et ancilla EXV: de ingenua et libertina et acilla A de ingenua et libertate et
ancilla R de ingenua et libera et ancilla LPf de ingenua libera et ancilla Q).

153
Citroni, p. LXVIII. Il testo è per lo più quello della terza famiglia, con notevoli affinità con
quello della prima, probabilmente dovute a contaminazione.
154
Un elenco si può trovare in Friedlaender I, p. 67 sg. n. 1. Quelli utilizzati da Citroni, per lo
più sulla base di collazioni pubblicate (vd. Citroni, p. LXX), sono: (Frisingensis) Monacensis,
Bayerische Staatsbibliothek ms. 6292 sec. XI (Fris.); Parisinus Lat. 10318 (Salmasianus),
sec. VII (Salmas.); Parisinus Lat. 8069 sec. XI (Paris.); Londiniensis, British Museum,
Royal 15. B. XIX, sec. IX (Brit.); Lipsiensis, Rep. 1, 74, sec. X (Lips.).
155
Essi risalgono alla tarda antichità, come ampiamente mostrato dalle indagini di Landgraf
1902 (sui tituli della seconda famiglia) e di Lindsay 1903, p. 34 sgg.
156
Si veda, ad es., la n. a 32, 1.
Introduzione 97

Anche le varianti sono ordinate secondo il loro progressivo allontamento


dalla lezione accolta; i codici che tramandano la stessa lezione sono ordinati
per famiglie: la prima, nell’ordine TR; la seconda, nell’ordine LPQf; la terza,
nell’ordine EAXV (l’ordine interno alle famiglie non è cronologico, ma
d’importanza). Seguono, eventualmente, i manoscritti più recenti della terza
famiglia (BCFGch), i recentiores (bklvv1v2) e le edizioni a stampa (ed. Rom.
1 ed. Ferr. ed. Ven. ed. Rom. 2 ed. Ald.).
Come già sottolineato da Citroni (p. LXXV), un apparato di tal genere,
seppur poco agile, consente di fare a meno del sistema, introdotto da
Lindsay e utilizzato da tutti i successivi editori, basato sulle sigle ‘cumulative’
che indicano i capostipiti (ricostruiti) delle tre famiglie (AABACA per Lindsay;
per Duff e i successivi editori157) e i testimoni umanistici158. Lindsay
infatti non riporta di norma le lezioni dei singoli codici, ma solo le varianti
che attribuisce ai capostipiti delle tre famiglie. Tale scelta, che reca l’indubbio
vantaggio di distinguere con molta chiarezza le varianti delle famiglie, presenta
però un evidente margine di arbitrarietà159. Nella presente edizione le sigle
sono utilizzate soltanto nei casi di effettivo consenso di tutti i testimoni
della famiglia presenti160. Faccio seguire alcuni esempi a dimostrazione di
quanto detto; riporto l’apparato di Lindsay, quindi l’effettivo stato della
tradizione e, se necessario, qualche parola di commento:

32, 1 quaeris (P) vel quereris (Qf, -re L) BA. In realtà: quereris PQf, quaerere L.
32, 3 matria BA : matrinia CA. In realtà: matrinia AX matria EV.
47, 12 victati (victicti) CA. In realtà: victati XV victicti EA. L’accordo di questi due
codici fornisce con ogni probabilità il testo dell’archetipo (vd. pp. 84; 86).
93, 19 visumque BA. In realtà: visumque PQ virumque Lf. Qui con ogni probabilità
l’accordo di L con f riconduce all’archetipo, mentre visumque sarà corruttela presente
nel progenitore comune di PQ (vd. p. 81).

157
L’innovazione, generalmente attribuita a Heraeus, risale all’edizione di Duff, che l’aveva
già suggerita nella recensione a Lindsay («CR» 17, 1903, p. 220). È però il prestigio della
teubneriana di Heraeus ad aver giocato il ruolo maggiore nella definitiva affermazione di
nelle successive edizioni.
158
Ital. per Lindsay; It. per Heraeus; Itali per Citroni (che si serve anche della sigla dett.);
per Duff e SB. La tradizione umanistica è invece riesaminata da Canobbio 2002, che
registra in apparato le lezioni dei singoli codici ed edizioni.
159
Come sottolineato da Citroni, di cui vd. anche gli esempi tratti dal libro I (p. LXXIV sg.).
160
TR per la prima famiglia; LPQf per la seconda; EAXV per la terza. Per quanto riguarda
la prima famiglia allo stesso criterio si attiene, tacitamente, SB. Citroni (p. LXXV) evita invece
del tutto la sigla , registrando sistematicamente le varianti di HTR.
98 Alessandro Fusi

Nel caso della I famiglia, per lo più rappresentata dal solo T (più
raramente dal solo R; in pochissimi casi da entrambi) Lindsay attribuisce
alcune varianti allo scriba di T (o di R), altre al capostipite della famiglia
(AA). L’intento è, come detto, quello di offrire al lettore la ricostruzione
dell’archetipo; tuttavia, trattandosi spesso di un solo testimone, che peraltro
mostra chiari segni di trascuratezza161, la scelta appare talora arbitraria162.
Qualche esempio:

4, 1 requiret] Lindsay (seguito da Heraeus) scrive: requirit AA (pro –ret); SB, più
opportunamente: requirit T
11, 2 cur in te factum distichon esse putas] Lindsay (seguito da Izaac) scrive: ecce AA:
esse BACA. Anche in questo caso l’ipotesi di errore singolare di R appare più probabile
(SB scrive: esse ecce R).
65, 2 quod de Corycio quae venit aura croco] Lindsay scrive: pervenit AA. Qui si
tratterà presumibilmente di un errore di T causato dall’abbreviazione del pronome
(Heraeus e SB infatti non riportano la variante di T).

La revisione dei principali manoscritti consente inoltre di correggere


alcune piccole imprecisioni dell’apparato di Lindsay, che si sono tramandate
nelle successive edizioni e di retrodatare alcune congetture, attribuite per
lo più alla tradizione umanistica, ma già presenti nei codici medievali163:

4, 5 quaeret breviter] Lindsay scrive: quae breviter quaeret ut vid. CA (sic E; quae br.
A; br. quaeret XBFG). In realtà: quae breviter quaeret EA breviter quaeret XV. La
lezione dell’archetipo, come correttamente ipotizzato da Lindsay, è quella, ametrica,
di EA, mentre quella di XV è un tentativo di rabberciamento, presente, con ogni
probabilità nel comune capostipite dei due codici (di V Lindsay non mostra una
conoscenza soddisfacente).
13, 1 dum non vis pisces, dum non vis carpere pullos] Lindsay scrive: pisces AA :
piscem BA : pisces cum v. l. leporem CA (unde dum non vis pisces leporem EA, dum
non vis pisces BG, dum pisces leporem XC). Qui è probabile che nell’archetipo della
terza famiglia la varia lectio leporem fosse già penetrata nel testo a fianco di pisces:

161
Come rilevato dallo stesso Lindsay, [p. V]: «Quam neglegenter codex descriptus sit, ex iis
locis apparet ubi parentis (H) testimonium restat».
162
La medesima opinione è espressa da Citroni, p. LXXV; Reeve 1980, p. 199.
163
Una lista con la retrodatazione di alcune congetture attribuite a filologi del Cinquecento
e del Seicento si trova in appendice a Saggese 1995, pp. 54-56: si tratta di sedere (V 14, 11:
vd. anche Canobbio 2002, pp. 97; 102); si draucus (IX 27, 10); darent (XI 3, 10); buccis
placentae (VII 20, 8); poeta non vult (XI 24, 15).
Introduzione 99

così si spiega il verso tràdito in forma ametrica da EA, i testimoni più scrupolosi
nel riprodurre l’archetipo (e da V, non citato da Lindsay), mentre X ha tentato un
rabberciamento congetturale eliminando l’anafora di non vis.
19, 2 Lindsay: fictae AACA: pictae BA (così Heraeus, Izaac e SB); in realtà: fictae
EAXV¹: pictae T V². La lezione corretta è qui attestata soltanto dalla terza famiglia.
20, 5 Lindsay, seguito da Heraeus, Izaac e SB, attribuisce ai testimoni umanistici la
variante iocos. Essa però si trova già in VBh²; si tratterà dunque di congettura (locos
EA licos X), ma di IX secolo.
25, 4 Lindsay: is BA ut vid. (is Lf: si P: om. Q). In realtà: is LPf: om. Q. Questa è perciò
con certezza la lezione dell’archetipo della famiglia.
26, 5 nec me puta velle negare, attribuita dagli editori a Madvig e accolta da Friedlaender
e Izaac, è già nelle Animadversiones di Scriverius (1618).
32, 1 Lindsay: num possum ed. a. 1473; Heraeus: num possum O; SB: num possum
ed. Rom. Tutti e tre gli editori fanno riferimento all’edizione di Niccolò Perotti del
1473 (ed. Rom. 2). Questa però ha, come v2, l’autografo di Perotti, non possum.
32, 1 Lindsay: quaeris AA: quaeris (P) vel quereris (Qf; -re L) BA: quereris CA. Heraeus
e SB: quereris : quaeris P. In realtà quereris PQf quaerere L quereis Q. La
lezione dell’archetipo della seconda famiglia è senz’altro quereris. L’interpunzione
(non possum vetulam. quereris, M.?), accolta da Heraeus e SB e attribuita a Friedrich,
è largamente diffusa nella tradizione umanistica (v2 ed. Rom. 1 ed. Ven. ed. Rom. 2
Ramirez de Prado).
39, 2 Lindsay: lusta CA ut vid. In realtà: iusta EAXV.
44, 14 Lindsay: sonas ad aurem CA. In realtà: sonas in aurem EAXV.
44, 15 Heraeus e SB attribuiscono fugas edentem a Ramirez de Prado. In realtà fugas
edentem è già in f²XC²Fh e nell’ed. Ferr.
47, 11 Lindsay: Gallici canis dente Ital. In realtà: VBGh²
50, 7 librum] Lindsay scrive: librum BA : bruma (EAGB²) vel broma (XC) (i.e.
?) CA; SB, semplificando: librum : bruma vel broma . In realtà: bruma
EAVGB² broma XC. Considerando che C è quasi certamente apografo di X (vd. pp.
86; 88), la lezione dell’archetipo della famiglia era senz’altro bruma, mentre broma è
congettura (peraltro non banale) di X, che tra i quattro manoscritti è quello che più
interviene sul testo dell’archetipo, non di rado in modo corretto.
58, 29 Lindsay: urbanus CA ut vid. (sed –nos X). In realtà: urbanus EAXV (l’errore è
segnalato da Lindsay nei Corrigenda et Addenda).
65, 8 Lindsay (seguito da SB): nardos parta CA ut vid. (sed nardo parta XBC). In realtà:
nardos parta EAXVBC.
66, 1 Lindsay: Phariis Ital. In realtà: CG²h. Lindsay: fartis (-tus) BA (SB: fartis vel –tus
). In realtà: fartus L fartis Qf fractis P. Le lezioni di PQf inducono a considerare
fartis come probabile lezione dell’archetipo e fartus aberrazione singolare di L.
68, 12 Lindsay: legis AABA : leges CA. In realtà: leges T legis (l’errore è segnalato da
Lindsay nei Corrigenda et Addenda).
87, 1 Lindsay: salitam AA (sol- T). In realtà: salitam T.
93, 20 Lindsay: si satiae BA (sisatirae P, si sactie f): sisatiae ut vid. CA (-tire AG¹, -tiare,
-ciare EVXBCG²). Heraeus, semplificando, scrive: satiae ut vid. Ma P ha si satciae,
100 Alessandro Fusi

probabile corruttela di sactiae. Per quanto si può ricavare dalle lezioni della terza
famiglia (si saciare E, si satiare XV, si satire A), l’archetipo doveva avere si saciare (o
–tiare).

La traduzione non ha pretese letterarie e intende offrire un primo


sussidio per l’esegesi; si caratterizza per una ricerca di aderenza al testo
latino, sia a livello sintattico che lessicale (ad es. nella resa di volgarismi e
termini osceni). Alla traduzione segue una nota introduttiva (n. intr.) che
presenta l’epigramma, fornendo alcune indicazioni generali sull’esegesi,
sulla presenza del tema nella tradizione greco-latina e in Marziale, sui
personaggi nominati.
Punto di riferimento per il taglio del commento è l’eccellente lavoro di
Mario Citroni (Firenze 1975), insuperato dai successivi commentatori sia
per l’equilibrio tra ricchezza nell’informazione e chiarezza espositiva, che
per la finezza nell’interpretazione. Le note affrontano questioni testuali,
storico-antiquarie, topografiche, stilistico-letterarie, metriche; solo di tanto
in tanto offrono spazio ad argomenti di sicuro interesse, ma forse estranei
al fine di un commento, quali l’esegesi umanistica, che meriterebbe una
trattazione a parte, e la fortuna di Marziale, poeta al quale non sono mai
mancati lettori e imitatori164.

164
Sia sufficiente rimandare agli studi esistenti, dove è possibile reperire ulteriore bibliogra-
fia: W. Maaz, Lateinische Epigrammatik im hohen Mittelalter. Literarhistorische Unter-
suchungen zur Martial-Rezeption, Hildesheim 1992; F.-R. Hausmann, Martial in Italien,
«StudMed» 17, 1976, pp. 178-218; Hausmann 1980; G. Billanovich, ‘Veterum vestigia
vatum’ nei carmi dei preumanisti padovani, «IMU» 1, 1958, pp. 155-243; Sullivan 1991,
pp. 253-312; J.P. Sullivan (ed.), The classical heritage, New York-London 1993.
101 Sigla

M. Valerii Martialis

Epigrammaton
liber tertius
SIGLA

Prima familia

T = Parisinus Lat. 8071 (Thuaneus), saec. IX3/4


R = Leidensis Vossianus Lat. Q 86, a. 850 circ.
= consensus codicum TR

Secunda familia

L = Berolinensis (olim Lucensis) Lat. fol. 612, saec. XII


P = Vaticanus Palatinus Lat. 1696, saec. XV
Q = Londiniensis Musei Britannici Arondellianus 136, saec. XV2/3
f = Florentinus Bibliothecae Laurentianae XXXV, 39, saec. XV3/4
= consensus codicum LPQf

Tertia familia

E = Edinburgensis Adv. Ms. 18, 3, 1, saec. IX2


A = Leidensis Vossianus Lat. O 56, saec. XI-XII1
X = Parisinus Lat. 8067 (Puteaneus), saec. IX3/4
V = Vaticanus Lat. 3294, saec. IX2/3
= consensus codicum EAXV

Alii testes tertiae familiae qui hic illic laudantur

B = Leidensis Vossianus Lat. Q 121, saec. XI-XII1


C = Leidensis Vossianus Lat. Q 89, saec. XIII1
F = Florentinus Bibliothecae Laurentianae XXXV, 38, saec. XV
G = Guelferbytanus Gudianus Lat. 157, saec. XII
c = Cantabrigiensis Corpus Christi College 236, saec. XIII
h = Londiniensis Harleianus 2700, saec. XII
103 Sigla

Recentiores

b = Oxoniensis Bodleianus Ms. Auct. F 2. 17, saec. XV4


k = Londiniensis Musei Britannici King’s Ms. 32, a. 1469-1471
l = Florentinus Bibliothecae Laurentianae XXXV, 37, saec. XV
v = Vaticanus Lat. 3295, saec. XV3/4
v1 = Vaticanus Lat. 3296, saec. XV
v2 = Vaticanus Lat. 6848, saec. XV3/4

Editiones antiquissimae

ed. Rom. 1 = Editio Romana, Romae 1470-1471 circ.


ed. Ferr. = Editio Ferrariensis, typis Andreae Belfortis, Ferrariae 2 VII
1471
ed. Ven. = Editio Veneta, cur. Georgius Merula, Wendelin von Speyer,
Venetiis 1472 circ.
ed. Rom. 2 = Editio Nicolai Perotti, C. Sweynheym-A. Pannartz, Romae
30 IV 1473
ed. Ald. = Editio Aldina, Venetiis 1501
Epigramma 1 105

Hoc tibi quidquid id est longinquis mittit ab oris


Gallia Romanae nomine dicta togae.
Hunc legis et laudas librum fortasse priorem:
illa vel haec mea sunt, quae meliora putas.
Plus sane placeat domina qui natus in urbe est: 5
debet enim Gallum vincere verna liber.

hab. T tit. ad lectorem Tf : om. LPQ 1 id est EA: idem T est XV longinquis
T AXV: loginquis E 2 nomine TPQf : nomini L 4 putas. edd.: putas? Dousa (sed iam
v1) 5 sane TLPf : plane Q placeat T² : placeas T¹ 6 vincere TLPf : vivere Q liber
T EA: libor XV

Quest’opera, quale che sia, ti manda da terre lontane


la Gallia chiamata col nome della toga romana.
Leggi questo libro e forse lodi il precedente:
le poesie che ritieni migliori, quelle o queste, sono mie.
Piaccia pure di più quello che è nato nella città sovrana: 5
infatti il libro nato in patria deve vincere quello gallo.

L’epigramma presenta il libro che Marziale invia a Roma dalla Gallia


togata. Il poeta si rivolge al lettore (1 tibi) e ne previene le critiche: forse
preferirà il precedente (il II libro: vd. la n. al v. 3), ma si tratta pur sempre
di epigrammi dello stesso autore. Marziale chiude il componimento con
un’arguzia destinata a compiacere il pubblico romano: il libro scritto a
Roma è senz’altro destinato a un maggiore successo, dal momento che è
inevitabile che ciò che è Romano sia superiore a ciò che è Gallo.
La convinzione che ciò che è ‘urbano’ sia più raffinato di ciò che è
‘provinciale’ è ben presente nella letteratura latina: cfr., ad es., i carmi di
Catullo contro Asinio il Marrucino (12), Egnazio il Celtibero (39), Mamurra
il Formiano (29; 41, 4; 43, 5; 57), Rufa la Bolognese (59), l’amante pesarese
di Giovenzio (81) e, sull’argomento, E.S. Ramage, Urbanitas. Ancient
Sophistication and Refinement, Oklahoma 1973 (su Marziale pp. 121-125).
Marziale gioca con questo motivo, affermando che il libro dovrà essere
necessariamente inferiore al precedente, poiché è provinciale e certamente
106 M. Val. Martialis liber tertius

non potrà competere con quello composto nella domina urbs (vd. Parroni
1984, p. 127 sgg.). All’affettazione di modestia, topica nelle presentazioni
di opere letterarie, si sovrappone probabilmente in questo caso un’effettiva
apprensione per il fatto che il libro scritto lontano da Roma, fonte unica di
ispirazione per la sua poesia, e non sostenuto dalla presenza del suo autore
nell’Urbe, riceva un’accoglienza più fredda da parte del pubblico rispetto
alla raccolta che lo ha preceduto. In modo analogo, nella prefazione al
dodicesimo e ultimo libro, scritto dopo il definitivo ritorno in Spagna, il
poeta si mostra preoccupato di inviare a Roma un prodotto non all’altezza
della capitale e domanda all’amico Prisco, dedicatario del libro, di giudicare
l’opera con sincerità per evitargli figuracce (XII epist. 22 sgg. cit. nella n.
al v. 6).
Non appare motivata la proposta di invertire l’ordine dei vv. 4 e 6 avanzata
da Hartman 1897, p. 336, che spiega: «priorem librum … huic praestare
dices; nimirum hic in provincia est scriptus, ille in urbe. Neque ego obsto
quominus ita censeas, dummodo mihi hac condicione uti liceat ut quae tibi
meliora visa fuerint tamquam mea agnoscam, quae peiora respuam».

1: il verso richiama apertamente il carme proemiale delle Epistulae ex


Ponto ovidiane: I 1, 2 hoc tibi de Getico litore mittit opus (cfr. anche Ov.
Pont. II 11, 1 hoc tibi, Rufe, brevi properatum tempore mittit). Marziale
stabilisce subito un legame tra il suo libro proveniente dalla Gallia togata
(cfr. v. 2) e la poesia ovidiana dell’esilio. La stessa formula di invio ricorre
anche in V 1, epigramma di dedica del libro a Domiziano, v. 1 sgg. hoc tibi
… / Caesar … / (v. 7) mittimus. Per il riferimento alla produzione ovidiana
dell’esilio, cospicuo negli epigrammi proemiali del libro, vd. l’Introduzione,
§ 1; Pitcher 1998, pp. 59-65. – hoc: il pronome deittico, comune in contesti
anatematici, è utilizzato di frequente da Marziale negli epigrammi di
dedica dei libri, che Laurens 1965, p. 326 sgg. definisce forme laicizzate
dell’epigramma votivo: cfr. I 1, 1 sg. hic est quem legis ille, quem requiris,
/ toto notus in orbe Martialis; IV 82, 1 hos quoque commenda Venuleio,
Rufe, libellos; V 1, 1 sgg. cit. supra; VI 1, 1 sextus mittitur hic tibi libellus;
VII 80, 3 sg. hunc Marcellino poteris, Faustine, libellum / mittere; la sua
collocazione ad inizio di verso conferisce enfasi maggiore all’oggetto che
si offre (sulla ripresa da parte di Marziale di formule anatematiche vd.
Siedschlag 1977, p. 6 sg.). – tibi: Marziale si rivolge al lettore generico
romano, il solo che possa apprezzare la pointe dell’epigramma, che scherza
Epigramma 1 107

sull’inferiorità di ciò che proviene dalla provincia rispetto a ciò che è


urbano (liber Gallus-liber verna). Vedi anche III 4, 1 e 5, 1, dove ribadisce
che il libro è destinato alla capitale. Il dialogo con il lettore è uno dei tratti
più originali della poesia di Marziale (su questo aspetto vedi le osservazioni
di E. Auerbach, Studi su Dante, trad. it., Milano 1992, p. 309 sgg.); a lui
si rivolge in continuazione, spesso nominandolo (cfr., per limitarsi ai casi
in cui compare il vocativo lector, I 1, 4; 113, 4; II 8, 1; IV 55, 27 sg.; V 16,
2; VII 12, 12; IX epist. v. 5 sgg.; X 2, 4 sg.; XI 16, 1; 108, 2 e 4), talvolta,
come qui, con un’allocuzione indeterminata: X 1, 4 fac tibi me quam cupis
ipse brevem (è il libellus a parlare); 59, 1 sg. consumpta est uno si lemmate
pagina transis, / et breviora tibi, non meliora placent; XIII 3, 1 sg. omnis
in hoc gracili Xeniorum turba libello / constabit nummis quattuor empta
tibi; XIV 2, 1 quo vis cumque loco potes hunc finire libellum. Ad un
dedicatario particolare pensava Immisch 1911, p. 491 sgg., il quale riteneva
che il III libro come noi lo possediamo fosse frutto di una rielaborazione
compiuta da Marziale in occasione di un’edizione congiunta dei libri I-VII
(cfr. VII 17), in cui il poeta avrebbe sostituito l’epistola prefatoria (di cui
non rimane traccia), dove si faceva il nome del destinatario, con questo
epigramma, e che dunque con l’espressione liber prior (v. 3) Marziale
facesse riferimento alla versione precedente del III libro. Ma la sua
ricostruzione delle vicende di pubblicazione dei libri di Marziale poggia
su basi molto incerte ed è piuttosto improbabile. L’importanza attribuita
dal poeta all’esordio dei libri consente senz’altro di escludere la possibilità
che Marziale si rivolga ad un patrono senza nominarlo esplicitamente.
– quidquid id est: la professione di modestia è un procedimento piuttosto
comune nella presentazione di opere letterarie: cfr., ad es., Catull. 1, 8 sg.
quare habe tibi quidquid hoc libelli / qualecumque. La iunctura richiama
allusivamente il componimento proemiale delle Epistulae ex Ponto di
Ovidio: I 1, 21 sg. quidquid id est adiunge meis: nihil impedit ortos /
exule servatis legibus Urbe frui; per l’uso in un contesto proemiale cfr.
anche Calp. ecl. 4, 12 sgg. quidquid id est, silvestre licet videatur acutis
/ auribus et nostro tantum memorabile pago, / nunc mea rusticitas, si
non valet arte polita / carminis, at certe valeat pietate probari; Priap. 2,
9 sgg. ergo quidquid id est, quod otiosus / templi parietibus tui notavi, /
in partem accipias bonam, rogamus. – longinquis … ab oris: l’espressione
costituisce un altro rinvio allusivo all’Ovidio dell’esilio: cfr. trist. III 1, 25 sg.
duc age! namque sequar, quamvis terraque marique / l o n g i n q u o referam
108 M. Val. Martialis liber tertius

lassus ab orbe pedem (è il libro a parlare, giunto a Roma longinquo … ab


orbe, dal Ponto; l’attributo presenta soltanto un’altra occorrenza in Ovidio:
Ibis 146 nostraque longinquus viscera piscis edet). Longinquus è aggettivo
di uso prevalentemente prosastico e raro in poesia; per questa accezione
cfr. Hor. epist. I 8, 3 longinquis … in agris; Prop. II 9, 29 longinquos … ad
Indos; vd. ThlL VII 2, 1626, 37 sgg.; per il nesso cfr. Auson. 212, 19 p. 69 P.
(prof. 22, 19 G.) longinquis … defunctus in oris. In Marziale è questa l’unica
occorrenza. Equivalente nel senso è l’espressione longis … ab oris in epigr.
24, 1 si quis ades longis serus spectator ab oris. La clausola, frequentissima
in poesia esametrica, ricorre ancora in IV 42, 3 Niliacis primum puer hic
nascatur in oris; VII 6, 1 ecquid Hyperboreis ad nos conversus ab oris; VIII
32, 7 haec a Sardois tibi forsitan exulis oris; 45, 1 Priscus ab Aetneis mihi,
Flacce, Terentius oris; IX 30, 1 Cappadocum saevis Antistius occidit oris;
84, 5 me tibi Vindelicis Raetus narrabat in oris. – mittit: il verbo mittere,
mutuato dallo stile poetico-epistolare (cfr. Ov. epist. 1, 1; Pont. I 1, 1 sg.; 3,
1; 10, 1; II 11, 1 sg.; III 4, 1 sg.; 6, 1 sg.; IV 9, 1 sg.), fa parte del formulario
di dedica dei libri: cfr. V 1, 1 sgg. cit. supra; VI 1, 1 cit. supra. In questo
caso Marziale gioca anche con la figura, diffusa in poesia, per cui il luogo di
origine di un prodotto è visto come soggetto che lo offre: cfr. Verg. georg. I
57 India mittit ebur, molles sua tura Sabaei; Lygd. 2, 23 quas mittit dives
Panchaia merces; Ov. am. I 14, 45 tibi captivos mittet Germania crines;
vd. ThlL VIII 1186, 53 sgg.; in Marziale vi sono numerosi esempi: cfr. I 43,
7; II 43, 7; III 77, 4; IX 75, 8. Il libro cisalpino viene dunque presentato da
Marziale come un prodotto della regione da cui proviene e come tale il poeta
si aspetta che sia valutato dai lettori (cfr. v. 5 sg.).
2: si tratta della Gallia Cisalpina, dove Marziale si trova al momento della
pubblicazione del III libro (ad Imola: cfr. III 4, 4 Corneli referas me licet
esse Foro), che si distingueva dalla Gallia comata per l’adozione della toga,
abito nazionale romano, simbolo di una maggiore civilizzazione. Essa
ricevette per un breve periodo la denominazione di Gallia togata, al tempo
in cui Cesare fece il primo passo per inserire il nord-Italia nell’Italia vera
e propria, in modo non ufficiale, durante il suo proconsolato (58-52), poi,
ufficialmente, dall’11 marzo del 49 con la lex Roscia. La denominazione di
Gallia togata ricorre in Hirt. Gall. VIII 24, 3; 52, 1; Cic. Phil. 8, 27 (dove
essa è distinta dalla Gallia comata); Mela II 59; Plin. nat. III 112; Suet.
gramm. 3, 6; Vib. Seq. 227 Gelsomino (6, 7 Parroni); Cass. Dio XLVI
55. La regione non esiste formalmente più dopo la battaglia di Filippi e
Epigramma 1 109

l’uso da parte di autori più tardi di questa denominazione è indicativo per


il periodo delle fonti utilizzate (sulla storia del nome e sulle vicende della
regione vd. RE VI A 1662 sg.; U. Laffi, La provincia della Gallia Cisalpina,
«Athenaeum» 80, 1992, pp. 5-23). La definizione permette a Marziale di
mettere in evidenza il livello di romanizzazione della regione in cui si trova;
a ciò contribuisce anche la struttura del verso, che affianca il nome Gallia
all’attributo Romanae. – Romanae … togae: la iunctura ricorre ancora,
nella stessa posizione del verso, in II 90, 2 gloria Romanae, Quintiliane,
togae, dove la toga rappresenta metonimicamente l’oratoria forense.
– nomine dicta: il nesso è frequente in poesia, specialmente in contesti
eziologici: cfr. Ov. met. I 446 sg. instituit sacros celebri certamine ludos /
Pythia perdomitae serpentis nomine dictos con il commento di Bömer2.
Nomine è qui ablativo di origine; in genere l’ablativo è preceduto da a, de:
cfr. Verg. Aen. I 277 Romanos … suo de nomine dicet (sc. Romulus); IX
387 sg. atque locos qui post Albae de nomine dicti / Albani.
3. legis et laudas: i verbi ricorrono nella stessa forma e posizione metrica,
ma in diverso contesto in V 25, 12 haec legis et laudas? quae tibi fama perit!
– librum … priorem: si tratta del libro II. L’espressione è stata oggetto
di un lungo dibattito: Friedlaender (I, p. 52 sg.), riprendendo un’ipotesi
di Stobbe 1867 (pp. 44-80; specialmente p. 62 sg.), riteneva che Marziale
avesse pubblicato insieme il I e il II libro e che perciò con l’espressione
librum priorem facesse riferimento proprio a questa edizione congiunta;
per E.T. Sage (The Publication of Martial’s Poems, «TAPhA» 50, 1919, p.
174 sg.) e per E. Lehmann (Antike Martialausgaben, Diss. Jena 1931, p. 32
sgg.) liber prior è l’attuale libro II, l’unico ad esser stato pubblicato prima
del III, mentre il libro I sarebbe stato pubblicato in seguito; per Schanz-
Hosius (II, p. 550) invece Marziale si riferirebbe al I libro, l’unico pubblicato
al momento, mentre il II sarebbe stato pubblicato in seguito (prima del V).
Non è però necessario pensare che Marziale avesse pubblicato soltanto un
libro e, come giustamente osservato da Citroni (p. XIV sg.): «liber prior può
senz’altro significare “il libro precedente della serie”, cioè il II. Quando esce
un nuovo libro di un autore è naturale che si faccia anzitutto il confronto
con il precedente». Difficilmente perciò l’espressione potrà significare ‘uno
dei libri precedenti’, come hanno sostenuto Gilbert 1887, p. 144 e Th. Birt
(Kritik und Hermeneutik nebst Abriss des antiken Buchwesens, München
1913, p. 276 sg.). – fortasse: l’avverbio appartiene ad un livello più prosaico
rispetto a forte, forsitan: ricorre soltanto una volta in Virgilio e Ovidio; è
110 M. Val. Martialis liber tertius

assente in Lucrezio, Tibullo, Properzio, Orazio lirico (vd. Axelson 1945, p.


31 sg.). In Marziale si contano sette casi (19 di forte, nove di forsitan, sei di
forsan). In questo libro vd. anche 42, 3, nella stessa posizione metrica.
4: Marziale si cautela da un’eventuale fredda accoglienza da parte dei
lettori: se anche preferiranno il libro precedente, sempre di opera sua si
tratta. Non convincente l’interpunzione del verso di Dousa (ma già presente
in v1), accolta da Gruterus e Scriverius: illa vel haec mea sunt: quae meliora
putas? La rendono piuttosto improbabile l’uso della disgiuntiva vel e il v. 5,
che appare poco adatto ad una risposta.
5: Marziale ammette di buon grado che il libro scritto a Roma sarà
naturalmente destinato a riscuotere maggior successo. – sane: la particella
concessiva ricorre in Marziale ancora in IV 78, 9; V 15, 6; 61, 8; 84, 9; VI
32, 5; VIII 51, 1; IX 47, 4; X 21, 5. – natus: per l’uso del verbo nasci, che
suggerisce una personificazione del libro, presentato come figlio dell’autore,
cfr. XI 24, 4 quot versus poterant, Labulle, nasci; vedi anche XII 2 (3), 5 sg.
(apostrofe al libro) non tamen hospes eris nec iam potes advena dici, / cuius
habet fratres tot domus alta Remi. L’uso risale a Ovidio: cfr. trist. I 3, 74 et
patimur nati quam tulit ipse fugam (sono i libri stessi a parlare); Pont. I 1,
21 sg. cit. nella n. al v. 1. Sul modulo dell’allocuzione al libro personificato,
frequente in Marziale, vd. la n. intr. all’epigr. 2. – domina … in urbe: domina
è epiteto frequente di Roma a partire da Orazio (carm. IV 14, 16 dominae
… Romae). Il nesso domina urbs ricorre per la prima volta in Ovidio, dove
ha, in due casi su tre, funzione pregnante: cfr. am. II 14, 15 sg. Ilia si tumido
geminos in ventre necasset, / casurus dominae conditor urbis erat; Pont.
IV 5, 7 luce minus decima dominam venietis in urbem (apostrofe ai leves
elegi che Ovidio invia a Roma dal suo esilio in terra getica); vd. anche rem.
289. In Marziale il nesso domina urbs (o domina Roma) è usato più volte,
quasi sempre in funzione pregnante: cfr. I 3, 3 nescis, heu, nescis dominae
fastidia Romae, dove la domina Roma è contrapposta al parvus liber che il
poeta mette in guardia dai rischi della pubblicazione; X 103, 9 moenia dum
colimus dominae pulcherrima Romae, dove è contrapposta alla piccola
Bilbilis, cui però Marziale ha dato fama, quanta Catullo a Verona; XII 21, 9
sg. tu desiderium dominae mihi mitius urbis / esse iubes: Romam tu mihi
sola facis; vd. anche IX 64, 4 domina … ab urbe. In questo caso la iunctura
serve «ad accentuare la contrapposizione fra ciò che è ‘urbano’ perché nato a
Roma e ciò che si mostra di sottovalutare perché, date le sue origini, sarebbe
inficiato da rusticitas» (Parroni 1984, p. 127).
Epigramma 1 111

6: è inevitabile che il libro romano abbia la meglio su quello gallo. La


pointe dell’epigramma è costruita sull’inferiorità di ciò che è ‘provinciale’
rispetto a ciò che è ‘urbano’ (per cui vd. la n. intr.). Lo stesso motivo
è presente anche in XII epist. 22 sgg. tu velim ista, quae tantum apud
te non periclitantur, diligenter aestimare et excutere non graveris; et,
quod tibi difficillimum est, de nugis nostris iudices candore (candore
Housman: nitore nidore ) seposito, ne Romam, si ita decreveris,
non Hispaniensem librum mittamus, sed Hispanum. La differenza fra
Hispaniensis e Hispanus è chiarita da Carisio (135, 12 sgg. Barwick): cum
dicimus Hispanos, nomen nationis ostendimus; cum autem Hispanienses,
cognomen eorum qui provinciam Hispanam incolunt, etsi non sunt
Hispani. Anche Ovidio inviando la sua poesia dall’esilio affermava che
certo essa sarebbe stata considerata inferiore alle sue opere precedenti,
per via della difficile condizione psicologica in cui si trovava (cfr., ad es.,
trist. I 1, 35 sgg.; 11, 35 sgg.; IV 1, 1 sgg.); per il motivo della difficoltà di
scrivere latino in mezzo ai barbari cfr. Ov. trist. III 1, 17 sg.; 14, 45 sgg.;
V 7, 55 sgg.; 12, 55 sgg.; Sen. dial. XI 18, 9. Meno probabile pertanto mi
sembra l’ipotesi di Citroni 1987, p. 144, secondo cui il verso alluderebbe
alle vicende militari fra Roma e la Gallia: le vittorie sui Galli erano ormai
così numerose che si riteneva al tempo impossibile che questi ultimi
potessero avere la meglio sui Romani. Senz’altro da escludere invece la
proposta di Paley-Stone, p. 74 di vedere nel verso un’allusione ai Galli,
gli evirati sacerdoti di Cibele (su cui vd. la n. a 24, 13). – vincere: per
l’uso del verbo in un contesto letterario cfr. I 7, 1-3 Stellae delicium mei
columba, / Verona licet audiente dicam, / vicit, Maxime, Passerem
Catulli. – verna liber: verna era lo schiavetto nato in casa. Il termine è
poco frequente in poesia: ricorre una volta in Properzio e Persio, due in
Tibullo e Giovenale, quattro in Orazio (mai nelle Odi). In Marziale ci sono
14 occorrenze. Probabilmente aveva in origine lo stesso significato del
suo aggettivo vernaculus ‘nativo’, ‘originario del luogo’, attestato anche da
Festo (p. 510 L.): Romanos enim vernas appellabant, id est ibidem natos;
cfr. Mart. X 76, 2 sgg. civis non Syriaeve Parthiaeve, / nec de Cappadocis
eques catastis, / sed de plebe Remi Numaeque verna; Iuv. 1, 26 sg. verna
Canopi / Crispinus. Certamente anche in questo passo l’attributo indica
il libro ‘nativo del luogo’, contrapposto al gallo, ma Marziale gioca anche
sull’opposizione tra verna liber e domina urbs e, con la modestia un po’
affettata esibita anche nel v. 1 (quidquid id est), mostra di considerare i suoi
112 M. Val. Martialis liber tertius

libri non proprio cittadini a tutti gli effetti, bensì schiavetti. Ben diversa
consapevolezza mostrerà Marziale in XII 2 (3), 5 sg. cit. nella n. al v. 5,
ormai sicuro della fama acquisita. Verna come attributo del libro, anche
se al diminutivo, ricorre nuovamente in V 18, 4 praeter libellos vernulas
nihil misi; cfr. anche I 49, 24 vernas apros (cinghiali ‘nativi del luogo’); 84,
4 equitibus vernis (sono i figli generati da Quirinale con le sue serve; vd.
Citroni, ad loc.); X 30, 21 lupos vernas; XIII 43, 2 vernae tubures.
Epigramma 2 113

Cuius vis fieri, libelle, munus?


Festina tibi vindicem parare,
ne nigram cito raptus in culinam
cordylas madida tegas papyro
vel turis piperisve sis cucullus. 5
Faustini fugis in sinum? Sapisti.
Cedro nunc licet ambules perunctus
et frontis gemino decens honore
pictis luxurieris umbilicis,
et te purpura delicata velet, 10
et cocco rubeat superbus index.
Illo vindice nec Probum timeto.

tit. ad librum suum 4 cordylas LPQf²EA: cardylas f¹ cordydas X cordidas V madida


: madidas 5 piperisve : piperisque cucullus L²PQf : cucullis L¹ 6 faustini
EAV: faustim X 7 cedro LPQ²f : credo Q¹ ambules AXV: ambulet E 9 pictis
EAX: pictus V 10 te LPQ²s.l.f : om. Q¹ velet L²PQ²f : vetlet L¹ volet Q¹ 11 cocco
LP²in mg.fEA²XV: coco A¹ croco P¹ croceo Q rubeat LPQ²f: iubeat Q¹ rubeas 12
vindice : iudice timeto PQfEAV: timeo LX

A chi vuoi essere donato, libretto?


Affrettati a procurarti un protettore,
ad evitare che, presto rapito in una nera cucina,
tu debba ricoprire tonni con la tua carta madida
o divenire cartoccio per l’incenso o per il pepe. 5
Fuggi nella tasca di Faustino? Sei saggio.
Ora va’ pure in giro ben unto di cedro
ed, elegante per il duplice ornamento della fronte,
insuperbisci per i bastoncini dipinti
e porpora delicata ti veli 10
ed il titolo superbo rosseggi di cocco.
Con quel protettore non avrai paura neanche di Probo.

Dopo un componimento rivolto al lettore generico, questo è il primo


epigramma dedicatorio del libro (cfr. epigr. 5). Marziale si rivolge direttamente
114 M. Val. Martialis liber tertius

al proprio libro: esso avrà bisogno di un protettore se non vuole fare una
fine prematura in una fumosa cucina come carta per avvolgere il pesce nel
cucinarlo o come cartoccio per l’incenso o il pepe. Dopo essersi assicurato la
protezione dell’influente patrono Faustino potrà andare in giro con lussuose
vesti, senza preoccuparsi dei critici più agguerriti, poiché sarà egli stesso, con
la sua autorità, a difenderlo da eventuali attacchi.
Il modulo dell’apostrofe al libro, ampiamente diffuso nella letteratura
europea, ha origine con Orazio (epist. I 20); riceve quindi un ampio e
originale sviluppo nelle elegie ovidiane dell’esilio. Ma è Marziale a rendere
l’allocuzione al proprio libro un modulo costante e a sviluppare i tratti di
personificazione dei suoi libelli (cfr., ad es., II 1; III 4; 5; IV 89; VII 97;
VIII 1; X 104; XI 1; XII 2). L’apostrofe al libro diviene nella sua poesia la
maniera elegante attraverso la quale il poeta cerca di stabilire contatti con i
suoi patroni e con i lettori in generale, nel tentativo di assicurare il sostegno
più ampio possibile alle sue opere (vd. Citroni 1986, pp. 111-146; per
Marziale p. 136 sgg.). In questo epigramma la personificazione è arricchita
dalla minuziosa descrizione (vv. 7-11) della lussuosa ‘veste’ editoriale di cui
il libellus potrà fare sfoggio.
Faustino è il dedicatario primo del libro (sulla compresenza di più dedica-
tari nello stesso libro vd. l’Introduzione, § 6) e, probabilmente, l’ospite di
Marziale durante il suo soggiorno in Cispadana (vd. l’Introduzione, § 3).
Era un ricco ed influente patrono, certamente fra coloro che assicurarono il
maggiore sostegno al poeta durante la sua lunga permanenza a Roma. È tra
i personaggi più di frequente nominati nell’opera di Marziale (19 volte) e in
maniera costante nell’arco di quasi tutta la sua produzione epigrammatica:
presentato come competente di letteratura (cfr. VI 61 [60]) e come poeta
(cfr. I 25), possedeva numerose ville (cfr. III 58; IV 57; V 71; VII 80; X 51).
Oltre a questo libro Marziale gli dedica anche il quarto (cfr. IV 10); in VII
80 dedica il libro, tramite Faustino, a Marcellino (con buona probabilità suo
figlio: vedi l’Introduzione, p. 58 e la n. intr. all’epigr. 6); in VII 12 si difende
da coloro che scrivono carmi velenosi e li diffondono sotto il suo nome
invocando Faustino come testimone della propria innocenza (9 ludimus
innocui: scis hoc bene). È ricordato anche in I 114; III 25; 39; 47; V 32; VI
7; 53; VIII 41. Solo nel libro terzo Marziale lo nomina 5 volte (negli altri
libri 3 volte al massimo) e il dato sembra confermare l’ipotesi che egli abbia
ospitato Marziale in questo periodo. Il contatto di Faustino con la corte
imperiale è forse ipotizzabile sulla base di VII 12, in cui Marziale si rivolge a
Epigramma 2 115

Faustino augurandosi che l’imperatore legga i suoi epigrammi con la stessa


benevolenza di sempre, senza dare credito a chi sparge sotto il suo nome
carmi velenosi: sic me fronte legat dominus, Faustine, serena / excipiatque
meos qua solet aure iocos (1 sg.). L’auspicio ha valore se si attribuisce a
Faustino una funzione importante di intermediario fra il poeta e la corte
dell’imperatore, che viene confermata dalla sua scomparsa dagli epigrammi
di Marziale in concomitanza con l’assassinio di Domiziano e con l’ascesa al
regno di Nerva e quindi di Traiano: egli è infatti nominato per l’ultima volta
in X 51 e Marziale non ne piange la morte. È dunque plausibile che Faustino
abbia svolto un importante ruolo nell’avvicinare Marziale alla corte imperiale.
Infatti le adulazioni dell’imperatore si fanno più smaccate in coincidenza
con la maggiore vicinanza a Faustino, cui Marziale dedica il III libro e il
IV (vd. in proposito l’Introduzione, p. 57 sg.), che celebra in apertura il
compleanno dell’imperatore. Il V libro segnerà la definitiva affermazione del
prestigio di Marziale presso l’imperatore, che diviene destinatario principale
dei suoi libri (vd. Citroni 1988, p. 19 sgg.). Non è pertanto da escludere
un’identificazione del patrono di Marziale con il senatore Cn. Minicius
Faustinus, consul suffectus nel 91 (PIR2 M 609; vd. Nauta 2002, p. 67 sg.).
All’opposto l’ipotesi di identificazione con il Faustino autore dell’iscrizione
metrica del cosiddetto ‘antro di Tiberio’ a Sperlonga (edita ne L’Année
Épigraphique 1967, 85 e in Courtney 1995, 49), considerata possibile da
Citroni, p. 86 e Howell1, p. 161, e sviluppata da V. Tandoi (L’epigrafe di
Faustino a Sperlonga, il ciclo odissiaco del ninfeo e gli inizi di Marziale,
in Disiecti membra poetae, III, Foggia 1988, pp. 153-179 = Tandoi 1992,
pp. 735-754), non riscuote oggi consensi, poiché l’aspetto esteriore della
lastra su cui è inciso il componimento, il ductus della scrittura e un errore
prosodico (8 vivăs) fanno propendere per una datazione sensibilmente
più tarda (III-IV sec.): vd. P. Cugusi, Aspetti letterari dei Carmina Latina
Epigraphica, Bologna 1985, pp. 46-53; M.G. Granino Cecere, s.v. Sperlonga,
in EV IV, pp. 992-994; Courtney 1995, p. 272. Sulla diffusione del cognomen
a Roma vd. Kajanto 1965, p. 272. A questo epigramma e a I 3, oltre che
ad Orazio, epist. I 20 (richiamato esplicitamente al v. 1), si è chiaramente
rifatto Carducci nel Prologo degli Iuvenilia, che ha la forma di un’apostrofe
al proprio «carissimo tenue libretto» (vv. 7; 204); la dipendenza da
Marziale è stata rilevata in un breve articolo di G. De Filippis (Una fonte
classica del ‘Prologo’ dei ‘Juvenilia’ del Carducci, «A&R» 10, 1907, pp.
183-185).
116 M. Val. Martialis liber tertius

1. Cuius vis …: l’incipit allude in modo esplicito alla dedica di Catullo


a Cornelio Nepote (1, 1 cui dono lepidum novum libellum), cui questo
epigramma è accomunato anche dal metro (endecasillabo falecio). Ancora
un’allusione a Catullo contiene la dedica a Faustino del libro quarto (IV
10): dum novus est nec adhuc rasa mihi fronte libellus, / pagina dum
tangi non bene sicca timet, / i puer et caro perfer leve munus amico / qui
meruit nugas primus habere meas (1-4). I primi due versi costituiscono
una variazione di Catull. 1, 1 sg., mentre il verso 4 è ispirato da Catull.
1, 3 sg. namque tu solebas / meas esse aliquid putare nugas (Paukstadt
1876, p. 11 si limitava a rilevare la somiglianza fra IV 10, 4 e Catull. 1,
4). Catullo è esplicitamente riconosciuto da Marziale come principale
modello epigrammatico: cfr. I epist. 10 sg.; II 71; IV 14; V 5; VII 99; X 103;
sull’argomento vd. H. Offermann, Uno tibi sim minor Catullo, «QUCC»
34, 1980, pp. 107-139; Swann 1994, p. 50. L’interrogativa rivolta al libro,
che sviluppa una sorta di dialogo con esso, rende più vivace l’andamento
dell’epigramma (vd. Siedschlag 1977, p. 22) e dà maggiore consistenza alla
personificazione del libro stesso. Marziale se ne serve nell’apostrofe al suo
libro anche in III 5, 1 sg. vis commendari sine me cursurus in urbem, /
parve liber multis, an satis unus erit?; XI 1, 1 sg. quo tu, quo, liber otiose,
tendis / cultus Sidone non cotidiana? - libelle: il termine, che tradisce la
sua impronta catulliana (sull’interpretazione del termine nel c. 1 di Catullo
vd., da ultimo, C. Santini, Il termine ‘libellus’ nei carmi di Catullo, «BSL»
32, 2002, p. 385 sgg.), si riferisce qui all’intero libro terzo; cfr. anche 68,
1 huc est usque tibi scriptus, matrona, libellus; 68, 11 sg. si bene te novi
longum iam lassa libellum / ponebas; 86, 1 sg. ne legeres partem lascivi,
casta, libelli / praedixi et monui; 97, 1 ne legat hunc Chione mando tibi,
Rufe, libellum; 99, 1 irasci nostro non debes, cerdo, libello. Marziale gli si
rivolge con l’apostrofe liber in 4, 1 e parve liber in 5, 2 (in entrambi i casi
agisce l’influsso dei Tristia ovidiani: vd. le nn. ai vv.). Che la differenza di
volume tra liber e libellus fosse ancora percepita è dimostrato da X 1, 1 sg.
si nimius videor seraque coronide longus / esse liber, legito pauca: libellus
ero. In XI 1, 5 libros non legit ille, sed libellos (sc. Parthenius), quest’ultimo
termine non designa libri poetici, bensì le petizioni rivolte all’imperatore
(vd. il commento di Kay, ad loc.). – munus: il libro è divenuto al tempo di
Marziale un raffinato oggetto di dono, destinato a svolgere una funzione
di scambio nei rapporti sociali (vd. White 1974, pp. 52; 56): cfr. IV 10, 3
i puer et caro perfer leve munus amico; VII 17, 9 at tu munere dedicata
Epigramma 2 117

parvo (sc. bibliotheca Iuli Martialis); 80, 5 sg. sed si parva tui munuscula
quaeris amici / commendare, ferat carmina nostra puer; 84, 5 parva
dabis caro sed dulcia dona sodali; IX 99, 8 grande tui pretium muneris
auctor erit.
2. festina: esprime la preoccupazione che il libro faccia la fine descritta
nei vv. 3-5. – vindice: il termine appartiene al lessico giuridico. Il vindex
era una figura di garante che si opponeva alla procedura di manus iniectio
su uno schiavo manumissus, affermandone la libertà e impedendo così che
il suo assistito diventasse indebitamente proprietà altrui (vd. al riguardo
G. Wesener, s.v. vindex, RE suppl. XIV; Volterra 1967, p. 205): cfr. Fest.
p. 516 L. vindex ab eo quod vindicat, quo minus is, qui prensus est ab
aliquo teneatur. Il termine si trova già nelle Leges XII Tabularum I 4
adsiduo vindex adsiduus esto; proletario iam civi quis volet vindex esto
(Gell. XVI 10, 5); ricorre anche in Gaio, inst. IV 21; 25; 46. Viene poi
eliminato dai Digesta da Triboniano, quaestor sacri palatii di Giustiniano,
che presiedette la commissione di giuristi incaricata della redazione del
Digesto. Il vindex era anche detto adsertor libertatis (Don. Ter. Ad. 194
adsertores dicuntur vindices alienae libertatis), definizione che Marziale
utilizza in I 52, in cui invita Quinziano ad intervenire in qualità di adsertor
in difesa dei suoi libelli, che sono stati manumissi da lui e dei quali un altro
poeta tenta illegittimamente di appropriarsi (5 adsertor venias; 7 dicas esse
meos manuque missos). Allo stesso modo in questo epigramma Marziale
rappresenta il suo libro come uno schiavetto (vd. la n. a 1, 6 verna liber)
che deve cercarsi un vindex che lo protegga da appropriazioni indebite
(vv. 3-5). Vindex ricorre ancora in III 91, 10 pluteo vindice, dove non c’è
però allusione all’accezione giuridica. In modo simile Stazio definisce un
suo patrono, Manlio Vopisco, vir eruditissimus et qui praecipue vindicat
a situ litteras iam paene fugientes (silv. I praef. 26 sg.).
3. cito raptus: il nesso cito raptus (o rapta) ricorre spesso in epigrafi
funerarie per morti immature: CLE 489, 4 sed cito rapta silet; 502, 4 fato
cito raptus iniquo; 667, 6 sg. hunc cito sideream raptum omnipotentis
in aulam / et mater blanda et frater sine funere quaerunt; 647, 3 sic tibi
non rapiat mors invida tam cito natos; 751, 1 hic puella iacet pr[imis
cito rap]ta sub annis; 1215, 2 qui cito raptus abit; 1219, 4 sg. heu nimium
cito rapte patri, cito reddite fatis / et matri cito rapte tuae cito redditus
umbris; 1282, 5 proles cito rapta; 1339, 11 cito rapta marito; 1401, 8
aeterno vulnere rapta cito; 1673, 2 fatis cito [raptus; 1847, 1 h]ic cito
118 M. Val. Martialis liber tertius

rapta iacet; 2096, 4 i]am cito raptus abit. In Marziale (sui cui rapporti con
le epigrafi metriche vd. L. Gamberale, Fra epigrafia e letteratura. Note a
Mart. 10.71, «A&R» 38, 1993, pp. 42-54) cfr. I 116, 3 hoc tegitur cito rapta
suis Antulla sepulcro; XI 69, 11 nec queror infernas quamvis cito rapta
sub umbras; IX 29, 2 rapta es ad infernas tam cito Ditis aquas? (ironico);
cfr. anche nessi simili in I 88, 1 raptum crescentibus annis; VI 52, 1 raptus
puerilibus annis; VII 40, 7 festinatis raptum … annis. Marziale dunque
allude mediante il nesso cito raptus alla morte prematura che il suo libro
rischia di subire se non si procurerà un patrono adeguato (per il topos
della fine prematura dei libri cfr. Catull. 95, 7 at Volusi Annales Paduam
morientur ad ipsam). Un’analoga intenzione è forse ravvisabile anche in
X 12, 9 sgg. et venies albis non adgnoscendus amicis / livebitque tuis
pallida turba genis / sed via quem dederit rapiet cito Roma colorem, in
cui Marziale si rivolge all’amico Domizio, che sta per recarsi in Emilia,
dove potrà fruire di bellissime giornate assolate e, tornando, farà invidia ai
pallidi amici della capitale, che però lo priverà presto dell’abbronzatura: la
definizione dei Romani come pallida turba (così gli abitanti degli Inferi in
Tib. I 10, 38 errat ad obscuros pallida turba lacus, nella stessa posizione
metrica) e il nesso rapiet cito dipingono scherzosamente Roma come un
inferno in cui regna il pallore. – nigram … culinam: l’attributo niger si
riferisce spesso in Marziale a ciò che è annerito dal fumo; il nesso ricorre
anche in I 92, 9 pasceris et nigrae solo nidore culinae; X 66, 3 faciem nigra
violare culina; cfr. anche I 26, 8 nigros … cados; II 90, 7 nigros … fumos
(il fumo che annerisce); V 78, 7 nigra … patella; VII 53, 6 nigra lagona;
61, 8 nigra popina. Culina è termine della sfera quotidiana, raro in poesia;
in Marziale ricorre ben 7 volte. In questo caso l’attributo si adatta alla
metafora della morte prematura: infatti niger (e, in generale, gli aggettivi
che indicano oscurità, come ater) è attributo legato al mondo degli inferi
(vd. André 1949, p. 49 sgg.): cfr., ad es., Verg. Aen. VI 134 nigra Tartara;
in Marziale cfr. V 34, 3 parvola ne nigras horrescat Erotion umbras; X 50,
6 occidis et nigros tam cito iungis equos. La cucina dunque rappresenta gli
Inferi, dove il malcapitato libello corre il rischio di finire.
4 sg.: i versi prospettano due diverse pene, cui potrebbe essere sottoposto
il libro (come evidenziato dalla disgiuntiva vel): nel v. 4 Marziale fa riferi-
mento all’utilizzo della papyrus come involucro per i pesci cucinati ‘al car-
toccio’, mentre nel successivo allude all’uso di avvolgere con la carta cibi e
spezie in vendita al mercato.
Epigramma 2 119

4: secondo un’interpretazione diffusa tra gli studiosi (vd., ad es., Friedlaender,


ad loc.; E. Pasoli, Cuochi, convitati, carta nella critica letteraria di Marziale,
«MCr» 5-7, 1970-72, p. 192) i vv. 3-4, come il v. 5, farebbero riferimento
all’uso della carta per avvolgere i pesci in vendita al mercato. Tuttavia
Marziale intende con ogni probabilità alludere ad un’operazione culinaria,
come è stato dimostrato da Paoli 1932, pp. 33-37 (quindi confermato da
Thomson 1964 per Catull. 95, 7 sg. cit. infra e da M. Salanitro, Carmina
docta e cuochi in Marziale, «InvLuc» 7-8, 1985-86, pp. 127-134): infatti, se si
pensa alla funzione di avvolgere i pesci al mercato, non ci si può spiegare il
v. 3 ne nigram cito raptus in culinam, dal momento che il pesce acquistato
al mercato potrebbe tutt’al più essere svolto in cucina e non il contrario;
inoltre al mercato i pesci venivano tenuti in ceste oppure attaccati penzoloni
senza essere avvolti nella carta, come testimoniano fonti sia letterarie (cfr.,
ad es., Apul. met. I 24) che figurative (vd. S. Reinach, Répertoire de peintures
grecques et romaines, Paris 1922, p. 372, nn. 2; 4; 5; E. Pfuhl, Malerei
und Zeichnung der Griechen, München 1923, III, p. 314 fig. 705). Infine
l’attributo madidus riferito alla papyrus allude all’uso di immergere la carta
in un infuso gastronomico prima di utilizzarla in cucina per evitare che il
pesce bruciasse (Paoli 1932, p. 36) e non può certo riferirsi all’inchiostro
ancora non perfettamente asciugato sulla pagina (cfr., ad es., Izaac: «tes
feuillets encore humides»). Una conferma ulteriore della correttezza di tale
esegesi viene da IV 86, 7 sg. cit. infra. Il motivo ricorre per la prima volta in
Catull. 95, 7 sg. at Volusi Annales Paduam morientur ad ipsam / et laxas
scombris saepe dabunt tunicas (vd. Thomson 1964; Thomson, ad loc.), in
cui Catullo preconizza per gli Annales di Volusio la misera sorte di essere
bruciati, come conferma anche il c. 36: cfr. 7 sg. scripta … / infelicibus
ustulanda lignis; 18 sgg. at vos interea venite in ignem, / pleni ruris et
inficetiarum / Annales Volusi cacata carta; quindi ritorna in Pers. 1, 43
nec scombros metuentia carmina nec tus, in cui sono presenti entrambe
le destinazioni (in cucina ed al mercato); Marziale ne fa un ampio uso: cfr.
III 50, 9 sg. quod si non scombris scelerata poemata donas, / cenabis solus
iam, Ligurine, domi (vd. la n. ad loc.); IV 86, 7 sg. (apostrofe al libellus)
nec rhonchos metues maligniorum / nec scombris tunicas dabis molestas,
dove la menzione della tunica molesta, la veste intrisa di pece che si faceva
indossare ai condannati ad essere arsi vivi (cfr. Sen. epist. 14, 5 cogita …
illam tunicam alimentis ignium et inlitam et textam; Mart. X 25, 5 sg. nam
cum dicatur tunica praesente molesta / ‘ure manum’, plus est dicere ‘non
120 M. Val. Martialis liber tertius

facio’; Iuv. 8, 235 ausi quod liceat tunica punire molesta; vd. Friedlaender,
SR II, p. 91), si comprende solo se è al rogo che è destinato il libellus
(l’evidente allusione a Catull. 95, 8 cit. supra fornisce una conferma ulteriore
anche all’esegesi del passo catulliano; recentemente H. Tränkle, Exegetisches
zu Martial, «WS» 109, 1996, p. 133 sgg., ha nuovamente sostenuto, senza
però elementi persuasivi, che in questo epigramma si alluda alla funzione
di incartare il pesce al mercato); VI 61 (60), 7-8 quam multi tineas pascunt
blattasque diserti / et redimunt soli carmina docta coci! (su cui vd. il
commento di Grewing); in XIII 1, 1 sg. ne toga cordylis et paenula desit
olivis / aut inopem metuat sordida blatta famem non è chiaro se Marziale
abbia voluto distinguere le due diverse destinazioni (in cucina e al mercato:
vd. Leary2, ad loc.). Il topos ricorre ancora al principio dello pseudovirgiliano
Liber Pedagogus (AL 675 Riese): carmine si fuerint te iudice digna favore, /
reddetur titulus purpureusque nitor. / si minus, aestivas poteris convolvere
sardas, / aut piper aut calvas hinc operire nuces (richiamato da G. Brugnoli,
Sarde al cartoccio, «InvLuc» 9, 1987, pp. 13-15); la menzione di Sidon. carm.
9, 318 sgg. nos valde sterilis modos Camenae / rarae credimus hos brevique
chartae / quae scombros merito piperque portet, sembra invece ignorare
le due diverse destinazioni, come dimostra l’uso della copulativa -que e del
verbo portare. L’uso di cucinare il pesce al cartoccio è testimoniato da una
ricetta di Apicio per le sarde farcite: Apic. IX 10, 1 sardam farsilem sic
facere oportet: sarda exossatur et teritur puleium, cuminum, piperis grana,
menta, nuces, mel. impletur et consuitur. involvitur in charta et sic supra
vaporem ignis in operculo componitur. conditur ex oleo, caroeno, allece.
L’uso di avvolgere i cibi con la carta prima della cottura è testimoniato anche
per altri cibi (Apic. VIII 6, 11; 7, 1; X 8; 9). Sul genere di condimento che
veniva utilizzato cfr. Apic. IX 10, 5 ius in cordula assa: piper, ligusticum, apii
semen, mentam, rutam, careotam, mel, acetum, vinum et oleum. convenit
et in sarda. – cordylas: gr. . Si tratta dei piccoli tonni:
Plin. nat. IX 47 cordyla appellatur partus, qui fetas (sc. thynnos) redeuntes
in mare autumno comitatur; XXXII 146 cordyla et haec pelamys pusilla;
cum in Pontum a Mareotide exit, hoc nomen habet. In Marziale anche in
XI 52, 7; XIII 1, 1. Per Thompson, Fishes, p. 245 cordyla indicherebbe lo
sgombro (cfr. IV 86, 8; Catull. 95, 8; Pers. 1, 43) piuttosto che il piccolo
tonno.
5: per la pratica di usare il papiro per involgere le spezie in vendita
al mercato cfr. Plin. nat. XIII 76, 4 sgg. nam emporetica (sc. papyrus)
Epigramma 2 121

inutilis scribendo involucris chartarum segestriumque mercibus usum


praebet, ideo a mercatoribus cognominata. Il modello letterario di questo
motivo è il celebre passo oraziano di epist. II 1, 269 sg. deferar in vicum
vendentem tus et odores / et piper et quidquid chartis amicitur ineptis;
cfr. anche Pers. 1, 43 cit. nella n. al v. 4; Stat. silv. IV 9, 11 sgg. quales
aut Libycis madent olivis / aut tus Niliacum piperve servant / aut
Byzantiacos colunt lacertos; in Marziale cfr. XIII 1, 1 cit. nella n. al v. 4.
– turis piperisve: il nesso ritorna nella stessa posizione metrica in IV 46, 7
et turis piperisque tres selibrae, in un elenco di doni di poco valore che un
tale Sabello ha ricevuto per i Saturnali (cfr. anche I 111, 4; VII 72, 3; X 57,
2; XIII 4 tit. tus; XIII 5 tit. piper). – cucullus: propriamente un cappuccio
(vd. RE IV 1739; Daremberg-Saglio II, p. 1577); in Marziale cfr. V 14, 6;
X 76, 8; XI 98, 10; XIV 140. Qui indica il cartoccio in cui venivano involte
le spezie. Per l’uso di lessico dell’abbigliamento in questo contesto cfr. IV
86, 8 tunicas (Catull. 95, 8); XIII 1, 1 toga … paenula.
6: Marziale sembra qui descrivere un’azione che si svolge sul momento,
seguendo immediatamente al suo consiglio (2 festina). Infatti i vv. 7 sgg.
presuppongono che il libellus abbia compiuto l’azione e possa da subito
(7 nunc licet ambules) fruire dei vantaggi che l’appoggio di Faustino
garantisce. Diversamente, quando invia i suoi libri a qualcuno, Marziale
specifica sempre il percorso che il libro dovrà compiere (cfr., ad es., III
5 e XII 2 [3], entrambi inviati a Roma da fuori città; X 104) oppure fa
riferimento all’invio del libro (III 100, 1 sg. cursorem sexta tibi, Rufe,
remisimus hora / carmina quem madidum nostra tulisse reor; VI 1, 1
sextus mittitur hic tibi libellus; XI 1, 9 vicini pete porticum Quirini).
Questo induce a pensare che Faustino sia ospite di Marziale nel suo
soggiorno cisalpino e che Marziale lo immagini presente mentre egli
apostrofa il proprio libellus (vd. l’Introduzione, § 3). – Faustini: il nome
del patrono è posto in rilievo in posizione incipitaria di verso, pressoché
a metà del componimento (cfr. Catull. 1, 3 Corneli, tibi: namque tu
solebas). – fugis: il verbo designa l’azione repentina del libellus; altrove
Marziale lo utilizza per esprimere la smania di pubblicazione del libro
personificato: cfr. I 3, 12 i, fuge; sed poteras tutior esse domi (Hor. epist.
I 20, 5 fuge, quo descendere gestis!). – sinum: il sinus era una sorta di
tasca ricavata dalle pieghe della toga all’altezza del petto (vd. OLD, s.v.
nr. 4; Wilson 1938, pp. 78-83); oltre al denaro (IV 51, 3 sg.; V 16, 8)
vi si tenevano altri oggetti, fra cui libri: VI 60 (61), 1 sg. laudat, amat,
122 M. Val. Martialis liber tertius

cantat nostros mea Roma libellos, / meque sinus omnes, me manus omnis
habet; II 6, 7 sg. haec (sc. epigrammata) sunt singula quae sinu ferebas /
per convivia cuncta, per theatra; cfr. anche Gell. IV 18, 9 prolato e sinu
togae libro. È anche possibile interpretare l’espressione fugis in sinum in
senso più lato come ‘fuggi in seno’ (cfr. Cic. resp. 1, 5 in barbariae sinus
confugisse; Catull. 44, 14 in tuum sinum fugi; Plin. paneg. 6, 3 confugit
in sinum tuum concussa res publica), ma la scena descritta perderebbe
certamente di concretezza. – sapisti: il verbo ricorre in un contesto analogo
di apostrofe al libro in Auson. epigr. 34, 1-4 p. 310 P. (praef. 5, 1-4 G.) si
tineas cariemque pati te, charta, necesse est, / incipe versiculis ante perire
meis. / ‘malo, inquis, tineis’, sapis, aerumnose libelle, / perfungi mavis
quod leviore malo. Il perfetto sapii, forma sincopata di sapivi (per cui
cfr. Char. 320, 16 B. sapio sapis sapivi et sapui; Non. 817, 16 L. sapivi
pro sapui), è testimoniato da Prisciano (GLK II 499, 17 sgg.): ‘sapio’ tam
‘sapui’ vel ‘sapii’ quam ‘sapivi’ protulisse auctores inveniuntur; Probo
tamen ‘sapui’ placet dici, Charisio ‘sapui’ vel ‘sapivi’, Aspro ‘sapivi’ et
‘sapii’ secundum Varronem, quod Diomedes etiam approbat. Nonius
tamen Marcellus de mutatis coniugationibus sic ponit: ‘sapivi’ pro ‘sapui’.
Novius virgine praegnante (fr. 1, p. 327 R.): quando ego / plus sapivi,
qui fullonem conpressi quinquatribus. Terentius similiter (heaut. 843 sg.):
cum intellego / resipisse, pro ‘resipivisse’. Caper utrumque in usu esse
contendit … Plautus in rudente (899): pol magis sapisset, si dormivisset
domi. La forma è attestata soltanto in Plaut. Rud. 899 cit. supra e in
Marziale (3 occorrenze, sempre nella II persona sing.); cfr. anche Ter.
heaut. 844 cit. supra. In Marziale l’uso del perfetto sapisti sembra dettato
unicamente dalla possibilità di collocarlo in fine di verso, sia negli esametri
che nei faleci: cfr. IX 10, 1 nubere vis Prisco: non miror, Paula: sapisti; XI
106, 4 transis hos quoque quattuor? sapisti.
7-11: Marziale descrive il suo libro con tutte le caratteristiche di un
pregiato volumen papiraceo: sarà ben unto di olio di cedro per preservarlo
dalle tarme (7), levigato su entrambe le frontes (8), avrà l’umbilicus colorato
(9), una fodera di pergamena colorata di porpora (10) e infine l’index, con
il titolo dell’opera, anch’esso scritto con inchiostro rosso (11). Dettagliate
descrizioni di edizioni di lusso si trovano in Catull. 22, 6-8 chartae regiae,
novi libri, / novi umbilici, lora rubra, membranae, / derecta plumbo et
pumice omnia aequata (sull’esegesi del carme vd. Gamberale 1982); Ov.
trist. I 1, 5-12 (‘in negativo’, coerentemente con la condizione di esiliato
Epigramma 2 123

dell’autore) nec te purpureo velent vaccinia fuco / -non est conveniens


luctibus ille color- / nec titulus minio, nec cedro charta notetur, / candida
nec nigra cornua fronte geras. / … / nec fragili geminae poliantur pumice
frontes, / hirsutus sparsis ut videare comis; Lygd. 1, 9-14 (= [Tib.] III 1,
9-14) lutea sed niveum involvat membrana libellum, / pumex et canas
tondeat arte comas / summaque praetexat tenuis fastigia charta / indicet
ut nomen littera picta tuum / atque inter geminas pingantur cornua
frontes: / sic etenim comptum mittere oportet opus. È significativo che il
libro di Marziale debba assicurarsi la protezione di un vindex autorevole
come Faustino per poter circolare nella sua veste editoriale di lusso: la
causa andrà ricercata nella situazione contingente che vede Marziale
pubblicare il proprio libro lontano da Roma (vd. l’Introduzione, § 1 e la n.
intr. all’epigr. 1).
7. cedro … perunctus: i rotoli erano cosparsi con olio di cedro per
proteggerli dalle tarme: cfr. Vitr. II 9, 13 ex cedro oleum quod cedrium
dicitur nascitur, quo reliquae res cum sunt unctae, uti etiam libri, a tineis
et carie non laeduntur; Plin. nat. XVI 197 cedri oleo peruncta materies
nec tineam nec cariem sentit; Porph. Hor. ars 332 libri … qui cedro
illinuntur … a tineis non vexantur. L’uso era senz’altro antico, come
testimoniato dallo stesso Plinio, a proposito del ritrovamento, nel 181
a.C., di una cassa che aveva contenuto il corpo di Numa, con alcuni libri
che si erano conservati (nat. XIII 86 et libros citratos fuisse; propterea
arbitrarier tineas non tetigisse). Numerose sono le menzioni in poesia di
questa pratica, dove la conservazione di un libro mediante l’olio di cedro
(sempre indicato metonimicamente con cedrus: vd. ThlL III 736, 56 sgg.)
è conseguenza del valore dell’opera e garanzia della sua longevità: Hor. ars
331 sg. speramus carmina fingi / posse linenda cedro; Ov. trist. I 1, 7 cit.
nella n. ai vv. 7-11; III 1, 13 sg. quod neque sum cedro flavus nec pumice
levis / erubui domino cultior esse meo (è il libro stesso a parlare); Pers.
1, 42 cedro digna locutus; Auson. epigr. 34, 13 sg. p. 311 P. (praef. 5, 13
sg. G.) seu te iuvenescere cedro / seu iubeat duris vermibus esse cibus. In
Marziale cfr. anche V 6, 14 sg. quae cedro decorata purpuraque / nigris
pagina crevit umbilicis; VIII 61, 4 sg. nec umbilicis quod decorus et cedro
/ spargor per omnes Roma quas terit gentes. – licet ambules: è probabile
reminiscenza di Hor. epod. 4, 5 licet superbus ambules pecunia, spogliata
delle valenze giambiche (superbus ricorre più avanti al v. 11, seppur riferito
all’index). Per altre riprese della poesia oraziana in questo libro vd. la n.
124 M. Val. Martialis liber tertius

intr. all’epigr. 58 e le nn. ai vv. 10; 22; 26; in generale sulla presenza di
Orazio in Marziale vd. Salemme 1998 con bibliografia.
8. frontis gemino … honore: enallage: cfr. Ov. trist. I 1, 11 geminae …
frontes; Lygd. 1, 13 geminas … frontes. Gli orli superiore e inferiore del
rotolo di papiro (frontes) erano lisciati con la pietra pomice: Isid. orig. VI
12, 3 (= Suet. fr. 104 Reiff.) circumcidi libros Siciliae primum increbuit.
nam initio pumicabantur. unde et Catullus ait: ‘cui dono lepidum
novum libellum / arida modo pumice expolitum?’ (1, 1 sg.). Numerose
le attestazioni letterarie di tale uso a partire da Catullo: cfr. Catull. 1, 2 cit.
supra; 22, 8 pumice omnia aequata; Hor. epist. I 20, 2 pumice mundus (sc.
liber); Ov. trist. III 1, 14 cit. nella n. al v. 7; una variazione, nell’ambito della
personificazione del liber, presenta Ovidio, che assimila metaforicamente
l’azione di levigare le frontes al taglio dei capelli: cfr. Ov. trist. I 1, 11 sg.
nec fragili geminae poliantur pumice frontes / hirsutus sparsis ut videare
comis; così anche Lygd. 1, 10 (= [Tib.] III 1, 10) pumex cui canas tondeat
ante comas (la metafora è viva in italiano: di un libro non rifilato si dice
‘con barbe’). In Marziale sono presenti vari riferimenti: I 66, 10 pumicata
fronte; 117, 16 rasum pumice; IV 10, 1 dum novus est nec adhuc rasa
mihi fronte libellus; VIII 72, 1 sg. nondum murice cultus asperoque /
morsu pumicis aridi politus. Secondo Friedlaender (ad loc.) in questo
verso Marziale farebbe riferimento alle estremità dell’umbilicus (cornua) e
non alla levigatura delle frontes: vedi però la n. al v. successivo.
9: l’umbilicus (gr. ) è la bacchetta attorno a cui veniva arrotola-
to il papiro, le cui estremità (cornua) erano di osso o di avorio e potevano
essere colorate. Si tratta di una caratteristica non comune, propria di rotoli
di lusso, dato che non sembrano esisterne rappresentazioni figurative, e
che, nei papiri conservatici, i resti di umbilici sono rari (Birt 1907, p. 230
sgg.; E.G. Turner, Greek Papyri. An Introduction, Oxford 1968, p. 173 sg.
n. 34 del cap. 1). La prima menzione poetica del termine si trova in Catull.
22, 7 novi umbilici; in Marziale l’umbilicus è elemento ricorrente nelle
descrizioni di rotoli pregiati: I 66, 11 nec umbilicis cultus atque membrana;
V 6, 15 nigris … umbilicis; VIII 61, 4 umbilicis … decorus; cfr. anche
Stat. silv. IV 9, 8 et binis decoratus umbilicis. Secondo un’ingegnosa
ipotesi di Birt 1907, p. 234 il plurale nei passi di Marziale e di Stazio farebbe
riferimento a rotoli particolarmente raffinati forniti di due umbilici, forse
cavi e infilati l’uno dentro l’altro, dei quali uno restava nella parte da svolgere
del volumen, mentre l’altro serviva a riavvolgerlo nel corso della lettura
Epigramma 2 125

(favorevole all’ipotesi G. Cavallo, Testo, libro, lettura, in SLRA II, p. 321).


È tuttavia probabile che il plurale umbilici designi soltanto le estremità della
bacchetta che sporgevano dal volumen (cornua: vd. il commento di Citroni
a I 66, 11; in Catullo il plurale è giustificato dal fatto che si tratta di più rotoli:
vd. Gamberale 1982, p. 150). Fornisce un elemento a sostegno di questa
esegesi l’identità di significato in Marziale delle espressioni: iam pervenimus
usque ad umbilicos (IV 89, 2) e explicitum nobis usque ad sua cornua
librum (XI 107, 1), che fanno entrambe riferimento allo svolgimento del
rotolo fino alla fine (vd. Marquardt 1886, p. 816 sg. n. 6; Kay, p. 285 sg.); per
una analoga espressione cfr. Hor. epod. 14, 7 sg. iambos / ad umbilicum
adducere. È significativo inoltre che umbilici e cornua non siano mai
nominati insieme. Gli umbilici fanno parte delle caratteristiche esteriori di
un pregiato volumen; è pertanto più semplice pensare che Marziale voglia
indicare le parti sporgenti della bacchetta, che sono realmente umbilici
del rotolo (cioè punti centrali intorno a cui si arrotola il papiro). L’unico
passo in Marziale in cui si trova il singolare è anche l’unico che faccia
chiaramente riferimento all’intera bacchetta: II 6, 10 sg. quid prodest mihi
tam macer libellus / nullo crassior ut sit umbilico. – pictis … umbilicis:
nella collocazione dei termini corrispondenti ai due estremi del falecio
Marziale si rifà all’uso di Catullo (vd. Paukstadt 1876, p. 30). Per l’influenza
catulliana nei faleci di Marziale vd. anche la n. a 67, 2. – luxurieris: indica lo
splendore proveniente dagli ornamenti (gli umbilici picti): cfr. Ov. epist. 16,
193 sg. hanc faciem (sc. Helenae) largis sine fine paratibus uti / deliciisque
decet luxuriare novis; vd. ThlL VII 2, 1927, 54 sgg. Luxurio è posto da
Quintiliano (inst. IX 3, 7) fra i verbi con doppia diatesi, ma sia Nonio che
Prisciano testimoniano che le forme attive erano meno comuni (Non. 771,
7 L. luxuriabat pro luxuriabatur; Prisc. GLK II 392, 6 praeterea plurima
inveniuntur apud vetustissimos, quae contra consuetudinem vel activam
pro passiva vel passivam pro activa habent terminationem ut … luxurio
pro luxurior). Negli autori tràditi i casi di utilizzo della forma attiva e di
quella passiva sono pressoché pari (vd. ThlL VII 2, 1926, 25-37; ma Ovidio
ha una sola occorrenza passiva contro nove attive). In Marziale ci sono altre
tre occorrenze, tutte passive (II 89, 5; X 96, 6; XII 62, 10).
10. purpura delicata: la copertina di pergamena (membrana, paenula, gr.
), qui designata metonimicamente dal suo colore (purpura), è un
tratto ulteriore di raffinatezza. La prima attestazione letteraria si trova in Catull.
22, 7 membranae (si tratta di nominativo plurale: vd. Gamberale 1982, p. 153
126 M. Val. Martialis liber tertius

sg.). Per lo più era colorata di porpora: cfr. Ov. trist. I 1, 5 nec te purpureo
velent vaccinia fuco; Stat. silv. IV 9, 7 noster purpureus (sc. libellus); Lucian.
merc. cond. 41; poteva però anche essere giallastra: cfr. Lygd. 1, 9 (= [Tib.]
III 1, 9) lutea sed niveum involvat membrana libellum (con il commento
di Navarro Antolín); Isid. orig. VI 11, 4 membrana … aut candida aut lutea
aut purpurea sunt (sul colore designato dall’aggettivo luteus vd. André 1949,
p. 151 sgg.). In Marziale è caratteristica ricorrente dei libri di lusso: I 66, 11
nec umbilicis cultus atque membrana; I 117, 16 rasum pumice purpuraque
cultum; V 6, 14 quae cedro decorata purpuraque (sc. pagina); 6, 19 purpureum
… libellum; VIII 72, 1 nondum murice cultus (sc. libellus); X 93, 4 carmina
purpurea sed modo culta toga; XI 1, 2 cultus (sc. liber) Sidone non cotidiana.
– velet: l’uso del verbo rimanda a Ov. trist. I 1, 5 cit. nella n. ai vv. 7-11.
11: l’index (o titulus; gr. ) era il cartellino con il nome dell’autore
e il titolo dell’opera, che si poneva sull’orlo superiore del rotolo: cfr. Ov. trist.
I 1, 109 sg. cetera turba (sc. librorum) palam titulos ostendet apertos / et
sua detecta nomina fronte geret; Pont. I 1, 15 miserabilis index; IV 13, 7
sg. ipse quoque, ut titulum chartae de fronte revellas, / quod sit opus video
dicere posse tuum; Lygd. 1, 11 sg. (= [Tib. III 1, 11 sg.]) summaque praetexat
tenuis fastigia charta / indicet ut nomen littera picta tuum; le lettere erano
scritte in rosso: cfr. Ov. trist. I 1, 7 nec titulus minio … notetur. Giunto
ormai all’apice della sua fama Marziale potrà consentire al suo libro di fare a
meno del titulus, sicuro della propria celebrità: XII 2 (3), 17 sg. quid titulum
poscis? versus duo tresve legantur, / clamabunt omnes te, liber, esse meum. In
I 61, 1 SB, seguendo Baehrens (II, p. 60), stampa Verona docti sillybos amat
vatis (SB2: «Verona loves the name tags of an accomplished poet»), ma il
tràdito syllabas (‘versi’ per sineddoche) non ha motivo di essere emendato (vd.
Citroni, ad loc.). – cocco: il coccum era una bacca (Plin. nat. IX 141 coccum
Galatiae rubens granum) da cui si estraeva un colore rosso purpureo; il
termine indica metonimicamente il colore stesso (CGL V 494, 69 coccum vel
coccinum color rubens; vd. Fenger 1906, p. 28). – superbus: l’attributo opera
una personificazione dell’index e ne indica al tempo stesso la collocazione in
cima al rotolo (per l’imitazione oraziana vd. la n. al v. 7 licet ambules).
12: con il sostegno di un protettore autorevole (su vindex vd. la n. al v.
2) come Faustino il libro non corre alcun pericolo. La sua autorità è tale
che non sarà attaccato neanche dai grammatici più severi, rappresentati
da Probo. Non mi sembra si possa dedurre da questo verso, come faceva
L. Valmaggi (Illo vindice nec Probum timeto, «BFC» 21, 1914-15, pp. 88-
Epigramma 2 127

90), che Marziale intenda alludere specificamente alla corrente arcaizzante,


ostile alla nuova poesia, di cui Probo sarebbe il principale rappresentante.
Per una revisione dell’arcaismo di Probo vd. G. Pascucci, Valerio Probo e
i veteres, in Grammatici latini d’età imperiale, Genova 1976, p. 17 sgg.
(ora in Id., Scritti scelti, Firenze 1983, I, p. 399 sgg.). Diverso, anche se
affine, l’uso antonomastico del nome di Aristarco per un critico severo in
Cic. Pis. 73; Att. I 14, 3; Hor. ars 450 (vd. Brink, ad loc.; EO I, p. 643).
Una formulazione analoga, senz’altro debitrice nei confronti di Marziale
(citato anche da Green, ad loc.), presenta Ausonio nell’ultimo verso
della praefatio a Drepanio Pacato, apostrofe in faleci alle proprie nugae
(Catullo è richiamato esplicitamente nei vv. 1-2 ‘cui dono lepidum novum
libellum?’ / Veronensis ait poeta quidam): hic vos diligere, hic volet tueri;
/ ignoscenda teget, probata tradet. / post hunc iudicium timete nullum
(471, 16-18 p. 86 P. = praef. 4, 16-18 G.). È possibile che Ausonio leggesse
nel verso di Marziale la variante iudice per vindice, attestata nei codici
della famiglia , per cui è stato ipotizzato un archetipo in minuscola di area
francese (vd. Lindsay, [p. XI sg.]; Lindsay 1903, p. 7 sg.; Reeve 1983, p. 238
sgg.). La difesa dai critici era una delle prerogative principali dei patroni
di poeti. A loro Marziale indirizza numerosi epigrammi con la richiesta di
protezione per la sua poesia: cfr. IV 86, 6 sgg. si te pectore si tenebit ore,
nec rhonchos metues maligniorum, / nec scombris tunicas dabis molestas.
/ si damnaverit, ad salariorum / curras scrinia protinus licebit, / inversa
pueris arande charta; VII 26, 5 sg. si te receptum fronte videris tota, /
noto rogabis ut favore sustentet; 26, 9 sg. contra malignos esse si cupis
tutus, / Apollinarem conveni meum, scazon; 97, 9 sgg. o quantum tibi
nominis paratur! / o quae gloria! quam frequens amator! / te convivia,
te forum sonabit, / aedes, compita, porticus, tabernae. / uni mitteris,
omnibus legeris; XII 2 (3), 15 ille dabit populo patribusque equitique
legendum (cfr. anche Stat. silv. IV praef. 33 sg. hunc tamen librum tu,
Marcelle, defendes. et, si videtur, hactenus, sin minus, reprehendemur).
Sui rapporti di Marziale con i suoi patroni vd. Saller 1983; Nauta 2002.
– nec: qui per ne … quidem (vd. Hofmann-Szantyr, p. 449 sg.; OLD, s.v.
neque, nr. 2 b). L’uso offre rari esempi nel latino arcaico (Enn. scaen. 88);
è attestato in Cicerone (top. 23) e Catullo (66, 73), quindi nei poeti augustei
e in quelli di I sec. d.C. (Lucano, Persio, Giovenale). In Marziale ricorre
di frequente: cfr., ad es., I 103, 20; 113, 2; II 34, 6; 75, 4; V 69, 4; VI 77,
1-3; VII 12, 3; 26, 8; VIII 44, 3; 52, 2; 64, 18; 81, 9; IX 22, 2; 94, 3; X 24,
128 M. Val. Martialis liber tertius

11; 90, 4; XI 34, 1; XII 18, 14; 83, 4. – Probum: Marco Valerio Probo di
Berytus (l’odierna Beirut), l’insigne grammatico del I sec. d.C. (Girolamo
pone il suo floruit nel 56: chron. a. Abr. 2072). Senz’altro doveva essere
ancora in vita al momento della pubblicazione del III libro (88, secondo
l’ipotesi avanzata nell’Introduzione, § 2), né vi sono persuasive ragioni per
dubitarne, come fa, ad es., J. Vahlen, Opuscula academica, Lipsiae 1907 (=
Hildesheim 1967), I, p. 51, che ipotizza un uso antonomastico del nome da
parte di Marziale, suggerendo il parallelo con Hor. ars 450 fiet Aristarchus.
Marziale lo nomina qui come illustre grammatico e come tale, insieme a
Emilio Scauro, è menzionato ancora da Ausonio (1, 20 p. 2 P. = praef. 1,
20 G.; 205, 12 p. 63 P. = prof. 15, 12 G.; 210, 7 p. 66 P. = prof. 20, 7 G.).
Gellio lo nomina più volte nelle Noctes Atticae, definendolo grammaticus
inlustris (I 15, 18) e grammaticus inter suos aequales praestanti scientia
(IV 7, 1). Il dibattito tra gli studiosi sulla sua attività filologica prende
le mosse dall’interpretazione del celebre passo di Suet. gramm. 24 (vd.
Kaster, ad loc.) e dell’Anecdoton Parisinum (GLK VII 533 sgg.; GRF,
pp. 54-56 Funaioli): alla sopravvalutazione dell’opera e dell’influenza del
grammatico operata da Fr. Leo (Plautinische Forschungen, Berlin 19122, p.
40 sg.) e dai suoi allievi è succeduto ora un ridimensionamento della figura
di Probo: vd. N. Scivoletto, La ‘filologia’ di Valerio Probo di Berito, «GIF»
12, 1959, pp. 97-124 (edizione accresciuta in Studi di letteratura latina
imperiale, Napoli 1963, pp. 155-221); H.D. Jocelyn, The Annotations of
M. Valerius Probus, «CQ» 78, 1984, pp. 464-472; 79, 1985, pp. 149-161;
466-474; M.L. Delvigo, Testo virgiliano e tradizione indiretta, Pisa 1987;
L. Lehnus, s.v. Probo, in EV IV, pp. 284-286; S. Timpanaro, Per la storia
della filologia virgiliana antica, Roma 20022, pp. 15 sgg.; 77-127; passim;
Id., Virgilianisti antichi e tradizione indiretta, Firenze 2001, p. 37 sgg.
Epigramma 3 129

[Formosam faciem nigro medicamine celas,


sed non formoso corpore laedis aquas.
Ipsam crede deam verbis tibi dicere nostris:
‘Aut aperi faciem aut tunicata lava’.]

hab. T, om. LPQ¹f, add. Q² in mg. secl. Schneidewin², quem secuti sunt edd., praeter
Izaac tit. ad eam quae faciem formosam (formonsam E) habet : ad eam quae faciem
formonsam habuit T² ad eam quae faciem monsam habuit T¹ consilium deformi Q² 1
formosam Q²AXV: formonsam TE c(a)elas TEAX: velas Q²V 2 formoso Q²AVF:
formonso TE formose X 4 aperi TQ²p.c.: operi Q² tunicata Q² : tunica T <tu>
tunicata Schneidewin lava TQ²EAV: leva X

[Celi il bel viso con un impiastro nero,


ma danneggi le acque col corpo non bello.
Fai conto che la dea stessa ti dica attraverso le mie parole:
«O scopri la faccia oppure lavati con la tunica».]

Questo epigramma è stato considerato spurio a partire da Schneidewin2


(p. XIII) e, successivamente, da tutti gli editori moderni, con l’eccezione
di Izaac, che lo ritiene soltanto di «authenticité douteuse». Friedlaender
considerava possibile che si trattasse di un frammento. Si tratta in realtà
di un epigramma di cattiva fattura, che presenta affinità tematica con
l’epigr. 87 di questo libro, in cui Marziale invita la fellatrix Chione a lavarsi
coprendo la parte che più le conviene, il viso. Molteplici ragioni inducono
a considerarlo non autentico (seppure non frammentario). Le principali
sono: a) lo iato in cesura al v. 4 (faciem aut), sempre evitato da Marziale
(vd. Giarratano 1908, p. 41); b) la sua assenza nei codici della famiglia
(in Q l’epigramma è stato aggiunto in margine da una seconda mano); c) il
titolo dell’epigr. 4 (Ad eundem [sc. librum] in LPQ1fEAV; Item ad librum
suum in X), che presuppone contiguità con l’epigr. 2, anch’esso rivolto
al libro; d) la sua collocazione assolutamente inadeguata in mezzo agli
epigrammi dedicatori, che costituiscono un nucleo omogeneo (1; 2; 4; 5).
Izaac accoglie nel testo una congettura di Schneidewin1: aut aperi faciem
aut <tu> tunicata lava, che presuppone una semplice aplografia, ma che
appare uno scialbo riempitivo (lo stesso Schneidewin nell’editio minor la
130 M. Val. Martialis liber tertius

abbandonò, decidendosi per l’inautenticità dell’epigramma). Altri elementi


contribuiscono a confermare questa opinione: la pointe piuttosto fiacca;
l’assenza del nome proprio della protagonista, elemento essenziale degli
epigrammi scommatici; la gratuità dell’accusa (nell’epigr. 87 la critica di
Marziale è alla condotta morale di Chione); formonsus, grafia caratteristica
della prima famiglia (formosus hanno normalmente ), è in questo
caso attestato in E, il testimone più fedele della famiglia , sia nel titolo
che ai vv. 1 (formonsam) e 2 (formonso); da ciò Lindsay 1903, p. 60 sg.
ricavava acutamente l’originaria estraneità dell’epigramma dalla famiglia;
laedis aquas (v. 2) è espressione eccessiva per un corpus non formosum e
appare aliena dalla lingua di Marziale; al v. 3 non è chiaro a quale divinità
si riferisca l’espressione ipsam … deam (cfr. IX 41, 9 ipsam crede tibi
naturam dicere rerum), diversamente dalla consuetudine di Marziale: cfr.
II 59, 4 ipse … deus (Augusto); VII 99, 8 ipsi … deo (Domiziano); XII 48,
13 ipse deus (Giove); aperio (v. 4) ricorre in Marziale soltanto al participio
passato, sempre con il significato di ‘aperto’: I 14, 4 per aperta … ora; 34,
1 sg. apertis … / liminibus; IV 29, 6 ianua … aperta; V 55, 3 sg. aperto
/ … ore.
Epigramma 4 131

Romam vade, liber: si, veneris unde, requiret,


Aemiliae dices de regione viae.
Si, quibus in terris, qua simus in urbe, rogabit,
Corneli referas me licet esse Foro.
Cur absim, quaeret; breviter tu multa fatere: 5
‘Non poterat vanae taedia ferre togae’.
‘Quando venit?’ dicet: tu respondeto: ‘Poeta
exierat: veniet, cum citharoedus erit’.

hab. T tit. ad eundem LPQ¹fEAV: item ad librum suum X ad librum suum T ad librum
Q² 1 vade T EXV: valde A requiret : requirit T 2 aemiliae : aemeliae T 3 qua
TPQf¹ : quo f²s.l. quid L urbe TLPQf¹ : orbe f²s.l. rogabit XV: rogavit EA rogarit
T 4 corneli : cornelii T 5 absim TQf²s.l. : absit LPf¹ quaeret breviter T : breviter
quaeret XV quae breviter quaeret EA 7 quando venit T : quando veniae EA quando si
veniet X et quando veniet V dicet T V²: dicit EAX dicens V¹ tu respondeto T : tu
responde EA responde XV poeta T XV²: poetae EAV¹ 8 exierat TLPQf² : exiceat f¹
cithar(o)edus LPQ²fX: citheredus Q¹ cytharohedus T citharoedis EAV

Va’ a Roma, o libro: se chiederà da dove sei venuto,


dirai dalla regione della via Emilia.
Se domanderà in che terre io sia, in che città,
di’ pure che mi trovo a Forum Corneli.
Perché io sia via da Roma, chiederà; tu in breve rivela molto: 5
«Non poteva sopportare i fastidi di una vana toga».
«Quando viene?» dirà; tu rispondi: «Poeta
se ne è andato: tornerà quando sarà citaredo».

Rivolgendosi al proprio libro, che sta per inviare a Roma, Marziale


immagina che la città stessa, personificata, possa porgli alcune domande:
da dove venga (1), dove si trovi il poeta (3), perché sia fuori da Roma (5).
Egli lo istruisce sulle risposte da dare (2; 4; 6; 8): potrà rivelare dove si
trova e, soprattutto, perché se ne è andato; la sua spiegazione dovrà essere
breve, ma chiarificatrice (5 breviter tu multa fatere): egli era stanco di
sopportare le inutili fatiche della vita da cliente (6). Quando tornerà? Se ne
è andato da poeta, tornerà quando sarà citaredo, quando insomma sarà in
132 M. Val. Martialis liber tertius

grado di praticare una professione redditizia nell’Urbe, che gli consenta la


vita tranquilla che desidera e che la poesia non può garantirgli.
Come il precedente componimento di dedica a Faustino, anche questo
epigramma è costituito da un’apostrofe al libro (su cui vd. la n. intr.
all’epigr. 2). In questo caso il dialogo con il libro offre al poeta un filtro
attraverso il quale rivelare l’insoddisfazione per la vita a Roma, che lo ha
portato ad allontanarsene temporaneamente. Egli si trova ora nella Gallia
togata (cfr. 1, 2), a Forum Corneli (l’odierna Imola); la sua partenza è
dovuta all’insofferenza nei confronti degli stancanti obblighi della clientela
(vd. la n. al v. 6), che per di più ora non gli garantiscono neanche il piccolo
provento della sportula, che Domiziano ha abolito restaurando l’antico
uso della recta cena (cfr. Suet. Dom. 7, 1). Per la vicenda della sportula e
per l’importanza che l’argomento riveste nel libro vd. l’Introduzione, p. 60;
ed inoltre la n. intr. all’epigr. 7 e gli epigr. 14; 30; 60.
Amarezza e disillusione sono le note predominanti del componimento,
come ribadisce il distico finale: l’affermazione che ritornerà a Roma solo
quando sarà divenuto un citaredo (8 veniet cum citharoedus erit) rivela, seppur
attraverso l’ironia, tutto il disagio del poeta che sente di vivere in un’epoca che
poco valorizza i letterati e che invece permette a chi esercita professioni meno
nobili e accessibili a chiunque facili guadagni e una vita di agi.
L’epigramma occupa una posizione importante nel libro, poiché giunge
dopo un epigramma rivolto al lettore generico (1) e dopo quello di dedica al
patrono Faustino (2; l’epigr. 3 è senz’altro spurio); esso espone in maniera
programmatica le ragioni che hanno spinto l’autore a lasciare Roma e serve
dunque ad introdurre il nuovo libro, non romano, ma gallo. Come nel
primo epigramma del libro, Marziale si richiama all’Ovidio dell’esilio sia
nella struttura del componimento che nelle espressioni (vd. la n. al v. 1): la
situazione infatti è tratta da trist. I 1, in cui Ovidio, apostrofando il proprio
libro che sta per inviare a Roma, immagina che qualcuno nella capitale
possa chiedergli notizie su di lui e lo istruisce sulle risposte da dare: cfr. I
1, 15 sgg. vade, liber, verbisque meis loca grata saluta; / contingam certe
quo licet illa pede. / si quis, ut in populo, nostri non immemor illic, / si
quis, qui, quid agam, forte requirat, erit, / vivere me dices, salvum tamen
esse negabis - / id quoque, quod vivam, munus habere dei - / atque ita te
cautus quaerenti plura legendum, / ne, quae non opus est, forte loquare,
dato. Diversamente da Ovidio però Marziale ostenta una certa sicurezza
sull’interesse che la città nutrirà nei suoi confronti.
Epigramma 4 133

1. Romam vade, liber: l’apostrofe ricalca quella di Ovidio al proprio libro


nell’elegia proemiale dei Tristia: I 1, 15 vade, liber; cfr. anche Ov. trist. I
1, 1-3 parve (nec invideo) sine me, liber, ibis in urbem: / ei mihi, quod
domino non licet ire tuo! / vade, sed incultus, qualem decet exulis esse; III
7, 1 sg. vade salutatum, subito perarata, Perillam, / littera. È significativa
la collocazione di Romam in principio di epigramma: sottolinea come
la capitale sia la destinataria del suo libro, ma anche il bersaglio delle sue
recriminazioni. Pur trovandosi lontano da Roma e, come vuole apparire
ai suoi lettori, in una sorta di esilio (vd. l’Introduzione, § 1), Marziale non
può comunque fare a meno di rimanere, tramite il libro, in contatto con
essa e di rivolgersi, con la sua poesia, a lei sola ed ai suoi cittadini. – si,
veneris unde, requiret: l’idea del dialogo del libro con i cittadini è mutuata
dalla prima elegia dei Tristia di Ovidio: trist. I 1, 17 sgg. cit. nella n. intr.,
da cui Marziale trae anche il carattere ipotetico (4, 1 si … requiret ~ Ov.
trist. I 1, 18 si quis, qui … requiret, erit); cfr. anche Ov. Pont. IV 5, 11
(apostrofe ai leves elegi) si quis, ut in populo, qui sitis et unde requiret. In
modo simile Orazio (epist. I 8) invita la Musa a salutare Celso Albinovano,
quindi le fornisce istruzioni su cosa dovrà dirgli: v. 3 si quaerit quid agam,
dic eqs. Marziale immagina che Roma stessa possa informarsi su di lui,
mentre Ovidio, nella diversa condizione dell’esiliato, poteva augurarsi
tutt’al più che il suo ricordo e l’interesse per lui fosse rimasto in qualcuno
del popolo (trist. I 1, 17 cit. nella n. intr.).
La personificazione dell’Urbe è frequente negli epigrammi di Marziale,
il quale se ne serve per enfatizzare il proprio successo, identificando con
l’intera città il pubblico dei propri lettori: VI 60 (61), 1 laudat, amat,
cantat nostros mea Roma libellos; IX 97, 2 quod me Roma legit, rumpitur
invidia; XI 24, 6 quod Roma legit; oppure in contesti adulatori (VII 5, 3
sg; 6, 7; 99, 2; XII 8); talora, come in questo epigramma, Roma è introdotta
nel dialogo (X 2; XI 6; XII 8). Qui inoltre Marziale sembra rappresentare
Roma come una donna che ansiosa chieda notizie sul proprio amato
lontano, desiderosa di sapere quando tornerà.
2. Aemiliae … viae: la via Emilia, costruita nel 187 a.C. dal console
Marco Emilio Lepido, collegava Rimini a Piacenza, costituendo in tal
modo un prolungamento della Flaminia, che giungeva fino a Rimini (Liv.
XXXIX 2). La regione, ottava nella divisione augustea (che ne contava 11:
cfr. Plin. nat. III 46), i cui confini sono riportati da Plinio il Vecchio (nat.
III 115 octava regio determinatur Arimino, Pado, Appennino), prese
134 M. Val. Martialis liber tertius

il nome dalla via, che la attraversava nel mezzo. La prima attestazione


dell’uso di Aemilia per indicare la regione si trova in Marziale, VI 85, 6 et
resonet tota planctus in Aemilia; cfr. anche X 12, 1 Aemiliae gentes (vd.
Ch. Hülsen, s.v. Aemilia, RE I 540). Già in questo passo la Regio VIII
viene qualificata dall’importante arteria. – de regione: la iunctura occupa
la stessa posizione del pentametro in X 68, 4; XIV 152, 2.
3. quibus in terris: il nesso ricorre nella stessa posizione metrica in Verg.
ecl. 3, 104; 106.
4. Corneli … Foro: l’odierna Imola, a 33 Km ESE da Bologna. Fondata
da Cornelio Silla (cfr. Prud. Passio Cassiani Forocorneliensis peristephanon
IX 1), si trovava sulla via Emilia, sulla sponda sinistra dell’amnis Vaternus
(oggi Santerno), nominato da Marziale in III 67, 2. È menzionata da
Plinio il Vecchio (nat. III 115) e da Strabone (V 1, 11), che la colloca fra
i della regione. L’ablativo di stato in luogo per nomi
composti con Forum, in luogo di ad con l’accusativo, è attestato per la
prima volta in questo passo di Marziale e, successivamente, in Plin. epist.
V 9, 17; CIL V 1893 (vd. Leumann, p. 146).
5. Cur absim, quaeret: la richiesta di spiegazioni sulle motivazioni della
partenza consente a Marziale di introdurre il verso chiave del componimento,
in cui rivela la propria insoddisfazione per la vita da cliente a Roma (6).
– breviter tu multa fatere: anche Ovidio, nell’inviare a Roma il proprio libro
dal Ponto, gli raccomandava di non dire troppo (trist. I 1, 19 sgg.); la sua
cautela era tuttavia determinata dal timore di compromettere ulteriormente la
propria situazione. Marziale, pur trovandosi in una situazione completamente
diversa, non può dare forma più esplicita alle proprie recriminazioni; la sua
confessione è però piuttosto eloquente.
6: il pentametro condensa tutte le amarezze patite come cliens nella ca-
pitale. – Non poterat: l’uso di possum al negativo apre significativamente
il verso, mettendo in luce come la scelta di allontanarsi sia stata necessaria:
cfr. XII 46 (47), 2 nec tecum possum vivere nec sine te. – vanae … togae:
la toga, indumento tipico del cittadino romano, era richiesta dai patroni ai
loro clienti per l’atto della salutatio mattutina e per gli altri officia. L’obbligo
era sentito come molto fastidioso: la possibilità di fare a meno dell’abito è
considerata da Marziale un aspetto idillico della vita in Spagna (I 49, 31
nusquam toga; XII 18, 17 ignota est toga) e un elemento della vita beata
(X 47, 5 toga rara). Qui la toga è eletta a simbolo negativo della vita di
cliente (cfr. X 19, 4 eheu! quam fatuae sunt tibi, Roma, togae!). I clientes
Epigramma 4 135

sono spesso definiti togati: cfr. I 108, 7 unum … togatum; II 57, 5 grex
togatus; 74, 1 cinctum togatis … Saufeium; 74, 6 greges togatorum; III
46, 1 operam sine fine togatam; V 26, 4 beta togatorum; VI 48, 1 turba
togata; IX 100, 1 togatum; X 74, 3 togatulos; 82, 2 togatus; XI 24, 11
togatulorum. L’attributo vanus sottolinea efficacemente la frustrazione
per numerose fatiche, considerate inutili, che, per di più, non fruttano ora
neanche una sportula (vd. Salanitro 1991-92, p. 286 sgg.); per il suo uso
in relazione agli officia clientelari cfr. anche X 82, 7 sg. parce, precor, fesso
vanosque remitte labores / qui tibi non prosunt et mihi, Galle, nocent.
– taedia ferre: il nesso ricorre nella stessa posizione metrica, anche se in
un contesto completamente diverso, in Ov. ars II 531 dedecet ingenuos
taedia ferre sui. Taedium indica il fastidio provocato al poeta dal caos
della capitale anche in XII 57, 27 sg. taedio fessis / dormire quotiens
libuit, imus ad villam. Il verbo sottolinea lo sforzo sostenuto da Marziale
per compiere gli officia di cliente anche in XII 29, 8 sgg. at mihi quem
cogis medios abrumpere somnos / et matutinum ferre patique lutum /
quid petitur? (cfr. l’uso analogo di perferre in VII 39, 1-3 discursus varios
vagumque mane / et fastus et have potentiorum / cum perferre patique
iam negaret).
7 sg.: Marziale annuncia che tornerà a Roma quando potrà svolgere
una professione in grado di garantirgli elevati profitti, diversamente dalla
poesia; poeta è significativamente collocato in fine del v. 7, quasi a voler
rappresentare una dimensione passata. L’affermazione è venata di amara
ironia e non va certo interpretata alla lettera, quasi Marziale intendesse
realmente dedicarsi all’arte citaredica o chiudere i propri giorni a Imola,
come pure ritengono alcuni studiosi (vd., ad es., I. Lana, Marziale poeta
della contraddizione, «RFIC» 33, 1955, p. 233; E. Paratore, La letteratura
latina dell’età imperiale, nuova edizione aggiornata, Firenze-Milano 1969,
p. 156). Il disagio patito dal poeta per la vita in una società che non gli
tributa adeguati riconoscimenti per la sua arte, come faceva quella augustea,
e per il facile successo ottenuto da categorie sociali inferiori (per cui vedi la
n. intr. all’epigr. 16) è uno dei motivi più sentiti nella poesia di Marziale, il
quale spesso lamenta l’assenza di un Mecenate, che gli consenta di dedicarsi
completamente, come vorrebbe, alla poesia: I 107, 3 sg. otia da nobis, sed
qualia fecerat olim / Maecenas Flacco Vergilioque suo / condere victuras
temptem per saecula curas / et nomen flammis eripuisse meum; VIII 55
(56), 5 sint Maecenates, non derunt, Flacce, Marones; XI 3, 7 sgg. at quam
136 M. Val. Martialis liber tertius

victuras poteramus pangere chartas / quantaque Pieria proelia flare tuba,


/ cum pia reddiderint Augustum numina terris, / et Maecenatem si tibi,
Roma, darent!; sull’argomento vd. F. Bellandi, L’immagine di Mecenate
come protettore delle lettere nel I sec. d. C., «A&R» 40, 1995, pp. 78-
101. Altrove Marziale esprime la sua disillusione sulla possibilità per un
poeta di ottenere successo e ricchezze a Roma (III 38, 9 sg.; V 56, 4 sg.;
7; vd. anche I 76; V 16; VI 82; IX 73; X 74; 76). Il tema della povertà
dei poeti e della difficoltà di comporre in condizioni di indigenza, dovute
principalmente all’assenza di patroni generosi come quelli del passato, è
sviluppato ampiamente, come è noto, da Giovenale nella Satira settima
(vd. Courtney, pp. 348-350). – exierat: il piuccheperfetto è spesso usato in
poesia in luogo del perfetto o dell’imperfetto per comodità metrica (vd.
Hofmann-Szantyr, p. 320 sgg.; Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae, p. 152
sgg.; Platnauer 1951, p. 112 sgg.). In Marziale si trovano numerosi esempi
(elenchi non completi in Guttmann 1866, pp. 40-45; Friedlaender, ad I
107, 3); in questo libro cfr. 24, 13 fueras; 52, 1 fuerat; 70, 2 fuerat. Qui la
forma, che apre significativamente l’ultimo verso, contribuisce a enfatizzare
la distanza temporale dal passato. – citharoedus: la professione di citaredo
consentiva grandi guadagni: cfr. V 56, 7 sgg. si versus facit, abdices poetam.
/ artes discere vult pecuniosas? / fac discat citharoedus aut choraules; /
si duri puer ingeni videtur, / praeconem facias vel architectum. In scena
i citharoedi indossavano ricche vesti (Rhet. Her. IV 47, 60; Iuv. 10, 211
sg.). Nerone, in ossequio alla sua passione smodata per l’arte citaredica,
fece ingenti doni al citaredo Menecrate (Suet. Nero 30, 2). Vespasiano, in
occasione delle celebrazioni per il restauro del teatro di Marcello, istituì
spettacoli vari, pagando duecentomila sesterzi ai due più noti citaredi
del tempo, Terpno e Diodoro (Suet. Vesp. 19, 1). Domiziano istituì un
certamen quinquennale musicale, ginnico ed equestre in onore di Giove
Capitolino, cui partecipavano citharoedi, chorocitaristae e psilocitharistae
(Suet. Dom. 4, 4). Notevoli entrate derivavano a citaredi e cantanti in
genere dall’insegnamento delle loro discipline a figli di ricchi signori: cfr.
Iuv. 7, 175 sgg. tempta / Chrysogonus quanti doceat vel Pollio quanti /
lautorum pueros, artem scindes Theodori (sulla presenza di Marziale in
questi versi vd. Colton 1991, p. 319 sg.). Una fonte ulteriore di guadagno
era costituita da prestazioni di altro genere, che ricevevano grande successo
fra le matrone romane: attori di teatro e citaredi portavano una fibula che
li preservasse dagli eccessi sessuali, considerati dannosi per la voce, ma
Epigramma 4 137

essa era divenuta soltanto un pretesto per aumentare il prezzo delle loro
prestazioni sessuali: cfr. XIV 215, 1 sg. (tit. fibula) dic mihi simpliciter
comoedis et citharoedis, / fibula, quid praestas? ‘carius ut futuant’ con il
commento di Leary1; Iuv. 6, 61 sgg.; 379 sgg. Sui citaredi in generale vd. RE
XI 1, 530-534; Daremberg-Saglio, s.v. citharoedus, II, pp. 1215-1217. Non
convince la recente interpretazione di J. Gómez Pallarès (A new proposal
on Martial 3, 4 Citharoedus, «Athenaeum» 89, 2001, pp. 216-222), il quale
ritiene che con il termine citharoedus Marziale alluda alla poesia lirica e,
in particolar modo, a Orazio, al cui successo poetico nelle alte sfere del
potere egli ambirebbe: l’esplicita contrapposizione nel distico tra poeta,
collocato significativamente nella chiusa del v. 7, e citharoedus, ribadita in
V 56, 7 sgg. cit. supra, consente senz’altro di escludere questa possibilità.
138 M. Val. Martialis liber tertius

Vis commendari sine me cursurus in urbem,


parve liber, multis, an satis unus erit?
Unus erit, mihi crede, satis, cui non eris hospes,
Iulius, adsiduum nomen in ore meo.
Protinus hunc primae quaeres in limine Tectae: 5
quos tenuit Daphnis, nunc tenet ille lares.
Est illi coniunx, quae te manibusque sinuque
excipiet, tu vel pulverulentus eas.
Hos tu seu pariter sive hanc illumve priorem
videris, hoc dices: ‘Marcus havere iubet’, 10
et satis est; alios commendet epistula: peccat
qui commendandum se putat esse suis.

tit. ad eundem LPf : ad idem Q 1 commendari LPf : commedari Q me L¹PQf : me


tibi L²s.l. cursurus Q²s.l.f : cursus LP rursus Q¹ 2 erit AXV: erat E 3 eris hospes
LPQf¹: erit hospes f²s.l. 4 iulius LPf¹: lulius EAV illius Q cuius f²v.l.X 5 primae quaeres
in limine Tectae Gronovius: primi quaeres in limine tecti primaeque in crimine tectae
6 daphnis PQ : dampnis Lf tenet XV: tene EA lares PQf²s.l. : labres L nares
f¹ 7 illi coniunx EXV: illic coniunx A² illic iunx A¹ 8 excipiet LPQ²f² : excipies Q¹
excipet f¹ pulverulentus AXV: pulverelentus E eas AXV: tues E 9 seu PQf : sed
L pariter LPQ²f : pater Q¹ hanc illumve LPQf¹: hunc illamve f²s.l. 10 hoc LQf :
hos P havere h²k: avere Q²f²Clvv1v2 habere LPQ¹f¹ h¹ iubet Q²f² : libet LPQ¹f¹ 11
et LPf¹ h¹: est Q hoc f²s.l.h²bkvv1v2 ed. Rom. 1 ed. Ven. ed. Rom. 2 ed. Ald. id Heinsius
satis est LPf : satis cum Q commendet LPfEAX: commendat QV

Piccolo libro, che correrai nell’Urbe senza di me,


vuoi essere raccomandato a molti oppure basterà uno solo?
Uno solo, credimi, basterà, per il quale non sarai un ospite:
Giulio, nome sempre presente sulle mie labbra.
Lo cercherai subito al principio della via Tecta: 5
egli possiede ora la casa che ebbe Dafni.
Ha una moglie che ti accoglierà stringendoti con le mani al
petto, dovessi arrivare anche impolverato.
Tu, sia che li vedrai insieme, sia questa o quello per primo,
dirai: «Marco vi manda i suoi saluti», 10
ed è abbastanza; altri raccomandi un’epistola: sbaglia
chi crede di doversi raccomandare ai suoi.
Epigramma 5 139

Ancora un epigramma dedicatorio. Come nell’epigr. 2 Marziale utilizza


il modulo dell’apostrofe al libro, cui domanda se a Roma vuole essere
raccomandato a molti oppure ad uno solo (1 sg.). È lo stesso poeta a fornirgli
la risposta: basterà uno solo, che lo accoglierà come uno di famiglia: Giulio,
nome sempre presente nei suoi discorsi. Dopo aver dato al libro l’indirizzo
dell’amico (5 sg.), gli preannuncia che sarà accolto calorosamente dalla
moglie (7 sg.). Ai due dovrà portare un semplice, ma sincero saluto da parte
sua: con i propri cari non c’è bisogno di lettere formali (9-12). Il destinatario
dell’epigramma è Giulio Marziale, amico intimo del poeta (appare arbitraria
l’affermazione di Lindsay 19032, p. 49 n. 1, che Giulio fosse suo cugino),
fra i primi conosciuti all’arrivo a Roma (in XII 34, 1 sg. Marziale, tornato
in Spagna definitivamente, ricorda gli anni trascorsi con l’amico: triginta
mihi quattuorque messes / tecum, si memini, fuere, Iuli; il periodo equivale
all’intera permanenza di Marziale a Roma: cfr. X 103, 7-9; 104, 9 sg.). Il suo
nome ricorre in quasi tutti i libri di Marziale, il quale si rivolge a lui con toni
che rivelano intimità e una lunga consuetudine, apostrofandolo, come qui,
con il solo nomen Iulius (I 15, 1; IX 97, 1; XII 34, 2) o con il cognomen
Martialis (V 20, 1; VI 1, 2; X 47, 2; XI 80, 5; 8) o con entrambi (IV 64, 1;
36; VII 17, 12): cfr. I 15, 1 sg. o mihi post nullos, Iuli, memorande sodales,
/ si quid longa fides canaque iura valent; IX 97, 1 carissime Iuli; XI 80,
5 sed Martialem malo, Flacce, quam Baias. Era di una decina di anni più
anziano del poeta: aveva circa sessant’anni al momento della pubblicazione
del I libro (I 15, 3 bis iam paene tibi consul tricensimus exstat), che si può
collocare fra la fine dell’85 e l’inizio dell’86 (vd. Citroni, p. IX sgg.). Marziale
lo presenta come un uomo molto impegnato e lo nomina in epigrammi che
sviluppano il motivo del carpe diem o quello della vita beata (I 15; V 20;
X 47). Era certamente benestante: possedeva una villa sul Ianiculum (IV
64: si tratta di Monte Mario, come dimostrano le indicazioni topografiche
di Marziale), fornita anche di una biblioteca, per la quale il poeta gli dona
un esemplare, corretto di suo pugno, contenente i suoi libri I-VII (VII 17);
doveva essere appassionato e intenditore di poesia: in V 20, 8 in un elenco
di attività che desidererebbe praticare con l’amico, se potessero vivere come
piace a loro, Marziale nomina i libri (sed gestatio, fabulae, libelli); in VI 1,
dedicandogli il libro, lo prega di correggerlo aure diligenti (3), poiché così
potrà osare mandarlo a Domiziano. Da V 20 sembra possibile dedurre che
praticasse l’avvocatura (Citroni, p. 61 sg.), anche se non è da escludere che
fosse un cliente (vd. Lieben, RE X 673; Nauta 2002, p. 72 sg.).
140 M. Val. Martialis liber tertius

1 sg. Vis commendari …: per mezzo della raccomandazione il poeta


vuole garantire al proprio libro la protezione di amici e patroni influenti.
È un tratto ulteriore della personificazione, veramente proprio di Marziale
(vd. Citroni 1986, p. 137 sg.): egli considera il suo libro come un protetto
cui si voglia assicurare l’appoggio di persone influenti per inserirlo in
società (così nell’epigr. 2 gli consiglia di cercarsi un vindex). Anche Ovidio
nelle Epistulae ex Ponto chiedeva per il suo libro la tutela di un amico (cfr.
II 5, 33; III 4, 6; ma anche I 1 che vale per tutte le Epistulae ex Ponto),
ma si trattava di una necessità legata alla situazione specifica delle elegie
dall’esilio, bisognose di una protezione particolare da parte di privati. –
sine me cursurus in urbem: ancora una ripresa dal formulario ovidiano
dell’esilio: cfr. Ov. trist. I 1, 1 sine me liber ibis in urbem.
2. parve liber: l’apostrofe riprende l’incipit dei Tristia: Ov. trist. I 1, 1
parve … liber. L’apostrofe parve liber ricorre in Marziale anche in I 3, 2.
3. mihi crede: inciso di tono colloquiale (vd. Hofmann, LU, p. 279 sg.);
frequente in commedia e in prosa (soprattutto quella epistolare). Non raro
nella poesia elegiaca. Marziale lo utilizza spesso (18 occorrenze, di cui 12
nella forma crede mihi, 6 in quella inversa mihi crede; 7 in Properzio;
29 in Ovidio). L’uso della forma crede mihi nella commedia, in Lucilio
e in Petronio, ha portato J.H. Schmalz (Über den Sprachgebrauch der
nichtciceronischen Briefe, «ZG» 35, 1881, p. 115 sgg.) a sostenere che fosse
questa la locuzione usuale nella lingua parlata. La sua maggiore frequenza
rispetto all’inversa m. c. negli elegiaci e in Marziale (in Properzio sempre,
in Ovidio 19 casi su 29, in Marziale 12 su 18) sarà probabilmente dovuta
alla sua comodità metrica (soprattutto alla possibilità di essere collocata ad
inizio di verso: 5 volte in Properzio, 18 in Ovidio, 4 in Marziale; vd. Tränkle
1960, p. 9 sg.). Si tratta di un appello alla fiducia dell’ascoltatore: Marziale
si rivolge al proprio libretto come un adulto esperto, che fornisce i consigli
ad un giovane ignaro delle regole della società su ciò che sia meglio fare.
– cui non eris hospes: sottolinea la familiarità con Giulio, ribadita dal v. 11
sg. L’ospitalità di Giulio Marziale è magnificata anche in IV 64, 25 sgg. hoc
rus, seu potius domus vocanda est, / commendat dominus: tuam putabis,
/ tam non invida tamque liberalis / tam comi patet hospitalitate. Così
anche in XII 2 (3), 5 sg., nell’inviare il proprio libro a Roma dalla Spagna,
lo apostroferà dicendogli che non sarà ospite nellUrbe, poiché la presenza
dei suoi fratelli è garanzia che anche lui sarà considerato romano come
loro: non tamen hospes eris nec iam potes advena dici, / cuius habet
Epigramma 5 141

fratres tot domus alta Remi. Diversamente il libro dei Tristia inviato da
Ovidio dal Ponto, giungendo a Roma si considerava ospite alla ricerca di
accoglienza: dicite lectores, si non grave, qua sit eundum / quasque petam
sedes hospes in urbe liber (trist. III 1, 19 sg.).
4. adsiduum nomen in ore meo: la frequente menzione di una persona
lontana (o defunta) testimonia la persistenza dell’affetto: cfr. Ov. met. VII 708
pectore Procris erat, Procris mihi semper in ore; X 204 semper eris mecum
memorique haerebis in ore; Pont. III 5, 44 nunc quoque Nasonis nomen in
ore tuo est?; Stat. Theb. XII 114 sg. unum Polynicis amati / nomen in ore
sedet; CLE 618, 3 perit corpus, sed nomen in ore est. Il secondo hemiepes
del verso mostra una coincidenza quasi completa con quello di alcuni versi
ovidiani: epist. 19, 40 nil nisi Leandri nomen in ore meost; trist. III 3, 20
ut foret amenti nomen in ore tuum (cfr. anche fast. VI 528 estque frequens,
Ino, nomen in ore tuum, con diverso significato). È possibile che Marziale
abbia voluto richiamare allusivamente l’Ovidio dell’esilio, che, come notato
(vd. l’Introduzione, § 1), è largamente presente negli epigrammi proemiali
del libro.
5: Marziale fornisce al libro le indicazioni topografiche necessarie a
trovare la dimora di Giulio Marziale. Si tratta di una costante negli epi-
grammi di apostrofe al libro che Marziale invia ad amici e patroni: cfr.
I 70, 3-12; X 20 (19), 4-11, dove l’apostrofe è rivolta a Talia, incaricata
di portare il libro a Plinio; XI 1, 9-12; XII 2 (3), 7-10. Anche questa
caratteristica deriva dall’Ovidio dell’esilio: cfr. Pont. IV 5, 9 sg. protinus
inde domus vobis Pompeia petatur: / non est Augusto iunctior ulla
foro; vd. Citroni 1986, p. 138. – primae … Tectae: felice congettura
di Gronovius, necessaria per il senso e accolta da tutti gli editori, che
modifica solo lievemente il testo tràdito. La via Tecta è nominata da
Seneca in apocol. 13, 1 per campum Martium et inter Tiberim et viam
Tectam descendit ad inferos e da Marziale anche in VIII 75, 2 a Tecta
Flaminiaque recens. Doveva trattarsi di una via porticata, che si trovava
nel Campo Marzio e connetteva la via Flaminia al Tarentum, luogo sacro
alle divinità infernali Dite e Proserpina (vd. Platner-Ashby, p. 568; LTUR
V, s.v. Via Tecta, p. 145 sg.). Potrebbe trattarsi della via fornicata quae
ad campum erat menzionata da Liv. XXII 36, 8 (vd. F. Coarelli, s.v. Via
Fornicata, LTUR V, p. 137 sg.). La via è pertanto riconoscibile nell’asse
Via dei Coronari – Via delle Coppelle – Via della Colonna Antonina, e la
casa di Giulio Marziale sarebbe da collocare nei pressi di piazza Colonna
142 M. Val. Martialis liber tertius

(vd. E. Rodriguez Almeida, s.v. Domus: Iulius Martialis, LTUR II, p. 122).
Una via Tecta, situata fuori dalla porta Capena, è nominata da Ov. fast. VI
191 sg. lux eadem Marti festa est, quem prospicit extra / adpositum Tectae
porta Capena viae. – in limine: l’espressione ben si adatta ad indicare il
principio di una via porticata.
6. Daphnis: il personaggio non è altrimenti noto (vd. PIR D 8). Non
vi sono pertanto elementi per affermare, con Friedlaender, che fosse un
conoscente del poeta. Doveva comunque trattarsi di una persona nota, la
cui menzione nell’epigramma non risultasse oscura per i lettori di Marziale.
– lares: l’uso metonimico di lar per indicare la casa è attestato fin dal
periodo ciceroniano e frequente in poesia (vd. ThlL VII 2, 966, 42 sgg.).
Marziale utilizza sia il singolare (4 volte) che il plurale (7 volte).
7 sg.: si tratta di un’accoglienza calorosa, quale si riserva ad un familiare.
– manibusque sinuque / excipiet: per excipere sinu cfr. Ov. epist. 13, 146
excipietque suo corpora lassa sinu; Val. Max. VII 1, 1 earum subolem sinu
suo exciperet; Sen. Med. 284 paterno ut genitor excipiam sinu (vd. anche
Ov. epist. 18, 101 excipis amplexu feliciaque oscula iungis). In Marziale
excipere ricorre ancora in riferimento all’accoglienza da riservare ai libelli
personificati in IX 58, 5 excipe sollicitos placide, mea dona, libellos; cfr.
anche Ov. Pont. I 1, 3 sg. si vacat, hospitio peregrinos, Brute, libellos / excipe.
– tu vel pulverulentus eas: il libro può anche presentarsi pulverulentus per
il viaggio (cfr. Quint. inst. V 10, 81 iter pulverulentum facit): l’amicizia
non richiede formalità (si confronti, all’opposto, l’elaborata descrizione
delle caratteristiche esteriori del libro nell’epigr. 2, vv. 7-11). Il fatto che
il viaggio verso Roma renda il libro impolverato fornisce una conferma
che esso viene inviato da Marziale nei mesi caldi (sulla cronologia del libro
vd. l’Introduzione, § 2), quando le strade erano più polverose: cfr. XII 5
(2), 1 sg. quae modo litoreos ibatis carmina Pyrgos, / ite Sacra- iam non
pulverulenta- via (in dicembre; l’interpunzione del v. 2 risale a W. Gilbert,
«RhM» 40, 1885, p. 220 sg.); Verg. georg. I 66 pulverulenta … aestas; Cic.
Att. V 14, 1 iter conficiebamus aestuosa et pulverulenta via (in luglio).
9. hanc illumve: l’ordo tràdito dalla seconda famiglia e accolto da tutti
gli editori moderni appare senz’altro migliore. Il solo SB preferisce hunc
illamve di , senza peraltro fornire elementi a sostegno della sua scelta.
Hunc illamve era stata accolta da Schneidewin1, che preferì però hanc
illumve nell’editio minor.
10. dices: futuro iussivo. È un tratto della lingua dell’uso, che esprime la
Epigramma 5 143

sicurezza da parte del parlante dell’adempimento dell’azione (vd. Hofmann-


Szantyr, p. 311); per l’uso nello stesso contesto di apostrofe al libro cfr. Ov.
trist. I 1, 19 vivere me dices (= trist. III 7, 7); Auson. 413, 31 p. 272 P.
(epist. 19 b, 31 G.) nescire dices. – Marcus: G. Schneider (De M. Valerii
Martialis sermone observationes, Diss. Vratislaviae 1909, p. 50) ha notato
che Marziale utilizza il cognomen nei coliambi e nei faleci e il praenomen
nei distici, dove Martialis non può entrare. La scelta risponde però piuttosto
ad esigenze stilistiche: il praenomen è preferito in dialoghi con amici, come
in questo caso, o comunque dove l’epigramma ha un tono colloquiale (I
5; 55; V 29; 63; VI 47; VIII 76), mentre il cognomen riveste la funzione di
nome ufficiale del poeta (cfr. I 1, 1 sg. hic est quem legis ille, quem requiris
/ toto notus in orbe Martialis; 117; VI 82; VII 72; X 9; 92). – havere iubet:
anche in altri epigrammi il libro riceve l’incarico da Marziale di portare i suoi
saluti ad amici o patroni: cfr. I 70, 1 vade salutatum pro me, liber; I 108,
10 mane tibi pro me dicet havere liber; X 104, 8-15; vd. anche Ov. trist.
III 7, 1 sg. vade salutatum, subito perarata, Perillam / littera. La formula
del saluto attraverso l’apostrofe al libello viene quindi ripresa da Ausonio:
406, 1 sgg. p. 239 P. (epist. 9 b, 1 sgg. G.) perge, o libelle, Sirmium / et dic
ero meo ac tuo / have atque salve plurimum; 413, 23 sg. p. 271 P. (epist.
19 b, 23 sg. G.) dic (sc. iambe): ‘te valere’, dic: ‘salvere te iubet / amicus’.
L’uso dell’infinito havere, ricavato da have, testimoniato dai grammatici (cfr.
Charis., p. 333, 11 Barwick [= GLK I 254, 22]), ricorre in Quint. inst. I 6, 21
multum enim litteratus, qui sine aspiratione et producta secunda syllaba
salutarit (‘av re’ est enim); paneg. III 29, 3 cum is avere me iubeat, qui iam
fecit ut averem; in poesia soltanto in Marziale: I 108, 10 mane tibi pro me
dicet havere liber; IX 6 (7), 4 iam satis est. non vis, Afer, havere? vale; XI
106, 1 Vibi Maxime, si vacas havere. J. Willis (Stutgardiae et Lipsiae 1997)
legge ora in Iuv. 10, 90 havere, accogliendo una congettura di Lachmann:
visne salutari sicut Seianus, havere / tantundem (haberi P²FK¹U¹ habere
cett., edd.), ma il tràdito habere offre un senso soddisfacente. L’uso di iubeo
con l’infinito havere (o salvere o valere) nelle formule di saluto è un tratto
di lingua dell’uso: ricorre in Lucil. 230 M. salvere iubere salutem est mittere
amico (Non. p. 508, 5 L.), in commedia (Plaut. Asin. 296; 410; 593; Cas.
548 vale atque istanc iube, con ellissi dell’infinito; Mostell. 598; Rud. 262;
Ter. Ad. 460 sg.; Andr. 533 iubeo Chremetem, con ellissi dell’infinito),
nell’epistolario di Cicerone (Att. IV 14, 2; 15, 10; V 2, 2; VI 2, 10; VII 7, 7; X
1, 1; XII 17), in Ausonio (413, 23 sg. p. 271 P. = epist. 19 b, 23 sg. G.).
144 M. Val. Martialis liber tertius

11 sg. et satis est: per la collocazione in principio di verso cfr. Ov. am. II
14, 43 sg. di faciles, peccasse semel concedite tuto; / et satis est; poenam culpa
secunda ferat. Hoc satis est, diffusa nella tradizione umanistica, è congettura
basata probabilmente sull’analogia con VII 99, 6 sgg. ‘temporibus praestat
non nihil iste tuis, / nec Marso nimium minor est doctoque Catullo.’ /
hoc satis est: ipsi cetera mando deo. Qui tuttavia l’inelegante ripetizione del
dimostrativo la rende senz’altro poco probabile (10 hoc dices; 11 hoc satis
est). Ingiustificata anche la congettura id di Heinsius. – alios commendet
epistula: la pratica della raccomandazione era molto diffusa nella società
romana, nell’ambito dell’intreccio e del mantenimento di relazioni sociali fra
cittadini. L’epistolario di Cicerone (soprattutto il libro XIII delle Familiares)
offre un vasto campionario di lettere commendatizie. In questo caso non
ci sarà bisogno di un’epistola di raccomandazione, dal momento che il
destinatario del libro è Giulio, amico intimo di Marziale (2 cui non eris
hospes), che dunque non ha bisogno di null’altro che di sapere che è l’amico
a inviarglielo (9-11). Marziale approfitta della finzione di privatezza dell’invio
del libro a Giulio per giustificare l’assenza di un’epistola prefatoria, scelta
che invece derivava da una precisa strategia comunicativa e che rispondeva
al tentativo di non risultare troppo pesante per il lettore. Anche altrove
Marziale parla di raccomandazioni sempre a proposito dei propri libelli,
rappresentandoli come persone che vuole inserire nella società, garantendo
loro gli adeguati contatti: cfr. XII 11, 6 sgg. tradat ut ipse duci carmina
nostra roga, / quattuor et tantum timidumque brevemque libellum /
commendet verbis ‘hunc tua Roma legit’; VII 68, 1 sg. commendare meas
Instanti Rufe, Camenas / parce, precor, socero: seria forsan amat. In altri
casi il verbo commendare ha la valenza meno stretta di ‘affidare’: I 52, 1;
IV 82, 1; V 34, 2. Epistula ricorre come termine tecnico per designare la
prefazione in prosa anche in Plinio il Vecchio (nat. epist. 1; 2; 33) e Stazio
(silv. II praef. 4; IV praef. 10; 18); in Marziale anche in I epist. 13; 17; II epist.
1; 5; 8; 13. – peccat / qui commendandum …: sul frequente uso da parte
di Marziale di sententiae di carattere generale in conclusione di epigramma
vd. Barwick 1959; cfr., ad es., I 9, 2; 33, 4; II 12, 3; 18, 8; V 58, 8; VI 34, 8; in
questo libro cfr. anche 9, 2; 12, 4 sg. – suis: l’uso del possessivo fa parte del
tono affettuoso con cui ci si rivolge agli amici; si tratta di una caratteristica
già della lingua neoterica: vd. Lunelli 1969, p. 164 n. 1; Hofmann, LU, p.
294 sgg.; Hofmann-Szantyr, p. 178 sg.; White 1978, p. 80 sg.
Epigramma 6 145

Lux tibi post Idus numeratur tertia Maias,


Marcelline, tuis bis celebranda sacris.
Imputat aetherios ortus haec prima parenti,
libat florentes haec tibi prima genas.
Magna licet dederit iucundae munera vitae, 5
plus numquam patri praestitit ille dies.

tit. ad marcellinum XV: ad macellinum EA 1 numeratur EAX: narratur V 2


celebranda LPQf¹V²s.l.: celebrande f²s.l.EAXV¹ 3 (a)etherios L : (a)ethereos PQf 4
genas V²s.l.: negas EAXV¹ 6 ille : ulla

È giunto per te il terzo giorno dalle Idi di maggio,


Marcellino, degno di essere celebrato due volte nei tuoi riti.
Questo primo vanta credito con tuo padre per il suo sorgere alla luce,
questo primo consacra il fiore delle tue guance.
Sebbene gli abbia dato il grande dono di una vita felice, 5
questo giorno non ha mai concesso di più a tuo padre.

È il 17 maggio. Si tratta di un giorno speciale per Marcellino, figlio


di Faustino (per questa ipotesi, che mi sembra molto probabile, vd.
l’Introduzione, p. 58): è il compleanno del padre, ma è anche il giorno
in cui si rade per la prima volta la barba (depositio barbae). L’evento era
ritenuto di grande importanza, poiché segnava il passaggio all’età virile,
simboleggiata dalla crescita della barba. L’usanza che i fanciulli tagliassero
i capelli, che portavano lunghi, e li dedicassero, insieme alla prima barba,
a una divinità, è ben attestata nel mondo romano: all’offerta dei propri
capelli ad Asclepio di Earinus, delicatus di Domiziano, Marziale dedica un
ciclo di epigrammi (IX 16; 17; 36; celebra lo stesso evento Stat. silv. III
4; sull’argomento vd. C. Henriksén, Earinus: An Imperial Eunuch in the
Light of the Poems of Martial and Statius, «Mnemosyne» 50, 1997, pp.
281-294; in Marziale vd. anche IX 11; 12 ; 13 , dedicati allo stesso Earinus);
al voto di Encolpos, puer delicatus dell’amico Aulus Pudens, di dedicare i
propri capelli qualora il suo dominus raggiunga la dignità di primipilo, sono
dedicati I 31 e V 48 (su cui vd. la ricchissima introduzione di Citroni a I
146 M. Val. Martialis liber tertius

31 e il suo articolo La carriera del centurione A. Pudens e il rango sociale


dei primipilari. Interpretazione di Marziale V 48 e VI 58, 7-10, «Maia» 34,
1982, pp. 247-257). Secondo Censorino (I 8 sgg.), che però parla soltanto
dell’offerta dei capelli, si trattava di antichi riti romani (nostrorum veterum
sanctissimorum hominum exempla), tuttavia si tende a considerare questi
riti importati dalla Grecia (vd. Marquardt 1886, p. 599; Citroni, p. 103). Infatti
le testimonianze che possediamo sono tutte di età imperiale e si riferiscono
a personaggi di alto rango o a pueri delicati. Questo lascia pensare ad un
uso greco fatto proprio da élites aristocratiche ellenizzanti. Siamo informati
sulla depositio barbae di imperatori: Ottaviano festeggiò l’evento a 24 anni,
quando era già sposato (Cass. Dio XLVIII 34, 3); per Caligola il taglio
della barba coincise con l’assunzione della toga virilis (Suet. Cal. 10, 1);
Nerone dedicò la sua prima barba a Giove Capitolino e la ripose in una
pisside d’oro adorna di perle (Cass. Dio LXI 19, 1; Suet. Nero 12, 4); anche
Eliogabalo festeggiò l’evento (Cass. Dio LXXIX 14, 4). La depositio barbae
è tema di alcuni epigrammi greci: dei due di Crinagora di Mitilene (AP
VI 161; 242) uno celebra la rasatura di Marcello, nipote di Augusto (161),
l’altro quella di Euclide, fratello del poeta (242); Antipatro di Tessalonica
parla dell’offerta a Febo del giovane Licone (AP VI 198); cfr. anche AP
VI 155-156 (Teodorida); 278 (Riano); 279 (Euforione); X 19 (Apollonide).
Trimalchione conserva la propria prima barba in una pyxis aurea non
pusilla, simile a quella di Nerone descritta da Suet. Nero 12, 4 (Petron. 29,
8), e invita i suoi commensali a festeggiare anche il primo taglio della barba
di un suo schiavo (Petron. 73, 6). L’Umbricio di Giovenale (3, 186) colloca
il taglio rituale di barba e capelli dei delicati fra i segni della decadenza di
Roma. Per la celebrazione del compleanno, qui decisamente in secondo
piano rispetto al rito della depositio barbae, Marziale si inserisce nel solco
della tradizione latina del genethliakon: cfr. Tib. I 7; II 2; [Tib.] IV 5; 6; 8; 9;
Prop. III 10; Ov. trist. III 13; V 5; vd. anche Hor. carm. IV 11 (sul genere
letterario vd. E. Cesareo, Il carme natalizio nella poesia latina, Palermo
1929; F. Cairns, Propertius III 10 and Roman Birthdays, «Hermes» 99,
1971, pp. 149-155; Id., Generic Composition in Greek and Latin Poetry,
Edinburgh 1972, pp. 112 sgg.; 135 sgg.; 167 sgg.). Nella letteratura greca la
celebrazione del compleanno sembra invece essere stata oggetto di pochi
componimenti; quelli in nostro possesso, fatta eccezione per il Giambo
12 di Callimaco, non risalgono più indietro del I sec. a. C.: cfr. AP VI 227;
244; 261; 345 (Crinagora di Mitilene); AP IX 93 (Antipatro di Tessalonica);
Epigramma 6 147

AP VI 321; 325; IX 349; 353; 355 (Leonida di Alessandria). In Marziale


epigrammi in celebrazione di compleanno non sono infrequenti: cfr. IV 1;
45; VII 21; 22; 23 (i tre epigrammi costituiscono un piccolo ciclo dedicato
al genetliaco di Lucano, commissionato dalla vedova Polla Argentaria,
per la quale anche Stazio compose un Genethliacon Lucani [silv. II ];
sul ciclo di Marziale vd. V. Buchheit, Martials Beitrag zum Geburtstag
Lucans als Zyklus, «Philologus» 105, 1961, pp. 90-96); VIII 64; IX 52;
53; X 24; 87; XII 60. Marziale celebra la duplice ricorrenza (compleanno
del padre e depositio barbae del figlio) con questo epigramma, che gli
sarà stato commissionato da Faustino, padre di Marcellino. L’epigramma è
collocato in una posizione di rilievo, subito dopo la serie proemiale (1-5);
la ricercatezza dello stile e il lessico elevato contribuiscono a impreziosire
l’omaggio al patrono, già dedicatario del libro (vd. epigr. 2; per l’ipotesi
che sia stato ospite di Marziale in Cispadana vd. l’Introduzione, § 3).
L’epigramma presenta una struttura tripartita: nei primi due versi si trova
l’indicazione del giorno e l’affermazione che per Marcellino sarà una doppia
festa; i vv. 3-4 menzionano le due occasioni da celebrare: il compleanno
del padre e il taglio della prima barba di Marcellino. La struttura pressoché
identica dei due versi serve a evidenziare la pari importanza degli eventi.
Nell’ultimo distico Marziale, con enfasi crescente, afferma che per il
padre di Marcellino questo evento è addirittura più importante della sua
stessa vita. Una simile doppia celebrazione si trova in IX 39, che associa il
genetliaco di Domiziano e quello di Cesonia, moglie dell’amico Rufo (vd.
la n. al v. 2). Marcellino è nominato ancora in VI 25; VII 80; IX 45.

1: il verso, che fornisce l’indicazione del giorno festivo, è modellato su


alcuni versi dei Fasti ovidiani: III 713 tertia post Idus lux est celeberrima
Baccho; IV 629 tertia post Veneris cum lux surrexerit Idus; IV 679 tertia
post Hyadas cum lux erit orta remotas; II 267 sg. tertia post Idus nudos
Aurora lupercos / adspicit. La ripresa del formulario dei Fasti attribuisce
al giorno una notevole importanza nel calendario, cui contribuisce anche
la collocazione di lux in apertura di epigramma, alla quale fa da pendant
l’ultima parola dell’epigramma (dies), che, con studiata variatio, realizza
una sorta di Ringkomposition. – lux: l’uso di lux per dies è di uso
prevalentemente poetico (vd. ThlL VII 2, 1911, 26 sgg.). Frequente nei
Fasti ovidiani, ricorre in Catullo, Virgilio, Orazio (ad es., in carm. IV 11,
18 sgg. ex hac / luce Maecenas meus affluentis / ordinat annos), Seneca
148 M. Val. Martialis liber tertius

tragico, Lucano, Stazio, Valerio Flacco, Silio. In Marziale ricorre spesso in


componimenti celebrativi: cfr. epigr. 24, 2; IV 1, 1; VII 22, 2; 23, 3; VIII
45, 2; IX 1, 4; 39, 1; 52, 4; 55, 1; X 24, 2; XI 36, 1. – numeratur: numerare
qui nell’accezione di ‘computare (a partire da un punto determinato)’ con
numerale ordinale: cfr. Liv. I 17, 10 si dignum qui secundus ab Romulo
numeretur crearitis; Ov. met. IV 213 septimus a prisco numeratur origine
Belo; vd. OLD s.v. nr. 3 c.
2. bis celebranda: anche in IX 39 si festeggia una doppia ricorrenza: il
genetliaco di Domiziano e quello di Cesonia, moglie dell’amico Rufo, che
quindi ha due motivi per amare quel giorno: contigit hunc illi quod bis
amare diem (6).
3 sg.: il parallelismo pressoché completo nella struttura dei due versi (con
lieve variazione nella disposizione delle parole) pone sullo stesso piano
elevato nascita del padre e depositio barbae del figlio. L’anafora di haec pri-
ma sottolinea l’importanza del giorno. – imputat: imputare è verbo tratto
dal lessico del commercio, il cui significato è ‘addebitare’, ‘mettere in conto’
(vd. ThlL VII 1, 728, 21 sgg.; in questa accezione è usato da Marziale in
IV 82, 2; V 20, 13; 80, 2; XII 48, 13). Raramente ricorre in poesia (mai
in Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio, Silio, Valerio Flacco, solo 3 volte in
Ovidio, 2 in Lucano, 4 in Stazio, 3 in Giovenale). Qui la valenza originaria
è attenuata, anche se non assente (come ritiene invece B. Rehm, ThlL VII
1, 730, 58 sgg. ‘audacius i.q. donare, dedicare’, che valuta in questo modo
tutte le occorrenze in Marziale): cfr. SB2: «claims credit». – aetherios:
attributo stilisticamente elevato; nei poeti non è tuttavia rigida la distinzione
scientifica fra aetherius (‘soprallunare’) ed aerius (‘sublunare’). Nel solco
della tradizione omerica (dove ha un’area semantica molto estesa,
che copre anche il campo riservato ad ) è infatti frequente nei poeti
latini l’uso di aetherius (ed aether) per aerius (ed aer): vd. Lunelli 1969, pp.
11-61; Id., s.v. aer, EV I, pp. 38-41. Marziale utilizza l’attributo in due casi
nel nesso aetheriae aurae (I 3, 11; 6, 1), frequente nella poesia esametrica a
partire da Lucrezio (vd. Citroni, ad I 3, 11); altrove esso qualifica Giove e il
regno divino oppure fa parte del culto imperiale che assimilava l’imperatore
al sovrano degli dei (su cui vd. Sauter 1934, pp. 54-78): cfr. IV 8, 9 et bonus
aetherio laxatur nectare Caesar; IX 35, 10 destinet aetherius cui sua serta
pater (Domiziano); IX 3, 3 in aetherio … Olympo (per cui cfr. Verg. Aen.
VI 579; VIII 319; X 621; XI 867); 36, 7 pater aetherius (Giove); XIII 4,
1 aetheriae … aulae. Qui l’attributo è usato in funzione di aerius, in
Epigramma 6 149

contrapposizione con il mondo degli inferi (vd. OLD s.v. 4) e scelto per la
sua cifra stilistica: cfr. Verg. Aen. I 546 sg. quem si fata virum servant, si
vescitur aura / aetheria neque adhuc crudelibus occubat umbris; VI 761 sg.
primus ad auras / aetherias Italo commixtus sanguine surget. – ortus: indica
generalmente il sorgere del sole o di un astro (vd. ThlL IX 2, 1063, 59 sgg.);
pertanto il suo uso per un uomo sviluppa spesso l’implicita assimilazione a
un astro (un elemento del culto imperiale promosso da Domiziano, su cui
vd. Sauter 1934, pp. 138-145): cfr. Ov. fast. III 727 ante tuos ortus (sc. Liber)
arae sine honore fuerunt; Manil. II 507 sgg. contra Capricornus in ipsum
/ convertit visus (quid enim mirabitur ille / maius, in Augusti felix cum
fulserit ortum?) (sul catasterismo di Augusto cfr. Manil. I 9 concessumque
patri mundum deus ipse mereris); Stat. silv. II 7, 94 post ortus obitusque
fulminatos (sc. Alexandri Magni); Sil. I 110 sgg. horreat ortus / iam pubes
Tyrrena tuos (sc. Hannibal), partusque recusent / te surgente, puer, Latiae
producere matres (qui anche l’uso di surgere contribuisce all’assimilazione
ad astro del fanciullo); vd. OLD s.v. nr. 4; in Marziale cfr. VII 22, 1 sg. vatis
Apollinei magno memorabilis ortu / lux redit, dove si tratta del genetliaco
di Lucano, celebrato con enfasi in un ciclo di epigrammi (VII 21; 22; 23). Il
nesso aetherii ortus (plurale poetico) adula dunque elegantemente Faustino,
descrivendone la nascita come il sorgere di un astro. Poco plausibile e non
adeguata al contesto l’ipotesi di Fröhner 1912, p. 169 sg. che l’espressione
aetherii ortus alluda alla credenza popolare, secondo cui sorgeva una stella
in concomitanza con la nascita di ogni uomo (cfr. Plin. nat. II 28, che la cita
soltanto per prenderne le distanze): i vv. 3-4 esplicitano le due ricorrenze
da celebrare; qui perciò Marziale indica senz’altro la nascita del padre di
Marcellino e non altri eventi ad essa connessi. – parenti: anche in VI 25
Marziale fa riferimento al padre di Marcellino nell’epigramma rivolto a lui,
ancora senza nominarlo (1 Marcelline, boni suboles sincera parentis). Questo
conferma che si deve trattare di un patrono influente e molto presente nei
suoi epigrammi, come è Faustino.
4. libat: libare indica in origine l’atto di versare liquidi offerti in cerimonie
sacre (Isid. diff. I 349 ‘libare’ … quando pateras mero plenas aris fundebant,
nam ‘libare’ proprie fundere est); quindi l’offerta rituale in genere. Qui nel
verbo sono presenti le nozioni di ‘tagliare’ e ‘dedicare’; nella medesima
accezione ricorre in IX 76, 4 sgg. gaudebatque suas pingere barba genas, / et
libata semel summos modo purpura cultros / sparserat; per l’uso in analoghi
contesti dedicatori cfr. Ov. fast. III 561 sg. mixta bibunt molles lacrimis
150 M. Val. Martialis liber tertius

unguenta favillae, / vertice libatas accipiuntque comas; Stat. Theb. II 253


sgg. hic more parentum / Iasides, thalamis ubi casta adolesceret aetas, /
virgineas libare comas … solebant (con il commento di Mulder); VI 199 sg.
cit. infra. – florentes … genas: genae indica qui per metonimia la barba (vd.
ThlL VI 2, 1764, 81 sgg.): cfr. Lucan. VI 178 sg. flamma crinesque genasque
/ succendit (schol.: barba); Stat. Theb. VI 199 sg. si pariter viridis nati
libare dedisses / ad tua templa genas; VII 336 sg. crine genisque / caerulus;
VIII 492 ille genas Phoebo, crinem hic pascebat Iaccho; in particolare Stat.
Theb. VI 199 sg. presenta forti somiglianze sia lessicali che contenutistiche
con il verso di Marziale, tanto da far pensare ad una ripresa: entrambi fanno
riferimento a un’offerta rituale della barba; viridis libare genas di Stazio
corrisponde quasi esattamente a libat florentes genas di Marziale; inoltre,
come evidenziato, l’uso del verbo libare in riferimento ad offerte di questo
genere non è frequente (sui rapporti tra Marziale e Stazio vd., da ultimo,
Henriksén 1998, spec. p. 83 sgg. per i legami intertestuali con la Tebaide,
che però non cita i due passi). L’uso metaforico di florere (e, più in generale,
di termini afferenti al campo semantico della fioritura) in connessione con
l’idea di giovinezza è comunissimo in poesia. Anche l’analogia crescita della
barba-fioritura è molto diffusa e compare già in Omero (Od. XI 319 sg.). In
Marziale cfr. IX 74, 3 florentes nulla signavit imagine vultus; II 61, 1 cum
tibi vernarent dubia lanugine malae.
5: al proprio dies natalis l’uomo è debitore della vita (vitae va inteso
come genitivo epesegetico): per l’idea cfr. VII 21, 1 sg. haec est illa dies,
magni quae conscia partus / Lucanum populis et tibi, Polla, dedit; 22, 3
haec meruit, cum te terris, Lucane, dedisset (sc. lux); IX 52, 6 hic (sc. dies)
vitam tribuit. – munera: plurale poetico; la forma è comune in poesia
esametrica, spesso, come qui, in quinta sede (vd. Norden, p. 408 sg.). La
clausola munera vitae ricorre in Sil. XIV 177.
6: la depositio barbae di Marcellino è enfaticamente considerata più im-
portante, per il padre, della sua stessa vita. Con esagerazione non dissimile
Marziale afferma in IX 52 di amare il compleanno dell’amico Quinto Ovidio
quanto il proprio, e anzi di considerare più importante della propria vita
l’amico: hic (sc. dies) vitam tribuit, sed hic amicum. / plus dant, Quinte,
mihi tuae Kalendae (6 sg.). Improbabile l’interpretazione di Paley-Stone,
p. 77, i quali vedono nel verso un’allusione ai regali di compleanno inviati
dagli amici.
Epigramma 7 151

Centum miselli iam valete quadrantes,


anteambulonis congiarium lassi,
quos dividebat balneator elixus.
Quid cogitatis, o fames amicorum?
‘Regis superbi sportulae recesserunt’. 5
Nihil stropharum est: iam salarium dandum est.

tit. ad quadrantes 1 valete L²PQf : valere L¹ 2 anteambulonis LPQf¹: antambulonis


anteambulariis f²s.l. congiarium Q²f²AVF: cogiarium E conglarium LQ¹f¹ congelarium
P congiriarium X 3 quos dividebat Lf²s.l.V²in mg.: quas dividebat PQf¹ quod si videbat
EAXV¹ elixus LP²Qf : edixus P¹ 5 ‘regis superbi sportulae recesserunt’ distinxi: regis
superbi sportulae recesserunt edd. regis V: regi EAX superbi PQf : superni L 6 nihil
stropharum est: iam salarium dandum est distinxi: hunc versum famelico alicui amico
tribuit Friedlaender, quem secuti sunt edd. nihil PQf : nil L

Ora addio, cento quadranti miserelli,


donativo dello stanco battistrada,
che distribuiva un bagnino cotto.
Che pensate, amici affamati?
«Sono svanite le sportule del superbo patrono». 5
Non ci sono inganni: ora ci daranno un salario.

L’epigramma introduce un argomento di grande importanza nel libro:


un editto dell’imperatore ha sancito l’abolizione della sportula, il donativo
di cento quadranti che i patroni concedevano ai clienti per i loro officia,
restaurando l’antico uso della cosiddetta cena recta: cfr. Suet. Dom. 7,
1 sportulas publicas sustulit revocata rectarum cenarum consuetudine
(l’usanza era stata abolita da Nerone, che l’aveva sostituita con la consegna
della sportula: cfr. Suet. Nero 16, 2 adhibitus sumptibus modus, publicae
cenae ad sportulas redactae). Il provvedimento, che probabilmente mirava
a ridimensionare il potere delle grandi famiglie facendone diminuire la
clientela (Gsell 1894, p. 86), fu di certo impopolare, sia fra i patroni, infastiditi
dalla spesa maggiore cui erano costretti e dal contatto troppo ravvicinato
con i clienti, sia fra questi ultimi, che vedevano svanire una somma limitata,
ma sufficiente per le necessità giornaliere, ricevendone in cambio un pasto,
152 M. Val. Martialis liber tertius

per di più di bassa qualità, in contrasto stridente con i cibi ricercati che i
patroni riservavano per sé (cfr. l’epigr. 60). Il malcontento diffuso dovette
aver la meglio sulle intenzioni dell’imperatore: due epigrammi del IV libro
(pubblicato durante i Saturnali dell’88 o agli inizi dell’89) presuppongono
la reintroduzione della sportula (IV 26; 68), che continuò ad essere tema
frequente della poesia di Marziale (VI 88; VII 86; VIII 42; 49, 10; IX 85;
X 27, 3; 70, 13 sg.; 74, 4; 75, 11). Sulla sportula vd. Marquardt 1886, p. 207
sgg.; Daremberg-Saglio IV 2, p. 1443 sg.; Friedlaender, SR I, p. 226 sgg.;
Hug, RE III A, 2, 1883 sgg.; Citroni, ad I 59, 1.
Il tema dell’abolizione della sportula, sviluppato in altri tre epigrammi (14;
30; 60), può senz’altro essere considerato come il motivo più significativo
del libro (vd. l’Introduzione, p. 60). Il componimento è collocato in una
posizione di rilievo, dopo la serie proemiale (1-5), di cui si può considerare
parte anche l’epigr. 6 (vd. l’Introduzione, p. 65 sg.; Merli 1993, p. 240 sg.);
anche la variazione del metro (coliambo; 1-6 sono in distici elegiaci, con
l’eccezione dell’epigr. 2 in faleci) contribuisce a differenziarlo dai precedenti
epigrammi. La rilevanza del tema si può evincere anche dall’allusione di
Marziale in uno degli epigrammi proemiali (4, 5 sg. cur absim, quaeret,
breviter tu multa fatere: / ‘non poterat vanae taedia ferre togae’), in
cui il poeta aveva anticipato la causa del suo allontanamento da Roma,
motivandolo con la difficoltà nel condurre la vita di cliente. Marziale
introduce il tema attraverso la personificazione della sportula, che si sviluppa
nei primi tre versi, conferendo un tono elevato all’epigramma. Egli dà
l’addio al donativo con la affettuosa familiarità che si riserva ai propri defunti
(miselli), rievocando quindi la misera situazione in cui veniva distribuito
(1-3). La scelta di un lessico alieno dalla poesia (anteambulo, congiarium,
balneator, elixus) fa da contraltare al tono elevato dell’apostrofe, ricon-
ducendo il lettore alle miserie quotidiane del cliente. Al v. 4 Marziale
interroga gli altri clienti (significativamente apostrofati, ancora attraverso
una personificazione, fames amicorum) sulla loro opinione in proposito.
Nell’interpretazione vulgata, proposta da Friedlaender (ad loc.) e accolta
da tutti gli editori, il v. 5 conterrebbe una constatazione ulteriore da parte
di Marziale sulla situazione (regis superbi sportulae recesserunt), mentre
l’ultimo verso sarebbe da attribuire agli amici chiamati in causa al v. 4,
ai quali Marziale farebbe esprimere la propria opinione sull’argomento:
i patroni dovrebbero ora, eliminate le sportulae, dare un vero e proprio
stipendio (salarium). La soluzione, seppure condivisa dalla quasi totalità
Epigramma 7 153

degli interpreti, non appare soddisfacente (contraria all’attribuzione


dell’ultimo verso ai clienti, sostenuta da Friedlaender, soltanto M. Salanitro,
Sull’interpretazione di alcuni epigrammi di Marziale, «C&S» 86, 1983, p.
70 sg.; vd. anche Salanitro 1991, p. 12 sg.): suscita infatti dubbi il fatto che
la domanda posta da Marziale nel v. 4 debba ricevere risposta soltanto al
v. 6; il v. 5 costituirebbe in tal modo soltanto una ripetizione da parte di
Marziale di quanto detto nei vv. 1-3 e non avrebbe molta ragion d’essere.
È più naturale pensare che i clienti chiamati in causa da Marziale al v.
4 rispondano al v. 5. L’interrogativa del v. 4 è necessaria nello sviluppo
dell’epigramma, poiché dai primi versi si potrebbe trarre l’impressione che
Marziale stia rimpiangendo le sportulae, mentre il suo è un addio affettuoso
al piccolo donativo, di cui però sottolinea, come altrove (vd. la n. al v.
1) l’esiguità e l’inadeguatezza. Perciò egli interroga i clienti affamati per
conoscere la loro opinione. La loro risposta è caratterizzata dall’astio verso
i patroni (definiti reges superbi) e dall’amarezza. I due versi (domanda di
Marziale e risposta dei clienti) servono ad introdurre l’ultimo verso, che
contiene la pointe dell’epigramma e che deve essere pronunciato, come di
consueto, da Marziale. Ancora la scelta di un lessico colloquiale (stropha,
salarium) rispecchia l’umile strato sociale cui il poeta si rivolge. Qualche
precisazione è, a mio avviso, possibile anche sul significato del verso: nihil
stropharum est viene interpretato come una sorta di grido di battaglia
(Izaac: «Point de subterfuges»; Ker: «No wriggling serves»; Vivaldi: «Poche
chiacchiere»; Norcio: «Basta coi raggiri»; Scàndola: «Basta con le prese in
giro»; SB2: «No tricks»; vd. anche Salanitro 1991, p. 13); tuttavia, come
è chiarito dall’uso del verbo all’indicativo, si tratta di un’affermazione
volta a rinfrancare gli amici abbattuti per l’eliminazione della sportula
(vd. la n. al v.). L’indignazione e la rivendicazione sociale non sembrano
essere elementi presenti negli epigrammi di Marziale, il quale non si è
mai ribellato apertamente ai suoi patroni (né tantomeno all’imperatore),
limitandosi a colpirne, con i suoi versi, piccolezze e meschinità. Anche in
questa situazione la sua protesta si è manifestata attraverso il suo ‘esilio’ in
Cispadana e non con carmi velenosi (ed è opportuno sottolineare quanto di
letterario vi sia nell’auto-presentazione come esiliato da parte di Marziale,
che fu ospite di facoltosi amici e non ricorderà, se non positivamente, il
periodo in Cispadana, mostrando addirittura il desiderio di trascorrervi la
sua vecchiaia: cfr. IV 25). Domiziano è assente dal libro, ma nell’epigr. 95
Marziale orgogliosamente ricorda a Nevolo lo ius trium liberorum e gli altri
154 M. Val. Martialis liber tertius

privilegi concessigli da Caesar uterque (5). La celebrazione del genetliaco


dell’imperatore in apertura del IV libro, che segue il libro ‘cispadano’, e il
maggiore avvicinamento alla corte, che si nota proprio a partire dal libro
quarto, depongono pesantemente a sfavore di una posizione di aperta
critica da parte del poeta. Una tale libertà non sarebbe stata concessa a
Marziale, come a nessun altro letterato del tempo. Egli sceglie pertanto
l’unica via praticabile da un poeta come lui, quella dell’ironia: se hanno
eliminato la sportula, assicura, è perché ora ci daranno uno stipendio vero
(salarium), degno di tutti gli officia resi ai patroni, e non miseri donativi
(congiaria).
L’epigramma, come si ritiene concordemente, rappresenta la situazione
a Roma all’indomani del provvedimento di Domiziano (vd. Salanitro 1991,
p. 12): ai clienti affamati e scoraggiati Marziale offre una speranza, anche
se effimera, che la situazione sia destinata a migliorare d’ora innanzi. Gli
altri epigrammi del libro sul tema della sportula descrivono un momento
successivo: con essi Marziale rappresenta l’impossibilità di vita a Roma
in seguito al provvedimento domizianeo per chi faceva affidamento sui
donativi dei patroni; ma nessuno di questi componimenti (14; 30; 60)
contiene espliciti attacchi a patroni o all’imperatore: gli epigrammi 14 e
30 ritraggono la condizione di due indigenti, per cui la vita a Roma non
ha senso senza la sportula; 60 critica un patrono tirchio che fa servire ai
clienti cibi ben più miseri di quelli che si fa imbandire; il topos è presente
sia negli epigrammi di Marziale precedenti alla soppressione della sportula
(I 20; 43) che in quelli seguenti (IV 68; 85; VI 11; X 49; XII 27 [28]); non si
tratta perciò di un’accusa specifica in relazione all’abolizione della sportula,
che anzi costituisce un pretesto per chiedere al patrono un trattamento
migliore (v. 10).

1: il verso sembra tener presente il frammento di Lucilio (1172 M.) Fan-


ni centussis misellus, riferito alla lex Fannia, promulgata nel 161 a.C., che
limitava la spesa per una cena a cento assi (cfr. Gell. II 24, 2; Macr. Sat. III
17, 5). Il parallelo fra i due versi risale all’edizione di Dousa figlio (Lugduni
Batavorum 1597; vd. Marx, ad loc.). Il verso di Lucilio sembra sottolineare
la miseria della somma, anche se, trattandosi di un frammento, la cautela
è d’obbligo (cfr. anche Lucil. 1200 M. legem vitemus Licini, critico nei
confronti della lex Licinia, che limitava in maniera analoga le spese per i
pranzi; 1353 centenaria cena). – Centum … quadrantes: il quadrante era la
Epigramma 7 155

quarta parte dell’asse. A tale somma (= 25 assi = 6¼ sesterzi) ammontava


ordinariamente la sportula, il piccolo donativo che i patroni distribuivano
ai loro clienti: cfr. I 59, 1 cit. infra; IV 68, 1 invitas centum quadrantibus;
VI 88, 4 centum quadrantes; X 70, 13 sg. centumque petuntur /
quadrantes; 74, 4 centum merebor plumbeos die toto; 75, 11 sportula nos
iunxit quadrantibus arida centum; Iuv. 1, 120 sg. densissima centum /
quadrantes lectica petit; per casi di sportulae più ricche, che certo non
dovevano essere infrequenti, specialmente in occasione di compleanni o
altre celebrazioni, cfr. Plin. epist. X 116, 1 qui virilem togam sumunt vel
nuptias faciunt vel ineunt magistratum vel opus publicum dedicant, solent
totam bulen atque etiam e plebe non exiguum numerum vocare binosque
denarios vel singulos dare; in Marziale cfr. VIII 42 si te sportula maior ad
beatos / non corruperit, ut solet, licebit / de nostro, Matho, centies lavari;
IX 100, 1 denaris tribus invitas; X 27, 3 et tua tricenos largitur sportula
nummos; XII 29 (26), 14 viginti nummis. L’esiguità della retribuzione di
cento quadranti è testimoniata più volte da Marziale: cfr. soprattutto I 59,
1 sg. dat Baiana mihi quadrantes sportula centum. / inter delicias quid
facit ista fames?; vd. anche IV 26; VI 88; X 74, 2 sgg., 75, 12; XII 29 (26).
– miselli: piuttosto evidente il riferimento a Catull. 3, 16 o miselle passer!
(vd. anche 35, 14; 40, 1; 45, 21; 80, 7) con cui sembra anche condividere il
tono di compatimento ironico (vd. Ronconi 1971, pp. 106-108). Misellus
è comunemente usato nella lingua colloquiale in riferimento ai defunti:
cfr. Petron. 65, 10 lautum novendialem servo suo misello faciebat, quem
mortuum manu miserat; Apul. met. I 13, 3 supersit hic … qui miselli
… corpus … contumulet; I 19, 11 comitem misellum arenosa humo …
contexi; IV 27, 4 misellum iuvenem maritum meum percussum interemit;
VIII 1, 3 Charites … misella … manes adivit; Tert. test. anim. 4, p. 138,
25 cum alicuius defuncti recordaris, misellum vocas eum; Isid. diff. I 353
miserum viventem adhuc dicimus, misellum mortuum; CGL V 223, 2
misellus mortuus miselli mortui; l’uso ricorre anche nelle epigrafi (cfr.
CLE 504, 4; 1328, 1; 1329, 1; CIL I2 2525) ed è sopravvissuto nell’italiano
moderno, in cui espressioni come ‘(il) poverino’, ‘(il) poveretto’ sono
abituali per i defunti (vd. Heraeus 1937, p. 113 sg.; Hofmann, LU, pp.
297 sg., con bibliografia; 380 sg.). Sulla perdita di valore dei diminutivi
nella apostrofe familiare vd. Axelson 1945, pp. 38-45; Leumann, p. 305
sgg.; Hanssen 1951, p. 160. – valete: vale esprime comunemente l’estremo
commiato dai defunti (spesso nella formula ave atque vale; talora insieme
156 M. Val. Martialis liber tertius

a salve): cfr. Catull. 101, 10 frater, ave atque vale!; Verg. Aen. XI 97 sg.
salve aeternum mihi, maxime Palla, / aeternumque vale; Marziale gioca
con la formula in V 66 saepe salutatus numquam prior ipse salutas: /
sic eris? aeternum, Pontiliane, vale; IX 6 (7), 4 non vis, Afer, havere?
vale (vd. Henriksén, ad loc.). Ricorre assai spesso nelle epigrafi: cfr., ad
es., CIL II 3506; 3512; 3519; numerosi esempi nelle Concordanze dei
Carmina Latina Epigraphica, a c. di P. Colafrancesco e M. Massaro con
la collaborazione di M.L. Ricci, Bari 1986.
2. anteambulonis: precedere per la strada il patrono in lettiga costituiva
per il cliente un obbligo faticoso e umiliante, perché condiviso con uomini
di condizione servile; in Marziale cfr. II 18, 5; 74; IX 22, 10; 100, 3; X 74,
3; l’assenza del battistrada è considerata fra i pregi di un carretto ricevuto
in dono in XII 24, 7. Tale abitudine ha attirato l’ironia di Luciano, che nel
Nigrino la descrive come una delle tante assurdità di Roma:
(sc.

(34, 4 sgg., che si riferisce


a schiavi: cfr. anche Plin. epist. III 14, 7). Un’ostentazione di magnificenza
caratterizzava i viaggi di Nerone: cfr. Suet. Nero 30, 3 numquam minus
mille carrucis fecisse iter traditur, soleis mularum argenteis, canusinatis
mulionibus, armillata phalerataque Mazacum turba atque cursorum. Tali
eccessi sono criticati da Seneca, che rimpiange la moderazione di Catone:
cfr. epist. 87, 9 M. Cato censorius … cantherio vehebatur et hippoperis
quidem impositis, ut secum utilia portaret. o quam cuperem illi nunc
occurrere aliquem ex his trossulis, in via divitibus, cursores et Numidas
et multum ante se pulveris agentem!; 123, 7 omnes iam sic peregrinantur
ut illos Numidarum praecurrat equitatus, ut agmen cursorum antecedat:
turpe est nullos esse qui occurrentis via deiciant, [ut] qui honestum
hominem venire magno pulvere ostendant; Trimalchione si serve di
battistrada persino per gli spostamenti interni alla casa: cfr. Petron. 28, 4
involutus coccina gausapa lecticae impositus est praecedentibus phaleratis
cursoribus quattuor. Il termine anteambulo, di stampo colloquiale,
ricorre soltanto in Marziale (cfr. II 18, 5 sum comes ipse tuus tumidique
anteambulo regis; X 74, 2-4 quam diu salutator / anteambulones et
togatulos inter / centum merebor plumbeos die toto?) e in Suet. Vesp.
Epigramma 7 157

2, 2 sumpta virili toga latum clavum, quamquam fratre adepto, diu


aversatus est, nec ut tandem appeteret compelli nisi a matre potuit. ea
demum extudit magis convicio quam precibus vel auctoritate, dum eum
identidem per contumeliam anteambulonem fratris appellat (vd. Mau,
s.v. anteambulones, RE I 2347, 55-64). – congiarium: originariamente
una donazione di vino, olio o altri liquidi (dal congius, unità di misura
corrispondente a 3 ¼ litri: cfr. CGL V 280, 44 erogatio vini quod accipit
miles per congios), il congiarium divenne già verso la fine della repubblica
un donativo di denaro (Isid. orig. XVI 26, 7 unde et pecunia beneficii
gratia dari coepta congiarium appellatum est), in seguito concesso dagli
imperatori in diverse occasioni come segno della loro liberalitas al popolo
(CGL IV 408, 29 quod imperator populo Romano erogat; cfr. Suet. Aug.
41, 2; Tib. 20; 54, 1; Cal. 17, 2; Cla. 21, 1; Dom. 4, 5) oppure all’esercito
(CGL II 574, 42 donatio imperatoris militibus); sul congiarium vd. M.
Rostowzew, s.v., RE IV 875 sgg.; H. Thédenat, s.v., Daremberg-Saglio I
2, p. 1443 sg. Il termine, che ricorre in poesia soltanto qui, evidenzia il
carattere arbitrario del donativo, concesso dall’alto (cfr. la definizione di
rex per il patrono al v. 5), cui si contrappone una retribuzione stabile,
conseguenza di un servizio svolto (salarium). – lassi: sulla stanchezza del
cliente dopo aver compiuto i suoi officia cfr. III 36, 2 sgg. hoc praestare
iubes me … tibi: / (5 sg.) lassus ut in thermas decima vel serius hora / te
sequar Agrippae, cum laver ipse Titi; X 70, 13 sg. cit. nella n. al v. 3; 74, 1
sgg. iam parce lasso, Roma, gratulatori, / lasso clienti. quamdiu salutator
/ anteambulones et togatulos inter / centum merebor plumbeos die toto;
XII 29 (26), 2 sgg. esse tibi videor desidiosus eques, / quod non a prima
discurram luce per urbem / et referam lassus basia mille domum; cfr.
anche V 22, 9 sg. illud adhuc gravius, quod te post mille labores, / Paule,
negat lasso ianitor esse domi; Iuv. 1, 132 lassi … clientes.
3: i clienti ricevevano la sportula alla fine della giornata, dopo aver ac-
compagnato il patrono alle terme: cfr. III 36, 5 sg. cit. nella n. al v. 2; X
70, 13 sg. balnea post decimam lasso centumque petuntur / quadrantes.
Soltanto qui viene affermato esplicitamente che era il balneator a distribuire
la somma; secondo SB2 (I, p. 206 sg. n. c), che non ritiene il balneator
la persona indicata per tale operazione, l’espressione quos dividebat
balneator farebbe riferimento al quadrante che si pagava per entrare alle
terme (vd. la n. a 30, 4): i cento quadranti di una sportula sarebbero ‘divisi’
dal balneator, perché spesi con le entrate alle terme. L’interpretazione, già
158 M. Val. Martialis liber tertius

sostenuta da Paley-Stone, p. 77, non è convincente: in III 36, 5 sg. cit. nella
n. al v. 2 e X 70, 13 cit. supra è attestata chiaramente la distribuzione della
sportula nelle terme alla sera, pur non essendo menzionato esplicitamente
il balneator. Dividere non sembra adattarsi all’interpretazione di SB2,
mentre è abbastanza comune nel senso di distribuere (vd. ThlL V 1, 1597,
49-1599, 63): cfr. III 82, 27 sg. non erubescit … nobis / dividere moechae
pauperis capillare (unica altra occorrenza del verbo in Marziale). A volte
invece la donazione coincideva con la salutatio matutina: cfr. XIV 125 si
matutinos facile est tibi perdere somnos, / attrita veniet sportula saepe
toga; Iuv. 1, 95 sg. sportula primo / limine parva sedet turbae rapienda
togatae; 127 sg. ipse dies pulchro distinguitur ordine rerum: / sportula,
deinde forum iurisque peritus Apollo. In alcuni casi la salutatio matutina
viene definita, con una certa esagerazione, come notturna: cfr. X 58,
11 sg. sed non solus amat qui nocte dieque frequentat / limina; 70, 5
non resalutantis video nocturnus amicos; 82, 2 mane vel a media nocte
togatus ero; XII 29 (26), 7 at mihi, quem cogis medios abrumpere somnos;
Iuv. 3, 127 sg. pauperis hic meritum, si curet nocte togatus / currere; 5,
19 sgg. habet Trebius propter quod rumpere somnum / debeat; Luc. Nigr.
22 ; in Marziale è probabilmente da
intendere in tal senso I 80, 1 sportula, Cane, tibi suprema nocte petita est
(vd. Salanitro 1991, p. 10 sg.). – balneator: come balneum (per cui vd. la n.
a 20, 16) è termine di uso colloquiale; escluso dalla poesia elevata, ricorre in
Plauto e Marziale (anche in III 93, 14). – elixus: il bagnino è ‘cotto’ perché
sottoposto durante tutta la giornata ai vapori del balneum; la definizione
collima con la distribuzione della sportula alla sera. L’attributo designa
propriamente cibi bolliti in acqua a scopo culinario o medicinale: cfr. Non.
p. 69, 17 sgg. L. elixum quidquid ex aqua mollitur vel decoquitur; nam
lixam aquam veteres esse dixerunt; vd. ThlL V 2, 394, 10 sg. Questa è
l’unica attestazione relativa a una persona (vd. ThlL V 2, 394, 68 sgg.), ma
in riferimento a parti del corpo ‘trattate’ per favorire la depilazione ricorre
in Pers. 4, 40 elixas … nates, da cui dipende Auson. epigr. 93, 3 p. 346 P.
(100, 3 G.) elixo … podice.
4. fames amicorum: metonimia per famelici amici (amicorum è genitivo
epesegetico). Per l’uso metonimico di fames cfr. Catull. 47, 1 sgg. Porci et
Socration, duae sinistrae / Pisonis, scabies famesque mundi; Lucan. I 318
sg. quid iam rura querar totum subpressa per orbem / ac iussam servire
famem. Per un uso analogo della qualità per la persona che la possiede in
Epigramma 7 159

Marziale cfr. I 42, 2 dolor; XIV 117, 2 ingeniosa sitis (vd. Fenger 1906, p.
19 sg.; H. Lausberg, Handbuch der literarischen Rhetorik, München 1960,
p. 294). Fames è usato metonimicamente da Marziale anche per indicare la
miseria di una sportula in I 59, 2 inter delicias (sc. Baianas) quid facit ista
fames?; una villa che non produce nulla in III 58, 45 at tu sub urbe possides
famem mundam (vd. la n. ad loc.).
5. regis … superbi: l’uso di rex per indicare il patrono è comune fin da
Plauto (Cap. 92; Men. 902; St. 455; As. 919) e Terenzio (Ph. 70; 338). Si
tratta di un termine tecnico che offre un’idea di potenza e di magnificenza.
In greco non c’è un uso corrispondente di (vd. Fraenkel 1960,
p. 182 sgg.). In Marziale e Giovenale il termine è usato abitualmente con
questo significato: cfr. II 18, 5 (cit. nella n. al v. 2). 8 (bis); IV 40, 9; V 19,
13; 22, 14; X 96, 13; Iuv. 1, 136; 5, 14. 130. 137. 161; 7, 45; spesso si trova
insieme a dominus nella formula di saluto del cliens: cfr. I 112, 1; II 68, 2.
5. 7; IV 83, 5; X 10, 5; XII 60, 14; Iuv. 8, 161. In aderenza allo stesso campo
metaforico anche i possedimenti dei patroni sono definiti regna: cfr. IV 40, 3
praetulimus tantis solum te, Postume, regnis; XII 48, 15 sg. convivas alios,
cenarum, quaere, magister, / quos capiant mensae regna superba tuae; 57,
19 Petilianis delicatus in regnis; in IX 73, 3 Praenestina tenes decepti regna
patroni, la lezione decepti regna di , è senz’altro preferibile a defuncti rura
di T (accolta da Gilbert, Lindsay, Ker), che ha tutta l’aria di essere una
banalizzazione; poco felice è anche la contaminazione delle due tradizioni
(decepti rura) operata da Schneidewin e Friedlaender. Per una convincente
difesa del testo di vd. Parroni 1979, p. 837 sgg. (anche Henriksén, ad loc.).
Superbus designa l’alterigia del patrono, altrove qualificata dall’attributo
tumidus, di senso equivalente: cfr. II 18, 5 tumidi … regis; V 19, 13 tumidi
… reges; vd. anche epigr. 2, 3 feri … regis (Nerone); XII 15, 4 sg. superbi
/ regis (Domiziano; negli ultimi due casi la denigrazione del tiranno è,
naturalmente, post mortem). Poco plausibile l’ipotesi, sostenuta da alcuni
commentatori sulla base di epigr. 2, 3 cit. supra, che la iunctura si riferisca
a Nerone, che aveva introdotto l’uso della sportula (cfr. Suet. Nero 16, 2;
vd. Collesso; Guttmann 1866, p. 39; Stephenson, p. 238). – recesserunt: qui
recedere è utilizzato eufemisticamente per mori ed esprime il rimpianto per
la ‘scomparsa’ delle sportulae: cfr. IV 73, 7 a luce recessit; Verg. Aen. IV
704 sg. omnis / dilapsus calor atque in ventos vita recessit (Serv., ad loc.:
evanuit); Lucan. VII 688 spes numquam implenda recessit; vd. OLD s.v.,
nr. 2 c.
160 M. Val. Martialis liber tertius

6: alle considerazioni esposte nella n. intr. contro l’interpunzione di


Friedlaender, si può aggiungere che il verso sembra assai poco adatto
come risposta all’interrogativa del v. 4 (quid cogitatis o fames amicorum?),
soprattutto se lo si considera un grido di protesta e di rivendicazione (vd.
le traduzioni citate nella n. intr.). È invece un tentativo di consolazione dei
clienti afflitti, cui Marziale offre una speranza di vedere migliorata la loro
condizione. – Nihil stropharum est: l’espressione è volta a rassicurare gli
amici affamati: cfr. III 72, 7 sed nihil est horum («non si tratta di nessuna
di queste cose»). Stropha è un grecismo ( ) appartenente alla
lingua colloquiale; in poesia ricorre, oltre che in Marziale (anche in XI 7, 4
iam stropha talis abit), soltanto in Phaedr. I 14, 4 verbosis adquisivit sibi
famam strophis; cfr. anche Sen. epist. 26, 5; Petron. 60, 1; Plin. epist. I 18, 6.
È bene attestato nel latino cristiano. – salarium: a Roma era detto salarium
l’onorario o stipendio annuale che veniva pagato a persone di condizione
onorevole. Un salarium era corrisposto, ad es., a uomini di Stato o dei
municipi, ma anche a importanti professori e medici (vd. Rosemberg in
RE I A, 1846 sg.). Qui il salarium, stipendio fisso annuale, viene invocato
in sostituzione della sportula, sentita come un donativo (congiarium)
dipendente dagli umori dei patroni. – dandum est: nel latino tardo il
gerundivo, sia in funzione attributiva che nella coniugazione perifrastica,
perde il significato di dovere per assumere quello temporale di futuro (in
luogo del non esistente participio futuro passivo: cfr. Prisc. GLK II 567,
7 amandus: ): sul fenomeno, che si è
stabilito pienamente solo nel III-IV sec. d.C., ma che presenta attestazioni
già in età classica, vd. Hofmann-Szantyr, pp. 312 sg.; 368 sgg.; Ernout-
Thomas, pp. 252 n.; 287 d; A. Ronconi, Il verbo latino. Problemi di sintassi
storica, Firenze 1959, p. 196 sgg.; J.B. Hofmann, «IF» 43, 1926, p. 112; Ph.
Thielemann, Habere mit dem Infinitiv und die Entstehung des romanischen
Futurums, ALL 2, 1885, pp. 85; 165; cfr., ad es., Sen. epist. 30, 7 (citato da M.
Lavarenne, Sur le sens futur du participe en –DUS, «Latomus» 18, 1959, p.
348) ‘ergo’ inquit ‘mors adeo extra omne malum est ut sit extra omnem
malorum metum’. haec ego scio et saepe dicta et saepe dicenda; Liv. XXI
21, 8 inter labores aut iam exhaustos aut mox exhauriendos; Hor. epist. I
1, 1 prima dicte mihi, summa dicende Camena (sc. Maecenas); Ov. met.
VIII 211 sg. dedit oscula nato / non iterum repetenda suo; Tert. praescr.
11, 2 spero aliud esse inveniendum. In Marziale un tale valore è ravvisabile
in IX 45, 3 sg. ecce Promethei rupes et fabula montis / quam prope sunt
Epigramma 7 161

oculis nunc adeunda tuis!, in cui si rivolge a Marcellino, soldato di stanza


nelle regioni del Nord, che sta per recarsi nel Caucaso, dove si trovano
le montagne a cui il mito voleva che fosse stato incatenato Prometeo.
In questi versi l’idea del dovere è senz’altro sfumata e Marziale intende
trasmettere al giovane amico l’entusiasmo per la sua imminente visita: si
potrebbe tradurre «quanto le vedrai da vicino!»; cfr. anche la traduzione di
Scàndola: «ecco che adesso dovrai vedere con i tuoi occhi», che mantiene
il senso del dovere, ma introduce l’idea di futuro (presente anche nei versi
seguenti: 5 videris; 6 dices). Nell’espressione iam salarium dandum est,
a mio avviso, la nozione di futuro prevale sull’idea di dovere: Marziale
non può imporre condizioni ai suoi patroni; per il poeta l’ironia è la via
più sicura, ma anche più efficace: egli afferma che i patroni non potranno
far altro che dare loro un salario, pur sapendo quanto questa soluzione
sia poco probabile, ed espone in tal modo le aspirazioni di una folla di
indigenti, senza attaccare direttamente i patroni e l’imperatore, autore del
provvedimento che eliminava le sportulae.
162 M. Val. Martialis liber tertius

‘Thaida Quintus amat’. Quam Thaida? ‘Thaida luscam’.


Unum oculum Thais non habet, ille duos.

hab. R tit. de quinto R 1 quam thaida thaida luscam RL²f²V: quam thaidam thaida
luscam EAX quam thaida luscam L¹Pf¹ verum quam thaida luscam Q 2 oculum R² :
oculus R¹

«Quinto ama Taide». Quale Taide? «Taide la guercia».


A Taide manca un occhio, a lui due.

Quinto, innamorato della guercia Taide, dimostra di essere com-


pletamente cieco! L’epigramma costituisce una brillante variazione del
topos della cecità di chi ama (per cui vd. Tosi 1994, nr. 1418; vd. anche
547). Il motivo è registrato nei paremiografi greci: cfr. Mant. Prov. 3,
30 derivato da Plato leg.
731e); Menand. fr. 49 K.-A.
. Numerose sono
le attestazioni nelle letterature greca e latina: cfr., ad es., Plato leg. 731e;
Theocr. 10, 19 sg. ; Hor. sat. I 3,
38 sg. illuc praevertamur, amatorem quod amicae / turpia decipiunt
caecum vitia; Prop. II 14, 18 scilicet insano nemo in amore videt; vd.
anche il celebre brano lucreziano (IV 1149 sgg.). Secondo Ovidio (ars
II 641-662) la dissimulazione dei difetti dell’amata deve essere praticata
deliberatamente attraverso l’uso di appellativi eufemistici. Sembra ispirato
a questo epigramma il proverbio medievale quisquis amat luscam, luscam
putat esse venustam (Walther 25528). Piuttosto infondata pertanto appare
l’interpretazione dell’epigramma proposta da Paley-Stone, p. 78 (vd. anche
Joepgen 1967, p. 81; Siedschlag 1977, p. 89), per cui si dovrebbe intendere
il v. 2 unum oculum Thais non habet, ille duos habet («he is wide awake
for marrying Thais for the sake of her fortune»). Non vi sono elementi, né
in questo epigramma, né nel conseguente epigr. 11, che lascino intravedere
il tipo della uxor dotata, per cui cfr., ad es., X 16 (15). Il tipo dell’amante
accecato dalla passione è oggetto di satira da parte di Marziale anche in
I 68 (vd. Citroni, ad loc.) e, in questo libro, nell’epigr. 15. Un comico
Epigramma 8 163

capovolgimento di questo motivo si può vedere nell’epigr. 39 di questo


libro: Iliaco similem puerum, Faustine, ministro / lusca Lycoris amat.
quam bene lusca videt! (vd. la n. intr. ad loc.) e in VIII 51 (49) formosam
sane, sed caecus diligit Asper. / plus ergo, ut res est, quam videt Asper amat,
dove un vero cieco ama una bella donna (questa mi sembra l’interpretazione
corretta dell’epigramma: vd. Shackleton Bailey 1978, p. 283 = Id. 1997, p.
77; SB2 ad loc.; altri attribuiscono a caecus valore predicativo, annoverando
l’epigramma fra quelli sull’amore cieco). Sul topos vd. V. Buchheit, Amor
caecus, «C&M» 25, 1964, pp. 129-137; M.B. Ogle, The lover’s blindness,
«AJPh» 41, 1920, pp. 240-252. Il monodistico è costruito in forma
dialogica, attraverso uno scambio di battute tra un interlocutore anonimo
e il poeta. Tale struttura, già presente nell’epigramma greco (cfr., ad es.,
AP V 46; 101; 102; 181; 267; vd. G. Raschke, De anthologiae Graecae
epigrammatis quae colloquii formam habent, Diss. Münster 1910, pp. 6-
16), ricorre in Marziale, ad es., in II 49; III 15; V 55; VII 81; VIII 10;
41. L’inserimento di un interlocutore è spesso funzionale alla pointe (vd.
Gerlach 1911, p. 25 sgg.). Il primo verso, scandito da un rapido scambio
di battute, prepara il terreno per l’arguzia finale, realizzata efficacemente
nel secondo verso. La struttura dell’epigramma è stata ripresa da Ausonio
(epigr. 108 p. 328 P. = 117 G.): ‘Silvius hic Bonus est.’ ‘quis Silvius?’ ‘iste
Britannus.’ / ‘aut Britto hic non est Silvius, aut malus est’. Entrambi i
personaggi sono fittizi; nell’epigr. 11 Marziale dipinge la reazione irata di
un Quinto, che si è sentito bersaglio dell’epigramma. L’interpunzione che
ho adottato è quella di Gilbert, Friedlaender e Heraeus, che restituisce
la struttura dialogica dell’epigramma. Lindsay (seguito da Duff e Izaac)
pone invece tutte le battute del v. 1 tra virgolette, ma non il v. 2, che si
configurerebbe come intervento esterno del poeta allo scambio di battute
tra due persone. In modo ancora diverso SB pone tra virgolette la sola
domanda quam Thaida?

1. Thaida Quintus amat: formula ricorrente nelle iscrizioni: cfr. CIL IV


3131 Pigulus amat Iudaia; 7086 Marcus Spedusa amat. Taide fu una celebre
cortigiana di Alessandro Magno e di Tolemeo I (vd. RE V A 1184 sg.). Da
essa Menandro prese il nome per una sua commedia (cfr. Mart. XIV 187;
Lucian. dial. meretr. 3, 2). È nominata da Ovidio (ars III 604; rem. 383
sg.) e da Properzio (II 6, 3; IV 5, 43). Thais è la meretrix nell’Eunuchus di
Terenzio e indica il ruolo della meretrix nella palliata in Iuv. 3, 93 an melior
164 M. Val. Martialis liber tertius

cum Thaida sustinet; 6 O 25 sg. exuit illic / personam docili Thais saltata
Triphallo. Il nome è ben attestato nell’index di CIL VI. Offrono conferma
della sua diffusione a Roma per meretrici e schiave l’interrogativa (Quam
Thaida?) e l’utilizzo del nome da parte di Marziale in numerosi epigrammi:
cfr. III 11; IV 12; 50; V 43; VI 93; XI 101. Sulla diffusione a Roma di nomi
greci per prostitute vd. Griffin 1976, p. 96 sg.; Nisbet-Hubbard1, ad Hor.
carm. I 19, 5. In questo libro cfr. anche Chione (30; 34; 83; 87; 97); Lycoris
(39); Chloe (53); Saufeia (72). Quintus è praenomen tra i più comuni, qui
scelto da Marziale poiché consente il gioco numerico di III 11, 6. – Thaida
luscam: il difetto fisico andava naturalmente a scapito della bellezza: cfr.
XII 22, 1-3 quam sit lusca Philaenis indecenter / vis dicam breviter tibi,
Fabulle? / esset caeca decentior Philaenis. In Marziale i lusci sono spesso
oggetto di satira: vd. la n. intr. all’epigr. 39; Watson 1982.
2. Unum oculum Thais …: la collocazione alle estremità del verso dei
numerali, su cui è costruita la pointe, ne accresce l’effetto comico. Marziale
mostra anche altrove un certo gusto per i giochi numerici: cfr. III 11, 6
si non vult Quintus, Thaida Sextus amet; 92, 1 sg. ut patiar moechum
rogat uxor, Galle, sed unum. / huic ego non oculos eruo, Galle, duos; vd.
anche V 38, 7; VIII 43; per la diffusione nella tradizione epigrammatica
vd. B. Sprenger, Zahlenmotive in der Epigrammatik und in verwandter
Literaturgattungen alter und neuer Zeit, Diss. Münster 1962, pp. 10-22.
Piuttosto capziosa e poco convincente la proposta di Fröhner 1912, p.
170 e di Th. Birt (Martiallesungen, «RhM» 79, 1930, p. 303) di modificare
l’interpunzione del verso, ponendo la virgola dopo Thais, sostenuta con la
motivazione che altrimenti si sarebbe dovuto intendere «Taide non ha un
occhio, Quinto ne ha due» (vd. l’interpretazione dell’epigramma di Paley-
Stone citata nella n. intr.): cfr. III 27, 4 et mihi cor non est et tibi, Galle,
pudor (sc. non est Parimenti è da respingere la proposta di Ed.B. Stevens
(«CW» 37, 1943-1944, p. 171) di eliminare la virgola dal verso per ottenere
la costruzione
Epigramma 9 165

Versiculos in me narratur scribere Cinna.


Non scribit, cuius carmina nemo legit.

hab. R tit. de cinna R EXV: de cinno A

Si dice che Cinna scriva versicoli contro di me.


Non scrive uno di cui nessuno legge le poesie.

Un tale Cinna scrive carmi contro Marziale, cui però un solo verso è
sufficiente per annichilire in modo spietato il rivale: un poeta che non ha
lettori è come se non scrivesse.
L’attacco diretto contro i poeti rivali risale alla poesia ellenistica (si pensi
alla polemica di Callimaco contro i Telchini nel Prologo degli Aitia) ed
era diffuso a Roma fin da Catullo e dai neoteroi (cfr., ad es., Catull. 14, 17
sgg.; 22; 36; 95, 7 sg.; 105; 116). Anche in altri epigrammi Marziale prende
di mira poeti rivali: cfr. II 77; III 69; VII 25 e, in particolare, VI 64, lungo
componimento in esametri (32 versi), dove Marziale, per contrattaccare
un detrattore, si serve dello stesso motivo della mancanza di lettori come
condanna senza appello per i suoi carmi: audes praeterea, quos nullus
noverit, in me / scribere versiculos miseras et perdere chartas (22 sg.).
Il distico si presenta in forma bipartita, secondo una delle strutture
tipiche degli epigrammi scommatici: alla narratio del primo verso segue
la sententia di carattere generale del pentametro, che annulla le speranze
del poetastro. Il carattere di tale conclusione e la mancata apostrofe
diretta al rivale sono gli strumenti di cui Marziale si serve per negare a
Cinna persino lo status di bersaglio satirico. Il nome, che ricorre in altri
epigrammi scommatici, senza peraltro celare un’unica persona, sarà con
ogni probabilità fittizio. In X 21, 3 sg. (non lectore tuis opus est, sed
Apolline libris: / iudice te maior Cinna Marone fuit) Marziale mostra
di considerare il poeta neoterico Cinna un autore oscuro e difficilmente
comprensibile; è possibile che la scelta del nome Cinna per un poeta senza
lettori contenga un’allusione sarcastica allo scarso successo di pubblico di
certe oscurità neoteriche.
166 M. Val. Martialis liber tertius

1. versiculos: al plurale designa in genere poesia leggera o epigrammatica


(vd. OLD, s.v. nr. 2): cfr. Catull. 16, 2-4 Aureli pathice et cinaede Furi, /
qui me ex versiculis meis putastis, / quod sunt molliculi, parum pudicum
(secondo Ronconi 1971, p. 104, qui Catullo potrebbe imitare ironicamente
il linguaggio dei suoi detrattori, per i quali i suoi sono, in senso dispregiativo,
versiculi); 16, 6; 50, 4-6 scribens versiculos uterque nostrum / ludebat
numero modo hoc modo illoc / reddens mutua per iocum atque vinum;
Hor. epod. 11, 1 sg. Petti, nihil me, sicut antea, iuvat / scribere versiculos
amore percussum gravi; sat. I 2, 109 sg. hiscine versiculis speras tibi
posse dolores / atque aestus curasque gravis e pectore pelli?; 10, 31 sg.
atque cum Graecis facerem, natus mare citra, / versiculos; Plin. epist.
V 3, 2 facio nonnunquam versiculos severos parum, facio; Suet. Iul. 73
Valerium Catullum, a quo sibi versiculis de Mamurra perpetua stigmata
imposita non dissimulaverat. Plinio il Giovane definisce versiculi il carme
che Marziale gli aveva dedicato (X 19): epist. III 21, 2 prosecutus eram
viatico secedentem; dederam hoc amicitiae, dederam etiam versiculis
quos de me composuit. In Marziale il diminutivo versiculi ha sempre
valore dispregiativo: cfr. III 50, 2 versiculos recites ut, Ligurine, tuos;
VI 64, 23 cit. nella n. intr. Qui con versiculi Marziale designa sia la loro
cattiva fattura, che il loro carattere di aggressione (in me). Il sostantivo è
significativamente collocato dal poeta in apertura di epigramma e mette
immediatamente in rilievo lo scarso valore del suo detrattore. Per l’uso
dispregiativo dei diminutivi vd. le nn. a 16, 1 regule; 16, 6 pellicula. –
narratur: Marziale non si degna neanche di leggere i carmi che il poetastro
scrive contro di lui. Il verbo tradisce l’atteggiamento di superiorità del
poeta e prepara il campo per la pointe del v. 2.
2: lapidaria sententia dal carattere paradossale: non avere lettori equivale
a non scrivere (sull’ampio utilizzo di sententiae nella chiusa degli epigram-
mi vd. la n. a 5, 11 sg.; Barwick 1959); conclusioni paradossali di questo
tipo non sono infrequenti nell’opera di Marziale: cfr., ad es., II 12, 4 non
bene olet qui bene semper olet; VI 7, 5 quae nubit totiens, non nubit:
adultera lege est; VII 73, 6 quisquis ubique habitat, Maxime, nusquam
habitat. Il successo di pubblico è per Marziale garanzia della qualità
dell’opera: cfr. l’uso pregnante del verbo legere in I epist. 10 sgg. sic scribit
Catullus, sic Marsus, sic Pedo, sic Gaetulicus, sic quicumque perlegitur; X
33, 7 sg. nec scribere quemquam / talia contendas carmina qui legitur.
L’identificazione tra fama e vita della poesia è chiaramente affermata in
Epigramma 9 167

VIII epist. 1 sg. omnes quidem libelli mei, domine, quibus tu famam,
id est vitam, dedisti, tibi supplicant (per l’opposto topos della morte
prematura della poesia priva di lettori vd. la n. a 2, 3). Diversamente dal
suo rivale, Marziale sa invece di poter ormai contare su numerosi lettori.
L’affermazione orgogliosa dell’ampio successo di pubblico della propria
poesia è motivo frequente nei suoi epigrammi: cfr. I 1; III 95, 6 sg.; IV 49,
9 sg.; V 13, 3 sg.; 16, 2 sg.; VII 17, 10; 88; VIII 3, 3-8; 61, 3-5; IX 81, 1; 97,
1 sg.; X 2, 5 sgg.; XI 24, 6 sgg.; XII 11, 8.
168 M. Val. Martialis liber tertius

10

Constituit, Philomuse, pater tibi milia bina


menstrua perque omnis praestitit illa dies,
luxuriam premeret cum crastina semper egestas
et vitiis essent danda diurna tuis.
Idem te moriens heredem ex asse reliquit. 5
Exheredavit te, Philomuse, pater.

tit. ad philomusum 1 constituit PQf : contigit L 2 omnis : omnes praestitit


L²PQf : praestiti L¹ 3 egestas LPQ²f : egebas Q¹ 4 essent blv2 ed. Rom. 1 ed. Ven.
ed. Rom. 2 ed. Ald.: esset diurna L²Q² : diuturna L¹PQ¹f

Tuo padre, o Filomuso, ti aveva assegnato duemila sesterzi


mensili e te li forniva giorno per giorno,
poiché l’indigenza del domani gravava sempre sul tuo lusso
ed era necessario dare razioni giornaliere ai tuoi vizi.
Egli morendo ti ha lasciato erede universale. 5
Tuo padre, o Filomuso, ti ha diseredato.

Filomuso è un giovane dissoluto e scialacquatore. Suo padre, saggiamente,


gli dava solo una piccola somma al giorno, sapendo che qualsiasi cifra gli
avesse data sarebbe finita persa nei suoi vizi. Ma ha commesso un errore:
lo ha nominato erede universale e questo significa averlo diseredato, poiché
Filomuso sperpererà in men che non si dica tutto il patrimonio.
Il tipo dello scialacquatore è oggetto di irrisione fin dal tempo di Ipponatte
(fr. 26 W.); il motivo è presente in Teognide (vv. 920-923), nella commedia
greca (Alex. fr. 110; 248 K.-A.; Menand. fr. 730 K.-A.), nei cinici (Diog.
in Gnom. Vat. 169) e nella satira (Hor. sat. I 3, 15 sgg.; II 3, 224 sgg.).
Modello di prodigalità è anche il Gaio Giulio Proculo petroniano (38, 11-
16). Negli epigrammi satirici greci il motivo ricorre soltanto due volte (AP
IX 367; XI 357; vd. Brecht 1930, p. 82 sg.). Gli epigrammi di Marziale ne
presentano alcune variazioni : cfr. IV 66; V 70; VIII 5; IX 82.
È possibile che Marziale abbia avuto presente nel comporre il suo epi-
gramma il caso, ben noto nel mondo romano, del figlio del celebre attore
tragico Esopo, contemporaneo di Cicerone: il padre lo aveva lasciato erede
Epigramma 10 169

del proprio patrimonio, che ammontava, secondo Macr. Sat. III 14, 14, a
venti milioni di sesterzi; questi, giovane dissoluto, spendeva cifre enormi
per lussi superflui, quasi volesse liberarsi come di un peso di tutto quel
denaro (cfr. Cic. Att. XI 15, 3; Hor. sat. II 3, 239 sgg.; Val. Max. IX 1, 2;
Plin. nat. IX 122; X 141; XXXV 163).
I primi quattro versi costituiscono la narratio; il quinto, che introduce
un elemento di novità nella situazione, sembra preparare una conclusione
favorevole a Filomuso, ma l’ultimo verso, che richiama nella struttura
il primo (constituit, Philomuse, pater tibi / exheredavit te, Philomuse,
pater) contiene l’ , che chiude l’epigramma con un
paradosso: nel caso di Filomuso nominarlo erede universale (heredem ex
asse relinquere) equivale a diseredarlo (exheredare).
Philomusus è probabilmente un nome parlante, scelto con intento
antifrastico (gr. ‘amico delle Muse’). Il nome è attestato più
volte nell’index di CIL VI e ricorre in Marziale anche in VII 76; IX 35; XI
63 per diversi tipi.

1 sg. Constituit … tibi: per il significato ‘tecnico’ di constituo cfr. Quint.


inst. III 8, 18 deliberant patres conscripti, an stipendium militi constituant;
Suet. Aug. 36 proconsulibus … certa pecunia … constitueretur. – milia
bina / menstrua: quella di 24000 sesterzi annui non era certo una gran
cifra: una prostituta di alto livello poteva chiederne 20000 (X 75, 1) e un
mantello di qualità poteva costare 10000 sesterzi (IV 61, 4 sg.; VIII 10, 1).
Tuttavia si deve tener conto del fatto che, mentre suo padre era ancora
in vita, la somma serviva al giovane soltanto per i suoi vizi. In Iuv. 9,
140 l’indigente Nevolo desidera 20000 sesterzi di rendita annua per vivere
un’esistenza meno grama.
2. omnis: le forme di accusativo plurale in –is, conservate in poesia e
nella prosa d’arte assai più a lungo che nel parlato, sono state restaurate
nel testo di Marziale, dove ben attestate, da Lindsay, seguito dai successivi
editori: in questo libro cfr. 82, 19 lambentis; 21 natis; 85, 1 naris. In
generale sull’argomento vd. M. Geymonat, Accusativi plurali in -is, -eis ed
-es, EV I, p. 13 sg. con bibliografia; sull’ortografia di Marziale vd. Lindsay
1904, p. 34 sg. Omnis accusativo plurale ricorre ancora in questo libro in
47, 6 e spesso in Marziale (I 117, 12; II 16, 5; V 23, 8; 61, 5; VI 44, 3; VIII
epist. 10; 44, 6; 79, 1; X 5, 17; XI 98, 13).
3. luxuriam … egestas: la collocazione alle estremità del verso dei due
170 M. Val. Martialis liber tertius

termini mette in evidenza il continuo passaggio del protagonista da una


condizione all’altra. Egestas ha una sfumatura negativa rispetto a paupertas
(vd. G. Broccia, s.v. egeo / egenus / egestas, EV II, p. 179 sg.): cfr. Serv. auct.
georg. I 146 peior est egestas quam paupertas: paupertas enim honesta esse
potest, egestas etiam turpis est (cfr. Verg. Aen. VI 276 turpis Egestas); Cic.
parad. 46 itaque istam paupertatem vel potius egestatem ac mendicitatem
tuam numquam obscure tulisti; Sen. epist. 58, 1 quanta verborum nobis
paupertas, immo egestas sit, numquam magis hodierno die intellexi. –
premeret: il verbo è usato metaforicamente anche in VII 97, 5 instent
mille licet premantque curae; cfr. anche Cic. Verr. II 4, 11 num tanta
difficultas eum … tenuerit, tanta egestas, tanta vis presserit, ut eqs.
4. essent danda diurna: essent, diffuso nei testimoni umanistici, è
necessaria correzione del tràdito esset, accolta da tutti gli editori: l’uso
sostantivato di diurna femminile (sc. merces, pecunia) non sembra
offrire attestazioni; di contro il neutro diurnum per diurna merces,
diurnus victus ricorre anche in Sen. contr. I 1, 12 diurnum petam; X
4, 24 cotidianum diurnum et mendicantium quaestus; Sen. epist. 80, 8
diurnum accipit (sc. histrio) e nei testi giuridici (cfr. Scaev. Dig. 26, 7, 47,
1). Non ha possibilità di cogliere nel segno la congettura scisset proposta
dubbiosamente da Schneidewin2 (p. XIII).
5. heredem ex asse reliquit: espressione tratta dal linguaggio giuridico
(ricorre frequentemente nei Digesta: cfr. Marcell. dig. 36, 1, 46, 1; Tryph.
dig. 37, 4, 20 pr.; Ulp. dig. 29, 2, 10; vd. Voc. Iur. Rom. I 3, 503, 52-504,
16). Heres ex asse è l’erede universale (CGL V 292, 46 ex asse heres esto:
ex integro, ex omni patrimonio). In prosa l’espressione ricorre in Quint.
inst. VII 1, 20; Plin. epist. V 1, 9; VIII 18, 7; in poesia nel solo Marziale,
anche in VII 66, 1 heredem Fabius Labienum ex asse reliquit, che presenta
la stessa clausola.
Epigramma 11 171

11

Si tua nec Thais nec lusca est, Quinte, puella,


cur in te factum distichon esse putas?
‘Sed simile est aliquid.’ Pro Laide Thaida dixi?
Dic mihi, quid simile est Thais et Hermione?
Tu tamen es Quintus; mutemus nomen amantis: 5
si non vult Quintus, Thaida Sextus amet.

vv. 1-2 hab. R tit. ad quintum R 1 si : sic R quinte R EAX: quinta V 2 esse :
ecce R 3 ‘Sed simile est aliquid.’ Pro Laide Thaida dixi? dist. Izaac: sed simile est aliquid:
pro laide thaida dixi edd. pler. sed simile est aliquid? pro laide thaida dixi? Friedlaender
sed EAV: sic X simile est XV: similest EA laide EAXV²s.l.: thaide V¹ dixi V²:
dixit EAXV¹ dixti b ed. Rom. 1 ed. Ven. 6 amet L²PQfV²s.l.: amat L¹EAXV¹

Se la tua ragazza, o Quinto, non è né Taide, né guercia,


perché ritieni il distico fatto contro di te?
«Ma c’è qualche somiglianza». Ho detto Taide per Laide?
Dimmi, che somiglianza c’è tra Taide ed Ermione?
Tu però sei Quinto; cambiamo il nome dell’amante: 5
se non vuole Quinto, Sesto ami Taide.

L’epigramma si configura come una risposta del poeta alla reazione


infastidita di un Quinto che si è sentito preso di mira dall’epigr. 8. Marziale
gliene domanda il perché, dal momento che la sua ragazza non si chiama
Taide e non è guercia, come la protagonista dell’epigramma. Quinto però,
introdotto nell’epigramma, ha ravvisato nel distico un’analogia con la sua
vita (‘Sed simile est aliquid’: per l’interpunzione adottata vedi la n. al v.).
Allora Marziale si chiede quale sia e se possa aver usato per la ragazza un
nome fittizio simile al vero e quindi immediatamente riconoscibile (pro
Laide Thaida dixi?). L’ipotesi è però rapidamente messa da parte: infatti
la ragazza di Quinto si chiama Ermione e dunque che somiglianza c’è con
Taide? (4). Allora emerge il reale motivo delle recriminazioni di Quinto: il
protagonista dell’epigramma porta il suo stesso nome (5). Considerando
che questo è l’unico elemento in comune con la situazione descritta in
quell’epigramma, Marziale propone una soluzione semplice: sostituire il
suo nome con un altro (v. 6 Sextus), confermando, con ironico distacco,
172 M. Val. Martialis liber tertius

che la sua satira rifugge dall’attacco personale e che i nomi utilizzati nei
suoi epigrammi sono fittizi: cfr. II 23, 1 sg. non dicam, licet usque me
rogetis, / qui sit Postumus in meo libello; IX 95b, 1 sg. nomen Athenagorae
credis, Callistrate, verum. / si scio, dispeream, qui sit Athenagoras. Tale
principio di poetica è espresso chiaramente in X 33, 10 parcere personis,
dicere de vitiis (vd. al riguardo Citroni 1968, p. 264).
In molti epigrammi, spesso all’interno dello stesso libro, ma anche in libri
diversi, Marziale rappresenta la reazione di persone che si sono identificate
nei protagonisti presi di mira nei suoi epigrammi: cfr., in questo libro,
gli epigr. 16, 59, 99, dedicati a un ciabattino arricchito che offre giochi
gladiatorii; inoltre IV 71, 81; II 57, V 26; IX 95, 95b. Tali epigrammi
presuppongono, per essere compresi, la lettura del libro per intero, a ulte-
riore conferma del ruolo primario svolto da esso nella diffusione degli
epigrammi di Marziale (vd. Scherf 2001, p. 41 sg.).

2. distichon: si riferisce all’epigr. 8 (distico elegiaco). Marziale offre la


prima attestazione letteraria del termine (solo qui al singolare): cfr. II 71, 2;
77, 8; VI 65, 4; VII 85, 2; VIII 29, 1; XI 108, 2; XIII 3, 5 (vd. anche VII 85,
1 tetrasticha). Esso si riferisce per lo più al distico elegiaco, prevalente negli
epigrammi, ma può anche designare una coppia di versi di altro genere:
cfr. Suet. Iul. 51 (2 settenari trocaici); Schol. Hor. epist. I 1, 67 (2 senari);
Don. vita Verg. 18 (2 esam.); Mart. Cap. I 42 (2 esam.); Sidon. epist. V
8, 2 (2 endecasillabi faleci). Nell’opera di Marziale si trovano anche distici
composti da endecasillabi faleci (ad es. I 69; II 13; 15; III 35; VI 24; 90), da
coliambi (ad es. III 40; IV 65; V 54), da sotadei (III 29).
3: ho adottato l’interpunzione di Izaac, che attribuisce le parole sed simile
est aliquid a Quinto stesso, che interviene così nel dialogo per esporre
le proprie lamentele, dopo che Marziale si era domandato nei primi due
versi perché egli si fosse sentito attaccato, dal momento che la sua ragazza
non è lusca né si chiama Taide (nel testo di Izaac la battuta è posta tra
due trattini, ma l’attribuzione a Quinto è assicurata dalla traduzione e
dalla nota a p. 251). La domanda che Marziale si pone subito dopo (pro
Laide Thaida dixi?) è invece retorica: ‘ho forse usato un nome falso, ma
così somigliante da essere immediatamente riconoscibile?’. La risposta è
evidentemente negativa, come appare dal verso successivo. Sull’intervento
di un interlocutore introdotto da un’avversativa cfr. II 8, 7 ‘ista tamen mala
sunt’; Hor. sat. I 1 49 sgg. vel dic quid referat intra / naturae finis viventi
Epigramma 11 173

iugera centum an / mille aret. ‘at suave est ex magno tollere acervo’; Plin.
epist. III 21, 6 tametsi quid homini potest dari maius, quam gloria et laus
et aeternitas? ‘at non erunt aeterna quae scripsit’: non erunt fortasse, ille
tamen scripsit tamquam essent futura; Iuv. 7, 104 sg. quis dabit historico
quantum daret acta legenti? / ‘sed genus ignavum, quod lecto gaudet et
umbra’ . Che l’affermazione sed simile est aliquid sia da attribuire a Quinto
mi sembra ricevere conferma dalla domanda di Marziale del verso seguente,
che vi corrisponde esattamente: 3 ‘Sed simile est aliquid’ – 4 Dic mihi
quid simile est? (l’attribuzione a Quinto dell’intero verso è probabilmente
all’origine della congettura umanistica dixti, che però mal si lega al verso
seguente). Tutto sommato plausibile anche l’interpunzione proposta da
Friedlaender, seguito da Heraeus (sed simile est aliquid? pro Laide Thaida
dixi?). Assai poco convincente appare invece l’interpunzione adottata da
vari editori moderni (Gilbert, Lindsay, SB) a partire da Schneidewin (sed
simile est aliquid: pro Laide Thaida dixi), così spiegata da SB2, I, p. 208
n. b: «In v. 3 M. moots the possibility of his having used a name similar
to the real one, e.g. Thais for Lais, in order to dismiss it in v. 4». Tra
le possibili interpunzioni va registrata anche quella di H. Jackson, fatta
propria da Duff e da Ker (sed simile est aliquid. pro Laide Thaida dixi?).
– Laide: Lais fu nome di due famose cortigiane; la più nota era di Corinto
(vd. RE XII, 513 sgg.). Marziale la nomina in X 68, 11 sg. tu licet ediscas
totam referasque Corinthon, / non tamen omnino, Laelia, Lais eris; XI
104, 21 sg. si te delectat gravitas, Lucretia toto / sis licet usque die: Laida
nocte volo. Qui il nome, che ricorre spesso nell’index di CIL VI, è scelto
unicamente per la sua quasi completa identità, anche metrica, con il nome
Thais.
4: Marziale si chiede quale somiglianza ci sia tra il nome che lui ha usa-
to nell’epigramma e il vero nome della ragazza di Quinto, che dunque è
Ermione. Appare infondata l’esegesi di Ker, il quale ritiene che in questo
verso Marziale proponga a Quinto di cambiare in Hermione il nome della
ragazza nell’epigramma 8 (che dunque sarebbe Lais, anche se Ker non lo
dice esplicitamente), ma in tal caso Marziale avrebbe dovuto dire allora
quid simile est Lais (nome vero) et Hermione (nome fittizio)? Inoltre, a
differenza di Quintus–Sextus (nomi isometrici), Thais non potrebbe essere
sostituito con Hermione nell’epigramma. – Dic mihi: locuzione affettiva
di natura colloquiale, utilizzata di frequente da Marziale (una ventina di
casi, spesso in principio di verso). – quid simile est: simile va inteso come
174 M. Val. Martialis liber tertius

sostantivato: cfr. Varro ling. VIII 41 nec Perpenna et Alfena erit simile
(vd. anche VIII 54; 75; IX 72; 74; 91; X 8). – Hermione: il nome compare
soltanto qui negli epigrammi di Marziale. Esso ricorre spesso in iscrizioni
latine (cfr., ad es., CIL I 818; II 3139; III 3085; V 7437; VII 397; molte
occorrenze nell’index di CIL VI). Due donne con questo nome sono
menzionate nei rescritti dell’imperatore Alessandro Severo del 223 (Cod.
Iust. VI 58, 1) e degli imperatori Diocleziano e Massimiano del 294 (Cod.
Iust. VIII 53, 10). La clausola tetrasillabica di pentametro, evitata per lo più
da Ovidio, ricorre spesso in Marziale, talora in conclusione di epigramma
(vd. Th. Birt, in Friedlaender, I, p. 30 sg.; Wilkinson 1948): in questo libro
cfr. 21, 2 invidia; 26, 4 ingenium; 28, 2 auriculam; 33, 4 ingenua; 65, 10
invidia; 68, 6 Terpsichore; 69, 2 carminibus; 70, 4 arrigere; 75, 2 arrigere;
76, 4 Andromachen; 77, 10 ; 79, 2 perficere; 85, 4 Deiphobi;
95, 10 Oceanus.
6. Sextus: praenomen comune, scelto in questo caso perché, oltre a esse-
re prosodicamente equivalente a Quintus, consente il gioco ‘numerico’
(‘il quinto’, ‘il sesto’); cfr. anche V 21, 1 sg. Quintum pro Decimo, pro
Crasso, Regule, Macrum / ante salutabat rhetor Apollodotus. – amet:
il congiuntivo, tramandato dalla seconda famiglia, è preferito da tutti gli
editori all’indicativo amat della terza, accolto nel testo soltanto da SB e
Walter. Amet corrisponde a mutemus del verso precedente ed esprime
in modo spiritoso la disponibilità del poeta ad accontentare Quinto. Con
amat si ottiene una sorta di citazione dell’incipit dell’epigr. 8, nella versione
‘corretta’, con un effetto senz’altro più debole.
Epigramma 12 175

12

Unguentum, fateor, bonum dedisti


convivis here, sed nihil scidisti.
Res salsa est bene olere et esurire.
Qui non cenat et unguitur, Fabulle,
hic vere mihi mortuus videtur. 5

vv. 3-5 hab. T tit. ad fabullum T EXV: ad fabulum A 1 unguentum PQf : ungentum
L 2 convivis T AXV: conviviis E here PfXV²: heres EAV¹ heret Q herede L scidisti
TLPQf¹ : edisti f² 3 salsa LPf : falsa TQ et : est T esurire TLPQ²f : exurire Q¹
4 cenat TLf : tentat PQ unguitur : ungitur T fabulle LQ²fXV: fabulla Q¹ fabullae
PEA fabule T

Hai dato, lo riconosco, un buon profumo


ai tuoi convitati ieri, ma non hai fatto servire nulla.
È una cosa spiritosa profumare e avere fame.
Chi non cena ed è profumato, o Fabullo,
mi sembra veramente un morto. 5

Fabullo ha distribuito ai suoi convitati un buon profumo, ma nulla da


mangiare! Sono solo i morti, conclude argutamente Marziale, che vengono
profumati e non mangiano.
L’anfitrione avaro è un tipo comico presente nell’epigramma greco: cfr.
AP XI 313; 314 (Lucillio); XI 413 (Ammiano); IX 377; XI 371; 377; 387
(Pallada); vd. al riguardo Pertsch 1911, p. 19 sgg.; Brecht 1930, pp. 71-76.
Nei suoi epigrammi Marziale realizza alcune brillanti variazioni del motivo:
cfr. I 20; 43; II 19; III 13; 94; VIII 22; XI 31. In questo caso bersaglio della
critica del poeta è la pretesa raffinatezza di Fabullo, che si preoccupa di
dare agli ospiti un buon profumo, ma tralascia di offrire la cena; la stessa
critica è mossa da Marziale in XI 31 all’ospite che fa servire un’intera cena
a base di zucche (cfr. v. 20 sg. hoc lautum putat, hoc putat venustum /
unum ponere ferculis tot assem).
Il nome Fabullo, piuttosto diffuso a Roma (vd. Kajanto 1965, p. 170),
ricorre spesso negli epigrammi di Marziale: si tratta senz’altro di un nome
fittizio in epigrammi nei quali è oggetto di satira (IV 87; IX 66; XII 85);
è invece probabilmente un vero patrono o amico il Fabullo soltanto
176 M. Val. Martialis liber tertius

apostrofato da Marziale in epigrammi scommatici su altri personaggi (V


35; VI 72; XII 20; 22; sui ‘vocativi isolati’ negli epigrammi satirici sono
condivisibili le riflessioni di Nauta 2002, p. 39 sgg.). In XI 35 il poeta si
lamenta con un Fabullo che lo invita a cena con altre trecento persone
a lui sconosciute. In quel caso, come in questo epigramma, la decisione
presenta margini di incertezza (una posizione dubbiosa sul Fabullo dei due
epigrammi è assunta da Kay, ad XI 35, 4; Grewing, ad VI 72, 3); l’ipotesi
del nome fittizio appare tuttavia più persuasiva: l’epigramma infatti allude
al c. 13 di Catullo, cui è accomunato anche dall’uso dell’endecasillabo
falecio, come già rilevato dai commentatori di Catullo (ad esempio
il Muretus, Venetiis 1554); vd., di recente, M. Salanitro, Le tappe di un
motivo folclorico (da Catullo ai giorni nostri), «InvLuc» 15-16, 1993-94,
p. 287 sg. Catullo invitava Fabullo a cena, chiedendogli di portare ogni
cosa, perché egli era a corto di denaro, promettendogli però in cambio un
profumo divino. Marziale capovolge la situazione del carme catulliano: ora
Fabullo è l’anfitrione e offre solo unguento, seppur buono, senza cibi.
I primi due versi, scanditi dall’omeoteleuto (dedisti, scidisti) costituiscono
la narratio; il v. 3 contiene il commento ironico del poeta, che conduce
all’arguzia finale, espressa in forma sentenziosa (4 sg.).

1 sg.: i versi sono citati da Prisciano (inst. X 4, 24 = GLK II 516, 25) tra gli
esempi del perfetto scidi (attestato a partire da Seneca) rispetto all’arcaico
scididi (cfr. Gell. VI 9, 16): ‘scidit’ ponit Martialis in III epigrammaton
‘Unguentum, fateor, bonum dedisti / convivis here, sed nihil scidisti’.
1. Unguentum … bonum dedisti: l’abitudine di offrire unguentum
durante o dopo il banchetto è bene attestata sia in Grecia che a Roma
(vd. Blümner 1911, p. 385 sgg.; RE I A, s.v. Salben, 1855 sg.). In Orazio
l’unguentum, insieme alle corone di fiori, è componente abituale dei
banchetti (carm. II 7, 7; 22; 11, 16; III 14, 17; ars 374 sgg.); dal soffitto di
Trimalchione scende una ruota, cuius per totum orbem coronae aureae cum
alabastris unguenti pendebant e i convitati vengono pregati haec apophoreta
… sumere (Petron. 60, 3 sg.). In Marziale opobalsama compaiono tra gli
apophoreta (XIV 59); vd. anche II 59, 3; III 82, 26 sgg.; V 64, 3; VII 94;
VIII 77, 3 sg.; XI 15, 5 sg.; XII 17, 7. Il sostantivo, che simboleggia le
pretese di raffinatezza dell’ospite, è collocato significativamente in apertura
di epigramma. - fateor: inciso di natura colloquiale (vd. Hofmann, LU, p.
251), compare in commedia, nell’epistolario e nelle orazioni di Cicerone,
Epigramma 12 177

ma anche in poesia (Virgilio; Ovidio; Seneca tragico; Stazio). In Marziale,


dove ricorre spesso (cfr. I 90, 5; II 28, 5; V 13, 1; 27, 2; IX 99, 7; X 75,
2; XII 48, 5; XIII 103, 1; 114, 1; vd. anche II 3, 1 fatemur), l’ammissione
prelude quasi sempre, come in questo caso, ad una battuta (cfr. anche
confiteor: III 31, 1; IV 49, 10; IX 50, 3).
2. here: nei poeti non scenici l’alternanza hĕr / hĕrĕ è dettata unicamente
da necessità metriche (vd. Dittman in ThlL VI 3, 2656, 41 sgg.; 50 sgg.):
hĕr viene utilizzato in fine di pentametro (cfr. Mart. I 24, 4; V 58, 8);
hĕrĕ all’interno del verso (cfr. Mart. I 43, 2; IV 7, 1 e 5; 61, 9; X 31, 1).
Per l’ortografia del tempo cfr. Quint. inst. I 7, 22 ‘here’ nunc e littera
terminamus: at veterum comicorum adhuc libris invenio ‘heri ad
me venit’, quod idem in epistulis Augusti, quas sua manu scripsit aut
emendavit, deprenditur; nella pronuncia il suono era in realtà indistinto fra
la e e la i: cfr. Quint. inst. I 4, 8 <in> ‘here’ neque e plane neque i auditur.
– scidisti: scindere qui nell’accezione tecnica di ‘tagliare i cibi’, attestata a
partire da Seneca (vd. OLD, s.v., nr. 5 d). In Marziale cfr. anche III 94, 2
mavis, Rufe, cocum scindere quam leporem, che gioca sull’ambivalenza
del verbo (vd. la n. ad loc.). Lo scissor era il servo incaricato di questo
compito (cfr. Petron. 36, 6).
3: affermazione di tono ironico; esurire, posto in chiusa di verso (come
in Catull. 21, 10), mette in luce il paradosso della situazione. La distinzione
tra salsus e ridiculus è esposta da Quintiliano nel capitolo de risu (inst.
VI 3, 18 sg.): salsum in consuetudine pro ridiculo tantum accipimus:
natura non utique hoc est, quamquam et ridicula esse oporteat salsa.
nam et Cicero omne, quod salsum sit ait esse Atticorum (orat. 90), non
quia sunt maxime ad risum compositi, et Catullus, cum dicit:‘nulla est
in corpore mica salis’ (86, 4), non hoc dicit, nihil in corpore eius esse
ridiculum. salsum igitur erit quod non erit insulsum, velut quoddam
simplex orationis condimentum quod sentitur latente iudicio vel palato,
excitatque et a taedio defendit orationem; cfr. Catull. 12, 1-5 Marrucine
Asini, manu sinistra / non belle uteris in ioco atque vino: / tollis lintea
neglegentiorum. / hoc salsum esse putas? fugit te, inepte / quamvis sordida
res et invenustast; 14, 16 non non hoc tibi, salse, sic abibit; Hor. sat. I 9, 65
male salsus (detto di Aristio Fusco, che lascia il poeta in balia del seccatore).
Res salsa ricorre, in tutt’altro contesto, in Priap. 10, 7 sg. nimirum tibi
salsa res videtur / adstans inguinibus columna nostris. L’espressione (res
est … in funzione predicativa di un sostantivo o un infinito sostantivato)
178 M. Val. Martialis liber tertius

ha sapore idiomatico e colloquiale; ricorre in Cicerone, Petronio, Seneca


il Vecchio, Quintiliano, Plinio epist. e paneg., Giovenale; spesso in Ovidio
e in Seneca filosofo (vd. Traina 1995, p. 86 sg. n. 1). Marziale ne fa un
ampio uso: cfr. I 17, 3; III 63, 14; IV 80, 6; XI 5, 3; 58, 8; XII 39, 2. La
triplice elisione presente nel verso, che Marziale in genere tende a evitare
nei faleci, sottolinea l’ascendenza catulliana del componimento
4 sg.: la pointe, espressa in forma sentenziosa (vd. al riguardo la n. a 5,
11 sg.), allude all’usanza di profumare i cadaveri, già attestata in Omero (Il.
XVIII 350) e diffusa nel mondo greco-romano: cfr. Enn. Ann. 147 Sk.;
Verg. Aen. VI 219; Prop. III 16, 23; Ov. epist. 10, 122; fast. III 561; IV 853;
Pont. I 9, 47; Val. Max. IV 6, 3; Pers. 3, 104; Mart. XI 54, 1; Stat. silv. II 1,
157 sgg. Iuv. 4, 109; vd. Blümner 1911, p. 484; RE I A, s.v. Salben, 1857.
Marziale sembra qui rielaborare argutamente un pensiero di Seneca: epist.
82, 2 sg. multum interest inter otium et conditivum. ‘quid ergo?’ inquis,
‘non satius est vel sic iacere quam in istis officiorum verticibus volutari?’
utraque res detestabilis est et contractio et torpor. puto, a e q u e q u i i n
odoribu s iacet m ortu u s es t quam qui rapitur unco; il concetto è
espresso in modo analogo in epist. 60, 4 hos itaque, ut ait Sallustius, ‘ventri
oboedientes’ animalium loco numeremus, non hominum, quosdam vero
ne animalium quidem, sed mortuorum. vivit is, qui multis usui est, vivit
is, qui se utitur; qui vero latitant et torpent, sic in domo sunt, quomodo in
conditivo. horum licet in limine ipso nomen marmori inscribas, mortem
suam antecesserunt; vd. anche epist. 93, 3; dial. X 12, 7 sgg. Su Seneca e
Marziale vd. Friedrich 1910; Barwick 1959, p. 25; Sullivan 1991, p. 100 sg.;
P. Grimal, Martial et la pensée de Sénèque, «ICS» 14, 1989, pp. 175-183;
M. Kleijwegt, A Question of Patronage: Seneca and Martial, «AClass» 42,
1999, pp. 105-119.
Presenta notevole affinità con questi versi Luciano (merc. cond. 28):

Simile la struttura del periodo: a res salsa


con gli infiniti (bene olere, esurire) corrisponde con gli
infiniti e (anche se in greco i
due infiniti non realizzano l’antitesi presente nel testo di Marziale e il concetto
espresso da esurire è reso dal nesso ); simile anche l’arguzia
Epigramma 12 179

che assimila tali personaggi a cadaveri, anche se in Luciano il paragone è


con la loro lapide funeraria ( ) e il discorso è più elaborato rispetto
alla densa brevitas di Marziale. Tale somiglianza non sembra essere
casuale e lascia pensare a una ripresa da parte di Luciano dell’epigramma
di Marziale. Non esistono studi sul rapporto tra Luciano e Marziale; la
conoscenza da parte di Luciano delle Satire di Giovenale è stata sostenuta
da R. Helm (Lucian und Menipp, Leipzig 1906, pp. 218-222) e J. Mesk
(Lucians Nigrinus und Juvenal, «WS» 34, 1912, pp. 373-382; 35, 1913,
pp. 1-32), negata da A. Hartmann, Lucian und Juvenal, Basel 1907, pp.
18-26 (vd. anche G. Highet, Juvenal the Satirist, Oxford 1954, pp. 252 n.
1; 296 n. 1); numerosi paralleli sia lessicali che contenutistici tra il retore di
Samosata e Giovenale sono stati segnalati da Courtney, Appendix: Juvenal
and Lucian, pp. 624-629, il quale conclude che probabilmente Luciano
conobbe e imitò le Satire di Giovenale; l’ipotesi di una sua conoscenza
degli epigrammi di Marziale mi sembra, anche alla luce di questo parallelo,
assai probabile, anche se da verificare.
In modo analogo in VI 77 Marziale definisce mortuus un certo Afer, che,
pur essendo povero, giovane, forte si fa portare in giro su un hexaphorus: cfr.
v. 10 non debes ferri mortuus hexaphoro, giustamente spiegato da Rader:
«Cum iuvenis et robustus feratur a sex grandibus servis, videri mortuo
propiorem quam vivo; immo pro mortuo esse habendum, qui deliciis usque
eo interierit, ut vivus valensque ferri se patiatur»; tale interpretazione, non
seguita dai commentatori moderni, è stata opportunamente riproposta da
M. Salanitro, Un mulo inesistente e un morto vivente (Mart. 6. 77), «RPL»
19, 1996, p. 105 sg. A conferma di tale esegesi si può aggiungere Cic. Phil.
2, 106 at iste operta lectica latus per oppidum est ut mortuus (cfr. anche
Pis. 53); vd. anche Lucian. Nigr. 34
.
180 M. Val. Martialis liber tertius

13

Dum non vis pisces, dum non vis carpere pullos


et plus quam patri, Naevia, parcis apro,
accusas rumpisque cocum, tamquam omnia cruda
attulerit. Numquam sic ego crudus ero.

hab. T tit. ad neviam TPQf : ad nevian L 1 non vis pisces T: non vis piscem non vis
pisces leporem EAV pisces leporem X non vis carpere EAX: nos vis capere T carpere
non vis V pullos T² V²in mg.: pullas T¹ut vid. mullos EAXV¹ 2 patri T : putri
Heinsius parcis L²Qf : pascis T parvis L¹ut vid. P 3 accusas : accussas T

Poiché non vuoi servire i pesci, non vuoi servire i polli


e più che per tuo padre, Nevia, hai rispetto per il cinghiale,
accusi e fai frustare il cuoco, come se avesse portato
tutti cibi crudi. Così io non farò mai un’indigestione.

Nevia, pur di non offrire ai suoi commensali i cibi in tavola, accusa il


cuoco di averli portati crudi e lo fa frustare. Marziale, sfruttando un gioco
di parole difficilmente traducibile (vd. la n. al v. 4), afferma che in questo
modo non potrà mai essere sazio. Come il precedente, l’epigramma sviluppa
il motivo dell’ospite avaro. La peculiarità del componimento consiste nel
ritratto paradossale della padrona di casa, che Marziale realizza nel giro di
pochi versi (cfr. in particolare il v. 2). Lo stesso tema presenta anche l’epigr.
94 di questo libro: esse negas coctum leporem poscisque flagella. / mavis,
Rufe, cocum scindere quam leporem.
I primi tre versi costituiscono la narratio: nel v. 1 Marziale esplicita
l’intendimento di Nevia di non offrire cibi, ponendolo in evidenza
attraverso l’anafora di non vis; il v. 2 dipinge con un’arguta iperbole
l’avarizia della protagonista, che la porta all’ingiustizia di far frustare
l’incolpevole cuoco (v. 3). Nell’ultimo verso Marziale realizza la pointe
giocando con la duplice valenza dell’attributo crudus, che al v. 3 significa
‘crudo’ (riferito ai cibi), mentre al v. 4 ‘che non ha digerito’ (riferito al
poeta). L’antanàclasi è figura cara a Marziale, che la utilizza di frequente:
cfr. I 17 (magna res); 46 (properare: vd. Jocelyn 1981, p. 279 sg.); 67 (liber:
vd. Salanitro 1991, p. 4); 79 (agere); III 30, 5 sg. (ratio); 33 (ingenua); IV 80
(magna res); vd. Joepgen 1967, pp. 88-115. Il nome Nevia ricorre anche in
Epigramma 13 181

altri epigrammi: in I 68 e I 106 Rufo è accecato dalla passione per Nevia,


che non lo ricambia; cfr. anche II 9; 26. SB propone dubitativamente in
apparato il nome Naevolus, che presenta 5 occorrenze in Marziale (I 97; II
46; III 71; 95; IV 83), poiché si tratterebbe dell’unico caso in Marziale di
una donna che presiede a un banchetto, ma proprio questa considerazione
induce a conservare il nome Naevia, tràdito concordemente. Naevolus
inoltre ricorre nella sezione scommatica del libro, negli epigrammi 71 e
95, nei quali è schernito per le sue perversioni sessuali. Infine lo stretto
legame esistente nel mondo romano tra padri e figlie (su cui vd. J.P. Hallett,
Fathers and Daughters in Roman Society. Women and the Elite Family,
Princeton 1984, p. 76 sgg.) contribuisce a rendere più efficace l’effetto
grottesco del v. 2 (vd. la n. al v.).

1. Dum … dum: qui con valore causale (vd. Hofmann-Szantyr, p. 614


sg.). - carpere: equivale a scindere (su cui vd. la n. a 12, 2): cfr. Ov. ars III
755 carpe cibos digitis; Don. Ter. Eun. 426 cum in convivio carpatur
(sc. lepus) appositus. Carpus è il nome dello scissor di Trimalchione: ita
quotienscumque dicit ‘Carpe’, eodem verbo et vocat et imperat (Petron.
36, 8). La differente tradizione di questo verso nei codici della terza
famiglia si può spiegare, come suggerito da Heraeus (p. XXI), supponendo
che la corruttela di pullos in mullos abbia indotto un copista ad annotare
sopra pisces la variante leporem al fine di evitare l’incongruenza pisces …
mullos. Sia lepus che mulli sono spesso nominati da Marziale come cibi
raffinati: cfr., ad es., III 77, 1 sg. nec mullus nec te delectat, Baetice, turdus,
/ nec lepus est umquam nec tibi gratus aper; VII 78, 3 sumen, aprum,
leporem, boletos, ostrea, mullos. Tale ipotesi è suffragata dalla presenza nel
testo dei codici della terza famiglia di leporem accanto a pisces, che induce
a ritenere che nell’archetipo di questo ramo della tradizione leporem, in
origine una varia lectio, fosse penetrata nel testo, senza però soppiantare
l’originaria lezione pisces: infatti EAV recano il verso in forma ametrica
(dum non vis pisces leporem dum non vis carpere mullos EA; dum non
vis pisces leporem dum carpere non vis mullos V), mentre il testo di X
rappresenta il tentativo di sistemare la metrica eliminando l’anafora (non
vis): dum pisces leporem dum non vis carpere mullos. Mi sembra pertanto
da escludere la possibilità che il testo tràdito da T (pisces / piscem …
pullos) costituisca una variante d’autore dell’originario leporem … mullos
attestato dall’archetipo della terza famiglia, come ipotizzato da Lindsay
182 M. Val. Martialis liber tertius

1903, p. 22, che vedeva nell’allitterazione pisces … pullos un miglioramento


della versione di (così anche Pasquali 1934, p. 420): se leporem … mullos
costituisse una versione precedente non si capirebbe come pisces sarebbe
potuto penetrare nel verso anche nella terza famiglia. Non costituisce certo
un elemento a sostegno della versione della terza famiglia il fatto che essa
realizzi un terzetto di cibi raffinati (lepus, mulli, aper: cfr. III 77, 1 sg. cit.
supra) in luogo dei comuni pisces e pulli: il rifiuto di servire cibi ordinari
è anzi un elemento che contribuisce efficacemente alla rappresentazione
paradossale del personaggio.
2: Nevia mostra più deferenza per il cinghiale che per il padre. L’arguta
notazione, che contribuisce efficacemente al ritratto dell’ospite avara, è
sottolineata da Marziale attraverso un ricercato effetto paronomastico che
coinvolge i vocaboli chiave del verso (patri … parcis apro). Sul cinghiale,
cibo tra i più apprezzati dai Romani, vd. la n. a 50, 8. La congettura putri
di Heinsius ha goduto di una notevole, forse eccessiva fortuna (è stata
accolta da Schneidewin, Friedlaender, Gilbert, Duff, Ker, Giarratano,
Izaac); essa infatti attenua notevolmente la comicità del personaggio: il
cinghiale sarebbe andato a male, eppure Nevia si asterrebbe ancora dal
servirlo agli ospiti. Il testo tràdito è stato mantenuto, a mio avviso con
ragione, da Lindsay, Heraeus, SB; in difesa della tradizione manoscritta vd.
Housman 1925, p. 202 (= Class. Pap., p. 1102), che definiva la congettura
putri «foreign to the sense», ricordando come la spiegazione corretta fosse
quella offerta da Rader: «plus apro parcis quam patri»; Salanitro 1984, p.
84. Poco persuasiva l’ipotesi di Helm 1926, col. 88, che ha ricollegato
l’espressione al divieto pitagorico di mangiare fave, azione che, secondo
una variante del precetto, equivale a mangiare la testa dei propri genitori
(cfr. Pyth. fr. 9 D.-K.; Lucian. gall. 4). La paradossalità del verso consiste
proprio nel porre sullo stesso piano la devozione verso il padre e il
rispetto verso l’aper, che anzi è addirittura superiore; il pitagorismo mi
sembra del tutto estraneo alla situazione. Assolutamente infondata infine
l’interpretazione di Schuster 1926, p. 342 sgg.
3. accusas rumpisque cocum: le punizioni corporali per gli schiavi era-
no a Roma una prerogativa del padrone di casa: vd. al riguardo R.P.
Saller, Corporal Punishment, Authority and Oboedience in the Roman
Household, in B. Rawson (ed.), Marriage, Divorce and Children in Ancient
Rome, Canberra 1991, pp. 144-165; K.R. Bradley, Slaves and Masters in
the Roman Empire: a Study in social Control, Oxford 1984/1987; J.H.
Epigramma 13 183

D’Arms, Slaves at the Roman convivia, in W.J. Slater (ed.), Dining in a


Classical Context, Ann Arbor 1991, p. 175. Punizioni corporali del cuoco
sono attestate da Marziale in III 94 cit. nella n. intr.; VIII 23 esse tibi videor
saevus nimiumque gulosus, / qui propter cenam, Rustice, caedo cocum. /
si levis ista tibi flagrorum causa videtur, / ex qua vis causa vapulet ergo
cocus?, in cui Marziale svolge il ruolo del padrone di casa; Laber. mim.
134 cocus, si lumbum adussit, caedetur flagris; Petron. 49, in cui il cuoco
sta per essere frustato per aver dimenticato di exinterare un maiale, ma si
tratta dell’ennesima ‘rappresentazione’ diretta dal padrone di casa, volta a
stupire i suoi convitati. Accuso tamquam è piuttosto raro: cfr. Plin. nat.
XX 219 atriplex … accusatum Pythagorae tamquam faceret hydropicos;
vd. OLD s.v. nr. 1 b; per un analogo uso di tamquam cfr. Iuv. 3, 212
suspectus, tamquam ipse suas incenderit aedes. – rumpisque: sc. flagris;
cfr. Ulp. Dig. 9, 2, 27, 17 rupisse eum utique accipiemus qui vulneraverit,
vel virgis vel loris vel pugnis ceciderit, vel telo vel quo alio ut scinderet
alicui corpus, vel tumorem fecerit, sed ita demum si damnum iniuria
datum est; 47, 10, 9, 3 praesidi offerendus (sc. servus), qui eum flagris
rumpat; 47, 10, 15, 39; vd. OLD, s.v. nr. 8 b. - cocum: il termine fa parte
della sfera quotidiana. In poesia ricorre soltanto una volta in Varrone Men.
e Lucilio; ben 22 volte in Marziale (vd. la n. a 2, 3 culinam), nella cui opera
il cuoco è anche, in metafora, lo scrittore (cfr. IX 81, 3 sg.). – tamquam:
considerato unpoetisch da Axelson 1945, p. 88 sg., ricorre spesso in Ovidio
(28 occorrenze), Marziale (16) e Giovenale (18).
4. attulerit: con il significato di ‘portare in tavola’ (OLD s.v. nr. 3) ricorre
ancora in III 50, 3; Marziale utilizza abitualmente ponere (per cui vd. la n.
a 45, 5). - numquam sic ego crudus ero: la pointe è costituita da un gioco
di parole sull’aggettivo crudus, che, riferito ai cibi, significa ‘crudo’ (v. 3
tamquam omnia cruda attulerit), mentre riferito a una persona significa
indigestus; per questa accezione dell’aggettivo vd. ThlL IV 1235, 44 sgg.;
cfr. IV 49, 4 crude Thyesta (ma per alcuni ‘crudele’: vd. ThlL IV 1236,
31); XII 76, 2 ebrius et crudus. Da escludere l’interpretazione di Perotti
(annotata in v2), che integra le parole conclusive di Marziale con: «ut per
iniuriam cocum castigem».
184 M. Val. Martialis liber tertius

14

Romam petebat esuritor Tuccius


profectus ex Hispania.
Occurrit illi sportularum fabula:
a ponte rediit Mulvio.

tit. de tuccio LPf : de titio Q 1 esuritor tuccius LPX: esuritor tuctius f² esuritor ducius f¹
esuritor ticcius Q² exuritor ticcius Q¹ esurit orto cocius EA esuritorco cocius V 3 fabula
: fabulla 4 a ponte EA: ad ponte X ad pontem V rediit Qlv1 ed. Rom. 1 ed. Ven.
ed. Ald.: redit LPf mulvio Lf¹ : milvio PQf²

Si dirigeva a Roma l’affamato Tuccio


partito dalla Spagna.
Lo raggiunse la voce delle sportule:
ritornò indietro da ponte Milvio.

Secondo epigramma del libro dedicato al tema dell’abolizione della


sportula (per cui vd. la n. intr. all’epigr. 7). L’affamato Tuccio, conterraneo
del poeta, si dirige a Roma nella speranza di diventare cliente di qualche
ricco signore, ma, raggiunto dalla notizia della eliminazione delle sportulae,
se ne torna mestamente indietro.
La sportula appare qui come l’unico mezzo di sostentamento a Roma
per un indigente (cfr. anche epigr. 30). Marziale si limita a rappresentare,
astenendosi da qualsiasi commento, una situazione che il provvedimento di
Domiziano doveva aver reso non infrequente. Il nome Tuccius ricorre in
Marziale soltanto in questo epigramma e, solo nei codici della famiglia , in
V 4, 1 (dove però è senz’altro corretto il nome femminile Myrtale di ; cfr. vv.
3 hanc ; 6 Myrtale ; sulla variante vd. Schmid 1984, pp. 418-420). Esso
compare in un’ottantina di iscrizioni a Roma (vd. RE VII A 1, 766 sgg.).
Il metro è un sistema epodico giambico: un distico formato da un trimetro
giambico e da un dimetro giambico. Tale forma metrica, introdotta nella
letteratura latina da Orazio in epod. 1-10, risale ad Archiloco (fr. 172-181);
vd. anche Hipp. fr. 118 West; [Verg.] Catal. 13. Marziale lo utilizza anche
in I 49; IX 77; XI 59; cfr. anche I 61 (scazonte + dimetro giambico);
sull’uso di Marziale vd. Giarratano 1908, p. 72 sg.
Epigramma 14 185

1. Romam: la meta agognata da Tuccio; il sostantivo è significativamente


collocato in apertura di epigramma, come in III 4, 1 Romam vade,
liber. – esuritor: il sostantivo, formato dal verbo esurio, è hapax nella
letteratura latina (in Marziale compare esuriens in IX 80,1; XIV 204, 2).
La forma associa comicamente il suffisso –tor a un verbo che designa non
un’attività, bensì uno stato e qualifica Tuccio come una sorta di ‘affamato
di professione’. Si tratta probabilmente di un neologismo di Marziale, che
mostra una particolare predilezione per il suffisso –tor (vd. Watson 2002,
p. 243 sg.): cfr., ad es., I 41, 3 ambulator (molto raro; in poesia attestato
solo in M.); 70, 18 salutator (in poesia solo in M.); III 82, 16 sciscitator
(molto raro; M. ne offre la prima attestazione); X 4, 4 dormitor (hapax);
XI 39, 1 motor (in poesia nel solo M.); XI 98, 1 basiator (solo in M. e nei
glossari); XIV 54, 1 plorator (hapax).
2. profectus ex Hispania: la scelta del luogo di provenienza è senz’altro
significativa (Citroni 1987, p. 143), anche se non ci vedrei un riferimento
autobiografico (vd., ad es., Merli 1998, p. 145 n. 24): Marziale, che a Roma
era entrato in stretto contatto con la prominente famiglia degli Annei,
non era certo mai stato un esuritor. Avrà influito sulla scelta anche la
notevole lontananza da Roma della Spagna, messa in risalto dalla studiata
collocazione dei due nomi (l’uno come incipit d’epigramma, l’altro nella
chiusa del v. 2), che rende la decisione finale del protagonista ancora più
amara.
3. occurrit: senza altre specificazioni il verbo sottintende in genere
animo, menti, oculis (vd. ThlL IX 2 396, 81-397, 22); qui bisogna intendere
auribus. - sportularum fabula: la notizia dell’abolizione della sportula (cfr.
epigr. 7).
4. a ponte rediit Mulvio: la coordinazione asindetica con il v. 3 evidenzia
la rapidità della decisione del protagonista e contribuisce a conferire all’epi-
gramma un tono di amara comicità. Il ponte Milvio, poco più a nord del
Mausoleo di Augusto, costituiva l’accesso a Roma per chi giungeva da nord
attraverso la via Flaminia (vd. Platner-Ashby, s.v.). L’indigente Tuccio aveva
dunque compiuto il viaggio per via di terra. Il ponte è nominato ancora
da Marziale in IV 64, 23 cum sit tam prope Mulvius. Il verso presenta un
tribraco in seconda sede; in Marziale vi sono altri tre esempi (I 49, 34; 61,
8. 10) su un totale di appena 34 dimetri; in Orazio l’unico caso è in epod.
2, 62.
186 M. Val. Martialis liber tertius

15

Plus credit nemo tota quam Cordus in urbe.


‘Cum sit tam pauper, quomodo?’ Caecus amat.

tit. de cordo 1 plus L²f²s.l. : plos L¹PQf ¹ credit : credet tota quam Gc: quam
tota cordus LPQf²s.l. : cordum f¹ codrus Chbkvv1v2 ed. Rom. 1 ed. Ven. ed. Rom.
2 ed. Ald.

Nessuno in tutta la città fa più credito di Cordo.


«In che modo, visto che è tanto povero?». Ama ciecamente.

L’epigramma prende di mira ancora un amante accecato dalla passione


(sul tipo vd. la n. intr. all’epigr. 8). La pointe è giocata sul doppio senso
del verbo credere, che può significare ‘prestare denaro’ e ‘credere, avere
fiducia’ (per altri esempi di questo genere in Marziale vd. Gerlach 1911, p.
14 sg.). La narratio del v. 1 induce a pensare a un ricco che presta dena-
ro. Da qui scaturisce il quesito di un interlocutore fittizio (‘cum sit tam
pauper, quomodo?’), che consente al poeta l’arguzia conclusiva: Cordo
ama ciecamente e dunque crede, ha fiducia completa in ciò che gli dice la
sua innamorata.
Il nome Cordus, abbastanza comune a Roma (vd. ThlL onom. II 595,
75-596, 50), ricorre in Marziale anche in II 57; III 83; V 23; 26. In II 57, V
23 e 26 si tratta di un conoscente del poeta (cfr. V 23, 8 meus … Cordus),
dalle scarse risorse economiche (non possiede il censo equestre: cfr. V
23, 7 sg.), ma che ama vestire con eleganza (Marziale lo definisce alpha
paenulatorum in II 57, 4; V 26, 1). In questo epigramma è probabile si
tratti di un nome fittizio. Cordus ricorre anche in Iuv. 1, 2 (poeta autore
di una Teseide); 3, 203. 208 (un povero). In entrambi i casi la tradizione
di Giovenale attesta anche la variante Codrus, preferita da alcuni editori
nei passi della terza Satira (a favore di Cordus vd. J.G. Griffith, «CR»
1, 1951, p. 139; Courtney, pp. 84; 182; S. Grazzini, «Maia» 47, 1995, p.
38 sgg.). Codrus, diffuso nella vulgata umanistica, era stato accolto in
questo epigramma da Schneidewin1, ma poi abbandonato per Cordus in
Schneidewin2.
Epigramma 15 187

1. credit: il gioco di parole sul doppio senso del verbo credere si trova già
in Plaut. Curc. 540 sgg. LY. nec tu quidem umquam subiges redditum ut
reddam tibi, / nec daturus sum. TH. idem ego istuc, quom credebam credidi,
/ te nil esse redditurum; Sen. suas. VII 5 credamus Antonio, Cicero, si bene
illi pecunias crediderunt faeneratores; cfr. anche Cic. Att. I 16, 10; VI 2, 3;
fam. VII 27, 1. – nemo tota … in urbe: il ricercato accostamento nemo tota
mette in risalto l’eccezionalità del personaggio e prelude al capovolgimento
finale. Marziale utilizza il nesso tota in urbe in altri epigrammi satirici, al fine
di amplificare l’effetto comico: cfr. I 73, 1; II 72, 6; IV 84, 1; XII 38, 2; sull’uso
del nesso in relazione alla circolazione di poesia diffamatoria vd. Fabbrini
2002, pp. 543-556. L’ordo verborum conservato soltanto da Gc (tota quam)
appare nettamente preferibile a quello del resto della tradizione (quam tota)
per via della cosiddetta ‘legge di Marx’, che sancisce il divieto di porre un
monosillabo tra cesura pentemimere e parola spondaica (vd. Marx 1922, pp.
198; 210 sgg.). La lezione di Gc, sostenuta da Gilbert 1884, p. 516 e accolta
nella sua edizione, è stata successivamente preferita da tutti gli editori. Sulla
legge di Marx vd. anche H. Drexler, Einführung in die römische Metrik,
Darmstadt 1967, p. 99; J. Hellegouarc’h, Le monosyllabe dans l’hexamètre
latin. Essai de métrique verbale, Paris 1964, p. 106 sgg.; Id., Les yeux de
la marquise…Quelques observations sur les commutations verbales dans
l’hexamètre latin, «REL» 65, 1987, pp. 261-281; L. De Neubourg, La base
métrique de la localisation des mots dans l’hexamètre latin, Bruxelles 1986,
p. 128 sgg. La stessa incertezza sull’ordo verborum presentano i codici di
Marziale in altri casi: cfr., ad es., I 92, 5 sed si nec focus est nudi nec sponda
grabati (nec nudi T); III 36, 3 horridus ut primo semper te mane salutem
( ; te semper ); 65, 3 vinea quod primis floret cum cana racemis ( ; cum
floret T ); VII 21, 1 haec est illa dies, magni quae conscia partus ( ; quae
magni R ).
2. ‘Cum sit tam pauper, quomodo?’: l’intervento di un interlocutore fittizio,
che riproduce una situazione dialogica, è un tratto frequente negli epigrammi
di Marziale e prepara spesso, come in questo caso, la pointe (vd. Siedschlag
1977, p. 26 sg.): cfr., ad es., I 10, 4; II 11, 10; 17, 5; 28, 5; 49, 2; 56, 4; III 84,
2; IV 53, 8; 71, 5 sg.; 77, 4; 84, 4; 85, 1; V 43, 2; VI 77, 9; IX 4, 4; 22, 16; X
74, 12. – Caecus amat: l’amante accecato dalla passione crede a tutto ciò che
gli dice l’amata: cfr. Petron. 37, 5 mero meridie si dixerit illi (sc. Fortunata
Trimalchioni) tenebras esse credet. L’arguzia dell’epigramma si perde se si
interpreta caecus in senso proprio (come, ad es., Burger, in ThlL III 42, 47).
188 M. Val. Martialis liber tertius

16

Das gladiatores, sutorum regule, Cerdo,


quodque tibi tribuit subula, sica rapit.
Ebrius es: neque enim faceres hoc sobrius umquam,
ut velles corio ludere, Cerdo, tuo.
Lusisti corio: sed te, mihi crede, memento 5
nunc in pellicula, Cerdo, tenere tua.

hab. R tit. ad cerdonem R 1 das gladiatores RLPf : da gladiatorem Q Cerdo


Crusius (et in vv. 4. 6; item in 59, 1 et 99, 1): cerdo R EA²XV credo A¹ 2 tribuit
R XV²: tribui EAV¹ sica rapit LP²fEAX: sicca rapit RP¹QV 3 enim faceres hoc sobrius
RPf² : enim faceres haec sobrius Q enim hoc faceres sobrius f¹ hoc mihi faceres sobrius
L 4 cerdo : cerde R 5 corio REAXV¹: satis est V² te : tu R 6 nunc R EAV:
hunc X in pellicula PQf : impellicula L in pellicola R

Offri uno spettacolo gladiatorio, o Cerdone, reuccio dei calzolai,


e quanto ti ha dato la lesina, te lo strappa la daga.
Sei ubriaco: infatti non potresti mai far questo da sobrio,
voler giocare, o Cerdone, con la tua pelle.
Hai giocato con la pelle: ma ora, credimi, ricordati 5
di stare nella tua pelluccia, o Cerdone.

L’epigramma prende di mira Cerdone (sul nome parlante vd. infra),


ciabattino arricchito, che ha offerto uno spettacolo gladiatorio a Bologna
(la città è nominata in III 59, 1 sutor Cerdo dedit tibi, culta Bononia,
munus). Marziale lo invita a stare nei propri limiti.
La satira contro il tipo del parvenu ha celebri precedenti nella
letteratura greco-latina: dal anacreonteo (fr. 54 D.
= 82 G.) all’anonimo tribunus militum dell’Epodo quarto di Orazio, fino
al Trimalchione di Petronio. In questo caso all’origine dell’aggressione
satirica sta il disprezzo degli intellettuali greci e romani verso le arti
banausiche: indegne di essere svolte da un uomo di nascita libera, esse
imprimono sull’individuo un marchio indelebile. A ciò si aggiunge, da
parte di Marziale, l’amarezza di chi ritiene poco riconosciuta la propria
arte, diversamente da quanto accadeva in passato, e vede, di contro, per-
sone prive di gusto e di educazione raggiungere ricchezze e onori (vd. la
Epigramma 16 189

n. a 4, 7 sg.). Il motivo è tra i più presenti nella produzione di Marziale:


tra i personaggi oggetto di satira la figura dominante, presente nell’arco di
quasi tutta l’opera di Marziale, è Zoilo (cfr. II 16; 19; 42; 58; 81; III 29; 82;
IV 77; V 79; VI 91; XI 12; 30; 37; 54; 85; 92; XII 54), del quale sono state
sottolineate puntuali somiglianze con il Trimalchione petroniano (vd. la n.
intr. all’epigr. 82; Colton 1982). Un ciabattino arricchito è ancora oggetto
di satira in IX 73 (su cui vd. Parroni 1979).
Mentre a Roma in questa età non era consentito che un privato offrisse
un munus gladiatorio, in provincia ciò avveniva di frequente (vd. Ville
1981, pp. 161 sgg.; 200 sgg.; Mosci Sassi 1992, p. 39 sgg.). Il divieto tuttavia
non doveva essere rispettato completamente, come mostra Iuv. 3, 34
sgg. quondam hi cornicines et municipalis harenae / perpetui comites
notaeque per oppida buccae; / munera nunc edunt et, verso pollice vulgus
/ cum iubet, occidunt populariter. Era celebre il caso del sutor Vatinio,
arricchitosi durante il principato di Nerone facendo il delatore, che aveva
offerto a Benevento, sua città d’origine, un munus gladiatorio (cfr. Tac.
ann. XV 34; in Marziale Vatinio è ricordato per le coppe che portavano
il suo nome in X 3, 4; XIV 96; vd. anche Iuv. 5, 46 sg.). Uno spettacolo
gladiatorio offerto da un certo Atilio, libertini generis, a Fidene sotto
il regno Tiberio (27 d.C.), si concluse in tragedia poiché l’anfiteatro che
Atilio aveva fatto costruire, privo di basi solide, crollò sotto il peso della
folla, provocando una strage. Atilio fu esiliato e un decreto del senato
stabilì che non potesse offrire spettacoli gladiatori chi aveva una rendita
inferiore a 400000 sesterzi e che non si costruissero anfiteatri se non su
terreni di provata solidità (il racconto in Tac. ann. IV 62 sg.).
L’epigramma è uno tra i pochi del libro che prendono spunto dall’ambiente
cispadano (vd. l’Introduzione, p. 61 sg.). Nell’epigr. 59 Marziale menziona
nuovamente la vicenda del sutor, affiancandola a un altro caso di evergetismo
a opera di un fullo a Modena. Nell’epigr. 99 del libro Marziale replica all’ira
del sutor per essere stato preso a bersaglio da questo epigramma.
Cerdo è nome parlante (dal greco , ‘guadagno’). è
attestato come nome proprio di schiavi o artigiani: cfr. Ps. Dem. 53, 19;
Euphro, fr. 9, 7 K.-A. (apud Athen. IX 377 D); ricorre in un frammento
comico (P.S.I. 99) attribuibile all’Encheiridion di Menandro (vd. D. Del
Corno, «PP» 23, 1968, pp. 306-308). Nei mimiambi di Eroda ,
citato in 6, 48 e protagonista del componimento 7, è uno ; vd.
inoltre Fraser-Matthews, I, p. 254; II, p. 257; III A, p. 240. In ambito latino
190 M. Val. Martialis liber tertius

il nome è diffuso per schiavi e liberti (cfr. CIL VI 44; 200; 4327; 36245;
vd. ThlL onom. II 335, 26 sgg.); ricorre nel titolo di una fabula di Novio
(Bubulcus Cerdo) in Non. p. 89, 26 M.; in Petron. 60, 8 Cerdo è uno dei
Lari di Trimalchione (gli altri due sono Felicio e Lucrio); in Apul. met.
II 13 è il nome di un negotiator. Cerdo è anche attestato come nome
comune nell’accezione di ‘persona di infimo grado sociale’, ‘plebeo’: cfr.
Pers. 4, 51 respue quod non es; tollat sua munera cerdo; Iuv. 4, 153 sg. sed
periit postquam cerdonibus esse timendus / coeperat; 8, 181 sg. quae /
turpia cerdoni, Volesos Brutumque decebunt?; CGL V 653, 34 cerdones:
pauperes infimi; 494, 27 certones (sic): vulgares; Schol. Iuv. 4, 153 cerdo
est proprie turpis lucri cupidus; 8, 181 sg. cerdoni. graece dixit turpem
vulgarem lucri cupidum; Schol. Pers. 4, 51 per cerdonem plebeiam turbam
significat. ita populus dictus, , id est a lucro. Tuttavia
che qui si tratti di nome proprio (come in 59, 1; 99, 1), come proposto da
Crusius, p. 150, è assicurato dal fatto che è accompagnato da apposizione,
sia qui (1 sutorum regule) che in 59, 1 (sutor); sulla questione vd. Van
Wageningen 1912, p. 147 sgg. Cerdo come nome proprio si è affermato
nelle edizioni di Marziale a partire da Heraeus.

1. Das: dare è comunemente usato in relazione agli spettacoli pubblici


nel senso di edere: cfr. III 59, 1 sg. sutor Cerdo dedit tibi, culta Bononia,
munus, / fullo dedit Mutinae. nunc ubi copo dabit?; vd. ThlL V 1,
1677, 65 sgg. – gladiatores: metonimia comune per ludi gladiatorii, la
cui prima attestazione si trova in Ter. Hec. 40 datum iri gladiatores (vd.
ThlL VI 2, 2007, 84 sgg.; Mosci Sassi 1992, p. 106 sg.). – sutorum regule:
l’ipocoristico ha valenza dispregiativa (cfr. v. 6 pellicula). Sull’ampio
uso della Umgangssprache di diminutivi vd. Hofmann, LU, p. 297 sgg.;
Hofmann-Szantyr, p. 772 sgg. È noto il ruolo svolto dai neoterici e da
Catullo nell’introduzione dei diminutivi nella lingua poetica latina (vd.
Lunelli 1969, p. 167 sg.; Ronconi 1971, pp. 87-130). Sull’uso di Marziale
vd. Watson 2002, p. 239 sgg.
2. subula: termine tecnico, che offre ovviamente poche attestazioni
letterarie (cfr. Sen. epist. 82, 24; 85, 1; Apul. flor. 9; vd. V. Chapot, s.v.
sutor, in Daremberg-Saglio IV 2, p. 1570 sgg.). In poesia ricorre soltanto
qui. – sica: si tratta di una spada corta, con la lama ricurva, arma delle
popolazioni tracio-illiriche e, di conseguenza, dei gladiatori chiamati
Thraeces (vd. A.J. Reinach, s.v. sica, in Daremberg-Saglio IV 2, p. 1300 sg.;
Epigramma 16 191

G. Lafaye, s.v. gladiator, in Daremberg-Saglio II 2, p. 1587; Mosci Sassi


1992, ss.vv. sica, Thraex). Da sica deriva sicarius: cfr. Isid. orig. XVIII 6,
8 sica a secando dicta est. est enim gladius brevis, quo maxime utuntur
qui apud Italos latrocinia exercent; a quo et sicarii dicti sunt. Qui indica,
con efficace metonimia che ne mette in rilievo la crudezza, i ludi gladiatori
(vd. anche la n. a 99, 4 iugulare). La menzione degli strumenti di lavoro
del sutor e del gladiator, disposti a chiasmo con i verbi (tribuit subula sica
rapit) serve a Marziale per evidenziare la spregevolezza del personaggio,
che trae le sue ricchezze da uno strumento umile e le dissipa con uno
strumento di morte. – rapit: nel verbo è insita una condanna morale per
un tale uso del denaro: cfr. VII 32, 6 et rapit immeritas sordidus unctor
opes.
3. ebrius es: equivale a insanis, insanus es: cfr. Plaut. Men. 373 aut insana
aut ebria est; Varro Men. 60 ebrius es, Marce, Odyssian enim Homeri
ruminari incipis, cum scripturum te Seio receperis.
4. corio ludere … tuo: espressione proverbiale che significa ‘giocare sulla
propria pelle’ ovvero ‘rischiare in prima persona’ (vd. Otto, Sprichwörter,
s.v. corium, p. 92; Tosi 1994, nr. 1600); vi allude scherzosamente Tert.
pall. 3 hoc soli chamaeleonti datum, quod vulgo dictum est, de corio suo
ludere (l’opposto è in Apul. met. VII 11 re vera ludis de alieno corio;
cfr. anche VII 15 panem sibi quisque de meo parabat corio; Hier. epist.
54, 5 cave nutrices et gerulas et istius modi venenata animalia, quae
de corio tuo saturari ventrem suum cupiunt). In questo caso il corium
è anche la materia del lavoro del sutor, che gli ha consentito di ludere,
ovvero ludos gladiatorios edere (cfr. Adnot. Lucan. V 402 ludi luduntur a
consule; vd. ThlL VII 2, 1773, 61 sgg.). Marziale gioca con l’ambivalenza
dell’espressione (anche nel verso seguente: lusisti corio). Corium, termine
tratto dalla sfera quotidiana, ricorre raramente in poesia (Lucrezio, Virgilio
georg., Orazio sat., Fedro, Giovenale).
5. Lusisti corio: anche qui, come nel verso precedente, l’espressione va
letta nei due sensi (vd. la n. al v. 4). L’insistenza di Marziale sugli stru-
menti di lavoro del sutor (subula, corium) mette in evidenza l’umiltà del
personaggio e prelude alla conclusione, ancora allusiva al mestiere di
sutor; cfr. anche IX 73, 1-4 dentibus antiquam solitus producere pelles /
et mordere luto putre vetusque solum, / Praenestina tenes decepti regna
patroni, / in quibus indignor si tibi cella fuit. Lusisti corio, tramandato da
REAXV1, è pertanto senz’altro preferibile a lusisti satis est di V2, frutto
192 M. Val. Martialis liber tertius

forse di interpolazione da VI 45, 1 lusistis, satis est: lascivi nubite cunni;


cfr. anche V 16, 13 ‘belle’ inquis ‘dixti: iuvat et laudabimus usque.’ (iuvat
et edd. vivat et T satis est satis ). Lusisti satis est appare espressione
decisamente scialba, che mal si lega con l’avversativa seguente. – mihi
crede: su questo inciso vedi la n. a 5, 3. – memento: l’uso di memento con
l’infinito è attestato a partire da Plauto e ricorre specialmente nella prosa
epistolare (cfr. Cic. Att. V 9, 2; Sen. epist. 24, 12; Plin. epist. V 16, 10) e
in poesia, per lo più con tono didascalico (cfr. Lucr. II 66; Verg. ecl. 3, 7;
georg. II 259; Aen. II 549; VI 851; Hor. carm. I 7, 17 sg.; II 3, 1 sg.; 17,
31; III 29, 32 sg.; Tib. I 8, 27; Prop. II 13, 39; 19, 27; 25, 33; Ov. am. I 12,
5; ars II 201; epist. 13, 67; met. XIV 724; rem. 217; trist. I 1, 49; III 11,
29); vd. Hofmann-Szantyr, p. 356. Nell’esametro occupa sempre la fine di
verso (spesso immediatamente preceduto dall’infinito): vd. E. Zinn, Die
Praeposition ‘apud’ in der hexametrischen Poesie, «Philologus» 94, 1941,
p. 293 sg. In Marziale ricorre sempre in fine di verso: cfr. VIII 59, 5; XIV
20 (19), 1 (esametri); VII 89, 4; XI 15, 11 (faleci). Con questa espressione,
rafforzata dall’inciso mihi crede, Marziale, dalla posizione di superiorità
garantitagli dalla sua condizione sociale, ammonisce il sutor.
5 sg. te … / … in pellicula … tenere tua: ancora un’espressione
proverbiale (vd. Otto, Sprichwörter, s.v. pellis, p. 272; Tosi 1994, nr.
541) che corrisponde a ‘tenersi nei propri limiti’. La sua origine va forse
rinvenuta nella favola della rana, che per il desiderio di diventare grande
come un bue, si gonfiò fino a scoppiare (cfr. Phaedr. I 24; Hor. sat. II 3,
314-320; Mart. X 79, 9). Con questa locuzione Orazio esprime la critica che
subirebbe nell’eventualità che lui, libertino patre natus, aspirasse a cariche
di rilievo: quoniam in propria pelle non quiessem (sat. I 6, 22; cfr. lo scolio
di Porfirione: ex proverbio sumptum est; eos namque qui mediocritatis suae
obliti maiora se ipsis adpetunt, solemus dicere non continere <se> intra
pelliculam suam). Lo stesso concetto è espresso in altre forme proverbiali:
cfr., ad es., Ov. trist. III 4, 25 sg. intra / Fortunam debet quisque manere
suam con il commento di Luck; Tosi 1994, nrr. 542; 543. Marziale mette in
risalto le espressioni proverbiali attraverso la loro collocazione al principio
o alla fine dell’epigramma, secondo un uso catulliano: cfr. I 27, 7; II 43, 1.
16; Catull. 70, 4; 93, 2; 94, 2. Anche qui, come nei vv. 4-5, agisce il doppio
senso: il ciabattino deve ‘rimanere nella sua pelle’, dunque nei suoi limiti,
ma anche nella pelle che lavora (il disprezzo per i sutores traspare anche
da un’altra nota forma proverbiale, ne sutor ultra crepidam, che invita a
Epigramma 16 193

tenersi nei propri limiti, a non giudicare oltre le proprie competenze: vd.
Tosi 1994, nr. 543). Il diminutivo pellicula, che in poesia ricorre solo nei
satirici, ha valore dispregiativo (vd. Hanssen 1951, p. 146; ThlL X 1, 1000,
67 sgg.; cfr. anche v. 1 regule; 9, 1 versiculos): così in Hor. sat. II 5, 37
sg. ire domum atque / pelliculam curare iube; Iuv. 1, 10 sg. unde alius
furtivae devehat aurum / pelliculae.
194 M. Val. Martialis liber tertius

17

Circumlata diu mensis scribilita secundis


urebat nimio saeva calore manus;
sed magis ardebat Sabidi gula: protinus ergo
sufflavit buccis terque quaterque suis.
Illa quidem tepuit digitosque admittere visa est, 5
sed nemo potuit tangere: merda fuit.

hab. R tit. de sabidio LQf : de sabido R de sabino P 1 circumlata RLPQf¹ : circumiacta


f²s.l. diu mensis R : dimensis scribilita v2² Goetz et Loewe in praef. ed. Plauti
Poen. p. XXV: scriblita V²in mg. Calderini ed. Ald. 1501 scribit ita AXV¹v2¹ scripsit ita E
inscripta R² incripta R¹ secundis R XV: secundus EA 3 sabidi gula LQ²fXV: sabidi
guila EA sabidicula R sabido gula Q¹ sabida gula P 4 sufflavit buccis RLPfV²s.l.: sufflabit
buccis EAXV¹ buccis sufflavit Q 5 admittere R V²: amittere EAXV¹

Una focaccia, a lungo fatta passare in giro con le ultime portate,


bruciava terribilmente le mani per l’eccessivo calore;
ma era più ardente la gola di Sabidio: subito dunque
vi soffiò ripetutamente con la bocca.
Quella divenne tiepida e parve che si potesse prendere in mano, 5
ma nessuno poté toccarla: era merda.

Sabidio, soffiando sopra una focaccia per raffreddarla, la rende immangiabile.


Il personaggio è probabilmente impurus ore e per gli antichi il cattivo alito era
fra le spiacevoli conseguenze del sesso orale, pratica considerata moralmente
riprovevole (vd. Richlin 1992, p. 26 sgg.; Obermayer 1998, pp. 214-231). Il
motivo ricorre in Catullo (79; 80; 88, 8; 97; 98) e in numerosi epigrammi di
Marziale. Spesso proprio il cattivo odore della bocca di un personaggio (oppure
l’uso eccessivo di profumi per eliminarlo) è l’elemento attraverso il quale il poeta
ne rivela le turpi pratiche sessuali: cfr., ad es., I 83; II 10; 12; 15; 21; 42; III 28;
77; IV 39; VI 44; 55; XI 30; 95; XII 85. Presenta una pointe simile a quella di
questo epigramma VII 94 unguentum fuerat quod onyx modo parva gerebat:
/ olfecit postquam Papylus, ecce, garumst, dove il profumo (che lascia pensare
a una situazione conviviale: vd. la n. intr. all’epigr. 12), dopo l’intervento di
Papilo, diviene garum (vd. anche l’epigr. 28 di questo libro). In entrambi i casi
Marziale realizza la pointe in modo allusivo, lasciando al lettore il compito di
Epigramma 17 195

individuare l’origine del cattivo alito dei due personaggi. Un precedente per
questi epigrammi è costituito, come rilevato da Citroni 1985, p. 189, da AP XI
240 di Lucillio:
.
Il nome Sabidius, qui con ogni probabilità fittizio, ricorre anche in I 32 non
amo te, Sabidi, nec possum dicere quare: / hoc tantum possum dicere, non
amo te, che allude probabilmente al c. 85 di Catullo; poco convincente l’ipotesi,
suggerita anche dalla presunta identità con il protagonista di questo epigramma,
che Marziale alluda a un vizio di Sabidio così spregevole da non potersi dire
o alla mancanza di parole adeguate ad esprimere il suo disgusto (nec possum
dicere quare; per questa interpretazione vd. Jocelyn 1981, p. 278 sg.).

1. mensis … secundis: le mensae secundae erano costituite da frutta o


dolci (vd. Marquardt 1886, p. 326 sgg.): cfr. V 78, 11-15 mensae munera
si voles secundae, / marcentes tibi porrigentur uvae / et nomen pira quae
ferunt Syrorum, / et quas docta Neapolis creavit, / lento castaneae vapore
tostae; Varro rust. III 16, 5 mel ad principia convivii et in secundam
mensam administratur; inoltre Verg. Aen. VIII 283; Hor. sat. I 3, 6 sg.;
II 2, 121 sg.; Ov. met. VIII 673; IX 91 sg.; Petron. 68, 1. 2. La iunctura
ricorre nella stessa posizione metrica in Verg. georg. II 101. In Marziale
cfr. anche III 50, 6 tertius est (sc. liber) nec adhuc mensa secunda venit.
– scribilita: congettura certa di Goetz e Loewe nella praefatio all’edizione
del Poenulus (Lipsiae 1884, p. XXV); scribilita si legge però già in v2²,
affiancata dall’annotazione di Perotti: «scribilita genus edulii est instar
placentae. Vide Catonem» (sorptita reca però l’ed. Rom. 2; la correzione nel
manoscritto potrebbe pertanto essere successiva alla stampa). Scribitilla
leggeva invece Domizio Calderini nella nota dei Commentarii, che, negli
addenda posti alla fine della stampa del 1474, modificò in scriblita (vd.
Campanelli 2001, p. 58 sg. n. 75). I codici medievali tramandano scribit
ita (AXV; scripsit ita è errore singolare di E) e inscripta (R² ). Proprio
la lezione di AXV (senz’altro nell’archetipo della famiglia) rende la forma
scribilita più probabile dell’altra, pur attestata e accettabile metricamente,
scriblita (preferita da Friedlaender e Gilbert). Si tratta di una focaccia con
formaggio: cfr. Cato agr. 78 scriblitam sic facito: in balteo, tractis, caseo
ad eundem modum facito uti placentam, sine melle, coquitoque; poteva
essere servita fredda con del miele caldo versato sopra (Petron. 66, 3). Il
vocabolo è piuttosto raro: ricorre ancora in Plaut. Poen. prol. 43 nunc dum
196 M. Val. Martialis liber tertius

scribilitae aestuant, occurrite; Petron. 35, 4; 66, 3 bis (nelle occorrenze


petroniane il Traguriensis [H] tramanda sciribillita in 35, 4 e sciribilita in
66, 3 bis, che gli editori hanno variamente corretto); scribilitarius ricorre
in Afran. 161 p. 184 R. pistori nubat? cur non scribilitario…? (= Non.
131, 24 M.).
2. nimio … calore: il nesso ricorre in IX 90, 9 infamem nimio calore
Cypron.
3. ardebat … gula: gula nell’accezione metonimica di ‘voracità’ è frequente
in Marziale: cfr. I 20, 3; II 40, 8; V 50, 6; 70, 5; VII 20 ,18; XI 86, 6; XIII 62, 2;
XIV 220, 2; vd. ThlL VI 2, 2356, 5-2357, 11. Il vocabolo è evitato nell’epica;
ricorre in Plauto e Lucilio, ma non in Terenzio; compare una sola volta in
Properzio e Ovidio, 3 in Orazio (2 nelle Satire; 1 nelle Epistole). Marziale e
Giovenale ne fanno un ampio uso (12 e 6 occorrenze rispettivamente); vd.
Tränkle 1960, p. 119. La metafora che associa la gula al fuoco, la cui fiamma
consuma tutto incessantemente, ricorre in Ovidio a proposito di Erisittone:
cfr. met. VIII 845 sg. implacatae … vigebat / flamma gulae; VIII 828
furit ardor edendi; cfr. anche Aug. doctr. christ. III 12, 19 foedissima gulae
flamma. Ardeo ha spesso valore traslato, ma mai riferito alla gola (vd. ThlL
II 484, 69 sgg.).
4. sufflavit: il verbo appartiene alla Umgangssprache; ricorre in Plauto,
Varrone Men., Orazio sat., Persio, Petronio, Plinio nat. Il suo ampio utilizzo
nel latino cristiano prelude all’esito romanzo. – buccis … suis: si tratta di un
vocabolo tipicamente familiare; in poesia ricorre più volte in Plauto e nei
satirici; in Marziale 9 volte (2 nel senso di ‘boccone’). – terque quaterque: il
nesso è frequentissimo in poesia per indicare ‘più volte’; in Marziale compare
in I 52, 8; 103, 6; VI 93, 10; X 1, 3; 11, 6; cfr. anche bis terque in V 14, 3; VI
64,15; IX 6 (7), 3; bis terque quaterque in VI 66, 7; ter quater in X 56, 2.
5. digitos admittere visa est: il nesso digitos admittere ricorre in Ov. am.
I 4, 37 nec sinus admittat digitos, in una serie di prescrizioni che il poeta
dà alla sua amante per quando si troverà al banchetto insieme a suo marito,
cui non dovrà concedersi in nulla (v. 14 sgg.).
6. merda: l’uso è metaforico e precorre quello familiare delle lingue
moderne (ad es.: fr. c’était de la merde; ingl. it was a shit): vd. Adams,
LSV, p. 233 sg. Il termine, per la sua forte volgarità, è attestato raramente
in ambito letterario: una volta in Orazio sat. e Fedro. In Marziale si trova,
oltre che qui, solo in I 83, 2. In entrambi i casi la collocazione nella chiusa
accresce la forza dell’invettiva (anche in I 83 si tratta di una fellatrix).
Epigramma 18 197

18

Perfrixisse tuas questa est praefatio fauces.


Cum te excusaris, Maxime, quid recitas?

hab. T cum 19 confl. Q tit. ad maximum LPf : de maximo T de maximio Q² de ursa


Q¹ (ad 19 pertinens) 1 perfrixisse TLPQE, f²ut vid.: perfrinxisse XV perfixisse Af¹ est
TLPQ : es f praefatio : praefaco T 2 excusaris V²: excussare T exuraris EAXV¹
recitas TLPf : facias Q

Nella premessa ti sei lamentato di aver preso il mal di gola.


Dopo che ti sei scusato, o Massimo, perché reciti?

Sebbene lamenti un mal di gola, Massimo non rinuncia alla sua recitatio.
La moda delle recitazioni, introdotta a Roma da Asinio Pollione (cfr. Sen.
contr. IV 2), è uno dei temi preferiti dai satirici: cfr. Hor. sat. I 4, 22 sgg.
cum mea nemo / scripta legat, volgo recitare timentis ob hanc rem /
quod sunt quos genus hoc minime iuvat; 4, 73 sg. nec recito cuiquam nisi
amicis, idque coactus, / non ubivis coramve quibuslibet; Pers. 1 passim; il
motivo è ricorrente in Giovenale: cfr. 1, 1 sgg. semper ego auditor tantum?
numquamne reponam / vexatus totiens rauci Theseide Cordi? / inpune
ergo mihi recitaverit ille togatas, / hic elegos eqs.; 3, 6 sgg. nam quid tam
miserum, tam solum vidimus, ut non / deterius credas horrere incendia,
lapsus / tectorum assiduos ac mille pericula saevae / urbis et Augusto
recitantes mense poetas?; 7, 82-87, dove, secondo l’interpretazione di V.
Tandoi (Il ricordo di Stazio ‘dolce poeta’ nella Sat. VII di Giovenale, «Maia»
21, 1969, pp. 103-122 = Tandoi 1992, pp. 802-817), Giovenale accusa con
tono sarcastico l’asservimento di Stazio ai gusti deteriori del pubblico delle
recitationes. Plinio il Giovane fornisce ulteriori testimonianze sulla grande
diffusione di recitationes a Roma, ma, diversamente dai satirici, mostra
soddisfazione per l’alto numero di persone dedite alla poesia, si lamenta
dello scarso successo delle recitazioni, cui egli partecipa assiduamente,
recita egli stesso le proprie composizioni (cfr. epist. I 13; III 10; 18; V
3; 12; VIII 21). Marziale, che pure ne era un frequentatore (cfr. X 70, 10
auditur toto saepe poeta die), schernisce in vari epigrammi la pratica delle
recitationes e quei poetastri che non possono fare a meno di recitare: cfr.
198 M. Val. Martialis liber tertius

I 63; II 88; IV 41; IX 83; XIV 137 (142); in questo libro costituiscono
un ciclo contro il poetastro Ligurino, instancabile recitator, gli epigr. 44;
45; 50 (vd. la n. intr. all’epigr. 44). Un motivo analogo a quello di questo
epigramma è svolto in VI 41 qui recitat lana fauces et colla revinctus,
/ hic se posse loqui, posse tacere negat. Sulla moda delle recitazioni vd.
Friedlaender, SR III, p. 225 sgg.; RE, s.v. recitationes, I A, 435, 54-446, 20;
il commento di Mayor a Iuv. 3, 9.
Il nome Maximus ricorre in I 7; 69; II 18; 53; V 70; VII 73; X 77. Per
alcuni di questi epigrammi è stata suggerita l’identificazione con Vibio
Massimo (vd. la n. intr. di Citroni a I 7). Qui, come in II 18; 53, il nome è
senz’altro fittizio.
Il v. 1 contiene la narratio, il v. 2, attraverso l’interrogativa finale, esprime
lo stupore del poeta per il comportamento di Massimo.

1: dichiararsi in condizioni di salute precarie era una forma retorica di


captatio benevolentiae: cfr. Quint. inst. IV 1, 8 quaedam in his quoque
commendatio tacita, si nos infirmos, imparatos, impares agentium contra
ingeniis dixerimus, qualia sunt pleraque Messallae prooemia. est enim
naturalis favor pro laborantibus; l’espediente viene biasimato da Apro in
Tac. dial. 20, 1 quis nunc feret oratorem de infirmitate valetudinis suae
praefantem, qualia sunt fere principia Corvini? – perfrixisse: cfr. Iuv. 7,
194 et si perfrixit, cantat bene. – praefatio: era comune l’uso di introdurre
con una praefatio la lettura di versi (cfr. Plin. epist. I 13). Il termine, ben
attestato in prosa, compare in poesia soltanto qui. – fauces: secondo le
testimonianze di Varrone (ling. X 78) e dei grammatici (Char. GLK I 33,
10; 93, 18; Prisc. GLK II 371, 19) la sola forma corretta è quella plurale,
ma anche il singolare è attestato. In Marziale ci sono 6 occorrenze del
plurale e una del singolare.
Epigramma 19 199

19

Proxima centenis ostenditur ursa columnis,


exornant fictae qua platanona ferae.
Huius dum patulos adludens temptat hiatus
pulcher Hylas, teneram mersit in ora manum.
Vipera sed caeco scelerata latebat in aere 5
vivebatque anima deteriore fera.
Non sensit puer esse dolos, nisi dente recepto
dum perit. O facinus, falsa quod ursa fuit!

hab. T cum 18 confl. Q¹ tit. de ursa LPfEXV: de versa A de hyla T om. Q¹ de vipera
in ore ursi Q² 2 fictae EAXV¹: pictae T V²s.l. qua EAV: quam T qui X platanona
TLf²: planta nona plata nova Pf¹ prata nova Q ferae T V²: pare EAXV¹ 3 adludens
T V²s.l.: adludet EAX adludit V¹ 5 caeco L²PQf² : caecos L¹ celo T cero f¹ut vid.
scelerata LPQf¹V²in mg.: scelata T c(a)elata f²EAXV¹ latebat : iacebat T aere
T EAXV¹: ore V²s.l. 6 deteriore T² : deteraore T¹ 7 esse TLPQ²in mg.f : om. Q¹
8 perit TLPQf¹ : putat f² facinus T EA²XV: facinul A¹

Accanto alle cento colonne, dove statue di fiere


ornano un boschetto di platani, si ammira un’orsa.
Mentre ne tentava per gioco le ampie fauci
il bell’Ila le mise la tenera mano nella bocca.
Ma una scellerata vipera si nascondeva nel cieco bronzo 5
e la fiera viveva con un animo peggiore.
Non s’accorse il fanciullo dell’inganno, se non ricevuto il morso,
nel momento della morte. Oh delitto, che l’orsa era falsa!

L’epigramma racconta un curioso aneddoto accaduto a Roma: vicino


al portico detto Hecatostylum, si trova un boschetto di platani, adornato
da statue di fiere, fra cui quella di un’orsa. Il fanciullo Ila per gioco infila
una mano nella bocca dell’orsa. Ma una vipera, annidata nella cavità della
statua, lo morde uccidendolo.
La narrazione di episodi curiosi e insoliti, già presente negli epigrammi
del primo periodo ellenistico e proseguita nel II sec. a.C., raggiunge pieno
sviluppo nel I sec. d.C. Gli epigrammisti di questo periodo prediligono il
racconto di avvenimenti singolari, che consentano loro di trarre conclusioni
200 M. Val. Martialis liber tertius

ingegnose, spesso in forma di sententiae, volte a evidenziare il carattere pa-


radossale dell’evento: cfr., ad es., AP VII 289; 504; 542; 640; IX 34; 56; 57;
su questo genere di epigrammi e sull’influenza che esercitarono su Marziale
vd. Laurens 1965, p. 320 sgg. Nel corpus marzialiano gli epigrammi che
raccontano aneddoti curiosi non sono numerosi (un’analisi complessiva si
trova in Szelest 1976). Tra di essi il gruppo più cospicuo, che comprende
anche questo epigramma, narra morti sorprendenti, spesso di fanciulli: cfr.
II 75; IV 18; 60; 63; XI 41; vd. Laurens 1965, p. 324 sg; Szelest 1976, p.
251. Questi epigrammi presentano una struttura comune (vd. Laurens 1965,
p. 322 sgg.): il racconto è svolto in terza persona e l’epigramma è privo di
destinatario; la conclusione con una sententia in forma esclamativa o in-
terrogativa evidenzia il carattere paradossale dell’aneddoto, sottolineando
come la morte possa giungere anche laddove meno la si aspetterebbe: cfr.
specialmente IV 18, 7 sg. quid non saeva sibi voluit Fortuna licere? / aut
ubi mors non est, si iugulatis aquae? (di un fanciullo ucciso da una lastra di
ghiaccio caduta da un’arcata); 60, 5 sg. nullo fata loco possis excludere: cum
mors / venerit, in medio Tibure Sardinia est.
In questo caso il verso conclusivo, che esprime il rammarico del poeta
per il fatto che l’orsa fosse falsa (o facinus, falsa quod ursa fuit!), è stato
oggetto di discussioni (per l’esegesi qui proposta vd. Fusi 2001, cui ri-
mando per ulteriori informazioni). Friedlaender si è limitato a osservare
che una vera orsa sarebbe stata molto meno pericolosa per il fanciullo
(tale linea interpretativa sembra alla base della nota di Ker). L’ipotesi,
pur non chiarissima per la sua concisione, non appare condivisibile: gli
orsi sono animali feroci, che aggrediscono l’uomo; riveste un carattere di
eccezionalità l’episodio narrato da Orazio in carm. III 4, 17 sgg. ut tuto
ab atris corpore viperis / dormirem et ursis, ut premerer sacra / lauroque
conlataque myrto, / non sine dis animosus infans, che testimonia la
condizione di eletto del poeta (sulla tradizione di miracoli occorsi a poeti e
grandi uomini nell’infanzia vd. il commento di Romano ai vv. 12-13); sulla
natura feroce degli orsi cfr. anche Ov. met. XV 86 sgg. at quibus ingenium
est inmansuetumque ferumque, / Armeniae tigres iracundique leones /
cumque lupis ursi dapibus cum sanguine gaudent; Apul. met. VII 24, 13
sgg., in cui si racconta di un’orsa selvatica che sbrana un fanciullo. Per il
resto le interpretazioni moderne non si discostano sostanzialmente dalle
due ipotesi esegetiche che si trovano formulate da Farnabius, p. 167: «o
male factum, quod non vera esset ursa. Tum enim aut puer manum ori
Epigramma 19 201

inserere supersedisset; aut tenero formosoque puero viva ursa pepercisset».


La prima è riproposta da E. Rodríguez Almeida («Italica» 18, 1990, p. 23;
così intende anche Canobbio 1997, p. 69 sg.). Tale conclusione appare
però priva della consueta arguzia e ciò sarebbe tanto più sorprendente in
un tipo di epigramma che ricerca principalmente la conclusione ingegnosa
dall’aneddoto raccontato (vd. supra). La seconda è stata sviluppata da
Weinreich 1928, p. 110 sg. n. 54, secondo il quale una vera orsa sarebbe
rimasta soggiogata dalla bellezza del fanciullo; essa sembra essere condivisa
da Izaac e da Norcio ed è ora riproposta da Salanitro 2003, pp. 78-80,
che, oltre all’attributo pulcher, considera un elemento rilevante l’uso del
nome parlante Hylas (per cui vd. infra). Aneddoti di animali, anche feroci,
innamoratisi di bei fanciulli sono diffusi nella letteratura greca: cfr., ad es.,
Ael. NA I 6; VI 15; 17 (sull’argomento A. Marx, Griechische Märchen von
dankbaren Tieren und Verwandtes, Stuttgart 1889). Si tratta tuttavia di
un filone che sconfina nel sorprendente e miracolistico, caratteri estranei
alla poetica realistica di Marziale, il quale inoltre non fornirebbe elementi
per indirizzare il lettore verso una conclusione di tal genere, al di fuori
dell’attributo pulcher che qualifica il protagonista (per la scelta del nome
Hylas vd. infra). Costituisce a mio avviso un elemento determinante per
la comprensione dell’epigramma la descrizione del luogo dove si svolge
l’azione, che Marziale, diversamente dai suoi modelli greci, cura in modo
particolare (vd. la n. al v. 1). Egli è l’unico a testimoniare la presenza, presso
il cosiddetto Hecatostylum, di statue di fiere. Secondo Grimal 1990, p. 183
sg. potrebbe trattarsi della rappresentazione di una scena di caccia, mentre
Salanitro 2003, p. 80 pensa alla rappresentazione di fiere allo stato selvatico
sparse in un piccolo bosco; ma l’asciutta descrizione del sito da parte di
Marziale non lascia pensare a una scena in movimento, quanto piuttosto
a una galleria di statue disposte in serie, a decorazione del portico (v. 1
proxima centenis … columnis; vd. Coarelli 1996, p. 9). Inoltre i platani,
alberi tipici del ginnasio, saranno stati disposti ordinatamente come quelli
del vicino portico di Pompeo (cfr. Prop. II 32, 13 et platanis creber pariter
surgentibus ordo; vd. Coarelli 1996, p. 9). Appare probabile che le statue
di fiere siano state erette per celebrare qualche spettacolo circense, in
cui l’esibizione di belve di ogni genere costituiva una grande attrattiva;
in particolare suscitavano grande ammirazione le fiere ammaestrate,
esercitate a compiere varie evoluzioni da esperti magistri: il Liber de
Spectaculis ne fornisce alcune testimonianze e lo spettacolo dei leoni che
202 M. Val. Martialis liber tertius

giocano con le lepri è oggetto di un elaborato ciclo nel I libro (cfr. 6; 14; 22;
48; 51; 60; 104; vd. anche 44; 45); sugli spettacoli con fiere ammansite vd.
Toynbee 1973, pp. 15-31; 93-100 (sugli orsi); Daremberg-Saglio, s.v. bestiae
mansuetae, cicures; Fusi 2001, p. 52 n. 17; sul ciclo del I libro vd. Citroni,
p. 35 sgg.; Weinreich 1928, pp. 90-103. In questi spettacoli la propaganda
ufficiale celebrava il numen dell’imperatore, capace di ammansire gli animali
più feroci (sui motivi propagandistici presenti nel Liber de Spectaculis vd. G.
Moretti, L’arena, Cesare e il mito. Appunti sul De spectaculis di Marziale,
«Maia» 44, 1992, pp. 55-63). Le statue dell’Hecatostylum erano dunque
state probabilmente erette per celebrare il potere divino dell’imperatore
e rappresentavano fiere mansuete. Tale ipotesi può essere suffragata
dall’esistenza a Roma, nella regio VII, di un sito denominato Mansuetae,
di cui offrono testimonianza la Notitia Urbis e il Curiosum (per cui vd.
R. Valentini-G. Zucchetti, Codice topografico della città di Roma, I, Roma
1940, pp. 112; 173). Si tratta, con buona probabilità, di un gruppo di statue
rappresentanti fiere ammansite (vd. Platner-Ashby, s.v. mansuetae; G. Lugli,
I monumenti antichi di Roma e suburbio, III, Roma 1938, p. 282; LTUR
III, s.v. mansuetae). La collocazione di questo gruppo nella regio VII sembra
impedire l’identificazione con le fictae ferae di Marziale, ma non si può
escludere che le statue siano state spostate successivamente, forse salvate
dall’incendio che distrusse l’Hecatostylum nel 247 d.C. Se tale ipotesi coglie
nel segno la conclusione dell’epigramma acquista l’arguzia tipica di Marziale,
necessaria in componimenti di questo genere: la vera orsa, ammansita,
avrebbe consentito al fanciullo di giocarci senza fargli del male, mentre la
sua rappresentazione si è rivelata paradossalmente ben più pericolosa per lui!
I lettori di Marziale, che conoscevano bene il luogo descritto dal poeta, non
avevano bisogno di altri elementi per comprendere l’arguzia.
Offre una rielaborazione di questo epigramma AL 276 Shackleton Bailey
(282 R.), dal titolo De ursa aenea, in qua serpens fuit, ubi inscius puer
manum misit: Aere cavo falsam serpens impleverat ursam, / addidit et
morsum et iubet esse feram / … / implevit serpens quod minus artis erat.
Evidente l’identità del tema come anche le somiglianze lessicali (5 caeco …
in aere ~ AL 276, 1 aere cavo; 6 fera ~ AL 276, 2 feram; 8 falsa … ursa ~
AL 276, 1 falsam … ursam), ma l’autore dell’epigramma dell’Anthologia
Latina, diversamente da Marziale, ha voluto evidenziare che il serpente,
compiendo ciò che l’arte non aveva potuto, ha reso realmente viva la fiera.
La morte di un fanciullo di dodici anni causata dal morso di una vipera è
Epigramma 19 203

ricordata in un’iscrizione di Perugia (CIL XI 2056). L’aneddoto raccontato


da Marziale e il nome del protagonista potrebbero essere veri (così intende
SB). Se si tratta di un nome fittizio la scelta è certamente deliberata: il mito
del bel fanciullo Ila (cfr. v. 4 pulcher Hylas), amato da Eracle e rapito dalle
Ninfe, era assai diffuso a Roma già in età augustea, come dimostra Verg.
georg. III 6 cui non dictus Hylas … ? (cfr. anche Ov. trist. II 406); sul mito
vd. Roscher, I 2, 2792-2796; RE IX 1, 110-115. Marziale lo colloca tra i
più triti temi mitologici in X 4, 3 e menziona spesso Ila come exemplum
di bellezza puerile, al pari di Ganimede (per cui vd. la n. a 39, 1 Iliaco …
ministro): cfr. V 48, 5; VI 68, 8; VII 15, 2; 50, 8; IX 25, 7; 65, 14; XI 43,
5; vd. anche Stat. silv. II 1, 110-113. Anche in XI 28, 2 il nome è usato per
un bel fanciullo, mentre ha una valenza antifrastica in VIII 9 (v. 3 lippus
Hylas). La scelta di un nome che allude alla bellezza puerile sarebbe dunque
volta ad accrescere il patetismo dell’episodio, né ci vedrei un elemento atto a
suffragare l’ipotesi dell’innamoramento dell’orsa come fa Salanitro 2003, p.
80. Hylas è comunque un nome schiavile ben attestato a Roma (vd. l’index
di CIL VI; RE IX 1, 115, 6 sgg.).

1. centenis … columnis: si tratta del cosiddetto Hecatostylum, menzionato


da Marziale attraverso una perifrasi anche in II 14, 9 centum pendentia
tecta columnis, un portico di cento colonne collocato a ridosso del teatro
di Pompeo e del relativo portico, di cui costituiva il lato settentrionale; co-
struito poco dopo il complesso pompeiano, fu restaurato da Domiziano
(vd. Platner-Ashby, p. 251; Coarelli 1996). Diversamente dagli epigrammi
greci dedicati ad aneddoti sorprendenti, Marziale, in ossequio alla sua
poetica realistica, colloca la narrazione in una dimensione geografica e
topografica ben precisa: cfr. I 12, 1-4; IV 18, 1 sg.; 63, 1. – ostenditur: per
l’uso del verbo nell’accezione di ‘additare all’ammirazione’, detto special-
mente di opere d’arte, cfr. I 69 coepit, Maxime, Pana quae solebat, / nunc
ostendere Canium Tarentos; Plin. nat. XXXIV 59 (Pitagora di Reggio)
fecit et stadiodromon Astylon qui Olympiae ostenditur.
3. patulos … hiatus: hiatus indica spesso in poesia le fauci di animali (vd.
ThlL VI 3, 2683, 6-49; OLD s.v. nr. 3 a). Il nesso patuli hiatus, riferito a
una fiera, è ovidiano: cfr. met. XI 60 congelat et patulos, ut erant, indurat
hiatus (sc. serpentis), dove i due termini occupano la stessa posizione
nell’esametro; ricorre poi in Sen. Thy. 157; Sil. II 119; III 34; in Marziale
cfr. anche I 22, 5 vastos … hiatus (sc. leonis). Hiatus nell’epica occupa
204 M. Val. Martialis liber tertius

sempre l’ultima sede del verso. – adludens: il verbo, hapax in Marziale,


è spesso usato per descrivere atteggiamenti giocosi tra uomini e animali
mansueti: cfr. Calp. ecl. 4, 67 sgg. ille fuit vates sacer et qui posset avena
/ praesonuisse chelyn, blandae cui saepe canenti / adlusere ferae, cui
substitit advena quercus; Plin. nat. IX 24, 4 hominem non expavescit
(sc. delphinus) ut alienum, obviam navigiis venit, adludit exultans;
26, 3 adludens nantibus (sc. delphinus); Plin. epist. IX 33, 6 accedunt et
adludunt et appellant, tangunt etiam pertractantque (sc. delphinum).
4. pulcher Hylas: la iunctura ricorre in Val. Fl. I 218 sg.; III 184 (a inizio
di esametro); Auson. epigr. 106, 2 G. (= 97, 2 p. 325 P.). – teneram mersit
in ora manum: la caratteristica più evidente delle fiere ammansite era la
docilità con cui consentivano all’uomo persino di inserire la sua mano nella
loro bocca, come testimonia anche l’etimologia di mansuetus: cfr. Paul.
Fest. p. 132 M. mansuetum ad manum venire suetum; Non. p. 59, 21 M.
mansuetum dictum est quasi manu adsuetum, quod omnia, quae sunt
natura fera, manuum permulsione mitescant; Isid. orig. X 168 quasi manu
adsuetus; vd. Ernout-Meillet, s.v. mansues, mansuetus. Marziale evidenzia
spesso questo aspetto: cfr. epigr. 12, 1 sg. laeserat ingrato leo perfidus ore
magistrum, / ausus tam notas contemerare manus; 21, 1 sg. lambere securi
dextram consueta magistri / tigris; II 75, 1 sg. verbera securi solitus leo ferre
magistri / insertamque pati blandus in ora manum; l’immagine dell’orso
ammansito ricorre nella metafora di VI 64, 29 sgg. sit placidus licet et lambat
digitosque manusque, / si dolor et bilis, si iusta coegerit ira, / ursus erit (altri
esempi in Fusi 2001, p. 54 n. 20). Tener qualifica spesso fanciulli o parti del
loro corpo: cfr. Ov. fast. IV 120 cum gemuit teneram cuspide laesa manum,
dove la iunctura occupa la stessa posizione nel pentametro (cfr. anche am.
I 13, 18; Pont. IV 12, 24). In Marziale tenera manus ricorre anche in IX 56,
4; XIV 54, 2; 177, 2.
5. vipera sed: la posposizione delle particelle, introdotta dai neoterici
sulla base dei modelli ellenistici, è comune nella poesia latina a partire da
Virgilio (vd. Hofmann-Szantyr, p. 484; ThlL V 2, 897, 52-898, 6; Norden,
p. 402 sgg.; Platnauer 1951, pp. 93-96). La collocazione dopo un solo
vocabolo è la più frequente.
6. vivebatque anima deteriore fera: l’orsa di bronzo (fera) è resa vivente da
un’anima peggiore, poiché le vipere, diversamente dagli orsi, non consentivano
opera di ammaestramento ed erano considerate ancor più feroci (cfr. v. 5
scelerata): cfr. Sen. dial. IV 31, 8 ne viperas quidem et natrices et siqua
Epigramma 19 205

morsu aut ictu nocent effligeremus, si in reliquum mansuefacere possemus


aut efficere ne nobis aliisve periculo essent. Il secondo termine di paragone
sottinteso deve essere la vera orsa (non persuasive le argomentazioni contrarie
di Salanitro 2003, p. 79). Non sono corrette le traduzioni di Ker e Izaac, che
intendono vipera soggetto del verso e fera secondo termine di paragone:
vivebat ha valore pregnante in quanto riferito all’orsa bronzea, mentre non
avrebbe senso riferito alla vipera, che è evidentemente viva; per la medesima
ragione è da rifiutare l’esegesi di Norcio che considera fera soggetto, ma
riferito alla vipera («e viveva una belva dal cuore più spietato»). La chiusa del
pentametro con sillaba breve, per lo più evitata nella poesia augustea (vd.
Platnauer 1951, p. 64), ricorre 64 volte in Marziale, con una percentuale di
poco superiore a quella di Ovidio (vd. Th. Birt, in Friedlaender, I, p. 32 n.
1; Giarratano 1908, p. 33); in questo libro cfr. 21, 2 invidia; 33, 4 ingenua
(forse abl.); 37, 2 facite; 49, 2 bibere; 70, 4 arrigere; 75, 2 arrigere; 79, 2
perficere; 86, 4 lege.
7. non sensit … esse dolos: per la iunctura cfr. Lucan. VII 85 sg.; Ilias
970; Val. Fl. IV 354; VI 467; VIII 420; Stat. Theb. VI 614; in Marziale cfr.
III 91, 6 sed tacitos sensit et ille dolos.
8: conclusione paradossale; per falsus nel senso di fictus, specialmente di
imitazioni, vd. ThlL VI 1, 192, 45 sgg.; in Marziale cfr. epigr. 8, 4 non falsa
pendens in cruce Laureolus. Per Salanitro 1984, p. 86 l’arguzia è fondata sul
doppio senso di falsa, che significa sia ficta (in quanto ‘fatta di bronzo’) che
‘ingannevole’ (vd. ora anche Salanitro 2003, p. 80). – o facinus: espressioni
patetiche che lamentano la crudeltà del fato (o della divinità) sono un
elemento topico della poesia funeraria sia greca che latina, specialmente
quella dedicata alla mors immatura (vd. R.A. Lattimore, Themes in Greek
and Latin Epitaphs, Urbana 1962, p. 183 sgg.; B. Lier, Topica carminum
sepulcralium Latinorum, «Philologus» 62, 1903, p. 460 sgg.): cfr., ad es., AP
VII 186; 187; 476; 515; 643; CLE 1143, 4; 1170, 7; 1225, 3; 1535, 3; 1549,
1. In Marziale cfr. VI 62, 3 heu crudele nefas malaeque Parcae!; X 50, 5 sg.
(epicedio per l’auriga Scorpo) heu facinus! prima fraudatus, Scorpe, iuventa
/ occidis et nigros tam cito iungis equos; XI 91, 3 (epicedio per la piccola
Canace) ah scelus, ah facinus!; 93, 3 sg. o scelus, o magnum facinus crimenque
deorum (con intento parodico: vd. Canobbio 1997, p. 67). In generale sulla
mors immatura vd. E. Griessmair, Das Motiv der Mors immatura in den
griechischen metrischen Grabinschriften Innsbruck 1966 M. Vérilhac,
. Poésie funéraire, Athénes 1978-1982.
206 M. Val. Martialis liber tertius

20

Dic, Musa, quid agat Canius meus Rufus:


utrumne chartis tradit ille victuris
legenda temporum acta Claudianorum,
an quae Neroni falsus adstruit scriptor?
An aemulatur improbi iocos Phaedri? 5
Lascivus elegis an severus herois?
An in cothurnis horridus Sophocleis?
An otiosus in schola poetarum
lepore tinctos Attico sales narrat?
Hinc si recessit, porticum terit templi 10
an spatia carpit lentus Argonautarum?
An delicatae sole rursus Europae
inter tepentes post meridie buxos
sedet ambulatve liber acribus curis?
Titine thermis an lavatur Agrippae 15
an impudici balneo Tigillini?
An rure Tulli fruitur atque Lucani?
An Pollionis dulce currit ad quartum?
An aestuantis iam profectus ad Baias
piger Lucrino nauculatur in stagno? 20
‘Vis scire quid agat Canius tuus? Ridet.’

tit. ad musam de canio Pf : ad musam de cayno L² ad musam de caino L¹ ad musam de


canio rufo Q 2 tradit EA: tradidit XV 3-4 Claudianorum, an quae Neroni falsus adstruit
scriptor? distinxit Izaac claudianorum LPQ²fX: cladianorum EAV claudanorum Q¹ 5
improbi iocos Q²f²VBh²bk²vv1 ed. Rom. 1 ed. Ferr. ed. Ven. ed. Rom. 2 ed. Ald.: improbi
locos EAh¹k¹ improbi locus LPQ¹f¹ improbilicos X improbi logos Thiele Housman (qui
et logus, i.e. , Martialem scripsisse suspicatus est) improbi Heraeus 6
severus EAX: severis V herois LPfV²: hereis EAXV¹ honoris Q 7 in cot(h)urnis V²:
i coturnis EAV¹ coturnis XF sophocleis L²Q²f²XV²: sphocleis A spocleis E phocleis V¹
sopheleis L¹PQ¹f¹ 9 tinctos attico f²EAV²in mg.: tinctos ant(h)ioco XV¹ tinctus atticos
LPQf¹ 10 hinc LfEAX: hic V hin P hui Q recessit f² : ressit PQf¹ ressis L terit
f²XV: territ EA teri LPQf¹ templi : Tectae Munro Magni Friedlaender in app. Tampi
Heraeus in adn. 11 an EA²XV: in A¹ 12 rursus : rufus 13 tepentes EAXV²s.l.:
repentes V¹ meridie EAX: meridiem V 14 ambulatve : ambulatque liber LPf :
libet Q curis AXV: cruris E 15 titine PQ²f¹V²s.l.: tutine L titune Q¹ pertine E petitne
X petine AV¹ pectine f² stetitne f²v.l. 16 impudici balneo V²in mg.: inpudicibus ineo
Epigramma 20 207

EAX inpodicibus ineo V¹ 17 rure V²s.l.: rura EAXV¹ tulli X: tuli EA tullii V fruitur
EAXV²s.l.: struitur V¹ 18 pollionis PQf : apollinis L currit ad : curritat quartum
LPf : quaternum Q 19 aestuantis : aestuantes baias LQf : balas P 20 nauculatur
LPQ¹f¹XV: nauculator EA naviculatur Q² iaculatur f² 21 canius Q : cannius LPf

Di’, o Musa, che fa il mio Canio Rufo?


Affida a pagine immortali
gli atti degni d’esser letti dei tempi di Claudio
o quelli che uno storico mentitore ha attribuito a Nerone?
O emula gli scherzi dello sfrontato Fedro? 5
È lascivo nelle elegie oppure austero nell’epica?
O è terribile nei coturni sofoclei?
O ozioso nel circolo dei poeti
narra storie scherzose imbevute di arguzia attica?
Se si è allontanato di qui, consuma il portico del tempio 10
o lento percorre gli spazi degli Argonauti?
O ancora siede o cammina, libero da fastidiose preoccupazioni,
fra i bossi della delicata Europa,
tiepidi per il sole del pomeriggio?
Si lava alle terme di Tito o a quelle di Agrippa 15
o ai bagni dell’impudico Tigellino?
O si gode la campagna di Tullo e di Lucano?
O viaggia verso la piacevole villa di Pollione al quarto miglio?
O, già partito per l’infuocata Baia,
naviga pigramente nel lago Lucrino? 20
‘Vuoi sapere cosa fa il tuo Canio? Ride.’

Marziale si rivolge alla Musa per avere notizie dell’amico Canio Rufo: egli si
chiede se sta scrivendo opere letterarie (storia, favola, elegia, epica, tragedia),
oppure se narra storie piacevoli nel circolo dei poeti; se passeggia per i portici
o prende il sole del pomeriggio nei giardini; se si lava alle terme o se è partito
per la campagna o per la caldissima Baia. L’ultimo verso contiene la risposta
della Musa: Canio ride. Canio Rufo, conterraneo e ottimo amico di Marziale
(proveniva da Cadice: cfr. I 61, 9), era un letterato versatile (in prosa e in versi)
e una persona di spirito, amante del riso: in I 69 Marziale, probabilmente in
occasione di un soggiorno di Canio a Taranto, afferma che in città la fama di
208 M. Val. Martialis liber tertius

una statua di Pan ridente è stata offuscata da quella del volto ilare di Canio
(per questa interpretazione, che mi pare probabile, anche alla luce dell’ultimo
verso di questo epigramma, vd. la n. intr. di Citroni; Jocelyn 1981, p. 280
pensa invece a un diverso Canio residente a Taranto, al cui sfrenato desiderio
sessuale Marziale farebbe riferimento paragonandolo a Pan). Gli interessi
letterari di Canio erano, come testimonia qui Marziale, molto vasti: in I 61
egli lo inserisce nel novero dei grandi letterati iberici: gaudent iocosae Canio
suo Gades (9); la sua abilità di affabulatore (8-9) viene ricordata nell’epigr.
64 di questo libro, in cui Marziale paragona il fascino dei suoi racconti a
quello del canto delle Sirene; in VII 69 Marziale ricorda ancora la sua attività
letteraria, che potrà trarre giovamento dalla critica di Teofila, sua promessa
sposa: vivet opus quodcumque per has emiseris aures; / tam non femineum
nec populare sapit (5 sg.). Il suo nome ricorre anche in VII 87, 2 e X 48, 5.
Per la difficoltà di identificazione nei casi in cui compare il solo cognomen
(Rufus) vd la n. intr. all’epigr. 82. L’epigramma si apre con la domanda
alla Musa e si sviluppa attraverso le numerose ipotesi del poeta, curioso di
sapere cosa faccia l’amico; il catalogo delle possibili attività di Canio prepara
e accresce l’effetto comico della pointe, che si concentra nell’ultima parola:
fra tutte le eventualità che Marziale prospetta, Canio non fa altro che ridere!
L’ultimo verso riprende quasi esattamente il primo: Marziale, probabilmente
per influenza catulliana (cfr. Catull. 16; 36; 52; 57; vd. Paukstadt 1876, p. 34),
chiude spesso i componimenti con un verso identico a quello iniziale (cfr. II
6; IV 64; 89; VII 26) oppure, come qui, con uno molto simile (II 41; VII 17;
IX 57). Altre volte l’ultimo verso richiama un verso interno all’epigramma
(cfr. IV 2; VI 42; VII 39; IX 55; X 37). In questo caso la ripresa del verso
iniziale ha l’effetto di azzerare tutte le ipotesi prospettate per chiudere con
una bonaria presa in giro dell’amico. Il componimento, al di là della sua
componente ludica, tradisce la nostalgia di Marziale per i luoghi e le attività
di Roma; si può pertanto immaginare che egli lo abbia scritto dopo un
periodo piuttosto lungo di soggiorno fuori dalla capitale (per una possibile
collocazione cronologica dell’epigramma vd. la n. al v. 19 e l’Introduzione,
p. 56). La struttura dell’epigramma con le numerose domande sull’amico
ricorda l’epistola I 3 di Orazio a Giulio Floro, dove egli chiede informazioni
su di un gruppo di amici impegnati in una spedizione in Asia. L’epigramma
è in scazonti; il metro, tradizionalmente legato all’invettiva, è però usato per
uno spettro più ampio di soggetti: cfr., ad es., Catull. 31. Marziale lo utilizza
anche per epigrammi adulatori nei confronti dell’imperatore (cfr., ad es., IX
Epigramma 20 209

1; 5). In questo libro il metro ricorre in epigrammi di varia ispirazione nella


sezione ‘casta’ (oltre a questo cfr. 47; 58; 64), mentre assume l’abituale tono
di invettiva nella sezione oscena (82; 93).

1. Dic, Musa, quid agat: l’allocuzione alla Musa come intermediaria fra
il poeta e un’altra persona può essere considerata una variante del modulo
di apostrofe al singolo componimento (vd. Citroni 1986, p. 115). Il primo
esempio nella letteratura latina è l’epistola I 8 di Orazio, rivolta a Celso
Albinovano (1 sg. Celso gaudere et bene rem gerere Albinovano / Musa
rogata refer). In Marziale il modulo, che consente un’elegante variazione
delle comuni formule epistolari, è utilizzato anche in V 6 e in XII 11,
entrambi indirizzati a Partenio, l’influente segretario di Domiziano. –
Canius meus Rufus: sull’uso del possessivo come elemento affettivo della
lingua familiare vd. la n. a 5, 12.
2-7: l’elenco, che comprende i principali generi letterari, con l’aggiunta
della favola, non andrà considerato una testimonianza attendibile degli
interessi letterari di Canio (cfr. l’elenco in ordine di importanza decrescente
di XII 94). A maggior ragione mi sembra da escludere che Marziale faccia
riferimento a tutte opere già scritte e pubblicate di Canio, come ritiene
Carratello 1964, p. 133 sg. Marziale è curioso di sapere cosa stia facendo
l’amico e l’ampio ventaglio di possibili attività prospettate è in funzione
della scherzosa conclusione. Per analoghe movenze, caratterizzate dal tono
cortigiano, cfr. Stat. silv. I 3, 99 sgg. hic tua Tiburtes Faunos chelys et iuvat
ipsum / Alciden dictumque lyra maiore Catillum; / seu tibi Pindaricis
animus contendere plectris, / sive chelyn tollas heroa ad robora, sive /
liventem satiram nigra rubigine turbes, / seu tua non alia splendescat
epistola cura; II 2, 112 sgg. hic ubi Pierias exercet Pollius artes, / seu volvit
monitus, quos dat Gargettius auctor, / seu nostram quatit ille chelyn, seu
dissona nectit / carmina, sive minax ultorem stringit iambon.
2. chartis … victuris: chartae come metonimia per indicare opere lettera-
rie (o volumi o scritti) è di uso prevalentemente poetico (ma cfr. Cic. Cael.
40): ricorre in Lucrezio, Orazio, Ovidio, Fedro, nell’Appendix Vergiliana.
Soltanto Marziale però ne fa un ampio uso: una decina di casi, anche al
singolare (vd. ThlL III 998, 46 sgg.). In questo verso, trattandosi di un’opera
storiografica l’uso di chartae richiama quello di Catull. 1, 5 sg. ausus es …
/ omne aevum tribus explicare chartis, a proposito dell’opera storica di
Cornelio Nepote. Il nesso chartae victurae per ‘opere imperiture’ ricorre
210 M. Val. Martialis liber tertius

anche in I 25, 7; XI 3, 7. Victurus ricorre in Marziale spesso in relazione


alla fama letteraria: cfr. I 107, 5 victuras … curas; V 15, 4 victura …
fama; VI 61 (60), 10 victurus … liber; VII 44, 7 victura … nomina; VIII
73, 4 victura … carmina; X 26, 7 victurum … nomen. I suoi precedenti
sono Ov. am. III 1 63 altera das nostro victurum nomen amori; Phaedr.
IV epil. 5 Particulo, chartis nomen victurum meis, accomunato a questo
verso anche dall’uso metonimico di chartae; vd. anche Stat. silv. II 3, 62 sg.
haec tibi parva quidem genitali luce paramus / dona, sed ingenti forsan
victura sub aevo.
3 sg.: i versi designano due possibili argomenti per un’opera storica: il regno
di Claudio o quello di Nerone. Il v. 4, pur non chiarissimo nella formulazione,
alluderà con buona probabilità all’opera di uno storiografo ‘di regime’,
che aveva narrato, distorcendoli faziosamente (falsus), gli avvenimenti del
principato neroniano (quae, sc. acta); vd. J.E.B. Mayor, Notes on Martial:
Book III, «JPh» 16, 1888, p. 231. Probabilmente Marziale non ha in mente
uno storico in particolare, ma evidenzia una tendenza generale. Sulla
inattendibilità della storiografia neroniana si veda il giudizio di Tac. ann. I
1, 2 sg. Tiberii Gaique et Claudii ac Neronis res florentibus ipsis ob metum
falsae, postquam occiderant recentibus odiis compositae sunt. Il riferimento
alla distorsione degli avvenimenti perpetrata dalla storiografia neroniana è
ben comprensibile alla luce della damnatio memoriae di Nerone operata
dalla dinastia flavia (su cui vd. G. Brugnoli, Cultura e propaganda nella
restaurazione dell’età flaviana, «AFFL» 1, 1963/64, pp. 5-36; H. Szelest,
Domitian und Martial, «Eos» 62, 1974, pp. 108-113; Schubert 1998, pp.
293 sg.; 439 sgg.; Sullivan 1991 passim). Marziale vi aderisce pienamente:
cfr. epigr. 2, 3 feri … regis; 34, 11 diri … Neronis (diri è plausibile, ma non
certa congettura di Heinsius per il tràdito tigri); VII 21, 3 heu! Nero crudelis
nullaque invisior umbra; 34, 4 quid Nerone peius? I vv. 2-4 costituiscono
un’interrogativa doppia disgiuntiva (2 utrumne … 4 an), che fa riferimento
a un’opera storica (così Izaac; vd. anche Thiele 1911, p. 543). La costruzione
ricorre in Marziale anche in VII 7, 10 utrumne currat Passerinus an Tigris;
XII 65, 4 sgg. utrumne Cosmi, Nicerotis an libram, / an Baeticarum
pondus acre lanarum, / an de moneta Caesaris decem flavos. Friedlaender
così interpunge i vv. 3-5: Claudianorum? / an quae Neroni falsus adstruit
scriptor, / an aemulatur improbi iocos Phaedri?; pur considerando il v. 4
poco chiaro, nella sua interpretazione la relativa del v. 4 dipenderebbe da
aemulatur del verso seguente: Canio emulerebbe l’opera di un poeta che
Epigramma 20 211

uno scrittore contemporaneo avrebbe erroneamente attribuito a Nerone;


potrebbe perciò trattarsi di uno dei poeti della cui abilità Nerone si sarebbe
servito nella composizione dei propri carmi, secondo la testimonianza di
Tac. ann. XIV 16, 1 sg. carminum quoque studium adfectavit, contractis
quibus aliqua pangendi facultas necdum insignis erat. hi cenati considere
simul, et adlatos vel ibidem repertos versus conectere atque ipsius verba
quoquo modo prolata supplere. quod species ipsa carminum docet, non
impetu et instinctu nec ore uno fluens (cui si oppone Suet. Nero 52 nec,
ut quidam putant, aliena pro suis edidit. venere in manus meas pugillares
libellique cum quibusdam notissimis versibus ipsius chirographo scriptis,
ut facile appareret non tralatos aut dictante aliquo exceptos, sed plane
quasi a cogitante atque generante exaratos; ita multa et deleta et inducta et
superscripta inerant). L’interpunzione di Friedlaender è seguita da Lindsay,
Duff, Ker e SB (che però si mostra incerto tra le due interpretazioni), mentre
Schneidewin2 e Gilbert rendono tutti interrogativi i vv. 3-7. Vi sono diversi
motivi che rendono improbabile questa interpretazione: dal punto di vista
sintattico è piuttosto forzato intendere la relativa del v. 4 come dipendente
da aemulatur del v. 5, mentre è assolutamente naturale intenderla come
oggetto di tradit (2). Dal punto di vista del senso in un elenco dei principali
generi letterari, quale quello fornito da Marziale, la menzione di carmi
falsamente attribuiti a Nerone appare del tutto fuori luogo: l’aemulatio può
essere diretta soltanto verso un autore di rilievo (l’unico nome menzionato
da Marziale è Fedro, identificato con un genere poco coltivato quale la
favola). La perifrasi utilizzata da Marziale sarebbe piuttosto oscura per
designare poesie falsamente attribuite a Nerone. Inoltre falsus scriptor deve
necessariamente designare uno scrittore menzognero e dunque non può
riferirsi a un contemporaneo che ha erroneamente attribuito a Nerone le
poesie di altri (vd. Friedlaender, ad loc.: «die Werke eines Dichters […], die
ein damaliger Schriftsteller irrthümlich dem Nero beilegte»), né direttamente
a un poeta che ha prestato all’imperatore il suo ingegno. Gilbert 1887, p.
144, rendeva così i versi 2-3: «Bringt er die Geschichte des Claudius zum
Darstellung oder die Anekdoten, die von unwahren Historikern dem Nero
angedichtet werden?», pensando ad una raccolta di aneddoti su Nerone, ma
credo che la struttura dei versi 3-4 (interrogativa disgiuntiva: utrumne …
an … ?) e l’uso del pronome relativo facciano pensare ad un solo genere
letterario (storiografia), ma a due diversi periodi storici.
3. temporum … Claudianorum: l’età di Claudio; il nesso ricorre in Tac.
212 M. Val. Martialis liber tertius

ann. XIV 11, 1; hist. V 12, 2; non appare convincente l’ipotesi di Schubert
1998, p. 294 n. 20, per il quale si farebbe riferimento ai principati di Tiberio
e Claudio, trascurando quello di Caligola.
4. falsus … scriptor: in opere storiografiche e frequentemente in prosa
scriptor equivale a ‘storico’ (vd. Forcellini, s.v. scriptor, nr. 3, p. 390; OLD
s.v., nr. 3 c), ma l’uso del termine in questo passo (unica occorrenza
in Marziale) non può naturalmente costituire un elemento a sostegno
dell’una o dell’altra interpretazione. – adstruit: il verbo è piuttosto raro in
età classica e usato in poesia solo una volta in Ovidio e in Silio (vd. ThlL
II 978, 37 sgg.); pur nell’accezione traslata, esso mantiene il significato
proprio di ‘costruire accanto, in aggiunta’ e dunque si adatta ad esprimere la
‘costruzione’ falsificata di eventi storici; cfr. Plin. epist. IX 33, 11 haec tu qua
miseratione, qua copia deflebis, ornabis, attolles! quamquam non est opus
adfingas aliquid aut adstruas: sufficit, ne ea, quae sunt vera, minuantur.
L’uso del presente non autorizza a desumere che si tratti di uno storico di
età flavia (come fa Schubert 1998, p. 294, che pure non esclude che possa
trattarsi di uno storico dell’età neroniana). L’eventualità di uno storiografo
filoneroniano di età flavia sembra piuttosto remota. Priva di fondamento
l’ipotesi di Herrmann 1950, pp. 86 sg.; 98, che interpreta il verso come un
riferimento all’Apocolocyntosis (Neroni sarebbe un dativo di vantaggio), di
cui sostiene l’attribuzione a Fedro.
5: è questa la prima e quasi unica menzione del favolista nell’antichità
(dopo Marziale Fedro è nominato solo da Aviano, praef. ad Theodosium).
Seneca nella Consolatio ad Polybium afferma che nessun romano si è
dedicato alla favola esopica (dial. XII [XI] 8, 3 fabellas quoque et Aesopeos
logos, intemptatum Romanis ingeniis opus), anche se la mancata menzione
di Fedro è probabilmente deliberata (vd. G. Mazzoli, Due note anneane, I,
Fedro e Sen. Cons. ad Pol. 8, 3, «Athenaeum» 46, 1968, pp. 355-363; Mazzoli
1970, p. 152; Kurth, p. 102 sgg.); neanche Quintiliano nomina Fedro (inst. V
11, 19 sgg.). L’identificazione con il favolista è stata negata da Friedlaender
in base alla considerazione che né ioci né improbus potrebbero designare le
favole di Fedro (dubbi sull’identificazione con il favolista esprime anche H.
MacL. Currie, Phaedrus the Fabulist, in ANRW II 32, 1, p. 502). Secondo lo
studioso tedesco potrebbe trattarsi di un Fedro autore di mimi a noi
sconosciuto (per l’uso dell’attributo in relazione al mimo cfr. III 86, 4 non
sunt haec mimis improbiora). Ma la definizione di ioci per le favole ricorre
nello stesso Fedro in III prol. 37 fictis … iocis; IV 7, 2 hoc iocorum … genus;
Epigramma 20 213

cfr. anche I prol. 5 sgg. calumniari siquis autem voluerit, / quod arbores
loquantur, non tantum ferae, / fictis iocari nos meminerit fabulis. Così
non sarà casuale la scelta del verbo aemulari: anche Fedro parlava di
aemulatio per definire il proprio rapporto con Esopo in II 42, 7 non est
invidia, verum est aemulatio (per l’uso del verbo in contesto letterario cfr.
Hor. carm. IV 2, 1 Pindarum quisquis studet aemulari). Per una possibile
allusione all’opera di Fedro in questo epigramma vd. la n. al v. 7. Appare per-
ciò naturale che Marziale faccia riferimento alle favole di Fedro con il termine
che egli stesso utilizzava per qualificarle. L’identificazione con il favolista è
inoltre avvalorata dal fatto che si tratta dell’unico nome proprio menzionato
da Marziale nell’elenco dei generi letterari: la favola era certo un genere poco
coltivato dai Romani (cfr. Sen. dial. XII [XI] 8, 3 cit. supra) e perciò Marziale
si serve dell’unico autore latino che ad essa si era dedicato per definirla. Per
la stessa ragione mi sembra da escludere che si possa trattare di un altrimenti
sconosciuto autore di mimi: altrove Marziale nomina un Catullo come
mimografo per antonomasia (V 30, 3 sg. nec te facundi scaena Catulli /
detineat; XII 83, 1-4 derisor Fabianus hirnearum, / omnes quem modo
colei timebant / dicentem tumidas in hydrocelas / quantum nec duo
dicerent Catulli). A favore dell’identificazione con il favolista depone anche
la conoscenza dell’opera di Fedro da parte di Marziale, provata da numerose
riprese: vd. M. Dadone, Fedro e Marziale, «RSC» 2, 1954, pp. 83-86; A.
Guarino, La società col leone, «Labeo» 18, 1973, pp. 72-77. Carratello 1964,
p. 144 sgg. accoglie il testo di Heraeus (improbi Phaedri: vd. infra)
e sostiene, riproponendo un’identificazione risalente a Calderini, che il Fedro
menzionato in questo passo sia il protagonista dell’omonimo dialogo plato-
nico; egli si basa su un passo (243c) in cui Socrate utilizza l’avverbio
(= improbe) a proposito del discorso di Fedro e del suo primo
discorso. Ma i del Fedro platonico non possono essere considerati
un genere letterario e la definizione non può certo valere per il corpus dei
dialoghi platonici. Assolutamente priva di ogni serio fondamento è l’ipotesi
di Herrmann 1950, p. 111 sg., per cui iocos Phaedri alluderebbe, oltre che
alle favole, al Culex, di cui sostiene la paternità fedriana; Canio Rufo sarebbe
l’autore delle presunte ‘aggiunte post-staziane’ al Culex, individuate dallo
studioso (Herrmann 1950, p. 101 sgg.). Lo stesso Herrmann ha altrove
(Autour des Fables de Phèdre, «Latomus» 7, 1948, p. 199 sg.) attribuito due
favole a Canio Rufo, soltanto sulla base di questo verso. – improbi: l’esatto
significato dell’attributo è oggetto di discussione: Friedlaender gli attribuiva
214 M. Val. Martialis liber tertius

il senso, frequente in Marziale, di lascivus (vd. la n. a 86, 4) e lo considerava


un elemento sufficiente per identificare nel Fedro di questo verso un autore
di mimi a noi sconosciuto (vd. supra). Maggiori difficoltà ha creato l’attributo
a coloro che hanno accettato l’identificazione con il favolista: chi ha
intepretato improbus nel senso di lascivus ha cercato di rintracciare elementi
licenziosi nelle favole tramandate (R. Ellis, The Fables of Phaedrus, London
1894, p. 8 n. 1; L. Havet, Phaedri Fabulae Aesopiae, Paris 1895, p. 267; O.
Weinreich, Fabel, Aretalogie, Novelle, «SHAW» 21, 1931, p. 37 n. 2; Izaac, p.
252), oppure ne ha tratto la conclusione che debba trattarsi di un riferimento
ad opere di Fedro per noi perdute (Ker; J.W. Duff, Roman Satire, Berkeley
1936, p. 109). Tuttavia, anche volendo rintracciare elementi licenziosi
nell’opera di Fedro e ammettendo che si possano essere perdute altre favole
di tal genere, la lascivia rimane un elemento del tutto marginale nelle opere
del favolista. Appare pertanto improbabile che Marziale lo abbia definito
improbus in questa accezione. La soluzione più convincente, sostenuta da
Stephenson, Thiele 1911, p. 540 sg. e Housman 1919, p. 69 (= Class. Pap.,
p. 983), è quella di intendere l’attributo nel senso di ‘sfacciato’ (‘dreist’,
‘disrespectful’, ‘wicked’), in riferimento agli elementi di satira politica presenti
nell’opera di Fedro, che, come egli stesso afferma (III prol. 41 sgg.), avevano
scatenato l’ira di Seiano; per tale accezione, in riferimento al carattere
maledico della satira, cfr. Lucil. 821 sg. amicos hodie cum improbo illo
audivimus / Lucilio advocasse; 1026 omnes formosi, fortes tibi, ego
improbus. esto (con il commento di Marx, ad locc.); vd. anche ThlL VII 1,
692, 77 sgg. Piuttosto improbabile, anche se ingegnosa, l’idea suggerita da
Birt 1882, p. 385 n. 3, accolta da J.P. Postgate (Phaedrus and Seneca, «CR»
33, 1919, p. 22 sg.) e sviluppata a fondo da A.H. Travis (Improbi iocos Phae-
dri, «TAPhA» 71, 1940, pp. 579-586), che Marziale abbia fatto riferimento
all’opera di Fedro usando due parole (improbus, ioci) che i suoi lettori
avrebbero immediatamente riconosciute come ‘fedriane’: per quanto
riguarda ioci la considerazione è senz’altro condivisibile (vd. supra). Tuttavia
improbus, che pure è fra gli attributi che ricorrono più di frequente nell’opera
fedriana (quattordici volte; una volta improbitas), è usato da Fedro nella sua
accezione più negativa per definire gli arroganti prevaricatori che prende di
mira nelle sue opere. Non si tratta pertanto di un attributo che possa
qualificare il genere letterario (come lascivus per l’elegia, severus per l’epica,
horridus per la tragedia). – iocos: è lezione attestata in VBh² e diffusa nella
tradizione umanistica, accolta nel testo da Friedlaender, Lindsay, Ker, Izaac.
Epigramma 20 215

Thiele 1911, p. 548 e Housman 1919, p. 69 sg. (= Class. Pap., p. 983 sg.)
hanno indipendentemente proposto logos, fondandosi soprattutto su Sen.
dial. XII (XI) 8, 3 fabellas quoque et Aesopeos logos (Housman considerava
anche la possibilità di leggere logus, con desinenza greca, più vicina a locus
della seconda famiglia: cfr. IV 39, 3 Praxitelus genitivo; vd. anche «CQ» 17,
1923, p. 163 n. = Class. Pap., p. 1073 n. 1, in cui Housman riconosce a
Thiele la priorità della congettura). Logus è spesso confuso nei manoscritti
con locus (vd. ThlL VII 2, 1612, 77 sgg.). La proposta non è da escludere,
ma ritengo che l’uso fedriano di ioci, iocari in relazione alle sue favole (vd.
supra) renda preferibile un uso allusivo del termine da parte di Marziale.
Inoltre nel passo senecano con Aesopei logi bisogna probabilmente intendere
favole in prosa come quelle di Esopo (vd. Mazzoli 1970, p. 152): cfr. Aristoph.
pax 129; Quint. inst. V 11, 20. Possibilità ancora minori mi sembra possedere
, proposto da Heraeus 1915, p. 36 sg. n. 1 (= Heraeus 1937, p. 221
n. 1), e accolto, oltre che nell’edizione dello stesso Heraeus, da Giarratano e
SB: l’uso di un termine greco non sembra giustificato dal contesto (per il
greco negli epigrammi di Marziale vd. Weinreich 1928, p. 161 sgg.). è
inoltre terminus technicus per favole, e in generale opere, prosastiche (vd.
LSJ s.v. nr. 5, 1).
6 sg.: gli attributi (lascivus, severus, horridus), grammaticalmente riferiti
a Canio, qualificano i generi letterari.
6. lascivus elegis: lascivus / lascivia caratterizzano comunemente la poesia
elegiaca: cfr. Prop. II 34, 87 lascivi … Catulli; Ov. trist. II 427 lascivo …
Catullo; V 1, 15 lasciva carmina; Tac. dial. 10, 4 elegorum lascivias; Quint.
inst. X 1, 88 lascivus in herois quoque Ovidius; X 1, 93 Ovidius utroque (sc.
Tibullo et Propertio) lascivior (in Quintiliano l’attributo qualifica soprattutto
lo stile, negli altri autori il contenuto delle elegie); in Marziale cfr. VIII 73, 5
lascive Properti. Per l’uso dell’attributo in relazione alla poesia epigrammatica
vd. la n. a 86, 1. – severus herois: severus / severitas, all’opposto di lascivus
/ lascivia, caratterizzano la poesia elevata (epica e tragedia: cfr. VIII 3, 13
sgg.): cfr. Hor. carm. II 1, 9 severae Musa tragediae; Prop. II 3 a, 5 aut ego
si possem studiis vigilare severis; AL 429, 1. 13 ludere, Musa, iuvat; Musa
severa, vale; per contrasto la poesia epigrammatica è definita parum severa:
cfr. I 35, 1 sgg. versus scribere me parum severos / … / Corneli, quereris;
X 20 (19), 1 nec doctum satis et parum severum (sc. meum libellum); Plin.
epist. V 3, 2 facio non numquam versiculos severos parum. Marziale invita
i destinatari dei suoi epigrammi a spogliarsi della severitas per apprezzare le
216 M. Val. Martialis liber tertius

sue nugae: cfr. I 35, 12 sg. quare deposita severitate / parcas lusibus et iocis
rogamus e, specialmente, IV 14, 1 sgg., rivolto a Silio Italico, il cui poema
epico ricorda nei vv. 2-5: Sili, Castalidum decus sororum, / qui periuria
barbari furoris / ingenti premis ore perfidosque / astus Hannibalis levisque
Poenos / magnis cedere cogis Africanis: / paulum seposita severitate, / … /
(10) nostris otia commoda Camenis.
7: il verso presenta analogie con Phaedr. IV 7, 5 et in cothurnis prodit
Aesopus novis. Se si tratta di voluta allusione, il verso costituisce un elemento
in più per l’identificazione del Fedro del v. 5 con il favolista: Marziale avrebbe
incastonato nell’epigramma un verso modellato su Fedro in omaggio alla
passione dell’amico Canio per il favolista. – in cothurnis … Sophocleis: i
cothurni, calzari alti degli attori tragici, indicano metonimicamente la
tragedia per la prima volta in Verg. ecl. 8, 10 cit. infra, quindi, in poesia,
in Orazio, Ovidio, Manilio, Giovenale (vd. ThlL IV 1087, 68 sgg.). Nella
letteratura greca non c’è un analogo uso di (vd. W. Beare, The
Roman Stage, London 1950, p. 183). Qui non si tratta propriamente di
metonimia (cothurni = tragedia), ma il tragediografo è rappresentato come
attore tragico: cfr. Hor. carm. II 1, 11 sg. grande munus / Cecropio repetes
cothurno con il commento di Nisbet-Hubbard2; Phaedr. IV 7, 5 cit. supra.
Per l’uso metonimico in Marziale cfr. VIII 3, 13; 18, 7; XI 9, 1; XII 94, 3.
I cothurni possono essere anche, più genericamente, simbolo della poesia
elevata: cfr. V 5, 8 cothurnati … Maronis (la iuctura ricorre anche in VII
63, 5). Il nesso cothurni Sophoclei (o cothurnus Sophocleus), che unisce al
genere letterario il nome del tragico per antonomasia, secondo un giudizio
diffuso al tempo e sostanzialmente concorde con quello della critica
moderna (cfr. Plin. nat. VII 109 Sophoclem tragici cothurni principem),
si trova per la prima volta in Verg. ecl. 8, 10 sola Sophocleo tua carmina
digna cothurno; quindi in Ov. am. I 15, 15 nulla Sophocleo veniet iactura
cothurno (varia Properzio: II 34, 41 desine et Aeschyleo componere verba
cothurno). In Marziale la iunctura ricorre anche in V 30, 1 Varro, Sophocleo
non infitiande cothurno. – horridus: l’attributo si trova qui soltanto in
riferimento alla tragedia e allude probabilmente alla paura ( ) suscitata
negli spettatori, in cui Aristotele individuava uno degli elementi costitutivi
del genere (poet. 1449 b 24 sgg.).
8. in schola poetarum: il luogo, che Marziale frequentava con letterati
e amici, è menzionato anche in IV 61, 3 sg. in schola poetarum / dum
fabulamur. Doveva trovarsi nelle vicinanze dei portici degli Argonauti e
Epigramma 20 217

d’Europa, nominati nei versi seguenti, dove, per testimonianza di Plinio il


Vecchio, si trovavano una o più scholae (nat. XXXV 114; XXXVI 22; vd.
Platner-Ashby, p. 427). F. Coarelli (Il Campo Marzio, Roma 1997, pp. 452-
484) ha ipotizzato, sulla base degli scoli a Hor. sat. I 10, 38 e epist. II 2, 94,
di localizzare la schola poetarum presso il tempio di Hercules Musarum,
intorno al quale si trovava il portico di Filippo, attiguo a quello di Ottavia
(vd. LTUR III, s.v. Hercules Musarum, aedes, p. 17 sgg.). L’identificazione
appare tuttavia molto incerta (vd. D. Palombi, s.v. Roma, EO I, sez. 6, p.
549 sgg. con bibliografia). Schola, termine della sfera quotidiana, ricorre in
poesia soltanto in Marziale (4 volte) ed in Fedro.
9: Canio possiede l’arguzia e la grazia dell’eloquio. Sal designa l’arguzia
pungente, la facezia (per la metafora vd. OLD, s.v., nr. 6 b; Gowers 1993, pp.
230-232): cfr. Cic. fam. IX 15, 2 accedunt … salsiores quam illi Atticorum
Romani … sales; Quint. inst. XII 10, 12 in salibus aliquando frigidum
(sc. Ciceronem). Lepos definisce la grazia e piacevolezza dell’eloquio, dote
necessaria per l’oratore: cfr. Cic. de orat. I 213 instructum (sc. oratorem) …
lepore quodam volo. Sulla distinzione in Marziale tra sal Romanus e lepos
Atticus (o Cecropius) cfr. IV 23, 6 qui si Cecropio satur lepore / Romanae
sale luserit Minervae; vd. anche VIII 3, 19 at tu Romano lepidos sale tinge
libellos (sul sal quale importante elemento dell’epigramma marzialiano vd.
la n. a 99, 3). Sal e lepos sono spesso affiancati: cfr. Catull. 16, 7 sg. qui (sc.
versiculi) tunc denique habent salem et leporem / si sunt molliculi et parum
pudici; Cic. de orat. I 159 libandus est etiam ex omni genere urbanitatis
facetiarum quidam lepos, quo tamquam sale perspargatur omnis oratio;
243 multo maiorem partem sententiarum sale tuo et lepore et politissimis
facetiis pellexisti; II 98 inusitatum nostris … oratoribus leporem quendam
et salem; 252 quod mutatis verbis salem amittit, in verbis habet leporem
omnem; Hier. epist. 50, 3, 3 comico sale ac lepore; 84, 2 sales eius (sc. Lucili)
leposque laudantur. – lepore … Attico: la iunctura ricorre ancora in Sidon.
carm. 23, 99 sg. illum, cui nitidi sales rigorque / Romanus fuit Attico in
lepore (che senz’altro dipende da Marziale; cfr. anche 23, 149 Graios, Plaute,
sales lepore transis) ed in Hier. epist. 57, 12, 3 haec est Plautina eloquentia, hic
lepos Atticus et Musarum, ut dicunt, eloquio comparandus (per l’influenza
di Marziale su Sidonio vd. E. Geisler, De Apollinaris Sidonii studiis, Breslau
1885; R.E. Colton, Traces of Martial’s Vocabulary in Sidonius Apollinaris,
«CB» 53, 1976, pp. 12-16). Essa individua nell’oratoria attica il modello di
vivacità del discorso: cfr. Cic. orat. 26, 90 quidquid est salsum aut salubre
218 M. Val. Martialis liber tertius

in oratione, id proprium Atticorum est. e quibus tamen non omnes faceti:


Lysias satis et Hyperides, Demades praeter ceteros fertur, Demosthenes
minus habetur; vd. anche Cic. de orat. II 270 Socratem opinor in hac
ironia … longe lepore et humanitate omnibus praestitisse; rep. I 16 leporem
Socraticum. Per lepore tingere cfr. Manil. IV 527 sg. nec triste ingenium sed
dulci tincta lepore / corda creat; per l’analoga espressione sale tingere in
Marziale cfr. VIII 3, 19 cit. supra; XII 95, 3 tinctas sale pruriente chartas.
10. porticum terit: la iunctura ricorre nella stessa posizione metrica del
coliambo in II 11, 2 quod ambulator porticum terit seram. – templi: la
generica definizione di porticus templi, priva del nome del portico, non
offre altre occorrenze nella letteratura latina e crea qualche difficoltà.
Il passo è stato perciò ritenuto corrotto da vari studiosi: sono ricorsi alle
cruces Friedlaender, Heraeus, SB. Tra le varie congetture avanzate nessuna
convince: né Tectae di Munro, dal momento che la via Tecta (per cui vd.
la n. a 5, 5) non sembra esser stata un luogo di passeggio frequentato, quali
quelli nominati a seguire (d’altra parte la definizione porticus Tectae appare
improbabile, poiché i portici romani prendono il nome dal loro costruttore
o da opere d’arte in essi contenute), né Magni di Friedlaender (in app.),
che comporterebbe un riferimento al portico di Pompeo (cfr. Catull. 55, 6
in Magni … ambulatione), giacché lascia perplessi la sua spiegazione della
genesi della corruzione di Magni in templi, che sarebbe stato scelto per
integrare l’ultima parola del verso divenuta illeggibile, forse basandosi su
XI 1, 9 porticum Quirini: nessun correttore avrebbe scelto un’espressione
così poco chiara per colmare una lacuna. Ancor meno plausibile Tampi
(Heraeus nell’adn.), portico altrimenti sconosciuto, che trarrebbe nome dal
due volte console Lucio Tampio Flaviano. Sebbene i dubbi degli interpreti
siano giustificati dall’inconsueta definizione di porticus templi, il testo tràdito,
che realizza anche un’allitterazione (terit templi), può essere, a mio avviso,
difeso, considerando che la definizione doveva risultare chiara ai lettori di
Marziale, che conoscevano l’ubicazione della schola poetarum, da cui Canio
si dirige al portico (hinc si recessit). Potrebbe trattarsi del tempio di Iside e
Serapide, che si trovava nel Campo Marzio, accanto ai Saepta (vd. Platner-
Ashby, p. 283 sg.; F. Coarelli, LTUR III, p. 107 sgg.) ed era un luogo molto
frequentato, soprattutto da donne (cfr. XI 47, 4; Ov. ars I 77; Iuv. 6, 489; 9,
22). Ne offre conferma il percorso del cenipeta Selio in II 14, 5 sgg., inverso
rispetto a quello di Canio: portico d’Europa, portico degli Argonauti, tempio
di Iside (Memphitica templa). L’ipotesi, cui aderisce F. Coarelli (LTUR III,
Epigramma 20 219

p. 107), è sostenuta da Ker e Izaac (in modo però troppo perentorio, come
osservato da Housman 1931, p. 83 = Class. Pap., p. 1174). Un’altra ipotesi
degna di considerazione è quella di Castagnoli 1950, p. 72, che pensa al
templum Divorum, costruito da Domiziano nel Campo Marzio in onore di
Vespasiano e Tito divinizzati, nei pressi del tempio di Iside, i cui portici sono
ricordati nei Cataloghi Regionari (vd. F. Coarelli, LTUR II, p. 19 sg.): in tal
caso la generica menzione di porticus templi verrebbe ad assumere un valore
encomiastico nei confronti del programma architettonico domizianeo. Se
invece si accetta la localizzazione della schola poetarum presso il tempio di
Hercules Musarum (vd. la n. al v. 8), la porticus templi andrà identificata con
la p. Philippi, menzionata da Marziale in V 49, 12 (vd. M.J. Kardos, L’Urbs
de Martial. Recherches topographiques et littéraires autour des Epigrammes
V, 20 et V, 22, «Latomus» 60, 2001, p. 403). Poco persausiva la proposta
di Friedrich 1907, p. 378 sg. di identificazione con il tempio di Apollo sul
Palatino, costruito da Augusto e fornito di portici e di una biblioteca greca e
latina (cfr. Suet. Aug. 29, 3; Prop. II 31, 1 sg. Phoebi / porticus), le cui sale,
secondo Friedrich, potrebbero aver costituito la schola poetarum: il percorso
di Canio si svolge nel Campo Marzio e questo rende senz’altro poco probabile
l’identificazione con il tempio di Apollo sul Palatino (che oltretutto Marziale
avrebbe potuto definire, con Properzio, porticus Phoebi).
11. spatia … Argonautarum: si tratta del portico degli Argonauti, fatto
costruire da Agrippa nel 25 a.C. nel Campo Marzio. Il nome deriva dalle
pitture sulle sue pareti che ritraevano le imprese degli Argonauti (Cass. Dio
LIII 27, 1). Era tra i più frequentati luoghi di passeggio a Roma (vd. Platner-
Ashby, p. 420; LTUR IV, p. 118 sg.); Marziale lo nomina anche in II 14, 6;
XI 1, 12. Spatia carpere ricorre, oltre che qui, soltanto in Sen. Phaed. 1078
carpens spatia. – lentus: l’attributo suggerisce che Canio vada alla ricerca
di incontri galanti: cfr. Ov. ars I 67 tu modo Pompeia lentus spatiare sub
umbra (al verso ovidiano, modellato su Prop. IV 8, 75 tu neque Pompeia
spatiabere cultus in umbra, Marziale allude esplicitamente in XI 47, 3 nec
Pompeia lentus spatiatur in umbra).
12. delicatae … Europae: il portico di Europa, vicino ai Saepta, è
menzionato soltanto da Marziale, ancora in II 14, 3. 5. 15; VII 32, 12; XI 1,
11. Era, come gli altri portici del Campo Marzio, uno tra i luoghi privilegiati
per il passeggio, l’ozio, gli incontri, nei cui pressi si trovava la pianura dove i
giovani svolgevano esercizi fisici (II 14, 3-4; VII 32, 11-12; vd. Lugli 1961, p.
12 sgg.). Vi si trovavano pitture o, con maggiore probabilità (vd. la n. al v. 13),
220 M. Val. Martialis liber tertius

un gruppo scultoreo rappresentante il mito di Europa. Secondo Castagnoli


1950, p. 70 sg., non apparendo con certezza che si tratti di un portico, ma
soltanto «di giardini o di una parte di edificio (sia portico o terme o altro)
sistemato a giardino», si potrebbe pensare agli horti di Agrippa (dell’opinione
che si tratti soltanto di giardini è anche Lugli 1961, p. 13). Ma che si tratti
di un portico è confermato da XI 1, 9 sgg. (apostrofe al libro, cui Marziale
consiglia di recarsi nei luoghi più affollati della città) vicini pete porticum
Quirini: / turbam non habet otiosiorem / Pompeius vel Agenoris puella, /
vel primae dominus levis carinae, dove quello di Europa (Agenoris puella)
è menzionato insieme ad altri portici (vd. Sposi 1997, p. 21 sgg.). L’ipotesi
di identificazione con la porticus Vipsania, avanzata da Ch. Hülsen (Jordan-
Hülsen, p. 458) e accettata da Friedlaender, è stata riproposta recentemente
da R.E. Prior (Going around hungry: Topography and Poetics in Martial
2. 14, «AJPh» 117, 1996, p. 127 sg.). Marziale nomina esplicitamente questo
portico in IV 18, 1 qua vicina pluit Vipsanis porta columnis (cfr. anche I
108, 3 at mea Vipsanas spectant cenacula laurus). Per altre ipotesi vd. LTUR
IV, p. 120 sg. – rursus: la lezione di , accolta da tutti gli editori (qualche
dubbio mostra Lindsay 19032, p. 48), è senz’altro preferibile rispetto a rufus
di , che non può valere coloratus, ustus, come sostenuto da Malein (apud
Heraeus, p. XXX); d’altra parte il cognomen Rufus, che Marziale utilizza solo
nel v. 1, appare qui fuori luogo; la lezione di deriverà probabilmente da
rusus, grafia comune dell’avverbio (vd. OLD, s.v.).
13. inter tepentes … buxos: il boschetto era esposto al sole meridiano: cfr.
II 14, 15 Europes tepidae buxeta; spazi coltivati a verde erano inseriti fra
più portici vicini (cfr. Vitr. V 9, 5): ai bossi del portico d’Europa facevano
da contraltare i platani del portico di Pompeo (Prop. II 32, 11 sgg. scilicet
umbrosis sordet Pompeia columnis / porticus, aulaeis nobilis Attalicis, / et
platanis creber pariter surgentibus ordo), disposti su entrambi i lati (Mart.
II 14, 10 Pompei dona nemusque duplex). Ancora un boschetto di platani
con statue di bronzo di fiere adornava il cosiddetto Hecatostylum, nei pressi
del portico di Pompeo (vd. la n. a 19, 1 sg.). Questi complessi di portici con
giardini interni non appartenevano alla tradizione romana, ma si rifacevano
a modelli ellenistici (Grimal 1990, p. 175 sgg.). Si utilizzavano per lo più
piante a foglie perenni, in modo da creare un paesaggio stabile nel tempo:
accanto al bosso ed al platano erano usati l’acanto, il cipresso, il lauro, il
mirto, il rosmarino, la violetta (Grimal 1990, p. 276 sgg.). Il bosso, pianta
molto folta e dalle foglie resistenti, si prestava anche a una potatura ad arte
Epigramma 20 221

(vd. la n. 58, 3 tonsili … buxeto). È probabile che il mito di Europa fosse


rappresentato da un gruppo scultoreo collocato non sotto il portico, ma
nei giardini: Marziale parla di tepida Europa e ciò induce a pensare ad una
scultura esposta al sole, probabilmente di bronzo. Anche la pointe di II 14,
in cui Marziale invita Zeus sotto forma di toro a portarsi via Selio, disperato
cenipeta, risulta più incisiva se si tratta di un gruppo scultoreo (18 ad cenam
Selium tu, rogo, taure, voca). A. Reinach («Neapolis» 2, 1914, pp. 231-253)
ha avanzato l’ipotesi che si tratti del gruppo bronzeo di Pitagora di Reggio,
conservato durante il periodo repubblicano a Taranto (Cic. Verr. II 4, 135;
Varro ling. V 31 sg.) e presumibilmente trasferito in seguito a Roma (vd. anche
LTUR IV, p. 121 sg.). È pertanto da escludere l’identificazione con le pitture
rappresentanti Cadmo ed Europa, opera di Antifilo, collocate nel portico
di Pompeo (Plin. nat. XXXV 114; vd. Platner-Ashby, p. 422). È possibile
invece, come ha ipotizzato Sposi 1997, p. 24 sg., che la rappresentazione
fosse arricchita da una fontana (nel mito Zeus trasformato in toro rapisce
Europa conducendola sulle onde dell’Oceano fino a Creta), alimentata da
una ramificazione dell’Aqua Virgo, che forniva l’acqua anche alle Terme di
Agrippa (vd. Platner-Ashby, p. 518); cfr. anche la testimonianza di Marziale
sul Campo Marzio in V 20, 9 Campus, porticus, umbra, Virgo, thermae.
– post meridie: la lezione di EAX è senz’altro preferibile a post meridiem
di V, poiché post meridie è considerato come una forma indeclinabile:
vd. W. Heraeus, ALL 12, 1902 (= Hildesheim 1967), p. 92; ThlL VIII 840,
47 sgg. In Marziale cfr. IV 61, 12 post meridie (con tradizione concorde).
Meridie è stato preferito da Lindsay, Heraeus, SB; meridiem da Schneidewin,
Friedlaender, Gilbert, Duff, Izaac.
14. acribus curis: la iunctura ricorre in Varr. Men. 394; Lucr. III 459; V 43
sg.; Val. Fl. V 548; Sil. IV 8 sg.
15. Titine thermis: costruite in gran fretta al tempo della dedica dell’An-
fiteatro Flavio e inaugurate con splendidi giochi (Suet. Tit. 7, 3), le terme di
Tito si trovavano nella regio III, accanto all’Anfiteatro, all’interno del recinto
della Domus Aurea (cfr. epigr. 2, 7 sg. hic ubi miramur velocia munera
thermas, / abstulerat miseris tecta superbus ager); sono ancora associate
alle terme di Agrippa in III 36, 5 sg. lassus ut in thermas decima vel serius
hora / te sequar Agrippae, cum laver ipse Titi (vd. Platner-Ashby, p. 533
sg.; LTUR V, s.v. thermae Titi, p. 66 sg.). – Agrippae: le più antiche grandi
terme romane, costruite da Agrippa nel 25 a.C. nel Campo Marzio a sud
del Pantheon e inaugurate nel 12 a.C. La bellezza delle decorazioni, tra cui
222 M. Val. Martialis liber tertius

spiccava l’Apoxyomenos di Lisippo, è descritta da Plinio il Vecchio (nat.


XXXIV 62; XXXV 26; XXXVI 189). Andarono a fuoco nell’80, ma la
menzione di Marziale (anche in III 36, 6 cit. supra) è prova di un restauro
ad opera di Tito o Domiziano (vd. Platner-Ashby, p. 518 sgg.; LTUR V, s.v.
thermae Agrippae, pp. 40-42).
16. impudici balneo Tigillini: si tratta senz’altro di Ofonio Tigellino
(o Tigillino), il celebre prefetto del pretorio di Nerone, esiliato nel 39 da
Caligola per sospetto di adulterio con Agrippina e Giulia (vd. PIR O 91;
Stein, RE XVII 2, s.v. Ofonius, 2056-61; il commento di Mayor a Iuv. 1,
155; T.K. Roper, «Historia» 28, 1979, pp. 346-357). L’attributo impudicus si
attaglia perfettamente al personaggio descritto dalle fonti: cfr. Tac. ann. XIV
51, 2 sg. quippe Caesar … praetoriis cohortibus imposuerat … Ofonium
Tigellinum, veterem impudicitiam atque infamiam in eo secutus; XV 50, 3
per saevitiam impudicitiamque Tigellinus in animo principis anteibat (sc.
Faenium Rufum). I balnea, stabilimenti più piccoli delle thermae, potevano
trovarsi anche in case private; a Roma erano assai numerosi (cfr. Plin. nat.
XXXVI 122). In genere sono nominati con il genitivo del costruttore o del
proprietario: cfr. I 59, 3; II 14, 11; XI 52, 4; vd. Mau, RE II 2, s.v. Bäder,
2747. Il balneum Tigillini è menzionato anche in CGL III 657, 14 e in
una tessera plumbea (vd. Tesserarum urbis Romae et Suburbi plumbearum
sylloge, edidit M. Rostovtsev, St. Pétersbourg 1903-1905, 888; Platner-Ashby,
p. 71; LTUR, s.v. balneum Tigillini, I, p. 165). Non esistono dati certi per
la sua ubicazione: poteva trovarsi nel Campo Marzio, come gli altri luoghi
nominati da Marziale, oppure nei praedia Tigellini Aemiliana, nominati da
Tac. ann. XV 40, 2, anch’essi però di non sicura localizzazione (vd. LTUR,
s.v. balneum Tigillini, I, p. 165; ibid., s.v. praedia Tigellini Aemiliana, IV).
Il termine balneum fa parte della sfera quotidiana ed è escluso dalla poesia
elevata: si trova in Orazio sat. (4 casi); Ovidio ars (1); Persio (1); Stazio silv.
(3); Giovenale (8). In Marziale ci sono 22 occorrenze.
17. Tulli … atque Lucani: Gn. Domizio Lucano e Gn. Domizio Tullo
erano fratelli (cfr. I 36, 4). Figli di un Curvius a noi sconosciuto (in V 28, 3
sono detti Curvii fratres), furono adottati nel 42 da Domizio Afro, celebre
oratore del tempo, che ne aveva fatto condannare il padre (cfr. Plin. epist.
VIII 18, 5 sg.). Forniti di grandi ricchezze e di prestigio politico furono fra
i protettori di Marziale, che si rivolge a loro più volte con toni cortigiani: in
I 36 li paragona ai Dioscuri; in V 28, 3 li nomina come exempla di pietas;
in IX 51, in occasione della morte di Lucano, il maggiore dei due, riprende
Epigramma 20 223

e sviluppa il confronto con i Dioscuri; è probabilmente a Gn. Domizio


Lucano che Marziale si rivolge in VIII 75, 15 (per ulteriori informazioni vd.
Citroni, p. 119 sg.). Canio doveva dunque essere in rapporti di amicizia o di
clientela con i due fratelli.
18. Pollionis: si tratta forse del celebre citaredo, contemporaneo di Marziale,
che lo nomina anche in IV 61, 9, ma non vi sono elementi sufficienti per
una sicura identificazione. Il nome del citaredo ricorre anche in Iuv. 6, 387;
7, 176. In Marziale Pollio è nome fittizio in XII 12, 2. – currit: currere per
‘viaggiare’ (vd. ThlL IV 1512, 61-65) ricorre anche in II 6, 15 et cum currere
debeas Bovillas.
19. aestuantis … Baias: Baia, sulla costa campana, era una fra le località
di villeggiatura più lussuose e rinomate del mondo romano (cfr. Hor. epist.
I 1, 83; Mart. XI 80), nota anche per la rilassatezza dei suoi costumi (in
I 62 Marziale gioca con questo motivo raccontando di una casta moglie,
una Penelope, che a Baia diventa un’Elena). Su Baia vd. Friedlaender, SR I
407 sgg.; D’Arms 1970. Marziale ebbe modo di soggiornarvi spesso, come
ospite di facoltosi patroni ed amici: cfr. I 59; IV 57; X 58; VI 43, 7 sg. La
villa a Baia di Faustino, il ricco ed influente amico di Marziale, dedicatario di
questo libro (epigr. 2) e probabilmente suo ospite nel soggiorno cisalpino
(vd. l’Introduzione, § 3), è descritta nell’epigr. 58 (51 versi). Il clima caldo,
che nei mesi estivi diveniva quasi intollerabile, la rendeva una meta agognata
in primavera: cfr. IV 57, 5 sg. horrida sed fervent Nemaei pectora monstri, /
nec satis est Baias igne calere suo; Stat. silv. IV 3, 25 sg. Gauranosque sinus
et aestuantes / … Baias (la ripresa da parte di Stazio appare comprovata
anche dalla menzione dei Gaurani sinus che richiamano il Lago Lucrino,
nominato al v. successivo: vd. Henriksén 1998, p. 86 e il commento di
Coleman al passo di Stazio); Sil. XII 113 sg. tepentes / … Baiae; Sidon. epist.
V 14, 1 calentes … Baiae. Sugli accusativi plurali in –is vd. la n. a 10, 2. – iam
profectus: l’alta stagione a Baia era in marzo-aprile (vd. Friedlaender, ad loc.;
SR II 94, 6). L’epigramma perciò sarà stato composto tra la fine di febbraio
e l’inizio di marzo dell’88 (vd. l’Introduzione, pp. 53; 56).
20. Lucrino … in stagno: è il noto lago costiero presso Baia, diviso dal mare
da una sottile lingua di terra. Era utilizzato per la pesca, per la coltivazione
di rinomate ostriche (vd. la n. a 60, 3) e per gite in barca (cfr. I 62, 3; Prop. I
11, 10). La definizione di stagnum per il Lucrino ricorre ancora in III 60, 3;
IV 57, 1; V 37, 3; Sidon. carm. 18, 7. J. Willis (Stutgardiae et Lipsiae 1997)
legge ora Lucrinum ad stagnum (saxum codd.) in Iuv. 4, 141, accogliendo
224 M. Val. Martialis liber tertius

la congettura di K.M. Coleman (The Lucrin Lake at Juvenal 4. 141, «CQ»


44, 1994, pp. 554-556). – nauculatur: il verbo è un hapax. Si tratta di un
denominativo dal diminutivo naucula (il sostantivo ricorre in Plin. epist. III
16, 9; V 6, 37; IX 7, 4; Paul. Nol. carm. 24, 245); per le dimensioni delle
imbarcazioni sul lago Lucrino cfr. Prop. I 11, 10 parvula Lucrina cumba
moretur aqua.
21: sulla ripresa del verso iniziale vd. la n. intr. – Ridet: l’ultima parola
dell’epigramma, come spesso in Marziale, realizza l’ (vd.
Gerlach 1911, p. 30 sgg.). In questo caso la lunghezza dell’epigramma e
l’insistenza sulle varie possibili attività dell’amico accentua l’effetto di sopresa
derivante dalla conclusione.
Epigramma 21 225

21

Proscriptum famulus servavit fronte notatus.


Non fuit haec domini vita, sed invidia.

hab. R tit. de domino et famulo R 1 proscriptum RLPQf¹V²: proscriptus f²EAXV¹


notatus : notata R 2 vita RL²PQf : via L¹

Un servo marchiato sulla fronte salvò un proscritto.


Questo atto significò non vita per il padrone, ma odio.

L’epigramma prende spunto da un episodio storico: durante il secondo


triumvirato, nel 43 a.C., il proscritto Antius Restio (per l’identificazione
vd. F. Hinard, Les proscriptions de la République romaine, Roma 1985,
p. 424) fu salvato da un suo schiavo, che egli aveva fatto marchiare sulla
fronte. L’aneddoto è narrato da Valerio Massimo (VI 8, 7, tra gli exempla
de fide servorum) e da Macrobio (Sat. I 11, 19): Antius tentò la fuga per
sottrarsi alla cattura e, mentre tutti gli altri servi facevano man bassa delle
sue ricchezze, uno solo, da lui marchiato sulla fronte, lo seguì e riuscì a
salvarlo dai soldati che lo inseguivano con questo stratagemma: avendo
apprestato un rogo, uccise un vecchio mendicante e ve lo adagiò; quindi, ai
soldati che gli chiedevano dove fosse il padrone, indicò il rogo affermando
che egli stava bruciando a espiazione del male commesso. Il suo racconto
fu creduto e il padrone si salvò. La vicenda di Antius è riportata anche da
Appiano (BC IV 40), che però ne attribuisce il salvataggio alla moglie. Un
episodio analogo, ambientato durante la guerra civile, è narrato da Sen.
ben. III 25, dove il servo addirittura si fa uccidere per salvare il padrone
proscritto.
Marziale riduce al minimo i particolari dell’episodio, limitando al primo
verso la narratio; il secondo offre un breve, ma arguto commento al fatto,
secondo una struttura tipica dei monodistici di Marziale. Valerio Massimo
mette in luce soprattutto la pietas e la benivolentia del servo, Marziale
afferma che, salvandogli la vita, il servo ha attirato sul suo padrone l’ostilità
(invidia) di tutti per la crudeltà dimostrata verso un servo rivelatosi così
fedele.
226 M. Val. Martialis liber tertius

1. proscriptum famulus servavit: tutta la vicenda è condensata nelle prime


tre parole del verso, mentre alla clausola dell’esametro è riservato l’elemento
chiave per la conclusione dell’epigramma: la punizione che il dominus aveva
inflitto al suo servo. Marziale evidenzia inoltre l’anomalia della situazione
attraverso un gioco etimologico che coinvolge il verbo servare, che i Latini
percepivano come legato a servus: cfr. Pompon. dig. 50, 16, 239, 1 (=
Florent. Dig. 1, 5, 4, 2; Iust. inst. 1, 3, 3) servorum appellatio ex eo fluxit,
quod imperatores nostri captivos vendere ac per hoc servare nec occidere
solent; Don. Ter. Ad. 181 servi quod servati sunt, cum eos occidi oporteret
iure belli; Isid. orig. V 27, 32 servitus a servando vocata. apud antiquos
enim qui in bello a morte servabantur, servi vocabantur; vd. Maltby 1991,
p. 564 (per le interpretazioni moderne dell’etimologia di servus vd. invece
Ernout-Meillet, p. 620). In questo caso però, con arguta inversione dei ruoli,
il servo (famulus) è colui che salva (servavit) il suo padrone e non colui che
ne è salvato (cfr. Sen. ben. III 24, 1 vixit Domitius et servatus a Caesare est;
prior tamen illum servus servaverat). – fronte notatus: sull’uso di marchiare
la fronte degli schiavi fuggitivi, ladri o calunniatori con lettere (stigma; nota)
che li rendevano immediatamente riconoscibili a tutti cfr. Petron. 69, 1; 103,
2; Quint. inst. VII 4, 14; vd. Marquardt 1886, p. 184 n. 4; Blümner 1911,
p. 294; per eliminare i segni si escogitavano vari rimedi: cfr. II 29, 9 sg.; VI
64, 24 sgg. con il commento di Grewing; X 56, 6. Il particolare della fronte
marchiata è riportato sia da Valerio Massimo che da Macrobio, insieme alla
notizia, omessa da Marziale, che il padrone lo aveva costretto in ceppi: cfr.
Val. Max. VI 8, 7 servus ab eo vinculorum poena coercitus inexpiabilique
litterarum nota per summam oris contumeliam inustus; Macr. Sat. I 11,
19 servus compeditus inscripta fronte. In Marziale l’espressione ricorre
ancora in XII 61, 11 frons haec stigmate non meo notanda est, dove,
metaforicamente, indica il ‘marchio’ impresso dalla satira. La lezione fronte
notatus ( ), accolta da Schneidewin1, Lindsay, Heraeus, Izaac, Giarratano,
SB, appare senz’altro preferibile a fronte notata di R, adottata invece da
Schneidewin2, Gilbert, Friedlaender, Duff e Ker: il participio, concordato
con famulus, rende immediatamente chiari i rapporti grammaticali, mentre
il nesso fronte notata si presterebbe ad ambiguità; inoltre l’ablativo di
rispetto appare senz’altro difficilior. La corruttela si spiega molto facilmente
come influsso del precedente fronte: cfr., ad es., III 16, 5 sed te, mihi crede,
memento: tu R; 44, 1 occurrit tibi nemo quod libenter: qui libenter T; per
altri casi analoghi nella prima famiglia vd. Giarratano, p. XV.
Epigramma 21 227

2. vita … invidia: l’ultima parola dell’epigramma contiene l’arguzia di


Marziale: all’elemento oggettivo della vicenda (la vita salvata del padrone)
si sostituisce il commento soggettivo del poeta che sintetizza in una parola
il vero risultato dell’azione del servo: l’odio attirato sul padrone per la sua
crudeltà (invidia). Il passaggio dall’oggettivo al soggettivo è evidenziato
anche attraverso un gioco paronomastico tra i due sostantivi (vita-invidia),
come notato già da Gilbert 1883, p. 6 n. 4; sull’utilizzo da parte di Marziale
di tale figura di suono vd. Grewing 1998, p. 322 sgg.; Schneider 2000. Per
la chiusa del pentametro con una sillaba breve, per lo più evitata nella
poesia augustea, vd. la n. a 19, 6 fera.
228 M. Val. Martialis liber tertius

22

Dederas, Apici, bis trecenties ventri,


et adhuc supererat centies tibi laxum.
Hoc tu gravatus ut famem et sitim ferre
summa venenum potione perduxti.
Nihil est, Apici, tibi gulosius factum. 5

epigr. 22-63, 4 post V 67, 5 hab. AGh (eandem transp. hab. c nonnullis epigr. omissis)
tit. ad apicium PQfEXV: ad apicum L om. A epigr. cum priore conflato 1 apici bis
LQ²fEA: aprici bis PQ¹ apicius bis V² apicibos X apicius V¹ trecenties LfEA: tricenties
PQ trecentias XV 2 et f²s.l. : sed LPQf¹ supererat Pf¹ : superat LQf² centies PQf :
centiens L laxum LPQf¹A²: leixum A¹ut vid. luxum EXV luxu f²s.l. 3 tu EA²s.l.XV:
om. A¹ ferre LPQ¹f¹: ferres Q²f² 4 summa L²PQfEAV: summe L¹ suma X perduxti
Scriverius: perduxit EAXV¹ duxisti perduxisti V² 5 nihil : nullum EAXV² nullus V¹
tibi gulosius PQf : tigulosius L

Avevi dato al ventre, o Apicio, sessanta milioni,


e ancora te ne rimanevano dieci abbondanti.
Tu, mal tollerandolo, come dovessi patire la fame e la sete,
hai bevuto come ultima bevanda del veleno.
Non hai mai fatto nulla di più goloso, o Apicio. 5

Il tema dell’epigramma è costituito, come per il precedente, da una


vicenda storica: il protagonista dell’aneddoto è Marco Gavio Apicio, il
celebre ghiottone vissuto in età tiberiana (vd. PIR² G 91), noto per il suo
edonismo, sotto il cui nome è tràdita la raccolta di ricette dal titolo De
re coquinaria (la cui redazione risale però al IV secolo: vd. André, p. 7
sgg.; H. Lindsay, «SO» 72, 1997, pp. 144-154). Il suo suicidio, esemplare
conclusione di una vita dedita al lusso, è narrato da Seneca nella Consolatio
ad Helviam matrem (dial. XII 10, 8 sgg.): cuius (sc. Apici) exitum nosse
operae pretium est. cum sestertium milliens in culinam coniecisset, cum tot
congiaria principum et ingens Capitolii vectigal singulis comisationibus
exsorpsisset, aere alieno oppressus rationes suas tunc primum coactus
inspexit: superfuturum sibi sestertium centiens computavit et velut in
ultima fame victurus si in sestertio centiens vixisset, veneno vitam finivit.
quanta luxuria erat, cui centiens sestertium egestas fuit! (la notizia del suo
Epigramma 22 229

suicidio è riportata anche in mythogr. II 225; Isid. orig. XX 1, 1; Cass. Dio


LVII 19, 5). Come messo in luce da Friedrich 1910, Marziale rielabora in
forma di epigramma il racconto senecano (cfr. i passi citati nelle nn. ai
singoli versi), trasformando la narrazione in terza persona nell’apostrofe
diretta al personaggio preso di mira, elemento abituale dell’epigramma
satirico, che rende più pungente l’attacco. La narratio si sviulppa nei primi
quattro versi: nei primi due Marziale delinea l’antefatto della vicenda; nei
vv. 3-4 descrive la bizzarra reazione di Apicio (il suicidio); l’ultimo verso
offre un commento arguto sulla vicenda.
Apicio è menzionato da Marziale come exemplum di vita edonistica
anche in II 69, 3 sg. ipse quoque ad cenam gaudebat Apicius ire: / cum
cenaret, erat tristior ille, domi; 89, 5 quod luxuriaris, Apici (sc. vitium
habes); X 73, 3 qua (sc. toga) non Fabricius, sed vellet Apicius uti. Per
la notorietà del personaggio il nome Apicius è divenuto sinonimo di
‘ghiottone’, ‘dedito al lusso’: la prima occorrenza dell’uso antonomastico
del nome si trova in Giovenale 11, 2 sg. quid enim maiore cachinno /
excipitur volgi quam pauper Apicius?; vd. anche Tert. pall. 5 taceo Nerones
et Apicios; Sidon. epist. IV 7, 2 inter Apicios epulones (vd. al riguardo Van
Wageningen 1912, p. 155; Otto, Sprichwörter, s.v. Apicius). In Marziale
Apicius è nome fittizio in III 80; VII 55, 5. Per la satira contro il tipo dello
scialacquatore vd. la n. intr. all’epigr. 10.

1. Dederas … ventri: il sostantivo ventri, che esprime, con una nota di


biasimo, il carattere meramente edonistico degli sprechi di Apicio, è messo
in risalto dalla collocazione in fine di verso. Venter (come gula, su cui vd.
la n. a 17, 3) è usato spesso per indicare la voracità: cfr. I 20, 3 quid dignum
tanto tibi ventre gulaque precabor?; Sall. Cat. 2, 8 multi mortales, dediti
ventri atque somno; vd. OLD, s.v. nr. 2 b; si veda il corrispettivo uso
di in greco: cfr. Hes. Th. 26
; vd. LSJ, s.v., nr. 1, 2. Per l’espressione dare ventri
cfr. Hor. epist. I 15, 32 quidquid quaesierat ventri donavit avaro. – bis
trecenties: sc. centena milia. La cifra diverge da quella di Seneca: cfr. dial.
XII 10, 9 cum sestertium milliens in culinam coniecisset. Il moltiplicativo
bis è usato di frequente in poesia per comporre i numeri, spesso per ragioni
metriche (numerosissimi gli esempi in Marziale).
2: cfr. Sen. ibid. superfuturum sibi sestertium centiens computavit. Sed,
tràdito da (LPQf¹), è stato accolto, tra gli editori moderni, da Izaac (che
230 M. Val. Martialis liber tertius

però traduce et). La struttura dell’epigramma rende tuttavia senz’altro


preferibile et (f² ): i primi due versi contengono l’antefatto ed è semmai
il v. 3 a essere implicitamente avversativo, dal momento che introduce
un elemento soggettivo (la spropositata reazione di Apicio). L’uso della
congiunzione copulativa, che peraltro contiene una sfumatura avversativa
(‘e nondimeno’), appare pertanto preferibile. – centies … laxum: la
frequenza dell’uso del moltiplicativo per indicare le centinaia di migliaia
di sesterzi lo fa sentire come un sostantivo indeclinabile, cui può riferirsi
un aggettivo singolare: cfr. I 99, 1 non plenum … centiens; IV 37, 3
alterum (sc. decies); 4 tricies solidum (Hor. sat. II 3, 240 deciens solidum);
V 70, 2 plenum … centiens; vd. ThlL V 1, 168, 38-49. Laxus soltanto in
questo passo è accanto ad un numerale in funzione quasi avverbiale con il
significato di ‘abbondante’. L’aggettivo ricorre però, riferito a ricchezze, in
II 30, 4 laxas arca flagellat opes. La lezione luxum della terza famiglia (con
l’eccezione di A²) è probabilmente frutto di corruttela meccanica.
3. hoc tu gravatus …: l’espressione richiama da vicino quella senecana
(ibid.): velut in ultima fame victurus, si in sestertio centiens vixisset.
Gravari nel senso di aegre ferre, fastidire si costruisce comunemente sia
con l’accusativo che con l’infinito (vd. ThlL VI 2314, 17-47; 49-62): cfr.
XII epist. 22 sgg. tu velim ista … diligenter aestimare et excutere non
graveris. La lezione ferres della famiglia , presente per contaminazione in
Q²f², deriva senz’altro da un’errata interpretazione di ut come finale invece
che comparativo: per un caso simile cfr. X 39, 3 ut tua saecula narrant T ,
edd.: ut tua saecula narres (vd. Heraeus 1925, p. 321 n. 1).
4. summa … potione: potio, vocabolo di uso colloquiale e raro in poesia
(è attestato otto volte in Plauto, una volta in Orazio epod. e Giovenale,
solo qui in Marziale), si trova nel racconto senecano (dial. XII 10, 10
ultima potio). – venenum … perduxti: cfr. Sen. ibid. veneno vitam finivit.
Perduxti è una brillante e sicura congettura di Scriverius, accolta da tutti gli
editori, a fronte dei tràditi perduxit ( ) e duxisti ( ). Quest’ultima lezione
si spiega peraltro facilmente come banalizzazione (vd. ThlL V 1, 2150, 53
sgg.). Le forme sincopate della II persona singolare dell’indicativo perfetto
ricorrono più volte negli autori di teatro arcaici, in Lucilio, Varrone,
Lucrezio, Catullo, una sola volta in Virgilio Aen., Orazio sat. e Properzio
(vd. Neue-Wagener, III, p. 500 sgg.). In Marziale ve ne sono più esempi,
per lo più dettati da necessità metriche: dixti (IV 61, 4; V 16, 13; VI 30,
2); addixti (X 31, 1; XII 16, 1); surrexti (V 79, 1 TQ; surrexit rell. codd.).
Epigramma 22 231

Perducere è piuttosto raro nell’accezione di bibere: è attestato in Apuleio


(met. X 5, 1; 16, 9 per congettura) e in testi di medicina (Scribonio Largo;
Gargilio Marziale; Marcell. med.) o tardi (CE; Arnobio); vd. ThlL X 1,
1289, 48-54.
5: una chiusa sentenziosa di tipo epigrammatico si trova già in Seneca
(ibid.): quanta luxuria erat, cui centiens sestertium egestas fuit! Ma
mentre il filosofo esprime una condanna morale della luxuria di Apicio,
sottolineando come l’avidità non conosca limiti (dial. XII 10, 11 cupiditati
nihil satis est, naturae satis est etiam parum), la conclusione di Marziale
coglie argutamente l’aspetto paradossale del suicidio: l’ultima bevanda è
costata ad Apicio dieci milioni di sesterzi (quelli che gli rimanevano); il
suo suicidio si configura pertanto come l’estremo atto di gola di una vita
dedita all’edonismo. Lo spreco di denaro per fini edonistici è condannato
icasticamente da Marziale anche in V 70, 5 o quanta est gula, centiens
comesse! – nihil: i codici della terza famiglia (EAXV²) hanno nullum,
accolto da Schneidewin1. Il neutro sostantivato, attestato in commedia,
nella poesia augustea e nella prosa post-classica (cfr. Ter. Eun. 41; Hor.
ars 324; Ov. met. I 17; vd. Hofmann-Szantyr, p. 205; OLD s.v. nullus, nr.
2 c), non ricorre in Marziale. La corruttela potrebbe essere stata causata
dall’interpretazione di factum come sostantivo. Schneidewin2, Gilbert e
Friedlaender hanno accolto nil, attribuendolo erroneamente a P, che ha
nihil come gli altri codici della famiglia.
232 M. Val. Martialis liber tertius

23

Omnia cum retro pueris obsonia tradas,


cur non mensa tibi ponitur a pedibus?

cum 22 confl. LPf tit. ad c(a)enipetam avarum : ad eundem f²in mg. om. LPQf¹ 1
retro pueris LPf: recto pueris Q pueris retro EAXV¹ pueris tu retro V² tradas LPQf¹V³:
tractas f²s.l.EAXV¹ tractes V²s.l.

Dal momento che passi tutti i cibi dietro ai tuoi schiavetti,


perché non ti si mette la mensa ai piedi?

L’epigramma prende di mira un commensale che, invece di mangiare,


passa tutti i cibi ai suoi schiavetti che si trovano dietro al triclinio. Perché
allora non porre direttamente la mensa ai suoi piedi, se è lì che finiscono le
pietanze? La dinamica dell’azione appare chiaramente dalla disposizione dei
letti tricliniari su tre lati della mensa, per cui i commensali sono distesi con il
busto proteso verso la mensa e i piedi verso l’esterno (vd. Marquardt 1886,
p. 302 sgg.). Gli schiavi che assistono il padrone durante la cena sono definiti
ad pedes per la loro posizione rispetto al dominus (vd. la n. al v. 2).
La cattiva abitudine di portare via cibi da un banchetto cui si partecipa,
evidentemente diffusa (cfr. Petron. 60, 7; vd. Marquardt 1886, pp. 313-
314), è biasimata anche in II 37 (che presenta evidenti affinità con questo
epigramma: vd. infra) e in VII 20. Come rilevato da Pertsch 1911, p. 21,
qui Marziale ha preso spunto da un epigramma di Lucillio (AP XI 11), che
vale la pena di citare per esteso:

Lucillio sviluppa il motivo paragonando comicamente ad un coro teatrale il


seguito di schiavetti dell’invitato (1-4). La sua proposta finale è di invertire
Epigramma 23 233

le posizioni e far stendere sui triclini gli schiavetti. Marziale condensa in un


solo verso la narratio eliminando l’analogia con il coro e propone invece,
in conclusione, di spostare la mensa ai piedi del commensale, evitandogli
di dover passare in continuazione cibi dietro di sé (per il confronto tra
le due diverse tecniche vd. l’analisi di Burnikel 1980, p. 31 sg.). Secondo
Gilbert (apud Friedlaender) bersaglio dell’epigramma sarebbe l’ospite
(e non un convitato) che passa i cibi ai suoi pueri delicati, come in III
82, 18 sgg. (vd. la n. ad loc.). Contro tale ipotesi, già diffusa peraltro in
età umanistica (il titolo In invitatorem compare in bl ed. Rom. 1 ed.
Ven. ed. Rom. 2), cospirano tuttavia due elementi: la sicura imitazione
dell’epigramma di Lucillio, in cui il poeta riveste il ruolo dell’anfitrione
(cfr. v. 3 ) e il fatto che il protagonista passi ai
suoi pueri tutti i cibi (omnia obsonia), come in II 37, 1 quidquid ponitur
hinc et inde verris (dove si tratta di un convitato: cfr. v. 10 sg. ullus si
pudor est, repone cenam: / cras te, Caeciliane, non vocavi), mentre in III
82, 18 sgg. il padrone di casa offre ai suoi schiavi i cibi migliori, lasciando
agli ospiti vivande di scarsa qualità. Sulla struttura dell’epigramma, in cui
alla premessa introdotta da cum segue una conclusione interrogativa, vd.
Siedschlag 1977, pp. 25; 56.

1: il verso riprende quasi alla lettera Lucillio: cfr. AP XI 11, 4


(l’emistichio ricorre pressoché identico
in AP XI 207, 2, ancora di Lucillio, sullo stesso argomento). Omnia,
collocato in apertura di verso, sottolinea l’esagerazione del comportamento
dell’ospite. Per l’espressione pueris tradere in un contesto simile cfr. II 37,
7 sg. haec cum condita sunt madente mappa / traduntur puero domum
ferenda. – pueris: per puer nell’accezione di ‘giovane schiavo’ vd. OLD, s.v.
nr. 5. – obsonia: dal gr. (cfr. ); qui genericamente ‘cibi’:
cfr. Schol. Ter. p. 84, 5 obsonium generaliter dicuntur omnes cibi, quos
indifferenter accipimus eqs.; vd. OLD s.v., nr. 1 b. Il vocabolo, appar-
tenente alla sfera quotidiana, ricorre in poesia solo nei drammaturghi
arcaici (Nevio, Plauto, Terenzio, Titinio, Cecilio), in Lucilio, Orazio sat.,
Fedro, Giovenale. In Marziale questa è l’unica occorrenza; cfr. anche XIV
218 (217) tit. obsonator. La grafia obs- è prevalente nei codici (vd. ThlL
IX 2, 235, 3 sgg.; 236, 22). Qui è attestata concordemente e adottata da
Gilbert, Friedlaender, Heraeus, Izaac; Lindsay, Duff e SB preferiscono
ops- nei due luoghi (in questo passo nel testo di Lindsay si legge obsonia,
234 M. Val. Martialis liber tertius

ma si tratta di un errore segnalato nei Corrigenda et Addenda; vd. anche


Lindsay 1904, p. 39). Non costituisce elemento di prova a favore di ops- la
derivazione greca (vd. supra): cfr., ad es., > absinthium. La
grafia obs- potrebbe esser stata influenzata dal preverbio ob- (vd. Ernout-
Meillet, p. 464).
2: gli schiavi ad pedes (o a pedibus) accompagnavano il padrone al
banchetto, collocandosi ai suoi piedi dietro il triclinio (Marquardt 1886,
p. 148): cfr. III 82, 18 ad pedum turbam; XII 87, 2 ad pedes vernam; vd.
anche Sen. ben. III 27, 1; epist. 27, 6; Petron. 68, 4; Suet. Cal. 26, 2; CIL
VI 4001.
Epigramma 24 235

24

Vite nocens rosa stabat moriturus ad aras


hircus, Bacche, tuis victima grata focis.
Quem Tuscus mactare deo cum vellet aruspex,
dixerat agresti forte rudique viro
ut cito testiculos et acuta falce secaret, 5
taeter ut immundae carnis abiret odor.
Ipse super virides aras luctantia pronus
dum resecat cultro colla premitque manu,
ingens iratis apparuit hirnea sacris.
Occupat hanc ferro rusticus atque secat, 10
hoc ratus antiquos sacrorum poscere ritus
talibus et fibris numina prisca coli.
Sic, modo qui Tuscus fueras, nunc Gallus aruspex,
dum iugulas hircum, factus es ipse caper.

hab. T tit. de (h)aruspice hirneoso PQf¹ : de aruspice hernioso f²s.l. de harsispice


hirneoso L de aruspice hircanioso T 1 rosa L²PQf : rasa L¹ut vid. rosea T stabat
T EAX: stat V moriturus T E²AXV: moritura E¹ 2 hircus T²LQf² : hyrcus T¹
hercus Pf¹ victima TLPQf² : victuma f¹ focis T: sacris LPf satis Q 3 tuscus :
turcus T deo TLPQ²in mg.f : om. Q¹ aruspex LPQ²f : aruspix T auruspex Q¹ 4
agresti T EA²XV: agesti A¹ forte TQf² : forti LPf¹ rudique : rudeque T 5 ut
cito T : ut duo Eldick forfice Heinsius et acuta : et accuata T set acuta Scriverius
in Animadv. peracuta ed. Ferr. ed. Ald. Ramirez de Prado Scriverius in textu praeacuta
Heinsius curvata Schneidewin 6 abiret : haberet T 7 aras luctantia T² : aras super
luctantia T¹ 8 colla premitque manu TfE²X: colla premitque manus LPQ manu premitque
colla E¹A¹ colla manuque premit A²V 9 hirnea LPQf²EAXV¹: iurnea f¹ hernia V²s.l.
hircania T 10 occupat TLQf : occupant P hanc : (h)ac hoc T ferro T² : ferre
T¹ atque TQ² : ante LPf hancque Q¹ 11 antiquos T V²: antiquo EAXV¹ 12 fibris
TL²PQf : fimbris L¹ prisca T² : priscas T¹ 13 sic TLPQ²f : si Q¹ tuscus : turcus
T fueras TLPQf² : fueram f¹ 14 es : est T

Colpevole per aver brucato una vite, stava per essere ucciso presso l’altare
un capro, o Bacco, vittima gradita alle tue fiamme.
Volendolo sacrificare al dio, un aruspice Etrusco
aveva detto ad un rozzo campagnolo
di tagliare subito i testicoli e con una falce affilata, 5
perché se ne andasse il disgustoso odore dell’immonda carne.
236 M. Val. Martialis liber tertius

Mentre egli piegato sull’ara verdeggiante tentava di recidere


con un coltello il collo riluttante e lo premeva con la mano,
una grande ernia apparve per l’ira dei riti.
Il campagnolo l’afferra e la recide con la lama, 10
credendo che questo richiedesse l’antico rituale della cerimonia
e che con tali fibre si venerassero i primitivi numi.
Così, tu che poc’anzi eri un aruspice Etrusco, ora Gallo,
mentre sgozzavi un caprone, sei divenuto un castrato.

L’epigramma narra un aneddoto tragicomico accaduto ad un aruspice


etrusco: durante il sacrificio di un capro a Bacco, dopo aver ordinato ad
un rozzo campagnolo di tagliarne i testicoli per allontanare il disgustoso
odore che emanano, egli si china sulla vittima, lasciando apparire un’ernia
scrotale; il campagnolo, avendo frainteso gli ordini dell’aruspice e credendo
di compiere un’azione richiesta dal rito, la recide. La conclusione si fonda su
un duplice gioco di parole: l’aruspice ora non è più Etrusco, ma Gallo (così
erano chiamati i sacerdoti di Cibele, notoriamente castrati: vd la n. al v. 13)
e, sgozzando un hircus, è diventato un caper (che, oltre che ‘capro’, significa
‘castrato’: vd. la n. al v. 14). La notorietà di questo episodio sembrerebbe
dimostrata da un’iscrizione trovata presso Gallipoli su un cucchiaio
argenteo: (i. e. ) (‘nel compiere un
sacrificio proteggi la tua ernia’). La curiosa iscrizione è stata giustamente
messa in relazione da S. Reinach (Un cuiller d’argent du Musée de Smyrne,
«BCH» 6, 1882, pp. 353-355) con questo epigramma di Marziale, di cui
sembra fornire la ‘morale’ (per Fröhner 1912, p. 170 sarebbe
invece errore dovuto ad itacismo per ). La narrazione di aneddoti
curiosi è presente soltanto in misura marginale nell’opera di Marziale (per
questo genere di epigramma vd. la n. intr. all’epigr. 19; O. Weinreich, Fabel,
Aretalogie, Novelle. Beiträge zu Phaedrus, Petron, Martial und Apuleius,
«SHAW» 21, 7, Heidelberg 1931, p. 39 sgg.). Una vicenda che si conclude
con una castrazione è narrata in questo libro anche nell’epigr. 91, dove la
vittima è un soldato congedato di Ravenna, che, imbattutosi nel viaggio
in un gruppo di sacerdoti di Cibele, si unisce a loro e viene castrato nel
sonno. In entrambi i casi la scelta di un provinciale quale vittima è volta a
compiacere il pubblico romano, agli occhi del quale questi rappresentava il
prototipo dello sprovveduto, bersaglio ideale per una burla.
Epigramma 24 237

La narrazione è condotta in terza persona per quasi tutto l’epigramma


(il secondo verso contiene un’apostrofe a Bacco, quale divinità cui viene
offerto il sacrificio); l’apostrofe diretta alla vittima nel distico finale,
modulo frequente negli epigrammi di Marziale, fornisce al componimento
una chiusa satirica (sulla struttura degli epigrammi narrativi di Marziale vd.
Szelest 1976, p. 252 sg.).

1: il verso è modellato su Ov. met. XV 114 vite caper morsa Bacchi mactatus
ad aras. L’origine del sacrificio del capro a Bacco, individuata nel danno
provocato alla vite (vite … rosa), dono del dio, è menzionata da Marziale
anche in XIII 39 (tit. haedus) lascivum pecus et viridi non utile Baccho /
det poenas; nocuit iam tener ille deo; egli vi allude in VIII 50 (51), 12 ipse
tua pasci vite, Lyaee, velis, dove il capro cesellato su una phiala è talmente
bello che lo stesso dio gli consentirebbe di pascersi delle sue viti. L’eziologia
del sacrificio è presente nelle fonti a partire da Varr. rust. I 2, 18 sg. eae enim
(sc. caprae) omnia novella sata carpendo corrumpunt, non minimum vites
atque oleas … sic factum ut Libero patri, repertori vitis, hirci immolarentur,
proinde ut capite darent poenas; cfr. anche Verg. georg. II 378 sgg.; Ov. met.
XV 114 sg.; fast. I 353 sgg.; AL 187 R. (177 SB); testimonianze sul sacrificio
del capro offrono anche Hor. carm. III 8, 6 sg.; Ov. Pont. II 9, 31; Calp. ecl. 2,
67; Suet. Dom. 14, 2; per ulteriori informazioni vd. Bömer1, p. 44. A Roma il
capro come vittima sacrificale nel culto statale è molto raro (vd. Bömer1, p. 44;
W. Krause, RE Suppl. V 250 sgg.); il suo sacrificio potrebbe pertanto essere
solo «a literary fiction» (Mynors, p. 148). – nocens: il verbo sottolinea la colpa
dell’animale che è all’origine del sacrificio: cfr. XIII 39, 2 cit. supra; vd. anche
Verg. georg. II 380; Ov. met. XV 114 cit. supra; fast. I 361. – rosa: per rodere
nell’accezione di ‘brucare’ cfr. Ov. fast. I 357 rode, caper, vitem; vd. OLD
s.v. nr. 1 a. – stabat … ad aras: l’espressione è ricorrente nelle descrizioni
del sacrificio: Verg. georg. II 395 et ductus cornu stabit sacer hircus ad aram;
III 486 stans hostia ad aram; Ov. fast. I 357 cum stabis ad aram (sc. caper);
Sen. Herc. O. 784 stetit ad aras omne votivum pecus; vd. anche Sen. Oed.
303 victima ante aras stetit. Aras è plurale poetico (vd. Löfstedt, Syntactica,
I, p. 43; G. Landgraf, ALL 14, 1906, p. 68; ThlL II 388, 83 sgg.). Ad aras è
frequente come clausola esametrica: in Virgilio si trova 7 volte al plurale, 4 al
singolare; in Marziale ricorre, sempre al plurale, anche in VIII 4, 1; IX 31, 5;
XII 60, 5 (cfr. anche IX 43, 9 ad Libycas … aras, ultima parola dell’esametro);
in IX 42, 9 e 90, 17 è clausola del falecio.
238 M. Val. Martialis liber tertius

2. victima grata il nesso ricorre, nella stessa posizione di pentametro in


Ov. fast. I 440 Hellespontiaco victima grata deo. – focis: la tradizione offre
due varianti piuttosto diverse: sacris è tramandato dalla seconda (eccettuato
Q che ha satis) e dalla terza famiglia, focis da T (che rappresenta la prima
famiglia). Gli editori si sono divisi sulla lezione da adottare: per focis hanno
optato Schneidewin, Gilbert, Friedlaender, Heraeus, Izaac, Giarratano (vd.
anche Housman 1925, p. 200 = Class. Pap., p. 1099); per sacris Lindsay,
Duff, Ker, SB (vd. Lindsay 1903, p. 30, che colloca focis tra le lezioni
spiegabili come «mere scribes’ perversions»). Entrambe offrono un senso
soddisfacente, ma focis appare senz’altro preferibile come lectio difficilior,
giacché allude al fatto che le viscere della vittima venivano bruciate sugli
altari: cfr. Verg. georg. II 395 sg. et ductus cornu stabit sacer hircus ad aram
/ pinguiaque in veribus torrebimus exta colurnis; vd. Wissowa 1912, p.
417 sg. I foci costituiscono pertanto un elemento costante nei sacrifici: cfr.
Serv. Aen. III 134 Varro rerum divinarum refert, inter sacratas aras focos
quoque sacrari solet … et id tam publice quam privatim solere fieri …
nec licere vel privata vel publica sacra sine foco fieri … focorum enim
commemoratione instantium sacrificiorum mentio inducitur; vd. ThlL VI
1, 989, 83 – 990, 69. Per l’uso del possessivo nell’apostrofe cfr. X 24, 5 vestris
addimus hanc focis acerram; Sen. Phaedr. 707 sg. iustior numquam focis
/ datus tuis est sanguis, arquitenens dea. Sacris può essere un’annotazione
marginale, volta a specificare il carattere sacrale dei foci, penetrata in un
secondo momento nel testo in luogo di focis: il nesso sacri foci ricorre in
Marziale in I 21, 2 ingessit sacris se peritura focis (cfr. anche IX 31, 6 et
cecidit sanctis hostia parva focis); vd. anche Ov. fast. III 30 sacros … focos;
Sen. Oed. 306 sacris … focis. Secondo Schmid 1984, p. 427 sg. si tratterebbe
invece di un’interpolazione banalizzante: cfr., in questo epigramma, i vv. 9
ingens iratis apparuit hirnea sacris; 11 hoc ratus antiquos sacrorum poscere
ritus (sacris ricorre come fine di pentametro in III 6, 2 Marcelline, tuis bis
celebranda sacris; VIII 30, 6 totis pascitur illa sacris); vd. anche Ov. fast.
IV 937 ‘cur detur sacris nova victima quaeris?’; Lucan. VII 167 nulla …
funestis inventa est victima sacris. Non costituisce comunque un valido
argomento contro sacris il diverso trattamento prosodico del gruppo muta
cum liquida nell’epigramma (săcris in questo verso, sācris nei vv. 9; 11),
poiché in Marziale vi sono altri casi di oscillazione prosodica nello stesso
epigramma: cfr. IV 16, 2 pătris; 8 pātrem; IX 48, 5 āprum; 12 ăpro; XI 55,
1 pātrem; 8 pătrem; XII 26, 1 lātronibus; 2 lătrones; vd. Giarratano 1908,
Epigramma 24 239

p. 80 sgg. La diversa scansione prosodica della stessa parola all’interno di


un solo verso è un preziosismo ricercato nella poesia ellenistica e augustea:
cfr. Verg. Aen. II 663 natum ante ora pătris, pātrem qui obtruncat ad aras;
Hor. carm. I 32, 11 sg. et Lycum n gris oculis nĭgroque / crine decorum
(con il commento di Nisbet-Hubbard1); Ovid. fast. IV 749 sive săcro pavi,
sedive sub arbore sācra; met. XIII 607 et primo similis volŭcri, mox vera
vol cris. In generale sul fenomeno nella poesia latina vd. S. Timpanaro,
Muta cum liquida in poesia latina e nel latino volgare, «RCCM» 7, 1965
(Studi in onore di A. Schiaffini), pp. 1075-1103; G. Bernardi Perini, Muta
cum liquida, in Due problemi di fonetica latina, Roma 1974, pp. 11-109.
T reca più volte la lezione esatta contro il sostanziale accordo delle altre
due famiglie: cfr., in questo libro, 60, 1 vocer T: vocor ; 68, 1 huc T: hoc
LPQ¹f¹ ; 80, 1 loqueris T: quereris ; 85, 3 tibi T: tua ; per esempi
tratti da altri libri vd. SB , pp. VIII-X.
1

3. Tuscus … aruspex: l’aruspicina, introdotta a Roma dall’Etruria, era


anche nota come disciplina Etrusca: vd. Thulin, RE VI 725, 14-730, 9.
4 sgg.: la castrazione non faceva parte dei riti sacrificali (vd. Wissowa
1912, p. 409 sgg.; Daremberg-Saglio, s.v. sacrificium, IV 2, p. 973 sgg.). Il
comando dell’aruspice è motivato dalla volontà di allontanare il proverbiale
cattivo odore emanato dal capro, particolarmente intenso durante il periodo
di calore (vd. la n. al v. 6). – dixerat … / ut cito … secaret: dico ut (o ne)
per esprimere un comando ricorre in commedia: cfr., ad es., Plaut. Pseud.
517 dico … ut caveas; Ter. Heaut. 651 eum dico, ut una … exponeret; vd.
OLD s.v. dico nr. 2 c; ThlL V 1, 986, 69 sgg. In Marziale cfr. I 46, 4 dic mihi
ne properem. Piuttosto improbabile, anche perché molto lontana dal testo
tràdito, appare pertanto la proposta di Heinsius di leggere forfice in luogo
di ut cito. Ugualmente poco plausibile ut duo di Eldick, che introduce una
notazione veramente superflua, modificando un costrutto ben attestato in
Marziale: ut cito compare in I 117, 12; VII 43, 2; cfr. anche III 2, 2 ne …
cito (cito ricorre 24 volte negli epigrammi di Marziale). – agresti … rudique
viro: la coppia di attributi sottolinea la rozzezza primitiva dell’uomo (10
rusticus): cfr. Liv. VII 5, 2 rudis quidem atque agrestis animi (sc. iuvenis) …
qui rure et procul coetu hominum iuventam egisset. – testiculos: il vocabolo,
preferito a testis nella prosa scientifica, ricorre in poesia, oltre che in questo
passo, solo nei satirici: cfr. Pers. 1, 103; Iuv. 6, 339; 372; 11, 157; 12, 36; vd.
Adams, LSV, p. 67 sg. – et acuta falce: la congiunzione è apparsa superflua ad
alcuni interpreti che vi hanno individuato una corruttela: peracuta falce è il
240 M. Val. Martialis liber tertius

tentativo congetturale presente nell’ed. Ferr. e nell’ed. Ald., sostenuto quindi


da Ramirez de Prado e da Scriverius (il quale però nelle Animadversiones
ipotizzava set acuta); praeacuta falce la proposta di Heinsius, curvata falce
quella di Schneidewin; alle cruces ha fatto invece ricorso SB. Il testo tràdito,
mantenuto da Friedlaender, Lindsay, Ker, Heraeus, Izaac, Giarratano, può
essere a mio avviso difeso: si tratta infatti di una congiunzione epesegetica,
non estranea alla poesia elevata: cfr. Cic. leg. agr. II 13 explicat orationem
sane longam et verbis valde bonis; Hor. carm. I 31, 17 sg. frui paratis et
valido mihi, / … dones; Val. Max. I 8 ext. 2 dirum … vulnus … in eum
potissimum, quo maxime laetabatur et acerbitate nocendi erupit; vd. ThlL
V 2, 874, 34 sgg.; G. Thörnell, Studia Tertullianea, I, Uppsala 1918-1926, p.
1 sgg. In Marziale cfr. X 71, 5 bis sex lustra tori nox mitis et ultima clusit;
XI 50 (49), 2 nomina qui coleret pauper et unus erat.
6: il proverbiale cattivo odore del capro (su cui vd. la n. a 93, 11 et illud
oleas quod viri capellarum) era acuito nei genitali durante le fasi di calore,
come Marziale attesta anche in IV 4, 4 quod pressa piger hircus in capella
(sc. mallem quam quod oles olere, Bassa); VI 93, 3 (tam male Thais olet
quam) non ab amore recens hircus. L’espressione immunda caro si riferisce
pertanto ai genitali del capro, ma favorisce il fraintendimento di cui sarà
vittima l’aruspice. Taeter, che in Marziale ricorre solo qui, è attributo molto
frequente per indicare un odore nauseabondo; il nesso taeter odor ricorre
in Lucr. III 581; IV 1175; VI 787; 807; 1154; Verg. Aen. III 228 (cfr. anche
Hor. carm. III 11, 19 spiritus taeter).
7 sg. super virides aras: cfr. Serv. Aen. XII 119 aras gramineas: Romani
enim moris fuerat caespitem arae superimponere et ita sacrificare; Ov. trist.
V 5, 9 araque gramineo viridis de caespite fiat; Mart. XII 60, 3 si te rure coli
viridisque pudebit ad aras (vd. il commento di Bömer1 a Ov. fast. VI 458).
Per l’uso del plurale vd. la n. al v. 1. – luctantia … / … colla: luctans ha
qui il valore di reluctans; per la iunctura cfr. Ov. epist. 4, 79 sive ferocis equi
luctantia colla recurvas. Il plurale colla, molto comune in poesia, ricorre
in Marziale in 12 casi su 22; vd. Maas 1902, p. 482 sgg. (= 1973, p. 530
sgg.); E. Bednara, De sermone dactylicorum Latinorum quaestiones, ALL
14, 1906, p. 542. – dum resecat cultro colla: cfr. Sen. Ag. 974 seu more
pecudum colla resecari placet. Culter è il coltello utilizzato in questo genere
di sacrifici; normalmente non era il sacerdote stesso a sgozzare la vittima,
ma un suo ministro, il cultrarius (vd. Daremberg-Saglio I 2, pp. 1582-85;
1587). Questi, come gli altri addetti al rito, stava a torso nudo, con una sorta
Epigramma 24 241

di grembiule chiuso alla cintola (limus), che scendeva fino ai polpacci, ma


che veniva tirato su durante l’esecuzione del sacrificio (per questo i ministri
sono definiti succincti). Il particolare rende chiaro lo svolgimento dei fatti:
chinandosi per sgozzare la vittima (pronus) l’aruspice scopre i genitali.
9. ingens … apparuit hirnea: hirnea indica senz’altro l’ernia scrotale (il
termine tecnico è hydrocele: cfr. XII 83, 1 sgg. derisor Fabianus hirnearum
/ omnes quem modo colei timebant / dicentem tumidas in hydrocelas
eqs.). Il termine era usato comunemente per indicare alcune patologie più
specifiche: cfr. Cels. VII 18, 3 enterocelen et epiplocelen Graeci vocant: apud
nos indecorum, sed commune his hirneae nomen est; 18, 7 Graeci communi
nomine, quidquid est, hydrocelen appellant, nostri … haec quoque sub
eodem nomine (sc. hirneae) … habent; CGL III 602, 1 interocele hirnea.
L’hirnea era per gli antichi il risultato di una sfrenata attività sessuale (vd.
Adams, LSV, p. 66; Buecheler, Kleine Schriften, II, pp. 384; 511 sg.): cfr.
Varro Men. 192 rapta a nescio quo mulione raptoris ramices rumpit (con il
commento di Cèbe); Lampr. Heliog. 25, 6 cum inter fabulas privatas sermo
esset ortus, quanti herniosi esse possent in urbe Roma, iussit omnes notari
eosque ad balneas suas exhiberi et cum isdem lavit, nonnullis etiam honestis
(è quest’ultima notazione a rivelare il pregiudizio sugli erniosi); a tale opinione
alluderebbe secondo alcuni interpreti la discussa conclusione di Verg. catal.
12 ducit, ut decet, superbus ecce Noctuinus hirneam (v. 8; vd. Buecheler,
Kleine Schriften, II, p. 511; W. Morel, «PhW» 42, 1922, p. 308; F. Marx,
«RhM» 78, 1929, p. 417), anche se l’espressione ducere hirneam non sembra
adattarsi a tale esegesi (per altri hirnea sarebbe usato nell’accezione di vas
vinarium: vd. ThlL VI 3, 2823, 17 sgg.; Westendorp Boerma, I, p. 124 sgg.;
II, p. 65 sgg.). Secondo Housman, ad Iuv. 6, 326 (D. Iunii Iuvenalis Saturae,
editorum in usu edidit A.E. Housman, Cantabrigiae 19051, rist. 1938; vd.
anche la nota ad 11, 168) hirnea sarebbe nel verso di Marziale sinonimo di
testiculi (v. 5) e alluderebbe soltanto alla grandezza dei genitali (cfr. CGL
II 581, 50 hirnea ponderositas; Iuv. 6, 326 con il commento di Courtney).
Tuttavia nell’epigramma l’hirnea è la spia che rivela l’impurità dell’aruspice,
causa della sua punizione; il termine non può pertanto designare soltanto
le dimensioni dei genitali, ma va inteso come riferimento all’ernia scrotale,
provocata dagli eccessi sessuali. L’aruspice, chino sulla vittima (pronus),
scopre i suoi genitali e si rivela dunque impuro e pertanto inadatto ad un rito
sacrificale: sulla purezza necessaria nei sacrifici cfr., ad es., Tib. II 1, 11 sgg.
vos quoque abesse procul iubeo, discedat ab aris, / cui tulit hesterna gaudia
242 M. Val. Martialis liber tertius

nocte Venus. / casta placent superis: pura cum veste venite / et manibus
puris sumite fontis aquam; vd. Daremberg-Saglio IV 2, s.v. sacrificium, p.
977; Wissowa 1912, p. 416 n. 3. Il verso parodia lo stile epico: ingens, attributo
caro all’epica, qualifica sempre persone o luoghi enormi (vd. A. Grillo, s.v.
ingens, EV II, p. 968 sg.); anche apparuit contribuisce a creare l’attesa di
qualcosa di notevole, che viene delusa, con effetto comico, dall’apparizione
dell’ernia; è probabile qui un’allusione in chiave parodica a Virgilio: cfr. Aen.
VIII 241 sg. at specus et Caci detecta apparuit ingens / regia; X 579
inruit adversaque ingens apparuit (sc. Aeneas) hasta (il parallelo con i
due passi virgiliani è segnalato da Citroni 19872, p. 398). – iratis … sacris: i
riti, personificati, sono adirati per l’impurità di colui che officia il sacrificio;
l’espressione è ricalcata su quella più comune iratis dis (Otto, Sprichwörter,
p. 110): cfr. Plaut. Mil. 314; Pers. 666; Poen. 452; Ter. Phorm. 74; Hor. sat.
II 3, 8; Phaedr. IV 21, 15; Sen. apocol. 11, 3; Iuv. 10, 129; vd. anche Hor.
sat. I 5, 97 sg. Gnatia lymphis / iratis exstructa; II 7, 14 Vertumnis …
natus iniquis. In Marziale cfr. IV 43, 5 sg. iratam mihi Pontiae lagonam, /
iratum calicem mihi Metili.
10. occupat hanc ferro: occupare ferro (o gladio o ense) è locuzione di
stampo epico, che ha in genere il senso di ‘colpire anticipando’: cfr. Verg.
Aen. IX 768 sgg. Lyncea … / vibranti gladio … / occupat; Sen. Thy. 716
quem … ferro occupat (vd. anche Sil. XIV 133; XVII 469). Come nel verso
precedente l’uso di una locuzione epica nel contesto comico dell’episodio è
parodico.
11 sg.: i due versi evidenziano comicamente l’ottusità del rusticus, che
crede in tal modo di adempiere antichi riti e di compiacere gli dèi. – talibus
et fibris: sulla posposizione della congiunzione vd. la n. a 19, 5.
13: l’aruspice è divenuto Gallus da Tuscus che era. Il verso gioca sul doppio
senso di Gallus: l’attributo indica in primo luogo la nazionalità, ma Galli
erano chiamati i sacerdoti di Cibele, che erano castrati. L’uso antonomastico
di Gallus per ‘evirato’ risale ad Hor. sat. I 2, 121 ed è frequente in Marziale
(cfr. I 35, 15; II 45, 2; III 73, 2; 81, 1 e 5; VII 95, 15; XI 72, 2; 74, 2).
Una simile pointe presenta l’epigramma XI 74 curandum penem commisit
Baccara Raetus / rivali medico. Baccara Gallus erit; un analogo gioco
sull’ambiguità del termine ricorre in XIII 63 tit. capones. ne nimis exhausto
macresceret inguine gallus, / amisit testes. nunc mihi Gallus erit (Gallus
maiuscolo nel v. 2, necessario a mio avviso per la pointe, è in Friedlaender,
Ker, Giarratano, Leary); cfr. anche XIII 64. La pointe ricorre anche in Priap.
Epigramma 24 243

55, 5 sg. (è Priapo a parlare) quae (sc. tela) si perdidero, patria mutabor,
et olim / ille tuos civis, Lampsace, Gallus ero. – fueras: il piuccheperfetto
ricorre spesso in poesia in luogo dell’imperfetto per ragioni metriche (vd. la
n. a 4, 8).
14: il verso presenta una comica ‘metamorfosi’ dell’aruspice basata, come
nel precedente, sul doppio senso dei termini: caper è sinonimo di hircus
(vd. ThlL III 305, 84 sgg.), ma significa anche ‘castrato’: cfr. Gell. IX 9, 10
auctore … M. Varrone is demum latine ‘caper’ dicitur, qui excastratus est;
CGL V 275, 17 caper hircus castratus. Il verso è citato a mo’ di proverbio
nell’epigramma De lenone uxoris suae in AL 127, 9 sg. R. (= 116, 9 sg.
SB): solus vera probas iucundi verba poetae: / ‘dum iugulas hircum, factus
es ipse caper’, nel senso di ‘diventare vittima delle proprie trame’. Al v. 10
i codici dell’Anthologia Latina tramadandano concordemente cum, che
Riese e Shackleton Bailey correggono in dum; un errore di memoria nella
citazione non mi sembra tuttavia da escludere.
244 M. Val. Martialis liber tertius

25

Si temperari balneum cupis fervens,


Faustine, quod vix Iulianus intraret,
roga lavetur rhetorem Sabineium.
Neronianas is refrigerat thermas.

tit. ad faustinum EXV: ad fautinum A 2 vix LPQf² : vis f¹ 3 lavetur : labetur LQf¹
habetur P ut lavetur f² sabineium LQf : sabineum PCF 4 neronianas Lf : neronicanas
P neronicanat Q is LPf¹: hic f²s.l. om. Q refrigerat Qf² : refrigera LPf¹

Se desideri mitigare un bagno infuocato,


o Faustino, dove a stento entrerebbe Giuliano,
chiedi che ci si lavi al retore Sabineio.
Costui raffredda le terme di Nerone.

Marziale fornisce un consiglio all’amico e patrono Faustino su come


raffreddare un bagno caldissimo: invitare il retore Sabineio a lavarvisi. Egli
è tanto ‘freddo’ nel suo eloquio da gelare persino le terme di Nerone, che
erano note per il loro elevato calore.
L’arguzia dell’epigramma è incentrata sullo slittamento semantico di fri-
gus, che dall’accezione traslata di vitium retorico (su cui vd. la n. al v. 4)
passa a quella propria. Il motivo risale alla commedia greca: cfr. Aristoph.
Ach. 138 sgg. (vd. anche il v. 11 con lo scolio, ad loc.; Thesm. 170); Av.
1385; Machon fr. 16 Gow (Athen. 579e); vd. anche Plut. Alex. 3, 3. Nella
letteratura latina è utilizzato da Catullo nel c. 44: cfr. v. 10 sgg. nam, Sestianus
dum volo esse conviva, / orationem in Antium petitorem / plenam veneni
et pestilentiae legi. / hic me gravedo frigida et frequens tussis / quassavit
usque, dum in tuum sinum fugi, / et me recuravi otioque et urtica; vd.
anche Cael. Cic. epist. VIII 9, 5 Calidius in defensione sua fuit disertissimus,
in accusatione satis frigidus; Aur. Fronto p. 62, 1 videor mihi frixisse; quod
mane soleatus ambulavi an quod male scripsi, non scio; Auson. epist. 6, 10
G. (= 401, 10 p. 232 P.) et duplicant frigus carmina .
Un analogo topos, sfruttato sia nella poesia epigrammatica che idillica e
comica, è quello della flamma amoris, che dal cuore dell’innamorato si può
propagare all’ambiente circostante incendiandolo: cfr. Theocr. id. 14, 23;
Epigramma 25 245

Plaut. trin. 675 sgg.; AP IX 15 (adesp.); APl. 209 (adesp.); Porc. Licin. 6
Mor. - 6 Bläns. (Gell. XIX 9, 13); CIL IV 4967 (epigramma di Tiburtino);
sul motivo vd. V. Tandoi, Gli epigrammi di Tiburtino a Pompei, Lutazio
Catulo e il movimento dei preneoterici, «QuadFoggia» 1, 1981, pp. 133-175
(ora in Tandoi 1992, pp. 128-155); A. M. Morelli, L’epigramma latino prima
di Catullo, Cassino 2000, p. 212 sgg. In Marziale, come ha recentemente
messo in luce M. Salanitro (L’amore incendiario in Marziale, «Maia» 55,
2003, p. 310 sgg.), un’arguzia basata su questo topos è presente in XIV 193
(tit. Tibullus) ussit amatorem Nemesis lasciva Tibullum, / in tota iuvit
quem nihil esse domo. Fraintende completamente l’epigramma Calderini,
che spiega: «Iocatur in Sabineum rhethorem qui tantum ventum emittebat
podice ut possit refrigerare balnea calidissima».
I retori sono bersaglio della satira di Marziale anche in V 21; 54 (entrambi
ironizzano sulla loro scarsa memoria). Il nome Sabineius, che in Marziale
compare solo qui, è formato dall’etnico Sabinus, come Apuleius da Apulus
(vd. W. Gilbert, Zu Martialis, «NJP» 127, 1883, p. 643). Sabinaeum,
presente in P e in altri recenziori, è stato accolto da Schneidewin2. Su
Faustino, dedicatario del libro e probabile ospite di Marziale in Cispadana,
vd. l’Introduzione, § 3. Sui balnea nella poesia greco-latina vd. Busch 1999.

1. temperari: tempero è usato in riferimento al calore delle terme anche in


X 48, 3 temperat haec (sc. octava hora) thermas.
2. quod vix Iulianus intraret: l’uomo, che doveva essere amante dei bagni
caldi, non è altrimenti noto; mi sembra tuttavia da escludere che si tratti di
personaggio fittizio, come ritengono Heraeus e SB. Il nome, derivato dal
gentilizio, era molto comune (vd. Kajanto 1965, p. 148). In Marziale ricorre
soltanto qui.
3. roga lavetur: la paratassi è un tratto caratteristico della lingua d’uso (vd.
Hofmann, LU, p. 249 sgg.; Hofmann-Szantyr, p. 529 sg.). La costruzione
paratattica di rogo ricorre in Marziale anche in I 35, 13; 96, 2 sg.; II 79, 2; IV
82, 2; VI 5, 2; VII 95, 18; VIII 2, 8.
4: Sabineio è un retore talmente frigidus da riuscire a raffreddare persino
le terme di Nerone! Il frigus retorico (gr. , ) è un
difetto stilistico, consistente, secondo Aristotele (cfr. rhet. 1405 b 35 sgg.
con il commento di Cope; vd. inoltre LaRue Van Hook, «CPh» 12, 1917, pp.
68-76), nell’uso e abuso di parole composte, rare o inusitate, nello sfoggio
di epiteti lunghi e impropri, di metafore inopportune, pompose e oscure
246 M. Val. Martialis liber tertius

(vd. anche Quint. inst. VI 1, 37 imperitia et rusticitas et rigor et deformitas


adferunt interim frigus.). – Neronianas … thermas: le terme di Nerone,
fatte costruire dall’imperatore nel 62 d.C. a NO del Pantheon e delle thermae
Agrippae nella Reg. IX (vd. Platner-Ashby, p. 531 sg.; LTUR V, s.v. thermae
Neronianae, pp. 60-62), sono ricordate per la loro magnificenza in VII 34,
5 quid thermis melius Neronianis? Il loro elevato calore, presupposto dalla
conclusione dell’epigramma, è testimoniato da Marziale anche in X 48, 4
immodico sexta (sc. hora) Nerone calet, dove immodico Nerone indica con
audace metonimia lo smodato calore delle terme neroniane (vd. Fenger
1906, p. 7). In Marziale sono menzionate ancora in II 48, 8; VII 34, 10; XII
83, 5. – is: la lezione della seconda famiglia (LPf¹; Q omette il pronome)
è senz’altro preferibile rispetto a hic di , che appare una banalizzazione
(la preferenza per hic di Schneidewin, Friedlaender e Gilbert è dovuta alla
loro conoscenza solo parziale della seconda famiglia). Is ricorre in Marziale
ancora in II 30, 5 is mihi ‘dives eris, si causas egeris’ inquit, con tradizione
concorde; XIV 145, 1 is mihi candor inest, villorum gratia tanta (is :
his T ). Sull’avversione dei poeti per is, ea, id, forme di carattere prosaico,
consolidatasi in età post-classica, vd. Ed. Wöllfflin-C.L. Meader, Zur Ge-
schichte der Pronomina demonstrativa, ALL 11, 1900 (= Hildesheim
1967), p. 369 sgg.; Axelson 1945, p. 70 sg.
Epigramma 26 247

26

Praedia solus habes et solus, Candide, nummos,


aurea solus habes, murrina solus habes,
Massica solus habes et Opimi Caecuba solus,
et cor solus habes, solus et ingenium.
Omnia solus habes - hoc me puta velle negare! - 5
uxorem sed habes, Candide, cum populo.

hab. R tit. ad candidum R 2 aurea RLPQ²f : autrea Q¹ 5 hoc me puta velle negare
RPf¹, L¹Q¹ut vid.: hoc me puto velle negare L²Q²f²s.l.EA²XV hoc meto velle negare A¹
nec me puta velle negare Madvig (sed iam Scriverius in Animadv.) nec me puto velle
negare Scriverius in textu ne me puta velle negare! Gilbert hoc me puta nolle negare
Shackleton Bailey 6 uxorem RLPQ²f : uxurem Q¹ candide R AXV: candite E

Tu solo hai terreni, tu solo, o Candido, hai soldi,


tu solo hai coppe d’oro, tu solo ne hai di murra,
tu solo hai Massico e solo hai Cecubo del tempo di Opimio,
tu solo hai cervello, tu solo hai ingegno.
Tu solo hai tutto - figurati se lo voglio negare! - 5
ma la moglie, o Candido, l’hai in comune con il popolo.

Candido è un ricco signore che ama non solo ostentare i propri possedi-
menti e preziosi oggetti, ma anche vantare le proprie doti intellettive. Marzia-
le ne celebra le ricchezze in un crescendo di ammirazione che sembra cul-
minare nell’iperbolico omnia solus habes del v. 5; l’affermazione in realtà
prepara il terreno per la pointe, introdotta da una parentetica in cui Marziale,
come spesso, sembra tranquillizzare il suo interlocutore, per colpirlo invece
in modo più graffiante: Candido possiede, lui solo, ogni cosa, ma condivide
la moglie con il popolo!
L’epigramma è scandito dalla martellante anafora del refrain (solus ha-
bes), presente in ogni verso, sempre nella stessa posizione metrica, che,
probabilmente, riprende un vanto abituale del patrono (vd. la n. al v. 1) e
ne mette in luce la gretta mentalità, che attribuisce importanza esclusiva al
possesso. Una struttura analoga, caratterizzata dalla ripetuta anafora di solus
presenta IV 39 argenti genus omne comparasti, / et solus veteres Myronos
artes, / solus Praxitelus manum Scopaeque, / solus Phidiaci toreuma
248 M. Val. Martialis liber tertius

caeli, / solus Mentoreos habes labores. / nec desunt tibi vera Gratiana, /
nec quae Callaico linuntur auro, / nec mensis anaglypta de paternis. /
argentum tamen inter omne miror / quare non habeas, Charine, purum; la
pointe dell’epigramma è concentrata nell’ultima parola, purum, che riferito
all’argento significa non caelatum, ma che allude alle perversioni sessuali
del protagonista. La ripetizione di una struttura fissa (o quasi) è modulo
compositivo caro a Marziale, spesso vòlto ad accrescere l’effetto di sorpresa
dell’ultimo verso: cfr. I 77; II 33; VII 10; 92; IX 97; X 79; XI 47; 94; XII 28
(29). La conclusione dell’epigramma consente di vedere nel protagonista
il tipo del marito sciocco (su cui vd. Brecht 1930, p. 86 sg.), vittima delle
beffe di Marziale anche in I 73 (dove però per Citroni si tratterebbe del
tipo del marito che prostituisce la moglie); III 85; V 61; XII 93; un’evidente
allusione allo stupidus maritus, carattere protagonista del cosiddetto ‘mimo
dell’adulterio’ (su cui vd. R.W. Reynolds, The Adultery Mime, «CQ» 40,
1946, pp. 77-84), è ravvisabile in V 61 (sull’influsso del mimo su Marziale
vd. Canobbio 2001, specialmente p. 203 sgg.). Candido compare anche in II
24; 43; III 46; XII 38. Il nome è senz’altro fittizio (sulla sua diffusione vd.
Kajanto 1965, p. 227).

1. solus habes: l’espressione, ripetuta in ogni verso, intende probabilmente


riprendere in chiave parodica un esagerato vanto del patrono: assai utile
risulta il confronto con Petron. 50, 2 ait Trimalchio: ‘s o l u s sum qui
vera Corinthea h a b e a m’. Un’intenzione analoga va ravvisata in IV 39
cit. nella n. intr. L’insistita anafora di solus parodia inoltre lo stile innico, in
cui l’attributo (gr. ) attesta l’unicità della divinità: vd. Norden 1923,
index ss.vv. , solus; vd. anche la n. al v. 5 omnia solus habes. Per
questa accezione di solus Housman (19312, p. 409 = Class. Pap., p. 1181) ha
opportunamente portato a confronto IV 39, 2 sgg. cit. nella n. intr.; VI 50,
4 argentum, mensas, praedia solus emit; Ter. Phorm. 854 sine controversia
ab dis solus diligere, Antipho; cfr. anche Ter. Andr. 973 solus est, quem
diligant di; Fur. Bib. fr. 6 Bläns. (17 Mor.) Cato grammaticus, Latina
Siren, / qui solus legit ac facit poetas (sulla problematica esegesi del v. 2
vd. N. Terzaghi, Facit poetas. A propos de l’épigramme sur Valérius Cato
attribuée à Furius Bibaculus, «Latomus» 2, 1938, pp. 91-94; R. Goossens,
Facit poetas, «Latomus» 2, 1938, p. 233 sgg.; A. Ronconi, Quaeque notando,
«SIFC» 29, 1957, pp. 125 sgg.; N. Terzaghi, Lacit poetas?, «SIFC» 30, 1958,
pp. 116-121; non concordo con Courtney, FLP, p. 195, per il quale solus
Epigramma 26 249

significherebbe ‘particularly well’ con legit e forse ‘alone’ con facit). Alcuni
interpreti, influenzati da II 43, in cui Candido è un ricco avaro che non dà
nulla al suo amico Marziale, hanno inteso l’espressione solus habes come un
riferimento all’avarizia di Candido, che non condivide nessuno dei suoi beni
con gli altri (vd. Ker: «Lands are yours alone»; Izaac: «Tu as des domaines
qui son à toi seul»; Scàndola: «Possiedi da solo dei poderi»). Tale ipotesi non
appare persuasiva: in tal modo non si spiega il verso 4 et cor solus habes,
solus et ingenium, dove è evidente che habere ha il normale significato di
‘possedere’, che quindi deve avere anche negli altri versi perché l’anafora
abbia tutta la sua efficacia; inoltre la parentetica del v. 5 non avrebbe ragion
d’essere se l’espressione omnia solus habes costituisse un rimprovero al
patrono; infine la conclusione dell’epigramma verrebbe a contraddire
proprio l’affermazione omnia solus habes, che la parentetica del v. 5 serve a
garantire. Fornisce un valido sostegno a questa interpretazione il confronto
con Petron. 50, 2 cit. supra. Marziale riprende ironicamente l’esagerato vanto
di Candido per beffarlo nella conclusione. Mi sembra corretta la traduzione
di SB2: «Nobody but you has land, nobody but you has…».
2. aurea: metonimia per ‘coppe d’oro’ (vd. OLD s.v. nr. 4 b): cfr. IX 59, 17;
X 49, 3 sg.; XIII 110, 1 sg.; XIV 109. Secondo Friedlaender (seguito da Ker
e SB2) si tratta genericamente di «goldenes Geschirr», ma l’accostamento
con murrina sembra indicare che si tratta di coppe: cfr. XIII 110, 1 sg.
Surrentina bibis? nec murrina picta nec aurum / sume. – murrina: ‘coppe
di murra’. La murra era una pietra pregiata, portata a Roma dall’Oriente
in seguito alla vittoria di Pompeo su Mitridate nel 63 a.C. (cfr. Plin. nat.
XXXVII 18). È probabile che con questo termine si indichi la fluorite (vd.
A. Loewenthal-D.B. Harden, Vasa Murrina, «JRS» 39, 1949, pp. 31-37;
G.C. Whittick, «JRS» 42, 1952, pp. 66-67; RE VIII A 1, 432, 25 sgg.). I
murrina erano oggetti di lusso, dal prezzo molto elevato (cfr. Plin. nat.
XXXIII 5 murrina … quibus pretium faceret ipsa fragilitas): secondo la
testimonianza di Plinio il Vecchio (nat. XXXVII 18) una coppa era stata
pagata 70000 sesterzi ed il suo valore era ulteriormente aumentato; l’ex
console Tito Petronio (unanimemente ritenuto l’autore del Satyricon) prima
di morire spezzò un mestolo di murra che aveva pagato 300000 sesterzi;
Nerone aveva pagato una coppa addirittura un milione di sesterzi. Sono
sempre menzionati da Marziale come oggetti di lusso: cfr. III 82, 24 sg.; IV
85, 1; IX 59, 14; X 80, 1; XI 70, 8; XIII 110, 1; XIV 113; vd. anche Sen. epist.
123, 7; Iuv. 6, 155; 7, 133; ThlL VIII 1684, 14 sgg.
250 M. Val. Martialis liber tertius

3. Massica: l’uso del neutro plurale corrisponde a quello di vina, prevalente


in poesia: vd. Maas 1902, p. 521; Löfstedt, Syntactica, I, p. 48. Il mons
Massicus in Campania produceva un vino tra i più celebrati nell’antichità
(vd. H. Philipp, s.v. Massicus mons, RE XIV 2, 2153; P. Fedeli, s.v. vino, EO
II, pp. 262-269). In XIII 111 Marziale sembra identificarlo con il Falerno,
ma Plinio il Vecchio (nat. III 60; XIV 62 sgg.) distingue le due qualità (vd.
Tchernia 1986, p. 342 sgg.). Negli epigrammi di Marziale è ricordato anche
in I 26, 8; III 49, 1; IV 13, 4; 69, 1; XIII 111, 1. – Opimi: la vendemmia
dell’anno del consolato di L. Opimio (121 a.C.) era stata memorabile: Plin.
nat. XIV 55 anno fuit omni generum bonitate L. Opimio consule. Il vino di
quell’annata si conservava ai tempi di Cicerone, che però non ne apprezzava
il sapore acre (Brut. 287 nimia vetustas nec habet eam, quam quaerimus,
suavitatem nec est iam sane tolerabilis); secondo Velleio Patercolo (II 7, 5)
ai suoi tempi non era più possibile trovare Opimiano autentico; in Petron.
34, 6 Trimalchione, con la consueta goffa ostentazione, dichiara di offrire del
Falerno Opimiano di cento anni, ma un vino della vendemmia di Opimio ne
avrebbe avuti molti in più. Plinio il Vecchio attesta che se ne poteva trovare
ancora, ma che il tempo lo aveva reso eccessivamente aspro (nat. XIV 55).
Marziale lo nomina più volte come vino pregiato: cfr. I 26, 7; II 40, 5; III
82, 24; IX 87, 1; X 49, 2; XIII 113, 1. – Caecuba: l’ager Caecubus, nel Lazio
meridionale (vd. Ch. Hülsen, RE III 1243), produceva un celeberrimo vino:
ricordato più volte da Orazio (cfr. carm. I 20, 9 con il commento di Nisbet-
Hubbard1), non si produceva più al tempo di Plinio il Vecchio (nat. XIV 61;
XXIII 35). Marziale lo menziona spesso come vino pregiato (II 40, 5; VI 27,
9; X 98, 1; XI 56, 11; XII 17, 6; 60, 9; XIII 115). Sull’uso del neutro plurale
vd. supra la n. a Massica.
4: il vanto di Candido si estende anche alle sue capacità intellettive: cor
indica l’intelligenza razionale (vd. OLD s.v. nr. 3), ingenium la capacità
inventiva che presiede alla creazione di opere d’arte (vd. OLD s.v. nr. 5 a).
Per l’espressione cor habere (‘avere senno’) cfr. II 8, 6 tunc ego te credam
cordis habere nihil; VII 78, 4 habes nec cor, Papyle, nec genium; XI 84,
17 unus de cunctis animalibus hircus habet cor; vd. anche III 27, 4 et
mihi cor non est et tibi … pudor. Per la coppia di sostantivi cfr. Afran.
tog. 7 quis tam sagaci corde atque ingenio unico?; Lucr. V 1107 ingenio
qui praestabant et corde vigebant; Sen. contr. X praef. 9 multum habuit
ingeni, nihil cordis.
5. omnia solus habes: espressione enfatica, che rimanda parodicamente
Epigramma 26 251

ad un modulo innico (al pari dell’insistita anafora: vd. la n. al v. 1): la polarità


espressa da omnia solus (gr. ) è elemento dell’aretalogia
innica (vd. Norden 1923, p. 246 sgg.). Per il concetto cfr. Sen. nat. I praef.
13 quid est deus? quod vides totum et quod non vides totum. sic demum
magnitudo illi una redditur qua nihil maius cogitari potest, si solus est
omnia; Ps. Apul. Asclep. 29 pater omnium vel dominus et is qui solus est
omnia omnibus se libenter ostendit; CIL X 3800 una quae es omnia, dea
Isis; altri esempi in Norden 1923, p. 246 n. 5. In Marziale cfr. V 24, inno
parodico dedicato al gladiatore Hermes, specialmente v. 15 Hermes omnia
solus et ter unus; sull’epigramma vd. H.S. Versnel, A Parody on Hymns in
Martial 5, 24 and some Trinitarian Problems, «Mnemosyne» IV 27, 1974,
pp. 365-405, spec. 373 sgg.; H. Kleinknecht, Die Gebetsparodie in der
Antike, Stuttgart-Berlin 1937 (= Hildesheim 1967), p. 199 sgg. L’effetto
parodico è inoltre intensificato dall’uso di habere, in luogo di esse dei contesti
innici, che riconduce alla grettezza del patrono. Per espressioni analoghe
cfr. Liv. I 54, 5 ut omnia unus Gabiis posset; Ov. epist. 12, 161 sg. deseror
… / coniuge, qui nobis omnia solus erat. L’emistichio omnia solus habes
ricorre identico in Auson. Mos. 31 sg. (334, 31 sg. p. 119 P.) omnia solus
habes, quae fons, quae rivus et amnis / et lacus et bivio refluus manamine
pontus (di cui W. Görler, «Hermes» 97, 1969, p. 106 n. 1 ha evidenziato
le movenze inniche); cfr. anche Auson. vers. pasch. 28 (= 317, 28 p. 18 P.)
omnia solus habens atque omnia dilargitus. – hoc me puta velle negare!:
espressione parentetica volta a eliminare i timori del patrono: è ricorrente
negli epigrammi di Marziale il procedimento per cui egli sembra fare una
concessione al suo interlocutore, per poi colpirlo di sorpresa. Analoghe
espressioni parentetiche, che preludono alla battuta finale, ricorrono in I
64, 2 quis enim potest negare?; V 78, 22 quis potest negare?; XI 70, 11 quis
enim dubitatve negatve? (vd. Gerlach 1911, p. 24 sg.). In questo caso si
tratta di un imperativo ironico (vd. Hofmann, LU, p. 194; traduce bene
Ker: «fancy I want to deny it!»). Crea però qualche difficoltà il fatto che
si tratterebbe di una forma di imperativo ironico priva di paralleli: puta
ha valore ironico in Sen. ben. VI 35, 5 i nunc et esse grati puta, quod ne
ingratus quidem faceret; dial. XII 10, 10 i nunc et puta pecuniae modum
ad rem pertinere, non animi; ma in entrambi i casi il tono ironico degli
imperativi è garantito dall’i nunc, spesso utilizzato anche da Marziale in
funzione ironica (vd. Citroni, p. 139). Poco significativa l’affinità di questa
espressione con XI 58, 1 sgg. cum me velle vides tentumque, Telesphore,
252 M. Val. Martialis liber tertius

sentis, / magna rogas - puta me velle negare: licet?- / et nisi iuratus dixi eqs.
Quella di intendere così il passo sembra comunque la soluzione migliore,
pur restando qualche dubbio. Hanno mantenuto il testo meglio attestato
nei codici, con interpunzione esclamativa, Schneidewin, Lindsay, Duff, Ker,
Giarratano, Heraeus (vd. anche Citroni, p. 211; Kay, p. 198). Ha però goduto
di una certa fortuna la congettura nec me puta velle negare, attribuita a J.N.
Madvig (Adversaria Critica, II, Kopenhagen 1871 = Hildesheim 1967, p.
163), ma già avanzata da Scriverius nelle Animadversiones: l’hanno accolta
Friedlaender, Izaac, Norcio. In tal modo, con un lieve intervento sul testo,
si ottiene un’imperativo negativo, senz’altro adeguato per il senso. Nec con
l’imperativo è attestato nella poesia augustea (Virgilio, Tibullo, Ovidio) e
ricorre in Marziale in IV 14, 10 sg. nostris otia commoda Camenis, / nec
torva lege fronte, sed remissa (sc. libellos); XIII 55, 1 musteus est: propera,
caros nec differ amicos, dove però segue, come di norma, un imperativo
affermativo (vd. Hofmann-Szantyr, p. 340), mentre questo sarebbe l’unico
caso in cui segue un verbo all’indicativo. Né appare più convincente
l’ipotesi di Gilbert di leggere ne me puta velle negare: il costrutto, che
appartiene alla lingua colloquiale (vd. Hofmann-Szantyr, p. 340), è piuttosto
frequente in Marziale per rendere l’imperativo negativo (V 10, 11; 48, 7;
VI 27, 5; VIII 59, 3; XII 55, 3; XIV 69, 1; 97, 1; 178, 1), ma non sarebbe
facile giustificare la corruttela; l’accostamento dei due monosillabi (ne me),
seppur poco elegante, ricorre in II 68, 3 ne me dixeris esse contumacem;
cfr. anche epigr. 27 (24), 3 ne te decipiat ratibus navalis Enyo; X 65, 15 ne
te, Charmenion, vocem sororem; XI 102, 7 audiat aedilis ne te videatque
caveto. Molto poco plausibile appare infine la proposta di Shackleton
Bailey 1989, p. 133, accolta nelle sue edizioni, di leggere hoc me puta nolle
negare: la costruzione, piuttosto forzata e innaturale, rivela i suoi limiti
nella traduzione fornita dallo stesso SB2: «Suppose I don’t choose to deny
it». Una interpretazione completamente diversa degli ultimi due versi ha
proposto Schuster 1926, p. 344 sg., che mantiene il testo tràdito eliminando
però l’interpunzione esclamativa. Il senso sarebbe l’opposto rispetto a
quanto ipotizzato dagli altri interpreti: Marziale intenderebbe negare
soltanto la sua ultima affermazione (omnia solus habes: hoc me puta velle
negare). Candido possiede solo molte ricchezze, ma non tutto, poiché la
moglie la condivide con il popolo. L’ipotesi è scarsamente convincente: il
valore non avversativo, ma illustrativo di sed nell’ultimo verso («und zwar»
traduce Schuster) non sembra ammissibile; puta inoltre non avrebbe
Epigramma 26 253

ragion d’essere. – puta: subisce abbreviamento giambico anche in II 44, 2;


IX 95 b, 3; XI 58, 2; 95, 2; mantiene la sillaba lunga in IV 29, 10; VI 85, 12;
XI 43, 12; XIV 7, 1 (sul fenomeno vd. Leumann, p. 108 sg.).
6. uxorem sed habes: sulla posposizione delle particelle, frequente a
partire dalla poesia augustea, vd. la n. a 19, 5.
254 M. Val. Martialis liber tertius

27

Numquam me revocas, venias cum saepe vocatus:


ignosco, nullum si modo, Galle, vocas.
Invitas alios: vitium est utriusque. ‘Quod?’ inquis.
Et mihi cor non est et tibi, Galle, pudor.

hab. R tit. ad gallum R 1 venias cum saepe RLPQf¹: cum sis prior ipse f²v.l. 3
alios vitium est R V²s.l.: alio fuit dum est EXV¹ alio fuit dum A utriusque RPQ²f :
utrisque LQ¹ 4 et (alt.) RLPQf¹E²X: nec f²s.l.A²V om. E¹A¹

Non ricambi mai l’invito, benché tu venga spesso invitato a cena da me:
ti perdono, o Gallo, se non inviti nessuno.
Tu inviti altri: il difetto è d’entrambi. ‘Quale?’ dici.
Io non ho cervello, tu, o Gallo, non hai pudore.

Gallo non invita mai a cena il poeta, pur essendo da lui spesso invitato.
La scortesia sarebbe scusabile se il suo comportamento fosse uguale con
tutti, ma egli invita altre persone. La colpa è di entrambi, dice Marziale: a lui
manca l’intelligenza, poiché ha continuato a invitare una persona che non
lo meritava, a Gallo manca il pudore, perché ha continuato ad accettare gli
inviti del poeta, pur non avendogli mai ricambiato la cortesia. L’epigramma,
uno tra i più scialbi del libro, sviluppa un tema attinente al bon ton nei
rapporti sociali a Roma, dove la reciprocità nei benefici, commisurata alle
proprie possibilità, è presupposto rilevante per il mantenimento dei rapporti
di amicitia: cfr. Cic. off. I 47 sg.; Brut. 15; Att. XIII 12, 3; Sen. ben. II 18,
5; vd. R.P. Saller, Personal Patronage under the Early Empire, Cambridge
1982, p. 14. Marziale mostra di aderire al precetto in XII 48, 17 sg. me meus
ad subitas invitet amicus ofellas. / haec mihi quam possum reddere cena
placet. Gallo dunque non ricambiando gli inviti di Marziale viene meno a
questa norma di cortesia. Ad argomento analogo è dedicato II 79, nel quale
Nasica invita Marziale a cena solo quando sa che quest’ultimo ha ospiti, in
modo da compiere il gesto formale dell’invito, senza però dover sostenere le
spese di una cena, e, probabilmente, nella speranza di ricevere un invito (v. 1
invitas tunc me, cum scis, Nasica, vocasse). Gallus è nome fittizio ricorrente
negli epigrammi di Marziale per diversi tipi.
Epigramma 27 255

1. venias cum saepe vocatus: voco assoluto indica spesso l’invito a cena
a partire da Plauto (vd. OLD s.v. nr. 3); numerose sono le occorrenze in
Marziale. Per l’uso con venio cfr. XI 35, 2 quare non veniam vocatus ad te.
La lezione cum sis prior ipse vocatus di , accolta fra gli editori moderni dal
solo Schneidewin1, sarà probabilmente da considerare un tentativo, piuttosto
maldestro, di colmare la lacuna creata dalla caduta di venias per omeoteleuto,
intervento basato forse su V 66, 1 saepe salutatus numquam prior ipse salutas
(Heraeus 1925, p. 323; Heraeus, p. XXXI): qui il comportamento inurbano
di Gallo consiste nel non ricambiare mai i frequenti inviti del poeta; non è
pertanto in questione la priorità di un gesto (il saluto in V 66; cfr. anche III
95, 1 sg. numquam dicis have, sed reddis, Naevole, semper, / quod prior et
corvus dicere saepe solet). Casi analoghi non sono infrequenti nella famiglia
(vd. Heraeus 1925, p. 323). In modo pertanto poco persuasivo Lindsay 1903,
p. 22, inserisce il caso tra quelli per cui è possibile ipotizzare la variante d’autore
e attribuisce soltanto «greater force» alla versione di RLPQf¹. Muove invece
dalle considerazioni di Lindsay Di Giovine 2002, p. 131, che, rovesciando il
ragionamento di Heraeus, si serve di V 66, 1 per dimostrare la plausibilità della
lezione di rispetto alla lingua e all’uso di Marziale, senza dover necessariamente
parlare di variante d’autore, e si mostra scettico sulla possibilità di interpolazioni
basate su epigrammi di altri libri, che presupporrebbero moderni strumenti di
consultazione (Di Giovine 2002, p. 131 n. 54).
2. nullum: l’uso di nullus in luogo di nemo appartiene alla Umgangssprache
fin dall’età arcaica ed è attestato anche in età classica; frequente in età
postclassica, si afferma nel latino tardo; in poesia è favorito da ragioni metriche
(vd. Hofmann-Szantyr, p. 204 sg.; Axelson 1945, p. 76 sg.). In Marziale, dove
nemo ricorre frequentemente (mai il dat. e l’acc.), cfr. I 23, 1; 73, 1; IV 83, 3;
VI 64, 22; VII 42, 6.
3. invitas: sc. ad cenam; l’uso assoluto, come per voco (vd. la n. al v. 1), è
comune (vd. ThlL VII 2, 228, 55 sgg.). – ‘Quod?’ inquis: l’intervento diretto
del bersaglio dell’epigramma è tecnica molto usata da Marziale, che rende più
mosso l’andamento del componimento e spesso, come qui, prepara la pointe:
cfr., solo per citare i casi in cui compare inquis, II epist. 2; 65, 2; III 38, 3; 46,
3; IV 33, 3; 72, 4; V 16, 13; 61, 7; 63, 1 e 5; VI 34, 1; 54, 3; 56, 5; VIII 10, 3; 17,
3; 37, 3; X 11, 5; XII 40, 5.
256 M. Val. Martialis liber tertius

28

Auriculam Mario graviter miraris olere?


Tu facis hoc: garris, Nestor, in auriculam.

hab. R cum 27 confl. f tit. ad nestorem RLPQf in mg. 1 olere? distinxi: olere. edd.
miraris olere : miraresolerer R

Ti meravigli che l’orecchio di Mario abbia un odore sgradevole?


Tu ne sei la causa: gli chiacchieri, o Nestore, nell’orecchio.

L’epigramma offre una variazione su un tema ricorrente in Marziale,


l’invettiva contro personaggi dal cattivo alito, alla cui base è la convinzione
che esso derivi dalle loro pratiche sessuali (vd. la n. intr. all’epigr. 17). Come
in altri epigrammi del genere, anche qui il disvelamento dell’origine del
cattivo odore è lasciato alla malizia del lettore. Mario e Nestore sono con
ogni probabilità nomi fittizi. Il primo ricorre anche in I 85; II 76; X 19 (in
VII 87, 5, diversamente da quanto ritengono SB e Galán Vioque, p. 87, non
può che trattarsi di un conoscente di Marziale); il secondo, che ricorre anche
in XI 32, allude probabilmente alla tarda età del protagonista e fornisce un
elemento per la caratterizzazione sgradevole del personaggio (per Nestore,
proverbiale exemplum di lunga vita, cfr. II 64, 3; V 58, 5; VI 70, 12; VII
96, 7; VIII 6, 9; 64, 14; IX 29, 1; X 24, 11; 67, 1; XI 56, 13; XIII 117, 1; vd.
Otto, Sprichwörter, p. 242). Il distico si apre e chiude con lo stesso termine
(auriculam) con un effetto ecoico, intensificato dalla clausola tetrasillabica
del pentametro, per lo più evitata nella poesia augustea, ma non infrequente
in Marziale (vd. Wilkinson 1948). Versi ecoici ricorrono anche altrove in
Marziale, soprattutto in epigrammi scommatici: cfr. I 32; V 38, 1 sg.; 61, 1
sg.; VIII 21, 1 sg.; XI 70, 1 sg.; 11 sg.; e specialmente IX 97, dove tutti i sei
distici sono scanditi dall’anafora del refrain (rumpitur invidia). Nella poesia
latina ricorrono a partire da Tibullo (I 4 61 sg.) e sono frequenti in Ovidio
(cfr. am. I 9, 1 sg. militat omnis amans con il commento di McKeown).

1. miraris olere?: al punto fermo in fine di verso degli editori, mi sembra


preferibile l’interrogativa introdotta da miraris, che costituisce un modulo
incipitario tra i più cari a Marziale (vd. Gerlach 1911, p. 25 sg.; Siedschlag
Epigramma 28 257

1977, p. 123 sg.): cfr. V 73, 1 sgg. non donem tibi cur meos libellos / …
/ miraris, Theodore?; VI 11, 1 sg. quod non sit Pylades hoc tempore, non
sit Orestes / miraris?; 89, 7 miraris, quantum biberat, cepisse lagonam?;
VII 18, 3 sg. cur te tam rarus cupiat repetatque fututor / miraris?; X 84,
1 miraris, quare dormitum non eat Afer?; XI 38, 2 miraris pretium tam
grave?; 57, 1 sg. miraris docto quod carmina mitto Severo, / ad cenam cum
te, docte Severe, vocem?; XII 51, 1 sg. tam saepe nostrum decipi Fabullinum
/ miraris, Aule?; XIII 74, 2 miraris? (analoghi moduli interrogativi sono
quelli, numerosissimi, introdotti da quaeris / requiris, per i quali vd. la n.
intr. di Grewing a VI 67; Siedschlag 1977, p. 24 sg. e la mia n. a 32, 1).
In questo caso l’interrogativa contribuisce a porre un accento più marcato
sul pronome personale che apre il pentametro, in modo da intensificarne
il tono accusatorio. – auriculam: diminutivo ‘banalizzato’ già in tarda età
repubblicana (cfr. Catull. 67, 44; Lucr. IV 594), che si differenzia unicamente
nel ‘volume’ sillabico dalla forma originaria (vd. Ronconi 1940, p. 3 sgg.;
Hofmann, LU, p. 297 sgg.; Hanssen 1951, p. 117 sgg.; Väänänen 1974, p.
170 sg.): la completa perdita del valore diminutivo è evidente in Varr. rust.
II 9, 4 auriculis magnis. In Marziale auricula, comodo dal punto di vista
metrico, ricorre, sempre come ultima parola del pentametro, anche in V 77,
2; XII 29 (26), 12; XIV 137, 2. Si tratta di una forma della lingua familiare,
come testimoniano il suo uso in frasi proverbiali (vd. Otto, Sprichwörter,
pp. 43; 46 sg.), nonché l’esito romanzo (‘orecchia’, ‘oreille’, ‘oreja’).
2. garris in auriculam: garrire, verbo della sfera colloquiale, ha qui una
sfumatura negativa e suggerisce un chiacchiericcio continuo e fastidioso:
cfr. Hor. sat. I 9, 11 sgg. ‘o te, Bolane, cerebri / felicem!’ aiebam tacitus,
cum quidlibet ille / garriret, vicos urbem laudaret; per la iunctura cfr. I
89, 1 garris in aurem semper omnibus; V 61, 3 dominae teneram … garrit
in aurem; XI 24, 2 aurem dum tibi praesto garrienti; Pers. 5, 96 ratio …
secretam garrit in aurem.
258 M. Val. Martialis liber tertius

29

Has cum gemina compede dedicat catenas,


Saturne, tibi Zoilus, anulos priores.

om . Q¹, add. Q² in mg. tit. ad saturnum de zoilo : de zoilo LPf in zoilum Q² 1 dedicat
Q²f² : dicat LPf¹

Queste catene con i due ceppi ti dedica,


o Saturno, Zoilo, i suoi precedenti anelli.

Zoilo dedica a Saturno le sue catene con i ceppi, i suoi anelli di un


tempo! Il distico si presenta nella forma di un epigramma votivo: il primo
verso contiene la descrizione dell’oggetto offerto, il secondo il nome
della divinità omaggiata e l’autore della dedica; soltanto nella chiusa si
svela l’intenzione parodica: le parole anulos priores contrappongono
bruscamente l’infamante passato di schiavo compeditus di Zoilo alla
superba esibizione di ricchezze del presente, gettando luce sulla vera origine
del personaggio. Per quanto riguarda la dedica delle catene da parte dell’ex-
schiavo, l’unica altra attestazione dell’uso sembra essere Hor. sat. I 5, 65
sgg. multa Cicirrus ad haec: donasset iamne catenam / ex voto Laribus,
quaerebat: scriba quod esset, / nilo deterius dominae ius esse: rogabat /
denique cur umquam fugisset, cui satis una / farris libra foret, gracili sic
tamque pusillo. Durante il suo alterco con Sarmento il provinciale Cicirro
gli rinfaccia la sua origine servile e sottolinea, ricordando il perdurante
ius dominae, che la sua libertà è dovuta alla fuga, piuttosto che alla
manomissione (cfr. v. 68 cur umquam fugisset; sullo status sociale dei
due personaggi vd. A. La Penna, Improvvisati i due buffoni di Orazio?
(Sat. I 5, 51 ss.), «Maia» 19, 1967, pp. 155-158, ora in Id., Saggi e studi su
Orazio, Firenze 1993, pp. 383-388; Id., in EO, I, pp. 809 sgg.; 888 sg.;
S. Treggiari, Roman Freedmen during the Late Republic, Oxford 1969,
pp. 154 sg.; 225 sg.; 271 sg.). L’ironia delle parole di Cicirro emerge da
un’acuta notazione di Porfirione, il quale, a proposito della dedica della
catena (v. 65 sg.), scrive: urbanissima contumelia haec dicta sunt in eum,
qui servilibus esset natalibus, translatione sumpta a generosis pueris, qui
bullam auream egressi pueritiae annos apud lares solent suspendere. Lo
Epigramma 29 259

spunto di Porfirione può essere avvalorato aggiungendo come possibile


termine di paragone la dedica degli ‘strumenti del mestiere’ al dio
protettore da parte di chi abbandona una professione, un sottogenere
dell’epigramma votivo ampiamente praticato in età ellenistica, in particolar
modo da Leonida: cfr., ad es., le dediche del loro equipaggiamento da
parte di pescatori (AP VI 4 Leonida; 5. 38. 90 Filippo di Tessalonica; 23
adespoto; 27 Teeteto Scolastico; 28. 29 Giuliano Egizio; 30 Macedonio
Console; 192 Archia; 193 Flacco), di falegnami (AP VI 204. 205 Leonida),
di arcieri (AP XIII 7 Callimaco; VI 9 Mnasalce), di trombettieri (AP VI
46 Antipatro di Sidone), di tessitrici (AP VI 39 Archia; 174 Antipatro
di Sidone; 289 Leonida), di suonatrici (AP V 206 Leonida); analoga è la
dedica della tessitrice che diventa etèra (AP VI 47 Antipatro di Sidone;
48 adespoto; 285 Nicarco). Orazio stesso gioca con l’uso in carm. III
26, in cui dedica a Venere le armi della milizia d’amore ormai conclusa.
La domanda di Cicirro sarebbe dunque soltanto un’invenzione arguta
per aggredire l’avversario, evocando, attraverso la menzione della catena,
il suo passato servile (i commentatori moderni sono meno espliciti in
proposito). Il tono di scherno nei confronti dello schiavo fuggitivo che
ha raggiunto un’elevata posizione sociale ed economica (su Zoilo ‘tipo’
del parvenu vd. infra) e l’ironia sulla dedica della catena rendono a mio
avviso molto probabile un’allusione ai versi oraziani da parte di Marziale,
che ha tradotto l’arguzia di Cicirro in forma di vero e proprio epigramma
votivo. Il sottotesto oraziano consente inoltre di individuare in Zoilo non
uno schiavo affrancato, bensì un fuggitivo, tipo ricorrente con lo stesso
nome anche in XI 37; 54. La dedica a Saturno, come già osservato da
Friedlaender, si può facilmente spiegare considerando che al dio erano
dedicati i Saturnali (chiamati anche Feriae servorum), la cui principale
caratteristica era, come noto, l’abolizione della distinzione tra liberi e schiavi
(cfr. Macr. Sat. I 7, 26; 24, 22 sg.; Lucian. Sat. 13; vd., in generale, RE, s.v.
Saturnalia, II A, 201-211; Wissowa 1912, p. 205 sg.). Ha pertanto tutta
l’aria di un autoschediasmo l’affermazione di alcuni commentatori (Ker,
Izaac, Norcio, Merli), forse tratta da Daremberg-Saglio, s.v. Saturnalia,
IV 2, p. 1082, che gli schiavi affrancati usavano consacrare le loro catene
a Saturno in prossimità dei Saturnali. Nessuno dei commentatori infatti
adduce casi analoghi; soltanto in Daremberg-Saglio, s.v. Saturnalia, cit.,
vengono portati a confronto Mart. V 85, 1; Lucian. Sat. 13; Macr. Sat. I
10, 16; ma nell’epigramma di Marziale (dovrebbe trattarsi di V 84, l’ultimo
260 M. Val. Martialis liber tertius

epigramma del libro) non si accenna né all’affrancamento di schiavi, né alla


dedica di catene; nel passo di Luciano si tratta dell’uguaglianza tra liberi
e schiavi, tra poveri e ricchi durante i Saturnali; la citazione da Macrobio
infine è sicuramente errata. Peraltro Zoilo, schiavo fuggitivo, non avrebbe
alcun interesse a dare notorietà al proprio passato, come accadrebbe invece
nel caso della dedica della catena.
Il tema dell’epigramma ritorna, ancora con Zoilo come bersaglio, in XI
37: Zoile, quid tota gemmam praecingere libra / te iuvat et miserum
perdere sardonycha? / anulus iste tuis fuerat modo cruribus aptus: / non
eadem digitis pondera conveniunt, dove però è assente l’
che rende più arguta la conclusione di questo epigramma.
La moda di portare più di un anello, considerata dagli antichi indegna
di un uomo, era stata inaugurata dal triumviro Crasso (cfr. Isid. orig.
XIX 32 apud veteres ultra unum anulum uti infame habitum viro …
Crassus, qui apud Parthos periit, in senectute duos habuit anulos, causam
praeferens quod pecunia ei immensa crevisset). Essa aveva raggiunto nel
I secolo d.C. veri e propri eccessi, censurati dai moralisti: cfr. Sen. nat.
VII 31, 2 exornamus anulis digitos, in omni articulo gemma disponitur;
Plin. nat. XXXIII 24 hic nunc solus (sc. medius digitus) excipitur, ceteri
omnes onerantur, atque etiam privatim articuli minoribus aliis. La
prescrizione negativa di Quintiliano (inst. XI 3, 142 manus non impleatur
anulis) suggerisce che doveva essere pratica diffusa anche tra gli oratori.
L’abitudine è schernita da Petron. 32, 3 habebat (sc. Trimalchio) in
minimo digito sinistrae manus anulum grandem subauratum, extremo
vero articulo digiti sequentis minorem … totum aureum, sed plane
ferreis veluti stellis ferruminatum. et ne has tantum ostenderet divitias,
dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo circulo
lamina splendente conexo (vd. anche 71, 9); cfr. anche Lucian. Nigr. 13.
21; gall. 12. In Marziale la presenza di anelli su tutte le dita è un tratto della
descrizione dell’effeminato in V 61, 5 per cuius digitos currit levis anulus
omnis; cfr. anche XI 59, 1 sg. senos Charinus omnibus digitis gerit / …
anulos; XIV 123 tit. dactyliotheca. L’abitudine dell’amico e patrono Lucio
Arrunzio Stella di portare molte gemme preziose alle dita è però motivo
di omaggio in V 11; 12.
Zoilo è fra i bersagli preferiti della satira marzialiana: egli compare in 17
epigrammi; è protagonista di due ‘cicli’, nel II libro (16; 19; 42; 58; 81) e
nell’XI (12; 30; 37; 54; 85; 92). Pur presentando di volta in volta sfumature
Epigramma 29 261

diverse, il personaggio è riconducibile a un unico tipo piuttosto definito:


egli rappresenta il parvenu che esibisce volgarmente le proprie ricchezze
(II 16; 58; 81; V 79; XI 37; vd. specialmente la n. intr. all’epigr. 82 per le
numerose affinità con il Trimalchione petroniano); la sua condizione di
schiavo fuggitivo è ricordata ancora in XI 37; 54; è impurus ore (II 42; III
82; VI 91; XI 30; 85). Egli è l’incarnazione del vizio: XI 92, 1 sg. mentitur
qui te vitiosum, Zoile, dicit. / non vitiosus homo es, Zoile, sed vitium.
Secondo una suggestiva ipotesi di Kay, p. 93, Marziale ha avuto presente
nella scelta del nome lo Zoilo detrattore di Omero ( ),
noto al mondo romano per la menzione di Ov. rem. 365 sg. ingenium
magni livor detractat Homeri: / quisquis es ex illo, Zoile, nomen habes;
Vitr. VII praef. 8 sg. (vd. RE Suppl. XV 1531-1554). Zoilo è in ogni caso
un comune nome servile: vd. CIL VI index.
Il metro sotadeo è usato da Marziale soltanto in questo epigramma (vd.
Th. Birt, apud Friedlaender, I, p. 27; Giarratano 1908, p. 73). Il poeta
nomina però Sotade all’interno di un elenco di effetti virtuosistici che
mostra di non amare: cfr. II 86, 2 nec retro lego Sotaden cinaedum, dove
allude evidentemente a composizioni sotadiche che consentono una
lettura retrograda (un esempio è riportato da Quint. inst. IX 4, 90 astra
tenet caelum, mare classes, area messem: hic retrorsum fit sotadeus: vd.
Bettini 1982, p. 68). Che l’inversione favorisse un doppio senso osceno
è ipotesi plausibile, ma non riscontrabile da quanto in nostro possesso
(Bettini 1982, p. 68 sg.; vd. anche Housman 1931, p. 83 = Class. Pap., p.
1174). Il verso sotadeo fu introdotto nella letteratura latina da Ennio e
usato da Accio, Plauto, Petronio (per un’approfondita analisi metrica dei
sotadei greci e latini vd. Bettini 1982, pp. 59-105). Su Sotade vd. RE III
A 1, 1207 sgg. L’uso del sotadeo, del tutto inconsueto per un epigramma
votivo, fornisce un elemento ulteriore a sostegno della lettura del distico
proposta supra.

1. has: l’uso del deittico in principio del verso, che mette in rilievo
l’oggetto dell’offerta, è tratto caratteristico dell’epigramma anatematico: in
Marziale cfr. anche I 31, 1 sg. hos tibi, Phoebe, vovet totos a vertice crines /
Encolpos; IV 45, 1 sg. haec tibi pro nato plena dat laetus acerra, / Phoebe,
Palatinus munera Parthenius. – cum gemina compede: le compedes erano
i ceppi con cui, per punizione, si legavano i piedi degli schiavi fuggitivi
(Plaut. Men. 79 sgg. homines captivos qui catenis vinciunt / et qui fugitivis
262 M. Val. Martialis liber tertius

servis indunt compedes / nimis stulte faciunt mea quidem sententia) o dei
condannati ai lavori forzati, come, ad es., quelli che lavoravano la terra
(Mart. IX 22, 4 et sonet innumera compede Tuscus ager); vd. Daremberg-
Saglio II, p. 1428; Marquardt 1886, p. 182. – catenas: per le mani: cfr. Plin.
epist. VII 27, 5 cruribus compedes, manibus catenas gerebat.
2. Saturne: il nome della divinità cui viene dedicato l’oggetto è
collocato enfaticamente al principio del secondo verso anche in IV 45,
dopo la descrizione dell’offerta. – anulos priores: secondo una diffusa
interpretazione (vd. R. Schmook, De M. Valeri Martialis epigrammatis
sepulcralibus et dedicatoriis, Diss. Lipsiae 1911, p. 96 sg.; Ker; Izaac; SB2;
vd. anche Grewing, p. 574; Kay, p. 151) sia in questo epigramma che in
XI 37 cit. nella n. intr. il riferimento sarebbe all’anulus aureus dei cavalieri
(su cui vd. S. Demougin, De l’esclavage à l’anneau d’or du chevalier,
in C. Nicolet [dir.], Des ordres à Rome, Paris 1984, pp. 217-241; Ead.,
L’ordre équestre sous les Julio-Claudiens, Rome 1988, pp. 789-794; 814-
817); la critica di Marziale sarebbe pertanto rivolta non solo alla volgare
ostentazione, ma anche all’usurpazione di Zoilo dello status di cavaliere.
L’ipotesi non è però persuasiva: in questo caso il paragone e il meccanismo
della pointe funzionano se ai ceppi e alle catene, che precedentemente
costringevano piedi e mani di Zoilo, corrispondono più anelli, di cui viene
messo in evidenza soprattutto il peso: per l’uso scherzoso di compedes per
pesanti bracciali cfr. Petron. 67, 7 ‘videtis’ inquit ‘mulieris compedes … sex
pondo et selibram debet habere’; Plin. nat. XXXIII 152 argentum succedit
aliquando et auro luxu feminarum plebis compedes sibi facientium.
Anche in XI 37 cit. nella n. intr. Marziale sottolinea le dimensioni e il peso
inusitato dell’anello per mettere in luce la volgarità del parvenu. In entrambi
gli epigrammi bisogna sottolineare la completa assenza di ‘spie’ che lascino
intravedere un riferimento all’anulus aureus dei cavalieri. L’ostentazione
di gemme appariscenti è invece un tratto ricorrente nella satira contro il
parvenu: cfr. Petron. 32, 3 cit. nella n. intr.; Mart. II 29, 2 cuius et hinc
lucet sardonychata manus; Iuv. 7, 139 sg. Ciceroni nemo ducentos / nunc
dederit nummos, nisi fulserit anulus ingens. Il tentativo da parte di abusivi
di passare per cavalieri, imitandone abbigliamento e atteggiamenti, è invece
centrale nel ciclo del V libro dedicato alla restaurazione domizianea della
Lex Roscia theatralis (vd. Canobbio 2002, p. 60 sg.; passim). Un’analoga
forma di irrisione ricorre nei Versus populares contro Sarmento (p. 112 M.;
248 sg. Bläns.): aliud scriptum habet Sarmentus, aliud populus voluerat.
Epigramma 29 263

/ digna dignis: sic Sarmentus habeat crassas compedes. / rustici ne nihil


agatis, aliquis Sarmentum alliget, dove, al v. 2, sono stati ravvisati un
riferimento all’anello di cavaliere e un’allusione alle catene portate un tempo
come schiavo (vd. H. Haffter, Interpretationen zur römischen Volks-
poesie, «Hermes» 87, 1959, p. 94 sgg., che adduce come parallelo questo
epigramma; Id., Römische Politik und Römische Politiker. Aufsätze und
Vorträge, Heidelberg 1967, p. 149; P. Cugusi, Spunti politici e sociali, in
Studi di poesia latina in onore di A. Traglia, II, Roma 1979, p. 887 sgg.;
Courtney, FLP, p. 476). Nulla però sembra escludere un riferimento a
pesanti anelli o bracciali, che anzi l’attributo crassas parrebbe avvalorare.
264 M. Val. Martialis liber tertius

30

Sportula nulla datur; gratis conviva recumbis:


dic mihi, quid Romae, Gargiliane, facis?
Unde tibi togula est et fuscae pensio cellae?
Unde datur quadrans? Unde vir es Chiones?
Cum ratione licet dicas te vivere summa, 5
quod vivis, nulla cum ratione facis.

hab. T; v. 1 hab. R tit. ad gargilianum T : ad convivam ingratam R 2 dic mihi T V²s.l.:


quid mihi EAXV¹ quid romae : om. T 3 togula : getula T pensio T² : pessio T¹
4 chiones T² : chiores T¹ 5 ratione T EA²in mg.XV: om. A¹ licet TLPQ²in mg. f :
om. Q¹ 6 quod T² EXV: quid T¹A vivis : vidis T

Non si danno sportule; senza compenso ti stendi come convitato:


dimmi, o Gargiliano, cosa ci fai a Roma?
Dove prendi il denaro per una toghetta e per la pigione di una buia stanza?
Dove prendi il quadrante per le terme? Dove i soldi per Chione?
Per quanto tu dica di vivere con il massimo raziocinio, 5
quanto al fatto che vivi, lo fai senza alcuna ragione.

Gargiliano è un povero cliente, cui l’abolizione della sportula (per cui


vedi la n. intr. all’epigr. 7) ha tolto ogni possibilità di vita nella capitale.
Marziale rappresenta ancora la misera condizione di una folla di indigenti
(cfr. 7, 4 fames amicorum), per i quali il piccolo donativo rappresentava
l’unico mezzo di sostentamento. Dalla presentazione della situazione
nel primo verso deriva in modo consequenziale la domanda del v. 2, che
sottolinea impietosamente la generale difficoltà del cliente; le interrogative
del distico successivo, enumerando le elementari necessità che egli non è in
grado di soddisfare, dipingono con tratti sempre più netti la sua povertà,
introducendo l’arguzia finale, realizzata sfruttando il doppio senso di ratio:
all’affermazione di Gargiliano di vivere cum ratione summa (‘raziocinio’,
‘calcolo’), Marziale replica che egli vive in realtà nulla cum ratione (‘ragione’).
Lo slittamento semantico è messo in ulteriore rilievo dalla forma antitetica
delle due espressioni, disposte in chiasmo (ratione … summa / nulla …
ratione). Sull’antanàclasi, molto cara a Marziale, vd. la n. intr. all’epigr. 13.
Gargiliano è senz’altro nome fittizio; ricorre anche in III 74; IV 56; VII
Epigramma 30 265

65; VIII 13, per diversi tipi. Il nome ha poche attestazioni nel CIL (vd.
Kajanto 1965, p. 147). In R (f. 101v) sotto il titolo Ad convivam ingratam
(sic) è tràdito un distico composto dal v. 1 di questo epigramma seguito dal
pentametro accipis (accipias R¹) haut reddis nullus in ore pudor, che va
considerato un’arbitraria elaborazione di un copista; da notare l’ignoranza
del genere grammaticale di conviva, forse unita a pregiudizio sessista (vd.
Mastandrea 1996, p. 117 sg.). Il caso non è isolato: inserita tra III 11 e III
16 (f. 101r) R riporta una redazione abbreviata di II 32, sotto il titolo De
balbo, dove al primo verso (Lis mihi cum Balbo est, tu Balbum offendere
non vis), è abbinato un pentametro assolutamente estraneo al senso
originario dell’epigramma (balbus erit quisquis dicere recta nequit).

1. Sportula nulla datur …: sportula, termine chiave dell’epigramma, è


posto significativamente in apertura del componimento (per la collocazione
di termini-chiave in principio di epigramma vd. la n. a 41, 1 mutua; 43, 1
mentiris; 75, 1 stare); sulla sportula e sulla sua temporanea abolizione da
parte di Domiziano, testimoniata in questo libro, vd. la n. intr. all’epigr. 7. Il
verso testimonia l’uso, di cui non è possibile stabilire la frequenza, di unire
alla sportula un invito a cena: cfr. III 60, 1 cum vocer ad cenam non iam
venalis ut ante; IV 68, 1 invitas centum quadrantibus et bene cenas; IX 100,
1 denaris tribus invitas; XII 29 (26), 13 sgg. ‘rogat ut secum cenes Laetorius’
inquit. / viginti nummis? non ego: malo famem / quam sit cena mihi,
tibi sit provincia merces; XIII 123 cum tua centenos expunget sportula
civis, / fumea Massiliae ponere vina potes. – gratis: l’uso avverbiale, diffuso
in commedia nella forma trisillabica (gratiis), ricorre in poesia soltanto in
Ovidio (3 casi), Fedro e Lucano (1 caso entrambi). Marziale ne fa un uso
ampio (20 casi). – recumbis: verbo ‘tecnico’ per indicare l’azione di stendersi
sul triclinio; ricorre anche in II 19, 3; V 78, 24; VI 74, 1; VII 67, 9; X 98, 4.
7; XI 23, 11; XII 17, 7.
2. Dic mihi: la locuzione affettiva (per cui vd. la n. a 11, 4) serve qui a porre
un accento più marcato sull’interrogativa seguente. – quid Romae, Gargiliane,
facis?: la domanda, che quasi equivale ad un’affermazione negativa (‘non hai
ragione di stare a Roma’), mette a nudo la condizione critica dei clienti privati
della sportula; per l’espressione, di natura colloquiale, cfr. Ov. epist. 20, 153
sg. alterius thalamo, tibi nos, tibi, dicimus, exi: / quid facis hic? exi: non
vacat iste torus. Senz’altro influenzata da questa è la sconsolata domanda
dell’Umbricio di Giovenale (3, 41): quid Romae faciam? (sulle numerose
266 M. Val. Martialis liber tertius

riprese di Marziale nella Satira terza di Giovenale vd. Colton 1991, p. 85


sgg.). In Marziale espressioni analoghe, legate alle difficoltà di vivere a
Roma, ricorrono anche in X 10, 3 hic (sc. Romae) ego quid faciam?; 10, 11
quid faciet pauper cui non licet esse clienti? Permeata di disillusione sulle
possibilità di vita a Roma è la risposta di Marziale a Sesto, che giunge nella
capitale carico di speranze, in III 38, 13 sg. ‘quid faciam, suade: nam certum
est vivere Romae.’ / si bonus es casu vivere, Sexte, potes.
3 sg. unde … ? / unde … ? unde … ?: l’anafora dell’avverbio sottolinea
impietosamente la difficoltà di Gargiliano di procurarsi il denaro per
elementari necessità. In modo analogo Giovenale elenca i beni cui si
provvede grazie alla sportula: 1, 119 sg. quid facient comites quibus hinc
toga, calceus hinc est / et panis fumusque domi? (in cui è certa una ripresa di
questi versi: vd. Colton 1991, p. 50 sg.). – togula: la toga, richiesta dai patroni
per l’atto della salutatio mattutina, è la divisa del cliente (vd. la n. a 4, 6). La
modestia dell’oggetto, accentuata dal diminutivo, mette in ulteriore risalto
la povertà del cliente. Togula ricorre spesso in Marziale per evidenziare la
miseria dei clienti: cfr. IV 26, 4; V 22, 11; VI 50, 2; IX 100, 5. Togatuli sono i
clientes in X 74, 3; XI 24, 11. – fuscae pensio cellae: per gli elevati prezzi degli
affitti a Roma (su cui vd. la n. a 38, 6) i meno abbienti potevano permettersi
piccole stanze poco luminose: cfr. Iuv. 3, 223-225 si potes avelli Circensibus,
optima Sorae / aut Fabrateriae domus aut Frusinone paratur / quanti nunc
tenebras unum conducis in annum. La difficoltà di riuscire a pagare l’affitto
è argomento usato anche in III 38, 5 sg. per sconsigliare a Sesto l’attività di
avvocato a Roma: egit Atestinus causas et Civis - utrumque / noras - sed
neutri pensio tota fuit; cfr. anche VII 92, 5; XII 32, 3; Iuv. 9, 63 sg. Pensio,
che indica un affitto annuale (vd. la n. a 38, 6), ricorre in poesia soltanto in
Marziale e Giovenale (vd. ThlL X 1, 1103, 39-61). L’uso dell’attributo fuscus
per luoghi bui è piuttosto inconsueto e suggerisce forse un parallelo con gli
Inferi, cui è spesso associato (vd. ThlL VI 1654, 42 sgg.; André 1949, p. 125):
cfr., ad es., Prop. IV 11, 5 fuscae deus … aulae. Il sostantivo cella, estraneo
alla poesia elevata nell’accezione di pauperis angustum cubiculum (ThlL III
759, 54 sgg.), è associato all’idea di povertà in Marziale (cfr. VII 20, 21; VIII
14, 15; IX 73, 3 sg.) e Giovenale (7, 27 sg.). Sulla cella pauperis vd. la n. intr.
all’epigr. 48.
4. unde datur quadrans: un quadrante era il prezzo per l’entrata alle
terme: cfr. VIII 42 si te sportula maior ad beatos / non corruperit, ut
solet, licebit / de nostro, Matho, centies laveris; vd. anche Hor. sat. I 3,
Epigramma 30 267

137; Sen. epist. 86, 9; Iuv. 2, 152; 6, 447. Secondo SB2 anche in III 7, 3
quos (sc. centum quadrantes) dividebat balneator elixus Marziale farebbe
riferimento al prezzo di un quadrante per l’entrata alle terme, che esaurirebbe
l’intera sportula (ma l’esegesi non è persuasiva: vd. la n. ad loc.). – unde vir
es Chiones: Chione è una prostituta anche in I 34, 7; 92, 6; III 34, 2; 83, 2;
87, 2; 97, 1; XI 60, 1 sgg. e in Iuv. 3, 135 sg. cum tibi vestiti facies scorti
placet haeres / et dubitas alta Chionen deducere sella, dove l’identità del
tema rende molto probabile una ripresa da questo verso (vd. Colton 1991,
p. 115). Il nome ricorre tre volte nell’index di CIL VI. Sull’uso di nomi
greci per prostitute, frequente a Roma, vd. Griffin 1976, p. 96 sg.; Nisbet-
Hubbard1, ad Hor. carm. I 19, 5, p. 240. Le tariffe partivano da cifre molto
basse, quali presuppone anche questo verso: cfr. I 103, 10 asse cicer tepidum
constat et asse Venus; II 53, 7 si plebeia Venus gemino tibi vincitur (codd.;
iungitur Heinsius) asse; IX 4, 1 sg. aureolis futui cum possit Galla duobus /
et plus quam futui si totidem addideris (una conferma sui prezzi viene dalle
iscrizioni pompeiane: cfr., ad es., CIL IV 1969 add. p. 213; 4024; 4592; 5408);
somme più alte erano senz’altro commisurate al livello della prostituta: cfr.
VII 10, 3 centenis futuit Matho milibus; X 75, 1 milia viginti quondam me
Galla poposcit; sull’argomento vd. Friedlaender ad I 103, 10; K. Schneider,
s.v. meretrix, RE XV 1, 1025-1027. Per l’uso di termini del matrimonio (vir)
per rapporti sessuali cfr. Plaut. cist. 43 sgg. haec quidem ecastor cottidie viro
nubit, nupsitque hodie, / nubet mox noctu. numquam ego hanc viduam
cubare sivi. / nam si haec non nubat, lugubri fame familia pereat; vd.
Adams, LSV, p. 159 sgg. In Marziale vd. la n. a 82, 2 Summemmianas …
uxores. Vir è del resto comune nel lessico elegiaco nell’accezione di ‘amante’
(Pichon, p. 297).
5 sg.: l’antitesi summa ratione-nulla ratione ricorre in Cic. leg. II 16 quid
est enim verius quam neminem esse oportere tam stulte adrogantem …
ut ea, quae vix summa ingenii ratione comprehendantur, nulla ratione
moveri putet?
6. quod vivis, nulla cum ratione facis: si tratta di una movenza colloquiale:
cfr. VII 30, 7 sg. qua ratione facis, cum sis Romana puella, / quod Romana
tibi mentula nulla placet?; Cic. Att. XII 44, 3 quod domi te inclusisti ratione
fecisti; vd. anche Cic. fin. III 16; Att. VII 7, 3; XII 43, 2; Quint. decl. 349, 12;
Plin. epist. VI 2, 4; VIII 4, 1; Hor. sat. I 4, 17. Sull’ampio utilizzo da parte
della lingua d’uso di verbi come ‘fare’, ‘essere’ vd. Hofmann, LU, p. 335
sgg.; Hofmann-Szantyr, pp. 754-756.
268 M. Val. Martialis liber tertius

31

Sunt tibi, confiteor, diffusi iugera campi


urbanique tenent praedia multa lares,
et servit dominae numerosus debitor arcae
sustentatque tuas aurea massa dapes.
Fastidire tamen noli, Rufine, minores: 5
plus habuit Didymos, plus Philomelus habet.

hab. T om. EAXV¹, add. V²in mg. tit. ad rufinum fastidiosum T: ad rufinum divitem
LP ad rufinum diutem Q ad rufinum f in rufinum V² 1 diffusi : difusi TV² 2
urbanique V²: albanique T 3 dominae numerosus V²: domino numerosa T 4 massa
T: mensa V² dapes T² V²: dabes T¹ 5 tamen noli TLPQ²fV²: noli tamen Q¹ 6
didymos L: didymus V² didimus TQ dydimus Pf

Possiedi, lo riconosco, iugeri di campo esteso


e la tua casa in città occupa molti terreni,
numerosi debitori sono schiavi del forziere sovrano
e oro massiccio sostiene le tue vivande.
Non sdegnare tuttavia, o Rufino, i meno ricchi: 5
di più ebbe Didimo, di più ha Filomelo.

L’epigramma prende di mira un ricco patrono che mostra un contegno


sprezzante verso coloro che possiedono di meno: Marziale lo invita a
tenere un atteggiamento più umano ricordandogli che, per quanto si è
ricchi, c’è sempre qualcuno che lo è di più. I primi quattro versi sono
dedicati alla esposizione delle ricchezze di Rufino, poste in risalto
attraverso l’uso delle particelle coordinanti (-que … / et … / -que …),
che conferiscono ai versi un andamento catalogico. Il distico conclusivo
contiene l’ammonimento del poeta (v. 5), giustificato dalla riflessione
finale sulla relatività di ogni ricchezza (6). Il concetto è però qui espresso
da Marziale non, come abitualmente, con una sententia generale (vd. la
n. a 5, 11 sg.), bensì attraverso un concreto esempio contemporaneo, che
doveva risultare più impressivo per i lettori del tempo, che riconoscevano
personaggi e situazioni a loro noti, ma che è certo meno efficace per il
lettore moderno. Il nome Rufinus, molto comune (vd. Kajanto 1965, p.
229), ricorre in Marziale soltanto qui ed è con ogni probabilità fittizio.
Epigramma 31 269

La recriminazione per il comportamento dei patroni costituisce un tema


ampiamente sviluppato in questo libro (vd. l’Introduzione, p. 60 e cfr.
epigr. 36; 37; 46; 60).

1. Sunt tibi: per il modulo incipitario cfr. Verg. Aen. XII 22 sg. sunt tibi
regna patris Dauni, sunt oppida capta / multa manu. Per un analogo
sviluppo del periodo in Marziale cfr. VII 73, 1 sgg. Esquiliis domus est,
domus est tibi colle Dianae, / et tua patricius culmina vicus habet; / hinc
viduae Cybeles, illinc sacraria Vestae, / inde novum, veterem prospicis
inde Iovem, che mette in evidenza le molte case possedute da Massimo.
– confiteor: inciso di natura colloquiale, usato per lo più in poesia a partire da
Ovidio (vd. Hofmann, LU, pp. 251; 376; ThlL IV 227, 32 sgg.); in Marziale
confiteor si trova anche in IV 49, 10 e IX 50, 3, ma in principio di verso,
dopo una pausa forte (11 volte ricorre l’equivalente fateor, per cui vd. la n.
a 12, 1). L’ammissione prelude all’attacco satirico. – diffusi iugera campi: il
segmento di verso presenta affinità metrico-ritmiche con Dirae 77 et late
teneant diffuso gurgite campum (cfr. anche Lucan. III 376 telluris parvum
diffuso vertice campum). La conoscenza dell’opera da parte di Marziale
è provata dall’evidente allusione a Dirae 26 lusibus et nostris multum
cantata libellis in IX 49, 1 haec est illa meis multum cantata libellis. Non
è pertanto da escludere una reminiscenza (per alcuni esempi di ricorsività
della veste sonora di un verso vd. G.B. Conte-A. Barchiesi, Imitazione e
arte allusiva, in SLRA I, p. 100 sgg.). Per diffusus nell’accezione di latus,
amplus, vastus: cfr. epigr. 2, 9 Claudia diffusas ubi porticus explicat umbras;
l’uso, prevalentemente prosastico, ricorre in poesia, oltre che in Marziale,
soltanto in Manilio, Dirae, Lucano, Silio Italico, Stazio (vd. ThlL V 1, 1112,
22-66). Un’analoga espressione ricorre in III 58, 4 lati spatia … campi. Per il
nesso iugera campi cfr. Ov. am. III 15, 12 moenia, quae campi iugera pauca
tenent; Stat. Theb. I 568 centum per iugera campi (in clausola); VI 678 sg.
horrida campi / iugera; Claud. rapt. Pros. II 339 novem … iugera campi.
2. urbanique tenent …: la casa di città di Rufino occupa molti terreni. La
critica moralistica all’eccessiva estensione delle case urbane, pari a quella di
vasti campi, ricorre in Val. Max. IV 4, 7 anguste se habitare nunc putat cuius
domus tantum patet quantum Cincinnati rura patuerunt; Sen. epist. 90,
43 (gli uomini dell’età dell’oro) non habebant domos instar urbium; 114,
9 in ipsas domos inpenditur cura, ut in laxitatem ruris excurrant; Plin.
nat. XXXVI 111 nimirum sic habitabant illi, qui hoc imperium fecere
270 M. Val. Martialis liber tertius

tantum … quorum agri quoque minorem modum optinuere quam sellaria


istorum!; in XII 57, 21 Marziale definisce la dimora di Sparso un autentico
rus in urbe; la condanna concerne anche la sottrazione di terre al lavoro
agricolo, come affermato in modo esplicito in Hor. carm. II 15, 1 sg. iam
pauca aratro iugera regiae / moles relinquent (cfr. anche Sen. exc. contr.
V 5). Un bersaglio privilegiato per le accuse di eccessi edilizi è la Domus
Aurea neroniana: cfr. epigr. 2, 3 sgg. invidiosa feri radiabant atria regis
/ unaque iam tota stabat in urbe domus. / hic ubi conspicui venerabilis
Amphitheatri / erigitur moles, stagna Neronis erant. / hic ubi miramur
velocia munera thermas, / abstulerat miseris tecta superbus ager. / Claudia
diffusas ubi porticus explicat umbras, / ultima pars aulae deficientis erat;
Tac. ann. XV 42, 1 exstruxit … domum, in qua haud proinde gemmae et
aurum miraculo essent … quam arva et stagna et in modum solitudinum
hinc silvae, inde aperta spatia et prospectus; Suet. Nero 31, 1 domum a
Palatio Esquilias usque fecit … tanta laxitas, ut porticus triplices miliarias
haberet; item stagnum maris instar, circumsaeptum aedificiis ad urbium
speciem; rura insuper arvis atque vinetis et pascuis silvisque varia (vd. anche
Plin. nat. XXXIII 54 e il mordace distico tramandato da Suet. Nero 39, 2).
Nel verso di Marziale, secondo alcuni interpreti (Ker; Wiesinger in ThlL X
2, 578, 82 sg.), urbani lares indicherebbe diverse dimore, ma l’arguzia risiede
proprio nel fatto che una sola casa occupi più terreni. L’uso metonimico di
lar per domus è attestato fin dal periodo ciceroniano e frequente in poesia
(vd. la n. a 5, 6). Per il plurale, usato normalmente per indicare una sola
dimora, cfr., ad es., IX 18, 1 sg. est mihi … / rus minimum, parvi sunt et
in urbe lares. La lezione urbanique della seconda famiglia appare dunque
senz’altro preferibile ad Albanique di T, accolta tra gli editori moderni
dal solo Schneidewin1 (urbanique in Schneidewin2). La lezione di T e,
presumibilmente, di , è con ogni probabilità opera di un interpolatore che,
fraintendendo il verso, avrà pensato che praedia facesse riferimento ad una
villa di campagna e modificato urbanique in Albanique (così Schmid 1984,
p. 421 sg.; per Lindsay 1903, p. 30 la variante faceva parte di quelle spiegabili
come «mere scribes’ perversions»). Sui colli Albani si trovava la villa di
Domiziano, che Marziale nomina in V 1, 1; XI 7, 3; XIII 109; vd. F. Coarelli,
Dintorni di Roma, Roma 1981, pp. 72-79. In questo libro un’altra sicura
interpolazione in T è in 91, 12 cervo LPQf¹ : puero Tf²s.l. (vd. la n. ad loc.).
– tenent: il verbo è raro in poesia nell’accezione di ‘occupare’, ‘contenere’
(OLD, s.v. teneo, nr. 4); cfr., ad es., Cic. Arat. 674 (422) in collibus … quos
Epigramma 31 271

tenet … Chius. – praedia: in poesia ricorre soltanto in Plauto, Terenzio,


Orazio sat., Persio, Marziale, Giovenale.
3: il verso descrive la sottomissione di tipo schiavile (servit) dei debitori
nei confronti di Rufino, la cui opulenza è rappresentata dalla domina arca
personificata. Poco persuasiva appare l’ipotesi di Shackleton Bailey 1989, p.
133, che il verso si riferisca alle tabellae debitorum che sarebbero contenute
nell’arca. Anche per II 30, 4 et cuius laxas arca flagellat opes e V 13, 6 et
libertinas arca flagellat opes, in cui Shackleton Bailey 1989, p. 132 sg. ravvisa
un’allusione all’usura, si dovrà pensare piuttosto «alla tortura imposta a
ingenti quantità di denaro e preziosi stipate in uno scrigno sempre inadeguato
a contenerle» (Parroni 1993, p. 58; vd. anche p. 61 n. 9), come si ricava anche
dal confronto con Stat. silv. II 2, 151 sg. sepositas infelix strangulat arca
/ divitias. Inoltre né Mart. VIII 37, 1, né Iuv. 13, 136, citati da Shackleton
Bailey, implicano che le tabellae dei debitori fossero conservate nell’arca.
Qualche ripensamento sull’espressione ha mostrato lo stesso Shackleton
Bailey (SB2, I, p. 223 n. d): «Perhaps with reference to the records kept in it».
L’arca, la cui personificazione ricorre anche in VIII 44, 10 superba densis
arca palleat nummis, è simbolo della ricchezza anche in III 41, 2 ex opibus
tantis, quas gravis arca premit; X 15, 4 non caperet nummos cum gravis
arca tuos. – servit: il verbo suggerisce un’idea di schiavitù; per l’uso in un
contesto analogo cfr. V 13, 7 magna … Niliacae servit tibi gleba Syenes.
– numerosus debitor: l’elevato numero di debitori è elemento rivelatore di
ricchezza anche in IV 37, 1-3; VIII 44, 11. Prestiti e debiti costituiscono
un tema ricorrente negli epigrammi di Marziale: vd. la n. intr. all’epigr. 41
(40). Debitor, termine tratto dal mondo degli affari, è attestato a partire da
Cicerone e raro in poesia: ricorre una sola volta in Orazio sat., Manilio e
Giovenale, quattro in Ovidio, tre in Marziale (in IX 42, 8 in senso traslato).
4. sustentatque: il verbo ben si adatta ad esprimere l’abbondanza delle vi-
vande che gravano sui piatti. L’immagine del vasellame che sorregge copiose
vivande è piuttosto inconsueta; più comune quella che focalizza l’attenzione
sulle dapes piuttosto che sul supporto su cui esse poggiano: cfr. Verg. georg.
IV 133 dapibus mensas onerabat; 378 epulis onerant mensas; Aen. I 706
dapibus mensas onerent; in Marziale cfr. I 55, 11 pinguis inaequales onerat
cui vilica mensas. In AL 444 R. (= 442 SB), epigramma attribuito a Seneca
(= 52 P.) che svolge il motivo della vita beata, in una serie di falsi beni ricorre
regales dapibus gravare mensas (7). Qualche analogia con l’espressione
mostra Hor. sat. I 6, 116 sg. lapis albus / pocula cum cyatho duo sustinet,
272 M. Val. Martialis liber tertius

nel contesto tuttavia opposto della frugale cena del poeta. – aurea massa: la
lezione di T è stata preferita a ragione da tutti gli editori moderni a mensa di
V². Massa indica la materia allo stato grezzo e, metonimicamente, oggetti
fabbricati con essa (vd. ThlL VIII 430, 58 sgg.). Il sostantivo dunque,
mettendo in maggior rilievo la materia rispetto all’oggetto prodotto con
essa, si presta perfettamente ad esprimere l’ostentazione volgare di Rufino.
Per l’uso in un contesto moralistico cfr. Petron. 88, 10 noli ergo mirari, si
pictura defecit, cum omnibus diis hominibusque formosior videatur massa
auri quam quicquam Apelles Phidiasque, Graeculi delirantes, fecerunt.
Nel 16 d.C. il senato aveva proibito l’uso di vasellame d’oro massiccio per
i cibi (cfr. Tac. ann. II 33, 1); il divieto era tuttavia largamente infranto,
come si deduce da numerose testimonianze: cfr. Sen. dial. VII 17, 2; XII
11, 3; epist. 119, 3; Iuv. 5, 39; 10, 27. Altrove Marziale parla di vasellame
placcato d’oro (chrysendetae) come simbolo del lusso dei patroni: I 37, 1;
II 43, 11; 53, 5; III 26, 2; IV 39, 7; VI 94, 1; X 49, 4 sg.; XI 29, 7; XII 49,
4; XIV 97; 109 (cfr. Isid. orig. XX 4, 8 chrysendeta vasa deaurata; Mart.
IV 39, 7 quae Callaico linuntur auro; sulle chrysendetae vd. Leary1 a XIV
97, p. 158; RE III 2494, 63 sgg.; Hilgers 1969, p. 145). Massa pone pertanto
in risalto l’eccessiva esibizione di ricchezze da parte di Rufino. La lezione
mensa di V² ha perciò tutta l’aria di una banalizzazione, favorita sia dalla
vicinanza grafica dei due nomi che dalla presenza nel contesto prossimo di
dapes (cfr. III 58, 42 nec avara servat crastinas dapes mensa). Tra l’altro non
sono attestate mensae aureae, ma quelle di maggior pregio erano di legno
di cedro: cfr. XIV 89 tit. mensa citrea. accipe felices, Atlantica munera,
silvas: / aurea qui dederit dona, minora dabit (con il commento di Leary1);
vd. anche II 43, 9; IX 22, 5; 59, 10; X 80, 2; 98, 6; XII 66, 6; XIV 3. Tale
considerazione è certamente alla base della congettura citrea per aurea di
Heinsius, che leggeva mensa.
5. fastidire … noli … minores: l’invito a tenere un contegno meno
altezzoso verso i meno abbienti (minores) contiene un’implicita richiesta
di non valutare le persone con il solo metro della ricchezza (secondo un
diffuso adagio l’uomo tanto vale quanto possiede: vd. Otto, Sprichwörter,
p. 157; Tosi 1994, nr. 1784). Per l’atteggiamento di rispetto verso gli inferiori
cfr. Sen. nat. IVa praef. 18 adice adversus minores humanitatem, adversus
maiores reverentiam. Il nesso fastidire minores ricorre ancora in Claud.
VIII 303 sg. his tamen effectis neu fastidire minores / neu pete praescriptos
homini transcendere fines. Per una iunctura analoga cfr. Quint. decl. 301,
Epigramma 31 273

17 possis tu fortasse huc usque descendere, ut non fastidias pauperes. La


costruzione di noli con l’infinito, molto comune in prosa e in commedia, è
per lo più evitata in poesia elevata; ricorre due volte in Properzio e otto in
Ovidio (soltanto una nelle Metamorfosi); essa è piuttosto frequente in Fedro
(5 volte) e Marziale (11 volte): vd. Axelson 1945, p. 135. Minor nell’accezione
di ‘inferior in rank or grade, junior, subordinate’ (OLD, s.v. minor, nr. 6 a),
qui con riferimento alla ricchezza (cfr. v. seguente); per l’uso sostantivato del
comparativo cfr. anche Tac. ann. XV 16, 4; Plin. epist. IV 12, 6.
6. plus habuit …: la formulazione del verso implica che i due personaggi,
probabilmente liberti, avessero conseguito grandi ricchezze con mezzi
non commendevoli. L’ipotesi di Friedlaender che fossero entrambi usurai
è senz’altro plausibile, anche se indimostrabile (in ThlL onom. III 149,
42 il Didimo di questo verso viene registrato come fenerator). Senz’altro
da escludere l’ipotesi che si tratti di un eunuco e un citaredo, risalente a
Calderini e accolta ancora da Stephenson, Paley-Stone e Ker: «Didimus
spado et Philomelus citharoedus. Didimus spado fuit qui supposita aliis
uxore ingentes divitias est adeptus. Alibi “si spado didimus et corebus
non essent”. Philomelus citharoedus: nam “amicum” signficat et
“cantum”». Per il primo caso si tratta di un autoschediasmo (in V
41 Didimo è un eunuco, in XII 43 un lenone; in VI 39, 21 cit. da Calderini
si legge, tra l’altro, si spado Coresus Dindymusque non esset); per il secondo
all’origine c’è un’errata etimologia (il nome greco è ). L’anafora
di plus, che apre entrambi gli emistichi, e di habere, con la variazione del
tempo (habuit … habet), ponendo in risalto la relatività della ricchezza,
conferisce all’affermazione un carattere di necessità. Per l’uso di esempi
concreti per illustrare un concetto, tipico dell’argomentazione satirica
oraziana, cfr., ad es., sat. I 1, 101 sg. ‘quid mi igitur suades? ut vivam
Maenius aut sic / ut Nomentanus?’; 105 sgg. est inter Tanain quiddam
socerumque Viselli, / est modus in rebus, sunt certi denique fines / quos
ultra citraque nequit consistere rectum. – Didymos: doveva trattarsi
di un uomo molto ricco, certamente non più in vita al momento della
composizione di questo epigramma (habuit). Il nome ricorre in Marziale
anche in V 41, 8 per un eunuco e in XII 43, 3 per un lenone. Un liberto
con questo nome è menzionato in Tac. ann. VI 24, 1. La forma Didymos,
attestata da L e mantenuta da Lindsay, Duff, Heraeus, Giarratano e Izaac,
mi sembra preferibile a Didymus degli editori precedenti a Lindsay (che
non conoscevano L) e di SB. In Marziale è ben attestata la desinenza –os
274 M. Val. Martialis liber tertius

per i nomi propri maschili greci, che i copisti tendono a normalizzare: cfr.
I 31, 2 Encolpos (-os : -us T ; vd. anche V 48, 2); I 50, 1 Mystillos (-os
LP: -us TQ in ras. ); I 92, 1 Cestos (-os L : -us TPQf); VI 68, 4 Eutychos;
VII 10, 1 Eros (vd. anche X 56, 6; 80, 1. 5); IX 56, 1 Spendophoros (-us
E); sulla grafia dei nomi propri greci in Marziale vd. Renn 1888-89, pp.
21-23; Lindsay 1904, p. 29 sg.; in generale Neue-Wagener I, pp. 191-207,
specialmente 204 sg. per i nomi di persona. Gli esempi citati consentono
di osservare come spesso L conservi la grafia originaria. L’accostamento di
nomi propri con desinenze greca e latina risponde al gusto alessandrino per
la variatio e ricorre spesso nella poesia augustea: cfr. Ov. epist. 13, 53 Ilion
et Tenedos Simoisque et Xanthus et Ide; 18, 127 vel tua me Sestus, vel te
mea sumat Abydos (corregge Sestos Kenney 1996); met. I 579 sg. populifer
Sperchios et inrequietus Enipeus / Apidanusque senex lenisque Amphrysos
et Aeas; III 210 Pamphagos et Dorceus et Oribasos, Arcades omnes; in
Marziale cfr. VI 77, 1 sg. cum sis tam pauper quam nec miserabilis Iros, /
tam iuvenis quam nec Parthenopaeus erat, dove hanno Irus, ma heros
di T rende assai probabile Iros di Heinsius, accolto da tutti gli editori con
l’eccezione di SB, che rimanda a XII 32, 9 Irus tuorum temporum (Irus
, manca la prima famiglia), dove però l’uso antonomastico del nome
non avrebbe giustificato la desinenza greca (Irus ricorre in Ov. epist. 1,
95; trist. III 7, 42; ma Iron in rem. 747, senza necessità metrica); VII 10,
1 pedicatur Eros, fellat Linus (vd. anche la n. a 32, 3 possum Hecubam,
possum Nioben). – Philomelus: si tratta dello stesso personaggio nominato
in IV 5, 9 sg. unde miser vives? ‘homo certus, fidus amicus’ / hoc nihil est:
numquam sic Philomelus eris, che corrobora l’ipotesi di ingenti ricchezze
ottenute con mezzi non onesti. Potrebbe trattarsi dello stesso Filomelo
nominato in III 93, 22 come uomo molto vecchio (vd. la n. ad loc.).
Epigramma 32 275

32

An possim vetulam quaeris, Matrinia? Possum


et vetulam, sed tu mortua, non vetula es.
Possum Hecubam, possum Nioben, Matrinia, sed si
nondum erit illa canis, nondum erit illa lapis.

vv. 1-2 hab. R tit. ad matriniam f²X: ad matrinia EAV ad matroniam R ad matriam
LPQf¹ 1 an possim vetulam quaeris, M.? distinxi: an possim vetulam quaeris, M. ed. Ferr.
Heraldus non possum vetulam. quereris, M.? v2 ed. Rom. 1 ed. Ven. ed. Rom. 2 Friedrich
num possim vetulam, quaeris M. Scriverius an possum R non possum quaeris R:
quaereris EAF quereris PQfXV quaerere L¹ te quaerere L² matrinia f² : matronia R
matria LPf¹ sed matria Q 2 sed tu R EAXV²s.l.: non tu V¹ mortua RLPf : matria
Q non vetula es R X: non tula es EA²V mortua es A¹ 3 hecubam L²Pf : heccubam Q
hubam L¹ nioben Qf: niobē L¹ niobā L² niobam P matrinia f²AXV²: matria LPf¹EV¹
o matria Q 4 erit (pr.) LPQf¹EAX: erat f²s.l.V erit (alt.) LPQf¹A: erat f²s.l.EXV

Mi domandi se posso farmi una vecchia, Matrinia? Posso


farmi anche una vecchia, ma tu sei morta, non vecchia.
Posso farmi Ecuba, farmi Niobe, Matrinia, ma se
l’una non sarà ancora una cagna, l’altra non sarà ancora di pietra.

Alla richiesta di prestazioni sessuali da parte della vecchia Matrinia,


Marziale risponde di essere disponibile a rapporti con donne vecchie, ma
nega che Matrinia possa essere considerata tale (2 sed tu mortua, non
vetula es). Il distico finale, reso più sapido dal comico riferimento alle
figure mitologiche di Ecuba e Niobe, che furono notoriamente soggette a
metamorfosi, rispettivamente in cane e in pietra, non fa altro che ribadire
l’affermazione del v. 2: Matrinia non può più essere considerata una
donna. L’aggressione contro vecchie donne, la cui brama sessuale stride
con i segni dell’età, è tra i temi satirici più diffusi fin dai giambi archilochei
(fr. 196a, 26-31; 188; 205 W.), presente anche in commedia (vd. H.G.
Oeri, Der Typ der komischen Alten in der griechischen Komödie, seine
Nachwirkungen und seine Herkunft, Diss. Basel 1948, pp. 19-21); nella
letteratura latina gli esempi più rilevanti sono gli Epodi 8 e 12 di Orazio,
che costituiscono senz’altro un modello importante per Marziale (sulla
tradizione del motivo vd. Brecht 1930, p. 62 sg.; Grassmann 1966, pp.
276 M. Val. Martialis liber tertius

1-46; Richlin 1992, pp. 105-143). Nel corpus marzialiano il tema ricorre
frequentemente: particolare rilievo merita, per la sua notevole estensione,
l’epigr. 93 di questo libro; cfr. anche VII 75; IX 37; X 67; 90; XI 29; 62;
97. L’impossibilità di avere rapporti con una donna troppo anziana, se non
dietro pagamento, è alla base di VII 75; XI 29. Un comico capovolgimento
del motivo si trova nell’epigr. 76 di questo libro (Basso si eccita soltanto
con le vecchie). Il nome Matrinia, senz’altro fittizio, ricorre in Marziale
solo in questo epigramma (per la variante Matronia di R vd. la n. al v. 1).

1: la soluzione migliore per questo verso molto tormentato è quella


dell’editio Ferrariensis del 1471, sostenuta quindi da Heraldus, che segue
il testo della prima famiglia (an … quaeris R), con la lieve correzione
di possim per possum. Rispetto però all’interpunzione prescelta da molti
editori moderni (Schneidewin, Gilbert, Friedlaender, Giarratano, Izaac)
è preferibile, a mio avviso, porre il punto interrogativo dopo Matrinia.
L’interrogativa introdotta da quaeris (o requiris), spesso collocata in
apertura di epigramma, cui conferisce un andamento dialogico, costituisce
una delle movenze più frequenti in Marziale: vd. Siedschlag 1977, p. 23 sg.;
cfr., ad es., I 57; II 38; 78; III 98; V 56; VI 67; VII 34; VIII 12; X 22; 102;
XI 19; 60; XII 17; 20; 57. Sulla corruzione di possim in possum, peraltro
facilissima, potrebbe avere influito anche il possum collocato in fine di
verso (nonché ripetuto due volte nel v. 3). Il passaggio dal congiuntivo
all’indicativo è del resto un tipo di corruttela tra le più comuni: cfr., ad es.,
I 59, 4 tam male cum cenem, cur bene, Flacce, laver? (laver : lavor );
II 7, 7 nil bene cum facias, facias tamen omnia belle (facias t. Frisingensia
excerpta: facis t. ); III 60, 1 cum vocer ad cenam non iam venalis ut ante
(vocer T: vocor ); 93, 15 admittat inter bustuarias moechas (admittat
: admittit ). La corruzione di an in non può essere stata causata dal-
la mancata scrittura della A iniziale da rubricare e dalla conseguente
interpretazione della n come abbreviazione di non. Possono costituire un
piccolo indizio a favore di quaeris le forme quaereris di EA, i testimoni
più fedeli nel riprodurre l’archetipo della terza famiglia, e quaerere di L, il
manoscritto di maggior valore della seconda famiglia. Ha però goduto di
una certa fortuna la difesa del testo tràdito sostanzialmente da due famiglie
(non possum … quereris) fatta da Friedrich 1908, p. 621 sg., che proponeva
di leggere: non possum vetulam. quereris, Matrinia? A sostegno della
propria ipotesi lo studioso citava due casi identici di aplografia in T: II 85,
Epigramma 32 277

4 quereris: queris T; XI 39, 9 quereris: queris T. La soluzione di Friedrich


è per la verità il recupero di un’interpunzione ampiamente diffusa in età
umanistica: essa è infatti presente in v2, nelle prime edizioni a stampa
(ed. Rom. 1 ed. Ven. ed. Rom. 2) ed è stata sostenuta susccessivamente
da Ramirez de Prado. Tra gli editori moderni è stata accolta da Heraeus
(ma Borovskij, revisore dell’edizione di Heraeus, si mostra favorevole ad
An possim … quaeris), con l’approvazione di Housman 1925, p. 201 (=
Class. Pap., p. 1101 sg.) ed è ora riproposta da SB (vd. anche Walter, p. 222
sg.). Essa offre l’indubbio vantaggio di mantenere il testo tràdito da due
famiglie. Si tratterebbe tuttavia di una movenza iniziale piuttosto brusca,
priva di riscontri nel corpus marzialiano (né è calzante l’esempio di VI 9
citato da Friedrich: in Pompeiano dormis, Laevine, theatro: / et quereris
si te suscitat Oceanus?). Non ha invece probabilità di cogliere nel segno
la correzione num possim vetulam, quaeris di Scriverius: num ricorre in
Marziale soltanto in IV 27, 2 e VIII 37, 2 in interrogative dirette. È invece
un errore tramandato di editore in editore l’attribuzione del testo num
possum vetulam quaeris all’ed. Rom. 2 (vd. p. 99). Inaccettabile in questo
caso il testo di Lindsay: ‘Non possum vetulam?’ quaeris Matrinia (vd. la
traduzione che ne offre Bonvicini 1995, p. 120: «“Non posso farlo con
una vecchia?” mi chiedi, o Matrinia»), come anche quello di Duff e Ker
(‘An possim vetulam’ quaeris, Matronia; vd. la traduzione di Ker: «“Can
I love an old woman?” you ask me, Matronia»). – possim: sc. futuere;
l’ellissi di un termine tratto dalla sfera sessuale è un tipo di eufemismo
comune (sull’argomento vd. Adams 1981, pp. 120-128); l’uso ellittico di
possum, con oggetto o assoluto, apparteneva alla lingua parlata: cfr. Hor.
epod. 12, 15 Inachiam ter nocte potes; CIL IV 1837 si potes et non vis;
Mul. Chir. 744 hic equus usque in annos XV idoneus in admissuram
erit, potest et usque in XX; Marc. Emp. 33, 49 qui potuit et non potest,
ut reparetur in venerem, radices cucumeris agrestis … decoquat et …
unguat sibi in balineo interius et exterius omne veretrum; Ps.-Theod.
Prisc. Add. p. 303, 20 ad eum qui cum muliere non potest; Maxim. eleg.
II 57 si modo non possum, quondam potuisse memento; esso ricorre in
Marziale ancora in III 76, 4; XI 97, 1 sg. bis (assoluto in XI 97, 1); vd.
Adams 1981, p. 122; ThlL X 2, 139, 81 sgg.; 148, 51 sgg. Un equivalente
uso di è attestato in due epigrammi di Stratone (AP XII 11,
1; 213, 2). Non vedrei invece ambiguità in Mart. XI 6, 12 sg. possum nil
ego sobrius; bibenti / succurrent mihi quindecim poetae, dove si tratta
278 M. Val. Martialis liber tertius

del topos dell’impossibilità per il poeta di scrivere da sobrio (contra vd.


Kay, ad loc.); poco persuasiva anche l’ipotesi di H. Köstlin («Philologus»
36, 1877, p. 277) di intendere nell’accezione sessuale possum in XI 101,
2 tu puto quod non est, Flacce, videre potes, interpungendo dopo videre
(le offre credito invece Kay, ad loc.). – vetulam: diminutivo banalizzato,
diffuso nella Umgangssprache, come attesta l’esito italiano vecchio (da
vetulus>*veclus). L’attributo sostantivato è piuttosto comune in Marziale
e indica, con valore spesso peggiorativo, la donna vecchia con particolare
riguardo per l’aspetto erotico-sessuale (cfr., ad es., III 76, 1; IV 5, 6). Su
vetulus / vetula vd. W. Goldberger, Kraftausdrücke im Vulgärlatein,
«Glotta» 20, 1932, p. 131 sg.; Hanssen 1951, passim. – Matrinia: alla forma
attestata da f² sembra ricondurre anche l’ametrico matria della seconda
famiglia (LPf¹; sed matria di Q è un tentativo di rabberciamento), derivato
probabilmente da matr ia (come sembra confermare anche la corruttela
matria in EV al v. 3); R attesta invece la forma Matronia (nel titulus
e nel v. 1, perché nel codice mancano i vv. 3-4). Nessuno dei due nomi
presenta altre occorrenze in Marziale. Matrinia, accolto da Schneidewin,
Lindsay, Izaac, SB, è, a mio avviso, preferibile: si tratta di un cognomen
ben attestato in età classica (vd. RE XIV 2286, 27 sgg.), mentre l’altro
ricorre solo in Iust. Cod. VI 23, 12 del 293 d.C. (vd. Kajanto 1965, p.
305). Matronia, accolto da Gilbert, Friedlaender, Duff, Ker, è senz’altro
più facilmente spiegabile come corruttela di Matrinia rispetto all’inverso
per la sua vicinanza al sostantivo matrona. Non si può escludere inoltre
che Matronia abbia soppiantato Matrinia, poiché quest’ultimo poteva
suonare alle orecchie di un copista tardoantico o medievale come nome
comune: matrinia (= noverca) è infatti attestato già nel latino tardo (cfr.
CGL IV 262, 46 nuberca matrea id est matrinia; vd. ThlL VIII, 475, 55
sgg.) e quindi in quello medievale (cfr. l’esito italiano matrigna). Non è in
ogni caso persuasiva l’ipotesi, avanzata da Gilbert 1883, p. 16, che si tratti
di nome parlante («quod nomen certe aptissimum est»), poiché Matronia
potrebbe richiamare i valori della morale tradizionale, piuttosto che l’idea
di vecchiaia; come nomi di vetulae si vedano i ben più calzanti Vetustina
(II 28, 4) e Vetustilla (III 93, 1).
2. sed tu mortua: l’assimilazione ad un cadavere è un tratto consueto
dell’invettiva contro le vecchie: cfr. III 93, 19 virum … demens cineribus
tuis quaeris; 93, 23 quod si cadaver exigis tuum scalpi; X 90, 4 nam tu iam
nec anus potes videri.
Epigramma 32 279

3: la menzione di grandi figure del mito nel contesto umile degli epigrammi
produce effetti di notevole comicità; Marziale vi fa ricorso frequentemente:
cfr. I 62, 6 (una casta matrona in villeggiatura a Baia) Penelope venit, abit
Helene (vd. Citroni, ad loc.); III 76, 4 (a Basso che si eccita solo con donne
vecchie) cum possis Hecaben, non potes Andromachen!; in relazione alla
vecchiaia cfr. X 67; Priap. 57. Alcuni epigrammi di Lucillio (AP XI 69; 278;
408) costituiscono certo un precedente, ma avrà probabilmente influito su
Marziale anche la demitizzazione degli eroi omerici operata da Ovidio (cfr.,
ad es., ars II 709 sgg.). – Hecubam: la figura di Ecuba, sbiadita nell’Iliade,
era stata ingigantita dai tragici e presto presa come bersaglio dai comici
(vd. Sittig, RE VII 2652-2662; Roscher I 2, 1878, 26-1883, 61). Il nome è
usato da Marziale in modo antonomastico per indicare una donna vecchia
in III 76, 4 cit. supra. L’uso ricorre nell’epigramma greco in Mirino (poeta
della Corona di Filippo) che definisce la vecchia Laide (AP
XI 67, 2) e Lucillio (AP XI 408, 6); nella letteratura latina non vi sono
altri esempi. Per Ecuba come exemplum di vecchiaia cfr. Mart. X 90, 5 sg.
istud … belle / non mater facit Hectoris, sed uxor; Priap. 12, 1 quaedam
haud iunior Hectoris parente; vd. anche AP V 103, 4. In questo caso
non c’è antonomasia, ma Marziale afferma scherzosamente di ‘potersi
fare’ la vera Ecuba, purché ancora non trasformata in cagna. – Nioben:
citata in relazione alla sua vecchiaia dal solo Marziale anche in X 67, 2 (la
vecchissima Pluzia) quam vidit Niobe puella canam. La vecchiaia di Niobe
non è evidenziata dalla tradizione e Marziale l’avrà probabilmente dedotta
dall’elevato numero dei suoi figli (14 secondo la tradizione più diffusa),
che la avvicina ad Ecuba (cui la unisce anche la metamorfosi che Marziale
sfrutta per la pointe). Su Niobe vd. il commento di Bömer2 a Ov. met. VI
146 sgg.; Roscher III 1, 372, 1- 423,55; Lesky, RE XVII 645, 9-706, 7. Il
nome è sempre usato dai poeti latini e da Marziale secondo la declinazione
greca (come gli altri nomi greci in –e: vd. Renn 1888-89, pp. 16-17): cfr.
V 53, 2 Nioben; X 67, 2 Niobe; Prop. II 20, 7; Ov. am. III 12, 31; met.
VI 148; 156; 165; 273; 287; Pont. I 2, 31; trist. V 1, 57; 12, 8; Stat. Theb.
VI 124; IX 682; Iuv. 6, 177; Nioba ricorre in poesia soltanto in Prop. III
10, 8 et Niobae lacrimas supprimat ipse lapis. Appare dunque nettamente
preferibile la lezione della seconda famiglia (L¹Qf), mentre Niobam ha
tutta l’aria di una normalizzazione (hanno scelto Nioben Friedlaender,
Duff, Ker, Heraeus; Niobam Schneidewin, Gilbert, Lindsay, Izaac, SB, che
considera anche in apparato la possibilità di leggere Hecaben … Nioben,
280 M. Val. Martialis liber tertius

come fa Friedlaender). Non costituisce un elemento determinante a


favore di Niobam l’effetto di rima tra i due cola (possum Hecubam possum
Niobam), che Marziale ricerca in altri casi, soprattutto però tra i due
emistichi del pentametro finale (vd. la n. a 76, 4). Inoltre se Niobam fosse
corretto, bisognerebbe pensare a Nioben come ad una ‘restaurazione’ dotta,
il che appare poco plausibile. Per l’accostamento di termini con desinenza
greca e latina, che risponde al gusto per la variatio, cfr., ad es., Verg. Aen.
VI 445 his Phaedram Procrimque locis maestamque Eriphylen; Hor. ars
145 Antiphaten, Scyllamque et cum Cyclope Charybdin; Ov. epist. 16,
259 et comitum primas, Clymenen Aethramque, tuarum; 17, 267 cetera
per socias Clymenen Aethramque loquamur (poco persuasiva pertanto la
correzione Aethranque in entrambi i passi di Kenney 1996); met. VI 108
sg. fecit et Asterien aquila luctante teneri, / fecit olorinis Ledam recubare
sub alis. Per altri casi in poesia augustea e in Marziale vd. la n. a 31, 6.
3 sg.: i due miti, con le relative metamorfosi finali, sono ben noti al
mondo romano soprattutto per l’estesa narrazione dedicata loro da Ovidio
nelle Metamorfosi (XIII 422-577 Ecuba; VI 146-312 Niobe). Il mito di
Niobe era tra i temi poetici più triti, come testimoniano Marziale stesso in
V 53, 1 sg. Colchida quid scribis, quid scribis, amice, Thyesten? / quo tibi
vel Nioben, Basse, vel Andromachen?; Nemes. cyneg. 15 sg. nam quis non
Nioben numeroso funere maestam / iam cecinit? Le due metamorfosi
sono associate nell’interpretazione razionalistica esposta da Cic. Tusc. III
63 Nioba fingitur lapidea propter aeternum, credo, in luctu silentium,
Hecubam autem putant propter animi acerbitatem quandam et rabiem
fingi in canem esse conversam; cfr. anche Claud. 20, 402 sgg. fit plausus
et ingens / consilii clamor, qualis resonantibus olim / exoritur caveis,
quotiens crinitus ephebus / aut rigidam Nioben aut flentem Troada
fingit. Il v. 4 presenta una ricercata corrispondenza tra i due emistichi,
con un effetto di rima interna (canis … lapis); cfr., sempre in chiusura
di epigramma, I 57, 4 nec volo quod cruciat nec volo quod satiat (con il
commento di Citroni); XI 49, 12 nil tibi, Phylli, nego; nil mihi, Phylli,
nega (vd. Siedschlag 1977, p. 111 sgg.).
Epigramma 33 281

33

Ingenuam malo, sed si tamen illa negetur,


libertina mihi proxima condicio est;
extremo est ancilla loco, sed vincet utramque,
si facie nobis haec erit ingenua.

hab. R tit. de ingenua et libertina et ancilla EXV: de ingenua et libertina et acilla A de


ingenua et libertate et ancilla R de ingenua et libera et ancilla LPf de ingenua libera et
ancilla Q 1 malo R XV: mallo EA illa R EAXV²s.l.: ipsa V¹ 3 extremo R EAXV²:
extrema V¹ vincet PQf : vincit R nunc et L utramque RLPQf¹ : utrumque f²s.l. 4
post facie dist. SB

Preferisco una donna libera, ma se quella mi è negata,


una liberta è per me la partner seguente;
all’ultimo posto c’è la schiava, ma le vincerà entrambe
se sarà per me graziosa di viso.

Marziale fa una graduatoria delle sue preferenze in campo femminile,


procedendo secondo la gerarchia sociale: al primo posto c’è l’ingenua,
segue la libertina, ultima è l’ancilla. Questa però prevarrà sulle altre, se
avrà un bel viso (4 facie … ingenua). La pointe dell’epigramma è basata
sullo slittamento semantico di ingenuus, che significativamente apre e
chiude il componimento: dal significato giuridico di ‘libero per nascita’ (1)
l’attributo passa a quello traslato di ‘grazioso’ (sulla figura dell’antanàclasi,
ampiamente usata da Marziale, vd. la n. intr. all’epigr. 13). Tale variazione
comporta anche un sovvertimento della gerarchia: la schiava prevale sulla
libera, il criterio estetico su quello sociale. La struttura dell’epigramma
rispetta la gerarchia sociale sui cui esso apparentemente poggia: ad ognuna
delle classi, disposte in ordine discendente, è dedicato un verso (1 ingenua;
2 libertina; 3 ancilla). L’ultimo verso, introdotto dall’avversativa del v. 3
(sed vincet utramque), realizza il sovvertimento dell’ordine, collocando
l’ancilla al di sopra delle altre. Numerosi epigrammi di Marziale sono
dedicati alle preferenze del poeta in campo erotico, sia femminile che
maschile (I 57; II 36; IV 42; IX 32; XI 60; 100; sul motivo vd. Citroni,
p. 191 sg.; Siedschlag 1977, pp. 59-62; in generale vd. J.P. Sullivan,
Martial’s Sexual Attitudes, «Philologus» 129, 1979, pp. 288-302; Sullivan
282 M. Val. Martialis liber tertius

1991, pp. 185-210; A. La Penna, I cento volti dell’eros di Marziale, in


Eros dai cento volti. Modelli etici ed estetici nell’età dei Flavi, Venezia
2000, pp. 67-135). Si tratta di un tema topico dell’epigramma greco: cfr.
V 20 (Onesto); V 37; 42 (Rufino); XII 173 (Filodemo); 200 (Stratone). Il
motivo della preferenza per le schiave, dotate di una bellezza naturale, più
accessibili e meno avide, è sviluppato da Rufino (AP V 18); cfr. anche AP
V 132 (Filodemo). Il punto di vista espresso in conclusione da Marziale,
per cui una schiava dall’aspetto grazioso è preferibile ad una donna
libera, presuppone certamente le riflessioni di Orazio in sat. I 2, dove,
descrivendo i pericoli cui vanno incontro gli adulteri (vv. 37-46), il poeta
raccomanda relazioni più sicure con donne di ceto inferiore (47 sg. tutior
at quanto merx est in classe secunda, / libertinarum dico; vd. anche 78 sg.
desine matronas sectarier, unde laboris / plus haurire mali est quam ex re
decerpere fructus). Non sembra estraneo al discorso di Marziale neanche
il principio oraziano di concessa … venere uti (sat. I 4, 113; vd. anche sat.
I 2, 119 parabilem amo venerem facilemque e Mart. II 53, 7 si plebeia
Venus gemino tibi vincitur asse, sc. liber eris). Rapporti con schiave erano
accettati nel mondo romano e sono attestati anche per persone eminenti
(vd. W.L. Westermann, The Slave Systems of Greek and Roman Antiquity,
Philadelphia 1955, p. 74): cfr., ad es., Hor. carm. II 4 (con il commento
di Nisbet-Hubbard2), in cui è presente un invito al focese Xantia a non
vergognarsi di amare un’ancilla, seguito da exempla mitici di amori servili
(Achille, Aiace, Agamennone); Ov. am. II 8, dove il poeta si giustifica
della relazione con la schiava Cypassis, adducendo come precedenti mitici
ancora Achille ed Agamennone (11 sg.). In Marziale relazioni con serve
sono utilizzate con fini comici in I 84, in cui Quirinale, che genera figli con
le sue schiave, si dimostra un vero pater familiae! (vd. Citroni, p. 262 sg.);
XII 58: Alauda è accusato di essere ancillariolus dalla moglie, che però è
lecticariola!

1. Ingenuam: ingenuus è termine appartenente al lessico giuridico e indica


coloro che sono liberi per nascita, differenziandosi dai liberti: cfr. Gai. inst. I
10-12 liberorum hominum alii ingenui sunt, alii libertini. ingenui sunt qui
liberi nati sunt; libertini qui ex iusta servitute manumissi sunt; vd. anche
ThlL VII 1, 1544, 1 sgg.; Stein, s.v. ingenuus, RE IX 1544 sgg.; U. Agnati,
Ingenuitas. Orazio, Petronio, Marziale e Gaio, Chieti 2000, con ampia
discussione su questo epigramma alle pp. 147-169. In Marziale l’attributo
Epigramma 33 283

ricorre sette volte. Nella gerarchia sociale l’ingenua occupa naturalmente


il primo posto e l’attributo è significativamente collocato da Marziale in
apertura di epigramma.
2. libertina: il termine libertinus, che indica originariamente il figlio di un
liberto, è usato solitamente in relazione allo status sociale, mentre libertus
con riferimento al patrono (vd. ThlL VII 2, 1319, 62 sgg.): cfr., ad es., Hor.
epod. 14, 15 me libertina … Phryne macerat; sat. I 2, 48 cit. nella n. intr.
Libertinus ricorre ancora in Marziale soltanto in V 13, 6 et libertinas arca
flagellat opes, in funzione aggettivale; libertus / a in 10 casi. Qui l’uso
sostantivato è confermato dal parallelo con gli altri versi (1 ingenuam;
3 ancilla). – condicio: termine raro in poesia, indica qui una relazione
extramatrimoniale come in Cic. Cael. 36; Suet. Aug. 69, 1; Hist. Aug. Aur.
19, 7; Heliog. 8, 6 (vd. ThlL IV 129, 71 sgg.); per l’uso metonimico cfr.
Suet. Iul. 27, 1 Octaviam … condicionem ei detulit. Il termine ricorre in
Marziale ancora in V 17, 2 dum tibi noster eques sordida condicio, riferito al
matrimonio (equivale all’italiano ‘partito’: cfr. Quint. decl. 257, 12 coepi bona
esse condicio); in IX 67, 8 e XI 52, 2 in accezione diversa. Meno probabile
che condicio possa qui significare ‘condizione sociale’, con libertina in
funzione attributiva (cfr. Porph. Hor. sat. I 2, 47 ait multo quidem tutius
esse libertinae condicionis mulieres sectari; Mod. dig. I 5, 21; vd. ThlL IV
132, 65 sgg.), come sembra intendere Ker («a freedwoman’s quality is next
in worth to me»). L’espressione mihi proxima condicio lascia pensare ad
una preferenza personale piuttosto che ad una gerarchia sociale oggettiva.
– proxima: ‘next (in worth, rank), second best’ (OLD, s.v. proximus, nr. 11
b); cfr. VII 45, 1 sg. facundi Senecae potens amicus, / caro proximus aut
prior Sereno; 97, 7 sg. nam me diligit ille proximumque / Turni nobilibus
legit libellis; XI 52 17 sg. ipse tuos nobis relegas licet usque Gigantas / rura
vel aeterno proxima Vergilio.
3. extremo est ancilla loco: l’ancella occupa l’ultimo posto. Per locus inteso
come ‘posto’ (in una graduatoria) vd. ThlL VII 2, 1591, 3 sgg. Il nesso
extremo … loco ricorre in Ov. fast. V 22 et Themis extremo saepe recepta
loco est; cfr. anche Sen. Oed. 834. Ancilla è termine prosaico, che ricorre
otto volte in Marziale (vd. Axelson 1945, p. 58); cfr. anche ancillariolus (XII
58, 1).
3 sg. sed vincet utramque …: la schiava sarà preferibile all’ingenua ed alla
libertina se il suo aspetto sarà grazioso. Ingenuus trapassa dal significato
di ‘libero per nascita’ a quello derivato di ‘degno di chi è libero’, quindi
284 M. Val. Martialis liber tertius

‘raffinato’, ‘bello’. L’epigramma si apre e si chiude con lo stesso termine,


il cui spostamento semantico, dall’accezione giuridica a quella estetica,
costituisce l’arguzia del componimento (vd., da ultimo, Parroni 1996). Il
pronome personale (nobis) segnala il passaggio dall’oggettività delle di-
stinzioni sociali dei primi tre versi alla soggettività del giudizio finale. Per
l’accezione estetica di ingenuus cfr. Iuv. 11, 154 sg. ingenui vultus puer
ingenuique pudoris, / quales esse decet quos ardens purpura vestit. Non è
agevole stabilire se ingenua sia ablativo o nominativo: a favore dell’ablativo
depongono le analoghe iuncturae in Petron. 107, 6 vultos ingenuos; Iuv.
11, 154 cit. supra; Maxim. eleg. I 94 vultibus ingenuis; per il nominativo
(con facie ablativo di rispetto) il parallelo con i versi precedenti, in cui gli
attributi sottintendono mulier. L’interpunzione di SB (sed vincet utramque
/ si facie, nobis haec erit ingenua), già avanzata in Shackleton Bailey 1989,
p. 134, offre un senso accettabile: se la schiava è più bella delle altre due,
è lei la vera ingenua (per il nesso vincere facie, nel senso di ‘superare in
bellezza’, cfr. XII 64, 1 sg. vincentem roseos facieque comaque ministros /
Cinna cocum fecit). Tuttavia l’ordo verborum risultante appare piuttosto
innaturale, sia per l’inconsueto enjambement che per la forte traiectio della
particella condizionale (vd. Parroni 1996, p. 72 sg.). Scarsamente persuasiva
infine appare la proposta di M. Martina (Marziale 3, 33, 4, «MD» 30, 1993,
pp. 165-66, ora anche in M. Martina, Scritti di filologia classica e storia
antica, a c. di G. Bandelli, M. Fernandelli et al., Trieste 2004, pp. 279-280)
di leggere sed vincet utramque / si faciet: nobis haec erit ingenua, con facio
nell’accezione erotica (per cui cfr. gli esempi citati da Citroni, p. 151, cui
bisogna però togliere IX 15, 2, dove sono assenti sfumature sessuali). Come
giustamente afferma Parroni 1996, p. 73: «Vincere facie è iunctura, quindi
anche se i due termini non sono legati grammaticalmente fra loro […], lo
sono però concettualmente: il vincere non può che essere in relazione con la
facies» (per la facies come origine della passione amorosa cfr., ad es., Ov. am.
II 8, 11 Thessalus ancillae facie Briseidos arsit). Anche dal punto di vista del
senso faciet appare piuttosto scialbo: non può essere la disponibilità sessuale,
peraltro già implicita nel termine condicio, il criterio della preferenza (sulla
facilità di trovare partner sessuali a Roma cfr., ad es., IV 71, 1 sg. quaero diu
totam … per urbem / si qua puella neget: nulla puella negat).
Epigramma 34 285

34

Digna tuo cur sis indignaque nomine dicam.


Frigida es et nigra es: non es et es Chione.

hab. T tit. ad chionem PQfA: ad chionē L ad chionen EX ad glone T de mechanico V


(ad 35 pertinens) 2 frigida es T : frigida est non es T : om. et (alt.) : om. T
chione TLP²Qf : eschione P¹

Ti dirò perché sei degna e indegna del tuo nome.


Sei frigida e sei nera: non sei e sei Chione.

L’epigramma prende di mira la prostituta Chione, il cui nome (gr. ,


da ’neve’) è pretesto per un doppio strale: è frigida ed è nera. Anche
in XI 60 Chione è nome parlante per una frigida (7 sg. at Chione non
sentit opus nec vocibus ullis / adiuvat, absentem marmoreamve putes),
cui Marziale contrappone la focosa Phlogis (anch’esso nome parlante: vd.
il commento di Kay, ad loc.). Lo stesso gioco etimologico sembrerebbe
essere presente nel carme 84 di Catullo, in cui Arrio, che affettatamente
pronuncia tutti i nomi aspirati, trasforma al suo passaggio i fluctus Ionios
in Hionios (= ); per questa interpretazione della pointe vedi E.
Harrison, «CR» 29, 1915, p. 198 sg.; B. Einarson, «CPh» 61, 1966, p. 187
sg.; contra Fordyce, ad loc. Chione, nominata in questo libro anche in 30,
4; 83, 2; 87; 97, è una prostituta (vd. anche I 34, 7; 92, 6; XI 60; Iuv. 3,
136). Il nome ricorre nelle iscrizioni (CIL V 3140; VI 7308; 19123; 26945;
34009; X 527; XV 341). Sui nomi greci per prostitute vd. Griffin 1976, p.
96 sg.; Nisbet-Hubbard1, ad Hor. carm. I 19, 5 Glycerae, p. 240. Sul gusto
di Marziale per i giochi etimologici sui nomi propri vd. Grewing 1998, p.
340 sgg.; in questo libro cfr. anche 67, 10 Argonautas; 78, 2 Palinurus.

1. Digna … nomine: la stessa espressione in relazione ad un gioco


etimologico sul nome ricorre in IX 49, 6 dumque erat auctoris nomine
digna sui (la toga, dono di Partenio; vd. Henriksén, ad loc.); cfr. anche IX
72, 5 sg. atqui digna tuo si nomine munera ferres, / scis, puto, debuerint
quae mihi dona dari (ad un Liber che gli manda una cesta piena di cibi,
ma senza vino).
286 M. Val. Martialis liber tertius

2: il verso è impreziosito da un chiasmo concettuale. Un gioco analogo


sul candore e sul freddo della neve ricorre in IV 34 sordida cum tibi sit,
verum tamen, Attale, dicit, / quisquis te niveam dicit habere togam; cfr.
anche IX 49, 7 sg. nunc anus (sc. toga) et tremulo vix accipienda tribuli,
/ quam possis niveam dicere iure tuo. – frigida: nell’accezione erotica
(vd. ThlL VI 1329, 73 sgg.; Pichon, p. 156): cfr., ad es., Ov. am. II 1, 5 me
legat in sponsi facie non frigida virgo; rem. 493 sg. quamvis infelix media
torreberis Aetna / frigidior glacie fac videare tuae. – nigra: come noto,
la carnagione scura era, in quanto largamente prevalente, poco apprezzata
nel mondo mediterraneo: cfr. Verg. ecl. 2, 15-18; Ov. ars II 643 sg.; am.
II 4, 40; rem. 327; epist. 15, 35 sg. (vd. Nisbet-Hubbard2, p. 70; André
1949, p. 55). Di contro il candore della pelle era elemento essenziale nel
canone della bellezza (cfr., ad es., Verg. ecl. 7, 38; Ov. met. XIII 789 con
il commento di Bömer2; vd. André 1949, p. 31 sgg.). In Marziale la satira
contro donne di carnagione scura ricorre in IV 62 Tibur in Herculeum
migravit nigra Lycoris, / omnia dum fieri candida credit ibi; VII 13 dum
Tiburtinis albescere solibus audit / antiqui dentis fusca Lycoris ebur, /
venit in Herculeos colles. quid Tiburis alti / aura valet! parvo tempore
nigra redit. – non es et es: la caduta di non es nei codici della famiglia si
configura come un saut du même au même, senz’altro favorito anche dalla
quadruplice anafora nello stesso verso di es, piuttosto rara nella poesia
latina (vd. Wills 1996, p. 363 sgg.).
Epigramma 35 287

35

Artis Phidiacae toreuma clarum


pisces aspicis: adde aquam, natabunt.

om. P ( = LQf) tit. de mechanico Lf : pisces lignei Q 1 artis V²: aris EAXV¹ phidiacae
E: pidiacae AXV clarum LQf¹ : clarum apici f² 2 pisces aspicis QfV²in mg.: pisces
apicis L respices aspicis EA respicis aspicis XV¹ adde Lf : addo Q

Vedi un’illustre opera di cesello dell’arte di Fidia:


dei pesci. Aggiungi l’acqua, nuoteranno.

Il distico elogia il realismo di un’opera di cesello di Fidia rappresentante


dei pesci. La descrizione di opere d’arte, finalizzata a porne in risalto
l’eccezionale realismo, è tema caro all’epigramma ellenistico: un topos, a
partire da Leonida (AP IX 719), era divenuta la celebre Vacca di Mirone,
conservata ad Atene: cfr. AP IX 713-42; Auson. epigr. 68-75; Ps. Auson.
epigr. 28-29; Epigr. Bob. 10-13 (sull’argomento vd. Fuà 1973). Per
l’esaltazione del realismo di opere d’arte cfr. anche Verg. Aen. VI 847 sg.;
georg. III 34; Prop. II 31, 8; III 9, 9; Ov. met. VI 103 sg.; X 250; Plin. nat.
XXXV 65; Petron. 83; Iuv. 8, 103; la celebrazione del realismo è alla base
della gaffe di Trimalchione in Petron. 52, 1 habeo scyphos urnales plus
minus C: quem admodum Cassandra occidit filios suos, et pueri mortui
iacent sic ut vivere putes; in generale sulla terminologia usata nelle fonti
vd. Bömer 1952. Descrizioni di opere d’arte ricorrono in vari epigrammi
di Marziale (vd. Laurens 1965, p. 319 sg.; M. Salanitro, «Maia» 52, 2000,
pp. 271-273): cfr. l’epigr. 40 (41) di questo libro; VIII 50 (una coppa d’oro
e d’argento, dono dell’amico Rufo); IX 43-44 (l’Hercules Epitrapezios di
Lisippo, posseduto da Novio Vindice e celebrato anche da Stat. silv. IV 6;
sui due epigrammi vd. Henriksén, I, p. 205 sgg.); X 89 (la statua di Giunone
di Policleto); XIV 170-182; talora la descrizione è chiusa da una pointe
satirica, come in VI 92 caelatus tibi cum sit, Anniane, / serpens in patera
Myronos arte, / Vaticana bibis: bibis venenum. In questo epigramma è
completamente assente ogni intento descrittivo: il primo verso dichiara la
nobile origine del pezzo, attraverso la menzione del nome di Fidia; il secondo,
arricchito da un effetto paronomastico (pisces aspicis), ne esalta il realismo.
288 M. Val. Martialis liber tertius

Il distico potrebbe essere stato concepito come didascalia dell’opera, forse


appartenente ad un patrono. Il titolo De mechanico, attestato da entrambe
le famiglie (il solo Q reca Pisces lignei), nasce molto probabilmente da un
fraintendimento dell’epigramma, interpretato come la descrizione di un
marchingegno meccanico (mechanicum), che, attraverso l’immissione di
acqua (adde aquam), provoca il movimento dei pesci. La correttezza di
tale ipotesi conforterebbe la datazione tardoantica per i tituli tràditi con
gli epigrammi, comprovata dalle indagini di Landgraf 1902, pp. 455-463,
e di Lindsay 1903, p. 34 sgg.: mechanicum sostantivato ricorre infatti per
la prima volta in Apul. apol. 61 quaedam mechanica ut mihi elaborasset;
cfr. anche Schol. Iuv. 15, 5d mechanicum aliquod esse, quod intra statuam
lateret; Aug. civ. 21, 6 p. 499, 5 D aut ergo in lucerna illa mechanicum
aliquid de lapide asbesto ars humana molita est aut arte magica factum
est, quod homines illo mirarentur in templo; vd. ThlL VIII 516, 23 sgg.

1. artis Phidiacae: Fidia, oltre che sommo scultore, è considerato il primo


maestro della toreutica greca: cfr. Plin. nat. XXXIV 54 primus artem
toreuticen aperuisse atque demonstrasse merito iudicatur. Secondo le fonti
furono soggetti delle sue opere anche cicale, api, zanzare (vd. G. Lippold,
s.v. Pheidias, RE XIX 2, 1919, 7-1935, 60) ed è possibile che l’oggetto qui
presentato sia autentico (Marziale aveva forse un epigramma greco come
modello). Tuttavia la richiesta di oggetti artistici aveva favorito a Roma lo
sviluppo di un vasto mercato del falso: si veda la testimonianza di Phaedr.
V praef. 4-7 ut quidam artifices nostro faciunt saeculo, / qui pretium
operibus maius inveniunt novis, / si marmori adscripserunt Praxitelen
scabro, / trito Myronem argento, tabulae Zeuxiden. Marziale menziona in
due epigrammi la statua crisoelefantina di Zeus, una delle sette meraviglie
del mondo (VII 56, 3 Phidiaco … Iovi; IX 24, 2 Phidiacum … ebur);
in IX 44, 6 (Lysippum lego, Phidiae putavi) Fidia è menzionato come
massimo rappresentante della statuaria greca (vd. Henriksén, ad loc.). In
poesia l’attributo Phidiacus è molto usato per la sua comodità metrica:
esso compare in Prop. III 9, 15; Ov. Pont. IV 1, 32; Stat. silv. II 2, 66; V
1, 6; Iuv. 8, 103; Priap. 10, 3; Sidon. carm. 23, 506; Marziale lo adopera
spesso: il nesso Phidiaci toreuma caeli ricorre in IV 39, 4 e X 87, 16; cfr.
anche VI 13, 1 sg.; 73, 8; X 89, 2. Per analoghi nessi cfr. VI 13, 2 Palladiae
… artis; 92, 2 Myronos arte; XI 9, 2 Apellea … arte. – toreuma: ‘opera di
cesello’, è un grecismo ( da ): vd. Hilgers 1969, p. 24
Epigramma 35 289

sgg. Il vocabolo ricorre per la prima volta in poesia in Culex 67; quindi in
Marziale (IV 39, 4; VIII 6, 15; XI 11, 1; XII 74, 5; XIV 94, 1; 101, 2) e in
Epigr. Bob. 21, 3; qui si tratta probabilmente di una phiala.
2. adde aquam, natabunt: la struttura paratattica del periodo ipotetico,
con imperativo nella protasi, seguito per lo più da futuro, è propria della
lingua d’uso: cfr., ad es., Plaut. Asin. 350 ausculta ergo, scies; Petron. 44,
3 serva me, servabo te; ricorre anche in poesia: cfr. Ov. am. II 2, 40; III 9,
37 sg.; fast. I 17 (numerosi esempi ovidiani in Bömer1, p. 9); in Marziale la
forma è frequente: cfr. I 58, 6; II 29, 10; IV 29, 10; VII 58, 7 sgg.; XIII 79,
2; XIV 146, 1; sull’argomento vd. Hofmann-Szantyr, p. 656 sg.; Hofmann,
LU, p. 255 sg.
290 M. Val. Martialis liber tertius

36

Quod novus et nuper factus tibi praestat amicus,


hoc praestare iubes me, Fabiane, tibi:
horridus ut primo semper te mane salutem
per mediumque trahat me tua sella lutum,
lassus ut in thermas decima vel serius hora 5
te sequar Agrippae, cum laver ipse Titi.
Hoc per triginta merui, Fabiane, Decembres,
ut sim tiro tuae semper amicitiae?
Hoc merui, Fabiane, toga tritaque meaque,
ut nondum credas me meruisse rudem? 10

hab. T; vv. 1-4 hab. R tit. ad fabianum sterilem amicum Rf²EA: ad favianum sterilem
amicum T ad fabrianum sterilem amicum f¹ ad fabinianum sterilem amicum XV ad fabiam
sterilem amicum L de mechanico PQ (ad 35 pertinens) 1 novus R : nonus T 2 fabiane
EXV: famiane A 3 semper te : te semper 4 per mediumque R EA²XV: per
medium quae A¹ per medium T trahat EXV: trahit A lutum LPQf² : lutus f¹ 5
decima TPQ² : decuma LQ¹f 6 sequar : sequor T laver Q²f² : laber TLQ¹f¹ liber
P titi T EA¹XV: lacu A²s.l. 7 fabiane T AV: faviane EX 9 fabiane TLPQf² : om. f¹
toga tritaque TQ : togata tritaque LPf meaque T V²: meraque EAXV¹

Lo stesso servigio che ti rende un nuovo amico, appena


acquisito, imponi a me di renderti, o Fabiano:
che intirizzito dal freddo ti saluti sempre di prima mattina,
che la tua lettiga mi trascini in mezzo al fango,
che stanco alla decima ora o più tardi ti segua alle terme di 5
Agrippa, sebbene io mi lavi in quelle di Tito.
Questo mi sono meritato in trent’anni, o Fabiano,
di essere sempre un novizio nella tua amicizia?
Questo mi sono meritato, o Fabiano, con la mia toga logora,
che pensi che ancora non mi sia guadagnato il congedo? 10

Marziale si lamenta con il patrono Fabiano dei servigi che questi continua
ad imporgli come cliente, sebbene lo conosca ormai da trent’anni, e chiede
in conclusione di essere congedato dagli obblighi. La recriminazione per le
fatiche patite come cliente è uno dei motivi centrali dell’opera marzialiana:
Epigramma 36 291

cfr. I 108; II 5; 32; 46; 55; IV 26; V 19; 20; 22; VIII 14; IX 6 (7); 100; X 56; 74;
82; XII 29; 40. In questo libro il tema trova ampio spazio (vd. l’Introduzione,
p. 60): cfr. gli epigr. 37; 38, 11 sg.; 41 (40); 46; vd. anche 7; 14; 30; 60, che
riguardano l’abolizione della sportula e il peggioramento delle condizioni
dei clienti. Al distico iniziale, che presenta il motivo della recriminazione
del poeta, fa seguito la menzione esplicita dei faticosi officia cui egli deve
sottostare abitualmente (3-6). Gli ultimi versi (7-10), attraverso l’anafora di
hoc merui e l’uso delle interrogative, mettono in risalto il disagio del poeta,
che conclude l’epigramma con una richiesta di congedo. La delusione per
la mancata evoluzione nel corso degli anni del rapporto patrono-cliente
consente di avvicinare a questo epigramma VII 86, in cui Marziale lamenta
di non essere stato invitato al pranzo di compleanno di Sesto pur essendone
un vetus sodalis. Il nome Fabianus, piuttosto diffuso (vd. Kajanto 1965, p.
146), ricorre in IV 5; 24; XII 83. Qui è probabilmente fittizio.

1 sg.: un nuovo amico era tenuto ad omaggiare frequentemente il patrono


per entrare nelle sue grazie: cfr. I 54, 4, dove Marziale cerca di vincere la
diffidenza di un patrono: nec me quod tibi sim novus (sc. amicus) recuses.
L’esatta corrispondenza al principio dei due versi di quod e hoc sottolinea
l’uguale trattamento ricevuto da Marziale e da un nuovo amico, in contrasto
con quanto il poeta crede di avere meritato in lunghi anni di clientela. –
amicus: il termine può designare sia il cliente che il patrono, come amicitia
definisce il loro rapporto (vd. White 1978, p. 80 sgg.). – praestat: il verbo
ricorre in analogo contesto clientelare in 46, 11 ‘ergo nihil nobis -inquis-
praestabis amicus?’; 82, 30 sg. silentium … / praestare iussi. – iubes: il verbo
descrive l’imperiosità del patrono (chiamato dominus et rex dal cliente: vd. la
n. a 7, 5 regis superbi): cfr. II 55, 2 parendum est tibi: quod iubes, colere; III
82, 30 sg. cit. supra; VIII 14, 7 sic habitare iubes veterem crudelis amicum;
IX 100, 1 sg. mane togatum / observare iubes atria, Basse, tua; X 56, 1
sg. totis, Galle, iubes tibi me servire diebus; XII 60, 13 sg. quae ratio est,
haec sponte sua perferre patique, / quae te si iubeat rex dominusque, neges?
Marziale utilizza spesso un lessico schiavile per il rapporto patrono-cliente:
cfr. II 18, 7 sg. esse sat est servum, iam nolo vicarius esse. / qui rex est,
regem, Maxime, non habeat; 32, 7 sg. non bene, crede mihi, servo servitur
amico: / sit liber dominus qui volet esse meus. Per Seneca quella di alcuni
clienti doveva essere considerata una schiavitù volontaria: cfr. dial. X 2, 1
sunt quos ingratus superiorum cultus voluntaria servitute consumat.
292 M. Val. Martialis liber tertius

3: la salutatio, uno tra gli obblighi principali dei clienti, si svolgeva di primo
mattino; Marziale lamenta spesso il sonno perso e le lunghe camminate per
recarsi di buon ora nella dimora del patrono e parla a volte, con esagerazione,
di notte fonda per le sue salutationes: I 108, 5 migrandum est ut mane domi
te, Galle, salutem; II 18, 3 mane salutatum venio; IV 8, 1 prima salutantes
atque altera conterit hora; V 22, 1 mane domi nisi te volui meruique videre;
VI 88, 1 mane salutavi; VIII 44, 4 sg. omne limen conteris salutator / et
mane sudas urbis osculis udus; X 10, 2 mane salutator; 70, 5 non resalutantis
video nocturnus amicos; 82, 2 mane vel a media nocte togatus ero; XII
29 (26), 1 sgg. sexagena teras cum limina mane senator, / esse tibi videor
desidiosus eques, / quod non a prima discurram luce per urbem; XIV 125 tit.
toga. si matutinos facilest tibi perdere somnos / attrita veniet sportula saepe
toga; cfr. anche Iuv. 3, 126 sgg. quod / pauperis hic meritum, si curet nocte
togatus / currere; 5, 19 sg. habet Trebius propter quod rumpere somnum /
debeat. – horridus: ‘intirizzito dal freddo’: cfr. IX 92, 5 sg. Gaius a prima
tremebundus luce salutat / tot dominos; l’attributo sottolinea la povertà del
cliente, coperto soltanto da una toga logora: cfr. II 46, 7 sg. tu spectas hiemem
succincti lentus amici / pro scelus! et lateris frigora trita times (times codd.;
tui è congettura anonima apud Schrevel, accolta da alcuni editori e tutt’altro
che risolutiva; il testo tradito però suscita notevoli perplessità). Per questa
accezione di horridus cfr. Pers. 1, 54 scis comitem horridulum trita donare
lacerna (Serv. georg. III 199 id est trementem), in analogo contesto; Ov. am.
II 16, 19 si premerem ventosas horridus Alpes; vd. ThlL VI 3, 2995, 38-
41; in Marziale cfr. VII 36, 5 horridus … December; 95, 1 riget horridus
December, in cui l’attributo va inteso in senso causativo (‘che fa rabbrividire’).
Per l’uso di horreo in contesti analoghi cfr. Petron. 83, 9 v. 10 sola pruinosis
horret facundia pannis; Iuv. 1, 93 horrenti tunicam non reddere servo (schol.
trementi, nudo). – ut: sulla posposizione delle particelle, frequente a partire
dalla poesia augustea, vd. la n. a 19, 5; in questo epigr. cfr. anche v. 5 lassus ut.
– primo … mane: per mane sostantivato in Marziale cfr. I 49, 36 mane totum
dormies (vd. Citroni, ad loc.); VII 39, 1 vagum … mane. L’uso è attestato fin
da Plauto, prevalentemente in testi di carattere umgangssprachlich e nel latino
tardo, ma cfr. anche Verg. georg. III 325 mane novum; Hor. sat. I 3, 17 sg. ad
ipsum / mane. – semper te: l’ordo verborum offerto dai codici delle famiglie
appare migliore di quello della famiglia (te semper) per via della ‘legge
di Marx’ (vd. Marx 1922, pp. 198; 210 sgg. e la n. a 15, 1). Accolgono tuttavia
il testo della prima famiglia Schneidewin, Gilbert, Friedlaender.
Epigramma 36 293

4: seguire a piedi il patrono trasportato in lettiga nei suoi giri per la città
era il servigio più stancante per i clienti (cfr. v. 5 lassus) e quello che sottraeva
loro più tempo: cfr. III 46, 4 vix ego lecticam subsequar; IX 22, 10 et mea sit
culto sella cliente frequens; 100, 3 praecedere sellam (si tratta della mansione
dell’anteambulo, su cui vd. la n. a 7, 2); X 10, 7 lecticam sellamve sequar?
nec ferre recusas. – per medium … lutum: le strade fangose costituivano per
il cliente, costretto a lunghe camminate, un fastidio ulteriore: cfr. X 10, 8 per
medium pugnas et prior ire lutum; XII 29 (26), 7 sg. at mihi quem cogis
medios abrumpere somnos / et matutinum ferre patique lutum; VII 61, 6
medio … luto (in un contesto diverso); Iuv. 3, 247 pinguia crura luto; 7, 131
lutulenta … turba; vd. anche Lucian. merc. cond. 13; 24.
5 sg.: il cliente concludeva spesso la propria giornata accompagnando il
patrono alle terme, dove riceveva la sportula: cfr. 7, 2 sg. anteambulonis
congiarium lassi / quos (sc. centum quadrantes) dividebat balneator elixus
e la n. ad loc.; X 70, 13 sg. balnea post decimam lasso centumque petuntur /
quadrantes. Lassus ricorre spesso per indicare le fatiche sostenute dai clienti:
III 7, 2 cit. supra; V 22, 10 negat lasso ianitor esse domi; X 74, 1 sg. iam
parce lasso, Roma, gratulatori, / lasso clienti; XII 29 (26), 2 sgg. esse tibi
videor desidiosus eques, / quod non a prima discurram luce per urbem /
et referam lassus basia mille domum; Iuv. 1, 132 vestibulis abeunt veteres
lassique clientes. – ut: sulla posposizione delle particelle vd. la n. a 19, 5.
– decima vel serius hora: cfr. X 70, 13 cit. supra; in I 108, 9 ipse salutabo
decima te saepius hora, la lezione della seconda famiglia (i. s. decima vel
serius hora) è con buona probabilità interpolata da questo verso e rigettata
da tutti gli editori (vd. Citroni, ad loc.; Lindsay 1903, p. 15).
6: le terme di Agrippa si trovavano nel Campo Marzio, a S del Pantheon;
quelle di Tito a NE dell’Amphiteatrum, a fianco della Domus Aurea
(vd. LTUR V, ss.vv. thermae Agrippae; thermae Titi). Sono nominate
insieme ancora in III 20, 15 Titine thermis an lavatur Agrippae? (vd. la
n. ad loc.). L’espressione brachilogica cum laver ipse Titi (sc. in thermis)
è probabilmente alla base della congettura lacu di A² s.l. Sulle brachilogie,
ampiamente diffuse nella lingua d’uso, vd. Hofmann, LU, p. 339 sgg.,
specialmente p. 347; Hofmann-Szantyr, p. 827.
7 sgg.: l’epigramma si conclude con due interrogative scandite dall’anafora di
hoc merui (7; 9). La collocazione del dimostrativo in apertura di entrambi i versi
enfatizza la delusione del poeta per quanto ottenuto. Il tono di disapprovazione
emerge anche dalla ripetizione del nome del patrono al vocativo nei vv. 7; 9.
294 M. Val. Martialis liber tertius

7. per triginta … Decembres: il numero non è naturalmente da prendere


alla lettera: cfr., in contesto analogo, IV 40, 5 tecum ter denas numeravi,
Postume, brumas. L’uso metonimico di December per indicare l’anno intero
ricorre per la prima volta in Orazio (epod. 11, 5 hic tertius December ex quo
destiti Inachia furere; epist. I 20, 27 me quater undenos sciat implevisse
Decembres); quindi in Marziale (anche in XII 18, 7 multos … post Decembres)
e Cypr. Gall. Iud. 208. Oltre che da comodità metrica, la scelta può essere
stata determinata in questo caso anche dal desiderio di evidenziare, attraverso
la menzione di un mese invernale, i disagi patiti (cfr. vv. 3 horridus; 4 per
medium … lutum); cfr. anche IV 40, 5 cit. supra.
8. tiro: tiro è termine del linguaggio militare, mutuato dall’ambiente
gladiatorio: cfr. Suet. Iul. 26, 3; Bell. Afr. 71, 1; nell’accezione traslata di
‘matricola’, ‘novizio’ è abituale anche nel linguaggio quotidiano: cfr. Cic. de
orat. I 218; Verr. II 2, 6 (vd. Mosci Sassi 1992, p. 179 sg.). In Marziale ricorre
ancora in XI 78, 11 ergo Suburanae tironem trade magistrae; XII 51, 2
semper homo bonus tiro est. Qui la metafora gladiatoria è mantenuta anche
nell’ultimo verso (vd. la n. ad loc.).
9. toga tritaque meaque: la toga, abito richiesto dai patroni per la salutatio
matutina, è il simbolo della vita da cliente: vd. la n. a 4, 6. La consunzione
della toga denuncia le difficili condizioni economiche del poeta, che non
può permettersi di comprarne una nuova; attraverso l’uso dell’aggettivo pos-
sessivo Marziale rivendica la propria autonomia e, allo stesso tempo, denuncia
l’avarizia del patrono che non gli ha mai donato una toga: cfr. II 58 pexatus
pulchre rides mea, Zoile, trita. / sunt haec trita quidem, Zoile, sed mea
sunt; sulle vesti consunte cfr. ancora VII 92, 7 esse queror gelidasque mihi
tritasque lacernas; IX 100, 5 trita quidem nobis togula est vilisque vetusque;
X 96, 11 quattuor hic (sc. Romae) aestate togae pluresve teruntur; XII 72, 4
parva … sed tritae praemia certa togae. Nella Roma di Marziale il regalo di
una toga è del resto un evento raro, degno di un elaborato ringraziamento
(VIII 28 celebra il dono di una toga da parte di Partenio, cubicularius di
Domiziano; cfr. anche IX 49).
10. rudem: la rudis è la verga con cui si allenavano i gladiatori e che
ricevevano al momento del congedo (in senso proprio in epigr. 31, 9
misit utrique rudes et palmas Caesar utrique). Essa simboleggia dunque
l’acquisizione della libertà dal ludus gladiatorio (rudiarius è il gladiatore che
l’ha ricevuta); vd. Mosci Sassi 1992, p. 164 sg. La metafora rudem accipere
(o rude donare) per indicare la fine di una attività ricorre in Cic. Phil. 2, 74
Epigramma 36 295

tam bonus gladiator rudem tam cito?; Hor. epist. I 1, 2 sg. spectatum satis
et donatum iam rude quaeris, / Maecenas, iterum antiquo me includere
ludo?; Ov. trist. IV 8, 24 me quoque donari iam rude tempus erat; Iuv. 7,
171 ergo sibi dabit ipse rudem. Nel verso marzialiano la metafora appare par-
ticolarmente calzante, perché suggerisce un legame tra la misera e faticosa
condizione del cliente e quella del gladiatore.
296 M. Val. Martialis liber tertius

37

Irasci tantum felices nostis amici.


Non belle facitis, sed iuvat hoc: facite.

om. A ( =EXV) tit. ad amicos felices : ad amicos LPf ad amicos divites Q 2 facitis
XV: factis E facite f² : facere LPQf¹

Sapete soltanto arrabbiarvi, ricchi amici.


Non vi comportate bene, ma vi conviene: fatelo pure.

L’epigramma è rivolto ai patroni (felices … amici), che non sanno far


altro che arrabbiarsi. Il poeta ne censura moralmente il comportamento
(non belle facitis), ma riconosce lucidamente che è per loro vantaggioso
(iuvat), perché gli consente di risparmiarsi elargizioni (per il concetto cfr.
XII 13 genus, Aucte, lucri divites habent iram: / odisse quam donare
vilius constat). La concessione finale (facite) è in realtà soltanto un’amara
constatazione della propria impotenza di fronte a coloro che si sentono
autorizzati dalla loro ricchezza a qualsiasi comportamento verso gli
‘inferiori’ (per il tema cfr. 31, 5 sg.). L’epigramma si inserisce nel discorso,
ampiamente sviluppato in questo libro, sui rapporti tra patroni e clienti
(vd. l’Introduzione, p. 60) ed è pertanto legato dal tema al precedente; che
esso vada interpretato come risposta ad una reazione stizzita del patrono
chiamato in causa in quell’epigramma, come già suggerito da Calderini e
come sembrerebbe sostenere Pertsch 1911, p. 66, la cui formulazione non
è chiarissima (vd. anche Merli, ad loc.), mi sembra però ipotesi, seppur
suggestiva, non del tutto convincente (per coppie di epigrammi di questo
genere si vedano, in questo libro, gli epigr. 8 e 11; 16, 59 e 99; inoltre IV
71 e 81; II 57, 4 e V 26; IX 95 e 95b): vi si oppone soprattutto il tono
generale dell’affermazione, che non sembra avere il carattere della replica
(si confrontino invece gli esempi citati supra).

1: l’esistenza di un rapporto direttamente proporzionale tra ricchezza e


facilità all’ira è sostenuta da Seneca (dial. IV 21, 7): non vides ut maiorem
quamque fortunam maior ira comitetur? in divitibus et nobilibus et
magistratibus praecipue apparet, cum quidquid leve et inane in animo
Epigramma 37 297

erat secunda se aura sustulit. felicitas iracundiam nutrit, ubi aures


superbas adsentatorum turba circumstetit:‘tibi enim ille respondeat? non
pro fastigio tuo te metiris; ipse te proicis’ et alia quibus vix sanae et ab
initio bene fundatae mentes restiterunt. Il ritmo spondiaco dell’esametro,
piuttosto raro in Marziale (vd. Giarratano 1908, p. 7), intende probabilmente
riprodurre la concitazione causata dall’ira. – felices … amici: la iunctura,
che non ricorre altrove, designa i patroni, di cui mette in rilievo le floride
condizioni economiche; per felix in questa accezione in Marziale cfr. I 49,
38 miserere tu felicium; II 24, 7 sg. mecum eris ergo miser: quod si deus
ore sereno / adnuerit, felix, Candide, solus erit; 30, 3 sg. felixque vetusque
sodalis (felixque T : fidusque ) / et cuius laxas arca flagellat opes; VI 79,
1 tristis es et felix; vd. anche Ov. am. I 8, 27; Iuv. 9, 135; ThlL VI 1, 442,
26-39. Per l’uso di amicus per designare il patrono vd. la n. a 36, 1.
2: Marziale contrappone al suo criterio morale (non belle facitis) quello
utilitaristico dei patroni (iuvat hoc), cui deve, seppur a malincuore,
condiscendere (facite). SB2, I, p. 227 n. a ravvisa un’ambiguità in iuvat,
che può valere ‘it pleases’ oppure ‘it profits’ (sul primo valore vd. però
le considerazioni svolte infra sull’interpretazione di Helm). – non belle
facitis: locuzione colloquiale: cfr. Cic. Att. V 17, 6; Hor. sat. I 4, 136;
ricorre anche nelle iscrizioni (CIL IV 1951; 4185); in Marziale ancora in V
52, 5 non belle quaedam faciunt duo; X 90, 5 sg. istud, crede mihi Ligeia,
belle / non mater facit Hectoris, sed uxor; vd. anche II 7, 7 nil bene cum
facias, facias tamen omnia belle. Per l’intensificazione del predicato verbale
attraverso avverbi, tipica della lingua d’uso, vd. Hofmann, LU, p. 195 sgg.
Bellus è termine proprio del linguaggio colloquiale: frequente in Plauto
(32 casi), ma non in Terenzio (un caso), è sempre evitato nell’epica e raro
nell’elegia (un caso in Ovidio e in Tibullo); ricorre più spesso in poesia
di tono meno elevato: 1 caso in Lucilio, 15 in Catullo (mai nei carmina
docta), 2 in Orazio sat., 1 in Fedro; ben 37 in Marziale; vd. Axelson 1945, p.
35; P. Monteil, Beau et laid en latin. Étude de vocabulaire, Paris 1964, pp.
221-240. – sed iuvat hoc: facite: ai patroni conviene arrabbiarsi con i loro
clienti, poiché questo gli offre il pretesto per non dar loro nulla: cfr. XII
13 cit. nella n. intr. Facite di f² , accolto da Schneidewin, Gilbert, Lindsay,
Heraeus, Izaac, appare, nonostante il giudizio tranchant di SB1 («facite ,
edd. praeter Duff, inepte»), senz’altro migliore rispetto a facere di LPQf¹,
preferito da Friedlaender, Duff, Ker, SB: mentre con facere si otterrebbe
una struttura più piana del verso, priva di pointe, l’imperativo crea uno
298 M. Val. Martialis liber tertius

stacco con quello che precede e concentra la conclusione dell’epigramma


sull’ultima parola, secondo un procedimento caro a Marziale; l’apparente
concessione cela una condanna implicita del comportamento dei patroni:
per la sfumatura concessiva in un contesto analogo cfr. Iuv. 5, 111 sgg.
solum / poscimus ut cenes civiliter. hoc face et esto, / esto, ut nunc
multi, dives tibi, pauper amicis. Facere è inoltre agevolmente spiegabile
come corruttela provocata dal contesto prossimo: iuvat con infinito è
comunissimo e ricorre in Marziale in una ventina di casi (vd. H. Soeding,
De infinitivi apud Martialem usurpatione, Diss. Marburgi 1891, p. 24).
Una analoga corruttela in si può osservare in VI 65, 3 solet hoc quoque,
Cinna, licetque, dove licere di (licetque ) è stato molto probabilmente
favorito da solet. Una diversa interpunzione del verso è stata proposta da
Helm 1926, col. 88: non belle facitis. ‘sed iuvat hoc’. facite (che traduce:
«Ihr tut nicht recht daran. “Aber es macht doch Spass!” Nun, dann tut’s!»).
L’ipotesi è plausibile, anche se il carattere generale dell’affermazione del
v. 1 rende meno probabile l’intervento diretto di un solo interlocutore.
Appare inoltre meno adatta al contesto tale accezione di iuvat (suggerita
anche da SB2, I, p. 227 n. a cit. supra), che attribuisce ai patroni un sadismo
forse eccessivo. Per la chiusa del pentametro con sillaba breve, per lo più
evitata nella poesia augustea (vd. Platnauer 1951, p. 64), vd. la n. a 19, 6
fera.
Epigramma 38 299

38

Quae te causa trahit vel quae fiducia Romam,


Sexte? Quid aut speras aut petis inde? Refer.
‘Causas’ inquis ‘agam Cicerone disertior ipso
atque erit in triplici par mihi nemo foro.’
Egit Atestinus causas et Civis -utrumque 5
noras-; sed neutri pensio tota fuit.
‘Si nihil hinc veniet, pangentur carmina nobis:
audieris, dices esse Maronis opus.’
Insanis: omnes gelidis quicumque lacernis
sunt ibi, Nasones Vergiliosque vides. 10
‘Atria magna colam.’ Vix tres aut quattuor ista
res aluit, pallet cetera turba fame.
‘Quid faciam, suade: nam certum est vivere Romae.’
Si bonus es, casu vivere, Sexte, potes.

vv. 1-12 hab. T tit. de sexto causidico T: ad sextum ad sextum causidicum


1 te T E²s.l.V²: om. E¹AXV¹ 2 speras TL²PQfEAV²: sperat L¹ superas XV¹ 3
cicerone disertior f²s.l.A²XV: cicerone dissertior EA¹ cicerono discretior T cicerone
disertius L²P²Qf¹ cicerone dissertius L¹ disertius cicerone P¹ 4 par mihi nemo foro
TLP²Qf : par nemo foro mihi P¹ 5 atestinus TLPf : arestinus Q 6 noras sed Q²f² :
non oras sed T norasse LPQ noras se f¹ 7 hinc T EXV: hic A veniet : venient T
pangentur TLPQ²fV²: pangenetur Q¹ tangentur EAXV¹ 8 dices L²PQf : disces L¹ dicis
T esse TLPf : ecce Q maronis TPf : matronis L neronis Q 9 gelidis : gelidilidis
T quicumque TLPQ²f : quaecumque Q¹ 10 ibi T EAV: tibi X vergiliosque L²fEAV:
virgiliosque PQX vigiliosque T vergilionesque L¹ 12 aluit TL²PQf: aliud aluit et L¹
pallet XV: pallat T pallet et EA 13 quid faciam, suade dist. SB: quid faciam? suade edd.
14 si bonus es casu X: si bonus casu E¹A si bonus et casu E² si casu bonus es V

Quale causa o quale fiducia ti porta a Roma,


Sesto? Che cosa speri o cerchi da lì? Dimmi.
«Patrocinerò cause» dici «con più eloquenza di Cicerone stesso
e nessuno sarà pari a me nei tre fori».
Patrocinarono cause Atestino e Cive - conoscevi 5
entrambi - ma nessuno dei due raggiungeva l’intera pigione.
«Se da qui non verrà nulla, comporrò poesie:
se le sentirai, dirai che sono opera di Marone».
Sei pazzo: tutti quelli che in gelidi mantelli
300 M. Val. Martialis liber tertius

vedi lì, sono Nasoni e Virgili. 10


«Frequenterò i grandi atri». Questa attività dà sostentamento
a tre o quattro a malapena, la restante folla è pallida per la fame.
«Consigliami che fare: infatti ho stabilito di vivere a Roma».
Se sei onesto, affidandoti al caso puoi vivere, Sesto.

Sesto viene a Roma in cerca di gloria. Marziale lo disillude sulla possibilità


di trovare nell’Urbe un’occupazione remunerativa, ma onesta. L’epigramma
si sviluppa nella forma di un dialogo, che prende le mosse dalla domanda
iniziale di Marziale (vv. 1-2); alle affermazioni di Sesto sui suoi propositi il
poeta ribatte con amare, ma realistiche considerazioni sulla scarsa possibilità
di realizzazione delle aspirazioni di Sesto. La conclusione (14) non lascia
adito a dubbi: a Roma gli onesti possono vivere soltanto per caso. Analogo
a questo epigramma è IV 5, che si deve immaginare composto da Marziale
in tempi non lontani da questo: a Fabiano, onesto ma povero, che si dirige
a Roma Marziale predice un futuro difficile, poiché egli non sarà capace di
compiere le nefandezze (elencate accuratamente nei vv. 3-8) che consentono
di arricchirsi nell’Urbe (cfr. i versi citati infra). In questo libro anche l’epigr.
14 tratta di un indigente che si reca a Roma dalla Spagna. Il nome Sesto è
usato frequentemente da Marziale (12 casi); qui può essere vero.

1. Quae te causa trahit … ?: per l’interrogativa che apre l’epigramma cfr.


IV 5, 2 quid tibi vis urbem qui, Fabiane, petis?
2. inde: l’avverbio presuppone che Marziale non si trovi a Roma quando
parla (cfr. anche v. 10 ibi), ma probabilmente nella Gallia togata, dove
compone il libro. Sesto sarà stato un cispadano intenzionato a trasferirsi
a Roma.
3. Cicerone disertior ipso: per Cicerone come oratore per antonomasia
in Marziale cfr. anche III 66, 4; IV 16, 5; 55, 3; V 56, 4 sg.; 69, 7; X
20 (19), 16 sg. Disertior, tramandato sostanzialmente dalla prima e dalla
terza famiglia (discretior di T sembra dovuto ad una semplice inversione
di lettere) ha senz’altro maggiori probabilità di essere la lezione esatta di
disertius della seconda, che appare lectio facilior: cfr. VIII 7, 1 hoc agere
est causas, hoc dicere, Cinna, diserte; Plin. epist. IV 22, 2 egit … causam
non minus feliciter quam diserte. La medesima alternanza ricorre in altri
casi, che presentano qualche incertezza: cfr. VI 45, 4 turpius uxor erit
Epigramma 38 301

quam modo moecha fuit (turpius , Heraeus, SB: turpior , Lindsay; vd.
Grewing, ad loc.); VII 96, 7 sg. sic ad Lethaeas, nisi Nestore serior, undas
/ non eat (serior , edd.: serius ); XI 84, 5 mitior implicitas Alcon secat
enterocelas (mitior , edd.: mitius T).
4. in triplici … foro: nei tre fori (Romano, di Cesare, di Augusto)
veniva esercitato il diritto (vd. ThlL VI 1, 1207, 46-78; LTUR II, ss.vv. f.
Augustum, f. Iulium, f. Romanum); l’espressione ricorre ancora in VIII
44, 6 foro … triplici; vd. anche VII 65, 2 tribus … foris; Ov. trist. III 12,
24 pro … tribus … foris; Sen. dial. IV 9, 4 trina … fora; Stat. silv. IV 9,
15 trino … foro. Il Foro di Nerva, nominato in I 2, 8 come Palladium
forum, fu dedicato dall’imperatore nel 97. Dal momento che Marziale lo
menziona soltanto nel decimo libro come opera recente (28, 6; cfr. anche
51, 12; Stat. silv. IV 1, 14 sgg.), la sua presenza in I 2 è un forte indizio per
la seriorità dell’epigramma, peraltro già suggerita dall’autopresentazione
di Marziale come poeta celebre e richiesto (sulla questione vd. Citroni, ad
loc.). L’uso di triplex per tres è prevalentemente poetico; in Marziale cfr.
anche VIII 44, 6 cit. supra; X 51, 12 triplices thermae.
5 sg. egit Atestinus causas et Civis …: l’avvocatura è attività scarsamente
redditizia anche in VI 8; XII 72; XIV 219; Iuv. 7, 106 sgg.; viene presentata
da Marziale come remunerativa solo rispetto all’attività poetica: cfr. II 30,
5 sg.; V 16, 14; IX 68, 5 sg.; XII 68. Atestino e Cive sono due causidici non
altrimenti noti. Secondo SB i due nomi potrebbero essere fittizi (vd. index
nominum, ss. vv.). Il nome Civis è attestato nel CIL (vd. ThlL onom. II
465, 62 sgg.; Kajanto 1965, p. 314). Atestinus è nome proprio derivato
dall’etnico (da Ateste, l’odierna Este, in Veneto, su cui vd. Hülsen, RE II
1925); non ricorre altrove. – utrumque / noras: se Sesto è un cisalpino
(cfr. v. 2), probabilmente anche Atestino e Cive dovevano esserlo (dunque
il nome Atestinus tradirebbe la sua origine). L’esempio di Marziale
risulterebbe così molto efficace per il provinciale Sesto. Il passato sembra
indicare che i due non erano più in vita al momento della composizione
dell’epigramma (cfr. V 10, 10 norat Nasonem sola Corinna suum). Per
Friedlaender invece dovevano aver lasciato di nuovo Roma per le loro
difficoltà economiche. L’inserzione di espressioni parentetiche è frequente
nella lingua d’uso (vd. Hofmann, LU, p. 262 sgg.; Hofmann-Szantyr, p. 472
sg.); per una formula analoga in Marziale cfr. VII 51, 3 Pompeium quaeres
-et nosti forsitan-Auctum. – sed neutri pensio tota fuit: l’impossibilità di
pagare la pigione è indice della misera condizione anche in III 30, 3 unde
302 M. Val. Martialis liber tertius

tibi togula est et fuscae pensio cellae? Il pagamento dell’affitto era versato con
scadenza annuale: cfr. XII 32, 2-4 vidi, Vacerra, sarcinas tuas, vidi; / quas
non retentas pensione pro bima / portabat uxor; Iuv. 3, 225 quanti nunc
tenebras unum conducis in annum; vd. RE Suppl. VI 386, 44 sgg.; questo
provocava difficoltà ai meno abbienti nel reperimento dell’intera somma
(tota). Non persuasiva appare pertanto la proposta di Fröhner 1912, p. 170
di leggere tuta fuit «keiner von beiden war sicher, seine jährliche Hausmiete
bezahlen zu können». Sugli elevati affitti a Roma vd. B.W. Frier, The rental
market in early imperial Rome, «JRS» 67, 1977, pp. 29-37; L.E. Dearns,
«AJAH» 9, 1984, pp. 163-164. Neuter, piuttosto raro in poesia classica (4
casi in Ovidio, uno in Orazio e in Ciris), ricorre in Marziale ancora in X
46, 2; cfr. anche V 20, 11 nunc vivit necuter sibi, bonosque (necuter sibi
Schneidewin, edd.: neuter sibi nec ut eius ibo ).
7. hinc: l’uso dell’avverbio in luogo di un pronome è già nel latino arcaico,
anche di tono solenne (vd. Nisbet-Hubbard1, p. 151); è diffuso nella lingua
colloquiale: vd. Löfstedt, Syntactica, II, p. 149 sgg.; Hofmann-Szantyr, p.
208 sgg.; cfr. Catull. 63, 74; 68, 10; 116, 6; Ov. fast. IV 171; 230; in Marziale
cfr. XI 31, 7 sgg. – veniet: per l’accezione ‘tecnica’ di venire cfr. IV 61, 11
hereditatis tibi trecenta venisse; XIV 125, 2 attrita veniet sportula saepe
toga. – pangentur: l’uso metaforico di pangere per ‘comporre’ un’opera
letteraria appartiene allo stile alto: la prima attestazione ricorre in Enn.
Ann. 299 V2 tibia Musarum pangit melos. Pangere carmina è iunctura
presente in Lucr. I 933 sg. obscura de re tam lucida pango / carmina;
Tac. ann. XIII 3, 3 carminibus pangendis; cfr. anche Hor. epist. I 18, 40
poemata panges; vd. ThlL X 1, 207, 69- 208, 12. Sesto dunque si esprime
in termini comicamente altisonanti; l’uso ironico dello stilema si trova già
in Orazio ars 416 sgg. nunc satis est dixisse:‘ego mira poemata pango. /
occupet extremum scabies, mihi turpe relinqui est / et quod non didici
sane nescire fateri’, che attribuisce queste parole al poeta che non vuole
sottoporsi alle fatiche che l’arte poetica richiede (vd. il commento di Brink,
ad loc.). In Marziale cfr. anche XI 3, 7 at quam victuras poteramus pangere
chartas. – nobis: il dativo d’agente, usato prevalentemente con il part.
perf. pass. o con forme composte del verbo, ricorre in poesia in modo
piuttosto libero (vd. Hofmann-Szantyr, p. 96 sgg.); le forme pronominali
sono frequenti. In Marziale cfr. III 60, 4 sugitur inciso mitulus ore mihi;
IV 86, 1 si vis auribus Atticis probari; VI 85, 1 sg. editur en sextus sine
te mihi, Rufe Camoni / … liber; X 70, 13 sg. balnea post decimam lasso
Epigramma 38 303

centumque petuntur / quadrantes; XII 29 (26), 7 sgg. at mihi … quid


petitur?; 94, 10 hinc etiam petitur iam mea palma tibi; XIII 59, 1 tota
mihi dormitur hiems (altri esempi in Guttmann 1866, p. 22 sgg.).
8. audieris, dices: la paratassi in proposizioni condizionali, propria dello
stile colloquiale (vd. Hofmann-Szantyr, p. 656 sg.; Hofmann, LU, p. 254
sgg.), ricorre spesso in Marziale: cfr., ad es., II 44, 1 sgg.; III 44, 11-16;
46, 5. 9; V 56, 8 sg.; vd. anche Verg. Aen. VI 31; Hor. sat. II 5, 74; 7, 32;
Petron. 70, 2; Sen. dial. VI 16, 1; Stat. silv. V 3, 68; Iuv. 3, 78; 6, 331 sg.
– Maronis opus: Virgilio è considerato in età flavia il massimo poeta latino
e Marziale non si distacca dal gusto dei suoi tempi (cfr. anche v. 10; vd.
Citroni 19872). La iunctura si trova nella stessa posizione del pentametro
anche in V 5, 8.
9 sg. Insanis: solo pensare di potersi arricchire con la poesia è folle.
Echeggia in queste parole l’amarezza del poeta che sente di vivere in un’età
che concede scarsi riconoscimenti ai letterati (vd. la n. a 4, 7 sg. poeta /
exierat: veniet, cum citharoedus erit). L’allocuzione, di natura iperbolica
(vd. ThlL VII 1, 1829, 83 sgg.), appartiene alla lingua d’uso e ricorre in
commedia (Plaut. Aul. 653; Epid. 575; Ter. Eun. 657; Ad. 937); sul ca-
rattere marcatamente affettivo delle espressioni che indicano anormalità
intellettuale vd. Hofmann, LU, p. 206. – gelidis … lacernis: la lacerna è
un mantello più leggero della toga, indossato talvolta sopra di essa (vd.
Wilson 1938, pp. 117-125; Blümner 1911, pp. 215-217); è menzionata
come spia di povertà in VI 82, 9-12; IX 57, 1. Sulla miseria dei poeti, che
si può evincere dalle loro vesti, cfr. anche X 76, 5 sgg. iucundus, probus,
innocens amicus, / lingua doctus utraque, cuius unum est, / sed magnum
vitium quod est poeta, / pullo Maevius alget in cucullo. Gelidus riferito
al vestiario ricorre nel solo Marziale ancora in VI 50, 2 errabat gelida
sordidus in togula; VII 92, 7 esse queror gelidasque mihi tritasque lacernas
(vd. ThlL VI 1729, 74 sgg.); cfr. anche IV 34, 1 sg. sordida cum tibi sit,
verum tamen, Attale, dicit, / quisquis te niveam dicit habere togam; IX
49, 8 quam (sc. togam) possis niveam dicere iure tuo; XII 36, 2 algentem
… togam; XIV 135 (137), 2 algentes … togas. – Nasones Vergiliosque:
poeti per antonomasia; per Virgilio cfr. VIII 55 (56), 5 sint Maecenates,
non derunt, Flacce, Marones; per Ovidio Marziale usa sempre il cognomen
Naso, più comodo metricamente (I 61, 6; V 10, 10; XII 44, 6; XIV 192, 2);
il nomen ricorre solo in XIV 192 tit. Ovidi Metamorphosis in membranis.
Sui plurali generalizzanti vd. Hofmann-Szantyr, p. 19; in Marziale cfr.
304 M. Val. Martialis liber tertius

anche I 24, 3 qui loquitur Curios adsertoresque Camillos; V 28, 3 sgg.


pietate fratres Curvios licet vincas, / quiete Nervas, comitate Rusones,
/ probitate Macros, aequitate Mauricos, / oratione Regulos, iocis Paulos;
VII 58, 7 quaere aliquem Curios semper Fabiosque loquentem; IX 25, 10
Phineas invites, Afer, et Oedipodas; 27, 6 Curios, Camillos, Quintios,
Numas, Ancos; 28, 4 solvere qui Curios Fabriciosque graves; XII 36, 8 sg.
Pisones Senecasque Memmiosque / et Crispos mihi redde, sed priores.
11 sg. ‘Atria magna colam’: l’ultima scelta di Sesto è quella della clientela:
nell’atrium delle ricche dimore nobiliari avveniva la salutatio matutina e
lì si accalcavano folle di clienti in attesa di una sportula (cfr. Hor. epist. I
5, 31). Gli atria simboleggiano la clientela e il prestigio del patrono, che vi
disponeva le imagines degli antenati (cfr. II 90, 6 atria … immodicis artat
imaginibus): cfr. IV 40, 1 atria Pisonum stabant cum stemmate toto; V
20, 5-7 nec nos atria nec domos potentum / … / nossemus; IX 100, 2
observare iubes atria, Basse, tua; XII 68, 2 atria, si sapias, ambitiosa colas;
per il nesso atria magna cfr. Iuv. 7, 91 tu nobilium magna atria curas?; in
generale vd. RE II 2146, 7 sgg.; Daremberg-Saglio I, p. 530 sgg. – colam:
da colere, secondo l’antica etimologia, deriverebbe cliens: cfr. Isid. orig.
X 53 clientes prius colentes dicebantur, a colendis patronis; Aug. civ. X
1 dicimur … colere etiam homines, quos honorifice vel recordatione vel
praesentia frequentamus; vd. Maltby 1991, s.v. cliens, p. 135. Per colere
in Marziale come verbo ‘tecnico’ che designa l’ossequio reso dai clienti ai
patroni cfr. specialmente II 55, 1 sgg. vis te, Sexte, coli: volebam amare. /
parendum est tibi: quod iubes, colere. / sed si te colo, Sexte, non amabo;
vd. anche V 19, 8; VI 50, 1; X 5, 2; 96, 13; per la iunctura cfr. XII 68, 2
cit. supra; vd. inoltre Plin. epist. III 7, 4; Iuv. 7, 37. – vix tres aut quattuor:
espressione colloquiale per indicare un numero scarso, cui vix conferisce
un’attenuazione ulteriore: cfr. II 44, 2 seu tres, ut puta, quattuorve libras;
V 60, 9 unus vel duo tresve quattuorve; VIII 64, 3 tresve quattuorve (duo
tresve in XI 1, 13; XII 2, 17); vd. anche Cic. Phil. 2, 98; fin. II 19; Sen.
ben. VII 21, 2. Per vix con numerali cfr. II 6, 2; 57, 8; VI 28, 9; 54, 2; VII
53, 9; X 70, 1. – ista / res aluit: la clientela offre privilegi soltanto ad un
ristretto numero di persone, mentre la folla restante (turba) è costretta a
vivere di stenti. Aluit è perfetto di consuetudine: cfr. anche III 46, 10 esse
pudor vetuit fortia verba mihi. – pallet … fame: per il pallore provocato
dalla fame cfr. XII 32, 7 sg. frigore et fame siccus / et non recenti pallidus
magis buxo (sc. Vacerra); Verg. Aen. III 217 sg. pallida semper / ora
Epigramma 38 305

fame; Prud. C. Symm. II 916 mortalis pallere inopes ac panis egenos; vd.
anche Ps. Quint. decl. 12, 2; 12, 7. – cetera turba: la contrapposizione con
tres aut quattuor mette in risalto l’elevato numero di coloro che soffrono
la fame. Turba indica la folla degli indigenti anche in X 10, 3 sg. hic ego
quid faciam? quid nobis, Paule, relinquis, / qui de plebe Numae densaque
turba sumus?
13. Quid faciam, suade: l’interpunzione di SB appare senz’altro preferibile
a quella vulgata (quid faciam? suade), influenzata probabilmente da Iuv. 3,
41 quid Romae faciam? mentiri nescio eqs., in contesto analogo (cfr. anche
Mart. X 10, 3 hic ego quid faciam?). Le offre sostegno l’esatto parallelo
di questa espressione in Ps. Quint. decl. 5, 12 suadete, quid faciam (=
7, 3). – certum est: locuzione di stampo colloquiale; esprime una decisa
risoluzione (vd. ThlL III 911, 17 sgg.). Essa ricorre ben 63 volte in Plauto
e 8 volte in Terenzio. In Marziale cfr. anche V 60, 3 certum est hanc tibi
pernegare famam.
14. si bonus es: a Roma soltanto i disonesti hanno la certezza di arricchirsi,
mentre i boni possono affidarsi unicamente al caso: cfr. VI 50, 1 sgg. cum
coleret puros pauper Telesinus amicos, / errabat gelida sordidus in togula:
/ obscenos ex quo coepit curare cinaedos, / argentum, mensas, praedia
solus emit. / vis fieri dives, Bithynice, conscius esto. / nil tibi vel minimum
basia pura dabunt (su cui vd. il commento di Grewing); vd. anche IV 5, 1
sg. vir bonus et pauper linguaque et pectore verus, / quid tibi vis urbem
qui, Fabiane, petis?; 9 sg. unde miser vives? ‘homo certus, fidus amicus’ /
hoc nihil est: numquam sic Philomelus eris (su Filomelo vd. la n. a 31, 6);
Plin. epist. II 20, 12 in ea civitate, in qua iam pridem non minora praemia,
immo maiora, nequitia et improbitas quam pudor et virtus habent; Iuv.
1, 73 sgg. aude aliquid brevibus Gyaris et carcere dignum, / si vis esse
aliquid. probitas laudatur et alget; / criminibus debent hortos, praetoria,
mensas, / argentum vetus et stantem extra pocula caprum; 3, 21 sgg. hic
tunc Umbricius:‘quando artibus-inquit-honestis / nullus in urbe locus,
nulla emolumenta laborum’ eqs. Non appaiono pertanto giustificate le
correzioni del testo proposte da Shackleton Bailey 1978, p. 276 = Id. 1997,
p. 68 (ni bonus es o si penus est) e da L. Håkanson, Miscellanea critica,
«Phoenix» 36, 1982, p. 241 sg. (censu per casu), rigettate dallo stesso SB
nelle sue edizioni (vd. SB1 in apparato: «nullam, si quis bonus est, certam
quaestus viam inveniet, si malus, multas. eis quae ego et Håkanson olim
coniecimus nihil opus erat»). Altrettanto poco plausibile l’ipotesi, avanzata
306 M. Val. Martialis liber tertius

da Walter, p. 132 sg, che bonus significhi «gut im Bett». – casu vivere
… potes: Marziale evidenzia, con amara ironia e con un’espressione
paradossale, un’anomalia della vita a Roma, città nella quale gli onesti
devono tirare avanti senza certezze, in balia del caso, mentre i corrotti sono
sicuri di arricchirsi. Casu ha qui valore pressoché avverbiale (cfr. CGL IV
216, 13 ; II 461, 20 ; II 98, 17. 293, 34 ).
Meno persuasiva l’interpretazione di Friedlaender, ad loc.: «Durch einen
(glücklichen) Zufall, also, wenn du Glück hast», condivisa da Hey (ThlL III
575, 27 sgg.): l’affermazione di Marziale assume un carattere di sententia
generale se non si dà a casus il valore di ‘singolo evento (positivo)’, ma
quello più ampio di ‘caso’, ‘sorte’. Costituisce un parallelo unicamente
lessicale con questa espressione Soph. O. T. 979 ,
citato da SB2, I, p. 227 n. b, in cui Giocasta esorta Edipo a vivere alla
giornata, senza troppe preoccupazioni. Non molto più di una affinità
formale con Marziale mostra anche Sen. epist. 71, 3 ignoranti quem
portum petat nullus suus ventus est. necesse est multum in vita nostra
casus possit, quia vivimus casu, citato a confronto da Shackleton Bailey
1978, p. 276 = Id. 1997, p. 68, dove il filosofo lamenta l’assenza di un
fine nelle azioni dell’uomo, che si muove colpevolmente in balia del caso,
ignorando quale sia il vero bene.
Epigramma 39 307

39

Iliaco similem puerum, Faustine, ministro


lusca Lycoris amat. Quam bene lusca videt!

hab. T tit. ad faustinum T 1 puerum TLPQ²s.l.f : puero Q¹ 2 lusca (pr.)T V²:


iusta EAXV¹

Un ragazzo simile al coppiere di Ilio, o Faustino,


ama la guercia Licoride. Quanto vede bene la guercia!

La guercia Licoride, amando un ragazzo bello come Ganimede, dimostra


di vederci molto bene. L’epigramma costituisce una variazione giocosa
sul tema topico della cecità degli innamorati (vd. Tosi 1994, nr. 1418 e
la n. intr. all’epigr. 8), poiché è una lusca, dunque realmente menomata
nella vista, che invece vede benissimo l’oggetto della sua passione. Un
motivo analogo è sviluppato in VIII 51 (49) formosam sane, sed caecus
diligit Asper. / plus ergo, ut res est, quam videt Asper amat, in cui Asper è
realmente cieco e dunque di lui più d’ogni altro si può dire che ami più di
quanto vede (sulla pointe, malintesa da molti, vd. Shackleton Bailey 1978,
p. 283). Su Faustino, dedicatario del libro, si veda l’Introduzione, § 3. La
satira rivolta contro chi ha malformazioni fisiche, sebbene sia considerata
come deteriore da Cicerone (de orat. II 246) e Persio (1, 128), è ampiamente
praticata da Marziale, nei cui epigrammi ricorrono spesso lusci (II 33; III
8; 11; IV 65; VI 78; VIII 9; 59; IX 37; XI 73; XII 22; 70; vd. Watson
1982). Il motivo è del tutto marginale nella tradizione scoptica: manca
nell’Anthologia Palatina, dove pure abbondano componimenti satirici
contro vari difetti fisici (specialmente nel libro XI), come anche in Catullo.
Un precedente letterario è in Plaut. Curc. 392 sgg. LY. unocule, salve. CV.
quaeso, deridesne me? / LY. de Coclitum prosapia te esse arbitror, / nam
i sunt unoculi. Nerone aveva scritto un carme contro Clodio Pollione dal
titolo Luscio (Suet. Dom. 1, 1). Qui il difetto fisico si contrappone alla
bellezza del fanciullo, creando un effetto discordante. La struttura è tra le
più comuni dei monodistici marzialiani: l’esametro e il primo emistichio
del pentametro contengono la narratio, l’ultima parte del pentametro è
riservata ad un arguto commento in forma di esclamazione paradossale:
308 M. Val. Martialis liber tertius

per una simile conclusione cfr., ad es., XII 50, 7 sg. atria longa patent. sed
nec cenantibus usquam / nec somno locus est. quam bene non habitas!
Il nome Lycoris, associato ad Apollo ( è epiteto del dio), era
stato reso famoso dalle elegie di Cornelio Gallo (cfr. VIII 73, 6 ingenium
Galli pulchra Lycoris erat); esso compare anche in Hor. carm. I 33, 5 per
una bella fanciulla. In Marziale ricorre spesso, con intenzione antifrastica,
per etere (si tratta per lo più del tipo dell’etera brutta e invecchiata): cfr.
I 72, 6 sg.; 102; IV 24; 62, 1; VI 40; VII 13. Altrove è raramente attestato
(vd. Pape-Benseler, p. 827). Forse in questo caso ha influito nella scelta la
possibilità di realizzare l’allitterazione (lu … Ly …).

1. Iliaco similem puerum … ministro: il paragone di bei fanciulli (spesso


coppieri) con Ganimede è motivo topico nell’epigramma greco: cfr., ad
es. AP XII 37 (Dioscoride); 68; 70; 133 (Meleagro); 69 (anonimo); 194
(Stratone). In Marziale cfr. II 43, 13 grex tuus Iliaco poterat certare cinaedo;
VII 50, 3 sg. cum tua tot niveis ornetur ripa ministris / et Ganimedeo
luceat unda choro; VIII 46, 5 tu Ganimedeo poteras succedere lecto; IX 22,
11 sg. aestuet ut nostro madidus conviva ministro / quem permutatum
nec Ganymede velis; X 66, 7 sg. si tam sidereos manet exitus iste ministros,
/ Iuppiter utatur iam Ganimede coco; 98, 1 sg. minister / Ideo resolutior
cinaedo; XI 26, 5 sg. addideris super haec Veneris si gaudia vera, / esse
negem melius cum Ganymede Iovi; vd. anche VIII 39, 4 Ganimedea …
manu. Il nome è usato per antonomasia in IX 73, 6 et pruris domini
cum Ganymede tui; 103, 7 sg. mansisses, Helene, Phrygiamque redisset
in Iden / Dardanius gemino cum Ganimede Paris; XI 22, 2 nudo cum
Ganymede iaces; vd. anche Iuv. 5, 59. Iliacus minister non ricorre altrove;
cfr. però le iuncturae analoghe: Iliacus cinaedus (II 43, 13); Phryx puer
(IX 36, 2); Phrygius minister (XII 15, 7); Phryx assoluto (X 20, 9); Idaeus
cinaedus (X 98, 2); Dardanius minister (XI 104, 19); Iliacus puer (Ov.
trist. II 406; Iuv. 13, 43).
Epigramma 40 309

40 (41)

Inserta phialae Mentoris manu ducta


lacerta vivit et timetur argentum.

om. Q¹, add. Q² in mg. cum 39 confl. LPf tit. de phiola EA: ad phiola XV ad phialum
f² in mg. de lacerta celata Q² om. LPf¹ 1 ducta Q²f² : ductat LPf¹

Un ramarro, inserito in un vaso, modellato


dalla mano di Mentore, vive e l’argento incute timore.

Breve descrizione di un vaso d’argento cesellato, di cui Marziale sottoli-


nea il realismo (sull’esaltazione del realismo nell’epigramma vd. la n. intr.
all’epigr. 35). Mentore, celebre cesellatore greco del IV sec., fu considerato,
almeno nel mondo romano, sommo artista nel suo campo: cfr. Plin. nat.
XXXIII 154 maxime … laudatus est Mentor (l’unica attestazione in
ambito greco è Lucian. Lexiphan. 7). I suoi oggetti cesellati sono citati
come opere di pregevole qualità (cfr. Prop. I 14, 2; III 9, 13; Iuv. 8, 104);
suoi vasi erano conservati nel tempio di Giove Capitolino (Plin. nat. VII
127); l’oratore L. Crasso aveva acquistato due scyphi cesellati da Mentore
al prezzo di 100000 sesterzi (Plin. nat. XXXIII 147); sulla importazione a
Roma di oggetti artistici cesellati vd. Plin. nat. XXXIII 148. Su Mentore si
veda RE XV 965, 40-967, 7. Marziale lo nomina spesso come modello di
perfezione nell’arte toreutica: cfr. VIII 50 (51), 1 sgg. quis labor in phiala?
docti Myos anne Myronos? / Mentoris haec manus est an, Polyclite,
tua?; IV 39, 5 solus Mentoreos habes labores; IX 59, 16 pocula Mentorea
nobilitata manu; vd. anche XI 11, 6; XIV 93, 2. L’epigramma è l’unica
fonte letteraria a fornire il soggetto di una coppa di Mentore; potrebbe
anche trattarsi dell’imitazione di un modello greco (Lippold, RE XV 966,
61 sgg.).

1. inserta: il verbo è usato in questa accezione solo in questo passo;


per un uso analogo cfr. Cassiod. Ios. Antiq. 12, 2 p. 335 per medium (sc.
craterarum) … sculptura pulchris lapidibus inserta. – phialae: la phiala
è un recipiente per bere basso e largo (vd. Hilgers 1969, pp. 74; 250 sgg.;
Marquardt 1886, pp. 74; 651; G. Hölscher in RE XIX 2059, 50 sgg.); una
310 M. Val. Martialis liber tertius

phiala aurea caelata di Mys è il soggetto di XIV 95; il dono di una phiala
suggerisce a Marziale un fantasioso epigramma (VIII 33), in cui ne descrive
la sottigliezza attraverso un succedersi di immagini (vd. al riguardo le fini
osservazioni di La Penna 1992, p. 7 sgg.); in VIII 50 Marziale esalta una
phiala donatagli da Instanio Rufo attribuendola scherzosamente ai maggiori
cesellatori. – ducta: duco qui nell’accezione ‘tecnica’ relativa a opere scolpite
o cesellate: cfr. Verg. Aen. VI 847 sg. excudent alii spirantia mollius aera /
(credo equidem), vivos ducent de marmore vultus; vd. ThlL V 1, 2148, 64-
2149, 17; Bömer 1952, p. 120 sg. Per ducta assoluto (sc. ex aere) cfr. Claud.
carm. min. 7, 7 sg. (tit. De quadriga marmorea) una silex tot membra ligat
ductusque per artem / mons patiens ferri varios mutatur in artus; un uso
analogo del verbo in greco si trova in Mimn. El. 10, 5 sg. D. (=
5, 5 sg. G.-P.)
. Non appaiono pertanto necessarie le congetture ductae di Heinsius
e docta di Rooy. La lezione ductat (LPf¹) può essere forse una dittografia
dipendente dalla scrittura: nella beneventana infatti la a e la t si confondono
(ad un archetipo in beneventana per la seconda famiglia conducono alcuni
errori caratteristici della scrittura: vd. Lindsay 1901, p. 416 sg.; Reeve 1983,
p. 240). Per casi analoghi cfr. V 18, 8 musca (muscat ); XI 8, 4 verna
(vernat ); vd. Heraeus, ad I 48, 6, p. XXIV.
2. lacerta: il soggetto dell’opera è posto in risalto all’inizio del verso, in
rima interna con l’incipit dell’epigramma (inserta). Sulla corrispondenza
tra lacerta e / vd. RE XI 1957, 60 sgg.; ThlL VII 2, 828,
40 sgg.; cfr. XIV 172, 1 (tit. Sauroctonos Corinthius) ad te reptanti, puer
insidiose, lacertae. Il femminile ricorre in Copa 28; Hor. carm. I 23, 7;
Ov. met. V 458; il maschile lacertus in Verg. ecl. 2, 9; georg. IV 13. – vivit:
l’opera è così realistica da sembrare viva; sull’uso pregnante di vivere in
contesti analoghi vd. Bömer 1952, p. 122; Fuà 1973, p. 54.
Epigramma 41 311

41 (40)

Mutua quod nobis ter quinquagena dedisti


ex opibus tantis, quas gravis arca premit,
esse tibi magnus, Telesine, videris amicus.
Tu magnus, quod das? Immo ego, quod recipis.

hab. T tit. ad t(h)elesinum TLPf : ad talesinum Q 1 quod TLPQf¹EAV: quid f²s.l.X


2 quas T EAV²s.l.: quis XV¹ 3 esse tibi magnus telesine videris T V²in mg. (telestine
f¹): esse tibi l(a)ete si magnus viveris EX esse tibi laeti magnus viveris A¹ esse tibi thelesi
magnus viveris A² esse tibi thelesi magnusne videris A³ esse tibi laete si magnus vivis
V¹ 4 magnus T V²in mg.: magnos EAXV¹

Perché mi hai dato in prestito centocinquantamila sesterzi


di tante ricchezze che il tuo pesante forziere comprime,
ti credi di essere, o Telesino, un grande amico.
Tu grande, perché me li dai? Ma io lo sono, perché li ricevi indietro.

A Telesino, che si sente munifico per aver prestato al poeta una somma
di denaro elevata, Marziale controbatte che non è tanto lodevole il suo
prestito, dal momento che è ricchissimo, quanto la restituzione della somma
da parte dell’amico bisognoso. Prestiti e debiti costituiscono il tema di
numerosi epigrammi di Marziale: cfr. I 75; II 3; 30; VI 5; 20; 30; VIII 9; IX
102; X 15 (14); XI 76 (sul motivo vd. Grewing, p. 98 sgg.). L’idea di fondo
dell’epigramma è che il ricco patrono potrebbe senz’altro permettersi di
donare quanto gli viene richiesto e dunque esigere la restituzione del prestito
equivale ad ammettere la propria scarsa generosità (sul tema del declino del
patronato cfr., ad es., XII 36). Il nome Telesino ricorre anche in VI 50 e XII
25; in quest’ultimo è un ricco che presta denaro soltanto dietro garanzia. In
Iuv. 7, 25 Telesino è il nome di un poeta indigente. Per le attestazioni del
nome, che deriva dalla città di Telesia, vd. Kajanto 1965, pp. 50; 52; 187.

1. Mutua: la prima parola dell’epigramma ne anticipa il contenuto: cfr.


II 30, 1 mutua viginti sestertia forte rogabam; VI 20, 1 mutua te centum
sestertia, Phoebe, rogavi; per la collocazione in apertura di epigramma
di termini-chiave vd. anche le nn. a 30, 1 sportula; 43, 1 mentiris; 75, 1
stare.
312 M. Val. Martialis liber tertius

2. ex opibus tantis: l’espressione ricorre ancora in II 43, 15 sg. ex opibus


tantis veteri fidoque sodali / das nihil. – quas gravis arca premit: l’immagine
del forziere stracolmo ricorre in numerosi epigrammi per descrivere
l’opulenza di patroni: vd. la n. a 31, 3 et servit dominae numerosus debitor
arcae.
3. esse tibi magnus … videris: alla positiva opinione che Telesino ha
di sé (tibi … videris), Marziale contrappone nell’ultimo verso il proprio
giudizio: per tale tecnica cfr. I 41, 1 sg. urbanus tibi, Caecili, videris. /
non es, crede mihi. quid ergo? verna; II 1, 11 sg. (al suo liber) esse tibi
tanta cautus brevitate videris? / ei mihi, quam multis sic quoque longus
eris; VII 41, 1 sg. Cosmicos esse tibi, Semproni Tucca, videris: / Cosmica,
Semproni, tam mala quam bona sunt.
4. immo: l’avverbio, molto frequente in Plauto (vd. P. Spedit, De immo
particulae apud priscos scriptores usu, Diss. Jena 1914), in Marziale
introduce spesso l’ : cfr. I 10, 3; III 47, 15; IV 84, 4; VI
94, 4; VIII 10, 3; vd. anche V 63, 6; Gerlach 1911, p. 25 sgg.; ThlL VII 1,
473, 40-81.
Epigramma 42 313

42

Lomento rugas uteri quod condere temptas,


Polla, tibi ventrem, non mihi labra linis.
Simpliciter pateat vitium fortasse pusillum:
quod tegitur, maius creditur esse malum.

hab. T cum 41 confl. f tit. ad pollam LPQ , f in mg.: ad puellam T 1 lomento


TPQ²fEA¹XV: lomenta L fomento A² vomento Q¹ condere TLQEAV: contendere X
credere Pf¹ tendere f²s.l. 3 simpliciter T A²XV: simplici uter EA¹ pateat T EA²XV:
puteat A¹ pusillum TLPQf¹: pusillum (e)st f² 4 maius : magnum T malum TLPQf¹:
nefas f²v.l.

Tenti di nascondere le rughe del ventre con farina di fave,


o Polla, ma impiastri il tuo ventre, non i miei occhi.
Sia visibile apertamente un difetto forse piccolo:
quello che si copre, viene creduto un male più grande.

Polla è una vecchia etera che tenta di nascondere i segni del tempo con
un preparato di farina di fave (lomentum). Nell’ultimo distico, che assume
la forma di un ammonimento morale, Marziale la invita non nascondere
i propri difetti e conclude con un’espressione dal carattere sentenzioso.
L’epigramma è rivolto a coloro che tentano di apparire migliori di quello
che sono, celando i propri difetti: allo stesso filone appartengono gli
epigrammi contro chi si profuma troppo (vd. la n. intr. all’epigr. 55) e
contro chi si tinge (vd. la n. intr. all’epigr. 43, rivolto ad un tale che si tinge
i capelli). Il nome Polla, piuttosto diffuso (vd. Kajanto 1965, p. 243 sg.),
ricorre in Marziale anche in X 40; 69; 91; XI 89 per diversi tipi; in VII 21;
23; X 64 si tratta di Polla Argentaria, la vedova di Lucano.

1. Lomento: il lomentum è un preparato di farina di fave: cfr. Plin. nat.


XVIII 117 lomentum appellatur farina ex ea (sc. faba); Pall. XI 14, 9 ex
faba lomentum factum; vd. Hug, RE XIII 1395 sgg. Era utilizzato per
lavare e curare la pelle; se ne facevano maschere per il viso: ad esse fa
riferimento Ovidio in med. 69 sg. nec tu pallentes dubita torrere lupinos
/ et simul inflantes corpora frige fabas; in VI 93, 10 aut tegitur pingui
terque quaterque faba, Marziale menziona un suo utilizzo per coprire il
314 M. Val. Martialis liber tertius

cattivo odore (vd. il commento di Grewing). L’uso del lomentum per


coprire le rughe del ventre è testimoniato anche in XIV 60 tit. lomentum.
gratum munus erit scisso nec inutile ventri, / si clara Stephani balnea
luce petes. – rugas uteri: il difetto fisico è menzionato come possibile
causa di pudore in III 72, 4 aut sulcos uteri prodere nuda times. Le rughe
del ventre, segno del trascorrere del tempo, sono anche conseguenza di
numerosi parti: cfr. Ov. ars III 81 sg. adde quod et partus faciunt breviora
iuventae / tempora: continua messe senescit ager; vd. anche am. II 14, 7
sg. Il poeta di Sulmona suggerisce alle donne segnate dalle rughe sul ventre
una figura Veneris adatta a nasconderle: cfr. ars III 785 sg. tu quoque
cui rugis uterum Lucina notavit, / ut celer aversis utere Parthus equis.
– quod: su questo uso della congiunzione nel senso di ‘was das betrifft,
daß’, ‘wenn’, già testimoniato nel latino arcaico (cfr. Plaut. Truc. 471 ego
quod mala sum, matris opera mala sum), vd. Hofmann-Szantyr, p. 573
sg.; OLD, s.v. quod, nr. 6; in Marziale cfr., in questo libro, 55, 1 sg.; 62,
1-7; inoltre II 11, 1 sgg. quod fronte Selium nubila vides, Rufe, / quod
ambulator porticum terit seram, / … / (6) non ille amici fata luget aut
fratris; XII 89, 1 sg. quod lana caput alligas, Charine, / non aures tibi,
sed dolent capilli.
2. non mihi labra linis: labra linere (con le varianti os sublinere, oblinere)
è espressione proverbiale piuttosto comune (vd. Otto, Sprichwörter, nr.
1312; ThlL IX 2, 1084, 22-29, s.v. os), per lo più equivalente all’italiano
‘darla a bere’: la sua origine è spiegata da Non. p. 45, 18 sg. M. sublevit:
significat inlusit et pro ridiculo habuit: tractum a genere ludi, quo
dormientibus ora pinguntur; cfr. anche Petron. 22, 1 cum Ascyltos …
in somnum laberetur, illa … ancilla totam faciem eius fuligine larga
perfricuit et non sentientis labra umerosque sopi[ti]onibus pinxit; ricorre
spesso in Plauto (Aulul. 668; Capt. 604; 631; 656; 783; Curc. 549; Epidic.
429; 491; Merc. 485; 604; 631; Mil. 110; 153; 468; Poen. 1195; Pseud. 719;
Trinum. 558); vd. anche Verg. ecl. 6, 22.
3. simpliciter: l’invito alla sincerità ricorre anche negli altri epigrammi
rivolti a personaggi che tentano di celare i propri vizi o difetti: cfr. I 87,
7 sg. notas ergo nimis fraudes deprensaque furta / iam tollas et sis ebria
simpliciter; VI 7, 6 offendor moecha simpliciore minus (vd. Grewing,
ad loc.); X 83, 9 vis tu simplicius senem fateri? L’avverbio simpliciter,
frequente in prosa, è usato spesso in poesia dal solo Marziale (8 volte);
compare soltanto una volta in Ovidio e due volte in Fedro. – vitium:
Epigramma 42 315

nell’accezione di ‘difetto del corpo’ compare, ad es., in Plaut. Most. 274


sg. nam istae veteres, quae se unguentis unctitant, interpoles, / vetulae,
edentulae, quae vitia corporis fuco occulunt; Ov. ars I 249 nocte latent
mendae, vitioque ignoscitur omni; cfr. anche Plin. nat. XII 84; vd.
OLD, s.v. vitium nr. 2 b. – fortasse: sull’avverbio, di livello stilistico più
prosaico rispetto a forte, forsitan, vd. la n. a 1, 3. – pusillum: l’aggettivo,
appartenente alla sfera quotidiana, è frequente in Marziale (11 occorrenze);
altrove è raro in poesia: ricorre due volte in Catullo e Orazio sat.; una in
Ovidio e Giovenale.
4: conclusione con una sententia dal sapore proverbiale (per l’ampio uso
di Marziale di sententiae nella chiusa degli epigrammi vd. la n. a 5, 11 sg.).
– maius … malum: come giustamente osservato da Housman 1925, p. 200
(= Class. Pap., p. 1099 sg.), le varianti magnum di T (per maius di )e
nefas di (per malum di T ; la seconda mano di f contamina con un testo
di terza famiglia) derivano con ogni probabilità da contaminazione con
III 72, 2 nescioquod magnum suspicor esse nefas (dove magnum, lezione
sicuramente genuina, è in T ; maius di contamina con questo verso).
Se infatti magnum fosse lezione corretta anche in questo passo, non si
spiegherebbe la presenza di maius in parte della tradizione in entrambi i
versi. Lindsay 1903, p. 36 n. e, dubbioso sull’ipotesi di contaminazione da
un passo parallelo, riteneva invece malum e nefas come possibili varianti
d’autore. Magnum … malum, comunque accettabile dal punto di vista del
senso, è stato preferito da Schneidewin, Gilbert, Friedlaender, Heraeus.
Non persuasiva appare l’interpunzione proposta da SB (quod tegitur,
maius creditur esse, malum), con cui si perderebbe la contrapposizione
tra vitium pusillum e maius malum.
316 M. Val. Martialis liber tertius

43

Mentiris iuvenem tinctis, Laetine, capillis,


tam subito corvus, qui modo cycnus eras.
Non omnes fallis; scit te Proserpina canum:
personam capiti detrahet illa tuo.

hab. R tit. ad l(a)etinum qui caput tingebat Lf: ad l(a)etinum RPQ 1 iuvenem
R EA²XV: iuvem A¹ 2 modo RLP²s.l.Qf : om. P¹ cycnus EAX: cygnus R cignus V
3 non RLPQ²f : nam Q¹ fallis RLPQf¹: falles f²s.l.

Ti fingi giovane, o Letino, con i capelli tinti,


corvo così d’improvviso, tu che poc’anzi eri cigno.
Non la fai a tutti; Proserpina sa che sei canuto:
toglierà lei la maschera al tuo capo.

A Letino, che si tinge i capelli per apparire giovane, Marziale ricorda che
egli potrà anche ingannare gli uomini, ma non sfuggire alle leggi di natura
(rappresentate da Proserpina). L’epigramma prende di mira l’uso di tinture
o cosmetici per assumere un aspetto più giovanile. Il tema è diffuso sia
nell’epigramma greco del tardo periodo repubblicano e della prima età
imperiale (cfr. AP V 76, 5; XI 66; 67; 68; 69; 256; 310; 374) che nel mondo
romano (cfr. Tib. I 8, 9 sgg.; 43 sgg.; Prop. I 2; II 18 b; Ov. am. I 14; ars III
163 sg.); sull’argomento vd. Brecht 1930, pp. 62-64; Pertsch 1911, p. 39 sg. In
Marziale ricorre ancora in IV 36 cana est barba tibi, nigra est coma: tinguere
barbam / non potes -haec causa est- et potes, Ole, comam (che, come questo,
prende di mira un uomo, differenziandosi dalla tradizione, in cui tale satira
appartiene alla vetula-Skoptik). Come rilevato già da Prinz 1911, p. 55 sg. e
da Pertsch 1911, p. 18, l’epigramma mostra significative analogie con AP XI
408 (per un’accurata analisi comparativa vd. Burnikel, 1980, p. 48 sgg.):

; 5
.
Epigramma 43 317

L’epigramma presenta una duplice attribuzione: a Luciano dal Palatinus, a


Lucillio da Planude (la confusione tra i due nomi è facilissima dal punto di
vista paleografico e lo stesso caso si verifica anche altrove: vd. Geffcken 1927,
col. 1778, 10 sgg.). L’attribuzione planudea, raccomandata dalla presenza
del tema in epigrammi lucilliani (AP XI 68; 69; 310), dall’imitazione di
Marziale e dalla menzione comica delle figure mitologiche nella conclusione,
caratteristica di Lucillio (cfr. AP XI 69; 256; 278), è, probabilmente a
ragione, prevalente nella critica (vd. P. Sakolowski, De Anthologia Palatina
quaestiones, Lipsiae 1893; Prinz 1911, p. 55 sg.; Geffcken 1927, col. 1778,
31 sgg.; A. Linnenkugel, De Lucillo Tarrhaeo epigrammatum poeta,
grammatico, rhetore, Diss. Paderborn 1926, p. 17; H. Beckby, III, München
1958, ad loc.; Burnikel 1980, p. 49 n. 110); offre credito invece all’attribuzione
a Luciano del Palatinus Aubreton, ad loc. È del resto oggetto di discussione
se gli epigrammi dell’AP attribuiti a Luciano siano da ascrivere al retore di
Samosata o ad un omonimo (sulla questione, di ardua risoluzione, vd. B.J.
Rozema, Lucillius the epigrammatist: Text and Commentary, Diss. Univ.
of Wisconsin 1971, pp. 239-252 e, da ultimo, G. Nisbet, Greek Epigram in
the Roman Empire, Oxford 2003, pp. 165-181). Il nome Letino, attestato
nelle iscrizioni (vd. Kajanto 1965, p. 261), ricorre ancora soltanto in XII 17
per un ricco patrono.

1. Mentiris iuvenem: per mentiri aliquid nell’accezione di simulare, imitari


vd. ThlL VIII 780, 20 sgg.; Löfstedt, Syntactica, I, p. 246 sg. L’uso ricorre
in Marziale ancora in I 90, 8 mentitur … virum prodigiosa Venus e, in
contesto analogo, in VI 57, 1 mentiris fictos unguento, Phoebe, capillos; per
l’omissione del pronome cfr. Apul. met. XI 8 soccis obauratis … incessu perfluo
feminam mentiebatur. La iunctura ritorna in Drac. Laud. Dei III 500 bella
diu gessit iuvenem mentita sub armis. La prima parola dell’epigramma è spia
dell’argomento: cfr. VI 57, 1 cit. supra; vd. anche le nn. a 30, 1 sportula; 41 (40),
1 mutua; 75, 1 stare.
2. corvus … cycnus: il nero dei corvi è contrapposto al bianco dei cigni
anche in I 53, 7 sg. sic niger in ripis errat cum forte Caystri, / inter Ledaeos
ridetur corvus olores; vd. anche Apul. Socr. p. 110 Oud.; Claud. 18, 348 sg. Sul
proverbiale colore nero del corvo: vd. Otto, Sprichwörter, p. 104; in relazione
ai capelli cfr. Petron. 43, 7 niger tamquam corvus. Anche il candore dei cigni è
proverbiale: cfr. Verg. ecl. 7, 37 sg.; vd. Otto, Sprichwörter, ibid.; in Marziale cfr.
I 115, 2 loto candidior puella cycno. Per la menzione del cigno in relazione alla
318 M. Val. Martialis liber tertius

canizie cfr. Aristoph. Vesp. 1064; Eur. Herc. 692 sgg.; Ba. 1365; in ambito latino
cfr. Ov. trist. IV 8, 1 sg. iam mea cycneas imitantur tempora plumas, / inficit
et nigras alba senecta comas. Cycnus, grecismo lessicale, appartiene alla lingua
poetica (a partire da Lucrezio).
3. fallis: la lezione di RLPQf¹ è senz’altro corretta: falles di f²s.l. sarà da
attribuire ad omeoteleuto (omnes falles) o ad attrazione del futuro del v. seguente
(detrahet). La stessa alternanza ricorre in IV 42, 15 iam scio nec fallis ( , edd.:
falles facilis ). Tra gli editori moderni solo Schneidewin1 ha accolto il futuro.
– scit te Proserpina canum: Proserpina, dea degli Inferi, recideva, secondo la
tradizione poetica, la ciocca di capelli fatale dal capo delle persone al momento
della loro morte (il motivo risale ad Eur. Alc. 74): cfr. Verg. Aen. IV 698 sg.
nondum illi flavum Proserpina vertice crinem / abstulerat Stygioque caput
damnaverat Orco; Hor. carm. I 28, 19 sg. nullum / saeva caput Proserpina
fugit (vd. anche Stat. silv. II 1, 147 iam complexa manu crinem tenet infera
Iuno). Su Proserpina e la sua funzione vd. C. Bailey, Religion in Virgil, Oxford
1935, p. 252 sg.; I. Chirassi Colombo, s.v. Proserpina, in EV IV, pp. 324-327. Il
nome latino Proserpina, derivato dal greco (vd. Wissowa 1912,
p. 310), già attestato nel latino arcaico (Naev. carm. frg. 29 M.; Enn. var. 59
V2), è l’unico usato da Virgilio e da Orazio (Prŏ- in Hor. carm. II 13, 21; Sen.
Herc. f. 548); in Ovidio si alterna con il greco Persephone; quest’ultimo soltanto,
comodo metricamente, è in Properzio e in Ligdamo. In Marziale Proserpina
ricorre ancora in XII 52, 13.
4. personam: la persona, maschera degli attori tragici, simboleggia qui l’ipo-
crisia di Letino. La metafora è piuttosto comune: cfr., ad es., Lucr. III 57 sg.
nam verae voces tum demum pectore ab imo / eliciuntur <et> eripitur
persona manet res; Publ. sent. H 19 heredis fletus sub persona risus est (vd.
anche Hor. epist. I 17, 29; Ov. Pont. III 1, 43); è molto cara a Seneca: cfr. clem.
I 1; dial. IX 17, 1; epist. 24, 13; 80, 8; ben. II 13, 2; sull’uso del filosofo vd.
M. Armisen-Marchetti, Étude sur les images de Sénèque, Paris 1989, p. 167; in
generale sulla metafora vd. M. Bellincioni, Il termine persona da Cicerone a
Seneca, in AA. VV., Quattro studi latini offerti a Vittore Pisani, Parma 1981,
pp. 37-115 (anche in Ead., Studi senecani e altri scritti, Brescia 1986, pp. 35-
102). In questo caso, come in AP XI 408, 4 cit. nella n. intr., il riferimento è
più preciso poiché il tentativo di finzione, come nel caso di una vera maschera,
riguarda il capo.
Epigramma 44 319

44

Occurrit tibi nemo quod libenter,


quod, quacumque venis, fuga est et ingens
circa te, Ligurine, solitudo,
quid sit scire cupis? Nimis poeta es.
Hoc valde vitium periculosum est. 5
Non tigris catulis citata raptis,
non dipsas medio perusta sole,
nec sic scorpios improbus timetur.
Nam tantos, rogo, quis ferat labores?
Et stanti legis et legis sedenti, 10
currenti legis et legis cacanti.
In thermas fugio: sonas ad aurem.
Piscinam peto: non licet natare.
Ad cenam propero: tenes euntem.
Ad cenam venio: fugas edentem. 15
Lassus dormio: suscitas iacentem.
Vis, quantum facias mali, videre?
Vir iustus, probus, innocens timeris.

hab. T tit. ad ligurinum poetam Af: ad ligorinum poetam EV ad ligorinam poetam X


ad ligurium poetam LQ ad ligunum poetam T ad ligurinum P 1 quod : qui T 2
quod TLPf : et Q quacumque : quicumque T fuga T EAXV²: figa V¹ 3 circa
TLQ²f² : cura PQ¹f¹ ligurine solitudo T A²V: ligurgine solitudo EA¹ solitudo ligurgine
X 4 quid Tf²s.l.: quod LPQf¹ sit LQf: fit P scit T si X om. EAV es T ut vid.
Q²f²EAX (V n. l.): est LPQ¹f¹ 5 vitium TLQf : vitiosum P 7 non T : nec (cfr. v.
8) dipsas : ipsas T medio TLQf : media P 8 nec T V²s.l.: non EAXV¹ (cfr. v.
7) sic TLPf : om. Q scorpios EAV: scorpius T X 9 tantos TPQfEAXV²: tantas
LV¹ ferat TPQfAXV: fuerat L ferae E 10 stanti XV²s.l.: tanti EA tantae V¹ legis
(pr.) T² : leges T¹ 11 currenti T EA²XV: curenti A¹ 12 sonas ad aurem T : tenes
euntem (cfr. v. 14) 13 piscinam TLPQ²f : piscenam Q¹ peto : poete T licet T :
sinis 14 tenes euntem T : sonas in aurem (cfr. v. 12) 15 fugas edentem f²XC²Fh
ed. Ferr.: fuga sedentem TEAV¹ fugas sedentem LPQf¹V² fugas euntemdentem C¹ 16
lassus : lasus T suscitas T EAXV²: suscita V¹ iacentem TPQ²f : lacentem LQ¹ ut
vid. 18 probus T : bonus

Il fatto che nessuno ti viene incontro volentieri,


che, dovunque giungi, c’è la fuga e un gran
320 M. Val. Martialis liber tertius

deserto, Ligurino, intorno a te


vuoi sapere cosa significa? Sei troppo poeta.
Questo è un vizio assai pericoloso. 5
Non la tigre aizzata dal rapimento dei cuccioli,
non la dipsade arsa dal sole equatoriale,
né il crudele scorpione sono così temuti.
Infatti chi, mi chiedo, potrebbe sopportare così grandi fatiche?
Quando sto in piedi leggi e leggi quando siedo, 10
quando corro leggi e leggi quando caco.
Fuggo alle terme: mi rumoreggi nell’orecchio.
Mi dirigo in piscina: non mi è possibile nuotare.
Mi affretto ad andare a cena: mi trattieni mentre vado.
Giungo a cena: mi metti in fuga mentre mangio. 15
Stanco dormo: mi svegli mentre giaccio.
Vuoi sapere quanto male fai?
Uomo giusto, onesto, innocente, fai paura.

L’epigramma è il primo di un ciclo, comprendente anche gli epigr.


45 e 50 di questo libro, che ha come bersaglio il poetastro Ligurino, un
recitator acerbus, che non fa altro che proporre i suoi versi a chiunque gli
capiti a tiro, creando il vuoto intorno a sé. Il tema centrale del ciclo, la fuga
provocata dal poetastro con le sue continue recitazioni (cfr. 45, 1 sg.; 50, 9
sg.), è presentato in apertura di epigramma: nei primi quattro versi Marziale
introduce comicamente il personaggio, chiedendogli se vuole conoscere la
causa per la quale provoca la fuga di chi lo incontra (fuga, ingens solitudo).
Egli ne offre una semplice spiegazione: nimis poeta es (4). La pericolosità
di tale attitudine (vitium periculosum) è quindi descritta argutamente
attraverso il paragone con animali temibili per l’uomo (6 tigre, 7 dipsade,
8 scorpione). I versi seguenti (10-16), introdotti da una domanda del
poeta, contengono una vera e propria fenomenologia del poetastro, che
viene ritratto nell’atto di leggere nelle circostanze più inopportune, e ne
descrivono con efficacia l’ossessiva mania. La conclusione (17 sg.) mette
in risalto l’aspetto paradossale del personaggio: egli, persona pur giusta ed
onesta, suscita paura negli altri. Un magistrale ritratto satirico del recitatore
ad ogni costo è tratteggiato da Orazio nel finale dell’Ars Poetica (v. 453
sgg.; vd. Brink, ad loc.): sulla fuga che egli provoca cfr. specialmente i vv.
Epigramma 44 321

455 sg. vesanum tetigisse timent fugiuntque poetam / qui sapiunt; 474
indoctum doctumque fugat recitator acerbus. Un precedente significativo
per Marziale è anche l’Eumolpo petroniano, instancabile recitatore (cfr.
Petron. 90, 3; 92, 6; 115), sul quale agisce l’ironia dell’autore nei confronti
dei letterati contemporanei, schiavi della moda imperante delle recitationes
(vd. G.B. Conte, L’autore nascosto. Un’interpretazione del «Satyricon»,
Bologna 1997, p. 61 sgg.; M. Labate, Eumolpo e gli altri ovvero lo spazio
della poesia, «MD» 34, 1995, pp. 156-162; sulle recitationes vd. la n. intr.
all’epigr. 18). La satira contro poetastri è diffusa nell’epigramma greco,
specialmente in Lucillio: cfr. AP XI 10; 127; 129; 133-137; 185; 234; 394
(vd. la n. intr. all’epigr. 50 per le somiglianze con AP XI 394); sul motivo
vd. Pertsch 1911, p. 25; in Marziale Ligurino è senz’altro il personaggio
delineato con tratti più ricchi e precisi; per il tipo del poetastro cfr. anche II
71; 77; 88; III 9. Il nome Ligurino, derivato dall’etnico Ligus (vd. Kajanto
1965, p. 196), ricorre in Marziale soltanto in questi epigrammi (44; 45;
50) ed è con ogni probabilità fittizio: si tratta infatti di un nome parlante
antifrastico, derivato dal gr. , ‘melodioso’, usato in Omero per il
canto delle Sirene (cfr. Od. XII 44 ; vd. anche
Theocr. 17, 113; LSJ s.v. (alla stessa radice appartiene , ‘melodioso’,
per cui cfr. Hom. Od. XXIV 62 ). La scelta potrebbe
contenere un richiamo allusivo a Petronio, che al suo poetastro aveva
dato il nome antifrastico di Eumolpus (gr. ‘dal bel canto’;
vd. Priuli 1975, p. 50 sg.). Una valenza antifrastica sembra avere anche
il nome Ligeia che Marziale dà alla vecchia ripugnante di X 90 e XII 7.
Poco persuasiva pertanto l’ipotesi di Pavanello 1994, p. 171, per la quale
corrisponderebbe al latino stridulus, argutus e dunque il nome
alluderebbe al suono stridulo e fastidioso della voce di Ligurino. In Hor.
carm. IV 1, 33; 10, 5 Ligurino è il nome del puer che suscita l’amore del
poeta (secondo Romano, p. 847 potrebbe trattarsi di nome reale di un
personaggio reale, poiché Orazio usa forme greche per gli pseudonimi; vd.
anche EO I, p. 778). In Cic. Att. V 20, 6 ut etiam Ligurino satis
faciamus, il nome va connesso con l’etnico Ligus, ‘ligure’ (vd. RE XIII 1,
534, 41 sgg.).

1 sgg.: la formula interrogativa quid est … quod (vd. Kühner-Stegmann,


II 278), appartenente alla lingua d’uso, è frequente in commedia (cfr. Plaut.
Cas. 630; Cist. 655; Curc. 135; 166; Epid. 168 sgg.; Men. 677; Most. 69;
322 M. Val. Martialis liber tertius

Pseud. 9 sgg.; Ter. Eun. 558 sg.; Heaut. 613) e in prosa (cfr. Cic. dom. 125;
leg. agr. 2, 39; Verr. II 2, 49; Pis. 58; Phil. 4, 10; Mur. 5; Petron. 132, 13);
in Marziale cfr. VIII 17, 2 misisti nummos quod mihi mille, quid est?;
vd. anche II 12, 1 esse quid hoc dicam, quod olent tua basia murram
/ quodque tibi est numquam non alienus odor?; V 10, 1 sg. esse quid
hoc dicam, vivis quod fama negatur / et sua quod rarus tempora lector
amat?
2. quod, quacumque venis: la formula ricorre anche in 55, 1 quod,
quacumque venis, Cosmum migrare putamus. – fuga est: l’immagine
deriva da Orazio: ars 455 sg. vesanum tetigisse timent fugiuntque poetam
/ qui sapiunt; 474 indoctum doctumque fugat recitator acerbus.
3. circa te … solitudo: per l’espressione cfr. Sen. epist. 9, 9 florentes
amicorum turba circumsedet, circa eversos solitudo; vd. anche epist. 80,
2 cogito mecum … quantus ad spectaculum non fidele et lusorium fiat
concursus, quanta sit circa bonas artes solitudo.
4. nimis poeta es: risposta ironica, che realizza una sorta di pointe
intermedia. La colpa di Ligurino consiste in realtà nell’essere nimis
recitator. L’identità tra i due sostantivi realizzata nel verso produce un
effetto comico, intensificato dall’inconsueto accostamento di avverbio e
sostantivo, per cui cfr. Stat. Ach. II 37 sg. nimis o suspensa nimisque /
mater; Apul. met. VII 21 istum pigrum tardissimumque et nimis asinum;
IX 28 admodum puer; Tac. dial. 1, 5 iuvenis admodum; sull’uso vd.
Hofmann-Szantyr, p. 171.
5. hoc valde vitium periculosum: Giovenale colloca i recitatori tra
i pericoli di Roma: 3, 7 sgg. incendia, lapsus / tectorum assiduos ac
mille pericula saevae / urbis et Augusto recitantes mense poetas. Nel
caso di Ligurino il pericolo riguarda in primo luogo lui stesso, perché
lo rende temibile agli occhi degli altri (cfr. vv. 8; 18). Il tono colloquiale
dell’espressione contrasta con l’elaborato parallelo dei versi seguenti (6-8).
Valde appartiene alla lingua d’uso (vd. Hofmann, LU, p. 202 sg.): evitato
da Cesare, Livio e Tacito, è frequente nelle lettere di Cicerone e in Petronio,
specialmente nei dialoghi dei liberti (vd. Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae,
p. 35 sgg.; Axelson 1945, p. 36 sg.; P. Soverini, Sull’uso degli avverbi in
Petronio; avverbi intensivi e asseverativi, «RAIB» 63, 1974-1975, p. 208
sgg.). In poesia ricorre, oltre che qui, soltanto in Catullo (68, 77; 69, 7); in
Orazio valdius in ars 321; epist. I 9, 6. Periculosus, impossibile in metrica
dattilica, ricorre in poesia solo una volta in Orazio e nei Priapea, tre in
Epigramma 44 323

Marziale e in Fedro. Offre un parallelo soltanto formale con questo passo


X 76, 5 sgg. iucundus, probus, innocens amicus, / lingua doctus utraque,
cuius unum est, / sed magnum vitium, quod est poeta, dove il tono è di
amara ironia per le misere condizioni dei poeti, cui significativamente sono
contrapposti gli onori tributati agli aurighi (8 sg. pullo Maevius alget in
cucullo, / cocco mulio fulget Incitatus).
6-8: Ligurino è più temuto di animali letali per l’uomo. Significativa la
scelta da parte di Marziale di tre fiere esotiche, che intensifica l’effetto del
timore suscitato dal poetastro (due nomi su tre sono grecismi lessicali: vd.
le nn. ai vv. 7; 8). Nel finale dell’Ars (472 sgg.) Orazio paragona l’ostinato
recitator prima ad un orso, poi ad una sanguisuga: certe furit ac velut
ursus / obiectos caveae valuit si frangere clathros, / indoctum doctumque
fugat recitator acerbus; / quem vero arripuit, tenet occiditque legendo,
/ non missura cutem, nisi plena cruoris, hirudo (secondo Brink, ad loc.,
l’immagine oraziana conferisce freschezza al trito uso retorico di paragonare
un malfattore ad una belva feroce). Un serie di paragoni con belve feroci,
possibile modello per i versi di Marziale, ricorre in Ov. ars II 373 sgg.
sed neque fulvus aper media tam saevus in ira est, / fulmineo rabidos
cum rotat ore canes, / nec lea, cum catulis lactantibus ubera praebet, /
nec brevis ignaro vipera laesa pede / femina quam socii deprensa paelice
lecti.
6. non tigris …: è proverbiale la ferocia della tigre cui sono stati strap-
pati i cuccioli (cfr. Plin. nat. VIII 66 animal velocitatis tremendae et
maxime cognitae, dum capitur totus eius fetus, qui semper numerosus
est); l’exemplum ricorre spesso in similitudini poetiche: cfr., ad es., Val.
Fl. I 489-493 haud aliter saltus vastataque pernix / venator cum lustra
fugit dominoque timentem / urget equum, teneras compressus pectore
tigres / quas astu rapuit pavido, dum saeva relictis / mater in adverso
catulis venatur Amano; Stat. Theb. IV 315 sg. raptis velut aspera natis /
praedatoris equi sequitur vestigia tigris; Claudian. rapt. Pros. III 263-268
arduus Hyrcana quatitur sic matre Niphates, / cuius Achaemenio regi
ludibria natos / avexit tremebundus eques: premit illa marito / mobilior
Zephyro totamque virentibus iram / dispergit maculis iamiamque
hausura profundo / ore virum vitreae tardatur imagine formae; vd.
anche Mela III 43; Plin. nat. VIII 10; Sol. 17, 6; Sidon. epist. IX 9, 7;
Amm. XXIII 6, 50. Marziale vi allude anche in VIII 26, 1-3 non tot in
Eois timuit Gangeticus arvis / raptor, in Hyrcano qui fugit albus equo,
324 M. Val. Martialis liber tertius

/ quot tua Roma novas vidit, Germanice, tigres (sulla presenza di tigri
negli spettacoli imperiali vd. Jennison 1937, p. 76 sg.; Toynbee 1973, p.
71). – citata: per citare nell’accezione di impellere, incitare, vd. ThlL III
1201, 16 sgg.
7. dipsas: la dipsas (gr. è una specie di vipera (Cerastes vipera: vd.
RE II 1, 1530 sg.), propria delle regioni desertiche dell’Africa: cfr. Amm.
XXII 15, 27 serpentes quoque Aegyptus alit innumeras, ultra omnem
perniciem saevientes … dipsadas. L’etimologia antica collegava il suo nome
all’effetto letale del suo morso: cfr. Isid. orig. XII 4, 13 dipsas genus aspidis,
qui latine situla dicitur, quia quem momorderit, siti perit; CGL V 408,
35 genus serpentis est intolerabilis; quando percusserit, siti moritur ipse
homo (vd. Maltby 1991, p. 190); vd. però anche Lucan. IX 610 in mediis
sitiebant dipsades undis, che, all’inverso, considera la sete causa della nocività
del serpente. Il grecismo, attestato per la prima volta in latino da Celso, è
piuttosto raro (vd. ThlL V 1226, 59-75), ma trova cittadinanza nella lingua
poetica latina per opera di Lucano (cinque occorrenze, tutte nel IX libro). –
medio perusta sole: l’espressione riflette la convinzione che l’intensità del sole
accresca la virulenza del veleno (Paoli, p. 161; M. Schuster, Zur Erklärung
von Martial III, 44, «PhW» 54, 1934, pp. 1023-24): cfr. Lucan. IX 698 sg.
concipiunt dirosque fero de sanguine rores, / quos calor adiuvit; 718 torrida
dipsas; Stat. Theb. V 521 siccique nocens furit igne veneni; Sil. I 285 accensis
sole venenis; III 312 sg. atro rabidas effervescente veneno / dipsadas. Più
che un riferimento all’ora di massima intensità del calore solare (SB2: «burnt
by the midday sun»; cfr. Stat. Theb. V 85; Sil. III 671), il nesso medio … sole
andrà però inteso come un’indicazione geografica (Izaac: «brulée par le soleil
des Tropiques»): medius sol designa la zona equatoriale anche in Manil. IV
592 Auster amat medium solem Zephyrusque profectum; 650 sg. altera sub
medium solem duo bella perinde / intulit Oceanus terris (vd. ThlL VIII 585,
33 sgg.; OLD s.v. sol, nr. 2 b). Perustus inoltre è abitualmente riferito alle terre
e alle popolazioni equatoriali: cfr. specialmente Lucan. IX 754 famam dipsas
habet terris adiuta perustis; vd. anche IV 679 Maurus, inops Nasamon, mixti
Garamante perusto; IX 314 zonae … perustae; 274 sg. perusti / zona poli.
Il nesso sole perustus ricorre in due casi su tre per le popolazioni africane:
cfr. Prop. IV 9, 46 Libyco sole perusta coma; Lucan. X 221 sg. testis tibi
sole perusti / ipse color populi (sc. Aethiopum); vd. anche Lucan. VI 622
membris sole perustis. La notazione, che contiene ugualmente il riferimento
all’intensità del sole, concorre all’ambientazione esotica del paragone.
Epigramma 44 325

8. scorpios improbus: lo scorpione era noto per la sua aggressività: cfr.


Plin. nat. V 42 scorpiones, dirum animal Africae; XI 87 semper cauda in
ictu est nulloque momento meditari cessat, ne quando desit occasioni; in
generale sullo scorpione vd. RE III A, s.v. Spinnentiere, 1801, 45 sgg. Per
improbus riferito ad animali in Marziale cfr. I 104, 2 improbae … tigres; V
65, 14 improba … Hydra (vd. ThlL VII 1, 691, 82-692, 9). La desinenza
greca del nome (in EAV) è certamente da preferire a -us di T X, in quanto
nettamente prevalente, non soltanto nei contesti astrologici (vd. Nisbet-
Hubbard2, p. 280): cfr. Lucil. 1022; Ov. fast. V 541; Lucan. IX 834; [Sen.]
Herc. O. 1218. La forma greca concorre ad accrescere l’effetto di esotismo
delle fiere ricercato da Marziale (vd. la n. ai vv. 6-8).
9: il verso contiene forse una scherzosa allusione ai proverbiali labores
Herculis (vd. Otto, Sprichwörter, s.v. Hercules, nr. 2, p. 162; Nachträge, pp.
105; 238), ai quali Marziale paragona le fatiche cui lo costringe il poetastro,
enumerate nei versi seguenti. – rogo: inciso di natura colloquiale, che prevale
su quaeso e oro in età imperiale (vd. Hofmann, LU, p. 284 sg.). In Marziale
ricorre ancora in II 80, 2; III 52, 3; 73, 3; 76, 3; 95, 3; IV 84, 4; V 25, 7; 44, 1;
82, 3; VI 17, 2: VII 86, 3; IX 25, 3; X 15, 2; 21, 2; 41, 3; 66, 1; XIII 58, 2.
10 sg.: i versi, nella loro elegante struttura chiastica, arricchita dalla ri-
petuta anafora di legis e dall’omeoteleuto (stanti … sedenti; currenti …
cacanti), rappresentano comicamente l’inesauribile attività del recitator;
una struttura analoga descrive l’insistenza del basiator in XI 98, 20 sgg.
febricitantem basiabit et flentem, / dabit oscitanti basium natantique,
/ dabit cacanti; per l’insistenza nella lettura cfr. VII 51, 13 sg. ille leget,
bibe tu; nolis licet, ille sonabit: / et cum ‘iam satis est’ dixeris, ille leget).
L’elegante chiasmo, che nel v. 10 riguarda anche il senso (stanti … sedenti),
è chiuso al v. 11, con contrapposizione più libera e con comico effetto di
abbassamento del tono, dal volgarismo cacanti, che, significativamente
collocato al termine della serie (come in XI 98, 22 cit. supra), realizza una
sorta di e rappresenta il sommo grado della molestia
recata dall’importuno recitatore. Il verbo cacare, evitato da Plauto e
Terenzio, ma utilizzato nell’Atellana e nel mimo, ricorre in Catullo, nelle
Satire di Orazio, in Petronio e nelle iscrizioni (vd. Adams, LSV, p. 231
sgg.). In Marziale vi sono sette occorrenze (in questo libro cfr. 89, 2; vd.
anche il desiderativo cacaturio in XI 77, 3).
12-16: la struttura dei versi, composti di due cola coordinati paratatti-
camente, esprime l’assillo provocato dal recitator, che incalza il poeta in
326 M. Val. Martialis liber tertius

ogni situazione. Per la paratassi in luogo del periodo ipotetico, propria


della lingua d’uso, vd. la n. a 38, 8. Una serie analoga ricorre in XII 40,
1-3 mentiris: credo. recitas mala carmina: laudo. / cantas: canto. bibis,
Pontiliane: bibo. / pedis: dissimulo. gemma vis ludere: vincor, dove
esprime la completa sottomissione al patrono.
12. in thermas fugio: le terme costituiscono un rifugio vano dal tormento
recato anche da importuni cenipetae in V 44, 5 sg. quem thermis modo
quaerere et theatris / et conclavibus omnibus solebas; XII 82, 1 sg. effugere
in thermis et circa balnea non est / Menogenen. Per le terme come luogo
frequentato dai recitatori cfr. Hor. sat. I 4, 74 sg. in medio qui / scripta
foro recitent sunt multi quique lavantes; in Petron. 92, 6 Eumolpo rischia
il linciaggio per il tentativo di recitare i suoi versi alle terme: nam et dum
lavor paene vapulavi quia conatus sum circa solium sedentibus carmen
recitare. – sonas: il verbo designa spesso la produzione e la recitazione di
poesia elevata: cfr. Verg. georg. III 294 magno tunc ore sonandum; Hor.
epod. 17, 39 sg. sive mendaci lyra / voles sonare; Ov. ars I 206 magno
nobis ore sonandus eris; in Marziale cfr. VIII 55, 3 sg. ingenium sacri
miraris desse Maronis / nec quemquam tanta bella sonare tuba; IX epist.
v. 7 maiores maiora sonent; 11, 15 et quos decet sonare;
Ligurino potrebbe quindi essere un poeta epico (vd. anche la n. a 45, 1
sg.). Per l’uso del verbo in riferimento ad un recitatore cfr. VII 51, 13 cit.
nella n. al v. 10 sg. – ad aurem: esprime la fastidiosa vicinanza del recitator
(vd. ThlL II 1506, 23 sgg.); per l’analogo nesso sonare in aure vd. la n. a
63, 8.
13. non licet: non sinis di appare senz’altro un intervento normalizza-
tore, teso ad uniformare il verbo ai precedenti e seguenti, tutti alla seconda
persona: sonas (12); tenes (14); fugas (15); suscitas (16). Non sinis ricorre
nella stessa posizione metrica in IV 55, 2 sg. qui Caium veterem Tagumque
nostrum / Arpis cedere non sinis disertis; cfr. anche VIII 38, 10 nomen
non sinis interire Blaesi. Poco persuasiva quindi l’ipotesi di variante
d’autore prospettata, peraltro con cautela, da Lindsay 1903, p. 24.
14. ad cenam propero: sc. ire; l’ellissi del verbo di movimento è propria
della lingua dell’uso e ricorre di frequente nelle epistole di Cicerone (vd.
Hofmann, LU, p. 346).
15. ad cenam venio: la ripetizione di cenam (cfr. v. 14) è stata guardata
con sospetto da alcuni studiosi: per R. Mayer (On Martial 3. 44. 15, «CQ»
43, 1993, pp. 504-505) si deve restituire lectum; per W.S. Watt (Notes on
Epigramma 44 327

Latin Poetry, «BICS» 42, 1997-98, p. 155) invece circum (e sedentem, per
cui cita a confronto Ov. am. III 2, 1 non ego nobilium sedeo [sc. in circo]
studiosus equorum; trist. II 284 hic [sc. in circo] sedet ignoto iuncta puella
viro; ma vd. infra). Egli propone inoltre l’inversione dell’ordine dei vv.
14-15, che produrrebbe un ordine più naturale degli eventi. Gli interventi
sul testo non appaiono giustificati; i due versi, dedicati alla cena, sono
collegati fra loro e descrivono due diversi momenti: il primo quello di
partenza (ad cenam propero), il secondo quello d’arrivo (ad cenam venio);
la raffigurazione dipinge efficacemente l’insistenza molesta di Ligurino.
Lectum di Mayer è stato accolto nel testo da Watson-Watson. – fugas
edentem: la lezione, comunemente attribuita a Ramirez de Prado e accolta,
tra i moderni, da Duff, Izaac, SB, Watson-Watson, è già in f²XC²Fh e può
contare sostanzialmente sul sostegno di due famiglie, dal momento che
fuga sedentem di TEAV deriva chiaramente da un’errata divisione delle
parole; inoltre, più di un secolo prima di Ramirez de Prado, essa ricorre
nell’ed. Ferr. Anche dal punto di vista del senso edentem è nettamente
preferibile: la recitazione durante l’atto di mangiare appare senz’altro più
fastidiosa e dunque in linea con le altre azioni di Ligurino, che ostacola il
poeta nelle sue funzioni fisiologiche e nei bisogni primari (Salanitro 2002,
p. 560; cfr. vv. 11; 16). Fugas sedentem della seconda famiglia (LPQf¹),
accolto da Schneidewin, Friedlaender, Gilbert, Lindsay, Heraeus, è stato
difeso da Gilbert 1883, p. 19 sg. in base ad un’osservazione stilistica («Ergo
sedentem servandum est … etiam propter praeclaram gradationem, quae
efficitur participiis euntem, sedentem, iacentem» p. 20). Tuttavia la precisa
simmetria ottenuta tra questo verso e il precedente, in entrambi i quali
sarebbero giustapposti un verbo di movimento e uno di quiete (tenes
euntem; fugas sedentem), non giustifica l’inelegante ripetizione di sedentem
dopo sedenti del v. 10 (per quanto riguarda la simmetria, anche nei vv. 10-11
alla precisa contrapposizione tra stanti e sedenti segue quella più libera tra
currenti e cacanti). A sfavore di sedentem depone anche la considerazione
di carattere storico che i Romani cenavano stesi sui letti tricliniari e non seduti
(come già osservato da Ramirez de Prado: «nam veteres non sedentes, sed
recumbentes cenabant»). Il caso di VIII 67, 6 sternantur lecti: Caeciliane,
sede, citato a sostegno di sedentem, non è calzante, poiché, come messo
in luce da SB2, I, p. 231 n. a, lì il convitato viene invitato a sedersi perché
è giunto troppo presto e dunque deve attendere la preparazione dei letti
tricliniari. La sola attestazione dell’uso di stare seduti prima del convivio
328 M. Val. Martialis liber tertius

sembra essere quella di Iuv. 2, 119 sg. (citato da Heraeus 1915, p. 22 n. 1


= Heraeus 1937, p. 208 n. 3; vd. anche Heraeus, p. XXXI) signatae tabulae,
dictum ‘feliciter’, ingens / cena sedet, gremio iacuit nova nupta mariti,
dove cena dovrebbe valere metonimicamente cenantes (secondo ThlL III
779, 55 si tratta dell’unico caso in cui cena ha questo valore; Courtney, ad
loc. rimanda per l’uso a 5, 82 qua despiciat convivia cauda, dove convivia
equivale a convivas). Anche ammettendo come testimonianza dell’uso il
passo di Giovenale (che pure non sembra di interpretazione così certa),
l’esiguità delle attestazioni mostra che non doveva trattarsi di un’usanza
consolidata; inoltre, come osservato supra, appare senz’altro molto più
efficace dal punto di vista della rappresentazione comica che il poetastro
disturbi Marziale proprio nel momento di mangiare che non in quello di
stare seduto in attesa della cena.
16: il recitatore non si ferma neppure la sera, quando il poeta stanco della
giornata tenta di dormire. La climax raggiunge qui il suo apice, suscitando
la domanda del verso seguente.
17. videre: per il valore figurato del verbo cfr. Quint. inst. X 1, 3 ‘sentio’
et ‘video’ saepe idem valent quod ‘scio’ ; vd. OLD s.v. nr. 14.
18. iustus, probus, innocens: un simile tricolon asindetico si trova in X
76, 5 iucundus, probus innocens amicus (per cui vd. la n. al v. 5). La chiusa
dell’epigramma richiama ironicamente il v. 10 nec sic scorpios improbus
timetur. La variante bonus di in luogo di probus ha pertanto tutta l’aria
di una banalizzazione, come dimostra il fatto che l’aggettivo sia spesso
glossa di probus: cfr. CGL IV 147, 20;149, 10; 555, 20; V 137, 11. La stessa
corruttela si può osservare in Plaut. Pseud. 1144 hic est vir probus (bonus
A), dove però agisce l’influenza del contesto prossimo (1145 bone vir).
Epigramma 45 329

45

Fugerit an Phoebus mensas cenamque Thyestae


ignoro: fugimus nos, Ligurine, tuam.
Illa quidem lauta est dapibusque instructa superbis,
sed nihil omnino te recitante placet.
Nolo mihi ponas rhombos mullumve bilibrem 5
nec volo boletos, ostrea nolo: tace.

hab. T; vv. 5-6 hab. R tit. ad eundem T : ad ligurinum poetam R 1 fugerit TL²PQf :
fuerit L¹ phoebus mensas T : mensas phoebus LPf mensam phoebus Q 2 ignoro
TLPf : ignosco Q nos T V²: non EAXV¹ 3 illa T : ista PQf iste L instructa :
inrumructa T 4 omnino : omino T 5 rhombos : rhombum mullumve Pf :
mulumve Q nullumve L mulumque 6 boletos E²X: letos E¹AV

Se Febo sia fuggito dalle mense e dalla cena di Tieste


non so: noi però fuggiamo, Ligurino, dalla tua.
Essa è certo lauta e imbandita con superbe vivande,
ma proprio nulla è gradevole quando tu reciti.
Non voglio che mi serva rombi o una triglia di due libbre, 5
né voglio boleti, ostriche non voglio: taci.

Dopo la presentazione generale del personaggio nell’epigr. 44, il secondo


componimento del ciclo su Ligurino sviluppa un tema circoscritto: l’abi-
tudine del poetastro di recitare i propri versi ai suoi ospiti (il motivo trova
una variazione nell’epigr. 50). Si tratta di una consuetudine diffusa nella
società romana (cfr., ad es., Hor. ars 419 sgg. con il commento di Brink;
vd. anche Petron. 68; Iuv. 11, 179 sgg.; Plin. epist. I 15, 2 sg.), a tal punto
che l’assenza di recitazione è menzionata da Marziale come attrattiva
nei bigliettini di invito a cena: cfr. V 78, 25 nec crassum dominus leget
volumen; XI 52, 16 plus ego polliceor: nil recitabo tibi. L’epigramma
presenta una struttura tripartita: nel primo distico la mania per la letteratura
del poetastro viene schernita attraverso uno scherzoso parallelo tra la fuga
dei convitati dalla cena che egli offre e quella del Sole, che, inorridito per il
nefas compiuto da Atreo a danno di Tieste, aveva, secondo il celeberrimo
mito, invertito il proprio corso. I versi successivi (3-4) esplicitano le
motivazioni di tale comportamento: non sono i cibi, di ottima qualità, a
330 M. Val. Martialis liber tertius

provocare la fuga, ma l’abitudine dell’anfitrione di proporre i suoi versi


durante la cena. Nell’ultimo distico Marziale afferma di poter fare a meno
di tutte le delizie che Ligurino gli imbandisce e avanza una sola richiesta:
che taccia (l’imperativo tace chiude significativamente il componimento).

1 sg.: la fuga dal poetastro, Leitmotiv del ciclo (cfr. 44, 1 sgg.; 50, 9 sg.), è
messa in risalto in apertura d’epigramma dalla presenza del verbo fugere (cfr.
anche v. 2 fugimus). Sull’inversione del corso del sole cfr. Sen. Thyest. 220
sg.; 776 sgg.; Apollod. epit. II 1-14; Hygin. fab. 82-88; sul mito in generale
vd. Roscher V 912, 94-914, 39; RE A 1, 662, 28-679, 9. Il tema fu forse il
più fortunato nel teatro romano (vd. A. La Penna, Atreo e Tieste sulle scene
romane, in Studi in onore di Quintino Cataudella, Catania 1972, pp. 357-
371, anche in Id., Fra teatro, poesia e politica romana, Torino 1979, pp.
127-141). La sua diffusione nella poesia latina è provata dalla sua frequente
menzione da parte di Marziale negli epigrammi di polemica contro la
poesia mitologica: cfr. IV 49, 3 sg. ille magis ludit qui scribit prandia saevi
/ Tereos aut cenam, crude Thyesta, tuam; V 53, 1 Colchida quid scribis,
quid scribis, amice, Thyesten?; X 4, 1 sg. qui legis Oedipoden caligantemque
Thyesten, / Colchidas et Scyllas, quid nisi monstra legis?; 35, 5 sg. non haec
(sc. Sulpicia) Colchidos adserit furorem, / diri prandia nec refert Thyestae
(vd. anche Pers. 5, 8). Appare dunque particolarmente appropriata nella
polemica contro un recitatore la scettica menzione (Fugerit an Phoebus …
/ ignoro) del mito. È anche possibile che il mito fosse trattato nei versi di
Ligurino (se non si tratta di un personaggio fittizio); in questo caso la scelta
di Marziale sarebbe ancora più arguta. La cena di Tieste è già menzionata
con finalità comica in Plaut. Rud. 508 sg. scelestiorem cenam cenavi tuam
/ quam quae Thyestae quondam aut posita est Tereo (su cui vd. Fraenkel
1960, p. 72). – Fugerit an: per la posposizione delle particelle, frequente a
partire dalla poesia augustea, vd. la n. a 19, 5. – Phoebus: sulla metonimia
Febo = sole, frequente nella poesia latina, vd. O. Gross, De metonymiis
sermonis Latini a deorum nominibus petitis, Diss. Halle 1911, p. 338 sgg.;
Bömer2, ad met. II 24, p. 244 sg.; sull’uso in Marziale vd. Fenger 1906, p.
5. – cenam … Thyestae: la locuzione designa in modo quasi proverbiale la
vicenda mitica: cfr. Hor. ars 90 sg. indignatur item privatis ac prope socco /
dignis carminibus narrari cena Thyestae.
2. fugimus: per la fuga causata da Ligurino cfr. III 44, 2 quod, quacumque
venis, fuga est. – nos: plurale sociativo (cfr. v. 5 mihi) con cui il poeta
Epigramma 45 331

estende le proprie recriminazioni alla cerchia degli ospiti di Ligurino: cfr.,


in questo libro, in analogo contesto conviviale, 82, 22 sgg.; sul plurale
sociativo vd. Hofmann-Szantyr, p. 19 sg. con bibliografia; Hofmann, LU,
pp. 291 sg.; 380.
3. illa quidem lauta est: per lautus in riferimento a cibi, cene vd.
ThlLVII 2, 1054, 82 sgg.; in Marziale cfr. XII 48, 5 lauta tamen cena
est, fateor, lautissima; XIII 88, 1 lauta … convivia; XIV 90, 2 lautas …
dapes. – dapibus … instructa superbis: per il nesso instruere cenam cfr. X
59, 3 sg. dives et ex omni posita est instructa macello / cena tibi; per l’uso
del verbo con ablativo in questa accezione vd. ThlL VII 1, 2017, 46 sgg.;
cfr. Ov. met. VIII 572 instruxere epulis mensas; Apul. met. IV 7 mensas
dapibus largiter instructas; vd. anche Apul. met. IV 13; Venant. Fortunat.
carm. XI 22a, 3. Altri composti di struo ricorrono in locuzioni analoghe:
cfr. Catull. 64, 304 large multiplici constructae sunt dape mensae; Ov.
met. XI 120 mensas … extructas dapibus. Per superbus nell’accezione di
‘ricco’, ‘sontuoso’ cfr. Catull. 64, 85 sedes … superbas; Verg. Aen. I 639
arte laboratae vestes ostroque superbo; vd. OLD, s.v. nr. 4; per l’uso in
riferimento alla cena in Marziale cfr. XII 48, 16 mensae regna superba
tuae.
4. nihil omnino: è possibile un’allusione ad Hor. sat. II 8, 93 sgg. quem
nos sic fugimus ulti, / ut nihil omnino gustaremus, velut illis / Canidia
adflasset, peior serpentibus Afris, che descrive la fuga dai cibi pur raffinati
del volgare Nasidieno. Omnino è avverbio unpoetisch (vd. Axelson 1945,
p. 95): evitato nella poesia elevata (ma si contano due casi nell’Eneide),
ricorre di frequente in Lucrezio e nei generi bassi; in Marziale vi sono 6
occorrenze, sempre in frasi negative (3 volte con nihil).
5. nolo mihi ponas: paratassi frequente nella lingua colloquiale. Ponere
è frequente in Marziale nel senso di adponere, che non ricorre mai. L’uso,
che appartiene probabilmente alla lingua d’uso, compare in Orazio sat.,
Ovidio, Petronio, Persio, Giovenale. In generale sul simplex pro composito
vd. Hofmann-Szantyr, p. 298 sgg. con esempi e bibliografia. – rhombos:
il rombo era fra i pesci più pregiati: la IV Satira di Giovenale è dedicata,
come è noto, alla convocazione da parte di Domiziano del consiglio di
guerra per decidere come cucinare un gigantesco rombo; cfr. inoltre Hor.
epod. 2, 49 sg.; sat. I 2, 115 sg.; II 2, 95; Iuv. 11, 120 sg. In Marziale cfr.
III 60, 6; XIII 81. I rombi di qualità migliore erano quelli di Ravenna (cfr.
Plin. nat. IX 169) e, in generale, dell’Adriatico (cfr. [Ov.] Hal. 125; Iuv. 4,
332 M. Val. Martialis liber tertius

39). Sui rombi in generale vd. Thompson, Fishes, p. 223; André 1981, p.
101. Rhombum di sembra un tentativo di normalizzare, uniformando
il numero al secondo pesce menzionato nel verso. Per la tendenza alla
normalizzazione del testo della terza famiglia vd. Friedrich 1907, pp. 360-
379; 1909, pp. 88-117; Heraeus 1925, pp. 314-336; Citroni, pp. LXXI-LXXIII;
in questo libro cfr. 44, 13 non licet natare (licet T : sinis ). – mullumve
bilibrem: la triglia era un pesce pregiato: cfr. II 43, 11; III 77, 1; IX 14, 3;
XI 49 (50), 9; XII 48, 9; secondo la testimonianza di Sen. nat. III 17, 2 il
vivaio poteva, per garanzia di freschezza, trovarsi addirittura nella sala da
pranzo. Quello di due libbre era considerato un peso di tutto rispetto: cfr.
XIV 97 grandia ne viola parvo chrysendeta mullo: / ut minimum, libras
debet habere duas; Plin. nat. IX 64 ex reliqua nobilitate et gratia maxima
est et copia mullis, sicut magnitudo modica binasque libras ponderis
raro admodum exsuperant, nec in vivariis piscinisque crescunt; per pesi
maggiori cfr. Mart. X 31, 3 sg.; 37, 7 sg. I prezzi erano elevati: l’imperatore
Tiberio tentò di calmierarli dopo che tre triglie furono vendute per 30000
sesterzi (Suet. Tib. 34, 1); Seneca (epist. 95, 42) riferisce di una triglia di
4 libbre e mezzo pagata 5000 sesterzi; Marziale parla in X 31, 3 sg. di un
mullus di quattro libbre pagato 1200 sesterzi; vd. anche Macr. Sat. III
16, 9 (7000 sesterzi per una triglia). In generale sui mulli vd. Thompson,
Fishes, p. 264 sgg.; Marquardt 1886, p. 434; André 1981, p. 100. L’enclitica
-ve della seconda e della terza famiglia è senz’altro preferibile al -que
di e riceve ulteriore sostegno da XI 49, 9 nunc ut emam grandemve
lupum mullumve bilibrem, in cui ricorre la stessa clausola. L’oscillazione
è frequente: in questo libro cfr. 2, 5 vel turis piperisve : -que ; 20, 14
sedet ambulatve : -que .
6. boletos, ostrea: i boleti sono sempre menzionati fra i cibi più pregiati:
cfr. I 20, 2; III 60, 5; VII 78, 3; XII 17, 4; 48, 1; XIII 48; Iuv. 5, 146 sg. Allo
stesso modo le ostriche, specialmente quelle del lago Lucrino (per cui vd.
la n. a 60, 3): cfr. V 37, 3; VII 20, 7; 78, 3; IX 14, 3; XII 17, 4; XIII 82; Plin.
nat. XXXII 59; vd. Thompson, Fishes, p. 190 sgg.; RE II 2, 2590-1, s.v.
Austern. – tace: l’imperativo conclude bruscamente il discorso ed anche
l’epigramma. La medesima conclusione di epigramma ricorre in II 27, 4
facta est iam tibi cena, tace.
Epigramma 46 333

46

Exigis a nobis operam sine fine togatam:


non eo, libertum sed tibi mitto meum.
‘Non est’ inquis ‘idem.’ Multo plus esse probabo:
vix ego lecticam subsequar, ille feret.
In turbam incideris, cunctos umbone repellet: 5
invalidum est nobis ingenuumque latus.
Quidlibet in causa narraveris, ipse tacebo:
at tibi tergeminum mugiet ille sophos.
Lis erit, ingenti faciet convicia voce:
esse pudor vetuit fortia verba mihi. 10
‘Ergo nihil nobis’ inquis ‘praestabis amicus?’
Quidquid libertus, Candide, non poterit.

hab. T; vv. 9-10 hab. R tit. ad candidum 2 eo T E¹AXV: emo E² mitto T² EAX:
mitte T¹V 3 multo plus esse V²: multo plus este EAXV¹ multum plus est T 4
lecticam TLQfEA: leticam P lectica XV ille T EAXV²: illa V¹ 5 umbone T XV²:
umbo EA¹ quos umbo V¹ tuus umbo A² 6 ingenuumque LP²fEXV: ingeniumque TP¹QA
latus T XV: latos EA 7 quidlibet : quilibet T causa Tf² : causam LPQf¹ narraveris
TQf²s.l. : narraberis LPf¹ 8 at tibi T E²V: additibi E¹AX sophos T X: sopos EA
sopor V 11 nihil : mihi T nobis T X: vobis EAV praestabis TLPQ²s.l.f¹AX:
prestabs E prestabit Q¹f²s.l.V

Esigi da me un servizio in toga senza fine:


non vengo, ma ti mando un mio liberto.
«Non è lo stesso» dici. Ti proverò che è molto di più:
a stento io riuscirò a star dietro alla lettiga, lui la porterà.
Se ti imbatterai nella folla, respingerà tutti col gomito: 5
il mio fianco è debole e delicato.
Qualunque cosa dirai durante una causa, io tacerò:
ma lui ti muggirà un triplice «Bravo!».
Se ci sarà una lite, farà strepito a gran voce:
a me il pudore vieta toni accesi. 10
«Dunque - dici - tu, amico, non farai nulla per me?»
Tutto quello, o Candido, che il liberto non potrà.
334 M. Val. Martialis liber tertius

Marziale si lamenta con il patrono Candido per i continui servigi cui


lo costringe e promette di mandare un liberto al suo posto. Questi potrà
rendersi anche più utile del poeta negli officia più sgradevoli di cliente,
che Marziale descrive accuratamente (3-10). Al patrono preoccupato che
l’amico non faccia nulla per lui Marziale garantisce che gli offrirà tutto ciò
che il liberto non sarà in grado di fare. L’epigramma descrive la condizione
del cliente, costretto a rendere continui e umilianti servigi, e mette in luce
il disagio del poeta, inadatto agli sforzi fisici, ma desideroso di stabilire con
il patrono un rapporto più profondo, in cui possa farsi apprezzare per le
proprie doti di sensibilità e cultura. Per l’orgogliosa rivendicazione della
propria superiorità nei confronti di un ricco liberto cfr. V 13, specialmente
v. 9 sg. hoc ego tuque sumus: sed quod sum, non potes esse: / tu quod es,
e populo quilibet esse potest. Il nome Candido, la cui menzione ritardata
all’ultimo verso crea un effetto di attesa, ricorre ancora in II 24; 43; III 26;
XII 38; difficilmente potrà trattarsi di un reale patrono.

1. Exigis: il verbo che apre l’epigramma esprime bene i modi autoritari


del patrono, per cui vd. anche la n. a 36, 2 iubes. – nobis: sull’alternanza
tra singolare e plurale (cfr. v. 2 eo … mitto; 6 nobis), in poesia spesso priva
di evidenti motivi, vd. Hofmann-Sazntyr, p. 20 con bibliografia specifica
per autori; sui poeti augustei vd. E. Bednara, De sermone dactylicorum
Latinorum quaestiones. IV, ALL 14, 1906, p. 567. - operam … togatam:
la toga era la ‘divisa’ del cliente (vd. la n. a 4, 6); l’attributo togatus è
spesso utilizzato in relazione alla clientela: cfr. II 57, 5 grex togatus; VI
48, 1 turba togata; sostantivato indica il cliente in I 108, 7; II 74, 1. 6;
V 26, 4. L’originale iunctura realizza una figura frequente in Marziale,
per cui il predicato proprio della persona viene riferito ad un elemento
caratterizzante di essa, che ne risulta in un certo modo personificato (vd.
Fenger 1906, p. 23 sg.): cfr. I 35, 8 stolatum pudorem; X 51, 6 tunicata
quies; vd. anche III 58, 24 album otium; VII 64, 6 fugitiva quies; X 13
(20), 4 praetextata amicitia; 82, 6 ingenuas cruces; XI 96, 4 captivam
sitim; XII 18, 5 sudatrix toga. In I 15, 7 invece l’espressione catenati
labores, interpretata da Friedlaender labores quales sunt catenatorum,
significherà piuttosto ‘una catena di pene’ (vd. Citroni, p. 65). – sine fine:
la iunctura ricorre in Marziale anche in II 14, 4; V 78, 27.
3. ‘Non est … idem’: per un’analoga espressione cfr. XII 96, 9 non eadem
res est. – multo plus esse probabo: Marziale si prepara ad una dimostrazione
Epigramma 46 335

concreta di quanto dice: cfr. XII 96, 5 plus tibi quam domino pueros
praestare probabo.
4: seguire a piedi il patrono portato in lettiga era uno degli obblighi più
stancanti del cliente. Marziale ce la farà a mala pena a stargli dietro, mentre
il liberto potrà anche portare la lettiga, un atto che, oltre a richiedere uno
sforzo maggiore, è ben più umiliante: cfr. X 10, 7 lecticam sellamve sequar?
nec ferre recusas (Paolo, pur essendo console, si sottopone alle azioni
più umilianti della clientela). Lettighe più o meno ampie costituivano un
simbolo di opulenza; Marziale parla di una lettiga octo Syris suffulta (IX 2,
11) e di hexaphori (II 81, 1; VI 77, 9); vd. anche Catull. 10, 16; Sen. dial.
IX 12, 4; X 12, 6; epist. 22, 9; 31, 10; 80, 8; 110, 17; Iuv. 1, 121; 3, 239 sg.;
sull’argomento Marquardt 1886, p. 149 sg.; Blümner 1911, pp. 446-49.
5: per l’immagine cfr. Hor. sat. II 6, 28 luctandum in turba et facienda
iniuria tardis; 30 sg. ‘tu pulses omne quod obstat / ad Maecenatem
memori si mente recurras.’; Sen. dial. IX 12, 4 quorundam quasi ad
incendium currentium misereberis: usque eo impellunt obvios et se
aliosque praecipitant, cum interim cucurrerunt aut salutaturi aliquem
non resalutaturum … et lecticam adsectati quibusdam locis etiam
tulerunt; Iuv. 3, 239 sgg. si vocat officium, turba cedente vehetur / dives
et ingenti curret super ora Liburna / … / (242) ante tamen veniet: nobis
properantibus obstat / unda prior, magno populus premit agmine lumbos
/ qui sequitur, ferit hic cubito, ferit assere duro / alter, at hic tignum
capiti incutit, ille metretam. Per la paratassi in luogo di una ipotetica,
propria dello stile colloquiale, vd. la n. a 38, 8 audieris, dices; cfr. anche
infra v. 9. – cunctos umbone repellet: la congettura cuneos di Turnebus e
Heinsius, derivante dall’interpretazione di umbo come clipeum e tesa a
sviluppare l’immagine militare, è stata accolta da Schneidewin2, ma non è
necessaria (cfr. Hor. sat. II 6, 30 e Sen. dial. IX 12, 4 citati supra). Umbo è
hapax in Marziale, qui nell’accezione, piuttosto rara, di cubitum: cfr. Stat.
Theb. II 671 clipeum nec sustinet umbo con il commento di Mulder; Ach.
II 141 excipere immissos scutato umbone molares (scutato P; curvato ).
Per l’immagine cfr. Iuv. 3, 244 ferit hic cubito, in contesto analogo. Poco
persuasiva l’ipotesi di S.B. Slack (On Martial III 46, 5, «CR» 7, 1893, p.
203) di intendere umbo come ‘footpath’ o ‘kerb-stone’ (vd. OLD, s.v.,
nr. 2 a), come, ad es., in Stat. silv. IV 3, 47 tunc umbonibus hinc et hinc
coactis, dove si parla dei blocchi di pietra posti ai lati della Via Domitiana:
ad umbo di questo verso corrisponde latus del seguente e l’ablativo
336 M. Val. Martialis liber tertius

difficilmente potrà avere valore diverso da quello strumentale. La clausola,


quasi identica, umbone repellit ricorre in Ilias 606; 953, dove umbo ha il
comune significato di ‘scudo’.
6: il verso riecheggia Ov. trist. I 5, 72 invalidae vires ingenuaeque mihi,
in cui il poeta paragona la propria sorte di esiliato a quella di Ulisse; cfr.
anche trist. V 2, 3 sg. corpus … quod ante laborum / impatiens nobis
invalidumque fuit. Influenza formale su questo verso ha esercitato anche
Ov. am. III 11 (10), 14 invalidum referens emeritumque latus (si parla
dell’amante stanco dopo le sue prestazioni). Ingenuus ha qui il valore
traslato di ‘delicato’ (per cui vd. la n. a 33, 4), ma l’attributo conserva
la valenza originaria di ‘nato libero’ (in contrapposizione con il liberto),
che mette in evidenza l’inadeguatezza del poeta per lo sforzo fisico;
cfr. anche X 47, 6 ingenuae vires; 82, 6 ingenuas … cruces. È topica la
rappresentazione dell’intellettuale come gracile e delicato: cfr. Tib. II 3,
9 sg. nec quererer quod sol graciles exureret artus, / laederet et teneras
pussula rupta manus; Ov. trist. I 5, 72; V 2, 3 sg. citati supra. – latus: indica
qui la sede della forza: vd. ThlL VII 2, 1026, 82 sgg.; cfr. Plin. epist. IV 7,
4 imbecillum latus.
7 sg.: Marziale dichiara la propria inadeguatezza a lodi insincere, mentre
il liberto garantirà un rumoroso sostegno. Accompagnare il patrono in
tribunale per una causa e sostenerne l’orazione con applausi e grida faceva
parte degli officia del cliente: cfr. II 27, 1-3 laudantem Selium, cenae dum
retia tendit, / accipe sive legas sive patronus agas: / ‘effecte! graviter! cito!
nequiter! euge! beate!’; Iuv. 13, 31 sgg. nos hominum divumque fidem
clamore ciemus / quanto Faesidium laudat vocalis agentem / sportula?;
vd. anche Mart. X 70, 11; Plin. epist. II 14, 4 sgg.; Gell. IX 15, 9; Lucian.
Rhet. Praec. 21; anche in Mart. VI 48 quod tam grande sophos clamat tibi
turba togata, / non tu, Pomponi, cena diserta tua, comunemente riferito
alla recitazione dei propri versi a cena da parte dell’ospite (vd. Grewing,
ad loc.), è possibile vedere una menzione dell’attività forense del patrono,
cui ben si attaglia l’attributo disertus, sostenuta rumorosamente dai suoi
clienti nella speranza di un invito a cena. Non persuasiva appare pertanto
la congettura coena per causa di Hartman 1897, p. 338 sg., motivata con la
considerazione che la narratio non sarebbe una parte dell’orazione adatta
ad applausi («An oratori tum praesertim plauditur cum narrationem
feliciter peregit? Aptius illud fieri opinor post aliquem locum plenum
gravitatis oratoriae»). Dalla stessa considerazione deriva la correzione
Epigramma 46 337

recitaveris di Perotti, presente in v2 e nella ed. Rom. 2. – tergeminum:


l’aggettivo ricorre a partire da Lucrezio ed è di uso quasi esclusivamente
poetico: cfr. Hor. carm. I 1, 8 certat tergeminis tollere honoribus con
il commento di Nisbet-Hubbard1. La scelta dell’attributo dipende forse
dal suo volume sillabico, che mima l’intensità delle grida del liberto. –
mugiet: il grido adulatorio è efficacemente assimilato ad un muggito; il
verbo rappresenta un urlo indistinto, quasi animalesco: cfr. Petron. 115,
5 poetam mugientem (sc. Eumolpum); Fronto p. 50, 4 v.d.H. (= p. 54
N.) mugiunt vel stridunt potius (sc. oratores veteres). – sophos: grecismo
lessicale ( ), probabilmente al tempo di Marziale già acclimatato nel
latino colloquiale; per il tono adulatorio dell’esclamazione cfr. Petron. 40,
1 ‘sophos’ universi clamamus, dove segue alla dissertazione astrologica
di Trimalchione; qui è sostantivato come in I 3, 7 audieris cum grande
sophos; 49, 37 grande et insanum sophos; 76, 10 magnum, sed perinane
sophos; VI 48, 1 grande sophos. Per analoghe interiezioni cfr. II 27, 3 cit.
supra con il commento di Williams.
9. lis erit: lis avrebbe valore giuridico secondo Izaac («procès») e
SB2 («lawsuit»). La situazione processuale è però presentata nei versi
precedenti (7 sg.); il sostantivo avrà dunque qui il significato più generico
di ‘lite’, ‘controversia’ (vd. ThlL VII 2, 1499, 64 sgg.), cui meglio si adatta
la reazione del liberto (convicia). – ingenti … voce: la iunctura si trova
nella stessa posizione metrica in Ov. met. VIII 432; cfr. anche Stat. Theb.
VI 922; Mart. VII 8, 4; VIII 7, 3. – faciet convicia: facere convicium è
espressione colloquiale, attestata in commedia (Plaut. Bacch. 874; Mer.
235; Mos. 617; Ter. Ad. 180). In poesia dattilica ricorre in Prop. I 6, 15; 8
volte in Ovidio; in Laus Pis. 80, sempre con convicia per ragioni metriche
(per lo più in quinta sede dell’esametro).
10: Marziale rivela anche altrove un’indole aliena dai conflitti, menzionan-
do l’assenza di liti tra gli elementi che rendono la vita beata: cfr. II 90,
10 sit nox cum somno, sit sine lite dies; X 47, 5 lis numquam. – vetuit:
perfetto di consuetudine. – fortia verba: nell’espressione è certamente
presente un riferimento a convicia del verso precedente (Izaac: «les gros
mots»; SB2: «strong language»), come si evince dalla menzione del pudor
(per la contrapposizione convicium-pudor cfr. Cic. Verr. II 5, 28 erant
autem convivia non illo silentio praetorum atque imperatorum neque
eo pudore, qui in magistratuum conviviis versari solet, sed cum maximo
clamore atque convicio); tale accezione non esclude tuttavia una sfumatura
338 M. Val. Martialis liber tertius

relativa al volume della voce (cfr. v. 9 ingenti … voce; vd. Norcio: «a me


invece il pudore vieta di alzare la voce»). La iunctura ricorre, con diverso
significato (‘parole coraggiose’), in Prop. I 5, 14; Tib. II 6, 12; Epic. Drus.
10; Ps. Quint. decl. 13, 6; vd. anche Ov. met. IV 652.
11. nobis: il plurale maiestatis tradisce l’ambizione autoritaria del patro-
no. – praestabis: sull’uso di praestare in relazione alla clientela vd. la n. a
36, 1 sg. – amicus: può designare indifferentemente sia il patrono che il
cliente: vd. la n. 36, 1.
12: Marziale potrà offrire all’amico qualcosa che non è nelle possibilità
del liberto: la sua sensibilità, intelligenza, cultura. Mentre il patrono vede
il suo rapporto con il cliente in un’ottica essenzialmente utilitaristica,
Marziale non si considera alla stregua degli altri clienti e vorrebbe sentire
riconosciuta la propria diversità. – non poterit: l’espressione ribadisce, in
conclusione, la distinzione tra il poeta e un liberto qualsiasi: cfr. V 13, 9 sg.
cit. nella n. intr.
Epigramma 47 339

47

Capena grandi porta qua pluit gutta


Phrygiumque Matris Almo qua lavat ferrum,
Horatiorum qua viret sacer campus
et qua pusilli fervet Herculis fanum,
Faustine, plena Bassus ibat in raeda, 5
omnis beati copias trahens ruris.
Illic videres frutice nobili caules
et utrumque porrum sessilesque lactucas
pigroque ventri non inutiles betas;
illic coronam pinguibus gravem turdis 10
leporemque laesum Gallici canis dente
nondumque victa lacteum faba porcum.
Nec feriatus ibat ante carrucam,
sed tuta faeno cursor ova portabat.
Urbem petebat Bassus? Immo rus ibat. 15

post 49 hab. Q tit. ad faustinum 2 lavat EA²XV²: lavit A¹ lava V¹ ferrum


LPQf¹EAX: ferro V fretum f² s.l. 3 horatiorum PQfEA²X: horationum LA¹V viret
LPQf¹ : viget f²v.l. 4 pusilli Q²f² : plusilli LPQ¹f¹ 6 beati copias AXV²: beati copia
V¹ beata copia E trahens ruris V²Fh²klvv1v2: trahens iuris EAXV¹h¹ ruris trahent LPQf¹
ruris trahens f² 8 porrum Lf : possum PQ 9 inutiles P²f² : inutilis Q² utiles LP¹f¹ utilis
Q¹ 10 coronam f² : coram LPQf¹ turdis XV²s.l.: turris EAV¹ 11 gallici canis dente
VBFGh²bklvv1v2² (v2¹ n. l.): gallici canis dentes EAh¹ callicanis dentem LPQf¹ gallicanis
dentibus f²X 12 victa : victati XV victicti EA faba AV²s.l.: fabo EXV¹ 13 feriatus
LPf : feriatum Q 15 urbem V²s.l.: romam EAXV¹ rus EXV: ros A

Dove la porta Capena gronda di grosse gocce d’acqua


e dove l’Almone lava il ferro della Madre frigia,
dove verdeggia il sacro campo degli Orazi
e dove brulica di persone il tempio del piccolo Ercole,
o Faustino, Basso andava su un carro pieno, 5
recando tutte le ricchezze di una tenuta produttiva.
Lì avresti potuto vedere cavoli dal nobile gambo
ed entrambe le qualità di porro e sessile lattuga,
e bietole non inutili per un ventre pigro;
lì una corona pesante di grassi tordi, 10
340 M. Val. Martialis liber tertius

una lepre morsa dai denti di un cane gallico


e un porcello da latte che ancora non riesce a masticare le fave.
E il battistrada non se ne andava ozioso davanti al carro,
ma portava uova al sicuro nel fieno.
Veniva in città Basso? Al contrario: andava in campagna. 15

Marziale descrive a Faustino, dedicatario del libro (vd. l’Introduzione, §


3), il percorso del comune amico Basso su un carro per la porta Capena,
a sud di Roma. Nei versi introduttivi il poeta presenta con tratti precisi i
luoghi attraversati dall’amico (1-4); quindi pone il suo sguardo sul carro,
carico di tutti i beni alimentari di una ricca tenuta agricola (5 sg.), che, nella
parte centrale dell’epigramma (8-14), Marziale passa in rassegna con il suo
peculiare gusto per il catalogo (su cui vd. La Penna 1992): dalle verdure (7-
9) si passa agli animali (10-12), per giungere fino alle uova (13 sg.), portate
dal battistrada. La minuta e compiaciuta descrizione agisce però anche
in funzione dell’ultimo verso, che realizza l’ : Basso non
torna a Roma dalla sua tenuta campagnola, ma, al contrario, proviene dalla
città. La conclusione getta dunque una diversa luce sull’ampia sezione
catalogica (8-14), che non celebra la ricchezza della villa di Basso, ma
ne schernisce l’improduttività. L’apparente encomio diviene bonaria
satira diretta contro l’amico. Il componimento costituisce una coppia
con l’epigr. 58 (51 vv.), in cui Marziale loda a Basso la prosperità della
villa baiana di Faustino, cui contrappone in conclusione la sterilità della
tenuta di Basso (45-51). La connessione tra i due epigrammi è rinsaldata
dall’identità del metro (scazonte). Il Basso nominato nei due epigrammi
va pertanto considerato con sicurezza un amico del poeta, probabilmente
padre dell’infans Urbicus, la cui morte è pianta in VII 96. Ingiustificata
appare pertanto la scelta di SB (vd. SB2, III, p. 343) di considerare fittizio
il nome in questo epigramma e in III 58. Per Basso come nome fittizio vd.
la n. intr. all’epigr. 76.

1-4: sul gusto di Marziale per precise ambientazioni topografiche degli


epigrammi narrativi vd. la n. a 19, 1. Per l’anafora di qua in contesti
topografici cfr. Verg. georg. III 349 sgg.; Hor. carm. III 30, 10 sgg.; Tib. II
5, 58 sgg.; Prop. III 22, 13 sgg.; IV 8, 5 sgg.; Lucan. I 432 sgg.; Stat. Theb.
II 376 sgg.; silv. III 2, 138 sgg.
Epigramma 47 341

1: un’immagine analoga descrive il portico di Agrippa in IV 18, 1 sg. qua


vicina pluit Vipsanis porta columnis / et madet assiduo lubricus imbre
lapis. Sopra la porta Capena, menzionata da Marziale soltanto qui, passava
un canale dell’acqua Marcia, che lasciava cadere incessantemente gocce
dalla volta: cfr. Iuv. 3, 11 veteres arcus madidamque Capenam; Schol. Iuv.
madidam ideo quia supra eam acquaeductus est, quem nunc appellant
arcum stillantem; si tratta del rivus Herculaneus, che dopo aver attraversato
e rifornito il mons Caelius, finitur supra portam Capenam (Frontin. aq. I
5, 19); in proposito vd. Platner-Ashby, s.v. arcus stillans; LTUR I, p. 69; T.
Ashby, The Aqueducts of Ancient Rome, Oxford 1935, p. 155; F. Coarelli,
s.v. Murus Servii Tullii: Porta Capena, LTUR III, p. 325). La porta Capena
costituiva l’entrata meridionale delle Mura Serviane; da essa si dipartivano
la via Appia e la via Latina, unite nel primo tratto (vd. Hülsen, RE III 1506;
LTUR III, p. 325). – porta … pluit gutta: la costruzione personale di pluo
con un monumento come soggetto ricorre soltanto in Marziale, ancora in
IV 18, 1 cit. supra; vd. OLD, s.v. pluo, 2 b; solo qui con l’ablativo (gutta).
2: nelle acque dell’Almone si svolgeva il 27 marzo il rito della purificazione
della statua della Magna Mater e degli strumenti cultuali (vd. RE XXI 1949
sgg. e il commento di Bömer1 a Ov. fast. IV 337 sgg.). La cerimonia è descritta
da Ovidio, fast. IV 337 sgg. est locus, in Tiberim qua lubricus influit Almo
/ et nomen magno perdit in amne minor: / illic purpurea canus cum veste
sacerdos / Almonis dominam sacraque lavit aquis. / exululant comites,
furiosaque tibia flatur, / et feriunt molles taurea terga manus … ipsa (sc.
dea) sedens plaustro porta est invecta Capena: / sparguntur iunctae flore
recente boves; cfr. anche Cic. nat. deor. III 52; Lucan. I 600; Val. Fl. VIII
239; Sil. VIII 363; Stat. silv. V 1, 223 sgg.; Ambr. epist. 18, 30; Amm. XXIII
3, 7; Claud. XV 119. – Phrygium …: l’attributo è legato per enallage a
ferrum anziché a Matris. – Almo: l’Almone era un piccolo fiume (Ov. met.
XIV 330 cursu … brevissimus Almo), che nasceva ai piedi dei colli Albani
e scorreva verso il sud di Roma, sfociando nel Tevere dopo 15 km (Nissen,
IL, p. 547; vd. anche p. 491) o 6 km (Hülsen, RE I 1589). In Marziale Almo
ricorre come nome di persona in X 91, 1 sg. omnes eunuchos habet Almo
nec arrigit ipse, / et queritur, pariat quod sua Polla nihil, dove la scelta
è probabilmente allusiva ai sacerdoti di Cibele, notoriamente castrati (vd.
Pavanello 1994, p. 172). – ferrum: indica, con metonimia comune (vd. ThlL
VI 1, 584, 45 sgg.), il coltello (culter) usato nei riti di Cibele: cfr. II 45, 2; IX
2, 13 sg.; Iuv. 2, 116; vd. al riguardo Sanders, Gallos, 1004.
342 M. Val. Martialis liber tertius

3. Horatiorum … campus: i sepolcri degli Orazi si trovavano nel luogo


dove si era svolto lo scontro con i Curiazi: cfr. Liv. I 25, 14 sepulcra exstant
quo quisque loco cecidit, duo Romana uno loco propius Albam, tria
Albana Romam versus sed distantia locis ut et pugnatum est; 26, 2 cui
(sc. Horatio) soror … obvia ante portam Capenam fuit; Dionys. III 22,
1; vd. RE VIII, s.v. Horatius, 2324, 41 sgg. Sulla presenza lungo il primo
tratto della via Appia dei sepolcri di numerose illustri famiglie cfr., ad es.,
Cic. Tusc. I 13 an tu egressus porta Capena cum Calatini Scipionum
Serviliorum Metellorum sepulcra vides, miseros putas illos? (in proposito
vd. LTUR V, s.v. Via Appia, p. 131 sgg.).
4. pusilli … Herculis fanum: il fanum doveva trovarsi nelle vicinanze
del tempio di Ercole fatto costruire da Domiziano all’ottavo miglio della
via Appia, nel quale si trovava una statua dell’eroe con le sembianze
dell’imperatore (cfr. IX 64; 65; 101). Il fatto che Marziale non menzioni
questo tempio prima del nono libro consente di datarne la costruzione
al 94 (vd. Henriksén, II, p. 65). Il fanum qui citato potrebbe essere
identificato con i resti di tempio ritrovati nello stesso sito, databili alla
tarda repubblica (vd. L. Quilici, Via Appia da Porta Capena ai Colli
Albani, Roma 1989, p. 55). L’espressione pusillus Hercules allude secondo
alcuni interpreti (Izaac, Norcio) ad una statua di Ercole fanciullo (per la
diffusione del soggetto nell’arte greco-romana cfr. XIV 177 tit. Hercules
Corinthius con il commento di Leary1). A Roma però l’eroe fu celebrato
principalmente come Hercules Victor o Invictus (vd. Wissowa 1912, p.
271 sgg.; Daremberg-Saglio III, 1, s.v. Hercules, p. 124 sgg.; LTUR III, s.v.
Hercules) e come tale è raffigurato anche sulle monete (vd. The Roman
Imperial Coinage, by H. Mattingly and E.A. Sydenham, II, London 1926,
index III, s.v. Hercules). Pusillus inoltre non è mai usato da Marziale nelle
altre dieci occorrenze in riferimento all’età. L’attributo alluderà piuttosto
alle dimensioni della statua (Friedlaender; vd. anche Hanssen 1951, p. 202
n. 1). Da escludere invece l’ipotesi, già sostenuta da Calderini (vd. anche
Schrevel) e riproposta da Stephenson e Paley-Stone, che l’espressione
nasconda un’adulazione di Domiziano, considerato implicitamente
Hercules magnus: il motivo encomiastico ricorrerà solo alcuni anni più
tardi in IX 64, 6 maiorem Alciden nunc minor ipse colit, in occasione
della costruzione del tempio di Ercole sulla via Appia menzionato supra.
– fervet: per l’accezione traslata di ‘brulicare’, ‘essere affollato’ vd. ThlL VI
1, 593, 66 sgg.; OLD, s.v., nr. 4 b; l’accostamento del verbo a pusilli mette
Epigramma 47 343

efficacemente in risalto la grande venerazione per una statuetta (cfr. IX 43,


2 exiguo magnus in aere deus). Meno probabile l’interpretazione del verbo
in senso proprio, sostenuta da Izaac («où le soleil chautte le sanctuaire
d’Hercule enfant»).
5. raeda: termine di origine gallica (cfr. Quint. inst. I 5, 57 e vd. Ernout-
Meillet, p. 563); indica un carro a quattro ruote, che veniva trainato da
due o quattro cavalli, in grado di portare numerosi viaggiatori e un grande
carico: cfr. Iuv. 3, 10 tota domus (sc. Umbrici) raeda componitur una; vd.
RE I A 41, 7-42, 17; Daremberg-Saglio IV, p. 862 sg.; in Marziale ricorre
ancora in X 14, 1. Qui è sinonimo di carruca (cfr. v. 8).
6. omnis: sugli accusativi plurali in -is vd. la n. a 10, 2. – beati: beatus
riferito a terreni significa ‘produttivo’, ‘fertile’ (vd. ThlL II 1918, 57-67):
cfr. IV 64, 1 sg. Iuli iugera pauca Martialis / hortis Hesperidum beatiora;
VIII 40, 1 sg. non horti neque palmitis beati / … custos; Hor. epod. 16,
41 arva beata petamus; Ov. epist. 16, 177 Asiae, qua nulla beatior ora est;
Tac. hist. III 66, 2 beatos Campaniae sinus; Stat. silv. I 3, 15 sg. beatis /
… locis; Apul. met. VI 35 magnos et beatos agros possidebat. – trahens
ruris: il testo corretto, ampiamente diffuso nella tradizione umanistica,
è congettura non difficile a partire dal testo di (trahens iuris; la stessa
corruttela in IV 79, 2 rus , edd.: ius ). L’ordo verborum della seconda
famiglia è metricamente inaccettabile.
7. frutice nobili caules: caulis è qui usato per brassica, termine che
sostituisce a partire dal I sec. d.C. (vd. ThlL III 653, 47 sgg. ‘i. q. brassica’;
André 1956, p. 77 sg.): cfr. XIII 17 tit. fascis coliculi. ne tibi pallentes
moveant fastidia caules, / nitrata viridis brassica fiat aqua; il diminutivo
coliculus ricorre in V 78, 7; XII 25, 4; XIV 101, 2. Mobili è errore di stampa
in SB1, corretto in SB2 (vd. p. VII). Per nobilis quale epiteto di verdura cfr.
V 78, 19 succurrent tibi nobiles olivae.
8. utrumque porrum: entrambi i tipi di porro sono presenti negli Xenia:
cfr. XIII 18 tit. porri sectivi. fila Tarentini graviter redolentia porri /
edisti quotiens, oscula clusa dato; 19 tit. porri capitati. mittit praecipuos
nemoralis Aricia porros: / in niveo virides stipite cerne comas. Sui due
tipi vd. André 1956, p. 259. I porri facevano parte della gustatio: cfr. V 78,
3 sg. non derunt tibi, si soles , / viles Cappadocae gravesque
porri; X 48, 8 sg. et varias quas habet hortus opes, / in quibus est … tonsile
porrum; XI 52, 5 sg. prima tibi dabitur ventri lactuca movendo / utilis
et porris fila resecta suis. Ricette con i porri sono presenti in Apic. III 10
344 M. Val. Martialis liber tertius

(vd. André 1981, pp. 27 sg.; 32.). – sessiles … lactucas: un tipo di lattuga
chiamata Laconica: cfr. Plin. nat. XIX 125; viene menzionata da Marziale
anche in X 48, 9 lactuca sedens; vd. André 1956. Il nesso ricorre nella
stessa posizione metrica in Priap. 51, 19. Anche la lattuga fa parte della
gustatio: vd. la n. a 50, 4. Sui suoi poteri lassativi vd. l’epigr. 89 di questo
libro.
9: sul potere lassativo della bietola cfr. Plin. nat. XIX 135 mira differen-
tia, si vera est, candidis (sc. betis) alvum elici, nigris inhiberi; XX 71
coquitur et cum lenticula addito aceto, ut ventrem molliat; vd. anche
Diosc. II 123. Marziale nomina la bietola ancora soltanto in XIII 13
ut sapiant fatuae, fabrorum prandia, betae, / o quam saepe petet vina
piperque cocus!
10. coronam pinguibus gravem turdis: i tordi venivano legati insieme
a formare una sorta di corona, come testimoniato anche in XIII 51 tit.
turdorum decuria. texta rosis fortasse tibi vel divite nardo, / at mihi de
turdis facta corona placet (vd. ThlL IV 987, 74 sg.; per un’analogo uso
di corona cfr. XII 32, 19; XIII 35, 2). Il tordo era considerato un cibo
prelibato: cfr. XIII 92 inter aves turdus, si quid me iudice certum est, /
inter quadrupedes mattea prima lepus; vd. anche III 77, 1; VI 75, 1; VII
20, 6; Hor. epist. I 15, 40 sg.; Macrob. Sat. III 13, 12; il suo prezzo era alto:
cfr. Varro rust. III 2, 15; vd. André 1981, p. 122; veniva cacciato nei poderi
suburbani: cfr. II 40, 3; III 58, 26; IV 66, 6; XI 21, 5. Era fra i doni che si
inviavano agli amici nella celebrazione dei Caristia il 22 febbraio: cfr. IX
54; 55 con il commento di Henriksén.
11: i cani da caccia gallici erano rinomati: cfr. Gratt. cyneg. 156 magna-
que diversos extollit gloria Celtas (vd. però Verdière, ad loc., che ritiene
si tratti dei Celti orientali o Galati); Arrian. cyneg. 3, 6; Oppian. cyneg. I
373; sull’argomento vd. Orth, RE VIII, s.v. Hund, 2553, 23 sgg.; Orth,
RE IX 1, s.v. Jagd; Toynbee 1973, p. 108 sgg. Il canis Gallicus che insegue
una lepre ricorre in un’elaborata similitudine di Ovidio (met. I 533 sgg., a
proposito di Apollo e Dafne): ut canis in vacuo leporem cum Gallicus arvo
/ vidit, et hic praedam pedibus petit, ille salutem / (alter inhaesuro similis
iam iamque tenere / sperat et extento stringit vestigia rostro; / alter in
ambiguo est, an sit comprensus et ipsis / morsibus eripitur tangentiaque
ora relinquit) / sic deus et virgo, est hic spe celer, illa timore (vd. Bömer2,
ad loc.). In Marziale cfr. XIV 200 tit. canis vertragus. non sibi sed domino
venatur vertragus acer, / inlaesum leporem qui tibi dente feret (vertragus
Epigramma 47 345

è vocabolo di origine celtica o gallica che indica la velocità: cfr. Arrian.


cyneg. 3, 6). Per l’uso di cani Gallici come animali domestici cfr. XIV 198
tit. catella Gallicana con il commento di Leary1. Il muso di un cane gallico
è menzionato come termine di paragone dispregiativo in Catull. 42, 8-10
illa, quam videtis / turpe incedere, mimice ac moleste / ridentem catuli
ore Gallicani. – Gallici canis dente: diversamente da quanto attestato
dagli editori, la lezione corretta, ampiamente presente nella tradizione
umanistica, ricorre già in V, quindi in BGh². Si tratta senz’altro di una
congettura: la lezione dell’archetipo della terza famiglia era gallici canis
dentes, attestata da EA.
12. nondum … victa … faba: le fave erano usate come alimento per
il bestiame: cfr. Varr. rust. II 4, 6 alitur (sc. sus) maxime glande, deinde
faba et hordeo; Colum. VII 9, 9 (suibus) fabae … cum vilitas permittit,
facienda est potestas; Plin. nat. XVIII 120 eius (sc. fabae) namque siliquae
caulesque gratissimo sunt pabulo pecori. La loro durezza (cfr. Catull. 23,
21 id durior est faba et lapillis) ne impediva il consumo al porcello lattante:
cfr. Varr. rust. II 4, 17 amisso nomine lactantes dicuntur nefrendes ab eo,
quod nondum fabam frendere possunt. L’ablativo svolge una funzione
appositiva nei confronti di lacteum. – lacteum … porcum: apprezzamento
per il porcellino da latte è espresso in XIII 41 tit. porcellus lactans. lacte
mero pastum pigrae mihi matris alumnum / ponat, et Aetolo de sue
dives edat. Il maiale era cibo comune sulla tavola dei Romani: cfr. II 37,
2; VIII 22, 1; XIII 35; XIV 71. Apicio fornisce numerose ricette per
cucinarlo e per salse con cui condirlo (VIII 7, 1-17); una ricetta specifica
per il porcellus lactens si trova in Apic. exc. p. 130. L’attributo lacteus reca
altrove in Marziale una nota cromatica (candidus): cfr. I 36, 6 lactea colla;
III 58, 22 lactei … vernae; VIII 45, 2 lactea gemma. Solo in questo passo
equivale a lactans o lactens (sull’ammissibilità di entrambe le forme vd. il
commento di Citroni a I 43, 7): vd. ThlL VII 2, 848, 15 sgg.; 850, 9 sgg.
13 sg.: anche il battistrada (cursor) è impegnato a portare uova. Il cursor
era uno schiavo che precedeva il carro o la lettiga del dominus, per il quale
costituiva principalmente un segno di prestigio: cfr. XII 24, 7; Sen. epist.
87, 9; 123, 7; Petron. 28, 4; Iuv. 5, 52; Suet. Nero 30, 3; Vopisc. Aurelian.
49, 7. – tuta faeno … ova: il fieno proteggeva le uova durante il trasporto:
cfr. Iuv. 11, 70 sg. grandia praeterea tortoque calentia feno / ova.
15: l’ultimo verso realizza l’ : il lungo e dettagliato
catalogo dei prodotti trasportati da Basso sembra magnificare al lettore
346 M. Val. Martialis liber tertius

l’eccezionale produttività del suo podere (cfr. v. 6 beati … ruris), ma prepara


in realtà la pointe finale. Basso è costretto a portare da Roma ogni sorta di
prodotto alimentare, poiché il suo rus suburbanum è assolutamente sterile,
come ricordato da Marziale anche in III 58, 45-51 in conclusione della
vivida descrizione della prospera villa baiana di Faustino: at tu (sc. Basse)
sub urbe possides famem mundam / et turre ab alta prospicis meras laurus,
/ furem Priapo non timente securus; / et vinitorem farre pascis urbano /
pictamque portas otiosus ad villam / holus, ova, pullos, poma, caseum,
mustum. / rus hoc vocari debet, an domus longe? La scarsa produttività
delle ville romane è ancora schernita in X 96, 7-10, dove Marziale vi
contrappone la prosperità delle rustiche tenute spagnole: pascitur hic, ibi
pascit ager; tepet igne maligno / hic focus, ingenti lumine lucet ibi; / hic
pretiosa fames conturbatorque macellus, / mensa ibi divitiis ruris operta
sui; vd. anche VII 31, 8-12, in cui Marziale scherza con Regolo sulla sterilità
del suo podere: nil nostri, nisi me, ferunt agelli. / quidquid vilicus Umber
aut colonus / aut rus marmore tertio notatum / aut Tusci tibi Tusculive
mittunt, / id tota mihi nascitur Subura; X 58, 9 dura suburbani dum
iugera pascimus agri; 94, 5 sg. haec igitur media quae sunt modo nata
Subura / mittimus autumni cerea poma mei. La lezione Urbem della
seconda famiglia (e, per contaminazione, di V²s.l.), accolta da tutti gli
editori, appare senz’altro preferibile a Romam di : il verso contrappone
città e campagna, l’una meta presunta, l’altra meta reale del viaggio di Basso.
Romam sarà probabilmente, come ipotizzato da Heraeus, p. XXXI, una
glossa esplicativa penetrata nel testo (vd. anche Lindsay 1903, p. 30). Tale
tendenza è ben documentata nella terza famiglia (vd. Heraeus 1925, p. 320
sg.); per un caso analogo cfr. VI 21, 8 tam frugi Iuno vellet habere virum
(virum , edd.: Iovem ). Romam petebat ricorre come inizio di verso
in III 14, 1. – immo: spesso usato da Marziale dopo un’interrogativa per
introdurre l’ : vd. la n. a 41 (40), 4.
Epigramma 48 347

48

Pauperis exstruxit cellam, sed vendidit Olus


praedia: nunc cellam pauperis Olus habet.

hab. R post 46 hab. Q tit. ad olum R 1 cellam RLPfX: cellas Q cellam cellam EAV
vendidit R² AXV²: vendidi EV¹ vindedit R¹ olus R X: holus V² om. EAV¹ 2 praedia
R V²in mg.: pr(a)etia EAXV¹ nunc RPQf : nulla L pauperis olus R XV²s.l.: paupe
tusolus EA pauper tu solus V¹

Olo ha costruito la stanza del povero, ma ha venduto


le terre: ora Olo possiede la stanza di un povero.

Nella opulenta Roma dei Flavi era diffusa fra i ricchi la moda di simulare
per gioco la povertà. È Seneca a diffondersi su questa degenerazione morale
e a parlare delle cosiddette cellae pauperum, stanzette disadorne, costruite
nei pressi di ricchissime ville, dove ci si isolava talvolta fingendo di essere
poveri: in una lettera egli suggerisce a Lucilio di abituarsi alla povertà per
qualche giorno, quasi come ammaestramento morale, aggiungendo però:
non est nunc quod existimes me dicere Timoneas cenas et pauperum cellas
et quidquid aliud est per quod luxuria divitiarum taedio ludit: grabattus
ille verus sit et sagum et panis durus ac sordidus (epist. 18, 7); egli ritorna
sull’argomento successivamente, ribadendo il giudizio di condanna (epist.
100, 6): desit sane varietas marmorum et concisura aquarum cubiculis
interfluentium et pauperis cella et quidquid aliud luxuria non contenta
decore simplici miscet. Sulla simulazione di povertà da parte dei ricchi cfr.
ancora Sen. dial. XII 12, 3 nec tantum condicio illos (sc. locupletes) tem-
porum aut locorum inopia pauperibus exaequat: sumunt quosdam dies,
cum iam illos divitiarum taedium cepit, quibus humi cenent et remoto
auro argentoque fictilibus utantur. dementes! hoc, quod aliquando
concupiscunt, semper timent. Olo, protagonista dell’epigramma, si era fatto
costruire una cella pauperis, dove si atteggiava talvolta a povero; ma ha
venduto i suoi praedia e gli è rimasta soltanto la stanzetta. L’interpretazione
prevalente dell’epigramma (vd., ad es., Friedlaender, Ker, Izaac) appare la
più convincente: Olo è finito in rovina e, costretto a vendere tutti i suoi
terreni, ora deve vivere in quella che è divenuta, per ironia della sorte, una
348 M. Val. Martialis liber tertius

vera cella pauperis. La ripetizione del nesso nel secondo verso con spostamento
del significato realizza l’arguzia beffarda del componimento: la condizione prima
simulata è ora reale. Marziale prefigura un simile destino ad uno spendaccione
nel monostico VII 98 omnia, Castor, emis: sic fiet ut omnia vendas. Piuttosto
lambiccata e scarsamente persuasiva l’interpretazione di SB2, p. 235 n. e (già
avanzata in Shackleton Bailey 1978, p. 276 = Id. 1997, p. 68), per il quale: «Olus
had not become poor in earnest; he still owned the house. The point is in the
double sense of habere, ‘have’ and ‘own (especially of land)’. The land Olus used
to own is now represented by the ‘poor man’s cubbyhole’ which was built out
of the proceeds of the sale». Olo dunque avrebbe venduto soltanto i terreni e
Marziale ironizzerebbe sul fatto che i suoi possedimenti si riducono ora alla cella
pauperis. Ma se Olo non è divenuto povero, non si vede il motivo per cui avrebbe
dovuto, pur vendendo i suoi terreni, conservare la sola cella. La conclusione
sarebbe sorprendentemente priva di sale. Neanche i passi citati da SB2 a sostegno
della sua interpretazione (X 31, 6; XII 16, 3) appaiono adeguati: in X 31 Marziale
sferza un certo Calliodoro che ha venduto un servo per acquistare un mullus
di quattro libbre e bene cenare una sola volta; la sua conclusione è spietata:
non est hic, improbe, non est / piscis, homo est; hominem, Calliodore, comes.
L’espressione hominem comes, con cui Marziale esprime icasticamente lo stolto
spreco di Calliodoro, non è certo paragonabile al v. 2 di questo epigramma come
vorrebbe spiegarlo SB (una simile equazione realizza XII 16 addixti, Labiene,
tres agellos; / emisti, Labiene, tres cinaedos; / pedicas, Labiene, tres agellos, dove
è però presente anche una allusione erotica). In entrambi gli epigrammi addotti
da SB è immediamente percepibile la condanna morale del comportamento dei
protagonisti, mentre in questo caso non vi sono elementi che muovano verso
tale interpretazione. Il nome Olo ricorre in Marziale ancora in II 68; IV 36; VII
10; X 54, sempre per persone fittizie.

2. nunc: l’avverbio evidenzia la distanza del presente dal passato: cfr. III
24, 13; VI 71, 6; IX 95, 1; XII 33, 2. – habet: il verbo viene comunemente
interpretato nel senso di ‘abitare’ (Ker, Izaac, Norcio, Scàndola), per cui
cfr. Verg. Aen. VII 131 quae loca quive habeant homines (vd. Serv. ad loc.:
habeant habitent); Ov. rem. 630 alter, si possis, orbis habendus erit; tuttavia
in questa accezione il verbo è utilizzato sempre in modo assoluto (vd. ThlL
VI 3, 2401, 6 sgg.; l’unica eccezione è appunto Ov. rem. 630). Forse è più
probabile intendere habet in senso proprio, supponendo che la concisa
espressione epigrammatica sottintenda tantum o nil nisi.
Epigramma 49 349

49

Veientana mihi misces, ubi Massica potas:


olfacere haec malo pocula quam bibere.

hab. T tit. ad rufum T : ad vuam (aut uvam) 1 veientana PQf : vegentana T valenta
L ubi T : tu c ed. Ferr. tibi ed. Ald. Ramirez de Prado massica TPQf : marsica
L potas T AX: poetas EV ponis Ramirez de Prado 2 olfacere TLPQf² : olfascere f¹
malo T A²V: mallo EA¹X

Mi mesci vino di Veio dove tu bevi Massico:


preferisco annusare queste coppe che bere.

L’epigramma prende di mira un malcostume diffuso al tempo: molti


patroni facevano servire ai loro clienti cibi e vini più scadenti di quelli che
riservavano per sé. Lamentele per la disparità di trattamento a tavola sono
frequenti in Marziale: sul vino cfr. III 82, 22-25 Ligurumque nobis saxa
cum ministrentur / vel cocta fumis musta Massilitanis, / Opimianum
morionibus nectar / crystallinisque murrinisque propinat; IV 85, 1 sg.
nos bibimus vitro, tu murra, Pontice, quare? / prodat perspicuus ne duo
vina calix; IX 2, 5 sg. incensura nives dominae Setina liquantur, / nos
bibimus Corsi pulla venena cadi; vd. anche X 49; XII 27 (28); Iuv. 5, 24
sgg.; 51 sg.; Lucian. merc. cond. 26; Sat. 22; sulla disparità dei cibi vd. la n.
intr. all’epigr. 60. L’uso di servire ben tre qualità diverse di vini, in relazione
al prestigio degli ospiti, è testimoniato da Plinio il Giovane (epist. II 6), il
quale narra di aver cenato apud quendam, ut sibi videbatur, lautum et
diligentem, ut mihi, sordidum simul et sumptuosum. nam sibi et paucis
opima quaedam, ceteris vilia et minuta ponebat. vinum etiam parvis
lagunculis in tria genera discripserat, non ut potestas eligendi, sed ne ius
esset recusandi, aliud sibi et nobis, aliud minoribus amicis (nam gradatim
amicos habet), aliud suis nostrisque libertis; Plinio afferma con orgoglio di
seguire una consuetudine diversa (eadem omnibus pono), ma lascia
intendere che doveva trattarsi di un comportamento non diffuso; l’uso è
testimoniato ancora da Plin. nat. XIV 91 idem Cato cum in Hispaniam
navigasset, unde cum triumpho rediit ‘non aliud vinum-inquit-bibi
quam remiges’, in tantum dissimilis istis qui etiam convivis alia quam
350 M. Val. Martialis liber tertius

sibimet ipsis ministrant aut procedente mensa subiciunt; Petron. 31, 4 sg.
‘ad summam, statim scietis’ ait ‘cui dederitis beneficium: vinum
dominicum ministratoris gratia est’; vd. anche Val. Max. IV 3, 11; Suet.
Iul. 48; Spart. Hadr. 17, 4. Sebbene il tema dell’epigramma sia
immediatamente riconoscibile, la precisa esegesi dei versi ha creato diversi
problemi: al v. 1 ubi è stato interpretato in senso avversativo (vd., ad es.,
Ker: «whereas»; Izaac: «alors que»; Norcio: «ma»). Tale accezione
dell’avverbio non sembra però essere attestata (vd. OLD, s.v.; Hofmann-
Szantyr, p. 651 sgg.). Muovendo da questa considerazione Ker 1950, p. 16
ha proposto di correggere in tibi (come già nell’Aldina del 1501; tu si trova
in c e nell’edizione ferrarese; per il testo di Ramirez de Prado vd. infra). La
congettura, pur facilmente giustificabile sotto l’aspetto paleografico,
introduce un dativus commodi poco appropriato al contesto (né costituisce
un parallelo adeguato VII 54, 8 dormi tibi, citato da Ker). Consapevole
delle difficoltà linguistiche del testo di Ker, SB1, agendo in modo ancor più
radicale, legge tibi … ponis, citando come esempio per la corruttela IV
69, 1 tu Setina quidem semper vel Massica ponis (ponis : potas T). Il
suo intervento, peraltro già proposto da Ramirez de Prado, è però
scarsamente persuasivo, non solo per essere poco economico, ma anche
per via della trasmissione concorde del testo da parte di tutte e tre famiglie,
che rende piuttosto improbabile la doppia corruttela (per l’intera opera di
Marziale Reeve 1983, p. 243 cita solo sei casi di errore comune a tutta la
tradizione). Lo stesso SB si mostra forse non troppo convinto della
soluzione proposta, che pure accoglie nel testo, quando scrive in apparato,
discutendo la presunta corruzione in potas: «potuit etiam nomen, ut Corde,
excidere, tum trad. supponi». Al v. 2 per Friedlaender haec pocula si riferisce
alla coppa dell’anfitrione, mentre bibere sottintende mea; egli così parafrasa
il verso: «Ich will lieber an den letzteren Bechern riechen als (aus den mir
vorgesetzen) trinken». La sua interpretazione è accolta da Izaac e Norcio
(«Preferisco odorare le tue coppe che bere le mie»). Il dettato del verso
suggerisce però di intendere haec come oggetto di entrambi i verbi. Così
fa Ker, per il quale però l’espressione haec pocula sottintende mea («I
would rather smell these cups of mine than drink them»). È tuttavia
evidente che il profumo di cui si può accontentare Marziale può essere
soltanto quello del pregiato Massico. Per SB infine haec si riferirebbe, con
una licentia inconsueta per Marziale, ad entrambe le coppe: «Massica,
quae potare non licet, olfacere mavult quam Veientana bibere (haec ad
Epigramma 49 351

utraque spectat; licentiam quodam modo similem praebet X 24, 4


quinquagensima liba septimamque / vestris addimus hanc focis acerram)»
(SB1, p. 97). Le numerose difficoltà insite nel testo si possono superare se
si mantiene al v. 1 il testo tràdito e si attribuisce ad ubi valore locale,
interpretando, come Paoli, p. 105, «nel bicchiere in cui»: l’ospite serve ai
suoi commensali vino di Veio nella stessa coppa in cui egli ha bevuto il
pregiato Massico. Tale azione fa parte della propinatio, l’usanza di bere in
una coppa, che poi veniva di nuovo riempita e passata ai convitati
(sull’argomento vd. Daremberg-Saglio, s.v. comissatio, II, p. 1373 sg.;
Marquardt 1886, p. 336). Per altre testimonianze sulla propinatio in
Marziale cfr. II 15; VI 44, 6; VIII 6, 13 sg.; XII 74, 9 sg.; vd. inoltre Sen.
ben. II 21, 5; Iuv. 5, 127-129. Questa esegesi consente di risolvere anche i
problemi del v. 2, poiché haec pocula può essere considerato, come è
naturale, oggetto sia di olfacere che di bibere: all’ospite che beve dell’ottimo
Massico, facendo poi servire nelle stesse coppe agli altri scadente vino di
Veio, Marziale fa sapere con humour che preferisce annusare il profumo
che il Massico ha lasciato nella coppa piuttosto che bervi del pessimo vino
di Veio. La struttura è tra le più frequenti nei monodistici marzialiani: alla
narratio del v. 1 segue il il commento del poeta al v. 2. La collocazione dei
verbi alle estremità del pentametro mette in rilievo l’aspetto paradossale di
un simposio in cui è meglio annusare che bere. Il nome proprio del
personaggio preso di mira nell’epigramma è assente; si tratta di un caso
poco frequente: in questo libro cfr. epigr. 23, dove, come qui, manca
completamente l’apostrofe; vd. anche 85, 2 con la generica apostrofe
marite; in altri libri cfr. II 61; 76; IV 88; V 27; 60; 62; VIII 14; 34; 47; 74;
XI 22. Appare dunque curioso il titolo Ad Rufum di T (e ancor più
incomprensibile risulta Ad vuam o Ad uvam di ). Lindsay 1903, p. 54,
che riteneva il titolo di una corruttela di quello di T , avanzava, in via
fortemente dubitativa, l’ipotesi che tale titolo potesse rappresentare una
tradizione credibile che l’epigramma fosse realmente indirizzato ad un
Rufus tra i vari presenti nel corpus epigrammatico di Marziale. Un caso
analogo si verifica in XI 22, dove, in assenza del nome proprio,
T tramandano il titolo Ad Phoebum; lì, secondo lo studioso, l’adeguatezza
del nome, altrove utilizzato da Marziale per lo stesso tipo (cfr. III 73),
«certainly affords strong presumption of accuracy» (Lindsay 1903, p. 54).
L’ipotesi mi sembra in entrambi i casi improbabile: in questo poiché il
bersaglio dell’epigramma è con ogni probabilità il ricorrente ‘tipo’ comico
352 M. Val. Martialis liber tertius

dell’anfitrione avaro e non una persona reale; anche nell’altro, se si tratta di


un ‘tipo’, non si vede perché, non attribuendogli un nome proprio
nell’epigramma, Marziale avrebbe dovuto farlo nel titolo. In entrambi i
casi non escluderei un’interpolazione basata su altri epigrammi: per XI 22
il già citato III 73, per questo l’epigr. 94 di questo libro, in cui Rufo
rappresenta, come qui, il tipo dell’anfitrione avaro (vd. la n. intr., ad loc.).
Difficilmente inoltre il titolo di (Ad uvam o Ad vuam) potrà essere
considerato corruttela di Ad Rufum, come sostenuto da Lindsay. La
menzione dell’uva in un epigramma che tratta di vini può essere
giustificabile, pur nella bizzarria della forma (ci si aspetterebbe semmai De
uva). Un caso analogo è V 27, in cui reca il titolo Ad Paulum, senza che
il bersaglio dell’epigramma sia nominato (vd. la discussione di Canobbio
2002, p. 119 sg.). Per un altro caso di titolo poco comprensibile in questo
libro vd. la n. intr. all’epigr. 92.

1. Veientana: sc. vina (sull’uso del neutro plurale vd. la n. a 26, 3 Massi-
ca); Marziale attesta la qualità scadente del vino di Veio anche in I 103, 9 et
Veientani bibitur faex crassa rubelli; II 53, 3 sg. liber eris … / Veientana
tuam si domat uva sitim; cfr. anche Hor. sat. II 1, 143; Pers. 5, 147; in
generale i vini etruschi appaiono mediocri: cfr. Mart. I 26, 5 sgg.; vd. anche
XIII 118, 2, dove però SB2 e Leary2 accolgono la congettura Latiis per
Tuscis di Gilbert (sulla questione vd. il commento di Leary2, ad loc.). Per
una rassegna sui vini in Marziale vd. La Penna 1999, pp. 163-181. – Massica:
sul Massico, fra i vini più celebrati dell’antichità, vd. la n. a 26, 3. Sull’uso
del neutro plurale vd. la n. a 26, 3 Massica.
2: l’intensità del profumo del Massico è testimoniata da Hor. sat. II 4,
51 sgg. Massica si caelo suppones vina sereno, / nocturna siquid crassi
tenuabitur aura / et decedet odor nervis inimicus; sull’argomento vd. Lilja
1972, p. 119. – olfacere: il verbo appartiene alla lingua d’uso; assente in
poesia elevata, ricorre solo due volte in Catullo, una in Fedro e Giovenale,
tre in Marziale. – bibere: per la chiusa del pentametro con una sillaba breve,
per lo più evitata nella poesia augustea, vd. la n. a 19, 6 fera.
Epigramma 50 353

50

Haec tibi, non alia, est ad cenam causa vocandi,


versiculos recites ut, Ligurine, tuos.
Deposui soleas, adfertur protinus ingens
inter lactucas oxygarumque liber;
alter perlegitur, dum fercula prima morantur; 5
tertius est, nec adhuc mensa secunda venit;
et quartum recitas et quintum denique librum.
Putidus est, totiens si mihi ponis aprum.
Quod si non scombris scelerata poemata donas,
cenabis solus iam, Ligurine, domi. 10

vv. 1-2 hab. R tit. ad ligurinum RLPfEAV: ad legurinum X ad legurnum Q 2


ligurine : legurine R 3 deposui f : deusui LP derisui Q soleas EA²XV: solas
A¹ 4 oxygarumque LPf¹V²in mg.: ossigarumque Q ostygarumque EAX ostiarumque
V¹ origanumque f²s.l. 5 perlegitur dum LPQf¹V²s.l.G²: porrigitur dum f²in mg.XCG³
perge tordum EAV¹G¹ 6 tertius XV: testius EA nec : neque venit V²s.l.:
fuit EAXV¹ 7 librum V²s.l.: bruma EAV¹ broma XC 8 putidus EAV: putridus X
est Q²EAX: es LPQ¹fV totiens LQfV: toties EAX quotiens P

Questa e non altra è la causa per cui inviti a cena:


recitare, o Ligurino, i tuoi versicoli.
Ho appena posato i sandali e subito viene portato
fra la lattuga e la salsa di pesce un gran libro;
un secondo viene letto per intero, mentre il primo piatto tarda; 5
eccone un terzo e ancora non arriva la seconda portata;
reciti un quarto e infine un quinto libro.
È nauseante anche il cinghiale, se me lo servi tante volte.
Per cui, se non doni agli sgombri le tue scellerate poesie,
d’ora in poi cenerai, o Ligurino, a casa da solo. 10

Il terzo epigramma del ciclo contro Ligurino (cfr. 44 e 45) descrive


la cena offerta dal poetastro al solo scopo di recitare i propri versi.
Nell’epigr. 45 Marziale ha già ironizzato sulla fuga dalla cena di Ligurino,
ora essa viene rappresentata nel suo svolgimento. L’epigramma ha una
struttura tripartita: il primo distico espone l’assunto di partenza, che viene
354 M. Val. Martialis liber tertius

dimostrato attraverso la concreta descrizione della cena, che occupa il


corpo centrale del componimento (3-8). Marziale dipinge argutamente
la presenza opprimente dei libri, che, presentati inizialmente insieme
ai cibi (3 sg.), vanno progressivamente a prenderne il sopravvento (3-
7), in una climax che culmina nel v. 7, in cui compaiono ben due libri,
ormai padroni assoluti della scena. Il poeta osserva, attenendosi alla sfera
gastronomica, che anche il cinghiale, uno tra i cibi più raffinati, verrebbe
a noia se proposto in continuazione (8). Gli ultimi versi assumono un
tono minaccioso: se Ligurino non destinerà alle fiamme le sue poesie, le
sue cene saranno disertate da tutti. L’epigramma si chiude dunque con
un significativo richiamo alla fuga dal poetastro, vero Leitmotiv del ciclo
(cfr. 44, 1 sgg.; 45, 1 sg.). Sulla diffusa abitudine di recitare a cena i propri
versi vd. la n. intr. all’epigr. 45. Il tema dell’ospite che recita i propri versi
lasciando a digiuno i convitati è già sviluppato da Lucillio, specialmente in
AP XI 394, con cui questo epigramma mostra evidenti affinità:

Per una puntuale analisi comparativa tra i due componimenti vd. Burnikel
1980, p. 26 sg. Notevoli somiglianze sono però state evidenziate da Citroni
1985, p. 189 anche con AP XI 137 (specialmente vv. 1-3).

2. versiculos: il diminutivo versiculi, che in Marziale ha sempre valenza


dispregiativa (vd. la n. a 9, 1 versiculos), contrasta con la quantità e il
volume dei libri di Ligurino (cfr. 3 sg. ingens / … liber). - recites ut: sulla
posposizione della particella vd. la n. a 19, 5; in questo epigr. cfr. anche v.
8 totiens si.
3-7: nel descrivere la presentazione dei libri Marziale dedica due versi
(3 sg.) al primo, uno al secondo e al terzo (5 sg.), uno solo al quarto e al
quinto (7): la lunghezza decrescente dei cola riservati ai singoli libri esprime
efficacemente l’incalzante successione dei libri e il senso di oppressione
provocato nei commensali.
3 sg. Deposui soleas: prima di stendersi sui letti tricliniari per mangiare i
Romani si toglievano i calzari, consegnandoli al loro servo (cfr. VIII 59, 13 sg.;
Epigramma 50 355

XII 87; vd. anche Hor. epist. I 13 ,15). Deponere soleas (e simili espressioni)
denota dunque la fase preliminare della cena: cfr. Plaut. Most. 384; Truc. 367;
479; poscere soleas indica invece l’intenzione di abbandonare il convivio: cfr.
Hor. sat. II 8, 77. La paratassi (deposui … adfertur) mette efficacemente in
risalto la rapidità con cui la recitazione ha inizio, quando il poeta ha avuto
appena il tempo di prendere posto sul letto tricliniare. - adfertur protinus
ingens: l’espressione produce l’attesa di una eccezionale portata, la cui
menzione viene ritardata dalla collocazione alla fine del verso successivo.
Ingens è attributo caro all’epica, spesso collocato in fine di verso (vd. EV, s.v.
ingens, II, p. 968 sg.); per l’uso in un contesto di parodia epica vd. la n. a 24,
9 ingens iratis apparuit hirnea sacris. - inter lactucas oxygarumque: si tratta
della gustatio, di cui la lattuga era parte abituale: cfr. V 78, 4; X 48, 9; XI 52,
5; XIII 53, 1 sg.; Hor. sat. II 4, 59; 8, 8. In tempi precedenti a Marziale veniva
tuttavia consumata alla fine del pasto: cfr. XIII 14 tit. lactucae. cludere quae
cenas lactuca solebat avorum, / dic mihi, cur nostras inchoat illa dapes? In
generale vd. André 1981, p. 176 sg. L’oxygarum era composto da garum
misto ad aceto: cfr. Apic. VIII 4, 2; I 32 (18); I 34 (20); vd. ThlL IX 2, 1209,
5-22; RE VII 844, 51 sgg. Il sostantivo ricorre soltanto qui in poesia. Lactuca
e oxygarum sono associati nella gustatio anche in CGL III 658, 6. - liber:
l’inattesa e sorprendente menzione del libro, che Marziale rappresenta come
recato in tavola in mezzo alle vivande, realizza una sorta di
al mezzo. Per l’espressione cfr. Hor. sat. II 8, 42 sg. adfertur squillas inter
murena natantis / in patina porrecta.
5: non è ancora giunto il primo piatto ed è già letto per intero un secondo
libro. Ad una recitazione continua, che non concede requie (ben espressa
dal composto perlegitur), fa da contraltare l’assenza di cibi (fercula prima
morantur). Senz’altro da scartare dunque porrigitur di XCG³f², accolto
da Schneidewin e Gilbert. Tale lezione è di certo un tentativo congetturale
di X a fronte del testo corrotto nell’archetipo della famiglia, attestato da
EAV. - dum fercula prima morantur: per quest’accezione di morari
(OLD, s.v. moror, 8 b ‘to be late in appearing’) cfr. XIV 119, 1 (tit. matella
fictilis) dum poscor crepitu digitorum et verna moratur, / o quotiens
paelex culcita facta mea est!; Apul. met. V 2 nec … tibi regales epulae
morabuntur. Poco persuasiva l’esegesi di Ker («while the first course
stands waiting») e Izaac («pendant que le premier service attend»), che
attribuisce un valore inconsueto a moror; l’attesa dei cibi che non arrivano
caratterizza questo verso e il successivo.
356 M. Val. Martialis liber tertius

6. nec adhuc: la lezione di è da preferire a neque di , accolta tra gli


editori moderni soltanto da Schneidewin2 e Gilbert: nei versi dattilici di
Marziale neque davanti a vocale ricorre nell’esametro soltanto per quattro
volte nella formula cristallizzata neque enim e nel pentametro una volta
in XIV 94, 2 neque ardenti; una sola volta davanti a consonante (VII 14,
7, corretto da alcuni editori). Nec adhuc ricorre in Marziale ancora in IV
10, 1; VI 38, 1; VIII 28, 11. La stessa alternanza nec / neque in X 51, 11
nec Marcelli , edd.: neque M. . Sulla preferenza dei poeti augustei per
nec vd. Axelson 1945, p. 115 sgg.; Mueller, De re metrica, p. 503 sgg.;
per l’uso di Virgilio vd. G. Pascucci, s.v. negazioni, in EV III, p. 680; in
generale vd. Hofmann-Szantyr, p. 451 sg.; Löfstedt, Syntactica, I2, p. 331
sgg. - mensa secunda: sulla secunda mensa, equivalente al nostro dessert,
vd. la n. a 17, 1 mensis … secundis. - venit: la lezione di è senz’altro
preferibile a fuit di , accolta soltanto da Schneidewin1 e abbandonata
nella seconda edizione per venit; su questo genere di corruttela vd. H.
Sjögren, in Symbolae philologicae O.A. Danielsson octogenario dicatae,
Uppsala 1932, p. 342 sg.
7. librum: broma di XC è stata accolta da Schneidewin e, nell’originale
forma greca ( ), da Gilbert, che la riteneva adatta al contesto («Nam
de libris hic poeta perinde loquitur ac si epulae essent» Gilbert 1883, p. 1 n.
1) e citava per l’uso metaforico di (= deliciae poematum) Aristoph.
fr. 347, 1 (PCG III 2). La lezione è stata successivamente riproposta da W.
Schmid («Philologus» 97, 1948, pp. 385-389) con l’aggiunta di altri esempi
greci. La metafora poesia / cucina è frequente in Marziale, che forse per
questo ricevette l’appellativo di coquus nel Medioevo: cfr. IX 81, 3 sg. nam
cenae fercula nostrae / malim convivis quam placuisse cocis; X 59, 3 sgg.
dives et ex omni posita est instructa macello / cena tibi, sed te mattea sola
iuvat. / non opus est nobis nimium lectore guloso: / hunc volo, non fiat
qui sine pane satur (su questo campo metaforico vd. Gowers 1993, p. 247
sgg.). Tuttavia numerose considerazioni depongono a sfavore di broma
/ (che sarebbe hapax nella letteratura latina): Marziale limita
l’uso della metafora ai contesti di critica letteraria; diversamente da quanto
sostenuto da Gilbert, qui non si parla di libri come fossero cibi, ma essi
vengono introdotti nella cena assieme alle vivande e progressivamente ne
prendono il posto (recitas sarebbe fuori luogo in un contesto metaforico);
l’archetipo della terza famiglia doveva avere bruma (EAV), che si può
agevolmente spiegare come corruttela di librum supponendo la caduta
Epigramma 50 357

della prima sillaba, supplita in un secondo momento con l’aggiunta di -a,


che consente di ottenere un sostantivo esistente e frequente in Marziale
(bruma), anche se assolutamente estraneo al contesto (vd. Lindsay 1903,
p. 15; Friedrich 1909, p. 109 n.). Tale genere di corruttela non è raro nei
codici della terza famiglia: cfr. I 76, 9 Helicon: licon ; II 57, 3 lacernis:
cernis ; III 32, 2 vetula: tula EA²V (vetula X); 45, 6 boletos: letos E¹AV
(boletos X); 58, 26 rete: te EA¹V; 58, 39 dona matrum: a matrum ; VII
8, 2 Odrysio: drisio ; X 18 (17), 5 libellis: bellis . Broma è pertanto da
considerare congettura di X, conservata da C che di X è copia.
8: persino il cinghiale dà la nausea se proposto tante volte. Sul cinghiale,
cibo tra i più apprezzati dai Romani, cfr. III 77, 2; VII 27; 78, 3; IX 14, 3;
48, 5 sgg.; X 45, 4; XII 17, 4; 48, 1; vd. ThlL II 209, 73 sgg.; André 1981,
p. 118 sg. Putidus è attributo di tono colloquiale (vd. Grassmann 1966, p.
49 sg.); in poesia ricorre in Catullo (sei casi); in Licinio Calvo (un caso); in
Orazio, ma non nelle Odi (epod. 8, 1; sat. II 3, 75; 7, 21), in Catalepton
(due casi); nei Priapea (un caso); in Marziale ancora in XII 39, 2; cfr. anche
putidulus in IV 20, 4. Per la proliferazione nella lingua d’uso di termini che
esprimono il concetto di ‘ripugnante’, ‘schifoso’, ecc., vd. Hofmann, LU,
p. 301 sg. Qui l’attributo va certamente inteso in senso traslato (vd. OLD
s.v., nr. 3); non persuasiva l’intepretazione letterale di Bannier in ThlL,
s.v. aper, II 210, 20 sgg. («tempore rancidus vel putidus factus»), seguita
anche da SB2: «If you serve me boar this often, it stinks». Ker 1950, p.
13 ritiene aprum inaccettabile per il brusco cambiamento di soggetto e
propone di leggere aper, ponendo virgola dopo ponis. La considerazione
non è tuttavia stringente: vd. al riguardo Housman, Manilius, I, p. XLI; A.
Hudson-Williams, Some other Explanations of Martial, «CQ» 46, 1952,
p. 22. Forse anche es attestato nella seconda famiglia e in V potrebbe
essere un tentativo di normalizzare la sintassi, anche se l’aplografia è la
spiegazione più economica (est totiens). - totiens si: per la posposizione
della particella vd. la n. a 19, 5. - ponis: per l’uso di ponere nel senso di
adponere vd. la n. a 45, 5.
9 sg.: Marziale minaccia Ligurino di abbandonarlo se non destinerà i suoi
scritti criminali alle fiamme. L’espressione scombris poemata donare non
fa riferimento, come ritenuto da molti, all’uso del papiro per avvolgere
i pesci in vendita al mercato (sul modello del celebre passo oraziano di
epist. II 1, 268 sgg.), bensì, come è stato dimostrato da Paoli 1932, pp.
33-37, al suo uso come involucro per cucinare il pesce ‘al cartoccio’. La
358 M. Val. Martialis liber tertius

pena costituisce un perfetto contrappasso per il poetastro: le opere che


egli propone ai suoi ospiti in luogo dei cibi dovranno servire per cucinare
il pesce. La prima attestazione letteraria di questo motivo è Catull. 95, 7 sg.
at Volusi Annales Paduam morientur ad ipsam / et laxas scombris saepe
dabunt tunicas (su cui vd. il commento di Thomson), che certamente
costituisce il modello di questo verso. Per l’esame della questione e le
altre occorrenze del motivo in Marziale vd. la n. a 2, 4 cordylas madida
tegas papyro. Quod si è formula di passaggio, molto amata da Cicerone.
In poesia è usata spesso da Lucrezio, Properzio, Orazio (soprattutto nelle
Epistole), ma anche da Virgilio (5 volte nell’Eneide), Tibullo (5 volte nel
Corpus), Ovidio e Lucano (8 volte). Non può pertanto essere considerata
prevalentemente prosaica (vd. Axelson 1945, p. 47 sg.; Hofmann-Szantyr,
p. 571). In Marziale ricorre in II 8, 5; 24, 7; III 93, 23; V 80, 6; VII 38,
3; 68, 3; VIII 64, 16; IX 11, 8; XI 80, 7. Per il tono minaccioso cfr. VIII
64, 16 sgg. quod si ludis adhuc semelque nasci / uno iam tibi non sat
est in anno, / natum te, Clyte, nec semel putabo. - scelerata: l’attributo
evidenzia argutamente l’azione criminale della poesia di Ligurino, che
dunque merita una pena adeguata. - poemata: il sostantivo ricorre solo qui
in Marziale; per la semantica di poema, che spesso ha il valore generico
di ‘poesia’, vd. G. Forte, Contributo alla storia semantica di poema e
poesis, «Rend. Acc. Arch. Lett. e Belle Arti di Napoli» 44, 1969, pp. 223-
242; G. Senis, Inter poesin et poema, in Studi Noniani 11, Genova 1986,
pp. 191-204. Non si può escludere un riferimento a poemi epici in senso
stretto, anche se il paragone con lo stesso cibo riproposto più volte del v.
8 sembrerebbe orientare verso raccolte di brevi carmi, tali da creare un
effetto di ripetitività. - iam: per questa accezione vd. OLD, s.v. iam, nr.
1 b; in Marziale cfr. I 112, 2 nunc bene te novi; iam mihi Priscus eris; III
78, 2 meiere vis iterum? iam Palinurus eris; IV 52, 2 qui modo ficus eras,
iam caprificus eris.
Epigramma 51 359

51

Cum faciem laudo, cum miror crura manusque,


dicere, Galla, soles ‘Nuda placebo magis’,
et semper vitas communia balnea nobis.
Numquid, Galla, times ne tibi non placeam?

hab. T tit. ad gallam T 2 dicere TLPQf² : discere f¹ galla T² : galle T¹

Quando lodo il tuo viso, quando ammiro le tue gambe e le tue mani,
sei solita dire, o Galla: «Nuda ti piacerò di più»,
eppure eviti sempre i bagni comuni con me.
Forse, o Galla, temi che io non ti piaccia?

Alle lodi del poeta sulla sua bellezza Galla è solita rispondere che nuda
riuscirà ad affascinarlo ancora di più. Eppure sfugge sempre dai bagni
comuni, che le offrirebbero l’occasione di mostrare il proprio corpo nudo.
La conclusione di Marziale insinua il sospetto che Galla abbia qualche
difetto fisico che desidera nascondere (cfr. III 72, 1 sg. vis futui nec vis
mecum, Saufeia, lavari. / nescio quod magnum suspicor esse nefas).
Marziale offre numerose testimonianze sui bagni comuni cfr. III [3]; 72;
87; VII 35; XI 47; 75; XIV 60; sull’argomento vd. Busch 1999, pp. 487-502,
specialmente p. 490 sgg. Sui bagni come teatri per esibizionisti e voyeurs,
nonché luoghi privilegiati di incontro, anche per omosessuali, cfr. I 23; 96;
VII 35; IX 33; XI 47; 51; 63; 75. Il nome Galla ricorre frequentemente
negli epigrammi di Marziale per diversi tipi; in questo libro cfr. anche gli
epigr. 54; 90. Qui, come nell’epigr. 54, si tratta di una prostituta (vd. la n.
al v. 4).

1. faciem … crura manusque: si tratta delle parti del corpo non coperte
dai vestiti e sempre visibili (cfr. III 53, 1 sg.).
3. et semper vitas …: per il tentativo di evitare gli incontri nei bagni co-
muni cfr. III 72, 1 sg. cit. nella n. intr. L’avverbio semper rivela che Galla
sfugge sistematicamente alla possibilità di essere vista nuda e prepara il
terreno per l’ultimo verso.
4: l’interrogativa finale sorprende il lettore (che si attenderebbe numquid,
360 M. Val. Martialis liber tertius

Galla, times ne mihi non placeas?). La domanda, posta per assurdo,


mostra chiaramente che Galla è una prostituta, il cui gusto estetico non è
rilevante, e insinua il sospetto che il reale motivo per cui sfugge al poeta
sia il desiderio di nascondere qualche difetto fisico. – numquid: sostituisce
num nella lingua parlata all’inizio dell’età imperiale (vd. Hofmann-Szantyr,
p. 463; Hofmann, LU, p. 154 sgg.); evitato nella prosa più elaborata e nella
poesia alta, numquid ricorre in Marziale 25 volte contro due di num.
Epigramma 52 361

52

Empta domus fuerat tibi, Tongiliane, ducentis:


abstulit hanc nimium casus in urbe frequens.
Collatum est decies. Rogo, non potes ipse videri
incendisse tuam, Tongiliane, domum?

tit. ad tongilianum 1 fuerat EA²XV: ferat A¹ ducentis EAX: duentis V 2 hanc


V: hac EAX 3 decies V: deciens EAX potes XV: potest EA

Avevi comprato una casa, o Tongiliano, per duecentomila sesterzi:


te l’ha strappata una disgrazia troppo frequente a Roma.
Si è raccolto un milione. Mi chiedo, non può sembrare
che alla tua casa , o Tongiliano, abbia dato fuoco tu stesso?

Un incendio ha distrutto la casa di Tongiliano, che questi aveva pagato


duecentomila sesterzi, ma una colletta ha permesso di raccogliere un milione.
Marziale insinua, in modo velato, il sospetto che ad appiccare l’incendio
sia stato colui che ne ha tratto il maggiore beneficio: Tongiliano stesso. Il
componimento ha struttura bipartita: il primo distico espone la sciagura
occorsa a Tongiliano; il secondo, che propone in apertura la soluzione
dei suoi problemi (collatum est decies), realizza l’ ,
addensando in conclusione i sospetti sullo stesso Tongiliano. L’epigramma
è stato ripreso e sviluppato da Giovenale in un noto passo della terza
Satira, in cui descrive la diversa reazione della gente se a perdere la casa è
un povero (203-211) oppure un ricco: v. 212 sgg. si magna Asturici cecidit
domus, horrida mater, / pullati proceres, differt vadimonia praetor. / tum
gemimus casus urbis, tunc odimus ignem. / ardet adhuc, et iam accurrit
qui marmora donet, / conferat impensas; hic nuda et candida signa, /
hic aliquid preclarum Euphranoris et Polycliti, / haec Asianorum vetera
ornamenta deorum, / hic libros dabit et forulos mediamque Minervam,
/ hic modium argenti. meliora ac plura reponit / Persicus orborum
lautissimus et merito iam / suspectus tamquam ipse suas incenderit aedes.
Il nome Tongiliano, derivato da Tongilio, non doveva essere diffuso (vd.
CIL VI index; Schulze 1933, p. 455). In Marziale ricorre anche in XII 88
(cfr. anche Tongilio in II 40); qui è senz’altro fittizio.
362 M. Val. Martialis liber tertius

1: duecentomila sesterzi era una cifra piuttosto bassa per una casa a Roma
(cfr. XII 66, 1); sui prezzi delle case vd. Friedlaender, SR III, p. 84, nn. 3-
4. – fuerat: per erat; sull’uso del piuccheperfetto in luogo del perfetto o
dell’imperfetto, frequente in poesia per comodità metrica, vd. la n. a 4, 8
exierat. Per Watson-Watson, p. 302 fuerat sarebbe invece «more emphatic».
2. nimium casus in urbe frequens: gli incendi erano all’ordine del giorno
nell’antica Roma: cfr. Strabo V 3, 7; Hor. sat. I 1, 76 sgg.; Mart. V 7; Iuv.
3, 6 sgg.; 14, 303 sgg.; sull’argomento vd. Friedlaender, SR I, p. 25 sgg.;
P. Werner, De incendiis Urbis Romae aetate imperatorum, Diss. Leipzig
1906, p. 47; A.G. McKay, Houses, Villas and Palaces in the Roman world,
London 1975, pp. 85-89.
3 sg.: l’interrogativa esprime in modo velato i sospetti del poeta, che si mo-
stra più preoccupato per le apparenze, quasi che per lui l’onestà di Tongiliano
non fosse in discussione; più esplicita la condanna di Giovenale in 3, 221 sg.
cit. nella n. intr. Su rogo, inciso di natura colloquiale, vd. la n. a 44, 9. – decies:
sc. centena milia; sul frequente uso ellittico del moltiplicativo vd. la n. a 22,
2 centies … laxum.
Epigramma 53 363

53

Et vultu poteram tuo carere


et collo manibusque cruribusque
et mammis natibusque clunibusque,
et, ne singula persequi laborem,
tota te poteram, Chloe, carere. 5

tit. ad c(h)loen LPf : ad clohem Q 1 tuo EXV: tua A 3 natibusque X: natibus EAV
clunibusque L²PQf² : colunibusque L¹ clunisque f¹

Del tuo viso potevo fare a meno


e del tuo collo, delle tue mani e delle tue gambe,
dei tuoi seni, delle tue natiche e dei tuoi fianchi
e, per non affannarmi ad enumerare i singoli dettagli,
di te completamente, o Cloe, potevo fare a meno. 5

Del volto di Cloe il poeta poteva fare a meno, e così del suo collo, delle
mani, delle gambe, così dei suoi seni, delle sue natiche, e insomma, di
tutta Cloe poteva fare a meno! Marziale gioca con la tradizione erotica, di
cui l’epigramma realizza una parodia: il preambolo, che enumera alcune
parti del corpo di Cloe ed occupa i primi tre versi, sembra preludere alla
menzione di una sua qualità irrinunciabile per il poeta, forse la donna
stessa nel suo insieme, ma l’ultimo verso realizza la pointe: di Cloe nel
suo complesso egli poteva fare a meno (tota, in posizione di rilievo al
principio dell’ultimo verso, realizza il sovvertimento delle aspettative).
L’epigramma si chiude con un verso che richiama quello iniziale (entrambi
significativamente chiusi dal verbo carere, appartenente al lessico erotico:
vd. la n. al v. 1). Non si può escludere che Marziale intenda richiamare il
c. 86 di Catullo, in cui il poeta contrappone la bellezza di Quinzia, limitata
alle singole qualità del corpo (2 haec ego sic singula confiteor) a quella
complessiva di Lesbia (5 sg. Lesbia formosa est, quae cum pulcerrima
tota est, / tum omnibus una omnis subripuit veneres). Con la differenza
che Cloe non attrae il poeta né con le singole parti del suo corpo, né nel
complesso. Anche la scelta del nome Cloe, che in Marziale ricorre anche in
IV 28, 1 e IX 15, 2, rivela forse un’intenzione allusiva alla poesia erotica e in
364 M. Val. Martialis liber tertius

particolare ad Orazio, che in carm. III 26 usa il nome per una donna altera
e sprezzante, su cui invoca la punizione di Venere (cfr. v. 11 sg. sublimi
flagello / tange Chloen semel arrogantem). In tal caso il disinteresse di
Marziale potrebbe rispondere ad una sorta di solidarietà tra poeti a danno
del ‘tipo’ dell’amante altezzosa. In Orazio il nome ricorre anche in carm.
I 23, 1; III 7, 10; 9, 6. 9. 19, senza che si possa pensare a una sola persona
(vd. al riguardo I. Gualandri, in EO I, p. 693 sg.). Chloe è comunque nome
attestato nelle iscrizioni (vd. ThlL. onom., s.v. Chloe).

1. carere: il verbo appartiene al lessico erotico (vd. Pichon, p. 100)


ed esprime, spesso unito a posse, l’impossibilità per l’amante di privarsi
dell’amata: cfr. Tib. I 2, 65 sg. non ego, totus abesset amor, sed mutuus
esset, / orabam, nec te posse carere velim; Ov. epist. 7, 27 sg. ille quidem
male gratus et ad mea munera surdus / et quo, si non sim stulta, carere
velim; ars II 249 sg. saepe tua poteras, Leandre, carere puella; / transnabas,
animum nosset ut illa tuum; rem. 540 iam quoque, cum credes posse
carere, mane; 775 sg. ut Paris hanc rapuit, nunc demum uxore carere /
non potes.
3. natibusque clunibusque: la differenza tra i due sinonimi è solo di livello
stilistico: nates appartiene alla lingua colloquiale, mentre clunes ricorre anche
in generi letterari alti (cfr., ad es., Lucr. IV 1270; Manil. II 199; IV 462; 707;
Liv. XLIV 5, 7; Germ. Arat. 144; 470; Sen. epist. 47, 6). Sull’argomento
vd. J.N. Adams, Culus, Clunes and their Synonims in Latin, «Glotta» 59,
1981, pp. 231-264, specialmente p. 239 sgg. In Marziale nates presenta 11
occorrenze contro 4 di clunes. Qui clunibusque sembra mirato ad ottenere
una simmetria precisa, attraverso gli omeoteleuti (-ibusque … -ibusque …
-ibusque … -ibusque) e l’effetto paronomastico (manibusque–natibusque;
cruribusque–clunibusque), con il verso precedente.
Epigramma 54 365

54

Cum dare non possim quod poscis, Galla, rogantem,


multo simplicius, Galla, negare potes.

tit. ad gallam 1 possim Lf : possum PQ poscis L²PQf² : possis L¹f¹ rogantem


LPQf¹ : roganti f²s.l. 2 multo L²Q²f²EA²XV: multos L¹PQ¹f¹A¹ potes Q²f² : potest
LPQ¹f¹

Poiché non posso darti, Galla quanto pretendi quando te lo chiedo,


molto più schiettamente, Galla, puoi dire di no.

Galla è una prostituta che chiede una cifra troppo elevata per il poeta.
Dal momento che questo significa implicitamente rifiutare, perché non
farlo in modo più schietto? L’epigramma, piuttosto debole, ha come tema
di fondo la sincerità, di cui Marziale lamenta in diversi casi l’assenza (vd. la
n. al v. 2 multo simplicius). Galla è una prostituta anche in III 51; IX 4; in
X 75, 1 sg. pretende una somma alta, ma non ingiustificata: milia viginti
quondam me Galla poposcit / et, fateor, magno non erat illa nimis. Sui
prezzi delle prostitute vd. la n. a 30, 4.

1. rogantem: l’uso ellittico del verbo in senso erotico è ampiamente


attestato: cfr. Catull. 8, 13; Prop. I 5, 32; in Marziale cfr. II 25, 1 das
numquam, semper promittis, Galla, roganti; XI 73, 1 venturum iuras
semper mihi, Lygde, roganti; IV 81, 3 sg. semel rogata bisque terque
neglexit / preces amantis; 84, 3 cum multi cupiant rogentque multi; vd.
al riguardo Pichon, p. 254; Tränkle 1960, p. 163; Adams 1981, p. 127. Il
medesimo uso di si riscontra in greco: cfr., ad es., AP V 111, 6
(Antifilo); XII 19, 2 (anonimo); 218, 3 (Stratone).
2. multo simplicius: l’avverbio ricorre spesso in epigrammi in cui
Marziale denuncia un’ipocrisia, chiedendo maggiore sincerità: vd. la n. a
42, 3 simpliciter; cfr. anche Priap. 3, 9 simplicius multo est. – negare:
usato assolutamente è frequente nel lessico erotico per indicare il rifiuto
dell’amante di concedersi (vd. Pichon, p. 212). In Marziale vi sono oltre 20
casi. Negare potes è in clausola di pentametro in Prop. I 13, 14. In Marziale
anche in I 74, 2; X 26, 8; XIII 7, 2.
366 M. Val. Martialis liber tertius

55

Quod quacumque venis Cosmum migrare putamus


et fluere excusso cinnama fusa vitro,
nolo peregrinis placeas tibi, Gellia, nugis.
Scis, puto, posse meum sic bene olere canem.

hab. T tit. ad gelliam T : ad celliam 1 quacumque T : quamcumque putamus


T V²s.l.: putamque EAXV¹ 2 excusso T : effusos LPQ¹ effuso Q²f cinnama
TLPQf² : scinnama f¹ fusa TPQf : fuso L 3 placeas T EAX: placeat V gellia
TQ²f² : cellia LPQ¹f¹ 4 scis T : sus

Se dovunque vai crediamo che Cosmo traslochi


e che il cinnamomo scorra fuori da una boccetta di vetro agitata,
non voglio, Gellia, che ti insuperbisca per frivolezze esotiche.
Sai, penso, che così può profumare il mio cane.

A Gellia, che va sempre in giro intrisa di profumi, Marziale fa presente


che questo non può costituire un motivo di compiacimento, perché in
tal modo persino un cane può profumare. La critica all’eccessivo uso di
profumi è frequente nella letteratura latina: cfr. Plaut. Most. 273 mulier
recte olet, ubi nihil olet; Cic. Att. II 1, 1 ut mulieres ideo bene olere, quia
nihil olebant, videbantur; Sen. epist. 108, 16 optimus odor in corpore est
nullus; in Marziale il motivo contiene per lo più l’allusione al tentativo di
coprire il cattivo odore derivante da pratiche di sesso orale: cfr. II 12, 4
Postume, non bene olet qui bene semper olet; VI 55, 5 malo quam bene
olere nil olere; vd. anche VII 41; IX 62. In generale sull’utilizzo di profumi
in Grecia e a Roma vd. Lilja 1972, pp. 58-96. Qui l’accento è posto sul
fatto che, grazie all’aiuto di profumi, chiunque può avere un buon odore,
persino un animale (canem in chiusura di epigramma ne accresce la vis
satirica). Il concetto espresso da Marziale trova un antecedente in un
brano di Seneca, in cui il filosofo critica l’eccessivo utilizzo di profumi al
suo tempo: parum est sumere unguentum nisi bis die terque renovatur,
ne evanescat in corpore. quid quod hoc odore tamquam suo gloriantur?
(epist. 86, 13). Il nome Gellia compare in 7 epigrammi scommatici per vari
tipi. In VI 67, 1. 2 le varianti attestate nelle tre famiglie di codici (Caelia T;
Epigramma 55 367

Gelia ; Gellia ) sembrano ricondurre piuttosto a Caelia, accolto dalla


maggior parte degli editori, che a Gellia, preferito da Lindsay.

1. quod quacumque venis: identico incipit di verso in III 44, 2 quod


quacumque venis fuga est (falecio). Per l’uso di quod in principio di
epigramma nel senso di ‘was das betrifft, daß’, ‘wenn’, vd. la n. a 42, 1.
– Cosmum: Cosmo era il più noto profumiere del tempo, nominato da
Marziale in numerosi epigrammi (I 87, 2; IX 26, 2; XI 8, 9; 18, 9; 49, 6; XII
65, 4, dove compare anche il nome di Nicerote, altro profumiere; XIV 59,
2; 110, 1; 146, 1); l’aggettivo Cosmianus ricorre in III 82, 26 Cosmianis
… ampullis; XI 15, 6 pingui … Cosmiano; XII 55, 7 libram … Cosmiani
(negli ultimi due sostantivato); cfr. anche VII 41, 1. 2 cosmicus. – migrare:
nel senso di ‘domicilium mutare’ (ThlL VIII 935, 67 sgg.).
2. cinnama: il cinnamomo (gr. era un profumo molto
apprezzato. Proveniva, come la maggior parte dei profumi, dall’Arabia:
cfr. Herod. III 107; Mela III 79; Plin. nat. XII 51. In poesia il plurale è
prevalente per ragioni metriche (in Marziale 4 casi su 5). – vitro: metonimia
comune: in Marziale cfr. I 37, 2 bibis vitro; II 40, 6 conduntur parco fusca
Falerna vitro; IV 22, 5 condita sic puro numerantur lilia vitro; 85, 1 nos
bibimus vitro, tu murra.
3. peregrinis: l’uso dell’attributo allude probabilmente a Prop. I 2, 1-4 quid
iuvat ornato procedere, vita, capillo / et tenuis Coa veste movere sinus,
/ aut quid Orontea crinis perfundere murra, / teque peregrinis vendere
muneribus …?, in cui il poeta condanna la cosmetica che altera il naturae
decus (v. 5; sull’elegia vd. il commento di Fedeli1). Per l’uso di peregrinus
in relazione a prodotti importati dall’estero, spesso con connotazione
negativa, cfr. IV 66, 8 vina ruber fudit non peregrina cadus; Hor. sat. II
2, 21 sg. pinguem vitiis albumque neque ostrea / nec scarus aut poterit
peregrina iuvare lagois; Paul. Nol. carm. 25, 35 sg. nulla peregrinis fragret
nidoribus aura; / cuncta pudicitiae munditias oleant; vd. ThlL XI 1310,
66 sgg. Equivalente nel tono l’uso di exoticus nel nesso unguenta exotica
in Plaut. Most. 42 e Plin. nat. XIII 24. – nugis: soltanto qui in Marziale in
riferimento ad oggetti concreti: cfr. Apul. apol. 34 respondeo … me hasce
nugas marinas et quiscilias litoralis neque pretio neque gratis quaesisse
(vd. OLD, s.v., nr. 2). Per il resto in Marziale, con l’eccezione di VII 14, 7, il
termine nugae è riservato, sotto l’influsso catulliano, alla sfera letteraria (18
casi; al riguardo vd. Swann 1994, p. 47 sgg.). – placeas tibi: l’espressione,
368 M. Val. Martialis liber tertius

appartenente alla lingua colloquiale e frequente in Seneca (dial. II 14, 2;


IX 14, 3; epist. 7, 12; 13, 1; 88, 37; 115, 18; nat. praef. I 5), ricorre più volte
in Marziale, per lo più in esortazioni al negativo: cfr. I 72, 5 sg. sic quae
nigrior est cadente moro, / cerussata sibi placet Lycoris; IV 59, 5 sg. ne
tibi regali placeas, Cleopatra, sepulcro, / vipera si tumulo nobiliore iacet;
V 57, 1 sg. cum voco te dominum, noli tibi, Cinna, placere: / saepe etiam
servum sic resaluto tuum; VII 76, 5 nolito nimium tibi placere; XIII 109,
1 sg. hoc de Caesareis mitis vindemia cellis / misit, Iuleo quae sibi monte
placet. Sul nesso vd. G. Scarpat, I sibi placentes: fortuna di un volgarismo
da Orazio ad Agostino, «Paideia» 42, 1987, pp. 63-68.
4: il cattivo odore del cane è legato all’immagine del cane randagio, che
fruga nei rifiuti: cfr. I 83, 1 sg. os et labra tibi lingit, Manneia, catellus: /
non miror, merdas si libet esse cani; VI 93, 4 (tam male Thais olet, quam)
non detracta cani transtiberina cutis (con il commento di Grewing); Hor.
epist. I 2, 26 canis immundus; al riguardo vd. Lilja 1972, p. 154. – puto:
inciso colloquiale (vd. Hofmann, LU, pp. 250; 376), usato di frequente da
Marziale; spesso come qui in chiusura di epigrammi scommatici, sembra
attenuare la forza della satira, ma ne accresce in realtà l’ironia.
Epigramma 56 369

56

Sit cisterna mihi quam vinea malo Ravennae,


cum possim multo vendere pluris aquam.

hab. T tit. de ravenna : ad ravennam EXV ad ravennm A ad bassum T 1 sit T EAXV²s.l.:


sis V¹ vinea TPQf² : vina f¹ venia L malo AV: mallo TEX 2 possim TLQf : possum P
vendere pluris : vendere multo pluris T

Preferisco avere una cisterna piuttosto che una vigna a Ravenna,


poiché posso vendere molto più cara l’acqua.

A Ravenna è preferibile possedere una cisterna che una vigna, perché


l’acqua costa di più del vino. L’epigramma, come il seguente, ironizza sulla
carenza idrica di Ravenna, la quale, unita ad un’abbondante produzione
di vino, consente la formulazione paradossale di Marziale. La penuria
d’acqua di Ravenna è testimoniata a più riprese da Sidonio Apollinare:
cfr. carm. 9, 298 undosae petiit sitim Ravennae; epist. I 5, 6 in medio
undarum sitiebamus, quia nusquam vel aquaeductuum liquor integer
vel cisterna defaecabilis vel fons inriguus vel puteus inlimis; 8, 2 in qua
palude … sitiunt vivi. Ravenna, città lagunare, circondata da paludi,
godeva tuttavia di un clima salubre (cfr. Strabo V 1, 7; Vitr. I 4, 11) e
produceva vino in abbondanza (cfr. Strabo V 1, 7; Plin. nat. XIV 34); vd.
al riguardo Rosemberg, RE I A, 300, 46–305, 60; Nissen, IL, II, p. 250 sgg.
Sull’ambientazione cispadana dell’epigramma e sulla sua collocazione nel
libro, che forniscono un elemento a favore dell’ipotesi di identificare in
Faustino l’ospite di Marziale, vd. l’Introduzione, p. 59.

1. Sit cisterna … malo: per la paratassi, abituale con malo, cfr. II 71,
6 malo tamen recites; VI 81, 4 inguina malo laves. Cisterna ricorre in
poesia classica soltanto qui.
2: il motivo dell’acqua venduta a caro prezzo compare già in Hor. sat. I
5, 88 sg. venit vilissima rerum / hic, aqua.
370 M. Val. Martialis liber tertius

57

Callidus imposuit nuper mihi copo Ravennae:


cum peterem mixtum, vendidit ille merum.

hab. T cum 56 confl. T tit. de copone LPfEX: de capone A de caupone QV om.


T 1 callidus T² EXV: calidus A callidum T¹ copo LPfEAX: caupo TQV 2 peterem
TLPQf² : peteret f¹ mixtum TLPf : mustum Q vendidit : vindedit T

Recentemente un astuto oste me l’ha fatta a Ravenna:


mentre chiedevo vino annacquato, me lo ha venduto puro.

L’epigramma realizza una comica variazione del proverbiale motivo della


disonestà degli osti: essi sono soliti annacquare il vino, ma a Ravenna, dove
l’acqua è preziosa (cfr. l’epigr. precedente), è più conveniente vendere vi-
no puro (merum) che annacquato (mixtum); la conclusione inattesa è
evidenziata mediante allitterazione e omeoteleuto tra i due termini chiave,
collocati in chiusura di hemiepes (mixtum … merum). Il motivo ricorre in
modo simile in XIV 118 Massiliae fumos miscere nivalibus undis / parce,
puer, constet ne tibi pluris aqua, dove è lo scadente vino di Marsiglia a
determinare l’aumento del costo dell’acqua, e non, come ci si attenderebbe,
il contrario (Leary1 traduce erroneamente la finale negativa ne constet ti-
bi pluris aqua con «in case the water costs you more than wine»). Sulla
disonestà degli osti cfr. Hor. sat. I 1, 29, che inserisce il perfidus caupo nella
galleria dei personaggi avidi di guadagno; 5, 4 cauponibus … malignis;
Petron. 39, 13, dove Trimalchione, nella sua disquisizione astrologica,
collega gli osti con la costellazione dell’Acquario; in CGL IV 491, 29
copo viene glossato con negotiator fraudolentus; vd. anche Dio Chrys.
31, 37. In Marziale il motivo ricorre in I 56, 1 sg. continuis vexata madet
vindemia nimbis: / non potes, ut cupias, vendere, copo, merum; IX 98,
1-3 vindemiarum non ubique proventus / cessavit, Ovidi; pluvia profuit
grandis. / centum Coranus amphoras aquae fecit; sull’argomento vd. T.
Kleberg, Hôtels, restaurants et cabarets dans l’antiquité romaine, Uppsala
1957, p. 111 sgg. L’epigramma forma una coppia con il precedente, non
solo per l’identità del tema, ma anche per la collocazione topografica
(Ravenna), che non appare casuale (vd. l’Introduzione, p. 59).
Epigramma 57 371

1. Callidus: per la sfumatura negativa cfr. IV 56, 6 callida … esca; V 42,


1 callidus … fur; vd. ThlL III 169, 57 sgg. – imposuit: l’uso di imponere
nel senso di ‘decipere, fallere’ (cfr. impostor, impostura) appartiene
alla lingua colloquiale: ricorre nelle epistole di Cicerone e di Seneca, in
Nepote, Seneca il Vecchio, Petronio; in Marziale ancora in IV 40, 10; 79,
2; V 36, 2 (sempre assoluto); altri esempi in ThlL VII 1, 659, 71 sgg.
– nuper: l’avverbio, che colloca l’aneddoto narrato in un tempo recente,
gli conferisce un carattere di freschezza e mette in risalto la componente
autobiografica. Per l’uso di nuper per introdurre accadimenti recenti cfr.
IV 61, 2; V 26, 2; 70, 1; VI 10, 1; VIII 9, 1; X 25, 1. – copo: il termine ri-
corre in poesia solo 2 volte in Orazio e in Giovenale, 9 in Marziale. La
forma co- era probabilmente prevalente nella lingua parlata (cfr. Petron.
39, 13; 61, 6; 62, 12) ed è attestata quasi sempre nei codici della seconda e
terza famiglia di Marziale; i codici della prima famiglia attestano invece in 5
casi su sei la forma cau- (vd. Lindsay 1904, p. 47). Caupo è probabilmente
da preferire in 58, 24 (vd. la n. ad loc.). Per le attestazioni di copo vd. ThlL
III 655, 72 sgg.
2. mixtum: sc. vinum. L’uso sostantivato non ricorre altrove.
372 M. Val. Martialis liber tertius

58

Baiana nostri villa, Basse, Faustini


non otiosis ordinata myrtetis
viduaque platano tonsilique buxeto
ingrata lati spatia detinet campi,
sed rure vero barbaroque laetatur. 5
Hic farta premitur angulo Ceres omni
et multa fragrat testa senibus autumnis;
hic post Novembres imminente iam bruma
seras putator horridus refert uvas.
Truces in alta valle mugiunt tauri 10
vitulusque inermi fronte prurit in pugnam.
Vagatur omnis turba sordidae chortis,
argutus anser gemmeique pavones
nomenque debet quae rubentibus pinnis
et picta perdix Numidicaeque guttatae 15
et impiorum phasiana Colchorum;
Rhodias superbi feminas premunt galli
sonantque turres plausibus columbarum;
gemit hinc palumbus, inde cereus turtur.
Avidi secuntur vilicae sinum porci 20
matremque plenam mollis agnus expectat.
Cingunt serenum lactei focum vernae
et larga festos lucet ad lares silva.
Non segnis albo pallet otio caupo,
nec perdit oleum lubricus palaestrita, 25
sed tendit avidis rete subdolum turdis
tremulave captum linea trahit piscem
aut impeditam cassibus refert dammam.
Exercet hilares facilis hortus urbanos,
et paedagogo non iubente lascivi 30
parere gaudent vilico capillati,
et delicatus opere fruitur eunuchus.
nec venit inanis rusticus salutator:
fert ille ceris cana cum suis mella
metamque lactis Sassinate de silva; 35
Epigramma 58 373

somniculosos ille porrigit glires,


hic vagientem matris hispidae fetum,
alius coactos non amare capones.
Et dona matrum vimine offerunt texto
grandes proborum virgines colonorum. 40
Facto vocatur laetus opere vicinus;
nec avara servat crastinas dapes mensa,
vescuntur omnes ebrioque non novit
satur minister invidere convivae.
At tu sub urbe possides famem mundam 45
et turre ab alta prospicis meras laurus,
furem Priapo non timente securus;
et vinitorem farre pascis urbano
pictamque portas otiosus ad villam
holus, ova, pullos, poma, caseum, mustum. 50
Rus hoc vocari debet, an domus longe?

tit. ad bassum LPQf¹ : de iocundissima villa add. f² 1 baiana LPQf²: balana f¹ nostri :
nosti 2 myrtetis AXV: myrtectis E 3 tonsilique A: tonsileque EXV 4 lati EAXV²:
lata V¹ 5 rure LPf : ruie aut rive Q laetatur EAV: litatur X 6 farta LPf : sata
Q angulo E²AXV: angulos E¹ omni LPQ²fV²: somni EAXV¹ om. Q¹ 7 multa :
multas EXV multos A fragrat v: flagrat XV fraglat EA testa EA: testas X²V testes X¹
senibus EA²XV: solibus A¹ 8 post PQf : est L bruma LPQ²f : brumae Q¹ 10 valle
EAV: velle X 11 prurit PQfA: pruria L purit EX furit V 12 omnis EAX: omnisque V
c(h)ortis f²EAX: cohortis LPQf¹V 13 gemmeique EAV: gemineique X pavones XV:
paones EA 14 pinnis LPfEAX: pennis QV 15 perdix LPf : pernix Q numidicaeque
EXV: numicidaeque A 16 phasiana : phasianae 17 rhodias superbi feminas LQ²f:
rhadias superbi feminas PQ¹ rhodias superbi minas V² rhodia superbis minas EAXV¹
premunt : promunt 18 sonantque turres EA²X: sonant turres A¹ sonantque turtures
V columbarum L²f² : columnarum L¹PQf¹ 20 sinum LPf : genus Q 21 agnus EA:
annus X anus V 22 serenum LPQf¹: sesenum EA¹XV¹ se circum f²in mg.A²V²s.l. lactei
LPQf¹ : lutei f²in mg. 23 larga LPQ²f : largo Q¹ festos X: festo EAV lucet LPQ²f :
luces Q¹ ad lares XV²: ad lare EAV¹ 24 caupo VB: copo f²v.l. capo EAX carbo LPQf¹
25 lubricus EAXV²s.l.: libricus V¹ 26 avidis LPQf² : avis f¹ rete A²XV²in mg.: te
EA¹V¹ subdolum f²s.l. : subdole LPQf¹ 27 tremulave LQf : tremulane P 28 cassibus
LPQ²f : classibus Q¹ dammam L²PQf : dampnam L¹ 29 (h)ortus Lf : (h)ormis PQ
urbanos LPQf¹: urbanus umbras f²v.l.V²v.l. 30 iubente PQf : vivente L 32 delicatus
V²s.l.: delicatos EAXV¹ opere LPQ²f : operere Q¹ 34 ceris cana LPf : curicana Q ut
vid. 35 sassinate LPQf² : sassinocte f¹ 36 somniculosos EXV: somniculosus A glires
PQf : clyres L 37 hic f² : hinc LPQf¹ fetum Lf² : vetus PQ ferrum f¹ 38 alius V²s.l.:
alios EAXV¹ 39 dona matrum V²in mg.: a matrum EAXV¹ vimine offerunt Scriverius:
374 M. Val. Martialis liber tertius

vimineo ferunt LPf vimineo fertur Q 40 proborum LQfAXV: probrum P paroborum E


colonorum LPQ²f : colorum Q¹ 41 vicinus PQfAXV: vicimis E vicinuis L 42 avara LQf :
aurata P servat LPQf¹V²s.l.: struas EA²in ras.XV¹ struit f²s.l straias A¹ut vid. mensa PQf :
mensas L 44 satur L²PQf¹: statur L¹ fatus f²in mg. minister : ministri 45 possides
LPf : posside Q famem LPfAXV: famam QE mundam LPQf¹ : invidam f²s.l. 46 alta
L²PQf : alto L¹ meras LPf¹V²s.l.: meas Q moras EAXV¹ foras f²s.l. 47 furem V²s.l.:
eurem EXV¹ euremque A priapo LPf : priamo Q timente f²EXV: timentem A timentis
LPQf¹ 48 vinitorem PQfV: unitorem L vinitore EAX pascis f² : pascentis PQf¹ poscentis
L urbano AV²s.l.: urbane EXV¹ 49 ad villam LPf : ad iulam Q 50 ova PQf : out L¹
aut L² pullos EXV: pullus A caseum LPQ²fX: caseus Q¹EA caseos V 51 vocari debet
LPf: vocari Q vocatur

La villa baiana del nostro Faustino, o Basso,


non occupa ampi spazi di terreno improduttivo,
ordinati con sterili mirteti
e con platani vedovi e con un bosseto potato,
ma gode di una vera e rustica campagna. 5
Qui il grano è ammassato in ogni angolo
e molte anfore profumano di vecchie vendemmie;
qui, dopo novembre, quando l’inverno è ormai imminente,
un irsuto potatore reca uva tardiva.
Feroci tori muggiscono nella profonda valle 10
e il vitello dalla fronte inerme freme per la lotta.
Vaga tutta la schiera del sordido cortile,
l’oca schiamazzante e i gemmati pavoni
e l’uccello che deve il nome alle rosse penne;
la pernice variopinta e le macchiettate galline Numidiche 15
e il fagiano degli empi Colchi;
i galli superbi premono le femmine Rodie
e le torri risuonano dei battiti d’ali delle colombe;
da un lato geme il colombaccio, dall’altro la tortora color della cera.
I porci seguono avidi il grembo della fattoressa 20
e il tenero agnello aspetta la madre gonfia di latte.
Schiavetti candidi come il latte cingono il focolare splendente
e molta legna arde presso i Lari nei giorni di festa.
Non se ne sta pigro in un ozio malsano l’oste
né spreca olio uno scivoloso lottatore, 25
ma tende una subdola rete agli avidi tordi
o tira su pesce preso con la tremula lenza
Epigramma 58 375

o reca un daino intrappolato nelle reti.


Il giardino offre un facile esercizio per allegri schiavi urbani
e lascivi schiavi dai lunghi capelli, liberi dagli ordini del pedagogo, 30
godono ad obbedire al fattore,
e un delicato eunuco si rallegra del lavoro.
Né viene a mani vuote il campagnolo che porta il suo saluto:
uno reca biondo miele con i suoi favi
e un cono di formaggio del bosco di Sarsina; 35
un altro offre ghiri sonnacchiosi,
uno il piccolo belante di un’irsuta madre,
un altro capponi, costretti a non amare.
Offrono i doni delle madri in ceste intrecciate di vimini
le figlie cresciute degli onesti coloni. 40
Finito il lavoro viene invitato l’allegro vicino;
la mensa non conserva avara le vivande per il giorno seguente,
tutti si cibano e il coppiere sazio
non conosce invidia per i convitati ebbri.
Tu invece possiedi vicino all’urbe un’elegante villa affamata 45
e da un’alta torre non vedi altro che allori,
tranquillo, poiché Priapo non teme ladri;
e nutri il vignaiolo con farro di città
e, quando sei in vacanza, porti alla variopinta villa
verdura, uova, polli, frutti, formaggio, mosto. 50
Si deve chiamare villa di campagna questa, o casa di città fuori mano?

L’epigramma, con i suoi 51 versi, è il più lungo dell’intero corpus


marzialiano. Collocato in una posizione di rilievo del libro (quasi alla metà
esatta), viene preceduto da due monodistici e seguito da un altro che ne
mettono ulteriormente in risalto l’eccezionale estensione (sulla tendenza
da parte di Marziale a collocare monodistici dopo gli epigrammi lunghi vd.
Merli 1993, p. 232). Destinatario dell’epigramma è l’amico Basso (su cui vd.
la n. intr. all’epigr. 47), apostrofato nel v. 1, ma il componimento descrive
con grande ricchezza di dettagli la villa baiana di Faustino (vv. 1-44), cui
soltanto negli ultimi versi (45-51) Marziale contrappone, con una nota di
bonaria satira, quella suburbana, elegante, ma improduttiva di Basso. Oltre
che per la sua eccezionale estensione l’epigramma si segnala quindi anche
376 M. Val. Martialis liber tertius

per l’innesto di una conclusione satirica in un componimento di diversa


ispirazione: la mistione di diversi sottogeneri epigrammatici è rintracciabile
anche in V 37, dove, al lamento per la morte della piccola Erotion (1-
17), fa seguito la satira contro l’ipocrisia di Peto, falsamente addolorato
per la morte della ricca moglie (18-24); al riguardo vd. Laurens 1989, p.
308; Merli 1993, p. 122; Canobbio 1997, p. 71 sgg. Per quanto riguarda
la conclusione, fornisce un chiaro esempio dell’eccessivo schematismo
della bipartizione lessinghiana dell’epigramma in Erwartung e Aufschluss,
ben messo in luce da Citroni 1969, l’affermazione di Ciocci 1985, p. 196,
secondo la quale «la descrizione della campagna, portata avanti per 44
versi, trova proprio nella conclusione (vv. 45-51) la sua ragione d’essere»
(vd. anche Ciocci 1985, p. 198): è evidente che la lunga descrizione della
villa di Faustino non può affatto essere considerata un preambolo per
preparare la conclusione satirica degli ultimi versi e accrescerne l’effetto,
ma risponde al gusto di Marziale per il catalogo e la descrizione minuta
(su cui vd. La Penna 1992, specialmente p. 25 sg.) e ha in sé la propria
ragion d’essere. L’epigramma costituisce un elaborato omaggio all’amico
e patrono Faustino, ospite del poeta in Cispadana (vd. l’Introduzione,
§ 3) e funge da pendant dell’epigr. 47, composto nello stesso metro
(scazonte), in cui Marziale si rivolge a Faustino per descrivergli il viaggio
di Basso verso la sua villa suburbana (sulla coppia vd. l’Introduzione, p.
68 sg.; Merli 1998, p. 142 sg.). La descrizione della villa baiana di Faustino
presenta caratteristiche del tutto inconsuete: di Baia, celeberrima località
di villeggiatura nel mondo romano, viene messa in risalto nelle fonti la
raffinatezza delle ville e la vita mondana e lasciva che vi si conduceva; i
suoi impianti termali erano i più noti del mondo romano; il periodo più
adatto per soggiornarvi era la primavera, che consentiva di fruire della
mitezza del clima (in Marziale cfr. I 59; 62; III 20, 19; IV 25, 1; 57; VI 42,
7; 43; IX 58, 4; X 14, 3; XI 80; in generale vd. D’Arms 1970, specialmente
p. 119 sg.; Friedlaender, SR I, p. 405 sg.; Hülsen, RE II 2774, 38 sgg.; EO
I, p. 426 sg.). Tutto ciò è assente dal componimento: la tenuta di Faustino
si presenta come uno spazio antitetico alla città, dove si conduce una vita
sana e tranquilla, in ossequio al ritmo naturale; Marziale descrive la villa in
inverno (v. 7 sg.) e sottolinea a più riprese il carattere rustico della tenuta
(vd. D’Arms 1970, p. 212 sg.; E. Stärk, Kampanien als geistige Landschaft.
Interpretationen zum antiken Bild des Golfs von Neapel, München 1995,
p. 144 sg.). Il ritratto non idealizzato della vita di campagna mostra elementi
Epigramma 58 377

consonanti con I 49, in cui Marziale descrive la bellezza della Spagna, sede
privilegiata della vita ideale, lontana dai taedia urbani (vd. la n. intr. di
Citroni all’epigr.). Sono stati inoltre segnalati numerosi punti di contatto
tra l’epigramma e il secondo Epodo di Orazio, sia nello sviluppo del tema
che in precise riprese verbali (cfr. vv. 10; 22; 26; vd. Duret 1977, pp. 173-
192; sulla presenza del modello oraziano negli epigrammi che elogiano la
vita campestre già G. Donini, Horatius in Martiale, «AJPh» 85, 1964, p.
56 sgg.; in generale sull’influenza oraziana vd. ora Salemme 1998, pp. 44-
46). L’epigramma ha suscitato l’interesse di Benedetto Croce, che gli ha
dedicato un breve saggio dal titolo Marziale. L’epistola a Basso. (Epigr. III
58), in Poesia antica e moderna. Interpretazioni, Bari 1941, pp. 108-115,
nel quale mostra apprezzamento soprattutto per il sentimento di adesione
alla rustica vita campestre. Il metro usato è il coliambo, che, pur rimanendo
per lo più legato all’invettiva, è utilizzato da Marziale per epigrammi di
diverso tono, persino adulatori (cfr., ad es., IX 1; 5). In questo libro il
metro è usato in due lunghe invettive (82; 93), ma anche in due epigrammi
dedicati all’amico Canio (20; 64) e in una bonaria satira sull’improduttività
del rus dell’amico Basso (47).

1-5: la descrizione per quattro versi in negativo evidenzia le caratteristiche


tipiche di molte eleganti ville romane che sono assenti da quella di Faustino,
di cui viene in tal modo messa immediatamente in luce l’unicità; solo al v. 5,
posta in risalto dall’avversativa, viene introdotta la peculiarità della villa, che
costituisce il tema di quasi tutto il componimento (rure vero barbaroque
laetatur). I versi contengono quindi un’implicita condanna dello sterile lusso
delle ville romane, tema ricorrente nella letteratura imperiale (al riguardo vd.
Edwards 1993, p. 137 sgg.). In particolare i versi mostrano evidenti affinità
con Hor. carm. II 15, 1-8 iam pauca aratro iugera regiae / moles relinquent,
undique latius / extenta visentur Lucrino / stagna lacu, platanusque
caelebs / evincet ulmos; tum violaria et / myrtus et omnis copia narium
/ spargent olivetis odorem / fertilibus domino priori (su cui vd. Nisbet-
Hubbard2, p. 241 sgg.). Per lo sviluppo della descrizione per opposizione (cfr.
anche v. 24 sgg. non segnis albo pallet otio caupo, / nec perdit oleum lubricus
palaestrita, / sed eqs.) Marziale trovava un modello privilegiato nel celebre
elogio virgiliano della vita agricola (georg. II 458 sgg.): o fortunatos nimium,
sua si bona norint, / agricolas! … / (461) si non ingentem foribus domus alta
superbis / mane salutantum totis vomit aedibus undam, / nec varios inhiant
378 M. Val. Martialis liber tertius

pulchra testudine postis / inlusasque auro vestis Ephyreiaque aera, / alba nec
Assyrio fucatur lana veneno, / nec casia liquidi corrumpitur usus olivi; / at
secura quies et nescia fallere vita; cfr. anche Hor. epod. 2, 1 sgg. beatus ille, qui
procul negotiis, / … / paterna rura bubus exercet suis, / … / neque excitatur
classico miles truci, / neque horret iratum mare (i contatti dell’epigramma
con l’Epodo sono già stati ricordati nella n. intr.).
1: il verso agisce come epigrafe del componimento, intrecciando ele-
gantemente la menzione del luogo descritto, del suo proprietario e del
destinatario del carme. – nostri: il possessivo rivela la confidenza con Faustino
non soltanto del poeta, ma anche di Basso (cfr. epigr. 47). Sull’uso del possessivo
come elemento affettivo della lingua vd. la n. a 5, 12 suis.
2. non otiosis ... myrtetis: il mirto, pianta adatta a climi caldi, cresceva
in particolare sui litorali (cfr. Verg. georg. II 112 litora myrtetis laetissima;
IV 124 amantis litora myrtos; Mart. IV 13, 6 litora myrtus amat), ma
veniva anche usato nei giardini (cfr. Hor. carm. II 15, 6 cit. nella n. ai vv. 1-5
con il commento di Nisbet-Hubbard2; vd. Grimal 1990, p. 275 sgg.). Sulla
presenza di mirteti a Baia cfr. Hor. epist. I 15, 5 sgg. sane murteta relinqui
/ dictaque cessantem nervis elidere morbum / sulpura contemni vicus
gemit; Cels. II 17 siccus calor est … quarundam naturalium sudationum,
ubi terra profusus calidus vapor aedificio includitur, sicut super Baias in
murtetis habemus. Per l’uso di otiosus nell’accezione di ‘improduttivo’ cfr.
Sen. dial. X 7, 5 nihil … incultum otiosumque iacuit (in metafora); Sol. 23,
3 nihil in ea (sc. Hispania) otiosum, nihil sterile; vd. ThlL IX 2, 1170, 74
sgg. – ordinata: da collegare a spatia (ThlL IX 2, 940, 56; SB2), non a villa
(OLD, s.v. ordino, nr. 1 a). Il verbo, cui sono riferiti anche gli ablativi del
verso seguente (vidua … platano; tonsili … buxeto), è estraneo alla lingua
poetica (vd. Axelson 1945, p. 101): ricorre soltanto quattro volte in Orazio
e in Sen. Thyest. 716; è usato nella stessa accezione in contesti agricoli: cfr.
Colum. IV 17, 2 iugum … harundinibus … ordinatum est; V 3, 7 per senos
pedes … vitibus locum … ordinare; vd. ThlL IX 2, 940, 50 sgg.
3. vidua … platano: il platano è ‘vedovo’ poiché inadatto a sostenere le
viti: la iunctura allude, variando, a Hor. carm. II 15, 4 platanus … caelebs
(sulle affinità con l’ode oraziana vd. la n. ai vv. 1-5); cfr. anche Verg. georg. II
70 steriles platani; per viduus riferito ad alberi che non sostengono viti cfr.
Hor. carm. IV 5, 30 et vitem viduas ducit ad arbores; Iuv. 8, 78 stratus humi
palmes viduas desiderat ulmos; viduus designa invece la vite priva di albero
in Catull. 62, 49 ut vidua in nudo vitis quae nascitur arvo; cfr., all’opposto,
Epigramma 58 379

l’uso di marita / maritare per gli alberi usati nella viticoltura (ad es. Cato agr.
32, 2; Catull. 62, 54; Hor. epod. 2, 10; Colum. III 11, 3; IV 1, 6; V 2, 32; XI
2, 79; Plin. nat. XIV 10; Quint. inst. VIII 3, 8); sull’uso di terminologia tratta
dalla sfera matrimoniale per la viticoltura su alberi vd. F. Della Corte, Catullo,
la vite e l’olmo, «Maia» 28, 1976, pp. 75-81 (= Id., Opuscula, VII, Genova
1983, pp. 63-69). Il platano era un elemento tradizionale del locus amoenus
per la gradevole ombra che procurava; a Roma e in Italia era soprattutto
presente nei giardini di ricche dimore: cfr. Ov. rem. 141; Sen. epist. 12, 2;
Plin. nat. XII 8; Plin. epist. I 3, 1; V 6, 20; Mart. XII 50, 1 sg.; vd. al riguardo
Grimal 1990, p. 278; per la critica della coltivazione di alberi improduttivi cfr.
Sen. dial. VII 17, 2 cur arbores nihil praeter umbram daturae conseruntur?;
Quint. inst. VIII 3, 8 sterilem platanum tonsasque myrtos quam maritam
ulmum et uberes oleas praeoptaverim? – tonsili … buxeto: i bossi si prestano
ad una potatura artistica che li rendeva molto apprezzati nei giardini romani:
cfr. Plin. nat. XVI 70 tertium genus (sc. buxi) nostratis vocant … virens
semper ac tonsile; Plin. epist. V 6, 17 buxum multiformem; 6, 34 buxus … in
formas mille discripta; al riguardo vd. Grimal 1990, p. 278. Giardini di bossi
si trovavano nel portico d’Europa: vd. la n. a 20, 13.
4. ingrata … spatia: l’uso non comune di ingratus nel senso di ‘improdutti-
vo’, che suggerisce una personificazione del terreno, ricorre in Marziale anche
in X 47, 4 non ingratus ager; cfr inoltre Gratt. 33; Ps. Quint. decl. 12, 4; vd.
ThlL VII 1 1561, 15-31. Per l’uso speculare di gratus cfr. Plin. paneg. 31, 1;
Quint. decl. 298, 4.
5. rure … barbaro …: per barbarus nell’accezione positiva di ‘naturale’,
‘spontaneo’, in contrapposizione con quanto è artefatto, cfr. X 92, 3 sg. has
tibi gemellas barbari decus luci / commendo pinus ilicesque Faunorum; vd.
ThlL II 1740, 27-30. – laetatur: per Von Kamptz (ThlL VII 2, 882, 7 sgg.)
il passo appartiene agli esempi in cui laetari significa ‘vi debilitata fere i. q.
frui, praeditum esse’. La villa è comunque in certa misura personificata e
rappresentata come vivente da Marziale.
6 sgg.: inizia la descrizione della villa, scandita dall’anafora di hic. Il primo
posto è riservato alla agri cultura, che comprende coltivazione dei cereali e
della vite (6-9). Marziale descrive non tanto il lavoro quanto i frutti già raccolti
del lavoro, mettendo in risalto la produzione quasi spontanea della tenuta.
6. hic farta premitur: l’espressione suggerisce l’idea di abbondanza del
raccolto che deve essere stipata: cfr. III 41, 2 ex opibus tantis quas gravis
arca premit. – angulo … omni: la iunctura ricorre in Plaut. Aul. 437; 451;
380 M. Val. Martialis liber tertius

Ov. trist. I 3, 24. – Ceres: metonimia mitologica per ‘grano’, frequente in


poesia (vd. ThlL onom. II, s.v. Ceres, 342, 49 sgg.); è citata come esempio
di metonimia in Cic. de orat. III 167; Rhet. Her. IV 32, 43; Quint. inst.
VIII 6, 23.
7: poco persuasiva l’ipotesi di Herrmann 1958, p. 110, che ha ravvisato
in questo verso una reminiscenza di Sen. apocol. 2, 5 divitis Autumni
iussoque senescere Baccho: le somiglianze si limitano all’uso della metafora
dell’invecchiamento. – senibus autumnis: per la metonimia autumnus
‘vendemmia’, di uso poetico, cfr., ad es., Verg. georg. II 5 sg. tibi pampineo
gravidus autumno / floret ager; Ov. met. IX 91 sg. totum … tulit
praedivite cornu / autumnum; in Marziale cfr. XII 57, 22 nec in Falerno
colle maior autumnus; XIII 113, 1 felix autumnus Opimi; vd. ThlL II
1605, 1 sgg. Per senex in funzione aggettivale in riferimento al vino cfr. XI
36, 6 senem … cadum; vd. anche I 105, 4 testa … anus; VI 27, 8 amphora
cum domina nunc nova fiet anus; XIII 112, 2 vetulos … cados.
8 sg. hic post Novembres …: nel mondo romano la vendemmia aveva
luogo generalmente prima dell’11 ottobre, festa dei Meditrinalia (vd. Wis-
sowa 1912, p. 115; Daremberg-Saglio VI, s.v. meditrinalia, p. 1700; IX,
s.v. vinalia, p. 893 sgg.). Il fatto che dopo novembre si colgano ancora
grappoli d’uva costituisce dunque un tratto della straordinaria produttività
della villa. Sull’uva di fine stagione, pregiata perché rara e maturata più a
lungo, cfr. I 43, 3 non quae de tardis servantur vitibus uvae. – putator:
termine tecnico (cfr. l’etimologia di Varro ling. VI 63); in poesia ricorre,
prima di Marziale, soltanto in Verg. georg. II 28; Ov. met. XIV 649. –
horridus: ‘irsuto’; l’aggettivo, qui in accezione positiva (vd. ThlL VI 3,
2992, 49 sgg.), si inserisce nel quadro di vita rustica della villa: cfr. I 49, 33
horridus Liburnus; X 92, 6 horridi … Silvani; 98, 9 sg. tonsos, horridulos,
rudes, pusillos / hircosi … filios coloni; ricorre in contesti di esplicita
contrapposizione al lusso: cfr. Liv. IX 40, 4 horridum militem esse debere,
non caelatum auro et argento; Tac. ann. VI 34, 3 horridam suorum aciem,
picta auro Medorum agmina; hist. II 11, 3 nec illi (sc. Othoni) segne
aut corruptum luxu iter, sed … pedes ire, horridus, incomptus. Meno
convincente l’ipotesi avanzata da Neumeister 2000, p. 412 di intendere
l’attributo nel senso di frigore tremens (per cui vd. la n. a 36, 3 horridus).
Poco significativa la somiglianza, evidenziata da Herrmann 1958, p. 110,
tra il v. 9 e Sen. apocol. 2, 6, 7 carpebat raras serus vindemitor uvas.
10 sg.: soltanto due versi sono dedicati all’allevamento.
Epigramma 58 381

10: l’immagine dipende probabilmente da Hor. epod. 2, 11 sg. aut in re-


ducta valle mugientium / prospectat errantis greges (vd. Duret 1977, p.
177; Salemme 1998, p. 45). – truces … tauri: iunctura ovidiana: cfr. epist.
4, 166 eris tauro saevior ipse truci; met. VIII 297 non armenta truces
possunt defendere tauri; IX 80 sg. restabat tertia tauri / forma trucis; vd.
anche Prop. III 15, 38 trucis … bovis.
11. vitulus … inermi fronte: la frons è inermis perché ancora priva
delle corna, considerate le sue armi: per l’uso cfr. Plin. nat. VIII 115 latent
amissis (sc. cornibus) velut inermes; Stat. Theb. VI 566 inermes … cervas;
vd. ThlL VII 1, 1307, 32-38. Per l’immagine, che ricorre in Marziale ancora
in VI 38, 8 sic vitulus molli proelia fronte cupit, cfr. Lucr. V 1034 sg. cornua
nata prius vitulo quam frontibus exstent, / illis iratus petit atque infestus
inurget; Ov. am. III 13, 15 et vituli nondum metuenda fronte minaces;
[Ov.] Hal. 2 sg. vitulus sic namque minatur, / qui nondum gerit in tenera
iam cornua fronte. Un’immagine analoga riferita ad un capretto ricorre
in Hor. carm. III 13, 4 sg. frons turgida cornibus / primis et venerem et
proelia destinat. – prurit in pugnam: prurio è verbo piuttosto raro; fatta
eccezione per gli scrittori di medicina (Celso, Scribonio Largo), compare
in Plauto (7 volte); poi in Catullo (2), nei Priapea (1), in Giovenale (2); in
Marziale vi sono 11 occorrenze, per lo più in senso erotico (vd. la n. a 93,
20); prurire in + accusativo non sembra attestato altrove.
12-21: Marziale concede ampio spazio alla descrizione della pastio
villatica (cfr. Colum. VIII 1, 2), passando in rassegna con il gusto per il
catalogo che gli appartiene (vd. La Penna 1992, specialmente p. 25 sg.),
tutte le specie presenti. I versi sono impreziositi da Marziale attraverso la
scelta di lessico, espressioni e iuncturae ricercate.
12. turba: in riferimento ad animali è di uso poetico: cfr. Ov. met. IV
723 turba canum; Lucan. IX 608 serpentum turba; Stat. Theb. X 458
volucrum … turba; Sil. VII 129 turba … luporum. – sordidae: l’attributo
ricorre spesso in Marziale, spogliato delle valenze negative, in descrizioni di
scene campagnole: cfr. I 49, 27 sg. vicina in ipsum silva descendet focum
/ infante cinctum sordido; 55, 4 sordida … otia; X 96, 4 saturae sordida
rura casae; 98, 8 sordida … villa; XII 57, 1 sg. cur saepe sicci parva rura
Nomenti / laremque villae sordidum petam, quaeris?
13. argutus anser: analoga iunctura in Sidon. carm. V 83 garrulus
anser; argutus, attributo caro ai bucolici (vd. ThlL II 556, 74 sgg.; EV
I, p. 312 sg.), è utilizzato per diversi animali: cfr., ad es., Verg. ecl. 9, 36
382 M. Val. Martialis liber tertius

sg. argutos … olores; Prop. I 18, 30 argutas … aves; Culex 153 argutis
… cicadis; in Marziale cfr. IX 54, 8 arguto passere; XI 18, 5 argutae …
cicadae. L’attributo, che consente l’allitterazione (cfr. v. 15 picta perdix),
potrebbe alludere al celeberrimo episodio delle oche che con il loro
strepitio sventarono la presa del Campidoglio da parte dei Galli (cfr. Liv.
V 47). Marziale vi fa riferimento in XIII 74 (tit. anseres). Sull’allevamento
dell’anser vd. Capponi 1979, p. 67 sgg. Ne veniva apprezzato il fegato:
vd. la n. a 82, 19. – gemmei … pavones: sull’allevamento del pavone vd.
Capponi 1979, p. 392 sg.; gemmeus allude alla sua coda variopinta, quasi che
fosse ricoperta di gemme: cfr. Phaedr. III 18, 8 pictis … plumis gemmeam
caudam explicas; AL 199, 70 gemmeam (vv. ll. gemmantem, gemmatam)
pinnis … caudam; vd. anche Ov. met. I 723 cit. infra; Colum. VIII 11,
8 gemmantibus pinnis; Mart. XIII 70, 1 (tit. pavones) miraris, quotiens
gemmantis explicat alas; Stat. silv. II 4, 25 sgg. psittacus … / quem non
gemmata volucris Iunonia cauda / vinceret aspectu. Secondo la versione
del mito attestata da Ovidio le gemme del pavone deriverebbero dai cento
occhi di Argo, trasportati da Giunone sulla coda dell uccello a lei sacro:
cfr. met. I 720 sgg. Arge, iaces, quodque in tot lumina lumen habebas, /
exstinctum est, centumque oculos nox occupat una. / excipit hos volucrisque
suae Saturnia pennis / conlocat et gemmis caudam stellantibus inplet. In
XIV 85, 2 Marziale segue un’altra versione nella quale Giunone trasforma
direttamente Argo nel pavone (vd. il commento di Leary1, ad loc. e quello
di Bömer2 ad I 722.
14: si tratta probabilmente del Phoenicopterus ruber L., caratterizzato da
piumaggio alare rosso (vd. Thompson, Birds, p. 304 sg.; Capponi 1979, p.
411 sg.). I Romani ne apprezzavano la lingua come una delicatezza (XIII 71,
1 sg.; Sen. epist. 110, 12; Plin. nat. X 133; Suet. Vit. 13, 2). Il fenicottero
(gr. ) è menzionato da Marziale attraverso una perifrasi
etimologizzante anche in XIII 71, 1 (tit. phoenicopteri) dat mihi pinna rubens
nomen; per l’uso di tali perifrasi cfr. anche IX 12 (13), 1 sg. nomen habes
(sc. Earinus) teneri quod tempora nuncupat anni, / cum breve Cecropiae
ver populantur apes; 13 (12), 1-4 si daret autumnus mihi nomen, Oporinos
essem, / horrida si brumae sidera, Chimerinos; / dictus ab aestivo Therinos
tibi mense vocarer: / tempora cui nomen verna dedere quis est?; XIV 43, 1
(tit. candelabrum Corinthium) nomina candelae nobis antiqua dederunt; sul
gusto di Marziale per l’etimologia vd. Grewing 1998, specialmente p. 331 sg. Il
gioco etimologico sul nome del fenicottero è già in Aristoph. Av. 271-273.
Epigramma 58 383

15. picta perdix: si tratta della Alectoris rufa rufa L. (vd. Thompson,
Birds, p. 235; Capponi 1979, p. 396 sg.); O. Probst (Zu Martial III 58, 12
ff., «Philologus» 68, 1909, p. 319 sg.) proponeva invece l’identificazione
con l’attagen (francolino). L’allevamento della pernice nelle ville romane è
testimoniato da Varro rust. III 11, 4; sulla sua rarità come cibo cfr. Mart.
XIII 65, 1 (tit. perdices) ponitur Ausoniis avis haec rarissima mensis;
sul suo prezzo elevato cfr. XIII 76, 2. Pictus nell’accezione di ‘colorato
naturalmente’ è di uso poetico (vd. OLD, s.v., nr. 1 b): cfr. Verg. georg. IV
13 picti … lacerti; Phaedr. III 18, 8 pictis … plumis; in Marziale cfr. I 104,
1 sg. picto … collo / pardus; XIV 85, 1 sg. (tit. lectus pavoninus) nomina
dat spondae pictis pulcherrima pinnis / … avis. – Numidicae … guttatae:
specie di gallina, conosciuta anche come Africana (vd. Capponi 1979, p.
258 sg.): cfr. Colum. VIII 2, 2 Africana est quam plerique Numidicam
dicunt, similis, nisi quod rutilam galeam et cristam capite
gerit, quae utraque sunt in Meleagride caerulae; VIII 12 tit. de Numidicis
et rusticis gallinis; sulla sua importazione in Italia cfr. Plin. nat. X 132; in
Marziale cfr. XIII 45, 1 Libycae … volucres; 73 (tit. Numidicae) ansere
Romano quamvis satur Hannibal esset, / ipse suas numquam barbarus
edit aves; vd. anche Varro rust. III 9, 18; Petron. 55, 6; 93, 12; Iuv. 11, 142
sg.; Suet. Cal. 22, 3; Porph. Hor. epod. 2, 53; sulla confusione negli scrittori
fra i vari tipi di pollame vd. Toynbee 1973, p. 253 sg. Guttatus definisce la
macchiettatura del piumaggio: cfr. Varro rust. III 9, 18 gallinae Africanae
sunt … variae; Plin. nat. X 74 variis sparsum plumis (sc. genus); l’attributo
è forse un neologismo di Marziale; in seguito ricorre soltanto in Pallad. IV
13, 3 colores (sc. equorum) … albus, guttatus, candidissimus; Isid. orig.
XII 1, 48 color … guttatus; 1, 50 guttatus, albus nigris intervenientibus
punctis. Per guttae nell’accezione di maculae, puncta vd. ThlL VI 2373,
20 sgg.
16. impiorum phasiana Colchorum: il nome dell’uccello deriva dal fiu-
me Fasi nella Colchide, suo luogo di origine (sulla provenienza del fagiano
dalla Colchide vd. Capponi 1979, p. 408 sg.; Thompson, Birds, p. 299): cfr.
III 77, 4 nec Libye mittit nec tibi Phasis aves; XIII 45, 1 si Libycae volucres
et Phasides essent; Plin. nat. X 132 phasianae in Colchis. Per Marziale
l’importazione del fagiano risalirebbe alla spedizione degli Argonauti: cfr.
XIII 72 tit. phasianae. Argoa primum sum transportata carina: / ante
mihi notum nil nisi Phasis erat. Il sostantivo, soltanto qui in poesia, in
Marziale è sempre femminile, come in Plin. X 132; XI 114; Suet. Cal.
384 M. Val. Martialis liber tertius

22, 3; Vit. 13, 2; solo tardo il maschile phasianus (Paul. sent. III 6, 76;
Pallad. I 29, 1; Amm. XVI 5, 3; Hist. Aug. Hadr. 21, 4; Heliog. 20, 6). Il
mito argonautico è richiamato allusivamente anche in questo verso tramite
l’attributo impius, che qualifica i Colchi a causa di Medea: l’accostamento
ritorna in Drac. Romul. X 177 impia Colchis (sc. terra); per l’impietas
di Medea cfr. Ov. trist. III 9, 9 impia desertum fugiens Medea parentem;
Culex 249 impietate fera vecordem Colchida matrem; Sen. Ag. 119 impia
virgo; Val. Fl. IV 13 sg. dabit impia poenas / virgo; vd. anche Ov. met. VII
396 impius ensis (sc. Medeae).
17: sulla lascivia dei galli cfr. Physiogn. 83 insatiabiles esse veneris ut galli
quos Graeci vocant (vd. anche 131); Eustath. Bas. hex. 8,
3 p. 949A lascivus est gallus; vd. anche Varro rust. III 9, 5 gallos salaces.
Essa era tra le cause della castrazione: cfr. XIII 63, 1 sg. (tit. capones)
ne nimis exhausto macresceret inguine gallus, / amisit testes. nunc mihi
Gallus erit con il commento di Leary2; Colum. VIII 2, 3 mares autem
galli, semimares capi, qui hoc nomine vocantur cum sint castrati libidinis
abolendae causa. – Rhodias: da Rodi proveniva una delle specie migliori di
gallinacei (Capponi 1979, p. 248): cfr. Varro rust. III 9, 6; Colum. VIII 2,
4; Plin. nat. X 48. – superbi: sull’indole altezzosa dei galli si diffonde Plin.
nat. X 46 sg. proxime gloriam sentiunt et hi nostri vigiles nocturni …
imperitant suo generi et regnum in quacumque sunt domo exercent … et
plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa, caelumque
sola volucrum aspicit crebra, in sublime caudam quoque falcatam
erigens; cfr. anche Colum. VIII 2, 9 mores autem … maxime … generosi
probantur, ut sint elati, alacres, vigilaces; in generale sui galli nell’antichità
vd. Orth, RE VIII 2519, 48 sgg. – premunt: per l’uso eufemistico relativo
al ruolo maschile nell’atto sessuale vd. OLD, s.v., nr. 2 b; cfr. IV 4, 4 quod
pressa piger hircus in capella; Lucr. IV 1079 sg. quod petiere, premunt
arte faciuntque dolorem / corporis; Prop. I 13, 21 sg. non sic Haemonio
Salmonida mixtus Enipeo / Taenarius facili pressit amore deus; Suet. Cal.
25, 1 ‘noli uxorem meam premere’; per l’equivalente uso di comprimo cfr.
IV 66, 11 vilica vel duri compressa est nupta coloni; Prop. II 26, 47 sg.
testis Amymone, latices dum ferret, in Argis / compressa; vd. ThlL III
2157, 70 sgg.; OLD, s.v., nr. 2; Adams, LSV, p. 182.
18: le colombaie romane avevano la forma di una torretta posta sul tetto:
cfr. XII 31, 6 quae … gerit similes candida turris aves; Ov. ars II 150 quas
… colat turres Chaonis ales habet; trist. I 9, 7 sg. aspicis ut veniant ad
Epigramma 58 385

candida tecta columbae, / accipiat nullas sordida turris aves; Pont. I 6, 51


nam prius incipient turris vitare columbae; vd. anche Varro rust. III 3, 6;
7, 1 sgg.; Colum. VIII 8, 1 sgg.; Plin. nat. X 110. – plausibus columbarum:
l’immagine deriva da una nota similitudine virgiliana: Aen. V 213 sgg. qualis
spelunca subito commota columba / … / fertur in arva volans plausumque
exterrita pennis / dat tecto ingentem (vd. anche V 505 sg. timuit … exterrita
pennis / ales, et ingenti sonuerunt omnia plausu; 515 sg. alis / plaudentem
… columbam); cfr. inoltre Fronto p. 230, 2 N.; Tract. in Luc. V 28; Hier.
epist. 49, 20, 2. Sull’allevamento delle colombe vd. Capponi 1979, p. 184; cfr.
Varro rust. III 7; Colum. VIII 8.
19: i versi dei due volatili sono associati in Virgilio: ecl. 1, 57 sg. nec tamen
interea raucae, tua cura, palumbes, / nec gemere aeria cessabit turtur ab
ulmo (un’intenzione allusiva ai versi virgiliani sembrerebbe confermata dalla
ripresa del verbo gemere). – palumbus: va identificato con il colombaccio
(vd. Capponi 1979, p. 375 sgg.; Steier, RE IV A 2484, 22 sgg.; André 1967,
p. 116 sg.); sul suo allevamento cfr. Cato agr. 90; Colum. VIII 8, 1; sull’uso
a tavola cfr. Mart. II 37, 6; XIII 67 con il commento di Leary2; il suo verso
viene assimilato ad un gemito: cfr. Verg. ecl. 1, 57 sg. cit. supra; Plin. nat. X
106 (sc. palumbium) cantus … conficitur … in clausola gemitu; XVIII 267
palumbium … exaudi gemitus. Marziale utilizza sempre la forma palumbus
(II 37, 6; XIII 67 tit., 1), diversamente dall’uso poetico (Cicerone, Virgilio,
Orazio, Calpurnio, Nemesiano); vd. ThlL X 1, 171, 71 sgg. – cereus turtur:
sul colore della tortora cfr. III 60, 7 aureus immodicis turtur te clunibus
implet (vd. la n. ad loc. per il suo consumo a tavola); sul suo canto cfr. Pol.
Silv. voc. anim. chron. I, p. 548, 4 turtur gemit; in generale vd. André 1967,
p. 158; Capponi 1979, p. 499 sgg. Su cereus, che qui indica il colore giallo
della cera non raffinata, vd. André 1949, p. 157 sg.
20: la vilica portava nel sinus il cibo per i maiali, fatto di principalmente
di ghiande, quindi di fave, orzo, frumento (cfr. Varro rust. II 4, 6);
sull’allevamento dei suini cfr. Varro rust. II 4; Colum. VII 9 sgg. Per avidus
nell’accezione di edax, vorax (ThlL II 1425, 28 sgg.) cfr. Hor. carm. III 23,
4 avida … porca; Ov. fast. I 349 avidae … porcae; in Marziale cfr. v. 26
avidis … turdis; I 14, 5 avidus … leo; IV 56, 5 avidis … piscibus; V 18, 8
avidum … scarum.
21. matremque plenam …: cfr. Ov. fast. V 498 pronus saturae lac bibit
agnus ovis; per plenus ‘gonfio di latte’ cfr. Stat. silv. V 5, 45 sus uberibus
plenis.
386 M. Val. Martialis liber tertius

22: l’immagine deriva da Hor. epod. 2, 65 sg. positosque vernas, ditis


examen domus, / circum renidentis Lares (vd. Duret 1977, p. 179 sg.;
Salemme 1998, p. 45); cfr. anche Hor. sat. II 6, 66 sg. ante Larem proprium
vescor vernasque procacis / pasco libatis dapibus; Mart. I. 49, 27 sg. vicina
in ipsum silva descendet focum / infante cinctum sordido; IV 66, 10
stetit inculti rustica turba foci. Era usuale nelle abitazioni rustiche cenare
d’inverno dinanzi al focolare: cfr. Varro frg. Non. p. 83, 15 ad focum hieme
ac frigoribus cenitabant; Verg. ecl. 5, 69 sg. convivia … / ante focum, si
frigus erit; si messis, in umbra; Porph. Hor. carm. III 17, 13 hortatur apud
focum epulari. sic enim solent rustici hieme, cum feriati sunt. Il focolare,
simbolo del calore domestico, costituisce un elemento topico degli elogi
della campagna: cfr. Pers. 1, 71 sgg.; in Marziale I 55, 8; II 90, 7; X 44,
4; 47, 4; 96, 7 sg.; XII 18, 19 sg. L’elevato numero di schiavi domestici
(vernae: vd. la n. a 1, 6) è segno di prosperità economica: cfr. Hor. epod.
2, 65 sg.; sat. II 6, 66 sg. citati supra; Tib. II 1, 23 turba vernarum saturi
bona signa coloni. – serenum: non giustificata la congettura perennem di
Mordtmann (Bemerkungen über Martial, «Jahresber. über die Fortschr.
der class. Alterthumswiss.» 20, 1892, p. 184 sg.): focus perennis ricorre in
X 47, 4 tra gli elementi desiderabili per una vita beata; l’attributo esprime
l’auspicio di una condizione permanente ed è dunque inadatto alla scena
qui descritta. Per quest’uso di serenus cfr. I 49, 15 aestus serenos; VI 42, 19
quae tam candida, tam serena lucet (sc. aqua); vd. inoltre Stat. Ach. I 120
sg. largo serenat / igne domum. – lactei: lacteus, che indica il candore della
pelle, tipico della tenera età, è attributo di uso prevalentemente poetico
(vd. ThlL VII 2, 852, 33 sgg.; André 1949, p. 40); in Marziale cfr. I 31,
6 lactea colla (sc. pueri delicati); vd. anche Apul. met. X 32, 1 teretes et
lacteos puellos. La traduzione di SB2 («The infant children of the house»)
tralascia la notazione cromatica certamente presente nell’aggettivo (vd.
anche OLD nr. 1 b ‘unweaned, sucking’).
23: per l’immagine cfr. I 49, 27 sg. cit. nella n. al v. 22. – larga: ‘copiosa,
abundans’ (ThlL VII 2, 974, 22 sgg.): cfr. Hor. sat. I 8, 44 largior arserit
ignis; vd. anche Hor. carm. I 9, 5 sg. ligna super foco / large reponens.
– festos … ad lares: nelle occasioni festive le statuette dei lari, collocate
presso il focolare, venivano lucidate con olio e cera: cfr. Hor. epod. 2, 65
sg. cit. nella n. al v. 22; Iuv. 12, 87 sg. parva coronas / accipiunt fragili
simulacra nitentia cera; vd. al riguardo RE, s.v. Lares, XII 814, 1 sgg.;
Wissowa 1912, p. 169. – silva: per l’uso metonimico di silva per ‘legna’
Epigramma 58 387

(OLD, s.v. silva, nr. 3 a) cfr., ad es., Ov. met. VII 242; Sen. Her. O. 1641;
Val. Fl. III 311; 427; Stat. silv. III 1, 185.
24 sgg.: la tenuta di Faustino si differenzia dalla città perché tutti gli
schiavi vi sono occupati in modo proficuo e attivo. I versi contengono
pertanto un’implicita condanna del possesso di numerosi schiavi, sfruttati
come oggetti sessuali o ostentati come segno di ricchezza: cfr. II 43, 13;
57, 5; X 98, 1 sgg.; XII 66, 8.
24. albo … otio: per la figura, frequente in Marziale, per cui il predicato
proprio di una persona viene riferito ad un elemento caratterizzante di
essa, vd. la n. a 46, 1 operam … togatam; albus indica il pallore prodotto
dalla oziosa vita di città: cfr. I 55, 13 sg. non amet hanc vitam quisquis me
non amat, opto, / vivat et urbanis albus in officiis; X 12, 9 sg. et venies
albis non adgnoscendus amicis / livebitque tuis pallida turba genis; vd.
anche Hor. sat. II 2, 21; epod. 7, 15; carm. II 2, 15 sg. – pallet: sul pallore
come esito di una vita non sana cfr. I 77, in cui il pallor del protagonista
è causato dalle sue pratiche sessuali (6 cunnum lingit Charinus); XI 6,
6 pallentes … curae; XIV 162, 2 pallida cura; Hor. sat. II 3, 78 argenti
pallet amore; Sen. ben. IV 13, 1 corpora ignavia pallentia; dial. X 2, 4
quam multi continuis voluptatibus pallent!; Pers. 5, 15 pallentis radere
mores; Iuv. 2, 50 Hispo subit iuvenes et morbo pallet utroque. Otium qui
nella sua accezione negativa (vd. ThlL IX 2, 1176, 29 sgg.): cfr., ad es.,
Sen. ben. VII 2, 2 animus … otio torpet. – caupo: la forma con occlusione
del dittongo copo è preferita da Schneidewin, Gilbert, Friedlaender, SB;
sembrano tuttavia ricondurre a caupo, accolto da Lindsay, Heraeus, Izaac,
le lezioni corrotte di entrambe le famiglie (capo, carbo) e il tono più
sostenuto dell’epigramma.
25. nec perdit oleum: l’attività ginnica è qui vista come spreco di tempo
e di risorse alimentari (oleum): per la svalutazione dello sport a vantaggio
dell’agricoltura cfr. anche XIV 49, 1 sg. (tit. halteres) quid pereunt stulto
fortes haltere lacerti? / exercet melius vinea fossa viros. Il biasimo della
palestra costituisce un motivo diffuso della critica moralistica a Roma:
cfr. Varro rust. II 1 sg.; Sen. epist. 88, 18 sg.; dial. X 12, 2; Cic. Tusc.
IV 70; rep. IV 4; Plin. nat. XV 19; XXIX 26; XXXV 48; Lucan. VII
270-272; Plin. epist. IV 22, 7; paneg. 13, 5; Sil. XIV 134-138; Plut. Mor.
274 D; sull’argomento vd. RE VII 2061-2085; Marquardt 1886, pp. 117;
122; Blümner 1911, p. 329. – lubricus palaestrita: palaestrita, grecismo
completamente ambientato nella lingua latina al tempo di Marziale, indica
388 M. Val. Martialis liber tertius

generalmente il maestro di lotta o il gestore di una scuola di lotta, ma


anche, come in questo caso, un lottatore (vd. ThlL X 1, 101, 25 sgg.): cfr.
anche XIV 201 tit. palaestrita con il commento di Leary1. Schiavi addetti
ad allenare alla lotta il padrone erano diffusi tra i ricchi (cfr. III 82, 20 e
la n. ad loc.). In poesia il sostantivo compare per la prima volta in Pers.
4, 39, quindi in Marziale (anche in III 82, 20; VI 39, 9; XIV 201 tit.). Gli
atleti, come ben noto, si ungevano d’olio: cfr. Sidon. epist. II 2, 6 lubrici
tortuosique pugilatu et nexibus palaestritae; Auson. 419, 64 p. 369 P. quis
palaestram tam lubricus expedivit.
26. sed tendit avidis …: l’immagine costituisce ancora una ripresa da
Hor. epod. 2 (vd. la n. intr. e le nn. ai vv. 10; 22): v. 33 sg. rara tendit retia,
/ turdis edacibus dolos; in Marziale cfr. anche II 40, 3 subdola tenduntur
crassis nunc retia turdis; XI 21, 5 quae rara vagos expectant retia turdos.
Subdola retia ricorre, in senso metaforico, anche in II 47, 1. Sul tordo,
considerato tra gli uccelli più prelibati, vd. la n. a 47, 10.
27. tremulave captum …: immagine analoga in I 55, 9 et piscem tremula
salientem ducere saeta; vd. anche X 30, 17 sg. a cubili lectuloque iactatam
/ spectatus alte lineam trahit piscis; in Ovidio tremula è definita la canna
da pesca: ars II 77 tremula dum captat harundine pisces; met. VIII 217
hos aliquis tremula dum captat harundine pisces; per l’affinità lessicale cfr.
anche Sen. Herc. f. 158 sentit tremulum linea piscem. In Marziale la pesca
è attività guardata con favore: cfr. I 55, 9 cit. supra; IV 66, 7; IX 54, 3; X
30, 17 sg. cit. supra; 37, 5 sgg.; 37, 15 sg.
28: la caccia è abitualmente inserita fra le attività della vita di campagna:
cfr. I 49, 23 sg. ibi inligatas mollibus dammas plagis / mactabis et vernas
apros; vd. anche I 55, 7; III 47, 10 sg.; IV 66, 5; X 37, 16; XII 1; 14; 18,
22; sulla caccia a Roma vd. J. Aymard, Essai sur les chasses romaines, Paris
1951. – impeditam cassibus: per l’espressione cfr. X 37, 16 impedient
lepores umida lina meos; vd. anche Plaut. Truc. 38 sg. dum huc dum illuc
rete … impedit / piscis. – dammam: il sostantivo può essere di genere sia
maschile che femminile: cfr. Prisc. GLK II 141, 18 damma … in utroque
genere promiscue sunt prolata. In Marziale ricorre sempre il femminile,
come in Orazio e Ovidio, mentre Virgilio usa il maschile (vd. ThlL V 1,
8, 13 sgg.).
29 sgg.: il quadro mostra la naturale integrazione di elementi di raffinata
vita urbana nella semplice realtà rurale. Nella tenuta di Faustino il lavoro,
invece di affaticare, dà piacere: cfr. vv. 29 hilares … urbanos; 31 parere
Epigramma 58 389

gaudent; 32 opere fruitur. – facilis: l’attributo è diffuso nel lessico agricolo


per indicare la facilità di lavorazione di un terreno: cfr. Varro rust. I 27, 2;
50, 3; Colum. II 10, 4; III 11, 6; X 195; Plin. nat. XXXIII 2. In I 88, 5 faciles
buxos l’aggettivo avrà probabilmente il senso di ‘facili a trovarsi’, ma non si
può escludere che si riferisca al fatto che la pianta si presta agevolmente ad
assumere le fogge volute dal giardiniere (vd. Citroni, ad loc.). Qui realizza una
personificazione dell’hortus, che si offre docile al lavoro dei servi. – urbanos:
per la rara accezione di ‘schiavi urbani’ cfr. Plin. epist. IX 20, 2 obrepere
urbanis, qui nunc rusticis praesunt; per l’uso sostantivato dell’attributo cfr.
Plaut. merc. 714 urbani fiunt rustici; Cic. orat. 81 sermo omnis … non
modo urbanorum sed etiam rusticorum.
30 sg. paedagogo non iubente: il paedagogus era il sorvegliante dei paggi:
cfr. XII 49, 1 crinitae Line paedagoge turbae; vd. Marquardt 1886, p. 112 sg.
– lascivi … capillati: sono i pueri delicati, definiti dal loro tratto esteriore più
caratteristico (cfr. Petron. 27, 1; 29, 3; 57, 9; 63, 3; 70, 8); per l’uso sostantivato
dell’attributo cfr. X 62, 2 sic te frequentes audiant capillati; vd. anche II 57,
5 grex … capillatus. Definizioni sinonimiche sono comati (XII 70, 9; 97, 4)
e criniti (Sen. epist. 119, 14; Mart. XII 49, 1 crinitae … turbae).
32. delicatus … eunuchus: l’abitudine di possedere schiavi eunuchi
era diffusa in età imperiale (cfr. III 82, 15; VIII 44, 15); essi servivano
però spesso a soddisfare le brame sessuali delle matrone: cfr. VI 67
con il commento di Grewing; X 91; Iuv. 6, 366 sgg. con il commento
di Courtney; sull’argomento vd. RE suppl. III 451, 13 sgg. – fruitur:
per frui nell’accezione di ‘godere di’ cfr. III 20, 17 an rure Tulli fruitur
atque Lucani; VIII 30, 3 sg. aspicis ut teneat flammas poenaque fruatur
/ fortis.
33: diversamente da quello urbano il salutator rusticus non giunge mai
a mani vuote (inanis). Per questa accezione dell’attributo cfr. Plaut. Pseud.
371 amatorem … inanem quasi cassam nucem; vd. ThlL VII 1, 821, 41
sgg. – salutator: termine appartenente alla sfera quotidiana; indica il cliente
definito dall’atto principale della sua giornata (la salutatio matutina); in
poesia ricorre quasi solo in Marziale (6 casi); in Stat. silv. II 4, 29 salutator
regum è lo psittacus; cfr. anche Iuv. 5, 21 salutatrix turba.
34. ceris cana cum suis mella: l’espressione pone in risalto la genuinità
del prodotto. Il miele è menzionato fra le delizie della vita agreste anche
in I 55, 10 flava … de rubro promere mella cado; Verg. georg. IV 140
sg. primus … spumantia cogere pressis / mella favis; Hor. epod. 2, 15
390 M. Val. Martialis liber tertius

aut pressa puris mella condit amphoris. Per l’uso metonimico di cera per
‘favo’ cfr. V 37, 10; Verg. georg. IV 57 (vd. OLD, s.v. cera, nr. 2 a). Il verso
è molto simile, pur nella diversità del metro, ad Ov. fast. IV 546 in ceris
aurea mella suis. Mella è plurale poetico (vd. ThlL VIII 605, 64 sgg.); in
Marziale vi sono sette occorrenze contro un solo caso al singolare (XIII
24, 1).
35: ha creato difficoltà agli interpreti la menzione in questo contesto del
formaggio proveniente da Sarsina, poiché ci si aspetterebbe che il salutator
portasse un prodotto della sua terra e non certo di una regione così distante.
Si è tentato di sanare l’aporia intervenendo sul testo: Heinsius proponeva
metamque lactis Sassinatis, de silva, inaccettabile metricamente, poiché in
quinta sede dello scazonte non è mai ammesso lo spondeo (vd. Giarratano
1908, p. 61); Rooy, seguito da Friedlaender, ha corretto in metamque lactis
Sassinatis; e silva, che permette di superare le difficoltà metriche, ma
comporta due interventi sul testo e obbliga ad intendere ‘Käse nach Art
der Sassinatischen’ (Gilbert apud Friedlaender); inoltre l’interpunzione
crea una pausa innaturale, in una serie di versi sintatticamente compiuti,
facendo gravitare e silva sul verso seguente. Citroni 1987, p. 151 n. 31 si
domanda «se Sassinate non sia lezione interpolata da I 43, 7 ove ricorre:
rustica lactantis nec misit Sassina metas e non nasconda un diverso
nome di località prossima a Baia». La difficoltà sussiste e, in assenza di
una soluzione convincente, appare opportuno mantenere il testo tràdito
come fanno tutti gli editori moderni, con l’eccezione di Friedlaender. Il
formaggio di Sarsina era noto per la sua qualità (cfr. Plin. nat. XI 241;
Sil. VIII 461 sg.; vd. RE II A, 1, 51) ed è ricordato da Marziale in I 43, 7
cit. supra, dove Sassina è stato restituito con certezza da Heinsius (sasina
T fuscina om. ). Lac assoluto per ‘formaggio’ ricorre soltanto qui; di
norma è accompagnato da un participio che ne specifica lo stato: cfr. VIII
64, 9 massam … lactis alligati; Verg. ecl. 1, 81 pressi … lactis; Ov. met.
VIII 666 lactis massa coacti; XIII 796 lacte coacto. Meta solo qui e in I 43,
7 cit. supra è usato per formaggio di forma conica (vd. ThlL VIII 863, 62
sg.). Sul formaggio nel mondo romano vd. André 1981, pp. 155-158.
36. somniculosos … glires: i ghiri erano considerati leccornie: cfr. Petron.
31, 10; Plin. nat. XXXVI 4 (vd. anche VIII 223); per la loro presenza nelle
ville cfr. Varro rust. III 2, 14; 3, 3 sg.; 12, 2; 14, 1. L’attributo somniculosus,
solo qui in Marziale e raro in poesia (cfr. Cinna fr. 10), allude al proverbiale
letargo invernale del ghiro: cfr. XIII 59 (tit. glires) tota mihi dormitur
Epigramma 58 391

hiems et pinguior illo / tempore sum quo me nil nisi somnus alit; Laber.
mim. 5 et iam hic me optimus somnus premit ut premitur glis; vd. Otto,
Sprichwörter, s.v. glis; ThlL VI 2046, 27-38. Sull’impronta prosaica degli
aggettivi in –osus vd. Axelson 1945, p. 60 sg.
37. vagientem matris hispidae fetum: un capretto. L’animale è indicato
con analoga perifrasi in VII 31, 3 et fetum querulae rudem capellae. Dal
verso del capretto deriverebbe l’uso di vagire per neonati umani secondo
Varrone, ling. VII 103 sg. multa ab animalium vocibus tralata in homines,
partim qu<ae> sunt aperta, partim obscura … eiusdem (sc. Enni) ab
<ha>edo: clamor ad caelum volvendus per aethera vagit (ann. 531 V2);
cfr. anche Plaut. Poen. 30 sg. ne et ipsae sitiant et pueri pereant fame /
neve essurientes hic quasi haedi obvagiant; Ov. met. XV 466 sg. aut qui
vagitus similes puerilibus haedum / edentem iugulare potest (altrove vagire
è usato per le lepri: Suet. fr. 161 p. 250 Reiff. leporum vagire; AL 762, 60
lepores vagiunt; Isid. diff. 607). Da escludere pertanto l’ipotesi, suggerita
probabilmente dall’uso di hispidus (vd. infra), che si tratti di un maialino,
attestata nel Forcellini, s.v. vagio 2 b e in altri lessici (Georges, Calonghi,
Castiglioni-Mariotti). I maiali sono nominati al v. 20 e gli animali e i prodotti
recati in dono dal rusticus ai vv. 34-40 non sono menzionati altrove nell’epi-
gramma. Per il verso del maiale il latino utilizza il verbo grunnire (o grundire)
e il sostantivo grunnitus (o grunditus): vd. ThlL VI 2338, 55 sgg.; 2339,
12 sgg. L’attributo hispidus, usato per lo più per suini (cfr. Phaedr. V 10,
4 hispidi … suis; Sen. Ag. 892 hispidus … aper; vd. ThlL VI 3, 2833, 9
sgg.), ricorre solo qui per una capra; cfr. però Verg. georg. III 287 hirtas …
capellas; Ov. met. XIII 927 hirtae … capellae; Iuv. 5, 155 hirsuta … capella;
Iuvenc. IV 267 hirtis … capellis; Avien. ora 218 hirtae … capellae. Fetus è
comune per la prole di animali: vd. ThlL VI 1, 637, 52 sgg.; in riferimento al
capretto ancora in VII 31, 3 cit. supra; Tib. I 1, 31 sg. fetum … capellae; Iuv.
15, 12 fetum … capellae.
38: i capponi sono menzionati tra gli Xenia: cfr. XIII 63 tit. capones. ne
nimis exhausto macresceret inguine gallus, / amisit testes. nunc mihi Gallus
erit; 64 tit. idem. succumbit sterili frustra gallina marito. / hunc matris
Cybeles esse decebat avem. – coactos non amare: sull’uso eufemistico di
amare per futuere vd. Adams, LSV, p. 188; cfr. VI 93, 3 ab amore recens
hircus.
39. vimine offerunt texto: congettura certa di Scriverius per il tràdito vi-
mineo ferunt texto: cfr. IX 72, 3 texto … vimine; vd. anche II 85, 1 vimine
392 M. Val. Martialis liber tertius

… levi; IV 88, 7 rugosarum vimen breve Picenarum; VII 53, 5 cum vimine
Picenarum.
40. grandes … virgines: grandis si riferisce all’età, relativamente alle fasi
della vita: cfr. Don. Ter. Ad. 673 grandem ad aetatem veteres rettulerunt,
non ad corpus, et in parte aetatis dicitur grandis non in tota vita, nisi
additur natu … et grandis infans et grandis puer et grandis ephebus et
grandis virgo recte dicitur; Plaut. Aul. 191 virginem dabo grandem; Trin.
374 soror illi est adulta virgo grandis; Ter. Ad. 673 an sedere oportuit
domi virginem tam grandem; in Marziale cfr. VIII 3, 16 grandis virgo;
vd. anche II 48, 5 et grandem puerum diuque levem; VII 10, 14 poscit iam
dotem filia grandis.
41. vocatur: l’uso assoluto di voco (sc. ad cenam) è comune da Plauto in
poi e frequente in Marziale.
42: l’abitudine della tenuta rustica contrasta con quella cittadina, per cui
gli avanzi di una cena venivano talora riproposti in cene successive: cfr.
II 37, 10 sg., in cui Marziale rimprovera argutamente il commensale che
arraffa senza misura ogni cibo che viene servito: ullus si pudor est, repone
cenam: / cras te, Caeciliane, non vocavi; X 48, 17 sg. pullus ad haec
cenisque tribus iam perna superstes / addetur.
43 sg.: tutti ricevono lo stesso trattamento, persino i servi, che quindi
non hanno nulla da invidiare agli altri commensali. Diversa, come è noto,
la consuetudine a Roma, dove i clienti ricevevano cibi più scadenti (vd. la
n. intr. all’epigr. 60). Sull’invidia generata dalla disparità di trattamento cfr.
IV 68 invitas centum quadrantibus et bene cenas. / ut cenem invitor,
Flacce, an ut invideam? – satur minister: avere un servo ben pasciuto è
uno dei desideri espressi da Marziale in II 90 (v. 9 sit mihi verna satur).
45 sgg.: gli ultimi versi introducono nuovamente ed in modo inatteso il
destinatario del componimento Basso, la cui menzione nel v. 1 sembrava
un gesto allocutorio estraneo allo sviluppo dell’epigramma.
45. at: la particella avversativa marca un netto contrasto con la florida
tenuta di Faustino fin qui descritta. – famem mundam: efficace e originale
espressione metonimica, che associa l’eleganza esteriore della tenuta di
Basso e la sua carenza sostanziale (cfr. v. 49 pictam … villam). Fames
per ‘luogo sterile’ non offre altre attestazioni (vd. ThlL VI 1, 233, 78
sg.; per altri usi metonimici del sostantivo vd. la n. a 7, 4). Per mundus
nell’accezione di ‘elegante’, ‘rifinito’ vd. ThlL VIII 1631, 41 sgg.; OLD,
s.v., nr. 2; cfr. Hor. epist. I 20, 2 Sosiorum pumice mundus (sc. liber); Sen.
Epigramma 58 393

epist. 86, 12 postquam munda balnea inventa sunt, spurciores sunt (sc.
homines). Meno persuasiva mi sembra l’ipotesi di attribuire all’aggettivo
valore intensivo come in Petron. 41, 11 et mundum frigus habuimus (vd.
Hofmann, LU, p. 197), sostenuta da von Kamptz in ThlL VIII 1631, 73 e,
recentemente, da Salanitro 2002, p. 561, che propone di rendere il verso,
«senza la necessità di evidenziare il riferimento alla villa che risulta da
ciò che segue», con un’espressione idiomatica italiana («tu nel suburbio
possiedi una fame nera»). Tale esegesi mal si adatta all’uso metonimico di
fames, garantito da possides. – sub urbe: sulla tenuta suburbana di Basso
cfr. l’epigr. 47.
46. meras laurus: per merus nell’accezione di ‘non nisi, nihil praeter’
vd. ThlL VIII 848, 26 sgg.; cfr. VII 54, 1 semper mane mihi de me mera
somnia narras; Cic. Att. IX 13, 1 mera scelera loquuntur; Hor. epist. I 7,
84 sulcos et vineta crepat mera; II 2, 88 ut … meros audiret honores.
47. furem Priapo non timente: Priapo, custode dell’orto, non teme i
ladri poiché non c’è nulla da rubare.
48 sgg.: i versi richiamano III 47, 6 sgg., dove Marziale rappresenta il
viaggio di Basso con un carro pieno di ogni cibi, destinato, come si scopre
in conclusione, non in città, ma in campagna.
49. pictam … villam: cfr. I 55, 5 picta … Spartani frigora saxi (i marmi
colorati dei ricchi palazzi nobiliari); vd. anche X 30, 13 pictam phaselon.
50: tutti prodotti tipici della campagna: vd. III 47, 7 sgg.; VII 31.
51: conclusione arguta: se non produce nulla, la villa suburbana di
Basso deve essere considerata una domus lontana e non una tenuta
campagnola (rus). All’opposto Sparso possiede un autentico rus in
urbe (XII 57, 21); la villa di Giulio Marziale può essere invece definita
domus per l’affabilità del suo proprietario: hoc rus, seu potius domus
vocanda est, / commendat dominus: tuam putabis, / tam non invida
tamque liberalis, / tam comi patet hospitalitate (IV 64, 25 sgg.). In VII
31 Marziale scherza sull’improduttività della propria tenuta campagnola.
– domus longe: l’espressione sottintende un participio (ad es. sita): cfr. X
58, 2 propius Baias; Stat. Ach. I 174 sgg. insequitur (sc. Achillem) … /
Patroclus tantisque extenditur aemulus actis, / par studiis aevique modis,
sed robore longe.
394 M. Val. Martialis liber tertius

59

Sutor Cerdo dedit tibi, culta Bononia, munus,


fullo dedit Mutinae: nunc ubi copo dabit?

hab. T tit. ad sutorem cerdonem T: de sutore de sutore cerdone 1 Cerdo Crusius


(cfr. 16, 1. 4. 6): cerdo TPQfEA²XV credo LA¹ 2 ubi LPQf¹ : tibi Tf²s.l. copo LPfEAX:
caupo TQV

Cerdone il ciabattino ti ha dato, raffinata Bologna, uno spettacolo di gladiatori,


un lavandaio l’ha dato a Modena: ora dove lo darà un oste?

Un ciabattino e un lavandaio offrono spettacoli gladiatori in ricche


città dell’Emilia. Ora, si domanda Marziale, dove lo darà un oste? Il
distico riprende il tema sviluppato nell’epigr. 16, rivolto contro il sutor
Cerdone. Qui Marziale lascia intendere che non si tratta di un caso isolato
e avanza con amaro sarcasmo l’ipotesi, evidentemente non remota, che la
circostanza sia destinata a ripetersi (nunc ubi copo dabit?). Sul disprezzo
per le attività banausiche, che percorre tutta l’antichità greco-latina, vd. G.
Traina, La tecnica in Grecia e a Roma, Roma-Bari 1994; Id., s.v. mestieri
e professioni, EO II, sez. 9, pp. 196-199. Per la presenza del motivo in
Marziale, che ad esso unisce il rammarico per lo scarso riconoscimento
della sua poesia, cfr. III 16 (con la n. intr.); IX 73, dove bersaglio della
satira è un ciabattino che ha ereditato grandi ricchezze (sull’epigr. vd.
Parroni 1979). Non sarà casuale che il distico preceda un epigramma sul
gretto trattamento riservato al poeta da un patrono che lo invita a cena:
l’accostamento dei due componimenti pone in ulteriore risalto quella che
agli occhi del poeta appare come un’ingiustizia sociale.

1. sutor Cerdo: sul ciabattino Cerdone cfr. gli epigr. 16 e 99 di questo


libro. Su Cerdo, nome parlante (dal greco , ‘guadagno’), vd.
la n. intr. all’epigr. 16. – dedit … munus: cfr. III 16, 1 das gladiatores,
sutorum regule, Cerdo; dare munus è espressione abituale per ‘offrire uno
spettacolo gladiatorio’: cfr. Cic. Sull. 54 dandi muneris; Petron. 45, 13
munus … tibi dedi; vd. ThlL VIII 1665, 78 sgg.; V 1, 1677, 68 sgg. – tibi,
culta Bononia: l’apostrofe alla città personificata (tibi) accresce l’intensità
Epigramma 59 395

dell’indignazione del poeta. Bononia fu colonia romana dal 189 a.C. (cfr.
Liv. XXXVII 57, 7; Vell. I 15, 2; vd. Hülsen, RE III 701 sg.; Suppl. I
255; Nissen, IL, II, p. 262 sgg.). Cultus, soltanto qui riferito ad una città,
lascia supporre un ambiente elegante e raffinato; l’epiteto stride perciò
con l’umiltà del personaggio (Citroni 1987, p. 146 sg.). Nel 69 d.C. per
ordine di Fabio Valente fu costruito a Bononia un anfiteatro (Tac. hist. II
67, 2), dove si svolse uno spettacolo gladiatorio in onore di Vitellio (Tac.
hist. II 71, 1). Si trattava con ogni probabilità di una struttura lignea. Il
ritrovamento di una lastra con un rilievo gladiatorio nel 1930 presso la
città conferma le notizie attestate dalle fonti letterarie (vd. al riguardo S.
Aurigemma, Gli anfiteatri romani di Placentia, di Bononia e di Forum
Cornelii, «Historia» 6, 1932, p. 565 sgg.). Bologna appare ancora negli
epigrammi di Marziale in VI 85, 5 sg., in cui il poeta lamenta la morte
dell’amico Camonio Rufo, conosciuto probabilmente durante il soggiorno
cisalpino, invitando l’intera città a piangerne la scomparsa: funde tuo
lacrimas orbata Bononia Rufo, / et resonet tota planctus in Aemilia.
2. fullo: il mestiere del lavandaio era considerato tra i più umili: cfr. Firm.
math. III 8, 7 artes aut sordidae aut squalidae … quales sunt … fullones
eqs.; vd. Daremberg-Saglio, s.v. fullonica; Marquardt 1886, pp. 527-30;
R.J. Forbes, Studies in Ancient Technology, IV, Leiden 19642, pp. 81-98;
in Marziale cfr. XII 59, 6 sg. hinc instat tibi textor, inde fullo, / hinc
sutor modo pelle basiata. – Mutinae: menzionata qui soltanto da Marziale.
La lana di Modena era rinomata (cfr. Strabo V 1, 12; Colum. VII 2, 3)
e questo provocò la fioritura del mestiere di lavandaio; Marziale ricorda
altrove l’alta qualità della lana di Parma: cfr. XIV 155, 1 sg. velleribus
primis Apulia, Parma secundis / nobilis; vd. anche II 43, 4; IV 37, 5; V
13, 8. I dati epigrafici confermano le fonti letterarie riguardo alla fioritura
nella Cisalpina della produzione tessile (vd. E. Noè, La produzione tessile
nella Gallia Cisalpina, «RIL» 108, 1974, pp. 918-932; G. Mansuelli, I
Cisalpini, Firenze 1962, p. 208 sgg.). Su Mutina, colonia romana dal 183
a.C., vd. RE XVI 939, 45- 946, 59; Nissen, IL, II, p. 264 sgg. – nunc ubi
copo dabit?: traspare dalla domanda un sarcasmo venato di amarezza per
l’ascesa sociale di ceti umili, cui sembra non esistere limite. Mentre a Roma
non era permesso al tempo che un privato offrisse un munus gladiatorio,
le fonti rivelano che in provincia questo accadeva frequentemente (vd. la
n. intr. all’epigr. 16; Ville 1981, pp. 161 sgg.; 200 sgg.). Sulla preferenza per
la forma copo vd. la n. a 57, 1.
396 M. Val. Martialis liber tertius

60

Cum vocer ad cenam non iam venalis ut ante,


cur mihi non eadem quae tibi cena datur?
Ostrea tu sumis stagno saturata Lucrino,
sugitur inciso mitulus ore mihi;
sunt tibi boleti, fungos ego sumo suillos; 5
res tibi cum rhombo est, at mihi cum sparulo.
Aureus immodicis turtur te clunibus implet,
ponitur in cavea mortua pica mihi.
Cur sine te ceno cum tecum, Pontice, cenem?
Sportula quod non est prosit: edamus idem. 10

hab. T tit. ad ponticum T 1 vocer T: vocor iam T : tam 3 saturata


TPQf : saturtura L 4 sugitur TLPQf: sumitur subditur f²s.l. mitulus TLPf¹ : mutulus
f²s.l. ut vid. vitulus Q 5 ego TLPf : om. Q sumo TLPQ : summo f suillos : illos L¹
pusillos TL²PQf 6 rhombo est at f²s.l. : rhombo est et LPQf¹ rhombo stat T 7 aureus
TLPf : aureis Q te TLQf : et P clunibus : dimicus T 9 ceno TLPQf¹ : cenem f²s.l.
10 quod : quae T prosit edamus TLPQf² : prosit et edamus f¹

Dato che non mi si invita più a cena dietro compenso come prima,
perché non mi viene data la tua stessa cena?
Tu prendi ostriche nutrite nel lago Lucrino,
io succhio un mitilo dopo averne inciso il guscio.
A te toccano boleti, io prendo funghi porcini; 5
tu hai a che fare col rombo, io con lo sparulo.
Un’aurea tortora ti riempie con le sue cosce enormi,
a me viene servita una gazza morta in gabbia.
Perché ceno senza di te, pur cenando con te, o Pontico?
Il fatto che non c’è la sportula offra un vantaggio: mangiamo gli stessi cibi. 10

Il poeta si lamenta con un patrono che gli offre una cena scadente, mentre
riserva per sé cibi raffinati. Il tema ricorre spesso in Marziale: cfr. I 20; 43;
III 49; IV 68; 85; VI 11; IX 2; X 49; XII 27 (28); presenta affinità con questo
epigramma nello svolgimento del tema VI 11 (vd. Siedschlag 1977, p. 53
sg. e il commento di Grewing all’epigr.): quod non sit Pylades hoc tempore,
non sit Orestes / miraris? Pylades, Marce, bibebat idem, / nec melior panis
Epigramma 60 397

turdusve dabatur Orestae, / sed par atque eadem cena duobus erat. / tu
Lucrina voras, me pascit aquosa peloris eqs.; vd. anche Plin. epist. II 6 (con
il commento di Sherwin-White); Iuv. 5 (con il commento di Courtney). Qui
il tema viene contestualizzato da Marziale nel periodo di abolizione della
sportula (vv. 1; 10; cfr. gli epigr. 7; 14; 30 di questo libro), che dovrebbe
almeno garantire al cliente una recta cena come quella del patrono. Pontico
è con ogni probabilità un nome fittizio (ricorre ancora in II 32, 2; IV 85,
1; V 63, 2; IX 19, 2; 41,1 e 10; 82, 1; anche in IV 85 si tratta di un patrono
avaro). Il nome del patrono è ritardato fino al v. 9, con l’effetto di accrescere
il tono indignato dell’ultimo distico. L’epigramma sviluppa unitariamente
due temi ben presenti nel libro: l’abolizione della sportula (cfr. 7; 14; 30) e
la lamentela per la condizione dei clienti (cfr. 36; 37; 38; 46); esso costituisce
una sorta di riflessione conclusiva sull’argomento, che non compare più nel
resto del libro.

1. Cum vocer: forma incipitaria tra le più comuni in Marziale: essa introduce
un dato di fatto che può suscitare un interrogativo (cfr., ad es., III 23, 1
sg. omnia cum retro pueris obsonia tradas, / cur non mensa tibi ponitur
a pedibus?). Vocer è lezione di T, mentre i codici delle famiglie recano
vocor; l’indicativo, pur possibile, determinerebbe però un valore temporale
per il cum che mal si adatta al contesto. Per la frequente corruttela cfr. I 59, 4
laver : lavor ; VII 23, 3 precer : precor ; vd. anche la n. a 32, 1. – non
iam venalis ut ante: sull’abolizione della sportula da parte di Domiziano vd.
la n. intr. all’epigr. 7. La sportula era talvolta associata all’invito a cena (vd. la
n. a 30, 1).
2: per la distribuzione della sportula il patrono si sentiva autorizzato ad
offrire cibi scadenti ai suoi clienti; nelle aspettative di Marziale la sua abolizione
dovrebbe comportare un miglioramento del trattamento (cfr. v. 10). Per la
forma analoga della recriminazione per la disparità dei cibi cfr. VI 11, 3 sg.
cit. nella n. intr.; Iuv. 5, 51 sg. non eadem vobis poni modo vina querebar? /
vos aliam potatis aquam.
3. ostrea: sulle ostriche, considerate tra i cibi più prelibati vd. la n. a 45, 6.
Quelle del lago Lucrino erano rinomate: cfr. V 37, 3; VI 11, 5; X 37, 11; XII
48, 4; XIII 82; 90, 2; vd. anche Hor. epod. 2, 49; Petron. 70, 6; sull’argomento
vd. RE II 2, 2590-1, s.v. Austern. – stagno … Lucrino: sulla definizione vd.
la n. a 20, 20. – saturata: in Marziale il verbo ricorre 3 volte su 4 al participio
passato (VIII 28, 4; 48, 5; XIII 24, 1); in Virgilio 2 occorrenze su 4 sono part.
398 M. Val. Martialis liber tertius

pass.: cfr. Aen. VIII 213 sg. saturata … / … armenta; vd. EV IV, s.v. satur.
4: il mitulus è una specie di concha marina (‘mytilus edulis L.’): cfr.
Athen. III 85 e , ;
Porph. Hor. sat. II 4, 28; vd. Steiner, RE XVI 785 sgg.; Thompson, Fishes,
p. 259. Il termine è usato per la prima volta in poesia da Orazio sat. II 4,
28. – sugitur: sumitur di è senz’altro una banalizzazione, favorita molto
probabilmente dal contesto prossimo (cfr. vv. 3 sumis; 5 sumo). – inciso …
ore: cfr. Plin. nat. IX 80 muricem … neque aspero neque rotundo ore; 130
rotunditate oris (sc. conchae) in margine incisa. Il particolare aggiunge un
tratto ulteriore alla descrizione del misero trattamento riservato al cliente: il
mitilo che gli viene servito, oltre ad essere più scadente nella qualità, non è
stato neanche preparato a dovere e il poeta deve anche inciderne il guscio.
Mi sembra quindi che fraintenda il passo SB2, che traduce: «I cut my mouth
sucking a mussel».
5. sunt tibi boleti: sui pregiati boleti vd. la n. a 45, 6. – suillos: soltanto
i codici della terza famiglia conservano qui la lezione corretta (pusillos
è corruttela facilmente spiegabile). Si tratta di funghi porcini, non tanto
scadenti, quanto pericolosi: cfr. Plin. nat. XXII 96 tertium genus suilli,
venenis accomodatissimi. familias nuper interemere et tota convivia …
quae voluptas tam ancipitis cibi? (vd. anche XVI 31); sull’identificazione
vd. G. Maggiulli, Nomenclatura micologica latina, Genova 1977, p. 73
sgg. La situazione descritta nel verso è certamente ripresa da Giovenale 5,
146 sg. vilibus ancipites fungi ponentur amicis, / boletus domino (vd. al
riguardo Colton 1991, p. 200).
6. res tibi cum … est: l’espressione ricorre in commedia (Plaut. Men. 323;
Ter. Eun. 759), in prosa (Cic. Verr. II 5, 109: div. II 109; Caes. Gall. VII
77, 4; Liv. V 3, 8; XXVIII 42, 17; Tac. dial. 10, 5; Suet. Iul. 68, 2), ma anche
in Verg. Aen. IX 154 sg.; Tib. I 6, 3; Sil. XII 706. – rhombo: sul rombo,
pesce prelibato, vd. la n. a 45, 5. – sparulo: lo sparulus, menzionato in [Ov.]
Hal. 107 et super aurata sparulus cervice refulgens, è stato identificato
con il Sargus Annularis della famiglia degli Sparidae (vd. il commento di
Capponi, ad loc.).
7. aureus … turtur: la tortora era un cibo raffinato: cfr. XIII 53, 1 sg.
(tit. turtures) cum pinguis mihi turtur erit, lactuca valebis: / et cocleas
tibi habe. perdere nolo famem; vd. anche VII 20, 15; Plaut. Most. 46; Iuv.
6, 39. Per l’uso di aureus cfr. III 58, 19 cereus turtur; qui l’attributo, oltre
al colore (su cui vd. André 1949, p. 155 sg.), mette in risalto il pregio del
Epigramma 60 399

volatile. – immodicis … clunibus: le clunes (cfr. CGL IV 216, 44 clunes:


coxae) erano una parte apprezzata nei volatili: cfr. III 82, 21 et concubino
turturum natis donat; vd. anche Sen. epist. 47, 6 alius pretiosas aves
scindit; per pectus et clunes certis ductibus circumferens eruditam manum
frusta excutit; Hor. sat. II 8, 91 sine clune palumbes; Auson. 392, 1 sg. p.
254 P. (epist. 1, 1 sg. G.) Picenae populator turdus olivae / clunes opimat
cereas. L’aggettivo immodicus evidenzia le dimensioni fuori dal comune
di cibi anche in II 43, 11 immodici tibi flava tegunt chrysendeta mulli (su
tema analogo).
8: il verso raggiunge il punto più alto della rappresentazione del misero
trattamento del cliente. La gazza era tenuta nelle case dei Romani e
addestrata al saluto: cfr. XIV 76 (tit. pica) pica loquax certa dominum te
voce saluto: / si me non videas, esse negabis avem; vd. anche VII 87, 6
pica salutatrix si tibi, Lause, placet (in un elenco di animali domestici); IX
54, 9 salutatus picae respondet arator. Sull’identificazione della pica vd.
Capponi 1979, p. 416; André 1967, p. 127 sg. – ponitur: per l’uso di ponere
nel senso di adponere vd. la n. a 45, 5. – in cavea: l’uso di tenere gazze in
gabbia è testimoniato anche da Petron. 28, 9 super limen … cavea pendebat
aurea, in qua pica varia intrantes salutabat; cfr. anche Mart. XIV 77 (tit.
cavea eborea) si tibi talis erit qualem dilecta Catullo / Lesbia plorabat, hic
habitare potest; vd. Daremberg-Saglio I, s.v. cavea, p. 980 sg.
9: il verso esprime con efficace paradosso (sine te … tecum), la triste
realtà del rapporto cliente-patrono; per un paradosso simile cfr. XI 35, 1-4
ignotos mihi cum voces trecentos, / quare non veniam vocatus ad te, /
miraris quererisque litigasque. / solus ceno, Fabulle, non libenter.
10: Marziale auspica che l’abolizione della sportula rechi almeno un mi-
glioramento della cena. I fatti si svolsero diversamente, come testimonia
la rapida reintroduzione della sportula, attestata già a partire dal libro
seguente (cfr. IV 26; 68).
400 M. Val. Martialis liber tertius

61

Esse nihil dicis quidquid petis, improbe Cinna:


si nil, Cinna, petis, nil tibi, Cinna, nego.

hab. R tit. ad cinnam : de cinna R 2 nil (pr.) RLQfE²A²XV: nihil PE¹A¹ nego
RLPf : dabo Q

Dici che è nulla tutto ciò che chiedi, insolente Cinna:


se nulla, Cinna, chiedi, nulla, Cinna, ti nego.

Marziale si fa beffe di un tale che gli presenta continue richieste e


rifiuta elegantemente di concedergli alcunché, ritorcendogli contro la
stessa formula che egli utilizza per cercare di ottenere favori e denari
(nihil est): se è nulla ciò che chiede, nulla gli è negato. La pointe, come è
stato opportunamente notato da Izaac (I, p. 102 n. 4; vd. anche Joepgen
1967, p. 94 sg.), è basata su uno stratagemma linguistico analogo a quello,
noto a tutti, che consente ad Odisseo di sfuggire a Polifemo (Od. IX 362
sgg.; 403 sgg.). Del tutto infondata l’interpretazione in chiave oscena di
Obermayer 1998, p. 91 sg., secondo il quale Cinna chiederebbe al poeta
di svolgere il ruolo passivo in un rapporto omoerotico. La struttura del
distico si presenta come una delle più comuni in Marziale: alla narratio del
v. 1 segue il commento arguto del poeta, espresso in forma di conseguenza
logica della premessa (‘se…allora…’). La ripetuta anafora del nome rende
efficacemente la molesta insistenza delle richieste di Cinna. Il nome Cinna,
frequente in epigrammi scommatici di vario genere, è probabilmente
fittizio.

1. Esse nihil: espressione della lingua colloquiale nel senso di ‘essere una
cosa da nulla’: cfr. Plaut. Mos. 981 sg. nihil hoc … est, / triginta minae;
Hor. sat. II 3, 116 mille cadis-nihil est, tercentum milibus; vd. OLD, s.v.
nr. 8 a; in Marziale l’espressione ricorre ancora in IV 5, 9 sg.; IX 41, 3;
XIII 2, 8 sg. – improbe: per questa accezione dell’attributo cfr. Isid. orig.
X 135 improbus dictus, quod instat etiam prohibenti; in Marziale cfr. IV
1, 10 pro tanto quae sunt improba vota deo?; vd. anche V 80, 7; XI 80, 6;
ThlL VII 1, 691, 6 sgg.
Epigramma 62 401

62

Centenis quod emis pueros et saepe ducenis,


quod sub rege Numa condita vina bibis,
quod constat decies tibi non spatiosa supellex,
libra quod argenti milia quinque rapit,
aurea quod fundi pretio carruca paratur, 5
quod pluris mula est quam domus empta tibi:
haec animo credis magno te, Quinte, parare?
Falleris: haec animus, Quinte, pusillus emit.

hab. T cum 60 confl. T tit. ad quintum : om. T 1 centenis : cetenis T ducenis


TL¹PQf : ducentis L² 2 sub rege numa : suregnuma T vina bibis : vinabilis T 3
decies TL²Q²f² : deci L¹PQ¹f¹ 4 quod : que T 5 fundi pretio TLPf : pretio fundi
Q 6 mula TLPf : nulla Q 7 credis magno : magno credis T haec TPQf : hic L ut
vid. emit TPQf² : erit L eris f¹

Compri schiavetti per centomila e spesso duecentomila sesterzi,


bevi vini imbottigliati sotto il re Numa,
del mobilio di piccole dimensioni ti costa un milione,
una libbra d’argento te ne sottrae cinquemila,
al prezzo di un terreno ti procuri un carro dorato, 5
hai comprato una mula a un prezzo più alto di una casa:
credi, o Quinto, di procurarti queste cose con animo grande?
Ti sbagli: queste cose le compra, o Quinto, un animo piccino.

Quinto rappresenta il tipo epigrammatico dello scialacquatore, presente


in Marziale anche in III 10; V 70; IX 82 (vd. Brecht 1930, p. 82 sg.).
L’epigramma si sviluppa in forma di catalogo delle spese effettuate dal
protagonista (1-6); Marziale fa emergere gradualmente il suo giudizio
negativo nei primi versi (3 non spatiosa; 4 rapit), quindi in modo sempre
più esplicito (5 sg.) attraverso il raffronto fra gli inutili oggetti acquistati
da Quinto e quelli, ben più sostanziali, che avrebbe potuto avere ad un
prezzo uguale, se non inferiore. L’ultimo distico (7 sg.) contiene la pointe,
realizzata attraverso la contrapposizione tra il giudizio che Quinto ha
del proprio comportamento e quello opposto del poeta (credis … ? /
falleris; animo … magno - animus … pusillus). Per la struttura scandita
402 M. Val. Martialis liber tertius

dall’anafora di quod cfr. I 104, 1-10; II 11, 1-6. Per quest’uso di quod vd.
la n. a 42, 2.

1. Centenis … ducenis: sc. milibus; per l’ellissi vd. OLD, s.v., nr. 1 c; in
Marziale cfr. II 65, 5; IV 37, 5; V 35, 2; VIII 16, 2; XI 76, 4; XII 75, 8;
l’elevata cifra di centomila sesterzi per un giovane schiavo è attestata in
diversi epigrammi: cfr. I 58, 1 sg.; XI 70, 1; vd. anche II 63, 1 sg.; altrove
Marziale censura il comportamento di personaggi che vendono un podere
per acquistare un puer (IX 21; XII 16; 33). Sui prezzi degli schiavi vd. Citroni,
p. 193; Blümner 1911, p. 280 sg.; Westermann, RE Suppl. VI 1011 sg.
2. sub rege Numa: si tratta di un’iperbole comica: cfr. XIII 111 (tit. Fa-
lernum) de Sinuessanis venerunt Massica prelis: / condita quo quaeris
consule? nullus erat. Numa Pompilio, secondo re di Roma, simboleggia un
periodo remoto anche in X 39, 1 sg. consule te Bruto quod iuras, Lesbia,
natam, / mentiris: nata es, Lesbia, rege Numa?; per il riferimento alla
Roma arcaica vd. anche XI 44, 1 orbus es et locuples et Bruto consule
natus.
3. decies: sc. centena milia; per il frequente uso ellittico del moltiplicativo
vd. la n. a 22, 2 centies. – non spatiosa supellex: Marziale potrebbe
riecheggiare qui Persio (4, 52): noris, quam sit tibi curta supellex, dove
pure supellex è usato in senso metaforico. Supellex indica genericamente
il mobilio: cfr. Paul. Dig. XXXIII 10, 3 supellectili haec continentur:
mensae … subsellia, scamna, lecti etiam inargentati, culcitae, toralia … ,
vasa aquaria, pelves … candelabrae, lucernae; in Marziale cfr. V 62, 3 aut
si portatur tecum tibi magna supellex.
4. libra … argenti: una libbra d’argento a Roma costava circa 270 sesterzi.
L’espressione si riferisce certamente a un oggetto d’argento lavorato
artisticamente (vd. ThlL II 525, 76 sgg.; Friedlaender, SR IV, p. 301 sg.;
D.E. Strong, Greek and Roman Silver Plate, Ithaca 1966, p. 19 sg.): l’uso è
frequente in Marziale: cfr. II 76, 1; III 40 (41), 2; IV 39, 1. 9; 88, 3; V 59, 1;
VI 50, 4; VII 53, 12; VIII 6, 3; 34, 1; 71, 1; X 15 (14), 8; 57, 1; XI 70, 7 sg.;
XII 36, 1; XIII 48, 1; vd. anche VII 86, 6 sg. nulla venit a me / Hispani tibi
libra pustulati. – rapit: esprime lo sproposito della somma pagata, quasi
un furto: cfr. III 16, 2 quodque tibi tribuit subula, sica rapit (dove la sica
simboleggia gli spettacoli gladiatori); VII 32, 6 et rapit immeritas sordidus
unctor opes; vd. anche VIII 64, 15 sit tandem pudor et modus rapinis; XII
55, 6 hoc vendit quoque nec levi rapina.
Epigramma 62 403

5: il prezzo pagato da Quinto per un carro dorato è significativamente


equiparato a quello di un terreno, il cui utilizzo consentirebbe un’attività
onesta e produttiva. La condanna del lusso che va a scapito dell’agricoltura
è ricorrente nei moralisti (vd. la n. a 31, 2; Edwards 1993, p. 137 sgg.); in
Marziale cfr. IX 2, 7 empta tibi nox est fundis non tota paternis; 21, 1
Artemidorus habet puerum sed vendidit agrum; XII 16, 1 sg. addixti,
Labiene, tres agellos; / emisti, Labiene, tres cinaedos; 33, 1 ut pueros
emeret Labienus vendidit hortos; la stessa censura è già in Plaut. Epid. 226
quasi non fundis (sc. vestibus fundorum pretio emptis) exornatae multae
incedant per vias (su cui vd. Fraenkel 1960, p. 128). – carruca: si tratta di
un carro a quattro ruote, spesso riccamente adorno: cfr. Plin. nat. XXXIII
140 nos carrucas argento caelare invenimus; Suet. Nero 30, 3 numquam
minus mille carrucis fecisse iter traditur; vd. al riguardo ThlL III 498, 29
sgg.; Mau, RE III 1614. In III 47, 13 carruca è usato come sinonimo di
raeda (cfr. v. 5).
6: il verso costituisce l’apice della climax: Quinto ha pagato una mula
più di quanto costi una casa. L’iperbole comica ritrae bene il personaggio,
dedito al superfluo a scapito della sostanza.
7 sg.: la conclusione è realizzata attraverso la menzione dell’opinione
del protagonista, smentita nell’ultimo verso da quella opposta del poeta:
si tratta di una struttura ricorrente in Marziale (vd. Siedschlag 1977, p. 66
n. 2): cfr. II 26, 3 sg. iam te rem factam, Bithynice, credis habere? / erras:
blanditur Naevia, non moritur; 83, 4 sg. credis te satis esse vindicatum? /
erras: iste potest et irrumare; VII 31, 6 sg. de nostro tibi missa rure credis?
/ o quam, Regule, diligenter erras!
7 sg.: la formulazione mostra analogie con Sen. dial. III 20, 5 magno
hoc dictum spiritu putas? falleris. Quinto crede, spendendo grandi cifre, di
mostrare la propria magnanimità e distacco dal denaro, in realtà sprecare
soldi in tal modo è indice di bassa moralità; il contrasto magnus-pusillus
è realizzato anche in I 9, 1 sg. bellus homo et magnus vis idem, Cotta,
videri: / sed qui bellus homo est, Cotta, pusillus homo est; vd. inoltre V
82, 4 i tibi, dispereas, Gaure: pusillus homo es. – animo credis magno:
l’ordo verborum conservato dalla seconda famiglia contro l’accordo delle
altre due (a. m. c. T ) ha maggiore probabilità di essere genuino, poiché
Marziale evita di norma l’omeoteleuto, soprattutto quello realizzato dal
sostantivo con il relativo attributo: vd. Shackleton Bailey 1994, p. 52
sgg.; T. Adamik, The System and Function of Attributes in Martial’s
404 M. Val. Martialis liber tertius

Epigrams, «AUB (sect. class.)» 7, 1979, pp. 71-85, spec. 81-83; per un
caso analogo di varianti nella collocazione di sostantivo e aggettivo cfr.
VI 64, 28 fumantem vivi nasum temptaveris ursi : fumantem nasum
vivi T . Sullo scarso peso dell’accordo di due famiglie contro una nella
costituzione del testo di Marziale vd. Citroni, p. LXXI sgg.; SB1, pp. VIII-
X. – animus … pusillus: la condanna di Quinto è realizzata da Marziale
attribuendo all’espressione un significato opposto a quello comune: cfr.,
ad es., Sen. ben. II 34, 4 parcissimum … hominem vocamus pusilli animi
et contracti, cum infinitum intersit inter modum et angustias. Pusillus
per Marziale è invece colui che spreca denaro credendosi per questo un
grand’uomo. Sull’aggettivo, appartenente alla sfera quotidiana, vd. la n. a
42, 3.
Epigramma 63 405

63

Cotile, bellus homo es: dicunt hoc, Cotile, multi.


Audio: sed quid sit dic mihi bellus homo.
‘Bellus homo est, flexos qui digerit ordine crines,
balsama qui semper, cinnama semper olet;
cantica qui Nili, qui Gaditana susurrat, 5
qui movet in varios bracchia vulsa modos;
inter femineas tota qui luce cathedras
desidet atque aliqua semper in aure sonat,
qui legit hinc illinc missas scribitque tabellas;
pallia vicini qui refugit cubiti; 10
qui scit quam quis amet, qui per convivia currit,
Hirpini veteres qui bene novit avos.’
Quid narras? Hoc est, hoc est homo, Cotile, bellus?
Res pertricosa est, Cotile, bellus homo.

vv. 1-4 hab. R 63, 5-V 67, 5 post 21 hab. AG(c)h (vd. epigr. 22) tit. ad cotilum (-ty-)
R EXV: anapiciua A in mg. (fort. ex ad apicium, ad 22 pertinens) 2 bellus homo. dist.
Friedlaender: bellus homo? Lindsay dic mihi bellus homo RQf² : dic mihi cotile bellus
homo Pf¹ dic mihi cotile bellus homo es L¹ cotile bellus homo L² 3 flexos R AXV:
flexus E digerit LPf : digeris R dirigit Q 4 qui : quis R cinnama RLPf : cinnama
qui Q 5 nili EA: lini XV qui gaditana h²lv2²: qui gaditani AXVh¹ qui graditani E qui
et gaditana PQfv2¹ qui et gauditana L 6 movet LQf²EXV: movit Pf¹ vomet A modos
f²in mg. : choros LPQf¹ 8 desidet LPQ²f : besidet Q¹ aliqua LPQ²f : alia Q¹ 9
missas V: missa EAX 11 qui A: quis EXV amet EXV: amat A convivia EXV:
conviva A 12 hirpini LPf : harpini Q 13 hoc est hoc est : hoc est homo cotile
bellus LPf: cotile bellus Q cotile homo bellus EXV lecoti homo bellus A 14 pertricosa
LPf¹EXV: perticosa A perridicula f²in mg. pretiosa quidem Q homo L²Pf : homo est
L¹ut vid.Q

Cotilo, sei un uomo di mondo: lo dicono, Cotilo, molti.


Lo sento dire; ma dimmi cos’è un uomo di mondo.
«Un uomo di mondo è uno che sistema in ordine i capelli arricciati,
che profuma sempre di balsamo, sempre di cinnamomo,
che sussurra i canti del Nilo e quelli di Cadice, 5
che muove le braccia depilate secondo varie cadenze;
che se ne sta tutto il giorno seduto in salotto fra le signore
e bisbiglia sempre in qualche orecchio,
406 M. Val. Martialis liber tertius

uno che legge biglietti inviatigli da una parte e dall’altra e ne scrive a sua
che rifugge il mantello del gomito vicino; [volta; 10
uno che sa quale donna ami ciascuno, che corre per banchetti,
uno che conosce bene i remoti antenati di Irpino.»
Che mi racconti? Questo, proprio questo è un uomo di mondo, Cotilo?
È una cosa intricata, Cotilo, un uomo di mondo.

Il Cotilo preso di mira in questo epigramma incarna il tipo comico


dell’‘uomo di mondo’ (bellus homo). Caratterizzato da un’affettazione di
raffinatezza, da tratti effeminati e da passione per gli aspetti più mondani
della vita, il bellus homo rappresenta ottimamente agli occhi di Marziale
la vacuità di una società che ostenta un’eleganza soltanto esteriore. Il tipo
è preso di mira già in I 9, 1 sg. bellus homo et magnus vis idem, Cotta,
videri: / sed qui bellus homo est, Cotta, pusillus homo est; II 7 declamas
belle, causas agis, Attale, belle, / historias bellas, carmina bella facis eqs.;
cfr. anche IV 78; X 46; XII 39. La figura ricorre spesso in commedia, satira,
epigramma: cfr., ad es., Hor. sat. I 2, 26 sg.; 6, 30 sgg.; Ov. ars III 433 sgg.;
Lucian. rhet. praec. 11; Lexiph. 12; vd. al riguardo O. Ribbeck, Agroikos,
«Abhandl. Sächs. Ges.» 10, 1, 1885, p. 47 sg.; Herter, Effeminatus, 620-
650. Appartiene alla categoria il Publio Sulpicio Gallo ritratto da Scipione
Emiliano, fr. 10 M. (apud Gell. VI 12, 5) nam qui cotidie unguentatus
adversus speculum ornetur, cuius supercilia radantur, qui barba vulsa
feminibusque subvulsis ambulet, qui in conviviis adulescentulus cum
amatore cum chirodota tunica interior accubuerit, qui non modo vinosus,
sed virosus quoque sit, eumne quisquam dubitet, quin idem fecerit, quod
cinaedi facere solent? Cotilo, che ricorre in Marziale ancora in II 70, è
nome parlante (dal gr. ‘chiacchierone’; cfr. anche CGL II 30, 37
blandae . Si tratta comunque di un nome attestato in Grecia: vd.
M.J. Osborne-S.G. Byrne, A Lexicon of Greek Personal Names, II, Attica,
Oxford 1994, p. 277. L’epigramma presenta una struttura tripartita: il
quesito posto dal poeta nel primo distico e il suo commento finale (13
sg.) incorniciano la lunga descrizione del bellus homo che Marziale lascia
alle parole di Cotilo (3-12). L’epigramma fa il paio con il precedente, che
descrive un personaggio che vuole mostrare la propria magnificenza, ma
tradisce la propria povertà spirituale.
Epigramma 63 407

1. bellus homo es: la iunctura ‘bellus homo’ ricorre in Plaut. Capt.


956; Varro Men. 335; 517; 519; Catull. 24, 7; 78, 3 sg.; 81, 2 (cfr. anche
22, 2. 9); Cic. Att. I 1, 4; Petron. 42, 3; AL 412, 13. Su bellus, termine
della lingua colloquiale, vd. la n. a 37, 2 non belle facitis. – dicunt hoc …
multi: l’affermazione insinua subito il sospetto che il giudizio del poeta si
contrapponga a quello della massa.
2. quid sit dic mihi bellus homo: l’interpunzione di Friedlaender, Heraeus,
SB e Walter, è resa senz’altro preferibile dall’uso del congiuntivo (sit)
all’interrogativa diretta realizzata dagli altri editori (Lindsay, Ker, Izaac).
È possibile pensare ad un congiuntivo dubitativo-potenziale, che darebbe
alle parole di Marziale un tono ironico (‘cosa sarebbe, dimmi, un uomo di
mondo?’), ma l’uso del poeta sembra rendere quest’ipotesi meno probabile:
cfr. I 20, 1 dic mihi, quis furor est?; per l’interrogativa indiretta cfr. III 20, 1
dic, Musa, quid agat Canius meus Rufus.
3-12: i versi contengono una vera ‘fenomenologia’ del bellus homo,
esposta dallo stesso Cotilo. L’effetto di ironia è realizzato attraverso il
contrasto tra la presunzione di eleganza di Cotilo e il giudizio negativo che
Marziale e i suoi lettori si formano alle sue parole.
3: la cura eccessiva dei capelli arricciati è un tratto caratteristico dell’ef-
feminato: cfr. Plaut. Asin. 627 cinaede calamistrate. Ovidio vieta all’uomo
di arricciarsi i capelli con il ferro (calamistrum) e sconsiglia alle donne la
frequentazione di coloro che lo fanno: cfr. Ov. ars I 505 sed tibi nec ferro
placeat torquere capillos; III 433 sg. sed vitate viros cultum formamque
professos / quique suas ponunt in statione comas. In Marziale si veda il
ritratto dell’effeminato crispulus di V 61; cfr. ancora Plaut. Curc. 577; Tib.
I 6, 39; 8, 9 sg.; Sen. epist. 66, 25; 95, 24; dial. X 12, 3; vd. ThlL III 118,
6 sgg.; Herter, Effeminatus, 631 sg. – flexos: per flectere capillos nel senso
di crispare c. vd. ThlL VI 892, 58-64; cfr. II 36, 1 flectere te nolim, sed nec
turbare capillos; X 65, 6 tu flexa nitidus coma vagaris; vd. anche Iuv. 6,
493; Spart. Hadr. 26, 1; Firm. math. IV 19, 17. – digerit ordine crines:
l’espressione indica un’acconciatura accurata: cfr. Ov. am. I 7, 11 ergo ego
digestos potui laniare capillos; 14, 19 saepe etiam nondum digestis mane
capillis.
4: l’eccessiva profumazione, uno dei bersagli ricorrenti della critica
moralistica (vd. la n. intr. all’epigr. 55), è tratto caratteristico della descrizione
dell’effeminato: cfr. XII 38, 3; Iuv. 2, 40-42; vd. Herter, Effeminatus, 634. I
due profumi sono associati ancora in Apul. met. II 8 cinnama fraglans et
408 M. Val. Martialis liber tertius

balsama rorans. Per l’anafora di semper in un contesto analogo cfr. AL 458,


1 sgg. R. (456 SB) semper munditias, semper, Basilissa, decores, / semper
dispositas arte decente comas / et comptos semper vultus unguentaque
semper, / … / non amo. Balsama è metonimia comune per opobalsama: cfr.
Serv. georg. II 119 balsamum est arbor ipsa, opobalsamum sucus collectus
ex arbore; Plin. nat. XII 116 sucus e plaga manat quem opobalsamum
vocant. Si tratta di un profumo apprezzatissimo: cfr. Plin. nat. XII 111
omnibus odoribus praefertur balsamum, uni terrarum Iudeae concessum.
In XIV 59 (tit. opobalsama) Marziale ne testimonia la diffusione tra gli
uomini: balsama me capiunt, haec sunt unguenta virorum. / delicias
Cosmi vos redolete, nurus. – cinnama: sul cinnamomo vd. la n. a 55, 2;
RE II 2836 sgg.
5. cantica … Nili: la musica egizia era particolarmente sensuale: cfr.
Ov. ars III 315 sgg. discant cantare puellae / … / et modo marmoreis
referant audita theatris / et modo Niliacis carmina lusa modis; Prop.
IV 8, 39 Nile, tuus tibicen erat, crotalistria †phillis†. Sui canti egizi vd.
Friedlaender, SR III, p. 304; Wille 1967, p. 311 sgg.; H. Abert, Die Musik,
in Friedlaender, SR II, pp. 161-188. Cantica equivale qui a cantus: vd.
ThlL III 283, 39 sgg. In poesia il Nilo indica spesso metonimicamente
l’Egitto: in Marziale cfr., ad es., XI 11, 1; 13, 3; XIV 115, 1. – Gaditana:
sono le melodie al cui ritmo danzavano le ballerine di Cadice (Gades),
celebri nell’antichità per la lascivia dei loro movimenti: cfr. Iuv. 11, 162 sgg.
forsitan expectes ut Gaditana canoro / incipiant prurire choro plausuque
probatae / ad terram tremulo descendant clune puellae (con il commento
di Courtney); vd. Wille 1967, pp. 200; 313. In Marziale cfr. V 78, 26 sgg.;
VI 71, 2; XIV 203.
6: il bellus homo sa muovere le braccia come un danzatore. Ovidio colloca
la danza tra le arti che possono rendere gradita una persona in una situazione
conviviale: cfr. ars I 595 si vox est, canta; si mollia bracchia, salta; vd. anche
Hor. sat. I 9, 24 sg. quis (sc. possit) membra movere / mollius?; opposta
invece la posizione dei moralisti, fatta qui propria da Marziale, per i quali
la danza è praticata soltanto da uomini effeminati (vd. al riguardo Herter,
Effeminatus, 638): cfr. Sen. contr. I praef. 8 cantandi saltandique obscena
studia effeminatos tenent; vd. anche Macr. Sat. III 14, 4 sgg. – in varios …
modos: modus indica una scala musicale, con determinati intervalli (vd. ThlL
VIII 1255, 38 sgg.); qui l’espressione indica la capacità di danzare a diversi
ritmi: cfr. VI 71, 2 et Gaditanis ludere docta modis; Prop. II 22, 6 varios
Epigramma 63 409

incinit ore modos; Ov. Ib. 452 ad Phrygios … modos (Mart. XI 84, 4); vd.
anche l’analoga espressione relativa alla danza di Lucr. IV 769 bracchia … in
numerum iactare (vd. ThlL II 2158, 67 sgg.). La lezione choros della seconda
famiglia, trascurata da tutti gli editori, era invece collocata da Lindsay tra le
varianti per cui la scelta è difficile (Lindsay 1903, p. 24). Il termine chorus,
pur non estraneo al contesto (cfr., ad es., Prop. III 5, 19 sg. me iuvat …
/ Musarum … choris implicuisse manus), sembra tuttavia adattarsi male
all’espressione movere bracchia in … (vd. ThlL III 1, 1022, 53–1023, 52).
– bracchia vulsa: anche la depilazione maschile è un tratto caratteristico
dell’effeminato: cfr. Ov. ars III 437 sg.; med. 25 sg.; Sen. epist. 47, 7; 114,
14; nat. VII 31, 2; Plin. nat. XIV 123; XXIX 26; Plin. epist. II 11, 23; Iuv.
8, 114; Suet. Iul. 45, 2; Aug. 68; in Marziale cfr. II 29, 6; 62, 1; V 61, 6; IX
27; X 65, 8; XII 38; vd. al riguardo Herter, Effeminatus, 633 sg.; Obermayer
1998, pp. 117-120.
7 sg.: Cotilo trascorre giornate intere in compagnia di donne, cui parla
continuamente all’orecchio. Il particolare ritorna nel ritratto dell’effeminato
di XII 38, 1 sgg. hunc qui femineis noctesque diesque cathedris / incedit tota
notus in urbe nimis (per l’ipotesi di lacuna dopo il v. 1 vd. Housman 1907,
p. 260 = Class. Pap., p. 735). – inter femineas … cathedras: la cathedra è
una sedia con schienale, ma senza braccioli, usata prevalentemente da donne
(vd. Marquardt 1886, p. 726); cfr. Iuv. 6, 91 molles … cathedras; Sidon. epist.
II 9, 4 inter matronarum cathedras. La iunctura deriva probabilmente
da Calp. ecl. 7, 27 inter femineas spectabat turba cathedras (dei posti
nell’anfiteatro). – desidet: per l’accezione di tempus otiose terere vd. ThlL
V 1, 696, 10 sgg.; cfr. Ter. Hec. 800 frustra ubi totum desedi diem; Suet.
rhet. 25 ibi homines adulescentulos dies totos desidere. – aliqua semper in
aure sonat: il bellus homo bisbiglia all’orecchio, come se si trattasse sempre
di argomenti strettamente riservati e confidenziali: in I 89 Marziale descrive
comicamente la degenerazione di questa abitudine: garris in aurem semper
omnibus, Cinna, / garrire et illud teste quod licet turba (1 sg.); cfr. anche
V 61, 3 nescio quid dominae teneram qui garrit in aurem; Hor. sat. II
8, 78 stridere secreta divisos aure susurros; Pers. 5, 96 secretam garrit in
aurem. Marziale ha qui probabilmente imitato Properzio: I 12, 5 sg. nec
mihi consuetos amplexu nutrit amores / Cynthia, nec nostra dulcis in
aure sonat (per la virgola dopo Cynthia, cui reca sostegno anche il passo di
Marziale, vd. Fedeli1, ad loc.).
9: Cotilo vuole dare a vedere di avere numerose relazioni amorose;
410 M. Val. Martialis liber tertius

sull’utilizzo delle tabellae come ‘bigliettini’ per messaggi galanti vd. Marquardt
1886, pp. 801-806; cfr. Ov. am. I 11, 7 sgg.; 12, 1 sgg.; ars I 437 sgg.; Prop. III
23, 1 sgg.; in Marziale cfr. XIV 6; 8; 9 (con il commento di Leary1); il tipo del
seduttore fallito è schernito in XI 64, 1 sg. nescio tam multis quid scribas,
Fauste, puellis: / hoc scio, quod scribit nulla puella tibi.
10: il bellus homo teme che il contatto con il vicino sul letto tricliniare possa
rovinare l’elaborato panneggio del suo mantello; la medesima preoccupa-
zione sembrerebbe muovere il Prisco di II 41, 9 sg. debes non aliter timere
risum / quam ventum Spanius manumque Priscus. La disposizione della
toga, cui i Romani prestavano molta attenzione (cfr. Quint. inst. XI 3, 137
sgg.; vd. Marquardt 1886, p. 554 sg.), era oggetto di cura quasi maniacale
da parte di chi aveva pretese di eleganza: l’atteggiamento di Cotilo trova
un precedente in Q. Ortensio Ortalo, il quale, secondo il racconto di Macr.
Sat. III 13, 4 (vd. anche Gell. I 5, 2 sg.), arrivò a citare per ingiurie un tale
che, urtandolo incidentalmente per strada, gli aveva rovinato le pieghe della
toga; sulla cura per la toga quale indice di ostentazione di eleganza cfr. Hor.
epod. 4, 7 sgg.; Tib. I 6, 38 sg.; Ov. rem. 680; Sen. contr. II 6, 2; Tert. pall. 5.
Il pallium era un mantello leggero, usato sia da uomini che da donne: cfr.
XIV 138; sul suo uso nei banchetti cfr. VIII 59, 9; XI 23, 11 sg.; Petron. 32,
2; vd. RE XVIII 3, 249 sgg.; Wilson 1938, pp. 78-83; Herter, Effeminatus,
629 sgg. – vicini … cubiti: originale sineddoche per vicini hominis (vd.
Fenger 1906, p. 19). Cubitum ponere equivale a cenare in Petron. 27, 4 hic
est … apud quem cubitum ponitis; per la frequente menzione del cubitum
in contesti conviviali vd. ThlL IV 1275, 54 sgg.
11: il bellus homo partecipa alla vita mondana dell’Urbe ed è informato
sui pettegolezzi. – quam quis amet: proposizione relativa propria del latino
tardo: cfr. Vict. Vit. 3, 19 notariis scribentibus, quis quid diceret; Iord.
Get. 152 bellando quis quem valebat expellere; il primo esempio di tale
proposizione è considerato CIL VIII 2728 (152 d.C. circa): vd. Hofmann-
Szantyr, p. 557 (anche p. 202 sg.); Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae, p. 272
sg. In questi casi quis assume il valore di quisque. Questo verso di Marziale
permette di retrodatare tale uso al I sec. d.C. Poco persuasiva l’ipotesi di
interpretare la frase come un’interrogativa indiretta introdotta da quam
(vd., ad es., Collesso: «qui novit quam quis depereat»). Si adatta senz’altro
meglio al ritratto del salottiero bellus homo la superficiale conoscenza
delle relazioni amorose piuttosto che quella dell’intensità della passione di
qualcuno.
Epigramma 63 411

12. Hirpini: Hirpinus è il nome di un celebre cavallo da corsa, ricordato


anche da Iuv. 8, 62 sg. sed venale pecus Coryphaei posteritas et / Hirpini,
si rara iugo Victoria sedit e menzionato in CIL VI 10069. Il nome deriva,
come di frequente, dal gramen nativo. I cavalli irpini erano molto apprezzati
(vd. Friedlaender, SR II, p. 294 sg.). Sull’enorme passione per le corse dei
cavalli a Roma cfr., ad es., VII 7, 8-10; VIII 11, 5 sg.; X 9; XI 1, 13 sgg.
Luciano (Nigr. 29) parla di dei Romani; il vero intenditore
doveva conoscere persino l’albero genealogico dei cavalli in gara. – veteres
… avos: espressione comicamente altisonante: cfr. Verg. Aen. VII 177
sg. veterum effigies ex ordine avorum, / antiqua e cedro; Mart. X 87, 15
mirator veterum senex avorum; vd. anche Ov. fast. VI 657; Val. Fl. III
344; Stat. Theb. VI 67. Termini genealogici umani erano spesso applicati
al pedigree dei cavalli (vd. Friedlaender, SR II, p. 31): ad es. stemma (Stat.
silv. V 2, 21 sgg.), nobilis (Iuv. 8, 60), generosus (Iuv. 8, 57).
13: le interrogative sono intrise di ironia. – quid narras?: interrogativa
di natura colloquiale: cfr. Plaut. Curc. 613 quas tu mihi tricas narras?;
Pseud. 1080 quid ait? quid narrat?; mil. 1031 quid illaec narrat tibi?;
Per. 499 quid istae narrant?; vd. al riguardo Hofmann, LU, p. 156 sgg.
– hoc est, hoc est: la geminazione del dimostrativo sottolinea l’incredulità
del poeta di fronte a quanto detto e prelude al commento conclusivo; cfr.
II 43, 1 sg. haec sunt, haec sunt tua, Candide, ,/
quae tu magnilocus nocte dieque sonas?; 65, 4 sg. illa, illa dives mortua
est Secundilla, / centena decies quae tibi dedit dotis?; VIII 7, 1 sg. hoc
agere est causas, hoc dicere, Cinna, diserte, / horis, Cinna, decem dicere
verba novem?; Hor. epod. 4, 20 hoc, hoc tribuno militum. È un tratto
marcatamente affettivo, tipico della lingua colloquiale (vd. Hofmann, LU,
p. 184 sgg.). Per l’uso in poesia vd. Wills 1996, p. 76 sgg.
14: Marziale conclude l’epigramma con un personale commento sul
bellus homo. Il significato dell’espressione res pertricosa est è oggetto
di discussione: pertricosus, hapax nella letteratura latina, deriva dall’agg.
tricosus (con il prefisso intensivo per-), attestato in Lucil. 417 tricosus
bovinatorque, con il significato di ‘given to trickery, shifty’ (OLD, s.v.).
A sua volta l’aggettivo deriva da tricae. Il termine, la cui etimologia non
è conosciuta (vd. Ernout-Meillet, s.v.), può avere due significati: ‘a tangle
of difficulties, complications’ (OLD nr. 1; cfr. Non. p. 13, 11 L.) e ‘trifles,
nonsense’ (OLD nr. 2; attestato in Marziale XIV 1, 7 ‘sunt apinae tricaeque
et si quid vilius istis’). Al primo si collegano trico (-onis), tricosus, tricor
412 M. Val. Martialis liber tertius

(e trico) e i composti intrico, extrico, inextricabilis. Le interpretazioni


di questo verso si sono differenziate a seconda del significato di tricae
prescelto: al secondo significato di tricae si rifanno, con sfumature
diverse, Ker: «A very trumpery thing, Cotilus, is your pretty fellow»; SB2:
«A pretty fellow, Cotilus, is a very trashy article»; OLD (s.v. pertricosus):
«(prob.) completely taken up with trifles» (vd. Collesso: «bellus homo
levioribus in rebus totus est occupatus»); la maggioranza dei traduttori
e commentatori propende invece per l’altra accezione (OLD nr. 1): tale
interpretazione è registrata nel Forcellini (pertricosus = valde tricosus,
tricis plenus, difficilis); tra i traduttori di Marziale vd., ad es., Izaac: «quelle
chose compliquée qu’un petit-maître, Cotilus!»; Norcio: «Un uomo raf-
finato è una cosa assai complicata, o Cotilo»; Scàndola: «È un essere
complicato, Cotilo, un bellimbusto»; Walter: «sehr verwickelt», «schwer
zu erringen». È quest’ultima a mio avviso l’interpretazione preferibile:
nell’affermazione di Marziale è naturale leggere un alto grado di ironia,
poiché egli ritiene che per essere uomini eleganti, di mondo, vi sia bisogno
in primo luogo di raffinatezza, di sensibilità, di buon gusto, certamente
non delle caratteristiche, tutte esteriori e vacue, elencate da Cotilo. Essere
un bellus homo, secondo la definizione di Cotilo, è per Marziale qualcosa
di complicato e, allo stesso tempo, inutile. – res pertricosa est: res est con il
predicativo è un’espressione idomatica, cara a Seneca (vd. Traina 1995, p.
86 sg. n. 1) e frequente in Marziale (vd. la n. a 12, 3).
Epigramma 64 413

64

Sirenas hilarem navigantium poenam


blandasque mortes gaudiumque crudele,
quas nemo quondam deserebat auditas,
fallax Ulixes dicitur reliquisse.
Non miror: illud, Cassiane, mirarer, 5
si fabulantem Canium reliquisset.

hab. T tit. ad cassianum : ad casianum T 1 poenam T : ponam 2 blandasque


T EXV: blasdasque A crudele EV: crudelem AX credele T 3 deserebat TLPQf² :
desererebat f¹ 4 fallax : fallat T 5 cassiane T : casiane

Le Sirene, lieta pena dei naviganti,


dolce morte e gioia crudele,
che nessuno un tempo abbandonava dopo averle ascoltate,
si dice che l’ingannevole Ulisse abbia lasciato dietro di sé.
Non mi meraviglio: mi meraviglierei, o Cassiano, 5
se avesse lasciato Canio mentre racconta storie.

Marziale loda a Cassiano le doti affabulatorie del suo amico Canio Rufo
(sul quale vd. la n. intr. all’epigr. 20) asserendo che il fascino delle sue parole
è addirittura superiore a quello proverbiale delle Sirene (su cui vd. Otto,
Sprichwörter, s.v. Siren). Il mito delle Sirene (Od. XII 39 sgg.) costituisce
uno tra i più noti episodi omerici (vd. Roscher IV 601-639; E. Kaiser,
Odyssee-Szenen als Topoi, I, Der Gesang der Sirenen, «MH» 21, 1964,
pp. 111-136; EV, s.v. Sirene, IV, p. 891 sg.). Al potere ammaliatore delle
Sirene allude il celebre distico di Furio Bibaculo su Valerio Catone (fr. 6
Bläns. = 17 M.): Cato grammaticus, Latina Siren / qui solus legit ac facit
poetas; forse influenzata dall’epigramma di Marziale la lode di Pollio Felice
in Stat. silv. II 2, 112 sgg. hic ubi Pierias exercet Pollius artes / … / (116)
hinc levis e scopulis meliora ad carmina Siren / advolat, hinc motis audit
Tritonia cristis. L’epigramma evoca nei primi quattro versi il mito delle
Sirene: Marziale ne pone in risalto con gusto retorico il fascino esiziale
attraverso tre nessi ossimorici appositivi (1 hilarem … poenam; 2 blandas
… mortes; gaudium … crudele); quindi ricorda come Ulisse avesse saputo
414 M. Val. Martialis liber tertius

resister loro. Negli ultimi due versi Marziale esalta le capacità affabulatorie
dell’amico, che gli avrebbero consentito di trattenere l’eroe itacese. Le
possibilità retoriche insite nel tema sono sviluppate anche dallo pseudo-
claudianeo In Sirenas (carm. min. app. 1): dulce malum pelago Sirenae
volucresque puellae / Scyllaeos inter fremitus avidamque Charybdin /
musica saxa fretis habitabant, dulcia monstra, / blanda pericla maris,
terror quoque gratus in undis. / delatis licet huc incumberet aura carinis
/ implessentque sinus venti de puppe ferentes, / figebat vox una ratem. nec
tendere certum / delectabat iter reditus, otiumque iuvabat, / nec dolor
ullus erat: mortem dabat ipsa voluptas. Ispirato dallo stesso gusto retorico
per l’ossimoro è l’epigramma di Ausonio dal titolo de Hyla quem Naiades
rapuerunt (95 p. 348 P. = epigr. 106 G.): adspice quam blandae necis
ambitione fruatur / letifera experiens gaudia pulcher Hylas. / oscula et
infestos inter moriturus amores / ancipites patitur Naidas Eumenidas (su
cui vd. Kay, Ausonius Epigrams). Evidente il debito con l’epigramma di
Marziale di Auson. Comm. prof. Burd. 15, 7 sg. te fabulantem non Ulixes
linqueret, / liquit canentes qui melodas virgines. Cassiano, il cui nome
ricorre soltanto in questo epigramma, doveva essere un amico del poeta
e dello stesso Canio (si tratta comunque di un nome ben attestato: vd.
Kajanto 1965, p. 144).

1 sg.: i due versi contengono tre ossimori che mettono in risalto gli
opposti esiti del canto delle Sirene: gioia e morte. La disposizione chiastica
del v. 2 evidenzia l’intreccio indissolubile degli estremi (mortes, gaudium).
Per l’uso dell’ossimoro in Marziale cfr. I 82, 8 securo … damno; 82, 11
innocens ruina, dove il poeta evidenzia il carattere miracoloso dell’evento
(un portico crollato subito dopo il passaggio di Regolo: vd. la n. intr. di
Citroni); IV 18, 6 tabuit in calido vulnere mucro tener; VII 29, 1 Thestyle,
Victoris tormentum dulce Voconi (per il topos ‘dolce-amaro’ in contesti
amorosi vd. la ricca esemplificazione di Galán Vioque, ad loc.); XII 18,
10 sg. hic pigri colimus labore dulci / Boterdum Plateamque. – hilarem:
‘laetitiam praestans’ (vd. ThlL VI 3, 55 sgg.). – blandas … mortes: cfr.
Lucil. 1097 M. mite malum blandum atque dolosum; Sen. ben. II 14, 4
blandum et adfabile odium; Oct. 428 luxuria, pestis blanda; Auson. 95,
1 p. 348 P. (epigr. 106, 1 G.) cit. nella n. intr.; 108, 11 sg. p. 351 P. (epigr.
115, 11 sg. G.) marcentem … / blandus letali solvat dulcedine morbus.
– gaudium … crudele: cfr. Ov. met. VI 653 dissimulare nequit crudelia
Epigramma 64 415

gaudia Procne; Rut. Nam. I 578 fluxerunt madidis gaudia mesta genis;
Auson. 95, 2 p. 348 P. (epigr. 106, 2 G.) cit. nella n. intr.; Claud. 26, 407
lacrimosa … gaudia miscent.
4. fallax Ulixes: fallax è epiteto abituale di Ulisse, la cui immagine
negativa fu la più diffusa a Roma per l’influenza di Virgilio (vd. EV, s.v.
Ulisse, V, pp. 358-361; W. B. Stanford, The Ulysses Theme, Oxford 1954
[19682], p. 128 sgg.): cfr. Ov. met. XIII 712 fallacis Ulixis; Sen. Tro. 149
fallacem … Ulixem; vd. anche Verg. Aen. II 90 pellacis Ulixi (v.l. fallacis);
164 scelerum … inventor Ulixes; VI 529 hortator scelerum Aeolides (Ov.
met. XIII 45); IX 602 fandi fictor; Sen. Tro. 750 machinator fraudis.
Qui l’aggettivo allude anche allo stratagemma che gli permise di ascoltare
indenne il canto delle Sirene. Si noti anche l’effetto paronomastico (fallax
Ulixes). – dicitur: il verbo rimanda alla dimensione lontana del mito,
spesso contrapposto ad una concreta realtà presente: cfr. epigr. 24 (21),
1 sg. quidquid in Orpheo Rhodope spectasse theatro / dicitur, exhibuit,
Caesar, harena tibi; 29 (25 b), 3 sg. sic miser (sc. Leandrus) instantes
affatus dicitur undas: / ‘parcite dum propero, mergite dum redeo’; II 84, 1
sg. mollis erat facilisque viris Poeantius heros / vulnera sic Paridis dicitur
ulta Venus; vd. anche I 104, 6 sg.
5 sg.: le doti narrative di Canio sono lodate anche in III 20, 8 sg. an
otiosus in schola poetarum / lepore tinctos attico sales narrat? La pointe
è qui realizzata attraverso una sorta di ‘légende corrigée’ (vd. al riguardo
Laurens 1965, p. 330), per cui il soggetto presentato è considerato superiore
alle figure paradigmatiche del mito; il modulo è caro a Marziale, che se ne
serve più volte nell’adulazione dell’imperatore, ma anche in epigrammi
non cortigiani (esempi nella n. intr. di Citroni a I 36). In questo caso,
pur trattandosi di un’ipotetica, Canio viene implicitamente considerato più
suadente delle Sirene.
416 M. Val. Martialis liber tertius

65

Quod spirat tenera malum mordente puella,


quod de Corycio quae venit aura croco;
vinea quod primis floret cum cana racemis,
gramina quod redolent, quae modo carpsit ovis;
quod myrtus, quod messor Arabs, quod sucina trita, 5
pallidus Eoo ture quod ignis olet;
gleba quod aestivo leviter cum spargitur imbre,
quod madidas nardo passa corona comas:
hoc tua, saeve puer Diadumene, basia fragrant.
Quid si tota dares illa sine invidia? 10

hab. T tit. ad diadumenum T 1 spirat : srat T tenera malum Tf² : malum


tenera LPQf¹ 2 quae venit : pervenit T 3 primis : primus T floret cum :
cum floret TLP²Qf cum floreret P¹ racemis T²PQf : racenis L recemis T¹ 4 ovis
T V²s.l.: uvis EAXV¹ 5 arabs EXV: araps TA 6 ignis olet Q²f²XV: igni solet
LPQ¹f¹EA dignis olet T 7 quod T : quid aestivo TLPQ²fEXV: aestiva Q¹
aestuo A cum spargitur : conspargitur T imbre TQ²fV²: imbrem LP imber Q¹
imo EAXV¹ 8 quod T : quid madidas : mardida T nardo passa T²: narda
passa T¹ nardo sparsa nardos parta EAXV¹ nardos sparsa V²in mg. 9 tua :
tuua T puer TLPf : om. Q basia : bassia T fragrant f²s.l.G: fraglant T²EAV
flagrant LPQf¹X fraglans T¹ 10 quid PQ²f : quod TLQ¹ dares TLPf : daret Q

Il profumo che esala una mela quando la morde una delicata fanciulla,
quello dell’effluvio che proviene dallo zafferano coricio;
quello di una vigna quando argentea fiorisce con i primi grappoli,
quello che emana l’erba che una pecora ha appena brucato;
il profumo del mirto, di un mietitore arabo, dell’ambra sfregata, 5
quello della fiamma pallida dell’incenso orientale;
quello di un terreno quando viene irrorato lievemente dalla pioggia estiva,
quello di una ghirlanda che è stata a contatto con chiome madide di nardo:
tutti insieme, crudele fanciullo Diadumeno, li sprigionano i tuoi baci.
E che sarebbe se li concedessi interamente, senza ritrosia? 10

Marziale celebra la fragranza dei baci del puer Diadumeno attraverso


il paragone con una serie di profumi. L’epigramma si sviluppa in forma
Epigramma 65 417

priamelica, evocando nei vv. 1-8 profumi molto ricercati, còlti in un pre-
ciso momento e definiti con molta finezza; soltanto in conclusione (9) le
molteplici percezioni olfattive vengono ricondotte dal poeta ai baci del
puer. La menzione ritardata del nome del puer (9), procedimento comune
nella poesia celebrativa (cfr. V 37, in cui il nome di Erotion compare
soltanto al v. 14; vd. Citroni, p. 310), concorre ad accrescere l’effetto di
sorpresa della conclusione. Il gusto per l’accumulo di immagini costituisce
un tratto distintivo della poesia di Marziale (vd. soprattutto La Penna
1992, spec. p. 9 sg. su questo epigramma; Siedschlag 1977, pp. 39-55). Egli
adotta tale tecnica anche in altri epigrammi incentrati sulla descrizione
di odori particolari, anche sgradevoli: cfr. IV 4; VI 93; XI 8; vd. inoltre
V 37, 9 sgg. fragravit ore (sc. Erotion) quod rosarium Paesti, / quod
Atticarum prima mella cerarum, / quod sucinorum rapta de manu
gleba. In questi epigrammi la serie delle immagini, che dovrebbe meglio
definire l’oggetto principale, «tende fortemente ad una funzione estetica
propria, che consiste nell’imprimere all’immaginazione un movimento
rapido e gioioso» (La Penna 1992, p. 12). Il motivo dei fragrantia basia
ha una lunga tradizione poetica (vd. al riguardo Lilja 1972, pp. 120-124;
index, s.v. kisses), anche epigrammatica: cfr., ad es., AP V 118 (Marco
Argentario); XII 68 (Meleagro); V 305; XII 123 (anonimi). In Marziale
il tema è sviluppato in forma strettamente analoga a questo epigramma
in XI 8, dedicato alla fragranza dei baci di un anonimo puer: uguale la
struttura, scandita dall’anafora di quod, cui è correlato in chiusura hoc;
simili alcune percezioni olfattive descritte (cfr. le nn. ai vv. 1; 2; 8); uguale
la chiusa dell’epigramma che lega tutti i profumi alla fragranza dei baci
del puer. L’epigramma appartiene a un ciclo dedicato ai baci del puer
Diadumeno, che comprende anche V 46; VI 34. Il nome Diadumenos
allude certamente alla celebre statua omonima di Policleto, modello di
sensuale bellezza giovanile (cfr. Plin. nat. XXXIV 55 diadumenum fecit
molliter iuvenem), datata circa al 420 a.C. e nota da diverse copie: vd. E.
La Rocca, Policleto e la sua scuola, in R. Bianchi Bandinelli (ed.), Storia
e civiltà dei Greci, IV, Milano 1979, p. 537 sgg. Non si può comunque
escludere che si tratti di un reale puer delicatus del poeta: era diffusa
l’usanza di dare ai pueri delicati nomi greci volti a metterne in risalto la
bellezza: in Marziale cfr. Callistos (V 64, 1; VIII 67, 5); Alexis (VIII 63,
1); Hyacinthos (VIII 63, 2); Hylas (XI 28, 2). Sulla diffusione del nome a
Roma vd. ThlL onom. III 123, 80 sgg.
418 M. Val. Martialis liber tertius

1: si tratta di un’immagine di intensa sensualità; Marziale ha saputo co-


gliere felicemente il momento preciso in cui il profumo si sprigiona. La mela
è notoriamente nel mondo greco-romano un simbolo erotico: cfr. Theocr.
3, 10; 5, 88; Catull. 65, 19-24; Verg. ecl. 3, 64; 70 sg.; Prop. I 3, 24; vd. al
riguardo B.O. Foster, Notes on the Symbolism of the Apple in Classical
Antiquity, «HSPh» 10, 1899, pp. 39-55; E. S. McCartney, How the Apple
Became the Token of Love, «TAPhA» 56, 1925, pp. 70-81; A.R. Littlewood,
The Symbolism of the Apple in Greek and Roman Literature, «HSPh» 72,
1967; pp. 147-181. In Grecia mele morse erano date come pegni d’amore
(cfr. Lucian. dial. meretr. 12, 1; Tox. 13). Il profumo della mela, còlto in
un diverso momento, è anche in XI 8, 3 poma quod (sc. spirant) hiberna
maturescentia capsa; cfr. anche Theocr. 7, 143 sgg.; AP VI 102, 3; Ov. met.
VIII 675; Priap. 86, 13; Iuv. 5, 150; vd. Lilja 1972, pp. 49; 110. – spirat: il
verbo è transitivo nell’analoga struttura di XI 8, come in questo caso al v.
1 (lassa quod hesterni spirant opobalsama dracti); per l’uso transitivo vd.
OLD s.v., nr. 4 b; cfr. Verg. Aen. I 403 sg. comae divinum vertice odorem
/ spiravere; vd. anche Manil. IV 673; Pers. 6, 35; Iuv. 6, 463. – tenera
malum mordente puella: l’ordo verborum riportato dalla prima e dalla terza
famiglia, che consente anche l’allitterazione (malum mordente), è senz’altro
preferibile a quello della seconda (malum tenera m. p.), probabilmente una
banalizzazione, che avvicina gli elementi sintatticamente correlati. Tenera
puella è iunctura ricorrente nell’elegia: cfr. Tib. I 3, 63; 10, 64; [Tib.] IV 4,
1; Prop. II 25, 41; Ov. am. II 1, 33; 14, 35; III 1, 27; 3, 25; 4, 1; 7, 53; ars I
403; II 745; III 31; epist. 14, 87; 19, 7. 127; med. 17. In Marziale cfr. I 109,
16 (della cagnetta Issa umanizzata: vd. Citroni, ad loc.); XIV 149, 1; su tener
nel lessico erotico vd. Pichon, p. 277 sg.
2: l’immagine ricorre anche in XI 8, 2 ultima quod (sc. spirat) curvo
quae cadit aura croco, quasi identico nel secondo hemiepes. L’essenza di
zafferano veniva spruzzata sul pubblico e sulla scena in teatro per il suo
profumo rinfrescante: cfr. Lucr. II 416 et cum scaena croco Cilici perfusa
recens est; Hor. epist. II 1, 79 sg. recte necne crocum floresque perambulet
Attae / fabula; Prop. IV 1, 16 pulpita sollemnis non oluere crocos; Ov. ars
I 104 nec fuerant liquido pulpita rubra croco; Stat. silv. V 3, 41 sg. Sicanii
non mitius halat / aura croci; vd. anche Sen. nat. II 9, 2; in Marziale cfr.
ancora epigr. 3, 8 Cilices nimbis hic maduere suis; V 25, 7 sg. hoc, rogo, non
melius quam rubro pulpita nimbo / spargere et effuso permaduisse croco?,
Epigramma 65 419

in cui esprime una critica nei confronti delle sparsiones, considerate un inutile
spreco di denaro (così già Sen. epist. 90, 15); VIII 33, 3 sg. hac fuerat nuper
nebula tibi pegma perunctum, / pallida quam rubri diluit unda croci; IX
38, 5 lubrica Corycio quamvis sint pulpita nimbo. – Corycio: lo zafferano
migliore era considerato quello proveniente dal monte Corico in Cilicia: cfr.
Plin. nat. XXI 31 prima nobilitas Cilicio et ibi in Coryco monte; vd. anche
Colum. III 8, 4; Sol. 38, 6; Vib. Seq. 6, 34 Parroni (254 Gels.); Isid. orig. XIV
3, 45; era usato anche per aromatizzare il vino (Plin. nat. XXI 33). L’attributo
Corycius è spesso legato al croco: cfr. Hor. sat. II 4, 68; Colum. IX 4, 4; Ciris
317; Eleg. in Maec. I 133 (sostantivato); Lucan. IX 809; Marcell. med. IX 91;
Diosc. I 26. In generale sullo zafferano vd. Orth, RE I A, 1728, 26-1731, 19.
– aura: indica l’effluvio di un profumo (o di un cattivo odore) anche in IV
4, 3; XI 8, 2 cit. supra; XII 32, 17; vd. ThlL II 1474, 11-62; per il nesso con
spiro cfr. Verg. georg. IV 417 dulcis compositis spiravit crinibus aura; Val.
Fl. V 585 multa spirat coma flexilis aura.
3: l’immagine unisce una notazione cromatica (cana) alla descrizione del
profumo. Per l’uso di floreo in relazione alla vigna cfr. Hor. epod. 16, 44
imputata floret usque vinea. – primis … cana racemis: sul colore dell’uva
ancora non matura cfr. Hor. carm. II 5, 9 sgg. tolle cupidinem / inmitis
uvae: iam tibi lividos / distinguet autumnus racemos / purpureo varius
colore; Prop. IV 2, 13 prima mihi variat liventibus uva racemis; Iuv. 2, 81
uvaque conspecta livorem ducit ab uva; per quest’accezione di canus cfr.
Verg. ecl. 2, 51 cana … mala; vd. André 1949, p. 65 sg.; ThlL III 296, 60
sgg. – floret cum: l’ordo verborum di , preferito, tra gli editori moderni,
da Heraeus e SB, appare migliore di quello tràdito dalle altre due famiglie (c.
f.) per la cosiddetta legge di Marx (su cui vd. Marx 1922, pp. 198; 215 e la
n. a 15, 1), nonché per l’anastrofe della congiunzione, adeguata alla finezza
stilistica del componimento, che lo rende senz’altro difficilior. Il fatto
che la norma di Marx non sia sempre seguita, specialmente in presenza
di una congiunzione, come osservato da E.J. Kenney (apud Watson-
Watson, p. 258), non costituisce, a mio avviso, un argomento probante in
favore di cum floret, accolto comunque da Friedlaender, Lindsay, Izaac,
Giarratano.
4: il profumo è còlto ancora nel momento preciso in cui si sprigiona (cfr.
v. 1). Sul profumo dell’erba cfr. Sulp. Sev. dial. III 18, 2 suave redolentibus
… graminibus; il nesso gramina carpere ricorre in Verg. georg. III 174;
Ov. trist. IV 8, 20; Sil. VII 299. – carpsit ovis: in clausola di pentametro
420 M. Val. Martialis liber tertius

in Ov. fast. IV 750 pabulaque e bustis inscia carpsit ovis; cfr. anche Verg.
georg. III 295 sg. incipiens stabulis edico in mollibus herbam / carpere
ovis.
5: il verso evoca tre distinti profumi, scanditi dalla triplice anafora di
quod, non comune nello stesso verso (vd. Wills 1996, p. 369 sgg.): in
Marziale cfr. I 68, 2 si gaudet, si flet, si tacet, hanc loquitur; VI 4, 3 sg. tot
nascentia templa, tot renata, / tot spectacula, tot deos, tot urbes; X 97, 3
iam scrobe, iam lecto, iam pollinctore parato; XIV 107, 1 nos Satyri, nos
Bacchus amat, nos ebria tigris. – myrtus: sul profumo del mirto cfr. Verg.
ecl. 2, 54 sg.; Hor. carm. II 15, 5 sgg.; Ov. ars III 690; Plin. nat. XXI 69. –
quod messor Arabs: l’etnico richiama la regione dell’Arabia felix, ben nota
nell’antichità per la sua produzione di profumi (vd. RE II 355, 57 sgg.; G.
W. Bowersock, Roman Arabia, Cambridge Mass. and London 1983); per
l’uso del singolare cfr. Tib. II 2, 3 sg. odores, / quos tener e terra divite
mittit Arabs; III 8, 18 cit. infra; Stat. silv. V 3, 43 odoratas nec Arabs
decerpsit aristas. In Marziale Arabs ricorre ancora in epigr. 3, 7, sempre
con ă-; sull’alternanza della scansione della prima sillaba di Arabs, Arabia,
Arabius vd. Platnauer 1951, p. 53; Fedeli1, p. 331. Anche per i profumi si
parla di mietitura, anche se propriamente essi si ricavano dall’incisione dei
relativi alberi: cfr. [Tib.] III 8, 17 sg. metit quidquid bene olentibus arvis
/ cultor odoratae dives Arabs segetis; Plin. nat. XII 58 (sc. tus) meti semel
anno solebat. – quod sucina trita: l’ambra, se sfregata con la mano, emette
profumo di canfora e pino (vd. Lilja 1972, p. 93 sg); perciò le matrone
romane usavano tenere nelle mani monili di ambra (cfr. Prop. II 24, 12;
Ov. met. II 365 sg.; Plin. nat. XXXVII 30-49; Iuv. 6, 573 sg.; vd. RE, s.v.
Bernstein, III 303, 32 sgg.); il profumo dell’ambra è evocato da Marziale
anche in V 37, 9-11 fragravit ore (sc. Erotion) … / … / quod sucinorum
rapta de manu gleba; XI 8, 6 sucina virginea quod (sc. spirat) regelata
manu; per l’immagine dell’ambra sfregata cfr. anche IX 12, 6 gemma …
Heliadum pollice trita.
6. pallidus … ignis: l’incenso, che veniva bruciato a Roma in diverse
occasioni (vd. Lilja 1972, pp. 31-47; 50-52), provoca una fiamma pallida:
cfr. Merob. poet. 88 nullus in aris … palleat ignis. – Eoo ture: Eous,
aggettivo di uso prevalentemente poetico, indica genericamente l’Oriente
(vd. OLD, s.v. nr. 2). Qui si riferisce all’Arabia felix (vd. la n. al v. 5),
regione che produce l’incenso: cfr. Verg. georg. I 57 India mittit ebur,
molles sua tura Sabaei; II 115 Eoas … domos Arabum; 117 solis est turea
Epigramma 65 421

virga Sabaeis; Lygd. 2, 23, sg. illic quas mittit dives Panchaia merces /
Eoique Arabes, dives et Assyria; Stat. Theb. I 263 turis Eoi. Eous ricorre
in Marziale ancora in VIII 26, 1; 36, 2, sempre con la prima sillaba lunga
(gr. ), come in prevalenza nella tradizione poetica latina: cfr. Verg.
georg. I 221; II 115; Aen. I 489 (sull’uso di Virgilio vd. EV II, s.v. Eoo, p.
325 sg.); Tib. II 2, 16; [Tib.] III 8, 20; Prop. I 15, 7; 16, 24; II 18, 8; III 13,
15; IV 3, 10; 5, 21; Ov. fast. I 140; III 466; V 557; VI 474; am. II 6, 1; ars
I 202; III 537; Pont. II 5, 50; IV 6, 48; 9, 112; Lucan. I 252; II 55. Come
il greco ( ) anche il latino ammette la scansione breve: cfr. Verg. Aen.
II 417; VI 831; Prop. III 24, 7; IV 6, 81; Ov. am. I 15, 29 (sostantivato);
met. IV 197; trist. IV 9, 22 (sostantivato); Lucan. IV 66; 352; V 71; VI
52. Properzio usa con gusto erudito entrambe le scansioni in II 3, 43 sg.
ostendet Eois / uret et Eoos.
7: su questo profumo cfr. Plin. nat. XVII 39 quod si admonendi sumus,
qualis sit terrae odor ille qui quaeritur, contingit … cum a siccitate
continua immaduit imbre. tunc emittit illum suum halitum divinum
ex sole conceptum, cui comparari suavitas nulla possit; gleba indica per
traslato solum, terra, humus (vd. ThlL VI 2043, 4 sgg.): cfr. V 13, 7; IX
22, 3.
8: un’altra immagine ricercata: il profumo di una corona di fiori si associa
a quello dell’unguento che impregnava i capelli su cui era posata: cfr. Claud.
XV 183 mixtis redolent unguenta coronis. L’associazione di corone di fiori
e profumi rimanda ad un contesto simposiale: sull’usanza, proveniente dalla
Grecia e diffusa a Roma, di ungere i capelli con balsami profumati e portare
corone di fiori al banchetto vd. RE, s.v. Salben, I A, 1855, 31-1856,19. Profumo
e corone di fiori sono elementi tradizionali nella poesia simposiale (esempi
in ThlL IV 979, 3 sgg.). La medesima percezione olfattiva è richiamata in XI
8, 10 quod modo divitibus lapsa corona comis, dove dives allude certamente
all’unguentum con cui sono profumati i capelli, come si evince anche da
Ov. am. I 6, 38 madidis lapsa corona comis, modello del verso di Marziale
(vd. Kay, ad loc.). – madidas … comas: per la iunctura cfr. Ov. am. I 6, 38
cit. supra; epist. 14, 30 madidas … comas; vd. ThlL VIII 36, 72 sgg.; 37, 15
sgg. L’attributo si riferisce ancora ai capelli unguentati in V 64, 3 madidus
… crinis amomo; XIV 24, 1 madidi … crines. – nardo passa: la lezione è
conservata soltanto da T². L’uso inconsueto di patior ha senz’altro favorito le
corruttele nardo sparsa ( , cfr. v. 7 spargitur) e nardos parta ( ).
9. hoc … fragrant: il dimostrativo, in posizione enfatica, richiama tutte le
422 M. Val. Martialis liber tertius

percezioni olfattive dei vv. 1-8. Il pronome ricopre la medesima funzione


in XI 8, 12 hoc fragrant pueri basia mane mei. Hoc è accusativo, come
dimostrano la correlazione con il quod dei versi precedenti (anche in XI
8); cfr. anche V 37, 9 fragravit ore quod rosarium Paesti; VI 55, 3 fragras
plumbea Nicerotiana; il verbo è costruito con l’ablativo in I 87, 1; III
58, 8, come in Catullo (6, 8; 68, 144) e nei poeti posteriori. Oltre che in
Marziale fragro è transitivo in Apul. met. II 8; VI 11; Sol. 37, 18 e nel latino
cristiano: vd. ThlL VI 1, 1238, 9 sgg. – saeve puer: saevus (e saevitia) indica
nel lessico erotico l’atteggiamento di ripulsa dell’innamorato (vd. Pichon,
p. 257); cfr. Catull. 99, 5 sg. nec possum fletibus ullis / tantillum vestrae
demere saevitiae (dopo il bacio ‘rubato’ a Giovenzio). Per la iunctura,
significativamente usata più volte per Eros, cfr. Ov. am. I 1, 5 quis tibi,
saeve puer, dedit hoc in carmina iuris?; Nem. ecl. 4, 44 tu quoque, saeve
puer, niveum ne perde colorem; Claud. carm. min. 29, 51 quae tibi, saeve
puer, non est permissa potestas? (nella stessa posizione metrica).
10: Marziale si domanda quale beatitudine potrebbe raggiungere se il
puer gli si concedesse di buon grado. Desiderio opposto è espresso in
V 46, 1 sg., con protagonista lo stesso Diadumeno: basia dum nolo nisi
quae luctantia carpsi / et placet ira mihi plus tua quam facies. – quid
si: espressione ellittica che ben esprime il carattere quasi impossibile del
desiderio; ricorre con simile valore ancora in I 35, 7; II 86, 7 sg.; III 93, 20;
Ov. am. I 1, 7 sg.; met. I 498. – tota: indica i baci concessi interamente;
cfr., all’opposto, II 10, 1 basia dimidio quod das mihi, Postume, labro; 22,
3 sg. dimidio nobis dare Postumus ante solebat / basia, nunc labro coepit
utroque dare.
Epigramma 66 423

66

Par scelus admisit Phariis Antonius armis:


abscidit vultus ensis uterque sacros.
Illud, laurigeros ageres cum laeta triumphos,
hoc tibi, Roma, caput, cum loquereris, erat.
Antoni tamen est peior quam causa Pothini: 5
hic facinus domino praestitit, ille sibi.

tit. ad romam de antonio 1 par LPQf² : pars f¹ phariis Q²in mg.f²V²CG²hklvv1v2:


parvis EAXV¹G¹ fartis Q¹f¹ fartus L fractis P 3 laurigeros AXV: laudigeros E 5
antoni PQf : at toni L est Q² : es LPQ¹f pothini Pf¹E²AX: prothini E¹ pothim L
photini Qf²V 6 facinus LPQf² : fascinus f¹

Antonio ha commesso un delitto pari a quello perpetrato dall’arma di Faro:


entrambe le spade hanno reciso sacri capi.
Quella era la tua testa quando lieta celebravi i trionfi ornati d’alloro,
questa, o Roma, lo era quando parlavi.
Tuttavia la causa di Antonio è peggiore di quella di Potino: 5
questi ha compiuto il delitto per il padrone, egli per sé.

L’epigramma pone a confronto l’assassinio di Cicerone, voluto da Antonio,


con quello di Pompeo, ordito da Potino per conto del re egiziano Tolomeo
XIII. Il componimento si presenta in forma di una piccola controversia, che
si avvale di termini ed espressioni del lessico giuridico (cfr. v. 1 scelus admisit;
5 peior … causa; 6 facinus): i delitti perpetrati da Antonio e Potino vengono
contrapposti e valutati; quello di Antonio, in quanto dettato da rancore
personale, viene giudicato più grave di quello di Potino, che agì per recare
un vantaggio al suo signore Tolomeo. Potino, al tempo amministratore del
regno egizio per la giovane età di Tolomeo (cfr. Caes. civ. III 108), è indicato
da Lucano (VIII 482 sgg.) come ispiratore dell’assassinio di Pompeo, di cui
Achilla e Settimio furono gli esecutori materiali; egli fu quindi ucciso da
Cesare (civ. III 112). Il giudizio delle fonti è totalmente sfavorevole nei suoi
confronti (vd. al riguardo K. Ziegler, s.v. Potheinos, in RE XXII 1, 1176, 33-
1177, 37), ma bisogna ricordare che egli, come evidenziato da Marziale, ha
tentato di fare gli interessi del suo dominus.
424 M. Val. Martialis liber tertius

Il tema dell’uccisione di Cicerone è sviluppato da Marziale anche in V


69, che si presenta nella forma di un’apostrofe diretta ad Antonio, al cui
delitto è ancora affiancato quello di Potino (cfr. v. 1 sgg. Antoni Phario
nihil obiecture Pothino / et levius tabula quam Cicerone nocens, / quid
gladium demens Romana stringis in ora?). Si tratta, in entrambi i casi,
della rielaborazione in forma epigrammatica di temi cari alla retorica: la
morte di Cicerone è affiancata a quella di Pompeo già in Seneca il Vecchio
(suas. VI 6 quod indignamur in Ciceronem Antonio licere, in Pompeium
Alexandrino licuit spadoni), il quale riporta anche un componimento
in 25 esametri di Cornelio Severo sulla morte di Cicerone (suas. VI 26);
cfr. anche Sen. dial. IX 16, 1 Pompeius et Cicero clientibus suis praebere
cervicem (sc. coguntur). La grande notorietà del tema consente a Marziale
di tacere il nome delle due illustri vittime, che chiunque era in grado di
ricavare dalla menzione di Antonio e dal riferimento alle armi egizie e a
Potino. Epigrammi di tal genere saranno stati senz’altro diffusi in ambienti
filorepubblicani, la cui frequentazione da parte di Marziale si può ricondurre
al primo periodo di soggiorno del poeta a Roma e alla sua vicinanza agli
intellettuali di origine iberica (Seneca, Lucano), in seguito coinvolti nella
congiura pisoniana. A questo filone appartengono alcuni epigrammi
filorepubblicani nel I libro: la rievocazione del suicidio di Arria Maggiore,
moglie di Cecina Peto (13); quella del sacrificio di Muzio Scevola (21);
quella del suicidio di Porcia, figlia di Catone Uticense e moglie di Bruto
(42); su questi carmi vd. il commento di Citroni, ad locc. Testimoniano
ancora la diffusione di composizioni di tal genere gli epigrammi attribuiti
a Seneca che celebrano Catone (AL 397-399; 414; 432) e Pompeo (400-
404; 406; 413; 438; 454-456). La figura di Antonio è ancora caratterizzata
negativamente da Marziale in II 89, 5 quod vomis, Antoni (sc. vitium
habes), certamente sulla base del noto aneddoto raccontato da Cic. Phil. 2,
63 (vd. anche 2, 76. 84).

1. Par scelus …: comparatio compendiaria (su cui vd. Hofmann-Szantyr,


p. 826); in Marziale cfr. anche V 37, 1 puella senibus dulcior mihi cycnis,
modificato senza motivi cogenti da SB, seguito da Howell2, in puella
senibus voce dulcior cycnis (per la difesa del testo tràdito vd. Parroni 1993,
p. 59 sg.); per un caso analogo cfr. Sen. epist. 90, 30 in hoc a natura rerum
formatus est, ut paria diis vellet. – admisit: il verbo nell’accezione di
‘perpetrare’ appartiene al lessico giuridico: cfr. Voc. Iur. Rom., s.v., 236, 5
Epigramma 66 425

sgg.; in Marziale cfr. anche V 69, 4 hoc admisisset nec Catilina nefas. Scelus
admittere è iunctura frequente: cfr. Hor. sat. II 3, 212; Ov. Pont. III 16,
13; Val. Max. V 9, 1; Petron. 17, 6; Iuv. 10, 340; 13, 237. – Phariis: Pharius,
propriamente ‘dell’isola di Faro’ (dinanzi ad Alessandria), è frequente in
poesia, a partire da Tib. I 3, 32, nell’uso metonimico per Aegyptius (vd.
OLD, s.v.). In Marziale vi sono 7 occorrenze (cfr. spec. V 69, 1 Phario …
Pothino). In IX 40, 2 Pharus si riferisce per metonimia ad Alessandria o
all’Egitto (vd. Henriksén, ad loc.). Qui l’attributo accresce la condanna per
Antonio, colpevole di un delitto ai danni di un concittadino.
2. vultus … sacros: la iunctura ricorre nel racconto dell’uccisione di
Pompeo in Lucan. VIII 669 sg. ac retegit sacros scisso velamine vultus /
semianimis Magni (vd. anche VIII 677 Pompei diro sacrum caput ense
recidis); in Marziale sacer è usato ancora per Cicerone in V 69, 7 quid
prosunt sacrae pretiosa silentia linguae; vd. anche VIII 55, 3 ingenium
sacri miraris desse Maronis.
3 sg.: Pompeo e Cicerone sono individuati come guide della Roma re-
pubblicana, l’uno nel campo militare, l’altro in quello oratorio. Roma è
personificata e rappresentata come un corpo di cui i due costituiscono la
testa. L’immagine tradisce un certo gusto per il macabro, in considerazione
del fatto che Cicerone e Pompeo furono entrambi decollati (cfr. v. 2). Per
la non rara metafora cfr. Cic. Mur. 51 dixit (sc. Catilina) duo corpora
esse rei publicae, unum debile infirmo capite, alterum firmum sine capite;
huic … caput se vivo non defuturum; Liv. V 46, 6 corpori valido (sc.
exercitui Romano) caput deerat; vd. ThlL III 399, 35 sgg.; Valerio Massimo
definisce Cicerone caput Romanae eloquentiae et pacis clarissima dextera
(V 3, 4); Pompeo è per Lucano summa caputque / orbis (IX 123 sg.). Per
l’uso di caput nel senso di ‘guida’ vd. ThlL III 421, 38 sgg. – laurigeros …
triumphos: la iunctura ricorre, nella stessa posizione metrica, in Claud. 7,
12. L’alloro è uno degli elementi principali del trionfo (vd. RE VII A, 505,
66 sgg.): di alloro erano le corone dei comandanti (cfr. Hor. carm. IV 2,
33 sgg.; 3, 6 sg.; Ov. am. I 7, 36; II 12, 1; met. I 560 sg.; XIV 720; Pont.
II 2, 80; III 4, 102); di alloro erano adornati i cavalli che sfilavano (cfr.
Ov. fast. V 52; Pont. II 1, 58; trist. II 178; IV 2, 22; vd. anche Prop. III 1,
10). Lauriger è composto di uso poetico, che ricorre per la prima volta in
Prop. III 13, 53; per l’uso in relazione al trionfo cfr. Mart. VII 6, 6 Martia
laurigera cuspide pila virent; 8, 7 sg. festa coronatus ludet convicia miles,
/ inter laurigeros cum comes ibit equos; Stat. Theb. XII 520 laurigero
426 M. Val. Martialis liber tertius

… curru; Sil. V 412 laurigeris … avis; Claud. 24, 20 sg. currum … /


laurigerum. Sulla grande diffusione dei composti in -ger nella poesia latina
vd. J.C. Arens, -fer and -ger. Their Extraordinary Preponderance among
Compounds in Roman Poetry, «Mnemosyne» 3, 1950, pp. 241-262. – laeta
triumphos: la clausola ricorre, pressoché identica, in Ov. met. I 560 (laeta
triumphum); Auson. Mos. 211 (laeta triumphis); ord. urb. nob. 71; epist.
23, 53 (laeta triumphi). Laetus e laetitia sono frequentemente associati al
trionfo: cfr. Hirt. Gall. VIII 51, 3; Liv. XXXVII 46, 7; XLII 49, 6; XLV
43, 8; Ov. am. I 2, 39 sg.; ars I 217; met. I 560 sg.; XIII 252; XIV 719; trist.
IV 2, 66; Pont. II 1, 57 sg.; III 1, 136; 3, 86; 4, 46; Lucan. III 20. 79 sg.; VI
261; VII 682; Ilias 541; Paneg. IV 30, 5; Claud. 26, 451 sg.
4. hoc … caput: per la rappresentazione di Cicerone come caput di Roma
cfr. V 69, 3 quid gladium demens Romana stringis in ora?; Val. Max. V
3, 4 cit. nella n. al v. 3 sg.; Corn. Sev. apud Sen. suas. VI 26, v. 13 egregium
semper patriae caput; Sext. Ena ibid. deflendus Cicero est Latiaeque
silentia linguae. – tibi, Roma: l’apostrofe diretta alla città personificata
accresce il patetismo dell’espressione; in Marziale cfr. anche epigr. 9 (7),
10; V 10, 7; X 19, 4; XI 3, 10; XII 42, 5.
5 sg.: l’eliminazione di Cicerone da parte di Antonio è considerata più
grave, perché dovuta a motivi personali (sibi in chiusura di epigramma
pone in forte risalto il cieco egoismo alla base del delitto di Antonio).
– causa: qui in un’accezione strettamente giuridica: ‘A case or plea
considered from the point of view of its merits, a (good etc.) case, claim’
(OLD, s.v., nr. 4); vd. Voc. Iur. Rom. I, 3, p. 662, 34 sgg.; cfr. Cic. Brut. 30
quem ad modum causa inferior … dicendo fieri superior posset; Att. IV
3, 2 difficilem manifestamque causam; Brut. Cic. epist. XI 19, 2 causam
habent optimam; per peior causa cfr. Sen. contr. IX 5, 2 rogo, ne hoc
causam meam peiorem fecerit, quod ille, quem rapui, unicus erat; vd.
anche Ov. trist. I 1, 26; Sen. contr. II 3, 18; Quint. inst. II 16, 3; III 8, 57.
Epigramma 67 427

67

Cessatis, pueri, nihilque nostis,


Vaterno Rasinaque pigriores,
quorum per vada tarda navigantes
lentos tinguitis ad celeuma remos.
Iam prono Phaetonte sudat Aethon 5
exarsitque dies et hora lassos
interiungit equos meridiana.
At vos tam placidas vagi per undas
tuta luditis otium carina.
Non nautas puto vos, sed Argonautas. 10

tit. ad pueros nautas Pf¹ : ad pueros nantas L ad pueros nantes f²s.l. ad pueros Q 1 cessatis
PQf : cessastis L nihilque LPQ²fEAX: nilque V mihique Q¹ nostis : mostis Lipsius,
Scriverius 2 vaterno LPQf¹EAXV¹: veterno f²s.l.V²s.l. Vatreno Scriverius (coll. Plin. nat.
III 119 sq.), SB rasinaque : res iniqu(a)e EAXV¹ resinaque V²s.l. pigriores AXV: priores
E 4 tinguitis LPf : tingitis Q remos L²PQf : renios L¹ 5 phaetonte sudat aethon P²f :
phetonte sudata ethon P¹Q phatonte sudato ethon L 7 interiungit LPQ²f : interingit Q¹
meridiana LPQf²AXV: meridiano E mediana f¹ 8 at P²Q²f²s.l.X: ad LP¹Q¹ f¹EAV placidas
LPQf² : plagidas f¹ 9 tuta … carina LPQf¹: tuta … carinae EAXV¹ tutae … carinae f²V²C
ed. Ven. ed. Ald. tute … carinae hbvv1 ed. Rom. 1 ed. Rom. 2 luditis : ducitis Heinsius
10 argonautas LP²Qf²EAV: argonauatas f¹ agronautas P¹ argonautos X

Ragazzi, siete degli oziosi e buoni a nulla,


più fiacchi del Vaterno e della Rasina,
navigando per le cui pigre acque
immergete lentamente i remi al ritmo del canto.
Etone suda poiché Fetonte è ormai volto verso la discesa; 5
il giorno si è infuocato e l’ora di mezzogiorno
lascia riposare gli stanchi cavalli.
Ma voi, vagando per acque tanto placide,
oziate allegri sulla barca sicura.
Non marinai vi credo, ma Argonauti. 10

L’epigramma descrive una gita in barca svoltasi nei pressi di Forum


Corneli in estate. Marziale apostrofa i marinai che battono la fiacca (1-4) e
428 M. Val. Martialis liber tertius

descrive la calura opprimente di mezzogiorno (5-7). La pointe conclusiva


si fonda su un gioco etimologico difficilmente riproducibile in traduzione:
Marziale, inserendosi nel solco di una tradizione poetica che rifletteva
sull’etimologia del nome Argo, definisce i marinai Argonautae, che equivale,
secondo la non comune interpretazione del poeta, a pigri nautae (vd. la n.
al v. 10). La situazione iniziale richiama alla mente la satira I 5 di Orazio e
l’alterco tra pueri e nautae (cfr. v. 11 sgg. tum pueri nautis, pueris convicia
nautae / ingerere: ‘huc adpelle’; ‘trecentos inseris’; ‘ohe, / iam satis est’).
Secondo Bonvicini 1986, p. 32 sg. la descrizione di una pigra barca sotto
la calura estiva richiamerebbe per antitesi il phaselus catulliano del c. 4 (vd.
anche, della stessa studiosa, Le forme del pianto. Catullo nei Tristia di
Ovidio, Bologna 2000, p. 109 n. 57). Tuttavia l’interesse di Marziale non
sembra rivolto tanto alla nave, quanto piuttosto alla pigrizia dei marinai e
alla calura intollerabile. L’epigramma, che segna la fine della sezione ‘casta’
del libro, è significativamente dedicato ad un aneddoto di ambientazione
cisalpina; esso si ricollega dunque in modo circolare all’epigramma
proemiale del libro, che annunciava la provenienza cisalpina del libro (1,
1 sg.) e rappresenta il congedo del poeta dalla terra dove ha composto il
libro: la sezione ‘oscena’ del libro non conterrà più riferimenti alla regione,
fatta eccezione per la menzione, in un paragone, del fastidioso gracidio
delle rane di Ravenna (93, 8). Non si può escludere una lettura metapoetica
dell’epigramma: la pigrizia dei marinai, che determina una navigazione così
lenta da rasentare l’immobilità, potrebbe rappresentare metaforicamente la
stanchezza del lettore per una lunga serie di epigrammi privi dell’elemento
‘piccante’ (ad essa Marziale fa riferimento nell’epigramma successivo, che
introduce la nuova sezione ‘oscena’: v. 11 sg. si bene te novi, longum
iam lassa libellum / ponebas, totum nunc studiosa leges). Conforta
questa lettura la collocazione dell’epigramma in posizione significativa, a
chiusura della sezione ‘casta’, quasi a giustificare l’inserzione di una parte
interamente dedicata a temi più licenziosi. Quella della navigazione è del
resto, come noto, una metafora comune per la composizione di un’opera
letteraria: cfr. Pind. Pyth. 2, 62 sg.; 4, 3; 10, 51-54; 11, 39 sg.; Nem. 5, 2
sg.; Call. Hymn. 2, 106; Verg. georg. II 41; Hor. carm. IV 15, 1-4; Prop.
III 3, 22; 9, 3 sg.; 9, 35 sg.; Ov. ars III 26; met. XV 176 sg.; trist. II 329
sg.; Mart. XII 44, 7 sg.; sul topos vd. A. Kambylis, Die Dichterweihe und
ihre Symbolik. Untersuchungen zu Hesiodos, Kallimachos, Properz und
Ennius, Heidelberg 1965, pp. 149-155; G. Lieberg, Seefahrt und Werk.
Epigramma 67 429

Untersuchungen zu einer Metapher der Antiken, besonders der lateinischen


Literatur, «GIF» 21, 1969 (In memoriam Entii V. Marmorale, II), pp.
209-240; Fedeli2, p. 134 sg. Marziale utilizzerebbe in modo originale la
metafora, rappresentando il punto di osservazione non dell’autore, bensì
del lettore (sullo stretto rapporto del poeta di Bilbilis con i suoi lettori,
ormai ampiamente messo in risalto, vd. la n. a 1, 1). Un’analoga metafora
è in II 6, 14 sgg. cit. nella n. al v. 6 sg., in cui Marziale rappresenta il suo
lettore come un viaggiatore che desidera riposarsi dopo essere appena
partito.

1. Cessatis: per la valenza negativa del verbo cfr. Don. Ter. Eun. 405 cessat
desidiosus, requiescit defessus; Ov. ars III 259 cum mare compositum est,
securus navita cessat; vd. ThlL III 959, 1 sgg. – nihilque nostis: l’espressione,
se intesa alla lettera, crea difficoltà e già Lipsius, seguito da Scriverius,
correggeva in mostis. Shackleton Bailey 1989, p. 134 ha giustamente
evidenziato che l’espressione non può riferirsi all’incompetenza dei
marinai, come si intende generalmente, ma deve alludere alla loro pigrizia;
egli pertanto la traduce con l’espressione idiomatica: «You … dead to
the world» (SB2). All’indolenza dei marinai fa riferimento la traduzione
di Norcio: «Non vi curate di nulla». Mi sembra che possa costituire una
resa adeguata della iunctura l’espressione italiana ‘essere buono a nulla’,
che designa non solo l’inetto, ma anche il fannullone (vd. Vocabolario
della lingua italiana, Roma 1986, I, s.v. buono, p. 542 n. 4 d). La forma
sincopata del verbo ricorre in Marziale ancora in II 44, 4; III 37, 1; V 6, 9;
VII 37, 1; 51, 3; 97, 1; IX 47, 7.
2. Vaterno: il Vaternus (oggi Santerno) è un affluente del Po, che, scen-
dendo dall’Appennino, scorreva nei pressi di Forum Corneli. Riunitosi
al principale emissario meridionale del Po (oggi Po di Primaro), formava
con esso un’ampia foce, denominata portus Vatreni (o Eridanum
ostium o ancora ostium Spineticum: cfr. Plin. nat. III 119 sg.). Alla grafia
concordemente tràdita dai manoscritti di Marziale Scriverius ha preferito,
sulla base di Plinio il Vecchio (nat. III 119 sg.), la forma Vatreno, seguito,
tra gli editori moderni, dal solo SB; trattandosi però delle uniche attestazioni
latine del nome, sarà forse più prudente attenersi alla lezione concorde dei
codici. – Rasinaque: l’idronimo non offre altre attestazioni, ma i tentativi
di emendare il testo (Tesinaque Scriverius; Natisique Heinsius; Eridanoque
Cluver) sono tutti scarsamente plausibili. Appare perciò opportuno atte-
430 M. Val. Martialis liber tertius

nersi al testo tràdito, anche in considerazione del fatto che il fiume in


questione potrebbe avere mutato nome o potrebbero essere intervenuti
cambiamenti nelle condizioni idrografiche della regione. Il nome sembra
comunque riconducibile al ceppo etrusco: cfr. Dion. H. Ant. I 30

; vd. in proposito Schulze 1933,


pp. 91 sg.; 571; RE I A 253. Rasinius fu il nome di diversi vasai dell’Italia
centrale, il più celebre dei quali visse sotto Augusto e Tiberio ad Arezzo
(vd. al riguardo RE I A 255, 32 sgg.). Facilmente spiegabile è la corruttela
dei codici di terza famiglia res iniqu(a)e. – pigriores: il comparativo con
il suo ‘volume’ sillabico esprime tutta la lentezza della navigazione (cfr.
anche v. 3 navigantes, sempre in clausola). Il gusto per la collocazione del
comparativo in clausola di falecio deriva a Marziale dal modello catulliano
(come notato da A. Ghiselli, Grammatica e filologia, Firenze 1961, p. 28
sg. n. 13 e più ampiamente mostrato da Bonvicini 1986, pp. 31-35).
3. per vada tarda: la descrizione dell’immobilità del corso dei fiumi
richiama scherzosamente quella delle acque infernali: cfr. Sen. Her. f. 762
sg. ferale tardis imminet saxum vadis, / stupent ubi undae, segne torpescit
fretum; vd. anche Verg. georg. IV 479 Cocyti tardaque palus inamabilis
unda; Prop. IV 11, 15 vada lenta, paludes; in Marziale vada ricorre nella
stessa posizione del falecio anche in IV 55, 22; VI 42, 7.
4. lentos … remos: la iunctura ricorre per la prima volta in Catull. 64,
183 fugit lentos incurvans gurgite remos; quindi in Ov. trist. IV 1, 9 e Sen.
Phaedr. 306. Tuttavia mentre nei passi citati lentus significa ‘flessibile’ (vd.
ThlL VII 2, 1162, 23 sgg.), nel verso di Marziale assume valore avverbiale e
concorre alla descrizione di una scena immobile. – ad celeuma: il celeuma
è il canto che serviva a scandire il ritmo per i rematori (cfr. Serv. Aen. V
177; VIII 108; Comment. Lucan. II 688). Il termine ricorre per la prima
volta in Marziale, ancora in IV 64, 21 sg. quem (sc. somnum) nec rumpere
nauticum celeuma / … valet; quindi soltanto in autori tardi: Paul. Nol.
carm. 17, 109; Rut. Nam. I 370; Sidon. epist. II 10, 4 v. 23; VIII 12, 5; Ven.
Fort. carm. VIII 19, 6; Hier. epist. 14, 10. Per il riferimento al canto dei
rematori cfr. Verg. Aen. III 128 sg. nauticus exoritur … clamor / hortantur
socii; Ov. trist. IV 1, 9 sg. quique refert pariter lentos ad pectora remos,
/ in numerum pulsa brachia iactat aqua (altri esempi nel commento di
Pease a Cic. nat. deor. II 89 nautico cantu).
5. iam prono Phaetonte: il sole ha percorso la metà del suo cammino e
Epigramma 67 431

si accinge alla discesa (cfr. i vv. seguenti). Phaeton è metonimia mitologica


per il sole; tale uso, derivato probabilmente dall’epiteto omerico del Sole
‘brillante’ (cfr. Hom. Il. XI 735; Od. V 479; XI 16; XIX 441;
XXII 388; Hes. Theog. 760; Soph. El. 824; Eur. El. 464), ricorre per
la prima volta in Verg. Aen. V 105 Auroram Phaetontis equi iam luce
vehebant; quindi anche in Val. Fl. III 213; Sil. XI 369 (etc.); Stat. Theb.
IV 717; Orph. Fr. 238, 10 Kern; Adrian. AP IX 137, 3; Nonn. Dion. I
499 (etc.); vd. al riguardo Roscher III 2175-2202; RE XIX 1508-1515; J.
Diggle, s.v. Fetonte, in EV II, p. 506 sg. Per l’uso di pronus per designare
il movimento discendente del sole o di astri cfr. Hor. carm. III 27, 17 sg.
vides quanto trepidet tumulto / pronus Orion?; Ov. met. XI 257 pronus
erat Titan; Sen. Ag. 461 in astra iam lux prona, iam praeceps dies; Lucan.
III 40 sg. Titan iam pronus in undas / ibat; Apul. met. IV 4 iam in
meridiem prono iubare; vd. OLD, s.v. nr. 5 b. – Aethon: uno dei cavalli del
Sole: cfr. Ov. met. II 153 sg. volucres Pyrois et Eous et Aethon / Solis equi
quartusque Phlegon con il commento di Bömer2; vd. ThlL I 1158, 7 sgg.
In Marziale è nominato ancora in VIII 21, 7 sg. iam Xanthus et Aethon /
frena volunt. In XII 77 Aethon è usato come nome di persona.
6 sg. exarsit … dies: per l’uso metaforico del verbo cfr. Amm. XVIII 7,
5 ubi solis radiis exarserit tempus. – hora … / … meridiana: l’attributo
meridianus ricorre in poesia, oltre che in Marziale, soltanto in Avien. ora
648; 662; Paul. Nol. carm. 24, 917. – lassos / interiungit equos: l’espressione
significa ‘sciogliere i cavalli dal giogo’ (vd. ThlL VII 1, 2218, 38 sgg.; OLD
s.v. nr. 2); in poesia il verbo ricorre in questa accezione tecnica nel solo
Marziale; l’uso metaforico (‘riposare’), attestato in Sen. dial. IX 17, 7; epist.
83, 6, ricorre in Marziale in II 6, 14 sgg. lassus tam cito deficis viator, / et
cum currere debeas Bovillas, / interiungere quaeris ad Camenas? (riferito
al lettore che si stanca subito di leggere).
8. placidas … undas: la iunctura ricorre in [Tib.] III 7, 126; Ov. met.
XIII 899; Lucan. IV 13; Stat. Theb. XI 214; Ach. I 57; per placidus riferito
al corso di fiumi cfr. IX 61, 2 qua dives placidum Corduba Baetin amat;
Mela III 40 Araxes … labitur placidus et silens; Tac. ann. II 6, 4 ad
Gallicam ripam latior et placidior adfluens (sc. Rhenus).
9. tuta … carina: iunctura ovidiana (epist. 18, 138; met. XIII 769).
L’uso di carina risponde probabilmente ad un’intenzione etimologica anti-
frastica: cfr. Isid. orig. XIX 2, 1 carina a currendo dicta, quasi currina.
Per una sicura allusione a questa etimologia cfr. 78, 1 currente … carina
432 M. Val. Martialis liber tertius

con la n. ad loc. – luditis otium: l’uso di ludo transitivo esprime ‘quid quis
per ludum agat’ (ThlL VII 2, 1780, 60); in questo caso sarà da intendere
‘otiamini ludentes, luditis per otium, luditis otiose’ con Friedlaender, il
quale richiama l’espressione plautina ludere operam (Capt. 344; Cas. 424;
Pseud. 369; cfr. anche Ter. Phorm. 332), che significa ‘ludendo consumere
operam’ o ‘inter operam ludere’. Ludere otium è un’espressione inconsueta,
che ritorna soltanto nel tardo Opt. Porph. carm. 5, 16 omnia laeta …
ludent otia (vd. Polara, ad loc.: «otio fruuntur»). Non per questo acquisisce
un maggiore grado di probabilità la congettura ducitis di Heinsius (con la
vulgata umanistica tutae … carinae).
10. Argonautas: la pointe si basa su un’originale etimologia del termine
(da ‘pigro’), che lo rende equivalente, con un effetto dissacrante
nei confronti della celeberrima saga, a pigri nautae. La stessa etimologia
ricorre quindi nei glossari (cfr. CGL III 293, 38 piger
nauta; pressoché identica in CGL III 489, 28; 508, 60) e in Eust. Comm.
ad Od. XIII 156, p. 1737 (vd. M. Haupt, Coniectanea, «Hermes» 7,
1873, p. 373, anche in Opuscula, III, Lipsiae 1876 = Hildesheim 1967,
p. 599). Dell’etimologia del nome della nave (e quindi di
) esistevano nell’antichità almeno tre interpretazioni: 1) dal
nome del suo costruttore e collaboratore di Atena; 2) da ‘veloce’; 3)
dalla città dove sarebbe stata costruita, Argo (per le fonti vd. RE, s.v. Argo,
II 723, 7 sgg.; Roscher, s.v. Argo, I 503, 6 sgg.). Una quarta era stata avanzata
da Ennio, sc. 249 sgg. V.2 quae (sc. navis) nunc nominatur nomine / Argo,
quia Argivi in ea delecti viri / vecti petebant pellem inauratam arietis
(su cui vd. il commento di Jocelyn). Alla seconda etimologia, con intento
polemico nei confronti di Ennio, allude Catullo al principio del c. 64 con il
nesso cita … puppi (v. 6): vd. al riguardo A. Traina, Allusività catulliana
(due note al c. 64), in Studi classici in onore di Q. Cataudella, III, Catania
1972, p. 99 sgg. = Id., Poeti latini (e neolatini), Bologna 19862, p. 131 sgg.;
R.F. Thomas, Catullus and the Polemics of Poetic Reference (Poem 64,
1-18), «AJPh» 103, 1982, pp. 148-154. Sulla diffusione di tale etimologia
in ambito latino cfr. Serv. auct. Verg. ecl. IV 34 sane quidam Argo a
celeritate dictam volunt, unde verso in Latinum verbo argutos celeres
dici; vd. Maltby 1991, p. 50 sg. Per un altro possibile gioco etimologico
su Argonautae (da ’bianco lucente’) cfr. Hor. epod. 3, 9 sg. ut
Argonautas praeter omnis candidum / Medea mirata est ducem con il
commento di Cavarzere. Marziale chiude pertanto significativamente la
Epigramma 67 433

sezione ‘casta’ del libro con un gioco etimologico che si inserisce nel solco
della tradizione poetica latina di impronta alessandrina, che però il poeta
rilegge con il consueto sorriso dissacrante nei confronti del mito. Per il
gusto di Marziale per i giochi etimologici sui nomi propri cfr., in questo
libro, 34, 2 Chione; vd. Joepgen 1967, p. 121 sgg.; Grewing 1998, p. 340
sgg.; un’altra dissacrante etimologia di un nome epico è in 78, 2 Palinurus
(vd. la n. ad loc.). Un tentativo di rendere in una lingua moderna il gioco
linguistico è quello di Ker («Not tars do I hold you, but tarriers»), che però
comporta la perdita del riferimento mitologico..
434 M. Val. Martialis liber tertius

68

Huc est usque tibi scriptus, matrona, libellus.


Cui sint scripta rogas interiora? Mihi.
Gymnasium, thermae, stadium est hac parte: recede.
Exuimur: nudos parce videre viros.
Hinc iam deposito post vina rosasque pudore, 5
quid dicat nescit saucia Terpsichore:
schemate nec dubio, sed aperte nominat illam
quam recipit sexto mense superba Venus,
custodem medio statuit quam vilicus horto,
opposita spectat quam proba virgo manu. 10
Si bene te novi, longum iam lassa libellum
ponebas, totum nunc studiosa leges.

hab. T tit. ad matronam pudicam T 1 huc TQ²f²: hoc LPQ¹f¹ hic f²s.l. est usque
: aestus que T scriptus T EA²XV: scriptas A¹ libellus T² : libellis T¹ 2 sint
TLPQEXV: sunt fA 3 gymnasium TLPf : ginnasium est Q 4 viros TLPQf¹: mares
f²in mg. 5-6 post 7-8 hab. EAXV¹ (rectum ordinem restituit V²) 5 vina L²PQf :
via L¹ una T 6 dicat T : dicas ter(p)sic(h)ore T EAX: tersit horae V 7 schemate
b²kv1v2: scemate TLPQf¹EXVb¹ semate A stemate f²s.l. nec : ne T sed aperte
T V²s.l.: per te EAX per te nunc V 9 custodem TLPQ²f : custodet Q¹ medio TPQf :
mevio L 10 proba : proca T virgo TL²PQf : virga L¹ 12 totum : tantum
T leges T : legis

Fin qui per te è stato scritto, o matrona, il libretto.


Mi domandi per chi sia scritto ciò che segue? Per me.
In questa parte si trovano il ginnasio, le terme, lo stadio: allontanati.
Ci spogliamo: evita di guardare uomini nudi.
D’ora innanzi, deposto il pudore dopo il vino e le rose, 5
Tersicore ebbra non sa quel che dice,
e non con ambigui giri di parole, ma apertamente nomina quello
che al sesto mese accoglie Venere superba,
che il contadino ha posto in mezzo all’orto come custode,
che l’onesta vergine guarda coprendo gli occhi con la mano. 10
Se ti conosco bene, stanca stavi già per posare il lungo libretto;
ora lo leggerai con attenzione per intero.
Epigramma 68 435

L’epigramma è un proemio ‘al mezzo’ che introduce la sezione ‘oscena’,


che occupa tutto il resto del libro (epigr. 68-100; su di essa vd. l’Introduzione,
p. 63 sg.). Marziale si rivolge alle matrone e le invita a desistere dalla lettura,
poiché la parte di libro che seguirà ha come tema prevalente il sesso (3 sg.). Il
linguaggio franco e diretto che la caratterizza è messo in risalto nella sezione
centrale dell’epigramma (5-10) da una serie di perifrasi che alludono, senza
nominarlo, al termine osceno par excellence (mentula). Il distico conclusivo
rivela la strategia compositiva del poeta e il carattere giocoso della sua apo-
strofe: il suo ammonimento alle matrone infatti, lungi dal distoglierle dalla
lettura, fungerà al contrario da stimolo e garantirà un’attenzione maggiore
verso questa sezione del libro (11 sg.). Il carattere scherzoso del divieto
emerge nuovamente nell’epigr. 86, in cui Marziale, preso atto che il suo avviso
non ha sortito alcun effetto, concede infine alle matrone il diritto alla lettura
di epigrammi piccanti. L’apostrofe di Marziale ha senz’altro come modello
Ovidio, che nel proemio dell’Ars amatoria invita le matrone ad astenersi
dalla lettura dell’opera, chiarendo che i suoi precetti non sono diretti loro: cfr.
I 31 sgg. este procul, vittae tenues, insigne pudoris, / quaeque tegis medios
instita longa pedes. / nos Venerem tutam concessaque furta canemus /
inque meo nullum carmine crimen erit (i versi sono poi citati, con la sola
sostituzione di nil nisi legitimum per nos Venerem tutam, in trist. II 247-
250). Diversamente da Ovidio però, il cui appello era volto ad allontanare
la possibile accusa di immoralità e di corruzione dei costumi, Marziale, con
tono chiaramente giocoso, tenta di dissuadere le matrone soltanto perché il
carattere licenzioso della sezione non sarebbe adeguato alla loro (presunta)
austerità. Il motivo sviluppato nell’epigramma (e nel suo seguito: epigr. 86) è
presente anche in Priap. 8 matronae procul hinc abite castae: / turpe est vos
legere impudica verba. / non assis faciunt euntque recta. / nimirum sapiunt
videntque magnam / matronae quoque mentulam libenter. L’evidente in-
terdipendenza tra i componimenti è stata analizzata da Buchheit 1962, p. 112
sgg. in relazione al complesso e tuttora discusso problema della datazione dei
Carmina Priapea (per una breve rassegna delle ipotesi vd. Goldberg, p. 35 sg.).
Lo studioso tedesco si basa sulla considerazione assai discutibile che Marziale
svolge in modo più artificioso ciò che l’altro realizza meglio con pochi tratti e vi
trova una conferma ulteriore alla tesi che i Priapea siano successivi a Marziale
(«Was das Priapeum mit wenigen Strichen erreicht, wird bei ihm durch sein
auch sonst beliebtes Häufen von Bildern und Beispielen versucht. […] Folgt
Martial dem Priapeum, so hat der Meister der römischen Epigrammatik nicht
436 M. Val. Martialis liber tertius

gerade gut gearbeitet» p. 113). Pur aderendo all’ipotesi che vuole i Priapea
posteriori a Marziale (per cui mi sembra persuasiva l’argomentazione di
Citroni, p. 31, riproposta in «Gnomon» 66, 1994, p. 411 sg.; vd. anche l’analisi
dei paralleli testuali di Buchheit 1962, pp. 108-123; Grewing, pp. 459-464),
ritengo che la dipendenza del priapeo da questo epigramma possa essere
avvalorata piuttosto da altre considerazioni: anzitutto Priap. 8 va messo in
relazione non soltanto con questo, ma anche, cosa che Buchheit tralascia di
fare, con l’epigr. 86. La struttura di questo componimento è strettamente in
relazione con l’ordinamento degli epigrammi nel libro e Marziale fa riferimento
nel v. 1 sg. al cambiamento di temi e di linguaggio nella sezione che viene
introdotta. La lunga serie di perifrasi dei vv. 5-10 è motivata dall’intenzione da
parte di Marziale di mostrare la sua capacità tecnica di evitare termini osceni,
ma anche dalla posizione intermedia dell’epigramma, che introduce la nuova
sezione ed è però ancora legato alla parte ‘casta’ del libro. Anche la pointe
appare strettamente connessa alla struttura del libro e presuppone la sua lettura
continua. Nell’epigr. 86, quindi verso la metà della nuova sezione, Marziale,
rappresenta, come si diverte spesso a fare (vd. al riguardo la n. intr. all’epigr.
11), le reazioni dei lettori (le matrone) alla lettura di questo componimento
e constata divertito l’inutilità del suo avvertimento. Lo sviluppo del motivo
attraverso i due epigrammi appare pertanto perfettamente in sintonia con lo
stile del poeta e armonicamente inserito nella struttura del libro. Diversamente
nel priapeo i due momenti (avvertimento e reazione) si succedono in modo,
a mio avviso, piuttosto brusco (vv. 1-2; 3-5), con risultati non entusiasmanti
(di parere radicalmente opposto Buchheit 1962, p. 38, che ritiene il priapeo
un capolavoro di pregnanza epigrammatica). Inoltre il priapeo non si astiene
dall’uso del termine osceno (mentula), contraddicendo in qualche modo
quanto detto al v. 2. Questi motivi mi inducono a ritenere che il motivo sia
da attribuire all’invenzione di Marziale e che il priapeo abbia, come spesso fa,
imitato il maggior epigrammista latino. Il componimento e il suo scherzoso
seguito (86) presuppongono comunque un pubblico femminile per gli
epigrammi, un vanto che Marziale non manca di esprimere anche altrove: cfr.
V 2, 1 sg. matronae puerique virginesque, / vobis pagina nostra dedicatur;
VII 88, 3 sg. me legit omnis ibi senior iuvenisque puerque / et coram tetrico
casta puella viro; XI 16, 7 sg. tu quoque nequitias nostri lususque libelli /
uda, puella, leges, sis Patavina licet; sull’allargamento del pubblico di lettrici
a Roma in età imperiale vd. Cavallo-Chartier 1995, p. 53 sgg.
Epigramma 68 437

1: alle matrone, simbolo di castità, è dedicato il libro quinto, privo


dell’elemento licenzioso: cfr. V 2, 1 sg. matronae puerique virginesque
/ vobis pagina nostra dedicatur. – Huc … usque: la prima attestazione
della tmesi dell’avverbio è in Lucr. III 252 nec temere huc dolor usque
potest penetrare (cfr. anche Sil. VII 377; Stat. Theb. XI 258; Claud. 26,
548). L’uso traslato dell’avverbio in contesto librario, testimoniato per la
prima volta in questo passo, ritorna in Frontin. strat. III praef. si priores
libri … lectorem huc usque cum attentione perduxerunt (ma il periodo è
espunto da R.I. Ireland, Leipzig 1990, che giudica queste parole foedissime
interpolata) e in Ps. Apul. Ascl. 14 de his sit huc usque tractatus; è bene
attestato nel latino cristiano (vd. ThlL VI 3, 3072, 1 sgg.).
2. interiora: gli epigrammi da qui alla fine del libro; il comparativo pre-
suppone l’utilizzo, come supporto librario, del volumen, in cui gli ultimi
epigrammi si trovano nella parte più interna del rotolo, vicini all’umbilicus.
Per quest’uso cfr. Cic. ad Quint. fr. III 1, 18 quod interiore epistula
scribis; Frontin. strat. I 2, 6 (sc. litterarum) pars prior praecipiebat, ne
interiores … aperirentur; Aug. c. epist. fund. 10 nolo … in eius (sc.
epistulae) limine ulterius immorari, interiora videamus; vd. Birt 1907, p.
150, 1. Sull’aspetto materiale di questo libro cfr. anche 2, 7 sgg. cedro nunc
licet ambules perunctus (sc. libelle) / et frontis gemino decens honore /
pictis luxurieris umbilicis, / et te purpura delicata velet, / et cocco rubeat
superbus index. – mihi: sc. viro.
3. gymnasium, thermae, stadium: luoghi frequentati da uomini nudi (vd.
Busch 1999, p. 463 sgg.). – recede: per l’uso in un contesto analogo cfr.
VIII 1, 3 nuda recede Venus, non est tuus iste libellus; vd. anche I epist. 15
sg. cit. nella n. al v. 4.
4: il carattere marcatamente licenzioso della sezione è rappresentato me-
taforicamente come denudamento di uomini, che la matrona dovrebbe
evitare di guardare. Per un analogo uso di nudus in relazione alla poesia
licenziosa cfr. VIII 1, 3 nuda recede Venus; vd. anche V 2, 4 sales … nudi.
– videre: l’uso di videre sviluppa implicitamente un parallelo con il teatro,
cui Marziale avvicina spesso i propri epigrammi (vd. la n. intr. all’epigr. 86;
Canobbio 2001): cfr. I epist. 15 sg. non intret Cato theatrum meum, aut si
intraverit, spectet; vd. anche Priap. 8, 4 sg. cit. nella n. intr. – viros: la lezione
delle prime due famiglie, che realizza anche l’allitterazione, è giustamente
preferita dagli editori a mares di : mas evidenzia la componente biologica
ed è per lo più contrapposto a termini che designano il sesso femminile
438 M. Val. Martialis liber tertius

(come in gr. e ): vd. ThlL VIII 422, 44 sgg.; Ernout-


Meillet, p. 388; in Marziale cfr. I 90, 1; VI 2, 2; IX 7, 2; 36, 10; XI 22, 9.
Diversamente in matrona è presente una connotazione sociale che trova
in vir il suo naturale contraltare maschile (vd. al riguardo Treggiari 1991,
pp. 7; 35; come ricordato nella n. intr. Marziale ha come modello l’Ars di
Ovidio, dove mas presenta due sole occorrenze contro le 69 di vir). Lindsay
1903, p. 24 si mostrava tuttavia incerto tra le due varianti e J. Willis (Latin
Textual Criticism, Urbana-Chicago-London 1972, p. 106) ha sostenuto
la bontà di mares, che, a suo avviso, consentirebbe di spiegare meglio la
genesi dell’errore; che viros possa essere glossa di mares mi sembra però
tanto improbabile quanto l’inverso. Mares è comunque variante antica, se,
come probabile, la leggeva Lussorio, che riprende la clausola in AL 364,
6 R. (359, 6 SB) saepius exoptas nolle videre mares; cfr. anche AL 302, 14
R. (297, 14 SB).
5 sg.: la franchezza degli epigrammi che seguono è associata all’assenza
di freni inibitori (deposito … pudore) causata dal vino (saucia). – hinc iam:
l’espressione ha una duplice valenza: da un lato si riferisce al libro (per
l’uso cfr. XI 16, 1 qui gravis es nimium, potes hinc iam, lector, abire),
dall’altro alla sera quale momento del simposio e della recitazione di
epigrammi lascivi, per cui cfr. IV 8, 7 sgg. hora libellorum decima est,
Eupheme, meorum, / temperat ambrosias cum tua cura dapes / et bonus
aetherio laxatur nectare Caesar / ingentique tenet pocula parca manu;
X 20, 18 sgg. seras tutior ibis ad lucernas (sc. Thalia) / haec hora est tua,
cum furit Lyaeus, / cum regnat rosa, cum madent capilli; vd. anche II 1,
9 sg.; IV 82, 5 sg.; XI 17, 1. – deposito … pudore: per il legame tra assenza
di pudore e poesia licenziosa cfr. Priap. 29, 1 sgg. obscenis peream, Priape,
si non / uti me pudet improbisque verbis. / sed cum tu posito deus pudore
/ ostendas mihi coleos patentes, / cum cunno mihi mentula est vocanda.
– post vina rosasque: vino e rose simboleggiano il simposio, di cui sono
elementi comuni: cfr. Hor. carm. I 36, 14 sg.; II 3, 13 sg.; Prop. IV 6, 72
sg.; Mart. II 59, 3. Per l’espressione brachilogica post vina (‘dopo aver
bevuto vino’), che ricorre anche in III 91, 7, cfr. Hor. carm. I 18, 5 con
il commento di Nisbet-Hubbard1. Vina è tra i più comuni plurali poetici:
vd. Maas 1902, p. 521; Löfstedt, Syntactica, I, p. 48. – quid dicat nescit:
per dicere riferito a poesia vd. ThlL V 1, 977, 65 sgg.; cfr. Verg. ecl. 6, 5
deductum dicere carmen; 9, 35 sg. nam neque adhuc Vario videor nec
dicere Cinna / digna; Hor. carm. I 32, 3 sg. age dic Latinum, / barbite,
Epigramma 68 439

carmen; III 4, 1 sg. dic age tibia, / regina, longum, Calliope, melos. Qui
però l’espressione sottolinea il carattere leggero degli epigrammi, descritti
come parole pronunciate in libertà dalla Musa ebbra. – saucia: saucius
definisce un’alterazione inferiore all’ebrietas (OLD, s.v. nr. 4): cfr. Sen. dial.
IV 9, 15 pro cuiusque natura quidam ebrii effervescunt, quidam sauci; vd.
anche Petron. 67, 11; Apul. met. IX 5; Tert. ieiun. 9 p. 285, 30; in Marziale
l’aggettivo ricorre in questa accezione anche in IV 66, 12 incaluit quotiens
saucia vena mero (traslato). La Musa epigrammatica è rappresentata come
ebbra anche in X 20 (19), 12 sg. sed ne tempore non tuo disertam / pulses
ebria ianuam videto (sc. Thalia). – Terpsichore: Tersicore è la Musa della
danza (cfr. Plato Phaedr. 259c; Claud. 9 praef. 9 sg.); nominata per la prima
volta da Hes. Theog. 78, presenta scarse attestazioni nel mondo latino: cfr.
Iuv. 7, 35, dove rappresenta genericamente l’ispirazione poetica; Ps. Cato
Mus. 5 (Auson. 367, 5 p. 412 P.); Auson. 403, 28 p. 236 P. (epist. 8, 28 G.);
in generale vd. Roscher V 388, 68-390, 57. In questo passo è la Musa della
poesia giocosa (cfr. Fest. p. 363 M. Terpsicore nomen Musae, quae deos
hominesque delectat), ruolo abitualmente riservato da Marziale a Talia
(IV 8, 12; 23, 4; VII 17, 4; 46, 4; VIII 73, 3; IX 26, 8; 73, 9; X 20, 3; XII
94, 3). Nella poesia latina il legame delle singole Muse con determinate
categorie non è rigidamente fissato: vd. al riguardo F.A. Todd, De Musis
in carminibus poetarum Romanorum commemoratis, Jena 1903; W.
Suerbaum, s.v. Muse, EV III, p. 634.
7 sgg.: il carattere licenzioso della sezione viene definito dall’uso di
un linguaggio esplicito, rappresentato dal termine osceno per eccellenza
(mentula: vd. Adams, LSV, p. 9 sgg.), cui però Marziale si riferisce in
questi versi solo attraverso perifrasi, come forma di riguardo nei confronti
delle matrone che ancora stanno leggendo il libro (nel resto della sezione
il termine compare sette volte). Un riferimento analogo al linguaggio
franco dell’epigramma attraverso una perifrasi ellittica si trova in XI 15,
8 sgg. nec per circuitus loquatur illam, / ex qua nascimur, omnium
parentem, / quam sanctus Numa mentulam vocabat; vd. anche IX 40,
4 sg. illam lingeret ut puella simplex / quam castae quoque diligunt
Sabinae. Interamente giocato sull’uso di perifrasi eufemistiche per termini
osceni è Priap. 3 obscure poteram tibi dicere: ‘da mihi quod tu / des licet
assidue, nil tamen inde perit. / da mihi, quod cupies frustra dare forsitan
olim, / cum tenet obsessas invida barba genas / quodque Iovi dederat
qui raptus ab alite sacra / miscet amatori pocula grata suo / quod virgo
440 M. Val. Martialis liber tertius

prima cupido dat nocte marito, / dum timet alterius volnus inepta loci.’
/ simplicius multo est ‘da pedicare’ Latine / dicere. quid faciam? crassa
Minerva mea est (su questo tratto idiomatico vd. Hey, Euphemismus, p. 528
sg.; Adams 1981, p. 124). Mentula designa l’elemento lascivo della poesia
in I 35, 3-5 hi libelli, / tamquam coniugibus suis mariti, / non possunt
sine mentula placere; III 69, 1 sg. omnia quod scribis castis epigrammata
verbis / inque tuis nulla est mentula carminibus; cfr. anche XI 90, 8,
in cui Salanitro 1991, p. 18 sgg. ravvisa un uso metaforico del termine.
Sull’argomento vd. J.P. Hallett, Nec castrare velis meos libellos. Sexual and
poetic lusus in Catullus, Martial and the Carmina Priapea, in Satura
Lanx. Festschrift für Werner A. Krenkel zum 70. Geburtstag, hrsgg. von
C. Klodt, Hildesheim-Zürich-New York 1996, pp. 321-344 (spec. pp. 321-
327); C.A. Williams, Sit nequior omnibus libellis. Text, Poet, and Reader
in the Epigrams of Martial, «Philologus» 146, 2002, pp. 150-171.
7. schemate nec dubio: schema appartiene al lessico della retorica ed è
generalmente sinonimo di figura; per l’accezione di ‘giro di parole’, ‘pe-
rifrasi’ vd. OLD, s.v., nr. 4 b; cfr. Sen. contr. II 4, 10 obiecit pater quod
fratrem abdicasset, non schemate sed derecto. Per la posposizione della
particella vd. la n. a 19, 5.
8: Marziale allude qui ad un rito falloforico che si svolgeva nel mese di
giugno (sexto … mense). Incerta è tuttavia l’identificazione del rito e ha
goduto di un certo credito (Ker; Izaac; Norcio) l’ipotesi che si tratterebbe
della processione falloforica delle matrone romane adepte di Iside verso
il tempio di Venere Ericina presso la Porta Collina, che aveva luogo in
agosto. Tale ipotesi è però completamente destituita di fondamento: il 19
agosto era l’anniversario della fondazione di un tempio dedicato a Venus
Obsequens presso il Circo Massimo nel 295 a.C., mentre del tempio di
Venere Ericina presso la Porta Collina si celebrava il 23 aprile la ricorrenza
della dedica, giorno dei Vinalia, noto anche come dies meretricum: vd.
Schilling 1949, p. 947 = 1979, p. 150; Id., La religion romaine de Vénus
depuis les origines jusqu’au temps d’Auguste, Paris 1954, p. 254 sgg. (da qui
deriva la poco persuasiva ipotesi, avanzata da Gilbert nelle Notae criticae,
p. XVII, di leggere quarto in luogo di sexto). Con l’espressione sexto mense
Marziale designa senz’altro il mese di giugno: il calendario arcaico era già
caduto nell’oblio da tempo, come dimostrano i Fasti ovidiani; per l’uso di
Marziale cfr., ad es., VIII 8, 1 principium des, Iane, licet velocibus annis.
Secondo Schilling 1949, pp. 946-950 (= 1979, pp. 149-153) il verso farebbe
Epigramma 68 441

invece riferimento alla cerimonia ateniese delle Arreforie, che si svolgeva


in giugno, in cui dieci vergini recavano al santuario di Afrodite, sulla parte
settentrionale dell’Acropoli, oggetti segreti ( ), evidentemente
simboli fallici, propiziatori di fecondità (cfr. Paus. I 27, 3).
9: il verso presenta forti analogie con Priap. 24, 1 sg. hic me custodem
fecundi vilicus horti / mandati curam iussit habere loci; per la figura
di Priapo custode degli orti vd. Priap. 1, 5 ruber hortorum custos con il
commento di Goldberg.
10. opposita spectat … manu: opponere manum indica il gesto di mettere
le mani davanti agli occhi per non vedere: cfr. Ov. fast. IV 177 sgg. sive
quod Electra Troiae spectare ruinas / non tulit, ante oculos opposuitque
manum; il verbo spectat denuncia quindi il reale interesse celato dietro
un atto di falso pudore (cfr. Priap. 8, 4 sg. cit. nella n. intr.). L’ipocrisia
dell’atteggiamento nei confronti del sesso da parte delle novelle spose è
scherzosamente ipotizzata da Catull. 66, 15 sg. estne novis nuptis odio
Venus? / anne parentum frustrantur falsis gaudia lacrimulis, / ubertim
thalami quas intra limina fundunt?
11 sg.: il divieto di Marziale sortisce l’effetto contrario di attrarre la ma-
trona e spingerla a leggere il libro per intero. Marziale gioca ancora con il
presunto pudore delle matrone in XI 16, 9 sg. erubuit posuitque meum
Lucretia librum, / sed coram Bruto; Brute, recede: leget. – si bene te novi:
espressione di uso corrente: cfr. Cic. S. Rosc. 57; Att. IX 7b, 2; Phil. 13, 47;
Hor. sat. I 9, 22; epist. I 18, 1; in Marziale cfr. I 112, 2 nunc bene te novi;
115, 7 si novi bene te; VII 97, 1 nosti si bene. – lassa: è ben presente nei
primi libri di Marziale la preoccupazione che un libro intero di epigrammi
possa venire a noia (vd. Citroni 1988, p. 13 sgg.): cfr. II epist. 12 sgg.
debebunt tibi si qui in hunc librum inciderint quod ad primam paginam
non lassi pervenient; 1, 11 sg. esse tibi tanta cautus brevitate videris? / ei
mihi, quam multis sic quoque longus eris! (sc. liber); 6, 14 lassus tam cito
deficis viator (metafora per il lettore); vd. anche XIV 2; IV 89. – studiosa:
cfr. I 1, 4 lector studiose. – leges: il futuro di T è stato, a mio avviso a
ragione, preferito da Heraeus, Izaac, SB; il presente di da Gilbert (vd.
Id. 1883, p. 19), Friedlaender, Lindsay (nel testo; ma leges nei Corrigenda
et Addenda, dove è segnalato anche l’errore nell’apparato). Un elemento
significativo a favore di leges è costituito dalla struttura identica di I 115, 6
sg. iam suspendia saeva cogitabas. / si novi bene te, Procille, vives (dove la
tradizione presenta la stessa alternanza: vives T ; vivis EAX).
442 M. Val. Martialis liber tertius

69

Omnia quod scribis castis epigrammata verbis


inque tuis nulla est mentula carminibus,
admiror, laudo: nihil est te sanctius uno;
at mea luxuria pagina nulla vacat.
Haec igitur nequam iuvenes facilesque puellae, 5
haec senior, sed quem torquet amica, legat.
At tua, Cosconi, venerandaque sanctaque verba
a pueris debent virginibusque legi.

hab. T tit. ad cosconium T 1 quod : que T epigrammata : epigramata T 2


om. Q¹, suppl. Q² in mg. mentula : ventula T 3 te : et T sanctius TLPQf² :
sanctium f¹ 4 at T XV: ad EA vacat T² : vacet T¹ 5 nequam T² : netiuam T¹
facilesque : facillesque T 6 sed T²s.l. : om. T¹ 7 at T AXV: ad E venerandaque
T EXV: veneranda quae A

Il fatto che tu scriva tutti epigrammi con caste parole


e che nelle tue poesie non compaia affatto il cazzo,
lo ammiro, lo lodo: non c’è nulla di più santo di te;
nessuna mia pagina invece è priva di lussuria.
Questi versi dunque leggano giovani dissoluti e ragazze facili, 5
li legga un vecchio, ma che l’amica tormenta ancora.
Invece le tue sante e venerande parole, Cosconio,
devono esser lette da fanciulli e vergini.

Marziale si rivolge a Cosconio, autore di casti epigrammi, contrapponendo


ai suoi carmi i propri, pieni di elementi lascivi e piccanti. Egli individua il
pubblico per questo genere di epigramma in ragazzi e ragazze, ma anche
vecchi ancora sensibili al fascino femminile; gli epigrammi di Cosconio, così
castigati, devono essere letti da un pubblico di ‘minori’, sostanzialmente
scolastico. L’epigramma costituisce una coppia proemiale con il precedente:
Marziale rivendica qui la licenziosità come elemento caratteristico del genere
epigrammatico (cfr. I epist. 9 sgg.; 35, 3 sgg; vd. anche VII 25). Cosconio è
il poetastro di II 77.
Epigramma 69 443

1 sg.: la contrapposizione tra castità e licenziosità è espressa negli stessi


termini in Priap. 2, 6 sgg. nam sensus mihi corque defuisset, / castas,
Pierium chorum, sorores / auso ducere mentulam ad Priapi.
1. castis … verbis: l’attributo è contrapposto alla licenziosità anche in
Catull. 16, 4 sg. castum esse decet pium poetam / ipsum, versiculos nihil
necesse est. – epigrammata: proprio a partire da Marziale epigramma di-
viene il termine tecnico distintivo della poesia leggera: vd. al riguardo
Citroni, p. 9; M. Puelma, Epigramma: osservazioni sulla storia di un
termine greco-latino, «Maia» 49, 1997, pp. 189-213, spec. 203 sgg. (versione
ampliata di Id., -epigramma: Aspekte einer Wortgeschichte,
«MH» 53, 1996, pp. 123-139).
2. nulla est mentula: mentula designa qui metaforicamente l’elemento
piccante e lascivo degli epigrammi: cfr. I 35, 3 sgg. hi libelli, / tamquam
coniugibus suis mariti, / non possunt sine mentula placere; XI 90, 8
dispeream ni scis mentula quid sapiat, nell’interpretazione di Salanitro
1991, p. 18 sgg.
3. admiror, laudo …: analogo tono, fortemente ironico, in V 63, 3
admiror, stupeo: nihil est perfectius illis (sc. libellis). Un’ammirazione e una
lode soltanto esteriori sono quelle che, secondo Marziale, sono tributate
all’epica: cfr. IV 49, 9 sg. ‘illa tamen laudant omnes, mirantur, adorant.’
/ confiteor: laudant illa, sed ista legunt; vd. anche X 21, 5 sg. – nihil
est te sanctius uno: nihil est con il comparativo è espressione di natura
colloquiale, in cui si evidenzia la tendenza della lingua d’uso alle espressioni
estreme, sia in positivo che in negativo (vd. Hofmann, LU, p. 221 sg.): cfr.,
ad es., Plaut. Poen. 504 tardo amico nihil est quicquam inaequius; Cic.
Att. II 8, 1 nihil me est inertius; V 21, 12 nihil impudentius Scaptio;
qui naturalmente l’esagerazione della lode genera l’ironia; in Marziale
l’espressione ricorre pressoché identica in IV 56, 3 sordidius nihil est,
nihil est te spurcius uno; cfr. anche III 87, 1 sg. narrat te rumor, Chione,
numquam esse fututam / atque nihil cunno purius esse tuo; VII 20, 1
nihil est miserius neque gulosius Santra; VIII 6, 1 archetypis vetuli nihil
est odiosius Eucti; 59, 3 nihil est furacius illo. Sanctus rimanda alla sfera
religiosa (cfr. v. 7 venerandaque sanctaque verba): cfr. Cic. Arch. 8, 18 qua
re suo iure noster ille Ennius sanctos appellat poetas, quod quasi deorum
aliquo dono atque munere commendati nobis esse videantur; Hor. epist.
II 1, 54 adeo sanctum est vetus omne poema; qui anche nell’accezione di
444 M. Val. Martialis liber tertius

‘puro’, contrapposto alla lascivia epigrammatica: cfr. VII 17, 3 sg. inter
carmina sanctiora si quis / lascivae fuerit locus Thaliae; VIII 1, 1 sg.
laurigeros domini, liber, intrature penates / disce verecundo sanctius ore
loqui; vd. anche Quint. inst. X 1, 115 sancta et gravis oratio et castigata.
4: cfr. I 4, 8 lasciva est nobis pagina, vita proba; XI 16, 3 iam mea
Lampsacio lascivit pagina versu; Ov. trist. V 1, 43 sg. nec tamen ut lusit
rursus mea littera ludet: / sit semel illa malo luxuriata meo.
5 sg.: i versi individuano il pubblico degli epigrammi in giovani dissoluti
(nequam iuvenes), ragazze facili (faciles … puellae), ma anche anziani
ancora tormentati da Eros (senior … quem torquet amica); Marziale si
vanta anche altrove di avere un pubblico ampio e vario: cfr. VII 88, 3 sg. me
legit omnis ibi senior iuvenisque puerque / et coram tetrico casta puella
viro. – nequam iuvenes: nequitia è termine centrale nel lessico elegiaco (vd.
Pichon, p. 212); nequam ricorre quasi soltanto nei generi poetici ‘pedestri’:
in Lucilio (5 volte); Orazio (3 volte nelle Satire, 1 nelle Odi); Fedro e
Giovenale (1 volta); in Marziale ricorre 4 volte il comparativo: cfr. I 109,
4; II 41, 16; X 35, 11; XI 15, 3-4. – facilesque puellae: ‘facili a concedersi’;
l’accezione è comune nella poesia erotica (vd. Pichon, p. 141); in Marziale
cfr. I 57, 2 nolo nimis facilem difficilemque nimis (sc. puellam); IX 32, 1
hanc (sc. puellam) volo quae facilis, quae palliolata vagatur. – senior: in
poesia è spesso privo del valore comparativo ed equivalente a senex (vd. il
commento di Bömer2 a Ov. met. XI 157; Hofmann-Szantyr, p. 168 sg.); in
Marziale anche in VII 74, 5; 88, 3; IX 93, 2; XI 32, 3; XII 68, 4. – sed quem
torquet amica: per l’accezione erotica di torqueo vd. Pichon, p. 281; OLD,
s.v. nr. 5; in Marziale cfr. IV 38,1 satiatur amor nisi gaudia torquent; XI
43, 7 torquebat Phoebum Daphne fugitiva; vd. anche VII 26, 1 Thestyle,
Victoris tormentum dulce Voconi.
7 sg.: i castigati carmi di Cosconio possono andar bene soltanto per un
pubblico scolastico (pueris virginibusque); il nesso pueri virginesque fa
riferimento alla scuola anche in IX 68, 1 sg. quid tibi nobiscum est, ludi
scelerate magister, / invisum pueris virginibusque caput?; vd. anche Hor.
III 1, 2-4 carmina non prius / audita Musarum sacerdos / virginibus
puerisque canto. Marziale mostra anche altrove di non auspicare un uso
scolastico dei propri epigrammi: cfr. I 35, 1-5 versus scribere me parum
severos / nec quos praelegat in schola magister, / Corneli, quereris: sed hi
libelli, / tamquam coniugibus suis mariti, / non possunt sine mentula
placere; VIII 3, 13 sgg. an iuvat ad tragicos soccum transferre cothurnos
Epigramma 69 445

/ aspera vel paribus bella tonare modis, / praelegat ut tumidus rauca te


voce magister / oderit et grandis virgo bonusque puer? Pueri e virgines
(insieme alle matronae) sono dedicatari del libro quinto di Marziale,
completamente depurato dall’oscenità: cfr. V 2, 1 sg. matronae puerique
virginesque, / vobis pagina nostra dedicatur.
8: il verso allude alla celebre autodifesa ovidiana che costituisce il secondo
libro dei Tristia: v. 369 sg. fabula iucundi nulla est sine amore Menandri,
/ et solet hic pueris virginibusque legi. Mentre Ovidio individuava nella
lettura generalizzata di Menandro un elemento difensivo della propria
poesia amorosa, Marziale rinuncia esplicitamente ad un pubblico di minori,
auspicando dunque per la sua poesia lasciva lettori adulti.
446 M. Val. Martialis liber tertius

70

Moechus es Aufidiae, qui vir, Scaevine, fuisti;


rivalis fuerat qui tuus, ille vir est.
Cur aliena placet tibi, quae tua non placet, uxor?
Numquid securus non potes arrigere?

hab. R tit. ad sc(a)evinum LPfAV: ad schevinum EX ad sevinum Q ad caevinum R 1


sc(a)evine RPfEAV: schevine X scenine L sevine Q 2 ille vir R AXV: vir ille E 3 tua
non RLP²Qf : non tua P¹ 4 arrigere R¹ut vid. : eras. R²

Sei amante di Aufidia, Scevino, tu che ne eri il marito;


colui che era tuo rivale, è il marito.
Perché ti piace come moglie d’un altro, quella che non ti piace come tua?
Forse se stai tranquillo non ti si rizza?

Scevino, ex marito di Aufidia, ne è ora l’amante. Colui che ne era amante,


è divenuto il marito. Lo scambio di ruoli amorosi presentato nei primi due
versi incuriosisce il poeta che se ne domanda la causa (v. 3) proponendo
una personale spiegazione, in tono con il carattere piccante della sezione
(arrigere chiude significativamente il componimento): è forse l’incertezza
a rendere più eccitante un rapporto?
La trama dell’epigramma rappresenta la messa in scena in forma satirica
di due affini topoi erotici: il primo è che in amore si fugge da ciò che è
facilmente disponibile e si cerca ciò che è difficile ottenere: cfr., ad es., AP
XII 173, 5 sg. (Filodemo); 102 (Callimaco); 203 (Stratone); Lucr. III 957; Ov.
am. II 9, 9 sg.; 19, 36; III 4, 25; Petron. 15, 9 (l’ideale opposto è espresso
da Orazio, per il quale si devono rifuggire le relazioni con donne sposate,
che possono recare più affanni che piaceri: cfr. sat. I 2, 77 sgg.; 119 sgg.; vd.
anche Prop. II 23); il secondo, caro ad Ovidio, è che il proibito accresce il
desiderio e che il timore di essere scoperti costituisce un elemento di stimolo
della passione: cfr. am. II 19, 3 quod licet, ingratum est; quod non licet,
acrius urit; III 4, 17 nitimur in vetitum semper, cupimusque negata; 29 sgg.
(spec. 29 sg. non proba fit quam vir servat, sed adultera cara: / ipse timor
pretium corpore maius habet); ars 601 sgg. (spec. 603 sg. quae venit ex tuto,
minus est accepta voluptas; / ut sis liberior Thaide, finge metus); per le altre
Epigramma 70 447

attestazioni della massima vd. Otto, Sprichwörter, p. 193; Tosi 1994, nr. 894.
La conclusione di Marziale sfrutta il comune tema satirico dell’impotenza
maschile, ma sortisce anche un effetto dissacrante nei confronti della poesia
erotica, riducendo uno dei suoi temi ricorrenti a una questione meramente
fisica (non potes arrigere). La trasformazione di un personaggio da amante
a marito, considerata però da un diverso punto di vista, è alla base di I 74
moechus erat: poteras tamen hoc tu, Paula, negare. / ecce vir est: numquid,
Paula, negare potes? I nomi dei due protagonisti dell’epigramma (Scaevinus,
Aufidia), evidentemente fittizi, ricorrono soltanto qui in Marziale. Scaevinus
presenta scarse attestazioni (vd. Kajanto 1965, p. 243). Aufidius / Aufidia è
un antico gentilizio plebeo (vd. ThlL II 1338, 59 sgg.; RE II 2288, 34 sgg.).

1 sg.: il capovolgimento della situazione realizzato nei primi due versi


dell’epigramma trova riscontro nella struttura chiastica (presente-passato
/ passato-presente), che li rende speculari tra loro: moechus es … qui vir
… fuisti; / rivalis fuerat qui tuus … ille vir est; cfr. I 47, 1 sg. nuper
erat medicus, nunc est vispillo Diaulus: / quod vispillo facit, fecerat et
medicus; VIII 74, 1 sg. oplomachus nunc es, fueras ophtalmicus ante. /
fecisti medicus quod facis oplomachus; sulla frequenza negli epigrammi di
Marziali di tali contrapposizioni vd. Siedschlag 1977, p. 29.
1. Moechus: grecismo appartenente alla sfera colloquiale, presente in
commedia, satira e poesia non elevata (6 casi in Catullo), rarissimo nella
prosa classica. In Marziale vi sono ben 29 casi di moechus / a (uno di
moechari), contro solo quattro di adulter / era. – vir: per l’accezione di
‘marito’ vd. Pichon, p. 296 sg.
2. rivalis: il sostantivo appartiene al lessico erotico (vd. Pichon, p. 254);
cfr. Catull. 57, 9; Prop. I 8, 45; II 34, 18; III 8, 33; Ov. am. I 8, 95; 9, 18;
II 19, 60; III 11, 26; ars II 336; 539; 595; III 563; 593; rem. 677; 769; 791.
– fuerat: per l’uso in poesia del piuccheperfetto in luogo dell’imperfetto o
del perfetto (cfr. v. 1 fuisti), favorito anche da comodità metrica, vd. la n. a
4, 8 exierat.
3: ciò che è di altri si desidera maggiormente di ciò che è nostro; il verso
mostra analogie con la formulazione di un noto proverbio da parte di Publilio
Siro: A 28 aliena nobis, nostra plus aliis placent (per le varianti della sententia
vd. Otto, Sprichwörter, p. 13; Tosi 1994, nr. 1292). La punteggiatura del
verso si deve a Gilbert 1883, p. 7, che modifica lievemente il verso rispetto a
Schneidewin (cur aliena placet tibi, quae tua non placet uxor?).
448 M. Val. Martialis liber tertius

4. numquid: per l’uso della particella interrogativa vd. la n. a 51, 4. – non


potes: denuncia un’incapacità fisica: cfr. IV 5, 6 nec potes algentes arrigere
ad vetulas; VI 26, 3 arrigere desit posse Sotades; IX 66, 4 si potes arrigere;
XI 61, 10 cit. infra. – arrigere: sc. penem; Marziale utilizza il verbo quasi
sempre assolutamente: cfr. III 75, 2; 76, 1; IV 5, 6; VI 26, 3; 36, 2; X 91,
1; XI 46, 1; IX 66, 4; vd. anche Suet. Aug. 69, 2 an refert, ubi et in qua
arrigas? (epistola di M. Antonio); sull’ellissi di termini della sfera sessuale
vd. Adams 1981, in part. p. 124 per l’uso di arrigere. Per l’uso transitivo
cfr. X 55, 1 arrectum … penem; XI 61, 10 arrigere linguam non potest
fututricem. L’effetto scommatico del termine che chiude l’epigramma
è evidenziato dalla non comune clausola quadrisillabica di pentametro;
cfr. anche 77, 10 ; 79, 2 perficere; 85, 4 Deiphobi. Il verbo
non ha subito la censura operata su alcuni termini osceni nella prima
famiglia: infatti arrigere, probabile lezione originaria di R, è stato eraso
successivamente dalla membrana, come accaduto in R, per quanto riguarda
questo libro, anche in 76, 1 arrigis (vd. al riguardo Mastandrea 1996, pp.
108; 111 n. 26). Anche in T arrigere compare in 76, 1. Per la chiusa del
pentametro con una sillaba breve, per lo più evitata nella poesia augustea,
vd. la n. a 19, 6 fera. Arrigere in fine di pentametro ricorre in Marziale
anche in 75, 2; IX 66, 4.
Epigramma 71 449

71

Mentula cum doleat puero, tibi, Naevole, culus,


non sum divinus, sed scio quid facias.

hab. T tit. ad nevolum T : ad nevulum 1 naevole Fl: nevole T nevule 2 sum :


solum T sed T : si facias : facitis T

Se al tuo schiavetto fa male il cazzo, a te, Nevolo, il culo,


non sono un indovino, ma so quel che fai.

Epigramma scommatico contro un pathicus. Marziale gli mostra che per


capire quali sono le sue abitudini sessuali non servono capacità di veggente.
L’omosessualità passiva maschile, considerata nel mondo romano tra le
macchie più gravi (cfr., ad es., Catull. 112), è presa di mira in numerosi
epigrammi di Marziale: cfr. II 51; 62; IV 48; IX 57; XII 35. Ricorrente è il
tipo che nasconde la propria omosessualità dietro un’apparenza di rigore
morale: cfr. I 24; V 41; VII 58, 7-10; IX 47. In generale vd. Obermayer
1998, p. 232 sgg. Nevolo è un pathicus anche in III 95 (cfr. v. 13 sed
pedicaris, sed pulchre, Naevole, ceves).

1. Mentula … puero, tibi … culus: la struttura chiastica del verso pone


in risalto i due termini osceni, collocati agli estremi del verso. Puer indica
il giovane schiavo (vd. OLD, s.v. nr. 5); in Marziale il termine ricorre
spesso in contesti erotici, nel senso di delicatus puer: cfr, in questo libro,
39, 1; 62, 1; 65, 9; 73, 1; 82, 12; sull’argomento M. Garrido-Hory, Puer et
minister chez Martial et Juvénal, in M. Moggi-G. Cordiano (edd.), Schiavi
e dipendenti nell’ambito dell’ e della familia, Pisa 1997, pp. 307-
327. Sui possibili significati del sostantivo nella lingua latina vd. E. Eyben,
Die Einteilung des menschlichen Lebens im römischen Altertum, «RhM»
116, 1973, p. 184; J. Maurin, Remarques sur la notion de puer à l’époque
classique, Paris 1975.
2. divinus: sostantivato (‘i.q. vates, hariolus, vir providens’: vd. ThlL V
1, 1625, 8 sgg.). - sed scio: il testo di T va senz’altro accolto, rispetto a si
scio ( ), che introduce una sfumatura ipotetica, meno adatta al tono sicuro
dell’invettiva. – facias: la lezione di è senz’altro preferibile a facitis (T),
450 M. Val. Martialis liber tertius

che può anche essere un errore meccanico: il congiuntivo è richiesto dalla


subordinata (cfr. II 73, 1 quid faciat vult scire Lyris) e la seconda persona
singolare individua il reale bersaglio dell’epigramma.
Epigramma 72 451

72

Vis futui nec vis mecum, Saufeia, lavari.


Nescio quod magnum suspicor esse nefas:
aut tibi pannosae dependent pectore mammae
aut sulcos uteri prodere nuda times
aut infinito lacerum patet inguen hiatu 5
aut aliquid cunni prominet ore tui.
Sed nihil est horum, credo, pulcherrima nuda es.
Si verum est, vitium peius habes: fatua es.

hab. T tit. ad saufeiam TLQ¹f¹EXV: saufelam PQ²f²A 1 futui : subigi T saufeia


TLQ¹f¹ : saufela PQ²f² 2 quod : quid T magnum T : maius nefas T AXV:
nafas E 3 pannosae T² : pannorsae T¹ dependent pectore T² : dependet pectore T¹
pendent a pectore 4 sulcos TPQf : sculcos L prodere TLPf : pandere Q nuda
TLP²Qf : nudas P¹ 5 lacerum TQ²f²s.l. : laterum LPQ¹f¹ inguen PQf : ingen L
ungue T 6 cunni f²s.l.V²in mg.CFcklvv1v2: cynici aut cinici LPQf¹EAXV¹ cinui Q¹ut
vid. monstri T 7 nihil T AV: nil EX 8 est TLPQ²f : et Q¹ vitium peius habes
TLQ²f : peius habes vitium P vitium peitis Q¹ut vid.

Vuoi che io ti fotta, ma non vuoi, Saufeia, fare il bagno con me.
Sospetto che tu abbia non so quale grande difetto:
o ti pendono dal petto delle flosce mammelle
o hai paura di rivelare nuda i solchi del ventre
o la tua vagina lacera sta spalancata con un’enorme apertura 5
o sporge qualcosa dalla tua fica.
Ma non è nulla di tutto questo, sono certo, sei bellissima nuda.
Se è vero, hai un difetto peggiore: sei una sciocca.

Saufeia vuole avere rapporti sessuali con il poeta, ma si rifiuta di frequentare


con lui i bagni comuni. Marziale sospetta che abbia qualche difetto fisico
da nascondere e nella parte centrale dell’epigramma (3-6) prospetta con
crudo realismo diverse possibilità, mettendo in mostra un repertorio da
poesia giambica; ma non si tratta di questo (7). Allora il difetto di Saufeia
è ancora peggiore: è una sciocca perché la sua ritrosia deriva da un falso
pudore. Il rifiuto da parte di Galla di frequentare i communia balnea con
il poeta è alla base anche dell’epigr. 51 di questo libro. Il nome Saufeia
452 M. Val. Martialis liber tertius

ricorre qui soltanto negli epigrammi di Marziale (Saufeius in II 74, 1). Sulla
sua diffusione in Italia RE II A, 256, 7-257, 63.

1: i Romani erano soliti consumare al buio i loro rapporti sessuali (cfr.,


ad es., Ov. ars II 619 sg.; III 807 sg.); i bagni comuni erano pertanto un
luogo privilegiato per vedere nude persone dell’altro sesso (vd. al riguardo
la n. intr. all’epigr. 51). Marziale manifesta gusti opposti in XI 104, 5 sg. tu
tenebris gaudes: me ludere teste lucerna / et iuvat admissa rumpere voce
latus. La situazione presentata nel verso costituisce pertanto una sorta di
paradosso (vis … nec vis). Sui bagni frequentati da entrambi i sessi, di cui
Marziale offre numerose testimonianze, vd. Busch 1999, p. 487 sgg.; in
questo libro si vedano gli epigr. [3]; 51; 87. – futui: futuere è il principale
verbo osceno per indicare il ruolo maschile nel rapporto sessuale (vd.
Adams, LSV, pp. 118-122; Citroni, p. 114 sg.); in questa sezione del libro
ricorre 4 volte (79, 2; 87, 1; 96, 1); cfr. anche 96, 2 fututor.
2. nescio quod …: per l’espressione cfr. Ter. Hec. 319 sg. nescio quod
magnum malum / profecto, Parmeno, me celant; Phorm. 193 nescio quod
magnum hoc nuntio expecto malum; in Marziale struttura analoga in III
77, 9 sg. nescio quod stomachi vitium secretius esse / suspicor. – magnum:
Housman 1925, p. 200 (= Class. Pap., p. 1099 sg.) ha giustamente messo
in relazione questo verso con III 42, 4 quod tegitur maius creditur esse
malum, dove singole famiglie riportano le varianti magnum (T) e nefas
( ). Per lo studioso inglese le lectiones singulares sono reciprocamente
interpolate e vanno pertanto scartate (per 42, 4 vd. la n. ad loc.). Qui
maius di è senz’altro inaccettabile. – nefas: ricorre in Marziale 14 volte,
soltanto qui nell’accezione di ‘grave difetto fisico’ (cfr. v. 8 vitium peius)
3: i seni cadenti sono un tratto abituale nella descrizione di bruttezze
fisiche, specialmente nell’invettiva contro le vetulae: cfr. Lucil. 541 uterum
atque etiam inguina tangere mammis; Laber. mim. 20 mirabar, quo
modo mammae mihi descendiderant; Hor. epod. 8, 7 mammae putres
equina quales ubera; Moret. 34 iacens mammis; in Marziale cfr. III 93,
5 araneorum cassibus pares mammas. Il verso presenta analogie foniche
e strutturali con Prop. II 15, 21 necdum inclinatae prohibent te ludere
mammae: a pannosae corrisponde inclinatae in cesura pentemimere; i
verbi sono collocati nella stessa posizione del verso dopo la cesura; la
clausola presenta notevoli affinità (pectore mammae ~ ludere mammae).
Entrambi i versi presentano una descrizione di un dettaglio fisico estraneo
Epigramma 72 453

alla protagonista. Anche il contesto dell’elegia properziana, che tesse


l’elogio dei rapporti amorosi che si svolgono alla luce (cfr. 11 sg. non iuvat
in caeco Venerem corrumpere motu: / si nescis oculi sunt in amore duces;
22 sg. viderit haec, si quam iam peperisse pudet. / dum nos fata sinunt,
oculos satiemus amore), induce a ritenere più che probabile un’allusione da
parte di Marziale. – pannosae: in questa accezione traslata l’attributo ricorre
nel latino classico, oltre che in Marziale, soltanto in Sen. clem. II 6, 3 ob
crus alicuius aridum aut pannosam maciem (introdotto per congettura da
Bentley: vd. ThlL X 1, 231, 31 sgg.). In Marziale si veda anche l’equivalente
pannuceus in XI 46, 3 truditur et digitis pannucea mentula lassis (vd.
ThlL X 1, 231, 61 sgg.). – dependent pectore: per dependeo assoluto riferito
ai seni cfr. Physiogn. 61 quibus mamillae dependent. In Marziale il verbo
ricorre ancora in VII 95, 10 sg.cuius livida naribus caninis / dependet
glacies. La lezione di (pendent a pectore), che pure non è estranea all’uso
marzialiano (cfr. VII 37, 5 turpis ab inviso pendebat stiria naso) e realizza
una più marcata allitterazione (pannosae pendent a pectore), si può
spiegare con la caduta del preverbio de- e il conseguente intervento per
sanare il verso (Lindsay 1903, p. 15). Per Heraeus (p. XXXII) il testo di è
da ritenersi interpolato. Le due varianti sono effettivamente equivalenti
rispetto all’uso linguistico di Marziale, come sottolineato da Di Giovine
2002, p. 125. – mammae: il termine è quasi estraneo al lessico erotico, che
preferisce papillae (vd. Pichon, p. 225): nell’elegia solo in Prop. II 15, 21
cit. supra; III 14, 13; è invece ricorrente nella descrizione di seni cadenti
(cfr. i passi citati supra; vd. ThlL VIII 247, 25 sgg.).
4. sulcos uteri: sui solchi del ventre, dovuti all’età o a numerosi parti, vd.
la n. a 42, 1 rugas uteri.
5: il verso potrebbe imitare Lucr. V 375 sed patet immani et vasto re-
spectat hiatu (sc. ianua leti). Infinitus, hapax in Marziale, è termine tecnico
del lessico filosofico, frequente in Lucrezio, che equivale al gr.
(vd. ThlL VII 1, 1425, 35 sgg.). In tal caso Marziale si sarebbe divertito nel
realizzare un contrasto stridente tra l’immagine lucreziana e il crudo contesto
dell’epigramma. - infinito … hiatu: hiatus è usato per i genitali femminili
laxi anche in Priap. 12, 13 cit. infra (vd. Adams, LSV, p. 95 sg.); per l’uso
cfr. anche Claud. carm. min. 43, 7 nam spurcos avidae lambit meretricis
hiatus. Il dettaglio anatomico è un tratto comune delle invettive contro
donne: in Marziale cfr. XI 21, che sviluppa il motivo attraverso una lunga
serie di similitudini (vd. il commento di Kay, ad loc.). Il difetto è associato,
454 M. Val. Martialis liber tertius

come qui (v. 6), alla eccessiva grandezza della clitoride anche in Priap. 12, 13
sg. qui tanto patet indecens hiatu / barbato macer eminente naso (su cui vd.
il commento di Goldberg); CIL IV 10004 Eupla laxa landicosa. - inguen:
sostituto eufemistico di cunnus: cfr. Iuv. 9, 4; 10, 322; Auson. 127, 1 p. 344 P.
(epigr. 86, 1 G.); vd. Adams, LSV, p. 47 sgg. Come eufemismo per i genitali
maschili cfr. III 81, 5; VI 73, 6; VII 30, 5; Priap. 1, 6; 83, 43; Auson. 120, 3 p.
341 P. (epigr. 74, 3 G.). L’uso ricorre anche nella satira (Hor. sat. I 2, 26; 116;
Iuv, 1, 41) e in poesia elevata (Verg. georg. III 281; Ov. met. XIV 640).
6: l’eccessiva grandezza della clitoride è oggetto di aggressione scommatica:
vd. Adams, LSV, pp. 79; 97 sg.; in Marziale cfr. anche VII 67, 1 sgg. (con
il commento di Galán Vioque); 70, 1 sg. Per l’uso metaforico di os si può
confrontare quello correlato di labia (vd. Adams, LSV, p. 99 sg.; ThlL IX
1092, 7 sgg.). Secondo Adams, LSV, p. 98, in I 90, 8 mentiturque virum
prodigiosa Venus Marziale alluderebbe ad una clitoride di straordinarie
dimensioni; per Citroni e Howell1 è invece più probabile un riferimento
all’ . Cunnus è il termine osceno più comune per i genitali femminili
(vd. Adams, LSV, p. 80 sg.). Di uso frequente nelle iscrizioni pompeiane ed
ercolanesi, ricorre in poesia tre volte nel primo libro delle Satire di Orazio,
una in Catullo, sei nei Priapea, ventisette in Marziale (quattro cunnilingus).
7 sg.: Saufeia non ha difetti fisici e perciò la sua ritrosia è dovuta ad un
falso pudore che Marziale critica. – credo: inciso di natura colloquiale che
esprime una presa di posizione soggettiva del parlante (vd. Hofmann, LU,
p. 249 sg.); Marziale utilizza soprattutto puto (vd. la n. a 55, 4; Citroni, p.
34 sg.). – fatua es: letteralmente ‘sciocca’; qui indica probabilmente un
atteggiamento ritroso determinato da pruderie. Schneider 2000, p. 350 ha
individuato nella conclusione fatua es un voluto anagramma del nome Saufeia
(con l’eccezione di una lettera) e ha trovato una conferma della volontà di
Marziale di realizzare tale effetto nel fatto che il nome non appartiene alla
diffusa categoria dei nomi parlanti. Non si può escludere un gioco fonico
con futui del v. 1 che legherebbe principio e fine di epigramma.
Epigramma 73 455

73

Dormis cum pueris mutuniatis,


et non stat tibi, Phoebe, quod stat illis.
Quid vis me, rogo, Phoebe, suspicari?
Mollem credere te virum volebam,
sed rumor negat esse te cinaedum. 5

tit. ad phoebum LP²QfEXV: ad foesum A ad saufeliam P¹ (ad 72 pertinens) 1 mutuniatis


LPf : mutoniatis Q²in mg. mutrinianis Q¹ 2 stat (pr.) EA²XV: stabat A¹ phoebe :
galle 4 credere te Lf : te credere PQ

Dormi insieme a ragazzi ben dotati,


e non ti sta dritto, Febo, ciò che sta dritto a loro.
Cosa vuoi, mi chiedo, Febo, che io sospetti?
Volevo crederti un uomo effeminato,
ma le voci dicono che non sei un sodomita. 5

Febo dorme con ragazzi ben ‘dotati’ e non riesce ad avere un’erezione. Per
Marziale deve trattarsi di un pathicus, ma alcune voci insinuano il sospetto
che egli possa essere altro (un fellator).
Nella morale sessuale romana, rispecchiata in questo epigramma, la fellatio
era considerata la perversione peggiore per un uomo (vd. Obermayer 1998,
p. 241 sgg.): cfr. specialmente II 28; VI 56; i fellatores sono bersaglio di
numerosi epigrammi di Marziale: cfr. I 96; III 77; 80; 82; 84; 87; 88; VI
66; IX 27. L’epigramma presenta un linguaggio allusivo, che non indulge
a volgarismi: Marziale ricorre alla perifrasi (non stat tibi quod stat illis)
e all’eufemismo (mollem … virum); anche la conclusione, in forma
di insinuazione attribuita alle voci (rumor), presenta la perversione del
protagonista per antitesi, lasciando la deduzione al lettore (negat esse te
cinaedum). Il tono del componimento può forse dipendere dalla volontà
del poeta di variare rispetto al crudo realismo dell’epigr. precedente. Febo,
nome fittizio frequente in Marziale (in questo libro cfr. anche 89, 2), è un
personaggio dalla bassa moralità anche in I 58; IX 63.

1. mutuniatis: mutuniatus (‘i.q. magno membro virili instructus’ ThlL


456 M. Val. Martialis liber tertius

VIII 1731, 11 sg.) deriva da mutunium (‘i.q. membrum virile’ ThlL VIII
1731, 22); cfr. anche mutto, -onis (‘i.q. membrum virile’ ThlL VIII 1730, 8
sgg.); vd. Ernout-Meillet, s.v. muto, p. 426. L’aggettivo ricorre anche in XI
63, 2 sg. quare mihi tam mutuniati / sint leves pueri subinde quaeris e in
Priap. 52, 9 sg. salax asellus / et nil deterius mutuniatus (dove è congettura
di Buecheler, universalmente accolta, per i tràditi mutiniatus; minuciatus vel
minutiatus; metulatus). Mutto ricorre soltanto nei satirici (Lucilio, Orazio),
che evitano invece mentula; è pertanto probabile che il termine e i suoi derivati
fossero percepiti come meno volgari (vd. Adams, LSV, p. 62 sg.). Si veda anche
l’equivalente mentulatus, che ricorre in Priap. 36, 11 deus Priapo mentulatior
non est. Mutunus Tutunus (o Mutinus Tutinus o Mutinus Titinus), arcaica
divinità fallica, fu gradualmente rimpiazzato a Roma da Priapo (cfr. Aug. civ.
IV 11 Mutunus vel Tutunus, qui est apud Graecos Priapus, che, attingendo
da Varrone, identifica le due divinità); vd. RE XVI, s.v. Mutunus Tutunus, 979
sgg.; XIX 1719, 36 sgg.; Roscher II 1, 204, 47 sgg.; Wissowa 1912, p. 243.
2. non stat tibi …: sc. mentula; stare per indicare l’erezione è frequente
in Marziale: cfr. II 45, 1; III 75, 1. 8 (cfr. la pointe dell’epigramma basata sul
doppio senso di stare); VI 23, 1; VII 58, 4; XI 25, 2; 27, 1; vd. anche VI 49, 2 sg.;
altrove in Priap. 73, 2; Apul. met. II 7; per l’equivalente uso in greco di
cfr. AP XII 232, 1. – Phoebe: Galle di , pur accolta da Lindsay, Duff, Ker,
Giarratano, Heraeus, ha tutta l’aria di una glossa: cfr. III 81, 1 quid cum femineo
tibi, Baetice Galle, barathro e la n. ad loc. Marziale riserva l’epiteto Gallus ad
evirati e non ad impotenti: cfr. I 35, 14 sg.; II 45, 2; III 24, 13; 81, 5; V 41, 3; VII
95, 15; XI 72, 2; 74, 2; XIII 63, 2. L’appellativo Galle sarebbe inoltre possibile
tutt’al più nel verso seguente, dopo la menzione del nome proprio.
3. rogo: su rogo, inciso colloquiale, vd. la n. a 44, 9.
4. mollem … virum: mollis vir equivale qui a pathicus; mollis ha spesso
una connotazione negativa, per lo più a sfondo sessuale: cfr. Catull. 25, 1 sgg.
cinaede Thalle, mollior cuniculi capillo / vel anseris medullula vel imula
oricilla / vel pene languido senis situque araneoso; Priap. 64, 1 quidam mollior
anseris medulla; vd. ThlL VIII 1379, 26-52; Marziale utilizza frequentemente
l’aggettivo in relazione all’omosessualità maschile passiva: cfr. I 96, 10; II 84,
1; V 41, 2; VII 58, 5; IX 25, 3; 59, 3; XII 75, 4; vd. al riguardo R.A. Pitcher,
The mollis vir in Martial, in K. Lee-Ch. Mackie-H. Tarrant (edd.), Multarum
artium scientia. A ‘chose’ for R. Godfrey Tanner. Contributes by his allies
upon rumours of his retirement, Auckland 1993, pp. 56-67; Merli 1996, pp.
217-219.
Epigramma 73 457

5. rumor: Febo è un fellator. Marziale allude soltanto al suo vizio,


limitandosi a riferire le voci (rumor). Per questo tipo di conclusione, basata
sull’insinuazione, cfr. II 28, 5 sg.; VI 56, 6. Marziale attribuisce spesso a
voci di popolo i suoi attacchi satirici, soprattutto quelli a sfondo sessuale,
cfr. III 80, 2 rumor ait linguae te tamen esse malae; 87, 1 narrat te rumor,
Chione, numquam esse fututam; IV 16, 1 sg. privignum non esse tuae, te,
Galle, novercae / rumor erat; vd. al riguardo M.A. Greenwood, Martial,
gossip and the language of rumour, in Grewing, Toto notus, pp. 278-
314, spec. p. 300; Greenwood 1998, pp. 241-246. Sull’orizzonte cittadino
della poesia diffamatoria vd. Fabbrini 2002. – cinaedum: qui corrisponde,
secondo un’equivalenza frequente, a pathicus: cfr. VI 37, 5 culum non
habet, est tamen cinaedus; Iuv. 2, 10 cum sis inter Socraticos notissima
fossa cinaedos; vd. ThlL III 1059, 43 sgg. Il sostantivo, come molti termini
latini relativi alla sfera dell’omosessualità, deriva dal greco ( ): vd.
in proposito Adams, LSV, pp. 123; 228; W. Kroll, s.v. kinaidos, RE XI
1, 459 sg. Il suo uso è limitato in poesia ai generi bassi (Plauto, Lucilio,
Catullo, Publilio, Virgilio catal., Fedro, Giovenale); Marziale vi ricorre con
particolare frequenza (22 casi).
458 M. Val. Martialis liber tertius

74

Psilothro faciem levas et dropace calvam.


Numquid tonsorem, Gargiliane, times?
Quid facient ungues? Nam certe non potes illos
resina Veneto nec resecare luto.
Desine, si pudor est, miseram traducere calvam: 5
hoc fieri cunno, Gargiliane, solet.

om. f¹, suppl. f² in mg. tit. ad gargilianum LPQf²EXV: ad gargillanum A 1 levas v1²s.l.,
Scriverius: lavas LPQf² v1¹ vv. 2 et 6 commut. LPQf² (rectum ordinem restituit f²p.c.)
3 facient ungues LP²Qf²: faciunt ungues P¹ facie tingues EA¹XV¹ faciem tinguis V²s.l. facie
tinguis A² nam certe LP²Q f² : certe nam P¹ 4 veneto LPQ²f² : vento Q¹ resecare
LQf² : reserare P 5 desine LPQf²EXV: disine A

Ti lisci il viso con lo psilotro e il cranio con il dropace.


Forse temi, Gargiliano, il barbiere?
Che faranno le unghie? Difatti non puoi certo
tagliarle con la resina, né con la creta veneta.
Smettila, se hai pudore, di mettere in mostra la misera pelata: 5
questo trattamento si fa di solito, o Gargiliano, alla fica.

Gargiliano si depila completamente il viso e il capo. Marziale lo schernisce


affermando che in tal modo si rende ridicolo e gli ricorda che un tale
trattamento si riserva al cunnus. La caratteristica più curiosa e risibile del
personaggio è la sua ricerca, attraverso l’uso di preparati depilatori, di un
capo completamente glabro: la testa calva fa parte infatti dei tratti repellenti
dell’età avanzata ed è spesso oggetto di satira: cfr. I 72, 8; II 33, 1; V 49;
VI 57; X 83; XII 7; 45; 89; Petron. 109, 9 sg.; Claud. 18, 113 sgg.; vd.
Hagenow 1972, p. 53 sg.; Bonvicini 1995, p. 114. La pointe conclusiva, che
paragona implicitamente la testa di Gargiliano ai genitali femminili, insinua
forse il sospetto che egli possa essere un fellator. Meno plausibile invece
l’ipotesi che la rasatura di Gargiliano sia finalizzata ad una prestazione di
sesso orale (vd., ad es., Collesso: «O Gargiliane, videris te componere ad
fellandum»; cunno sarebbe dativus commodi).
La depilazione maschile è un tratto di effeminatezza condannato dai
Epigramma 74 459

moralisti: cfr. Sen. nat. VII 31, 2 levitate et politura corporum muliebres
munditias antecessimus; in Marziale essa è spesso oggetto di aggressione
satirica: cfr. II 29, 6; 62; III 63, 6; V 61, 6; IX 27; X 65, 6 sgg.; vd. Hagenow
1972, pp. 48-59; Herter, Effeminatus, 633 sg. Il nome Gargiliano, senz’altro
fittizio, ricorre in III 30; IV 56; VII 65; VIII 13 per diversi tipi; per le sue
attestazioni epigrafiche vd. Kajanto 1965, p. 147.

1. Psilothro … dropace: entrambi preparati usati per la depilazione;


lo psilothrum (gr. ) era un impasto di colore verdastro, dal
forte odore (cfr. VI 93, 9 psilothro viret, sc. Thais, che lo usa per coprire
il proprio cattivo odore; vd. Lilja 1972, p. 205); il suo uso da parte degli
uomini è biasimato da Plinio il Vecchio, nat. XXVI 164 psilothrum nos
quidem in muliebribus medicamentis tractamus, verum iam et viris est
in usu; cfr. anche Ael. Lampr. Ant. Heliog. 31, 7; Schol. Iuv. 9, 14; Galeno
ne fornisce alcune ricette (12, pp. 453-459 K.); sulla sua composizione vd.
Blümner 1911, p. 438 sg.; Hagenow 1972, p. 50. Il dropax (gr. )
è menzionato qui per la prima volta, quindi in X 65, 8 levis dropace tu
cotidiano; Auson. 131, 1 p. 346 P. (epigr. 100, 1 G.) inguina quod calido
levas tibi dropace; sulla sua composizione cfr. Theod. Prisc. log. 34; Cass.
Fel. 1 p. 8, 14; Oribas. Syn. I 30; vd. Hagenow 1972, p. 51. Lo specialista
nel suo utilizzo era detto dropacista (cfr. CIL XII 3334; 5687, di testo
incerto). – levas: il verbo qui nell’accezione tecnica riferita alla depilazione:
cfr. Cic. or. frg. A XIV 22 qui effeminare vultum, attenuare vocem, levare
corpus potes; vd. ThlL 1237, 26 sgg.; OLD s.v. nr. 2. La correzione di lavas
della tradizione medievale è richiesta dalla metrica (lăvās), oltre che dal
senso e confermata da Auson. 131, 1 p. 346 P. (epigr. 100, 1 G.) cit. supra,
che certamente ha tenuto presente questo verso di Marziale. La stessa
corruttela ricorre in Plin. nat. XXXVI 154. – calvam: come sostantivo
è di uso frequente soltanto in Marziale (V 49, 3; VI 57, 2; 74, 2; X 83, 2;
XII 45, 2; XIV 27, 2); ricorre una volta in Pomponio, Varrone Men., Livio,
Sereno Sammonico.
2: l’interrogativa allude forse ironicamente al noto timore dei barbieri
del tiranno siracusano Dionisio il Vecchio, che preferiva perciò farsi radere
dalle figlie e bruciava i capelli con carbone ardente (cfr. Cic. Tusc. V 57
sgg..; off. II 25; Val. Max. IX 13, 4). I Romani avevano comunque buoni
motivi per temere i tonsores, che usavano il rasoio sulla pelle soltanto
inumidita (vd. RE III 3 sg.; Daremberg-Saglio, s.v. tonsor, V, p. 354 sgg.;
460 M. Val. Martialis liber tertius

Hagenow 1972, p. 49 sg.). Al temibile barbiere Antioco Marziale dedica un


divertente e fantasioso epigramma (XI 84): cfr. v. 1 sg. qui nondum Stygias
descendere quaerit ad umbras / tonsorem fugiat, si sapit, Antiochum. Per
l’uso di numquid vd. la n. a 51, 4.
3 sg.: Gargiliano dovrà comunque rivolgersi ad un tonsor per tagliare
le unghie, per cui non può utilizzare mezzi per la depilazione (resina,
Venetum lutum). Il taglio delle unghie apparteneva alle mansioni del
tonsor: cfr. Plaut. Aul. 312; Tib. I 8, 11; Hor. epist. I 7, 50; Val. Max. III 2,
15; Mart. XIV 36; lo strumento utilizzato era il cultellus: vd. Daremberg-
Saglio II 2, p. 1587, s.v. culter; Marquardt 1886, p. 581. – resina: la resina
era utilizzata come depilatorio: cfr. XII 32, 21 sg. plena turpi matris
olla resina, / Summemmianae qua pilantur uxores; Iuv. 8, 114 sg. quid
resinata iuventus / cruraque totius facient tibi levia gentis?; tale uso
provoca la condanna moralistica di Plinio il Vecchio, nat. XIV 123 pudet
… confiteri maximum iam honorem eius (sc. resinae) esse in evellendis
virorum corpori pilis; cfr. anche XXIX 26; Iul. Cap. Pert. 8, 5; Cels. III
27, 1 D.; Tert. pall. 4, 1; vd. al riguardo Hagenow 1972, p. 52. – Veneto
… luto: la composizione del Venetum lutum è ignota; secondo Hagenow
1972, p. 56 sgg. si trattava di fango termale di Abano mescolato con
dropax. – resecare: per quest’uso del verbo cfr. Val. Max. III 2, 15; Petron.
45, 9; Plin. nat. XXVIII 28.
5. si pudor est: il pudor è spesso invocato da Marziale come freno per
comportamenti criticabili; per l’uso della parentetica cfr. II 37, 10 ullus si
pudor est, repone cenam; III 87, 4 si pudor est, transfer subligar in faciem;
VII 95, 16 si tibi sensus est pudorque; X 90, 9 sg. quare si pudor est, Ligeia,
noli / barbam vellere mortuo leoni (vd. anche III 46, 10 esse pudor vetuit
fortia verba mihi); essa ricorre anche in Prop. I 9, 33; II 12, 18; Ov. am.
III 2, 24; Quint. decl. 286, 10; Stat. Theb. X 710; Iuv. 3, 154. – miseram …
calvam: l’attributo realizza una personificazione della calva (cui concorre
anche traducere); per analoghi casi di personificazione di parti del corpo
in epigrammi scommatici cfr. II 51, 5 sg. infelix venter spectat convivia
culi / et semper miser hic esurit, ille vorat; XI 46, 5 quid miseros frustra
cunnos culosque lacessis? – traducere: per l’accezione di ‘expose to scorn
or obloquy’, che ricorre in Marziale anche in I 53, 3; VI 77, 5 sg., cfr.
Prop. II 24, 7 nec sic per totam infamis traducerer urbem; vd. OLD s.v.
nr. 4 b; l’uso deriva dall’immagine dell’esposizione al pubblico nella parata
pubblica del trionfo o di altro genere (vd. OLD s.v. nr. 3): cfr., ad es.,
Epigramma 74 461

Liv. XXXVI 40, 11 in eo triumpho … cum captivis … equorum quoque


captorum gregem traduxit; vd. anche Liv. II 38, 3; Suet. Cal. 15, 1; tale
significato è presente in Marziale epigr. 4, 3.
6. hoc fieri cunno … solet : la depilazione dei genitali femminili è
testimoniata da Marziale anche in X 90, 1 sgg. quid vellis vetulum, Ligeia,
cunnum? / … / tales munditiae decent puellas; cfr. inoltre Apul. met. II
17 glabellum feminal; CLE 230. Per il paragone ingiurioso con i genitali
cfr. II 33, 1 sgg. cur non basio te, Philaeni? calva es. / cur non basio te,
Philaeni? rufa es. / cur non basio te, Philaeni? lusca es. / haec qui basiat,
o Philaeni, fellat.
462 M. Val. Martialis liber tertius

75

Stare, Luperce, tibi iam pridem mentula desit,


luctaris demens tu tamen arrigere.
Sed nihil erucae faciunt bulbique salaces
improba nec prosunt iam satureia tibi.
Coepisti puras opibus corrumpere buccas: 5
sic quoque non vivit sollicitata Venus.
Mirari satis hoc quisquam vel credere possit,
quod non stat, magno stare, Luperce, tibi?

hab. TR tit. ad lupercum LPf : ad luparcum Q 1 luperce LPf : luparce Q mentula


TR¹ : eras. R² desit AXV: dent E 2 demens R : demen T tu tamen R : tu
tamen tu tamen T arrigere TR¹ : eras. R² 3 erucae : arucae T esuce R¹ hesuce R²
bulbique A: bullique EXV 4 improba AXV: iam proba E satureia LPQf² :
saturela f¹ 5 puras R : pluras T 6 sollicitata R XV: sollicita TEA 8 stat LPf : scit
Q luperce LPf : luparce Q tibi LQf : om. P

Già da tempo, o Luperco, il cazzo ha smesso di starti dritto,


eppure tu, stolto, ti affanni per farlo rizzare.
Ma non ti fanno nulla la rucola e le cipolle eccitanti
né ti giovano ormai le lascive orchidee.
Hai iniziato grazie ai tuoi soldi a violare bocche pure: 5
neppure così sollecitato vive il tuo membro.
Qualcuno potrebbe stupirsi abbastanza o credere,
che qualcosa che non sta dritto, o Luperco, ti stia a gran prezzo?

Luperco non riesce più ad eccitarsi, ma tenta in tutti i modi di porvi


rimedio: ricorre a cibi afrodisiaci (3 sg.) e si procura sesso orale a
pagamento (5), senza però ottenere risultati (6). Marziale schernisce in
conclusione le ingenti quanto inutili spese sostenute da Luperco attraverso
una pointe basata sul doppio senso del verbo stare (‘stare eretto’ e ‘costare’;
vd. Joepgen 1967, p. 110 sg.), che, richiamando l’incipit dell’epigramma,
chiude ad anello il componimento. L’impotenza maschile è motivo topico
nella tradizione giambico-satirica: cfr. Hippon. fr. 92 Masson (= 14A
Diehl3); AP V 47 (Rufino); 306 (Filodemo); XII 11; 216; 232; Tib. I 5,
39-42; Ov. am. III 7; Priap. 83; Petron. 128 sgg.; 140; Maxim. eleg. 5; vd.
Epigramma 75 463

al riguardo Grassmann 1966, p. 26; Buchheit 1962, p. 87 sg.; Obermayer


1998, pp. 255-330; in Marziale il tema è frequente: cfr. II 45; IX 66; X 91;
XI 25; 46; 71; XII 86; XIII 34 (per il motivo dell’impotenza causata dalla
repulsione fisica per la partner in là con gli anni, un tratto della cosiddetta
Vetula-Skoptik, vd. la n. intr. all’epigr. 32).
Lupercus è qui un comico nome parlante antifrastico: esso evoca infatti la
festa dei Lupercalia, che si svolgeva il 15 febbraio, un rituale per la fertilità
caratterizzato da un clima di lascivia (vd. al riguardo Daremberg-Saglio III
2, pp. 1398-1402; RE XIII 2, 1823 sg.; Wissowa 1912, p. 208 sgg.; Bömer1,
ad Ov. fast. II 267; sulla questione aperta della divinità che vi era onorata
vd. T.P. Wiseman, The God of the Lupercal, «JRS» 85, 1995, pp. 1-22). In
Marziale la scelta del nome Lupercus riveste un intento allusivo al rito dei
Lupercali anche in IV 28, 8 nudam te statuet tuus Lupercus (vd. A.W.J.
Holleman, Martial and a Lupercus at work, «Latomus» 35, 1976, pp. 861-
865). Il nome era piuttosto comune (vd. Kajanto 1965, p. 318); in Marziale
ricorre come nome fittizio più volte per diversi tipi (I 117; IV 28; VI 6; 51;
VII 83; IX 87; XI 40; XII 47). L’epigramma si trova in R non inserito fra
gli altri del libro III (ff. 101r-102r), ma oltre al f. 111v.

1. Stare: il verbo è posto significativamente in apertura di epigramma


ed è richiamato da arrigere, che chiude il primo distico, esplicitando
l’ossessione del protagonista; per la collocazione in principio di termini-
chiave vd. la n. a 30, 1; per l’uso di stare per l’erezione vd. la n. a 73, 2.
– iam pridem: la notazione suggerisce che si tratti di impotenza senile.
2. luctaris: il verbo esprime lo sforzo vano da parte di Luperco di
ottenere un’erezione; Marziale sceglie con intento comico il verbo che in
contesti erotici designa la lotta amorosa: vd. Pichon, p. 191; cfr. Prop. II
1, 13 erepto mecum luctatur amictu; 15, 5 nudatis mecum est luctata
papillis; per la costruzione con l’infinito vd. ThlL VII 2, 1732, 53 sgg.;
OLD s.v., nr. 5 b - demens: frequente come insulto in contesti satirici:
cfr. II 45, 2; III 93, 19; VII 25, 4; 65, 3. Per l’accezione di ‘stolto’ vd.
il commento di Bömer2 a Ov. met. I 753. L’attributo ricorre in poesia
quasi esclusivamente al nominativo e vocativo singolare: vd. il commento
di McKeown a Ov. am. I 7, 19. – arrigere: per l’uso del verbo in contesti
erotici vd. la n. a 70, 4. Per la chiusa del pentametro con una sillaba breve,
per lo più evitata nella poesia augustea, vd. la n. a 19, 6 fera. Arrigere in
chiusa di pentametro ricorre ancora in 70, 4; IX 66, 4.
464 M. Val. Martialis liber tertius

3 sg.: l’elenco degli afrodisiaci ricalca quello di Ov. ars II 415 sgg. sunt
quae praecipiant herbas, satureia, nocentis / sumere; iudiciis ista venena
meis / … / (421) candidus, Alcathoi qui mittitur urbe Pelasga, / bulbus
et, ex horto quae venit, herba salax / ovaque sumantur; cfr. anche rem.
795 sgg.
3. nihil … faciunt: l’espressione, equivalente a nec prosunt del v. 4,
appartiene all’uso medico: vd. OLD s.v. facio, nr. 30 b; cfr. Suet. Cl. 16,
4 nihil aeque facere ad viperae morsum quam taxi arboris sucum; Scrib.
Larg. 49 facit et hoc medicamentum bene; Plin. nat. XXXIV 170 ad
haec … lotura plumbi facit. – erucae … bulbique salaces: cibi dal potere
afrodisiaco; sono associati anche in Ov. ars II 422 cit. nella n. al v. 3 sg.;
rem. 795 sgg.; Cels. IV 28, 2; Colum. X 105 sgg. Sulla rucola (eruca) come
afrodisiaco cfr. Varro Men. 581; Moretum 84; Iuv. 9, 134; Plin. nat. X 182;
XIX 154; Priap. 46, 8; 47, 6; 51, 20; Theod. Prisc. log. 34, p. 133, 2; Marc.
med. 33, 50; Diosc. II 125; CGL II 578, 41. Sulle cipolle (bulbi) come
afrodisiaci cfr. XIII 34 tit. bulbi. cum sit anus coniunx et sint tibi mortua
membra, / nil aliud bulbis quam satur esse potes; vd. anche Plin. nat. XX
105; Petron. 130, 7; Stat. silv. IV 9, 30; Athen. II 63d; 64b. Salax in questa
accezione ricorre in Ov. ars II 422 cit. nella n. al v. 3 sg.; rem. 799; Colum.
X 372; Mart. X 48, 10; Priap. 51, 20.
4. improba … satureia: il neutro plurale satureia ricorre, oltre che qui,
soltanto in Ov. ars II 415 cit. nella n. al v. 3 sg. Il termine è probabilmente
un incrocio tra satureia, -ae e satyrion (gr. ), e designa diversi
tipi di orchidee afrodisiache: cfr. Plin. nat. XXVI 96 sgg.; XXVIII 119;
Petron. 8, 4; 20, 7; 21, 1; vd. André 1956, p. 282 (anche André 1985, p.
227). Anche SB2, p. 256, n. a, sospetta una confusione con satyrion. Meno
probabile che si tratti di un plurale eteroclito di satureia, -ae ‘santoreggia’
(vd. OLD, s.v.). Questa infatti stimola, ma non è nociva (come si evince da
Ov. ars II 415 sg. cit. nella n. al v. 3 sg.). Improbus è usato qui nell’accezione
erotica, con valore causativo (vd. ThlL VII 1, 691, 51 sgg.; OLD, s.v. n. 7;
Pichon, p. 172). – nec: per la posposizione della particella vd. la n. a 19, 5.
5. puras … corrumpere buccas: espressione eufemistica che indica le pratiche
di sesso orale ottenute da Luperco a pagamento (opibus). Purus in relazione al
sesso orale ricorre spesso in Marziale: cfr. II 61, 9; III 82, 4; IV 39, 10; VI 50, 6;
66, 5; IX 63, 2; 67, 5; XI 61, 14; XIV 70, 2. Lambertz (ThlL IV, s.v. corrumpo,
1058, 13) colloca questo passo tra gli esempi in cui il verbo indica corruzione
attraverso denaro (cfr. la traduzione di SB2: «You have started corrupting
Epigramma 75 465

pure mouths with your money»); tuttavia è più probabile un riferimento più
esplicito allo stuprum, favorito dall’espressivo uso metonimico di buccae e
dall’attributo purus, spesso usato da Marziale in riferimento al sesso orale
(vd. supra): cfr. XI 61, 2 Summemmianis inquinatior buccis. Izaac traduce:
«Tu t’es mis, grace à tes richesses, à souiller des bouches innocentes». Sulle
espressioni eufemistiche per irrumare vd. Adams, LSV, p. 211 sgg.
6: il sesso orale è considerato il miglior rimedio per l’impotenza: cfr. IV
50, 1 sg. quid me, Thai, senem subinde dicis? / nemo est, Thai, senex ad
irrumandum; XI 46, 5 sg. cit. infra; Hor. epod. 8, 19 sg. quod ut superbo
provoces ab inguine / ore adlaborandum est tibi. - sic quoque non: i. e. ne
sic quidem; cfr. Ov. fast. V 520; Lucan. VII 841; Val. Fl. IV 598. – vivit: sulla
‘morte’ come metafora per l’impotenza cfr. XI 46, 5 sg. quid miseros frustra
cunnos culosque lacessis? / summa petas: illic mentula vivit anus; XIII 34, 1
cum sit anus coniunx et sint tibi mortua membra; Ov. am. III 7, 65 nostra
tamen iacuere velut praemortua membra; Petron. 20, 2 sollicitavit inguina
mea mille iam mortibus frigida; 129, 1 funerata est illa pars corporis, qua
quondam Achilles eram; vd. anche AP XI 29, 3 sg.; 30, 3 sg.; XII 216, 2; 232,
4. – sollicitata: nell’accezione di ‘stimolato sessualmente’; per l’uso cfr. VI 68,
9 sg.; 71, 3 sg.; VIII 55, 15 sg.; XI 22, 3 sg.; 46, 3 sg.; Ov. am. III 7, 55 sg.; 73
sg.; Petron. 20, 2; vd. Adams, LSV, p. 184 sg. – Venus: qui per mentula. L’uso
risale a Lucr. IV 1270 clunibus ipsa viri Venerem si laeta retractat; cfr. Mart.
I 46, 1 sg. cum dicis ‘propero, fac si facis’, Hedyle, languet / protinus et cessat
debilitata Venus; Iuv. 11, 167 inritamentum Veneris languentis; Priap.
83, 4 Venus fuit quieta; Apul. met. II 16 iam saucius paulisper inguinum
fine lacinia remota impatientiam veneris Photidi meae monstrans; per tale
metonimia vd. Adams, LSV, p. 57; J.N. Adams, Anatomical Terminology in
Latin Epic, «BICS» 27, 1980, pp. 50-52. L’accezione deriva probabilmente
dall’uso comune di Venus per ‘rapporto sessuale’: cfr., ad es., I 103, 10 asse
cicer tepidum constat et asse Venus; XII 43, 5 sunt illic Veneris novae
figurae.
7. credere possit: clausola ovidiana (epist. 18, 123; met. XV 613; trist. I 2,
81); ricorre quindi in AL 878, 29 R.; Claud. 21, 191.
8: la conclusione, che chiude ad anello il componimento (cfr. v. 1 stare), è
realizzata con un gioco di parole basato sul doppio senso di stare (‘stare eretto’
e ‘costare’), che favorisce una sorta di contraddizione in termini (quod non
stat / magno stare). Su questo genere di conclusioni, molto caro a Marziale,
vd. la n. intr. all’epigr. 13.
466 M. Val. Martialis liber tertius

76

Arrigis ad vetulas, fastidis, Basse, puellas,


nec formosa tibi sed moritura placet.
Hic, rogo, non furor est, non haec est mentula demens?
Cum possis Hecaben, non potes Andromachen!

hab. T; vv. 1-2 hab. R tit. ad bassum 1 arrigis TR¹ : eras. R² ad PQf : at L
vetulas L²PQf : vetulaes L¹ 2 formosa RPQf : formonsa TL 3 non haec est TLf :
non est haec PQ 4 (h)ecaben LfV: haecaben EA hecuben PX echuben Q hecubam T
andromac(h)en : andromachae T

Ti ecciti con le vecchie, sdegni, o Basso, le ragazze,


e la donna non ti piace bella, ma moribonda.
Questa, mi chiedo, non è pazzia, questo non è un cazzo folle?
Riesci a farti un’Ecuba e non riesci a farti un’Andromaca!

Basso è attratto sessualmente dalle vecchie e sdegna le ragazze. Marziale


schernisce le bizzarrie del protagonista attraverso un comico riferimento
a personaggi del mito (Ecuba, Andromaca; per questo uso del mito vd.
la n. a 32, 3). L’epigramma costituisce uno spiritoso capovolgimento del
motivo dell’impossibilità di avere rapporti sessuali con donne attempate
(per cui vd. la n. intr. all’epigr. 32). Gli eccentrici gusti sessuali di Basso
sono posti in evidenza dalle studiate antitesi, presenti in tre versi su quattro,
che culminano nella paradossale formulazione conclusiva, messa in risalto
anche dall’omeoteleuto tra gli emistichi del pentametro (1 vetulas / puellas;
2 formosa / moritura; 4 Hecaben / Andromachen). Basso è nome fittizio
presente in numerosi epigrammi di Marziale (sul Basso amico del poeta,
nominato negli epigr. 47 e 58 di questo libro e in VII 96, vd. la n. intr.
all’epigr. 47). Non persuasiva quindi l’ipotesi di Watson-Watson, p. 222
che il nome alluda a basus, forma volgare di vas, nel senso di ‘pene’ (per
cui vd. Adams, LSV, p. 42 sg.).

1. arrigis ad vetulas: per l’espressione arrigere ad con accusativo cfr.


IV 5, 6 nec potes algentes arrigere ad vetulas; per arrigere, che non è
toccato dalla censura monastica attuata nei codici della prima famiglia,
Epigramma 76 467

vd. la n. a 70, 4; per vetula sostantivato vd. la n. a 32, 1. – fastidis …


puellas: il verbo è comunemente usato in contesti erotici: cfr. Verg. ecl. 2,
73 invenies alium, si te hic fastidit, Alexin; Petron. 127, 1 si non fastidis
… feminam ornatam et hoc primum anno virum expertam; vd. ThlL VI
1, 311, 24 sgg.
2. moritura: la rappresentazione iperbolica di donne vecchie come mo-
ribonde (o addirittura morte: vd. le nn. a 32, 2; 93, 19 sg.) è un tratto
peculiare della Vetula-Skoptik: cfr. Hor. carm. III 15, 4 maturo propior
funeri; AP XI 71, 4 (Nicarco).
3. hic, rogo, non furor est: l’emistichio ricorre identico in II 80, 2 hic,
rogo, non furor est, ne moriare, mori?; cfr. anche I 20, 1 dic mihi, quis
furor est?; per il tono retorico dell’interrogativa cfr. Ps. Quint. decl. 3, 12
non hic profusus est furor, non manifesta dementia est? Su rogo, inciso di
natura colloquiale frequente in Marziale, vd. la n. a 44, 9. – non haec est
mentula demens?: comica personificazione della mentula, che assume il
ruolo di protagonista dell’epigramma; cfr. anche I 35, 3; 5; IX 2, 2; 32, 5
sg.; 37, 9 sg.; 63, 1 sg.; XI 58, 11 sg.; 78, 2; vd. Adams, LSV, p. 29 sg. Su
mentula, termine osceno par excellence, vd. la n. a 68, 7 sgg..
4: Ecuba e Andromaca sono nominate come paradigmi rispettivamente
di vecchiaia e giovinezza anche in X 90, 5 sg. istud crede mihi, Ligeia,
belle / non mater facit Hectoris, sed uxor. La contrapposizione, favorita
dal rapporto di parentela tra le due (cfr. X 90 5 sg. cit. supra), è forse
invenzione di Marziale; più comune quella tra Ecuba ed Elena: cfr. AP
XI 408, 5 sg.; Epigr. Bob. 23, 2; vd. J. Mossman, Wild Justice. A study of
Euripides’ Hecuba, Oxford 1995, pp. 211-217. - cum possis … non potes:
sc. futuere; su questo uso ellittico di possum vd. la n. a 32, 1. - Hecaben:
per Ecuba quale exemplum di vecchiaia vd. la n. a 32, 3 possum Hecubam.
Qui il nome indica antonomasticamente una vecchia, come soltanto in
Lucillio (AP XI 408, 6). La forma greca del nome (Hecaben) è senz’altro
preferibile, non tanto perché quasi certamente figurava nell’archetipo
della seconda e della terza famiglia, quanto perché Marziale ha con ogni
probabilità ricercato un effetto di omeoteleuto tra i due nomi collocati
nella clausola degli hemiepe del pentametro; lo stesso intento, sempre con
nomi greci, è ravvisabile anche in I 62, 6 coniuge Penelope venit, abit
Helene; V 53, 2 quo tibi vel Nioben, Basse, vel Andromachen? Soltanto
Schneidewin2 e Gilbert hanno accolto Hecuben, forma di accusativo
attestata soltanto in Epigr. Bob. 23, 2: Marziale preferisce altrove la for-
468 M. Val. Martialis liber tertius

ma latinizzata Hecuba (III 32, 3; VI 71, 3); Ovidio utilizza una forma
ibrida (Hecube al nominativo e vocativo; Hecubae, -am nei casi obliqui e
all’accusativo). La forma Hecabe è stata restituita per congettura in Ilias
546; 551; 1017, ma senza motivi cogenti (vd. il commento di Scaffai, ad
locc.). L’interpunzione esclamativa, che pone ulteriore enfasi sul paradosso
conclusivo, è stata, a mio avviso a ragione, preferita da tutti gli editori, con
l’eccezione di SB. – Andromachen: altrove menzionata tra gli exempla di
fedeltà coniugale: cfr. Ov. trist. I 6, 19 sgg.; V 14, 35 sgg.
Epigramma 77 469

77

Nec mullus nec te delectat, Baetice, turdus,


nec lepus est umquam nec tibi gratus aper;
nec te liba iuvant nec sectae quadra placentae,
nec Libye mittit nec tibi Phasis aves:
capparin et putri cepas allece natantis 5
et pulpam dubio de petasone voras,
teque iuvant gerres et pelle melandrya cana,
resinata bibis vina, Falerna fugis.
Nescio quod stomachi vitium secretius esse
suspicor: ut quid enim, Baetice, ? 10

tit. ad b(a)eticum EAX: ad breticum V 1 mullus f² : mulus LPQf¹ b(a)etice LPQf² :


bectice f¹ 3 sectae Qf² : secta LPf¹ 4 libye k: libie QfXV lybie P lybiae LA libiae E tibi
phasis PQfXV²: tibi phassis L tiphasis EAV¹ aves V²: avos EAXV¹ 5 capparin Q:
cappar L capparim Pf¹ capparis f²s.l. cepas LPQ²f : cepa Q¹ allece PQ: hallece Lf
natantis : natantes 6 petasone LPf : petassone Q 7 iuvant : iuvat gerres LPf :
gereres Q melandrya Scriverius: melandria lv2² malandria v2¹ 8 falerna LPQ²f :
valerna Q¹ 10 baetice Friedlaender: betice f²in mg. ed.
Rom. 1 b(a)etice saprophagis LPQ bectice saprophagis f¹

Non ti piace la triglia, Betico, né il tordo,


non ti sono mai graditi la lepre e il cinghiale;
né ti piacciono le focacce, né una fetta di dolce,
né la Libia, né il Fasi ti mandano i loro uccelli:
divori capperi e cipolle che nuotano in putrida salsa di pesce 5
e la carne di una spalla di prosciutto dall’aspetto malsano,
ti piacciono acciughe e tonno marinato dalla pelle chiara,
bevi vini resinati, fuggi il Falerno.
Sospetto che tu abbia non so quale problema di stomaco:
perché, infatti, Betico, mangi cibi putridi? 10

Betico mangia solo cibi di pessima qualità ed evita quelli più raffinati.
Marziale finge di sospettare che egli abbia qualche problema di stomaco,
ma insinua copertamente il sospetto che Betico sia impurus ore (il vitium è
reso esplicito nell’epigr. 81, rivolto allo stesso personaggio). Betico dunque,
470 M. Val. Martialis liber tertius

mangiando cibi dal sapore acre, tenta di mascherare il cattivo odore del suo
alito, provocato dalla sua pratica del sesso orale (per questa convinzione
diffusa nel mondo romano vd. la n. intr. all’epigr. 17); è però proprio
questo comportamento a renderlo sospetto agli occhi del poeta che lo
colpisce in maniera velata. L’epigramma presenta un’equilibrata struttura
tripartita: ai primi quattro versi, che, scanditi dalla martellante anafora di
nec, elencano i cibi raffinati che sorprendentemente il protagonista mostra
di non apprezzare, ne corrispondono altrettanti dedicati invece a quelli
di bassa qualità che preferisce (5-8). L’ultimo distico realizza la pointe,
preparata dal v. 9, che evidenzia i sospetti del poeta, ed espressa al v. 10 in
forma interrogativa; come di frequente in Marziale, il fulmen si concentra
nell’ultima parola: il verbo (non attestato nella letteratura
greca) si riferisce ai cibi nauseanti di cui Betico si nutre, ma certo contiene
un’allusione alle pratiche sessuali che egli tenta di nascondere. Il cognomen,
derivato dal fiume iberico Baetis (e dalla provincia Baetica), ricorre anche
nelle iscrizioni: cfr., ad es., CIL II 395; VI 13499; 14217; 22258; VIII
19135; XII 4116; vd. Kajanto 1965, p. 198.

1. mullus … turdus: entrambi cibi prelibati: sul mullus vd. la n. a 45,


5; sul turdus vd. la n. a 47, 10. – delectat: per l’uso di delectare in ambito
gastronomico cfr. Hor. sat. II 8, 16 sg. ‘Albanum, Maecenas, sive Falernum
/ te magis appositis delectat, habemus utrumque’.
2. lepus: la carne di lepre era considerata una raffinatezza: cfr. XIII 92 tit.
lepores. inter aves turdus, si quid me iudice certum est, / inter quadripedes
mattea prima lepus; Marziale la inserisce tra i cibi più lussuosi in VII 78, 3 sg.
sumen, aprum, leporem, boletos, ostrea, mullos / mittis; cfr. anche XII 48, 9.
– aper: sul cinghiale, cibo tra i più apprezzati dai Romani, vd. la n. a 50, 8.
3. liba: il libum è un genere di focaccia, usato principalmente nei riti
religiosi: cfr. Verg. Aen. VII 109 sg. instituunt … dapes et adorea liba per
herbam / subiciunt epulis (Serv. ad loc.: placentae de farre, melle et oleo
sacris aptae); in Marziale cfr. X 24, 4; 103, 8. – sectae quadra placentae: la
placenta è una focaccia come il libum (cfr. Serv. Aen. VII 109 cit. supra),
spesso guarnita con miele (cfr. V 39, 3 Hyblaeis madidas thymis placentas).
Veniva generalmente tagliata in quattro parti (quadrae): cfr. VI 75, 1 sgg.
cum mittis turdumve mihi quadramve placentae, / sive femur leporis
sive quid his simile est, / buccellas misisse tuas te, Pontia, dicis; IX 90, 17
sg. libetur tibi candidas ad aras / secta plurima quadra de placenta.
Epigramma 77 471

4. Libye … Phasis: il riferimento è alle galline numidiche (per cui vd.


la n. a 58, 15 Numidicae … guttatae) e ai fagiani (per cui vd. la n. a 58,
16 et impiorum phasiana Colchorum); essi sono menzionati insieme
come uccelli pregiati anche in XIII 45 tit. pulli gallinacei. si Libycae nobis
volucres et Phasides essent, / acciperes; at nunc accipe chortis aves. Libye
è spesso indicazione generica per il Nord Africa (vd. OLD, s.v.). Qui si
riferisce alla Numidia (cfr. XIII 45, 1 cit. supra). – mittit: è frequente
il modulo per cui la località originaria di un prodotto viene menzionata
come soggetto che offre il prodotto stesso (generalmente è usato il verbo
mittere); in Marziale vi sono numerosi esempi: cfr. I 43, 7; II 43, 7; IX
75, 7 sg.; XIII 23, 1; 104, 1; 109, 1 sg.; XIV 51, 1; 69 (68), 2; 114, 2;
per altri esempi, prevalentemente poetici, vd. ThlL VIII 1186, 53 sgg. Si
veda anche l’uso che Marziale fa di questo procedimento nel presentare il
proprio libro ‘cisalpino’ in 1, 1 sg. hoc tibi … longinquis mittit ab oris /
Gallia Romanae nomine dicta togae.
5 sg.: i versi sono citati da Prisciano (inst. VI 20 = GLK II 212, 9 sgg.),
insieme ad Hor. sat. II 8, 9, come attestazione del neutro allec (‘allec
allecis’. sic Martialis: capparin … voras), che si alterna con il femminile:
inveniuntur tamen quidam veterum etiam ‘haec allex’ feminino genere
protulisse, quod Caper ostendit de dubiis generibus, Verrium Flaccum
posuisse allecem hanc dicens. Ma in questo caso non si può stabilire il
genere del sostantivo e Marziale usa il femminile in XI 27, 6 cit. nella n.
al v. 5.
5. capparin: alcuni tipi di cappero, dal sapore molto forte, sono sconsi-
gliati da Plin. nat. XIII 127. – cepas: sul sapore acre della cipolla, che rende
l’alito pesante, cfr. Varr. Men. 63 cum alium ac cepe eorum verba olerent;
frg. Non. 201 acria … ut est sinapi, cepa, alium; Priap. 51, 22 acres
… cepas; Colum. IX 14, 3 abstineat … foetentibus acrimoniis alii vel
ceparum; Pers. 4, 31 mordens cepe; Plin. nat. II 16 fetidas cepas; XIX 112
taedium huic (sc. alio) quoque halitu, ut cepis. – putri … allece: l’allec (o
allex) è la feccia del garum, condimento usatissimo a Roma: cfr. Plin. nat.
31, 95 vitium huius (sc. gari) est hallex atque imperfecta nec colata faex;
vd. al riguardo A. Marx, RE I 1584; Daremberg-Saglio, s.v. garum; André
1981, p. 112 sg.; ThlL VI 2517, 82 sgg.; in Marziale è citato ancora in XI
27, 5 sg. cui (sc. amicae) portat gaudens ancilla paropside rubra / allecem,
sed quam protinus illa voret; cfr. anche Hor. sat. II 4, 73; 8, 9. – natantis:
sugli accusativi plurali in –is in Marziale vd. la n. a 10, 2.
472 M. Val. Martialis liber tertius

6. dubio de petasone: il petaso è la spalla di prosciutto, cibo raffinato,


che però Betico mangia in stato già deteriorato (dubio): cfr. Varro rust.
II 4, 10 e Gallia adportantur Romam pernae … et petasones; XIII 54 tit.
perna. Cerretana mihi fiat vel missa licebit / de Menapis: lauti de petasone
vorent (con clausola di pentametro pressoché identica a questa); 55 tit.
petaso. musteus est: propera, caros nec differ amicos. / nam mihi cum
vetulo sit petasone nihil; vd. anche Iuv. 7, 119 quid vocis pretium? siccus
petasunculus et vas pelamydum. Dubius detto di cibi ne indica l’incerta
qualità che suscita dubbi: cfr. il gioco di parole realizzato in Ter. Phorm.
342 sg. PH. cena dubia apponitur. / GE. quid istuc verbi est? PH. ubi tu
dubites, quid sumas potissimum; probabilmente si rifà al passo terenziano
Hor. sat. II 2, 76 sg. vides ut pallidus omnis / cena resurgat dubia (come
suggerito già da Porfirione, ad loc.: lauta, sicut Terentius in Formione).
7. gerres: cfr. XII 32, 15 sg. fuisse gerres aut inutiles maenas / odor im-
pudicus urcei fatebatur. – pelle melandrya cana: tonno marinato: cfr. Plin.
nat. IX 48 (sc. thynni) plenis pulpamentis sale asservantur. melandrya
vocantur, quercus assulis similia; vd. Marquardt 1886, p. 438; Blümner
1911, p. 185.
8. resinata … vina: l’uso di trattare il vino con la resina è attestato già
da Catone (agr. 23, 3); sulla diffusione di quest’uso cfr. Plin. nat. XIV 120
resina condire musta vulgare ei (sc. Italiae) est provinciisque finitimis
(vd. anche XIV 124; Col. XII 20, 3); per il resinatum vinum cfr. anche
Cels. II 24, 3; 28, 2; 30, 3; IV 26, 9. Il procedimento dava evidentemente
un forte sapore di resina al vino. – Falerna: il Falerno era considerato il
più pregiato tra i vini italici: vd. RE VI 2, 1972; Tchernia 1986, p. 342
sg.; sulle numerose menzioni da parte di Marziale vd. La Penna 1999, pp.
163-181. Sull’uso del neutro plurale (sc. vina) vd. la n. a 26, 3 Massica.
– fugis: Betico fugge dal Falerno come da qualcosa di temibile. La curiosa
immagine crea sospetto nel lettore, preannunciando la pointe.
9 sg.: Marziale finge di sospettare che la bizzarra alimentazione di Betico
derivi da qualche problema di stomaco (stomachi vitium), chiedendosi
con falsa ingenuità quale altro motivo potrebbe esservi. La vis satirica della
pointe, che allude soltanto al vero vitium del protagonista, si concentra
nell’ultimo termine dell’epigramma; l’effetto è inoltre accresciuto dall’in-
consueta clausola tetrasillabica e dall’uso di un verbo greco. – ut quid:
in Marziale equivale a cur: cfr. XI 75, 2 sg. ut quid, oro, / non sit cum
citharoedus aut choraules?; ricorre già in Cic. Quinct. 13, 44; Att. VII
Epigramma 77 473

7; è quindi usato di frequente nel latino tardo; G. Pasquali («RFIC» 55,


1927, p. 247) vi ravvisava un influsso del gr. già nel latino arcaico,
ma l’ipotesi riscuote oggi pochi consensi (vd. Hofmann-Szantyr, p. 460).
– : a fronte del tràdito saprophagis, la sicura restituzione
della forma greca, già suggerita nella tradizione umanistica, si deve a
Friedlaender. Soltanto Gilbert e Lindsay (che colloca dubbiosamente in
apparato la proposta di Friedlaender) hanno preferito mantenere la forma
latinizzata. Il verbo (da = putris) non
è attestato nella letteratura greca superstite. Con ogni probabilità però
Marziale lo trovava in qualche comico o epigrammista greco, forse già
in un contesto allusivo al sesso orale. Vocaboli ed espressioni greche
ricorrono spesso in chiusura di epigramma: cfr. epigr. 24 (21), 8; I 27, 7;
IV 9, 3; VII 46, 6; 57, 2; XIV 201, 2; vd. al riguardo Pertsch 1911, p. 12
sgg.; Weinreich 1928, p. 161 sgg.
474 M. Val. Martialis liber tertius

78

Minxisti currente semel, Pauline, carina.


Meiere vis iterum? Iam Palinurus eris.

hab. T cum 77 confl. f tit. ad paulinum TLPQf in mg. 1 minxisti T : mixisti


pauline TLPQ²f : palinure Q¹ 2 meiere PQf : melere L meigere T palinurus
LP²Qf : pallinurus T palinus P¹ eris TPQf : erit L

Hai pisciato una volta, o Paolino, mentre la barca correva.


Vuoi pisciare di nuovo? D’ora in poi sarai Palinuro.

Paolino ha orinato una volta dalla barca in movimento. Se lo farà ancora,


lo avverte Marziale, sarà Palinuro. Il distico intreccia giocosamente satira ed
erudizione: il primo verso, che si apre con il volgarismo minxisti, presenta
quindi una ricercata iunctura etimologizzante (currente … carina), al cui
interno è incastonato il nome del protagonista (Pauline), come anticipazione
del gioco etimologico sul nome della conclusione. Il secondo verso propone
il verbo meiere in apertura, sinonimo del mingo del v. 1, traducendo in
concreto il desiderio del protagonista di compiere per la seconda volta lo stesso
atto, e si chiude con un dissacrante Wortspiel etimologico, che interpreta il
nome Palinurus come composto da , ovvero iterum meiere.
L’epigramma costituisce un perfetto esempio della degradazione del mito
operata da Marziale in numerosi epigrammi (vd. al riguardo la n. a 32, 3).
Per la predilezione da parte di Marziale dei giochi etimologici dissacranti
nei confronti dei personaggi del mito vd. la n. a 67, 10 Argonautas. Per
un precedente di questo gusto cfr. AP V 63 (Marco Argentario). Il nome
Paulinus, piuttosto diffuso (vd. Kajanto 1965, p. 244), ricorre in Marziale
ancora in II 14, 3 (un conoscente del poeta che pratica sport presso il portico
di Europa). Da escludere l’ipotesi di Friedlaender (ad II 14, 3) di identificare
i due personaggi. Se qui si tratta, come è probabile, di nome fittizio la scelta
sarà dovuta al desiderio di realizzare un gioco fonico tra Paulinus e Palinurus,
come proposto da Schneider 2000, p. 348 (così anche Watson-Watson, p.
326). Per Sullivan 1991, pp. 31; 157 la gita in barca descritta nell’epigr. 67
avrebbe suggerito anche questo componimento; l’ipotesi tuttavia, se anche
fosse corretta, aggiungerebbe ben poco all’interpretazione dell’epigramma.
Epigramma 78 475

1. Minxisti: il verbo è hapax in Marziale; non si tratta di una vera e


propria oscenità, come, ad es., caco, per cui vd. la n. a 44, 11 (vd. al
riguardo Adams, LSV, p. 245 sg.): esso ricorre infatti, ad es., in Hor. ars
471 (su cui vd. il commento di Brink) e nei testi medici (vd. ThlL VIII 998,
43 sgg.). Sulla discussa origine della forma minxi (anteriore o posteriore a
mixi, perf. di meio) vd. F. Sommer, Handbuch der lateinischen Laut- und
Formenlehre, Heidelberg 1914, p. 500; J.B. Hofmann, «Glotta» 29, 1942,
p. 41 sgg.; Ernout-Meillet, p. 404. La confusione tra i due perfetti (minxisti
T : mixisti ) è pertanto piuttosto comune nei manoscritti: cfr. Catull.
39, 18; Hor. ars 471; vd. ThlL VIII 998, 32 sgg. – currente … carina: la
iunctura etimologizzante (cfr. Isid. orig. XIX 2, 1 carina a currendo dicta,
quasi currina) predispone il lettore ad una conclusione di uguale segno.
Essa ritorna quindi in Drac. Rom. 10, 42 currente carina. La medesima
intenzione etimologica è presente in Ov. am. II 11, 24 currit … carina;
cfr. anche Catull. 64, 9 sg. ipsa levi fecit volitantem flamine currum,
/ pinea coniungens inflexae texta carinae, dove non sarà casuale l’uso
di currus, altrove mai riferito a una nave, per la mitica Argo. Carina è
metonimia di uso prevalentemente poetico.
2. Meiere: il verbo ricorre in Marziale anche in XI 46, 2; XII 32, 13
(con originale senso traslato). Meio, presente nel Catullo epigrammatico
(97, 8), appartiene al linguaggio della satira: cfr. Hor. sat. I 8, 38; II 7,
52; Pers. 1, 114; Iuv. 1, 131; ricorre anche in Petronio (67, 10) e in testi
medici (vd. ThlL VIII 604, 66 sgg.). – iam: per questa accezione vd.
OLD, s.v., nr. 1 b e la n. a 50, 10. – Palinurus eris: la conclusione contiene
forse un’allusione parodica alle patetiche parole di Anchise in Aen. VI
883 tu Marcellus eris. Marziale usa spesso in chiave comica e degradata
personaggi e situazioni tratti dall’epica virgiliana: in questo libro si veda,
ad es., Deifobo nell’epigr. 85; al riguardo Citroni 19872, p. 399. Il gioco
etimologico su cui è incentrata la pointe rende poco plausibile l’ipotesi, già
presente in commenti prescientifici (vd., ad es., Collesso), e riproposta da
Gilbert (apud Friedlaender), che Marziale intenda profetizzare a Paolino
una caduta in acqua. L’ampio dibattito critico odierno sull’etimologia del
nome Palinuro (vd. R. Merkelbach, Palinurus, «ZPE» 9, 1972, p. 83 = Id.,
Philologica. Ausgewählte kleine Schriften, Stuttgart-Leipzig 1997, p. 559;
A. Dihle, Zur nautischen Fachsprache der Griechen, «Glotta» 51, 1973, pp.
268-274; Philip Ambrose 1980, p. 452 sg.; M. Lossau, EV s.v., III, p. 937;
A. Setaioli, Palinuro: genesi di un personaggio poetico, «BSL» 27, 1997,
476 M. Val. Martialis liber tertius

pp. 56-60) rispecchia le riflessioni degli antichi, nel cui solco si colloca
la comica soluzione di Marziale: nell’episodio di Palinuro in Virgilio le
diverse accezioni di (‘guardiano’, ‘vento favorevole’) interagiscono
fra loro (vd. al riguardo M. Paschalis, Vergil’s Aeneid. Semantic Relations
and Proper Names, Oxford 1997, pp. 124 sg.; 201 sgg.); secondo Philip
Ambrose 1980, p. 451 sg. già il Palinuro del Curculio plautino potrebbe
essere nome parlante: cfr. il gioco di parole sul vento nei vv. 314 sgg. (su
cui vd. Fraenkel 1960, p. 31).
Epigramma 79 477

79

Rem peragit nullam Sertorius, inchoat omnes.


Hunc ego, cum futuit, non puto perficere.

tit. de sertorio 1 omnes LPQf¹ : omnem f²s.l. 2 ego EXV: ergo A cum futuit
PQf : sum futtuit L¹ ut vid. si futtuit L²

Non conclude una cosa Sertorio, le inizia tutte.


Costui, quando fotte, non credo che venga.

Sertorio inizia numerose attività, ma non conclude mai nulla. Marziale, in


ossequio al carattere ‘osceno’ della sezione, ipotizza che egli abbia lo stesso
problema in campo sessuale. Il distico è una poco brillante variazione sul
tema dell’impotenza (per cui vd. la n. intr. all’epigr. 75). Il nome Sertorio
è qui fittizio; in Marziale ricorre anche in II 84, 3; VII 10, 5 in contesti
satirici; vd. anche Iuv. 6, 142; sulla diffusione del nome vd. RE II A 1746,
34–1754, 39.

2. futuit: su futuo vd. la n. a 72, 1. – perficere: per l’accezione sessuale


eufemistica (‘i.q. semen emittere’: vd. ThlL X 1, 1372, 54 sgg.) cfr. Iul.
Capit. Maximin. 4, 7 potes tricies cum muliere perficere?; vd. anche Arnob.
nat. IV 7, p. 209, 17 etiamne Perfica una est e populo numinum, quae
obscenas … voluptates ad exitum perficit dulcedine inoffensa procedere?;
Adams, LSV, pp. 143 sg.; 226. Per l’uso del verbo in contesto erotico cfr.
Ov. ars I 389 aut non temptasses aut perfice! Il composto richiama peragit
del v. 1 ponendo l’accento sull’incapacità del protagonista di compiere per
intero alcunché. Per la chiusa del pentametro con una sillaba breve, per lo
più evitata nella poesia augustea, vd. la n. a 19, 6 fera.
478 M. Val. Martialis liber tertius

80

De nullo loqueris, nulli maledicis, Apici:


rumor ait linguae te tamen esse malae.

hab. T cum 78 confl. T tit. ad apicium : om. T 1 loqueris T: quereris nulli


: nullum T 2 ait T² : agit T¹

Non parli male di nessuno, non insulti nessuno, Apicio:


le voci però dicono che sei una malalingua.

Apicio non parla male di nessuno, eppure si dice in giro che sia una
‘malalingua’. Il distico è basato sul doppio senso dell’espressione malae
linguae esse, che, riferita nell’accezione comune alla maldicenza (cfr. v.
1), nasconde anche un’allusione maliziosa alle pratiche sessuali del pro-
tagonista (sulla satira rivolta contro i fellatores vd. la n. intr. all’epigr. 73).
Il nome Apicio, qui fittizio, ricorre in Marziale anche in VII 55, 4. Per
l’Apicio noto ghiottone vd. la n. intr. all’epigr. 22. Presenta significative
analogie con questo epigramma e con la fraseologia marzialiana Minucio
Felice, Oct. 28, 10: qui medios viros lambunt, libidinoso ore inguinibus
inhaerescunt, homines malae linguae etiam si tacerent. Medios viros
lambere è espressione marzialiana, che ricorre in II 61, 2 lambebat medios
improba lingua viros; III 81, 2 haec debet medios lambere lingua viros;
inguinibus inhaerescunt trova riscontro in II 61, 7 haereat inguinibus
potius tam noxia lingua. La conclusione del periodo (homines … etiam si
tacerent) realizza una arguzia che sembra trarre spunto proprio da questo
epigramma.

1. De nullo loqueris: loqui de aliquo nel senso pregnante di ‘parlar male


di qualcuno’ appartiene alle ellissi di risparmio proprie della lingua d’uso
(vd. Hofmann, LU, pp. 339 sgg.; 387); ricorre in Cic. Cael. 11 sed qui
prima illa initia aetatis integra … praestitisset, de eius fama ac pudicitia
… nemo loquebatur; Sen. dial. IV 28, 4 dicetur aliquis male de te loqui:
cogita, an prior feceris, cogita, de quam multis loquaris; epist. 47, 4 ut
isti (sc. servi) de domino loquantur, quibus coram domino loqui non
licet; vd. ThlL VII 2, 1661, 68 sgg.; più facilmente ricavabile dal contesto
Epigramma 80 479

è il senso in Catull. 83, 6 hoc est, uritur et loquitur (cfr. v. 3 sgg. si nostri
oblita taceret, / sana esset: nunc quod gannit et obloquitur, / non solum
meminit eqs.); il verso perciò non va toccato, come fanno invece alcuni
editori, i quali accolgono la congettura coquitur di Lipsius (ad es. Kroll,
e, da ultimo, Thomson; per la difesa del testo tràdito vd. N.I. Herescu,
«Latomus» 9, 1950, pp. 31-33). In Marziale dicere presenta lo stesso
significato in VII 18, 1 sg. cum tibi sit facies de qua nec femina possit /
dicere; cfr. anche Prop. II 20, 13 de te quodcumque, ad surdas mihi dicitur
aures e, per l’analogo uso di loquax, Prop. III 24, 21 sg. risus eram inter
convivia mensis / et de me poterat quilibet esse loquax. Invece Prop. IV
7, 42 garrula de facie si qua locuta mea est, citato da Heraeus (nella adn.
crit.), ha il significato opposto (sc. bene loqui), come rilevato da Housman
1925, p. 202 (= Class. Pap., p. 1102; vd. anche Löfstedt 1936, p. 71 n. 1);
sull’uso, attestato con una certa frequenza anche nelle iscrizioni (cfr., ad es.,
CIL XI 6204 Athenaidi coniugi incomparabili … de cuius pudore nemo
dicere potuit), vd. anche Löfstedt 1936, p. 69 sgg.; Löfstedt, Peregrinatio
Aetheriae, p. 283; Hofmann-Szantyr, p. 827. Loqueris della prima famiglia
(T) è quindi senz’altro difficilior rispetto a quereris ( ), agevolmente
spiegabile come glossa penetrata nel testo oppure, con minore probabilità,
come esito di aplografia (nullo loqueris) e successiva correzione di
queris (vd. Helm 1956, p. 301). Quereris è tuttavia accolto da vari editori
moderni (Lindsay, Duff, Ker, Giarratano, Izaac); per loqueris invece si
sono schierati Schneidewin, Friedlaender, Gilbert, Heraeus, SB. – nulli
maledicis: nullum di T è da considerare una banalizzazione: maledico con
accusativo ricorre per la prima volta in Petron. 58, 13; 96, 7 (in parti dove
prevale il sermo vulgaris; altrove si trova con il dativo: cfr., ad es., 117, 11;
132, 13), mentre si generalizza soltanto nel latino cristiano (vd. E. Wöllflin,
Über die Aufgaben der lateinischen Lexicographie, «RhM» 37, 1882, pp.
117-118; Löfstedt 1936, p. 218; J. Schrijnen, I caratteri del latino cristiano
antico, Bologna 19863, p. 82; Hofmann-Szantyr, pp. 34; 87). Il verbo è
usato assolutamente da Marziale in IX 9, 9 clamas et maledicis et minaris.
Sul carattere cristiano di alcune sostituzioni eufemistiche di termini osceni
presenti nella prima famiglia, messo in luce da Housman 1925, p. 202 (=
Class. Pap., p. 1003), vd. ora Mastandrea 1996, pp. 103-118.
2. rumor ait: sull’attribuzione a voci popolari delle allusioni a sfondo
sessuale vd. la n. a 73, 5 rumor. – linguae … esse malae: espressione collo-
quiale, conservatasi nell’italiano essere una malalingua; ricorre anche in
480 M. Val. Martialis liber tertius

Petron. 37, 7 est tamen malae linguae, pica pulvinaris (sc. Fortunata);
Min. Fel. 28, 10 cit. nella n. intr.; per il nesso mala lingua cfr. Publ. Syr.
App. Sent. 265, p. 387 R. mala lingua eum quem carpit meliorem indicat;
Ov. am. II 2, 49 nocuit mala lingua duobus; Sen. dial. V 22, 5 qui tam
malam haberent linguam; in Marziale indica la maldicenza dell’epigramma
in II epist. 5 sg. epigrammata curione non egent et contenta sunt sua, id est
mala, lingua. Per una accezione affine, legata al malocchio, cfr. Catull. 7,
11 sg. quae (sc. basia) nec pernumerare curiosi / possint nec mala fascinare
lingua; Verg. ecl. 7, 27 sg. si ultra placitum laudarit, baccare frontem /
cingite, ne vati noceat mala lingua futuro (cfr. Serv. ad loc.: mala lingua:
fascinatoria, nocendi scilicet studio). In Marziale la menzione della lingua
è spesso legata alla critica di perversioni sessuali: cfr. II 61, 2; 61, 7; III 81,
2 citati nella n. intr.; IX 27, 13 sg. pudet fari / Catoniana … quod facis
lingua; XI 61, 1 lingua maritus, moechus ore Nanneius; vd. anche III 84,
2; VII 24, 7 sg.; sull’argomento vd. Greenwood 1998, pp. 241-246.
Epigramma 81 481

81

Quid cum femineo tibi, Baetice Galle, barathro?


Haec debet medios lambere lingua viros.
Abscisa est quare Samia tibi mentula testa,
si tibi tam gratus, Baetice, cunnus erat?
Castrandum caput est: nam sis licet inguine Gallus, 5
sacra tamen Cybeles decipis: ore vir es.

tit. ad b(a)eticum 1 quid EAV: qui X b(a)etice LPQ : bectice f galle LQf : galli
P barat(h)ro PQf : barothro L 2 medios PQf : modios L 3 samia LPf : sanna Q
4 tam V²s.l.: iam EAXV¹ b(a)etice LPQ : bectice f erat EAXV²s.l.: erit V¹ 5 sis
LPQ²f : sus Q¹ inguine L²PQf : ingine L¹ gallus EAX: gallis V 6 decipis LPQ²f :
decipit Q¹

Cosa c’entri tu con l’abisso femminile, gallo Betico?


Questa lingua deve lambire ventri maschili.
Perché ti è stato reciso il cazzo con un coccio di Samo,
se la fica, Betico, ti era così gradita?
Ti si deve castrare la testa: infatti, anche se sei gallo nel basso ventre, 5
inganni le sacre leggi di Cibele: con la bocca sei uomo.

Bersaglio dell’epigramma è di nuovo il Betico preso di mira nell’epigr. 77.


Mentre precedentemente ne aveva insinuato in modo coperto l’impurità
orale, Marziale lo attacca ora apertamente e con toni aspri: l’accusa,
formulata nel v. 1, è di essere un cunnilingus. Ciò costituisce per la morale
romana una macchia riprovevole (in Marziale cfr. I 77; II 28, 6; III 96; IV
43; VII 67, 16 sg.; IX 92, 11 sg.; XI 47). Qui l’indignazione di Marziale è
accresciuta dal fatto che Betico fa parte dei sacerdoti di Cibele (Galli), che
erano evirati per assicurarne la purezza. Le sue pratiche di sesso orale sono
pertanto ancora più censurabili. Nel distico conclusivo Marziale propone
per Betico una paradossale castrazione del capo, poiché egli è vir ore!
Il nome di Galli riservato ai sacerdoti eunuchi di Cibele è da ricondurre
all’invasione gallica della Galazia, regione d’origine del culto della dea, nel
III sec. a.C.: vd. al riguardo E.N. Lane, The Name of Cybele’s priests the
‘Galloi’, in Id. (ed.), Cybele, Attis and related Cults. Essays in Memory
482 M. Val. Martialis liber tertius

of M.J. Vermaseren, Leiden 1996, pp. 117-33; K. Latte, Römische


Religionsgeschichte, München 1960, p. 259 sg.; RE VII 674 sgg. In Marziale
Galli significa spesso per antonomasia ‘evirati’: cfr. I 35, 15; II 45, 2; III
24, 13; VII 95, 15; XI 72, 2; 74, 2; vd. anche la n. a 73, 2 Phoebe.

1. Quid cum …?: interrogativa brachilogica di natura colloquiale;


compare in Cicerone (Quinct. 55, 4; Clu. 172, 2; Cael. 33, 11; Phil. 10, 11;
Att. I 16, 10). In poesia è frequente in Ovidio: cfr. am. II 19, 57; III 8, 49;
epist. 6, 47 sg.; 14, 65; 15, 52; ars I 305; 693; fast. II 101; trist. III 11, 55; 13,
11. In Marziale ricorre ancora in I 76, 11; II epist. 1; 16, 5; 45, 2; V 38, 5;
VIII 33, 23; IX 73, 8; X 100, 2; XIII 43, 2; cfr. anche Iuv. 9, 3. Qui il tono
è indignato. – femineo … barathro: l’uso metaforico di barathrum per i
genitali femminili ricorre soltanto qui nella letteratura latina (vd. Adams,
LSV, pp. 86; 220), né sembra essere attestato un corrispondente uso di
in greco, come sostiene Henderson 1975, p. 139 sulla base di
testimonianze erroneamente interpretate. Per l’uso di analoghe metafore
per i genitali femminili cfr. anche XI 21, 11 sg. hanc (sc. Lydiam) in piscina
dicor futuisse marina. / nescio; piscinam me futuisse puto; vd. Adams, LSV,
p. 85 sg.; Hey, Euphemismus, p. 531. Sull’originalità di Marziale nell’uso di
metafore sessuali vd. Watson 2002, p. 224 sg. Barathrum è grecismo usato
fin dal latino arcaico e conosce un uso metaforico relativo alla gola: cfr. Plaut.
Curc. 121 effunde hoc cito in barathrum; Hor. epist. I 15, 31 barathrum …
macelli; vd. anche Lucr. III 954 aufer abhinc lacrimas, baratre, et compesce
querellas. In Marziale il sostantivo ha valenza metaforica anche in I 87, 4
extremo ructus … redit a barathro.
2. haec debet …: l’espressione ricorre ancora in II 61, 2 lambebat medios
improba lingua viros; cfr. anche Auson. 120, 1 p. 341 P. (epigr. 74, 1 G.)
lambere cum vellet mediorum membra virorum. L’uso di medius per
indicare eufemisticamente i genitali (maschili o femminili), corrispondente
a quello del gr. (vd. Henderson 1975, p. 156), ricorre per la prima
volta in Catull. 80, 6 medii tenta vorare viri; in Marziale più volte: cfr.
II 61, 2 cit. supra; VII 67, 15 medias vorat puellas; XI 61, 5 mediumque
mavult basiare quam summum; cfr. anche Priap. 43, 2 oscula dat medio
si qua puella mihi; 54, 2 qui medium volt te scindere; 74, 1 per medios ibit
pueros mediasque puellas; Min. Fel. 28, 10 medios viros lambunt; vd. al
riguardo Adams, LSV, p. 46 sg.
3. abscisa … mentula: il verbo designa la castrazione anche in Petron.
Epigramma 81 483

108 Giton ad virilia sua admovit novaculam, minatus se abscisurum tot


miseriarum causam; Quint. inst. I 6, 36; l’uso è generalizzato nel latino
cristiano (vd. ThlL I 148, 77 sgg.). In Marziale il verbo ricorre per altre
mutilazioni: cfr. II 82, 1 abscisa servum quid figis, Pontice, lingua?; III 66, 2
abscidit vultus ensis uterque sacros; 85, 1 quis tibi persuasit naris abscidere
moecho; altri composti di caedo designano la castrazione: cfr. II 45, 1 praecisa
est mentula; III 91, 9 excidunt … senem (i.e. senis mentulam); IX 2, 13 i
nunc et miseros, Cybele, praecide cinaedos. – Samia … testa: secondo le
fonti l’evirazione dei sacerdoti di Cibele veniva compiuta con un coccio
di vaso di Samo: cfr. Lucil. VII 280 sg. testam sumit homo Samiam sibi,
‘anu noceo’, inquit, / praeceidit caulem testisque una amputat ambo (vd.
Marx, ad loc.); Plin. nat. XXXV 165 Samia testa Matris deum sacerdotes,
qui Galli vocantur, virilitatem amputare nec aliter citra perniciem M.
Caelio credamus; cfr. anche Iuv. 6, 512-514 matris … deum chorus intrat
et ingens / semivir … / mollia qui rapta secuit genitalia testa; vd. al
riguardo Cumont, RE VII 677; Sanders, Gallos, 1004. Per l’uso del culter
vd. la n. a 47, 2.
4. cunnus: per l’uso del termine osceno vd. la n. a 72, 6.
5 sg.: poiché Betico, pur essendo evirato, trasgredisce le prescrizioni
rituali della Madre Cibele (sacra … Cybeles decipis), Marziale propone per
lui una soluzione paradossale (castrandum caput est). – ore vir es: per
l’espressione cfr. XI 61, 1 lingua maritus, moechus ore Nanneius; Auson.
131, 6 p. 346 P. (epigr. 100, 6 G.) pube vir es. Nella definizione di vir è
presente un certo sarcasmo, poiché la pratica di Betico è tutt’altro che
virile: cfr., ad es., VII 67, 15 sgg. plane medias vorat puellas. / di mentem
tibi dent tuam, Philaeni, / cunnum lingere quae putas virile.
484 M. Val. Martialis liber tertius

82

Conviva quisquis Zoili potest esse,


Summemmianas cenet inter uxores
curtaque Ledae sobrius bibat testa:
hoc esse levius puriusque contendo.
Iacet occupato galbinatus in lecto 5
cubitisque trudit hinc et inde convivas
effultus ostro Sericisque pulvillis.
Stat exoletus suggeritque ructanti
pinnas rubentes cuspidesque lentisci,
et aestuanti tenue ventilat frigus 10
supina prasino concubina flabello,
fugatque muscas myrtea puer virga.
Percurrit agili corpus arte tractatrix
manumque doctam spargit omnibus membris;
digiti crepantis signa novit eunuchus 15
et delicatae sciscitator urinae
domini bibentis ebrium regit penem.
At ipse retro flexus ad pedum turbam
inter catellas anserum exta lambentis
partitur apri glandulas palaestritis 20
et concubino turturum natis donat;
Ligurumque nobis saxa cum ministrentur
vel cocta fumis musta Massilitanis,
Opimianum morionibus nectar
crystallinisque murrinisque propinat. 25
Et Cosmianis ipse fuscus ampullis
non erubescit murice aureo nobis
dividere moechae pauperis capillare.
Septunce multo deinde perditus stertit:
nos accubamus et silentium rhonchis 30
praestare iussi nutibus propinamus.
Hos Malchionis patimur improbi fastus,
nec vindicari, Rufe, possumus: fellat.

tit. ad rufum : ad rufum de zoilo 1 zoili AXV: zoile E 2 summemmianas cenet


Epigramma 82 485

V²CFG²: summemmianos cenet G¹ sum memmia nascen et EAX summemmia nascens et


V¹ summemianas cenet v1v2 ed. Ferr.¹ ed. Rom. 2 summenianas (syme-, sume-, subme-)
cenet f²hblv ed. Rom. 1 ed. Ferr.² ed. Ven. ed. Ald. summemia nascent LPf¹ summemia
nascentur Q supra inter fortasse tenus scripsit f² 3 ledae LQfV: laede PEAX sobrius
L²Pf : sobria Q cobrius L¹ 4 puriusque PQf : priusque L contendo V²s.l.: contendi
EAXV¹ 5 iacet V: iacetque EAX occupato LPQ²f : occupatus Q¹ galbinatus :
galbanatus Qf²s.l. galginatus L¹Pf¹ saginatus L² 7 effultus LPQ²f : effultis Q¹ ostro
E²AXV: ustro E¹ pulvillis : pulvinis 8 exoletus EA²XV: extoletus A¹ 9
pinnas LPQf¹EAV: pumas X spinnas f²s.l. cuspidesque lentisci : cuspidemque lentisce
LPQ¹f¹ cuspidemque lentisci Q²f²s.l. 11 flabello LPf : flagello Q 12 fugatque LPQ²f :
fusgatque Q¹ myrtea LPQ²fV²s.l.: murcea XV¹ murtea EA myrtoa Q¹ virga AXV:
virgo E 13 percurrit LPf : percurritque Q v. 15 om. P 16 sciscitator LPf : suscitator
QFGh²bklvv1v2 ed. Rom. 1 ed. Ferr. ed. Ven. ed. Rom. 2 ed. Ald. urinae LPQf² : urnae
f¹ 17 bibentis Pf²s.l. : bibentes Lf¹ videntes Q penem LfEAX: pennem PQ penum V 18
at XV: ad EA ipse : ille retro LPf : recto Q flexus LQf : fluxus P 19 lambentis
LPf: lambentes EA labentes QXV 20 partitur EAV²s.l.: parcitur V¹ pascitur X apri
f²s.l. : agri LPQf¹ glandulas EXV: grandulas A 21 natis LPf¹: nates Q²f²s.l. natos
Q¹ 22 cum ministrentur EXV: comministrentur A 23 massilitanis EXA²V: masilitanis
A¹ 24 opimianum AXV: opimiamum E 25 crystallinisque : crystallinis murrinisque
: mirrhinisque f myrt(h)inisque PQ mythinisque L 26 cosmianis L²PQf : cosmiamis L¹
ut vid. fuscus EAXV²: fuscos V¹ fuscis LPQf¹ fusus f²s.l.blv2² ed. Rom. 1 ed. Ven. ed.
Ald. 28 capillare LPQ²f¹: capillatae Q¹ capit lare capitale f²s.l. 29 stertit LPf : stetit Q
30 accubamus LQf : accumbamus P 31 nutibus V²s.l.: notibus EAXV¹ propinamus
LPQ²f : propianus Q¹ ut vid. 32 hos LPf : nos Q fastus : faustus 33 vindicari
LPQf¹: vindicare f²s.l. possumus : possimus fellat AXV: stellat E

Chiunque riesce ad essere commensale di Zoilo,


ceni pure tra le mogli del Summemmio
e beva sobrio dall’anfora sbreccata di Leda:
sostengo che ciò sia più lieve e più puro.
Se ne sta sdraiato vestito di verde occupando il letto per intero 5
e con i gomiti scaccia da una parte e dall’altra gli invitati,
adagiato su porpora e cuscini di seta.
In piedi gli sta a fianco un amasio e gli passa
piume rosse e stecchini di lentischio quando rutta,
quando suda una concubina sdraiata gli fa un po’ di 10
fresco con un ventaglio verde,
e uno schiavetto scaccia le mosche con un ramo di mirto.
La massaggiatrice percorre il suo corpo con tecnica agile
e muove la sua mano esperta per tutte le membra;
un eunuco riconosce il segnale dello schiocco di dita 15
486 M. Val. Martialis liber tertius

e, ispettore della delicata urina,


regge il pene ebbro del padrone che beve.
Lui, volto dietro al gruppo ai suoi piedi,
tra cagnoline che leccano fegato d’oca,
spartisce tra i ginnasti animelle di cinghiale 20
e dona al concubino cosce di tortora;
e mentre a noi sono serviti vini della rocciosa Liguria
o mosto cotto col fumo di Marsiglia,
offre in coppe di cristallo e di mirra
vino opimiano agli idioti. 25
Lui, scuro dei profumi di Cosmo,
non arrossisce a dividere tra noi in una conchiglia dorata
il profumo scadente di una puttana povera.
Quindi, stordito dalle molte coppe da sette ciati, russa:
noi stiamo sdraiati e, con l’ordine di prestare silenzio 30
al suo ronfo, brindiamo a cenni.
Queste alterigie di un corrotto Malchione tolleriamo,
né possiamo vendicarci, Rufo: succhia.

L’epigramma è il secondo più lungo del libro (33 versi); collocato verso
la metà della sezione ‘oscena’ del libro, in posizione di risalto, è dedicato
alla descrizione della cena offerta da Zoilo, che costituisce il tema anche
di II 19; V 79. Il personaggio, che percorre tutta l’opera di Marziale,
incarna, pur con sfumature di volta in volta diverse, il tipo del parvenu
(vd. al riguardo la n. intr. all’epigr. 29). Qui Zoilo è un anfitrione gretto
(per questo tipo vd. la n. intr. all’epigr. 60), che ostenta volgarmente le
proprie ricchezze e si circonda di schiavi adibiti a soddisfare le necessità
corporali del padrone. La sua effeminatezza, che emerge dalle notazioni
iniziali e dal suo abbigliamento (cfr. v. 5), è alla base della pointe (il crudo
fellat chiude l’epigramma). Per questo personaggio Marziale trovava
un modello unico nel Trimalchione petroniano, con il quale sono state
infatti segnalate numerose affinità (a partire dall’appellativo di Malchio
del v. 32; vd. C. Marchesi, Petronio e Marziale, «Athenaeum» 10, 1922,
p. 278 sg.; Colton 1982): l’eccezionale estensione del componimento
rivela dunque la volontà di porsi in rapporto di aemulatio con il modello
petroniano. Il linguaggio è prosaico, abbondante di colloquialismi e si
Epigramma 82 487

sposa con la bassezza e spregevolezza del protagonista, suggerendone


forse l’umile provenienza sociale (Watson 2002, p. 237 sg.; per Zoilo come
ex-schiavo vd. la n. intr. all’epigr. 29). L’epigramma presenta una sorta
di Ringkomposition: i primi versi (1-4), che paragonano Zoilo a delle
prostitute, a vantaggio di queste ultime, rendono immediatamente esplicita
la corruzione morale del personaggio, su cui è costruita la pointe finale
(33). Il corpo centrale del componimento descrive minuziosamente Zoilo
(5-17) e il suo atteggiamento sprezzante nei confronti dei convitati (18-
31), che ricevono cibi e vini di pessima qualità, diversamente dagli schiavi
dell’ospite. La conclusione non lascia possibilità di riscatto ai convitati: la
corruzione sessuale dell’ospite (33 fellat) vanifica le velleità di vendetta
attraverso l’irrumatio. Il destinatario dell’epigramma, nominato soltanto
all’ultimo verso, è Rufo. Il cognomen è tra i più frequenti negli epigrammi
di Marziale e, in generale, nel mondo latino (vd. Kajanto 1965, p. 29 sg.).
Portavano questo cognomen almeno cinque amici del poeta (Camonius,
Canius, Instanius, Iulius, Safronius). Un Rufo è nominato in questo libro
ancora negli epigr. 94, 97, 100. Secondo Friedlaender in tutti questi casi
si tratta di Canio Rufo (per cui vd. la n. intr. all’epigr. 20), ma non vi
sono elementi che consentono un’individuazione sicura del personaggio
(nel caso dell’epigr. 94 il nome è certamente fittizio; per il Rufo degli altri
due epigr. vd. la n. intr. a 97). Nei numerosi casi in cui compare il solo
cognomen Rufo non è possibile stabilire con certezza di chi si tratti (vd.
Nauta 2002, p. 41 sgg.). L’ipotesi prospettata dubbiosamente da Grewing
1998, p. 350, che il nome contenga un’allusione etimologica al gr.
(ion. ) ‘succhiare’, mi sembra da escludere.

1-4: l’esordio dell’epigramma colloca subito il personaggio in una


dimensione sordida e degradata: egli viene assimilato a delle prostitute, di
cui è anzi considerato peggiore.
2. Summemmianas … uxores: le Summemmianae uxores sono le
prostitute del Summemmio. L’espressione ricorre identica anche in XII
32, 22. In questo caso è l’attributo che designa il luogo, piuttosto che
l’innocente sostantivo, a richiamare inequivocabilmente l’attività che vi era
praticata: cfr. XI 78, 11 Suburanae … magistrae; Priap. 40, 1 Suburanas
… puellas con il commento di Goldberg; vd. al riguardo Adams 1983,
p. 339 sg.; per l’uso di termini matrimoniali per rapporti sessuali cfr. 30,
4 unde vir es Chiones? con la n. ad loc.; vd. Adams, LSV, p. 159 sgg.
488 M. Val. Martialis liber tertius

Il termine Submemmium dovrebbe indicare un lupanare adiacente ai


Memmiana: cfr. Ps. Cornut. schol. Iuv. 3, 66 Aurelianis lupanaribus,
quae Memmiana prius dicta sunt, quia Memmius hoc primus statuit.
Meno probabile sembra che si possa trattare di un nome scherzoso del
proprietario (Submemmius, come Subnero, detto di Domiziano in Tert.
pall. 4, 5), come intende V. Lundström, Summoenium, «Eranos» 13, 1913,
p. 209. In Marziale cfr. anche I 34, 5 sg. at meretrix abigit testem veloque
seraque / raraque Summemmi fornice rima patet (con il commento di
Citroni); XI 61, 2 Summemmianis inquinatior buccis (ancora riferito ad
un impurus ore; vd. il commento di Kay, che per l’uso di sub- per indicare
vicinanza geografica confronta l’agg. suburbanus). La grafia Summemm-,
prevalente nei codici medievali, è stata restaurata in tutti i passi di Marziale
da Lindsay (vd. ALL 13, 1904, p. 279; Lindsay 1904, p. 59), seguito dai
successivi editori. Gli editori precedenti a Lindsay leggevano, con la
tradizione umanistica, Summoen-, interpretandolo come un riferimento
a lupanari ricavati sfruttando tratti della cinta muraria della città (sub
moenibus): vd. Friedlaender, ad I 34, 6.
3. curta … testa: l’immagine, che trasmette un’idea di miseria e sporcizia,
ricorre, per delle prostitute, anche in I 92, 5 nec curtus Chiones Antiopesque
calix; per l’uso di curtus cfr. XII 32, 13 matella curto rupta latere meiebat;
Lucil. 445 Samio curtoque catino; Iuv. 3, 270 sg. curta … / vasa; vd.
ThlL IV 1540, 1 sgg. - Ledae: una fellatrix, il cui os impurum contamina
il recipiente da cui beve (per tale convinzione vd. la n. intr. all’epigr. 17); il
nome ricorre per una prostituta anche in II 63, 2; IV 4, 9; XI 61, 4. I nomi
greci erano comuni per le prostitute romane (vd. Griffin 1976, p. 95 sgg.;
Courtney a Iuv. 3, 136). – sobrius: solo un ubriaco potrebbe farlo: cfr. 16,
3 neque enim faceres hoc sobrius umquam con la n. ad loc.
4. purius …: l’attributo, spesso in relazione al sesso orale (vd. la n. a 75,
5), costituisce un’anticipazione della perversione sessuale del protagonista
espressa in conclusione. - contendo: per l’accezione di affirmo, assevero
cfr. X 33, 7 sg. nec scribere quemquam / talia contendas carmina qui
legitur; Iuv. 6, O 28 purum te contendo virum; vd. ThlL IV 664, 82 sgg.
5. galbinatus: hapax nella letteratura latina, derivato da galbinus, aggettivo
che designa un colore ‘inter flavum et viridem’ (ThlL VI 1671, 56 sgg.; vd.
André 1949, p. 148 sgg.). Gli abiti di colori vivaci erano considerati inadatti
per gli uomini e indice di effeminatezza (sull’argomento vd. A. Casartelli,
La funzione distintiva del colore nell’abbigliamento romano della prima
Epigramma 82 489

età imperiale, «Aevum» 72, 1998, spec. p. 120 sgg.; Herter, Effeminatus,
629 sgg.): per il verde cfr. V 23, 1 herbarum fueras indutus, Basse, colores;
Iuv. 2, 97 caerulea indutus scutulata aut galbina rasa; Lampr. Heliog. 19,
2 aestiva convivia coloribus exhibuit, ut hodie prasinum, vitreum alia
eqs.; Vopisc. Aurelian. 34, 2 clamide coccea, tunica galbina … ornatus;
per l’identificazione del colore con i mores in Marziale cfr. l’audace traslato
di I 96, 9 fuscos colores, galbinos habet mores. Seneca parla con disprezzo
dell’uso da parte di uomini di abiti dai colori troppo vivaci (nat. VII 31
colores meretricios matronis quidem non induendos viri sumimus). Il
verde, colore caro a Trimalchione (cfr. Petron. 27, 2 soleatus pila prasina
exercebatur; 28, 8 ostiarius prasinatus; 64, 6 puer … catellam nigram
… prasina involvebat fascia; 67, 4 Fortunata … galbino succincta
cingillo), è apprezzato anche da Zoilo: cfr. anche v. 11 prasino … flabello.
Marziale mostra una particolare predilezione per gli aggettivi in –atus per
indicare l’abito di una persona, soprattutto in relazione al colore: si tratta
di formazioni tarde, appartenenti alla lingua d’uso, per lo più evitate in
poesia elevata (vd. André 1949, p. 210 sg.); tali aggettivi sono a volte hapax
assoluti, a volte ricorrono in Marziale per la prima volta (vd. il commento
di Citroni a I 96, 5 sg.; E. Stephani, De Martiale verborum novatore,
«Breslauer philologische Abhandlungen» IV 2, 1889, p. 63 sgg.; Watson
2002, p. 242 sg.): cfr. coccinatus (I 96, 6; V 35, 2); baeticatus (I 96, 5);
leucophaeatus (I 96, 5); amethystinatus (II 57, 2); canusinatus (IX 22, 9);
vd. anche prasinatus (Petron. 28, 8).
6: per l’immagine degli ospiti quasi spinti giù dai letti tricliniari cfr.
Petron. 70, 11 paene de lectis deiecti sumus, adeo totum triclinium
familia occupaverat. I modi villani di Zoilo non trovano però precedenti
in Trimalchione (non calzante il parallelo proposto da Colton 1982, p. 77
con Petron. 39, 2 reclinatus in cubitum).
7: il dettaglio compare in Petronio, dove Trimalchione è positus … inter
cervicalia minutissima (32, 1) e fultus … cervicalibus multis (78, 5). La
porpora, con cui erano rivestiti i lecti (vd. ThlL IX 2, 1161, 70 sgg.), e i
cuscini di seta sono simboli di lusso: cfr. Hor. epod. 8, 15 sg. quid? quod
libelli Stoici inter Sericos / iacere pulvillos amant; carm. III 29, 14 sg.
pauperum / cenae sine aulaeis et ostro; vd. anche Prop. I 14, 20-22. Sericus
significa ‘di seta’, per metonimia dalla regione di provenienza del prezioso
tessuto (vd. OLD, s.v. Sericus, nr. 2; RE II A, s.v. Serica, 1724, 24-1727,
44). In IX 37, 3; XI 8, 5; 27, 11 l’aggettivo è sostantivato. Il diminutivo
490 M. Val. Martialis liber tertius

pulvillus compare per la prima volta in Orazio (epod. 8, 16 cit. supra), da


cui Marziale riprende il nesso Serici pulvilli; quindi in Apul. met. X 20;
Front. Ver. 2 p. 148 (128 N).
8 sg. exoletus: sulla diffusa abitudine di tenere in casa amasii si veda
il biasimo di Seneca: dial. I 13, 13 quanto magis huic (sc. Socrati)
invidendum est quam illis quibus gemma ministratur, quibus exoletus
omnia pati doctus exsectae virilitatis aut dubiae suspensam auro nivem
diluit! – ructanti: l’abitudine lo consentiva: cfr. IX 48, 8 ructat adhuc
aprum pallida Roma meum; Iuv. 3, 107 si bene ructavit, si rectum minxit
amicus. – pinnas rubentes: le penne di fenicottero (cfr. III 58, 14 nomenque
debet quae rubentibus pinnis) potevano servire da stuzzicadenti; le piume
venivano utilizzate per titillare la gola e favorire il vomito. Trimalchione
utilizza per pulirsi i denti una pinna argentea (33, 1). – cuspidesque len-
tisci: gli stuzzicadenti di lentischio erano i più apprezzati: cfr. XIV 22 tit.
dentiscalpium. lentiscum melius: sed si tibi frondea cuspis / defuerit,
dentes pinna levare potest; VI 74, 3 fodit … tonsis ora laxa lentiscis; vd. al
riguardo RE V 221, 56 sgg.; Daremberg-Saglio II 1, p. 102.
10. aestuanti: in V 79 Zoilo si cambia undici volte durante una cena per
evitare che il sudore di cui è impregnata la veste aderisca alla sua pelle.
11. supina … concubina: l’attributo denota una posizione lasciva, adatta
al ruolo della concubina; per l’uso in contesti sessuali vd. Adams, LSV,
p. 192. – prasino … flabello: il ventaglio è oggetto di uso femminile: cfr.
Ter. Eun. 595; Prop. II 24, 11. Flabellifera è definita in Plaut. Trin. 253 la
serva che ricopre la mansione di fare aria alla padrona. Sulla predilezione
di Zoilo per il verde, segno di effeminatezza, vd. la n. al v. 5.
12. fugatque muscas … puer: scacciare le mosche era compito servile: cfr.
Cic. de orat. II 247; Sen. dial. IV 25, 3. - myrtea … virga: sui ventagli per
scacciare le mosche (muscaria) cfr. XIV 67 tit. muscarium pavoninum;
67 tit. muscarium bubulum; vd. Daremberg-Saglio III 2, p. 2070.
13. percurrit … corpus: l’espressione appartiene alla terminologia
medica: cfr. Ser. med. 83; Marcell. med. VIII 170. - tractatrix: il termine
è hapax in letteratura; ricorre solo in CIL VI 37823. Sul tractator e sulla
tractatrix, schiavi addetti a massaggiare il padrone, vd. RE VI A 2, s.v.
tractator, 1866, 65-1867, 30; Daremberg-Saglio V, p. 383. L’atteggiamento
di Marziale trova un sostegno filosofico nel biasimo di Seneca (epist. 66,
53): an potius optem ut malaxandos articulos exoletis meis porrigam?
ut muliercula aut aliquis in mulierculam ex viro versus digitulos meos
Epigramma 82 491

ducat? quidni ego feliciorem putem Mucium, quod sic tractavit ignem
quasi illam manum tractatori praestitisset. La diffusione dell’attività è
testimoniata dalle iscrizioni (cfr., ad es., CIL VI 32775, 2); un certo Xanthus
fu tractator degli imperatori Tiberio e Claudio (CIL VI 33131).
14. manum … doctam: per la iunctura cfr. Tib. I 8, 11 sg. ungues /
artificis docta subsecuisse manu; Sen. Tro. 885 crinemque patere docta
distingui manu; per il tono sarcastico cfr. Sen. epist. 47, 6 alius pretiosas
aves scindit; per pectus et clunes certis ductibus circumferens eruditam
manum frusta excutit. Per doctus riferito all’abilità manuale cfr. Mart. VI
52, 3 sg. vix tangente vagos ferro resecare capillos / doctus et hirsutas
excoluisse genas. – spargit: manum spargere in questa accezione non offre
paralleli; l’espressione spargenda est manus di Sen. epist. 29, 2 ha diverso
significato.
15 sgg.: la scena è ripresa da Petron. 27, 5 sgg. Trimalchio digitos
concrepuit, ad quod signum matellam spado ludenti subiecit (vd. Colton
1982, p. 79). L’uso di una matella per l’urina è attestato ancora in VI 89, 1
sg.; XIV 119 (tit. matella fictilis); cfr. anche X 11, 3 sg.; CLE 932, 2. Seneca
definisce la mansione servile et contumeliosum ministerium (epist. 77,
14). Lo schiavo di Zoilo è costretto ad un servigio ancora più umiliante. –
digiti crepantis signa: per lo schiocco delle dita come ordine per lo schiavo
cfr. VI 89, 2 arguto … pollice; XIV 199, 1 crepitu digitorum; Petron. 27,
5 digitos concrepuit. – delicatae sciscitator urinae: comica espressione che
attribuisce al servo incaricato dell’umiliante azione un titolo che non può
non apparire fortemente sarcastico (come l’uso di delicatus per l’urina del
padrone). Sciscitator è probabilmente conio di Marziale; quindi ricorre
soltanto in Amm. XXII 16, 16; Auson. grat. act. V 21; Prud. cath. VII
193. La rarità del vocabolo è alla base della banalizzazione suscitator della
tradizione umanistica. Sulla predilezione di Marziale per i sostantivi in –tor
vd. la n. a 14, 1 esuritor. – ebrium … penem: per l’uso dell’attributo per
parti del corpo invece che per la persona cfr. Petron. 73, 3 diduxit usque
ad cameram os ebrium; 79, 9 cum solutus mero remisissem ebrias manus.
Qui concorre alla comica personificazione del penis. Penis, sebbene sia
considerato un’oscenità da Cic. epist. IX 22, 2, è termine colloquiale, usato
da Sall. Cat. 12, 4 e dai satirici (Pers. 4, 35; 48; Iuv. 6, 337; 9, 43), che
evitano mentula (su cui vd. la n. a 68, 7 sgg.); al riguardo vd. Adams, LSV,
p. 35 sg.; in Marziale ricorre otto volte contro 49 di mentula.
18. ipse: l’uso di ipse per dominus (cfr. anche v. 26 et Cosmianis ipse fuscus
492 M. Val. Martialis liber tertius

ampullis) appartiene alla lingua d’uso (vd. OLD s.v. nr. 12): cfr. Plaut. Cas.
790 ego eo quo me ipsa misit; Aul. 356 si a foro ipsus redierit; Catull. 3, 6
sg. nam mellitus erat (sc. passer) suamque norat / ipsam tam bene quam
puella matrem; CGL V 535, 20 ipsa: domina (vd. Heraeus 1937, p. 78
sg.). Il pronome è usato, con sfumatura sarcastica, per Nasidieno (Hor.
sat. II 8, 23 Nomentanus erat super ipsum, Porcius infra), Trimalchione
(Petron. 29, 8 pyxis aurea non pusilla in qua barbam ipsius conditam esse
dicebant) e Virrone (Iuv. 5, 114 anseris ante ipsum magni iecur). – ad
pedum turbam: sugli schiavi ad pedes, che accompagnavano il padrone al
banchetto, assistendolo presso il letto tricliniare, vd. la n. a 23, 2.
19: Zoilo ciba i cagnolini con fegato d’oca. Il comportamento stravagante
e villano trova un curioso parallelo in Lampr. Heliog. 21, 1 canes iecinoribus
anserum pavit. Sul fegato d’oca, cibo tra i più raffinati, cfr. XIII 58 con il
commento di Leary2; Hor. sat. II 8, 88; Stat. silv. IV 6, 9 sg.; Iuv. 5, 114;
vd. André 1981, p. 129 sg. – lambentis: sulle forme di accusativo plurale in
–is vd. la n. a 10, 2 omnis.
20 sg.: Zoilo riserva per i suoi schiavi cibi di prima qualità. Marziale tace
su quanto è offerto agli ospiti, ma si evince chiaramente che si tratta di cibi
di qualità inferiore (per i vini cfr. v. 22 sgg.). – apri glandulas: si tratta della
parte più delicata dell’aper (vd. André 1981, p. 115; ThlL VI 2030, 48 sgg.);
cfr. VII 20, 4 ter poscit apri glandulas. – palaestritis: su questo genere di
schiavi, incaricati di allenare il padrone, ma spesso usati a scopo sessuale,
cfr. VI 39, 9; XIV 201 con il commento di Leary1; vd. anche la n. a 58, 25.
– turturum natis: un’altra delicatezza (vd. la n. a 60, 7 aureus immodicis
turtur te clunibus implet). Sulle forme di accusativo plurale in –is vd. la n.
a 10, 2. Natis accusativo plurale ricorre altre sei volte in Marziale, contro
un solo caso di nates (I 92, 8).
22 sg.: per l’uso di servire agli ospiti vini peggiori di quelli che beve
l’anfitrione vd. la n. intr. all’epigr. 49. – Ligurum … saxa: ardita espressione
metonimica per indicare ‘vino della rocciosa Liguria’ (cfr. la metonimia in
XIV 118, 1 cit. infra; sulle metonimie, spesso originali, di Marziale vd.
Fenger 1906, spec. p. 31 sg.). La scarsa qualità dei vini liguri è attestata da
Strabone IV 6, 2; tra i vini liguri Plinio il Vecchio attribuisce la palma a quello
di Genova (nat. XIV 68). Sulla conformazione rocciosa del territorio ligure
cfr. Strabo V 1, 12. Assolutamente improbabile la correzione di Heinsius
vappa cum ministretur (cfr. XII 48, 14 et Vaticani perfida vappa cadi).
– cocta fumis musta Massilitanis: il vino di Marsiglia era affumicato per
Epigramma 82 493

accelerarne la maturazione (cfr. Colum. I 6, 20); il processo produceva però


vini di qualità scadente: cfr. X 36, 1 improba Massiliae quidquid fumaria
cogunt; XIII 123 tit. Massilitanum. cum tua centenos expunget sportula
civis, / fumea Massiliae ponere vina potes; XIV 118, 1 sg. Massiliae fumos
miscere nivalibus undis / parce, puer, constet ne tibi pluris aqua. Plinio il
Vecchio ne loda invece la qualità (nat. XIV 168), attribuendo ad altri vini
della Gallia Narbonese questa caratteristica.
24 sg. Opimianum … nectar: il vino Opimiano prende il nome dal
console di un’annata prestigiosa per i vini (121 a.C.; vd. al riguardo la n. a
26, 3); l’aggettivo Opimianus è sostantivato in IX 87, 1; X 49, 2. Nectar
indica un vino così pregiato da poter essere assimilato al nettare degli dei:
cfr. VIII 50 (51), 17 imbuat egregium digno mihi nectare munus; XIII
108, 1 nectareum … Falernum. – morionibus: era diffusa a Roma l’usanza
di tenere in casa ‘idioti’, come fonte di divertimento, soprattutto nei
banchetti (vd. Marquardt 1886, p. 152); sui moriones si veda la definizione
di Aug. epist. 166, 17 quidam … tantae sunt fatuitatis ut non multum a
pecoribus differant, quos moriones vulgo vocant. Il loro prezzo poteva
essere molto elevato: cfr. VIII 13 morio dictus erat: viginti milibus emi.
/ redde mihi nummos, Gargiliane: sapit; vd. anche VI 39, 17; XII 93,
3; XIV 210; Sen. epist. 50, 2; Plin. epist. IX 17; sull’argomento vd. anche
Daremberg-Saglio III 2, p. 2005. Il fatto che Zoilo offra vino Opimiano
ai moriones costituisce un’ulteriore umiliazione per gli ospiti, che bevono
vini pessimi. – crystallinisque murrinisque: coppe di gran valore; sono
ricordate insieme in Sen. epist. 123, 7; Plin. nat. XXXVI 1; XXXVII 29;
49; Iuv. 6, 155 sg. Coppe di cristallo sono menzionate da Marziale in I 53,
6; VIII 77, 5; IX 22, 7; 73, 5; 59, 13; X 14, 5; 66, 5; XII 74, 1 XIV 111;
vd. ThlL IV 1262, 30 sgg.; Marquardt 1886, p. 743. Sui murrina, sempre
menzionati da Marziale come oggetti di lusso, vd. la n. a 26, 2. – propinat:
qui pr -, come in I 68, 3; VIII 6, 13; X 49, 3; XII 74, 9; prŏ- invece al v. 31,
in II 15, 1; VI 44, 6; Iuv. 5, 127; vd. Giarratano 1908, p. 87; sull’oscillazione
della quantità di pro- nei composti vd. Mueller, De re metrica, p. 451 sgg.
26. Cosmianis … fuscus ampullis: Zoilo è scuro per il profumo di cui è
completamente cosparso: cfr. VI 55, 1 sg. quod semper casiaque cinnamoque
/ et nido niger alitis superbae; XI 15, 6 pingui sordidus … Cosmiano; XII
17, 7 circumfusa rosis et nigra recumbit amomo (la febris personificata); 38,
3 niger unguento; Stat. Theb. VI 576 pingui … cutem fuscatur olivo (sc.
Parthenopaeus); cfr. anche Iuv. 8, 159 assiduo Syrophoenix udus amomo (su
494 M. Val. Martialis liber tertius

fuscus vd. André 1949, p. 123 sgg.). La lezione fuscus riceve il sostegno di
entrambe le famiglie di codici, poiché anche fuscis della seconda famiglia si
spiega agevolmente come corruttela determinata da omeoteleuto (Cosmianis
… fuscis ampullis). Essa è stata difesa da Heraeus (con l’approvazione di
Housman 1925, p. 200 = Class. Pap., p. 1100), seguito da Giarratano e SB; la
lezione umanistica fusus, accolta dagli editori precedenti a Heraeus, da Izaac
e, recentemente, da Watson-Watson, è senz’altro di origine congetturale e,
pur se accettabile per il senso (cfr. Tib. I 7, 50 multo tempora funde mero;
Lygd. 2, 20 niveo fundere lacte [sc. ossa]), appare certamente da rigettare
(contra vd. Helm 1956, p. 301). Su Cosmo, il profumiere più celebre del
tempo, vd. la n. a 55, 1. Ampulla, termine della sfera colloquiale, designa
il recipiente che conteneva il profumo: cfr. Petron. 78, 3 statim ampullam
nardi aperuit omnesque nos unxit; vd. ThlL I 2018, 39 sgg. Qui è metonimia
per il profumo in essa contenuto (vd. Fenger 1906, p. 29 sg.).
27 sg.: ancora una disparità di trattamento per gli ospiti, che ricevono un
profumo di infima qualità (sull’uso di distribuire profumo al banchetto vd.
la n. intr. all’epigr. 12). – non erubescit: per la vergogna (vd. ThlL V 2, 821,
17 sgg.): cfr. VII 20, 6 nec erubescit peierare de turdo; VIII 17, 4 tanto plus
debes … quod erubui; 59, 11 sg. nec dormitantem vernam fraudare lucerna
/ erubuit fallax; XI 15, 5 sg. qui (sc. libellus) vino madeat nec erubescat
pingui sordidus esse Cosmiano; 16, 9 erubuit posuitque meum Lucretia
librum; la costruzione con l’infinito ricorre per la prima volta in Verg. ecl.
6, 2 neque erubuit silvas habitare Thalea. – murice aureo: l’uso del murex
come recipiente per unguento è attestato soltanto qui. La raffinatezza del
contenitore stride con la miseria del profumo (cfr. infra). – moechae pauperis:
la notazione chiarisce la bassa qualità del prodotto ed evoca lo squallido
ambiente delle prostitute (cfr. vv. 1-4). L’uso di moecha nell’accezione di
meretrix risale a Catull. 42, 3; 11 sg.; 19 sg. (vd. ThlL VIII 1325, 54 sgg.;
Adams 1983, p. 350 sgg.; C. Fayer, Denominazioni di meretrici a Roma,
in . In ricordo di Maria Laetitia Coletti, a c. di M.S. Celentano,
Alessandria 2002, p. 102 sgg.). In Marziale cfr. anche III 93, 15 bustuarias
moechas. – capillare: sc. unguentum; l’uso sostantivato è hapax.
29: per l’ubriachezza dell’ospite cfr. Petron. 78, 5 Trimalchio ebrietate
turpissima gravis. Il septunx equivale ad una misura di sette ciati; il termine
ricorre anche in VIII 50 (51), 25. – perditus stertit: per la descrizione degli
esiti della sbronza cfr. Cael. fr. 17 Malcovati ipsum (sc. C. Antonium)
offendunt temulento sopore profligatum, totis praecordiis stertentem.
Epigramma 82 495

30 sg.: l’ultima immagine rappresenta il culmine delle umiliazioni patite


dagli ospiti, costretti a brindare in silenzio per non disturbare il sonno
dell’anfitrione. – rhonchis: grecismo di stampo colloquiale ( ),
attestato in Marziale anche in I 3, 5; IV 86, 7, con accezione traslata
ad indicare il disprezzo del critico troppo esigente (vd. Citroni, p. 26).
– propinamus: qui prŏ-: vd. la n. al v. 25.
32. Malchionis: Malchio, cognomen di servi e liberti (cfr. CIL VI 3999; 2,
11410; 31183; IX 41; 3188; 5028; X 2644; vd. H. Solin, L’interpretazione
delle iscrizioni parietali, Faenza 1970, p. 60 n. 36), richiama immediatamente
il Trimalchio petroniano. Il nome, glossato con ‘odioso’ in CGL
II 126, 27, che sembra però chiosare il testo di Marziale, è la trascrizione
latina del greco , diminutivo di (lat. Malchus; per il
suffisso diminutivo - , frequente nell’onomastica maschile greca, cfr. III
84, 2 Gongylion), derivante a sua volta da un antroponimo semitico, che
presenta la stessa radice del vocabolo arabo malik (= re); cfr. Porph. vit.
Plot. 17; Eunap. vit. Porph. 4, 4. Malchio dunque dovrebbe equivalere a
regulus (‘reuccio’), con accezione dispregiativa (per cui cfr. III 16, 1, sutorum
regule). Il nome sarebbe particolarmente appropriato per un personaggio
arricchito e volgare che assume atteggiamenti sprezzanti nei confronti dei
suoi ospiti. Meno plausibile per motivi glottologici l’ipotesi sostenuta da
Ker (e da numerosi interpreti petroniani) che il nome sia da ricollegare al
gr. (vd., ad es., la traduzione di M. Scàndola: «quest’obbrobrioso
smidollato»; Watson-Watson, p. 278), di cui esiste in latino la traslitterazione
malacus. In generale sull’interpretazione di Malchio (e Trimalchio) vd. Priuli
1975, p. 35 sgg. Gli editori considerano quasi tutti Malchio nome proprio,
da intendere in funzione antonomastica, con l’eccezione di Friedlaender
(vd. anche Friedlaender, Cena Trimalchionis, p. 209 Trimalchio), Duff
e SB2, che traduce «this insolence of an outrageous cad» (però Malchio
compare nell’index nominum e nel testo in SB1). – fastus: qui nell’accezione
di superbia, fastidium (vd. ThlL VI 1, 330, 58 sgg.: ‘praevalet notio alios
despiciendi, in alios insolenter agendi’); cfr. VII 39, 2 sg. et fastus et have
potentiorum / cum perferre patique iam negaret. La corruttela faustus di
ricorre, nella stessa famiglia, in VII 39, 2 cit. supra.
33: l’ultima parola (fellat) costituisce, come spesso, la pointe dell’epi-
gramma: Marziale condensa nel verbo tutta la spregevolezza del per-
sonaggio e, al tempo stesso, l’impossibilità di vendetta da parte degli ospiti
(attraverso l’irrumatio): Zoilo è un fellator e pertanto l’irrumatio non
496 M. Val. Martialis liber tertius

costituisce per lui una minaccia adeguata (vd. Adams, LSV, p. 126). Per
Zoilo come fellator cfr. XI 30, 1 sg. os male causidicis et dicis olere poetis.
/ sed fellatori, Zoile, peius olet; 85, 1 sg. sidere percussa est subito tibi,
Zoile, lingua, / dum lingis. certe, Zoile, nunc futuis; vd. anche II 42;
VI 91, 1. Fellare è volgarismo frequente nelle iscrizioni parietali, usato in
letteratura solo nell’epigramma (Catullo, Marziale, Ausonio): vd. ThlL VI
1, 456, 29 sgg.; Adams, LSV, p. 130 sgg. In Marziale fello presenta undici
occorrenze, cinque fellator. La spiegazione del verso come un riferimento
all’irrumatio viene attribuita da SB1 ad Housman 1907, p. 258 (= Class.
Pap., p. 733): «nec vindicari possumus irrumando; fellator est enim, ut
eam poenam non invitus passurus sit»; essa era però già stata esposta
negli stessi termini da Gilbert (apud Friedlaender): «Und wir können uns
nicht durch irrumatio rächen, denn das ist für ihn keine Strafe». Che la
minaccia di irrumatio fosse soltanto una forma di aggressione verbale è
generalmente riconosciuto: vd. Housman 1907, p. 257 (= Class. Pap., p.
733): «The Romans had a rough pleasantry, in the form of a threat, which
they used to fling indiscriminately at friends and foes without any serious
meaning»; Adams, LSV, pp. 125-130; cfr. Catull. 16, 1. 14; 21, 7 sg. e 13;
37, 7 sg.; 74, 5 sg.; Priap. 35, 5; 44, 3 sg.; in Marziale cfr. III 96, 3. Non
persuasive le argomentazioni di A. Richlin (The meaning of irrumare in
Catullus and Martial, «CPh» 76, 1981, p. 42) che non ritiene indebolita la
minaccia.
Epigramma 83 497

83

Ut faciam breviora mones epigrammata, Corde.


‘Fac mihi quod Chione’: non potui brevius.

cum 82 confl. f tit. ad cordum LPQEAX, f in mg.: ad corbum V 1 corde X:


cordex EAV 2 potui brevius V²s.l.: potuit ore tuis EAX potuere tuis V¹

Mi esorti a fare epigrammi più brevi, Cordo.


«Fammi quel che mi fa Chione»: più breve non ho potuto farlo.

Cordo invita Marziale a scrivere epigrammi di dimensioni più ridotte.


Il poeta gli risponde con un insulto a sfondo sessuale (‘Fac mihi quod
Chione’), con cui dimostra di non dare valore alle sue obiezioni
meramente quantitative e però, allo stesso tempo, soddisfa la richiesta
del critico realizzando una specie di ‘epigramma nell’epigramma’ (Merli
1996, p. 220) costituito soltanto dal primo hemiepes del pentametro. In
conclusione, con un tratto di falsa modestia venata di ironia, Marziale si
giustifica per non essere riuscito ad ottenere una maggiore brevità (non
potui brevius). Il distico segue non a caso un epigramma lungo (33 vv.):
alle obiezioni di eccessiva lunghezza degli epigrammi egli risponde con un
Einzeldistichon, mostrando in aggiunta di poter realizzare epigrammi ancor
più brevi (vd. quanto detto supra). Anche altrove Marziale risponde con
un Einzeldistichon alle accuse di eccessiva estensione dei suoi epigrammi
(vd. Lausberg 1982, pp. 459-462): cfr. I 110 scribere me quereris, Velox,
epigrammata longa. / ipse nihil scribis: tu breviora facis (I 109 è di 23
vv.); si vedano anche II 77, seguito da cinque monodistici; VIII 28-29.
Nell’opera di Marziale sono presenti numerose apologie degli epigrammi
lunghi: cfr. I 110; II 77; VI 65; X 59; sull’argomento vd. Szelest 1980, pp.
99-108. Mentre altrove egli si richiama a modelli autorevoli (VI 65) oppure
suggerisce un’idea relativa di lunghezza (II 77), qui Marziale risponde alle
critiche con un insulto osceno che è in tono con il carattere generale della
sezione del libro; non a caso un’allusione oscena è la risposta del poeta
alle obiezioni di un critico in un altro epigramma di argomento letterario
(XI 90) contenuto nel libro che ha, per la sua ambientazione saturnalicia,
carattere programmaticamente licenzioso (vd. Kay, pp. 5 sg.; 57 sgg.; 71
498 M. Val. Martialis liber tertius

sgg.; l’interpretazione del v. 10 dell’epigramma è dibattuta: vd. almeno Kay,


ad loc.; Salanitro 1991, p. 18 sgg.; Merli 1996, p. 216 sgg.). In entrambi i casi
il tono della polemica letteraria è adattato dal poeta al carattere generale
del libro (o della sezione di libro). Non sembra inoltre casuale che l’insulto
rivolto dal poeta al suo critico si riferisca alla pratica descritta dal verbo che
conclude il lungo epigramma precedente (fellat): Marziale, proponendo
un epigramma della brevità dell’insulto, in esplicita contrapposizione con il
lungo componimento precedente, sembra quasi rispondere polemicamente
a coloro che svalutano l’epigramma, riducendo il suo interesse alla sola
pointe satirica (Aufschluss). Tale schema interpretativo, propugnato dai
seguaci di Lessing (sui suoi limiti vd. Citroni 1969 e la n. intr. all’epigr. 58),
doveva avere sostenitori anche nell’antichità. Cordus è nome fittizio anche
in III 15; in II 57, V 23 e 26 si tratta invece di un conoscente del poeta.

2. ‘Fac mihi quod Chione’: Chione è una fellatrix, come si evince dagli
epigr. 87 e 97 di questo libro; l’espressione fac mihi quod Chione è pertanto
un insulto di natura sessuale espresso in termini eufemistici: vd. al riguardo
Adams, LSV, p. 127 sgg.; Housman 1907, p. 257 (= Class. Pap., p. 733).
Per questo genere di insulto, che ha perso la sua forza originaria, cfr. XI 58,
11 sg. at tibi nil faciam, sed lota mentula lana / cupidae dicet
avaritiae (vd. anche VII 55, 6 sgg.); Petron. 42, 2 cum mulsi pultarium
obduxi, frigori laecasin dico; CIL IV 1854 Caliste, devora; 5396 Ccossuti
[sic], fela ima; sull’argomento E. Degani, Laecasin = , «RCCM»
4, 1962, pp. 362-365 (ora in Filologia e Storia. Scritti di Enzo Degani, I,
Hildesheim-Zürich-New York 2004, pp. 383-386); Housman 19312, p. 410
sg. (= Class. Pap., p. 1182 sg.). L’espressione, posta tra virgolette dagli
editori a partire da Lindsay, ha dato luogo ad alcuni fraintendimenti: Izaac,
Ceronetti (Torino 1964) e Norcio, l’hanno attribuita a Cordo e considerata
un’ulteriore richiesta di epigrammi brevi (l’errore di Izaac era stato già
segnalato nella recensione di Housman 1931, p. 82 = Class. Pap., p. 1173;
vd. ora Merli 1996, p. 220); si veda, ad es., la traduzione di Norcio: «Mi
esorti, o Cordo, a scrivere epigrammi più brevi e mi dici: “Fai con me,
come fa Chione”».
Epigramma 84 499

84

Quid narrat tua moecha? Non puellam


dixi, Gongyilion. Quid ergo? Linguam.

cum 83 confl. f post 85 hab. P tit. ad gongylionem f¹ in mg. (gonc- f²s.l.): ad congylionem
ad goncilionem P ad concylionem L ad goncilium Q 2 Gongylion Schneidewin²: congylion
gongylium f goncylium PQ² gonciliom Q¹ concylium L Tongilion h²blvv1 ed. Rom. 1
ed. Ferr. ed. Ven. ed. Ald. 1501 Schneidewin¹

Che racconta la tua adultera? Non dicevo


la tua ragazza, Gongilione. Che cosa dunque? La tua lingua.

L’epigramma prende di mira Gongilione (sul nome vd. la n. al v. 1).


Nel primo verso il bersaglio di Marziale sembra essere la sua relazione
extraconiugale con una donna (tua moecha), ma l’ultima parola
dell’epigramma (linguam) rivela che il vero obiettivo della satira è la
perversione sessuale del protagonista, che è impurus ore, oltre che
adultero. Secondo Shackleton Bailey 1989, p. 134 (vd. anche SB2, p.
263 n. d) con tua moecha (v. 1) bisogna intendere «your wife’s female
lover»; egli porta a confronto l’espressione tui Deiphobi di III 85, 4. La
spiegazione appare piuttosto capziosa e non convincente; inoltre mentre
nell’espressione tui Deiphobi di III 85, 4, rivolta ad un marito che ha
mutilato del naso l’amante della moglie, l’aggettivo possessivo consente
un’ironica attualizzazione della vicenda mitica rievocata (vd. la n. ad loc.),
qui con tua moecha difficilmente potrà trattarsi d’altro che dell’amante di
Gongilione (cfr. XI 11, 5 sg. te potare decet gemma, qui Mentora frangis,
/ in scaphium moechae, Sardanapalle, tuae). Non si vede inoltre perché
Marziale dovrebbe domandare a Gongilione cosa racconta l’amante (fem-
mina) di sua moglie. Senz’altro da rifiutare anche l’interpretazione di Eden
1999, p. 579, per cui destinatario dell’epigramma non sarebbe un uomo,
bensì una donna (Gongylion sarebbe da intendere come diminutivo di
); tua moecha farebbe pensare ad una rivale, mentre in realtà
«she is herself her own rival, offering her clients her tongue ad fellandum
in lieu of her vagina».
500 M. Val. Martialis liber tertius

1. moecha: su moechus / a vd. la n. a 70, 1.


2. Gongylion: la forma è stata introdotta da F.W. Schneidewin (vd. Id.,
Martialis III, 84, «RhM» 4, 1846, p. 149 sg.) nella sua editio minor del
1853, seguito da tutti gli editori. Gongylion, non lontano dal testo tràdito,
è diminutivo del nome greco , attestato a Delo, in Eubea e a
Corinto (vd. Fraser-Matthiews, I, p. 109; III A, p. 101); per i diminutivi in
- di nomi propri maschili cfr. III 82, 32 Malchionis. Tongilion, diffuso
nella tradizione umanistica, è probabilmente tentativo congetturale, basato
su nomi analoghi in Marziale (Tongilius in II 40; Tongilianus in III 52;
XII 88), ma non è attestato. – quid ergo?: espressione ellittica di natura
colloquiale, che introduce un elemento dialogico nell’epigramma (cfr. il
gr. ); frequente in prosa, ricorre raramente in poesia; in Marziale
vi sono vari casi, spesso in preparazione della pointe: cfr. I 41, 2; IV 53,
8; IX 4, 4; 22, 16; vd. al riguardo Siedschlag 1977, p. 27. - linguam: il
termine orienta immediatamente il lettore verso il sesso orale; sull’uso di
lingua in contesti di allusione sessuale vd. la n. a 81, 2; Greenwood 1998.
Per l’analogia della situazione cfr. XI 61, 1 lingua maritus, moechus ore
Nanneius.
Epigramma 85 501

85

Quis tibi persuasit naris abscidere moecho?


Non hac peccatum est parte, marite, tibi.
Stulte, quid egisti? Nihil hic tibi perdidit uxor,
cum sit salva tui mentula Deiphobi.

hab. T; vv. 1-2 hab. R tit. ad maritum zelotypum EXV: ad maritum zelopitum A 1
persuasit TR² : persuassit R¹ naris T: nares R abscidere Lf : abscindere PQ 2
parte LPQf²EAV: parce X parcte f¹ 3 stulte TPQf : sulte L nihil T : nil tibi T:
tua 4 tui LPfEAX: tua V sui Qv1 tibi T ed. Rom. 2 ed. Ald. sibi ed. Ferr. deiphobi
LPf¹: dei phoebi Qf² diei phoebi T

Chi ti ha spinto ad amputare il naso all’amante di tua moglie?


Non è con quella parte, o marito, che ti è stato fatto un torto.
Stolto, cos’hai fatto? Tua moglie non ci ha perso nulla,
dal momento che è salvo il cazzo del tuo Deifobo.

L’epigramma è rivolto ad un marito che ha punito l’amante della moglie


amputandogli il naso. Marziale gli fa presente la stoltezza di tale ferocia,
che consente all’amante, novello Deifobo, di continuare a comportarsi co-
me prima. Il tema costituisce una variazione di II 83 foedasti miserum,
marite, moechum, / et se, qui fuerant prius, requirunt / trunci naribus
auribusque vultus. / credis te satis esse vindicatum? / erras: iste potest et
irrumare (sul senso dell’ultimo verso, piuttosto dibattuto, vd. Shackleton
Bailey 1989, p. 133: «iste potest (etiamnunc) non modo futuere, sed etiam
irrumare»; Williams, ad loc.). Qui la conclusione, che utilizza in chiave
parodica l’episodio di Deifobo dell’Eneide (vd. la n. al v. 4), conferisce
all’epigramma un’arguzia senz’altro maggiore. Il personaggio preso di mira
nell’epigramma è il tipo del marito sciocco (cfr. v. 3 stulte), oggetto anche
altrove della satira di Marziale (vd. la n. intr. all’epigr. 26). La satira contro il
marito, che significativamente Marziale apostrofa soltanto con il vocativo
marite (come in II 83), in modo da estendere l’accusa all’intera categoria,
è intensificata dall’insistita anafora del pronome di seconda persona (1
tibi; 2 tibi; 3 tibi; 4 tui), che pone in risalto il continuo affannarsi del
personaggio per la situazione, ma anche l’inefficacia delle sue soluzioni.
502 M. Val. Martialis liber tertius

1. naris abscidere: la mutilazione di parti del corpo (compresa la castra-


zione) era spesso la punizione subita dagli adulteri còlti in flagrante: cfr.
II 60; III 92; Plaut. mil. 862 sg.; 1394-1427; Poen. 862 sg. Hor. sat. I 2, 41
sgg.; 132 sgg.; Val. Max. VI 1, 13; sull’argomento vd. Treggiari 1991, p. 264
sgg.; J.N. Adams, Martial 2. 83, «CPh» 78, 1983, pp. 311-315. La forma
dell’accusativo in –is, accolta dagli tutti gli editori a partire da Lindsay, è
tramandata qui dal solo T (nares è non solo in , ma anche in R, l’altro
rappresentante della prima famiglia e, in Marziale, ancora in IX 59, 11).
Naris ricorre però a conclusione della descrizione di Deifobo mutilato in
Verg. Aen. VI 497 cit. nella n. al v. 4. Sulle forme di accusativo plurale in
–is in Marziale vd. la n. a 10, 2. – moecho: sul vocabolo vd. la n. a 70, 1.
2. non hac … parte: sc. corporis; pars è eufemismo frequente in Marziale
per indicare le parti intime del corpo: cfr. II 54, 2; III 87, 3; XI 22, 9 sg.;
XII 96, 12; XIV 174, 2; vd. Adams, LSV, p. 45; ThlL X 1, 468, 33 sgg. Qui
l’indeterminatezza dell’espressione favorisce l’effetto comico realizzato
all’ultimo verso dall’esplicito mentula.
3. stulte: in posizione di rilievo ad inizio di verso; per l’apostrofe cfr. VI
10, 12; 63, 3; IX 96, 2; X 100, 1; XIV 140, 1; vd. anche II 40, 8. Stultus e
stultitia appartengono alla lingua colloquiale e sono estranei alla poesia
elevata (vd. Axelson 1945, p. 100): il vocativo ricorre in Plaut. Bacch. 814;
Pers. 830; Rud. 557; Ter. Ad. 724. – tibi: tra gli editori moderni tua di
è stato accolto da SB (che propone però dubbiosamente in apparato sibi)
e Watson-Watson (anche Gilbert in apparato si mostra favorevole: «tua
Scriv., recte; nam cfr. idem vitium in T v. 4»). Tua è senz’altro una lectio
facilior, che potrebbe essere stata provocata dal tui del verso seguente,
mentre tibi è un ironico dativus ethicus, comune nella lingua d’uso (vd.
Kühner-Stegmann, II, p. 324; Hofmann-Szantyr, p. 92 sgg.; Hofmann,
LU, p. 292 sgg.): si tratta di un caso in cui «l’azione di un altro, espressa dal
verbo, viene messa in relazione con il vantaggio o lo svantaggio personale,
in modo logicamente superfluo o inopportuno» (Hofmann, LU, p. 293
sg.): cfr. Ter. Heaut. 820 scin, ubi nunc sit tibi tua Bacchis?; Cic. Catil.
2, 10 qui mihi accubantes in conviviis complexi mulieres impudicas,
vino languidi … eructant sermonibus suis caedem bonorum atque urbis
incendia; Hor. epist. I 3, 15 quid mihi Celsus agit.
4: la conclusione ricalca nel senso quella di II 83 cit. nella n. intr.
L’inefficacia delle risoluzioni del marito è rimarcata dal volgare mentula
(per cui vd. la n. a 68, 7 sgg.). – tui … Deiphobi: l’appellativo di Deifobo
Epigramma 85 503

per l’adultero mutilato allude giocosamente a Virgilio: Deifobo, figlio di


Priamo, sposò Elena dopo la morte di Paride e fu mutilato e ucciso da
Menelao nella notte della caduta di Troia; Virgilio lo fa incontrare ad Enea
nella sua discesa agli Inferi: cfr. Aen. VI 494 sgg. atque hic Priamiden
laniatum corpore toto / Deiphobum vidit, lacerum crudeliter ora, /
ora manusque ambas populataque tempora raptis / auribus et truncas
inhonesto volnere naris (sul personaggio vd. EV II, s.v. Deifobo, p. 15 sg.;
RE IV 2404). Sull’uso da parte di Marziale della mitologia a fini comici
vd. la n. a 32, 3. Sul riferimento, spesso in chiave parodica, a situazioni e
personaggi dell’epica virgiliana cfr. 78, 2; 88, 1; vd. Citroni 19872, p. 399. La
lezione sui (Qv1), accolta in diverse edizioni prescientifiche (Ramirez de
Prado, Scriverius, Schrevel, Collesso), è una chiara banalizzazione: la satira
di Marziale è rivolta al marito, novello Menelao, cui il pronome di seconda
persona riconduce la responsabilità dell’inutile mutilazione dell’amante.
504 M. Val. Martialis liber tertius

86

Ne legeres partem lascivi, casta, libelli,


praedixi et monui: tu tamen, ecce, legis.
Sed si Panniculum spectas et, casta, Latinum,-
non sunt haec mimis improbiora,-lege.

hab. T tit. ad castam T 1 ne legeres : nec legeres T lascivi LQf : lascivia P


praedixisti T 3 panniculum TLPQf¹ : penniculum f²s.l. spectas et T: spectas tu LPQf¹
si spectas si exspectas f²s.l. latinum TLf : latinus P latini Q 4 mimis TLfAXV: nimis
E minus PQ

Ti ho detto in anticipo e avvertito di non leggere, o casta,


la parte lasciva del libretto: ma tu ecco che leggi.
Però se guardi Pannicolo, o casta, e Latino, -
questi carmi non sono più licenziosi dei mimi - leggi pure.

L’epigramma è ancora rivolto alla matrona, che nell’epigr. 68, sul limitare
della sezione oscena del libro, Marziale aveva diffidato dal proseguire la
lettura di epigrammi licenziosi. Come ipotizzato dal poeta nei versi finali
di quell’epigramma (11 sg.), il suo avviso non ha sortito alcun effetto,
stimolando anzi una lettura più attenta della sezione. Il primo distico
dell’epigramma si ricollega esplicitamente all’epigr. 68: incurante del suo
avviso a non procedere nella lettura, la matrona continua a leggere. Ma
come assiste a teatro al mimo (rappresentato dai nomi di Pannicolo e
Latino), così può leggere i suoi epigrammi che non sono certo più licenziosi
(improbiora). L’epigramma sviluppa dunque una forma di apologia della
poesia piccante, attraverso un parallelo con il mimo, genere licenzioso,
ma considerato innocuo. Come nel caso dell’epigr. 68 (di cui vd. la n.
intr.), il modello del discorso di Marziale è Ovidio, che si era servito del
mimo per giustificare la licenziosità dei suoi carmi: trist. II 497 sgg. quid
si scripsissem mimos obscena iocantes, / qui semper vetiti crimen amoris
habent, / in quibus adsidue cultus procedit adulter, / verbaque dat stulto
callida nupta viro? / nubilis hoc virgo matronaque virque puerque /
spectat, et ex magna parte senatus adest; 515 sg. scribere si fas est imitantes
turpia mimos, / materiae minor est debita poena meae. Marziale istituisce
Epigramma 86 505

più volte un parallelo tra la sua poesia e il mimo, specialmente in contesti


programmatici: cfr. I epist. 14 sg. epigrammata illis scribuntur qui solent
spectare Florales. non intret Cato theatrum meum, aut si intraverit,
spectet; I 4, 5 sg. (rivolto a Domiziano) qua Thymelen spectas derisoremque
Latinum, / illa fronte precor carmina nostra legas; 35, 8 sg. quis Floralia
vestit et stolatum / permittit meretricibus pudorem?; altrove la rinuncia al
carattere licenzioso in un libro dedicato all’imperatore si configura come
esclusione dell’elemento mimico: cfr. VIII epist. 11 sgg. quamvis autem
epigrammata a severissimis quoque et summae fortunae viris ita scripta
sint ut mimicam verborum licentiam affectasse videantur, ego tamen illis
non permisi tam lascive loqui quam solent (sul rapporto tra epigrammi di
Marziale e mimo vd. Canobbio 2001, p. 210 sgg.).

1. partem lascivi … libelli: enallage per partem lascivam libelli.


Marziale si riferisce agli epigrammi 68-100: per l’uso di pars in riferimento
a questa sezione del libro cfr. 68, 3 gymnasium, thermae, stadium est hac
parte. Secondo Friedlaender l’espressione indicherebbe genericamente gli
epigrammi licenziosi contenuti nell’intero libro (43), ma l’espressione di
Marziale fa chiaramente riferimento alla sezione introdotta dall’epigr. 68
(cfr. il verso seguente). La lascivia è considerata da Marziale un elemento
costitutivo dei suoi epigrammi: cfr. I epist. 9 sg. lascivam verborum
veritatem, id est epigrammaton linguam, excusarem, si meum esset
exemplum; 4, 8 lasciva est nobis pagina; IV 14, 12 lascivis madidos iocis
libellos; V 2, 5 lascivos lege quattuor libellos; VII 51, 2 et lasciva tamen
carmina nosse libet; 68, 3 quod si lascivos admittit et ille libellos; VIII
epist. 11 sgg. cit. nella n. intr.; XI 16, 3 iam mea Lampsacio lascivit pagina
versu; cfr. anche VII 17, 4 lascivae … Thaliae; Sidonio Apollinare (epist. IV
1, 2) individua la lascivia come elemento caratterizzante dell’epigramma.
Si tratta di un elemento caratteristico della poesia elegiaca ed erotica in
genere: cfr. III 20, 6 lascivus elegis; VIII 73, 5 lascive Properti; IX 26, 10
lascivum … opus (della poesia giovanile di Nerone); X 64, 5 lascivo …
versu (di versi erotici di Lucano); XI 20, 1 Caesaris Augusti lascivos …
versus; vd. anche Prop. II 34, 87 lascivi … Catulli; Ov. ars II 497 lascivi
… praeceptor amoris; III 27 lascivi … amores; 331 Sappho, quid enim
lascivius illa?; Tac. dial. 10, 5 elegorum lascivias; altri esempi in ThlL VII
2, 985, 73 sgg.; sull’argomento P. Migliorini, Lascivus nella terminologia
critico-letteraria latina, «Anazetesis» 2-3, 1980, pp. 14-21. – casta: epiteto
506 M. Val. Martialis liber tertius

consueto delle matrone, anche nelle epigrafi; cfr. Priap. 8, 1 sg. matronae
procul hinc abite castae / turpe est vos legere impudica verba; vd. ThlL III
566, 53 sgg.; qui contiene una sfumatura ironica.
2. praedixi et monui: il riferimento è all’epigr. 68.
3. Panniculum … Latinum: due celebri mimi del tempo. Marziale li
nomina ancora insieme come rappresentanti del genere in II 72, 3 sg.; V
61, 11 sg. Latino, favorito di Domiziano e forse suo delatore (cfr. Iuv. 1,
33 sgg. con il commento di Courtney), è menzionato anche in I 4, 5 (con
Timele) e in XIII 2, 3. Marziale scrisse anche un epitafio per lui (IX 28),
probabilmente destinato ad un suo ritratto (vd. RE XXII A 937, 40 sgg.).
Le matrone potevano liberamente assistere ai mimi: cfr. Ov. trist. II 501 cit.
nella n. intr.; Mart. II 41, 15 sg. – spectas et: il testo tràdito da T, accolto da
tutti gli editori moderni, appare senz’altro preferibile rispetto a si spectas di
e a spectas tu di LPQf¹. All’origine delle varianti sta certamente la caduta
di un monosillabo, supplita in diversi modi. Mentre la lezione di LPQf¹
è evidentemente insostenibile, poiché è necessaria una congiunzione tra
Panniculum e Latinum, la lezione di , accolta da Schneidewin1, è stata
tenuta in considerazione da Heraeus («fortasse recte» p. XXXII) e sostenuta
da Schmid 1984, p. 432, che considera la lezione di T una normalizzazione,
con l’attribuzione immediata del verbo a Panniculum. Per una rivalutazione
della variante di , dominante nella tradizione umanistica e nelle edizioni
prescientifiche, vd. anche Di Giovine 2002, p. 139 sg., che a sostegno
del costrutto con anafora di si nello stesso verso, con il verbo legato al
secondo si, cita IV 86, 6 si te pectore, si tenebit ore; VI 64, 30 si dolor et
bilis, si iusta coegerit ira; VIII 73, 10 si qua Corinna mihi, si quis Alexis
erit; X 13 (20), 9 si tibi mens eadem, si nostri mutua cura est. Tuttavia la
lezione di T sembra preferibile in quanto Marziale nomina Pannicolo e
Latino come coppia di mimi anche in II 72, 3 sg. os tibi percisum quanto
non ipse Latinus / vilia Panniculi percutit ora sono e V 61, 11 sg. o quam
dignus eras alapis, Mariane, Latini: / te successurum credo ego Panniculo;
Latino svolgeva il ruolo del cultus adulter e Pannicolo quello dello stupidus
maritus, sua spalla nel cosiddetto ‘mimo dell’adulterio’ (vd. Canobbio
2001, p. 203 sgg.); la congiunzione et unisce pertanto opportunamente
i due attori che facevano parte dello stesso spettacolo, laddove l’anafora
del si lascerebbe pensare a due distinti mimi. La lezione di è inoltre
sconsigliata dalla cosiddetta ‘legge di Marx’, che sancisce il divieto di porre
un monosillabo tra cesura pentemimere e parola spondaica (vd. le nn. a
Epigramma 86 507

15, 1; 36, 3; 65, 3). L’interpunzione del verso (casta vocativo tra virgole) si
deve a Gilbert 1884, p. 516.
4. mimis improbiora: sulla licenziosità del mimo cfr. VIII epist. 12 sg.
mimicam verborum licentiam; Ov. trist. II 497 mimos obscena iocantes;
515 imitantes turpia mimos; Diom. gramm. I 491, 13 (= Suet. frg. 3
p. 13, 1) mimus est sermonis cuiuslibet <et> motus … cum lascivia
imitatio; in generale sul mimo vd. H. Reich, Der Mimus. Ein litterar-
entwicklungsgeschichtlicher Versuch, I, Berlin 1903, spec. pp. 50-80
(testimonianze antiche sul mimo). Per improbus nell’accezione erotica di
‘lascivo, licenzioso’ (ThlL VII 1, 691, 51 sgg.) cfr. III 75, 4 improba …
satureia; VIII 24, 2 improba … charta; Ov. am. II 5, 23 improba …
oscula; ars III 796 improba verba; trist. II 441 sg. improba … / carmina;
vd. Friedlaender, SR II 394 sg. Per l’opposizione castus / improbus cfr. IV
6, 1 sgg. credi virgine castior pudica / et frontis tenerae cupis videri, /
cum sis improbior eqs. – lege: per la chiusa del pentametro con una sillaba
breve, per lo più evitata nella poesia augustea, vd. la n. a 19, 6 fera.
508 M. Val. Martialis liber tertius

87

Narrat te rumor, Chione, numquam esse fututam


atque nihil cunno purius esse tuo.
Tecta tamen non hac, qua debes, parte lavaris:
si pudor est, transfer subligar in faciem.

hab. T tit. ad chionem (-ē L)EAV: ad hionem X ad chione T 1 narrat te rumor chione
PQ²f² : narrat te rumor chionem L narrata rumor chione f¹ut vid. narrat rumor te chione
Q¹ narrat te chione rumor T fututam LP²QfEA²XV: futuitam P¹ futuam A¹ salitam T 2
nihil cunno : mihi monstro T purius TPQf : prius L 3 qua : que T 4 transfer
TQf² : transfers LPf¹ subligar : subligare T

Le voci raccontano che non sei mai stata fottuta, Chione,


e che non c’è nulla di più puro della tua fica.
Tuttavia ti lavi coprendo non la parte che dovresti:
se hai pudore, sposta il costume in faccia.

Epigramma scommatico diretto contro la fellatrix Chione (cfr. 83, 2;


97). Il primo distico presenta il personaggio in termini di purezza morale;
il v. 3 insinua il dubbio, aprendo il campo alla pointe del v. 4, che rivela la
reale natura di Chione. Costruito e concluso in modo simile è l’epigramma
IV 84 non est in populo nec urbe tota / a se Thaida qui probet fututam, /
cum multi cupiant rogentque multi. / tam casta est, rogo, Thais? immo
fellat.

1. Narrat te rumor, Chione: l’ordo verborum della seconda e della terza


famiglia è stato preferito da Lindsay, Izaac, SB; i restanti editori hanno
invece accolto il testo offerto da T (narrat te, Chione, rumor). In III 83,
2 e 97, 1 il nome Chione è collocato nella stessa posizione metrica che
occupa in T; ciò rende più probabile un’inversione da parte di T, sulla
base di una reminiscenza ritmica, che non il contrario. Forse l’inversione
è dovuta all’avvicinamento del nome proprio al relativo pronome.
L’ordo di T realizza inoltre un omeoteleuto di tipo non presente altrove
in Marziale (te Chione; vd. al riguardo Shackleton Bailey 1994, pp. 52-
55). Sull’attribuzione a voci popolari (rumor) delle insinuazioni di natura
Epigramma 87 509

sessuale vd. la n. a 80, 2. – numquam esse fututam: la stessa chiusura di


verso in XI 62, 1. Per l’uso di futuo vd. la n. a 72, 1.
2. nihil cunno purius esse: esagerazione propria della lingua d’uso, per cui
vd. la n. a 69, 3 nihil est te sanctius uno. Qui insinua nel lettore il dubbio
che la conclusione presenti un attacco di natura sessuale. Allo stesso modo
fornisce un’anticipazione del bersaglio dell’epigramma l’aggettivo purus,
che Marziale spesso utilizza in relazione al sesso orale (vd. la n. a 75, 5).
3. hac … parte: ablativo di rispetto (vd. Hofmann-Szantyr, p. 134 sg.); per
la costruzione cfr. VII 7, 3 fractus … cornu iam ter improbo Rhenus (per
la difesa del testo tràdito contro la congettura improbum di SB, accolta da
Galán Vioque, vd. quanto ho scritto in «RPL» 26, 2003, p. 203 sg.). Pars è
spesso usato da Marziale come eufemismo per indicare i genitali (vd. la n.
a 85, 2); in questo caso consente di mantenere fino in fondo l’ambiguità.
4. si pudor est: per il richiamo al pudor quale freno morale vd. la n. a
74, 5. – subligar: il sostantivo è hapax in Marziale (cfr. VII 67, 4 harpasto
quoque subligata ludit). Il subligar o subligaculum era una sorta di
perizoma indossato dagli attori: cfr. Cic. off. I 129 scaenicorum quidem
mos tantam habet vetere disciplina verecundiam, ut in scaenam sine
subligaculo prodeat nemo; verentur enim ne, si quo casu evenerit, ut
corporis partes quaedam aperiantur, aspiciantur non decore; Iuv. 6, 70
personam thyrsumque tenent et subligar Acci; vd. OLD, s.v. Da questo
verso di Marziale si evince che il termine era usato anche per indicare il
costume indossato dalle donne alle terme (vd. Busch 1999, p. 497). – in
faciem: come spesso accade in Marziale l’ultima parola realizza la pointe
dell’epigramma, rivelando quale sia la parte impura della protagonista. Per
l’idea che il sesso orale avesse influenze negative sull’alito vd. la n. intr.
all’epigr. 17.
510 M. Val. Martialis liber tertius

88

Sunt gemini fratres, diversa sed inguina lingunt.


Dicite, dissimiles sunt magis an similes?

tit. de duobus fratribus : de geminis fratribus 1 diversa sed LPfV: diversaque Q diversi
sed EAX 2 sunt : sint similes LP²Qf : dissimiles P¹

Sono fratelli gemelli, ma leccano sessi differenti.


Ditemi, sono più dissimili o simili?

Due gemelli sono l’uno fellator, l’altro cunnilingus. Marziale si domanda


se sia maggiore il legame che li unisce o la differenza che li divide.
La conclusione dell’epigramma mette in discussione l’idea, diffusa
anche nella cultura romana, che vuole i gemelli come degli autentici dop-
pi, identici persino nel campo delle preferenze amorose (un esempio
significativo è quello dei Dioscuri e dei loro cugini gemelli Afaretidi,
innamorati delle stesse donne, le gemelle Febe e Ilaeira, figlie di Leucippo;
sull’argomento vd. F. Mencacci, I fratelli amici. La rappresentazione dei
gemelli nella cultura romana, Venezia 1996, spec. p. 101 sgg.). Più che
nella pointe finale, il distico racchiude però la sua arguzia nel verso iniziale,
evidente ripresa in chiave parodica di un verso virgiliano: Aen. VII 670
tum gemini fratres Tiburtia moenia lincunt (la voluta allusione
virgiliana è assicurata dalla presenza del nesso gemini fratres, collocato
nella stessa sede metrica, e dalla quasi completa omofonia del verbo,
collocato in clausola). L’effetto comico è intensificato dall’estensione
del gioco parodico all’ethos dei personaggi: alla caratterizzazione ‘epica’
dei guerrieri virgiliani fa da contraltare la perversa sessualità dei gemelli
di Marziale (sulla totale condanna delle pratiche di sesso orale praticate
da uomini vd. le nn. intr. agli epigr. 73 e 81; sulla ripresa di situazioni e
personaggi virgiliani in contesti parodici cfr. 78, 2; 85, 4; vd. Citroni 19872,
p. 399). Gemini fratres ricorre nella stessa posizione anche in Ov. met. V
107 e Lucan. III 603. L’intento parodistico di Marziale potrebbe includere,
come proposto da Citroni 19872, p. 399, anche il verso lucaneo, inserito in
un contesto in cui viene sottolineato che due gemelli vanno incontro ad un
diverso destino: stant gemini fratres, fecundae gloria matris, / quos eadem
Epigramma 88 511

variis genuerunt viscera fatis; / discrevit mors saeva viros, unumque


relictum / agnorunt miseri sublato errore parentes, / aeternis causam
lacrimis; tenet ille dolorem / semper et amissum fratrem lugentibus offert
(603-608). La completa identità, sia in vita che in morte, dei fratelli è alla
base dell’epigramma dedicato ai fratelli Publio e Gaio Casca (AL 457 R.
= 455 SB), che presenta in conclusione un’allusione sessuale, anche se di
segno opposto rispetto a quella di Marziale (cfr. v. 7 sg. par fratrum multo
celebrandum carmine vatum, / una si fierent parte minus gemini!; vd.
W.D. Lebek, Gemini und gemelli: Anthologia Latina2 (Riese) 457, 8 und
Catull. 57, 6, «RhM» 125, 1982, pp. 176-180).

1. inguina: eufemismo frequente per i genitali sia maschili che femminili


(vd. la n. a 72, 5).
2. sunt: la scelta del modo presenta qualche margine di dubbio e dipende
dalla considerazione dell’interrogativa come diretta o indiretta; l’indicativo
di appare più adatto al carattere umgangssprachlich del distico ed è
preferito dagli editori. Per casi analoghi cfr. 95, 3 cur hoc expectas a me,
rogo, Naevole, dicas (expectas T : expectes ); V 55, 1 dic mihi, quem
portas ( : portes ); XIII 14, 2 dic mihi, cur nostras inchoat illa dapes?
(inchoat RQ: inchoet LPf ). Sulla predilezione della lingua colloquiale per
la paratassi vd. Hofmann, LU, p. 249 sgg.
512 M. Val. Martialis liber tertius

89

Utere lactucis et mollibus utere malvis:


nam faciem durum, Phoebe, cacantis habes.

hab. R tit. ad phoebum R 1 mollibus R E²AV: mollis E¹X malvis RQ² : malbis
LPQ¹f 2 nam : non R durum R EAXV²: duram V¹

Fa’ uso di lattuga e fa’ uso di tenera malva:


infatti hai la faccia, Febo, di uno che caca duro.

Marziale prende di mira un certo Febo, il cui viso contratto somiglia a


quello di chi ha difficoltà ad andare di corpo, consigliando come soluzione
al suo problema l’uso di verdura dal potere lassativo. Fondata sullo stesso
motivo è la battuta di scherno indirizzata da un tale a Vespasiano, secondo
quanto narrato da Suetonio (Vesp. 20): fuit … vultu veluti nitentis; de
quo quidam urbanorum non infacete, siquidem petenti, ut et in se aliquid
diceret, ‘dicam -inquit- cum ventrem exonerare desieris’. Il nome Phoebus
è spesso utilizzato da Marziale in epigrammi scommatici per diversi tipi (in
questo libro cfr. epigr. 73).

1. lactucis: sui poteri lassativi della lattuga cfr. XI 52, 5 sg. prima tibi
dabitur ventri lactuca movendo / utilis con il commento di Kay; vd.
anche Cels. II 29, 1; Colum. I praef. 16; Plin. nat. XXXII 101. – mollibus
… malvis: cfr. X 48, 7 exoneraturas ventrem … malvas. Le sue doti
lassative sono ricordate spesso: cfr. Cic. epist. VII 26, 2; Hor. epod. 2,
58; carm. I 31, 16; Ov. fast. IV 697; Plin. nat. XX 222 sgg.; Cels. II 20, 1;
29, 1; Scrib. Larg. 99. Anche l’etimologia del termine veniva ricondotta ai
suoi poteri: cfr. Plin. nat. XX 222 alteram ab emolliendo ventre dictam
putant malachen; Isid. orig. XVII 10, 5 malva ex parte graeco vocabulo
appellatur ; vd. Maltby 1991, p. 361 sg. La iunctura
realizza quindi un gioco etimologico.
2. durum: per l’uso dell’attributo in analogo contesto cfr. Catull. 23,
20 sg. nec toto decies cacas in anno / atque id durius est faba et lapillis
(lupillis Gulielmus); vd. ThlL V 1, 2305, 18 sgg.; per la valenza avverbiale
cfr. Cels. II 7, 5 venter nihil reddit nisi et aegre et durum; vd. ThlL V 1,
Epigramma 89 513

2313, 7 sgg. – cacantis: forte volgarismo (per cui vd. la n. a 44, 11). In II
87, 2 qui faciem sub aqua, Sexte, natantis habes, la lezione di cacantis
(natantis R ) è probabilmente interpolata da questo verso (cfr. faciem
nella stessa posizione metrica e il secondo hemiepes del pentametro, pres-
soché identico Sexte, natantis habes ~ Phoebe, cacantis habes).
514 M. Val. Martialis liber tertius

90

Vult, non vult dare Galla mihi, nec dicere possum,


quod vult et non vult, quid sibi Galla velit.

hab. R tit. de galla : ad gallam R 1 vult non vult RPAV²: volt non volt Lf volt non
vult QEX vult non vul V¹ 2 quod R : quid vult et non vult R²PAV: volt et non volt
Lf volt et non vult QEX et non vult R¹ quid : quod R

Vuole e non vuole darmela Galla, e non posso dire,


poiché vuole e non vuole, che diamine voglia Galla.

Galla è sempre contraddittoria nel rispondere alle avances del poeta,


il quale ammette di non riuscire a capire le vere intenzioni della donna.
L’epigramma prende di mira la proverbiale volubilità femminile (per cui
vd. Tosi 1994, nr. 1383), efficacemente espressa in apertura di epigramma
dall’asindeto vult, non vult. La conclusione di Marziale gioca con il verbo
velle, centrale nel componimento (vd. Joepgen 1967, p. 153): dal momento
che Galla si contraddice continuamente, non è possibile dire quale sia la
sua volontà. Senz’altro da respingere l’interpretazione dell’epigramma di
Calderini, recentemente ripresa da Galán Vioque, p. 430, che vede un gioco
sul doppio senso di dare («Galla deformis erat volebatque futui a Martiale
sed nihil dare volebat. Deformes autem fututorem pretio concilient
necesse est»). Il nome Galla ricorre per un analogo tipo in II 25 (cfr. v. 1
das numquam, semper promittis) e in III 51.

1. Vult, non vult: l’asindeto sottolinea efficacemente il repentino muta-


mento di pensiero di Galla; l’accostamento volo / nolo esprime in modo
proverbiale la volubilità femminile in Auson. 39, 5 sg. p. 333 P. (epigr.
40, 5 sg. G.) callida sed mediae Veneris mihi venditet artem / femina,
quae iungat quod ‘volo nolo’ vocant; cfr. anche Ter. Phorm. 950 nolo
volo; volo nolo rursum. – dare: l’uso ellittico in senso erotico, frequente in
Marziale, doveva essere comune nella lingua parlata: cfr. anche Catull. 110,
4; Ov. am. I 4, 64. 65. 70; III 8, 34; ars I 345; 454; 674; Priap. 50, 3; AL
459, 2; vd. Pichon, p. 122; ThlL V 1, 1673, 35 sgg.; Adams 1981, p. 127;
Hey, Euphemismus, p. 532. Per il corrispondente uso ellittico di
Epigramma 90 515

in greco cfr. AP XII 19, 2 (anonimo); 218, 3 (Stratone); per


cfr. Ar. Lys. 162; 227; vd. Henderson 1975, p. 161. – nec dicere possum: in
clausola anche in Ov. trist. IV 3, 31.
2. quid sibi … velit: Marziale gioca con le sfumature del verbo velle:
nell’espressione, che tradisce l’irritazione del poeta per il comportamento di
Galla, sono presenti sia il significato abituale ‘cosa significhi’ sia quello più
letterale ‘cosa voglia per sé’. L’espressione appartiene alla Umgangssprache
(vd. Kühner-Stegmann, II, p. 324); è frequente in commedia (cfr. Plaut.
Am. 1028; Aul. 636; Bac. 586; mer. 907; mil. 1050; Poen. 152; 324; 414;
Pseud. 1147; Rud. 1056; Ter. Heau. 61; Eun. 559; 804) e nella satira (cfr.
Hor. sat. I 2, 69; II 5, 61; 6, 29; Pers. 5, 144); ricorre talvolta in poesia (cfr.
Prop. I 5, 3; Ov. met. IX 474; fast. I 185; VI 654); per Marziale cfr. IV 5,
2; 47, 2; VI 54, 3.
516 M. Val. Martialis liber tertius

91

Cum peteret patriae missicius arva Ravennae,


semiviro Cybeles cum grege iunxit iter.
Huic comes haerebat domini fugitivus Achillas
insignis forma nequitiaque puer.
Hoc steriles sensere viri: qua parte cubaret 5
quaerunt. Sed tacitos sensit et ille dolos:
mentitur, credunt. Somni post vina petuntur:
continuo ferrum noxia turba rapit
exciduntque senem spondae qui parte iacebat;
namque puer pluteo vindice tutus erat. 10
Suppositam quondam fama est pro virgine cervam,
at nunc pro cervo mentula supposita est.

hab. T tit. de missicio et achilla : de missicio et archigallis A de missicio et ahrigallis E¹


(ahcrigallis E²) de missicio et arcrigallis XV de amisicio et archigalli T 1 ravennae TPQf :
rabennae L 2 semiviro TL²PQf : semivivo L¹ cybeles : cybiles T cum grege
TQf²EA: cum grece LPf¹ congrege XV 3 huic TL²PQf (L¹ n.l.) haerebat TLPf :
habebat Q achillas : achilas T 5 steriles XV: stereles T sceriles EA² scelriles A¹ 6
quaerunt TLPQf²s.l. : quaeret f¹ tacitos T EAXV²s.l.: tacitas V¹ sensit T E²s.l.AXV:
om. E¹ 7 mentitur T EAV: mentitus X vina L²PQf : bina L¹ urna T (idem vitium in
XIII 114, 2) 9 exciduntque LPQf¹: inciduntque T exciditque f²s.l. senem : semen
T qui … iacebat Lf : qui … latebat PQ cum … iaceret T parte T EAXV²s.l.: parce
V¹ 10 pluteo Qf² : pluteio LPf¹ puteo T 11 suppositam … cervam : suppositum …
cervam T supposita … cerva quondam fama est T : fama est quondam 12 cervo
LPQf¹ : puero Tf²s.l.

Un soldato congedato, dirigendosi verso le terre della natia Ravenna,


si unì nel cammino ad una schiera di evirati di Cibele.
Gli era a fianco come compagno di viaggio lo schiavo fuggitivo Achilla,
ragazzo che si distingueva per bellezza e dissolutezza.
Gli evirati lo percepirono: gli domandano da che parte 5
del letto dorma. Ma anche lui percepì la tacita insidia:
mente, gli credono. Dopo aver bevuto, si va a dormire:
subito la banda criminale afferra il coltello
e mutila il vecchio che giaceva dalla parte della sponda;
infatti il ragazzo era al sicuro, protetto dalla spalliera. 10
Epigramma 91 517

È fama che un tempo una cerva fu sostituita ad una


vergine, ora ad un cervo è stato sostituito un cazzo.

Marziale racconta un curioso aneddoto in versi, di ambientazione


cispadana. Un vecchio soldato congedato e un attraente giovane schiavo
fuggitivo, in cammino verso le terre di Ravenna, si uniscono nel viaggio
ad un gruppo di adepti di Cibele (sui sacerdoti evirati di Cibele, chiamati
Galli, vd. la n. intr. all’epigr. 81). Questi meditano di castrare il giovane per
portarlo con loro, ma egli percepisce il pericolo e riesce a sfuggire all’insidia
a scapito del vecchio soldato. Marziale conclude la narrazione con un
richiamo al sacrificio di Ifigenia, che gli consente un gioco di parole. Un
altro curioso aneddoto, anch’esso concluso con una castrazione, è narrato
nell’epigr. 24 di questo libro; cfr. anche VIII 75; XI 82.

1. Cum peteret: come incipit ricorre anche in epigr. 23 (20); 29 (25b);


I 21; VI 89. – patriae … arva Ravennae: per la collocazione delle parole
cfr. IV 55, 26 curvae … arva Vativescae; X 12, 2 Phaetontei … arva Padi.
– missicius: aggettivo sostantivato tratto dalla sfera militare; in poesia
compare soltanto qui (vd. ThlL VIII 1138, 1 sgg.).
2. semiviro: qui nell’accezione di ‘eunuco’: cfr. IX 20, 8 semiviri …
Phryges; Varro Men. 132; Sen. epist. 108, 7; Sil. XVII 20; Iuv. 6, 513.
– grege: il termine è usato qui in accezione negativa: cfr. Hor. carm. I
37, 9 sg. contaminato cum grege turpium / morbo virorum (gli Egizi
di Cleopatra); Tac. ann. XV 37, 8 uni ex illo contaminatorum grege …
in modum sollemnium coniugiorum denupsisset (sc. Nero); Suet. Tit.
7, 1 exoletorum et spadonum greges. Una compagnia di questo genere è
descritta da Apuleio in met. VIII 24 sgg.
3. comes haerebat: espressione ridondante, usata sia nell’epica che in
prosa: cfr. Stat. Theb. XI 357; Ach. I 345; Val. Fl. VIII 55; Plin. epist.
VII 27, 2; vd. ThlL VI 3, 2496, 8-25; in Marziale cfr. VII 45, 9 haesit qui
comes exuli parentis; 45, 11 haesisti comes exuli Neronis; XI 7, 8 haerebit
dominae vir comes ipse suae. – Achillas: in Marziale il nome ricorre anche
in VII 57, 1 per un pugile; vd. anche ThlL I 395, 68 sgg.; sulla diffusione
di nomi greci per gli schiavi vd. la n. intr. all’epigr. 65.
4. insignis forma: per la iunctura cfr. Verg. Aen. V 295 Euryalus forma
insignis viridique iuventa (per l’uso virgiliano vd. EV II, s.v. insignis, p.
518 M. Val. Martialis liber tertius

990 sg.); Tac. ann. XIII 19, 2 insignis genere, forma, lascivia (sc. Iuliana
Silana). – nequitia: termine centrale nel lessico elegiaco (vd. Pichon, p.
212); in Marziale ha spesso una connotazione erotica: cfr. I 106, 6 certae
nequitias fututionis; IV 42, 4 nequitias tellus scit dare nulla magis; V 2,
3-5 tu, quem nequitiae procaciores / delectant nimium salesque nudi,
/ lascivos lege quattuor libellos; IX 67, 1 sg. lascivam tota possedi nocte
puellam, / cuius nequitias vincere nemo potest; vd. anche la n. a 69, 5
nequam iuvenes.
5 sg.: il racconto di Marziale, in ossequio alla brevità epigrammatica,
omette alcuni passaggi della vicenda: qui si deve immaginare che la
comitiva si fosse fermata ad una locanda per trascorrervi la notte. – steriles
… viri: sterilis vir si definisce l’evirato Attis in Catull. 63, 69 ego Maenas,
ego mei pars, ego vir sterilis ero?; in Marziale cfr. IX 7, 8 ne faceret steriles
saeva libido viros; vd. anche XIII 64, 1 sg. (tit. capones) succumbit sterili
frustra gallina marito. / hunc matris Cybeles esse decebat avem. – sed
tacitos sensit et ille dolos: per l’espressione cfr. III 19, 7 non sensit puer
esse dolos. Taciti doli è iunctura presente in Val. Fl. I 63; Sil. XV 326 sg.
(al singolare).
7. mentitur, credunt: il verso tratteggia la rapida successione degli
eventi, espressa attraverso l’asindeto. – somni … petuntur: per la iunctura
cfr. Verg. Aen. VII 88; Tib. I 10, 9; Ov. met. XIII 676; Sil. XIII 637 sg.;
Quint. inst. IX 4, 12. – post vina: espressione brachilogica, per cui vd. la
n. a 68, 5.
8. continuo … rapit: i termini, collocati agli estremi del verso, definiscono
la repentina azione della schiera. Continuo ricorre in prosa e in commedia,
ma anche in poesia elevata: cfr. Lucr. I 671; Verg. Aen. V 368; Ov. met.
XIV 362 (vd. Bömer2, ad loc.; ThlL IV 728, 42 sgg.). – noxia turba: la
iunctura ricorre nella stessa posizione metrica in Ov. Ibis 174 per designare
i dannati: quasque tenet sedes noxia turba, coles. Rapio esprime l’idea di
forza e rapidità; compare spesso, anche nelle forme composte, nell’epica
virgiliana in relazione ad armi (vd. EV, s.v. rapio, IV, pp. 400-402): cfr. Verg.
Aen. VII 340 arma velit poscatque simul rapiatque iuventus; VIII 220
rapit arma manu; XI 651 nunc validam dextra rapit indefessa bipennem;
vd. anche VIII 211 rapto … telo; XII 737 ferrum aurigae rapuisse Metisci;
260 sg. ferrum / corripite; 278 sg. ferrum / corripiunt.
9. excidunt: il verbo è sinonimo di castrare (vd. ThlL V 2, 1241, 84
sgg.): cfr. Ov. fast. IV 361 cur … Gallos, qui se excidere, vocamus?; Sen.
Epigramma 91 519

nat. VII 31, 3 alius genitalia excidit (abscidit ); Quint. inst. V 12, 17
puerorum virilitate excisa. Excidunt della seconda famiglia è senz’altro
preferibile a excidit della terza, che ha l’aria di una normalizzazione (v. 8
rapit); il plurale trova sostegno anche nella lezione incidunt della prima
famiglia. – spondae qui parte iacebat: la lezione di T (cum parte iaceret)
è facilmente spiegabile come errore meccanico. Ker 1950, p. 16 sg. ha
proposto di correggere spondae qua parte iacebat (cfr. v. 5 qua parte
cubaret), attribuendo a sponda il significato metonimico di ‘letto’, ma
spondae parte significa «in lectuli parte quae sponda vocatur» (SB1 in app.):
cfr. Isid. orig. XX 11, 5 sponda autem exterior pars lecti, pluteus interior;
vd. Marquardt 1886, p. 703; RE III A 2, 1847, 17 sgg.
10. pluteo: il pluteus è la spalliera del letto, che difendeva il puer (cfr. Isid.
orig. XX 11, 5 cit. nella n. al v. 9): cfr. Suet. Cal. 26, 2 et cenanti modo ad
pluteum modo ad pedes stare succinctos linteo passus est; vd. OLD, s.v., n.
3; RE III, s.v. Betten, 371.
11 sg.: la conclusione realizza un gioco di parole che allude scherzosamente
al mito di Ifigenia in Aulide: la giovane fu salvata da Artemide che le sostituì
una cerva al momento del sacrificio (suppositam … pro virgine cervam); ora
è una mentula ad essere sostituita ad un cervus (così erano detti gli schiavi
fuggitivi: vd. infra). Sul mito cfr. Eur. Iph. Aul. 1578 sgg.; Iph. Taur. 28.
11: il verso che rievoca la vicenda di Ifigenia ha come modello Ovidio:
met. XII 34 supposita fertur mutasse Mycenida cerva; cfr. anche trist.
IV 4, 67 sg. hic pro supposita virgo Pelopeia cerva / sacra deae coluit
qualiacumque suae; Prop. III 22, 34 nec solvit Danaas subdita cerva rates;
Aetna 595 sg. nunc tristes circa subiectae altaria cervae / velatusque pater.
– quondam fama est: l’ordo verborum di T è stato preferito da tutti gli
editori, con l’eccezione di Duff e Ker, che accolgono il testo di (fama
est quondam), che elimina l’omeoteleuto (per la cui presenza in Marziale
vd. Shackleton Bailey 1994, pp. 52-55). – pro virgine cervam: l’espressione
cerva pro virgine era divenuta proverbiale, come dimostrano Apul. met.
VIII 26 sed postquam non cervam pro virgine, sed asinum pro homine
succidaneum videre, nare detorta magistrum suum varie cavillantur:
non enim servum, sed maritum illum scilicet sibi perduxisse; Ach. Tat. VI
2, 3 … ;
Lib. ep. 1509, 3 ; Ambr. virg. II 4, 31 ecce non
fabulosum illud cerva pro virgine, sed quod verum est, miles ex virgine; cfr.
anche Plaut. Epid. 489 sg.
520 M. Val. Martialis liber tertius

12. pro cervo: cervi erano chiamati gli schiavi fuggitivi: cfr. Paul. Fest.
p. 343 M. (460 L.) aedem Dianae dedicaverit in Aventino, cuius tutelae
sint cervi, a quorum celeritate fugitivos vocent cervos; Don. Ter. Andr.
865 an quadrupedem pro cervo et fugitivo posuit?, dove cervo è stato
restituito da Wessner per il tràdito servo. È probabilmente da considerare
un’interpolazione (o una glossa incorporata nel testo) la lezione puero di
T (presente anche in f²s.l.), che crea una precisa rispondenza con virgine
del v. 11. Per un’altra interpolazione in T in questo libro vd. la n. a 31, 2
urbani. – mentula supposita est: la conclusione con un termine osceno
riconduce bruscamente in basso il tono dopo l’evocazione della vicenda
mitica del verso precedente. Su mentula vd. la n. a 68, 7 sgg.
Epigramma 92 521

92

Ut patiar moechum rogat uxor, Galle, sed unum.


Huic ego non oculos eruo, Galle, duos?

hab. T tit. ad gallum T A: ad gallum de galla EXV 1 ut TLQf : et P patiar TLPQf² :


patier f¹ut vid. moechum : moedium T² medium T¹ unum TPQf : umquam L 2
oculos eruo T XV: oculo seruo EA

Mia moglie mi chiede, Gallo, di tollerare un amante, uno solo.


A costui io non devo cavare, Gallo, tutti e due gli occhi?

Alla moglie che gli domanda di sopportare un solo amante Marziale


risponde che gli caverà entrambi gli occhi. La richiesta dimostra che la
pratica di avere numerosi amanti era talmente diffusa, che poteva sembrare
accettabile chiedere al proprio marito di tollerarne uno soltanto. Il netto
rifiuto di Marziale rappresenta il punto di vista della morale tradizionale,
anche se la minaccia conclusiva non è certamente da prendere sul serio ed è
più che altro funzionale alla pointe, basata su uno scialbo gioco di opposizione
tra i numerali unum e duos, collocati significativamente in chiusura dei due
versi (sulla presenza di analoghi lusus numerici in Marziale vd. la n. a 8, 2).
La recisa condanna dell’adulterio è sviluppata in modo analogo in VI 90,
1 sg. moechum Gellia non habet nisi unum. / turpe est hoc magis: uxor
est duorum, dove Marziale mostra di considerare un solo amante come un
secondo matrimonio (si noti la simile contrapposizione numerica tra unum e
duorum in fine dei due versi; sull’esegesi dell’epigramma e sulla restaurazione
domizianea della lex Iulia de adulteriis coercendis vd. il commento di
Grewing, ad loc.). Non mi sembra che colga nel segno la spiegazione del
distico di Friedlaender, per il quale: «Das dauernde Verhältnis mit einem
Liebhaber, also gleichsam einem zweitem Manne […] galt für schlimmer
als Ehebruch mit mehreren»: tale idea è sviluppata in VI 90, mentre qui
Marziale condanna tout court l’adulterio, rifiutando sdegnosamente l’ipotesi
che un solo amante possa essere tollerabile (anche Sen. ben. III 26 cit. da
Friedlaender non sembra in relazione con questo epigramma).
Non è naturalmente da considerare in senso autobiografico la menzione
di una uxor del poeta: l’ipotesi che Marziale avesse una moglie, pur dibattuta
522 M. Val. Martialis liber tertius

a lungo (vd. L. Ascher, Was Martial really unmarried, «CW» 70, 1976-1977,
pp. 441-444; J.P. Sullivan, Was Martial really married? A reply, «CW» 72,
1978-1979, p. 238 sg.), nasce probabilmente da un fraintendimento di II 92,
3 sg. valebis uxor. / non debet domini perire munus (vd. Kay, p. 276 sg.;
Sullivan 1991, p. 25 sg.). Orientano in tale direzione gli epigrammi scommatici
rivolti alla presunta moglie del poeta (XI 43; 104; cfr. anche IV 24; VII 95,
7). In generale la distinzione tra persona poetica e ‘io’ autobiografico è un
dato ormai acquisito dagli interpreti di Marziale (vd., ad es., Sullivan 1991,
pp. 26 sgg.; 170 sg.), anche se forse si esagera talvolta nel senso opposto.
Una diversa ipotesi è stata di recente prospettata da P. Watson (Martial’s
Marriage. A new Approach, «RhM» 146, 2003, pp. 38-48; vd. anche Watson-
Watson, pp. 3; 107 sg.), la quale ha sostenuto, sulla base di II 91, 5 quod
fortuna vetat fieri, permitte videri, che Marziale abbia avuto uno o forse più
matrimoni improduttivi, conclusi prima dell’inizio della sua carriera poetica.
Il nome Gallus, frequente in Marziale, è qui probabilmente fittizio. I codici
della terza famiglia (con l’eccezione di A) presentano il curioso titolo Ad
Gallum de Galla: può darsi che la misteriosa Galla provenga dall’epigr. 90
(De Galla , Ad Gallam R), ma è ingegnosa l’ipotesi di Lindsay 1903, p.
59 sg. che la sua origine sia dovuta alla variante ortografica attestata da L al
v. 2 (Gallae). Per un altro caso di titolo apparentemente ingiustificato vd. la
n. intr. all’epigr. 49.

1. sed unum: uso colloquiale, che mette in evidenza l’unicità di un’azione


o di un personaggio: in Marziale cfr. V 24, 5 sg. Hermes, quem timet
Helius, sed unum, / Hermes cui cadit Advolans, sed uni; XI 18, 25 errasti,
Lupe, littera sed una; XII 55, 11 humane tamen hoc facit, sed unum. Per
l’uso enfatico di sed cfr. XII 36, 8 sg. Pisones Senecasque Memmiosque / et
Crispos mihi redde, sed priores (ingiustificata quindi la congettura seu per
sed di SB, già avanzata in Shackleton Bailey 1978, p. 293).
2. huic: il pronome può teoricamente riferirsi anche alla moglie. Tuttavia
nei casi di tradimento il marito si rivaleva fisicamente sull’adultero, spesso
vittima di mutilazioni (vd. la n. intr. all’epigr. 85; Treggiari 1991, p. 264 sgg.).
Per l’accecamento come punizione dell’adultero cfr. Quint. decl. 357. Forse
riecheggia questo epigramma Giovenale, che utilizza un analogo gioco nu-
merico nel contesto della corruzione morale delle matrone: cfr. 6, 53 sg. unus
Hiberinae vir sufficit? ocius illud / extorquebis ut haec oculo contenta sit
uno. – oculos … duos: SB2 avanza dubitativamente (p. 269, n. c) l’ipotesi che
Epigramma 92 523

oculos possa riferirsi ai testicoli, pur riconoscendo che non sembra che ve ne
siano altre attestazioni. Rendono ulteriormente improbabile la proposta la
frequenza del nesso oculos eruere (vd. ThlL V 2, 845, 38 sgg.) e la preferenza
mostrata da Marziale (come da Catullo) per termini assolutamente espliciti
in ambito sessuale (sfavorevole all’ipotesi anche Eden 1999, p. 579). – eruo:
l’indicativo presente è frequente in interrogative ‘deliberative’ nel dialogo
(vd. Hofmann-Szantyr, p. 307 sgg.).
524 M. Val. Martialis liber tertius

93

Cum tibi trecenti consules, Vetustilla,


et tres capilli quattuorque sint dentes,
pectus cicadae, crus colorque formicae;
rugosiorem cum geras stola frontem
et araneorum cassibus pares mammas; 5
cum comparata rictibus tuis ora
Niliacus habeat corcodilus angusta,
meliusque ranae garriant Ravennates,
et Atrianus dulcius culex cantet,
videasque quantum noctuae vident mane, 10
et illud oleas quod viri capellarum,
et anatis habeas orthopygium macrae,
senemque Cynicum vincat osseus cunnus;
cum te lucerna balneator extincta
admittat inter bustuarias moechas; 15
cum bruma mensem sit tibi per Augustum
regelare nec te pestilentia possit:
audes ducentas nupturire post mortes
virumque demens cineribus tuis quaeris.
Prurire quid si Sattiae velit saxum? 20
Quis coniugem te, quis vocabit uxorem,
Philomelus aviam quam vocaverat nuper?
Quod si cadaver exigis tuum scalpi,
sternatur Acori de triclinio lectus,
thalassionem qui tuum decet solus, 25
ustorque taedas praeferat novae nuptae:
intrare in istum sola fax potest cunnum.

vv. 1-12, 16-19, 21-22 hab. T tit. de vetustilla TL: ad vetustillam PQf ad vetustinam
1 vetustilla : vestustilla T² vestultilla T¹ vetustina 2 quattuorque TLPf : quatuorve
Q sint Tf² : om. LPQf¹ 3 crus TLQf : crux P 4 cum geras T EA: congeras XV 5
araneorum TLQfEAX: aranearum PV pares TLPQ²f : compares Q¹ mammas :
mamillas T 7 niliacus f² : nillacus LPf¹ nil latus Q nil iacusis T corcodilus Gudius,
Schneidewin: corcodrillus TE cocodrillus A crocodilus LPf trochodilus Q crocodrillus X
crocodillus V 8 meliusque T EA²XV: melius quae A¹ ravennates TLPf : ravennatae
Q 9 atrianus TEAXV¹: adrianus V²s.l. (h)adriacus dulcius TLPQf² : dulcis f¹
Epigramma 93 525

culex Qf² : culix TLPf¹ 10 noctuae vident : noctua videt T 12 orthopygium


v1²: orthophygium v1¹ orthopigium Q ortophigium T hortopygium L hortopigium
ortopigium P ortopygium f¹ f² in mg. 14 lucerna PQf¹ : lacerna Lf²s.l.
extincta PQf²s.l. : excincta Lf¹ 15 admittat f²s.l. : admittit LPQf¹ moechas f²in mg. :
moschi LPQf¹ 17 regelare : relegare T possit T²in ras. : posset T¹ ut vid. possis
Beverland 18 ducentas AV²s.l.: ducenas T ducentes EXV¹ nupturire Iunius: nuptunire f¹
nuptum ire LPQf²V²in mg. nuptuire TEA numtuire XV¹ 19 virumque TLQ²f : visumque
PQ¹ 20 quid LQfAX: quit EV² quie V¹ si Sattiae Housman: si satiae L si sactie f¹ si
satciae (aut satriae) P si saciare E si satire Q²A (Q¹ n.l.) si satiare f²s.l.XV¹ si sarrire V²in
mg. 21 coniugem te T EAX: coniungente V vocabit T²Q² : vocavit LPQ¹f vocaret
T¹ uxorem : uxores T 22 philomelus : filo meus T 23 exigis Qf²s.l. : exiges
LPf¹ scalpi : scarpi 24 sternatur EAX: sternetur V Acori de triclinio Heraeus
(Achori Stephanus Claverius, Buecheler, Lindsay): a coride triclinio Q² a coride tricilinio
f² aco ridet triclinio LPQ¹ aco ridet tricilinio f¹ 25 t(h)alassionem : thalasionem tuum
LPQf² : tuus f¹ decet EAX: docet V 26 ustorque V²s.l.: uttorque EAX uttorquet
V¹ taedas P²f : taedes LP¹Q 27 intrare in EA²XV: intrarem A¹

Hai visto trecento consoli, Vetustilla,


hai tre capelli e quattro denti,
il petto di una cicala, le gambe e il colore di una formica;
hai la fronte più grinzosa di una stola
e seni uguali alle tele dei ragni; 5
il coccodrillo del Nilo ha fauci
anguste paragonate alle tue;
gracidano meglio le rane ravennati,
e la zanzara di Adria canta più dolcemente;
vedi quanto le nottole vedono al mattino, 10
e puzzi come i mariti delle capre,
hai il fondoschiena di un’anatra macilenta
e la tua fica è più ossuta di un vecchio cinico;
il bagnino ti fa entrare dopo aver spento la lampada
fra le puttane dei cimiteri; 15
per te è inverno nel mese di agosto,
e non ti potrebbe scongelare neppure con la pestilenza:
eppure osi desiderare di sposarti dopo la morte di duecento mariti
e cerchi, folle, un marito per le tue ceneri.
E se volesse eccitarsi la tomba di Sattia? 20
Chi chiamerà consorte, chi moglie te,
che Filomelo aveva chiamato poco fa nonna?
526 M. Val. Martialis liber tertius

Ma se esigi che il tuo cadavere venga solleticato,


si stenda un letto del triclinio di Acoro,
l’unico che si addice al tuo imeneo, 25
e l’ustore rechi le torce alla novella sposa:
solo una fiaccola può entrare in questa fica.

Lungo epigramma scommatico contro una vecchia dal nome parlante


di Vetustilla. Il tipo della vetula che continua a sentire stimoli sessuali a
dispetto della sua età è topico e presente in vari epigrammi di Marziale (vd.
la n. intr. all’epigr. 32), ma qui il tema è sviluppato con tale ricchezza di
immagini da rendere il componimento unico nel suo genere (una peculiarità
è costituita dal fatto che la protagonista cerchi non semplicemente un
uomo, ma addirittura un marito: cfr. v. 18 sgg.). Non a caso, nella ricerca
dei suoi modelli letterari, l’epigramma è stato messo in relazione con la
tradizione giambica (per il rapporto di aemulatio con l’Epodo 8 di Orazio
vd. Grassmann 1966, p. 23 sgg.; sui tratti epigrammatici distintivi del
componimento e sugli epigrammi lunghi vd. Merli 19932). L’incipit (v. 1
sg.) presenta la protagonista con tratti tipici dell’epigramma scommatico
(definizione iperbolica dell’età; esiguo numero di capelli e denti rimasti),
ma la composizione si sviluppa poi in modo originale attraverso una lunga
serie di paragoni (vv. 3-13), che ne definiscono la decrepitezza, e di squallide
situazioni in cui essa si trova (14-17; sugli elenchi di paragoni e immagini
fantasiose, tratto peculiare della poesia di Marziale, vd. Siedschlag 1977, p.
39 sgg.; T. Adamik, Die Funktion der Vergleiche bei Martial, «Eos» 69,
1981, pp. 303-314; La Penna 1992). I versi successivi (18 sg.) presentano
un altro tratto tipico dell’epigramma scommatico: l’assimilazione della
vecchia ad un cadavere (qui addirittura ai cineres che ne restano dopo il
rogo). Marziale dunque costringe l’originale serie di immagini dei vv. 3-17
tra «versi ortodossi che la abbracciano e la chiudono, neutralizzandone
in tal modo il carattere eversivo» (Merli 19932, p. 115). Nella parte finale
dell’epigramma compare un altro motivo originale, quello della ricerca
del marito, che occupa i versi seguenti (20-26), nei quali Vetustilla è
rappresentata come una nova nupta, la cui cerimonia nuziale si confonde
in modo sinistro con un rito funebre (23 sgg.); la sovrapposizione sfrutta
la presenza di alcuni elementi comuni alle due cerimonie, quali il letto e la
fax, che non a caso è funzionale alla realizzazione della pointe (27), la cui
Epigramma 93 527

ultima parola (cunnum) suggella il componimento con un tratto di segno


chiaramente epigrammatico. Come ben messo in evidenza da Merli 19932,
p. 118 sgg., la sezione sfrutta in un contesto antitetico elementi stereotipi
di un altro sottogenere di epigramma, diffusissimo in età ellenistica (su
cui vd. il recente contributo di C. Neri, La sorte più crudele (‘Erinn.’ AP
VII 712 [HE 2], 5 s.), «Eikasmos» 11, 2000, pp. 205-218, spec. p. 205 n. 4):
quello funerario per le innuptae puellae, la cui morte sopraggiunge spesso
il giorno delle nozze; in esso gli elementi comuni alle cerimonie subiscono
un patetico rovesciamento di funzione (all’imeneo si sostituisce il lamento
funebre, al talamo nuziale la pira, alle torce nuziali quelle funebri); per la
presenza del motivo nella letteratura latina cfr. Prop. IV 11, 46; Ov. epist.
21, 174; fast. II 561 sg.; Apul. met. IV 33, 4; vd. anche CLE 383.
La filologia tedesca d’inizio secolo, tesa all’individuazione di modelli
greci per i testi latini, aveva ricondotto questo epigramma ad AP XI 71 di
Nicarco (vd. specialmente Prinz 1911, p. 66 sgg.; il collegamento tra i due
epigrammi in relazione alla conclusione è ancora in Aubreton, p. 242):

L’evidente diversità dei due componimenti, accomunabili soltanto per


il rovesciamento della conclusione (peraltro, come detto, ampiamente
sfruttato), consente di valutare chiaramente i limiti di tale tendenza critica,
oggi senz’altro superata, riduttiva e tesa a svalutare la creatività del poeta
latino (vd. al riguardo Merli 19932, pp. 110; 124 sg.).

1 sg.: la presentazione della protagonista è caratterizzata dalla comica


contrapposizione dell’elevato numero dei suoi anni (trecenti) e di quello
esiguo dei suoi capelli e denti (tres, quattuor). Per la struttura introdotta da
cum concessivo, al fine di evidenziare un contrasto con l’idea principale,
notevolmente ritardata (v. 18 audes … nupturire), cfr. VI 64, 1-7; X 68, 1-6.
1. Cum tibi trecenti consules: l’età di Vetustilla viene indicata, con effetto
di scherzosa enfasi, attraverso l’elevatissimo numero di consoli succedutisi
nel corso della sua lunga vita. L’uso metonimico di consules per anni ricorre
per la prima volta in Sen. epist. 4, 4 inter magna bona multos consules
numerat; in Marziale appare ancora in I 15, 3 bis iam paene tibi consul
528 M. Val. Martialis liber tertius

tricensimus instat; VIII 45, 4 amphora centeno consule facta minor; vd.
ThlL IV 568, 4 sgg.; altrove la data di nascita è ricondotta con esagerazione
comica al primo console: cfr. X 39, 1 sg. consule te Bruto quod iuras,
Lesbia, natam, / mentiris; XI 44, 1 orbus es et locuples et Bruto consule
natus. Trecenti indica un numero iperbolico: vd. E. Wölfflin, Sescenti,
mille, centum, trecenti als umbestimmte und Runde Zahlen, ALL 9, 1896
(= Hildesheim 1967), pp. 177-192; R.G. Kent, Latin Mille and certain
other Numerals, «TAPhA» 42, 1911, pp. 69-89; Hofmann-Szantyr, p. 211.
– Vetustilla: la forma riceve il sostegno sostanzialmente delle prime due
famiglie, mentre ha Vetustina. Entrambi i nomi sono attestati nelle
epigrafi (cfr. CIL V 4662; VI 27141; IX 1171; vd. Kajanto 1965, p. 302);
Vetustina è tràdito concordemente in II 28, 4 (una fellatrix). La stessa
alternanza (-illa / -ina) si presenta in VI 7, 4 Telesilla T : Telesina ; VII
87, 8 Telesilla : Telesina ; XI 97, 2 Telesilla T : Telesina .
2: la rappresentazione iperbolica dei tratti fisici è un motivo ricorrente
della Vetula-Skoptik; in Marziale per l’esiguità dei capelli cfr. XII 7,
1 sg. toto vertice quot gerit capillos, / annos si tot habet Ligeia, trima
est; la scarsità numerica dei denti è un motivo frequente in Marziale: I
19, 1 si memini, fuerant tibi quattuor, Aelia, dentes; II 41, 6 tres sunt
tibi, Maximina, dentes; VIII 57, 1 tres habuit dentes, pariter quos expuit
omnes (un uomo); vd. anche VI 74; Priap. 12, 9 dentem de tribus excreavit
unum; 82, 26 bidens amica.
3-13: sull’ , tratto di origine popolare, tipico della poesia satirica,
vd. G. Monaco, Paragoni burleschi degli antichi, Palermo 19672; Fraenkel
1960, pp. 162 sgg.; 421 sg. Sul paragone con un referente che possiede al
massimo grado la caratteristica indicata, utilizzato da Marziale sia negli
elogi che nelle invettive, cfr. I 109, 1-5; 115, 2-5; V 37, 1-13; VIII 33, 17-
22; 64, 5-11; vd. Citroni, pp. 336 sg.; 351 sg. Per la lunga serie di fantasiosi
paragoni nella descrizione di una vecchia si può confrontare Priap. 32,
1-10 uvis aridior puella passis, / buxo pallidior novaque cera, / collatas
sibi quae suisque membris, / formicas facit altiles videri, / cuius viscera
non aperta Tuscus / per pellem poterit videre haruspex, / quae suco caret
usque et usque pumex, / nemo viderit hanc ut expuentem, / quam pro
sanguine pulverem scobemque / in venis medici putant habere.
3. pectus cicadae: la sottigliezza della cicala è usata in un comico paragone
con un rus minuscolo: XI 18, 5 argutae tegit ala quod (sc. rus) cicadae. –
crus colorque formicae: la piccolezza delle formiche è proverbiale, come il
Epigramma 93 529

loro colore nero (vd. ThlL VI 1, 1091, 51 sgg.): cfr. Priap. 32, 3 sg. cit. nella
n. ai vv. 3-13; vd. anche AP XI 104; 392; 407; Epigr. Bob. 65; sul colore
cfr. Mart. I 115, 4 sg. sed quandam volo nocte nigriorem, / formica, pice,
graculo, cicada; vd. anche AL 104.
4. rugosiorem … stola frontem: la fronte rugosa è tratto ricorrente nella
descrizione di vecchie: cfr. Verg. Aen. VII 417 et frontem obscenam rugis
arat (sc. Allecto); Hor. epod. 8, 3 sg. et rugis vetus / frontem senectus
exaret. Marziale paragona in modo originale la fronte rugosa alle grinze di
una stola: cfr. Vitr. IV 1, 7 stolarum rugas; vd. RE IVA 56 sgg. Rugosus è
attributo frequente nelle descrizioni di vecchi: cfr. Priap. 12, 6 rugosas …
manus; Ov. am. I 8, 112 rugosas … genas; Lygd. 5, 25 rugosa … senecta;
Prop. IV 5, 67 rugoso … collo; vd. Grassmann 1966, p. 20.
5: i seni grinzosi e cadenti sono un tratto caratteristico della Vetula-
skoptik: cfr. III 72, 3 aut tibi pannosae dependent pectore mammae; Hor.
epod. 8, 7 sg. mammae putres / equina quales ubera. Per la menzione delle
ragnatele in paragoni ingiuriosi cfr. Catull. 25, 3 (cinaede Talli mollior)
situ … araneoso; Priap. 83, 30 araneosus obsidet forem situs.
6 sg.: i coccodrilli, esibiti per la prima volta a Roma nel 58 a.C. da M. Scauro
(cfr. Plin. nat. VIII 96), furono in seguito un’attrazione in vari spettacoli
imperiali (vd. Jennison 1937, index s.v. crocodile; Toynbee 1973, pp. 218-220;
passim). Alla loro presenza negli spettacoli di Domiziano fa probabilmente
riferimento Marziale in V 65, 14 improba Niliacis quid facit Hydra feris? (vd.
Howell2, ad loc.). – corcodilus: la forma corc-, in luogo della più comune croc-,
necessaria metricamente, è stata introdotta in questo verso da Schneidewin.
Essa ricorre in Cic. Tusc. V 78 e, garantita da ragioni metriche, in Phaedr. I
25, 4. 6 (introdotta da Gudius nell’edizione di P. Burmann, 1698, p. 36); cfr.
anche GLK V 575 crocodillus (Keil; corcodrillus L, corcodrillis M) generi
masculini. nam prius corcodillus (corcodrillus L, corcodrillis M) dicebatur;
vd. ThlL IV 1213, 79 sgg.; sulla forma con geminazione della liquida vd. L.
Havet, LL dans corcodillus, ALL 9, 1896 (= Hildesheim 1967), p. 135 sg.; la
forma - è attestata in greco: vd. LSJ s.v.
8 sg.: la voce di Vetustilla è così sgradevole che al confronto il gracidio delle rane
e il ronzio delle zanzare, rumori proverbialmente fastidiosi, appaiono gradevoli.
Marziale menziona qui due luoghi che ebbe senz’altro modo di visitare durante
il suo soggiorno cisalpino. I fastidiosi rumori sono associati anche in Hor. sat. I
5, 14 sg. mali culices ranaeque palustres / avertunt somnos.
8. ranae … Ravennates: Ravenna era stata edificata su una zona paludosa;
530 M. Val. Martialis liber tertius

il gracidio prodotto dalle rane del Ravennate è ricordato anche da Sidon.


epist. I 8, 2 ita tamen quod te Ravennae felicius exsulantem auribus Padano
culice perfossis municipalium ranarum loquax turba circumsilit; cfr. anche
[Ov.] Hal. 126; Verg. georg. I 378; III 431; Dirae 74; Colum. X 12.
9. Atrianus … culex: cfr. Hor. sat. I 5, 14 sg. cit. nella n. al v. 8 sg. Atria
è l’odierna Adria, città veneta a nord del delta del Po (vd. Hülsen, RE II
2144); si trovava anch’essa in una zona paludosa (cfr. Plin. nat. III 120 in
Atrianorum paludes). L’attributo Atrianus ricorre soltanto qui (oltre che
nel passo di Plinio citato, dove è sostantivato). L’ametrico Hadriacus di
è probabilmente una banalizzazione della forma più rara Atrianus (vd.
ThlL II 1097, 22 sg.; 1099, 8 sgg.).
10: le nottole sono animali notturni per eccellenza (cfr. l’etimologia
di Varro ling. V 76; Fest. p. 174, 4); cfr. XI 34, 1 sg. aedes emit Aper sed
quas nec noctua vellet / esse suas; adeo nigra vetusque casa est. L’ametrico
noctua videt, tramandato da T , è facilmente spiegabile dal punto di vista
paleografico.
11: il cattivo odore emanato dai capri è proverbiale (vd. anche l’aggettivo
hircosus): vd. ThlL III 306, 51 sgg.; VI 2, 2821, 69-82; Marziale lo
menziona tra i peggiori odori in IV 4, 4; VI 93, 3; cfr. anche III 24, 6. Il
paragone con il cattivo odore dei capri ricorre in Plaut. Pseud. 738; Catull.
69, 6; 71, 1; Hor. epod. 12, 5; Ov. ars III 193. – viri capellarum: l’uso del
lessico matrimoniale per animali risale a Verg. georg. III 125 pecori dixere
maritum; cfr. anche ecl. 7, 7 vir gregis ipse caper; Hor. carm. I 17, 7 olentis
uxores mariti (con il commento di Nisbet-Hubbard1); Ov. ars I 522 virque
paterque gregis; in Marziale cfr. VII 95, 13 Cinyphio … marito; XIV 140,
1 olentis barba mariti.
12. orthopygium: il sostantivo è hapax nella letteratura latina; è un ter-
mine tecnico, tratto dal greco ( , in it. pigostilo o codione), che
indica l’estremità inferiore del dorso degli uccelli (cfr. Aristoph. Nub. 158;
Ve. 1075).
13: il cunnus di Vetustilla è più ossuto di un vecchio filosofo cinico, che la
caricaturale deformazione satirica rappresentava come sordido ed emaciato:
si veda il ritratto offerto da Marziale in IV 53 (v. 7 sg. esse putas Cynicum
deceptus imagine ficta: / non est hic Cynicus, Cosme: quid ergo? canis);
cfr. anche XI 84, 7 inopes … Cynicos; in generale sulla rappresentazione
del filosofo cinico vd. D.R. Dudley, A History of Cynism from Diogenes
to the Sixth Century A.D., London 1937, p. 5 sg.; M.-O. Goulet-Cazé, Le
Epigramma 93 531

cynisme à l’époque impériale, ANRW II 36, 4, p. 2727 sgg.


14 sg.: il balneator, dopo aver spento la lucerna, ammette Vetustilla nei
bagni insieme alle prostitute più spregevoli. I versi sembrano testimoniare
l’esistenza di bagni frequentati unicamente da donne, almeno in determinate
ore (vd. Busch 1999, p. 492 sg.). – bustuarias moechas: la frequentazione
dei sepolcri da parte delle prostitute di infimo rango è testimoniata anche
in I 34, 8 abscondunt spurcas et monumenta lupas; Iuv. 6, 365 O16 flava
ruinosi lupa … sepulchri; cfr. anche Catull. 59, 1 sgg. Bononiensis Rufa
Rufulum fellat, / uxor Meneni, saepe quam in sepulcretis / vidistis ipso
rapere de rogo cenam (per l’ipotesi che Rufa eserciti la prostituzione vd.
il commento di Quinn; C. Nappa, Catullus 59: Rufa among the graves,
«CPh» 94, 1999, pp. 329-335). Bustuarius, piuttosto raro come aggettivo,
ricorre in poesia qui soltanto (vd. ThlL II 2255, 76 sgg.); per moecha
nell’accezione di meretrix vd. la n. a 82, 28.
16 sg.: Vetustilla è gelida come un cadavere anche nel mese più caldo
e neppure una febbre pestilenziale la potrebbe riscaldare. Sul ‘gelo’ della
vecchiaia cfr. IV 5, 6 nec potes algentes arrigere ad vetulas; Sen. epist. 67,
1 ita est, mi Lucili: iam aetas mea contenta est suo frigore; vix media
regelatur aestate. – pestilentia: il sostantivo ricorre in poesia soltanto,
in senso traslato, in Catull. 44, 11 sg. orationem … / plenam veneni et
pestilentiae legi. Sembrerebbe naturale intendere pestilentia come soggetto
di possit, ma il metro richiede un giambo per il quinto piede (-tiā). Tale
difficoltà ha spinto Guietus ad emendare in pestilenties (si tratterebbe di
un hapax), soluzione accolta da Schneidewin2, Gilbert, Friedlaender, Duff.
Marziale però non utilizza forme in –es e prima di Apuleio si alternano
con la forma in –ia soltanto vocaboli con la terzultima breve, come, ad es.,
luxuries, segnities (vd. Heraeus 1925, p. 332; Heraeus, p. XXXII). In VI 7,
2 atque intrare domos iussa Pudicitia est non c’è motivo per accogliere la
congettura di Heinsius pudicities; in VII 47, 6 tristitia et lacrimis iamque
peractus eras, verso considerato corrotto da molti, Housman (apud Duff)
aveva proposto tristities lacrimis (vd. anche Friedrich 1907, p. 369; 1908,
p. 627), accettato da Giarratano e Izaac, ma successivamente ha cambiato
idea e difeso il testo tràdito (vd. Housman 1931, p. 81 = Class. Pap., p.
1172; Housman, Manilius, V, p. 123). L’unica soluzione per conservare il
testo tràdito, anche se, lo si deve riconoscere, non del tutto soddisfacente,
è considerare pestilentia ablativo e Augustus il soggetto sottinteso di possit
(vd. Heraeus, p. XXXII; SB2: «and cannot defrost you even with a pestilence»).
532 M. Val. Martialis liber tertius

L’estate è un periodo senz’altro esposto a morbi di vario genere (cfr. Cels.


II 1, 7), anche se la stagione peggiore per la diffusione di pestilenze era
l’autunno: cfr. Cels. II 1, 9; Hor. sat. II 6, 19; Verg. georg. III 478 sgg.
18: la principale, dopo la lunghissima premessa, giunge con effetto di
sorpresa: Vetustilla vuole sposarsi, non semplicemente trovare un uomo. –
ducentas … post mortes: comica iperbole; sull’uso iperbolico dei numerali
vd. la n. al v. 1. – nupturire: brillante e probabile congettura di Iunius,
approvata da Gilbert 1883, p. 23 n. 16 (che però nell’ediz. crit. stampa
nuptuire) e Housman (1907, p. 235 = Class. Pap., p. 715), accolta da
Friedlaender, Duff, Giarratano e SB. Nuptum ire della seconda famiglia
(LPQf²) è inaccettabile metricamente, dal momento che in poesia o
avviene elisione (cfr. Hor. sat. I 5, 48 lusum it) oppure il supino è separato:
cfr. Plaut. Cas. 86 ibit nuptum; Claud. 22, 84 ultum … iret; in Marziale
cfr. X 84, 1 dormitum … eat; XI 7, 13 ire fututum. Nupturio ricorre in
Apul. apol. 70 igitur si Claro nupsisset, homini rusticano et decrepito seni,
sponte eam diceres sine ulla magia iam olim nupturisse. Il desiderativo
si adatta benissimo al contesto, giacché la volontà di sposarsi della
protagonista è l’elemento più bizzarro agli occhi del poeta. Per le forme
in –urio in Marziale cfr. XI 77 in omnibus Vacerra quod conclavibus /
consumit horas et die toto sedet, / cenaturit Vacerra, non cacaturit, dove
la comicità dell’epigramma risiede proprio nell’uso dei due inconsueti verbi
desiderativi (il primo hapax assoluto, il secondo ricorre in CIL IV Suppl.
5242: vd. il commento di Kay, ad loc.); vd. anche esurio (II 40, 2; 51, 6; III
12, 3; V 78, 2; VII 27, 10; IX 80, 1; XIV 204, 2); sui desiderativi in -urio
vd. Hofmann-Szantyr, p. 298; E. Wölfflin, Die verba desiderativa, ALL 1,
1884 (= Hildesheim 1967), p. 408 sgg.; Heraeus 1937, p. 16. La maggior
parte degli editori (Schneidewin, Gilbert, Lindsay, Heraeus dubitanter,
Izaac) accoglie nuptuire, attestata da TEA (numtuire XV), che sarebbe
hapax. Le forme verbali in –uio sono inoltre tutte tarde: cfr. ustuire (Prud.
peri. 10, 885), ultuire (Alc. Av.; vd. A. Klotz, Ultuisse, ALL 15, 1908 =
Hildesheim 1967, p. 418; Greg. Tur. h. Fr. 5, 15; Heges. 4, 30 cod. Cassel),
citati da Heraeus, p. XXXII.
19 sg.: l’interpunzione di questi due versi tormentati si deve ad Housman
(1907, p. 235 = Class. Pap., p. 715; vd. anche 1908, p. 46 = Class. Pap., p.
770). I precedenti editori ponevano punto fermo dopo prurire, intendendo
l’infinito come dipendente da quaeris. Tale interpunzione è stata mantenuta,
nonostante la spiegazione di Housman, da Giarratano, Ker, Heraeus,
Epigramma 93 533

Izaac. Heraeus attribuisce a velit un’accezione erotica (cfr. XI 58, 1 cum


me velle vides tentumque, Telesphore, sentis) e, pur riconoscendo che non
vi sono esempi di quaero con accusativo e infinito, ritiene più difficile da
accettare la posposizione di quid si, che si ottiene con l’interpunzione di
Housman. Hanno seguito Housman Lindsay, Norcio, SB e Scàndola-Merli.
Due considerazioni rendono meno probabile l’interpunzione di Heraeus:
l’enjambement è piuttosto raro in Marziale e l’attacco satirico è rivolto contro
la vecchia che continua ad eccitarsi nonostante l’età e dunque a lei deve
necessariamente riferirsi prurire; una conferma in tal senso viene da X 67,
6 sg. hoc tandem sita prurit in sepulchro / calvo Plutia cum Melanthione,
dove la protagonista continua a prurire nella tomba! – virum … quaeris:
vir qui nell’accezione di ‘marito’ (cfr. v. precedente nupturire). Il termine,
collocato enfaticamente in principio di verso, rivela l’assurdità delle pretese
della protagonista. Virum quaerere nel senso di ‘cercare marito’ ricorre
in Ter. Phorm. 297; Ov. epist. 6, 108. – demens: frequente come insulto
(vd. la n. a 75, 2). – cineribus tuis: la rappresentazione come cadavere è un
tratto ricorrente della Vetula-Skoptik: cfr. III 32, 1 sg. an possim vetulam
quaeris, Matrinia? possum / et vetulam, sed tu mortua, non vetula es; X 90,
2 quid busti cineres tui lacessis?; vd. anche v. 23 cadaver … tuum; Priap.
57, 1 cornix et caries vetusque bustum. - Prurire: nell’accezione erotica (vd.
Pichon, p. 242; OLD, s.v. prurio, nr. 2); qui è usato intransitivamente come
in VI 37, 3; IX 73, 4; 90, 8; X 67, 5; XI 81, 4. – quid si: introduce una
sorta di , come in I 35, 6 sg. quid si me iubeas thalassionem /
verbis dicere non thalassionis?; II 86, 7 sg. quid si per gracilis vias petauri
/ invitum iubeas subire Ladan?; cfr. anche Ov. am. I 1, 7 sg. – si Sattiae:
ad Housman (1908, p. 46 sg. = Class. Pap., p. 770) spetta anche il merito di
aver chiarito in modo certo questa parte del verso, variamente corrotta nei
codici e oggetto di numerosi quanto improbabili tentativi congetturali. Alle
cruces aveva fatto ricorso Lindsay nella prima edizione (vd. anche Lindsay
19032, p. 51), accogliendo quindi nella seconda, come i successivi editori, la
congettura di Housman. Sattia era divenuta al tempo di Seneca un exemplum
di longevità: cfr. epist. 77, 20 vita … etiam Nestoris et Sattiae brevis est,
quae inscribi monumento suo iussit annis se nonaginta novem vixisse; si
tratta quasi certamente della stessa donna citata da Plin. nat. VII 158 tra
gli esempi di longevità: ex feminis Livia Rutili LXXXXVII annos excessit,
Statilia Claudio principe ex nobili domo LXXXXIX; gli editori di Plinio
accolgono tutti la forma Statilia, risalente ad antiche edizioni, anche se i
534 M. Val. Martialis liber tertius

manoscritti riportano Sattilia (o Satilia) e il parallelo con Seneca e Marziale


rende quasi certo il nome Sattia (vd. Stein, s.v. Sattia, RE II A, 191, 61-192,
13). Il nome compare in un’epigrafe coeva rinvenuta a Roma (CIL VI 9590
= Dessau III 9434), in cui un certo C. Mattius Lygdamus è definito medicus
Sattiae (sull’identificazione con la Sattia di cui parla Marziale vd. Ch. Hülsen,
Ein Vers des M. und eine stadtrömische Grabschrift, «RhM» 63, 1908, pp.
633-635). Housman 1908, p. 46 (= Class. Pap., p. 770) ha citato anche altre
epigrafi in cui è attestato il nome (CIL IX 1088; 1887; 1955). – saxum:
‘il sepolcro’: cfr. VIII 3, 5 et cum rupta situ Messalae saxa iacebunt; vd.
Housman 1908, p. 47 (= Class. Pap., p. 770); OLD, s.v., nr. 3 f. Per l’uso in
contesto di Vetula-skoptik cfr. X 90, 2 quid busti cineres tui lacessis; Priap.
57, 1 cornix et caries vetusque bustum.
22. Philomelus: doveva essere un uomo vecchissimo; non ci sono ele-
menti per un’identificazione con il ricchissimo Filomelo di III 31, 6 e
IV 5, 10. - aviam quam vocaverat nuper: Marziale esprime la vecchiaia
della protagonista tramite il paragone con un personaggio considerato un
emblema di vecchiaia, che però è rappresentato più giovane della persona
in questione: cfr. X 67, 1 sgg. Pyrrhae filia, Nestoris noverca, / quam vidit
Niobe puella canam, / Laertes aviam senex vocavit, / nutricem Priamus,
socrum Thyestes (vd. anche Priap. 57, 3 sgg.).
23 quod si: vd. la n. a 50, 9. - exigis: il presente, preferito da Fried-
laender, Heraeus, Giarratano, mi sembra più adatto al contesto (cfr. vv. 18
audes; 19 quaeris). Exiges della seconda famiglia è stato accolto da Lindsay,
Izaac, SB. Si tratta di un scambio frequente nei codici: per il caso inverso
cfr. III 68, 12 leges T : legis ; I 115, 6 vives T : vivis EAX. – scalpi: l’uso
metaforico del verbo in contesti erotici è in relazione con la prurigo sessuale
(cfr. v. 20 prurire); cfr. Pompon. Atell. 76 praeteriens vidit Dossennum in
ludo … / non docentem condiscipulum, verum scalpentem natis; Pers. 1,
21 tremulo scalpuntur ubi intima versu (con il commento di Kißel); vd.
OLD, s.v. scalpo, nr. 1 b; Adams, LSV, pp. 149 sg.; 219.
24. sternatur … lectus: il lectus è allo stesso tempo matrimoniale (genialis)
e funebre (funebris); per la trasformazione del letto da matrimoniale in
funebre cfr. Sen. contr. exc. VI 6, 1. L’espressione lectum sternere indica
abitualmente la preparazione del letto: vd. ThlL VII 2, 1099, 21 sgg. – Acori
de triclinio: il personaggio non è noto da altre fonti; il contesto suggerisce
che si tratti di un libitinarius (vd. RE XIII 114). Acorus come nome servile
ricorre in CIL X 691. Il testo tràdito è stato mantenuto da Heraeus e Izaac.
Epigramma 93 535

Gilbert, Lindsay, Duff e Giarratano hanno optato per Achori (già proposto
da Stephanus Claverius e Buecheler), ipotizzando un nome parlante (dal gr.
, ‘privo di danze’, ‘lugubre’; cfr. Soph. O. C. 1222). Poco persuasiva
l’ipotesi di Colin 1956, pp. 325-331, per il quale Acorus sarebbe un dio o
genio della morte, il cui nome compare in due epigrafi della provincia della
Gallia Narbonese (CIL XII 5783; 5798). Il realismo della scena suggerisce
che si tratti di una persona reale, come conferma la presenza dell’ustor nel v.
26. SB pone la parola fra cruces, ma guarda con favore (SB2, p. 271 n. b) alla
congettura Orci di T. Roeper (In Martialis epigrammata, «Philologus» 10,
1855, pp. 573-576), accolta da Friedlaender, per cui si possono confrontare
X 5, 9 Orciniana qui feruntur in sponda; Apul. met. III 9 Orci familia;
IV 6 Orci penates. Appare tuttavia piuttosto improbabile che un nome così
comune si sia corrotto in tal modo. Per i numerosi tentativi di congettura
su questa sezione del verso da parte degli editori precedenti a Lindsay vd.
Colin 1956.
25. thalassionem: il thalassio è un’invocazione del rito nuziale (cfr. Liv.
I 9, 12; Plut. quaest. Rom. 31; Romul. 15; Serv. Aen. I 651; Fest. p. 478,
34 sgg.); l’origine e la grafia del termine sono incerte (vd. R. Schmidt, De
Hymenaeo et Talasio dis veterum nuptialibus, Diss. Kiliae 1886, p. 81 n.
1; Citroni, p. 117; RE IV A 2064, 5-2065, 40). In Catull. 61, 127 (134) e in
Mart. XII 42, 4 Talasius è un dio delle nozze. In Marziale cfr. anche I 35,
6 sg. quid si me iubeas thalassionem / verbis dicere non thalassionis. Qui
vale per metonimia nuptiae (cfr. anche XII 95, 5).
26. ustor …: l’ustor era l’addetto alla cremazione dei cadaveri: cfr. Catull.
59, 5; Lucan. VIII 738; vd. Daremberg-Saglio, s.v. ustrina, ustrinum, V,
p. 605; s.v. funus, II 2, p. 1394 sgg. - taedas: le fiaccole sono un altro
elemento condiviso dalle due cerimonie (nuziale e funebre): cfr. Sil. II 184.
Sulle fiaccole nella cerimonia nuziale vd. Treggiari 1991, p. 163; cfr. Catull.
61, 15; Prop. III 19, 25; Verg. Aen. VII 397; Ov. epist. 4, 121; fast. II 558;
met. I 658; IV 758 (con il commento di Bömer2); Mart. IV 13, 2; VI 2, 1.
– novae nuptae: ‘la sposa novella’ (vd. OLD, s.v. nupta, b; Treggiari 1991,
p. 163); la definizione ha qui un’alta dose di sarcasmo.
27: conclusione cruda dell’epigramma: Vetustilla è pronta per la crema-
zione, piuttosto che per un uomo. La collocazione in chiusura di un termine
osceno costituisce una sorta di marchio del suo carattere epigrammatico.
536 M. Val. Martialis liber tertius

94

Esse negas coctum leporem poscisque flagella.


Mavis, Rufe, cocum scindere quam leporem.

hab. R tit. ad rufum : ad ruffum R² ad ruisum R¹ ut vid. 1 coctum leporem R EAX:


leporem coctum V poscisque R EAV: poscitque X

Dici che la lepre non è cotta e chiedi la frusta.


Preferisci, Rufo, fare a pezzi il cuoco piuttosto che la lepre.

L’epigramma prende di mira un patrono avaro, che, pur di non servire


i cibi agli ospiti, finge che non siano stati cotti a sufficienza e fa punire il
cuoco.
Il primo verso presenta la situazione, il secondo è un commento arguto
del poeta, che, giocando sul doppio senso del verbo scindere, mette in luce
tutta la grettezza e la crudeltà del patrono. Il tema è lo stesso dell’epigr. 13
di questo libro: dum non vis pisces, dum non vis carpere pullos / et plus
quam patri, Naevia, parcis apro, / accusas rumpisque cocum, tamquam
omnia cruda / attulerit. numquam sic ego crudus ero. Rufo è spesso
apostrofato negli epigrammi di Marziale: in questo libro ricorre anche
negli epigr. 82; 97; 100 (vd. le nn. intr. agli epigr. 82 e 100); qui si tratta
certamente di un nome fittizio. L’estraneità del tema al carattere osceno
della sezione può forse essere spiegata con la volontà di Marziale di variare
sia nella lunghezza che nel contenuto rispetto all’epigr. precedente.

1. esse negas coctum: inizio di verso pressoché identico in II 72, 7 esse


negas factum. – leporem: sulla lepre, considerata cibo molto raffinato, vd.
la n. a 77, 2. – poscisque flagella: sulle punizioni corporali per i cuochi cfr.
VIII 23; vd. la n. a 13, 3.
2. scindere: Marziale costruisce la pointe sfruttando la duplice valenza
del verbo, che, in relazione ai cibi significa carpere (per l’accezione vd. la
n. a 13, 1), mentre in relazione al cuoco equivale a caedere, verberare. Per
il primo significato cfr. III 12, 1 sg. unguentum, fateor, bonum dedisti
/ convivis here, sed nihil scidisti; Sen. dial. VII 17, 2 scindendi obsonii
magister; X 12, 5 quanta arte scindantur aves in frusta non enormia;
Epigramma 94 537

epist. 47, 6 alius pretiosas aves scindit; vd. OLD, s.v., nr. 5 d. Per il secondo
cfr. Ov. Ib. 183 hic tibi de Furiis scindet latus una flagello; Sen. contr. II
5, 5 scissum corpus flagellis; Sil. I 171 sg. verbera … / ictibus innumeris
lacerum scindentia corpus; vd. OLD, s.v., nr. 5; Voc. Iur. Rom. V 1, s.v.
scindo, nr. 1.
538 M. Val. Martialis liber tertius

95

Numquam dicis have, sed reddis, Naevole, semper,


quod prior et corvus dicere saepe solet.
Cur hoc expectas a me, rogo, Naevole, dicas:
nam, puto, nec melior, Naevole, nec prior es.
Praemia laudato tribuit mihi Caesar uterque 5
natorumque dedit iura paterna trium.
Ore legor multo notumque per oppida nomen
non expectato dat mihi fama rogo.
Est et in hoc aliquid: vidit me Roma tribunum
et sedeo qua te suscitat Oceanus. 10
Quot mihi Caesareo facti sunt munere cives,
nec famulos totidem suspicor esse tibi.
Sed pedicaris, sed pulchre, Naevole, ceves.
Iam iam tu prior es, Naevole, vincis: have.

vv. 1-4, 7-12 hab. T tit. ad n(a)evolum TAXV: ad navolum E ad nevulum 1 dicis
T EXV: discis A have A: ave EXV habe T reddis Tf²s.l. : rides LPQf¹ n(a)evole T :
nevule 2 prior : prius T corvus T: curvus LPQ¹f¹ curius Q²f² 3 expectas TQ :
expectes LPf n(a)evole : nevolae T nevule 4 nec melior T V: ne melior EAX me
melior C n(a)evole : necvole T nevule 7 legor LP²Qf : legos T legar P¹ notumque
T EAV: netumque X 8 expectato … rogo T : expectatos … rogos 9 est et TQ² :
esset LPQ¹f vidit T XV: vidi EA 10 et TLPQ²f : sed Q¹ te suscitat TLPQf¹ : se
succitat f²s.l. 11 quot Q²f²s.l.X: quod TLPQ¹f¹EAV cives T EA²XV: tives A¹ 12 nec :
ne T suspicor TL²PQ²f : sospicor Q¹ suspicior L¹ 13 n(a)evole : nevule 14 n(a)evole
: nevule have kv2²: ave LPQf¹V²in mg.v2¹ habe f²v.l.EAXV¹

Non dici mai: «Salve», ma ricambi sempre il saluto, Nevolo,


che anche un corvo spesso suole dire per primo.
Dimmi, ti prego, Nevolo, perché ti aspetti questo da me:
infatti, credo, non sei né migliore, Nevolo, né più importante.
Entrambi i Cesari mi hanno tributato premi e lodi 5
e mi hanno concesso il diritto dei tre figli.
Sono letto da molti e un nome noto per le città
mi dà la fama senza attendere la mia morte.
Anche questo conta qualcosa: Roma mi ha visto tribuno
e siedo a teatro nei posti da cui Oceano fa alzare te. 10
Epigramma 95 539

Sospetto che tu non abbia neanche tanti servi,


quanti sono divenuti cittadini grazie a me col dono di Cesare.
Ma ti fai inculare e sculetti bene.
Già già sei più importante tu, Nevolo, vinci: «Salve».

A Nevolo che non saluta mai per primo, ma si limita a ricambiare con
sussiego il saluto del poeta, quasi che gli fosse dovuto un certo ossequio,
Marziale risponde affermando orgogliosamente i suoi motivi di vanto: i
premi e lo ius trium liberorum ricevuti da Tito e Domiziano (5 sg.), la fama
acquisita grazie alla sua poesia (7 sg.), la carica di tribunus semestris (9 sg.),
la cittadinanza che ha ottenuto per molte persone (11 sg.). Nevolo invece è
soltanto un pathicus, che, lascia intendere Marziale, si arricchisce concedendo
favori sessuali (13 sed pedicaris, sed pulchre … ceves). Marziale conclude
riconoscendogli sarcasticamente il primato e il diritto a ricevere per primo
il saluto (14). La chiusa dell’epigramma contiene una nota di amara ironia:
la società consente a personaggi come Nevolo di arricchirsi enormemente
e pretendere ossequio da chi vale in realtà molto più di loro. Marziale lascia
che la differenza tra lui e Nevolo emerga chiaramente dai dati di fatto e si
affida all’ironia nel tributare all’effeminato l’ossequio che desidera. Presenta
affinità con questo l’epigramma V 13, in cui Marziale contrappone la propria
condizione di cavaliere e poeta povero, ma noto, a quella di un ricco liberto:
sum, fateor, semperque fui, Callistrate, pauper, / sed non obscurus nec male
notus eques, / sed toto legor orbe frequens et dicitur ‘hic est’; / quodque cinis
paucis, hoc mihi vita dedit. / at tua centenis incumbunt tecta columnis / et
libertinas arca flagellat opes, / magnaque Niliacae servit tibi gleba Syenes, /
tondet et innumeros Gallica Parma greges. / hoc ego tuque sumus: sed quod
sum non potes esse; / tu quod es, e populo quilibet esse potest (per l’elenco dei
motivi di orgoglio da parte del poeta, che lo rendono oggetto di invidia da
parte di altri si veda anche IX 97). Nevolo è un pathicus anche nell’epigr. 71
di questo libro; il nome ricorre anche in I 97; II 46; IV 83 per diversi tipi.

1: la persona di rango inferiore era tenuta a salutare prima (cfr., ad es.,


Hor. epist. I 7, 64 sgg.); era una sorta di ossequio, cui i nobili dimostravano
di tenere molto; talvolta il superiore non rispondeva neanche al saluto:
cfr. X 70, 5 non resalutantis video nocturnus amicos; Sen. dial. IX 12, 4
salutaturi aliquem non resalutaturum. La salutatio matutina al patrono
540 M. Val. Martialis liber tertius

era l’obbligo principale del cliente (vd. la n. a 36, 3). Sul tema del saluto si
veda anche V 66, 1 sg. saepe salutatus numquam prior ipse salutas. / sic
eris? aeternum, Pontiliane, vale (l’interpunzione del v. 2 è di Housman
1919, p. 71 = Class. Pap., p. 985). – have: è la forma consueta di saluto (gr.
: cfr. V 51, 7 have Latinum, non potest Graecum; Sen. ben.
VI 34, 3). In Marziale ricorre anche il raro infinito havere (vd. la n. a 5, 10).
– sed reddis: reddere salutem è espressione consueta: cfr. Sen. dial. II 13,
3; vd. OLD, s.v. reddo, nr. 6.
2: i corvi erano ammaestrati a salutare: cfr. XIV 74, 1 corve salutator;
Phaedr. App. 23; Plin. nat. X 121 sgg.; Macr. Sat. II 4, 29. Altri animali
erano addestrati al saluto: cfr. XIV 73 (psittacus); 76 (pica) con il commento
di Leary1, ad locc. – prior: prius di T è senz’altro una lectio facilior; per
simili scambi vd. la n. a 38, 3 disertior.
3. expectas: ‘de iis, quae tamquam debita, vel more vel lege praescripta
petuntur: fere i.q. exigere’ (ThlL V 2, 1897, 8 sgg.). L’indicativo è senz’altro
preferibile rispetto al congiuntivo di LPf, in considerazione del tono
colloquiale del passo e della predilezione della Umgangssprache per
la paratassi rispetto alla subordinazione; in particolare i verba dicendi
seguono spesso la domanda, invece di introdurla, come in questo caso
(vd. Hofmann, LU, p. 249 sgg.); si veda anche la n. a 88, 2. – rogo: inciso
di natura colloquiale, frequente in Marziale (vd. la n. a 44, 9).
4. puto: inciso colloquiale che attenua l’affermazione (vd. la n. a 55, 4);
qui contiene una netta sfumatura ironica. – prior: ‘praevalente respectu
gradus, aestimationis, dignitatis, potentiae, praestantiae, sim.’ (ThlL X 2,
1331, 41 sgg.). Prior pertiene alla posizione sociale, melior al valore.
5 sg.: Tito e Domiziano hanno conferito al poeta vari praemia e l’ambito
ius trium liberorum. – laudato … mihi: per la lode ricevuta dall’imperatore
cfr. IV 27, 1 saepe meos laudare soles, Auguste, libellos. – Caesar uterque:
Tito e Domiziano; l’ipotesi di Th. Mommsen (Römische Staatsrecht, II,
Leipzig 1871, p. 828, 4) che l’espressione si riferisca a Vespasiano e Tito è
oggi giustamente esclusa (vd. Daube 1976, pp. 145-147; utile dossografia in
H. Szelest, ANRW II 32, 4, p. 2565 n. 7). La iunctura ricorre in Ov. trist.
IV 2, 8; AL 424, 2; in Marziale, sempre in clausola, anche in IX 97, 5 cit.
infra. – natorum … iura paterna trium: Marziale ricorda orgogliosamente
il privilegio in forma pressoché identica in IX 97, 5 sg. rumpitur invidia,
tribuit quod Caesar uterque / ius mihi natorum, rumpitur invidia. Egli
testimonia in II 91 e 92 la sua richiesta a Domiziano del privilegio (91, 5
Epigramma 95 541

sg. quod fortuna vetat fieri permitte videri, / natorum genitor credar ut
esse trium) e il successivo ottenimento da parte dell’imperatore (92, 1 sgg.
natorum mihi ius trium roganti / Musarum pretium dedit mearum /
solus qui poterat). Il privilegio fu probabilmente accordato da Tito, forse
come ricompensa per il Liber de Spectaculis, con cui Marziale celebrò
l’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, e, successivamente, confermato da
Domiziano al principio del suo regno; vd. al riguardo K. Prinz, Martials
Dreikinderrecht, «WS» 49, 1931, pp. 148-153; Daube 1976, pp. 145-147; in
generale M. Zablocka, Il ius trium liberorum nel diritto romano, «BIDR»
91, 1988, pp. 361-390. Iura paterna designa il ius trium liberorum anche
in VIII 31, 2 coniuge qui ducta iura paterna petis.
7 sg.: l’orgogliosa attestazione della propria fama poetica è realizzata
attraverso un’allusione a Ovidio e, forse, a Virgilio (vd. infra). Marziale
ricorda più volte il suo ampio successo di pubblico, anche fuori d’Italia:
cfr. I 1, 1 sg.; V 13, 3; VI 60 (61), 1-2; VII 88; VIII 3, 3 sg.; 61, 3 sgg.;
XI 3, 1-5. – ore legor multo: l’incipit del verso richiama esplicitamente
il penultimo verso delle Metamorfosi di Ovidio: XV 878 ore legar populi
(cfr. anche trist. IV 10, 128 in toto plurimus orbe legor). In Marziale cfr.
anche VIII 3, 7 me tamen ora legent. Per ore legere cfr. Ov. am. I 12, 24;
ars III 344; Pont. III 4, 54; Ib. 66. L’espressione allude probabilmente
al fatto che il modo abituale di leggere era quello a voce alta (vd., ad es.,
Cavallo-Chartier 1995, p. 47; utile raccolta di materiali in J. Balogh, Voces
paginarum. Beiträge zur Geschichte des Lauten Lesens und Schreibens,
«Philologus» 82, 1927, pp. 84-109; 202-240). – notumque per oppida
nomen: l’espressione solenne contiene forse un’allusione a Verg. georg. II
176 Ascraeumque cano Romana per oppida carmen. Giovenale ha ripreso
in chiave parodica il verso di Marziale in 3, 35 notaeque per oppida buccae
(vd. Colton 1991, p. 95); cfr. anche Stat. silv. I 1, 8 sg. nunc age Fama
prior notum per saecula nomen / Dardanii miretur equi. Per nomen
nell’accezione di ‘celebrità’, ‘fama’ (OLD, s.v. nomen, nr. 11) cfr. Ov.
met. XV 876 nomen … erit indelebile nostrum; trist. III 3, 79 sg. quos
(sc. libellos) ego confido, quamvis nocuere, daturos / nomen et auctori
tempora longa suo; 10, 2 et superest sine me nomen in Urbe meum; IV 10,
121 sg. cit. infra; Pont. IV 16, 3 sg. cit. infra; in Marziale cfr. VI 61 (60),
2 et nomen toto sparget in orbe suum; IX 84, 6 nescia nec nostri nominis
Arctos erat; X 26, 7 sed datur aeterno victurum carmine nomen; 103, 4
nam decus et nomen famaque vestra sumus. – non expectato … rogo: il
542 M. Val. Martialis liber tertius

rogus rappresenta metonimicamente la morte (vd. OLD, s.v. nr. b); per l’uso
in contesto di fama garantita dalla poesia cfr. Ov. am. III 9, 28 defugiunt
avidos carmina sola rogos; trist. V 14, 6 nec potes in maestos omnis abire
rogos; Pont. III 2, 32 effugiunt structos nomen honorque rogos. Il motivo
della fama raggiunta in vita è topico: cfr. Ov. trist. IV 10, 121 sg. tu mihi (sc.
Musa), quod rarum est, vivo sublime dedisti / nomen, ab exsequiis quod
dare fama solet; Pont. IV 16, 3 sg. mihi nomen / tum quoque, cum vivis
adnumerarer, erat; in Marziale cfr. I 1, 4 sg. cui, lector studiose, quod dedisti
/ viventi decus atque sentienti, / rari post cineres habent poetae; sulla sua
presenza nell’epigrafia funeraria vd. P. Cugusi, Un tema presente nei CLE: la
gloria raggiunta in vita, «AFMC» 5, 1981, pp. 5-20. – dat mihi fama: qui la
fama è in certa misura personificata: cfr. VIII 3, 3 sg. iam plus nihil addere
nobis / fama potest; Ov. trist. IV 10, 121 sg. cit. supra.
9 sg.: Marziale fu tribunus semestris, carica che dava diritto al rango di
cavaliere e a sedere a teatro nei posti riservati. Il titolo gli fu probabilmente
conferito da Tito insieme al ius trium liberorum e confermato da
Domiziano. La carica di tribunus semestris, istituita da Claudio (Suet.
Claud. 25, 1), era onorifica e non comportava un reale servizio (vd. S.
Demougin, L’ordre équestre sous les Julio-Claudiens, Rome 1988, pp. 293-
298); cfr. anche Iuv. 7, 88 sg. (con il commento di Courtney); Plin. epist. IV
4, 2. Marziale ricorda sempre orgogliosamente il proprio cavalierato: cfr.
V 13, 1 sg. cit. nella n. intr.; IX 49, 4 in hac (sc. toga) ibam conspiciendus
eques. – est et in hoc aliquid: anche la poesia, attività considerata dallo
stesso Marziale priva di remunerazioni adeguate, ha procurato qualche
vantaggio materiale al poeta; per l’espressione cfr. Cic. Brut. 193 tenet
auris vel mediocris orator, sit modo aliquid in eo; vd. OLD, s.v. aliquis,
nr. 9. – vidit me Roma tribunum: l’uso di videre conferisce all’espressione
una solennità maggiore e la personificazione della città enfatizza il valore
del titolo conseguito dal poeta: cfr. Lucan. V 662 vidit Magnum mihi
Roma secundum. – et sedeo qua te suscitat Oceanus: Oceanus era l’addetto
al controllo dei posti riservati ai cavalieri a teatro; è menzionato anche in V
23, 4; 27, 4; VI 9, 2. Marziale nomina un altro dissignator theatralis di nome
Leitus in V 8, 12; 14, 11; 25, 2; 35, 5. Suscitare ricorre in Marziale come
verbo ‘tecnico’ per indicare l’azione del dissignator che fa alzare l’abusivo:
cfr. V 35, 5 et suscitanti Leito reluctatur; VI 9, 2 et quereris si te suscitat
Oceanus? Sedeo senza altre specificazioni significa spesso ‘sedere a teatro’
(vd. OLD, s.v., n. 1 b): cfr. II epist. 9 sg. ego inter illos sedeo qui protinus
Epigramma 95 543

reclamant; vd. anche V 8, 7; 14, 1; 27, 4; 41, 7. La situazione descritta si


differenzia da quella di II 29, in cui un ex-schiavo fuggitivo può sedere
tranquillamente nelle prime file, e sembra attestare, già al momento della
pubblicazione del libro terzo, una disciplina più rigida per i posti a teatro
(cfr. anche IV 67, 3 sg.). Il diritto di proedria a teatro sarà successivamente
ratificato dall’editto domizianeo che restaurava la lex Roscia theatralis
(del 67 a.C.), per la quale alle persone di nascita libera e censo equestre
venivano riservate le prime quattordici file a teatro (cfr. Suet. Dom. 8, 3
con la nota 75 di Galli). Il tema riceverà ampio sviluppo nel libro quinto
(cfr. V 8; 14; 23; 25; 27; 35; 38; 41; sull’argomento vd. Canobbio 2002).
Questo può essere un altro elemento che sposta la cronologia di questo
libro verso l’88 (vd. l’Introduzione, § 2 e quanto ho scritto nella recensione
a Canobbio 2002 in «RFIC» 130, 2002, p. 476 sg.).
11 sg.: Marziale ha ottenuto la cittadinanza romana per molti (proba-
bilmente suoi conterranei); Nevolo non avrà altrettanti schiavi. Il poeta
contrappone orgogliosamente il privilegio che l’imperatore ha concesso
a molti per sua intercessione al possesso di numerosi schiavi, indice
soltanto di benessere materiale. Possedere un elevato numero di schiavi
era un segno di prosperità: Orazio, per illustrare la mancanza di modus del
cantore Tigellio, dice: habebat saepe ducentos / saepe decem servos (sat. I
3, 11 sg.), dove dieci rappresenta un numero esiguo; il liberto Ermerote
nella Cena Trimalchionis afferma orgogliosamente viginti ventres pasco
(Petron. 57, 6); cfr. anche Sen. dial. IX 8, 6; XII 12, 4; epist. 17, 3; Iuv. 3,
141; vd. M. Garrido-Hory, Martial et l’esclavage, Paris 1981, p. 121 sgg.
Poco persuasiva in questo caso l’interpretazione di Housman 1907, p. 235
sg. (= Class. Pap., p. 716), per il quale l’affermazione di Marziale richiede
un numero esiguo: egli ritiene che qui il poeta si riferisca con humour allo
ius trium liberorum, di cui parla al v. 5 sg. («Caesareo munere Martiali
facti sunt cives III, nempe liberi»). La spiegazione è piuttosto capziosa ed è
smentita, a mio avviso, proprio dal fatto che Marziale, nell’elencare i propri
meriti e i privilegi ricevuti, non si sarà certo ripetuto. Anche l’assunto di
base, per cui l’espressione di Marziale richiederebbe un numero basso, è
discutibile. – Caesareo: l’attributo, di uso poetico, ricorre per la prima volta
in Ovidio (met. I 201; in tutto 15 volte); quindi in Lucano (12), Stazio (10)
e Marziale (9).
13 sg.: Nevolo è un pathicus. Marziale menziona le sue pratiche omo-
sessuali con ironia, quasi si trattasse dei titoli che egli può vantare, e ne
544 M. Val. Martialis liber tertius

decreta la superiorità, tributandogli il meritato saluto. – pedicaris: pedicare


è il verbo principale che definisce la penetrazione anale: ricorre una volta
nei frammenti di Pomponio e Laberio, nelle iscrizioni pompeiane, tre volte
in Catullo, quattro nei Priapea, ben diciotto volte in Marziale (in questo
libro cfr. anche 98, 2), che utilizza anche il sostantivo pedico (II 28, 3; 47,
3; VI 33, 1; XI 87, 1; XII 85, 1); la volgarità del verbo è testimoniata da
Priap. 3, 9 sg. simplicius multo est ‘da pedicare’ Latine / dicere. quid
faciam? crassa Minerva mea est; vd. al riguardo Adams, LSV, pp. 123–125.
– pulchre … ceves: il verbo designa il movimento tipico del pathicus: cfr.
Schol. Pers. 1, 87 molles et obscenos clunium motus significat; Iuv. 2, 20 sg.
de virtute locuti / clunem agitant. ego te ceventem, Sexte, verebor?; 9, 40
computat et cevet (v. 38 mollis avarus); vd. al riguardo Adams, LSV, p. 136
sg.; J. Mussehl, Geschichte und Bedeutung des Verbums c v re (Mit zwei
Exkursen über Verwandtes), «Hermes» 54, 1919, p. 387 sgg.; Ed. Fraenkel,
Cevere im Plautustext, «Sokrates» 74, 1920, p. 14 sgg. (anche in Id., Kleine
Beiträge zur klassischen Philologie, Roma 1964, II, p. 45 sgg.). – iam iam:
geminazione con effetto asseverativo; ricorre a partire da Plauto (vd. Hof-
mann-Szantyr, p. 809; ThlL VII 1, 119, 16 sgg.); sulla predilezione della
lingua quotidiana per forme geminate vd. Hofmann, LU, p. 178 sgg. – tu
prior es: Marziale riconosce con ironia la superiorità di Nevolo, che prima
aveva negato (cfr. v. 4 nec prior es). Non persuasiva l’interpretazione in
chiave oscena dell’espressione, risalente già a Calderini («Ideo prior, nam
ita in priore loco collocaris, ut podice excipias mentulam»), sostenuta da
Prinz 1911 e recentemente riproposta da J. Fernández Valverde, Marcial:
la precedencia, la lana lavada y el que (no) se mató, «Faventia» 23, 2, 2001,
p. 53 sg.: l’esplicita dichiarazione dei rapporti omosessuali di Nevolo al v.
13 (sed pedicaris) renderebbe l’allusione assolutamente priva di mordente.
Epigramma 96 545

96

Lingis, non futuis meam puellam


et garris quasi moechus et fututor.
Si te prendero, Gargili, tacebis.

tit. ad gargilium EAV: ad gargillum X 1 lingis AXV: linguis E 3 prendero LPf:


prehendero Q prendere EAX praetendero V²s.l. praetendere V¹ gargili EAX: garrili V
gargille

Lecchi, non fotti la mia ragazza e ti vanti


come fossi un amante e uno scopatore.
Se ti prenderò, Gargilio, starai zitto.

Gargilio è un cunnilingus, ma si vanta delle sue prestazioni sessuali. Mar-


ziale minaccia di farlo tacere attraverso l’irrumatio. L’epigramma conferma il
disprezzo dei Romani verso il sesso orale, considerato come una depravazione
ben poco virile (vd. la n. intr. all’epigr. 17). Il nome Gargilio ricorre in Marziale
qui soltanto; cfr. anche Gargiliano (III 30; 74; IV 56; VII 65; VIII 13).

1. Lingis, non futuis: sulla contrapposizione tra le due pratiche sessuali cfr.
XI 47, 8 cur lingit cunnum Lattara? ne futuat; 85, 1 sg. sidere percussa est
subito tibi, Zoile, lingua, / dum lingis. certe, Zoile, nunc futuis (in entrambi
i casi si tratta di effeminati).
2. garris: ‘falso gloriaris’ (ThlL VI 1696, 20). – moechus: sul sostantivo vd.
la n. a 70, 1. – fututor: il sostantivo, derivato dall’osceno futuo (per cui vd. la
n. a 72, 1), ricorre in letteratura solo in Marziale (otto occorrenze; cfr. anche
fututrix in XI 22, 4; 61, 10), nei Priapea (57, 6; 58, 4; 63, 16; 68, 30) e in AL 148,
8; è frequente nelle iscrizioni (cfr., ad es., CIL IV 1503; 4815; XIII 10008, 7).
3. prendero: per l’accezione di ‘cogliere sul fatto’ cfr. Priap. 35, 1 sg.
pedicabere, fur, semel; sed idem, / si prensus fueris bis, irrumabo; vd. anche 6,
3; 11, 1; ThlL X 2, 1163, 14 sgg. – tacebis: Marziale minaccia Gargilio di farlo
tacere attraverso l’irrumatio; sullo stesso motivo è costruita la pointe del c.
74 di Catullo: 5 sg. quod voluit fecit: nam, quamvis irrumet ipsum / nunc
patruum, verbum non faciet patruus; sulla minaccia, puramente verbale, di
irrumatio vd. la n. a 82, 33.
546 M. Val. Martialis liber tertius

97

Ne legat hunc Chione, mando tibi, Rufe, libellum.


Carmine laesa meo est, laedere et illa potest.

hab. R tit. ad rufum R 1 hunc RPQf : huic L mando tibi RLPf : tibi mando Q

Ti affido il libro, Rufo, perché non lo legga Chione.


È stata colpita dalla mia poesia, anche lei può far male.

Marziale affida il libro a Rufo, perché non possa leggerlo Chione, la


fellatrix bersaglio in questo libro di due epigrammi scommatici (34;
87; cfr. anche 83, 2), poiché può vendicarsi sul poeta. Il Rufo di questo
epigramma è senz’altro lo stesso dell’epigr. 100, cui Marziale invia il libro
(sulla possibile identificazione di questo personaggio vd. la n. intr. all’epigr.
100).

2: Marziale realizza la pointe giocando sul doppio senso del verbo laedere,
che nel primo caso va inteso in senso morale, nel secondo in senso fisico.
Laedere è verbo tecnico che designa l’aggressione satirica: cfr. III 99, 2 ars
tua, non vita est carmine laesa meo; in Marziale ricorre spesso in contesti
apologetici: cfr. V 15, 1 sg. quintus nostrorum liber est, Auguste, iocorum,
/ et queritur laesus carmine nemo meo; VII 12, 1 sgg. sic me fronte legat
dominus, Faustine, serena / … / ut mea nec iuste quod odit pagina laesit;
X 5, 1 sg. quisquis stolaeve purpuraeve contemptor, / quos colere debet
laesit impio versu. Sull’uso di laedere in contesti di apologia letteraria cfr.
Ter. Eun. 2; 6; 18; Phorm. 11 (vd. G. Focardi, Linguaggio forense nei
prologhi terenziani, «SIFC» 44, 1972, spec. p. 69 sg.); Hor. sat. I 4, 78;
II 1, 21; 67. Nella poesia dell’esilio Ovidio afferma di essere l’unico che
sia stato danneggiato dai suoi carmi: trist. IV 1, 30 sg. vis me tenet ipsa
sacrorum / et carmen demens, carmine laesus, amo; Ib. 5 nec quemquam
nostri nisi me laesere libelli; cfr. anche trist. V 1, 67 sg. – laedere et illa
potest: Chione può laedere attraverso il sesso orale (i. e. mordere fellando:
vd. R. Verdière, Notes critiques sur Martial, «ACD» 5, 1969, p. 106); cfr.
Lucr. IV 1080 sgg. dentes inlidunt saepe labellis / osculaque adfigunt,
quia non est pura voluptas / et stimuli subsunt, qui instigant laedere
Epigramma 97 547

id ipsum, / quod cumque est, rabies unde illaec germina surgunt. Meno
probabile che Marziale si riferisca alla possibilità di vendetta della fellatrix
attraverso i suoi baci, come suggerito da SB2, p. 273 n. e; per questo tipo di
conclusione cfr. II 23, 3 sgg., in cui Marziale rifiuta di rivelare il vero nome
del Postumo, il cui impurum os ne rende repellenti i baci (cfr. II 10; 12; 21;
22): quid enim mihi necesse est / has offendere basiationes, / quae se tam
bene vindicare possunt? L’idea che la pratica della fellatio lasciasse un alito
sgradevole è alla base di numerosi epigrammi di Marziale (cfr. I 83; II 15;
42; III 17; 28; VII 94; XI 30; 95; XII 85; vd. la n. intr. all’epigr. 17; Richlin
1992, p. 26 sgg.).
548 M. Val. Martialis liber tertius

98

Sit culus tibi quam macer, requiris?


Pedicare potes, Sabelle, culo.

tit. ad sabellum : ad labellum (sed v. 2 sabelle) 1 sit culus tibi Pf²X: sit cuius tibi Lf¹
sicculus tibi E sic culus tibi V siculus tibi A sit tibi culus Q quam macer LPf : macer
quam Q 2 culo LPQ²f : cullo Q¹

Chiedi quanto sia sottile il tuo culo?


Puoi inculare col culo, Sabello.

Marziale prende di mira Sabello, il cui culus è talmente sottile da poter


essere usato per pedicare! Anche altrove il poeta mostra apprezzamento per la
descrizione fisica iperbolica, caricaturale: cfr. VI 36, 1 sg. mentula tam magna
est, tantus tibi, Papyle, nasus, / ut possis, quotiens arrigis, olfacere; XI 51, 1 sg.
tanta est quae Titio columna pendet / quantam Lampsaciae colunt puellae; 72,
1 sg. drauci Natta sui vocat pipinnam, / collatus cui Gallus est Priapus; 100,
1-4 habere amicam nolo, Flacce, subtilem, / cuius lacertos anuli mei cingant,
/ quae clune nudo radat et genu pungat, / cui serra lumbis, cuspis eminet culo;
101, 1 sg. Thaida tam tenuem potuisti, Flacce, videre? / tu, puto, quod non est,
Flacce, videre potes; XII 88, 1 sg. Tongilianus habet nasum: scio, non nego, sed
iam / nil praeter nasum Tongilianus habet.
La satira contro l’eccessiva magrezza compare nella commedia e
nell’epigramma greco (vd. Brecht 1930, p. 91 sgg.; Pertsch 1911, p. 17; Kay,
p. 271 sg.); su donne cfr., ad es., AP XI 327. Sabello ricorre come
nome fittizio in vari epigrammi scommatici di Marziale ed è attestato nelle
iscrizioni (vd. Kajanto 1965, p. 186).

1: la movenza interrogativa iniziale introdotta da requiris (o quaeris) è tra


le più frequenti negli epigrammi di Marziale (vd. la n. a 32, 1). – culus …
macer: è un tratto fisico ricorrente nell’epigramma scommatico: cfr. 93, 12.
2: conclusione paradossale: il culus di Sabello è talmente sottile da poter
svolgere la funzione della mentula. Una conclusione altrettanto paradossale,
ma opposta, si trova in Priap. 31, 3 sg. haec mei te ventris arma laxabunt, /
exire ut ipsa de tuo possis culo. – pedicare: sul verbo vd. la n. a 95, 13 sg.
Epigramma 99 549

99

Irasci nostro non debes, Cerdo, libello.


Ars tua, non vita, est carmine laesa meo.
Innocuos permitte sales. Cur ludere nobis
non liceat, licuit si iugulare tibi?

hab. T tit. ad cerdonem T 1 Cerdo Crusius (cfr. 16, 1): cerdo TLPQf²s.l. credo f¹
3 innocuos LPQ²f : innucos Q¹ non nocuos T permitte sales T EAXV²s.l.: permittis
ales V¹ ludere T : l(a)edere 4 liceat licuit : licuit liceat T iugulare T EA: vigilare
XV

Non devi, Cerdone, arrabbiarti col mio libretto.


Il tuo mestiere, non la tua vita, è stata colpito dalla mia poesia.
Consentimi innocue facezie. Perché a me non dovrebbe essere
concesso di scherzare, se a te fu concesso di sgozzare?

Marziale si rivolge nuovamente al ciabattino Cerdone, che si è risentito


per i due epigrammi in cui il poeta lo ha attaccato (16; 59), e si difende
adducendo la motivazione che quegli epigrammi non colpiscono la persona,
ma il mestiere che rappresenta. Il poeta chiede licenza per i suoi carmi
innocui, ma torna in conclusione ad ironizzare sugli spettacoli gladiatori
offerti dal ciabattino (tema dell’epigr. 16). Marziale inserisce spesso nei
suoi libri epigrammi che descrivono la reazione di persone colpite dalla
sua satira (vd. la n. intr. all’epigr. 11). L’epigramma, privo dell’elemento
osceno caratteristico di questa sezione, riveste una funzione apologetica
della poesia satirica e forse, nello specifico, della sezione che chiude.

1. Irasci nostro non debes, Cerdo, libello: sulla reazione adirata alla
lettura di epigrammi cfr. IV 17, 1 sg. facere in Lyciscam, Paule, me iubes
versus, / quibus illa lectis rubeat et sit irata; vd. anche 37, 1 irasci tantum
felices nostis amici e la relativa n. intr.
2: la poetica di Marziale esclude attacchi ad personam: cfr. I epist. 1 sgg.
spero me secutum in libellis meis tale temperamentum ut de illis queri
non possit quisquis de se bene senserit, cum salva infimarum quoque
personarum reverentia ludant; X 33, 9 sg. hunc servare modum nostri
550 M. Val. Martialis liber tertius

novere libelli, / parcere personis, dicere de vitiis; sull’argomento vd.


Citroni 1968, p. 264 sgg. Su laedere quale verbo tecnico dell’aggressione
satirica vd. la n. a 97, 2.
3. Innocuos permitte sales: l’innocuità degli epigrammi è rivendicata da
Marziale anche in I 4, 7 innocuos censura potest permittere lusus; VII 12,
9 ludimus innocui; cfr. Ov. rem. 251 sg. noster Apollo / innocuam sacro
carmine monstrat opem; vd. ThlL VII 1, 1708, 71 sgg. Innocuos della
seconda e terza famiglia viene accolto da pressoché tutti gli editori; non
nocuos di T soltanto da Schneidewin, Gilbert (che in apparato scrive però:
«innocuos Frdl., recte, ut videtur») e Duff. Nocuus è estraneo alla lingua di
Marziale; compare in Scrib. Larg. 114 eius usus accusatur quasi nocuus (ma
Marc. med. 27, 4, che riprende da Scribonio ha nocivus); cfr. anche Ael.
Lampr. Ant. Heliog. 13, 5 quasi contra nocuum iuvenem vota concipiens
(Hohl, accogliendo una congettura di Helm, corregge quasi contra
innocentem iuvenem; mantiene con ragione il testo tràdito P. Soverini,
Torino 1983); Serv. Aen. X 272 quod si occidentem attenderit, foedera
nocua regionis eius regi significat; in poesia ricorre soltanto in [Ov.] Hal.
130 spina nocuus non gobius ulli. La forma è stata tentata per congettura
da Santen in Prop. IV 9, 40 (con l’approvazione di Housman, Class. Pap.,
p. 290, che l’ha proposta anche per Prop. III 7, 60; in nessuno dei due casi
la congettura è accolta da Fedeli, Stutgardiae 1984); da Baehrens in Drac.
Rom. VIII 247; AL 412, 8 e più volte nei PLM. La lezione di T si spiega
agevolmente come scambio di in- con l’abbreviazione per non (ñ) e può
esser stata favorita dalla presenza di non al principio del verso seguente.
– sales: sal designa metaforicamente nella terminologia letteraria le facezie
pungenti, tipiche della poesia minore: cfr. Catull. 16, 7 sg. qui (sc. versiculi)
tum denique habent salem et leporem, / si sunt molliculi et parum pudici
(vd. OLD, s.v. nr. 6 b; Gowers 1993, pp. 230-232; 246-248; V. Buchheit,
Sal et lepos versiculorum, «Hermes» 104, 1976, pp. 331-347). Nel solco
della tradizione catulliana (vd. Swann 1994, pp. 61-63) Marziale designa
in tal modo i propri epigrammi in V 2, 4 sales … nudi; XIII 1, 4 postulat
ecce novos ebria bruma sales; cfr. anche X 9, 2 sg. multo sale nec tamen
protervo / notus gentibus ille Martialis; egli considera l’arguzia pungente
una caratteristica dell’epigramma latino: cfr. IV 23, 6 sg. qui si Cecropio
satur lepore / Romanae sale luserit Minervae, dove è contrapposto al
lepos dell’epigramma greco; VIII 3, 19 at tu Romano lepidos sale tinge
libellos; critica un epigrammista privo di spirito in VII 25, 1-4 dulcia
Epigramma 99 551

cum tantum scribas epigrammata semper / et cerussata candidiora cute,


/ nullaque mica salis nec amari fellis in illis / gutta sit, o demens, vis
tamen illa legi. Il sal è una delle caratteristiche della poesia di Marziale nel
noto giudizio di Plinio il Giovane (epist. III 21): homo ingeniosus, acutus,
acer, et qui plurimum in scribendo et salis haberet et fellis nec candoris
minus. – ludere: Marziale insiste sul carattere giocoso della propria poesia,
cui contrappone in conclusione la crudezza degli spettacoli gladiatori,
definita esplicitamente dal verbo iugulare (v. 4), che trasforma la difesa in
un attacco rivolto al ciabattino. Ludere è verbo tecnico della terminologia
letteraria e designa la composizione di poesia leggera: cfr. Catull. 50, 2;
Verg. ecl. 6, 1; georg. IV 565; Hor. carm. I 32, 2 (con il commento di
Nisbet-Hubbard1); vd. ThlL VII 2, 1781, 84 sgg. In Marziale cfr. I epist.
3; 113, 1; IV 23, 7; VII 8, 1; 12, 9; VIII 3, 2; IX 26, 10; 84, 3; XI 6, 3; XII
94, 8; egli definisce lusus i suoi epigrammi in contesti apologetici: cfr. I
4, 7 cit. supra; 35, 13 parcas lusibus et iocis rogamus; XI 16, 7 nequitias
nostri lususque libelli. Appare pertanto da escludere la variante laedere,
presente nella famiglia , che contrasta con innocuos … sales ed è stata
probabilmente provocata da laesa del verso precedente.
4. iugulare: il verbo denuncia la crudezza degli spettacoli gladiatori, su
cui si veda la condanna morale espressa da Seneca in epist. 7, 3 sgg.; 95,
33. Il passo è stato tenuto presente da Giovenale (3, 34 sgg.): quondam hi
cornicines et municipalis harenae / perpetui comites notaeque per oppida
buccae / munera nunc edunt et verso pollice vulgus / cum iubet occidunt
populariter (vd. Colton 1991, p. 94 sgg.).
552 M. Val. Martialis liber tertius

100

Cursorem sexta tibi, Rufe, remisimus hora


carmina quem madidum nostra tulisse reor:
imbribus immodicis caelum nam forte ruebat.
Non aliter mitti debuit iste liber.

tit. ad rufum 1 sexta LP²Qf : rufe sexta P¹ remisimus V²: misimus EAXV¹ 2
quem EAX: quae V 3 immodicis LPQf²s.l. : immodices f¹ nam LPf : tunc Q ruebat
A²XV: rubeat E rubat A¹ 4 iste : ille

Ti ho rimandato, o Rufo, alla sesta ora il corriere,


che fradicio, credo, ti ha portato le mie poesie:
infatti il cielo veniva giù con una pioggia a dirotto.
Non diversamente avrebbe dovuto essere inviato questo libro.

Marziale chiude il libro con una dedica scherzosa a Rufo: il poeta ha affidato
il libro al cursor inviatogli dall’amico mentre pioveva a dirotto; è questo il
modo più adeguato per mandare un’opera del genere. La conclusione del
libro è all’insegna dell’understatement, così come lo era stato l’inizio (cfr. 1,
5 sg. sull’inferiorità del libro ‘gallo’ rispetto a quello ‘romano’).
Sul Rufo dedicatario di questo epigramma e del libro (insieme a Faustino e
a Giulio Marziale: cfr. epigr. 2 e 5) sono state formulate due ipotesi: secondo
Friedlaender si tratta di Canio Rufo, caro amico del poeta, nominato in que-
sto libro negli epigr. 20 e 64. L’ipotesi appare poco probabile: la dedica del
libro, sia pure con un epigramma scherzoso, e il tono di understatement
presuppongono un rapporto cliente-patrono (cfr. IV 10, dedica del libro a
Faustino); Canio fu invece in rapporti di stretta amicizia con Marziale, come
dimostra il tono ironico dell’epigr. 20 di questo libro. Per lo stesso motivo
appare poco persuasiva la proposta, formulata in via del tutto ipotetica da
Citroni 1987, p. 154 sg., che possa trattarsi di Camonio Rufo, giovane amico
bolognese, cui il poeta renderebbe omaggio al termine del libro ‘cisalpino’
(la sua ipotesi è condivisa da Sullivan 1991, p. 31). Il nome di Camonio
compare per la prima volta in VI 85, in cui Marziale ne piange la morte
prematura, all’età di vent’anni (cfr. anche IX 74 e 76 su un ritratto di Camonio
da fanciullo). Considerando la data di pubblicazione del VI libro (verso la
Epigramma 100 553

fine del 90: vd. Grewing, pp. 20-23), Camonio, che il poeta può certamente
aver conosciuto durante il soggiorno cisalpino, doveva avere all’epoca della
pubblicazione del III libro soltanto diciassette o diciotto anni. Altre ragioni
sconsigliano l’identificazione con il giovane bolognese (contrario all’ipotesi
di Camonio Rufo anche Grewing, p. 543): il Rufo di questo epigramma è
con ogni probabilità lo stesso dell’epigr. 97 (e, verosimilmente, anche di 82,
33; vd. Grewing, p. 526), cui Marziale affida il libro per evitare che lo legga
la prostituta Chione; quest’ultima era una prostituta romana, come appare
evidente da 30, 4 (anche l’epigr. 82 è di ambientazione romana: cfr. 82,
2-3. 26). È dunque piuttosto probabile che Rufo sia un patrono romano,
cui poteva risultare gradito il tono di scherno nei confronti dei provinciali,
presente in vari epigrammi del libro (1, 5 sg.; 91). Individuare a quale delle va-
rie persone con questo cognomen apostrofate nei suoi epigrammi Marziale
si riferisca non è agevole; tuttavia la sua presenza all’interno della sezione
oscena del libro, ribadita dalla dedica finale, rivela un’inclinazione verso la
poesia licenziosa.

1. Cursorem: Rufo aveva inviato a Marziale un suo schiavo per prendere


il libro. Il cursor era uno schiavo utilizzato per recapitare messaggi o altro
(vd. ThlL IV 1527, 53 sgg.): sull’invio di libri cfr. I 117, 1-4; IV 10, 3; VII
80, 5 sg. Cursores erano detti anche i servi che dovevano precedere il carro
o la lettiga del dominus (vd. la n. a 47, 14).
3. imbribus immodicis: la iunctura ricorre in Sen. dial. IV 27, 2; nat. III
27, 4; 28, 1. Per l’uso di immodicus per fenomeni naturali vd. ThlL VII 1,
485, 48 sgg. – caelum … ruebat: per ruo intransitivo riferito all’abbattersi
di temporali (o tempeste) cfr. Afran. com. 9 caelum … ruere ac tremere;
Lucr. I 1105 neve ruant caeli tonitralia templa superne; Liv. XL 58, 6
caelum … in se ruere aiebant; Verg. georg. I 324 ruit arduus aether; Sil.
XVII 252 in classem ruere implacabile caelum; Val. Fl. I 616 sg. vasto
pariter ruit igneus aether / cum tonitru; vd. EV IV, s.v. ruo, p. 602 sgg.
4: allusione scherzosa al fatto che il libro meritava di essere cancellato dalla
pioggia. Marziale gioca autoironicamente con questo motivo anche in I 5, in
cui immagina la reazione dell’imperatore di fronte al suo dono di un libro:
do tibi naumachiam, tu das epigrammata nobis: / vis, puto, cum libro,
Marce, natare tuo (vd. il commento di Citroni); IX 58, 7 sg., in cui la ninfa
risponde alla dedica da parte del poeta dei suoi libelli: ‘nympharum templis
quisquis sua carmina donat, / quid fieri libris debeat ipse monet’; anche in
554 M. Val. Martialis liber tertius

IV 10 Marziale, inviando il proprio libro all’amico Faustino, raccomanda al


puer incaricato: curre, sed instructus: comitetur Punica librum / spongea:
muneribus convenit illa meis. / non possunt nostros multae, Faustine,
liturae / emendare iocos: una litura potest (5-8); di un Aiace da lui scritto
Augusto diceva scherzosamente che, invece che sulla spada, era finito sulla
spugna! (Suet. Aug. 85, 2). In Marziale si vedano anche V 53, dove ad un
poetastro che scrive carmi mitologici suggerisce due possibili temi: materia
est, mihi crede, tuis aptissima chartis / Deucalion vel, si non placet hic,
Phaeton (cfr. AP XI 214 di Lucillio; vd. Burnikel 1980, p. 16 sgg.); XIV 196,
1 sg. (di un’opera sui corsi d’acqua e delle fonti, forse di Licinio Calvo) haec
tibi quae fontes et aquarum nomina dicit, / ipsa suas melius charta natabat
aquas; cfr. anche Hor. carm. I 16, 4; Tib. I 9, 49 sg.; Marc. Aur. apud Fronto
68 N. (62 v.d.H.). – iste: il pronome, preferito da Schneidewin, Friedlaender,
Gilbert, Heraeus, Izaac e Giarratano, è senz’altro migliore di ille ( ), accolto
da Lindsay, Duff e SB. Quest’ultimo infatti appare una correzione motivata
dalla considerazione che il libro si dovrebbe trovare nelle mani di Rufo.
Marziale gioca però spesso con ironia con le convenzioni della lettura e, come
acutamente osservato da Fowler 1989, rappresenta il suo lettore «progressing
through each collection supposedly contemporaneously with the author’s
writing of it» (p. 108). Si può evidenziare in proposito che l’epigramma
chiude il libro che dovrebbe essere stato cancellato dalla pioggia! Per un
altro esempio analogo si confronti la serie degli epigrammi che chiude l’XI
libro (106-108) analizzata da Fowler 1989, p. 107 sg. L’alternanza iste / ille
ricorre nella tradizione di Marziale ancora in IV 41, 2 conveniunt nostris
auribus ista magis (ista , edd.; illa ); 49, 1 sg. nescit, crede mihi, quid
sint epigrammata, Flacce, / qui tantum lusus illa iocosque vocat (illa ,
Lindsay, Izaac, SB; ista T, Schneidewin, Friedlaender, Heraeus). Per l’uso di
iste in relazione agli epigrammi cfr. I 40, 1 qui ducis vultus et non legis ista
libenter; 70, 17 sg. ‘qualiacumque leguntur / ista, salutator scribere non
potuit’; II 8, 7 ‘ista tamen mala sunt’; 93, 1 ‘primus ubi est – inquis – cum
sit liber iste secundus?’; IV 49, 1 sg. cit. supra; V 6, 16 sg. nec porrexeris ista,
sed teneto / sic tamquam nihil offeras agasque; 15, 5 sg. ‘quid tamen haec
prosunt quamvis venerantia multos?’ / non prosint sane, me tamen ista
iuvant; 80, 6 quod si legeris ista cum diserto; VII 72, 16 ‘non scripsit meus
ista Martialis’; VIII 1, 3 non est tuus iste libellus; X 18, 6 Appia, quid facies,
si legit ista Macer?; XI 2, 8 iste liber meus est.
Tavola sinottica 555

T AV O L A S I N O T T I C A

DIVERGENZE FRA IL TESTO DELLA PRESENTE EDIZIONE E QUELLO DI


SB2, HERAEUS E LINDSAY.

EPIGR. PRES. EDIZ. SB2 HERAEUS LINDSAY


5, 9 hanc illumve hunc illamve hanc illumve hanc illumve
7, 5 sg. ‘regis … regis … regis … regis …
recesserunt’ recesserunt. recesserunt. recesserunt.
nihil … est. ‘nihil … est.’ ‘nihil … est.’ ‘nihil … est.’
11, 3 ‘sed simile est sed simile est sed similest sed simile est
aliquid’. aliquid: aliquid? aliquid:
Pro … dixi? pro … dixi. pro … dixi? pro … dixi.
11, 6 amet amat amet amet
16, 1. 4. 6 Cerdo Cerdo Cerdo cerdo
20, 3 sg. Claudianorum, Claudianorum? Claudianorum? Claudianorum?
an … scriptor? an … scriptor, an … scriptor? an … scriptor,
20, 5 iocos iocos
20, 10 templi †templi† †templi templi
24, 2 focis sacris focis sacris
24, 5 et acuta †et acuta† et acuta et acuta
26, 5 velle negare! nolle negare velle negare! velle negare!
28, 1 olere? olere. olere. olere.
31, 6 Didymos Didymus Didymos Didymos
32, 1 An possim Non possum Non possum ‘Non possum
vetulam vetulam. vetulam. vetulam?’
quaeris, M.? Quereris, M.? Quereris, M.? quaeris, M.:
32, 3 Nioben Niobam Niobam Niobam
33, 3 sg. utramque, utramque utramque, utramque,
si facie si facie, si facie si facie
37, 2 facite facere facite facite
38, 13 quid f. suade: quid f. suade: quid f.? suade: quid f.? suade:
556 Tavola sinottica

EPIGR. PRES. EDIZ. SB2 HERAEUS LINDSAY


42, 4 maius maius magnum maius
44, 15 fugas edentem fugas edentem fugas sedentem fugas sedentem
49, 1 ubi … potas tibi … ponis ubi … potas ubi … potas
59, 1 Cerdo Cerdo Cerdo cerdo
63, 2 quid sit dic quid sit dic quid sit, dic quid sit, dic
mihi bellus mihi bellus mihi, bellus mihi, bellus
homo. homo. homo. homo?
65, 3 floret cum floret cum floret cum cum floret
67, 2 Vaterno Vatreno Vaterno Vaterno
68, 12 leges leges leges legis
73, 2 Phoebe Phoebe Galle Galle
77, 10 saprophagis
80, 1 loqueris loqueris loqueris quereris
82, 26 fuscus fuscus fuscus fusus
82, 32 Malchionis malchionis Malchionis Malchionis
85, 3 tibi tua tibi tibi
87, 1 te rumor Chione te rumor Chione te Chione rumor te rumor Chione
93, 18 nupturire nupturire nuptuire nuptuire
93, 19 sg. quaeris. Prurire quaeris. Prurire quaeris prurire. quaeris. Prurire
quid si quid si Quid si quid si
93, 23 exigis exiges exigis exiges
93, 24 Acori †acori† Acori Achori
99, 1 Cerdo Cerdo Cerdo cerdo
100, 4 iste ille iste ille
Indice analitico 557

INDICE ANALITICO

abbigliamento: lacerna 303; pallium 410


accusare tamquam, ‘accusare di’ 183
accusativo plurale in -is 169, 502
Achillas 517
Acorus 534 sg.
adstruere (uso traslato) 212
adulteri, punizioni: accecamento 522; mutilazioni 502
adulterio, condanna dell’ 521
aetherius 148 sg.
Aethon, cavallo del Sole 431
affitti, prezzi elevati a Roma 266, 301 sg.
afrodisiaci, cibi 464
Agrippa, terme di 221 sg., 293
: arrigere 448; cacare 325; cevere 544; culus 449; cunnus 454;
fellare 495 sg.; futuere 452; fututor 545; meiere 475; mentula 439 sg.;
merda 196; mingere 475; pedicare 544
allec 471
allitterazione 182, 218, 308, 370, 382, 418, 437, 453
Almo (fiume) 341
amante cieco, tipo dell’ 162, 186
amare (uso erotico eufemistico) 391
amicitia / amicus per i rapporti patrono-cliente 291
ammaestrate, belve, negli spettacoli circensi 201 sg.
ampulla (metonimia per ‘profumo’) 494
anafora 148, 180, 247, 248, 266, 273, 286, 291, 293, 325, 340, 379, 400, 401
sg., 408, 417, 420, 470, 501, 506
anastrofe 419
anatematiche, formule 106, 261
Andromaca, giovane per antonomasia (contrapposta a Ecuba) 467
aneddoti curiosi, narrazione di 200, 236, 517
anelli, ostentazione 260
anfitrione avaro, tipo dell’ 61, 66, 175, 180, 351 sg., 486
antanàclasi 180, 264, 281
558 Indice analitico

anteambulo (officium del cliente) 156 sg.


Anthologia Latina e Marziale 120, 202, 243, 438, 511
Antius Restio, proscritto salvato da un servo 225
Antonio, Marco 423 sgg.
antonomastico, uso: Andromaca per ‘giovane’ 467; Ecuba per ‘vecchia’
467; Galli per ‘evirati’ 242, 482; Ganimede per delicatus puer 308;
Malchio per ‘reuccio’ 495; Nasones e Vergilii per ‘poeti’ 303; cfr. anche
Sophoclei cothurni per ‘tragedia’ 216
Apicio, suicidio di 228 sg.
Apicius (nome fittizio) 478
apologia: dell’epigramma lungo 497 sg.; della poesia licenziosa 442, 504;
della poesia satirica 549
apostrofe: a Bologna personificata 394 sg.; al lettore 105; al libro 114; alla
matrona 435, 504; ritardata 417; a Roma personificata 426; alla sportula
152; alla ‘vittima’ 229, 237
Appendix Vergiliana: possibile reminiscenza di Dirae 269
: 169, 340, 361; introdotto da immo 312, 346; al mezzo
355; realizzato dall’ultima parola dell’epigramma 224
Arabia felix 420
arca personificata 271
Argonautae (= pigri nautae) 428, 432 sg.
Argonauti, portico degli 219
arrigere: assol. 448; con ad e acc. 466 sg.
asindeto 185, 514
Atestinus (nome proprio) 301
Atrianus 530
atrium, luogo della salutatio 304
Aufidia 447
aurea (metonimia per ‘coppe d’oro’) 249
auricula (diminutivo banalizzato) 257
Ausonio e Marziale 127, 128, 143, 163, 414, 251, 459, 483
autumnus (metonimia per ‘vendemmia’) 380
avvocatura come attività scarsamente redditizia 301
Baeticus 470
bagni comuni 359
Baia 223, 376
balneator 158
Indice analitico 559

balneum: 222; b. Tigillini 222


balsama (metonimia per opobalsama) 431
barathrum (metafora sessuale) 482
barbarus (accezione positiva) 379
barba, celebrazione del primo taglio 145 sg.
barbieri, timore dei 459 sg.
Basso 340, 375 sg.
Bassus (nome fittizio) 466
beatus, ‘produttivo’ 343
belle 297
bellus 297
bellus homo, tipo del 406
belve ammaestrate negli spettacoli circensi 201 sg.
beneventana, scrittura: archetipo della seconda famiglia 80; errori
caratteristici 310
bietole, potere lassativo 344
boleti 332
Bologna 395
brachilogia 293, 438, 482
buccae 196
bustuariae moechae 531
cacare 325
caccia 388
cadaveri, profumazione 178
Caesareus (uso poetico) 543
Caesar uterque (Tito e Domiziano) 540
Calpurnio Siculo e Marziale 409
Candidus 248, 334
cane: come animale dal cattivo odore 368; da caccia gallico 344 sg.
Canio Rufo 207 sg.
capelli, tintura dei 316
Capena, porta 341
caper, ‘castrato’ 243
capillare sost. 494
capro: proverbiale cattivo odore del 240, 530; sacrificio del 236 sg.
Carducci, Giosuè, imitatore di Marziale 115
carere (uso erotico) 364
560 Indice analitico

carina (metonimia per ‘nave’) 475


carpere, ‘tagliare i cibi’ 181
case: incendi 362; prezzi 362
Cassianus 414
castrazione 61, 236, 517
casu avverbiale 306
catalogo, gusto per il 208, 340, 376, 381, 401
cathedra 409
Catullo e Marziale: allusioni 116, 155, 176, 178, 363; collocazione di
espressioni proverbiali 192; influenza sulla lingua: chartae 209, esurire
177, libellus 116, medius (uso erotico eufemistico) 482, misellus 155,
moecha (= meretrix) 494, nugae 367 sg., sal 550 sg.; motivi: frigus
retorico come reale 244, gioco etimologico su 285, silenzio
ottenuto attraverso l’irrumatio 545, uso del libro per cucinare pesci al
cartoccio 119 sg.; principale modello epigrammatico 116; ripetizione di
versi uguali (o quasi) 208; struttura del falecio 125, 178, 430
cecità degli innamorati 162, 186, 307
Cecubo, vino 250
cedrus (metonimia per ‘olio di cedro’)123
celeuma 430
cella 266; cella pauperis 347
centenae columnae (o Hecatostylum) 203
cera (metonimia per ‘favo’) 390
Cerdo (nome parlante) 189 sg.
Ceres (metonimia per ‘grano’) 380
cerva pro virgine (espressione proverbiale) 519
cervus, ‘schiavo fuggitivo’ 520
cevere 544
chartae (metonimia per ‘opera letteraria’) 209 sg.
chiasmo 191, 264, 286, 325, 414, 447, 449
Chione: 267, 498, 553; gioco etimologico sul nome 285
Chloe 363 sg.
ciabattino arricchito, satira contro 188 sg.
Cibele, sacerdoti di 242, 341, 481, 483
cibi pregiati: boleti 332; cinghiale 357; lepre 470; ostriche 332, 397; rombo
331 sg.; tordo 344; tortora 398, 492; triglia 332
Cicerone: oratore per antonomasia 300; condanna dell’uccisione di 423 sg.
Indice analitico 561

cicli epigrammatici 61, 62 sg. n. 65, 320, 417


cigno, proverbiale candore del 317
cinaedus 457
cinico, filosofo, rappresentazione del 530
Cinna 165, 400
Cispadana: soggiorno in 47, 53 sgg.; influenza sul libro 61 sg., 189, 517
cisterna 369
citaredo, mestiere lucroso 135 sgg.
cito raptus 117 sg.
Civis (nome proprio) 301
clientela: comportamento autoritario del patrono (usi linguistici) 159, 291,
334, 338; disagi dei clienti 60, 290 sg., 334; disparità di trattamento a
tavola 349, 396 sg.; obblighi 134 sg., 290 sgg., 334 sgg.; rapporti con il
patrono 60, 151 sg., 290 sg., 296, 334; richiesta di protezione per la poesia
127; opera togata 334; salutatio matutina 292, 304; salutator 389
clunes 364
coccum (metonimia per color coccineus) 126
cocus 183
Colchide, regione d’origine del fagiano 383
colere (verbo tecnico per l’ossequio del cliente) 304
colombaie 384 sg.
compendiaria, comparatio 424
compleanno, celebrazione del 146 sg.
condicio (metonimia per ‘relazione amorosa’) 283
confiteor 269
congiarium 157
consules (metonimia per anni) 527 sg.
copo (e caupo) 371, 387
corcodilus 529
Cordus 186, 498
cordyla 120
Coricio, zafferano 419
corio ludere suo (espressione proverbiale) 191
corium 191
Corneli, Forum 134
corvo: addestrato al saluto 540; proverbiale colore nero 317
Cosconius 442
562 Indice analitico

cosmetica, critica della 316, 367


Cosmo (profumiere) 367; Cosmianus agg. 367
cothurni (metonimia per ‘tragedia’) 216
Cotilus 406
credere (gioco di parole) 186 sg.
credo 454
Croce, Benedetto, apprezzamento per l’epigr. 58 377
cronologia del libro terzo 52-57
crudus (doppio senso) 180, 183
cucullus 121
culina 118
culus 449
cunnus 454
cuochi, punizioni corporali dei 182 sg.
cursor 345
cycnus 318
Daphnis 142
dare (uso ellittico erotico) 514 sg.
dativo d’agente 302
debitor 271
December (metonimia per ‘anno’) 294
dedicatori, epigrammi 71 sgg., 113, 139
Deifobo, allusione comica al personaggio 501 sgg.
demens come insulto 463
depilazione dei genitali femminili 461
deponere soleas 354 sg.
depositio barbae, celebrazione della 145 sg.
descrizione di opere d’arte 287
detrattori, epigrammi contro i 165
Diadumenos 417
dialogica, struttura 163, 300
dialogici, elementi, nell’epigramma 172 sg., 187, 255, 276, 500
dic mihi 173
Didymos 273 sg.
dipsas 324
distichon 172
diurnum sostantivato 170
Indice analitico 563

dominus in funzione attributiva 110


dominus et rex, formula di saluto al patrono 159
Domiziano: editto di abolizione della sportula 49, 151 sg.; presenza limitata
nei primi libri di Marziale 50 sg.
donna ideale 281 sg.
dropax (crema depilatoria) 459
ducere accezione tecnica per la scultura 310
ecoici, versi 256
Ecuba: exemplum di vecchiaia 279, 467; grafie del nome: Hecabe 467 sg.,
Hecuba 467 sg.; metamorfosi in cagna 280
effeminato, descrizione dell’ 406 sgg.
egestas 170
ellissi eufemistica: dare 514 sg.; posse 277 sg.; rogare 365
Emilia, via 133 sg.
enallage 124, 341, 505
Eous 420 sg.
epesegetico, genitivo 150, 158
epigrafici, moduli: cito raptus 117 sg.; lamento contro la crudeltà del fato 205
epigramma, uso tecnico del termine 443
epigrammi: coppie 66, 67, 68, 69, 70, 340, 370, 376, 442; ordinamento 59,
62-71, 436; lettori 444
epigrammi lunghi, apologia 497 sg.
episodi storici come temi di epigrammi 61, 67, 225, 228
Ercole, allusione alle ‘fatiche’ 325
erotica, topica: carnagione scura poco apprezzata 286; chi è disponibile
attrae meno 446; il timore accresce il desiderio 446 sg.; qual è la donna
ideale 281 sg.
erotico, linguaggio: carere 364, facilis 444, fastidire 467, frigidus 286,
improbus 507, luctari 463, negare 365, prurire 533, saevus 422, scalpere
534, tenera puella 418, torquere 444; ellissi: dare 514 sg., posse 277 sg.,
rogare 365; eufemismi: amare 391, inguen 454, medius 482, pars 502,
perficere 477, premere 384
esuritor 185
et epesegetico 239 sg.
etera invecchiata, tipo dell’ 313
etimologiche, perifrasi 382
etimologici, giochi: 226, 431; sui nomi propri: Argonautae 428, 432 sg.,
564 Indice analitico

Chione 285, Palinurus 474 sgg.


eufemismi: ellissi: dare 514 sg., posse 277 sg., rogare 365; espressioni
erotiche 498; perifrasi 439 sg.
Europa, portico di 219 sg.
Fabianus 291
Fabullus 175 sg.
facilis (uso erotico) 444
fames (usi metonimici) 158 sg., 393
fastidire (uso erotico) 467
fateor 176 sg.
Faustino: 47, 340; dedicatario del libro 114; descrizione della villa baiana
375 sg.; ospite di Marziale in Cispadana 57-60; padre di Marcellino 58
Fedro: 212 sg.; allusione a 216; definito improbus 213 sg.
felix, ‘ricco’ 297
fellare 495 sg.
ferrum (metonimia per ‘arma di ferro’) 341
fervere, ‘brulicare’ 342 sg.
Fidia, maestro della toreutica 288
fonici, giochi: 454, 474; rima tra gli emistichi del pentametro 280, 370, 466 sg.
fortasse 109 sg.
forum triplex 301
fragrantia basia, motivo dei 417
frigidezza retorica 244
frigidus (uso erotico) 286
frontes (del volumen) 124
fullo, disprezzo del mestiere di 395
funeraria, topica: mors immatura 205
futuere 452
fututor 545
galbinatus 488 sg.
Galla 359, 365, 514
Galli (sacerdoti di Cibele) 481 sg.
Gallia togata 108 sg.
Gallus: ‘evirato’ 242, 282; liber G. 111; nome proprio 254, 522
Ganimede, exemplum di bellezza puerile 308
Gargilianus 264 sg.; 459
Gargilius 545
Indice analitico 565

garrire in auriculam, ‘sussurrare all’orecchio’ 257


Gellia 366 sg.
geminazione 411, 544
genae (metonimia per ‘barba’) 150
Gennadio, Torquato, sottoscrizioni 79 sg.
gerundivo, esprime il senso di futuro 160 sg.
ginnastica, svalutazione della 387
giochi: fonici 280, 370, 454, 466 sg., 474; numerici 164, 174, 521 sg.; di
parole 191, 192 sg., 462, 465, 546
Giovenale e Marziale: imitazione 265 sg., 266, 361, 398, 541, 551; possibile
riecheggiamento 522
giuridico, lessico: heres ex asse 170; ingenuus 282; peior causa 426; scelus
admittere 424 sg.; vindex 117
gladiatores (metonimia per ludi gladiatorii) 190
gladiatorii, spettacoli, offerti da privati 189
gladiatorio, linguaggio: rudis 294 sg., tiro 294
Gongylion 500
gratis avverbiale 265
grecismi: lessicali: allec 471, barathrum 482, cinaedus 457, corcodilus 529,
cordyla 120, cycnus 318, dipsas 324, distichon 172, dropax 459, moechus
447, orthopygium 530, palaestrita 387 sg., psilothrum 459, rhonchi 495,
scorpios 325, sophos 337, stropha 160, toreuma 288 sg.; morfologici: a)
nomi propri: nom. masch. in -as della I decl. (Achillas 517); nom. masch.
in -os della II decl. (Didymos 273 sg.); nom. masch. in -on della III decl.
(Gongylion 500); nom. femm. in -e della I decl. (Chione 267, 285); nom.
femm. in -is della III decl. (Lycoris 308, Thais 163 sg.); acc. femm. in -en
della I decl. (Nioben 279 sg., Hecaben 467 sg.); b) nomi comuni: nom.
masch. in -os della II decl. (scorpios 325)
greco negli epigrammi: 473
gula (metonimia per ‘voracità’) 196
gustatio 343, 355
hapax legomena: capillare sost. 494; esuritor 185; galbinatus 488 sg.;
nauculari 224; pertricosus 411 sg.; tractatrix 490
have 540
havere 143
Hecatostylum 203
here 177
566 Indice analitico

heres ex asse, ‘erede universale’ 170


Hermione 174
hiatus metafora per i genitali femminili 453 sg.
hinc in luogo di pronome 302
hirnea 241
Hirpinus (cavallo) 411
Horatiorum campus 342
horridus qualifica la tragedia 216
hucusque, tmesi di 437
Hylas 203
Ifigenia, allusione al mito di 519
Iliacus minister (Ganimede) 308
immagini, accumulo di 417
immo 312, 346
imperativo: ironico 251; come protasi di periodo ipotetico 289
imponere per decipere 371
improbus, usi di 213 sg., 507
impurus ore, tipo dell’ 194, 256, 469 sg., 499
imputare 148
incipitari, moduli: interrogativa introdotta da miraris 256 sg.; interrogativa
introdotta da quaeris 276
index (del volumen) 126
ingenuus: uso giuridico 282; traslato 281, 283 sg., 336
ingratus, ‘improduttivo’ 379
inguen (uso erotico eufemistico) 454
intellettuale, rappresentazione dell’, come delicato 336
interiungere 431
interpolazioni 79 n. 121, 191 sg., 238, 270, 293, 351 sg., 452, 513, 520
invitare, ‘invitare a cena’ 255; vd. anche vocare
inviti a cena 254
iperbole 180, 247, 303, 402, 403, 467, 528, 548
ippica, passione a Roma 411
ipse (= dominus) 491 sg.
iratis sacris, formula analogica a iratis dis 242
irrumatio come vendetta 495 sg., 545
is, ea, id, scarso uso in poesia 246
Iulianus 245
Indice analitico 567

ius trium liberorum 539 sgg.


iussivo, futuro 142 sg.
labra linere (espressione proverbiale) 314
lac, ‘formaggio’ 390
lacteus 386
laedere (verbo tecnico dell’aggressione satirica) 546
Laetinus 317
Lais 173
lares (metonimia per domus) 142
Lari, statuette dei 386
lascivus: qualifica l’epigramma 505; qualifica la poesia elegiaca 215
Latino (mimo) 506
lattuga: Laconica 344; parte della gustatio 355; poteri lassativi 512
Leda 488
légende corrigée 415
lepos 217
lessinghiana, bipartizione dell’epigramma 376
lettighe come simbolo di opulenza 335
lettore, apostrofe al 105 sgg.
lettori, rappresentazione delle reazioni agli epigrammi 171 sg., 436, 549
libare 149 sg.
libellus 116
libertinus sostantivato 283
libro: apostrofe 114; caratteristiche esteriori del volumen: conservazione
con olio di cedro 123, copertina di pergamena (paenula) 125 sg.,
frontes levigate 124, index 126, umbilici 124 sg.; come involucro per
cucinare pesce ‘al cartoccio’ 119 sg., 357 sg.; come involucro per spezie
120 sg.; come munus 116 sg.; dedica a patroni e amici 71-73; dialogo
col 116; incaricato di salutare amici e patroni 143; liber prior, esegesi
dell’espressione 109; personificato 110, 114, 140; ‘provinciale’ inferiore
a ‘urbano’ 105 sg., 111; raccomandazione al 140
Libye 471
Ligurinus 321
Ligurum saxa (metonimia per ‘vino della rocciosa Liguria’) 492
lingua d’uso: brachilogie 293, 438, 482; ellissi del verbo di movimento 326;
espressioni parentetiche 251, 301, 460; fraseologia: certum est 305, dico
ut 239, facere convicium 337, futuro iussivo 142 sg., imperativo come
568 Indice analitico

protasi di periodo ipotetico 289, loqui assoluto per male loqui 478 sg.,
nihil est 400, nihil est + comparativo 443, noli + infinito 273, paratassi
245, 331, 355, 369, 540, paratassi in luogo di periodo ipotetico 289, 303,
326, piuccheperf. ind. in luogo di imperf. o perf. 136, quid cum … tibi?
482, quid ergo? 500, quid est quod 321 sg., res est in funzione predicativa
di un sostantivo o un infinito 177 sg., res tibi cum … est 398, ut quid
472 sg., si bene te novi 441, vix tres aut quattuor 304; geminazione 411,
544; incisi: confiteor 269, credo 454, dic mihi 173, fateor 176 sg., mihi
crede 140, puto 369, 540, rogo 325; lessico: ampulla 494, anteambulo
156 sg., auricula 257, balneator 158, balneum 222, belle 297, bellus
297, buccae 196, cella 266, cisterna 369, cocus 183, congiarium 157,
copo 371, corium 191, culina 118, debitor 271, fortasse 109 sg., garrire
257, gratis avverbiale 265, hinc in luogo di pronome 302, imponere (=
decipere) 371, ipse (= dominus) 491 sg., is, ea, id 246, longinquus 108,
mentiri aliquid per simulare 317, misellus 155, nec = ne … quidem
127 sg., nequam 444, neuter 302, nullus per nemo 255, numquid 360,
obsonium 233 sg., olfacere 352, omnino 331, ordinare 378, penis 491,
pensio 266, periculosus 322, potio 230, pusillus 315, putidus 357, quis =
quisque 410, regulus 190, salutator 389, sibi placere 368, simpliciter 314,
somniculosus 390 sg., stropha 160, stultus 502, sufflare 196, tamquam
183, valde 322, versiculi 166, vetula 278
lomentum 313 sg.
longinquus 108
loqui assoluto per male loqui 478 sg.
Lucano e Marziale 425, 510 sg.
Lucano, Gn. Domizio (patrono) 222 sg.
Luciano e Marziale 178 sg.
Lucilio, possibile imitazione 154
Lucillio e Marziale 195, 232 sg., 279, 316 sg., 354, 467
Lucrezio, possibile imitazione 453
Lucrino, lago: 223 sg.; ostriche del 397
luctari (uso erotico) 463
ludere: della composizione di poesia minore 551; corio l. suo (espressione
proverbiale) 191; l. otium 432
Lupercus 463
lusci: presenza negli epigrammi 164; satira contro 307
Lussorio e Marziale 438
Indice analitico 569

lux per dies 147 sg.


Lycoris 308
mala lingua 479 sg.
Malchio 495
mane sost. 292
Marcellino: celebrazione della depositio barbae 145 sg.; figlio di Faustino
58
marito sciocco, tipo del 248, 501
Marius 256
Marsiglia, vino di 492 sg.
Marx, legge di 187, 292, 419, 506 sg.
Marziale, Giulio: 139; dedica del libro a 73, 139
Marziale: fama di 167, 541; presunta moglie 521 sg.; titolo di tribunus
semestris 542; uso del praenomen Marcus in contesti familiari 143
massa 272
Massico, vino 250
Matrinia 276, 278
matrona, apostrofe alla 435, 504
Maximus 198
Medea, allusione al mito 384
medico, linguaggio 464, 490
medius (uso erotico eufemistico) 482
meiere 475
melandrya 472
memento 192
mensae secundae 195
mentiri aliquid per simulare 317
Mentore, considerato a Roma il più grande cesellatore 309
mentula: personificazione 467; simboleggia la componente piccante
dell’epigramma 443; termine osceno par excellence 439 sg.
merda (uso metaforico) 196
merus, ‘nihil praeter’ 393
metafora: 118, 150, 159, 196, 217, 294 sg., 302, 318, 356, 425, 428 sg., 431,
437, 443, 454, 465, 482, 534, 550
metonimia: ampulla 494; autumnus 380; balsama 431; carina 475; cedrus
123; cera 390; Ceres 380; chartae 209 sg.; coccum 126; condicio 283;
consules 527 sg.; cothurni 216; December 294; fames 158 sg., 393; ferrum
570 Indice analitico

341; genae 150; gladiatores 190; gula 196; lares 142; Ligurum saxa 492;
Nilus 408; Phaeton 431; Phoebus 330; purpura 125 sg.; rogus 541 sg.;
silva 386 sg.; Venus 465; vitrum 367
metrica: condizionamento metrico: crede mihi / mihi crede 140, hĕrĕ /
hĕr 177, sapisti 122, piuccheperf. ind. in luogo di imperf. o perf. 136;
esametro: legge di Marx 187, 292, 419, 506 sg., spondeiazon 297, termini
ricorrenti in sedi fisse: auricula 257, hiatus 203 sg., memento 192; falecio:
collocazione del comparativo in clausola 430, elisione 178; pentametro:
chiuso con sillaba breve 205, con clausola tetrasillabica 174, 256, 472;
plurali poetici: arae 237, cinnama 367, colla 240, convicia 337, iura
paterna 541, Massica 250, mella 390, munera 150, vina 438; scazonte 64
n. 71, 208 sg., 377, 390; sotadeo 261; trattamento del dimetro giambico
185; trimetro giambico + dimetro giambico 184; versi ecoici 256
mihi crede 140
Milvio, ponte 185
mimo: ed epigramma 504 sg.; attori: Pannicolo 506; Latino 506
mingere 475
Minucio Felice, probabile ripresa di Marziale 478
misellus per i defunti 155
mito, degradazione del 474; dissacrazione del 432 sg.
mittere, termine tecnico nella dedica dei libri 108
Modena 395
modestia, falsa 106 sg., 497, 552
moecha (= meretrix) 494
moechus 447
moralistici, motivi: biasimo della palestra 387; critica: dell’abitudine maschile
di portare anelli 260; della cosmetica 316, 367; della depilazione maschile
458 sg.; dell’estensione eccessiva delle case urbane 269 sg.; dell’ipocrisia
313, 318; del lusso 403; dell’uso eccessivo di profumi 366
morfologia: accusativo plurale in -is 169, 502; forme sincopate: perduxti
230; nostis 429
mortuus (uso ironico) 178 sg.
mugire (di urla adulatorie) 337
murrina 249
Musa, allocuzione alla 209
musica: egizia 408; di Cadice 408
muta cum liquida, trattamento 238 sg.
Indice analitico 571

mutuniatus 455 sg.


Naevia 180 sg.
Naevolus 449, 539
narrazione: di morti sorprendenti 199 sg.; di aneddoti curiosi 236 sg., 517
Nasones, ‘poeti’ per antonomasia 303
nates 364
nauculari 224
nec: alternanza con neque 356; per ne … quidem 127 sg.
nefas, ‘grave difetto fisico’ 452
negare (uso erotico) 365
nequam 444
Nerone: damnatio memoriae in età flavia 210; terme di 246
Nestor 256
neuter 302
Nicarco 527
nihil est + comparativo 443
Nilus (metonimia per ‘Egitto’) 408
nimis accostato a un sostantivo 322
Niobe: exemplum di vecchiaia 279; grafia del nome: Nioben 279 sg.;
metamorfosi in pietra 280
noli + infinito 273
nomi parlanti: Cerdo 189 sg.; Chione 285; Cotilus 406; Ligurinus 321;
Lupercus 463; Malchio 495; Philomusus 169; Vetustilla 526
nomi significativi di personaggi fittizi: Cinna 165; Chloe 363 sg.;
Diadumenos (?) 417; Hylas (?) 203; Malchio 495; Nestor 256
nostis 429
nugae 367 sg.
nullus per nemo 255
numerare, ‘computare (a partire da un punto determinato)’ 148
numerici, giochi 164, 174, 521 sg.
numquid 360
nupturio 532
obsonium 233 sg.
Oceanus (dissignator theatralis) 542
olfacere 352
Olus 348
omeoteleuto 176, 325, 364, 370, 466, 467, 519
572 Indice analitico

omnino, raro in poesia 331


omosessualità maschile 449, 456, 543 sg.
opera togata 334
Opimio: vino dell’anno di 250; Opimianum nectar 493
Orazi, sepolcri degli 342
Orazio e Marziale: 123, 259, 273, 275, 282, 320 sg., 322, 331, 377, 378, 381,
386, 388, 490, 526; nomi allusivi 323 sg.; ripresa di motivi: acqua venduta
a caro prezzo 369, alterco tra pueri e nautae 428, preferenza per donne di
ceto inferiore 282, utilizzo del libro come involucro per spezie 120 sg.
ordinamento degli epigrammi 62-71, 436
ordinare 378
orthopygium 530
ortus, ‘nascita’ 149
oscena, sezione, del libro 63-65, 435
ossimoro 413 sg.
ostendere, ‘additare all’ammirazione’ 203
osti, disonestà degli 370
otiosus, ‘improduttivo’ 378
otium ludere 432
Ovidio e Marziale: allusione alla produzione dell’esilio 47 sg., 107 sg., 132,
133, 140, 141; imitazione 203, 237, 336, 381, 431, 445, 465, 519, 541;
ripresa di motivi: apostrofe alle matrone 435, dialogo tra il libro e la
città 133, difesa della poesia licenziosa 504, indicazioni topografiche
nell’apostrofe al libro 141, inferiorità della poesia dell’esilio 111; uso del
formulario dei Fasti 147; vd. anche Nasones
oxygarum parte della gustatio 355
palaestrita 387 sg., 492
Palinurus, gioco etimologico sul nome 474 sgg.
pallore, esito di vita malsana 387
pangere, ‘comporre’ (opere letterarie) 302
Pannicolo (mimo) 506
pannosus 453
paradossi conclusivi 166, 169, 205, 231, 306, 307 sg., 320, 351, 369, 399,
466, 548
paragoni 416, 526, 528
paratassi: 245, 331, 355, 369, 540; in luogo di periodo ipotetico 289, 303,
326
Indice analitico 573

parentetiche, espressioni 251, 301, 460


parodia: dell’epigramma votivo 258; di moduli innici 248, 250 sg.; di poesia
erotica 363; di stilemi epici 242, 355; di Virgilio 242, 475, 501, 503, 510
paronomasia 182, 227, 287, 364, 415
pars (uso erotico eufemistico) 502
parvenu, tipo del 188, 260 sg., 486
pathicus, tipo del 449, 539
Paulinus 474
pedicare 544
pellicula 193
penis 491
pensio 266
perducere: per bibere 231; perduxti 230
peregrinus (connotazione negativa) 367
perfetto di consuetudine 304, 337
perficere (uso erotico eufemistico) 477
periculosus 322
Persio, possibile riecheggiamento 402
persona, simbolo dell’ipocrisia 318
personificazione: arca 271; Bologna 394 sg.; calva 460; libro 110, 114, 140;
mentula 467; riti (iratis sacris) 242; Roma 133, 425, 542
pertricosus 411 sg.
pesca 388
Petronio e Marziale 321, 486, 489, 491; vd. anche Trimalchione
Phaeton (metonimia per ‘sole’) 431
phiala 309 sg.
Phidiacus 288
Philomelus 273 sg., 534
Philomusus 169
Phoebus 455, 512
Phoebus (metonimia per ‘sole’) 330
piuccheperf. indicativo in luogo di imperf. o perf. 136
pluo (costruzione personale) 341
plurale: generalizzante: Nasones 303, Vergilii 303; maiestatis 338; poetico
(vd. metrica); sociativo 330 sg.
poema 358
poetico, lessico: aetherius 148 sg.; Caesareus 543; Eous 420 sg.; lacteus 386;
574 Indice analitico

lauriger 425 sg.; lux per dies 147 sg.; ortus, ‘nascita’ 149; pangere 302;
Pharius 425; Phidiacus 288; tergeminus 337
polemiche letterarie: apologia dell’epigramma lungo 497 sg.; apologia della
poesia licenziosa 442, 504; apologia della poesia satirica 549
Polla 313
Pollio 223
Pompeo, Gneo 423, 425
ponere per adponere 331
Ponticus 397
porri: capitati 343; sectivi 343; parte della gustatio 343
porticus templi 218 sg.
possessivo, uso del, come tratto affettivo 144
posposizione di particelle 204
posse (uso ellittico erotico) 277 sg.
Potino 423
potio 230
praefatio 198
premere (uso erotico eufemistico) 384
prestiti 311
Priamel 416 sg.
Priapea: cronologia 435 sg.; Priap. 8 e Marziale III 68 e 86 435 sg.
Probo, Marco Valerio, come critico severo 128
proedria, diritto di, a teatro 56 sg., 543
proemiali, epigrammi 48, 60, 65
proemio ‘al mezzo’ 51, 69, 435
profumi: al banchetto 176; critica all’uso eccessivo 366
Properzio e Marziale 367, 409, 452 sg.
propinatio 351
Proserpina 318
prosodia: scansione: ous 421; pr pinat / prŏpinat 493; trattamento di
muta cum liquida 238 sg.
prostitute: denominazioni: bustuariae moechae 531, moecha 494,
Summemmianae uxores 487 sg.; nomi: Chione 267, 498, 553, Leda 488;
prezzo 267
proverbi ed espressioni proverbiali: cerva pro virgine 519; corio ludere suo
191; labra linere 314; tenere se in pellicula sua 192
prurire: uso erotico 533; p. in pugnam 381
Indice analitico 575

psilothrum (crema depilatoria) 459


puer (schiavetto) 449
purpura (metonimia per ‘copertina purpurea per il libro’) 125 sg.
pusilli Herculis fanum 342
pusillus 315
puta (imperativo ironico) 251
putator 380
putidus 357
puto 369, 540
quadrans (prezzo per le terme) 267
quid ergo? 500
quid si 422, 533
Quintus 164, 401
quis = quisque 410
quod, ‘quanto al fatto che’ 314
quod si 358
raccomandazione del libro 140
raeda 343
Rasina (fiume) 429 sg.
ratio (gioco di parole) 264
Ravenna: 369, carenza idrica 369; gracidio delle rane di 529 sg.
realismo, esaltazione nelle opere d’arte 287
recitator acerbus, tipo del: 320 sg.; paragonato a fiere esotiche 323; provoca
la fuga 320, 329 sg., 354
recitazioni: a cena 329, 353; satira contro 197 sg.
recta cena 49, 151
regulus (dispregiativo) 190
res est in funzione predicativa di un sostantivo o un infinito 177 sg.
res tibi cum … est 398
resina: come depilatorio 460; vino trattato con la 472
retore ‘freddo’, tipo del 244
rex per il patrono 159
rhonchi 495
Ringkomposition 147, 462, 487
ripresa nell’ultimo verso di parole del primo 363
rogare (uso ellittico erotico) 365
rogo 325
576 Indice analitico

rogus (metonimia per ‘morte’) 541 sg.


Roma: apostrofe a 426; domina urbs 110; personificata 133, 425, 542
rombo 331 sg.
rudem merere 294 sg.
Rufinus 268
Rufo 60 sg. n. 60, 487, 546, 552 sg.
Rufus (nome fittizio) 536
Sabellus 548
Sabidius 195
Sabineius 245
saevus (uso erotico) 422
sal, ‘facezia’ 550 sg.
salarium 160
salsus 177
salutator 389
Samia testa, usata per l’evirazione 483
sane 110
sapii perfetto di sapio 122
Sarsina, formaggio di 390
satirici, motivi: descrizione fisica iperbolica 528, 548; disonestà degli osti
370; impotenza maschile 447, 462 sg., 477; omosessualità maschile 449,
456, 543 sg.; volubilità femminile 514
Sattia 533 sg.
Saturno, dedica delle catene a 258 sg.
saucius, ‘ebbro’ 439
Saufeia 451 sg.
saut du même au même 286
Scaevinus 447
scalpere (uso erotico) 534
schema, ‘perifrasi’ 440
schiavi: ad pedes 234; capillati 389; cursores 345; eunuchi 389; fuggitivi
marchiati sulla fronte 226; moriones 493; nomi greci: Diadumenos 417,
Achillas 517; prezzi 402; punizioni corporali 182 sg.
schola poetarum 216 sg.
scialacquatore, tipo dello 168, 401
scidi, perfetto di scindo 176
scindere, ‘tagliare i cibi’ 177; vd. anche carpere
Indice analitico 577

sciscitator 491
scorpios 325
scribilita 195 sg.
sed (uso enfatico) 522
semivir 517
Seneca filosofo e Marziale 178, 229, 347, 366
sententiae conclusive 144, 166, 178, 200, 231, 306, 315
Sertorius 477
sessuale, comportamento: impotenza maschile 447, 462 sg., 477; omo-
sessualità maschile 449, 456, 543 sg.; rapporti orali 194, 469 sg., 481, 499,
509, 510, 545
sessuali, metafore: barathrum 482; hiatus 453 sg.
severus qualifica la poesia elevata 215 sg.
Sextus 174, 300
sibi placere 368
sica (daga dei gladiatori) 190 sg.
Sidonio Apollinare e Marziale 217
silva (metonimia per ‘legna’) 386 sg.
simplex pro composito: ponere per adponere 331
simpliciter 314
sincopate, forme: perduxti 230; nostis 429
sineddoche 410
sinus della toga 121 sg.
si pudor est 460
somniculosus 390 sg.
sophos sost. 337
sottoscrizioni nei codici di seconda famiglia 10 sg., 78 n. 115, 79 sg.
sottrazione di cibi al banchetto 232 sg.
Sperlonga, antro di Tiberio a 115
sportula: abolizione 49, 51, 55, 60, 151 sg., 184, 264, 397; addio alla 152;
ammontare 154 sg.; distribuzione alle terme 157 sg., 36; miseria della
153, 155; personificazione 152
stagnum (per il lago Lucrino) 223 sg.
Stazio e Marziale 150, 223
stile: allitterazione 182, 218, 308, 370, 382, 418, 437, 453; anafora 148, 180,
247, 248, 266, 273, 286, 291, 293, 325, 340, 379, 400, 401 sg., 408, 417,
420, 470, 501, 506; anastrofe 419; antanàclasi 180, 264, 281; asindeto 91;
578 Indice analitico

chiasmo 191, 264, 286, 325, 414, 447, 449; comparatio compendiaria
424; enallage 124, 341, 505; geminazione 411, 544; metafora: 118, 150,
159, 196, 217, 294 sg., 302, 318, 356, 425, 428 sg., 431, 437, 443, 454,
465, 482, 534, 550; metonimia: 123, 125 sg., 126, 142, 150, 158 sg., 190,
196, 209 sg., 216, 283, 294, 330, 341, 367, 380 bis, 386 sg., 390, 393, 408,
431 bis, 465, 475, 492, 494, 527 sg., 541 sg.; omeoteleuto 176, 325, 364,
370, 466, 467, 519; ossimoro 413 sg.; paratassi 245, 331, 355, 369, 540;
paratassi in luogo di periodo ipotetico 289, 303, 326; paronomasia 182,
227, 287, 364, 415; posposizione di particelle 204; sineddoche 410
stropha 160
stultus 502
subligar (costume per le terme) 509
subula 190
sufflare 196
suilli (tipo di funghi) 398
Summemmianae uxores 487 sg.
tabellae per messaggi galanti 410
tamquam 183
Tecta, via 141 sg.
Telesinus 311
temi del libro 60-62
tenera puella (iunctura erotica) 418
tenere se in pellicula sua 192
tergeminus 337
terme: di Agrippa 221 sg., 293; di Nerone 246; di Tito 221 sg., 293; prezzo
d’ingresso 267
termini chiave, collocazione in principio di epigramma 265, 311 sg., 317,
463
terque quaterque 196
Tersicore, Musa della poesia giocosa 439
testiculi 239
Thais 163 sg.
thalassio 535
Tiberio, ‘antro’ di, a Sperlonga 115
Tieste, mito di 330
Tigillini balneum 222
tipi epigrammatici: amante cieco 162, 186; anfitrione avaro 61, 66, 175,
Indice analitico 579

180, 351 sg., 486; bellus homo 406; etera invecchiata 313; impurus ore
194, 256, 469 sg., 499; marito sciocco 248, 501; parvenu 188, 260 sg.,
486; pathicus 449, 539; recitator acerbus 320 sg.; retore ‘freddo’ 244;
scialacquatore 168, 401; vecchia bramosa 275 sg., 526
tiro 294
Tito, terme di 221 sg., 293
tmesi di hucusque 437
toga: cura per la disposizione 410; richiesta per la salutatio matutina 294;
simbolo della vita da cliente 134 sg.; sinus della 121 sg.
togata: Gallia 108 sg.; opera 334
togula 266
Tongilianus 361
topografia urbana: balneum Tigillini 222; Hecatostylum 203; Horatiorum
campus 342; ponte Milvio 185; porta Capena 341; portici: degli Argonauti
219, di Europa 219 sg., porticus templi 218 sg.; pusilli Herculis fanum
342; schola poetarum 216 sg.; terme: di Agrippa 221 sg., 293, di Nerone
246, di Tito 221 sg., 293; via Tecta 141 sg.
topografiche, descrizioni, precisione nelle 203, 340
tordo 344
toreuma 288 sg.
torquere (uso erotico) 444
tractatrix 490
tradizione manoscritta: tripartizione dei codici 74, 78; prima famiglia: 78
sg., censura dei termini osceni 78 n. 119, 448; seconda famiglia: 79-82,
archetipo in beneventana 80, 310, sottoscrizioni 10 sg., 78 n. 115, 79
sg.; terza famiglia: 82-89, normalizzazioni 326, 332, glosse penetrate nel
testo 346; tituli degli epigrammi: esito di fraintendimento 288, poco
comprensibili 351 sg., 522; tradizione umanistica: codici 89-92; edizioni
a stampa 91-94; interpolazioni 79 n. 121, 191 sg., 238, 270, 293, 351 sg.,
452, 513, 520; presunte varianti d’autore 75 sg., 181 sg., 255, 315, 326
traducere, ‘esporre al ludibrio’ 460 sg.
triglia 332
Trimalchione, modello per lo Zoilo di Marziale 486
triplex per tres 301
Tuccius 184
Tullo, Gn. Domizio (patrono) 222 sg.
tunica molesta 119 sg.
580 Indice analitico

Ulisse, immagine negativa a Roma 415


umbilicus (del volumen) 124 sg.
umbo (= cubitum) 335
unguentum (donato al banchetto) 176
urbanus sost., ‘schiavo urbano’ 389
ut quid (= cur) 472 sg.
vagire (del capretto) 391
valde 322
varianti d’autore (presunte) 75 sg., 181 sg., 255, 315, 326
Vaternus (fiume) 429
vecchia bramosa, tipo della 275 sg., 526
Veientano, vino 352
Venetum lutum (composto per la depilazione)460
venire (di denaro) 302
venter, simbolo di voracità 229
Venus (= mentula) 465
Vergilii, ‘poeti’ per antonomasia 303
versiculi (dispregiativo) 166
verna, attributo di liber 111 sg.
vetula sost. 278
Vetustilla 526
viduus (di alberi inadatti alla viticoltura) 378 sg.
ville romane: satira dell’improduttività 340, 346
vincere (contesto letterario) 111
vindex (uso giuridico) 117
vino: Cecubo 250; Massico 250; di Marsiglia 492 sg.; Ligure 492; Opimiano
250, 493; resinato 472; Veientano 352
Virgilio: allusione 385, 541; come massimo poeta 303; parodia di versi
242, 475, 510; uso comico di personaggi dell’Eneide 501, 503; vd. anche
Vergilii
vitrum (metonimia per ‘boccetta’) 367
vivere (uso pregnante relativo a opere d’arte) 310
vocare, ‘invitare a cena’ 255; vd. anche invitare
‘vocativi isolati’ 176
votivo, epigramma, parodia dell’ 258
Zoilus 260 sg., 486
Indice analitico 581
582 Indice analitico

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