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3. Indice
2 Questi erano i termini con cui si stava preparando la lettera di indizione del concilio.
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cui era preponderante lattenzione al dialogo con il mondo e il ristabilimento dellunit tra i
cristiani, guardando pi a ci che unisce, rispetto a ci che separa.
febbraio 1962 fiss, con il motu proprio Consilium diu, lapertura dellassise per il giorno 11
ottobre dello stesso anno.
Ci che caratterizz questo periodo fu una sorta di scontro tra lanimo riformista e
dialogico, che sarebbe poi stato della maggioranza dei padri conciliari e che pu trovare
nello stesso Giovanni XXIII lispiratore, con quello conservatore e preoccupato di
salvaguardare con moniti e condanne la purezza della fede, che trova espressione
principalmente nei documenti e negli schemi prodotti dalla commissione teologica, oggetto, in
commissione centrale, di molte correzioni e critiche.
1.2.3 Il messaggio dei padri al mondo: un anticipo della Gaudium et spes
Se allinterno delle commissioni e, in generale, allinterno della Chiesa si andava prospettando gi
da subito una serie di tensioni e discussioni, che caricavano il concilio di aspettative, da parte di
molti, e di timori, da parte di alcuni, cera comunque la volont e la convinzione di mostrarsi in
atteggiamento di aiuto nei confronti degli uomini e del mondo.
Praticamente allinizio del concilio, infatti, i padri conciliari rivolsero un messaggio a tutti gli
uomini del mondo, che pu leggersi come una descrizione dellanimo con cui la maggioranza dei
partecipanti affront il compito dellassise conciliare. Tra le altre cose, viene detto:
Qui riuniti da ogni nazione che esiste sotto il cielo, portiamo nei nostri cuori le ansie di tutti i popoli a
noi affidati, le angustie dellanima e del corpo, i dolori, i desideri, le speranze. Rivolgiamo
continuamente il nostro animo verso tutte le angosce che affliggono oggi gli uomini; perci
innanzitutto le nostre premure si volgono verso i pi umili, i pi poveri, i pi deboli; sull'esempio di
Cristo sentiamo piet per la folla che soffre la fame, la miseria e l'ignoranza; costantemente rivolti
verso coloro che, sprovvisti degli aiuti necessari, non sono ancora pervenuti ad un modo di vita degno
dell'uomo. Per questi motivi nello svolgimento dei nostri lavori terremo in gran conto tutto quello che
compete alla dignit dell'uomo, e quello che contribuisce alla vera fraternit dei popoli.
Tenendo conto che il primo stato pronunciato allinizio del concilio e lultimo stato promulgato
il giorno prima della chiusura e che, quindi, i due testi rappresentano il primo e lultimo
pronunciamento dellepiscopato cattolico nel periodo conciliare, si pu affermare che prologo ed
epilogo del concilio Vaticano II stata la preoccupazione dei vescovi di sottolineare la
condivisione, da parte della Chiesa e dei cristiani tutti, della condizione umana, con le sue
aspettative e paure.
In altre parole, la Gaudium et spes, con i suoi insegnamenti, ha attraversato, come un fiume
carsico, i lavori conciliari, dallinizio alla fine. Passando in secondo piano, in forza delle
tematiche dogmatiche ed ecclesiali pi scottanti, si caricata di queste ed andata
maturando, fino al giorno della sua promulgazione, proiettando la Chiesa nel mondo, e in
dialogo con esso. Cos come era nelle aspettative iniziali.
tipo induttivo che, partendo effettivamente dalla constatazione della realt, deduce successivamente
le indicazioni dottrinali e pastorali.
In aula ci furono alcune critiche sui temi affrontati, ma la maggioranza dei padri accolse lo schema,
che fu approvato in via definitiva gli ultimi giorni del concilio e promulgato il 7 dicembre 1965, il
giorno prima dellultima seduta solenne e di chiusura del concilio.
Oltre che documento fondamentale per la Chiesa, in quanto base sulla quale fondare il dialogo e i
rapporti con il mondo ad essa contemporaneo, la Gaudium e spes rappresenta il documento capace
di trasformare la Chiesa da roccaforte in contrasto con il mondo, a citt di Dio in mezzo agli
uomini.
Dal 7 dicembre 1965 la Chiesa diventa lassemblea di uomini e donne cristiani che non
nettamente separata dagli altri uomini e donne del mondo, ma che capace di condividere con loro
le gioie e le speranze e i dolori e le angosce, perch sono anche le loro.
5 Dalla nota 1 della Gaudium et spes sappiamo che improprio parlare di dottrinalit solo nella prima parte e di
pastoralit solo per la seconda, ma per una questione di comodo e di ragione utilizziamo, per comprendere a quale parte
del documento stiamo facendo riferimento, la caratteristica dottrinale preponderante per la prima sezione e la peculiarit
pastorale della seconda.
INTRODUZIONE
PARTE DOTTRINALE
PARTE PASTORALE
CONCLUSIONE
Per quanto riguarda lintroduzione, composta da un proemio e da unanalisi della condizione
delluomo moderno, che si pu intendere come una presa di coscienza della realt delluomo e del
suo mondo.
La parte dottrinale, invece, sviluppa, di seguito, le seguenti tematiche:
LA PERSONA
LA SOCIET
L'ATTIVIT UMANA
LA MISSIONE DELLA CHIESA NEL MONDO
Come si pu facilmente notare, le prime tre tematiche, in realt, non sono altro che ununica e lunga
analisi delluomo, considerato nella sua dimensione relazionale:
1. Luomo che in relazione con Dio e con se stesso (nella prima tematica);
2. Luomo in relazione con gli altri;
3. Luomo in relazione con il creato.
Da qui emerge subito quale tipo di antropologia, teologica e filosofica, sottesa allanalisi che si
sviluppa con la Gaudium et spes: unantropologia relazionale, ad immagine delluomo nuovo,
Cristo6. Queste stesse categorie relazionali, inoltre, sono presenti nei brani della creazione, in Gen
1-2. Rileggendo i testi in questione, infatti, si possono ritrovare questi rapporti che luomo, in
origine, chiamato a vivere, con Dio, con se stesso, con i suoi simili e con il creato. Relazioni e
rapporti, poi, rotti e incrinati a causa del peccato originale (cfr. Gen 3).
In altre parole, luomo a cui la Chiesa si rivolge, luomo chiamato a vivere quel progetto che il
Creatore ha pensato per lui, e allora, il capitolo conclusivo, cio La missione della Chiesa nel
mondo contemporaneo si pu interpretare come la chiarificazione dellobiettivo che il Signore ha
posto alla comunit ecclesiale quando le ha dato il mandato di operare nel mondo, per luomo.
Un uomo costituito da tutto quello che, nel documento, si dice in precedenza: per cui non si serve
un uomo ideale o astratto, ma luomo concreto, con le sue gioie e speranze, e con i suoi dolori e
angosce (cfr. GS 1), un uomo che ha bisogno di essere curato e evangelizzato nel suo rapporto con
Dio, con se stesso, con gli altri e con il creato.
2.1.1 Il metodo della Gaudium et spes
Tenendo conto delle differenze, sia negli approcci che negli obiettivi, dellintroduzione e della
prima parte, si pu dire che:
1. Lintroduzione una fotografia del mondo delluomo, fatta considerando la sua situazione;
2. La prima parte una fotografia della stessa realt, ma fatta teologicamente, cio avendo
come filtro interpretativo la Rivelazione, in maniera particolare, levento Cristo e i racconti
della creazione.
Con ci emerge anche il metodo di indagine utilizzato nella Gaudium et spes, cio quello induttivo,
per cui, partendo dallanalisi della realt fatta nellintroduzione, accosta luomo e il suo mondo con
il Vangelo, e a quelle esigenze emerse propone la propria risposta.
2.1.2 Il passaggio alla seconda parte e conclusione
6 Indice di questo anche il fatto che ogni capitolo, in cui si analizza una delle dimensioni relazionali delluomo,
termina con un riferimento esplicito a Cristo che incarna e vive quel tipo di relazione in prima persona.
Il passaggio alla seconda parte del documento offerto dallultimo capitolo della parte dottrinale,
per cui: dopo aver preso coscienza della realt delluomo, e dopo aver letto questa realt alla luce
della Rivelazione, la Chiesa, che ora ha di fronte a s la situazione del mondo, chiamata a mettere
in pratica il mandato ricevuto durante lAscensione, di abitare il mondo e annunciare alluomo la
Buona Notizia.
Perci, avendo gli strumenti per aiutare luomo, e potendo anche ricevere dalluomo laiuto per la
sua missione (cfr. GS 40-44), pu dire qualcosa di significativo su alcuni problemi che si ritengono
pi urgenti.
Perch, per, quanto detto non resti solo analisi teorica e astratta, la conclusione della Gaudium et
spes si configura come un mandato alla Chiesa, e alle Chiese particolari, per portare avanti la
missione ricevuta.
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relazioni7. Da qui scaturiscono tutta una serie di conseguenze espresse in seguito nella costituzione
pastorale, atte a fare in modo che questo precetto si concretizzi in atteggiamenti reali ed efficaci,
tutti idonei alla salvaguardia, per amore, della dignit dellaltro. In questo modo, limmagine di
uomo sociale che il concilio ha in mente quello dellessere-per-gli-altri, cio di un uomo capace di
mettere al centro di se stesso lattenzione per laltro pi che solo il proprio interesse
individualistico.
Se questo primo aspetto in qualche modo lespressione di una sorta di superiorit dellaltro nei
confronti di se stessi, letto alla luce del singolo nei confronti del suo simile, laltro elemento che
emerge, da intendersi dal versante della societ verso il singolo, mette in risalto la priorit del
singolo sul gruppo/societ.
Lidea guida che sempre il sabato fatto per luomo, e mai viceversa (cfr. Mt 2,27). In
questottica, la societ questistituzione che si crea con il concorso di tutti, in maniera tale che tutti
siano responsabili e partecipi del gruppo a cui appartengono e, al tempo stesso, siano sostenuti dal
gruppo per il loro bene e il loro progresso personali. Ci si comprende, oltre perch come idea viene
espressa in maniera chiara e palese, anche dalla definizione di bene comune data in questo capitolo
dalla Gaudium et spes: l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai
gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione pi pienamente e pi
speditamente (GS 26).
Non c necessit di scegliere tra singolo e gruppo, perch in forza della dimensione sociale della
persona, una crescita dellindividuo si ha solo grazie alla societ in cui inserito e in cui esprime la
sua dimensione relazione con i suoi pari, e la crescita della societ permessa e sostenuta proprio
per il servizio della salvaguardia della persona. Si pu notare qui una critica, seppur velata, a quelle
societ che, da un estremo allaltro, sacrificano il benessere del singolo sullaltare del gruppo o
della nazione, oppure quelle che incentivano lindividualismo e larrivismo personale a scapito del
bene comune.
Anche in questo caso, uno sguardo alla Rivelazione e alla vita di Cristo pongono di fronte a tutto il
vero modello che capace di ispirare quelle scelte che dovrebbero saper dare il giusto peso alla
persona e alla societ. In particolare emergono:
1. La volont del Padre di non salvare solo individualmente i singoli uomini, ma di costituirli
come un gruppo, ordinato, che ha in Cristo il capo;
2. La santificazione di queste relazioni interpersonali fatta da Cristo, quando ha scelto di
vivere, come uomo perfetto, la rete di relazioni che la sua nascita, e poi le sue scelte di vita,
gli ha intessuto.
3.4 Terzo capitolo: lattivit delluomo nelluniverso
Il concilio, che si pone di fronte al mondo con quellatteggiamento di chi vuole comprendere la
propria controparte nel dialogo e nella collaborazione, prende atto che laumento della tecnica e i
progressi della scienza hanno dato allumanit intera, e ai singoli uomini, delle potenzialit e delle
capacit nuove, capaci di interagire in maniera profonda con il mondo e lintero universo.
Al tempo stesso, si riconosce che la Chiesa non sempre ha gli strumenti e le capacit per dare una
risposta certa e chiara e tutte le questioni che la tecnica e il progresso suscitano. Per non si tira
7 Gi in Lumen gentium il concilio ha riconosciuto al precetto dellamore verso il prossimo lo status di vera e propria
norma di regolamentazione dei rapporti tra cristiani: Questo popolo messianico ha per capo Cristo dato a morte per i
nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione (Rm 4,25), e che ora, dopo essersi acquistato un nome che al
di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Ha per condizione la dignit e la libert dei figli di Dio, nel cuore
dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha
amati (cfr. Gv 13,34) (LG 9). Il passaggio che si effettua in Gaudium et spes quello di estendere lo stesso precetto
alle relazioni che intercorrono tra tutti gli uomini, e non solo allinterno della comunit ecclesiale.
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indietro nel mettere a disposizione quel depositum fidei che, se non la risposta puntuale alla
questione, per linsieme delle linee generali per aiutare a orientare la riflessione e il progresso.
Due sono le linee guida che emergono allinizio del capitolo terzo:
1. Lattivit umana parte integrante della vita delluomo, ed iscritta nel DNA costitutivo
della Creazione (cfr. Gn 2);
2. Vale sempre il principio secondo cui il fine ultimo il bene delluomo.
Avendo questi due punti di riferimento, ritiene il concilio, lattivit umana pu essere ben
indirizzata, e produrre quegli effetti per la quale il Creatore lha pensata (cfr. GS 34):
1. Sottomettere a s la terra con tutto quanto essa contiene;
2. Governare il mondo nella giustizia e nella santit;
3. Riferire a Dio il proprio essere e l'universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le
cose, in modo che, nella subordinazione di tutta la realt all'uomo, sia glorificato il nome di
Dio su tutta la terra.
Un altro tema che emerge dal capitolo sullattivit umana nelluniverso quello che riguarda
lautonomia delle realt terrene. Autonomia dalla religione, intende il concilio.
E qui divide tra unautonomia legittima da una illegittima:
1. La prima quel tipo di autonomia per cui la tecnica e la scienza avanzano indagando le
leggi naturali che regolano la vita delluniverso. Qui non c, o non dovrebbe esserci,
ingerenza da parte delle religioni, in quanto lindagine volta a comprendere come
luniverso vive.
2. La seconda invece quel tipo di autonomia ateistica, secondo cui le realt terrene non
hanno rapporti e non dipendono da Dio. In qualche modo quel tipo di autonomia che non
vuole riconoscere, aprioristicamente, al Creatore lorigine delluniverso.
Interessante come, anche prima degli anni 70-90, la Chiesa ha qui riconosciuto, anche se non in
maniera palese, una certa responsabilit su uningerenza eccessiva, e intellettualmente scorretta, su
cose e ambiti di tipo scientifico, mettendo anche laspetto religioso e i credenti in difficolt, rispetto
alle acquisizioni scientifiche sulluniverso8.
Come per ogni finale di capitolo, anche il terzo fa riferimento allesempio di Cristo, come uomo
perfetto e nuovo, rileggendo in Lui anche lattivit umana nelluniverso. Ricompare in questo caso
il tema guida della legge dellamore, come regola dellattivit delluomo.
Accanto a questo, per, appare anche il tema, non meno importante, del valore di tutti i tipi di
attivit umane: non camminare sulla strada della carit solamente nelle grandi cose, bens e
soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita (GS 38). Lidea semplice, ma fondamentale: il
progresso umano e lesercizio della carit non si conseguono solo attraverso le conquiste e le nuove
scoperte della scienza, ma anche, e soprattutto, attraverso le attivit ordinarie e comuni della vita di
tutti i giorni (casa, lavoro, scuola, relazioni quotidiane, ecc.). Ci significa il superamento di quella
dicotomia di vita, per cui, laspetto della fede e della vita morale rischiano di essere messi fuori, o
addirittura in contrapposizione, dalle attivit giornaliere e recuperate solo nellesercizio della vita
religiosa.
8 Il passo in questione questo: A questo proposito ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che
talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima
autonomia della scienza, suscitando contese e controversie, essi trascinarono molti spiriti fino al punto da ritenere che
scienza e fede si oppongano tra loro (GS 36). In nota a questo passo, nella costituzione pastorale, si fa riferimento
allopera di Pio PASCHINI, Vita e opere di Galileo Galilei, Pontificia Accademia delle Scienze, Citt del Vaticano 1964.
chiaro quindi che la mens del concilio aveva in mente proprio la vicenda dello scienziato pisano, mentre scriveva
sullingerenza della religione nelle realt terrene. Questa prima presa di posizione sfocer poi nel 1979, quando
Giovanni Paolo II chieder alla Pontificia Accademia delle Scienze di riesaminare il caso Galilei, esame concluso nel
1992 con la riabilitazione dello scienziato, e il riconoscimento degli errori commessi da parte di tutti (cfr. GIOVANNI
PAOLO II, Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle
Scienze, 31 ottobre 1992).
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Il riferimento allattivit del Verbo incarnato apre, inoltre, unaltra prospettiva, sviluppata proprio al
termine del capitolo III, che quello della tensione verso il futuro: Ignoriamo il tempo in cui
avranno fine la terra e l'umanit e non sappiamo in che modo sar trasformato l'universo. Passa
certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo per dalla Rivelazione che
Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicit sazier
sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini (GS 39). In questo
universo nuovo, le attivit umane svolte sulla terra, verranno recuperate e purificate, per cui la
tensione verso il futuro, non lannullamento delle attivit da svolgere nel presente, ma, al
contrario, lo sprono ad un impegno pressante per estendere gi da ora, il regno di Cristo su questa
terra, aspettandone la manifestazione piena e definitiva.
3.5 Quarto capitolo: la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo
Il quarto capitolo non dovrebbe essere considerato come lultimo nella lista, affiancabile ai primi
tre, ma quello che fa sintesi del discorso fatto in precedenza: il capitolo nel quale, dopo aver
analizzato e valutato luomo nella sua singolarit, nella sua comunit e nella sua attivit, si
preoccupa di mostrare come la Chiesa possa essere significativa per lui e per la sua vita personale,
sociale e fattiva.
Lidea guida che la Chiesa ha una dimensione spirituale e divina che le permette di trascendere le
realt create per elevarle/trasfigurarle nel mondo divino. In altre parole, la Chiesa ha il compito di
accompagnare luomo e il suo mondo verso Dio, fargli alzare lo sguardo dalla terra al cielo. Pu
farlo, non semplicemente proponendo messaggi e valori spirituali, ma, pi fondamentalmente,
rivelando e sottolineando che i valori e la vita umani sono capaci di Dio. questo il senso dei
numeri che si preoccupano di sottolineare laiuto che la Chiesa pu dare ai singoli e alla comunit
umana.
Al tempo stesso la Chiesa e qui sta una delle vere novit pu ricevere dal mondo laiuto per
svolgere la sua missione.
Guardando alluomo, la Chiesa ha di fronte un essere che, chiamato alla relazione con Dio, ha
connaturale questa tensione, anche se delle volte inespressa. Laiuto che la comunit ecclesiale
propone quello di mostrare luomo perfetto, Cristo, perch i singoli possano conformarsi a Lui,
nella loro vita e nei loro valori.
In riferimento alla societ umana, la Chiesa riconosce e rivela che la tensione verso lunit sociale
che a livello umano si stabilisce nellaumento delle relazioni tra persone e popoli anche grazie ad
istituzioni sociali e politiche dovuta, anchessa, dalla stessa natura umana, che chiamata a
formare ununione con Dio e in essa. E la Chiesa stessa ha ricevuto questo compito, in quanto in
Cristo come un sacramento, cio il segno e lo strumento dellintima unione con Dio e dellunit del
genere umano (LG 1). Per cui, qui, laiuto che la Chiesa propone alla societ umana chiaro:
quello di sollecitare e sostenere quegli sforzi e quelle istituzioni che si pongono al servizio di
questunit, nel rispetto della dignit delluomo e della Chiesa stessa.
Compare in questo paragrafo un ulteriore tema, che per fa da sfondo a tutto il capitolo, che
quello della promozione di una fede e di una carit fattive, in linea con il principio dellincarnazione
e dellinsegnamento contenuto nella lettera di Giacomo, riassumibile nella frase: la fede senza le
opere morta (Gc 2,26). In effetti proprio in forza di questidea che la Chiesa pu dirsi
significativa per luomo e il mondo, perch la sua fede, la sua speranza e la sua carit, pur
provenendo e spingendo verso il mondo di Dio, cio verso la citt celeste (cfr. GS 40), si esprimono
e si concretizzano, per essere efficaci, nel mondo delluomo, nella citt terrestre (cfr. GS 40).
Nellaffrontare la tematica dellaiuto della Chiesa alle attivit umane compare, questa volta
esplicitamente, una questione gi sottolineata in precedenza e che permea tutta la prima parte del
paragrafo: il superamento della dicotomia tra vita privata/civile da una parte e convinzioni religiose
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dallaltra. Compito dei laici incarnare il messaggio evangelico nella vita quotidiana; compito del
sacerdozio ministeriale quello di annunciare il Vangelo a tutte le genti.
Terminata lesposizione degli aiuti che la Chiesa pu dare alluomo, alla societ e alle attivit
umane, si sviluppa il tema degli aiuti che la Chiesa riceve dagli uomini. La prima cosa che si
sottolinea che dal mondo la Chiesa riceve gli strumenti, culturali e linguistici in primis, per
annunciare il Vangelo in maniera tale che sia intellegibile da parte di coloro a cui viene annunciato.
In secondo luogo compare linsieme di quegli aiuti che la Chiesa riceve ogniqualvolta i singoli o le
istituzioni fanno progredire, con le loro azioni, quegli ambiti di vita nei quali la Chiesa stessa pu
intervenire con il suo stesso aiuto. Tra tutti questi si mette al primo posto la famiglia, tema caro e
pressante per la comunit ecclesiale, tant che se ne parler subito dopo allinizio della seconda
parte del documento. Da non trascurare, poi, gli aiuti che la Chiesa riceve, paradossalmente, da
coloro che le si oppongono.
A chiusura del capitolo, nonch della prima parte, compare la trattazione su Cristo, come alfa e
omega:
La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga il regno di
Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanit. Tutto ci che di bene il popolo di Dio pu offrire all'umana famiglia,
nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa l'universale sacramento della
salvezza che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo. Infatti il Verbo di Dio, per mezzo
del quale tutto stato creato, si fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la
ricapitolazione universale. Il Signore il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della
civilt, il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli colui che il Padre
ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivificati e
radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde
in pieno al disegno del suo amore: Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra (Ef
1,10). Dice il Signore stesso: Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le
opere sue. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e il fine (Ap 22,12-13) (GS 45).
che alimenta e struttura gli stessi insegnamenti sociali della Chiesa. In altre parole, la Rivelazione,
anche se non emerge chiaramente e in pi parti, lambiente e lorizzonte di riferimento di tutta
la seconda parte.
4.2 Primo capitolo: dignit del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione
Parlando di matrimonio e famiglia, la prima cosa che il concilio ha fatto, anche se sinteticamente,
stata quella di prendere, e far prendere, coscienza che esistono, nel mondo, luci e ombre. Ci sono
situazioni e scelte che vanno nella direzione di una salvaguardia della vita familiare, e ci sono anche
situazioni che, invece, pongono ostacoli a questultima.
Questi ostacoli vengono sia dalla societ (a causa di scelte politiche, ma anche da situazioni socioeconomiche particolari e difficili), che dai singoli uomini, i quali, guidati pi dallegoismo,
dalledonismo e da pratiche di fertilit illecite, pongono se stessi al primo posto, rispetto al bene
della famiglia che, come tale, chiederebbe ai vari componenti atteggiamenti di altruismo e
accoglienza.
In altre parole, un istituto come quello della famiglia, che chiede la convivenza di pi persone
insieme, ha diritto di esistere solo se i vari componenti sanno mettere gli altri come fine della
propria vita e non come mezzi per raggiungere fini solo personalistici.
Mostrate le difficolt e i problemi che la famiglia pu affrontare nella sua vita, il concilio si
sofferma a descrivere le peculiarit positive del matrimonio e della famiglia. Per prima cosa si
definisce il matrimonio come lintima comunit di vita e damore coniugale, fondata dal Creatore
e strutturata con leggi proprie (GS 48). La definizione serve, specie nella sua seconda parte, per
salvaguardare listituto matrimoniale da ingerenze esterne. In effetti, definendo il fondamento del
matrimonio nel Creatore, si rimette lesistenza di questo legame direttamente nella volont di Dio,
la quale , tra le altre cose, eterna e immutabile. Inoltre, riconoscendo al matrimonio delle leggi ad
esso proprie che lo strutturano, si afferma anche la non possibilit di modificarne la struttura e le
relazioni in maniera arbitraria. In altre parole, il matrimonio deve essere accolto per come , e non
pu essere pensato come un qualcosa di contingente e legato solo a questioni sociali e di
legislazioni umane e passeggere.
Si continua lesposizione ricordando che la famiglia si costituisce con latto di volont dei due sposi
e, nel momento della sua istituzione porta con s valori e fini (unit, unicit e indissolubilit per
quanto riguarda i valori e mutuo aiuto tra i coniugi e procreazione ed educazione dei figli per
quanto riguarda i fini).
Proseguendo il discorso si vanno a sottolineare i ruoli che competono ai membri della famiglia.
Laiuto reciproco che i due sposi si devono scambiare, il compito dellapertura alla vita e
delleducazione, specie religiosa, dei figli, e il contributo che questultimi sono chiamati a dare, nel
rispetto delle loro condizioni di et, alla famiglia stessa. Ci che emerge esattamente il fatto che la
priorit dei membri di una famiglia quella del bene della famiglia stessa. Sono la sua salvaguardia
e la sua cura gli obiettivi principali di tutti i membri.
Emerge, anche se in maniera veloce, il tema della famiglia come cellula della Chiesa. In altre
parole, il dovere di ogni famiglia di condividere, con altre famiglie, le proprie ricchezze, specie
spirituali, chiama ogni nucleo familiare allapertura verso gli altri. Si pu riconoscere uno schema:
come lapertura e laltruismo dei singoli pone le loro attenzioni particolari al bene della famiglia,
essa, non chiudendosi in se stessa, vive laltruismo e lapertura verso le altre famiglie.
I due numeri successivi (cfr. GS 50-51) si concentrano sullamore dei coniugi che, espresso anche
corporalmente, porta in esso il dono della vita nuova nei figli. Emergono qui i temi dellapertura
alla vita e della regolamentazione lecita delle nascite, in ottemperanza alle reali condizioni e
possibilit del sostegno, umano, religioso ed economico, dei figli.
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Il resto del capitolo prova a proporre delle piste che rispondono a queste antinomie.
4.4 Terzo capitolo: la vita economico-sociale
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Il capitolo si apre con unasserzione di fondo che guider lo sviluppo di tutto il discorso e che deve
ritenersi come un assioma, che non ha bisogno di dimostrazione ma che deve ritenersi vero per se
stesso: luomo [] l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale (GS 63).
Luomo lautore della vita economico-sociale. Questaffermazione porta con s delle
conseguenze che scardinano ogni volta delle false giustificazioni di tipo economico. In effetti, oggi
come allora, si parla di mercati e di vita economica come se fosse un mondo con leggi proprie e
guidato da dinamiche che si dovrebbero semplicemente subire e seguire. In realt, smaschera il
concilio, luomo lautore del mercato. lui che, in qualche modo, guida e sceglie come deve
andare la vita economica di una nazione e di un popolo10.
Luomo il centro della vita economico-sociale. Come centro ne il punto focale, lasse intorno a
cui tutto dovrebbe girare e il punto irradiante della vita economica. Affermare questo significa dire
che dalluomo che dovrebbe partire liniziativa economica e quegli indirizzi da dare alla vita dei
mercati.
Inoltre egli ne il fine. Non , cio, il mezzo attraverso cui il mercato vive e si sviluppa, ma, al
contrario, questultimo il vero e unico mezzo attraverso cui luomo trova un altro tipo di
espressione e di pista di sviluppo e compimento. Tenere per vero ci significa affermare che il
mercato deve essere relativo alluomo. Significa, per esempio, che chi opera nel settore finanziario
debba avere degli strumenti non solo tecnici, ma anche etici, per valutare in che modo influenzare le
scelte e landamento dei mercati, per far s che sia luomo ad avere giovamento dalleconomia e non
questultima dalluomo.
Tenere per vera laffermazione iniziale del capitolo sulla vita economico-sociale significa dare agli
operatori finanziari la massima e suprema responsabilit dellandamento e della qualit di vita di
intere popolazioni e, in generale, del mondo intero.
Se questa la verit in teoria, in pratica la realt, riconosce il concilio, si distanzia dalla prima, delle
volte in maniera anche esagerata. Per questo motivo il resto del capitolo si distingue in due sezioni:
nella prima si prospetta uno sviluppo economico che possa riuscire ad avvicinare il pi possibile la
realt alla verit; nella seconda si danno quattro principi che possano guidare questo sviluppo nel
raggiungimento del suo obiettivo.
Riguardo alla prima sezione si esplicitano le considerazioni che allinizio del capitolo si intuiscono
a partire dallassioma iniziale.
Invece, per quanto riguarda i principi guida di questo sviluppo, e quindi in riferimento alla seconda
sezione, questi sono:
1. Lavoro, condizione di lavoro e tempo libero;
2. Partecipazione nellimpresa e nellindirizzo economico generale; conflitti di lavoro;
3. I beni della terra e loro destinazione a tutti gli uomini;
4. Investimenti e moneta.
Il primo dei quattro principi porta con s una serie di affermazioni che si possono riassumere in tre
gruppi:
1. Il lavoro umano ha un valore superiore a qualunque altro elemento della vita economicosociale. Ci comporta, tra le altre cose, che, nello scegliere le strategie aziendali, il modo
con cui queste incideranno sul lavoro umano dovr avere un peso maggiore nelle decisioni;
2. Il lavoro umano il modo con cui gli uomini partecipano allattivit creatrice e sostentatrice
di Dio nelluniverso e, di pi, come Cristo ha lavorato come artigiano a Nazareth, e questo
ha in qualche modo contribuito anche alla sua formazione durante la sua vita nascosta, cos
luomo, lavorando, continua lopera di Cristo, in maniera tale che il suo sforzo sia di
10 Le ultime crisi economiche, infatti, hanno confermato questa verit. Non il mercato che determina il suo
andamento, ma la scelta di uno o poche persone che determina la buona o cattiva sorte degli andamenti economici.
Possiamo portare come esempio la crisi dello spread tra Italia o Germania, oppure il crollo dei mercati immobiliari e dei
prestiti americani, ecc.
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servizio a se stesso, alla sua famiglia, e al resto degli uomini (GS 72). Il che viene espresso
quasi come un dogma di fede: sappiamo per fede che l'uomo, offrendo a Dio il proprio
lavoro, si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una
elevatissima dignit, lavorando con le proprie mani a Nazareth (GS 67);
3. Il lavoro non deve essere la totalit della vita delluomo, ma il mezzo per realizzarlo e per
dargli quel sostentamento necessario per coltivare e vivere anche il tempo libero come
ulteriore mezzo di completamento.
Il secondo dei quattro principi mette in risalto come i lavoratori, specie in unazienda, non sono
semplicemente una parte di propriet dellazienda stessa, ma elementi che devono avere una parte
attiva anche alla vita decisionale dellazienda stessa, come membra di quel corpo particolare.
Il terzo principio invece strutturato in base allidea delluniversale destinazione dei beni, i quali
sono pensati dal Creatore come a servizio di tutti gli uomini e non come esclusiva propriet di
pochi. Ci non contrario allaltro diritto fondamentale che quello alla propriet privata, ma, anzi,
ne la garanzia. In effetti, sottolineare luniversale destinazione dei beni, significa affermare che
tutti hanno diritto a partecipare e a godere di quanto luniverso offre, facendo s che il diritto alla
propriet privata sia anchesso un diritto di tutti, visto che tutti possono e devono partecipare ai beni
della terra.
Con il quarto principio si sottolinea, invece, lobbligo morale, da parte di chi deve, a fare in modo
che i beni di sua propriet siano (ri)impiegati e, quindi, investiti per il bene di tutti.
4.5 Quarto capitolo: la vita della comunit politica
Gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che formano la comunit civile sono consapevoli di non
essere in grado, da soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle esigenze della
natura umana e avvertono la necessit di una comunit pi ampia, nella quale tutti rechino
quotidianamente il contributo delle proprie capacit, allo scopo di raggiungere sempre meglio il
bene comune (GS 74). Questa comunit pi ampia a cui fa riferimento il concilio la dimensione
politica dellunit del popolo che si riconosce in una nazione.
Questa comunit , di fatto, tutta la nazione, che ha senso di esistere in quanto consegue e sostiene
il bene comune11.
Non potendo, tutti i componenti dello stesso popolo, organizzare la vita politica della nazione, per la
stessa indole umana, necessaria unautorit superiore che, per la sua forza morale, aiuti e serva al
conseguimento del bene comune. il motivo dellesistenza dellautorit pubblica, o, con altre
parole, dello Stato e delle sue istituzioni.
Afferma il concilio: la comunit politica e l'autorit pubblica hanno il loro fondamento nella natura
umana e perci appartengono all'ordine fissato da Dio, anche se la determinazione dei regimi
politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini (GS 74). In
altre parole, lo Stato con le sue istituzioni (qualunque esse siano, purch conseguano lunico fine
del bene comune), sono di diritto naturale.
Il capitolo si chiude poi sottolineando due temi particolari: da una parte le relazioni che intercorrono
tra lo Stato e lintera comunit politica e il rapporto tra questultima e la Chiesa.
Rispetto al primo dei due temi, il concilio ricorda come ogni cittadino, e ogni gruppo di uomini, ha
il diritto e il dovere di intervenire nella vita pubblica e al sostentamento dello Stato (le tasse). E,
daltro canto, lautorit pubblica deve avere come unico scopo di esistenza la difesa e la promozione
del bene comune: il fine sempre la dignit delluomo.
11 Gi definito in GS 26 come: l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto
ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione pi pienamente e pi speditamente e qui definito, similmente,
come: linsieme di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle
associazioni il conseguimento pi pieno della loro perfezione (GS 74).
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Rispetto allultimo paragrafo, invece, la Chiesa riafferma la sua autorit e la sua indipendenza
morale, che ne sancisce anche il diritto, e il dovere, di esprimere quei pareri e quei giudizi morali in
ordine alla vita politica dei popoli, affinch possa sempre riaffermare i diritti e i doveri, tanto dei
popoli, quanto delle istituzioni.
4.6 Quinto capitolo: la promozione della pace e la comunit delle nazioni
Escludendo i numeri che compongono il capitolo conclusivo della Gaudium et spes, il capitolo sulla
pace e la comunit delle nazioni lultimo, in elenco, di quelli che compongono la seconda parte
del documento conciliare. Si compone anchesso di due sezioni, precedute da due numeri che
fungono da introduzione alla tematica in esame, specialmente sulla natura della pace e il suo senso
nella vita del mondo e degli uomini.
La pace lopera con la quale il genere umano pu raggiungere il compimento della sua unit su
questa terra. E ci possibile solo con lo stabilirsi, tra gli uomini, di situazioni di giustizia e di
relazioni fondate sullamore verso il prossimo, che sono una condizione migliore rispetto alla sola
assenza della guerra (cfr. GS 77).
Infatti, fa notare il concilio, non pu esserci vera unit se gli uomini si accontentano di vivere
solo in situazioni di assenza di guerra, costituite o perch c uno stabile equilibrio delle forze in
campo per cui, come in unoperazione tra vettori, due forze uguali e contrarie si equivalgono e
producono una situazione di equilibrio. Questa condizione , di per s, molto instabile, perch
sufficiente una minima variazione delle forze in campo per fare in modo che la situazione si
destabilizzi oppure perch un regime dispotico e di tirannia obbliga e schiaccia il tutto sotto
ununica volont.
consapevolezza del concilio, inoltre, che guerra e pace sono condizioni che, pur esprimendosi
nella dimensione umana e terrena, hanno le loro origini su un piano trascendente. Infatti, la pace
frutto del sacrificio di Cristo cos come la guerra causata dalla condizione di peccato delluomo.
Per questo necessario, afferma il concilio, fare in modo che gli uomini siano educati al dominio
delle passioni e, i cristiani in particolare, non si stanchino mai di cooperare per la pace
implorandola, prima di tutto ma non solo, come dono di Dio (cfr. GS 78).
La sezione prima di questo capitolo verte sul tema della necessit di evitare la guerra. da
sottolineare come gi il titolo della sezione in esame mette in risalto il profondo realismo con il
quale il concilio affronta la questione. Ci si poteva aspettare un titolo che mettesse di pi in risalto
la necessit della costruzione della pace, ma i Padri conciliari mostrano di comprendere come gi
lassenza della guerra, pur se non come condizione stabile per quanto si detto nei numeri
introduttivi del capitolo, sarebbe un grosso passo avanti per lumanit.
Preso atto della situazione, comunque, il testo si preoccupa di mostrare come anche la guerra,
quando essa diventa inevitabilmente lunico modo per la difesa dei diritti degli uomini oppressi,
deve condursi in maniera tale da salvaguardare il pi possibile la dignit umana.
Una preoccupazione del concilio, di fronte alle situazioni di guerre inevitabili, la possibilit
dellutilizzo di armi talmente potenti le cui conseguenze superano i limiti della legittima difesa,
arrecando danni irreparabili agli uomini presenti e alle generazioni future. Per questo motivo il
concilio fa una dichiarazione esplicita che potrebbe assimilarsi ad una nuova definizione dogmatica:
ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere citt o di vaste regioni e
dei loro abitanti, delitto contro Dio e contro la stessa umanit e va condannato con fermezza e
senza esitazione (GS 80).
Unaltra chiara e forte presa di posizione del concilio si manifesta di fronte al fenomeno della corsa
agli armamenti. In forza del principio gi sopra esposto, per cui lequilibrio delle forze belliche non
pu assicurare una vera e propria pace, si addita lammassamento di armi da parte delle nazioni
come una piaga dellumanit perch, invece di procurare un clima sereno e di pace, crea lansia per
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la rottura degli equilibri internazionali e alimenta quella povert che potrebbe invece essere
sconfitta investendo in maniera diversa i capitali utilizzati per la costruzione di armi sempre nuove e
pi potenti (GS 81).
Nella conclusione della prima sezione riemerge quel realismo che ne ha caratterizzato linizio,
misto per alla speranza sostenuta dalla fede. Questo realismo la presa di coscienza che lunico
modo di costituire una vera e duratura pace dipende dalla volont di tutte le nazioni umane che
devono fare, insieme, una scelta volta al disarmo. La speranza, invece, viene dal messaggio
evangelico per cui ora il tempo favorevole, i giorni della salvezza (cfr. Mt 7,21, cit. in GS 82). Per
cui, grazie ai mezzi di comunicazione e allaccorciamento delle distanze tra gli uomini,
effettivamente ci sono le condizioni per dialoghi pi proficui.
Tra il realismo e la certezza si pone la necessit di una educazione alla pace, per cui, linvestimento
educativo sulle nuove generazioni e sullopinione pubblica potranno portare, in futuro, sentimenti
nuovi, ispiratori e costruttori di pace.
Terminata la prima sezione sulla necessit di evitare la guerra, il documento si concentra sulla
costruzione della comunit internazionale come il modo concreto e pratico di estinguere le tensioni
e le diseguaglianze sociali ed economiche, cause, appunto, di guerre e violenze.
In estrema sintesi questa sezione ha come fondamento, anchessa, la speranza che le popolazioni, e
in special modo i capi delle nazioni, superino la chiusura degli interessi particolari per il bene
comune di tutto il mondo.
4.7 La conclusione
La conclusione del documento si apre, in maniera forte, assicurando che quanto esposto non
semplice frutto di aspirazioni di un gruppo di persone che vorrebbero proporre un loro modo di
vedere la vita della societ e degli uomini, ma che ci che stato detto stato preso dal deposito
dottrinale della Chiesa (cfr. GS 91). Ha, cio, un certo valore stringente, almeno per i cristiani.
Per questo motivo, si d il compito ai diversi battezzati, sotto la guida degli stessi vescovi e dei loro
successori, affinch le cose esposte siano recepite, adattate alle situazioni e messe in pratica, per
quanto possibile.
Al tempo stesso, si auspica che il documento non sia trattato come un monolite, ma sia la base per
degli adattamenti successivi che dipendono dal mutare delle situazioni del mondo e della storia.
Adattamenti che potranno e dovranno essere portati avanti grazie alla disposizione al dialogo da
parte della Chiesa con tutti. In effetti, riconosce il concilio, solo nel dialogo vero e fraterno le
differenze si possono incontrare e possono stabilire quei passi e quelle decisioni in vista del
raggiungimento della vera pace (cfr. GS 92).
Ultima effettiva conclusione della Gaudium et spes unoperazione particolare con cui il concilio
riafferma nella Chiesa e alla Chiesa la sua priorit: servire con maggiore generosit ed efficacia gli
uomini del mondo contemporaneo (GS 93). In altre parole, il concilio chiede alla Chiesa di avere
come attenzione principale quella del bene delluomo, qualunque esso sia. Non unattenzione
settorializzata ai soli cristiani, n tantomeno una priorit di intervento per la Chiesa e nella Chiesa
stessa (come pu essere quellattenzione di chi si preoccupa pi per le cose della Chiesa, come
istituzioni, tradizioni [con la t minuscola], ecc.), ma lattenzione deve essere posta sullaltro. Il
concilio chiede quindi alla Chiesa di essere allocentrata, cio avere come proprio centro di gravit
per la propria vita e le proprie scelte laltro. Ci significa che tutto ci che la Chiesa e fa deve
essere al solo servizio dellaltro. Ci implica, quindi, che qualunque attenzione la Chiesa pone per
se stessa e per le sue cose (istituzioni, tradizioni, prassi pastorali, liturgie, ecc.) tale che si rifletti
sul bene dellaltro.
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in maniera definitiva gli uomini tra loro, perdendo ogni possibilit di relazioni a livello
globale.
Questa prima analisi della situazione non deve portare con s, evidentemente, dei giudizi morali, ma
semplicemente aiutare a recepire il dato, trattandolo nel modo pi oggettivo possibile, in maniera
tale da offrire una base a delle proposte teologico-pastorali adeguate a fare in modo che, tra tutte le
strade, lumanit scelga quelle che vanno nella direzione dellunit e delluniversalizzazione
dellumanit.
5.2 Lo sguardo filosofico-teologico
Se il primo tipo di sguardo lo si pu rintracciare nei primi numeri della costituzione pastorale del
concilio, lo sguardo filosofico-teologico guida la struttura e contenuti dellintero primo capitolo
della Gaudium et spes e ci che emerge cos sintetizzabile:
1. luomo persona umana (cfr. GS parte I, cap. I);
2. luomo sociale (cfr. GS parte I, cap. II);
3. luomo storico (cfr. GS parte I, cap. III).
A guardare in maniera superficiale la prima delle tre caratteristiche delluomo sembrerebbe una
tautologia inutile da affermare: luomo una persona umana. Ci perch si identifica lessere
umano con la persona umana, e non pu essere altrimenti. Ma esplicitare questo ultimo fatto
permette di fare delle considerazioni che, altrimenti, rischierebbero di essere solo arbitrarie e,
comunque, difficilmente sintetizzabili in poche espressioni.
5.2.1 Luomo persona umana
Sia in filosofia che in teologia, il termine persona, non mai stata una questione pacifica e
risolvibile con poche battute. Non essendo questo il luogo e il momento idoneo per addentrarci nella
questione, si prendano per assodati due fatti:
1. il termine persona dice lidentit dellindividuo a cui ci si riferisce (per esempio in
cristologia, il termine persona riferito a Ges di Nazareth, per identificare lunit delle
nature umana e divina, mentre in trinitaria identificano le tre persone divine, distinte tra loro
nellunica natura divina);
2. lasciato a se stesso il termine e resta ambiguo e ha bisogno di un aggettivo per definirsi.
Questo aggettivo, per luomo, il termine umano, che ha un valore e un significato
specifici, che la Gaudium et spes va a definire a partire dallepisodio della creazione
delluomo, cio nel momento in cui egli riceve le sue peculiarit umane (cfr. GS 12).
Per questi motivi, affermare che luomo una persona umana implica sostenere che, come tale, ha
dignit e valore in s, preso individualmente, e che questo valore si esprime (cfr. GS 12):
1. nelle sue capacit di essere superiore a tutto il resto del creato e responsabile di questo;
2. nel suo essere capace di conoscere e amare il suo Creatore;
3. nellessere a immagine di Dio.
Essere immagine di Dio per, insegna la Scrittura (cfr. Gn 1,27-28; 2,18-23), non tipico del
singolo essere umano, ma della coppia uomo-donna che, come tale, ha la capacit di porre delle
relazioni al suo interno e, al tempo stesso, continuare lopera creatrice di Dio con la generazione di
nuova vita umana. Entra, cio, gi qui il tema della socialit umana e della sua capacit relazionale.
Questultima, inoltre, emerge anche, ma questa volta in relazione a Dio, nella caratteristica, tutta
umana, di poter conoscere e amare il suo Creatore, sempre in forza del suo essere a immagine di
Dio, quindi riconoscendo in s le ombre di quelle caratteristiche divine che egli pu riconoscere, e
che poi sono confermate e sostenute dalla Rivelazione. Ci a riprova del fatto che i discorsi e le
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schematizzazioni che si fanno sono, principalmente, di ragione, cio semplificazioni utili ad una
comprensione di un tema di per s ampio e inesauribile.
Ci, inoltre, comporta anche unaltra riflessione. Tenendo anche conto che la capacit delluomo di
essere superiore e responsabile del resto del creato ne esprime la sua dimensione storica, la
peculiarit dellessere persona umana porta gi in s le altre due caratteristiche emerse attraverso lo
sguardo filosofico-teologico, e cio, appunto, lessere sociale e storico.
Per questo motivo, lessere persona umana, per luomo, non una semplice caratteristica accanto
alle altre, ma la vera e unica caratteristica specifica, la quale si esprime, poi, nella sua socialit e
nella sua storicit.
Essere immagine di Dio , quindi, ci che caratterizza luomo e il suo essere persona umana.
Assodato ci, per comprendere pienamente luomo, diventa necessario volgersi a chi limmagine
di Dio per eccellenza, cio Ges di Nazareth, il quale limmagine del Dio invisibile (cfr. Col
1,15). Ecco che, allora, lantropologia della Gaudium et spes , prima di tutto, antropologia
teologica e, di pi, antropologia cristologica e solo partendo da Cristo si pu comprendere, per
analogia, cosa veramente la persona umana (cfr. GS 22).
5.2.2 luomo sociale
La socialit, si visto, la peculiarit della persona umana, di intessere relazioni con Dio e con gli
altri. Queste non sono elementi accessori alluomo, ma ne costituiscono lessenza. Solo il rapporto
con il Creatore permette alluomo di rispondere alla sua vocazione, per cui il peccato originale, che
essenzialmente la volont delluomo di compiere la sua vita senza Dio e in opposizione a Lui (cfr.
Gen 3,5; Sal 81,6; Gv 10,34), ha come conseguenza la cacciata dallEden, cio dal luogo in cui
uomo e Dio vivevano insieme e in armonia. E, al tempo stesso, solo la relazione con laltro permette
al singolo di compiere la sua umanit (cfr. Gen 2,18-23).
Se la personalit umana trova il suo vero essere nelluomo-Dio Ges, la socialit umana, non di
meno, ha, anchessa, unorigine e una dipendenza trascendente, che dipende dalla stessa volont
divina che, appunto, creando luomo, lha pensato e voluto in relazione. Per questo motivo, il
Signore, pregando per luomo, ha chiesto al Padre che tutti fossimo uno a immagine, per giunta,
della stessa unit trinitaria, cio come Lui e il Padre sono uno (cfr. Gv 17,21-22).
Da qui si pu affermare che, essendo lunit insita nelluomo, essa agisce e spinge lumanit stessa
in maniera tale che il progresso significhi anche un aumento di relazionalit e di interconnessioni
umane. Per cui, i vincoli sociali, tecnici e culturali (cfr. LG 1) devono essere accolti come
espressione di questo cammino verso lunit, ma al tempo stesso, illuminati dalla Rivelazione che
ne mette in risalto i veri motivi teologici, aiutati e, dove serve, corretti, affinch servano al loro
scopo, evitando delle deviazioni o aberrazioni che, paradossalmente, distruggerebbero il vero senso
della socialit umana.
Questi errori possono individuarsi a due estremi:
1. lindividualismo (cfr. GS 30);
2. la massificazione (cfr. GS 26).
La prima delle due deviazioni rischia di conseguirsi ogni qual volta la socialit e le relazioni umane
vengono poste, in maniera erronea, al servizio dellegoismo dei singoli. La seconda, invece, quando
le persone umane sono sottomesse allesigenza del tutto.
I problemi, di fatto, sorgono perch bisogna saper far convivere la spinta allunit e la dignit e
superiorit della persona umana che, si visto, la vera e sola caratteristica delluomo, da cui la
socialit dipende. Dare peso solo alle individualit fa perdere di vista il fatto che la socialit
costitutiva degli stessi individui, e non pu essere solo un mezzo, pena il poter, paradossalmente,
servire veramente alla promozione dei singoli; dallaltra parte, puntare lattenzione solo sullaspetto
relazionale e unitario appiattisce le differenze tra i singoli e li considera sacrificabili sullaltare
dellunit.
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Per questo motivo, il Signore, nella sua preghiera del gioved santo, prega per lunit, indicando
anche come modello quello uni-trinitario (cfr. Gv 17,21-22), cio lunit di relazioni sussistenti le
persone divine che trovano le loro identit esattamente nella relazione con le altre, il che
costituisce anche il loro essere uno: non possono essere tre distinte, se non essendo uno.
5.2.3 Luomo storico
La storicit delluomo quella caratteristica della persona umana che esprime la corporeit e il
rapporto che egli ha con il mondo, sia quello suo prossimo che il creato intero, di cui rappresenta il
vertice e il sintetizzatore di fronte al Creatore. Anche questa caratteristica, come quelle
precedenti, trova la sua fonte ispirativa nei racconti della creazione, in particolare nel secondo, in
cui luomo viene creato con il compito di custodire, coltivare e sottomettere il creato (cfr. Gen 2,4b9.15). Da questa vocazione originale dipende il senso e lattivit delluomo nel mondo e le
conseguenze di queste per luomo stesso.
Affermare la storicit della persona umana significa, in altre parole, riconoscere che il modo che
luomo ha di rapportarsi al creato , anchesso, costitutivo del suo essere e non soltanto un elemento
accessorio. Non pu esserci vera persona umana se non attraverso il suo interagire con il mondo.
Ci implica che luomo chiamato a far s che il mondo, da lui lavorato e da lui trasformato, si
elevi e, per mezzo di lui, sia portato al Creatore. Solo cos luomo trova il suo compimento.
Uno degli errori pi comuni che luomo pu compiere, in questo caso, quello di ripetere ci che
gi successo con il peccato originale (cfr. Gen 3,5): pensare che lattivit umana e la sua storicit
dipendano solo dalluomo, il quale pu e deve decidere in totale autonomia dalla sua originale
vocazione. Per cui egli stesso si considera lautore del proprio compimento e del proprio progresso
(cfr. GS 10). In realt, uomo e Dio, mondo materiale e mondo spirituale, non sono in
contrapposizione tra loro: come luomo unit di anima e di corpo (cfr. GS 14), cos la sua attivit
insieme attivit sua e del Creatore, lo strumento che Dio d alle sue creature affinch la citt
terrena che loro desiderano costruire, anche sotto limpulso della loro vocazione allunione con Dio
e tra di loro, sia immagine della citt celeste alla quale devono tendere e aspirare, in cui regna la
giustizia (cfr. 2Cor 5,2; 2Pt 3,13).
In sintesi, parlare di uomo storicizzato significa riferirsi alla sua chiamata divina per raggiungere,
con la sua operosit, la giustizia e la pace che, pur non essendo perfette, sono anticipazione della
condizione definitiva della Gerusalemme celeste.
5.3 Lo sguardo teologico
Partendo dallanalisi sociologica e passando per una interpretazione filosofico-teologica, lanalisi
dellantropologia sottesa alla Gaudium et spes spinge ad entrare sempre pi in profondit, fino a
raggiungere un discorso pi esplicitamente teologico, per ritrovare, nella Rivelazione indagata
sistematicamente, quelle indicazioni per una conoscenza pi specifica delluomo.
Prima lanalisi socio-filosofica e poi quella filosofico-teologica hanno messo in risalto unumanit e
una storia dinamiche e in via di progressiva evoluzione in cui, sotto la guida della volont divina
attuata dallo Spirito di Cristo, presente negli uomini e nel creato, luomo occupa il ruolo di
interprete e arbitro materialmente principale, per cui la sua libert e la sua volont possono aiutare il
conseguimento di questa volont divina, come ostacolarlo.
Da ci emerge un uomo che ha il compito fondamentale di rapportarsi con Cristo, uomo nuovo e
perfetto, per avere il modello di vera libert e di vera volont, unite alla libert e alla volont del
Padre, nello Spirito.
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Per questo motivo lantropologia cristiana prima di tutto antropologia teologica, cristologica e
pneumatologica. In una parola, luomo , prima di tutto, uomo in relazione con Dio e, in maniera
specifica, in relazione con il Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito.
Volendo rendere graficamente questidea, luomo da considerarsi costituito da una dimensione
prima di tutto verticale, che lo spinge a tendere verso i cieli, e solo l trovare la sua vera dignit.
In seconda battuta, e in forza di questa dimensione verticale-ascendente, luomo si riconosce anche
capace di relazioni alla pari, con i propri simili, che riescono a completarlo nella sua vocazione di
creatura divina. Relazioni che, dettate dalla legge dellamore verso il prossimo, si alimentano e
trovano senso dalla sua relazione di amore con Dio (Cfr. Rm 13,9-10; 1Gv 4,20; cfr. anche GS 24).
In effetti, proprio la vita trinitaria, sperimentata dalluomo in forza del suo essere figlio nel Figlio,
che mostra alluomo la possibilit e la necessit di rapporti orizzontali, fondati sullamore che,
accogliendo le specificit di ognuno, creano quella intima comunione, capace di essere unit nella
distinzione della personalit.
Ecco che allora, alla dimensione verticale-ascendente, si aggiunge una dimensione orizzontale, che
esprime la relazionalit delluomo con gli altri uomini, sia a lui contemporanei, ma anche, grazie al
suo essere inserito in un processo storico di trasmissione ed evoluzione delle culture e delle
tradizioni, a lui precedenti e successori.
A queste due dimensioni, per, se ne aggiunge una terza, quella che possiamo definire verticalediscendente e che esprime il rapporto che luomo ha con il resto del creato e che chiamato ad
elevare, con la sua presenza e il suo lavoro, per essere anchesso inserito nel mondo di Dio (cfr. Rm
8,19-22).
Mettendo insieme tutte queste tre dimensioni al centro della vita delluomo appare, sullo sfondo e
dentro di esso, una croce, che dalla terra arriva al cielo e che estende i suoi bracci su tutto il mondo,
spaziale e temporale, cio presente, passato e futuro.
, insomma, il mistero della croce la vera sintesi e la vera antropologia cristiana della Gaudium et
spes. Disegnandola a partire dal centro delluomo, e prima di tutto dal centro delluomo perfetto,
Ges di Nazareth, si pu simboleggiare, graficamente, il tipo di uomo a cui la Gaudium et spes si
rivolge e che vuole costruire con il suo contributo, un uomo-relazione: in contatto con Dio, dal
quale riceve la vita e al quale deve tendere; in contatto con gli altri suoi simili, per condividere con
tutti lo stesso cammino ascendente verso Dio; in relazione con il resto del creato, del quale
rappresenta il vertice pi alto, nel suo essere comunit di persone, e che anchesso porta a Dio
insieme con lui.
Lidea della croce come simbologia dellantropologia non , per, unintuizione che si pu
riscontrare solo nella Gaudium et spes, ma, in realt, trova la sua origine nella riflessione patristica.
Diversi Padri, sia orientali che occidentali, hanno prodotto diverse riflessioni sul senso, il significato
e gli effetti della croce per luomo. Tra le diverse proposte, per quanto riguarda questo tema, si
possono sottolineare quelle di Gregorio di Nissa, Giovanni Damasceno e Ireneo di Lione 12. Queste
si richiamano a vicenda, perch, accostando le quattro parti della croce alle quattro dimensioni
dellamore di Cristo, espresse da san Paolo nella Lettera agli Efesini (cfr. Ef 3,17-19), danno a
ciascun braccio di essa il nome e la direzione di una delle quattro dimensioni paoline. Inoltre, il
punto di incontro dei quattro bracci della croce, per i Padri, assume cos il compito di sintetizzare e
portare ad unit il tutto.
12 GREGORIO DI NISSA, Oratio catechetica magna, 32: PG 45, 81-82; GIOVANNI DAMASCENO, Expositio fidei
orthodoxae, 4,11: PG 94, 1129-1130; IRENEO DI LIONE, Dimostrazione della predicazione apostolica, 31-34 in La
teologia dei Padri. Testi dei padri latini, greci, orientali scelti e ordinati per temi, vol. II. Grazia Cristo
Santificazione, pag. 149.
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