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Norberto Piccinini *

Paolo Cardillo * *
*Politecnico di Torino
**Stazione sperimentale dei combustibili, Milano

GAS, VAPORI E POLVERI


A RISCHIO DI ESPLOSIONE
E INCENDIO

Politecnico di Torino

INDICE

Introduzione
1. Esplosioni di tipo fisico, termico e chimico
1.1 Definizioni
1.2 Generalit sulle reazioni di combustione
1.3 Meccanismo
1.4 Velocit laminare di combustione e velocit del fronte di fiamma
1.5 Fenomeni di deflagrazione e detonazione
2. Infiammabilit di gas e polveri
2.1 Limiti di infiammabilit
2.2 Regola di Le Chatelier
2.3 Limiti di infiammabilit in funzione di temperatura e pressione
2.3.1 Temperatura
2.3.2 Pressione
3. Infiammabilit di liquidi
3.1 Limiti di infiammabilit e tensione di vapore
3.2 Punto di infiammabilit e punto di combustione
3.3 Punto di infiammabilit di miscele
3.4 Pericoli derivanti dai combustibili liquidi
3.5 Esplodibilit di nebbie
4. Processi di inertizzazione
4.1 La penisola di infiammabilit
4.2 Concentrazione minima di ossigeno
5. Cause d'innesco
5.1 Introduzione
5.2 Energia minima di innesco
5.3 Temperatura di autoaccensione
6 Infiammabilit e sorgenti d'innesco
6.1 Fiamme
6.2 Materiali incandescenti
6.3 Saldatura e taglio
6.4 Attrito e urto
6.5 Superfici calde
6.6 Compressione adiabatica
6.7 Sostanze piroforiche
6.8 Elettricit statica
6.9 Lavorazioni con liquidi infiammabili

6.10 Esempi pratici


- Trasporto di liquidi mediante tubazioni o tubi flessibili
- Riempimento e svuotamento di fusti per gravit
- Trasferimento da fusti di liquidi infiammabili mediante pompe
- Carico di reattori con liquidi infiammabili
- Operazioni eseguite sul passo d'uomo aperto di un reattore
- Manipolazione di polveri in presenza di vapori infiammabili
- Caricamento di polveri quando non si pu mantenere un'atmosfera inerte
7 Violenza delle esplosioni
7.1 Generalit sugli incendi in spazi confinati o semiconfinati
7.2 Incendio di GPL e tossicit del monossido di carbonio
7.2.1 Stima del CO emesso
7.2.2 Tossicit dell'ossido di carbonio
7.2.3 Valutazione delle conseguenze

Introduzione
Gran parte degli incidenti che si verificano nel corso di lavorazioni industriali sono da
imputare alla presenza ed al maneggio di miscele infiammabili o esplodibili. Miscele
pericolose sono per esempio presenti nei processi industriali che consentono la
preparazione di composti ossigenati (es. Acetaldeide, Ossido di etilene, Anidride ftalica,
ecc.), mediante ossidazione diretta con aria o con ossigeno di idrocarburi o di altri
composti organici semplici; anche in numerose altre operazioni quali immagazzinamento
o trasferimento di altri prodotti combustibili, essiccamento di materiali per allontanare
solventi infiammabili, nel corso della manutenzione degli impianti, ecc. Anche molti
materiali solidi combustibili, finemente suddivisi e dispersi in aria sotto forma di nube,
possono provocare una esplosione.
La pericolosit delle miscele polvere-aria meno conosciuta di quella dei gas. Per lungo
tempo stato infatti difficile accettare che una esplosione potesse avvenire a causa della
sola polvere e che non fosse necessaria la presenza di un gas infiammabile per
sostenere l'esplosione.
Per la valutazione dei pericoli e per poter sviluppare le opportune misure di prevenzione,
quindi molto importante conoscere il comportamento - per quanto riguarda l'esplodibilit
- dei diversi sistemi combustibile/comburente nelle condizioni di pratica utilizzazione.

1.Esplosioni di tipo fisico, termico e chimico

1.1 Definizioni
Esplosione = accensione di una miscela di un materiale infiammabile in aria con
conseguente rapida espansione del volume o aumento della pressione, a seconda che
l'azione avvenga o no in uno spazio confinato. In questo senso quindi il termine usato
per distinguere la rapida e praticamente istantanea combustione dalle pi lente reazioni di
ossidazione; comprende pertanto la combustione di gas infiammabili come pure quella di
polveri sospese in aria.
Combustione = reazione chimica di una sostanza con l'ossigeno, con svolgimento di
calore, solitamente accompagnata da una fiamma visibile. Ogni sostanza che brucia
definita combustibile, mentre una sostanza definita infiammabile quando pu essere
accesa facilmente e pu bruciare con insolita rapidit.

1.2 Generalit sulle reazioni di combustione

Le caratteristiche pi importanti delle reazioni di combustione sono:


Elevata esotermicit (il processo sviluppa una grande quantit di calore);

Elevato sviluppo di gas ad alta temperatura.

Le reazioni di combustione si possono svolgere soltanto in presenza di condizioni ben


definite: un combustibile, un ossidante o un comburente (di solito l'ossigeno dell'aria) e infine
una sorgente di energia. Il combustibile e l'ossidante (comburente) sono quindi i reagenti
che partecipano alla reazione; la sorgente di energia (innesco), serve a far partire la
reazione, fornisce cio l'energia di attivazione.
Esempio:
Consideriamo alcune reazioni di combustione molto semplici, bench assai importanti dal
punto di vista pratico:

Cos scritte le equazioni di reazione presentano soltanto un quadro dei rapporti


stechiometrici tra i reagenti e i prodotti (espressi in moli) e riportano la variazione
dell'entalpia del sistema reagente, cio la quantit di calore sviluppata in condizioni di
riferimento opportunamente scelte.
Quest'ultima quantit (calore di combustione del combustibile) si riferisce alla
combustione cos come scritta nella equazione stechiometrica, cio alla combustione
completa.
1.3 Meccanismo
Le teorie pi moderne considerano che tali reazioni avvengano attraverso un
meccanismo a catena: se un processo qualsiasi d origine ad una specie attiva, la quale,
tramite un intermedio, fornisce oltre ad un prodotto una seconda specie attiva, il processo
si automantiene (a meno che tali specie attive non vengano distrutte o catturate). Si
distingue una prima reazione, detta di innesco, che porta alla formazione di una specie
chimica molto reattiva (radicale libero), detta portatore di catena.
Le reazioni di inizio di catena hanno origine termica il numero di radicali liberi che si
formano a causa dell'energia fornita piuttosto limitato dato che si tratta di reazioni
fortemente endotermiche.
Il portatore entra in reazione in un primo stadio, originando un secondo portatore; questo
in uno stadio successivo reagisce originando un altro portatore ancora, e cos via, finch
un certo stadio non ripristina il primitivo portatore di catena.
A partire da questo momento il ciclo di reazioni si ripete, fin quando non intervengono
reazioni di rottura della catena che, in una forma o nell'altra, siano causa della
eliminazione del portatore di catena in un qualsivoglia stadio. La terminazione della
catena pu essere dovuta all'interazione con altre specie chimiche, a ricombinazioni dei
radicali con formazione di molecole stabili, oppure per effetto della parete del
contenitore.
Se ogni stadio della reazione produce un solo portatore si ha una catena semplice o
stazionaria e la concentrazione delle specie attive, dopo qualche tempo, pu essere
considerata costante, cio la velocit di formazione del generico radicale R, presente in
piccolissime concentrazioni a causa della sua reattivit, risulta praticamente trascurabile
nei confronti delle velocit di formazione delle specie stabili.

Se invece il processo produce pi di una specie attiva si ha una catena ramificata.


In questo caso i portatori possono moltiplicarsi a volte con velocit vertiginosa,
cosicch pu capitare che la reazione , se non intervengono adeguate rotture di catena,
raggiunga un decorso esplosivo. Queste due situazioni sono schematizzate nella
Figura 1, che si riferisce alla reazione H2 + 02.

Oltre alle esplosioni a catena ramificata esistono anche le esplosioni termiche, dovute al
fatto che il calore prodotto dalla reazione e quello che viene ceduto all'esterno per
convezione, conduzione, irraggiamento, non si bilanciano.
Se la quantit di calore prodotta superiore a quella che il sistema pu smaltire si genera
una situazione di autoaccelerazione: cio si ha un aumento di temperatura con
conseguente aumento della velocit di reazione che porta a sua volta ad un ulteriore
aumento della quantit di calore prodotta.
Concettualmente la distinzione tra i due tipi di esplosione molto importante; in pratica
per in molti sistemi esplosivi non possibile distinguere a quale dei due tipi di fenomeno

sia da imputare l'esplosione, poich sia la concentrazione delle specie attive, sia la
temperatura, subiscono un rapidissimo aumento.

1.4 Velocit laminare di combustione e velocit del fronte di fiamma


La velocit con la quale il fronte di fiamma (la sottile zona di reazione evidenziata in Fig.2) si
propaga attraverso la miscela gassosa, misurata rispetto ad un osservatore fisso, detta
velocit dei fronte di fiamma (Sf). Essa legata alla velocit laminare di combustione (S0),
ossia la velocit del fronte di fiamma relativa alla miscela incombusta immediatamente adiacente, in
condizioni di regime laminare.

La velocit laminare di combustione dipende dalla natura del gas combustibile, dalla sua
concentrazione, dalla temperatura e dalla pressione.
In pratica la velocit del fronte di fiamma non sempre coincide con la velocit di
combustione in quanto, nel corso della reazione, il fronte di fiamma avanza anche in
seguito all'espansione dei gas combusti.
Nei casi pi semplici, quali un fronte di fiamma piano che si propaga verso
l'estremit aperta di un tubo a sezione costante, chiuso all'altra estremit, oppure
un fronte di fiamma sferico o emisferico che si propaga liberamente, assumendo che
la miscela
gassosa sia inizialmente ferma, che il regime di flusso sia laminare e che i gas combusti
rimangano sempre alle spalle del fronte di fiamma, la relazione tra velocit del fronte di
fiamma e velocit di combustione diventa la seguente:

Sf = So E

dove
E = fattore di espansione, relativo all'aumento di volume provocato dalla reazione,
esprimibile come

e dove

E = (Tf / Ti) (Nf / N i )ks

Tf = temperatura raggiunta dai gas durante la combustione ( temperatura di fiamma);


Ti = temperatura iniziale della miscela;
Nf = numero di moli dei prodotti di reazione (trascuriamo eventuali dissociazioni termiche);
Ni = numero di moli dei reagenti;
ks = fattore correttivo.
Il fattore correttivo giustificato dal fatto che il volume generato nell'unit di tempo dai
gas combusti dato dal prodotto della velocit di combustione per l'area della superficie
di contatto tra fiamma e gas incombusti. In Figura 3 illustrato come, a parit di

condizioni, un fronte di fiamma sferico si propaghi, in una tubazione a sezione circolare,


con velocit doppia rispetto ad un fronte di fiamma piano.

1.5 Fenomeni di deflagrazione e detonazione


Consideriamo un condotto indefinito (es. a sezione costante), contenente una miscela
infiammabile; ad una estremit viene effettuata l'accensione; in questo modo si fa partire la
reazione chimica che sviluppa calore.
Il calore viene ceduto agli strati di miscela adiacente, che quindi si riscaldano e possono
reagire con velocit sufficientemente elevata.
Si forma cos un fronte di reazione (o di fiamma) che si muove nella miscela combustibile
propagando cos l'accensione. La direzione di movimento del fronte di fiamma quella
che va dai gas combusti alla miscela fresca.

Il fronte di fiamma la zona all'interno della quale avvengono le reazioni chimiche;


da una parte avremo quindi gas combusti caratterizzati da elevata temperatura e da
scarsa attivit chimica e dall'altra la miscela combustibile che deve ancora reagire,
caratterizzata da alta temperatura.
La velocit di propagazione quella con cui il fronte di fiamma si muove verso la miscela
combustibile ed governata dalla velocit di conduzione di calore.
Se il fronte di fiamma si mantiene piano o ha comunque un conformazione netta e
definita e la velocit di propagazione dell'ordine dei m/s (inferiore a quella del suono) si
ha una "deflagrazione". Se invece il fronte di fiamma non ha conformazione regolare ma
molto frastagliata a causa della turbolenza, delle perturbazioni, degli attriti, ecc. si pu
avere una fase di autoaccelerazione della fiamma che si propagher con una velocit
superiore a quella del suono (dell'ordine delle migliaia di m/s). In questo caso si ha una
"detonazione"; si creano onde di compressione che si propagano nella miscela
combustibile come un'onda d'urto che precede il fronte della reazione.
Non ancora stato ben accertato se da un'esplosione da polveri possa o no derivare una
detonazione in un impianto industriale. Esplosioni aventi velocit simili a quelle delle
detonazioni sono per esempio state osservate nelle gallerie delle miniere di carbone ma,
in questi casi, le esplosioni sono state iniziate da sorgenti molto potenti (esplosivi solidi),
capaci essi stessi di generare un'onda d'urto.

2. Infiammabilit di gas e polveri

2.1 I limiti di infiammabilit


Se si aggiunge ad una data quantit di aria un combustibile, la concentrazione di
questo nella miscela risultante aumenta continuamente fino a raggiungere un valore
noto come "limite inferiore di infiammabilit" Li.
Miscele in cui la concentrazione del combustibile al di sotto del limite inferiore non sono
infiammabili.
Continuando ulteriormente l'aggiunta di combustibile, si raggiunge un secondo valore
della concentrazione del combustibile nella miscela, definito "limite superiore di
infiammabilit" Ls.
Miscele in cui la concentrazione dei combustibile al di sopra del limite superiore
non sono infiammabili.
Tutte le miscele in cui la concentrazione del combustibile compresa tra i due limiti
sono infiammabili (cio la fiamma si propaga attraverso l'intera miscela). Per definizione,
questi due limiti rappresentano la minima e la massima concentrazione di combustibile
che pu sostenere la propagazione della fiamma.
I limiti di infiammabilit o di esplodibilit dei gas e dei vapori sono solitamente
espressi come percentuale in volume del combustibile nella miscela aria - combustibile.
Nel caso delle polveri, invece, i valori sono espressi in termini di peso di polvere per unit
di volume di aria (mg/I).
Nell'appendice A sono riportati i limiti di infiammabilit di alcuni gas e vapori mentre
nell'appendice B quelli di alcune polveri.
Molti composti hanno un intervallo di infiammabilit abbastanza ristretto; allora
relativamente facile evitare di manipolarli in condizioni pericolose. Molti composti, invece,
hanno un intervallo tanto esteso che soltanto loro miscele molto ricche o molto povere di
combustibile si trovano al di fuori dai limiti pericolosi.
In casi particolari uno dei due limiti pu addirittura non esistere; ci avviene con gas
o vapori fortemente endotermici, che assorbono calore durante la loro formazione e
che sono capaci di subire (liberando la stessa quantit di calore), in determinate
condizioni di temperatura e pressione, una decomposizione esplosiva.

Per esempio, l'idrazina e l'ossido di etilene non presentano il limite superiore di


infiammabilit; cio i loro vapori possono esplodere senza bisogno dell'aria comburente.
Per poter confrontare la diversa estensione della zona di infiammabilit dei vari sistemi
dobbiamo esprimere anche i limiti di infiammabilit dei gas e dei vapori in mg/I, anzich
come percentuale in volume. Per il limite inferiore si pu usare l'espressione seguente:

dove P R, il peso molecolare, e analogamente per il limite superiore.


La determinazione sperimentale del limite superiore di infiammabilit di una polvere
presenta notevoli difficolt, in quanto bisogna essere certi che la polvere sia
uniformemente dispersa nella nube e che non si formino zone di basse concentrazioni a
causa del movimento di particelle del materiale.
Poich estremamente raro che negli impianti industriali nubi di polvere possano essere
mantenute in concentrazione sopra il limite superiore di infiammabilit, l'interesse per tale
limite piuttosto scarso. Per questo motivo, ben pochi valori sono stati determinati
sperimentalmente e le concentrazioni trovate cadono tra 2 e 6 g/I.
Dal confronto tra i dati delle appendici A e B risulta immediatamente che le polveri
presentano una zona di infiammabilit pi estesa rispetto ai gas e ai vapori. Per esempio il
limite inferiore di infiammabilit dei combustibili gassosi (con l'eccezione dell'idrogeno e
dell'acetilene) cade tra 35 e 50 mg/I, mentre quello delle polveri tra 15 e 30 mg/I.
Un'altra particolarit delle polveri che l'infiammabilit o esplodibilit di un dato materiale
pu

variare

moltissimo

seconda

del

grado

di

suddivisione

(granulometria),

dell'invecchiamento, del contenuto di umidit, della formulazione chimica.


Per questo motivo sempre necessario ricorrere a prove sperimentali per ottenere
informazioni sull'infiammabilit di una data polvere. I valori tabulati si riferiscono
esclusivamente ad una particolare polvere, le cui caratteristiche possono per essere
molto diverse da quelle di una altra polvere con lo stesso nome chimico.

10

Dalla Tabella 1 che si riferisce ai primi dieci idrocarburi paraffinici, possibile notare
che esiste una certa costanza nei rapporti tra il limite inferiore Li e la
concentrazione stechiometrica Cst e nei prodotti tra Li e il potere calorifico H.

Tab 1

Combustibile

Cst % vol

Li

Potere calorifico
H, kcal/mole

Li
% voi
5,00

0,53

9,6

2,95

0,53

10, 1

2, 12

0,52

10,4

1, 68

0,58

10,7

1,41

0,55

11,0

1,23

0,56

11,4

1,08

0,56

11,6

0,95

0,58

11,6

0,84

0,58

11,5

0,77

0,56

metano

9,48

191,76

etano

5,65

341,26

propano

4,02

486,53

butano

3,12

635,05

pentano

2,55

782,04

esano

2, 16

928,93

eptano

1,87

1075,85

ottano

1,65

1222,77

nonano

1,47

1369,70

decano

1,33

1516,63

Li
100 ' H

st

11,6

2.2 Regola di Le Ctlatelier


Quando il combustibile non un composto singolo ma una miscela di pi
componenti e quindi non si trovano dati sperimentali sui limiti di infiammabilit, si pu
ricorrere a calcoli che si basano su criteri di additivit, partendo dai limiti dei singoli
composti. Una regola molto usata quella di Le Chatelier, nota come "legge dalla
miscela". Sostanzialmente la regola ammette che una miscela omogenea di
"miscele limite" sia essa stessa una miscela limite.
L'equazione la seguente:

11

dove L = limite inferiore di infiammabilit della miscela in aria


P 1 , P2, ... pn = percentuale in volume di ciascun combustibile presente nella miscela,
senza aria n gas inerti, cosicch (p1 +

P2

+p n) = 100%

I1, 12, ... In = limiti inferiori di infiammabilit dei componenti individuali.


Applicando, per esempio, questa regola ad un gas naturale della seguente composizione:

Il limite inferiore della miscela risulta:

Con calcoli analoghi si ricava il limite superiore.


Ovviamente, dato che il processo di combustione pu svolgersi con meccanismi differenti
in presenza di pi componenti combustibili, i quali reagiscono in modo diverso e si
possono influenzare tra loro, il criterio dell'additivit deve essere considerato con estrema
prudenza, soprattutto quando si tratti di miscele di composti aventi strutture chimiche
differenti.
2.3 Limiti di infiammabilit in funzione di temperatura e pressione
2.3.1 Temperatura
Gas e vapori
La temperatura influenza notevolmente le caratteristiche di infiammabilit, in quanto
agisce sulla tensione di vapore, sulle velocit di reazione, sui limiti di infiammabilit, sulle
velocit di propagazione di fiamma, sulla tendenza all'autoaccensione.
12

Solitamente un aumento di temperatura produce un allargamento della zona di infiammabilit,


cio il limite inferiore si abbassa mentre quello superiore si alza.
Nella Tabella 2 sono riportati i limiti di infiammabilit dell'etilene in aria, a diverse
temperature e a pressione atmosferica;
Tab 2

Temperatura, C

Li, % vol.

Ls,% vol.

25

2,7

37

100

2,5

43

250

2,2

58

i risultati sono rappresentati graficamente nella Figura 4.

13

Dalla figura si nota che i limiti variano linearmente con la temperatura e che l'effetto si
fa sentire soprattutto sul limite superiore.
Allargandosi il campo di infiammabilit all'aumentare della temperatura, aumenta anche
la quantit di inerte da aggiungere per rendere la miscela non infiammabile.
Questo evidente nella Figura 5, che mostra la penisola di infiammabilit del sistema
C2H4 - 02 - N2 a diverse temperature e pressione atmosferica. In questo caso l'azoto
diluente passa dal 53,6% a 25C al 60,8% a 100C e al 63,5% a 250C.

Da queste penisole di infiammabilit si ricavano le concentrazioni minime di ossigeno alle


quali pu ancora ottenersi la propagazione della fiamma.
Al di sotto di queste concentrazioni di ossigeno (8,3% a 25C, 7,3% a100C, 6,5% a
250C) nessuna miscela etilene - ossigeno - azoto risultata infiammabile.
Polveri
La temperatura un parametro molto importante ai fini dell'infiammabilit di una miscela
polvere - aria.
La propagazione della fiamma diventa pi vigorosa all'aumentare della temperatura e ci
pu verificarsi facilmente in un impianto industriale munito ad esempio di forni essiccatori.
Le ragioni della pi rapida propagazione della fiamma sono:

14

La velocit della reazione chimica aumenta con la temperatura;


L'effetto di raffreddamento dovuto all'umidit della polvere viene ridotto a pi alte
temperature;
La disperdibilit della polvere viene migliorata al diminuire del contenuto di umidit.
La temperatura influisce sulle due fasi della miscela: su quella solida e su quella gassosa.
Per quanto riguarda l'effetto sul solido, specialmente se il tempo di riscaldamento
prolungato, vengono notevolmente alterate le caratteristiche di infiammabilit della
polvere: pu prendere inizio una combustione lenta di materie volatili o un'ossidazione
superficiale delle particelle di polvere.
In ogni caso la reattivit della polvere viene esaltata, in quanto diminuisce la differenza
tra la temperatura iniziale e quella di autoinfiammabilit.
Sulla fase gassosa la temperatura agisce in duplice modo, preriscaldando il comburente
e, a causa della conseguente dilatazione, alterando la composizione della miscela.
In altre parole le concentrazioni limite di una sostanza solida in un mezzo gassoso sono
date a condizioni ambiente e quindi la concentrazione del solido alla temperatura del
fluido non quella effettiva: per esempio se 50 g di particelle di polvere, il cui limite
inferiore di infiammabilit pari a 60 g/Nm 3 sono sospesi in 1 m3 di aria a 273C e
pressione atmosferica, detta quantit risulta gi pericolosa, in quanto rientra nei limiti di
esplosivit; infatti ricondotte le condizioni del fluido a quelle normali, la concentrazione
del solido per unit di volume diventa doppia.
La combustione della polvere pi rapida se le particelie vengono preriscaldate e, di
conseguenza, la velocit di aumento di pressione pu essere pi grande che per una
miscela fredda; di tutto ci occorre tener conto nel calcolo della sistemazione dei
dispositivi di sfogo dell'esplosione nell'impianto.

2.3.2 Pressione
Gas e vapori
Anche la pressione influenza la velocit di una reazione chimica, la velocit di
propagazione della fiamma e i limiti di infiammabilit.

15

Una diminuzione della pressione risulta in un abbassamento del punto di infiammabilit,


anche se i limiti non sono apprezzabilmente influenzati da piccole cambiamenti di
pressione.
Di conseguenza, liquidi con punto di infiammabilit sopra la temperatura ambiente
alla pressione di 1 atmosfera, possono formare miscele infiammabili a pressione inferiore.
Pressioni pi alte tendono ad allargare il campo di infiammabilit, pressioni pi basse
a restringerlo. Abbassando la pressione i limiti di infiammabilit si avvicinano fra loro:
a livelli di pressione molto bassi la propagazione della fiamma pu risultare talmente
ostacolata che la miscela diventa non esplosiva. Aumentando la pressione invece, il
campo di infiammabilit si estende, soprattutto come conseguenza dell'innalzamento del
limite superiore. In pratica tuttavia l'effetto della pressione sui limiti di infiammabilit non
semplice, esso infatti non si esercita sempre nello stesso senso ma alquanto
specifico di ciascuna miscela.
Nella Tabella 3 sono riportati i limiti di infiammabilit dell'etilene in aria, a diverse
pressioni e a temperatura ambiente; i risultati sono rappresentati graficamente nella
Fig.6.

16

Tab 6

Pressione, ata

Li , % vol.

Ls, % vol.

2,6

48

10

2,5

58

15

2,4

64

20

2,3

69

Anche in questo caso il campo di infiammabilit si allarga, innalzandosi fortemente il


limite superiore; il limite inferiore viene invece scarsamente influenzato. La Fig. 7 mostra le
penisole di infiammabilit del sistema C2H4 - 02 - N2, determinate a temperatura ambiente e a
pressioni di 1, 5, 10, 15, 30, ata.

La zona di infiammabilit si restringe a mano a mano che l'atmosfera comburente viene


impoverita di ossigeno; i limiti praticamente coincidono quando l'azoto diluente raggiunge
concentrazioni pari a 54% in volume, indifferentemente dalla pressione.

17

Nella Tabella 7 sono riportate le concentrazioni di ossigeno al di sotto delle quali non
si ha pi propagazione della fiamma, ricavate dalle penisole precedenti.

Tab 7
Concentrazioni minime di ossigeno al di sotto delle quali non si ha pi propa gazione
della fiamma, a diverse pressioni

P, ata
02, % voi.

1
8

5
8

10
8

15
7,55

30
6,30

Fino alla pressione di 10 ata la concentrazione minima di ossigeno capace di propagare


la fiamma uguale a 8% in volume: mentre al di sotto di questo valore nessuna miscela
risulta infiammabile, al di sopra si entra nella zona pericolosa. A pressioni superiori il
valore dell'ossigeno minimo, a causa della particolare estensione delle penisole, si
ricava in corrispondenza del limite superiore.
Polveri
La pressione influenza i limiti di esplodibilit di una polvere in quanto agisce sulla fase
gassosa: poich le variazioni di . pressione modificano il volume della miscela, si
producono alterazioni della concentrazione della polvere per unit di volume di gas, con
spostamento da una zona di concentrazione di sicurezza ad una pericolosa. Se per
esempio 50 g di polvere sono dispersi in '/2 m3 di aria a 10 kg/cm2 supposto il limite di
infiammabilit della polvere pari a 60 g/Nm3, la miscela non rientra nella zona di
pericolo, in quanto in condizioni normali la concentrazione reale sarebbe pari a 10 g/Nm3.
Analogamente se 25 g di polvere sono dispersi in %2 m3 di aria ad una pressione di 450
mm Hg (0,59 kg/cm2), la miscela che ne deriva risulta infiammabile, essendo la sua
concentrazione effettiva pari a 83 g/Nm3.
L'aumento della pressione porta a effetti di entit pi rilevante in quanto, pur rimanendo
immutata l'azione esplosiva della miscela, caratteristica della quantit di polvere dispersa,
il valore assoluto della pressione finale risulta pi elevato, giacch esso costituito dalla
somma della pressione iniziale e dell'aumento prodotto durante l'esplosione.
18

Per la polvere gli effetti della pressione sui limiti di infiammabilit rapportati alle condizioni
normali sono molto meno marcati che per i gas. Il limite inferiore, in special modo, risente
ancora di meno di quello superiore le variazioni di pressione. Alcune considerazioni si
possono ancora fare tenendo conto dell'energia di accensione e della velocit di
reazione. In particolare, l'energia di accensione diventa sempre pi grande quanto pi
bassa la pressione iniziale della miscela polvere - aria.
Per la velocit di reazione si pu dire che cresce con l'aumentare della pressione.

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3. Infiammabilit di liquidi
3.1 Limiti di infiammabilit e tensione di vapore
Nel caso dei vapori di combustibili liquidi i limiti possono essere espressi oltre che in
percentuale in volume, anche in termini di temperatura.
La relazione tra limiti di temperatura e limiti di concentrazione illustrata nell'esempio
seguente per l'alcool etilico, i cui limiti di infiammabilit in aria sono 3,3 - 19% in volume.
Alla pressione di 760 mm Hg, il limite inferiore corrisponde ad una tensione di vapore di
(760 * 3,3)/100 = 25,08 mm Hg e il limite superiore corrisponde ad una tensione di vapore
di (760 * 19)/100 = 144,40 mm Hg.
Dalla Figura 8, che riporta la curva della tensione di vapore di alcuni combustibili liquidi in
funzione della temperatura, si vede che, per l'alcool etilico, questi due valori della
tensione di vapore corrispondono alla temperatura di 12,7C e 43,3C, che sono i limiti di
infiammabilit espressi in termini di temperatura.

In altre parole, se l'alcool etilico liquido entra in contatto con l'aria sotto i 12, i suoi vapori
non formano miscele infiammabili (la quantit di combustibile insufficiente, siamo al di
sotto del limite inferiore); analogamente i suoi vapori non formano miscele infiammabili a
20

temperature superiori a 44C (c' troppo combustibile, siamo al di sopra del limite superiore)
supponendo che l'aria sia satura del vapore.
Se l'aria non satura dei vapori di alcool etilico, la miscela pu contenere meno del 19%
in volume di vapori di alcool ed essere infiammabile.
Rispetto alle miscele di combustibili gassosi la valutazione dell'infiammabilit dei vapori in
presenza del liquido pi complessa, in quanto le proporzioni relative dei singoli
costituenti in equilibrio con il liquido ad una data temperatura, generalmente non sono le
stesse della fase liquida. La composizione dei vapori una funzione della tensione di
vapore dei singoli componenti e della loro frazione molare nella fase liquida. Se si
assume l'equilibrio liquido - vapore, possibile stimare la composizione vapore - aria sopra
una miscela liquida combinando le leggi di Dalton e Raoult, e quindi valutarne
l'infiammabilit mediante la legge di Le Chatelier.
L'equazione per una miscela binaria la seguente:

1/Li = (x1*p1/I1 + x2*p2/12)/(x1*p1+x2*p2)

dove
x1, x2 = frazione molare dei componenti 1 e 2.
Dato che in presenza di pi combustibili pu esserci un effetto sinergico (il limite della
miscela risulta pi basso di quello previsto dalla legge di Le Chatelier), il criterio
dell'additivit deve essere considerato con prudenza, soprattutto quando uno dei
costituenti un vapore tipo etere o acetone capace di dar luogo al fenomeno delle
fiamme fredde, oppure quando si tratti di miscele di composti aventi strutture chimiche
differenti.
3.2 Punto di infiammabilit e punto di combustione

I limiti di infiammabilit dei liquidi sono collegati a due propriet determinabili


sperimentalmente secondo metodi normalizzati.
Punto di infiammabilit (flash point) = temperatura pi bassa alla quale il vapore
sviluppato dal liquido forma con l'aria una miscela che si infiamma sotto l'azione di una
sorgente di accensione.

21

Punto di combustione (fire point) = temperatura pi bassa alla quale il combustibile,


scaldato in recipiente aperto, brucia con continuit per almeno 5 secondi in seguito ad
accensione.
I valori sperimentali del punto di infiammabilit e del punto di combustione dipendono in
misura talvolta notevole dall'apparecchiatura utilizzata e dalle modalit seguite nella loro
determinazione. Si utilizzano numerosi metodi di analisi, sia perch i punti di
infiammabilit delle sostanze liquide variano in un campo molto ampio, sia perch i
procedimenti di analisi sono stati codificati in maniera differente in vari paesi.
Queste grandezze sono ovviamente importanti dal punto di vista della sicurezza, in
quanto consentono di valutare il pericolo di incendio e di esplosione connesso con le
operazioni di immagazzinamento, maneggio e trasporto dei liquidi infiammabili. Punto di
infiammabilit < 40C => richieste particolari precauzioni
Punto di infiammabilit > 60 - 70C = si perde significato per la sicurezza
Il punto di infiammabilit viene utilizzato da produttori e commercianti di prodotti petroliferi
per rivelare contaminazioni. Infatti quantit anche minime di sostanze pi volatili e
infiammabili sono sufficienti ad abbassare notevolmente il punto di infiammabilit di un
liquido. Di conseguenza, un basso punto di infiammabilit ad es. di un combustibile per
motori Diesel, pu indicare contaminazione ad opera di combustibili aventi un punto di
ebollizione inferiore, come la benzina.
Alla temperatura del punto di infiammabilit la concentrazione dei vapori infiammabili in
aria corrisponde approssimativamente al limite inferiore.
Riconsideriamo la Figura 8 e scegliamo come esempio il N-decano.
il punto di infiammabilit dei N-decano 46C e ii limite inferiore di infiammabilit
0,75% in volume.
Alla temperatura di 46C corrisponde una tensione di vapore di 5,7 mm Hg. Da questo
valore si ricava il limite inferiore di infiammabilit del N - decano a pressione atmosferica
(760 mm Hg) nel modo seguente:

in maniera inversa, conoscendo il limite inferiore di infiammabilit (0,75%) dalla Figura 8


possibile ricavare il punto di infiammabilit del N-decano (46C).

22

2.3 Punto di infiammabilit di miscele


Spesso l'interesse pratico focalizzato sul punto di infiammabilit di miscele
multicomponenti dei seguenti tipi: miscele in cui tutti i componenti sono infiammabili e
miscele in cui alcuni componenti non sono infiammabili.
Il punto di infiammabilit di una miscela di liquidi non corrisponde necessariamente a
quello dei suo costituente a pi basso flash point. Se a un liquido di dato punto di
infiammabilit ne aggiungiamo un altro con punto di infiammabilit pi alto, dovremmo
aspettarci, in generale, che il punto di infiammabilit della miscela sia compreso tra quelli
dei due liquidi presi separatamente. Frequentemente, invece, la miscela presenta un
punto di infiammabilit pi basso di quello dei due combustibili. Ci dovuto alla
formazione di una miscela azeotropica con una tensione di vapore pi alta di quella dei
suoi costituenti. In tali condizioni si raggiunge una concentrazione di vapori sufficiente per
l'accensione ad una temperatura pi bassa rispetto ai punti di infiammabilit dei
singoli
combustibili.
Un altro caso importante sui ha con miscele di liquidi classificate come non infiammabili
ma che lo possono diventare dopo un certo tempo. Per esempio, possibile aggiungere
sufficiente tetracloruro di carbonio al benzene in modo che la miscela non sia pi
infiammabile. Tuttavia, ristagnando la miscela in un recipiente aperto, il residuo mostrer
prima un alto punto di infiammabilit, che si abbasser progressivamente fino ad
avvicinarsi a quello del benzene.
I componenti non infiammabili solitamente hanno un effetto inibente, nel senso che
l'intervallo di infiammabilit della miscela risulter pi ristretto o addirittura annullato.
Questa inibizione in fase vapore pu avvenire sia con un meccanismo fisico per cui il
componente si comporta come un gas inerte (diluizione termica) che chimico.
L'effetto inibitore esercitato sulla miscela di vapori in equilibrio con la miscela liquida
dipende dalla tensione di vapore del componente non infiammabile rispetto a quella del
componente infiammabile.
Miscele del secondo tipo si incontrano comunemente nell'industria come pure nel campo
della protezione antincendio.

23

3.4 Pericoli derivanti dai combustibili liquidi

Per valutare i pericoli di un combustibile liquido devono essere conosciute tutte le


sue pertinenti propriet: tensione di vapore, volatilit, densit di vapore, densit di
vapore, intervallo di infiammabilit, punto di infiammabilit e punto di combustione. II
semplice

esempio

seguente,

mostra

gli

effetti

di

alcune

di

queste

propriet

sull'infiammabilit di specifiche miscele vapori - aria.


Consideriamo tre bicchieri contenenti cherosene, benzina e JP-4 (un combustibile per
aviogetti) in aria a temperatura ambiente (Figura 9).

A temperatura ambiente (25C), una miscela vapore di cherosene - aria, immediatamente al di


sopra della superficie liquida contenuta in un bicchiere, non viene accesa avvicinando
una fiamma o una scintilla, perch la concentrazione dei vapori al di sotto del limite
inferiore di infiammabilit (il punto di infiammabilit del cherosene > 45C, i limiti di
infiammabilit 0,7 - 4,8 % in volume).
Alla stessa temperatura, la miscela vapori di benzina - aria, immediatamente sopra la
superficie, non pu essere accesa da una scintilla, poich la concentrazione dei vapori

al di sopra del limite superiore di infiammabilit (il punto di infiammabilit della benzina
< -40 C, i limiti di infiammabilit 1,7 - 7,6 % in volume).Una miscela di vapori di JP-4,
immediatamente sopra la superficie, facilmente accesa (il punto di infiammabilit del
JP-4 -13C, i limiti 1,0 - 7,0% in volume).
Sollevando la sorgente di accensione in prossimit della bocca del bicchiere, la miscela
vapori di cherosene - aria non viene accesa, mentre vengono accese quelle della
benzina e del JP-4.
In altre parole, la tensione di vapore del cherosene cos bassa che miscele infiammabili
vapori - aria non sono formate al di sopra del liquido alle ordinarie temperature ambiente;
La tensione di vapore della benzina cos alta che miscele infiammabili non sono
formate immediatamente sopra il liquido, ma si formano in prossimit della bocca del
bicchiere aperto, poich i vapori vengono diluiti facilmente con l'aria. La tensione di
vapore del JP-4 tale da permettere la formazione di miscele infiammabili sia nel
bicchiere che in prossimit dell'apertura.
3.5 Esplodibilit di nebbie
L'utilizzazione di liquidi infiammabili in genere, considerata sicura quando si opera
all'aperto, a una temperatura inferiore al punto di infiammabilit. Tuttavia, non a tutti
noto che una nebbia di un solvente liquido in aria pu essere infiammabile anche se il
solvente cos poco volatile da non essere presente in quantit apprezzabile nella fase
vapore. E' pertanto evidente che in presenza di nebbie il punto di infiammabilit non ha
significato per quanto riguarda la sicurezza.
Dispersioni di gocce in aria possono formarsi nei processi di nebulizzazione di liquidi o
nei processi di condensazione dei vapori. Le dimensioni delle gocce nelle nebbie variano
da 0,5 a 10 m. Quando il diametro delle gocce molto piccolo, il limite inferiore di
infiammabilit della nebbia coincide praticamente con quello del vapore, in quanto le
gocce vaporizzano completamente prima di essere interessate alla combustione. Molto
meno si sa sul limite superiore, in quanto le nebbie "concentrate", non sono uniformi ed
possibile che la fiamma si propaghi soltanto nelle zone di minore concentrazione.

25

4. Processi di inertizzazione
4.1 La penisola di infiammabilit
La presenza di gas inerti (N 2, CO2, ecc.) abbassa notevolmente il limite superiore di
infiammabilit del combustibile, senza far variare sensibilmente quello inferiore. In tal
modo il campo di infiammabilit si restringe sempre pi; continuando nell'aggiunta
dell'inerte fino a che i due limiti praticamente coincidono, si delimita il "diagramma di
infiammabilit" entro il quale tutti i punti corrispondono a miscele la cui composizione
permette la propagazione della fiamma; al di fuori tutti i punti corrispondono a miscele
non infiammabili.

Per comprendere il significato pratico i un diagramma di infiammabilit consideriamo


la Figura 10 relativa ad un generico solvente in miscela con aria e azoto diluente. I
punti lungo la linea abcd rappresentano miscele costituite solo da aria e solvente. Il
punto a corrisponde alla percentuale di

02

nell'aria, i punti b e c sono rispettivamente

Li e Ls.
Consideriamo il punto d: questa miscela, costituita dal 6% di combustibile e dall'84%
di aria, al di sopra del limite superiore. Se si aggiunge aria alla miscela, la percentuale
di combustibile diminuisce; quando si raggiunge il punto c la miscela diventa
infiammabile e rimane infiammabile per ulteriori diluizioni con aria fino a

26

quando non si raggiunge b; a questo punto la miscela diventa nuovamente non


infiammabile.
Consideriamo adesso il punto e nella zona B: questa miscela costituita dal 10% di
combustibile, dal 45% di azoto diluente e dal 100 - (10 + 45) = 45% di aria. Se si
diluisce con aria questa miscela, la sua composizione cambia lungo la retta ea. La
miscela diventa infiammabile quando la composizione raggiunge il punto f (7% di
combustibile; 30% di azoto diluente; 63% di aria) e rimane infiammabile fino a quando
non i raggiunge g, dopo di che diventa ancora non infiammabile. L'ulteriore aggiunta
di aria sposta la composizione fino al punto a.
Se si desidera diluire la miscela al punto e con aria e nello stesso tempo evitare la
zona di infiammabilit, si deve aggiungere azoto fino a quando non si raggiunge la
linea ah.
A questo punto, l'aggiunta di aria a ogni miscela, la cui composizione giace al di sotto
della linea ah, non la rende infiammabile, poich la composizione non passa
attraverso la zona di infiammabilit.
4.2 Concentrazione minima di ossigeno
Dalla penisola di infiammabilit possibile determinare, con semplici considerazioni
geometriche, la percentuale minima di ossigeno che consente ancora la propagazione
della fiamma (Figura 11).

Fig 11

Tutte le miscele che giacciono sulle rette parallele al alto CN del triangolo (ossidante
zero) hanno un contenuto costante di ossigeno ( in quanto costante la somma inerte
27

+ combustibile); la retta tangente al diagramma di infiammabilit quella che d


la concentrazione minima di ossigeno.
In alcuni casi, quando il diagramma particolarmente esteso (idrogeno, solfuro
di carbonio), l'ossigeno minimo si pu avere in corrispondenza del limite superiore.
Al di sotto di questo valore critico, nessuna miscela combustibile - aria - diluente,
risulta infiammabile.
Analogamente a quanto avviene per i gas e i vapori possibile tracciare
diagrammi di infiammabilit anche per le polveri. Nella Figura 12 sono riportate
le penisole di infiammabilit del Polipropilene di diversa granulometria e i risultati
sono mostrati nella Tabella 8.
Tab 8
ossigeno minimo, % vol.
concentrazione
di polvere, mg/l

polipropilene
< 25

< 44

<74

50

13

14, 2

16,0

100

12

12,4

14,3

150

11,2

11,5

14,0

200

10,7

113

14, 1

250

10.6

11,5

14,4

300

11,0

11,7

14,6

400

11,5

12,2

15,2

500

12,0

12,8

15,9

Penisole di infiammabilit del polipropilene: a) <

25

; b)

< 44 ; c) <74

Fig 12
28

L'ossigeno minimo necessario per la propagazione della fiamma assume valori diversi
a seconda della concentrazione della polvere; percentuali di ossigeno inferiori a quelle
sottolineate corrispondono ad atmosfere di tutta sicurezza, nelle quali nubi del
materiale a qualsiasi concentrazione di polvere non si infiammano.

29

5.Cause d'innesco
5.1 Introduzione
Statistiche complete e significative sulle cause delle esplosioni nelle industrie,
relativamente alle sorgenti di innesco, non sono facilmente disponibili.
I risultati pubblicati da organizzazioni di differenti paesi spesso non concordano
perch i dati vengono elaborati su basi differenti.
Solo

alcuni

incidenti

vengono

esaminati

nei

dettagli,

talvolta

anche

fino

all'identificazione della sorgente di innesco.


Gli incidenti minori, che per in altre circostanze avrebbero potuto trasformarsi in
rilevanti, raramente entrano nelle statistiche in quanto molto spesso - nell'interesse di
un rapido ritorno alla produzione - non vengono effettuati studi dettagliati sull'origine
dell'innesco. Molte altre volte non si arriva neanche all'identificazione certa della
sorgente: se ne ipotizzano alcune con diverso grado di probabilit e l'incidente viene
attribuito a "fonte sconosciuta".
Pertanto, l'esame delle statistiche si rivela utile soprattutto per evidenziare il gran
numero di possibili sorgenti di accensione.
In presenza di una miscela combustibile - aria, compresa entro i limiti di infiammabilit,
l'accensione si verifica solo se un volume critico di miscela viene riscaldato
sufficientemente per iniziare la reazione a catena di combustione che provoca la
propagazione della fiamma.
Perch questo si verifichi la sorgente di innesco deve possedere una data
temperatura o liberare una data quantit di energia.
5.2 Energia minima di innesco
Per accendere una miscela combustibile - aria, compresa entro i limiti di
infiammabilit, necessaria la presenza di un innesco (scarica elettrica, filamento
caldo, fiamma, esplosivi solido, ecc.).
Tali sorgenti d'accensione differiscono grandemente per quanto riguarda l'energia
fornita, l'intervallo di tempo in cui la forniscono e il livello di temperatura raggiunto.
L'energia fornita dall'innesco deve essere sufficiente per portare una porzione di
miscela alla sua temperatura di autoaccensione e varia con la composizione della
miscela come si pu vedere nella Fig. 13 che si riferisce all'idrogeno

30

Essa minima in prossimit della concentrazione stechiometrica; inoltre l'energia di


accensione aumenta drasticamente in prossimit delle concentrazioni corrispondenti ai
limiti di infiammabilit: per ogni valore dell'energia esistono due composizioni che
delimitano la regione delle miscele che possono essere accese con tale energia.
Compilazioni con dati sull'energia minima di innesco non sono molto numerose in
letteratura. La Tabella 9 riporta i dati forniti dalla fonte forse pi completa, anche se
ormai datata [23].
Tab 9

Combustibile

Energia minima di accensione


10-4 J

solfuro di carbonio

0, 15

acetilene

0,20

idrogeno

0,20

ossido di etilene

0,87

etilene

0,96

1, 3 butadiene

1,75

ossido di propilene

1,90

metanolo

2,15

propilene

2,82

etano

2,85

etere dimetilico

2,90

propano

3,00

acetaldeide

3,76

metano

4,70

pentano

4,90

benzene

5,50

31

5.3 Temperatura di autoaccensione


La temperatura di autoaccensione la temperatura pi bassa alla quale una miscela
combustibile - comburente deve essere portata perch sia accenda spontaneamente.
Al di sotto di questa temperatura, per provocare l'accensione della miscela, si
deve
usare una sorgente esterna (fiamma, scintilla, filamento caldo, ecc.) mentre al di
sopra ci non necessario [29].
La temperatura di autoaccensione pu essere definita solo tenendo conto del sistema
in cui la determinazione viene effettuata. Cos, sperimentando in sistemi in flusso, in
sistemi statici, in reattori di differenti materiali, ecc. si ottengono differenti temperature
di autoaccensione. Per questa ragione, le temperature di accensione non possono
essere considerate come valori fondamentali. Per esempio, nella Tabella 10 sono
riportate le temperature di autoaccensione di alcuni solventi ottenute con dispositivi
sperimentali differenti.
I dati sono stati scelti proprio per enfatizzare queste discrepanze.
Tab 10
metano
etano

537
515

propano

493

etilene

490

propilene

455

benzene

498

toluene

482

cumene

424

o-xi Iene

464

sti rene

490

ciclopropano

498

ciclopentano

361

cicloesano

246

alcool metilico

386

alcool etilico

363

ossido di etilene

457

ossido di propilene

464

Quando si introduce una miscela infiammabile in un recipiente la cui temperatura


uguale o superiore alla sua temperatura di accensione, la miscela si infiammer dopo
32

un periodo pi o meno breve di tempo, noto come "periodo di induzione" o "ritardo al


l'accensione".
Cio l'accensione spontanea, ma non istantanea. II ritardo all'accensione diverso per
differenti

miscele

generalmente

aumenta

al

diminuire

della

temperatura,

raggiungendo il suo massimo alla temperatura di accensione. La conoscenza di tale


ritardo all'accensione pu essere molto importante per quanto riguarda la sicurezza.
Cos, per esempio, una miscela metano - aria con una temperatura di accensione di
580 C pu essere esposta senza rischio ad un getto di gas a circa 1000C se il tempo di
contatto sufficientemente breve.
La temperatura di autoaccensione risente degli stessi fattori che influenzano la
velocit delle reazioni in fase gassosa:
-

Volume del reattore e sua geometria (rapporto superficie/volume)


Presenza di inerti (n2, co2, vapor d'acqua, ecc.);

Pressione;

Fiamme fredde;

Ritardo all'accensione;

Presenza di additivi (promotori, inibitori);

Effetti superficiali (catalisi);

Stato fisico del combustibile (nebbia, vapore).

Cos, per esempio, una miscela contenente 1,5; 3,75; 7,65% in volume di pentano in
aria si infiamma rispettivamente a 548; 502; 476C. L'effetto del volume del
contenitore mostrato dall'esempio dei solfuro di carbonio: in un pallone di 200 ml la
temperatura di accensione 120C; in un pallone da 1 litro 110C, mentre in un
pallone da 10 litri 96C. In un contenitore di quarzo il benzene si accende a 571C;
in un contenitore di zinco a 721'C.
Date le notevoli differenze riscontrate dai diversi Autori buona norma, per garantire il pi
alto margine di sicurezza, scegliere tra i valori riportati in letteratura, per una data
sostanza, quello pi basso.
Le temperature di autoaccensione di alcune polveri sono riportate nell'Appendice B.
In generale, e soprattutto in una serie omologa, la temperatura di autoaccensione
diminuisce all'aumentare del peso molecolare; questo illustrato nella Tabella 2 per
differenti serie di solventi organici.

33

6 Infiammabilit e sorgenti di innesco


Dall'esame delle statistiche relative alle esplosioni risulta un gran numero di possibili
sorgenti di accensione di diversa energia, durata, ecc.; esse possono essere
grossolanamente suddivise [22] come segue.

6.1 Fiamme
Le fiamme libere, oltre che quelle dei bruciatori, dei forni e delle torce costituiscono una
fonte di innesco molto frequente negli impianti industriali, come dimostra il gran
numero di esplosioni ad esse attribuito.
Le fiamme prodotte dalla combustione di gas, liquidi o solidi sono potenti e ovvie
sorgenti di accensione per cui ben poche ricerche sono state intraprese sulla loro
durata e sulle dimensioni minime richieste per innescare una miscela infiammabile.
Data la loro ovvia potenzialit come sorgenti di innesco, la conoscenza di tali dati
sarebbe inoltre di scarso interesse pratico.
Diversi fattori concorrono a rendere le fiamme inneschi efficaci: l'alta temperatura
(1000 - 2000 C), !'apprezzabile durata, l'estensione del volume che pu essere
riscaldato simultaneamente, ecc.
Una superficie calda, al contrario, pu persistere per un tempo pi lungo ma la sua
temperatura sar sicuramente inferiore, mentre una scintilla elettrica potrebbe anche
avere una temperatura pi alta di una fiamma, ma la sua durata sicuramente
minore. Inoltre, con una superficie calda o con una scintilla elettrica, il volume di
miscela riscaldato in un istante sicuramente pi limitato.

6.2 Materiali incandescenti


La definizione di "scintilla" piuttosto ambigua e richiede un certo chiarimento. Le
scintille elettriche sono quelle che rappresentano una scarica di corrente attraverso l'aria
o un altro dielettrico.
Esse sono talvolta associate con altri tipi di scintille, per esempio, quelle costituite da
frammenti di materiali solidi incandescenti in movimento attraverso l'aria. Questo tipo
di sorgente di accensione deve essere considerato una particella calda piuttosto che
una vera e propria scintilla.
Particelle incandescenti capaci di provocare un'esplosione da polvere possono essere
introdotte nelle operazioni di essiccamento se si utilizza il riscaldamento diretto anche

34

se riportato [2] che particelle incandescenti con una temperatura tra 600C e 800C
non accendono sospensioni di polveri se il loro diametro inferiore a 3 mm.
6.3 Saldatura e taglio
Le operazioni di saldatura e taglio sono potenziali sorgenti di accensione in quanto
generano particelle incandescenti che vengono proiettate in tutte le direzioni e che
possono rimbalzare fino a distanze considerevoli.
I pericoli derivanti da queste operazioni sono ben noti e coperti da speciali norme; ci
nonostante si verificano ancora numerosi incidenti. Proprio a Milano, nel 1973, si
verificata in una conceria una devastante esplosione con sette vittime a causa di
operazioni di saldatura in un locale adiacente al reparto di pulitura delle pelli con
solventi (eptano) [3].
Molte esplosioni si sono verificate a seguito di operazioni di saldatura e taglio in
prossimit di, se non addirittura sopra, serbatoi o fusti ritenuti, a torto, sufficientemente
bonificati.
Abbastanza istruttivo l'incidente verificatosi recentemente all'interno di un serbatoio
contenente 1, 1, 1 - tricloroetano durante lavori di saldatura con fiamma ossidrica [4,
5]. Questo incidente ha richiamato l'attenzione sulla pericolosit di alcuni idrocarburi
clorurati, a torto ritenuti non infiammabili.
6.4 Attrito o urto
Ogni frizione genera calore: il pericolo dipende dall'energia meccanica disponibile,
dalla velocit di generazione del calore e dalla sua velocit di dissipazione.
Le scintille da frizione o da urto sono solitamente considerate assieme, a causa della
difficolt di distinguerle nei casi pratici.
Vi una forte evidenza derivante dall'esperienza industriale che tali scintille siamo in
grado di innescare miscele infiammabili, anche se finora stato effettuato scarso
lavoro sperimentale.
Di conseguenza mancano informazioni sui livelli di energia meccanica necessaria per
accendere le diverse miscele, sull'energia delle scintille cos prodotte e sull'effetto del
rapido raffreddamento sullo sviluppo dell'esplosione.
Scintille da attrito e urto possono provenire da strumenti metallici, dalla caduta di oggetti,
da cinghie scorrenti su pulegge, dall'ingresso di materiali metallici nei mulini per la
macinazione di polveri, dall'urto tra due superfici pesanti (almeno una deve

35

essere metallica, per esempio strumenti metallici che cadono su pavimenti di cemento).
6.5 Superfici calde
Surriscaldamenti da superfici calde si verificano per esempio nei casi seguenti:
Presenza di una sospensione di polvere entro uno spazio riscaldato (in un forno o in
un essiccatore);
Deposito di una polvere su una superficie all'interno di uno spazio riscaldato, es.
Polvere sulla superficie interna di un essiccatore;
Polvere dispersa o depositata su una superficie riscaldata, es. Polvere su una
lampada elettrica.
Alcuni valori della temperatura minima di accensione di nubi di polvere o di polveri
stratificate sono riportati in Appendice B [16].
6.6 Compressione adiabatica
In seguito a compressione adiabatica un gas si riscalda e l'aumento di temperatura
pu facilmente raggiungere il valore della temperatura di autoaccensione. Poich il
fenomeno considerato isentropico valida la legge di POISSON cosicch quando il
volume ridotto da V, a V2. La temperatura passa dall'iniziale valore T, a T2 secondo
l'equazione:

T2/T1 = V1/V2

k-1

dove k il rapporto tra i calori specifici del gas in considerazione.


All'aumentare del rapporto V,N2 la temperatura raggiungibile aumenta: per un
rapporto V 1 /V 2 = 20 si possono raggiungere 1800C [17].
La determinazione sperimentale della temperatura di accensione per compressione
adiabatica porta a temperature pi basse rispetto al metodo dell'introduzione di una
miscela gassosa infiammabile in un reattore preriscaldato: le differenze possono
anche essere di 300C.

36

Il riscaldamento dovuto alla compressione adiabatica ha provocato diversi incidenti [18];


alcuni si sono per esempio verificati in seguito all'apertura violenta della valvola di
una bombola.
6.7 Sostanze piroforiche
Si definiscono piroforiche quelle sostanze che esposte all'aria a temperatura
ambiente, si accendono spontaneamente o si ossidano cos rapidamente da portarsi
all'incandescenza [23].
Esempi noti sono lo zinco dimetile, gli alluminio alchili [24], alcuni silani [25], il trimetil e trietil - borano [26] o altri liquidi organometallici che solitamente vengono maneggiati
con particolari precauzioni . Per esempio, gli alluminio alchili si accendono
immediatamente in aria a meno che non vengano diluiti con solvente idrocarburico
fino ad una concentrazione del 20%.
Altre sostanze sono invece molto pi subdole (es. polveri fini metalliche tipo FeO, CrO).
II nichel Raney una polvere che si ottiene trattando una lega di nichel e
alluminio con una soluzione di soda caustica: la sua superficie specifica dell'ordine
di 50 m2/g. Non appena entra in contatto con l'aria esso reagisce producendo piccole
fiamme. Anche altri metalli tipo uranio e zirconio sono piroforici sotto forma di polvere.
Molti catalizzatori sono spesso piroforici: es. quelli contenenti cobalto per la possibile
formazione di cobalto carbonili o il nichel supportato su silicato di magnesio, utilizzato
in molti processi petrolchimici.
I fattori che influenzano la piroforicit dei diversi materiali sono numerosi: dimensioni
delle particelle, natura della superficie, umidit, calore di formazione dell'ossido o del
nitruro, massa, contenuto di idrogeno, purezza, presenza di ossidi.
Materiali finemente suddivisi e quindi con elevata area superficiale sono pi
suscettibili alla piroforicit: la temperatura di accensione quindi notevolmente
influenzata dalle dimensioni delle particelle [16].
Molti materiali piroforici sono igroscopici e tendono a liberare una notevole quantit di
calore in presenza di umidit o quando assorbono vapor d'acqua. E' stato pertanto
ipotizzato che il meccanismo scatenante sia proprio l'assorbimento di umidit:
l'esotermicit di qLesta prima reazione pu far aumentare la temperatura del
materiale fino a quella di autoaccensione [29]. A questo proposito noto l'esempio del
carbone [30].

37

6.8 Elettricit statica


In aggiunta alle "comuni" sorgenti di accensione (fiamme libere, punti caldi, scintille da
frizione e attrito, ecc.) troviamo - spesso come causa principale di un incidente l'energia fornita da una scarica elettrostatica. Per quanto riguarda l'origine delle
cariche elettrostatiche si rimanda all'abbondante letteratura sull'argomento [24 - 28].
Alcuni esempi tipici di generazione di carica elettrostatica sono illustrati di seguito:

Un solvente non conduttore fluisce da una tubazione di metallo: il liquido si carica (effetto
di separazione delle cariche) e le cariche in eccesso sulla tubazione di metallo si
scaricano verso terra.

Una polvere organica viene versata da un sacco in materiale plastico: polvere e sacco
si caricano (effetto di separazione) e anche la nube di polvere. Le cariche si disperdono
piuttosto lentamente.

Un liquido viene polverizzato da un ugello di metallo: le goccioline di liquido e


l'ugello si caricano (effetto di separazione). Le cariche in eccesso sull'ugello di
metallo si scaricano attraverso il collegamento a terra.
Un liquido non conduttore viene agitato in un reattore: il liquido, l'agitatore e la
parete del reattore si caricano. Le cariche in eccesso sul reattore e sull'agitatore si
scaricano attraverso il collegamento a terra.
Perch la generazione delle cariche elettrostatiche costituisca un pericolo di incendio
o di esplosione indispensabile che avvenga la successiva scarica o la repentina
ricombinazione delle cariche positive e negative inizialmente separate.
6.9 Lavorazioni con liquidi infiammabili
Si generano cariche elettrostatiche quando il liquidi si muovono in contatto con altri
materiali. Questo avviene comunemente in operazioni tipo trasferimento attraverso
tubazioni, durante il miscelamento, il travaso, il pompaggio, la filtrazione o l'agitazione.
Con i solventi ci si pu aspettare l'accumulo di cariche apprezzabili e pericolose se la
resistenza specifica del liquido (R0) supera 108 ohm m. La tendenza all'accumulo di
cariche statiche pu aumentare notevolmente se il liquido contiene un componente
non miscibile o un solido sospeso (soluzioni non omogenee). Durante i processi di, si
possono formare Zone localizzate con cariche estremamente alte. Pertanto le
cristallizzazioni in liquidi non conduttori dovrebbero essere effettuate sempre sotto

38

azoto. La resistenza specifica dei liquidi non conduttori pu essere notevolmente


abbassata ricorrendo all'aggiunta di opportuni additivi in piccola quantit o di acqua.
In questi casi necessario ricordare che l'additivo dev'essere solubile nel liquido per
evitare miscele non omogenee (soprattutto quando si utilizza l'acqua).
6.10 Esempi pratici

Trasporto di liquidi mediante tubazioni o tubi flessibili

I pericoli possono derivare dal fatto che il solvente si carica durante lo scorrimento
lungo le pareti, nello spruzzamento, nel passaggio attraverso filtri. Inoltre, anche la
tubazione o il tubo flessibile si caricano per induzione, per cui si possono generare
scintille tra le parti metalliche. Le contromisure pi comuni consistono nel riempire
completamente la tubazione (o il tubo flessibile) con il liquido, per escludere la
formazione di miscele infiammabili all'interno, e nel mantenere bassa la velocit di
flusso.
In caso di tubazioni solo parzialmente riempite o di tubazioni che sboccano in
contenitori in genere, per evitare la generazione di cariche pericolose, si segue la
seguente regola empirica:" per tutti i liquidi omogenei (ad eccezione di etere etilico e
solfuro di carbonio) e indipendentemente dal diametro della tubazione utilizzare
velocit di flusso inferiori a 1 m/s".

Riempimento e svuotamento di fusti per gravit

Se si utilizzano contenitori di plastica non conduttori, sulla superficie interna si


possono accumulare alte cariche a causa di attrito o altri processi di separazione per
cui, avvicinando un soggetto conduttore (imbuto, agitatore, tubo) possibile la
successiva scarica. Su contenitori in materiale conduttore si possono avere scariche tra
imbuto e contenitore o tra l'operatore e il contenitore. Se due liquidi non miscibili (ad
esempio, acqua e toluene) sono presenti nello stesso contenitore non conduttore e
uno dei liquidi conduttore, quest'ultimo pu formare uno strato isolato, conduttore
e quindi caricabile.
Le principali misure di prevenzione consistono nel portare le tubazioni di travaso e
i tubi flessibili o l'imbuto direttamente sul fondo dei recipiente, per evitare il
gorgogliamento, vortici o spruzzi di liquido. Contenitori, imbuti, tronchetti, boccagli e
tubi conduttori devono essere collegati elettricamente e messi a terra. Il personale
deve essere munito di scarpe antistatiche (conduttrici e non di gomma), per scaricare
a terra l'eventuale elettricit statica accumulata; anche il pavimento dovrebbe essere

39

di materiale conduttore. Per liquidi che contengono un componente conduttore non


miscibile si devono usare solo contenitori in materiale conduttore.

Trasferimento da fusti di liquidi infiammabili mediante pompe

La turbolenza nella pompa e il flusso nella tubazione di collegamento portano alla


formazione di cariche elettrostatiche sia nel liquido che nella tubazione. Sono possibili
scintille tra le parti metalliche: per esempio, tra la pompa ed il fusto. Le contromisure
consistono nel collegare la pompa, mediante un corpo conduttore, sia al contenitore
da svuotare che a quello da riempire oltre che con la messa a terra. I collegamenti
non devono avvenire direttamente sopra il foro del fusto o il passo d'uomo, poich
proprio qui che si formano pi frequentemente i vapori infiammabili.

Carico di rettori con liquidi infiammabili

Si pu verificare l'accumulo di cariche elettrostatiche per effetto della turbolenza nel


liquido quando questo fluisce sotto pressione con mulinelli o spruzzi, specialmente se
il trasferimento viene effettuato pneumaticamente con aria o azoto che gorgogliano
nel liquido alla fine del travaso. Si possono avere scintille tra la superficie del liquido e
gli oggetti conduttori dentro il reattore.
Esistono diverse contromisure in alternativa:
a) Riempire il reattcre lentamente rispettando la velocit consigliata di 1 mis e, se
possibile, attraverso la valvola di fondo, oppure prolungare la tubazione di
riempimento verso il fondo del recipiente;
b) Aspirare il liquido mediante vuoto;
c) Inertizzare il contenitore con azoto.

Operazioni eseguite sul passo d'uomo aperto di un reattore

Masse di reazione caricate elettricamente all'interno del reattore possono provocare


scintille attraverso un oggetto metallico che viene avvicinato (il bicchiere per il prelievo
dei campioni, l'asta di misurazione). La probabilit maggiore di accensione si ha
proprio in corrispondenza dell'area del passo d'uomo dove i vapori di solventi si
miscelano con l'aria.
E' pertanto evidente che si devono evitare le operazioni in prossimit di quest'area
e si devono usare dispositivi che consentano il prelievo di campioni, il controllo del
pH e del livello con il reattore chiuso. Se ci non possibile, usare apparecchiature (il
bicchiere preleva - campione, l'asta di misurazione) in materiale non conduttore (non

40

usare dispositivi di metallo). Dispositivi di misurazione non conduttori non devono


essere puliti o strofinati immediatamente prima di essere introdotti nel reattore. Dopo
aver fermato l'agitatore e bloccato l'afflusso dei reagenti osservare un periodo di
riposo (almeno 3 minuti) prima di aprire il passo d'uomo.

Manipolazione di polveri in presenza di vapori infiammabili

Le situazioni pi comuni sono quelle del carico di polvere in un reattore contenente un


solvente e della manipolazione di polveri bagnate di solventi.
A causa del movimento della polvere durante il carico o la manipolazione, avvengono in
continuazione processi di separazione di carica, per cui risulteranno caricati sia la polvere
che il contenitore, che pezzi dell'apparecchiatura (fusto, bidone di plastica, tubazioni,
scivoli, imbuti, condotti di carico).
Cariche elettrostatiche gi presenti nella polvere per manipolazioni precedenti
possono ulteriormente aumentare l'effetto. Scintille possono verificarsi quando si
scuote una busta di plastica, quando un fusto non conduttore allontanato
dall'imbuto nel passo d'uomo e quando, per esempio, la superficie carica di un fusto
viene toccata con una mano.
II caricamento di una polvere in un reattore contenente un solvente infiammabile
una delle pi frequenti cause di incidenti da attribuire a cariche elettrostatiche. Poich
durante le operazioni di carico del materiale, le scariche le scariche si formeranno sempre
vicino al passo d'uomo, dove pi facile la presenza di miscele infiammabili, tali
operazioni sono particolarmente pericolose. La misura pi efficace l'effettuazione di
questa operazione sotto atmosfera inerte. In questo caso, il caricamento, in
assenza di solventi infiammabili, pu essere effettuato da ogni contenitore (anche
sacchi di plastica). Con polveri contenenti solventi infiammabili invece si devono usare
solo contenitori conduttori, collegati a terra.
Caricamento di polveri quando non si pu mantenere un'atmosfera inerte
I seguenti fattori sono decisivi per il tipo di pericolo e le misure da adottare:
Il punto di infiammabilit del solvente precaricato nel reattore o presente nella polvere;
- La temperatura di esercizio (spesso quella ambiente);
- L'infiammabilit e l'energia minima di accensione della polvere da caricare.
Nel caso che la polvere non sia infiammabile o che la sua energia minima sia
relativamente alta oppure se la temperatura di esercizio di almeno 5C al di sotto del
punto di infiammabilit del liquido, non sono previste particolari restrizioni nella scelta del
materiale dei contenitori (sono consentiti anche sacchi di plastica). Comunque

41

tutte le parti in materiale conduttore devono essere collegate a massa e messe a


terra.
Se invece la polvere da caricare infiammabile e se la sua energia minima bassa (o
sconosciuta) e se la temperatura di esercizio non di almeno 5C al di sotto del punto
di infiammabilit del solvente, i contenitori e le apparecchiature ausiliarie (fusti, imbuti,
ecc.) devono essere di materiale conduttore e devono essere collegati a terra. Anche
le scarpe degli addetti devono essere di materiale conduttore. E' assolutamente
da vietare l'uso di contenitori (conduttori o non) con rivestimento di plastica o di
contenitori, guarnizioni, ecc. con rivestimento non conduttore. Le pale usate per il
caricamento devono essere in legno o devono avere il manico di legno o essere in
metallo e collegate a terra. Il carico di polvere non deve superare i 50 kg per volta e
ad intervalli di circa 30 - 60 s tra ogni carica. Quando possibile, introdurre sempre
prima la sostanza solida e poi il solvente.

42

7. Violenza delle esplosioni


Il termine "violenza" ha solo un significato intuitivo; gli effetti di un'esplosione possono
essere espressi con grandezze fisiche misurabili, come, ad esempio, la pressione
massima che si origina durante l'esplosione e la velocit massima di aumento della
pressione (Fig. 14 ).

AP .7 kg/ cm 2

0.1

Determinazione grafica dei parametri che caratterizzano una esplosione

Fig 14

Dalla conoscenza di tali parametri si ricavano orientamenti verso l'impiego di materiali


pi resistenti o di spessori maggiori o di dispositivi di sicurezza.
La pressione che si genera in seguito a una esplosione dipende dalla quantit totale
di energia svolta durante la combustione ed funzione della concentrazione di
combustibile presente nella miscela; pertanto la pressione massima si ottiene
solitamente nei dintorni della quantit stechiometrica del combustibile (Fig. 15).
Sperimentalmente per si trova sempre spostata verso miscele pi ricche dello
stechiometrico.
Nell'Appendice B sono riportate la pressione d'esplosione e la velocit di aumento
della pressione di alcune polveri mentre nell'Appendice C quelle di alcuni gas e
vapori.

43

Variazione dei parametri di esplodibilit in funzione della concentrazione


di polvere

Fig 15

7.1 Generalit sugli incendi in spazi confinati o semiconfinati


In seguito all'accensione di materiali contenuti in uno spazio chiuso (es. Una
stanza un capannone, ecc.), l'incendio - nella sua prima fase, quando ancora
di limitate dimensioni - si comporta come se fosse all'aperto.
Se sussistono le condizioni per una sua propagazione (sufficiente materiale
combustibile, sufficiente ari) raggiunger uno stadio in cui il confinamento
inizier ad influenzarne il comportamento.
I principali parametri da prendere in considerazione per caratterizzare un
incendio sono:
La temperatura massima raggiunta e la velocit di aumento della temperatura
dei prodotti di combustione;
La quantit di calore liberata e la velocit di sviluppo del calore;

44

La durata, cio il tempo necessario per raggiungere la temperatura

massima dei fumi.


Il decorso dell'incendio pu allora essere descritto in termini di variazione della
temperatura media dei prodotti di combustione entro il volume occupato in funzione
del tempo (Fig. 16). Sebbene puramente schematica, la Fig. 16 illustra come
l'incendio possa essere diviso nei seguenti tre stadi:

a) Stadio di sviluppo o "pre - flashover" (prevampata) in cui la temperatura media dei gas
bassa e l'incendio localizzato in prossimit della sua origine.
b) Stadio di completo sviluppo o di "vampata" ("flashover") in cui tutti i materiali
combustibili nel volume sono coinvolti.

45

c) Stadio di decadimento, che solitamente indica il tempo necessario perch la


temperatura dei fumi diminuisca dell'80% rispetto al valore massimo.
Seguendo l'evoluzione dell'incendio possiamo dire che nella fase di sviluppo la
temperatura varia di poco in funzione del tempo, perch buona parte del calore
prodotto utilizzato per evaporare l'umidit contenuta nei materiali combustibili e per
elevarne la temperatura oltre quella di accensione, per riscaldare sia l'aria circostante, sia
i materiali combustibili vicino al focolaio.
Dopo la fase di sviluppo per, la temperatura aumenta molto rapidamente, aumenta
infatti notevolmente la quantit di calore sviluppato sia per la maggiore quantit di
materiale combustibile coinvolto, sia per l'aumento della velocit di combustione
dovuto all'aumentare della temperatura.
In questa seconda fase la velocit di liberazione del calore superiore alla velocit con cui
il calore stesso pu essere disperso per irraggiamento verso l'esterno. Ne consegue che la
temperatura nell'ambiente (aria e gas combusti) aumenta tanto pi rapidamente quanto
maggiore la differenza fra il calore sviluppato e quello disperso. Nel periodo di sviluppo
(stadio b), l'incendio aumenta in dimensioni e si raggiunge il cosiddetto "flashover" in
cui si ha la rapida propagazione delle fiamme dall'area iniziale a tutti i materiali
combustibili presenti. In questo stadio dell'incendio, la velocit di liberazione del calore
raggiunge il massimo, le fiamme possono fuoriuscire da eventuali aperture e si
hanno i danni strutturali che possono portare alla parziale o totale distruzione del
fabbricato.
Raggiunto il valore massimo, la temperatura diminuisce. In questa fase di raffreddamento
e di estinzione le ultime residue parti combustibili continuano a fornire un po' di calore
all'ambiente anche se ormai comincia a prevalere la dispersione del calore attraverso i
fumi e l'irraggiamento verso zone pi fredde.
In un incendio di dimensioni modeste e nella sua fase iniziale si hanno fiamme che
sono basse se confrontate con l'altezza dei locale. I prodotti della combustione sono
caldi e quindi meno densi dell'aria circostante e tendono a salire trascinando l'aria con la
quale si mescolano subendo un raffreddamento.
Quando il fumo raggiunge il soffitto si diffonde al di sotto di questo, formando uno
strato che galleggia su quello sottostante di aria fredda pi pesante. In assenza di
aperture sul soffitto lo strato dei gas caldi e del fumo aumenta progressivamente fino ad
invadere l'intero locale.
Se nella copertura si forma un'apertura, per esempio perch il materiale stato
danneggiato dall'incendio, i fumi iniziano a fuoriuscire in misura tanto maggiore
quanto maggiore sar lo strato sottostante di gas caldi.

46

Man mano che lo spessore dello strato dei gas caldi aumenta, diminuisce la zona di
contatto fra la colonna ascendente dei gas caldi e l'aria fredda circostante, che viene
trascinata quindi in minore quantit, con conseguente aumento della temperatura
della colonna montante dei gas di combustione e della quantit di gas che
fuoriescono dallo sfogo.
Il grande numero di variabili che determinano l'andamento di un incendio rende
impossibile determinare con precisione la sua durata. La rapidit con cui pu avvenire
una combustione dipende dalla natura dei combustibili, dal loro contenuto di umidit,
dal grado di impaccamento, da come sono confezionati, dalla natura dei recipienti nei
quali conservati e da tanti altri fattori.
Un altro parametro importante per caratterizzare un incendio il carico di incendio
che definito come il rapporto tra la massima quantit di calore sviluppata per
combustione completa, in assenza di dispersioni, da tutti i vari combustibili presenti e
l'area in pianta del locale in esame.
Convenzionalmente espresso in kg di legno equivalente, a cui viene attribuito
un potere calorifico di 4400 kcal/kg (Il potere calorifico la quantit di calore
sviluppato nella combustione completa di un kg di combustibile).
Prima di procedere ulteriormente all'analisi di un ipotetico incendio necessario
chiarire un punto fondamentale che riguarda il tipo di incendio.
Ci sono due possibili regimi di combustione:

Incendio controllato dalla ventilazione; significa che la velocit di ventilazione dipende


dalla quantit di aria che alimenta l'incendio attraverso le varie aperture e quindi dalle
dimensioni di queste aperture (fattore di ventilazione).

Incendio controllato dall'addensamento del combustibile; questa situazione nasce


quando c' molta pi aria a disposizione di quanta ne serva per la quantit di
combustibile pesante; la velocit di combustione dipende dalla geometria del
combustibile (Fig. 17).

47

Fig. 17

La Fig. 17 mostra in modo qualitativo come la velocit di combustione per unit


di superficie sia costante per un dato carico d'incendio al variare del fattore di
ventilazione AwH1/2 (A,v la superficie delle finestre e H l'altezza massima
delle stesse) nel caso che il regime di combustione sia controllato dal
combustibile (rette parallele all'asse delle ascisse), quando l'incendio
controllato dalla ventilazione la velocit di combustione dipende da A W H12
secondo una relazione lineare (retta inclinata di equazione 6A,,H112).
La Fig. 18 indica in dettaglio le medesime relazioni per un caso particolare: in
essa sono stati riportati i valori e i comportamenti osservati in prove di
combustione di cataste di legna in un locale di 2,9 m x 3,75 m e alto 2,7 m. I vari
simboli
48

rappresentano diversi quantitativi di legna; si noti come la velocit di combustione sia


pressoch costante comunque vari il fattore di ventilazione per un dato peso di
combustibile.

La caratteristica che si vuole evidenziare la seguente: lo sviluppo totale dell'incendio, cio


il flashover, si ha solo quando il fattore Idi ventilazione superiore a 0,8 m512 e si verifica se
nel locale indicato in precedenza la quantit di legna intorno a 60 - 74 kg.
La Fig. 19 riporta la variazione della temperatura media dei fumi in funzione del tempo per
incendi in locali; sono riportate diverse curve per diversi carichi d'incendio (7,5 - 15 - 30 - 60
kg/m2 di legna) e due valori di apertura (1/2 e 1/4). Si vuole evidenziare che la fase di
aumento della temperatura dipende poco dal carico d'incendio e dal valore

49

del fattore di ventilazione; la pendenza della fase di crescita pu infatti considerarsi


costante al variare del carico d'incendio e delle aperture. Quello che varia molto
invece il tempo per,raggiungere la temperatura massima. Questo tempo in ogni
caso assai modesto.

Time - min

Fig 19

50

7.2 Incendio di GPL e tossicit del monossido di carbonio


Considerando la tossicit dei fumi di un incendio di GPL come dovuta esclusivamente
alla presenza di ossido di carbonio, si possono svolgere le seguenti considerazioni.
7.2.1. Stima del CO emesso
In generale la corretta combustione di un combustibile dovrebbe trasformare
l'ossigeno dell'aria (C)2) in anidride carbonica. Ad esempio, in condizioni teoriche per il
butano, si dovrebbe trovare un tenore massimo di CO2 nei prodotti della combustione
del 14,1% e lo 0% di 02. In pratica ci non avviene mai: durante una
combustione tendono sempre a formarsi sia prodotti carboniosi (fuliggine) che
ossido di carbonio (CO). Per minimizzare la combustione di questi necessario
che la combustione avvenga con un eccesso d'aria rispetto a quella teorica;
eccesso che pu essere del 20 - 50% a seconda del tipo di combustibile.
Nel caso di un incendio in un luogo pi o meno confinato, a causa di
insufficiente aerazione e quindi carburazione della fiamma, la situazione pi
complessa:
Dapprima si inizia una combustione corretta con conseguente notevole
immissione di CO2 nell'ambiente e di poco CO (decine di parti per milione (ppm) nei
fumi).
Il procedere della combustione porta per ad una rapida diminuzione di 02 nell'aria
circostante e quindi ad un peggioramento della combustione con conseguente
incremento del CO.

Con l'accumularsi della CO2 nell'ambiente si ha per un ritorno di questa attraverso


la fiamma, dove pu reagire con i sempre presenti prodotti carboniosi secondo
la reazione:
C+C02<=> 2CO

Reazione di equilibrio che, per le temperature in gioco, spostata verso destra.


In definitiva si ha una doppia generazione di CO secondo dei meccanismi che
tendono ad esaltarsi con il trascorrere del tempo.
Ad esempio, in un caso concreto esaminato, si notato come l'incremento di CO nel
tempo avesse andamento esponenziale ben rappresentato da un'espressione dei
tipo:

CO =eAt+B

(1)

dove:
51

CO
t

concentrazione di ossido di carbonio in ppm


tempo in minuti

base dei logaritmi naturali

AeB

costanti da valutarsi caso per caso.

7.2.2 Tossicit dell'ossido di carbonio


L'effetto tossico del CO sull'uomo causato principalmente da una reazione tra CO
ed emoglobina (Hb) dei sangue.
L'emoglobina un pigmento del sangue mediante il quale si compie il trasporto
dell'ossigeno, sotto firma di ossiemoglobina (O2Hb), dai polmoni alle cellule del corpo
e CO2 dalle cellule ai polmoni (come CO2Hb).
L'emoglobina pu anche formare, con il CO, un composto, la carbossiemoglobina
(COHb), e quando avviene una tale reazione, viene ridotta la capacit del sangue a
trasportare ossigeno. L'affinit dei CO per l'emoglobina circa 230 volte maggiore di
quella dell'OZ e, come risultato, si ha che, quando esistono entrambe le possibilit, si
forma COHb piuttosto che O2Hb.
Fattore importante per gli effetti del CO sul corpo umano la quantit di COHb
presente nel sangue: quanto pi alta la percentuale di emoglobina legata sotto
forma di COHb, tanto pi grave l'effetto, come indicato nella Fig. 1. Da
questa figura si ricava che la perdita di coscienza avverrebbe quando la
concentrazione di COHb nel sangue raggiunge una concentrazione del 50 - 55%. Il
tasso di COHb nel sangue direttamente legato alla concentrazione di CO nell'aria
inalata. Per una data concentrazione di CO nell'aria ambiente, il tasso di COHb nel
sangue raggiunger un valore di equilibrio dopo un sufficiente periodo di tempo,
valore che si manterr invariato. Tuttavia, il tasso di COHb cambier nella stessa
direzione in cui varia la concentrazione di CO nell'aria ambiente sino a raggiungere un
nuovo equilibrio.
II tasso normale, o di fondo, della COHb del sangue di un soggetto non fumatore, di
circa lo 0,5%. Parte di questo dovuto alla produzione di CO nel corpo durante il
metabolismo distruttivo dell'eme, un componente dell'emoglobina. Il rimanente
proviene da piccole quantit di CO nell'aria ambiente. La percentuale di equilibrio di
COHb nel sangue di una persona esposta a una concentrazione di CO nell'aria
ambiente pu essere facilmente calcolata mediante equazioni empiriche. Quella che
approssima meglio i dati la seguente formula di Chovin:

52

COHb = 0,147 CO [ 1-e(-kt/8,82) ]

dove:
COHb

espresso in %

CO

in ppm

in minuti

costante dipendente dall'intensit del lavoro fisico eseguito.

Per k si hanno i seguenti valori:


0,025 a riposo;
0,035 attivit lieve;
0,045 attivit moderata;
0,055 attivit media;
0,065 lavoro pesante.
7.2.3. Valutazione delle conseguenze
Si pu stimare in pochi minuti il tempo tra stato di malessere grave e perdita
della coscienza, a cui segue quasi sempre la morte a meno che non si sia soccorsi con
ossigeno puro entro pochi minuti.
Si noti che il precedente tempo di perdita di coscienza pu ridursi ulteriormente di
alcuni minuti nel caso di soggetti fumatori. E' noto infatti che il fumo di tabacco
contiene CO alla concentrazione del 4 - 5% ed i fumatori presentano una COHb%
variabile a seconda del numero di sigarette consumate. A fine giornata, la COHb%
raggiunta da un fumatore di 10, 15, 20, 25 sigarette/die si aggira intorno a 5; 7,5;
10; 12,5%(2).

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