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VITA DI S.

IGNAZIO DI LOYOLA
FONDATORE DELLA COMPAGNIA DI GESDESCRITTA

DAL P. PIETRO RIBADENEIRA


Della medesima compagnia e tradotta dalla lingua spagnola nella italiana da GIOVANNI GIOLITO DE FERRARIROMA, CIVILT CATTOLICA 1863

___________________INDICEAl divoto lettore, Giuseppe Boero della


Compagnia di Ges. Ai carissimi fratelli in Cristo della Compagnia di Ges, Pietro Ribadeneira. LIBRO PRIMOCAPO I. Del nascimento e della vita di S. Ignazio prima che fosse da Dio chiamato alla conoscenza di lui. CAPO II. Come lo chiam Iddio dalla vanit del secolo al suo conoscimento. CAPO III. Del viaggio ch'egli fece dal suo paese alla Madonna di Monte Serrato. CAPO IV. Come si mut l'abito nel Monte Serrato. CAPO V. Della vita che fece in Manresa. CAPO VI. Come Nostro Signore lo prov e permise che fosse molestato da scrupoli. CAPO VII. Come passate le tentazioni, Iddio nostro Signore lo consol. CAPO VIII. Del libro degli Esercizi Spirituali, che in questo tempo egli compose. CAPO IX. Come Ignazio cadde in mia grave infermit. CAPO X. Del pellegrinaggio che fece in Gerusalemme CAPO XI. Come visit i luoghi santi di Gerusalemme. CAPO XII. Come egli se ne ritorn in Ispagna. CAPO XIII. Comincia a studiare fin dai primi principii. CAPO XIV. Come fu presa in Alcal e dipoi liberato. CAPO XV. Come fu preso di nuovo in Salamanca e liberato. CAPO XVI. Come se ne and a studiare in Parigi. LIBRO SECONDOCAPO I. Dei travaglio che pose negli studi e del frutto che fece in essi. CAPO II. Come per esercitarsi nelle opere di carit fu perseguitato. CAPO III. Come nel collegio di S. Barbara in Parigi lo vollero pubblicamente battere, e in che modo fu da nostro Signore liberato. CAPO IV. Dei compagni che in Parigi se gli accostarono. CAPO V. Come Ignazio si part di Parigi per Ispagna e di Spagna per Italia.CAPO VI. Come fu accusato in Venezia e dichiarata dipoi l'innocenza sua. CAPO VII. Come i compagni d'Ignazio, partendosi di Parigi vennero a cercarlo in Italia. CAPO VIII. Come si ripartirono per le Terre del dominio Veneziano a travagliare ed esercitare il ministero loro.CAPO IX. Come Ignazio risan con la sua visita il Padre Maestro Simone Rodrigo gravemente ammalato. CAPO X. Come si divisero fra loro per gli Studi d'Italia. CAPO XI. Come Cristo nostro Signore apparve ad Ignazio e donde prese il nome la Compagnia di Ges. CAPO XII. Come Ignazio entr in Roma, e stando nel Monte Casino vide salire al cielo l'anima d'uno de' suoi Compagni. CAPO XIII. Come tutti i Padri insieme uniti in Roma determinarono di fondar la Compagnia. CAPO XIV. D'una grave persecuzione che si lev in Roma contro Ignazio ed i suoi Compagni, e del fine ch'ella ebbe.CAPO XV. Come Ignazio e i suoi Compagni, parte in Roma e parte fuori, si occupavano in servigio della Chiesa. CAPO XVI. Come i Padri Maestro

Francesco Saverio, e Maestro Simone Rodrigo si partirono di Roma per l'India Orientale. CAPO XVII Come Papa Paolo Terzo conferm la Compagnia.LIBRO TERZOCAPO I. Come Ignazio fu eletto per Preposito Generale. CAPO II. Come Ignazio incominci a governare la Compagnia. CAPO III. Come Francesco Saverio pass nell'India, e Simone Rodrigo rest in Portogallo. CAPO IV. Come i Padri Maestro Salmerone e Maestro Pascasio furono mandati per Nunzi di Sua Santit in Irlanda.CAPO V. Come furono fondati i Collegi di Coimbra e di Goa, e la Casa di Roma.CAPO VI. Come si fond il Collegio di Padova, ed i nostri entrarono in Fiandra.CAPO VII. Come il Papa di nuovo conferm la Compagnia, e le diede facolt di poter ricevere tutti quelli che vi volessero entrare.CAPO VIII. Del Collegio di Alcal.CAPO IX. Delle opere pie che Ignazio fece fondare in Roma.CAPO X. Come si fondarono nuovi Collegi in diverse parti. CAPO XI. Della morte del P. Pietro Fabro. CAPO XII. Delle persecuzioni che si elevarono in Roma contro Ignazio, per le buone opere che ivi fece. CAPO XIII. Come Ignazio liber la Compagnia dall'aver cura di Donne, che fossero sotto la sua ubbidienza. CAPO XIV. Come Ignazio procur con tutte le forze sue, che non fosse Vescovo Claudio Iaio, n si dessero dignit ecclesiastiche a quelli della Compagnia.CAPO XV. Della fondazione di diversi Collegi.CAPO XVI. Dell'onorevole testimonio, che della Compagnia diedero il Generale dell'Ordine de' Predicatori e due altri Ordini Religiosi. CAPO XVII. Come i Padri della Compagnia entrarono in diverse parti dell'Africa. CAPO XVIII. Come i Padri della Compagnia entrarono in Sicilia. CAPO XIX. Come i Padri della Compagnia passarono al Brasile; e Antonio Criminale fu per amor di Cristo martirizzato. CAPO XX. Come Papa Giulio III conferm di nuovo la Compagnia, e dell'Instituto e maniera di governo che Ignazio lasci ad essa. LIBRO QUARTOCAPO I. Come Ignazio volle rinunziare il Generalato, ma dai Compagni non fu consentito.CAPO II. Delle Constituzioni, che Ignazio scrisse. CAPO III. Dell'instituzione e principio del Collegio Romano. CAPO IV. Di alcuni Collegi che si fondarono in Ispagna, e della contradizione ch'ebbe la Compagnia dall'Arcivescovo di Toledo. CAPO V. Come Ignazio fece Provinciale dItalia il P. Lainez, e come Claudio Iaio mor in Vienna.CAPO VI. Del principio e delle cagioni della fondazione del Collegio germanico. CAPO VII. Della morte del Padre S. Francesco Saverio. CAPO VIII. Come i Padri della Compagnia andarono all'Isola di Corsica. CAPO IX. Come si fece inquisizione contro gli Esercizi spirituali: e si fondarono alcuni Collegi: ed in Ispagna si divisero le Province.CAPO X. Come si fondarono altri Collegi della Compagnia. CAPO XI. Del decreto che fece in Parigi il Collegio di Sorbona contro la Compagnia. CAPO XII. Come i Fratelli Pietro Correa e Giovanni di Sosa furono nel Brasile martirizzati. CAPO XIII. Come il P. Giovanni Nugnez fu eletto Patriarca di Etiopia.CAPO XIV. Come in una sedizione, che si lev

in Saragozza contra i nostri, uscirono della citt, e come furono richiamati in essa. CAPO XV. Come la Compagnia fu ricevuta negli Stati di Fiandra, e si accrebbe con vari Collegi che si fecero in molte parti.CAPO XVI. Come Ignazio pass di questa presente vitaCAPO XVII. Di quello che molte persone gravi dentro e fuori della Compagnia sentirono del Padre Ignazio, ed in quale opinione fosse tenuto. CAPO XVIII. Della statura e disposizione del corpo d'Ignazio. LIBRO QUINTOCAPO I. Del dono dell'orazione, e della familiarit che ebbe Ignazio con Dio.CAPO II. Della carit d'Ignazio verso i prossimi. CAPO III. Dell'umilt d'Ignazio. CAPO IV. Di quello, ch'egli sentisse della virt dell'ubbidienza. CAPO V. Della mortificazione delle proprie passioni. CAPO VI. Della modestia e dell'efficacia e forza delle parole sue.CAPO VII. Come seppe unire insieme la piacevolezza con la severitCAPO VIII. Della compassione e misericordia che aveva altrui. CAPO IX. Della fortezza e grandezza d'animo d'Ignazio. CAPO X. Della prudenza e discrezione sua nelle cose spirituali. CAPO XI. Della sua Prudenza nelle altre cose. CAPO XII. Della vigilanza e sollecitudine sua. CAPO XIII. Come Ignazio fu illustrato da Dio con doni e grazie soprannaturali.CAPO XIV. Dei numerosi miracoli che Dio oper per l'intercessione d'Ignazio; e della sua beatificazione e canonizzazione.___________________

Al divoto lettoreGIUSEPPE BOEROdella compagnia di GesEra gi desiderio di molti il vedere ristampata in Italia la Vita del Patriarca S. Ignazio, composta con ischietto e semplice: stile dal P. Pietro Ribadeneira, e trasportata dalla castigliana nella nostra volgare favella da Giovan Giolito de' Ferrari, tipografo esperto, ed accurato e scrittore del pari colto ed erudito. Due sole edizioni furono fatte di questa traduzione, per quanto io sappia: amendue in Venezia dai Gioliti; l'una in quarto nel 1586, laltra in ottavo nel 1587, divenute ai d nostri assai rare per la scarsezza degli esemplari, e forse anco men cerche dai lettori per la difficolt del carattere in corsivo e dell'ortografia secondo l'uso antico. Or questa nuova ristampa, oltre al pregio materiale ed intrinseco, che ne render pi facile e grata la lettura, avr pure il vantaggio sopra le altre edizioni di non poche aggiunte ed ammende, sia nel testo, sia nelle note, di cui mi conviene innanzi tratto rendere ragione. dunque a sapere, che il Ribadeneira scrisse e pubblic tre Vite diverse di S. Ignazio, la prima in latino, distribuita in cinque libri, e stampata in Napoli nel 1072. La seconda in lingua castigliana, stampata in Madrid nel 1583, e dedicata al Cardinale Gaspare Quiroga Arcivescovo di Toledo. Piacemi qui di riferire la prefazione premessavi dall'Autore, perch si conosca, non essere questa una semplice traduzione della latina, ma quasi una nuova Vita corretta ed accresciuta di molto. Non sono molti anni, dice egli, che io scrissi e pubblicai in latino questo libro della Vita del nostro Padre Ignazio; ed il composi in quella lingua che comune: perch l'indirizzai a tutta la Compagnia nostra, che distesa e propagata quasi per tutte le nazioni del mondo. Ora io l'ho tradotto, e vi ho aggiunte molte cose nella lingua castigliana, acciocch i nostri i Fratelli laici, che si ritrovano qui in Ispagna, ed altre persone devote e desiderose di saper i principii della nostra Religione, che non intendono la lingua latina, possano godere e cavare qualche frutto da questa lezione nella propria lingua loro. E in ci io non ho fatto come i traduttori ed interpreti, che seguono in tutto le parole e le sentenze altrui: ma come autore che dice e racconta le sue proprie. E cos attenendomi alla verit; che esposi avanti, n iscostandomi da essa, non ho riguardato tanto allo clausole ed ai concetti, coi quali vien esposta nel latino, sebbene ho avuto gran . cura in procurare che il libro sia il medesimo nell'una e nellaltra lingua; di maniera che rimirando in amendue la propriet di ciascuna di esse, in ognuna l'accorto lettore cavi in pienezza e brevit del racconto, e l'essenza delle medesime cose che si scrivono. Alcune cose ho aggiunte e dichiarate in questo libro, che non sono nel primo; o almeno non cos esplicate come nel latino era di mestieri. Delle cose aggiunte alcune ve sono, che quando il composi la prima volta non le sapeva; ed altre, che sebbene erano pervenute a mia notizia, nondimeno non le aveva cos verificate e sicure che volessi pormi a scriverle, se non venuto in cognizione fino dalla radice. Medesimamente col desiderio di non essere lungo, ho tralasciato a bello studio alcune altre, che mi parevano simili alle gi raccontate, dalle quali si potevano facilmente conghietturare anco quelle. Ma con tutto ci m' parso bene l'aggiungervene altre, e specialmente quelle, le quali, sebbene sono della medesima sorte che le gi raccontate, nondimeno hanno qualche istruzione ed ammaestramento particolare; assai buono per l'esempio e per la dottrina nostra. E come nel libro latino procurando io alcune volte di esser brieve, accennai pi tosto le cose, che non

dichiarassi; cos queste stesse ho voluto ora esplicar pi a lungo, per soddisfare al desiderio di molti; e perch scrivendosi pi minutamente, meglio s'intendano e siano di maggior frutto ed utilit ai Fratelli della Compagnia, per i quali ci specialmente si scrive. E oltre di questo, perch alcune cose nella lingua latina si possono dire con maggior brevit, che nella castigliana; s perch la lingua latina il comporta, s anco perch quelli che leggono il latino idioma, comunemente sono pi esercitati, e capiscono meglio in poche parole quel che si dice. Ed io ho voluto dir questo, acciocch alcuno non si maravigli se rincontrando il libro latino e lo spagnuolo insieme, trovasse alcuna cosa di pi o di meno, ovvero vedesse che qui raccontiamo certe cose nostre proprie e minute, le quali si scrivono per utilit dei nostri Fratelli. Fin qui egli. Finalmente poco prima della sua morte compose il Ribadeneira una terza Vita, nella quale si propose di contare in compendio i soli fatti d'Ignazio, e stendersi pi largamente in sul fine a far memoria dei doni e delle grazie sopra lordine della natura, e dei numerosi miracoli con cui Dio si compiacque di esaltare qui in terra il fedelissimo suo servo s nel tempo della sua vita, come dopo la preziosa sua morte. La qual Vita fu poi trasportata in latino dal P. Gaspare Quartemont, e stampata in Augusta nel 1616, con a fronte l'interpretazione greca del P. Giorgio Mayr.Ora confrontando, insieme queste tre Vite, e varie edizioni delle medesime, uscite alla luce in diversi tempi, si creduto bene di inserire nel testo le correzioni e le aggiunte, che l'autore di mano in mano ito facendo; e cos secondare l'intendimento, suo, che fu di dare una compiuta narrazione di quello, che a suo tempo si riseppe dei fatti e delle virt, d'Ignazio. A schiarire poi alcuni tratti dell'istoria alquanto oscuri e controversi, e a confermarli maggiormente con altre testimonianze, si sono aggiunte a pi di pagina alcune osservazioni e annotazioni e memorie antiche e originali, che speriamo dover riuscire assai gradite ai lettori.Molto vi sarebbe che dire intorno al pregio, in che si dee avere questa Vita rispetto all'autorit e al merito singolare dello scrittore. Egli fu per pi anni discepolo e famigliare d'Ignazio; intese da lui medesimo molte cose intime e segrete, e, come dice nella prefazione, che riferiremo qui, appresso, not studiosamente ogni azione e parola, ogni movimento; e finalmente, ci che pi monta, fu anch'egli uomo di grande integrit, spertissimo nelle cose di Dio e dell'anima, maestro di virt e di perfezione, come lo dimostrano i fatti egregi della sua vita, e la candidezza e semplicit de' suoi scritti, pieni di celeste dottrina e lodati a cielo da uomini dotti e santi. Per non andare in ci pi a lungo, baster riportare la deposizione giurata, che leggesi nel processo di Madrid. Interrogato il P. Ribadeneira, se le cose contenute nel libro scritto da lui della vita e dei costumi d'Ignazio fossero vere, e per quali ragioni egli s'induceva a crederle vere? Rispose e disse: che nel detto libro della vita del P. Ignazio, scritto da lui, non v'era cosa alcuna di falso: almeno non si ricordava di avere scritto nulla scientemente che fosse falso: anzi crede ed ha per certo, che tutto ci che in esso ha raccontato, moralmente parlando, vero: perch egli ha usato gran diligenza e cura per esporre la nuda verit, e per narrare ci che aveva veduto e udito dal medesimo P. Ignazio e da altri uomini gravi. In secondo luogo crede essere vera l'istoria, perch prima che si desse alle stampe, per ordine del P. Francesco Borgia, Preposito Generale, fu riveduta ed esaminata da uomini autorevolissimi della Compagnia, alcuni dei quali erano stati molto famigliari del P.

Ignazio. Terzo, perch essendo stato pubblicato il libro, mentre vivevano ancora molti dei Padri pi antichi o famigliari del P. Ignazio, come pure tre dei dieci compagni, non venuto a notizia di questo testimonio, che niuno di essi abbia notato alcuna falsit contenuta nel detto libro. Quarto, perch stampatosi in Napoli in lingua latina il libro, e letto pubblicamente in Roma, mentre nell'anno 1573 erano adunati i Padri per la Congregazione Generale, il P. Everardo Mercuriano, che fu eletto Preposito, ordin al P. Giacomo Ximenes, che ancora vive e che fu Procuratore generale e Segretario della Compagnia, che interrogasse ad uno ad uno tutti i Padri della Congregazione per sapere che cosa giudicassero di quel libro, e se avessero notato cosa, che richiedesse ammenda: e ci per soddisfare al desiderio dell'autore, che aveva fatto istanza al P. Generale di far esaminare il libro da quegli uomini gravi, affinch potesse darsi per interamente corretto. Avendo pertanto il P. Ximenes messo in esecuzione l'ordine del P. Generale, non vi fu pur uno dei Padri congregati che dubitasse della verit dell'istoria, n movesse alcuna difficolt di momento; come si pu vedere dalla carta medesima, che il P. Ximenes per questo adoper, e che ora nelle mani di questo testimonio. Ed a notarsi, che tra quei Padri, congregati erano molti, che lungo tempo e molto famigliarmente avevano trattato col P. Ignazio; come sono il P. Salmerone e il P. Nicol Bobadiglia, stati tra i primi dieci compagni; e il P. Girolamo Domenech, e il P. Giovanni di Polanco, che era stato Segretario e per nove anni quasi mano e piede d'Ignazio; e Girolamo Natale, ch'era stato Commessario e Vicario generale; e il Dottore Cristoforo di Madrid, ch'era stato Assistente; sotto il P. Laynez; e finalmente il P. Everardo Mercuriano: i quali, tutti ora sono gi morti. Tra gli altri, vivono ancora il P. Benedetto Palmio, e il P. Olivier Manareo, uomini assai gravi e conosciuti (Ex Process. Matriten.). Fin qui la deposizione del Ribadeneira, trasportata fedelmente nel nostro volgare.E a maggior prova di ci chegli dice, aggiunger qui in fine, che avendo io dovuto per questa e per altre occasioni vedere i processi della canonizzazione dIgnazio, gli scritti del P. Luigi Gonzalez, e molte altre scritture autentiche di quel tempo, posso con tutta verit affermare, che i due pi fedeli ed esatti scrittori delle cose d'Ignazio sono il Ribadeneira, e il Bartoli, i quali non si sono contentati, come avviene, di stare alla fede altrui, ma han voluto essi medesimi con somma diligenza e accuratezza leggere ed esaminare tutti i documenti antichi ed originali. Il che pure sia detto a correzione di non pochi, che lasciandosi guidare dal loro storto giudizio o aderendo ciecamente alle insinuazioni di sospetti autori, sentono e parlano tutto altrimenti, specialmente del Bartoli. Converrebbe che essi vedessero, com'io ho veduto, i grandi spogli che questo infaticabile uomo ha fatto di grandi fasci di lettere e di scritture e di libri, appuntando minutamente ogni cosa nei suoi repertorii, per quindi essere fedele ed esatto nello stendere con tutta verit le sue istorie. Ma di questo, come di altro tempo, cos di altro luogo il ragionare pi a lungo: e sia detto abbastanza intorno al fine che si avuto di mira, e al modo che si usato per imprendere e condurre questa nuova edizione della Vita di S. Ignazio. _________________ AI CARISSIMI FRATELLI IN CRISTO DELLA COMPAGNIA DI GES: PIETRO RIBADENEIRA______________Incomincio, Fratelli in Cristo dilettissimi, col favor divino a scrivere la Vita d'Ignazio Loiola, Padre nostro di gloriosa memoria, e

Fondatore di questa minima Compagnia di Ges. Ben mi avveggo quanto difficile impresa sia quella ch'io prendo; e quanto avr che fare per non rendere oscuro con le parole mie lo splendore delle eroiche e chiare virt, e per agguagliare col basso mio stile la grandezza delle cose, che si hanno a scrivere. Ma per portare con le mie deboli spalle questo carico pesante, ho molti alleviamenti e consolazioni. La prima l'aver presa io questa impresa, non di mio senno, ma per volont di chi mi pu comandare, e a cui tengo obbligo di ubbidire e rispettare in tutte le cose. Questi l M. R. P. Francesco Borgia, nostro Preposito Generale; che mi ha imposto ch'io scriva quello, che ho in pensiero qui di scrivere; la cui voce per me voce di Dio, e i suoi comandamenti, comandamenti di Dio, nel cui luogo il tengo; e come tale debbo riguardare e con religioso rispetto riverire ed ubbidire. Oltre di ci, perch confido nella misericordia di quel Signore, che meraviglioso nei Santi suoi ed fonte ed autore di ogni santit; e spero che gli sar accetto e gradito questo mio picciolo servigio, e che da esso ne seguir a Dio nostro Signore alcuna lode e gloria. Perciocch egli veramente il Fondatore e quello che stabilisce tutte le sante Religioni, che nella Chiesa sua si sono fondate. Egli quello, che mi insegn essere il cammino della beatitudine stretto e la porta angusta. Ed acciocch non ci perdessimo d'animo e fossimo spaventati dal travaglio del cammino e dalle difficolt, che in questo ci si offeriscono, egli stesso che la porta e la via, per la quale abbiamo noi altri da entrare e da camminare, volle essere parimente nostra guida e spianarci e facilitarci con la sua vita e col suo esempio questo cammino, il quale agli occhi deboli ed infermi della carne nostra pare cos aspro e cos difficile. Quindi che mirando lui e seguendo le pedate sue, non possiamo errare, n inciampare, n abbiamo di che temere: anzi tutto il viaggio ci riuscir diritto, piano, sicuro e ripieno d'infinite ricreazioni e di godimenti divini. Questo Signore quello che con meravigliosa e paterna providenza quasi in tutti i secoli e in tutte le et ha inviato al mondo uomini perfettissimi, come lucerne e lumiere celesti, acciocch accesi dell'amor suo e desiderosi d'imitarlo e d'acquistare la perfezione della vita cristiana, che nel vangelo si rappresenta, attizzassero e risvegliassero il fuoco, che lo stesso Signore venne ad attaccare nel mondo, e con i loro vivi esempi ed infiammate parole, il mantenessero vivo, n il lasciassero estinguere ed ammorzare giammai. Tutto quello adempie, che diremo del p. Ignazio, scatur come rivo dalla fonte abbondantissima di Dio: e poich egli il principio di cos sovrano bene, deve essere anco il fine: e per se gli deve sacrificio di lode, per quello ch'egli oper in questo suo servo e negli altri. Perciocch cos grande la sua bont, e infinita la sua misericordia con gli uomini, che i suoi propri doni, e benefici che loro fa, li riceve per servigi e vuole che siano meriti degli uomini stessi. Il che riconosciuto e confessato dai Santi; e per segno di questa ricognizione, si cavano le corone dalle proprie teste, che il guiderdone ed il premio dei meriti loro, e con profondissimo sentimento della loro bassezza e con umile e riverente rendimento di grazie prostrati e gittati a terra, le pongono avanti, il trono della divina Maest. Vi ha anco unaltra ragione, che rende il mio travaglio pi leggiero; ed il desiderio grande, che intendo avere molti, oltre tutti voi altri, Fratelli miei molto amati, di udire, di leggere e di saper queste cose; il quale desiderio essendo cos giusto e cos pio, vorrei io per la parte mia, se fosse possibile,

soddisfare ed appagare; o almeno temperare la sete di quelli che l'hanno cos ardente, per essere molto ragionevole. Perciocch qual uomo cristiano e prudente vi ha, che vedendo in questi tempi miserabili un'opera cos segnalata, come questa della mano di Dio, ed una nuova Religione piantata nella Chiesa ai giorni nostri e stesa in cos breve tempo ed ampliata quasi per tutte le province terre che riscalda il sole, non desideri sapere come ci si sia fatto; chi la fond, quali pincipii ebbe, come crebbe il suo corso, come si estese e qual frutto da essa n' seguito? Un'altra ragione vi pi domestica e propria nostra, che dimitare e di seguire quello, che noi teniamo per nostro Capitano. Imperocch come quelli, che discendono da lignaggio illustre e da generoso e chiaro sangue, procurano di sapere le azioni ed i gloriosi esempi dei loro antepassati e di quelli che fondarono e nobilitarono le loro case e famiglie; acciocch li abbiano per esemplari in far quello ch'essi operarono; cos noi avendo dalla mano di Dio Nostro Signore ricevuto il nostro P. Ignazio per guida, per maestro e per duce e capitano di questa sacrata milizia, dobbiamo prenderlo per ispecchio della vita nostra, e procurare con tutte le nostre forze di seguitarlo; di sorte, che se per nostra debolezza non potremo cos al vivo cos propriamente ricavarne il ritratto delle sue molte ed eccellenti virt, almeno imitiamo l'ombra ed i vestigi di esse. E per questo sar per avventura utile il mio travaglio e sar anco gustevole e gradito; poich il desiderio d'imitare, fa che sia di gran contento l'udire raccontare quello, che d'imitare si brama; e che si prenda cos gusto in saperlo, come profitto nel porlo in esecuzione. Ma che direte di un'altra ragione, la quale bench sia posta da ma nell'ultimo luogo, non per ultima nella mia intenzione? Questa un pio e debito ringraziamento ed una saporita memoria e dolce rimembranza di quell'uomo beato e Padre mio, che mi gener in Cristo, che mi allev e sostent, per le cui pietose lacrime ed accese orazioni confesso d'essere quel poco ch'io sono. Procurer dunque di rinnovare la memoria della sua vita cos esemplare; e la descriver, se non come merita, almeno di tal maniera, che n l'oblivione la sotterri, n la negligenza la oscuri n si perda per mancanza di chi la scriva. E con questo poco, sebbene non posso pagare quel molto che debbo a uomo cos, chiaro, almeno gli dar quel poco ch'io posso. E cos sar questa mia fatica accetta a Dio Nostro Signore, come confido nella misericordia sua, ben dovuta al nostro P. Ignazio, a voi, Fratelli miei, profittevole ed agli altri, se non m'inganno, non dispiacevole. E quantunque per la mia poca sanit sembri dovermi riuscire grave questo lavoro, nondimeno spero che mi si alleggerir di molto col solo pensiero d'averlo impreso per cos buon fine.E perch la prima regola dell'istoria , che si guardi in essa alla verit: prima di tutto protesto, che io qui non dir cose incerte e dubiose, anzi sapute molto bene e verificate. Racconter quello chio medesimo ho udito, veduto e toccato con le mie proprie mani del P. Ignazio, appresso il quale fino dalla mia prima fanciullezza e tenera et allevato mi sono; poich il Padre delle misericordie fu servito di farmi conoscere e conversare con questo santuomo fin dall'anno 1540, prima che io avesse finiti quattordici anni; e prima che la Compagnia fosse dal Papa confermata. E fu tale la famigliarit, che dentro e fuori di casa, nella citt e fuori di essa io non mi scostava mai dal fianco di lui accompagnandolo sempre, scrivendo e servendolo in tutto quello che occorreva, notando i suoi passi, i detti e fatti con profitto dell'anima mia e con particolare

ammirazione: la quale ogni giorno tanto pi cresceva, quanto pi egli andava scoprendo quel molto che gli stava serrato nel petto; ed io con l'et andava aprendo gli occhi, per veder quello, che per mancanza di essa prima non aveva veduto. Per questa dunque cos intima conversazione e familiarit ch'io ebbi col nostro Padre, potei vedere e notare non solamente le cose esteriori e palesi che erano esposte agli occhi di molti; ma ancora alcune delle secrete, che a pochi si scoprivano e manifestavano.Dir anca quello che il medesimo Padre disse di se stesso ai preghi di tutta la Compagnia. Perch avendolo essi: molte volte addimandato e pregato in diversi tempi ed occasioni con grande e straordinaria istanza, che per esempio nostro e per nostra utilit ne facesse partecipi di quelle cose, che gli erano accorse nei principii suoi e dei suoi travagli e persecuzioni, che furono molte, e delle grazie e favori che ricevuto aveva dalla mano di Dio; non si pot mai ci ottenere, se non l'anno avanti che morisse. Sopra di che avendo prima fatto lunga orazione, si determin di farlo : il che egli faceva immediatamente dopo la sua orazione; e dopo di avere sopra di ci molto bene considerato; raccontando al P. Luigi Gonzalez de Camera con molta maturit, e con sembiante celeste quello che se gli offeriva; ed il detto Padre dopo di averlo udito, il tutto scriveva quasi con le medesime parole, con le quali ascoltato l'aveva; e tutto questo ho io appresso di me, come allora si scrisse. Ed io medesimo scriver quello che ho saputo per bocca e per iscrittura del nostro P. Lainez il quale fu quasi il primo de' Compagni che ebbe il P. Ignazio, ed era il figliuolo pi diletto da lui; e per questa cagione e per essere stato egli ne' principii quello che pi l'accompagn venne a conversare pi seco ed a sapere pi cose da lui, le quali, come mio Padre svisceratissimo, molte fiate mi raccont prima che succedesse nel carico del P. Ignazio, ed anco dopo ch'ei fu fatto Preposito Generale. E cos ordinava Nostro Signore, come io credo, ch sapendole io, le potessi poi scrivere.Da questi originali dunque s' cavata ed ordinata quasi tutta questa istoria: perch non ho voluto por qui altre cose che si sarebbero potute dire con poco fondamento e senza grave ed autorevole testimonio: parendomi che sebbene qualunque bugia brutta ed indegna di uomo cristiano, molto pi sarebbe poi quella che si andasse componendo e fingendo da chi riferisce e descrive le Vite de' Santi, come se Iddio avesse di essa necessit o non fosse cosa contraria e lontana dalla piet cristiana voler onorare e glorificare il Signore, che somma ed eterna verit, con false menzogne e con finti miracoli. E questa verit quella, che mi fa entrare in cotal pelago con maggiore speranza di buon successo e di prospera navigazione. Perciocch non abbiamo da trattare della vita e santit di un uomo, che molti secoli gi sia stato; nella cui istoria per la sua antichit potessimo aggiungere, trre e fingere quello che ne paresse: ma scriviamo la vita di un uomo, che fu ai giorni nostri e che conobbero e con cui trattarono domesticamente molti, che anco oggid vivono: acciocch quelli che non lo videro, n lo conobbero, intendano, che quello, che qui si dir, sar comprovato col testimonio di quelli che son vivi e presenti e che familiarmente comunicarono e conversarono seco. Ora dir quello che pretendo in questa istoria. Io nel principio proposi di scrivere precisamente la Vita del P. Ignazio, e manifestare ed iscoprire al mondo l'eccellenti virt, ch'egli tenne secrete e nascose col velo dellumilt sua; ma mi parve di poi ampliar questo mio proposito ed

abbracciare di pi alcune cose. Peroch intesi che v'erano molte persone virtuose e devote della Compagnia nostra, che avevano desiderio di saper l'origine, il progresso e il corso di quella: e per contentarle ho voluto io toccare qui e con brevit dichiarare, come questo lavoratore ed operaio fedele del Signore semin questa picciola semenza per tutto il mondo; e come da un granello di senapa crebbe un albero cos grande, i cui rami si estendono dall'Oriente al Ponente e dal Settentrione fino al Mezzogiorno; e cos raccontare altri avvenimenti che succederono, mentre ch'ei visse, degni di memoria. Fra i quali vi saranno molte delle segnalate imprese, che si sono incominciate e finite essendo capitano Ignazio; ed alcuni degl'incontri e delle persecuzioni, che con prudenza e col valore di lui si sono evitate ed alle quali s' fatta resistenza; ed altre cose ancora, che, essendo egli Preposito Generale, si ordinarono e stabilirono. E per questi rispetti pare che siano cos annesse ed incatenate con la sua vita, che appena si possono da essa separatamente narrare. Ma non perci mi pongo in obbligo di descrivere il tutto, senza tralasciare cosa che da raccontare, sia, poich non questa lintenzione mia; ma di fare scelta solo d'alcune cose ed inserirle in essa, che mi paiono pi notabili e pi a proposito: e cos dare a conoscere il corso della Compagnia, il quale se ora che fresca la memoria di lei non si scrivesse, col tempo per avventura si porrebbe in oblivione.Parler in particolare di alcuni dei Padri, che furono figliuoli d'Ignazio e suoi primi compagni e che morirono, egli ancora sopravvivendo: e parimente di alcuni altri, che meritarono dal Signore di spargere il sangue per la sua Fede santa: de' primi, perch furono nostri padri e ne generarono in Cristo: de' secondi, perch furono cos fortunati, che la morte, che dovevano alla natura, l'offrirono al Signore e la diedero per confermazione della sua verit. Dei vivi diremo poco: dei morti un poco pi, conforme a quello che ne ammonisce il Savio, che non dobbiamo lodare alcuno avanti la sua morte, dandoci ad intendere" come, dice S. Ambrogio, che li lodiamo dopo che avranno finiti i loro giorni e che li innalziamo dopo il loro fine. Resta ora, Fratelli miei, che supplichiamo umilmente e caldamente Nostro Signore, che favorisca questo buon desiderio, poich suo, e che accetti questi cinque Libri, che come cinque piccioli talenti io offerisco alla Maest sua, e che con la sua solita clemenza li riceva e cavi da essi lode e gloria per s e profitto ed edificazione per la sua santa Chiesa. Oltre di questo vi prego affettuosamente, Fratelli carissimi, per quello sviscerato amore che Iddio ha piantato ne' nostri cuori, col quale tutti noi vicendevolmente ci amiamo l'un l'altro, che con le vostre ferventi orazioni mi otteniate spirito dal Signore per imitare veracemente la vita e la santit del P. Ignazio. La cui costanza nell'umiliarsi, l'asprezza nel castigarsi, la fortezza ne' pericoli, la quiete e sicurezza nel mezzo di tutte le onde e tempeste del mondo, la temperanza e modestia nelle prosperit ed in tutte le cose cos allegre, come triste, la pace e il godimento, che nello Spirito Santo aveva l'anima sua, dobbiamo sempre noi tenere avanti ed affissare gli occhi in quel terso e lucido specchio di eroiche e singolari virt che laccompagnavano ed abbellivano: acciocch la vita di lui ci sia come un esemplare e come una vera e perfettissima norma del nostro Istituto e della nostra vocazione, alla quale ne chiam il Signore per sua infinita bont col mezzo di questo glorioso Capitano e Padre nostro. E seguitandolo noi altri per questi sentieri, come veri figliuoli suoi, non potremo andare errando, n

resteremo d'acquistare quello, ch'egli per s stesso e per i suoi veri figliuoli acquist. DELLA VITADI S. IGNAZIO DI LOIOLAFONDATOREDELLA COMPAGNIA DI GES_________________LIBRO PRIMOCAPO PRIMODel nascimento e della vita di S. Ignazio prima che fosse da Dio chiamato alla conoscenza di lui. Nacque Ignazio, primo Padre e Fondatore della Compagnia di Ges, in quella parte della Spagna che vien della Biscaia, l'anno 1491, sotto il Pontificato d'Innocenzo Ottavo, essendo retto l'Imperio da Federico Terzo, e regnando in Ispagna i cattolici regi D. Ferdinando o D. Isabella di chiara o gloriosa memoria. Fu il padre di lui dello Beltramo, capo dell'illustre e antica famiglia de' Loiola, e la madre si chiam Marina Saenz, matrona uguale in nobilt e virt al marito. Ebbero questi signori tredici figli, cinque femmine e otto maschi, il minor de' quali a guisa d'un altro David, fu il nostro Ignazio, che da felice, o beato parto venne al mondo per il bene e per la salute di molti 1. Il quale avendo passato i primi anni della fanciullezza, fu dai suoi genitori mandato alla corte de' Re cattolici. Quivi cominciandosi gi a risentire in lui i bollenti fervori della giovent, mosso dall'esempio dei suoi fratelli ch'erano valorosi cavalieri, ed essendo, egli ancora per natura coraggioso e ardito, in tutti gli esercizi delle armi volentieri s'occupava procurando d'avanzarsi sopra tutti gli altri suoi uguali per fare acquisto d'onorata gloria nell'arte militare. L'anno adunque 1521 essendo i Francesi all'assedio del castello di Pamplona, capo del regno di Navarra, il quale ogni giorno vie pi da' nemici era ristretto, i capitani che si trovavano dentro, gi privi d'ogni speranza di soccorso, trattarono d'arrendersi; e l'avrebbono senza dimora mandato ad effetto, se Ignazio non si fosse loro opposto; il quale pot tanto con le parole sue, che li anim e rincor di maniera, che mutando proposito, si risolvettero di voler resistere alle forze francesi sino alla morte. Ma gl'inimici non rallentando punto l'assedio e continuamente con cannoni rinforzati battendo il castello, avvenne, che la palla d'un pezzo diede in quella parte del muro, ove Ignazio valorosamente combatteva; onde per tal percossa se gli scavezz la gamba destra in modo, che l'osso quasi se gli sminuzz, e una pietra che per la forza della palla era rimbalzala dalla stessa muraglia, gli fer anco malamente la sinistra 2. Onde gettato in questa maniera in terra Ignazio, gli altri soldati che erano dal valor di lui ingagliarditi, subito si perderono d'animo; sconfidati di pi potersi difendere si resero ai Francesi: i quali avendo notizia d'Ignazio, vedendolo giunto a cos mal partito, mossi di lui a compassione, lo portarono ai loro padiglioni; e ivi con molta diligenza lo fecero curare; e dopo, sentendosi alquanto meglio, lo fecero in una lettiga condurre su le spalle con molta cortesia e liberalit a casa sua. Dove cominciando a peggiorar le ferite; e quella della gamba diritta vie pi dellaltra, nuovi medici e chirurghi furono alla cura chiamati, i quali erano di parere, che le ossa della gamba si avessero di nuovo a rassettare, le quali, o per negligenza, de' primi chirurghi, o pur per lo moto ed agitazione del viaggio, si trovavano fuori della giuntura e luogo loro; quindi era necessario dirizzarle ed accomodarle in maniera che si consolidassero: il che tutto si fece, con grandissimi tormenti per e dolori dell'infermo, il quale e questo ed ogni altra cosa appresso sopport con animo cos forte e con cos ardito sembiante, che ad ognuno arrecava meraviglia; poich n si mut di colore, n alz grido, n diede sospiro, n

fece minimo cenno, e pur form parola, con che dimostrasse fiacchezza o timidit. Cresceva nondimeno con tutto ci ogni giorno vie maggiormente il male, e tanto gi si avanzava, che poca speranza si aveva oramai della vita di lui. Onde avvertito da' suoi del pericolo in cui si trovava, confessossi intieramente di tutti i suoi peccati la vigilia de' gloriosi Apostoli Pietro e Paolo, armandosi come vero cavaliere di Cristo delle armi de' santissimi Sacramenti lasciatici dal Redentore per rimedio e difesa nostra. Gi pareva ad ognuno, che sandasse approssimando l'ora d'estremo termine della Vita sua; ed erano i medici della medesima opinione poich lo davano per morto, se per avanti la mezzanotte non avesse dimostrato alcun miglioramento: e cos piacque a Dio nostro Signore che fosse, restituendogli la sanit, la quale crediamo, che ottenesse dal Signore per intercessione del B. Apostolo S. Pietro, in ogni tempo da Ignazio tenuto in somma venerazione e per particolare avvocato, e come tale riverito e servito sempre. Onde gli apparve questo glorioso Apostolo in quella notte medesima nella quale conobbe il suo bisogno maggiore, favorendolo con l'aiuto suo ed arrecandogli la salute. Liberato dunque da questo pericoloso accidente, cominciaronglisi a saldare e fortificare le ossa, ma lasciavangli per nella gamba due deformit molto apparenti; l'una era por un osso che sotto il ginocchio in fuori spignendosi bruttamente si dimostrava; l'altra nasceva, che per avergli cavati venti pezzi d'osso, era restata la medesima gamba talmente corta e contratta, che non poteva n camminare, n fermarsi sopra i piedi, come soleva. Era Ignazio per sua natura inclinato molto alla politezza e si dilettava d'andare leggiadramente su la persona, ed in oltre aveva pensiero, come di gi aveva incominciato, di proseguire gli esercizi della guerra: e poich e per l'una cagione e per l'altra sconcio gli pareva quel rilievo del ginocchio e dannosa l'attrazione della gamba, cercava di rimediare a questi due inconvenienti: ma prima domand ai chirurghi, se quell'osso che con tanta deformit sopravanzava, si poteva segare senza pericolo della vita; ed essendogli risposto che s, ma per con molto suo costo, poich avendosi da segare per la viva carne, avrebbe da provare il maggiore e pi acuto dolore che sino a quel giorno nell'infermit sua avesse sentito; egli non istimando le parole che molti per levarlo da tal proponimento gli dicevano, volle che l'osso gli fosse segato, e in tal modo soddisfece al volonteroso suo appetito: e (come io stesso una fiata gli udii dire) tutto ci fece, per poter portare (come in quel tempo si usava) gli stivaletti o borzacchini alla gamba giusti ed attillali; n fu mai possibile levarlo da questo pensiero o persuadergli altramente. Vollero legarlo in quellatto; ma egli non lo consent; parendogli cosa indegna del generoso animo suo; e se ne stette col medesimo sembiante e con la stessa costanza che avea fatto da prima, libero e sciolto senza punto muoversi, o mostrar alcun segno di debolezza d'animo. Segato losso, sparve la deformit; ma l'attrazione della gamba si cur poi per ispazio di molti giorni con diversi rimedii di unzioni, empiastri e con certe ruote e istrumenti, co' quali giornalmente lo tormentavano, stiracchiando e stendendo a poco a poco la gamba per ridurla al suo luogo di prima: n poterono per mai fare, per molto che fosse stesa e tirata, che arrivasse all'altra giusta ed uguale._______________CAPO SECONDOCome lo chiam Iddio dalla vanit del secolo al suo conoscimento. Giaceva tuttavia il nostro Ignazio ferito nel letto, ci permettendo Iddio, che con

questo mezzo risanar lo voleva; acciocch zoppo, come un altro Giacobbe, che significa guerriero, gli mutasse il nome e si chiamasse Israele; onde poi dicesse: Vidi Dio a faccia a faccia e l'anima mia stata salvala. Vediamo dunque per qual via e in che modo il Signore lo rilevasse, e come prima ch'ei riconoscesse Iddio, gli fu mestieri lottare e affaticarsi combattendo. Era egli, mentre stava nel letto, molto curioso di legger libri profani di cavalleria; e per passar il tempo, che parte dal male e parte dalla solitudine lungo e noioso gli pareva, addimand che gli recassero qualche libro che di simili vanit trattasse: e piacque a Dio che allora alcuno non ve ne fosse in casa, ma in vece di quelli, altri se ne trovarono che contenevano cose spirituali, i quali gli portarono; e da lui furono accettati per trattenersi pi tosto, che per gusto o divozione che dalla lettura di essi prender potesse; e furono uno della vita di Cristo nostro Signore, e laltro delle vite dei Santi, che comunemente s'intitola Fior de' Santi. Cominci nel principio, come s' detto, a leggerli per passatempo, e dopo con gusto e affetto: poich questa la condizione delle cose buone, che per molto che si trattino vie maggiormente dilettino; e non solo incominci a gustar quello che leggeva, ma da ci anco a sentir mutazione nel cuore e a voler imitare e porre in opera quello che scritto ritrovava. E se bene andava nostro Signore destando nell'anima sua questi buoni desiderii, era per tanta la forza dell'invecchiato costume della vita passata, tanti gli stecchi e le spine di che ripiena era questa terra arida e infeconda, che subito i semi delle divine ispirazioni erano da altri contrari pensieri e travagli suffocati. Ma la misericordia divina che gi aveva eletto Ignazio per suo soldato, non l'abbandonava; anzi destandolo, ognora vie pi rendeva viva e risplendente quella prima scintilla della sua luce, e con la recente lezione infervorava e rinforzava i suoi buoni propositi; e contra i falsi, ingannevoli e vani pensieri del mondo l'armava, somministrandogli vere, sante, e costanti deliberazioni. Ed in ci andava in tal modo avanzandosi, che a poco a poco pigliava forza, e prevaleva nell'anima sua la verit contra la menzogna, lo spirito contro la sensualit, il nuovo raggio e luce del cielo contra le tenebre palpabili dell'Egitto; e insiememente giva acquistando possanza e ardire per combattere e guerreggiare da dovero e imitare il buon Ges, nostro, capitano e signore, e gli altri Santi parimente; i quali per aver imitato Cristo, meritano degnamente esser da noi altres imitati. Era gi fino a questo termine giunto Ignazio senza che niuna difficolt delle molte che avanti se gli opponevano, fosse bastevole per distornarlo e rimuoverlo dal suo lodevole proponimento: per la moltitudine per e variet de' pensieri stava non poco confuso e perplesso; poich il demonio per una parte lo combatteva cercando di continuar nel possesso che aveva del suo antico soldato; e d'altra parte il Signore della vita ad essa vita lo chiamava e invitava per farlo capitano della sacrata milizia sua. Ma tra gli uni pensieri e gli altri grandissima differenza vi avea; poich quelli del mondo dolci sembravano nel principio, ma amarissimi nel fine; nellincominciare piacevoli, soavi e graditi al sensuale appetito, ma nel finire lasciavano conturbate e ferite l'intime viscere, e l'anima, malinconica, trista e di s medesima rincrescevole. Nelle considerazioni poi divine succedeva tutto il contrario: perciocch quando pensava Ignazio a quello che in servizio di Dio aveva ad operare, come il viaggio di Gerusalemme, la visitazione di quei luoghi santi, le penitenze che si proponeva di

fare per espiazione de' propri peccati, seguendo la bellezza ed eccellenza della virt e perfezione cristiana, e simili altre cose; mentre duravano nella mente sua cotali pensieri, si sentiva lanima cos ripiena di diletti, che non poteva per il piacere capir entro se stessa; e quando si dipartivano non la lasciavano secca e vuota, ma illustrata coi raggi della divina luce e colma di molla soavit. Passarono molti d che non conobbe questa differenza e contrariet di pensieri, finch un giorno illuminato da celeste raggio cominci ad osservare quanto s' detto; e quindi venne ad intendere quanto erano diversi gli uni dagli altri negli effetti e nelle cagioni; onde paragonava le ispirazioni buone e le ree; e riceveva lume e grazia per saperle conoscere fra loro distinguere. Questo fu il primo conoscimento che Iddio nostro Signore gli comunic di se stesso e delle cose sue; dal quale, mentre con l'uso continuo e con i nuovi splendori e visite del cielo giva crescendo, quasi da fonte ne scaturirono i rivi degli avvisi, e come da luce ne nacquero i raggi delle regole ch'ei c'insegn poi negli Esercizi suoi spirituali per conoscer quale differenza vi abbia tra lo spirito verace di Dio e il fallace del mondo. Perciocch primieramente conobbe, che v'erano due spiriti, non solamente diversi; ma anco del tutto fra loro contrari; come contrarie sono parimente le cause donde traggono la loro origine, che sono luce e tenebre, verit e falsit, Cristo e il diavolo. Dopo questo cominci a notare le propriet di ambidue questi spiriti; e quindi nell'intelletto suo riverber una luce e una celeste sapienza infusagli da Dio per discernere le differenze di queste ispirazioni;a cui s'aggiunse una forza e soprannaturale vigore nella volont per aborrire tutto ci che dal mondo gli era rappresentato, e per il contrario appetire, desiderare e proseguire quanto dallo spirito divino gli era offerto e proposto: dei quali principii e avvisi si serv poi tutto il tempo della sua vita. In questo modo sparvero quelle tenebre che gli erano poste innanzi dal principe di esse; o illuminati gi e fatti chiari gli occhi suoi col nuovo conoscimento e ingagliardita la volont con questo divino favore s'affrett e pass avanti, facendo profitto spirituale s per la lezione, come per la considerazione dello cose di Dio; accingendosi per opporsi alle occulte insidie dellinimico. E dispostosi del tutto fra se stesso di far mutazione di vita dirizz la prora de' suoi pensieri ad altro porto pi certo e pi sicuro di quello che fin allora aveva disegnato, disfacendo la tela che prima aveva tessuto e sviluppandosi dagli intrichi e lacci della vanit con un particolar aborrimento e odio de' suoi peccati e desiderio di soddisfar per essi e farne la penitenza; che il primo grado comunemente da salirsi da quelli, che per. amor di Dio si convertono. E se bene fra questi buoni propositi e desiderii molte difficolt e travagli se gli offerissero, non per questo si perdeva d'animo, n punto s'intepidiva dal suo caldo fervore; anzi armato della divina confidenza, come da arnese militare che dal capo, alle piante tutto lo ricoprisse, diceva: In Dio ogni cosa potr, e poich mi concede il desiderio, mi dar anco, onde effettuare lo possa; il cominciare e il finire tutto suo. E con questa risoluzione e determinazione di volont si lev una notte dal letto per fare orazione, come era suo costume, e per offerirsi al Signore in grato e perpetuo olocausto; e stando in ginocchio innanzi ad un'immagine di nostra Signora, pregandola con umile confidenza a presentarlo al divin Figliuolo per servo fedele, si sent improvviso come un gran tremuoto, che tutto scosse e fece tremare il palagio: volendo forse con ci il demonio dar segno del suo livore e della sua rabbia, come

leggiamo aver fatto con altri Santi. Non si determin per questo di seguire una particolare maniera. Di vita; ma solo dopo essersi ben risanato andarsene in Gerusalemme, e prima di andarvi, mortificarsi e macerarsi con digiuni, discipline ed ogni sorte di penitenza e asprezza corporale, e con un santo e generoso sdegno crocifigger se stesso, e far quasi di se medesimo anotomia. Cos si raffreddavano tutti quei brutti e vani pensieri del mondo con questi desiderii tanto fervorosi e ardenti, coi quali lo riscaldava il Signore; e con la luce del sol di giustizia, che di gi risplendeva nell'anima sua, fuggivano le tenebre della vanit e sparivano come sparir sogliono le oscurit della notte all'apparir del sole. Standosi in questo stato volle il Re e Signor del cielo, che se lo chiamava, aprir con lui il seno della misericordia sua e confortarlo e rianimarlo vie maggiormente con una nuova luce e celeste visitazione; e fu in questo modo. Stando egli una notte vegliando gli apparve la chiarissima e sovrana Regina degli Angeli, che tra le braccia portava il suo preziosissimo Figliuolo; la quale con lo splendore della sua chiarezza lo illuminava, e con la soavit della sua presenza lo ricreava e ingagliardiva. Dur buono spazio di tempo questa visione; laonde egli s grandemente aborr poi la sua vita passata, e specialmente i brutti e disonesti diletti della carne, che pareva che, come con una mano, tutte le deformi rappresentazioni e immagini si levassero e traessero dallanima sua: e ben apertamente si vide che non fu sogn questo, ma verace e profittevole visitazione divina, poich con essa gl'infuse il Signore tanta grazia, e lo mut di maniera, che fino all'ultimo della vita guard la purit e castit dell'anima sua senza alcuna macchia con grandissima nettezza e integrit. Se ne stava dunque con questi propositi e con questi desiderii; e dimostrando quasi nel volto i combattimenti interni dell'animo; quando il fratel maggiore di lui e gli altri di casa facilmente vennero ad accorgersi, che era tocco da Dio, o che non era quegli che per altro tempo esser soleva: perch se bene ei non iscopriva ad alcuno il secreto del suo cuore, n parlava con la lingua, ragionava per mutamente la faccia sua ed il mutato sembiante, molto differente da quel di prima; maggiormente vedendolo occupato in una continua orazione e lezione ed in esercizi differenti dai passati: perciocch pi non si dilettava di burle, n di facete risposte, ma le parole sue erano gravi, moderate, di cose spirituali e di molto peso, e s'occupava la maggior parte del tempo in iscrivere; e per ci aveva fatto legare molto leggiadramente un libro, nel quale con molto ben formata lettera, essendo egli buonissimo scrittore, scriveva per tenerli a memoria i detti e fatti, che pi notabili gli parevano di Ges Cristo nostro Salvatore, della Vergine Maria, e degli altri Santi; e li avea in tanta divozione, che quelli di N. S. scriveva con lettere d'oro, quelli della santissima Madre con lettere azzurre, e gli altri dei Santi con altri e diversi colori secondo i vari affetti della divozione sua 3. Prendeva da tutte queste occupazioni nuova contentezza e nuovi godimenti spirituali, ma da niuna per vie maggiore, che di star mirando attentamente la bellezza del cielo e delle stelle; il che faceva molto a lungo e molto spesso: perciocch la vista esteriore e la considerazione di quello che dentro e sopra di essi cieli si contiene, gli era un grande stimolo ed incentivo al disprezzo di tutte le cose transitorie e variabili che sono sotto di essi collocate; ed egli da ci era molto pi infiammato allamor di Dio. E fu tanto il costume che ei fece in questo, che gli dur poi in tutta la vita; perch

molti anni dopo, essendo gi vecchio, io l'ho veduto varie volte stando sopra d'una loggia scoperta, o in luogo eminente ed alto donde si scopriva il cielo, affissar gli occhi in esso, e dopo essere stato gran pezza come uomo sospeso, pensoso, che entro di se rumina e volge molte cose, talmente s'inteneriva, che dagli occhi, per il diletto grande che provava nel cuore, gli scaturivano le lagrime; e io ludiva dire: Oh quanto vile e bassa mi sembra la terra, quando miro e contemplo il cielo, oh quanto lorda e fetente! Tratt medesimamente seco stesso quello che dovea fare dopo il suo ritorno di Gerusalemme; ma non fece alcuna risoluzione: solamente, come il cervo tocco dalla saetta, giva cercando ansioso le sorgenti di vive acque; attendendo a correr dietro al cacciatore che con le amorose saette lo aveva ferito. Onde giorno e notte fra se stesso andava pensando quale stato, o maniera di vita elegger dovesse, nella quale, conculcate tutte le cose mondane e postasi sotto ai piedi la ruota della vanit, potesse castigar se medesimo, e macerarsi con sommo rigore e asprezza di vita per pi compiacere e glorificare il suo Signore 4._____________CAPO TERZO.Del viaggio ch'egli fece dal suo paese alla Madonna di Monte Serrato. ***Aveva gi ricoverata Ignazio in parte la sanit; e pcrch la casa de' Loiola era molto amica e dipendente da quella del Duca di Naiara, il quale nellinfermit sua l'aveva pi volte mandato a visitare; con iscusa anchegli di visitar il Duca, e levarsi dell'obbligo, in cui dall'amorevolezza e cortesia di lui era stato posto, si mise in ordine per far viaggio; non per per questo fine principalmente, ma a guisa d'Abramo, per uscir fuori della sua propria casa e allontanarsi da parenti o amici. Del che accortosi Martino Grazia suo fratello maggiore, molto entro se stesso se ne crucci, e chiamando da parte Ignazio in una secreta stanza, cominci con ogni efficacia e col miglior artificio che seppe, a pregarlo e scongiurarlo strettamente, che dovesse molto ben riguardare quello ch'ei si facesse; e che non andasse a perdere se stesso e insieme quelli della casa sua; anzi che considerasse quanto bene fosse fondato lo stato della sua vita, quanto cammino aveva gi fatto per acquistare onore e profitto, che sopra tali principii e fondamenti avrebbe potuto stabilire qualche grande opera, e che le certe speranze dellindustria e del valor suo a tutti promettevano ogni grande impresa e lodevole riuscit: In voi, diceva egli, fratel mio, sono in sommo grado tutte queste cose, l'ingegno, il giudicio, l'animo, la nobilt; il favore e la grazia de' Principi, la benevolenza o l'amore portatovi da tutti gli uomini di questi confini, l'uso e l'esperienza delle cose di guerra, l'avvedimento, la prudenza e la vigilanza; a questo s'aggiunge l'esser voi ora nel fiore della giovent vostra ed esser di voi appresso tutti una grandissima espettazione, fondata sopra le cose da me narrate. Come dunque volete per un semplice vostro capriccio ingannar le vere e massicce nostre speranze, e lasciarci scherniti tutti e spogliata, la casa nostra dei trofei delle vittorie nostre, e priva di quegli ornamenti e di quei premii, che meritamente aspettar si possono dalle vostre fatiche? In una cosa solamente vi vado innanzi, ch' lesser nato prima di voi e l'esser vostro maggior fratello; ma per in tutto il rimanente vi cedo e riconoscovi per mio superiore: Guardate, guardate di grazia, fratel mio, da me molto pi amato che la propria mia vita, quello che fate, e non siate corrivo a far cosa, la quale non solo ci privi di quella speranza che di voi abbiamo conceputa, ma che anco oscuri la fama del nostro lignaggio con perpetua infamia e disonore. Ud Ignazio tutto il suo

ragionamento, e perch aveva altri che con maggior forza ed efficacia gli parlava nel cuore, rispose al fratello brevemente e con poche parole: Ch'egli avrebbe molto ben guardato a' casi suoi, e che si ricorderebbe ognora d'esser nato di buoni e nobili parenti, e che gli prometteva di non far cosa che fosse contra l'onore di casa sua. Cos con queste poche parole, se ben non soddisfece al fratello, si lev e liber da esso, e si pose in cammino accompagnato da due servitori, i quali poco dipoi, dando loro tutto quello che seco portato aveva, da se licenzi. In questo viaggio dunque; fin che giunse alla chiesi della Madonna di Monte Serrato, dal giorno che si part di casa, ebbe in costume di disciplinarsi aspramente ogni notte. Ed acciocch intendiamo per quali vie e per quali gradi Iddio questo suo servo ascender facesse per salire alla perfezione, da sapere, che egli in questo tempo n sapeva, n men si curava di sapere, che cosa fosse carit, umilt e pazienza, n disprezzo di se medesimo: non avea notizia della propriet e natura di qualsisia delle virt; quali fossero le parti e gli uffici di esse, e dentro quali limiti stesse rinchiusa la temperanza, che la ragione e prudenza divina e spirituale ricerca. A niuna delle cose predette poneva egli pensiero, ma solo adocchiando e abbracciando quello che allora gli pareva migliore e pi a proposito del presente suo stato, poneva ogni suo sforzo e pensiero in far cose molto grandi e difficili, per affliggere con asprezze e castighi il corpo suo: e tutto ci non per altra ragione, se non perch i Santi, i quali egli s'aveva preso per norma ed esempio, erano iti per la medesima via. Onde cominciava nostro Signore dindi in poi a piantare nel cuor d'Ignazio un vivo e ardentissimo desiderio di cercare e procurare in tutte le cose quello che fosse per esser pi gradito agli occhi di sua Divina Maest; e questa maggior gloria divina fu sempre lo scopo, la vita e l'anima di tutte le sue operazioni: Aveva per di gi salito un grado pi alto in queste penitenze chegli faceva: perciocch in quelle non tanto riguardava, come prima, ai propri peccati, quanto al desiderio di far cosa grata a Dio. Laonde se bene veramente aborriva assai le passate colpe, nelle penitenze per, per soddisfazione di esse, era il suo cuore cos infiammato e ardente di veementissima voglia di piacere a Dio, che non teneva conto tanto de' suoi misfatti, n d'essi tanta memoria aveva, quanto della gloria e dellonore divino, la cui ingiuria procurava egli di vendicare severamente col fare di essi aspra e rigorosa penitenza. Seguiva dunque Ignazio, come si detto, il suo viaggio al Monte Serrato e s'incontr a caso in uno di quei Mori che in quel tempo erano ancora rimasi in Ispagna nei regni di Valenza e d'Aragona. Cominciarono ad andar insieme ragionando, e d'una in altra cosa passando, vennero a trattare della verginit e purit della gloriosissima Vergine. Concedeva il Moro che la beata Madre, nel parto e avanti il parto fosse stata vergine, poich cos conveniva alla grandezza e maest del suo Figliuolo; ma che dopo il parto tale non era stata: e per provar ci adduceva molte false e apparenti ragioni, le quali tutte erano da Ignazio abbattute e mandate a terra, procurando allincontro con ogni sua forza di sgannar il Moro e farlo venire in cognizione della verit: ma ci non pot effettuare, poich spronando il cavallo, quegli repentinamente da Ignazio si tolse, lasciandolo solo e molto dubbioso e irresoluto di quello che s'avesse a fare: perciocch non ben sapeva, se la fede, della quale faceva professione, e la piet cristiana l'obbligasse a correre dietro al Moro, e indi trovatolo, dargli delle pugnalale per la sfacciata audacia ed imperioso ardire che

aveva avuto di parlare senza alcuna vergogna in disprezzo della beata e sempre immacolata Vergine. E non meraviglia, che un uomo avvezzo alle armi ed uso a riguardare ad ogni puntiglio di onore, a cui il pi delle volte il falso sembra vero, e cos molti ne vengono ingannati, tenesse per proprio affronto e caso di non poca importanza, che un inimico della nostra santa fede osasse di parlare alla presenza di lui in disonore della sempre vergine Maria. Questo pensiero nel sembiante pietoso pose in gran travaglio il nostro nuovo soldato; ma dopo aver alquanto pensato sopra di ci si dispose finalmente di seguire il suo viaggio fin che arrivasse dove la strada in due parti si divideva, luna spaziosa e comunemente calpestata, per cui si era indirizzato il Moro, e laltra stretta e angusta; e quivi giunto, lasciando la briglia su 'l collo alla cavalcatura se per quella s'inviasse presa dal Moro, arrivarlo, e con molte stoccate torgli la vita: ma se per l'altra strada si volgesse, lasciarlo liberamente andare e non tener di lui conto alcuno. Volle la bont divina, la quale con la sapienza e provvidenza sua ordina tutte le cose per beneficio di quelli che bramano di piacerle e servirla, che il cavallo lasciando il facile e piano sentiero, per cui era andato il Moro, si torcesse a quello che era ad Ignazio pi utile e profittevole. E quindi cavar possiamo per quali vie volle nostro Signore chiamare questo suo servo a se, e da quali principii e mezzi venne a salire alla cima di cos alta perfezione: perciocch, come dice il Beato Agostino 5, le anime capaci della virt a guisa di terreno fertile e morbido sogliono molte fiate partorir dei vizi, e come erbe cattive dimostrano le virt e i frutti che produrvi potrebbono, quando fossero purgate e coltivate. Laonde Mos ammazzando l'Egitto, come terra ancora incolta, dava per segni, quantunque non buoni della sua molta fertilit, e della forza naturale che aveva per far cose di grande importanza. Essendo dunque Ignazio non molto lontano dal Monte Serrato arriv ad una villa dove compr l'abito e il vestimento che aveva fatto pensiero di portare nel pellegrinaggio di Gerusalemme, che fu una veste lunga fino ai piedi a modo di un sacco di canavaccio aspro e molto grosso, cingendosi con un pezzo di fune, le scarpe fatte di corda come si usa in Ispagna; un bordone di quelli che sogliono i pellegrini portare, ed una zucca per bere un poco d'acqua quando fosse molestato dalla sete. Ma perch temeva molto e dubitava della fralezza della sua carne, tuttoch per avere ricevuto quel celeste favore da noi di sopra narrato e sentire in se di continuo vivi desiderii di aggradire a Dio, somministratigli dallo stesso Signore, si trovasse gi molto pi innanimato e fortificato. per poter resistere e combattere contra le tentazioni; con tutto ci riposta ogni sua speranza nella santissima regina degli Angeli, vergine e madre della purit, fece in questo viaggio voto di castit, e offr a Cristo nostro Signore e alla sua santissima Genitrice la purit del corpo e dell'anima sua con grandissima divozione e ardente desiderio d'acquistarla; e cos lacquist da mantenerla sempre perfettamente intatta e incorrotta, siccome abbiamo detto di sopra nel Capitolo secondo: tanto potente la divina mano a soccorrere quelli che con fervore di spirito se le raccomandano, prendendo per avvocata e mediatrice la bellissima Madre di Dio 6. _____________CAPO QUARTOCome si mut l'abito nel Monte Serrato. Monserrato un monastero di monaci di S. Benedetto, lontano da Barcellona una giornata; luogo dedicato alla Madre d'Iddio, di grandissima divozione e celebre in tutta la cristianit per i continui miracoli e pel gran concorso delle genti

che da tutte le parti vengono a chieder favori e grazie alla santissima Vergine, la quale ivi cos segnalatamente riverita. A questo santo luogo arriv Ignazio; e la prima cosa ch'ei fece, come infermo che per ricuperare la sanit cerca il pi eccellente medico, cos egli elesse un ottimo confessore: e a lui, avendola prima posta in iscritto, fece una confessione generale di tutta la sua vita con molta attenzione e diligenza, e vi pose tre giorni. Era questo confessore un religioso dei principali di quella casa, a cui, come a padre e maestro spirituale, scopr e pales ogni proposito e ogni intenzione sua. Lasci la cavalcatura al Monastero; la spada e il pugnale, dei quali prima si era compiaciuto e pregiato, e con che avea servito al mondo, appese avanti l'altare della beata Vergine. Era dell'anno 1522 la vigilia di quell'allegro e gloriosissimo giorno, che fu principio di ogni nostro bene, nel quale il Verbo eterno nelle viscere della sua santissima Madre si vest della carne nostra, quando egli se ne andava in tempo di notte con la maggior secretezza che poteva; ed a caso incontrandosi in un uomo povero, mendico e con le vesti tutte stracciate, gli diede i suoi vestimenti, fino alla propria camicia; e egli si vest di quel suo tanto desiderato sacco che comprato aveva; ponendosi poi in ginocchioni avanti laltare della gloriosissima Vergine. E perch suole nostro Signore tirar gli uomini alla sua conoscenza per quelle cose che sono simili alle inclinazioni e costumi loro, acciocch per esse, come da loro pi intese e di cui prendono gusto maggiore, vengano parimente ad intendere e gustare quelle che prima non intendevano; il medesimo volle far con Ignazio, il quale avendo letto nei suoi libri di cavalleria, che i novelli cavalieri sogliono prima che siano ammessi nell'Ordine, vegghiare tutta una notte intera in una chiesa, il che in Ispagna si chiama la veglia delle armi; per imitare anchegli quel rito militare con spirituale rappresentazione come novello cavaliere di Cristo e vegghiar le sue nuove armi delle quali s'era vestito, deboli e fiacche secondo lesteriore apparenza, ma veramente e in effetto molto ricche e molto gagliarde contra l'inimico di nostra natura, se ne stette tutta quella notte vegghiando, parte in piedi e parte in ginocchio avanti l'immagine della Vergine, raccomandandolesi di cuore e amaramente piangendo i suoi peccati con proposito per l'avvenire di emendare la vita sua. E per non esser conosciuto, innanzi che venisse giorno, torcendosi dal diritto e frequentato sentiero che va a Barcellona, si ridusse frettoloso ad un castello presso la montagna, chiamato Manresa, nove miglia lontano da Monserrato, avendo coperto le carni con quel solo vile e grosso sacco, cinto con la fune, col bordone in mano, con la testa scoperta, e con un piede scalzo; che l'altro, per sentirselo s debole e fresco della ferita, che ogni notte se gli gonfiava la gamba, la quale per questa cagione teneva fasciata, necessario gli parve il calzarlo. Era andato oltre tre miglia s festoso e allegro per la sua nuova divisa, che appena per il piacere capiva entro se medesimo, quando all'improvviso si sent chiamare da un uomo che dietro correndogli lo seguiva, e dimandare se era vero, ch'egli avesse donati i suoi ricchi vestimenti ad un povero, che ci esser vero affermava con giuramento; e la giustizia pensando che li avesse furati, l'aveva posto prigione. Il che inteso da lui, mutandosi tutto e perdendo la voce, non pot le lacrime contenere, dicendo fra se medesimo: Guai a te peccatore, che non sai, n puoi far beneficio al tuo prossimo senza fargli danno e anco affronto. Ma per liberar dal pericolo colui che senza alcun suo fallo vi era incorso, rivolto a

quello che lo addimandava, confess finalmente, che egli era stato che gli aveva dato quei vestiti. E bench quegli chiedesse chi era, donde veniva, e come fosse il suo nome, a niuna di queste cose rispose Ignazio, parendogli, che a proposito non gli fossero per liberare quell'innocente. ______________CAPO V.Della vita che fece in Manresa.Arrivato ch'ei fu a Manresa, s'indirizz subito all'ospedale per viver tra gli altri poveri mendicanti, quivi esercitandosi per combattere animosamente contra l'inimico e contra se medesimo. E quello che maggiormente procurava, era l'occultare il suo lignaggio ed il modo della sua vita passata: acciocch straniero o sconosciuto agli occhi del mondo, pi liberamente e con maggior sicurezza potesse conversare avanti a Dio. La vita ch'egli faceva, era questa. Con la ruvidezza dell'abito poco di sopra da noi raccontato, ricopriva le carni sue: ma perch nel pettinarsi e nell'aver cura della capigliatura e negli altri ornamenti della persona era stato molto curioso e diligente al secolo, acciocch il disprezzo di questo fosse agguagliato al soverchio pensiero che per vanagloria aveva in ci posto, giorno e notte se n'andava col capo scoperto, e la zazzera, ch'avea lasciata crescere come in quel tempo si usava e con diligenza nudrita perch bella e crespa apparisse, negletta e scapigliata la portava, e con disprezzo simile si lasci crescer le unghie e la barba. Ed in questo modo solito nostro Signore di mutare i cuori di quelli che trae al suo servigio, e con la nuova luce che loro comparte fa veder le cose della maniera che sono, e non tali quali loro sembravano prima; aborrendo quello che avanti ad essi arrecava gusto, e gustando di quello che per linnanzi aborrivano. Ogni giorno tre volte aspramente si disciplinava; e con gran fervore ed intensa divozione se ne stava con le ginocchia in terra sette ore facendo orazione. Udiva messa, vespero e compieta ogni giorno; ed in ci sentiva gran contento e molta consolazione interiore: perch essendo gi il suo cuore mutato e come molle cera disposto perch le cose divine dentro vi si imprimessero, le voci e le lodi del Signore, che gli entravano per le orecchie, penetravano fino nell'intimo delle viscere sue; e con il calore della divozione si liquefaceva in esse contemplando la verit loro. Chiedeva quotidianamente l'elemosina; non mangiava per carne, n beveva vino: si sostentava solo col pane e con l'acqua, e questo anco con tale astinenza e parsimonia, che dalle domeniche in fuori, tutti gli altri giorni digiunava: gli serviva per letto la nuda terra, passando la maggior parte della notte senza dormire. Si confessava in tutti i giorni di domenica, ed in essi riceveva il santissimo Sacramento dell'altare. Teneva tanto conto di contrariare a se medesimo, e si metteva tanto a cuore il soggettar la propria carne e ridurla allobbedienza e servit dello spirito, che si privava di qual si voglia cosa, e fuggiva tutto ci che potesse dare alcuna dilettazione o piacere al corpo. Da tutte queste cose ne nacque, che quantunque ei fosse uomo robusto e di gran forza, in pochi giorni nondimeno s'infievol e rese debole la possanza del suo antico vigore e gagliardezza, e rest molto debilitato con il rigore di cos aspra penitenza. Venne con questo a tirar gli occhi della gente a se, ed in oltre traeva anco i cuori; poich molti che se gli accostavano e che desideravano di trattar seco familiarmente, quando l'udivano ragionare, restavano da una parte ripieni di meraviglia, e dall'altra infiammati ed accesi per quella bont che in lui scoprivano. Perciocch se bene egli era principiante e novizio nelle cose spirituali e poco esercitato nelle virt, era per l'anima sua cos

accesa nel fuoco del divino amore, che non poteva fare s, che non ne evaporassero le sue fiamme e scintillassero gli splendori. E quindi era che le sue cos accese parole, accompagnate con la forza e con lo spirito che aveva in persuadere la vera virt, e con lesempio di quella vita che a tutti era manifesta e palese, aiutando a ci fare la grazia del Signore, erano in gran parte cagione per guadagnare l'anime a Dio e per innamorar i cuori di quelli che seco trattavano, affezionarsegli, renderli sospesi e grandemente meravigliati. Al che non aiutava poco quel molto che per la terra s'era divulgato del suo valore e della sua nobilt; che passando di bocca in bocca, come suole accadere, fu pubblicato molto maggiore di quello che era in verit. Ebbe origine questa voce da quello che egli con tanta secretezza aveva operato nel Monte Serrato, e che con tutta la sua diligenza ed accuratezza non aveva potuto ricoprire. Perciocch quanto pi egli si sforzava di asconder laccesa lucerna e porla sotto lo staio (Mt, 5), tanto pi Iddio nostro Signore la metteva sopra il candeliere, acciocch a tutti comunicasse la luce sua. _______________CAPO VICome Nostro Signore lo prov e permise che fosse molestato da scrupoli.Entrato dunque il nostro soldato in isteccato, quando seco medesimo e col demonio valorosamente combattendo, pass i quattro primi mesi con gran pace e tranquillit di coscienza, e con una medesima continuazione di vita, senza intendere gl'inganni e stratagemmi che usar suole linimico con cui egli combatteva. Non aveva ancora satana scoperte le sue invasioni e i progressi, i suoi assalti e le sue mentite fughe, le sue mine insidiose ed occulte: ancora non laveva assalito coi dardi delle sue tentazioni, n laveva spaventato ed impaurito, come suol far con quelli che da dovere s'incamminano per la strada della virt. Ancora non sapeva Ignazio che cosa fosse il godere la luce della consolazione, dopo aver passate le tenebre orribili e spaventose della scontentezza e tentazione; n aveva sperimentato la differenza che v'ha tra l'animo allegro e malinconico, elevato in alto ed abbattuto, prosteso e che sia in piedi; perciocch non era passato il suo cuore per quelle mutazioni, delle quali suol far prova l'uomo spirituale: quando un giorno essendo nell'ospedale intorniato da molti poveri, ripieno di sucidume e di lordura, l'inimico l'assal con questi pensieri, dicendogli: che fai tu qui, povero Ignazio, in questo fetore ed in questa bassezza? perch sei ricoperto con abito s vile ed abietto? non vedi che praticando con questa gente negletta, ed andando come uno di essi, oscuri ed offuschi lo splendore della tua nobile famiglia? Allora Ignazio pi appresso ai poveri s'accost, e pi amichevolmente cominci a trattar con esso loro, facendo appunto tutto al contrario di quello che gli era persuaso dall'inimico, in questa maniera vincendolo e superandolo. Un altro giorno sentendosi molto lasso ed affaticato, fu da un altro molestissimo e travaglioso pensiero assalito, che pareva che gli dicesse: e come possibile, che tu soffrir possa una vita cos aspra e cos miserabile come questa tua, peggior assai che quella delle selvagge fiere, avendo a vivere ancora settant'anni? Al che egli rispose: e tu, che questo mi dici, mi puoi per avventura assicurare d'una sola ora di vita? non Iddio quegli, che tiene nella sua mano tutti i momenti e tutto il tempo che viviamo? e settant'anni di penitenza, che sono eglino paragonati all'eternit? Questi due soli assalti gli furono fatti dal demonio alla scoperta per ritrarlo indietro e deviarlo dall'incominciato cammino. E l'essere stato colmo di tanti travagli, intorniato da tanti pericoli, e trafitto l'animo suo con

tante spine e triboli pungenti, siccome chiaramente lo dimostra quello ch'ei fece e sopport, fu segno della particolar misericordia, con la quale il Signore lo prevenne nelle benedizioni della sua dolcezza. Ma ebbe d'indi in poi, e sent gran mutazione nell'anima sua, e cominci a provare grandi altercazioni, e quasi come contrari movimenti in essa: perciocch stando in orazione, e nelle sue divozioni continuando, in un subito alcune volte se gli rendeva secco ed arido il cuore, e trovavasi cos pieno d'angustie e cos tra se stesso confuso, che non poteva pigliar forza, n levarsi da una certa malinconia che miseramente l'animo tutto gli ingombrava; anzi di se medesimo nulla compiacendosi era a se stesso insipido e noioso divenuto per vedersi privo d'ogni gusto spirituale. Ma tra queste mestizie sorgeva subito con tanta forza un come corrente fiume di consolazione divina e cos impetuoso, che lo rapiva e dentro tutto ve limmergeva. Cos con questa luce sparivano le nubi della passata tristezza e mutazione; la quale differenza e mutazione egli gi conoscendo, mosso dalla novit, meraviglioso fra se stesso diceva: che cosa vuol dir questo? che cammino questo, per cui entriamo? che nuova impresa questa che da noi viene incominciata? a che sorta di guerra ci prepariamo noi di andare? Per fra tutte queste cose l'assal nuova sorte di tormento, che fu l'incominciare ad agitarlo e premerlo gli scrupoli e la coscienza dei propri peccati: di maniera che passava tutti i giorni e le notti amaramente piangendo, pieno sempre di fastidio e travaglio. Perch sebbene con tutta la diligenza e cura possibile s'era confessato generalmente di tutti i suoi peccati; nostro Signore per, che per questa via esercitar lo voleva, permetteva, che bene spesso la coscienza lo rimordesse, che il verme interiore lo consumasse, e dubitasse talvolta, se avesse confessato bene quel peccato, se dichiarato bene quell'altro, se esplicate, come esplicar si dovevano, tutte le circostanze; se per aver lasciato alcuna cosa di quello ch'ei fece, non avesse detta compitamente la verit; e se per aggiunger quello, che fatto non aveva, mentito nella confessione. Era cos afflitto dagli stimoli pungenti di queste considerazioni, che n riposo trovava nell'orazione, n alleviamento con le vigilie e digiuni, n rimedio con le discipline ed altre maniere di penitenza; anzi atterrato ed abbattuto dall'impeto della malinconia, abbandonato nell'animo e caduto con la forza di cos grave dolore, si gettava in terra, come sommerso ed affogato dallonde e tempeste del mare: fra le quali non aveva altro rifugio o riparo, se non il ridursi, come soleva, a ricever il santissimo Sacramento dellaltare. Alcune volte per quando aprir voleva la bocca per ricevere il pane di vita, con maggior impeto e forza tornavano di nuovo subitamente ad innalzarsi l'onde fluttuose degli scrupoli amari; e lo toglievano e deviavano da se stesso, mentre anco stava posto in ginocchio avanti laltare. Ma indi in se medesimo ritornato, lasciava la briglia ai dolorosi singulti ed alle copiose lacrime che gli bagnavano il petto, e gridava a Dio, dicendo (Is. 38): Signore, io patisco gran forza, rispondete voi per me, ch'io pi non posso: ed altre volte con l'apostolo diceva (Rom. 7): Misero ed infelice me! chi mi liberer da questo corpo e dal peso di questa vita ch'io vivo, che merita pi tosto nome di morte? Se gli offriva un rimedio, e questo gli pareva, che fosse il pi potente di tutti per liberarsi da questi scrupoli, ed era, se il suo confessore, da lui tenuto in luogo di padre, ed a cui egli interamente scopriva tutti i secreti e movimenti dell'anima sua, lo pacificasse ed acquietasse, e dindi in poi in nome di Ges Cristo

gli comandasse, che non si confessasse pi di alcuna colpa commessa nella sua vita passata. Ma perch questo rimedio era nato da se medesimo e di suo capo, temeva non gli arrecasse pi tosto danno che aiuto od utilit; per non osava dirlo al confessore. Avendo dunque passati molti giorni in questo cos crudele travaglio, fu molestato da questi scrupoli un d con cos grande e forte procella, che come smarrito ed abbandonato nocchiero, derelitto e privo dogni consolazione, s'inginocchi avanti il divino cospetto in orazione, ed ivi acceso con fervorosa fede, cominci ad alzar la voce ed altamente a dire: Soccorretemi, Signore, soccorretemi Dio mio: porgetemi, Signore, la mano fin di l dal vostro alto trono: difensor mio, in voi solo spero; ch non trovo negli uomini, n in verun'altra creatura pace o riposo: rimiratemi, Signore, per darmi rimedio: scoprite sopra di me codesta vostra allegra faccia; e poich siete mio Dio, dimostratemi il cammino, per cui io venga a voi: siete voi il mio Signore, e chiunque mi darete per guida e maestro, acciocch pacifichi l'afflitta e sconsolala anima mia, se ben fosse un cagnuolo, l'accetto io fin d'ora per mia scorta e mio duce. Era egli in questo tempo dall'ospedale passato ad un monastero dei Religiosi di S. Domenico, che ivi in Manresa, dove quei Padri gli usarono molta carit; e mentre era in questa cos grande afflizione, era ivi alloggiato in una cella. La qual tempesta con i gemiti e con le lacrime non si acquietava, n si rendeva minore; anzi maggiormente si accrebbe per un nuovo ed impetuoso nembo che fortemente lo strinse, e con un disperato pensiero che combattendolo gli diceva, che si gettasse da una finestra della cella a basso, e quindi si precipitasse. Ma egli rispondeva: non far io gi tal cosa, n tenter il mio Iddio; e con questo a Dio volgendosi diceva: che cosa questa, Signore? non siete voi mio Iddio e mia fortezza? come dunque mi volete scacciar da voi? perch permettete ch'io sia s malinconico e tristo, e che cos fieramente l'inimico mi affligga, il quale ognora ad alta voce mi dimanda: Dove il tuo Iddio? ed ove se n' ito egli? Querelandosi dunque con questi penosi gemiti ed amorose querele, gli venne in pensiero un esempio di un Santo, che per ottener da Dio una grazia che gli chiedeva, si determin di digiunare fino a tanto ch'impetrata l'avesse; ad imitazione del quale egli parimente propose di non voler mangiare, n bere fin che non ritrovasse la tanto desiata pace dell'anima sua, se gi non si vedesse per questo a pericolo di morire. Con tal proposito sette giorni interi guard cos perfettamente il digiuno, che niuna cosa del mondo gust, non lasciando per di stare in orazione con le ginocchia in terra sette ore continue, n meno desistendo dal disciplinarsi tre volte ciaschedun giorno, n tralasciando gli altri esercizi e divozioni sue che aveva in costume: e sentendosi dopo questo tempo ancora con forze tali, che poteva passar avanti, e niente fiacco ed indebolito, voleva seguitar il suo digiuno ch'aveva durato da una domenica all'altra; nella quale confessandosi, e dando conto, come soleva, al confessore di tutto quello che era passato quella settimana per l'anima sua, e quello che per l'avvenire intendeva di fare; s'oppose a ci il confessore e gl'imped il suo proponimento; comandandogli che mangiasse, e dicendogli che se non lo faceva, e se pietosamente non si confidava nella misericordia del Signore che gli aveva perdonati i suoi peccati, non gli avrebbe data l'assoluzione. Ubbid egli dunque semplicemente a quello che il confessore gli comand, acciocch non paresse che volesse tentar Iddio; e per quel giorno e per laltro che segu, si sent libero dagli

scrupoli; nel terzo poi torn come prima ad esser da essi combattuto. Ma al fine l'esito di questa dura battaglia, che l'aveva posto in cos pericoloso certame, fu che svanendo, come fumo, le tenebre che il demonio poneva avanti a cose s chiare, e vestita l'anima sua e illuminata da nuova luce del cielo, a guisa di chi si risveglia da lungo e profondo sonno, aperse gli occhi per veder quello che non scorgeva da prima, e disingannato, con grande risoluzione determin di seppellir la memoria dei peccati passati, n trattare, o toccar mai pi nella confessione le sue antiche piaghe. E con questa cos segnalata vittoria fece acquisto nell'anima sua d'una meravigliosa pace e serenit, e di cos gran discrezione di spiriti e conoscenza de' suoi movimenti interiori, e di grazia cos mirabile da Dio per curare le scrupolose coscienze, che niuna persona andava infetta da questa infermit di scrupoli, che meravigliosamente col consiglio di lui non ne restasse libera e sciolta. Perciocch Iddio non provava Ignazio per se solo, ma per nostra utilit ancora, per cui faceva insieme quella prova tanto dura e di tanto costo. Che sebbene il Signore ricerca e vuole, che tutti i suoi soldati sieno molto approvati ed esperti, molto maggiormente per lo richiede in quelli che hanno ad esser guide e capitani degli altri, i quali dopo averli molto umiliati ed abbattuti, suo costume d'innalzarli e consolarli; mortificandoli prima, e vivificandoli dopo: acciocch possano per quello che appresero ed esperimentarono in se stessi, consolar quelli che si ritroveranno da alcuna simigliante angustia e tribolazione oppressi. _________________CAPO VII.Come passate le tentazioni, Iddio nostro Signore lo consol.Essendo dunque uscito per divina misericordia de' travagli ed
oppressioni delle tentazioni passate, e vedendosi aver assai quieto e libero il cuore; non per questo stette punto ozioso, avendo in pensiero di aver nell'anima sua scolpito un vivo ritratto di tutte le virt. Ed il buon Ges, che nelle sue parole fedele o verace, nelle operazioni clementissimo e misericordioso, e che mai non lascia alcun servizio, per piccolo ch'ei sia, senza la dovuta ricompensa, volle amorosamente conceder a questo suo servo divini conforti e celesti consolazioni, illuminando con esse lintelletto di lui, infiammando la volont, ed invigorendolo per poter operar ogni bene: acciocch secondo la misura della moltitudine dei dolori passati, che avea sofferti nel cuore, cos con altrettante consolazioni del Signore, come dice il Profeta, fosse rallegrata e rifocillata l'anima sua. E se bene fin dal principio Ignazio era trattato da Dio , come egli stesso diceva, della maniera che suole un buono e ben discreto maestro, che tiene appresso di s un fanciullo picciolo e tenero per ammaestrare; a cui a poco a poco va insegnando, n di molte cose lo carica, n gli d nuova lezione fin che non sa e ripete ben la passata: nondimeno poich con le tentazioni s'avanz e pass avanti, entrando nella scuola dei pi provetti, cominci Iddio ad insegnargli pi alta dottrina ed a scoprirgli cose maggiori e misteri pi sovrani. Laonde essendo egli divotissimo della santissima Trinit, ed a ciascheduna delle Persone divine portando gran divozione, recitava ogni giorno alcune sue certe e particolari orazioni: e stando un giorno sui gradini delle scale della chiesa di san Domenico dicendo le ore della Madonna, l'intelletto suo cominci a levarsi in ispirito, e rappresentossegli, come se con gli occhi corporali la vedesse, quasi come una figura della Santissima Trinit, che esteriormente gli significava quello che interiormente intendeva; e fu questo con tanta grandezza ed abbondanza di consolazione, che n allora, n dipoi, andando egli in una processione che si faceva, era in suo potere il reprimere i singhiozzi che dal cuore e le lacrime che dagli occhi gli uscivano; n pot temperarle fino all'ora del mangiare; e dopo il pranzo eziandio n pensare, n parlar poteva di verun altra cosa, che del mistero della santissima Trinit, il quale esplicava con tanta copia di ragioni, similitudini, esempi, che tutti quelli che l'udivano, restavano meravigliati e stupiti. E d'indi in poi gli rest cos impresso e stampato nell'animo questo indicibile mistero, che nel medesimo tempo, essendo egli un uomo che niente pi sapeva, che semplicemente leggere e scrivere, cominci a

comporre un libro, che era di ottanta fogli, trattando in esso di questa profonda materia: ed in tutta la vita sua gli restarono nell'anima scolpiti i segni e le vestigia di questa grazia singolare. Perciocch quantunque volte faceva orazione alla santissima Trinit, il che soleva fare frequentemente e mettendovi molto tempo, sempre sentiva grandissima soavit di consolazione divina nell'anima sua: e alcune fiate era pi segnalata e particolare la divozione che aveva al Padre Eterno, come principio e fonte di tutta la Divinit ed origine dell'altre persone divine, alcun'altra al Figliuolo, e alcun'altra finalmente allo Spirito Santo, raccomandandosi, e ad ognuna da per se offerendosi, cavandone da tutte unitamente come da una prima causa, e bevendo come da un abbondantissimo fonte e torrente di tutte le grazie copiosamente il sacrato liquore delle perfette virt. In altro tempo parimente se gli rappresent con grande allegrezza di spirito il modo che Iddio tenne nella creazione del mondo; il che molto tempo dipoi, quando egli stesso queste cose raccontava, diceva che non poteva con parole esplicare. Udendo messa un giorno nella chiesa del medesimo monastero, stando con grandissima riverenza o con divota attenzione nel tempo che si alzava l'ostia e che al popolo si dimostrava, vide chiaramente con gli occhi dellanima come in quel divino mistero e sotto quel velo e spezie di pane veramente stava coperto nostro Signor Ges Cristo, vero Dio e vero uomo. Molte volte anco stando in orazione per lungo spazio di tempo con gli occhi interiori medesimamente vide la sacra umanit del Redentore nostro Cristo Ges, ed alcuna fiata parimente la gloriosissima Vergine madre sua; e questo non solo in Manresa gli avvenne, dove allora si ritrovava, ma dipoi ancora in Gerusalemme, in Italia presso a Padova, e in molte altre parti. Con queste visitazioni e grazie divine era l'anima sua resa cos chiara dal lume celeste, e con tanto conoscimento e sicurezza confermato nelle cose della fede, e lo spirito suo cos robusto e gagliardo, che pensando dipoi a queste cose seco medesimo molte volte, gli pareva e si persuadeva daddovero, che se i misteri della nostra santa fede non fossero scritti nelle lettere sacre, o se, il che esser non puote, la divina Scrittura perduta si fosse, con tutto ci sarebbono per lui cos certi, e gli terrebbe cos fissi e scritti entro alle viscere sue, che, solamente per quello che veduto aveva, non avrebbe dubitato d'intenderli, d'insegnarli e di morir per essi. Uscito un giorno fuori di Manresa ad una chiesa un miglio quindi lontana, ed essendo trasportato dalla contemplazione delle cose divine, si pose a sedere alquanto alla riva d'un fiume, e affissati gli occhi corporali nelle acque, quivi quelli dell'anima gli furono aperti e resi chiari con una nuova e inusitata luce: non per che vedesse alcuna immagine, o specie sensibile, ma solo con unaltra maniera d'intendere venne perfettissimamente a conoscere molte cose, cos di quelle che appartengono ai misteri della fede, come di quelle che spettano al conoscimento delle scienze; e questo con un lume cos grande e sovrano, che dopo ch'ei la ricev, le medesime cose, che per l'innanzi vedute aveva, altre differenti gli parevano. Ed essendo stato buono spazio in questo ratto e divina elevazione, quando egli in se stesso si rivolse, inginocchiossi avanti una croce che ivi stava, per render grazie a nostro Signore di cos alto e cos immenso beneficio ricevuto. Ma prima che ei fosse con queste grazie e divini favori dal Signore visitato, essendo ancora nell'ospedale, e altrove anco molte volte, gli si rappresent avanti una bella e risplendente figura, la quale non poteva discernere, come avrebbe voluto, n che cosa ella fosse, n di qual materia composta; se non che gli sembrava aver forma quasi d'un serpe, che con molti lumi, a guisa d'occhi, risplendesse. La quale quando gli era presente, molto contento e consolazione gli cagionava, e per lo contrario molto scontento e pena quando spariva. Questa medesima visione quivi ancora se gli rappresent, essendo prostrato in terra avanti la croce. Laonde ora che aveva maggiore abbondanza della divina luce, in virt della croce santa; avanti la quale stava inginocchiato, conobbe facilmente, che quella cosa non era cos chiara, n cos risplendente allora, come avanti se gli offeriva; e manifestamente conobbe, che era il demonio che ingannar lo voleva. E d'indi in poi molto tempo e molte volte gli apparve, non solo in Manresa e nei viaggi ch'ei fece, ma ancora in Parigi e in Roma. Non rendeva per

il sembiante e l'aspetto suo chiarezza e splendore; ma era cos brutto, deforme e vile, che non facendo alcun conto di lui, col bastoncello, che per appoggiarsi parlava in mano, agevolmente da se lo discacciava. Stando tuttavia in Manresa, con molto fervore esercitandosi nelle occupazioni da noi di sopra narrate, accadde che un giorno

d'un sabato all'ora di Compieta, fu destituto ed abbandonato di maniera da tutti i sentimenti, che come morto lavrebbono seppellito, se uno degli astanti non gli avesse tocco il polso ed il cuore, che tuttavia, fiaccamente per, gli batteva e palpitava nel petto. Dur in questo ratto e estasi fino al sabato dell'altra settimana, nel qual giorno alla medesima ora di Compieta, ritrovandosi molti presenti, che ci osservavano, a guisa d'uno che si risveglia da dolce e saporito sonno, apr gli occhi, con voce soave ed amorosa dicendo: Ahi Ges, Ges. Di questo abbiamo noi per autori quelli stessi che furono di ci testimoni: perciocch il P. Ignazio non lo disse mali, ch'io sappia, ad alcuna persona; anzi con umile e grave silenzio sempre tenne coperta ed ascosa questa cos segnalata visitazione del Signore. Parr per avventura ad alcuno, che queste cose da noi narrale siano straordinari favori di Dio ed incredibili; e tanto maggiori in un soldato che pur ora s'era levato dal rumore dell'armi, e slattato dai diletti e dalla velenosa dolcezza del mondo, e che cominciava pur allora ad aprir gli occhi ed a gustare della salubre amarezza della mirra e croce di Cristo. Ma quelli che dicono, che sono impossibili, se pur ve ne sono alcuni, saranno uomini, che comunemente non sanno, non intendono, n hanno udito dire, che cosa sia spirito, n godimento, n frutto spirituale, n visitazione di Dio, n lume del cielo, n il buon trattamento dell'anime sante e elette; e pensano che non vi siano altri passatempi, altri gusti, n altre ricreazioni, se non quelle, che eglino di notte e di giorno, per mare e per terra, con tanto pensiero, con tanta sollecitudine e con tanta arte vanno cercando, per soddisfare ai loro appetiti e appagare la loro sensualit. Onde a questi tali non bisogna por mente; poich l'uomo animale, cio il carnale, e che ha inviluppata lanima sua, e inclinata alla porzione inferiore e alla parte sensuale, non capisce, come dice lApostolo (1Cor. 2), e non intende le cose di Dio. E cos, poich egli cieco, giusta cosa non , che faccia giudizio di quello ch'ei non vede. Vi saranno per altri cristiani ancora e prudenti e avvezzi a legger nelle istorie e vite de' Santi, che sapranno, che alcune fiate suole nostro Signore far queste grazie e favori a quelli specialmente che riceve per suoi, e a questi concede straordinari privilegi fuor della regola e ordine, con che tratta la gente comune; e intenderanno parimente, che se bene nelle rivelazioni e nell'estasi vi di mestieri di molto riguardo, poich vi pu essere, come bene spesso interviene, inganno, pigliando per visitazioni del cielo le illusioni di satana che si trasfigura, come dice l'Apostolo, in Angelo di luce, seguendo per rivelazione di Dio la propria e falsa immaginazione, ragionata o da leggerezza e secreta superbia del nostro cuore, o da umor malinconico, o pure da alcuna infermit che molte volte fa parere che si veda e oda quello che veramente n si vede, n si sente; non lasciano per d'essere per questo nella Chiesa di Dio veraci e divine rivelazioni, con le quali talora favorisce sua Maest i suoi pi singolari e congiunti amici, e ad essi con pi stretta e particolare comunicazione si va comunicando. Laonde non meraviglia, che col nostro Ignazio ancora abbia usata la medesima misericordia, e che con s larga liberalit abbia seco compartito de' suoi tesori e delle sue infinite ricchezze: perciocch se ben egli era soldato e in questa scuola novello, aveva per in poco tempo fatto gran viaggio, e era andato molto avanti nel suo proprio profitto e nelle lettere della vera sapienza; e l'aveva nostro Signore eletto per capitano e duce d'uno degli squadroni della sua Chiesa, che sono

come le genti d'arme negli eserciti ben ordinate e poste in punto per guerreggiare, e per Patriarca e Padre di molti: che senza dubbio questo maggior favore e grazia pi singolar di Dio, che l'aver rivelazioni e esser elevato in estasi celesti. E certamente se ben riguardiamo quegli che Ignazio era, e quello ch'egli oper, non possiamo far a meno di non confessare, che a lui fece bisogno un molto particolare e singolar soccorso dal cielo per mettersi ad una impresa di cos grande importanza, e in essa far cotanto progresso; poich n forze naturali, n industria umana era a ci bastevole: perciocch un uomo senza lettere, soldato, e immerso fino agli occhi nelle vanit del mondo, come avrebbe potuto mai adunar gente insieme, far compagnia, e fondar Religione, stendendola in cos breve tempo per tutto il mondo con tanto spirito, governarla con s gran prudenza, e difenderla da tanti incontri con valore e con frutto s grande della santissima Chiesa e della gloria di Dio, se il medesimo Iddio non l'avesse mutato da quel che era prima, e datogli spirito, prudenza e forza che per ci era di mestieri? Che originale ebbe egli avanti per cavar il transunto e la copia di questa religione? In qual libro lesse le Regole, le Costituzioni e gli avvisi di essa? Chi gli diede l'esempio e il modello di questa Compagnia, cos una e simile con le altre nelle cose sostanziali, e cos differente nelle particolari; proporzionate per tanto, e cos convenienti allo stato presente della Chiesa? Solo glie diede quegli, che solamente dargliele poteva, e che solo lo chiam per quella vocazione che pi gli piacque. Quegli glie le diede, che cos potente, che pu trasformare le pietre in figliuoli d'Abramo, e chiama le cose che non sono, come se esistenti gi fossero, e che si sene per istromenti e per predicatori della luce dell'Evangelo suo e della sua verit de' semplici pescatori per confondere il mondo e per dimostrare, che egli il vero Signore che opera le meraviglie; e che tanto il valore d'una cosa, quanto egli vuole che vaglia, e nulla pi; e ch'ei non come i Principi e Regi di questo secolo, che possono dare, come per comun proverbio si suol dire, lufficio, ma non la discrezione e i talenti che sono necessari perch sia ben esercitato. Perciocch egli elegge i ministri del nuovo Testamento, ed eletti che li ha , idonei li rende, e sufficienti per eseguire tutto quello ch'ei comanda e che gli a grado, E poich vediamo in Ignazio gli effetti cos grandi, che questi gi negar non si possono, se gi non volessimo dire, che notte quando pi splende il sole; e se necessariamente conceder dobbiamo quello che pi, concediamo quello che meno. E quindi intendiamo anco , che tutti i raggi e splendori che rifulsero nell'operazioni fatte da lui, uscirono e proruppero da quei lumi e visitazioni divine che di sopra abbiamo raccontate, e da molte altre ancora che ricev dipoi nell'anima sua, alcune delle quali da noi col favor di Dio in questa istoria saranno descritte 7. _________________CAPO VIII.Del libro degli Esercizi Spirituali, che in questo tempo egli compose. In questo medesimo tempo con quella sufficienza di lettere, che abbiamo detto che teneva Ignazio, la quale era solamente di leggere e scrivere, compose il libro degli Esercizi Spirituali, il quale cav dall'esperienza acquistata e dalla cura ed attenta considerazione, con cui andava notando tutte le cose che gli erano accadute 8. Il quale cos pieno di documenti e di singolari delizie in materia dello spirito,
e con s meraviglioso ordine distribuito, che ben chiaramente si vede, che dove manc lo studio o la dottrina, ivi suppl vantaggiosamente e gl'insegn lo Spirito Santo. E bench in tutto il mondo

approvato e manifesto sia il frutto, che ha cagionato per ogni parte l'uso di questi sacri Esercizi alla repubblica cristiana, io toccher nondimeno alcune poche cose delle molte che dir s potrebbono del giovamento e della utilit loro. Primieramente dunque l'istituzione e fondazione della nostra Compagnia all'uso degli Esercizi attribuir si deve: poich piacque a nostro Signore, che quasi tutti i padri che furono primi compagni d'Ignazio, e che lo aiutarono a fondar la Compagnia, fossero da essi risvegliati ed invitati al desiderio della perfezione ed al disprezzo del mondo. E quelli poi, che l'esempio di questi seguendo, entrarono nella Compagnia, di gi dalla Sede Apostolica approvata e confermata, che sono stati persone segnalate d'ingegno, lettere, nobilt di sangue, ed altri doni naturali, la maggior parte d'essi furono guidati e mossi dalla divina mano per queste sante meditazioni, per eleggere e seguire questa maniera di vita. E perch non pensasse alcuno che Dio nostro Signore avesse inviato questo beneficio, e quasi svegliatolo al mondo per la nostra sola Religione, le altre ancora da esso hanno ricevuto grandissima utilit; poich con verit dir possiamo, che molti monasteri per questo meno sono stati ripieni e popolati di molta gente, e questa molto scelta; e molti religiosi che titubavano nella perseveranza della loro vocazione, sono stati in essa confermati: altri vinti dall'umana debolezza, avendo di gi rinunciato l'abito, riconoscendo e piangendo insieme la loro disavventura, si ricondussero al porto donde l'impeto della tentazione gli avea sospinti. Ed il frutto di questi santi Esercizi non solo profittevole alle Religioni, ma abbraccia tutte le sorta di persone, tutti gli stati, uffici, et, o modi di vita. Perciocch lesperienza ha dimostrato, che molti principi, cos ecclesiastici come secolari, uomini di grande affare e di bassa sorte, savi ed ignoranti, ammogliati e continenti, consacrati a Dio e soluti, giovani e vecchi, incominciando a fare questi Esercizi, si sono aiutati assai o per emendare la mala vita passata, o per migliorare la buona che tenevano. E quello che maggior meraviglia apporta, , che molti uomini di singolare dottrina, tenuti per oracoli di sapienza e per i maggiori letterati dei loro tempi, dopo aver passata tutta la vita nelle Universit e studi insegnando, disputando e facendo ammutire gli altri: s'umiliarono finalmente ad essere discepoli d'Ignazio, imparando negli Esercizi quello che non avevano appreso dai libri e nei loro cos eccellenti studi. Perciocch quello che in questa scuola s'impara, dove si tratta del proprio conoscimento di se medesimo, non serve solo per l'intelletto, ma discende e si comunica anco alla volont; e cos non tanto conoscimento speculativo, come pratico, n solo per sapere, ma per operare: non il suo fine il render acuti e sottili scolastici, ma virtuosi operatori; e con questo risveglia ed inclina la volont per ogni bene, e fa s, che cerchi e si accosti a quella celeste sapienza che edifica, che infiamma ed innamora, senza far conto alcuno della scienza che gonfia, insuperbisce e cava l'uomo fuori di s. E quantunque il frutto di questi Esercizi Spirituali a tutti universalmente si estenda, particolarmente per si vede e si esperimenta la loro forza maggiore in quelli che trattano d'appigliarsi a nuovo stato di vita, e desiderano accertarsi nella elezione, conforme al beneplacito e volont di Dio. Perciocch non tutti gli stati son buoni per tutti, n sono di ciascheduno a proposito; anzi avviene che uno per uno migliore, ed un altro per altro: e qual sia pi conveniente, pi certo e pi sicuro per ciascuno, il Signore solo perfettamente lo sa, che tutti ci cre, e che senza alcun merito nostro ci fece degni, e rese meritevoli col suo preziosissimo Sangue di cos gran bene, come la comunicazione della sua gloria e della sua beata presenza. E per all'elezione dello stato, ed al prendere nuova maniera di vita, bisogna che preceda prima molta considerazione, lunga orazione e grande desiderio di aggradire a Dio; acciocch ognuno s'accerti d'accostarsi a quello che piace a lui, e che per esso migliore per far acquisto dell'ultimo suo fine. Ma si fa appunto tutto al contrario, senza aver gli occhi a quello che pi importa: perciocch molti o inescati dai diletti, o accecati dall'interesse, o invitati dall'esempio dei loro padri e compagni, ovvero con altri motivi tirati nella tenera e debole et loro, quando ancora il giudizio non ha la sua forza e il suo vigore, con poca considerazione e niuna mira di quello che si facciano, con tanta temerit si mettono a pigliar nuovo stato, che hanno di poi onde piangere sempre tutti i giorni della loro vita. E ragionevolmente; poich esaminando tutti i loro negozi con tanta diligenza vedendoli e rivedendoli, solo il negozio di se medesimi, ch' quello che via maggiormente importa e che con maggior maturit ponderare si deve, con pi trascurata negligenza da loro viene trattato; eleggendo a caso il cammino che seguir debbono e pagando, come abbiamo detto, di questa

colpa il fio con la pena e con lo scontento di tutta la vita. Il che non succederebbe, se pigliassero la volont di nostro Signore per legge della loro elezione, e per regola di tutta la loro vita il fine per il quale furono da Dio creati, tenendo per fine quello che vero fine, ed usando i mezzi come mezzi; e non al contrario, pervertendo l'ordine delle cose, usando il fine come mezzo, e facendo dei mezzi fine. E per questo serve e giova il ritirarsi in se medesimo, la considerazione e l'orazione, con la quale l'uomo in questi Esercizi allontana e scancella dal suo cuore ogni affetto disordinato, e lo dispone per ricevere le influenze celesti e il lume della divina grazia; con la quale si accerta in questa e in ogn'altra cosa, e senza essa n in questo n in verun altro negozio, per buono ch'ei sia, non vi ha intera certezza e sicurt. Per tuttoch sia cos universale e nota ad ognuno l'utilit di questi Esercizi da noi di sopra narrata, non mancato chi abbia voluto render oscura questa verit e porre in sospetto una cosa fondata con tanta ragione e cotanto confermata con la continua esperienza: ma hanno dato questi tali i loro colpi tutti al vento, sono state fiacche e deboli le loro forze e vani i loro pensieri: perciocch rompendosi e spezzandosi le onde della loro contraddizione, rest in piedi con la sua medesima forza, come fermo e solido scoglio, la verit di questa santa dottrina 9. Perch la Sede Apostolica prese questo negozio per suo, e dopo molta

informazione e gravissimo esame, vi interpose la sua autorit, ed approv il libro degli Esercizi lodando, esortando e persuadendo ad ognuno, che li leggesse, prendesse e tenesse appresso di s; come chiaramente appare per le Bolle del santissimo nostro Signore Papa Paolo Terzo Vicario di Cristo Signor nostro, le quali si pubblicarono l'anno 1548, e sono stampate con il medesimo libro degli Esercizi Spirituali, dei quali fu autore l'apostolico P. S. Ignazio, di cui ora noi descriviamo la vita. __________________CAPO IX.Come Ignazio cadde in mia grave infermit.Alla vita dunque del P. S. Ignazio ritornando, la quale era secondo che abbiamo raccontato finora, dico, che molte volte dipoi gli accadde , che volendo la notte dare un poco di riposo e di quiete al suo lasso ed affaticato corpo, gli sopravvenivano, quando posar doveva, cos grandi illustrazioni e consolazioni celesti, che trasportato e sommerso in esse, passava le notti intere fino al chiaro giorno senza che gli occhi suoi potessero prender sonno; e quel poco tempo che aveva destinato per dormire, da queste contentezze gli era tolto e furato. Ma considerando attentamente poi questa cosa, gli parve non poco pericolosa; poich e da buona e da cattiva radice nascer poteva. Ed esaminando e ponderando ben le ragioni che se gli offerivano e per una parte e per l'altra, al fine si risolvette che meglio sarebbe stato il levarsi un poco da cotali pensieri e dar loro alquanto bando, e concedere al corpo tempo necessario per sostentamento di esso. Ma era per di gi cos oppresso dagli eccessivi travagli del corpo e dai continui combattimenti dell'animo, che cadde in una grave infermit, nella quale i Reggitori e la Comunit di Manresa lo provvidero di tutto quello che gli era necessario, servendolo anco molte persone onorate e divote. Lo condusse linfermit fino all'ultimo termine della vita, e di gi apparecchiandosi per morire ed a Dio raccomandandosi di cuore, il demonio che non dormiva, con molestissimo pensiero gli si rappresent dandogli ad intendere, ch'ei non aveva onde temere dovesse, essendo uomo, come egli era, cos Giusto e cos Santo. L'afflisse molto questa tentazione, e procur con ogni sua forza di resisterle, e con la memoria e confusione dei peccati passati allontanare ed iscacciare da s quella scintilla di fuoco infernale. Ma non potendo spegnerla ed ismorzarla affatto, gravissimo fu il tormento che sentiva; e molto maggior era la fatica e la molestia che dava all'anima sua la lotta e il combattimento di questa guerra spirituale, del dolore e travaglio che sopportava il

corpo per l'infermit, la quale lo poneva a stretto pericolo della vita. Ma come incominci a sentirsi alquanto meglio e pot parlare, si pose a gridare, ed indi a pregare e scongiurare quelli che erano ivi presenti, che quando altra fiata l'avessero veduto in simil pericolo e con la morte agonizzando, con alte voci gli dicessero: o misero peccatore, o uomo sventurato, ricordati delle malvagit che hai fatte, e delle offese di Dio con le quali hai l'ira di lui contra te commossa. Riavutosi poi alquanto, ritorn subito alle solite penitenze ed usitate asprezze di vita, e cos ricadde la seconda e terza volta 10: perciocch con una determinazione d'animo indefesso e perseverante egli poneva ogni sua cura per vincer se medesimo in tutte le cose; e prendeva sopra di s carico molto pi grave e pesante di quello, ch'erano bastevoli le forze sue a sostenere. Ma per finalmente la veduta esperienza ed un grave dolore di stomaco che molto spesso lo assaliva e molestava, aggiuntavi l'asprezza e rigidit del tempo, essendo dimezzo inverno, lo resero alquanto indulgente verso se medesimo; acciocch ubbidisse ai consigli de' suoi amici e divoti, i quali gli fecero pigliar due vesti corte di panno grosso, di color tan o roano, che dir vogliamo, e del medesimo panno un berrettino; questo per ricoprirsi il capo, e quelle per vestirsi le membra 11. ___________________CAPO X.Del pellegrinaggio che fece in GerusalemmeUn anno o poco meno si ferm in Manresa, seguendo la penitenza e strettezza di vita da noi di sopra raccontata. Si approssimava di gi il tempo, nel quale aveva determinato di andare in Gerusalemme; e cominciando a porre questo suo pensiero in opera, si part di Manresa 12, inviandosi alla volta di Barcellona, senza pigliar altra compagnia, se non quella di Dio, con cui desiderava trattare nelle sue solitudini e godere dell'interiore comunicazione di lui, fuori dello strepito e impedimenti, che gli avrebbono potuto arrecar i compagni. E bench molti si offerissero di fargli compagnia, e altri lo consigliassero e caldamente pregassero, che non si ponesse in cos lungo e periglioso cammino senza aver seco alcuno che avesse notizia della lingua italiana o latina, acciocch gli servisse e per guida e per interprete insieme 13; egli sempre lo ricus per poter pi liberamente godere della solitudine; e ancora perch essendosi gi alienato affatto e di maniera privo di tutte le cose del mondo, che solo con vivi e ardenti desiderii si era rassegnato e posto nelle mani di Dio nostro Signore, voleva del tutto appoggiarsi a lui e dipendere dalla sua paterna provvidenza; di maniera che questa sua confidanza non s'andasse spargendo e divertendo nelle creature, e se gli rendesse minore e intepidisse con la speranza che aver poteva nell'aiuto del compagno. N solamente in questo suo viaggio volle essere scompagnato e solo, ma privo in lutto dogni sollecitudine e ansioso pensiero del viatico e provisione per lo cammino; acciocch non avesse cosa che lo sviasse da questa confidanza, la quale aveva singolarmente in Dio collocata; n lo facesse divenir pigro e lento dall'usato e frettoloso suo passo, col quale camminavo cos invigorito e assetato alla fonte delle vive acque, che Iddio. Ritrov in Barcellona un brigantino che passava in Italia, e una nave che stava in procinto per fare il medesimo viaggio. Tratt egli di voler andare col brigantino, ma ne fu dissuaso; e fu grazia di Dio nostro Signore, ch anelando quel legno a traverso, si perd e si ruppe in quella navigazione. La cagione per cui si distolse Ignazio dall'imbarcarsi su di quel brigantino che affond con la perdita di quanto esso portava; fu, che una Signora di

nome Isabella Roselli (come ella stessa mi cont in Roma), stando un giorno a una predica, adocchi il nostro Padre che stava pure ascoltando la predica con somma attenzione seduto in mezzo ai fanciulli in su i gradini dell'altare; e tornando di tanto in tanto con gli occhi in lui sembravale che tutto il volto gli risplendesse, e insieme si udiva in cuore una come voce che le diceva: chiamalo, chiamalo. Ella nondimeno per allora dissimul; e tornata a casa cont a suo marito, nobile al par di lei, ma cieco, quanto le era avvenuto. Convennero tutti e due di dover far subito ricerca di quel pellegrino, e invitarlo a pranzo; e cos fecero. In tempo di tavola Ignazio, entrato a ragionare di Dio, con tanto calore d'animo il fece, che essi restarono tutt'insieme rapiti di stupore e d'affezione verso di lui: e come seppero, che voleva partire per Italia, dove si disponeva pur a recarsi un Vescovo parente di quel cavaliere, essi tanto adoperaronsi con esso lui, che quantunque avesse preso luogo nel brigantino o vi avesse gi riposti non so quali suoi libricciuoli; pure il distornarono dall'imbarcarsi in esso, e l'indussero a volersi piuttosto prevalere di quella nave che avrebbe portato il Vescovo. Il brigantino intanto salp, ed in veduta del porlo sopraffatto dalle onde fece naufragio. Il padrone della nave disse, che in essa senza alcun premio l'avrebbe levato con questa condizione, se avesse portato seco tanta quantit di biscotto, quanta fosse necessaria per sostentamento della sua persona: perciocch senza questa provisione ricever non lo voleva. Cominci dunque a proveder del biscotto che gli chiedevano; ma insieme a dolersi e affliggersi, parendogli che di gi questo fosse un far contra quello ch'ei s'era proposto, e contra il desiderio che Iddio nostro Signore gli aveva concesso, di quella perfettissima povert, e contra quella confidanza tanto sicura e filiale, con cui voleva dipendere totalmente dalla mano di Dio; e con gran crucio di cuore seco stesso parlando, diceva: dove quella cos certa e sicura confidanza in Dio, che non ti mancherebbe cosa alcuna dalla sua mano? non potr egli per avventura darti del pane ed apparecchiar la mensa al suo pellegrino in mezzo al deserto? E non sapendo egli per se medesimo sciogliersi e svilupparsi da questi intricati e dubbiosi pensieri, si determin, come era solito di fare in tutte le altre cose, di proporre i suoi dubbi e travagli al confessore, e dirgli le ragioni che per una parte e per l'altra se gli offerivano, ed il desiderio cos acceso che nostro Signore gli dava, di conseguire per suo amore la perfezione della povert, e di far tutto quello che fosse pi gradito agli occhi di sua Maest Divina, e porre ogni cosa in mano sua e far ci che da lui imposto gli fosse. E finalmente per parere del confessore mise il biscotto in nave; e nel tempo dell'imbarcarsi essendogli avanzati alcuni pochi denari, che aveva avuto per limosina chiedendoli d'uscio in uscio, per non portar seco, se non quello che ricusar non poteva, li lasci sopra una panca nel lito alla marina 14. Egli era in questo tempo gravemente tormentato dalla tentazione della vanagloria, di maniera che non osava dire chi era, n di qual paese fosse, n iscoprirsi dove andava, come viveva e quello che pretendesse, per non inarborarsi ed essere innalzato dall'aura popolare per la buona opinione, nella quale per avventura avrebbero potuto tenerlo. Ma passando a ragionare della sua navigazione, ella fu non men presta, che travagliosa: perciocch pass una tempestosa fortuna, e da fieri ed impetuosi venti combattuto arriv in cinque giorni da Barcellona a Gaeta, citt d'Italia fra Napoli e Roma. Quest'anno, che fu del 1523 fu molto travaglioso, poich in esso fu afflitta ed

infestata quasi tutta lItalia da gravissima pestilenza; per lo che tutti i popoli e tutti i luoghi tenevano le guardie e sentinelle, che non lasciavano entrare i forestieri. E per questa cagione pat nel viaggio da Gaeta fino a Roma straordinari travagli: perciocch molte volte non era lasciato ricoverare sotto alcun tetto, n permesso che entrasse in alcun castello; ed alcune fiate era cos grande la fame e fiacchezza che lo molestava, che senza poter pur muover un passo, era forzato fermarsi dove si ritrovava, finch dal cielo gli venisse alcun soccorso e rimedio. Ma pure finalmente al meglio ch'ei pot, cadendo e rilevandosi, arriv a Roma la domenica delle Palme, ed ivi con gran divozione ed riverenza visit le sacre Stazioni ed i santi luoghi di quella santa citt, e prese la benedizione dal Papa, che era Adriano Sesto. Stando dunque in Roma, procurarono molti di sviarlo dal proponimento che egli fatto aveva d'andare in Gerusalemme mostrandogli esser ci difficoltoso ed impossibile per esser il cammino lungo e travaglioso, maggiormente in un anno di tanto pericolo e ripieno di tante difficoll, le quali senza molta spesa ed infiniti incontri superare non si potevano. Ma tutte queste cose non poterono pur un poco mutar lanimo risoluto ed invincibile d'Ignazio; ed ebbero non poca fatica a far ch'egli pigliasse sette, ovvero otto scudi, che gli diedero nel tempo della sua partenza, che fu l'ottava di Pasqua, per pagare con essi la sua imbarcazione; i quali prese vinto dai molti pericoli e terrori che gli ponevano avanti. Ma per partito da Roma, esaminando quello che fatto aveva, gli parea pi tosto essere ci nato da timore umano e mancamento di confidenza; e rimordendolo la coscienza, si rodeva entro se stesso, non perch gli paresse peccato l'avere o ricevere denari; ma perch ci non molto bene si confaceva con la perfezione del suo desiderio, e s'allontanava in un certo modo da quel santo proposito che avea fatto di seguire in tutte le cose un'estrema povert. E cos riprendendo la fragilit sua, volle gittar via i denari; ma poi gli parve migliore il darli per amor di Dio a' poveri, che nel viaggio incontrasse; e cos fece. In questo cammino da Roma a Venezia dur molte fatiche e pass grandissime difficolt: perciocch perseverando tuttavia la peste, scacciato dalle castella e dalle ville pel timore, gli era necessario dormire le notti alla campagna; al sereno; ovvero sotto alcun portico; ed i viandanti che l'incontravano, vedendolo cos scolorito ed esangue, fuggivano da lui come dalla morte, di cui pareva nel sembrante il proprio ritratto. Ed altri che con lui s'accompagnavano nel cammino, non potendo egli tener loro dietro per la sua grande stanchezza, avvicinandosi la notte affrettavano il passo, e lo lasciavano solo per non dormire la notte allo scoperto. Ma il Signore che disse, non ti abbandoner, n ti lascer giammai, visit e raccolse sempre il povero Ignazio da tutti totalmente derelitto. Perciocch una notte dopo averlo ognuno lasciato solo, venendo da Chioggia a Padova, in un'aperta, campagna gli apparve Ges Cristo Redentore nostro, e meravigliosamente lo consol con la sua dolce ed amorosa presenza, e gli diede forza per patire altre cose vie pi aspre per amor suo: ed in tal modo favor questo suo viaggio, che n all'entrata, n all'uscita della citt di Padova, le guardie gli diedero alcun disturbo, n punto lo trattennero dimandandogli alcuna cosa; e la medesima facilit ritrov nell'entrare in Venezia: perciocch con tutto che le guardie e gli ufficiali a tutti gli altri diligentemente guardassero e sottilmente esaminassero, solo Ignazio non fu n tocco, n impedito da alcuno; il che non avvenne a quegli altri che

nel viaggio l'avevano lasciato solo in abbandono; anzi per lo contrario si videro tutti in gran travaglio nell'entrare in essa citt. Non volle mai Ignazio andar a parlare all'Ambasciatore che appresso quella Repubblica teneva l'imperatore Carlo Quinto re di Spagna: perciocch egli non cercava favori umani, n si prendeva pensiero de' denari che erano necessari per pagare il nolo per la sua persona nel viaggio che aveva a fare per mare; anzi aveva certissima speranza, che Iddio gli renderebbe facile e prospera la sua navigazione, e che sarebbe arrivato a Gerusalemme, per consolarsi e godere spiritualmente in quei luoghi consacrati con la vita e morte di Ges Cristo nostro Signore. Ebbe parimenti anco in Venezia altri contrasti, e nuove difficolt se gli opponevano avanti per torgli lanimo e distornarlo da questa impresa. Perciocch avendo l'anno 1522 Solimano imperatore de' Turchi mandato la sua armata per prender lisola di Rodi, che in quel tempo era in potere dei cristiani, e dopo averla i cavalieri dell'Ordine di S. Giovanni molti mesi difesa con meraviglioso valore e con strage notabile de' nemici, finalmente da' Turchi fu presa la citt e guadagnata l'isola con inestimabile e lacrimosa perdita di tutta la cristianit. Pose questo tristo avvenimento terrore e spavento cos grande in tutti i pellegrini, i quali erano gi arrivati a Venezia per passare in Gerusalemme, che mutandosi di proposito ritornavano alle case loro, per non porre in un medesimo tempo a manifesto pericolo e la vita e la libert. E per l'istessa cagione molti consigliavano Ignazio, che in altro tempo pi a proposito ed opportuno riserbasse e differisse questa sua andata. Ma egli aveva cos stabilito il suo cuore, che teneva per certo, che se una sola barchetta in quell'anno avesse avuto ad andare in Gerusalemme, nostro Signore avrebbe operato, che con quella egli arrivato vi fosse; e cos non si smarr punto, n perd la sicura, certa e ferma speranza che aveva. Nel tempo che si ferm in Venezia; andava, come negli altri luoghi, mendicando di porta in porta il suo povero mangiare, e le notti dormiva nella piazza pubblica di S. Marco, che la principale di quella citt, sotto i portici che chiamano della Procuratia. Ma uno di quei Senatori, chiamato Marc'Antonio Trevisano, uomo di santa vita, e che fu poi creato Doge di Venezia l'anno 1553, lo raccolse in casa sua, con l'occasione che ora diremo. Stava questo gentiluomo una notte dormendo riposatamente nel suo letto, adornato con molta pompa e delicatezza, come costume de' principali di quella citt, e nel medesimo tempo se ne stava il povero Ignazio poco meno che nudo, disteso sulla nuda terra, senza avere chi gli desse albergo, o chi di lui mosso a piet gli dicesse: povero e misero che fai qui? Quando dormendo quel Signore nelle morbide piume, ud alcune voci che risvegliandolo gli dicevano: tu vai delicatamente e pomposamente vestito ed hai cos riccamente addobbata la casa tua, ed il mio servo se ne sta nudo e prosteso sotto i portici della piazza! tu dormi in un buon letto, ricco di materassi e di drappi di seta fornito, ed egli steso se ne sta nel duro suolo al sereno! Si lev a queste voci il Senatore, ripieno per questa novit non meno di timore, che di meraviglia, e si part con fretta di casa avendo fatte accendere le torce, senza saper chi cercava, o dove e chi avesse ad andare investigando; e passando per alcune strade, arrivato alla piazza di S. Marco, ritrov Ignazio posto in terra; e conoscendo ch'era quello, che Iddio l'aveva mandato a cercare, lo condusse quella notte a casa sua, e lo tratt con molta magnificenza ed onore. Il che cercando di fuggire Ignazio, quindi si part e se n'and

a stare in casa di uno spagnuolo suo amico, che ne lo aveva pregato. Era in quel tempo Doge di Venezia il serenissimo Andrea Gritti, uomo molto stimato in quella Repubblica. And il nostro pellegrino a parlargli, e nella natia lingua spagnuola brevemente gli espose il suo desiderio, e lo supplic, che comandasse ch'egli dovesse esser ricevuto in alcuna nave. Il Doge fece il tutto molto compiutamente, dando ordine che fosso condotto fino in Cipri, senza pagare alcuna mercede, nella nave capitana, sopra la quale andava il nuovo Luogotenente di quel Regno mandato dalla Repubblica. Standosene dunque con questa speranza, aspettando solo il buon tempo per dar le vele ai venti, altro e nuovo travaglio se gli frappose, mandatogli da nostro Signore, per provare maggiormente la sua confidenza. Era di gi partita dal porto la nave de' pellegrini, ed essendo per fare il medesimo la Capitana, fu afflitto da una gran febbre, che molto lo molest; e per ci prese una medicina, ed in quel giorno appunto la nave voleva far vela: e dicendogli il medico, che se quel d s'imbarcava, poneva la sua vita a manifesto pericolo, egli, che era guidato e retto da un altro medico divino, allora allora con la medicina nello stomaco s'imbarc; e provvide Iddio alla sua maggior necessit; perciocch con l'agitazione del mare conturbandosi tutto di dentro; se gli mosse il vomito e cominci subito a migliorare, essendogli a poco a poco la navigazione cagione della sua intera sanit. Peccati grandi e malvagit commettevano, le quali Ignazio soffrir non poteva, essendo timorato di Dio ed infiammato dal fuoco e zelo dello Spirito Santo; e cos cominci a riprenderle con libert cristiana e con grande severit. N potendo gli altri passeggeri reprimerlo con dirgli, che se di quella maniera parlava, glie ne sarebbe potuto succedere gran male; venne la cosa a termine, che accordandosi insieme i marinari, lo volevano lasciare in un'isola inabitabile e deserta, dove avevano ad arrivare: ma nel medesimo tempo in accostandosi ad essa fu la nave con un subito e contrario vento allontanata dall'isola e ritornata nell'alto; di maniera che non poterono porre ad effetto la loro malvagia intenzione. Anzi fu causa questo vento di farli arrivar pi presto in Cipri, dove trovata la nave dei pellegrini, pass di subito Ignazio in essa, senza parlar seco altra provvisione, che quella, la quale aveva fatto prima nell'altra, che era una fermissima speranza nel suo Dio, il quale molte volte in tutto il tempo della sua navigazione gli apparve, o con incredibili consolazioni e godimenti spirituali dolcemente lo tratt e sostent, e finalmente lo condusse al porto tanto da lui desiderato di Terra Santa. ______________CAPO XI.Come visit i luoghi santi di Gerusalemme.Io ritrovo scritto in una carta di mano del P. Ignazio, che lanno 1523 a' 14 del mese di Luglio si part di Venezia, ed il rimanente del detto mese con tutto Agosto consum nella sua navigazione; di maniera che l'ultimo giorno giunse a Giaffa, porto di Sora, ed a di Settembre avanti il mezzo giorno, ottenendo da Dio nostro Signore ladempimento del suo desiderio, arriv in Gerusalemme. Onde da queste particolarit scritte di sua mano, si pu comprendere la sua divozione ed il conto minuto ch'egli teneva de' suoi passi e delle giornate che faceva. Esplicar non si pu il giubilo e l'allegrezza, che comunic nostro Signore all'anima sua con la semplice vista di quella santa citt, e come con una perpetua e continua consolazione per tutto il tempo che vi si ferm, fu meravigliosamente trattato, visitando molto particolarmente e consolandosi assai in tutti quei sacri luoghi, con la memoria che ivi era stato Ges Cristo Redentore nostro.

Aveva gi determinato di non si partir di Gerusalemme; ma impiegare il resto di sua vita in visitare e riverire quei sacrati luoghi, che per essere stati calcati da quella santissima umanit di Cristo Signor nostro, pare che del continuo spirino soavissimo odore di divozione e santit, e che d'ogni intorno lampeggino fiamme di quell'inestimabile amore che ci mostr, mentre ivi pat ed oper tanto per noi. Bramava anco Ignazio di adoperarsi in tutto quello, in che le forze sue erano bastevoli in aiuto e servizio de' suoi prossimi; e per meglio mandare ci ad effetto, and a trovare il P. Guardiano di S. Francesco, e gli diede le lettere che seco portava in sua raccomandazione, scoprendogli il desiderio che aveva di fermarsi in Gerusalemme: che, quanto al pensiero che egli teneva d'aiutar le anime, n a lui ne fece motto, n ad altre persone lo manifest. E disse, che egli sapeva bene che il Convento era povero, e che non voleva essergli cagione di carico o spesa alcuna: che la limosina e carit che gli chiedeva, era solamente che si prendesse pensiero della coscienza di lui per reggerla e per udire i suoi peccati e confessarlo; e che nel rimanente si sarebbe egli preso cura e provveduto delle cose necessarie senza recargli molestia. Il Padre Guardiano gli diede buone speranze, rimettendo per il tutto al Padre Ministro Provinciale, che allora si ritrovava in Betlemme 15. Il quale poco tempo dipoi ritornato, consigli Ignazio, che se ne venisse alla volta d'Italia, lodando per una parte il desiderio di esso ripieno di zelo e di divozione, e per l'altra dandogli a divedere che era pio s, ma indiscreto e poco avvertito, e che per avventura si sarebbe posto a pericolo di perdere la vita ed insieme la libert, siccome ad altri molti era succeduto, ch'erano stati o fatti prigioni, o morti per essersi lasciati indurre da un simile spirito di divozione e fervore inconsiderato. Ma Ignazio essendo gi avvezzo a non far caso di simili spaventi e pericoli, disse al P. Ministro Provinciale, che non avrebbe potuto lasciar di fermarvisi, se non gli si fosse attraversata per mezzo cosa che l'avesse obbligato in coscienza a mutar pensiero, e conoscere che il partirsene sarebbe stato maggior servizio di nostro Signore. Il Provinciale subito gli fece sapere, ch'egli aveva autorit dalla Sede Apostolica di far che d'indi si dipartissero tutti quelli che a lui paresse, e per iscomunicar anco chi in questo gli fosse disubbidiente. Laonde egli lo pregava a contentarsi di quindi partire, e che senza alcuno scrupolo fermamente si persuadesse esser questa la volont di Dio, poich egli, come amico e fratello ed esperimentato nelle cose di quella Terra, ne lo consigliava, e che cos dovesse fare, se non voleva, ch'egli, contra sua voglia, usasse di quell'autorit che teneva. E volendogli mostrare le Bolle Apostoliche, nelle quali questa facolt se gli concedeva, non lo consent Ignazio, ma gli disse, che non accadeva che le mostrasse, poich egli senza altra prova, come era ragionevole, a tutto quello che diceva, dava indubitatissima credenza; t seguendo la volont di Dio che a cose maggiori lo chiamava, disse: Padre, io vi ubbidir ed operer quanto da voi mi viene imposto. Ma stando di gi con proposito di dar volta, fu mosso da un acceso desiderio di tornare a rivedere il monte Oliveto, l dove in una pietra si vedono fino al giorno d'oggi le orme che vi lasci impresse il Signore de' suoi divini piedi, allora che egli ascese al cielo; e con questa brama segretamente si fur da gli altri pellegrini, e solo senza guida e senza compagnia; e quello, che seco maggior pericolo apporta, senza condur alcun Turco per guardia, con molta fretta si pose a salire il monte; e niun'altra cosa

avendo da dare alla guardia, perch entrar lo lasciasse, le diede un temperino che in uno stuccio portava; e ripieno di giubilo incomparabile, con gran prestezza se n'and a Belfage, ma subito diede volta per il monte Oliveto; acciocch potesse con maggiore attenzione e diligenza vedere da qual parte era l'orma e il segnale del destro piede, e da quale quella del sinistro, che nella pietra rest scolpito. E perch un'altra volta lentrata gli concedessero, don le forbici che gli erano restate nella guaina 16. Quando i Padri di S. Francesco s'avvidero, che Ignazio tra gli altri pellegrini non era, conoscendo il pericolo, in cui aveva posto la vita sua, mandarono a cercarlo da uno di quei cristiani che chiamano dalla Cintura, pratico del paese, e che serviva nel Convento. Questi lo ritrov, che era gi di ritorno, ripieno d'allegrezza e di consolazione; ed assalitolo con un bastone in mano, con volto severo e con sembiante oscuro e minaccioso lo prese per un braccio, aspramente riprendendolo e minacciandolo, perch s'era messo in cos manifesto pericolo; e lo tirava come so lo volesse andar mezzo strascinando. Ma Ignazio non gli fece punto di resistenza; anzi lo seguiva con molto amore e di buona voglia: perciocch in quest'atto sent nell'anima sua un particolar godimento, vedendo sopra di s Cristo Salvator nostro, che camminava e che gli andava avanti dal principio, che quegli l'afferr per il braccio fin che giunsero alla porta del Convento: onde con questo celeste favore pass Ignazio il suo travaglio con molta allegrezza e consolazione. ________________CAPO XII.Come egli se ne ritorn in Ispagna.Dopo ch'egli conobbe esser la volont di Dio, che non restasse in Gerusalemme, si apparecchi pel ritorno, nel quale gli accaddero alcune cose notabili. Il tempo era, come suole nel cuore dell'inverno, freddissimo per le gran nevi e ghiacci: e il nostro pellegrino per difendersi e ricoprirsi non aveva altri vestimenti, che un paio di calzoni fino al ginocchio di panno lino grosso, le gambe nude con le scarpe ne' piedi, un giupponcello di tela nera tagliato tutto su le spalle, e una robetta corta e frusta di ruvido panno. Giunto in Cipri con gli altri pellegrini trov tre legni apprestati e in punto per venir in Italia. Il primo era di Turchi; il secondo era una grande e salda nave Veneziana. cos forte e cos bene armata, che pareva che potesse contrastare e resistere all'impeto di tutti i venti e ad ogni tempestosa furia di procelloso mare; il terzo era un naviglio piccolo e vecchio e quasi roso e tarlato. Pregarono molti il padrone della nave Veneziana, che volesse per amor di Dio ricevere in essa Ignazio, lodandolo per uomo santo, innalzandolo molto e con buone parole ponendogli avanti il bene che in quest'opera egli faceva. Ma come egli intese che era povero, e che non aveva denari per pagarlo, rispose che non lo voleva; e che essendo egli tanto santo, quanto essi dicevano, non aveva necessit di nave per passar il mare, che con i suoi propri piedi camminasse sopra le acque, che non si sarebbe sommerso. E cos abbandonato dal padrone della nave maggiore, pregarono quello della minore, che seco lo ammettesse; ed egli lo fece volentieri e con molta liberalit. In un medesimo giorno e alla stessa ora con prospero vento tutte e tre le navi fecero vela, ed essendo andate avanti per buon tratto di mare, su l'imbrunire sopravvenne una furiosa e orribile tempesta, per la quale la nave turchesca con tutta la sua gente s'affond; quella veneziana diede alla traversa e urt in una spiaggia all'isola di Cipri, e s'incagli nellarena, solamente salvandosi le persone ch'erano in essa; ma la nave

piccola, sopra la quale era imbarcato Ignazio, vecchia, consumata, e che pareva che se lavesse a tranghiottire il mare, piacque a nostro Signore, che tuttoch corresse fortuna, nondimeno non perirocolasse: anzi dopo molto travaglio venne a prendere porto in Puglia, provincia d'Italia nel Regno di Napoli, e d'indi arriv poi a salvamento in Venezia a mezzo il gennaio lanno 1524; essendo stata in mare, da che part di Cipri finch arriv il mese di Novembre e Dicembre, e parte anco di Gennaio. In Venezia si ferm alcuni pochi giorni; e ivi incontrandosi in un uomo dabbene, che avanti l'aveva raccolto in casa, di nuovo ora pregato e importunato da lui in essa si ricover. E volendosi di gi partire per seguire il suo cammino di Spagna, gli diede quindici o sedici giuli e un pezzo di panno, del quale raddoppiandolo si serv per difesa dello stomaco, che dal rigore del freddo si sentiva molto indebolito e consumato. Con questa provvisione si pose in viaggio per Ispagna, e arrivato alla citt di Ferrara, due giornate lontana da Venezia, si ritir a fare orazione in una chiesa, e ivi stando col cuore elevato a Dio, se gli accost un povero, come costume, a dimandargli limosina; ed egli di subito messa la mano alla borsa, gli diede una moneta come di un baiocco: ne venne poi un altro, e gli porse il pellegrino un'altra moneta di maggior valore, come sarebbe di un mezzo grosso. Questi poveri avvisarono gli altri che stavano alla porta della chiesa chiedendo limosina, della carit che il pellegrino loro aveva usata; e tutti l'un dopo l'altro similmente se ne andarono a lui chiedendogli alcuna cosa per Dio: ed egli con molta liberalit cominci a compartir con essi quello che aveva, dando prima le minori monete, e dipoi le maggiori, finch dispens tutti i giuli senza restargliene pur uno; e finita la sua orazione e partendosi di chiesa, tutti i poveri cominciarono a lodarlo, ad alta voce dicendo: il Santo, il Santo; ed egli, che quel giorno non aveva pur un pezzo di pane da mangiare, l'and cercando di porta in porta, com'era di sua usanza. Da Ferrara prese il cammino alla volta di Genova per la Lombardia, la quale allora ardeva tutta di crudelissima guerra tra Spagnoli e Francesi; ed egli indirizzava il suo cammino di maniera, ch'era quasi costretto a passare per gli stessi eserciti, e pel campo degli uni e degli altri. Per questa cagione fu consigliato a schivare quel pericolo e tenere altra strada pi spedita e pi sicura. Ma egli si determin di proseguire il suo viaggio diritto, pigliando per suo scudo e per sua guida Iddio nostro Signore. Passando dunque avanti, venne a giungere ad un castello circondato da muraglie, dove era certa fanteria spagnola, che ivi stava con molta guardia e circospezione: e come fu veduto da alcuni di quei soldati e sentinelle in quell'abito e figura, credendo che fosse spia degl'inimici, gli posero le mani addosso e lo condussero ad una casetta presso la porta del castello, e ivi con piacevoli e dolci parole cercarono di cavargli di bocca chi fosse. E poich videro di non poter trovare quello che andavano investigando, cominciarono diligentemente a tentarlo e cercarlo con molta sottigliezza; finalmente con non poca vergogna giunsero fino a spogliarlo levandogli le scarpe e la camiciola che portava, per veder se ritrovassero alcuna lettera o alcuno indizio di quello che andavano sospettando: ma per in fine restarono burlati; e minacciandolo gli dissero, che se n'andasse con esso loro avanti al capitano, la dove a forza di tormenti gli avrebbono fatto confessare la verit; e cos spogliato, coi calzoni soli e il giuppone, lo condussero, dopo aver camminato per tre lunghe e pubbliche strade, davanti il

capitano con molta allegrezza e godimento interiore dell'anima sua. Conviene sapere, che studiando egli d'essere tenuto per uomo rustico, semplice e che poco sapesse usar cortesie, grossamente soleva trattare con tutti, e non conforme allo stile comune della gente civile e cortigiana; anzi ai Principi e Signori dava del Voi. Onde vedendosi egli allora menar avanti al capitano, gli cadde nuovo timore nel pensiero, che dubitar lo faceva, se sarebbe stato bene per allora tralasciare quel suo costume, e con esso trattare pi cortesemente di quello, che con gli altri soleva: e la causa di questa sua dubitazione era, perch se cos non avesse fatto, gli avrebbe forse dato occasione di pensare, che egli di lui non facesse alcuna stima, e quindi quegli adirato per vedersi sprezzato e vilipeso, lo avrebbe trattato male e fatto morire con tormenti. Mn conoscendo per che questo pensiero nasceva da fiacchezza e umana timidit, cos costantemente da s lo discacci, che per questa sola cagione si risolvette di non usargli alcuna sorte d'ufficio e compimento, e puntualmente l'osserv. Perciocch dimandandogli il capitano di qual paese ei fosse, non rispose, come se fosse stato muto; e chiedendogli di pi donde ei veniva, non disse pur una parola in risposta. Finalmente a tutte le altre dimande fattegli stette come una statua, tenendo sempre gli occhi del corpo fissi in terra e quelli dell'anima in cielo. A questa sola richiesta sei la spia? rispose: Io spia non sono; e ci fece per parergli, che se a questo non avesse risposto, gli avrebbe per avventura dato giusta cagione di adirarsi con esso lui e tormentarlo. S'accese il capitano di collera aspramente contra i soldati, riprendendoli e dicendo, che molto pi pazzi erano essi, poich gli avevano menato d'avanti un pazzo; e cos comand che lo conducessero via, e che d'indi uscir lo facessero. Sdegnati i soldati per la riprensione del loro capitano, rivolsero l'ira e la rabbia loro sopra il povero pellegrino, dicendogli mille ingiurie e facendogli molti oltraggi, caricandolo di pugna e di calci. Raccontava egli da poi, che con la memoria e rappresentazione che ivi ebbe, dell'affronto e derisione che ricev il Signore da Erode e dai suoi soldati, aveva Cristo con una meravigliosa e straordinaria consolazione confortata l'anima sua. Ma passata questa beffa e questi insulti, non manc Iddio al suo soldato; perch non essendosi egli tutto quel giorno reficiato con altro cibo, che di affronti e d'ingiurie, essendo assai lasso ed avendo dirotta e conquassata la persona: uno spagnolo mosso da pura umanit lo condusse seco, l'alberg e refici dandogli da mangiare. Il d seguente quindi partitosi e seguendo il suo viaggio, fu di nuovo preso da alcuni Francesi, i quali facendo la sentinella sopra una torre lo videro passare, e lo condussero al capitano; il quale sapendo donde era, se ben non sapeva chi era, lo raccolse, tratt ed isped cortesemente, comandando che gli fosse dato da cena e usata cortesia. Arrivato ch'ei fu a Genova, s'incontr in Roderico Portundo biscaino, allora generale delle galee di Spagna, ch'era stato da lui conosciuto nella corte del Re Cattolico. Questi presa la sua protezione, diede ordine che s'imbarcasse in una nave, che passava in Ispagna; e cos preso porto, arrivando a Barcellona; e con gran pericolo de' corsari e nimici nel medesimo luogo venne a dar fine alla sua navigazione, onde l'aveva incominciata 17. __________________CAPO XIII.Comincia a studiare fin dai primi principii. Se ne torn Ignazio, come abbiamo detto, in Ispagna, ed il ritorno fu con deliberata determinazione di studiare con ogni suo sforzo e diligenza maggiore. Perciocch come si vide lontano da quei santi luoghi

di Gerusalemme, dove pensava di passare la vita sua, e che gli erano tornati a vuoto i suoi primi disegni, cominci entro se stesso con gran sollecitudine a pensare qual cosa Iddio da esso richiedesse, ed in che sarebbe stato bene impiegarsi, che fosse pi accetto e caro agli occhi del suo divino cospetto; e dopo aver considerato ed esaminato il tutto, si risolvette al fine, che per poter meglio impiegarsi e con maggior profitto de' prossimi affaticarsi come egli desiderava, era necessario avere cognizione di lettere ed accompagnare la dottrina ed il conoscimento delle cose divine, che per lo studio ed esercizio d'esse si acquista, con l'unzione e fervore dello spirito che nostro Signore gli comunicava; e per questo si determin di studiare. Gli parve Barcellona citt a proposito per ci fare; e cos arrivato in essa, confer questa sua deliberazione con due persone sue divote; l'una delle quali fu una onorata e principale signora, D. Isabella Boselli, dalla quale per avanti aveva ricevuto molta carit e limosina: l'altra fu un maestro di grammatica, chiamato per nome Girolamo Ardebalo, uomo di molta virt ed applicato ad ogni sorta di divozione. Questi approvarono ambedue la sua determinazione; la signora offerendosi di sostentarlo nello studio tutti quegli anni che ivi fosse dimorato, ed il maestro d'insegnargli con diligenza 18. In questo modo adunque l'anno 1524, essendo gi di et di trentatr anni, cominci ad imparare i primi principii della grammatica, e quelle minuzie di declinare e coniugare; le quali tuttoch non fossero cose per gli anni suoi, nondimeno lo spirito ed il fervore cos acceso, col quale bramava di superare se stesso e di gradire a Dio, glie le faceva apprendere bene. Non lo spaventava l'insipido travaglio di quelle lunghezze e prolissit e spinose fanciullezze; n la moltitudine e variet di tante regole e di tanti precetti, n l'imparare a mente e ripetere la lezione, n finalmente gli altri esercizi puerili gli davano tanta pena, quanta le molte e grandi consolazioni ed illustrazioni, che gli venivano allora appunto, quando pi attentamente si poneva a studiare. Appena prendeva in mano il libro dell'arte della grammatica per imparare le declinazioni dei nomi e le coniugazioni dei verbi, che gli era ingombrata la mente con intelligenza di altissime cose che gli toglievano e turbavano la memoria di maniera, che di quello che studiava, non poteva apprender cosa alcuna di nuovo, e tutto quello che per avanti appreso aveva e raccolto nella mente, da essa spariva e si cancellava con la forza dell'immaginazione. E sebbene con ogni sua forza ed industria s'affaticava per serrar l'entrata, quando venivano, a questi sentimenti e per disperderli e levarli da s affatto; quando per entrati vi erano, non era signore di se medesimo, n poteva ci mandare ad effetto, non essendo in suo potere, per molta forza ch'egli a se stesso facesse e per grande che fosse il danno, ch'egli apertamente vedeva, che ci apportava ai suoi studi, cagionatogli da questa sottile ed ingannevole tentazione. Finch un giorno reso attonito da questa cos gran novit, cominci ad esaminarla ed a pensare ed a dire seco medesimo: ohim! Dio mio! che cosa questa? quando io faccio orazione, quando mi confesso e comunico, quando mi disciplino, quando veglio, quando con digiuni ed altre penitenze corporali affliggo la mia carne e piango i miei peccati, quando con ogni mio sforzo tratto puramente le cose spirituali e divine, non riceve lanima mia tanto lume e ricreazione, n cos grandi e tanto meravigliosi sentimenti di Dio: ma quando divengo a guisa d'un fanciullo e tratto cose fanciullesche e voglio lasciare Iddio per amor di Dio, subito mi si offeriscono

queste visioni: tintendo, t'intendo bene, Satana infernale; questi sono tuoi stratagemmi ed inganni, che seco apportano apparenza di risplendente luce, e sono poi densissime tenebre ed oscurit. Ma aspetta pure, che ti lascer burlato e schernito. Per resistere dunque a questa perseverante astuzia dell'inimico, se n'and a trovare il suo maestro, come l'istesso Padre appunto mi raccont, o lo preg, che se n'andasse con esso lui alla chiesa della Madonna del Mare, che stava presso casa sua, e che ivi udisse quello che gli era per dire. Ed ivi interamente gli diede conio di tutto quello che intorno a ci passava per l'anima sua e della tela, che andava ordendo il demonio; la quale egli per istesserla e disfarla di tutto punto gl'impegnava la sua parola e gli prometteva di non mancare alcun giorno nell'assiduit della lezione in tutto lo spazio dei due primi anni seguenti, perch per sostentarsi avesse del pane e dell'acqua. E con questo si gett ai piedi del maestro, pregandolo pi d'una volta molto strettamente, che prendesse carico di lui particolare e lo trattasse come ogni altro minor fanciullo dei suoi discepoli che avesse; e lo castigasse o battesse rigorosamente ogni volta, che lo avesse veduto negligente, spensierato, o meno attento ed accurato in quello che tanto gl'importava, pel servizio di Dio e per la vittoria di se medesimo e del suo capitale inimico. Con quest'atto cos veemente e cos fervoroso si disfece subito, come con la chiarezza del sole, tutta quella nebbia ed oscurit che appariva con sembianza di luce, e gli concesse il Signore molta pace e quiete nello studio. Proseguendo dunque negli esercizi delle lettere, lo consigliarono molti nomini letterati e pii, che per apprendere bene la lingua latina, ed insieme trattare cose divote e spirituali, dovesse leggere un libro intitolato De milite Christiano, il quale compose in lingua latina Erasmo Roterodamo, che in quel tempo aveva gran fama di uomo dotto ed elegante nel dire: e fra gli altri che furono di questo parere fu anco il suo confessore, del quale prendendo il consiglio, cominci con ogni semplicit e con molta attenzione a leggerlo ed a notare le frasi e i modi di parlare. Avvert per una cosa molto nuova e molto meravigliosa, la quale era, che prendendo in mano questo libro d'Erasmo e cominciando a leggere in esso, se gli veniva insieme ad intepidire il fervore e render fredda la divozione, e quanto pi andava leggendo, via pi. se gli aumentava questa mutazione: di maniera che finita la lezione, parevagli che fosse finito e gelato tutto quell'ardore, che prima aveva, ed estinto lo spirito e mutato tutto il suo cuore, il quale non gli sembrava quel medesimo dopo la lezione, che era avanti. E poich molte fiate ebbe ci osservato, finalmente gett via il libro; e l'autore e tutte le altre opere di esso ebbe poi cos a noia e talmente le aborr, che mai pi legger le volle, n consent che da alcuno della nostra Compagnia si leggessero, se non con molto riguardo e con molta cautela. Il libro spirituale, che pi frequentemente aveva nelle mani, e la cui lezione ad altri pi commendava, era il Dispregio del mondo, intitolato De Imitazione Christi, che compose Tommaso da Kempis, lo spirito del quale egli tutto raccolse e gli penetr fino nelle viscere; di modo che la vita d'Ignazio, come mi diceva un servo di Dio, non era altro, che un perfettissimo esemplare di tutto quello che si contiene in quel libretto. In Barcellona, quando si sent alquanto pi del solito alleviato dal dolore dello stomaco, si deliber di ritornare all'aspro rigore delle sue solite penitenze, le quali aveva alquanto tralasciate, parte pel male dello stomaco, e parte per i travagli e difficolt del lungo cammino. E cos cominci a perforare le

suole delle scarpe, andando a poco a poco raschiandole, di maniera che all'entrar dell'inverno giva co' piedi nudi per terra, ma coperti di sopra col cuoio della scarpa per fuggire lostentazione; e nel medesimo modo andava aggiungendo alcuna cosa di pi asprezza nelle altre penitenze. Due cose poi avvennero in questa citt, degne che se ne
conservi sempre memoria, nelle quali diede Ignazio bellissimi esempi di pazienza e di carit. La prima fu, che avendo indubitatamente saputo frequentarsi assai licenziosamente da certi scostumati giovani il monastero delle sacre vergini Domenicane detto degli Angeli, che in quel tempo era fuor delle mura, egli si adoper in ogni guisa, perch quelle religiose ad allontanare ogni pericolo s'inducessero a volere d'indi innanzi chiuse a coloro le porte, e tener esse seriamente applicato lanimo a quella piet e religione ch'era propria dello stato loro. Quando quei protervi si avvidero che non v'era pi ad essi modo di entrare, prima tentarono d'impaurire Ignazio con le minacce; poi assalitolo insidiosamente cos il caricarono di percosse da dover egli per qualche tempo giacersene assai gravemente

infermo. Ma ci non valse punto ad illanguidire per poco la fortezza dell'animo suo, o a rallentarlo alquanto dalle sante sue imprese: che anzi andava lieto oltremodo per essere stato fatto degno di patire contumelia a gloria del nome santissimo di Ges 19.
L'altra cosa fu, che tornando egli un giorno da quel monastero degli Angeli, quando fu alla strada della dell'Uglio, si ud contare che un certo tale l vicino erasi per istigazione diabolica appiccato ad una trave di casa sua. A tale annunzio corse Ignazio velocemente sin l dovera il misero; appena giuntovi tronc immantinente la fune che dalla infausta trave pendeva: e quantunque niuno dubitasse, non fosse colui veramente morto, Ignazio contuttoci prosteso a terra ne chiese con istanti suppliche al divin Signore la salvazione; poi rizzatosi il chiam il nome: ed ecco aprir esso gli occhi, ricuperare l'uso dei sensi, dimandare d'un confessore, e confessatosi ed assoluto tornar di nuovo a morire. Questa cosa, considerate tutte le circostanze, fu da ognuno tenuta come un vero miracolo, e se ne sparse subito la voce per tutta la citt 20. Stette due anni in Barcellona

udendo con molta attenzione e profitto il maestro Ardebalo, al quale parve che potesse passare a pi gravi e pi alte scienze; e di questo medesimo parere furono ancora altri uomini dotti, che lo consigliavano, che studiasse il corso della filosofia. Ma desiderando egli di essere ben fondato nella latinit prima di passare ad altre scienze, non si soddisfece del parer loro, finch non si fece esaminare da un famoso dottore in teologia; il quale approvando e concorrendo nell'opinione degli altri, gli diede per consiglio, che per fare maggior frutto negli studi della filosofia, se ne andasse allo studio in Alcal; il che Ignazio fece l'anno 1526. ___________________CAPO XIV.Come fu preso in Alcal e dipoi liberato.All'entrata di Alcal, il primo ch'egli incontr fu uno studente di Vittoria, nominato Martino Olave, dal quale ricev la prima limosina: e fu da Dio nostro Signore di essa molto bene rimunerato per le Orazioni d'Ignazio; perciocch essendo gi Olave dottore in teologia nell'universit di Parigi, uomo segnalato in lettere, e di molta autorit, ritrovandosi nel Concilio di Trento l'anno 1552 con una straordinaria e segnalata vocazione fu da Dio chiamato, ed entr nella nostra Compagnia 21. Giunto Ignazio in Alcal, a dirittura se n'and all'ospedale, e quivi giornalmente andava cercando di porta in porta la limosina che gli era necessaria pel sostentamento della vita. Accadde una fiata, mentre egli andava chiedendo per Dio, che un certo sacerdote si prendeva burla di lui, e altre persone baldanzose e oziose insieme, che stavano in un cerchio raccolte, gli dicevano ingiurie e lo beffavano. Vide ci il Priore dell'ospedale di Antezana, fondato recentemente, e se l'ebbe molto a male; e chiamato

da parte il povero Ignazio, lo men seco e gli diede con molta carit alloggio in esso spedale. Quivi ritrovandosi egli in luogo molto commodo per l'intento suo, s'occupava negli studi della logica e della filosofia; ed insieme udiva il Maestro delle Sentenze. Ma non per questo lasciava le opere di devozione e di misericordia, n restava di procurare la salute spirituale de' prossimi suoi: perciocch con sollecitudine andava cercando limosina; con la quale sostentava i poveri che avevano maggiore necessit; e incamminava molti alla virt col mezzo dell'orazione e della meditazione, dando loro anco gli Esercizi spirituali; ed insegnava parimente la dottrina cristiana ai fanciulli e alla gente ignorante. A queste sue fatiche e travagli cotal frutto corrispondeva, che quella citt, dopo che Ignazio era entrato in essa, pareva tutta mutata da quel che era prima. Ma non pot ormai pi l'inimico del genere umano dissimulare la rabbiosa invidia sua, n soffrire di vedere tali cose: e cos venne ad isfogare l'odio che contra Ignazio conceputo aveva, in questo modo. Egli aveva in questo tempo tre compagni, i quali mossi dall'esempio di lui se gli erano accostati, come imitatori di sua vita; ed oltre a questi vi era anca un giovinetto francese, che medesimamente lo seguitava 22, e tutti andavano vestiti nel modo stesso che andava Ignazio, o con l'abito della medesima maniera, che era una tonica di sacco; onde in Alcal li chiamavano, come per burla, quelli dal sacco. Erano molto differenti e contrari insieme i pareri degli uomini che prendevano materia di parlar di loro, cos per vederli in compagnia uniti, come per lo concorso grande della gente, che con essi andava ad ascoltare Ignazio, e non meno vedendo il frutto chiaro e manifesto che si raccoglieva dall'esempio della vita e della dottrina sua. Laonde di questa cosa tra il volgo si parlava, come usanza, secondo che ognuno sentiva, chi difendendo e chi accusando, e nell'uno e nell'altro v'era eccesso, cos in quelli che ne dicevano bene, come in quelli che ne parlavano male. Arriv la fama di ci agl'Inquisitori di Toledo, i quali, come prudenti, in tempo cos sospettoso temendo di questa novit, e procurando, come diligenti che erano, di rimediare al male, se alcuno ve ne fosse, con altra occasione, o pur questa dissimulando; vennero in Alcal e fecero diligentissima inquisizione della dottrina, della vita e degli Esercizi d'Ignazio, e formarono il processo; e trovando che n in detti, n in fatti non avea cosa, nella quale egli fosse differente o discrepante dalla vera e sana dottrina della santa madre Chiesa, se ne tornarono in Toledo senza chiamarlo oppure dirgli alcuna parola; rimettendo per la cosa al dottore Giovanni Figuroa, che era Vicario Generale dell'Arcivescovado di Toledo, lasciando in mano sua il processo, e dandogli carico, che stesse sull'avviso e che guardasse alle mani di quella gente. Il quale, passati che furono alcuni giorni, mand a chiamare Ignazio e i suoi compagni, e loro disse: che si era presa molto particolare informazione della vita, dei costumi e della dottrina loro; n per grazia di nostro Signore s'era trovato in essi, n vizi nella vita, n falsit o errore nella dottrina: laonde potrebbono a lor piacere attendere agli esercizi soliti e occuparsi a lor volere in aiutare, come facevano, i prossimi. Che una cosa sola non gli piaceva; ed era, che non essendo essi Religiosi, andassero tutti vestiti d'un medesimo abito e d'una stessa foggia: che sarebbe stato meglio, e che cos egli voleva e comandava, che i due primi, cio Ignazio e l'Artiaga, avessero le loro vesti nere, gli altri due di colore lionato o tan, e il giovinetto francese portasse il suo abito ordinario. Ignazio rispose, che

avrebbero fatto quanto egli loro comandava; e cos fecero. Indi a pochi giorni mand il Vicario a dire ad Ignazio, che non andasse coi piedi scalzi; ed egli cos in questo, come nel rimanente era ubbidientissimo a chi comandare gli poteva, e subito si pose le scarpe. Il Vicario quattro mesi dopo ritorn a far nuova inquisizione sopra di essi; e dopo assai lunghe informazioni, e prolisse domande e risposte fatte a tutti gli altri, ad Ignazio non disse cosa alcuna, n gli mosse pm un filo della veste. Ma n questo anco bast, perch fossero lasciati vivere in pare: perciocch di subito sorse altra nuova burrasca, che nacque da quello che ora dir. Fra molti che udivano Ignazio, e che prendevano non poca utilit dai suoi consigli, erano anco due donne, madre e figliuola, nobili ed onorate, ambedue vedove, e la figliola era giovinetta e di bella apparenza. A queste, mosse da divozione, ma con fervore indiscreto, e per patire assai per amor di nostro Signore, venne in pensiero e si determinarono di mutarsi di abito, e come povere e mendiche andarsene a' piedi in un lungo pellegrinaggio; e sopra di ci richiesero il parere d'Ignazio; ed egli apertamente loro disse, che questo a lui non pareva ben fatto; poich ritrovare ed acquistare potevano pi facilmente nella propria casa loro e con minor pericolo quello che andavano cercando di fuori: e vedendo esse, che egli non era per acconsentire e corrispondere al loro desiderio e secondo quello che erano gi deliberate di fare, senza pi dirgli pur una parola, ambedue si posero in pellegrinaggio al S. Sudario di Giaen. Il che fu cagione, che tutti, sebbene senza ragione, si rivolgessero contra d'Ignazio, pensando che ci fosse avvenuto per suo consiglio. E cos, stando egli un giorno fuori dell'ospedale, in cui prima soleva dimorare, gli arriv addosso, quando meno se lo pensava, lufficiale del Vicario, e gli disse che se n'andasse con esso lui; ed Ignazio con molta mansuetudine ed allegrezza lo seguit fino alla prigione, dove dallufficiale fu lasciato. Era allora tempo di estate, e fu messo in una carcere alquanto libera: onde potevano venir molti ad udirlo, ai quali insegnava la dottrina cristiana e le cose di nostro Signore e dava loro gli Esercizi spirituali, nel medesimo modo appunto e con lo stesso fervore, che quando era del tutto libero. Alcune persone principali seppero che era stato posto in prigione: ed intendendo l'innocenza sua gli mandarono ad offerire il loro favore ed a dirgli, che s'egli voleva, l'avrebbono fatto levare dalle carceri. E fra queste ve ne furono due pi delle altre segnalate; l'una fu D. Teresa Enriquez, madre del Duca di Maqueda, signora divotissima e molto ben conosciuta in Ispagna; l'altra fu D. Leonora Mascaregna, che era allora dama dell'imperatrice e che fu poi nutrice del principe di Castiglia, il cattolico re Filippo, la quale oggid vive in religioso ricetto, ed stata sempre una delle pi divote e maggiori benefattrici della Compagnia nostra. Ma Ignazio confidato nella sua innocenza e desideroso di patire molto per Cristo, non consent, che queste prrsone od altre parlassero in suo favore, n volle pigliare procuratore, avvocato o uomo del mondo, che difendesse la causa sua, parendogli che non fosse necessaria la difesa, dove non era colpa; e medesimamente aveva caro, se in alcuna cosa egli torcesse, essere indirizzato dai Superiori ecclesiastici, ai quali per tutto il tempo di sua vita si mostr d'esser figliuolo di ubbidienza. Si trovava in questo tempo in Segovia uno de' suoi compagni chiamato Calisto, non totalmente guarito da una grave infermit passata. Questi subito che intese Ignazio essere prigione, se ne venne in Alcal, e se n'entr nella medesima carcere con esso lui; ma

d'ordine d'Ignazio s'appresent avanti il Vicario, il quale gli comand che alla prigione ritornasse. Ma per poco tempo dipoi fu posto in libert, procurandolo Ignazio molto pi ansioso della poca e fiacca sanit del compagno, che della sua propria causa. Erano di gi passati diciotto giorni che stava prigione, e in tutto questo tempo n egli sapeva, n si poteva immaginare per qual cagione l'avessero incarcerato. In questo venne il Vicario Figueroa a visitarlo, e cominciando ad esaminarlo ed a dimandargli di molte cose, fra queste gli domand se a caso conoscesse quelle due donne vedove, delle quali abbiamo ragionato di sopra, madre e figliuola. Ignazio rispose, che le conosceva: e il Vicario soggiunse: le consigliaste voi, che andassero in pellegrinaggio; o sapevate voi quando vi avevano ad andare? No certamente, disse Ignazio, anzi in verit vi affermo, che io le ho sconsigliate da simili viaggi e pellegrinazioni, acciocch lonore di quella figliuola non portasse pericolo per essere ella di quella et e di quel sembiante che ; e perch pi sicuramente e liberamente potevano fare le loro divozioni dentro la propria casa ed esercitarsi in opere di carit in Alcal, che con landare per monti e per deserti. Subito il giudice sorridendo gli disse: e questa sola e non altra la cagione, perch siete incarcerato. Passati quarantadue giorni, dopo che egli fu preso, e ritornate le donne dalla loro pellegrinazione, pigliarono il loro detto: laonde da questo si venne interamente in cognizione della verit, e si trov, che Ignazio non le aveva a ci consigliate, e cos cess tutto quel sospetto. E venendo il notaio della causa alla prigione, lesse la sentenza ad Ignazio, che conteneva tre cose. La prima, che liberava Ignazio ed i suoi compagni; e che di quello, che loro si opponeva, erano stati trovati in tutto e per tutto innocenti e senza colpa. La seconda, che l'abito loro fosse simile a quello di tutti gli altri studenti col mantello e con la berretta, e che d'indi in poi non andassero vestiti d'altra maniera. La terza, che, poich non avevano studiato teologia, il che sempre Ignazio chiaramente confessava, nei quattro anni seguenti, non si ponessero ad insegnare al popolo i misteri della nostra santa fede cattolica: finch con lo studio non avessero maggiore conoscimento e notizia di essi. Udita la sentenza, quanto a quello che apparteneva al vestire, Ignazio rispose al giudice, e gli disse: quando ci fu comandato che dovessimo mutare il colore dei nostri vestimenti, senza resistenza ubbidimmo; perciocch facil cosa era il tingerli: ma ora che ci s'impone, che portiamo nuovo abito, che di molto prezzo e che costa assai, ubbidir non possiamo, essendo noi, come siamo, poveri; e leseguire questo non in podest nostra. E cos subito il Vicario ordin che fossero provveduti di mantelli, berrette e di tutto il resto, che a studenti apparteneva. Ma vedendo dipoi Ignazio, che per la terza cosa di questa sentenza se gli serrava la porta per trattare lutilit del prossimo, dubit dell'esecuzione di essa; e cos determin d'andarsene dall'Arcivescovo di Toledo D. Alfonso de Fonseca, che allora era in Valladolid, per fare quanto da lui gli fosse imposto. Egli dunque part insieme coi suoi compagni, vestiti da studenti, come abbiamo detto, e l'accolse l'arcivescovo umanissimamente; e vedendolo inclinato ad andare allo studio in Salamanca, gli diede denari per il viaggio e gli offr ogni suo favore e protezione. Ma prima di passare oltre, qui a narrarsi mirabile cosa in Alcal avvenuta poco dopo che Ignazio fu dalla carcere liberato. Voleva gi il Vicario, come si detto, che egli e i compagni fossero provveduti degli abili che col usavano gli

scolari: e in quanto al trovare modo di provvederli ne di lincarico a un certo Giovanni Luzena, uomo molto onorato e tutto dato alle opere di carit in soccorso dei poveri. Questi si fece subito, con Ignazio appresso, a girare mendicando per la citt, e cos facendo, giunse sino alla casa di un tal Signore (di cui facciamo il nome per giusta cagione, me che certo era uno dei primi di Alcal), innanzi alla qual casa stava molto popolo radunato, chi giuocando alla palla, e chi dilettandosi di vedere altri giuocare. Anche a quel Signore si present il Luzena chiedendo limosina: ma egli che ben subito si avvide per chi quella limosina gli era chiesta: e non si vergogna, disse acceso di sdegno, un uomo di quella riputazione come voi, di abbassarsi a tanto? E pi sempre crescendo il fuoco della sua ira, aggiunse: possa io morire abbruciato, se costui, pel quale voi mi domandate limosina, non si merita il fuoco: le quali parole furono per chi le intese, come acuti strali; perciocch la santit d'Ignazio era da tutti conosciuta e ammirata. In quel d medesimo venne in Alcal la notizia del nascimento di Filippo II, e per ci si fecero subito dimostrazioni di grande allegrezza, ed apparecchi di sontuosissime feste. Mentre adunque colui, salito sopra la torre di sua casa, era ivi tutto in opera per accendere fuochi artificiali, una scintilla caduta a caso sopra una massa di polvere per quei fuochi l preparata, lev tale fiamma, ch'egli ne fa tutto subito involto, e senza trovare scampo miseramente per. Come Ignazio riseppe il fatto, fu preso da piet per quell'infelice, e si disciolse in lacrime. Se ne sparse poi per tutta la citt la notizia, e valse a crescere la stima e l'opinione del Santo. __________________CAPO XV.Come fu preso di nuovo in Salamanca e liberato.In Salamanca si occupava, come era di suo costume, in eccitare i cuori delle persone all'amore ed al timore di Dio. Si andava a confessare molto spesso da un Padre dell'Ordine di S. Domenico di quel famoso convento di S. Stefano. E un giorno fra gli altri gli disse questo suo confessore, che gli faceva sapere, come i religiosi di quella casa avevano gran desiderio di udirlo e di parlargli; al quale Ignazio rispose: che vi sarebbe andato di buona voglia ogni volta: e sempre che gli avesse comandato. Venite dunque, gli disse il confessore, a desinare con noi domenica; ma venite ben provveduto ed armato, perch i miei frati vogliono informarsi di molte cose da voi e vi faranno molte strette dimande. Il giorno per ci assegnato vi and Ignazio con un compagno, e dopo pranzo si ritirarono in una cappella, ove con essi si ritrov il confessore ed altri due Padri, dei quali uno era il Vicario, che governava il convento in assenza del Priore; il quale mirando con allegro sembiante Ignazio, gli disse con parole piacevoli e gravi insieme: Io prendo molta consolazione, quando odo ragionare del grande esempio che date con la vostra santa vita, e che non solamente vi pregiate di essere buono per voi medesimo, ma che procurate ancora che gli altri tali siano; e che ad imitazione degli Apostoli andate per tutte le parti mostrando agli uomini il cammino del paradiso, n io solo di questo mi godo; anzi di questa allegrezza partecipano i nostri frati ancora: ma perch ella e maggiore e pi compita divenga, desideriamo da voi stesso intendere alcuna di queste cose, che pubblicamente si dicono. E primieramente, che ci diciate, che professione e facolt la vostra, ed in quali studi vi siete occupati e di qual sorta di lettere avete fatto professione. E dicendogli Ignazio umilmente e con semplicit la verit dei suoi pochi studi: perch dunque, disse quegli, con s poco studio e con le poche lettere solo di grammatica vi

ponete voi a predicare? I miei compagni ed io non predichiamo, Padre; ma solo quando ci si offre alcuna buona occasione, parliamo familiarmente delle cose di Dio, secondo quello che ne abbiamo apparato. E quali cose di Dio son queste che voi dite? dimand il Vicario; ch questo appunto quello che sommamente desideriamo di sapere. Soggiunse subito Ignazio: noi alcune volte parliamo della dignit ed eccellenza della virt, ed altre della bruttezza ed enormit dei vizi, procurando di tirar quelli che ci odono ad abbracciare il bene e separarli, quanto possiamo, dal male. Voialtri, disse il Vicario, siete semplici idioti e uomini senza lettere, secondo che voi medesimi confessate; come dunque potete sicuramente parlare delle virt e dei vizi? Delle quali cose niuno con sicurt pu trattare, se non accompagnato dalla teologia, e da dottrina o acquistata per istudio, o rivelata da Dio: di modo che, poich di essa non avete fatto acquisto studiando, segno che ve l'ha infusa immediatamente lo Spirito Santo? Qui fermossi alquanto Ignazio, mirando quel nobile ed a lui nuovo modo d'argomentare: e dopo di essere stato buona pezza in un grave e raccolto silenzio, disse: basta, Padre; non bisogno passar pi oltre; e bench il Vicario tuttavia volesse convincerlo con l'argomento dello Spirito Santo, e lo sollecitasse con veemenza a dargli risposta, non glie ne diede altra che questa: io, Padre, non dir altro; se per non mi sar commesso da alcun superiore, a cui sia in obbligo di obbedire. Stiamo bene, disse il Vicario: gi il mondo, tutto ripieno di errori ed ogni giorno si suscitano nuove eresie e velenose dottrine; e voi non volete dichiararci quello che andate insegnando? Ma aspettatemi pur un poco quivi, che vi far ben io dir presto la verit. Si fermarono Ignazio ed il suo compagno nella cappella, e si partirono i frati; e fatte serrare, lo porte del convento; indi a poco li condussero ambedue in una cella. Tre giorni stette Ignazio in quel sacro convento con grandissima consolazione dell'anima sua. Mangiava in refettorio coi frati, e molti di essi andavano a visitarlo ed udirlo ragionare alla sua cella, che era quasi sempre di essi piena, ai quali Ignazio con molta libert ed efficacia parlava, come era di suo costume, delle cose di Dio; e molti di essi approvavano e difendevano il suo modo di vivere e d'insegnare; e cos il convento si divise quasi in fazioni e parti, lodando alcuni ed altri riprovando quello che udivano della dottrina di lui. In questo spazio di tempo quei religiosi Padri mossi da buon zelo e dalla libert, con la quale Ignazio ragionava, e per il concorso della gente che l'udiva, e per la voce ed il rumore, che delle cose di lui gi cos chiare e manifeste si dicevano per la citt, il qual rumore non sempre va del pari col vero, e vedendo i tempi cos sospettosi e perigliosi, temendo che inorpellandosi di santit alcun male sotto si nascondesse, il quale dipoi non cos facilmente si potesse sradicare o levar via; fecero consapevole di quel che tra loro passava il Vicario del Vescovo; il quale nel fine dei tre giorni mand al convento il suo ufficiale, e condusse Ignazio col suo compagno prigione. Ma non lo posero a basso, dov'erano gli altri presi ed incarcerati per comuni delitti, ma nel pi alto luogo di essa prigione in una stanza appartata, vecchia, mezzo rovinata, lorda e che rendeva gran fetore. Quivi legarono i due prigioni con una grossa catena, lunga dodici o tredici palmi, mettendola ad ognuno di loro ad un piede, e cos strettamente, che per niun modo potevano separarsi l'uno dall'altro. Ed in tal maniera passarono tutta quella notte vegliando e facendo orazioni. Ma il giorno seguente essendosi per la citt

divulgato, che erano stati presi, non mancarono uomini divoti di quei molti che solevano udire Ignazio, che li provvidero abbondantemente e di letti e di cibi e di altre cose necessarie. Ed ivi dove era prigione, non lasciava Ignazio i suoi soliti esercizi, e parlava con libert innalzando la virt, riprendendo i vizi, ed infiammando i cuori degli uomini al disprezzo del mondo. Lo venne a visitare alla prigione il baccelliere Fria, che cos si chiamava il Vicario, e ciascuno di essi separatamente interrog. Al quale diede Ignazio il libro degli Esercizi spirituali, acciocch li esaminasse; e gli disse, che oltre il compagno, ch'era seco, ne aveva due altri; e gl'insegn la casa dove gli avrebbe ritrovati. Mand il Vicario a prenderli, e li fece porre a basso nella carcere comune; acciocch stando ognun d'essi separato dall'altro, non potessero intendersi fra loro. Non volle in questa persecuzione Ignazio pigliare alcuno per procuratore o avvocato dell'innocenza sua. Passarono in questo modo alcuni giorni in prigione; e finalmente condussero avanti quattro giudici, uomini tutti gravi e di molte lettere: tre dei quali erano dottori, Isido, Paravigna e Fria nominati; il quarto era il suddetto Vicario che s'addimandava il Baccelliere Fria. Tutti avevano letto il libro degli Esercizi, ed esaminatolo con ogni curiosit e diligenza. Arrivato alla loro presenza Ignazio, gli dimandarono di molte cose, non solo di quelle che nel libro si contenevano, ma anco di molte altre questioni di teologia molto recondite ed esquisite, come della santissima Trinit, del mistero dell'Incarnazione e del santissimo Sacramento dell'altare. Alle quali cose tutte Ignazio, protestando prima con modestia, che era uomo senza lettere, rispondeva con tanta sapienza e cos gravemente, che piuttosto dava loro occasione di meraviglia, che di alcuna riprensione. Gli propose di poi il Vicario una questione di legge canonica, acciocch la dichiarasse; ed egli dicendo, che non sapeva quello che in tal caso determinassero i dottori, contuttoci rispose di modo, che tocc il punto della verit. Gli comandarono finalmente, che ivi dichiarasse loro il primo comandamento del decalogo, nella maniera che soleva al popolo: lo fece, ed intorno ci tante cose e cos straordinarie disse e cos bene, che lev loro la voglia di addimandargli altro. Una cosa sola pareva, che non tenessero i giudici per sicura; ed era un documento, che si d nel principio degli Esercizi, nel quale si pone la differenza che tra il pensiero, che peccato mortale e veniale. Il che non riprendevano in Ignazio, perch insegnasse cosa che fosse falsa; ma perch, non avendo studiato, veniva a determinare quello che senza molta dottrina non si poteva ben discernere e verificare. A questo Ignazio rispose: a voi s'aspetta il vedere se sia verit o no quello che intorno a ci io insegno, e per questo siete costituiti giudici, n voglio io prendere lufficio vostro, con fare giudice me stesso: solo din'lando, che s'approvi se vero; e se vero non , che si riprovi e si condanni quello ch'io dico, Ma non ritrovando i giudici onde dannare lo potessero, non osarono riprovarlo.Venivano molti, come s' detto, alla carcere a visitare Ignazio ed udirlo, tra i quali era D. Francesco Mendoza, che mor poi Cardinale e Vescovo, di Burgos; il quale condolendosi un giorno de' travagli suoi, gli dimand se molta pena gli arrecava il vedersi preso e legato alla catena; al quale Ignazio rispose: Perch? parvi forse Signore, essere cos gran male lo stare un uomo prigione e posto in ferri? Io vi dico in verit, che non vi sono tanti ceppi n tante catene in Salamanca, con quante io desidero d'essere avvinto e legato per amor del mio Signore Cristo Ges. Accadde in

questo tempo della sua incarcerazione, che una notte tutti i prigionieri uscirono fuori della pubblica prigione e scapparono fuggendo, lasciando la porta aperta ed il luogo cos solo ed abbandonato; e i compagni dIgnazio solamente ed egli per guardia di esso: e cos la mattina del giorno seguente furono trovati essi soli nella carcere con le porte aperte e spalancate: Per la qual cosa cos il giudice, come tutti quelli della citt restarono edificati non meno, che meravigliati. Laonde quindi li tolsero e li condussero in un buono alloggiamento, ed in capo di ventidue giorni della prigionia loro furono chiamati avanti ai giudici per udire la sentenza che pronunciata avevano; ed in somma di questa. Che li liberavano e li tenevano per uomini di vita e dottrina intiera e santa, senza ritrovare in esse macchia o sospezione alcuna: e che potessero, come per innanzi facevano, insegnare al popolo o parlare delle cose di Dio. Ma che da una cosa sola si astenessero, che era il non porsi a trattare cose molto alte e profonde, n dichiarare la differenza che v'ha tra il peccato mortale e veniale, fin che non avessero studiato quattro anni di teologia. Letta la sentenza, disse Ignazio, che loro avrebbe ubbidito per il tempo che fosse stato nel loro distretto e sotto la loro giurisdizione: poich giusta cosa non era, che non ritrovandosi colpa nella sua vita, n errore nella dottrina, volessero serrare loro la strada per aiutare le anime, levando loro la facolt di poter liberamente trattare delle cose di Dio; e che, poich egli era libero e di se medesimo signore per poter andare dove pi gli aggradiva, egli avrebbe considerato quello che intorno a ci gli fosse tornato bene. _____________________CAPO XVI.Come se ne and a studiare in Parigi.Fin dal primo giorno che Ignazio si determin di seguire gli studi delle lettere, and sempre con sollecitudine tra se stesso sospeso; e considerando, se finiti che gli avesse, sarebbe stato bene prendere l'abito di alcuna sacra Religione; o pure se restando in libert si doveva impiegare totalmente in profitto delle anime, cercando compagni che in questa santa occupazione aiutarlo volessero. E questo pensiero lo tenne molto perplesso e dubbioso. Si risolveva per, che avendo egli a farsi religioso, voleva entrare in alcuna Religione, che fosse molto lontana dai suoi primi fervorosi principii, e che avesse alquanto rimesso dell'osservanza della propria Regola. Perciocch per una parte gli pareva, che sarebbe stato di gradimento a Dio nostro Signore, che quella Religione si riformasse col travaglio e con l'esempio di lui; e per l'altra, che avrebbe in essa maggior occasione di patire e soffrire le molte contraddizioni e persecuzioni, che addosso gli sarebbero venute da quelli, che contenti solo del nome ed abito di Religiosi ricuserebbono la riforma della disciplina regolare e della loro vita religiosa. Ma molto pi inclinava il suo cuore a cercare e trovar compagni per potere con maggiore comodit ed apparecchio impiegarsi tutto nell'aiuto spirituale dei prossimi; ed in questo all'ultimo si risolse come cosa e vocazione, alla quale Iddio lo chiamava. Ed era di questo medesimo pensiero ancora, quando in Salamanca si trovava legato alla catena, dalla quale quando ei si vide sciolto, considerando gli ostacoli ed impedimenti; che ivi se gli opponevano per non poter porre in esecuzione quello che desiderava, giudic che gli conveniva mutare stanza e partirsi da quella Universit; e cos se ne part, strettamente contraddicendo a questa sua deliberazione molte persone principali, alle quali sino all'anima doleva della partenza di lui. S'incammin dunque con proposito d'andarsene allo studio di Parigi, dove era inviato da Dio per favorirlo

nella maniera, in che fu poi favorito. Comunicato ci coi suoi compagni ed accordatisi in far questo viaggio, si part Ignazio solo, camminando a piedi verso Barcellona, andandogli avanti un asinello carico di libri. Arrivato ad essa citt, trattando de' suoi negozi e del viaggio co' suoi conoscenti e divoti, che molli n'avea acquistati nel tempo passato, tutti con grandi ed efficaci ragioni lo sconsigliavano dall'andare a Parigi. Gli ponevano innanzi il freddo molto aspro che era, essendo di mezzo inverno, la guerra di gi rotta e molto sanguinosa tra Spagna e Francia, i pericoli e travagli che per questa cagione egli avrebbe potuto incorrere nel viaggio: gli raccontavano molti e recenti esempi d'orribili crudelt, che commesso avevano i francesi in quel cammino contra i viandanti. Ma non bastarono tutte queste cose ad arrestare Ignazio, il quale si sentiva essere sospinto avanti dal vento favorevole dello spirito Santo, ritrovando pace in mezzo alla guerra, nei pericoli sicurezza e nei travagli riposo. Laonde si pose ad andare a piedi per mezzo la Francia, e col favor di Dio che lo guidava, arriv sano e senza passar pericolo alcuno a Parigi alli 2 di Febbraio l'anno 1528. __________________DELLA VITA DI S. IGNAZIO DI LOIOLA__________________LIBRO SECONDOCAPO I.Del travaglio che pose negli studi e del frutto che fece in essi.Giunto che fu Ignazio allo studio di Parigi, cominci con gran sollecitudine a pensare, che modo avrebbe potuto tenere, per cui senza pensiero e libero dalla necessit, che aveva del sostentamento corporale, potesse totalmente impiegarsi nello studio delle arti liberali. Ma gli successe molto al contrario; perciocch grande fu la necessit e molto il travaglio ch'egli ebbe nel proseguire i suoi studi. Di Spagna gli era stata mandata certa somma di denari per limosina, ed egli che poco amico era di tener cosa alcuna, li avea dati in custodia ad un suo compagno spagnuolo, con cui insieme albergava; il quale come gli piacque li consum e spese tutti, onde non ebbe poi da restituirglieli. Per il che Ignazio rest cos povero e senza alcuna provvisione, che per vivere gli convenne andarsene all'ospedale di S. Giacomo, e quindi fu necessario andar chiedendo il vitto d'uscio in uscio; la qual cosa, se bene non gli era nuova, anzi il mendicare come povero, gli recava gusto e contento, nondimeno apportava non poco impedimento ai suoi studi. Perciocch cominciandosi le lezioni nell'inverno, come l'uso di Parigi, avanti giorno, e durando quelle della sera fino a notte, egli per non preterire l'ordine e le leggi dell'ospedale, doveva partirsi la mattina levato il sole e ritornarsene la sera prima che fosse tramontato; laonde veniva a perdere buona parte delle lezioni, essendo il suo alloggiamento troppo lontano dalle scuole. Vedendo dunque, che non faceva quel profitto che desiderava negli studi e che per tanto travaglio era molto poca l'utilit che ne cavava; pens di porsi a servire alcun padrone, che fosse uomo dotto e che insegnasse filosofia, la quale egli aveva caro di udire; e tutto il tempo che gli sopravanzasse dalla servit, impiegarlo in istudiare; perch cos gli pareva, che avrebbe avuto minor disturbo per imparare, che, con lo stare nell'ospedale mendicando quotidianamente. Ed erasi determinato, se ritrovava un tal padrone, di tenerlo nel suo cuore invece di Cristo Signor nostro, ed ai discepoli di lui portare rispetto come agli Apostoli. Di modo che procurerebbe di sempre rappresentarsi nella mente quel santissimo collegio di Cristo e degli Apostoli suoi, per viver di maniera, come se avesse ad esser sempre presente agli occhi loro ed imitar l'esempio di cotali

persone. Laonde il nostro buon Padre nelle regole che ne diede, ci ammaestr che dovessimo sempre riguardare il nostro Superiore, qualunque egli si fosse, come persona che ci rappresenta Cristo Signor nostro, ed i Padri ed i Fratelli, come i suoi santi discepoli. Perciocch questa considerazione nella comunit e nella vita religiosa di gran forza per conservare la riverenza, che ai superiori si deve, e per mantenere l'unione e la pace, la quale fra se stessi mantenere debbono gli uni con gli altri. Desiderava di compire quello che l'Apostolo comanda ai servitori e soggetti dicendo: Voi che Servite, ubbidite i vostri padroni con timore e sincerit di cuore, come fareste all'istesso Cristo. E tutto che con gran diligenza e col mezzo di molte persone andasse procurando d'avere un tal padrone, mai non lo pot ritrovare: onde per consiglio d'un religioso amico suo, dopo aver raccomandata la cosa a nostro Signore, prese altro cammino, che molto meglio gli successe. Se n'andava ogni anno da Parigi in Fiandra, dove fra i mercatanti ricchi di Spagna, che negoziavano nelle citt di Bruges e d'Anversa, raccoglieva tanta limosina, che con essa poteva vivere un anno poveramente; e con questa provvisione se ne tornava a Parigi, riacquistando con la perdita e il travaglio di pochi giorni il tempo che di poi gli restava per istudiare. Per questa via i due primi anni ebbe quanto gli faceva mestieri per sostentarsi; ed il terzo pass medesimamente in Inghilterra, per cercar in Londra simile limosina, e ve lebbe pi abbondante. Passati i tre primi anni, i mercatanti che stavano in Fiandra, avendo di gi conosciuta la virt e la divozione sua, ogni anno da loro stessi gl'inviavano la limosina sino a Parigi; di modo che non gli accadeva per questo andare e venire tante volte. Di Spagna ancora i suoi divoti gli mandavano alcun soccorso, col quale, insieme con quello che aveva di Fiandra, poteva passarla assai comodamente, ed anco far la spesa ad un altro compagno. Con questi travagliosi principii pass Ignazio i suoi studi: e non solo la povert e la necessit corporale lo sturbavano, s che in essi non potesse fare profitto; ma il demonio, che di gi cominciava a temere di lui, procurava con tutte le sue forze di sviarlo da quel cammino, in cui con tanto fervore lo vedeva incamminato per i suoi studi. Perciocch incominciando il corso della filosofia, lo volle ingannare con le medesime illusioni, come in Barcellona avea fatto, quando principi a studiare Grammatica, pei molti contenti e gusti che se gli offerivano. Ma come gi esperimentato, facilmente scacci da s quelle false rappresentazioni, e abbatt l'orgoglio dell'astuto nimico nella medesima maniera, che superato l'aveva in Barcellona. Fu medesimamente nel fine de' suoi studi travagliato molto dalle infermit, se bene nel principio di essi non si sentisse tanto molestato dai suoi soliti dolori di stomaco. Ma il castigare cos aspramente e cos del continuo il suo corpo, le penitenze che faceva, e che, per sentirsi alquanto meglio, aveva accresciute, il travaglio dello studio con cos poco alleviamento, il grande e perpetuo conto, che a se medesimo richiedeva, per non andare in cosa alcuna secondo la propria volont, e l'aria di Parigi, che gli era molto contraria ed insalubre, vennero tutte queste cose a stringerlo di modo, che fu necessitato, se non voleva perdere la vita, dinterrompere il filo de' suoi studi. Ma con tutti questi travagli fece cos buona riuscita, e acquist tanta dottrina, che giudic per bene impiegato tutto quello che pativa; n si ebbe a pentire, per il frutto che nelle lettere aveva fatto, delle sopportate fatiche. In Ispagna a persuasione d'alcuni che ne lo consigliarono, per avanzar tempo

e per potere pi presto dare aiuto alle anime, aveva confuso l'ordine de' suoi studi, udendo in un medesimo tempo logica, filosofia e teologia; e cos cercando d'abbracciar molto, strinse poco: e procurando di accorciare, gli fu cagione di maggior prolungazione e tardanza. Ma fatto cauto con questa esperienza, in Parigi se n'and pian piano, e ordin molto bene i suoi studi: perciocch prima di passare pi avanti volle fondarsi bene nella lingua latina, udendo nel collegio, che ivi chiamano di Monteacuto, lettere umane da buoni maestri, quasi due anni intieri, dal principio di febbraio dell'anno 1528 fino al nuovo studio del 1529, che in Parigi s'incomincia il giorno primo di Ottobre, in cui si celebra la festa di S. Remigio; nel quale diede principio al corso della filosofia, e lo fin con molta lode e utilit, ricevendo il grado di maestro in quella facolt, passando per l'esame, che ivi chiamiamo della Pietra, il quale dei pi rigorosi, che si facciano in quellUniversit 23. Lo pose a questo rischio il suo maestro; ed egli, tuttoch molto fuggisse ogni vana ostentazione, si content nondimeno di passare per esso, per aver appresso gli uomini insieme con il grado, alcun testimonio della dottrina sua: sovvenendogli che in Alcal ed in Salamanca questo solo impedimento ritrovato avea, che gli toglieva il potere liberamente aiutare i prossimi. Finito il corso della filosofia, il rimanente del tempo che era perci necessario, impieg nello studio della sacra teologia, notabilmente favorendolo la misericordia del Signore nella dottrina e scienza che in quel tempo egli acquist. Non lascer di dire, poich viene il proposito; che dalle molte difficolt c dai travagli che esperiment il nostro buon Padre in se stesso nel tempo de' suoi studi, venne a provvedere saviamente anco a quello, che noi altri in essi abbiamo di mestieri. Perciocch dal disturbo ch'egli ebbe mentre studiava, per la povert e necessit temporale, ne nacque il desiderare e procurare, che quelli della Compagnia abbiano la provvisione necessaria alla vita umana nel tempo che s'impiegano negli studi, di maniera che non vengano da essi distornati con la sollecitudine di aver a cercare il vitto: perch egli affermava, che dove vi ha somma povert, difficile cosa l'attendere allo studio dello scienze, e che col pensiero di mantener il corpo, molto tempo si perde, che si avrebbe da porre in coltivare lintelletto. Laonde ordin nelle Costituzioni, che i collegi, ove studiano i nostri, possano aver entrata in comune; il che non deroga punto alla santa povert, anzi di molto aiuto per fare acquisto di dottrina, la quale si richiede per maggior gloria di nostro Signore. E perch egli era stato parimente impedito dalle divozioni e dai gusti delle cose celesti, che fuor di tempo gl'ingombravano il pensiero e tenevano occupato l'intelletto quando studiar doveva, provvide a questo e consigli i fratelli della Compagnia, che non si lasciassero trasportar tanto dal fervore dello spirito, che fossero deviati dagli esercizi delle lettere: ma che cos le loro meditazioni ed orazioni, come le occupazioni col prossimo fossero considerate e misurate con la discrezione, che il tempo degli studi ricerca. Le molte infermit che ebbe, lo debilitarono e gli fecero gran detrimento alla sanit; e per questo si prese particolar pensiero, tutto il tempo ch'ei visse, della sanit di tutti i suoi figliuoli: lasci molto raccomandato nelle Costituzioni, che i superiori a questo dovessero diligentemente riguardare, e che procurassero che le ordinarie fatiche de' nostri studenti con l'intermissione potessero durare. Vide medesimamente, che nel principio aveva in uno stesso tempo insieme abbracciato lo studio di molte

facolt, e che questo gli era stato di molto costo: e perch non errassimo, ne lasci ben ordinati i tempi e l'occupazioni degli studi, di modo che n fossero difettevoli e manchevoli, n si studii prima quello che ha da essere studiato di poi, n si seguitino compendi, che sogliono esser cagione, che s'arrivi molto pi tardi, che quando si va per il cammino reale e ordinario. Di maniera che da quello che egli pal ed in che fu tentato, apprese per esperienza come aveva da indirizzare e aiutar gli altri, i quali negli stessi termini si ritrovassero. Ed a questo proposito soleva egli medesimo raccontare la molta povert e i travagli che negli studi sopportato aveva, e il gran pensiero e la sollecitudine, con la quale studiava. E aveva ragione di dirlo: perciocch egli primieramente visse sempre in gran povert, siccome abbiamo dimostrato, e ci fece volontariamente, non prendendola, come fanno alcuni altri religiosi, per ubbidienza; ma di sua propria e spontanea volont. Secondariamente fu tormentato ed afflitto da tante infermit cos pericolose e cos continue, come si veduto. Oltre di questo non aveva egli gi per scopo e per fine dei suoi studi, n ricchezze, n onori, n verun altra cosa temporale; che sogliono essere stimolo e incentivo agli uomini per attendere agli studi e innanimarli per sopportar i travagli loro; n meno a lui era d'alleviamento quello che suol esser agli altri, cio, il gusto che ricevono da quello che vanno imparando, che cos saporito e dilettevole, che molte fiate per non perderlo, si perde prima la sanit e la vita, senza poter gli uomini separarsi dai loro libri: ma Ignazio, cos per natura sua, come per aver incominciato il studiare in et gi matura, e perch aveva parimente gustato la soavit dei divini favori e della conversazione celeste, non prendeva gusto degli studi, n altro umano intertenimento ad essi lo allettava. In tutto il tempo che studi, ebbe medesimamente molte occupazioni, gravissime persecuzioni, infiniti pensieri, dubbi e perplessit, che se affatto non tagliavano l'ordito filo gli arrecavano nondimeno travaglio e impedimento. E con tutte queste difficolt studi quasi dodici anni continui con molta sollecitudine e ansiet; negando se medesimo e soggettandosi alla volont del Signore, al quale in tutto e per tutto desiderava aggradire. E per far ci pi compitamente e acquistar quello che desiderava, con ogni sua forza procurava di troncare e allontanare da s tutto quello che dal canto suo per questo turbare lo potesse. E cos quando studiava il corso della filosofia, si concert col maestro Fabro, che all'ora dello studiare non parlassero di cose di Dio, perch se a caso entrava in ragionamento o in colloquio spirituale, subito s' immergeva e ingolfava cos profondamente in celeste delizie di spirito, che gli scorrevano molte ore senza poter tornare addietro: onde per questo veniva a perdere il profitto e l'utilit che dai suoi studi cavar dovea. E per la medesima cagione in questo tempo del corso della filosofia non volle occuparsi in dare gli Esercizi spirituali, n impiegarsi in altre cose, che dagli studi distornare lo potessero. E perch in questo tempo possedeva molta pace e niuno lo perseguitava, gli disse un amico suo: non vedete voi, Ignazio, come vanno le cose? che mutazione questa? dopo cos gran fortuna cotanta bonaccia? Quelli che poco fa vi volevano trangugiar vivo, e vi sputavano in faccia, ora vi lodano e per buono vi tengono: che novit questa? Al che egli rispose: di ci non vi meravigliate; lasciatemi finire i miei studi, e vedrete tutto al rovescio: ora cagliano, perch io caglio; e perch io sto quieto, essi quieti stanno; ma volendo parlare o fare

altra cosa, di subito s'innalzeranno le onde del mare al ciclo, e s'abbasseranno fino ai profondi abissi; talch parr che ci vogliano sommergere e tranghiottire. E fu cos appunto come egli disse: perciocch, finito il corso della filosofia, incominci a trattare con maggior ardore la salute delle anime; e subitamente contra di lui si lev una grandissima burrasca, come nel seguente Capitolo si racconter. ___________________CAPO II.Come per esercitarsi nelle opere di carit fu perseguitato. Si occupava Ignazio nel tempo de' suoi studi non solamente in studiare, ma ancora in muovere, come abbiamo detto, coi suoi consigli, con la sua dottrina gli altri studenti, e attrarli all'imitazione di Ges Cristo Signor nostro. Laonde prima che cominciasse il corso della filosofia, mosse cotanto alcuni giovani nobili, ingegnosi e ben ammaestrati, che subito privandosi di quanto nel mondo possedevano, seguirono il consiglio dell'Evangelo. E se bene nel medesimo corso non si occupava tanto in questo, pei rispetti che raccontati abbiamo nel precedente Capitolo, finito per quello, di tal maniera infiamm gli animi di molti studenti, dei migliori che allora si trovassero nelluniversit dello studio di Parigi, a seguitare la perfezione evangelica, che quando Ignazio di Parigi part, quasi tutti i conoscenti e divoti di lui, abbandonando il mondo e quanto dal mondo sperar potevano, si ridussero al sicuro porto della santa Religione. Perciocch l'animo di lui era cos acceso ed ardente col fuoco del divino amore, che dovunque egli s'accostava, facilmente s'attaccava e s'accendeva nei cuori altrui il medesimo fuoco che nel suo ardeva. Ma essendo per solita l'invidia d'andare sempre latrando dietro la virt, non meraviglia se a questi effetti di zelo venisse subito dietro la malignit della contraddizione; onde si levarono in Parigi grandi tempeste contra di lui, e la cagione particolare fu questa. In quella Universit erano alcuni giovanetti spagnoli nobili, i quali per la conversazione che avevano con Ignazio, mossi d'all'esempio di lui, vennero a fare cos gran mutazione nella loro vita, che avendo dato tutto quello che possedevano ai poveri per Dio, andavano mendicando di porta in porta; e lasciando le compagnie che prima avevano e le case nelle quali dimoravano, si erano ritirati per vivere come poveri all'ospedale di S. Giacomo. Cominci a divulgarsi la fama di questa cosa ed a spargersi a poco a poco per tutta l'Universit di maniera, che oramai d'altro non si parlava, interpretando ci ognuno conforme al gusto suo. Quelli che pi degli altri tumultuavano e che di questo negozio maggiore risentimento facevano, erano alcuni cavalieri spagnoli, amici e parenti di quei giovanetti discepoli d'Ignazio. I quali venuti all'ospedale di S. Giacomo a ritrovarli, cominciarono con assai buone parole a persuaderli, che lasciassero quella vita presa per capriccio ed a persuasione d'un uomo vano, e che se ne tornassero alle loro case. E non potendo avere l'intento loro, usarono prieghi e carezze, promesse e minacce, valendosi delle armi che erano loro somministrate dall'affetto, ed usando ogni artificio che sapevano. Ma per n anco tutto questo bastando, lasciando le parole vennero alle mani; e con grand'impero ed ira, per forza d'armi quasi strascinandoli, li tirarono fuori di l dove stavano e li condussero in quella parte della citt, dove lo Studio. E tanto seppero dire e fare, che al fine si fecero promettere, che prima finirebbero i loro studi, e che poi potrebbono porre in opera i santi desiderii loro. E sapendosi che Ignazio era l'autore di questi consigli e di questo nuovo modo di vita, non poteva essere, ch'egli non dispiacesse a quelli, ai

quali simili operazioni non piacevano. E tra gli altri fu uno il dottor Pietro Ortiz, il quale fioriva in quel tempo in quell'Universit con nome di letterato famoso. Il quale mosso dalla novit della cosa,volle che si esaminasse molto strettamente la dottrina e la vita d'Ignazio, dell'una e dell'altra delle quali cotanto si favellava. Lo accusarono avanti lInquisitore, il quale era un dotto e grave teologo, chiamato Maestro Matteo Ori, frate dell'Ordine di S. Domenico. Andollo a ritrovare Ignazio senza essere chiamato, sapendo quello che passava, e senza aspettare altro s'appresent avanti a lui, e gli disse: ch'egli aveva udito dire, che a quel tribunale vi era una certa denunciazione o querela contro di lui, e ch'essendo vero o no quello che gli era stato riferito, voleva che la sua Paternit sapesse, che era apparecchiato a dar conto di se stesso. L'Inquisitore l'assicur, dicendogli, come era vero, ch'erano venuti a lui alcuni ad accusarlo, ma che non aveva da temer di travaglio, o di pena alcuna. Unaltra volta, finiti i suoi studi, bisognandogli fare un viaggio in Spagna, di cui non poteva fare di meno, fu avvisato che era stato accusato criminalmente avanti l'inquisitore; e subito saputolo, non guardando punto a quello che aveva a fare, n'and a parlare al giudice, e lo preg caldamente che si contentasse di esaminare la causa sua, ed investigata la verit, pronunciare la sentenza conforme ad essa. Quando io era solo, diceva egli, non mi curava di queste calunnie e di queste mormorazioni; ma ora che ho compagni, stimo assai per quello che tocca all'onor di Dio, la fama ed il buon nome loro. Come posso io partirmi per Ispagna lasciando qui sparsa cotal fama, se ben vana e falsa contro la nostra dottrina?Gli disse l'Inquisitore, che non aveva contra di lui accusa alcuna criminale; ma ch'erano venuti a dirgli alcune ciance e vanit, che nascevano o dall'ignoranza o dalla malignit degli accusatori; e ch'egli sapendo ch'erano false relazioni e favole, non aveva n anche voluto farlo chiamare a s; ma giacch ivi allora si ritrovava lo pregava, che gli mostrasse il suo libro degli Esercizi spirituali. Glielo diede Ignazio, e lo lesse l'Inquisitore; e gli piacque tanto, che gli chiese licenza di poterlo copiare per servirsene; e lo fece. Ma Ignazio vedendo, che il giudice andava o dissimulando o prolungando di pubblicare la sentenza sopra la causa, della quale era accusato; acciocch la verit non divenisse oscura con la bugia, condusse avanti l'Inquisitore un pubblico notaio e testimoni, e gli dimand, che se non voleva dare la sentenza, almeno facesse fede e testimonianza dell'innocenza e della purit sua, se trovasse di poterlo fare giustamente. Il giudice subito fece quanto ci richiedeva, facendone di ci fede al notaio, dal quale prese Ignazio una copia autentica per servirsene poi, se in alcun tempo fosse bisognato, contra l'infamia del falso testimonio, che gli era stata opposta 24. Persone gravi ed autorevoli della nostra Compagnia mi contano un fatto molto attenente alla materia di che ora trattiamo; il quale ho io ben voluto lasciar fuori nella prima edizione di questo mio libro per la ragione, che anche Ignazio nella narrazione delle sue cose avevalo tralasciato: ma ora credo opportuno di scriverlo; perciocch al suo modo di fare, alla fortezza dell'animo suo, alla sua prudenza si conf pienamente. Narrano adunque quei padri, che in quel tempo in cui Ignazio a pi scalzo, digiuno e acceso di tanto ardore di carit se ne era ito da Parigi a Roma per recare sollievo a colui che di tutto il denaro affidatogli l'avea defraudato, consumandolo a suo piacere, e che l intanto se ne giaceva infermo nel corpo e sommamente afflitto nell'animo (come dir poi nel L. V.), fu Ignazio accusato

innanzi all'Inquisitore, e che per falsi rumori sparsi per tutta l'Accademia parigina perdette molto, presso quelli che non sapevano bene le cose, della sua buona riputazione. Alcuni pertanto lo davano per fuggiasco, consigliato a tal partito dalla sua rea coscienza; altri il divulgavano come un ipocrita finalmente scoperto, e dicevano che le cose eccedenti i confini della discrezione sono sempre da tenersi in sospetto e da temersi assai come pericolose. Altri altre cose spacciavano, ciascuno secondo il proprio suo sentire e la propensione dell'animo suo. Tutto ci scrisse subito ad Ignazio un suo amico, rendendolo cos con molta amorevolezza ben informato delle strane cose che andavansi agitando nel volgo intorno a lui. Ricevette Ignazio la lettera dell'amico in Roano, quando a caso si trovava in una piazza; e fatto in quel luogo stesso dove gli era stata ricapitata la lettera, e in quel medesimo punto in cui aveva finito di leggerla, chiamare a s un notaio e testimoni, mostr a questi la lettera ricevuta, li fece persuasi, che dopo averla letta non si era punto distolto da quel sito ove allora si ritrovava, e li invitava a volergli tener dietro sino a Parigi per rendere col testimonianza, che senza dir parola ad alcuno, di l egli erasi dipartito per tornare a dirittura a quella citt. Usc egli adunque di Roano accompagnato da quel notaio e da quei testimoni; e come fu giunto a Parigi se ne and difilato allInquisitore; gli narr fedelmente e semplicemente quanto egli aveva fatto, non s tosto che gli era stata consegnala la lettera dell'amico, per togliere ogni ombra di sospetto; ed ora, conchiuse, eccomi tutto in vostro potere. __________________CAPO III.Come nel collegio di S. Barbara in Parigi lo vollero pubblicamente battere, e in che modo fu da nostro Signore liberato.Aveva persuaso Ignazio a molli scolari suoi compagni, che lasciassero le male pratiche e le amicizie fondate pi tosto ne' sensuali diletti, che negli esercizi virtuosi; e che s'occupassero i giorni di festa in opere sante, confessandosi e comunicandosi divotamente. Dal che nasceva, ch'essi in tali giorni per attendere a questi divoti esercizi, ai quali egli li consigliava, mancavano alcune volte a quelli delle lettere che in Parigi anco nei giorni di festa del tutto non si tralasciano. Laonde vedendo il maestro d'Ignazio, che la sua scuola restava mezzo abbandonata mancando gli scolari, se l'ebbe molto a male; e avvisollo che attendesse ai fatti suoi, che non si frammettesse nella vita degli altri, e che non gli sviasse gli scolari, se non voleva divenirgli nimico. Tre volte fu Ignazio ammonito di questo, ma non per ci rest di condurre avanti l'impresa sua, invitando i suoi compagni alla divota frequenza dei santi Sacramenti: comunic dunque questa cosa il maestro con Giacomo Goveano, dottore teologo, il quale era quello che governava il Collegio di S. Barbara, dove Ignazio studiava; ed era ivi come Rettore e il principale del Collegio; il quale in nome suo fece, che il maestro minacciasse Ignazio e che gli dicesse, che gli avrebbe data una sala, se non cessava di sviare gli scolari dalla sua scuola, ed andarli, come faceva, con inganno subornando. Chiamano sala in Parigi il dare un crudele ed esemplare castigo di battiture pubblicamente, per mano di tutti i precettori del Collegio, convocando a questo spettacolo tutti gli scolari, che in esso si ritrovano, in una sala. Il quale rigoroso castigo e di cos grave affronto non si suol dare, se non a persone inquiete e di perniciosi costumi. N meno furono bastanti queste minacce per fare, che Ignazio si arrestasse punto da quello che aveva incominciato. Se ne dolse il maestro col dottor Giacomo Goveano con molto

risentimento, affermandogli, che Ignazio solo gli perturbava tutta la classe e che sotto pretesto di santit rompeva tutti i buoni ordini e costumi di quel Collegio; e che avendolo una e pi volte avvertito, alcune fiate pregandolo, ed altre in suo nome minacciandolo, era stato sempre per cos duro, che mai aveva potuto far s che egli si emendasse. Stava, avanti che questo succedesse, adirato il dottor Goveano con Ignazio per uno scolare spagnuolo chiamato Amadori, il quale per consiglio di lui aveva abbandonato il Collegio, gli studi e il mondo, per seguir nudo il nudo Cristo. Irritato dunque il Goveano da queste parole del maestro, ripieno d'ira e di furore, si determin di dare ad Ignazio quel pubblico castigo, come a sedizioso e turbatore insieme della pace e della quiete comune: e cos comand che venendo Ignazio al Collegio, si serrassero le porte, e che al tocco della campana si unissero tutti, gli dessero delle mani addosso, ed apparecchiassero i flagelli, coi quali lo avessero a battere. Ma non si pot prendere questa risoluzione tanto segretamente, che non pervenisse agli orecchi dalcuni amici d'Ignazio, i quali l'avvisarono che si guardasse: ma egli ripieno di festa e giubilo, non volle perdere cos buona occasione di patire e vincendo se stesso trionfare di se medesimo. E cos di subito senza perder punto di tempo se n'and al Collegio, l dove gli era preparata l'ignominia e la croce. Sent ben Ignazio che la carne ricusava di fare tal carriera, e che perdeva il colore, e che tremava: ma fra se stesso parlando, le diceva: In questo modo tiri de' calci contra lo sprone? per ti dico, asino, che questa volta hai da riuscire letterato, e far ben io che saprai saltare. E con queste parole dette fra se medesimo, entr nel Collegio. Come ei fu dentro, si chiusero le porte, diedero il segno con la campana, s'adunarono tutti gli scolari, vennero i maestri, ognuno con le verghe in mano, con le quali in Parigi sogliano battere alcuno: ragunossi tutta la gente, e si ridussero nella pubblica sala, in cui s'aveva da porre in esecuzione quella rigorosa sentenza. Fu in quell'istante combattuto l'animo d'Ignazio da due spiriti, i quali bench paressero contrari, ambi nondimeno s'indirizzavano ad un medesimo fine. Da una parte l'amor di Dio accompagnato da un acceso desiderio di patire per Cristo, e di soffrire per il suo santo nome dolori ed affronti lo spingeva ad offrirsi allegramente all'infamia ed alle battiture apprestategli: ma dall'altra parte l'amore dello stesso Dio, unito con l'amore della salute de' suoi prossimi e col zelo delle loro anime, lo ritirava e rivocava da quel proponimento. Buona cosa per me, egli diceva, il patire: ma che sar di quelli che ora cominciano ad entrare per lo stretto sentiero della virt? Quanti con questa occasione torneranno addietro dal cammino del cielo? Quante tenere piante rimarranno secche senza succo di divozione o del tutto sradicate da questo tempestoso turbine? Come dunque potr soffrire io con cos manifesta perdita di tanti, di procurare per me solo un poco di guadagno spirituale? Ed oltre di questo, qual cosa pu essere pi brutta ed aliena dalla gloria di Cristo, che veder battere e pubblicamente disonorare un uomo cristiano, in una Universit di cristiani, non per altro delitto, se non perch segue Cristo e conduce gli uomini a Cristo? No, no: non ha da esser cos; ma l'amor di Dio necessario ai miei prossimi ha da superare e vincere l'amore dello stesso Dio in me medesimo non necessario; acciocch quest'amore, vinto dal primo, sia egli il vincitore, e cresca, e trionfi con maggiore vittoria. Ceda l'utile mio all'utilit de' miei fratelli; serviamo ora Dio con la volont e

col desiderio di patire; e quando senza detrimento e danno del terzo si possa fare, lo serviremo col porre in opera il patire. Con questa risoluzione se n'and dal dottor Goveano, il quale ancora non si era partito dalla sua abitazione; e gli manifest tutto lanimo suo e la sua determinazione, dicendogli: che quanto a lui, niuna cosa gli poteva succedere in questa vita pi dolce e pi saporosa, che essere battuto, e patire ignominie per Cristo, come gi provato l'aveva nelle prigioni e nelle catene, dove per la medesima causa, era stato posto: ma ch'egli temeva la fiacchezza de' principianti, ch'erano ancora nella virt piccioletti e tenerelli, che a ci dovesse guardar molto bene; perch gli faceva sapere: ch'egli non si prendeva affanno di se stesso, ma che ogni sua pena ed ogni suo pensiero era di quei tali. Senza lasciargli dire pur altra parola lo prese per la mano il dottor Goveano, lo men in quella stanza dove i maestri e gli scolari lo stavano aspettando; ed ivi appena giunto; con meraviglia e stupore di tutti quelli ch'erano presenti, si gett a' piedi d'Ignazio, e spargendo dagli occhi suoi affettuose lacrime, gli chiese perdono, confessando ch'egli aveva leggermente dato orecchio a chi non doveva, e dicendo ad alta voce, che quell'uomo era un Santo; poich non faceva stima dei suoi propri dolore ed affronti, ma del profitto dei prossimi o dell'onore di Dio. Restarono di quest'atto i buoni innanimati ed i malvagi confusi: e si vide la forza che diede Iddio nostro Signore alle parole d'Ignazio, e come egli libera quelli che sperano in lui; ed il bene che da questo successe, lo narreremo nel XVI Capitolo di questo libro, per essere ivi il luogo suo proprio, prendendo Dio questo dottor Goveano per istromento alla conversione dellIndia orientale! _________________CAPO IV.Dei compagni che in Parigi se gli accostarono.Fin dal
principio, che Ignazio si determin di seguire gli studi, ebbe sempre inclinazione di adunare insieme compagni, che avessero il medesimo desiderio ch'egli aveva, di aiutare alla salute delle anime. E cos anco quando era tanto perseguitato e molestato in Ispagna, aveva seco i compagni da noi di sopra nominati, i quali s'erano accostati a lui. Ma non avendo ancora quella compagnia fatte le radici, con la partita d'Ignazio per Parigi, di subito si secc, disfacendosi e con facilit dandosi fine a quello che facilmente e senza fondamento alcuno s'era incominciato. Perciocch scrivendo loro da Parigi, dove appena poteva sostentar se medesimo mendicando, con quanto gran travaglio le cose gli succedessero, e quanto poca speranza avesse di poter ivi mantenerli; e raccomandandoli a Leonora Mascaregna, che per rispetto d'Ignazio molto li favor; finalmente si separarono l'uno dall'altro, andandosene ognuno di loro dove pi gli aggrad. Nel tempo adunque, che Ignazio cominci a studiare filosofia, Pietro Fabro Savoiano, e Francesco Saverio Navarro stavano allora nel collegio di S. Barbara, ed erano non solo amici e condiscepoli, ma anco compagni in una medesima camera. I quali bench avessero di gi finiti i loro studi, ricevettero Ignazio in loro compagnia, e quindi cominci egli a guadagnare quei giovani d'ingegno e di dottrina cos eccellenti. Col Fabro specialmente prese strettissima domestichezza, e seco ripeteva le lezioni che aveva udito, di maniera che tenendolo per suo maestro nella filosofia naturale ed umana, venne a far s, ch'egli fosse poi discepolo di lui nella spirituale e divina. Ed in poco tempo cotanto lo mosse con la meravigliosa vita e con l'esempio suo, che determin di volere accostarsi con gli studi e con la vita agli studi ed alla vita d'Ignazio: il quale non ispieg nel principio subito tutte le vele, n us tutte le forze sue per guadagnare in un colpo quest'anima; ma a poco a poco e lentamente and procedendo con esso lui. Perciocch gl'insegn primieramente a fare ogni giorno lesame della coscienza: gli fece fare una confessione generale di tutta la sua vita, e di poi gli pose in consuetudine di ricevere ogni otto giorni il santissimo Sacramento dell'altare. E dopo di essere vissuto di questa maniera quattro anni, nel fine di essi vedendolo gi ben maturo e disposto per altre cose maggiori, con molto accesi desideri di perfettamente servire a Dio, gli diede, per renderlo compitamente perfetto, gli Esercizi spirituali: da' quali il Fabro tal frutto ne ricev, che allora veramente gli parve essere

passato da un golfo tempestoso, dalle onde, da' venti e da una inquietissima guerra, e d'essere entrato nel porto sicuro della pace e della quiete. Il che scrive lo stesso Fabro in un libro delle sue meditazioni, ch'io ho veduto, dicendo: che avanti che si ponesse a fare quei santi Esercizi, lanima sua non aveva mai potuto aver pace; laonde in questo tempo si determin e propose di seguire totalmente Ignazio. Francesco Saverio, bench fosse egli ancora compagno di camera d'Ignazio, si mostr nondimeno nel principio meno pronto in seguitarlo; ma non pot alla fine fare resistenza alla forza dello spirito che parlava in lui. E cos venne ad accostarglisi e porsi del tutto nelle sue mani, bench fu tarda di ci lesecuzione: perch quando egli prese questa risoluzione, erano passati molti giorni, ed era gi occupato in leggere il corso della filosofia. Era parimente venuto di Alcal a Parigi, finito che ebbe lo studio della filosofia, ed in essa graduato maestro, Giacomo lainez, nato in Almazan, citt nel Regno di Castiglia. A questo venne desiderio di studiare teologia in Parigi, e di trovare e vedere Ignazio, il quale aveva udito lodare in Alcal per uomo di molta santit e di grande asprezza di vita; e piacque a Dio che il primo, nel quale s'incontr il Lainez entrando in Parigi, fosse Ignazio: e subito se gli diede a conoscere e presero insieme familiarissima conversazione ed amicizia. Si part medesimamente di Alcal insieme con Lainez Alfonso Salmerone di Toledo, ch'era assai giovinetto: erano per ambedue di singolare ingegno e di grande aspettazione. Ai quali nel medesimo tempo che a Pietro Fabro, Ignazio diede gli Esercizi spirituali, pei quali si determinarono di seguitarlo. In questo modo si unirono a lui dipoi anco Simone Rodrigo Portoghese e Nicol Bobadiglia, nato presso a Palenza. I quali tutti e sette, finito il corso della filosofia e ricevuto il grado di Maestri, studiando gi teologia, lanno 1534, il giorno dellAssunzione della Beata Vergine andarono alla chiesa della stessa Regina degli Angeli, chiamata il Monte de' Martiri, lontana tre miglia da Parigi; e quivi dopo essersi confessati e ricevuto il santissimo Sacramento del Corpo di Cristo nostro Signore, fecero tutti voto di lasciare nel d da loro prefisso tutto quello che possedevano senz'alcuna cosa riserbarsi, fuorch il viatico necessario fino a Venezia; e fecero voto similme te d'impiegarsi in aiutare spiritualmente i prossimi e d'andare in pellegrinaggio a Gerusalemme; con questa condizione, che giunti a Venezia, per un anno intero aspettassero la navigazione, e ritrovando passaggio in quest'anno, arrivati in Gerusalemme procurassero di fermarvisi e di vivere sempre in quei luoghi santi. Ma se non potessero passare entro l'anno, oppure avendo visitato Terra Santa, non potessero ivi rimanere, che in tal caso se ne andassero a Roma, e prostesi a' piedi del Sommo Pontefice Vicario di Cristo Signor nostro, se gli offerissero; acciocch Sua Santit liberamente di essi disponesse e di loro si servisse dove le tornasse bene per beneficio e salute delle anime. E

quindi trasse l'origine il quarto voto delle missioni, che noi altri offeriamo al Sommo Pontefice, quando facciamo professione nella Compagnia. E questi medesimi voti tornarono a confermare i due anni seguenti nel medesimo giorno, nella suddetta chiesa e con le stesse cerimonie. Dal che parimente ebbe principio il rinnovar dei voti, che usa la Compagnia avanti la professione. Nello spazio di questi due anni loro si aggiunsero altri tre compagni teologi, cio Claudio Iaio Savoiano, Giovanni Codurio Provenzale; e Pascasio Broet Francese della Provincia di Picardia; e cos arrivarono al numero di dieci: i quali, bench fossero di nazione differenti, erano per d'un medesimo cuore e d'una medesima volont. Ed acciocch le occupazioni degli studi in tal modo si continuassero, che per essi non si venisse ad intepidire la divozione e il fervor dello spirito, Ignazio li andava armando con l'orazione e meditazione quotidiana delle cose divine, ed insieme con la frequente confessione e comunione. Ma non per questo si cessava dal conferire ordinario degli studi e dalle solite dispute, le quali per essere da una parte delle sacre lettere di teologia e per l'altra apparate per semplice e puro amore di Dio, aiutavano la divozione e lo spirito. S'andavano con questo nei cuori loro creando ardenti ed infiammati desiderii di

dedicarsi totalmente a Dio, ed il voto che fatto avevano di perpetua povert, ogni anno andavano rinnovando. Il vedersi fra loro e conversare ogni giorno familiarissimamente, il conservarsi fra loro una soavissima pace, concordia, amore e comunicazione di tutte le cose e degli animi insieme, li tratteneva ed animava per avanzarsi nei loro buoni propositi. Costumavano anco ad imitazione de' santi Padri antichi di convitarsi lun laltro, secondo la loro povert; e prendevano questo per occasione di trattare fra loro di cose spirituali, esortandosi al dispregio del secolo ed al desiderio delle cose celesti: le quali occupazioni furono cos efficaci, che in tutto quel tempo che si fermarono in Parigi per dare fine ai loro studi, non solo si intepid, n venne meno quel fervoroso desiderio della perfezione; anzi di giorno in giorno con segnalato aumento and sempre crescendo 25. ___________________CAPO V.Come Ignazio si part di Parigi per Ispagna e di Spagna per Italia.Era in questo tempo
Ignazio molestato s gravemente da crudelissimi dolori di stomaco, ed avea perduto in maniera la sanit senza speranza di ricuperarla con umano rimedio, che fu forzato dai consigli dei medici e dalle preghiere de' suoi compagni di partirsi per Ispagna , e provare se la mutazione dell'aria nativa, che senza alcun dubbio molto pi salubre, che quella di Parigi, fosse bastante a risanarlo, o almeno a prestargli alcun miglioramento ed allentargli il male. E perch Ignazio, che poca stima faceva della sanit sua, facesse pi volentieri e procurasse questo viaggio, v'aggiunse nostro Signore un'altra cagione, che fu l'avere alcuni de' suoi compagni negozi tali in Ispagna, che per la tranquillit e quiete loro conveniva, che Ignazio li sbrigasse e spedisse. Convenirono dunque delle cose loro in questo modo l'anno 1535; che Ignazio se n'andasse in Ispagna, e nella sua patria ricoverando le forze, concludesse i negozi dei compagni che lasciava in Parigi, e che di Spagna s'inviasse a Venezia; e ch'ivi li aspettasse, e ch'essi si trattenessero ne' loro studi in Parigi fino all'anno 1537, e per insino al giorno della conversione di san Paolo, che alli 25 di Gennao: e che in quel d si ponessero in cammino per Venezia, acciocch ivi congiunti con esso lui dessero ordine per il passaggio in Gerusalemme. Si part dunqne Ignazio, conforme a quello ch'era stato fra loro concertato, camminando verso Spagna sopra una cavalcatura compratagli da' suoi compagni; perciocch per la gran fiacchezza gli era impossibile andare a piedi. Arriv alla sua Terra pi gagliardo di quello, ch'era quando si part di Parigi: e prima che arrivasse, avuta nuova della venuta sua, gli and incontro a riceverlo tutto il clero: ma non poterono mai far s, ch'egli andasse a smontare a casa di suo fratello, n volle ridursi in altra abitazione, che in quella de' poveri cio nell'ospedale. Cominci a chiedere limosina di porta in porta per sostentarsi, contra la volont del suo fratel maggiore, che in questo, quanto poteva, gli ripugnava; e prese ad insegnare la dottrina cristiana ai fanciulli. Suo fratello per isviarlo medesimamente da questo pensiero, gli diceva, che sarebbono venuti pochi ad udirlo: al che Ignazio rispose: se un fanciullino solo verr ad udir la dottrina, riputer, quanto a me, d'aver buona udienza; e cos non facendo caso della contraddizione con umana prudenza fattagli da suo fratello, prosegu ad insegnare la dottrina cristiana; e passati alcuni pochi giorni, il fratello stesso con gran moltitudine d'ascoltatori venne ad udirlo. Ma ai sermoni, che faceva tutte le domeniche ed alcuni giorni di festa con frutto notabile fra la settimana, era tanto il concorso della gente, che di molte Terre di quella Provincia veniva a sentirlo, mossa dalla fama delle cose che di lui si dicevano, ch'era forzato, per non poter capire il popolo nelle chiese, di andarsene a predicare alla campagna, e quelli che ivi concorrevano, per poterlo vedere ed udire, salivano sugli alberi.Raccontasi, che nella prima di queste prediche ch'egli fece in Aspeizia, disse certe cose che io qui voglio soggiungere, s perch si vegga quanto egli mai si studiasse di mortificarsi, di deprimersi e di provvedere in quella vece al buon nome e al buon concetto degli altri; e s pur anche perch apprendiamo il gran divario che vi ha tra i giudizi di Dio e quelli degli uomini, tra la strada che battesi da chi a Dio tien dietro lasciandosi guidare da lui, e quella per cui camminano coloro che a sangue e carne aderiscono, e d'ogni maniera peccati si fanno colpevoli. La qual cosa pu pur vedersi ancora nel libro delle Confessioni di S. Agostino, dove egli piange con

amarissime lacrime gli errori della sua giovent, e conta come enormit assai gravi le cose che fece quando ancor era fanciullo. E a questo fatto pur si assomiglia ci che Ignazio narr di se medesimo in quella prima predica con grande sua umiliazione. Disse egli dunque dinanzi a una gran

moltitudine di popolo e a tutta la nobilt di quelle province concorsa ad udirlo, ch'egli si era bens indotto a ritornare in patria per altre cagioni ancora, ma principalmente per riparare agli scandali ivi dati; affinch se v'erano di quelli che l'avevano imitato ne' suoi depravati costumi, fossero ora testimoni del suo pentimento, del suo ravvedimento, della emendazione della sua vita, o lo volessero ora assai pi saviamente in questo imitare. Sapessero poi particolarmente, come egli, dacch si era a Dio convertito, era stato sempre lacerato nel cuore da acutissimi rimorsi; perch un d, entrato con suoi compagni nell'orto di un tal cittadino, ne avevano tolto di nascosto una certa quantit di frutte con danno grande di chi avea quell'orto in custodia: peroch il padrone sdegnato l'avea fatto tenere per del tempo rinchiuso in carcere e poi costretto a risarcirgli del suo il danno avutone. Quel misero adunque senza alcuna sua colpa, senza veruno suo merito fu tutto insieme privato della fama e della roba. Io, soggiunse, io sono il reo; egli innocente: io peccai, io feci il male; egli ha dovuto scontarlo con pene che in niun conto gli si dovevano. E qui additato quell'uomo, che a ventura si trovava fra gli altri ad udirlo, e chiamatolo a nome, pi e pi volte il preg che gli perdonasse. E poich aveva cercato con quella pubblica confessione di restituirgli il buon nome e la stima, accettasse pertanto a riparazione ancor della roba due poderi di cui egli era ancora padrone, e che, testimoni tutti che l erano presenti, a lui cedeva e consegnava. Cav Iddio tanto frutto dall'andata di lui, per il tempo ch'ei si ferm nel suo paese, aggiungendosi alla dottrina l'esempio della vita e la prudenza nel predicare; che si levarono molti errori e si sradicarono molti vizi, che sino negli ecclesiastici erano entrati e col cattivo ed invecchiato costume aveano preso tanta forza, che gli uomini di gi non procuravano d'ammendarli, avendo preso nome di virt. Lasci ivi molti ordini, ch'erano necessari per la pace e per il buon governo della vita politica, e per il benessere e per l'aumento della religione cristiana. Fra l'altre cose procur, che i governatori e giudici facessero rigorose leggi contra il giuoco e contra la dissoluzione e disonest de' Sacerdoti. Perciocch essendo, costume antico della Provincia, che le donzelle andassero coi capelli scoperti e senza alcun velo in capo; v'erano alcune, che con male esempio o con grande scandalo, vivendo disonestamente con alcuni chierici, si velavano le teste, n pi n meno, come se fossero state legittime mogli di quelli, coi quali in peccato vivevano, e loro osservavano la fede e lealt, che ai propri mariti osservar si deve: onde procur Ignazio con tutte le sue forze d'estirpare da quella Terra questo sacrilego abuso. Tratt come si avesse a provvedere ai poveri del mantenimento necessario: che si toccasse la campana per far orazione tre volte il giorno, la mattina, a mezzod e la sera; e che si facesse particolar orazione per quelli, che vivevano in peccato mortale. E avendo a queste e ad altre cose simili dato ordine e statuito quello che si conveniva, ricuperate le forze necessarie per porsi in cammino, perciocch anco nella sua Terra sammal, si part per concludere i negozi de' suoi compagni. Ma volendo andarsene a piedi e senz'alcuna provvisione per il viaggio, quindi venne in nuova contesa col fratello: perciocch avendo egli avuto per grande affronto, che

Ignazio, non facendo stima di lui, se ne fosse andato spregiato ed abietto a vivere fra i poveri e sugli occhi suoi chiedendo limosina nella propria Terra, per rimediare a questo disonore ed al danno della propria riputazione, che cos solita la prudenza carnale chiamare le cose di Dio, limportun molto strettamente, che volesse andare a cavallo, provveduto di denari ed accompagnato. Accett Ignazio quello, che dal fratello gli fu offerto, per placarlo e lasciarlo contento, e per liberarsi presto da lui e dagli altri suoi parenti: ma per essendo nei confini di Biscaia, subito furtivamente toltosi da quei che lo accompagnavano, lasciato il cavallo, a piedi, solo, e senza denari, dimandando limosina giunse a Pamplona. Quindi pass in Almazan, Siguenza e Toledo; perch in tutti questi luoghi aveva da dar ordine alle cose, che alla cura di lui erano state dai suoi compagni raccomandate: ed avendole espedite bene, n avendo voluto ricevere denari, n altra cosa delle molte che gli offerirono i parenti dei suoi compagni, si part per Valenza; ed ivi in una nave s'imbarc; bench contra il volere e consiglio degli amici suoi, che gli mostravano il gran pericolo, in cui si poneva, volendo passare in quel tempo il mare mediterraneo, per tenere occupati i passi di quella navigazione Barbarossa famoso corsale e capitano del gran Turco. E se bene la divina provvidenza lo guard dai corsali, non gli mancarono per i pericoli dello stesso mare. Perciocch sorse una cos furiosa tempesta, che rotto l'albero con la forza del vento, perdute molte sarte ed armamenti della nave, parendo gi ad ognuno essere giunta l'ora sua, si apparecchiavano tutti a morire. In questo passo ed in cos periglioso punto esaminava Ignazio la sua coscienza ed andava investigando nei pi intimi ripostigli dell'anima sua; e quando tutti stavano timorosi per lo spavento della morte, egli solo non poteva essere oppresso d'alcun timore. Solo gli dava pena il parergli di non aver fin allora interamente corrisposto alle vocazioni ed ai doni di Dio: accusavasi nella sua coscienza, che di tanti benefizi e con s larga mano offertigli da nostro Signore, non avesse con le debite grazie e con quella diligente costanza che si doveva, saputo approfittarsene per bene dell'anima sua e di quella dei suoi prossimi. Passato questo pericolo, giunse a Genova, e quindi con un altro grandissimo e pericolosissimo rischio della vita arriv a Bologna. Perciocch camminando solo per le radici delle Alpi, si smarr nel cammino ed errando la strada, di passo in passo venne a montare sopra un'altissima ed angusta salita che veniva a dare nel torrente d'un fiume, che da un monte precipitosamente discendeva. Ritrovossi in cos gran pressura e conflitto travagliato di maniera, ch'io ho udito dire a lui medesimo, ch'era stato il maggiore, che avesse passato in sua vita: perciocch senza potere andar avanti, n saper tornare indietro, dovunque volgeva gli occhi, non vedeva se non spaventose balze ed orribili precipizi ed a basso l'altezza e profondit d'un rapidissimo fiume. Ma finalmente per la misericordia di Dio usc di questo pericolo, andando un gran pezzo col petto per terra rettando, e sostenendosi pi sopra le mani, che sopra i piedi. Nell'entrare in Bologna cadde da un ponticello di legno a basso nella fossa, donde usc tutto infangato e lordo, non senza essere burlato e deriso da quelli che lo vedevano. Entrato in questo modo nella citt, e corsala quasi tutta chiedendo limosina, non ritrov alcuno, che gli desse pur un quattrino, n un boccone di pane: il che fu cosa di gran meraviglia in una citt cos ricca, cos grande, e cosi caritativa. Suole per Iddio alle volte provare in questa maniera i suoi. Ivi s'inferm

per cagione de' travagli passati; ma risan presto, e proseguendo il suo cammino, giunse a Venezia, dove aspett i suoi compagni, come avevano in Parigi fra loro convenuto. __________________CAPO VI.Come fu accusato in Venezia e dichiarata dipoi l'innocenza sua. Il tempo, nel quale Ignazio si ferm in Venezia aspettando i suoi compagni, non fu speso da lui oziosamente; anzi con ogni pensiero s'occupava, come era di suo costume, in aiuto de' prossimi: laonde mosse alcuni a seguire i consigli di nostro Signore, per incamminarsi alla perfezione. Fra i quali furono due fratelli di Navarra, uomini onorati e di et matura; i quali ritornando di Gerusalemme, dove erano stati in pellegrinaggio, s'incontrarono in Venezia in Ignazio, il quale avevano conosciuto anco prima e familiarmente seco trattato in Alcal. Si chiamavano questi Stefano l'uno, e l'altro Giacomo Eguia, i quali dipoi entrarono nella Compagnia, ed in Roma morirono santamente, Quivi parimente uno di quelli che si mosse, fu il Baccelliere Hozes spagnuolo, uomo di lettere e di buona vita, il quale tuttoch molto si affezionasse alla virt e dottrina che si scorgeva in Ignazio, non osava per fidarsi totalmente di lui e porsi nelle sue mani; perciocch aveva udito dire molte cose di esso, o maliziosamente finte dai detrattori o imprudentemente credute dagl'ignoranti. Ma finalmente pot tanto Ignazio, che l'inclin a fare gli Esercizi spirituali, i quali se bene incominci dubbioso e timoroso insieme nel principio, gli abbracci nondimeno dipoi con deliberata volont e con intiera confidanza. Perciocch, subito che in se stesso si raccolse e si diede alla meditazione e orazione, port e rinchiuse nella sua camera molti libri di teologia, temendo di alcun errore; acciocch aiutandosi di essi, pi facilmente scoprir potesse quello, che da Ignazio gli era insegnato: ma rest talmente disingannato e tanto profitto cav, che mutando il sospetto in isviscerato amore, venne ad essergli vero e fedelissimo compagno e posto nel numero de' dieci primi, ch'egli ebbe. Ebbe medesimamente in Venezia domestichezza con D. Gio. Pietro Caraffa, che dipoi fu Papa Paolo IV, il quale rifiutando l'Arcivescovato di Chieti, si accompagn con D. Gaetano Vicentino, D. Bonifacio Piemontese, e D. Paolo Romano, uomini nobili e di buona vita, che diedero principio alla Religione che volgarmente si chiama de' Teatini, perch l'Arcivescovo di Chieti, che in lingua latina si chiama Teatino, fu, come abbiamo detto, uno de' fondatori di essa, e il principale di tutti per sangue, per lettere, dignit e autorit. E per quest'occasione per errore del volgo si venne a chiamare la religione nostra dei Teatini, essendoci questo nome atribuito da alcuni, che in ci s'ingannano. N da meravigliarsi, che questo errore sia trapassato nella gente comune; perch essendo la nostra e quella Religione di Chierici regolari, ed ambedue fondate in un medesimo tempo, e nell'abito non molto dissomiglianti, il volgo pose ai nostri il nome, che nostro non era, non solamente in Roma, ove cominci questo inganno, ma parimente in altre Terre e Province lontane. Diede anco Ignazio gli Esercizi spirituali in Venezia ad alcuni gentiluomini di quell'eccellentissimo Senato: aiutandoli col suo consiglio a seguitare il cammino della virt. Ma non vi mancarono degli altri, i quali, o per invidia, ovvero per essere mal informati, pubblicarono per la citt, che egli era un uomo fuggitivo, che in Ispagna era stato molte volte prigione: e che essendo stata abbruciata la statua sua, se n'era fuggito; e che n meno in Parigi aveva potuto stare sicuro, e che quindi si era

deliberato di partire per iscampare la vita. Venne la cosa a termini tali, che si propose in giudizio questo negozio per certificarsene: onde si fece diligente Inquisizione della vita e de' costumi suoi. Ma essendo fondato tutto ci sopra la falsit, subito svan e cadde a terra: per il che Ignazio, il quale aveva riguardo via pi alla buona fama de' suoi compagni, che alla sua propria, non s'acquet mai, fin tanto che il Nunzio Apostolico, che allora risiedeva in Venezia, nominato Girolamo Verallo, dichiar per sentenza la verit, nella quale fece chiara e molto illustre testimonianza dell'integrit della vita e della dottrina di lui, come si vede nella stessa sentenza originale, che oggid abbiamo in Roma appresso di noi 26. ___________________CAPO VII.Come i compagni d'Ignazio, partendosi di Parigi vennero a cercarlo in Italia. Nel tempo che Ignazio stava in Venezia aspettando la venuta dei suoi compagni, s'accese nuova guerra in Francia, entrando in essa con potente esercito dalla banda di Provenza l'Imperatore Carlo V: per il che i compagni di lui, ch'erano restati d'accordo di partire di Parigi, a sua richiesta, il giorno della conversione di s. Paolo l'anno 1537, furono forzati d'affrettare la loro partenza, fuggendo il disturbo e il pericolo della guerra. Laonde si partirono di Parigi il 15-11-1536. Era il loro cammino in questo modo. Andavano tutti a piedi, poveramente vestiti, ed ognuno di essi col suo fardello dei libri e degli scritti dei suoi studi. I tre che erano sacerdoti, cio Pietro Fabro, Claudio Iaio e Pascasio Broet, celebravano ogni giorno Messa; e gli altri sei ricevevano il Santissimo Sacramento del Corpo di nostro Signore, armandosi col pane della vita eterna contra i gran travagli e difficolt di quel s lungo e periglioso cammino. La mattina nelluscire dallalbergo, e la sera allentrarvi era il loro primo e principale pensiero il fare un breve orazione, e quella finita, nel viaggio si seguiva la meditazione, e fra essa andavano frammettendo ragionamenti di cose divine e spirituali. Il mangiare loro era sempre molto misurato e da poveri. Quando insieme consultavano se fosse bene o no il fare alcuna cosa, tutti con molta pace e concordia seguivano il parere della maggior parte. Mentre passarono per la Francia quasi ogni giorno ebbero piogge dirotte e traversando l'Alemagna alta, nella maggiore rigidit dell'inverno, ebbero a patire del freddo, che in quella regione settentrionale suol essere molto aspro ed acuto. Vinceva per tutte queste difficolt, nuove per loro e inusitate, la spirituale contentezza e il godimento, che sentivano le anime loro in considerare perch, o per cui sopportassero cotali cose: e di esse e de' pericoli, che in simili viaggi, maggiormente a' poveri stranieri occorrere sogliano, la provvidenza divina li liber con la misericordia sua. Non lascer di dire, come nel giorno stesso, che partirono di Parigi, meravigliati alcuni di vedere il nuovo abito, il numero e il modo del camminare di questi nostri primi Padri, dimandarono ad un certo rustico lavoratore, che fissamente li stava mirando, se sapeva che gente fosse quella. Il contadino, non so da che spirito mosso, in lingua francese rispose loro: sono i signori Riformatori, che vanno a riformare qualche paese. Arrivarono finalmente in Venezia agli otto di gennaio 1537, e quivi ritrovarono Ignazio, che li stava aspettando, insieme con l'altro sacerdote, che di sopra abbiamo detto, che a lui saccost; e con singolare allegrezza tra loro si ricevettero. Ma perch la stagione non era buona per andare a Roma a chiedere la benedizione dal Papa per andare in Gerusalemme, posponendo tutte l'altre cose, si determinarono di ripartirsi negli ospedali; e cinque di essi

andarono all'ospedale de' Santi Giovanni e Paolo, e gli altri cinque a quello degl'Incurabili. Quivi cominciarono con singolar carit e diligenza ad esercitarsi nei pi bassi e vili uffici che vi fossero; e a consolare, ed aiutare i poveri in tutto quello, che si apparteneva alla salute delle anime e dei corpi, con tanto esempio d'umilt e dispregio del mondo, che apportavano a tutti quelli che li vedevano, gran meraviglia. Fra tutti Francesco Saverio era segnalatissimo nella carit e misericordia coi poveri, nella intera e perfetta vittoria di se medesimo. Perciocch non contento di fare tutti gli ufficii pi schifosi che immaginar si potessero, per vincere perfettamente l'orrore e la nausea ch'egli aveva, lambiva e succhiava ai poveri alcune volte le piaghe ripiene di marcia. Tali furono i principii di questo servo di Dio, e conforme ad essi fu il progresso ed il fine, come pi avanti si dir. E gettavamo allora i nostri Padri i fondamenti delle probazioni, che aveva a far poi la Compagnia. Si fermarono dunque quivi sino a mezza Quaresima, e di qui partirono por Roma, lasciando Ignazio solo in Venezia; parendo loro, che cos convenisse farsi per servigio divino. Il modo del loro camminare era di questa maniera: andavano a tre a tre, due laici, e un sacerdote, e sempre fra essi mescolati. spagnuoli con francesi, o savoiani: dicevano ogni giorno la Messa quei ch'erano sacerdoti, e quelli che tali non erano, si comunicavano: camminavano a piedi, ed ogni giorno digiunavano, perch era la Quaresima, e niun'altra cosa mangiavano fuor di quello che ritrovavano per amore di Dio. Ed era la limosina cos poca che molte volte passavano i loro digiuni ed i travagli del viaggio mangiando solo pane e bevendo acqua: laonde fu loro necessario, che in questa pellegrinazione patissero straordinari travagli. Ed una domenica avvenne, che avendo la mattina preso un sol boccone di pane per uno, coi piedi scalzi camminarono ventotto miglia, piovendo sempre tutto, il giorno loro addosso con gran copia d'acqua; e ritrovando le strade che erano fatte lagune, e in tanta altezza di acqua che in alcuni luoghi giungeva loro al petto; con tutto ci sentivano in se stessi un contento e una allegrezza mirabile: e considerando che sofferivano quelle fatiche per amor di Dio, ad esso rendevano infinite grazie, cantando a vicenda i Salmi di David: e, Maestro Giovanni Codurio, che aveva le gambe coperte di lepra, col travaglio di questo ne rimase sano. Onde se in questo cammino i furono grandi le tribolazioni dei nostri Padri, non furono minori i godimenti, che ricevettero dalla divina liberal mano, del Signore, per amor del quale tutto ci pativano. Ritrovossi in Roma, quando vi arrivarono, il dottor Pietro Ortiz, che per comandamento dell'Imperatore Carlo trattava avanti al Papa la causa matrimoniale della Regina d'Inghilterra, D. Caterina zia dell'Imperatore, la quale da Enrico VIII suo marito era stata abbandonata per maritarsi con Anna Bolena, della cui bellezza s'era follemente innamorato. Era questo dottor Ortiz quegli, che in Parigi aveva ad Ignazio mostrato cos poca buona volont, come di gi abbiamo veduto: ma arrivati a Roma i compagni di lui, mosso da divino spirito, quando essi meno quest'ufficio speravano, li raccolse con gran segni d'amore, e gl'introdusse al Sommo Pontefice, lodando la virt, le lettere e l'intenzione loro di servir a Dio in cose ardue e di rilievo. Prese grandissima allegrezza Paolo III subito che li vide, e comand, che quellistesso giorno disputassero alla sua presenza una questione di teologia, che loro si propose. Benignamente concedette loro licenza per andare in Gerusalemme, diede loro la sua benedizione ed una limosina di sessanta

ducati: e a quelli che non erano ordinati da Messa, diede licenza, di ordinarsi con titolo di volontaria povert e di approvata dottrina. Furono aiutati parimente da altre persone con altre limosine, specialmente dagli spagnoli ch'erano in Roma, ciascheduno secondo il loro potere; ed arrivarono fino a ducento e dieci ducati, n mancarono mercatanti, che questa somma di denari fecero sborsare loro in Venezia senza che i Padri spendessero alcuna cosa nel cambio. Essi per non vollero valersi di questi denari, n averli nelle loro mani, finch non venisse il tempo dell'imbarcarsi; e cos con la medesima povert e mendicit, con la quale erano andati a Roma, se ne ritornarono a Venezia, dimandando per amor di Dio la carit. Giunti in Venezia si divisero tra se, come prima negli ospedali: e poco di poi fecero voto di castit e povert ai piedi di Girolamo Verallo Legato del Papa in Venezia, Arcivescovo allora di Rossano, e che fu poi Cardinale di Santa Chiesa. S'ordinarono da Messa Ignazio e gli altri compagni, il giorno di s. Giovanni Battista, dando loro quest'alto Sacramento il Vescovo Arbense 27 con meravigliosa consolazione e gusto spirituale, cos dalla parte di quelli, che cotal dignit riceverono, come del Prelato, che a quella li promoveva, il quale diceva, che in tutti i giorni di sua vita non aveva provata cos grande e straordinaria allegrezza in dare gli Ordini, di quello che aveva fatto in quel d, attribuendo tutto ci a particolare concorso e grazia di Dio, con la quale favoriva i nostri Padri 28. __________________CAPO VIII.Come si ripartirono per le Terre del dominio Veneziano a travagliare ed esercitare il ministero loro.Erano i Padri apparecchiati, e stavano aspettando l'opportunit dell'imbarcarsi per Gerusalemme, quando vennero totalmente a perdere la speranza del passaggio. E la cagione di questo fu, che listesso tempo la Signoria di Venezia mosse guerra contra Solimano Imperatore de' Turchi, e fece lega col Sommo Pontefice e con l'Imperatore Carlo Quinto; ed essendo il mare tutto coperto di poderose armate d'ambo le parti, e occupato ognuno, nella guerra, cess la navigazione dei pellegrini, la quale ricercava maggior pace e quiete di quella che fosse allora. Ed cosa notabile, che n molti anni prima, n dipoi, se non l'anno 1570, mai lasciarono d'andare ogni anno le navi dei pellegrini in Gerusalemme, se non in questo: e ci avveniva perch la divina provvidenza, la quale con sapienza infinita regge e governa tutte le cose create, andava indirizzando i passi dei suoi pellegrini, per servirsi di essi in cose molto pi alte di quelle che essi intendessero o pensassero. Laonde con mirabile consiglio accorci loro il filo, e tagli il cammino, che gi tenevano per fatto, di Gerusalemme, e li divert ad altre occupazioni. Quindi che vedendo i Padri, che ciaschedun giorno via pi s'andava loro troncando la speranza di passare in Terra Santa, deliberarono per compire il voto che avevano fatto in Parigi, d'aspettare un anno intiero; e per meglio prepararsi e con maggior riverenza celebrare il sacrosanto Sacrificio della Messa, il quale non avevano ancora comincialo a dire i nuovi sacerdoti, determinarono di dividersi fra loro e ritirarsi tutti in diversi luoghi; e ci posero in esecuzione in questa maniera. Ignazio, il Fabro e Lainez se n'andarono a Vicenza; Francesco Saverio e il Salmerone a Monselice: Giovanni Codurio e l'Hozes a Treviso; Claudio Iaio e Simon Rodrigo a Bassano; Pascasio e Bobadiglia a Verona. Sono tutte queste, parte terre, e parte citt della Signoria di Venezia; n vollero partirsi da quello Stato, per ritrovarsi tutti in quei contorni, se per caso sopravvenisse alcuna commodit d'imbarcarsi:

Ignazio dunque e i suoi compagni, ai quali era toccato in sorte landarsene a Vicenza, se ne entrarono in una casetta o romitorio picciolo, deserto e che stava mezzo per cadere, senza porta e senza finestre, tal che da tutte le parti v'entrava il vento e l'acqua. Era questo luogo fuori della citt alla campagna, dalla porta di Santa Croce, luogo dei frati di S. Maria di Grazia, chiamato S. Girolamo, rimasto cos desolato e male in assetto nel tempo della guerra, che pochi anni prima ivi d'intorno era stata. Quivi si raccolsero essi, e per non morirsi del freddo e dellumidit, posero sopra il suolo un poco di paglia e quivi dormivano. Andavano due volte il giorno alla citt per chiedere limosina: era per cos poco il soccorso, che appena con tanto pane, che loro bastasse a sostentare la vita, se ne ritornavano al povero albergo loro; e quando ritrovavano un poco d'olio o di butiro, il che rare volte succedeva, se lo recavano a non picciola ventura. Se ne restava uno dei compagni nella casetta per inumidire e far molli i pezzi di pan duro e ammuffito, che raccoglievano, e cuocerli in un poco d'acqua, s che mangiar li potessero. Era Ignazio quegli, che ordinariamente rimaneva a far questufficio; perciocch per labbondanza delle lacrime, che del continuo spargeva, aveva quasi perduta la vista degli occhi, n poteva senza molto detrimento dessi, andarsene al sole e all'aria. Tutto il tempo che loro avanzava, dopo avere ricercata questa povera limosina, il davano allorazione e alla contemplazione delle cose divine; perciocch per questo solo fine lasciato avevano tutte le altre occupazioni. Essendo dunque perseverati quaranta giorni in questa maniera di vita, Giovanni Codurio se n'and a Vicenza, e s'accordarono tutti quattro di predicare in quella citt; e cos in un medesimo giorno e a una stessa ora in quattro diverse piazze cominciarono ad una voce a chiamare la gente e a fare segno coi cappelli, che insieme si ragunassero ad udire la parola di Dio. Ed essendosi unita insieme gran moltitudine di popolo, predicavano della bruttezza de' vizi e della bellezza delle virt; dell'aborrire il peccato, del dispregio del mondo, dellimmensa grandezza di quellinestimabile amore, col quale Iddio ci ama; e di molte altre cose, secondo che loro si afferivano alla memoria; affinch togliessero gli uomini dalla prigionia di satana, e risvegliassero i cuori e li accendessero a procurare con tutte le forze loro di fare acquisto di quella beatitudine, per la quale furono da Dio creati. E senza alcun dubbio chi avesse allora considerato il linguaggio di quei Padri, non avrebbe ritrovato in esso se non rozze e grosse parole; perciocch tutti erano forestieri e novellamente venuti in Italia, e dandosi essi cos poco allo studio delle parole, necessaria cosa era, che facessero, come una mescolanza di varie e diverse lingue. Ma pure queste stesse parole erano molto ripiene di dottrina e di spirito di Dio; e a guisa d'un martello di ferro, che spezza le pietre, commovevano i cuori duri e ostinati: laonde con la divina grazia fecero molto e copioso frutto. __________________CAPO IX.Come Ignazio risan con la sua visita il Padre Maestro Simone Rodrigo gravemente ammalato.Attendendo Ignazio a queste opere, e con tutte le forze sue impiegandosi in cercare la gloria di Dio ed il dispregio di se medesimo, vinto dalla molta fatica cadde infermo di febbre in Vicenza, ed il Padre Lainez per la stessa cagione fu ancor egli oppresso da una mala indisposizione. In questo tempo intese, Ignazio, che Simone Rodrigo era in Bassano, castello una giornata lontano da Vicenza, gravissimamente ammalato ed in gran pericolo della vita; e nell'istesso punto, che di ci gli fu portata

nuova, si ritrovava col parosismo della febbre: ma con tutto questo lasciando il P. Lainez nellospedale e nel letto, s'incammin alla volta di bassano a piedi, conducendo in sua compagnia il Padre Fabro; e con tanto fervore di spirito e cos gagliardamente camminava, che il compagno non poteva tenergli dietro, n arrivarlo, andava egli sempre avanti per buono spazio di via. Ed essendosi Ignazio col camminare allontanato, ebbe tempo di ritirarsi alquanto dal cammino, e buona pezza stette in orazione, pregando nostro Signore per la sanit di Maestro Simone; e fu certificato, mentre orava, che Iddio glie la avrebbe conceduta. E levatosi dall'orazione, con molta confidanza e allegrezza disse al Padre Fabro: non abbiamo, fratel Fabro, da prenderci fastidio pel male di Simone, perch non morir di questa infermit la quale cotanto l'affligge. E arrivato dove era il Padre Simone nel letto, lo ritrov molto consumato e fiacco dalla forza del male; e abbracciandolo: non avete da temere, disse, fratel Simone, che senza alcun dubbio voi risanerete da questa malattia; e cos si lev, e divenne sano e gagliardo. Queste cose raccont il Padre Fabro al Padre Lainez, quando tornarono a Vicenza; ed il Padre Lainez nella maniera a punto che io qui ho raccontato, le raccont anco a me: e lo stesso Padre Maestro Simone conobbe, aggrad e pubblic questo beneficio che ricev da Dio nostro Signore col mezzo del suo servo Ignazio. Viveva all'ora in Bassano un uomo di nazione italiano, detto per nome Antonio, il quale faceva una vita meravigliosa e solitaria in una cappelletta, che si chiama S. Vito, luogo posto fuori del castello in un sito alto e molto ameno, donde si scopre una piacevolissima valle irrigata dalle acque del nume Brenta. Era quest'uomo vecchio, secolare, idiota e molto semplice; ma severo, grave e dagli uomini tenuto per santo, il quale ne' costumi e nell'aspetto pareva un ritratto di S. Antonio Abate, o di Sant'Ilarione, ovvero d'alcuno di quegli altri Santi Padri dell'eremo. Alcuni anni dipoi conobbi io questo Padre, e seco familiarmente trattai. Questi, conversando con Ignazio, l'aveva in poca stima e dentro dell'animo suo lo giudicava per uomo imperfetto; finch un giorno posto in lunga e fervorosa orazione glie lo rappresent Iddio come uomo santo ed inviato dal cielo al mondo per lo profitto di molti. Ed allora cominci a vergognarsi, ed a tenere a vile se medesimo, stimando colui, di cui nulla stima faceva, come egli medesimo fra se stesso confuso apertamente confess. Mosso dunque dalla vita di Frate Antonio uno de' primieri compagni di Ignazio che stava in Bassano, cominci a titubare nella sua vocazione, e dubitare, se fosse stato maggior servigio di nostro Signore, seguitare il cammino incominciato, e pur vivere in contemplazione in compagnia di quel Santo, appartato dai pericoli, dai travagli e dalle inquietudini, che apporta seco la conversazione degli uomini. E ritrovandosi perplesso e confuso dalle ragioni, che per una parte e per laltra se gli afferivano, si determin d'andare a ritrovare l'istesso Frate Antonio, e comunicare con esso lui i suoi dubbi, e fare quello, che ei dicesse. Ritrovavasi ancora in questo tempo Ignazio in Bassano: se n'and dunque quel Padre per ritrovare leremita, ed in andando vide un uomo armato, che con orribile aspetto e con fiero sembiante, avendo cavata la spada fuori del fodero, e vibrandola in alto, se gli oppose avanti in mezzo alla strada. Turbossi nel principio e si ferm alquanto il Padre, ma in se stesso ritornando gli parve, che non avesse cagione, onde trattener si dovesse, e seguit il suo cammino. Allora il guerriero armato con impeto e furore se gli avvent

addosso e con la spada nuda minacciava di ferirlo; onde egli tremando e pi morto che vivo, cominci a fuggire, e quegli a seguitarlo; di maniera per, che coloro ch'erano presenti, vedevano chi fuggiva, ma non chi gli correva dietro. Al fine dopo buona pezza, perduto d'animo il Padre, con la paura reso attonito da questa novit e stanco pel correre, diede volta anelando e quasi senza fiato alla stanza, dov'era Ignazio; il quale vedendolo, con faccia piacevole a lui rivolgendosi, e chiamandolo per nome gli disse: dunque voi cos dubitate? uomo di poca fede perch temere? con questa rappresentazione, che fu come una dichiarazione della divina volont, molto si conferm questo Padre nella sua vocazione, come egli stesso, che la vide ed a cui tal cosa avvenne, raccont 29. ________________CAPO X.Come si divisero fra loro per gli Studi d'Italia.Dopo aver fatte i nostri Padri quelle, quasi come correrie spirituali, che abbiamo di sopra raccontate, tutti si vennero a congiungere con Ignazio nella citt di Vicenza, la quale si era grandemente mossa con la vita e con la dottrina dei tre compagni di lui. Perciocch dove nel principio appena ritrovavano tanto pane e acqua, che quei tre viver potevano; anzi alcune volte erano costretti dandar per le ville cercando limosina per sostentare la vita; di poi, undici giunti insieme, ebbero tutto quello, che faceva loro di bisogno ed anche abbondantemente. Tutti i nuovi sacerdoti avevano detto Messa, fuor che Ignazio, il quale stava in procinto per dirla. Nel giungere che quivi fecero, s'accordarono insieme, che, poich ogni giorno via pi si andava levando la speranza di andare a Gerusalemme, si ripartissero per le Universit pi segnalate d'Italia, dove era il fiore de' buoni ingegni e delle belle lettere; per vedere, se a Dio nostro Signore fosse piaciuto di risvegliare alcuni giovani ingegnosi de' molti, che sogliono abbondare negli Studi, e tirarli al medesimo istituto di vita, ch'essi seguivano, in beneficio de' loro prossimi. E con questo fine, nell'entrar dell'inverno, divisero fra loro le Universit d'Italia in questo modo. Che i Padri Ignazio, Fabro e Lainez andassero a Roma: Salmerone e Pascasio a Siena: Francesco Saverio e Bobadiglia a Bologna: Claudio Iaio e Simon Rodrigo a Ferrara: Giovanni Codurio ed il nuovo compagno Hozes a Padova. In questa impresa, oltre il principale pensiero, ch'aveva ognun di loro, della propria coscienza e di perfezionarsi nelle virt, s'affaticavano con ogni loro potere d'indirizzare i prossimi pel cammino della salute e di accendere in essi lamore ed un santo desiderio delle cose spirituali e divine. La maniera della loro vita era tale: una settimana vicendevolmente uno comandava all'altro, di modo che quegli, che una settimana ubbidiva, la seguente era ubbidito: chiedevano limosina d'uscio, in uscio per amor di Dio: predicavano nelle piazze pubbliche avanti il sermone il suddito compagno portava uno scanno fattosi prestare in alcuna bottega, il quale per pulpito serviva, e chiamava il popolo, facendogli cenno con il cappello o berretta, perch venisse ad udire la parola di Dio. Non chiedevano nel sermone limosina, n dopo aver predicato accettar la volevano dagli uditori; bench spontaneamente loro l'offerissero. Se ritrovavano alcuno desideroso della propria salute, ed assetato delle acque vive che spengono la sete dell'anima, a questo tale pi si comunicavano e maggior parte facevano di quello, che nostro Signore ad essi somministrava. Udivano le confessioni di molti, che ne li ricercavano: insegnavano a' fanciulli ed agl'ignoranti e rozzi la dottrina cristiana. Quando potevano e avevano tempo, ritornavano agli ospedali, quivi servendo i

poveri, e consolando gl'infermi ed afflitti, che stavano nel letto. Finalmente non lasciavano di far cosa alcuna che conoscessero poter servire per maggior gloria di Dio e beneficio dei prossimi. Con queste operazioni andavano spargendo un odore di Cristo e della dottrina loro cos buono e tanto soave, che molti dalla pratica e conversazione loro cavarono frutto singolare; e da quel picciolo e debole principio venne ad essere conosciuta la nostra Compagnia, e crebbe la fama del nome suo, stendendosi per tutta Italia il frutto che faceva: Non tralascer di dire che in Padova furono i nostri dal Vicario del Vescovo posti in prigione e legati in catena, e di questa maniera passarono una notte con tanta giocondit e cos allegramente, che Hozes, uno di essi, per lallegrezza non poteva tenere le risa, ma il giorno seguente lo stesso giudice, avendo molto meglio guardata e conosciuta la cosa, li liber e indi in poi li tenne sempre in luogo di figliuoli. E questo quello, che fecero i compagni di Ignazio, di cui scrivendo noi la vita e non listoria di essi, abbiamo tutto ci brevemente toccato. Laonde fia bene che vediamo quello, che a lui avvenne nel cammino e nel viaggio di Roma. ___________________CAPO XI.Come Cristo nostro Signore apparve ad Ignazio e donde prese il nome la Compagnia di Ges. Vedendosi Ignazio assunto alla dignit sacerdotale, come quegli che molto ben conosceva quanto importava e quanta purit di vita richiedeva quell'Ordine sacro, prese un anno intiero di tempo per maggiormente raccogliersi entro se stesso e prepararsi a ricevere nelle sue mani il sacratissimo Corpo di Cristo Signor nostro, che il vero sacrificio e la viva ostia per i nostri peccati. Perciocch prima d'ora non si fidava di essere cos ben disposto, come sarebbe stato di mestieri per celebrare la sua prima Messa, la quale disse molto pi tardi di quello che pensato avea, e fu la notte di Natale, dell'anno 1538 in Roma nella cappella del Presepio, dove fu posto Ges Cristo Signor nostro quando nacque, la quale in S. Maria Maggiore; di maniera che dopo che fu ordinato da Messa, stette un anno e mezzo a dirla. In questo tempo con ogni sforzo dell'anima sua e di tutto cuore s'impiegava nella contemplazione delle cose divine, supplicando umilmente giorno e notte la gloriosa Vergine Madre di Dio, che lo ponesse in grazia del suo Figliuolo; e che, poi ch'ella era porta del cielo e singolar mediatrice fra gli uomini e Dio, l'introducesse e gli concedesse l'entrata per potersene andare dal suo preziosissimo Figliuolo, tal che egli conosciuto da lui, potesse lui pure conoscere e stare con lui e amarlo e riverirlo con affettuoso rispetto e gran divozione. E per tutto quel tempo, che stette senza dir Messa, meravigliose furono le illustrazioni e visite, che ebbe da Dio in Venezia ed in altre citt per tutto questo viaggio; di maniera che gli pareva d'esser ritornato in quel primiero stato, che in Manresa si ritrovava; dove sopramodo era stato visitato e consolato da Dio, come al suo luogo raccontato abbiamo. Perciocch in Parigi nel tempo degli studi non provava gusti cos segnalati, n tante intelligenze delle cose divine: ma ora in questo cammino di Roma andando coi Padri Fabro e Lainez, era da Dio con sovrani splendori e con gusti spirituali illuminato e confermato. Riceveva ogni giorno dalle mani de' suoi compagni il Corpo sacratissimo di Cristo Redentore nostro, ed insieme gustava soavissime e celesti consolazioni. Accadde in questo cammino, che gi avvicinandosi alla citt di Roma, entr Ignazio solo in una chiesa deserta, la quale era alcune miglia lontana dalla citt, e quivi si pose a fare orazione; ed essendo nel

maggior ardore della sua fervorosa orazione a un tratto gli fu quasi come mutato il cuore, e gli occhi dell'anima sua furono con una risplendente luce resi s chiari, che apertamente vide come Iddio Padre volgendosi al suo unigenito Figliuolo, che parlava la croce sopra le spalle, a lui con isviscerato e grandissimo amore raccomandava Ignazio ed i suoi compagni, e li riponeva sotto la potente sua destra; acciocch in essa avessero tutto il loro patrocinio e protezione. E avendoli il benignissimo Ges raccolti, rivolto ad Ignazio, cos come stava con la croce su gli omeri, con piacevole ed amoroso sembiante gli disse: Ego vobis Romae propitius ero; Io vi sar in Roma favorevole. Meravigliosa fu la consolazione e ricreazione, con la quale Ignazio rest innanimato per questa singolare e divina rivelazione; e dato fine all'orare, disse al Fabro ed al Lainez: fratelli miei, io non so qual cosa disponga Iddio di noi, se voglia che moriamo in croce, ovvero che in una ruota siamo snodati, o pure in altro modo, ma una cosa so io di certo, che in qual si voglia maniera che ci succeda avremo propizio e favorevole Ges Cristo; e cos raccont loro quello che aveva veduto, per animarli via maggiormente e rincuorarli pei travagli che erano per sopportare. E quindi nacque, che avendo poi Ignazio ed i suoi compagni determinato di istituire e fondare Religione, e trattando fra loro del nome, che se le aveva ad imporre per rappresentarla a sua Santit e supplicarla, che la confermasse: richiese Ignazio i suoi compagni, che si contentassero, chegli il nome vimponesse secondo la propria volont: ed avendoli ci tutti concesso, con grande allegrezza egli disse, che si aveva a chiamare la Compagnia di Ges: e questo perch con quella meravigliosa visitazione, e con altre molte ed eccellenti illustrazioni, aveva nostro Signore impresso questo sacratissimo nome nel suo cuore ed ivi radicatolo di maniera, che n partirsi da questo, n altro ritrovarne sapeva o poteva. E quello ch'egli fece, tenne ognuno per ben fatto; e ancorch, come disse, fosse stato contra il parer comune, avrebbe nondimeno dovuto farlo per la gran chiarezza che riceveva l'anima sua, essere questa la volont di Dio: e questo acciocch quelli, che per divina vocazione entreranno in questa Religione, sappiano, che non sono chiamati all'Ordine d'Ignazio, ma alla compagnia e al soldo del Figliuolo di Dio Cristo Ges Signor nostro; e ch'essendosi sottoposti a questo gran capitano, seguano lo stendardo suo e portino con allegrezza la sua croce, affissando gli occhi in Ges unico autore e consumatore della fede, il quale, essendogli proposto il gaudio, nondimeno sostenne, come dice l'apostolo S. Paolo, la croce, sprezzando la confusione e il dispregio di essa; acciocch non si stanchino, n perdano d'animo in questa sacra e gloriosa milizia; tengano per certo, che veracemente il loro capitano insieme con esso loro; e che non solo ad Ignazio e ai suoi primi compagni stato propizio e favorevole, come lesperienza l'ha dimostrato, ma che tale sar parimente a tutti gli altri, che come veri figliuoli della Compagnia saranno imitatori di cotali padri. Tutto quello ch'io qui descrivo di questa ineffabile visione e amorosa e graziosa promessa, che Cristo Redentore nostro fece ad Ignazio, d'essergli favorevole, raccont, come dico, il Padre Maestro Lainez, essendo Preposito Generale in una esortazione, che fece a tutti quelli della Compagnia, ch'eravamo in Roma, nel numero de' quali era ancor io. E prima di ci ancora dimandando alcune particolarit e circostanze intorno a questa celeste visitazione al medesimo Padre Ignazio, egli si rimise al Padre Maestro Lainez, a cui

disse, che nel tempo che ci gli avvenne, lo aveva raccontato nella stessa maniera appunto che a lui era successo: e in un quadernetto scritto di sua mano, nel quale allora che faceva le Costituzioni egli a d per d scriveva i gusti e gli affetti spirituali, che provava l'anima sua nell'orazione e nella Messa; dice in uno di essi, che aveva sentito tale affetto, come quando il Padre Eterno lo raccomand al suo Figliuolo. Ho voluto citare particolarmente tutti i luoghi originali, ch'io ho di quella divina visitazione, per essere tanto segnalata e di cos gran confidenza pei figliuoli di Ignazio; e il medesimo potrei fare nell'altre cose, le quali in quest'istoria si raccontano; ma le tralascio per isfuggire la lunghezza 30. __________________CAPO XII.Come Ignazio entr in Roma, e stando nel Monte Casino vide salire al cielo l'anima d'uno de' suoi Compagni. Entrando in Roma, cominci Ignazio a volgere gli occhi d'ogni intorno, a considerare attentamente la grandezza dell'impresa, alla quale s'appigliava, e a fortificare se stesso con l'orazione e con la confidenza in Dio contra tutti gl'incontri e le insidie del crudele nimico. Perciocch conobbe e pronostic che alcuna gran tempesta di travagli aveva da cadere sopra di s e i suoi compagni. Laonde chiamatili una fiata a s tutti, disse loro: non so che cosa sia questa; vedo tutti gli aditi serrati e chiusi; alcuna gran burrasca e tempi molto perigliosi ci soprastanno; ma tutta la nostra speranza appoggiata a Ges; egli, come ha promesso, ci favorir. Poco dopo d'essere giunti in Roma, essendo il Papa molto ben informato della dottrina de' Padri, che quivi erano, comand, che pubblicamente legger dovessero teologia; e cos il Padre Fabro cominci a dichiarare la Scrittura sacra nella Sapienza (che cos chiamano in Roma le- pubbliche scuole dell'Universit), e il Padre Lainez leggeva la Teologia scolastica, e risolveva le quistioni che in essa si trattano, facendo l'uno e l'altro di essi l'ufficio suo con dottrina e con gravit. Ad Ignazio restava il carico principale di muovere il cuore degli uomini alla virt e d'accender in essi il fuoco del divino amore: laonde procur di rendersi amico e guadagnare a Dio il dottore Ortiz, il quale essendogli stato per altro tempo in Parigi, come abbiamo detto, contrario, e dipoi in Roma, avendo prestato alcun favore ai Padri suoi compagni; con la famigliarit e con la conversazione che prese allora con Ignazio, rest di maniera obbligato e in cotal modo s'arrese, ch'essendo gi uomo di et matura, di molte lettere, di grande autorit e occupato di negozi pubblici, e di quell'importanza che abbiamo di sopra raccontato, desider d'essere ammaestrato da Ignazio e ricevere da lui gli Esercizi spirituali. E per potere stare con maggior libert e senz'alcuna occupazione, si determin di partirsi di Roma per alcuni giorni, lasciando da parte i negozi, i pensieri e gli amici; ed elesse a questo effetto il monastero di Monte Casino, lungo discosto tre giornate da Roma, il quale gli parve essere molto a proposito per occuparsi nell'orazione e nella contemplazione, come disegnava, s per la memoria del glorioso S. Benedetto, ch'ivi fece sua vita, s per la sepoltura sua e le reliquie, che sono ivi grandemente riverite; ed anco per essere il luogo solitario e per la molta divozione de' Padri di quel monastero. Quivi si ferm per quaranta giorni, ammaestrato da Ignazio con tanto frutto dell'anima sua, che diceva quest'eccellente teologo, che ivi aveva apparato una nuova teologia, della quale fino allora non aveva avuto cognizione, senza alcun paragone stimata molto pi da lui, che tutte le lettere, che in tanti anni con tante

fatiche negli studi aveva acquistato. Imperoch diceva egli, che v'ha grandissima differenza fra lo studiare, che l'uomo fa per insegnare ad altri, e lo studio che serve per propria utilit e che si deve adoperare per se medesimo; perciocch col primo riceve lume l'intelletto, ma col secondo s'infiamma la volont nellamor di Dio. Rest dallora in poi l'Ortiz cos obbligato e con tanta gratitudine al Padre Ignazio per quel favore che egli per sua mano aveva da Dio ricevuto, che in tutta la sua vita fu amico e difensore della Compagnia. In questo tempo, che Ignazio stava nel Monte Casino, pass dalla mortale alla vita eterna il Baccelliere Hozes, al quale, come abbiamo detto, era toccato in sorte andare a Padova col Padre Giovanni Codurio: Et consummatus in brevi, explevit tempora multa: fin in breve tempo i travagli suoi; di tanto frutto per gli furono, come se furono stati di molti anni. Era questo buon Padre in vita un poco bruno e deforme di faccia; ma dopo ch'egli spir, fu tanta la bellezza e lo splendore con che il suo corpo rimase, che non si saziava Giovanni Codurio suo compagno di mirarlo, n poteva levargli gli occhi da dosso, dai quali per pura consolazione ed allegrezza spirituale gli uscivano le lacrime a goccia a goccia. Profetizz Ignazio molto tempo prima la sua morte, ed ivi nel Monte Casino, dare S. Benedetto vide, come racconta S. Gregorio, essere portato in cielo in una sfera di fuoco l'anima di S. Germano Vescovo di Capua, vide egli parimente un'anima intorniata di una risplendente luce entrare nel cielo, e conobbe ch'era l'anima d'Hozes suo compagno; e dipoi assistendo alla Messa, quando il sacerdote arriv a quelle parole della confessione Et omnibus Sanctis, cio a tutti i Santi, vide posto avanti agli occhi suoi un gran numero di Santi risplendenti di gloria, fra i quali ora Hozes pi rilucente e pi chiaro degli altri: non perch egli fosse di tutti pi santo, ma perch come il medesimo Ignazio diceva, Iddio per quel segno glie lo volle dare a conoscere, distinguendolo da tutti gli altri con quell'avvantaggioso splendore: laonde rest l'anima d'Ignazio ripiena di gaudio celeste, s che per ispazio di molti giorni non pot reprimere le lacrime che per soavissima consolazione dagli occhi gli discendevano 31. ___________________CAPO XIII.Come tutti i Padri insieme uniti in Roma determinarono di fondar la Compagnia. Dopo l'aver mossi i popoli, per donde erano passati, e risvegliata la gente alla divozione e piet cristiana, a mezzo la Quaresima dell'anno 1538, tutti i Padri vennero a Roma, dov'era Ignazio; e si ridussero in una casa e vigna d'un gentiluomo onorato e divoto, nominato Quirino Garzonio, presso il monastero de' Minimi; ch cos chiamano in Roma quelli della Santissima Trinit. Quivi passarono la vita in una stretta povert e necessit, vivendo di quello ch'ogni d ricevevano di limosina. Ma presto cominciarono a farsi conoscere predicando in diverse chiese. Ignazio in lingua spagnola nel tempio della B. Vergine di Monserrato: il P. Fabro in S. Lorenzo in Damaso: il Padre Lainez in S. Salvadore del Lauro: il Padre Salmerone in S. Lucia: il Padre Claudio in s. Luigi: il Padre Simone in S. Angelo di Pescaria ed il P. Bobadiglia in S. Celso. Fu grande il frutto che da questi padri si raccolse: perciocch per essi si mosse la gente a ricevere i santi sacramenti della confessione e comunione; e dindi in poi si venne a rinfrescare e rinnovare quel cos salutifero costume degli antichi tempi della primitiva Chiesa, di far ci molto pi spesso e che tanti anni prima si era posto in oblivione con notabile danno della religione cristiana, e con grave detrimento delle anime. E quando videro che gi non

vi era pi speranza alcuna di andare in Gerusalemme, restituirono al dottore Ortiz, da cui li avevano ricevuti, i ducento e dieci ducati, che per fare quel santo viaggio erano stati dati per limosina. E perch il Papa voleva mandare alcuni di essi in diverse parti, prima di separarsi luno dallaltro trattarono di istituire fra loro una Compagnia religiosa e dar ordine come per l'innanzi avessero a vivere in essa; e per meglio accertarsi in cosa di cos grande importanza, determinarono di parere e consentimento comune d'impiegarsi per alcuni giorni con maggior fervore nell'orazione o meditazione, ed offerire il santissimo sacrificio della Messa a Dio nostro Signore (il quale a veruno nega il suo santo favore o buono spirito, se gli si chiede come si conviene; anzi ad ognuno si comunica copiosamente senza eccezione di persone), e supplicarlo, che si degnasse di farli partecipi della grazia sua per ordinare o stabilire quello che e pi santo, e pi a grado fosse avanti il cospetto della sovrana Maest sua. Consumavano il giorno in aiuto spirituale de' prossimi, e le notti in orare e consultare fra loro le cose, delle quali trattavano. La prima notte dunque si pose in consulta, se dopo che si fossero tra loro divisi e separati per comandamento del Sommo Pontefice in varie province, resterebbono di tal maniera fra di loro uniti e cos congiunti insieme, che di tutti si facesse un corpo solo; di modo che, n veruna lontananza corporale, n distanza di terre, n intervallo alcuno di tempo fosse bastante per intepidire lo sviscerato e soave amore, con cui allora si animavano in Dio, n il pensiero si levasse che ognuno scambievolmente aveva dell'altro. A questo risposero tutti con un cuore e con una voce: che dovevano riconoscere questa cos segnalata grazia e questo cos gran beneficio da Dio, d'aver uniti uomini di diverse province e nazioni tanto differenti in costumi, natura e condizioni, e fattone un corpo solo di tutti, ed aver dato loro un volere ed un animo tanto conforme per le cose che s'aspettavano al suo servizio, e che non permettesse mai Iddio, che si disunissero fra essi, n si tagliasse un legame di tanta unione miracolosamente annodalo dalla sola ed onnipotente sua mano: maggiormente, che l'unione e conformit molto potente per conservare la congregazione od efficace per porre mano alle cose difficili e proseguirle; ed ancora a fare resistenza e sopportare con pazienza le avverse. Fu in secondo luogo proposto, se fosse stato bene, che ai due voti di perpetua castit e povert, che tutti essi avevano fatto ritrovandosi in Venezia in mano del Legato Apostolico, aggiungessero ora il terzo di perpetua ubbidienza; e se per questo dovessero eleggere uno di loro per capo e per padre di tutta la Compagnia. In questa consulta ebbero che fare molti giorni; e finalmente per meglio risolvere questa importante difficolt, si concertarono in questo modo. Prima, che in niuna maniera s'intepidissero nel pensiero che avevano in quei giorni, di ricorrere con le orazioni a Dio; anzi che pi assai si s'infervorassero; e tutte le orazioni e sacrifici s'indirizzassero a pregare intensamente nostra Signore, che nella virt dell'ubbidienza concedesse loro il gaudio e la pace, che dono dello Spirito Santo; e che ciascuno quanto a se stesso spettava, desiderasse pi tosto l'ubbidire, che il comandare. Secondariamente, che di questa materia fra loro non ragionassero; acciocch mossi da umana persuasione, non pendessero pi ad una, che all'altra parte. Terzo, che ciascheduno facesse conto di non essere di quella Congregazione, e che nulla gli toccasse questo negozio; ma che s'immaginasse d'aver a dare il suo parere ad altre

straniere persone; acciocch in questo modo, dato bando a tutti i propri affetti, che sogliono turbare il retto giudizio, si determinassero a quello ch'era conveniente con minore sospetto dinganno: e finalmente tutti con grandissima conformit conclusero di abbracciare l'ubbidienza nella Compagnia, e che si eleggesse uno come superiore che la governasse, al quale tutti gli altri perfettamente i giudizi e le volont loro rendessero soggette 32. Presero questa risoluzione, persuasi da molte e molto efficaci ragioni, le quali a raccontar qui tutte, sarebbe troppo lungo. Ma li moveva principalmente il vivo desiderio che avevano, d'imitare, quanto le loro fiacche forze fossero bastevoli, il capo loro, Cristo Ges, il quale, per non perdere l'ubbidienza, espose la vita, essendo ubbidiente fino alla morte ed alla morte della croce. Desideravano parimente, che nella loro Congregazione non mancasse la maggiore e pi eccellente virt di quante ne abbia lo stato della religione, che l'ubbidienza; e si disponevano a seguitare totalmente la vocazione dello Spirito Santo, che a maggior perfezione li chiamava ed a pi alta annegazione di se medesimo; la quale senza la religiosa ubbidienza, o di rado o con difficolt si acquista. Ordinarono i Padri in ispazio di tre mesi con maturo consiglio e meravigliosa conformit fra di loro molte altre cose, fra le quali furono queste, che ora dir: Che tutti quelli, che faranno professione nella Compagnia, facciano particolare ed espresso voto di ubbidienza, nel quale si offeriscano di stare apparecchiati per andare in qualsivoglia provincia di fedeli, ovvero infedeli, in cui dal Vicario di Cristo saranno mandati; ma che col Pontefice, n per s, n per altra persona trattino della loro missione: che insegnino ai fanciulli la dottrina cristiana: che quelli, che vorranno entrare nella Compagnia, siano prima provati negli Esercizi spirituali, in pellegrinaggi, e negli ospedali: che il Preposito Generale della Compagnia sia perpetuo, mentre ei vivr: che nelle consulte e deliberazioni si segua la maggior parte de' voti. E da queste ed altre cose, ch'ivi si determinarono si cav poi la forma ed il sommario del nostro Istituto e della nostra Regola, la quale essendo presentata al Sommo Pontefice, fu da lui, come si dir pi avanti, approvata. _________________CAPO XIV.D'una grave persecuzione che si lev in Roma contro Ignazio ed i suoi Compagni, e del fine ch'ella ebbe.Attendendo
Ignazio ed i suoi compagni a queste opere, si lev contra di loro una terribile e gran tempesta, molto prima da lui antiveduta e pronosticata; ed avvenne per l'occasione che segue. Predicava in Roma un Frate Agostino Piemontese, Religioso dell'Ordine di S. Agostino, il quale nelle sue prediche andava seminando gli errori della setta Luterana, infettando occultamente il popolo con la sua velenosa dottrina. Conobbero i nostri Padri il danno che ne poteva nascere; e pubblicamente predicando contro di essa, provarono essere falsa e perniciosa. Alcuni spagnuoli, i quali non necessario, n bene il nominare, amici del Frate, confidati nelle loro molte ricchezze ed autorit, si posero a difendere la causa di esso; e per meglio porre ci ad effetto, si rivolsero contra Ignazio ed i compagni, pigliando a ci per istromento uno spagnuolo, chiamato Michele, al quale Ignazio in Parigi aveva fatto molti e segnalati benefici. Infamarono dunque malamente i nostri, ed Ignazio principalmente, pubblicando, che in Ispagna, in Parigi e finalmente in Venezia era stato condannato per eretico. Dicevano ch'era un uomo pessimo e scellerato, che altro far non sapeva, che pervertire tutte le leggi divine ed umane; ed insieme calunniavano gli Esercizi spirituali, macchiando i compagni ed infamandoli di molte cose criminali. Fece resistenza Ignazio e si oppose animosamente a queste onde ed a questi tempestosi flutti; e per via di giudicio volle trattar la cosa, procurando con tutte le forze sue, che si verificasse e dichiarasse la verit. Perciocch come egli vide, che in questo negozio si trattava quasi di tutto l'essere della nostra Compagnia, e poich

conobbe l'ardire di satana, che procurava di affogare la nostra Religione nello stesso suo nascere, anzi prima che fosse nata, o almeno macchiarla ed imbrattarla con alcuna nota d'infamia; pose ogni suo sforzo per resistere a questo colpo ed opporsi contra all'inimico. E Iddio, e la verit sua di tal maniera lo favor, che quel Michele orditore di cotal trama, che aveva attizzato con le sue bugie quel fuoco, fu per pubblica sentenza condannato dal Governatore di Roma e di essa sbandito. E gli altri accusatori, che erano nel negozio principali e con la cui autorit il tutto si faceva, primieramente si smarrirono assai, e scem in loro quella forza, con la quale diedero principio all'accusa; di poi cominciarono a tremare per paura, e finalmente convertirono le accuse in lodi d'Ignazio e de' suoi compagni; confessando alla presenza del Cardinal di Napoli, ch'era allora Legato del Papa, e del Governatore di Roma, come erano stati ingannati. Quindi , che giudicando questi, che la verit restasse chiara e soddisfatta con la confessione pubblica degli accusatori, vollero imporre silenzio alla cosa, e senza venire alla finale sentenza, dar fine alla lite. E quantunque gli altri compagni ed amici d'Ignazio di questo si contentassero, egli solo giudic non esser bene ci farsi: perch restando la verit occulta ed indecisa, non, ricevesse la Compagnia in alcun tempo danno: poich facile cosa era, che col tempo mancasse la memoria di quello ch'era ivi passato: e constando per gli atti e per le scritture dell'accusa, e non apparendo testimonio della soluzione, potrebbono gli uomini sospettare, che per le amicizie e i favori, che aveva avuto in ci Ignazio, si fosse operato, che la verit fosse stata nascosta e coperta, e distornatasi la prosecuzione della causa, e fatto s, che di essa pi non si fosse ragionato. Questa fu la cagione, per cui Ignazio non si lasci persuadere giammai, o piegare n dai suoi compagni, n dalle importune preghiere de' suoi amici, n dallautorit e possanza d'alcuno; ma volle persistere nel suo parere, senza punto rimuoversi da esso. Anzi insistendo persever in volere, che la causa, che era pervenuta al giudizio di tribunale cos eccelso, nel medesimo giudizio, e nello stesso tribunale per sentenza si dichiarasse; come uomo veramente dispregiatore del proprio onor suo, ma diligentissimo, e da dovere zelante dell'onore di Ges Cristo, e dei suoi compagni per Cristo. Perciocch ogni volta che si tratt dell'estimazione e dell'onor suo, vedendosi nelle prigioni e nelle catene, mai non consent che tra gli uomini fosse alcuno, che come suo avvocato o procuratore per esso rispondesse o parlasse: ma quando vedeva, che si trattava dell'onore di Dio e della salute dell'anime, poneva ogni suo sforzo; e tutto quanto poteva; acciocch conosciuta ed abbattuta la menzogna, restasse vincitrice e trionfante la verit. E per questo effetto vedendo, che i giudici mostravano poca voglia di dar la sentenza, egli se n'and a trovare il Papa, che in quei gio ni si era ritirato a Frascati, luogo lontano dodici miglia da Roma, e con lunga narrazione, parlando in lingua latina, gli diede conto di tutto il negozio, dicendogli distesamente quante volte, dove, e perch era stato prigione ed incatenato. Gli diede a conoscere quanto danno avrebbe ricevuto il credito della virt e delle cose divine nellopinione degli uomini, se per non farsi stima di questa cosa, si lasciasse in quella maniera sepolta; e quali cagioni lo movevano a desiderare, che si desse la sentenza. Le quali ragioni parendo buone a Sua Santit, comand al giudice, che brevemente concludendo quella causa pronunziasse la sentenza in favore della verit e della giustizia. Onde il giudice interamente ubbid all'ordine di Sua Santit. E si manifest in questa causa molto particolarmente la provvidenza ed assistenza, con la quale Iddio riguardava la Compagnia; poich ordin, che si trovassero presenti in Roma, in quel medesimo tempo tutti quelli, che in Ispagna, in Parigi, ed, in Venezia erano stati giudici d'Ignazio. Tutti questi in un istesso, punto, da cos diversi luoghi, chi per una cagione e chi per un'altra, tutti per per divina provvidenza, si vennero a ritrovare insieme in Roma, ed appresentaronsi per testimoni per la parte d'Ignazio; facendo tutti buona testimonianza della virt ed innocenza di lui. Di Spagna era venuto D. Giovanni Figueroa, il quale essendo Vicario Generale in Alcal, dell'Arcivescovo di Toledo, aveva fatto porre in prigione Ignazio, e dipoi liberato. Questi era quel Figueroa, che fu poi presidente del Consiglio Reale di Spagna, e che mor in quest'ufficio l'anno 1575. Di Francia v'era il P. Maestro Frate Matteo Ori dell'ordine di S. Domenico, avanti al quale, essendo Inquisitore, fu in Parigi Ignazio accusato. Di Venezia si ritrovava il dottor Gaspare de' Dotti, che aveva dato la sentenza in favore d'Ignazio, e difesolo dalle false accuse de' suoi calunniatori; essendo egli ivi giudice ordinario di Girolamo

Verallo Legato Apostolico. Questi furono tra gli altri i testimoni della virt, vita e dottrina d'Ignazio: e come tali furono esaminati, ed essi fecero testimonianza tale, quale lo dimostr la sentenza del Governatore di Roma, la quale m' parso beno di porre qui puntualmente secondo la lettera; perciocch in essa si comprende sommariamente e si fa menzione di tutte le altre sentenze che per avanti in favore d'Ignazio si erano pronunziate.Benedetto Conversino, eletto vescovo di

Bertinoro, Vicecamerario della citt di Roma, e Governatore Generale del suo DistrettoA tutti ed a ciascuno, ai quali perverranno queste nostre presenti lettere, salute nel Signore. Essendo di molta importanza per la cristiana repubblica, che siano conosciuti quelli, che con esempio di vita e sana dottrina, travagliando nel vigna del Signore, aiutano ed edificano molti; e parimenti quelli, che per lo contrario pare che facciano professione di seminare zizzania: essendosi sparsi alcuni rumori, e fatte alcune denunciazioni della dottrina, vita e specialmente degli Esercizi spirituali che agli altri danno i venerabili Signori Ignazio Loiola e i suoi Compagni, che sono Pietro Fabro, Claudio Iaio, Pascasio Broet, Giacomo Lainez, Francesco Saverio, Alfonso Salmerone, Simone Rodrigo, Giovanni Codurio, e Nicol Bobadiglia graduati in Parigi, Sacerdoti secolari, delle Diocesi di Pamplona, di Ginevra, di Seguenza, di Toledo, di Visco, d'Ebredun e di Palenza: la quale dottrina e i quali Esercizi dicevano alcuni essere erronei, superstiziosi, e contrari alla cattolica dottrina: Noi per debito dell'ufficio nostro, e per mandato speciale di Sua Santit, riguardando a questo con diligenza, abbiamo fatta inquisizione per conoscere pienamente questa causa, e vedere se per avventura era vero quello, che di loro si diceva. Per il che esaminati prima alcuni che contra di essi mormoravano, e veduti d'altra parte i pubblici Istrumenti e Sentenze di Spagna, di Parigi, di Venezia, di Vicenza, di Bologna, di Ferrara, e di Siena, che sono state pronunziate, e mostrateci in favore dei detti venerabili Signori Ignazio e suoi Compagni, e contra i loro accusatori: e oltre di questo avendo esaminati in giudizio alcuni testimoni di vita, di dottrina e di dignit in ogni parte grandi e singolari; finalmente ritroviamo essere false tutte le mormorazioni, accuse e rumori sparsi contra di essi. Per la qual cosa giudichiamo esser proprio dell'ufficio nostro pronunziare e dichiarare, come pronunziamo e dichiariamo il detto Ignazio e i suoi Compagni dalle delle accuse e rumori non solo non avere ricevuto infamia alcuna de iure, vel de facto; anzi pi tosto avere acquistato maggior prova e testimonio della loro buona vita e sana dottrina: vedendo, come certamente veduto abbiamo essere vane e lontane da ogni verit tutte le cose, che dagli avversari loro si opponevano: e per il contrario essere uomini di molta virt ed ottime persone quelle, che per essi hanno testificato. E per questo abbiamo voluto pronunziare questa nostra sentenza; acciocch sia un pubblico testimonio contra tutti gli avversari della verit, e per acquetare, e serenare gli animi di tutti quelli, che per cagione di questi accusatori e detrattori avessero alcuna sinistra opinione o sospetto di essi conceputo: esortando di pi, ammonendo e pregando tutti i fedeli nel Signore, che i detti venerabili Signori Ignazio e suoi Compagni tengano e stimino per tali, quali noi abbiamo trovato e provato, cio per cattolici, e senza alcuna sorta di sospetto, mentre che persevereranno nel medesimo stato di vita e di dottrina, siccome con laiuto di Dio speriamo che abbiano a fare. Data in Roma nella Casa nostra ai 18 di Novembre 1538. B. Governatore sopradetto.Rutilio Furio Secretario. bene

ancora, che si sappia, come il Frate, che dicemmo chiamarsi Agostino Piemontese, che fu la prima cagione ed origine di questa persecuzione, levatasi dal volto la maschera della dissimulazione, con cui prima andava coperto, pubblicamente si fece Luterano. L'esito poi e il fine degli accusatori fu questo, che tacendo i nostri e pregando Iddio per essi, finalmente si scopr qual fosse la loro vita e dottrina, la quale fu tale, che ad uno, che se ne fugg dallinquisizione, abbruciarono la statua sua in Roma; e l'altro parimente per eretico fu condannato a perpetua carcere; il quale nondimeno, poco avanti che morisse, ritornato nella strada della verit, si convert, e piangendo la sua vita e gli errori passati, fin il corso di essa in Roma, lanno 1559 aiutandolo a ben morire uno dei nostri. _________________CAPO XV.Come Ignazio e i suoi Compagni, parte in Roma e parte fuori, si occupavano in servigio della Chiesa. Acquetata la tempestosa procella di questa persecuzione, ne segu una tranquilla bonaccia; e le macchine, le quali aveva satana messe su per combattere la verit, vennero maggiormente a difenderla, come intervenir suole a quelli che hanno ragione e che si confidano nel divino aiuto. Dal che ne nacque, che molte persone grandi supplicarono il Papa, che loro concedesse alcuni dei nostri padri, chi per una parte, e chi per un'altra del mondo: e Sua Santit li concesse in questa maniera. Fu mandato il padre Pascasio a Siena per riformare un monastero di Monache; il che fece risvegliando in molte anime vivi desideri di servir a Dio con lesempio dell'integrit della vita sua e con la piacevolezza de' suoi costumi: perciocch era dotato questo Padre d'una candidezza cristiana e d'una prudente semplicit. Il Padre Maestro Claudio Iaio fu mandato a Brescia, dove s'acquist gli animi di tutta quella citt con la soavit delle maniere sue e con la santit dei costumi; ed oper s, che quella gente da dovero si pose a cercare il diritto sentiero del cielo. Partirono per Parma e Piacenza, citt di Lombardia, in compagnia del Cardinal Sant'Angelo, Legato Apostolico, i padri Maestro Pietro Fabro e Giacomo Lainez; i quali in quelle citt da' loro travagli cavarono meravigliosi frutti e guadagnarono per la Compagnia un buon numero di persone di diversa et, ma tutti molto atti ed a proposito dell'Istituto nostro. Il P. Maestro Nicol Bobadiglia and nella Calabria, e quivi impieg bene le fatiche sue, insegnando ed ammaestrando quei popoli, per la loro ignoranza molto bisognosi di dottrina. N stanano oziosi gli altri Padri, ch'erano restati in Roma; perciocch essendo in quella citt gran mancamento di vettovaglie, di essendo quell'anno stretto da cotanta penuria, che molti o perivano di fame, o si ritrovavano quasi consumati e vicini alla morte, distesi per le pubbliche piazze; i Padri per rimediare per quanto le forze loro si estendevano, a cos grande necessit, ponevano gran diligenza in ritrovare denari, cercavano del pane, e riempivano alcuni vasi di erbe minutamente tagliate; e ricercando i poveri per le strade e per le piazze, li conducevano a casa, e dopo aver loro lavato i piedi, loro davano da mangiare; curavano quelli ch'erano piagati, insegnavano ad essi la dottrina cristiana: n finalmente tralasciavano ufficio, ovvero opera di misericordia, che far potessero, cos spirituale, come corporale. Ed era alcune volte cos ripiena la casa di poveri, che dalle vie e dalle piazze erano ivi dai Padri condotti, che non vi potevano rapire; perciocch arrivavano a trecento e quattrocento, stesi sopra del fieno, che per questo effetto dai Padri era stato gettato per terra. Rese questopera con la novit e col profitto,

straordinaria, meraviglia nel popolo Romano: e fu questo motivo, ed incentivo agli altri per impiegarsi in opere simili di carit. Perciocch molti gentiluomini principali, e fra questi alcuni Cardinali, mossi da cotal esempio, procurarono da dovero, che i poveri non patissero tanta necessit. E and cos crescendo quest'opera, che si sostentavano in Roma in diversi luoghi tremila poveri, i quali sarebbono morti di fame, se non fossero stati aiutati. Si unirono parimente in questo tempo ai nostri alcune persone segnalate, cos giovani, come uomini di maggior et, per seguire l'Istituto e la nostra maniera di vita. __________________CAPO XVI.Come i Padri Maestro Francesco Saverio, e Maestro Simone Rodrigo si partirono di Roma per l'India Orientale. In Parigi, come abbiamo detto nel terzo Capo di questo secondo libro, era un dottore teologo, nominato Giacomo Goveano, il quale essendo Rettore e principale del Collegio di S. Barbara, per un ingiusto sdegno volle pubblicamente e con vituperio far battere Ignazio: ma dipoi in se stesso ritornato, e venuto in cognizione dell'innocenza di lui e della verit, si mut di maniera, che convert il castigo, che aveva apparecchiato di dargli, in onorarlo e riverirlo. Era il Goveano portoghese, uomo pio e di autorit; e da quel giorno, che rest disingannato, rest anco affezionatissimo e divotissimo d'Ignazio; perciocch conobbe i desiderii che Iddio gli aveva dati d'impiegarsi in suo servigio e nella salute de' suoi prossimi, e quanto diligentemente attendesse a questa divina vocazione; e sapeva ch'egli ed i suoi compagni erano occupati in Italia in tutte le opere di carit con grande edificazione e profitto delle anime. Acceso dunque il Goveano del medesimo desiderio, scrisse ad Ignazio, che Iddio aveva aperta una gran porta nell'India Orientale per affaticarsi fruttuosamente; e che in quelle remotissime regioni avrebbono avuto i compagni di lui un largo campo per operare, se avessero voluto transferirsi in quelle parti; essendo, come sono, tanto deserte, e cos lontane dalla luce e dal conoscimento di Dio Signor nostro; e che desiderava sapere, se a ci avevano alcuna inclinazione. A questo gli rispose Ignazio, ch'egli, e gli altri Padri suoi compagni, erano totalmente sotto la potest del Sommo Pontefice, ed apparecchiati per andare in qualunque parte del mondo fossero dal Vicario di Cristo mandati. Ricevuta cotal risposta, subito il dottor Goveano avvis il Re di Portogallo D. Giovanni il Terzo suo Signore, e lungamente gli scrisse delle qualit di Ignazio e dei suoi compagni; e quanto a proposito sarebbono stati per la conversione della gentilit. Il Re, che religiosissimo era e molto pi desideroso d'estendere la gloria di Cristo nostro Signore e di aiutare la salute dell'Indie, che di ampliare i suoi regni e d'amplificare l'impero dello stato suo, impose subito a D. Pietro Mascaregna suo Ambasciatore in Roma, che trattasse di questo negozio con Ignazio, e che procurasse di impetrare dal Papa, quando pi non potesse, almeno sei Padri per le Indie, e che si dovesse valere di tutte le cose, che gli potessero prestare aiuto, per concluder bene il negozio senza riguardare a spesa o a fatica. E con questo il Re gl'invi le lettere da Ignazio scritte al dottor Goveano, e dal Goveano al Re. LAmbasciatore D. Pietro si confessava allora da Ignazio, e glie lo aveva dato a conoscere D. Leonora Mascaregna, di cui di sopra abbiamo fatto menzione, con la quale D. Pietro teneva stretta amicizia e parentela: Laonde e per questo, e per fare quanto dal suo Re, facendogli grande istanza, perch in tutto si adempisse il volere del suo signore. Gli rispose il Padre il medesimo che aveva scritto al Goveano; cio,

che n egli, n i suoi compagni erano liberi per disporre di loro stessi; che al Papa toccava il comandare ed a loro lubbidire: ma che se egli avesse avuto a dare intorno a questo il suo parere, egli sarebbe d'opinione, che si dovessero mandare nellIndia due Padri soltanto; perciocch il mandarne pi, non poteva essere se non molto difficile. Ma l'Ambasciatore stringendolo con prieghi, e con istanza procurando, che de dieci ne concedesse almeno sei al Re; gli torn a rispondere Ignazio con volto sereno e benigno queste parole: Ges! se di dieci, signor Ambasciatore, ne vanno sei nell'India, che rester pel rimanente del mondo? In conclusione il Papa, avendo inteso quello, di che si supplicava, ordin, che v'andassero due Padri di quelli che paresse ad Ignazio; il quale nomin per questa missione i Padri Simone Rodrigo, e Nicol Bobadiglia. Il Padre maestro Simone aveva allora la febbre quartana, e con tutto questo s'imbarc subito per Portogallo; e si scrisse al padre Bobadiglia, che di Calabria se ne venisse a Roma; e vi venne, ma cos debole pei patimenti e travagli del viaggio, e talmente infermo e mal trattato di una gamba, quando giunse a Roma, che ritrovandosi in quel medesimo tempo l'Ambasciatore D. Pietro Mascaregna in procinto per andarsene alla volta di Portogallo, fu necessario, per non poter aspettare che il Padre Bobadiglia si risanasse, e per non voler partire senza l'altro Padre che avea d'andare nell'India, che in luogo del Maestro Bobadiglia, con felicissima sorte sostituito fosse il Padre Maestro Francesco Saverio, nel modo ch'io qui racconter. Si giaceva il Padre Ignazio infermo nel letto, e fatto chiamare a s il Padre Francesco, gli disse: Ben sapete, fratello maestro Francesco, che due de' nostri hanno da passare per ordine di sua Santit nell'India: e che il Padre Bobadiglia, che a questa impresa era stato eletto, per cagione della sua infermit non si pu partire, n men pu aspettarlo l'Ambasciatore, per la fretta che gli vien data. Iddio si vuol servire in ci di voi: questa impresa vostra, ed a voi tocca questa missione. Il che quando ud il Padre Saverio, con grande allegrezza disse: Eccomi qui, Padre; io sono apparecchiato. E cos si avvi con l'Ambasciadore subito il giorno seguente, soma pigliare altro tempo, che di alcune poche ore per salutare gli amici, abbracciare i suoi Fratelli, e racconciare la sua povera veste: e si part con cos buon animo e con cos allegro sembiante, che fin d'allora si vedeva quasi come un pronostico della divina providenza che sapientissimamente e con grandissima soavit dispone tutte le cose, che chiamava questo suo servo a cos gloriosi travagli, come furono quelli, chegli in questa missione sopport. Ed acciocch meglio s'intenda la virt dell'ubbidienza ed il fervore della carit, di cui era accesa l'anima sua, si ha da considerare, che non essendo ancora in quel tempo fondata la Compagnia, se bene Ignazio era tenuto da tutti i suoi compagni in luogo di Padre, poich tutti li aveva generati in Cristo, non era per Superiore, n Preposito Generale, a cui dovessero prestar ubbidienza, n poteva egli comandare con autorit ed in nome di Cristo una cosa cos ardita e di tanta importanza, com'era questa. Voglio ancor dire una cosa, la quale ho udito alcune volte raccontare dal Padre Maestro Lainez; ed questa: che molto prima che ci avvenisse, pellegrinando per Italia il P. Lainez ed il P. Saverio ambidue in compagnia, avvenne molte volte, che il P. Saverio destandosi la notte, come da sogno impaurito, svegliava parimente il P. Lainez e gli diceva: Oh Dio, come sono stanco! Sapete, Padre, che cosa mi accaduto dormendo? Mi sognava, che portava sopra le spalle per

un gran pezzo un Indiano, ovvero un nero d'Etiopia, ma era cos pesante, che col carico suo, non mi lasciava alzar la testa; e cos ora risvegliato come sono, mi sento cos stanco e lasso, come se io avessi fatto alle braccia con esso lui. E quantunque sia vero, che comunemente gran vanit sia il far caso e dare credenza a sogni, suole per alcune fiate nostro Signore, particolarmente ai servi suoi, come si legge nelle sacre lettere, rivelare in essi, quanto significare la sua volont. Simile a questo che abbiamo detto, e quello che io udii dal P. Maestro Girolamo Domenech, al quale, avanti che entrasse nella Compagnia, ebbe in Bologna, gran familiarit col Padre Francesco Saverio. Diceva questo Padre che fino da quel tempo ragionava molto il Padre Saverio e con gran gusto delle cose dell'India, e della conversione alla nostra santa fede di quella copiosa gentilit; mostrando che gli dicesse lanimo daver a fare egli questa missione, e che aveva un intenso desiderio di impiegare la sua vita in questa impresa; come poi fece, e pi avanti si racconter. ___________________CAPO XVIICome Papa Paolo III conferm la Compagnia.E perch Ignazio conosceva, che tutte le fatiche, nelle quali egli ed i suoi compagni simpiegavano per salute delle anime, allora a Dio nostro Signore sarebbono state pi grate e di maggior profitto agli uomini, quando il Sommo Pontefice, Vicario di Ges Cristo, le approvasse con l'apostolica sua autorit, confermando la Compagnia, e facendola Religione; fece consapevole di questo desiderio e santo proposito suo col mezzo del Cardinal Gasparo Contarini, Papa Paolo Terzo, che in quel tempo era Capo della Chiesa, dicendogli, che egli e gli altri Padri suoi compagni si erano offerti allubbidienza di Sua Santit e dei successori suoi; e che per questo avevano fatto voto speciale e dedicate tutte le fatiche e vite loro a beneficio dei prossimi; e che desideravano, che questi buoni propositi, concessi loro dal Signore, d'impiegarsi in coltivare la vigna sua, non avessero fine insieme con le vite di essi, ma che in altri, che succeduti loro fossero, similmente trapassassero essendosi compiaciuto nostro Signore di risvegliare altri, che in questo li imitassero: che ci si ponesse ad effetto fondandosi una Religione, che fosse di Chierici Regolari, e che l'Istituto di essa fosse di star sempre pronti, ed apparecchiati ai comandamenti della Sede Apostolica, e conformarsi nel modo loro di vivere con la regola, che molto prima avevano pensata e stabilita, se fosse parso bene a Sua Santit. Ud tutto questo allegramente e volentieri il Sommo Pontefice che si trovava in Tivoli. Lesse e lod molto i capitoli dell'Istituto, che gli furono presentati, e benignamente li conferm vivae vocis oraculo ai 3 di Settembre, lanno 1539 33. Supplicando dipoi Ignazio, che gli dovesse far dare in iscritto la confermazione di questo Istituto, il Papa ci commise a tre Cardinali, i quali contraddicevano, procurando che questa confermazione non sortisse effetto. E fra gli altri era principalmente di questo parere il Cardinale Bartolomeo Guidiccione, uomo pio e molto letterato: perch diceva non esser bene, che fosse nella Chiesa di Dio, come vi ha, tanta moltitudine di Religioni, movendolo per avventura a questo il vedere in alcune la poca osservanza della regola loro, e maggiore fiacchezza e tepidezza di quello che sarebbesi potuto tollerare, per essere cadute dal primo fervore e dall'antico spirito, col quale incominciarono. E perci, diceva questo Cardinale, che maggiore necessit aveva la Chiesa di Dio di riformare le religioni gi fondate e restituirle al primiero loro stato, che di fondarne altre di nuovo. E aveva egli

medesimo, come diceva, composto un libro di questa materia. Laonde grandemente contraddisse ai nostri, e pi che qual si voglia altro fece resistenza alla confermazione della Compagnia: e si unirono al medesimo parer di lui altri Cardinali. Ma tutto questo nasceva, acciocch quanto maggiori contraddizioni avesse questo negozio, e pi tempo vi si frammettesse, e con maggior maturit si esaminasse, ed approvasse la Compagnia, tanto pi chiaramente si manifestasse la divina volont, che per il suo Vicario la confermava. perciocch finalmente le continue lacrime ed orazioni di Ignazio superarono tutte le difficolt e tutte le contraddizioni. E per meglio acquistare dalla mano del Signore questa vittoria, offer di far dire alcune migliaia di Messe per il felice successo di negozio tanto importante: al quale datosi fine, e confermata la Compagnia, in alcuni anni tutte si celebrarono, ripartendosi fra i Padri di essa, ch'erano di gi sparsi in tante e s diverse parti del mondo. Per lo che il cuore cos degli altri Cardinali, come e principalmente del Guidiccione, si mut di maniera da quello di prima, che di contrario e ripugnante che era, venne a farsi subitamente di quest'opera favorevole e protettore. E quegli, che poco prima riprendeva listituzione delle nuove Religioni, inteso il fine della Compagnia, non cessava di lodare l'Istituito di essa; ed era cos cangiato e di tanto diverso parere, che se gli udiva dire queste parole: A me non par bene, che vi siano Religioni nuove, ma questa non ho ardire di lasciar d'approvarla: perciocch ad essa interiormente mi sento cotanto affezionato, e provo nel mio cuore movimenti cos straordinari e divini, che dove non m'inchina l'umana ragione, vedo che mi chiama la divina volont; e quantunque contra mia voglia, scorgo ch'io abbraccio con l'affetto quello, che per la forza degli argomenti ed umane ragioni addotte () che lo stesso Cardinale Guidiccione lod poi con grande efficacia al papa listituto della Compagnia nostra, ed il Papa leggendolo, rest cos meravigliato, che con ispirito di Sommo Pontefice disse: Digitus Dei est hic, cio: Questo il dito di Dio: affermando, che da cos piccoli e deboli principii egli n picciolo frutto, n poco profitto si aspettava per la Chiesa di Dio 34. Di questa maniera dunque fu confermata la Compagnia l'anno 1540 ai 27 di Settembre: ma fu per allora stabilita con limitazione: perciocch non si diede licenza, che potesse crescere il numero de' professi, se non fino a sessanta; il che ordin Dio nostro Signore, perch con meravigliosa consonanza i principii ai mezzi, ed i mezzi ai fini corrispondessero. Perciocch fu questa Compagnia in Ispagna prima che nascesse provata e tentata in Ignazio fondatore di essa; e di recente nata, in Francia ed in Italia fu combattuta, prima che fosse dal Sommo Pontefice approvata; ed ora essendo gi venuta in luce, il medesimo Papa provar la volle con grandissima prudenza, e procedere con molta cautela e circospezione: per lo che pose limite, come si detto, nel ricevere alla Professione; e dur questa maniera di probazione fino al 1543, nel quale lo stesso Pontefice, vedendo gli effetti della divina grazia, che con l'onnipotente sua virt confermava la dottrina de' Padri, lev quella limitazione di numero, ed apr la porta per tutti quelli, che ricevere si volessero: e d'indi in poi and crescendo, e divenne robusta e gagliarda. E fu da Giulio III confermata un'altra volta; e da tutti gli altri Sommi pontefici, successori di lui, stata stabilita e arricchita con molte e importanti grazie e privilegi come a suo luogo si dir._____________________________DELLA VITA DI S. IGNAZIO DI

LOIOLA_____________LIBRO TERZOCAPO I.Come Ignazio fu eletto per Preposito Generale.La prima cosa, alla quale ebbero riguardo i primi Padri della Compagnia, confermata ch'ella fu da Papa Paolo Terzo, fu di creare fra loro un Superiore, che con ispirito e con prudenza la governasse. Lo stato della Compagnia allora era questo. I Padri Maestro Francesco Saverio e Maestro Simone Rodrigo erano in Portogallo; il Padre Maestro Pietro Fabro in compagnia del Dottore Ortiz si trovava in Alemagna, dov'era andato alla Dieta Imperiale di Vermazia; il P. Lainez in Parma, Claudio Iaio in Brescia, Pascasio in Siena, e Nicol Bobadiglia in Calabria: Ignazio era restato solo col P. Salmerone e Giovanni Codurio in Roma. Stavano parimente studiando nell'Universit di Parigi alcuni pochi giorni, che in quel tempo si erano uniti alla Compagnia, e da Ignazio col mandati fin da Roma, perch dovessero studiare. Eravamo allora in Roma quasi dodici, accostatici a quei primi Padri, per seguire la maniera della vita e dell'Istituto loro. Dimoravamo con gran povert ed angustamente in un casa tolta a pigione, vecchia e ruinosa, dirimpetto alla chiesa vecchia della Compagnia, la quale per la fabbrica della nuova, che ora abbiamo, si gettata a terra: ed essendo io uno di quelli, che in questo tempo stavano in Roma, potr in quello, che da qui avanti si racconter, parlare come testimonio di vista. Ritrovandosi dunque le cose in tale stato, furono chiamati a Roma tutti i Padri de' primi dieci, che per l'Italia andavano travagliando nella vigna del Signore, e vi vennero tutti intorno alla quaresima dell'anno 1541, eccetto il padre Bobadiglia, che per ordine di Sua Santit si ferm in Bisignano citt di Calabria. E perch il Sommo Pontefice voleva di subito inviare alcuni degli altri Padri in diverse Province, non si pot aspettare pi il Bobadiglia, n differirsi l'elezione del Generale. Laonde a mezza quaresima il P. Ignazio, Lainez, Salmerone, Claudio, Pascasio, e Codurio si unirono insieme in Roma: e dopo aver ventilate le cose, che per accertarsi nella buona elezione loro si offerivano, determinarono di stare tre giorni in orazione, e che fra loro osservassero silenzio, n trattassero di cotal negozio; e che dopo ciascuno portasse il voto suo scritto di propria mano, nel quale dichiarasse a chi desse la sua voce. Passati tre giorni, tornarono a congregarsi e posero insieme i voti, che ciascheduno portava con quelli degli altri Padri assenti, i quali o li avevano lasciati scritti prima che partissero, o li avevano dipoi mandati: e per maggior confermazione e stabilit dell'elezione, determinaronsi di stare altri tre giorni in orazione senza leggere i voti; ed il quarto d li aprirono; e per voto di tutti quelli che erano presenti ed assenti, fu dichiarato Ignazio per Preposito Generale; di modo che niun altro voto vi manc, fuor che il suo. Ma egli come quello, che di cuore e veracemente era pi apparecchiato ad ubbidire, che a comandare, disse loro in questa maniera: Io, Fratelli, non sono degno di quest'ufficio, n lo sapr fare, perch chi se stesso non sa reggere, come regger bene altrui? E perch con ogni verit e sincerit avanti a Dio nostro Signore io l'intendo cos, e perch ho riguardo ai vizi ed ai mali abiti della mia vita passata ed ai peccati e molte miserie della presente, non posso a me stesso persuadere a ricever il peso, che sopra le spalle m'imponete. Per vi prego per amor del Signore, che non lo abbiate a male; ma che di nuovo per ispazio d'altri tre o quattro giorni con maggiore instanza e fervore raccomandiate questo negozio a sua divina maest, acciocch illuminati con la luce dello spirito suo, e dalla sua grazia favoriti,

eleggiamo per Padre e Superiore quello, che sia per governar meglio di tutti gli altri la Compagnia. Vollero nel principio i Padri contraddire a questo, ma finalmente furono forzati a consolarlo ed a condiscendere alla volont di lui: e prendendo tempo per nuova deliberazione, quattro giorni dopo di nuovo insieme si ridussero, e con il medesimo consenso ed unione di volont ritornarono ad eleggere per loro Superiore e Generale Ignazio. Egli allora da una parte temendo il contraddire a tutti, e dall'altra il caricarsi di cotal peso da lui giudicato sopra le sue forze, disse loro: Io porr tutto questo negozio nelle mani del mio confessore, ed a lui dar conto di tutti i peccati della mia vita, gli far manifeste le male inclinazioni dell'anima mia, ed a lui far palesi le indisposizioni del mio corpo: e se egli, non ostante tutto questo, mi consiglier, ovvero mi comander in nome di Ges Cristo Signor nostro, ch'io sopra di me prenda cos pesante carico, l'ubbidir. A questo cominciarono tutti a reclamare, dicendo che di gi abbastanza si era intesa la volont di Dio, e stringevano Ignazio, acciocch pi con la sua umilt non li trattenesse, ne differisse pi questo negozio, perch gi ci pareva un volere ripugnare a Dio. Ma non potendo rimuoverlo dalla sua opinione, n volendo costringerlo quasi a forza, si risolvettero di condiscendere a quello ch'ei dimandava. Fece Ignazio una confessione generale, e se ne stette lontano da' suoi compagni, ed appartato tre giorni, il gioved, venerd e sabato santo, in S. Pietro in Montorio, convento de' Frati Francescani, dove, come dicono, fu crocifisso S. Pietro, ed ivi s'occup in questo negozio. Pales al suo confessore tutta la sua vita passata; ed il giorno di Pasqua di Resurrezione gli dimand intorno a questo il suo parere. Gli rispose il confessore, che a lui pareva, che resistendo a tale elezione, resisteva parimente allo Spirito Santo. Allora Ignazio il torn di nuovo caldamente a scongiurare, che volesse con maggior attenzione a cotal cosa avere riguardo, e che veracemente e di tutto cuore il raccomandasse a Dio; e che quello che, dopo aver fatto questo, a lui paresse, scrivesselo in una polizza di sua mano, o suggellata la mandasse a' suoi compagni. Fece cos appunto il confessore, e scrisse, ch'era il suo parere; che Ignazio per ogni modo prendesse il governo della Compagnia. Ed egli allora con grandissimo giubilo ed applauso di tutti disse, che l'avrebbe fatto; ed assegnarono il venerd seguente dopo Pasqua di Resurrezione, ch'era ai 22 di Aprile, per visitare le sette chiese, che sono le principali Stazioni di Roma, e nella chiesa di S. Paolo, che una delle appartate e lontane dallo strepito della gente, e di gran divozione, far tutti la loro professione, la quale fecero in questo modo. Giunti che furono a S. Paolo, si riconciliarono tutti, confessandosi brevemente fra di loro; Ignazio disse la Messa nella cappella della B. Vergine, dove era allora il Santissimo Sacramento. Venuto il tempo di ricevere il Corpo del Signore, tenendolo nella patena con una mano, e con l'altra la sua professione scritta, si rivolse verso i Padri, e con voce alta disse in questa maniera: Io Ignazio di Loiola prometto a Dio Onnipotente, ed al Sommo Pontefice suo Vicario in terra, avanti alla Santissima Vergine, e Madre Maria, ed a tutta la Corte celeste, ed in presenza della Compagnia, perpetua Povert, Castit e di Ubbidienza, secondo la forma di vivere, che si contiene nella Bolla della Compagnia di Ges Signor nostro, e nelle sue Costituzioni, cos gi dichiarate, come in quelle, che da qui avanti si dichiareranno. Prometto ancora ubbidienza speciale al Sommo Pontefice, quanto alle Missioni, nelle stesse Bolle contenute. Prometto

parimente di procurare, che i fanciulli siano ammaestrati nella dottrina cristiana, conforme alla medesima Bolla e Costituzioni. Dopo questo prese il Santissimo Sacramento del Corpo e Sangue di Cristo S. N. E di subito gli altri Padri, senza aver riguardo ad alcun ordine d'antichit, fecero la loro professione in questa forma: Io N. prometto a Dio Onnipotente, ed avanti la Sacratissima Vergine sua Madre, e tutta la Corte celeste; ed in presenza della Compagnia, ed a voi reverendo Padre, che tenete il luogo di Dio, perpetua Povert, Castit ed Ubbidienza, secondo la forma di vivere, contenuta nella Bolla della Compagnia di Ges, e nelle Costituzioni, tanto dichiarate, quanto da dichiararsi. E di pi prometto ubbidienza speciale al Sommo Pontefice, per le Missioni contenute nella della Bolla. E prometto ancora ubbidire a quello, che tocca intorno all'insegnare ai fanciulli, secondo la medesima Bolla. E cos dopo aver letta ognun di essi la loro professione, furono comunicati da Ignazio. Finita la Messa, e visitati con molta divozione i santi luoghi di quella chiesa, se n'andarono i Padri all'altar maggiore, nel quale sono sepolte le sacre ossa de' gloriosi Principi della Chiesa S. Pietro e S. Paolo. Quivi si abbracciarono con grande amore ed abbondanza di lacrime, che tutti spargevano, mossi da puro godimento spirituale, e fervorosa divozione; rendendo infinite grazie alla somma e eterna maest di Dio, clhe s'era degnata di por fine e perfezionar quello, a che egli medesimo aveva dato principio, e perch aveva loro concesso di vedere quel giorno cotanto desiderato, in cui li aveva ricevuti in olocausto di soave odore; ringraziandolo, che uomini di cos diverse nazioni, fossero d'un medesimo cuore e d'uno stesso spirito, e facessero un corpo con tanto concorde unione confederato, per maggiormente aggradirlo e servirlo. Non voglio tralasciare di dire la straordinaria ed eccessiva divozione, che il Padre Maestro Giovanni Codurio sent in quel giorno con s veemente e divina consolazione, che in niun modo reprimere la poteva dentro se stesso, ma fuori con alcuni apparenti segni dimostrava. Quel giorno io andai insieme co' Padri, e vidi tutto quello che segu. Andava avanti tutti noi altri per quei campi Giovanni Codurio in compagnia del Padre Lainez; udivamolo riempire l'aria di sospiri e di lacrime; dava cotali voci a Dio, che pareva che volesse venir meno, e che avesse da scoppiare per la gran forza dell'affetto che sopportava, come quegli, che chiaro indizio dava, che presto aveva da essere liberato dalla prigione del corpo mortale: perciocch in questo medesimo anno 1541 in Roma, egli, che dopo Ignazio fu il primo a far la professione, fu il primo anco dei dieci a passare di questa vita ai 29 di Agosto, il giorno della decollazione di S. Giovanni. Nacque egli in Provenza in un castello chiamato Sein, e nacque il giorno del glorioso S. Giovanni Battista: fu ordinato da Messa nel giorno medesimo ch'egli nacque: mori il d della morte di questo beato Precursore, e fin la vita sua essendo della medesima et di lui. Fu nell'udire le confessioni, per i pochi anni che fu sacerdote, molto esercitato, efficace, e destro in trattare e muovere i prossimi ad abbracciar la virt; ed era uomo di rara prudenza: per lo che aveva acquistata grande autorit, e credito nelle cose di Dio con persone principali. Vide una persona divotissima, che in quell'ora stava in orazione, lanima di questo Padre fra i cori degli Angeli, circondata da una chiarissima luce; e ci scrisse Ignazio al Padre Maestro Pietro Fabro. Ed in andando lo stesso Ignazio a dir Messa per lui a San Pietro in Montorio, che dall'altra parte del Tevere, arrivato al ponte, che chiamano di Sisto,

perch ledific, ovvero ripar Papa Sisto IV, nel punto stesso che fin di spirare Giovanni Codurio, si ferm Ignazio, come soprapreso da un subito orrore, che repente l'assalisse, e volgendosi al suo compagno, ch'era il padre Giovanni Battista Viola, che oggid vive e che a me il raccont, disse: il Padre Giovanni Codurio gi passato da questa vita 35. ___________CAPO II.Come Ignazio incominci a governare la Compagnia.Subito ch'egli ebbe ricevuto il carico di Preposito Generale, cominci a trattare con molta ponderazione, cos le cose che appartenevano alla Compagnia universale, come quelle che aspettavano al buon reggimento di quella casa di Roma; e per umiliarsi ed abbassarsi vie maggiormente, in quanto maggiore e pi alto stato Iddio l'aveva posto, e per invitar tutti col proprio esempio al desiderio della vera umilt; subito se n'entr nella cucina, ed ivi per molti giorni serv al cuoco, e fece altri uffizi bassi ed umili di casa; e ci cos seriamente, e con tanta accuratezza, come se fosse stato un novizio, che avesse ci fatto per sua sola utilit e per propria mortificazione. E perch le occupazioni, che ciascun giorno molte e di molta importanza se gli offerivano, l'impedivano s che in questi uffizi di umilt non poteva tutto liberamente impiegarsi, di tal maniera compartiva il tempo, che n ai negozi pi gravi, n ai ministeri della cucina mancava. Dopo questo incominci ad insegnar ai fanciulli la dottrina cristiana; il che fece continuatamente quarantasei giorni nella chiesa nostra. Ma non erano per tanti i fanciulli, che quivi concorressero, quanto le donne e gli uomini cos letterati, come idioti: e quantunque egli insegnasse cose pi divote che curiose, ed usasse parole rozze, improprie e senza niuna coltura, erano per cos efficaci e di tanta gran forza per muovere gli animi degli ascoltanti, non a dargli applauso e con vane lodi meravigliarsi d'esse, ma ad utilmente piangere e compungersi de' loro propri peccati, che quando egli finiva il suo sermone, molti si dipartivano gemendo, ed inginocchiati ai piedi del confessore esprimere non potevano le loro colpe; perciocch erano i cuori di essi oppressi dal dolore, e cotanto commossi, che per le lacrime, ed i singhiozzi non potevano formar parola. Il che molte fiate mi raccont il P. M. Lainez, che in quel tempo nella nostra chiesa confessava; se bene, sovvenendomi di quello ch'io allora vidi, non debbo stimar ci per cosa nuova e strana: perciocch mi ricordo di avere udito in quel tempo predicare Ignazio con tanta forza, e con tanto fervor di spirito, che pareva, che in tal modo acceso fosse dal fuoco della carit, che lanciasse come fiamme ardenti nei petti degli ascoltatori: di maniera che ancora tacendo pareva, che il sembiante suo infiammasse gli uditori, e che il fulgore della sua faccia li rendesse molli e liquefacesse con l'amore divino. E perch meglio s'intenda la forza di Dio nostro Signore, che in questo suo servo ragionava, e la stima ch'egli faceva dell'umilt, voglio aggiungere, che io in questo tempo ripeteva ciaschedun giorno al popolo quello che da Ignazio era stato il d precedente insegnato. E temendo io, che le cose di molto profitto, ch'egli diceva, non fossero di tanto frutto, n cos ben capite, non essendo dette in buona lingua italiana, dissi al nostro Padre, ch'era di mestieri, ch'egli alcun pensiero ponesse in parlar bene; chegli con la sua solita umilt e piacevolezza, queste formale parole mi rispose: Certo, che voi dite bene; avvertite dunque, ve ne prego, di notare tutti i miei errori e mancamenti, ed avvisarmi di essi, acciocch mi possa emendare. E cos feci un giorno scrivendo ogni cosa sopra di una carta; e vidi ch'era di bisogno

correggere quasi tutte le parole che diceva; onde parendomi che fosse cosa senza rimedio, non andai pi oltre, ma l'avvisai di quello ch'era passato; ed egli allora con meravigliosa mansuetudine e soavit, mi disse: Pietro, che cosa dunque faremo a Dio? volendo inferire, che nostro Signore non gli aveva concesso di pi, e che servir il voleva con quello che gli aveva dato. Onde che i sermoni e ragionamenti di lui non erano adornati con parole di sapienza umana, acciocch con quelle persuadesse, ma dimostravano forza e spirito di Dio, come dice l'Apostolo S. Paolo in persona sua, e che finalmente il regno di Dio, come dice il medesimo in un altro luogo, non consiste in parole eleganti, ma nella forza, e virt del medesimo Dio, con cui le parole si esprimono, rinchiudendosi lo stesso Iddio in esse, e dando loro spirito e vita, per muover quelli che le udiranno. ___________CAPO III.Come Francesco Saverio pass nell'India, e Simone Rodrigo rest in Portogallo. In questo medesimo anno 1541, ai 7 di aprile il P. Francesco Saverio s'imbarc in Lisbona nella nave capitana, che conduceva il vicer D. Martino Alfonso de Sosa, e si fece alla vela, dando principio a quella felice impresa dell'India Orientale. Il Padre Maestro Simone se ne rimase in Portogallo per la cagione, che ora dir. Mentre questi due Padri stavano in Portogallo, aspettando il tempo, in cui aveva da partire l'armata per l'India, per non istare frattanto oziosi, incominciarono, come in altre parti far solevano, a destar la gente, e tirarla al servigio di Dio; e si resero specialmente affezionati ed amici a molti de' principali del Regno di Portogallo, non meno con l'esempio della lor vita, che con le pratiche e conversazioni familiari. Per lo che alcuni signori di corte avvertirono il re, che essendo quei Padri di tanta virt e prudenza, sarebbe stato bene, che Sua Altezza considerasse, se fossero stati per avventura di maggiore utilit e profitto nel suo regno di Portogallo, che nell'India. Ci presentito da' Padri, diedero subito avviso di quello che passava, con loro lettere ad Ignazio, scrivendogli come temevano, che il Re comandasse loro, che si fermassero in Portogallo, contra l'ordine che avevano da Sua Santit d'andarsene nell'India. Ignazio diede subito conto di tutto quello, che da' suoi compagni gli era stato scritto, al Papa; il che avendo egli inteso, si rimise in tutto alla volont del Re. E cos Ignazio rispose loro, che avendo il Sommo Pontefice posto tutto il negozio nelle mani del Re, potevano e dovevano essi ubbidire a Sua Altezza, senza alcuno scrupolo del primo comandamento di Sua Santit: ma che se per avventura il re volesse in questo sapere il parer di lui, quest'era che il P. Maestro Francesco Saverio partisse per l'India, ed il P. Simone restasse in Portogallo. Lod il re questa opinione per buona; e cos appunto si fece. Da questo picciolo granello di frumento, ch'ivi si semin, nati sono i manipoli ed il frutto, che per mano della Compagnia stato in piacere di Dio N. S., fosse raccolto poi in Portogallo, ed in quelle remotissime e larghe province dell'India Orientale. __________________CAPO IV.Come i Padri Maestro Salmerone e Maestro Pascasio furono mandati per Nunzi di Sua Santit in Irlanda.Il Papa mand in questo medesimo anno 1541 per suoi Nunzi Apostolici all'Isola d'Ibernia, ovvero Irlanda, i Padri Maestro Alfonso Salmerone, e Pascasio Broet. Diede loro molto ampia potest, della quale usarono essi moderatamente e con discrezione, non mancando a veruna cosa, che richiedesse diligenza per esercitare l'ufficio loro. S'affaticarono molto per sostentare nell'antica e vera religione cattolica quei popoli ignoranti ed inculti; che

con la potenza e vicinanza d'Enrico Ottavo Re d'Inghilterra si andava di gi perdendo e mancando. Dichiararono a quelle genti le cattoliche verit, avvertendole della contraria falsit, dalla quale si avevano da guardare. Non dimandarono mai denari ad alcuno, n riceverli vollero, bench volontariamente fossero loro offerti. Le multe, nelle quali incorrevano i rei, senza che pervenissero alle loro mani, tutte comandavano, che fra i poveri si ripartissero 36. Ed essendosi fermati alcun tempo in quell'isola, usando nell'officio loro questa temperanza e moderazione, presero la volta di Francia, perch videro chiuse le porte alla verit; e perch seppero anco, che alcuni uomini di mal affare trattavano di darli in mano di alcuni mercatanti inglesi e venderli per denari, e volevano dipoi porli in potere del ne Enrico d'Inghilterra; dalle cui mani, navigando in Irlanda, erano miracolosamente scampati. Il Sommo Pontefice avvisato del pericolo, nel quale si ritrovavano, aveva loro comandato che passassero nel regno di Scozia con la medesima facolt e potest di Nunzi Apostolici. Ma considerando poi Sua Santit, che quella provincia era infettata e male affetta contra la Sede Apostolica, e che gi molte persone nobili pervertite ed ingannate, avevano perduta la debita ubbidienza e riverenza, parendole che non fosse tempo opportuno d'inviarli in quella parte, li richiam a s a Roma. Si partirono dunque da Parigi verso Roma camminando a piedi, poveramente vestiti e con assai debole provvisione di denari: e arrivati in questo modo a Lione di Francia, furono creduti spie e per ci posti in una pubblica prigione; e fu di questo la causa, l'essere rotta allora la guerra tra Francia e Spagna; e venendo il Delfino Enrico con possente esercito a Perpignano, ed il vedere due chierici, l'uno francese e l'altro spagnuolo in tempo tanto sospettoso cos vestiti, apport alcun sospetto. Ebbero notizia di questa prigionia i Cardinali di Tornon e Gaddi, i quali in quel tempo si ritrovavano in Lione, e li mandarono a cavar delle carceri, e con liberalit donando loro denari per fare ii viaggio e quanto era loro necessario nel cammino, li mandarono a Roma molto onoratamente. Mentre che passavano in cotal maniera queste cose, nello stesso anno 1541 si part d'Alemagna col dottore Ortiz il Padre Fabro, e se n'and in Ispagna; e in suo luogo d'ordine di Sua Santit si rec in Alemagna il Padre Bobadiglia dopo aver fatta in Roma la sua professione. Di modo che da quello, che in questo Capitolo si detto, si raccoglie, che nello spazio d'un anno intiero dopo che la Sede Apostolica conferm la Compagnia, ella era di gi sparsa per le province d'Italia, Francia, Spagna, Alemagna, Irlanda, Portogallo e lIndia. _________________CAPO V.Come furono fondati i Collegi di Coimbra e di Goa, e la Casa di Roma.Ritrovandosi le cose della Compagnia nello stato, che abbiamo raccontato di sopra, il Re di Portogallo D. Giovanni il Terzo, dopo avere mandato il P. Prancesco Saverio nell'India, avendo grandissimo pensiero della salute di quelle anime, tratt di ritrovar modo, come potesse ogni anno inviare col alcuno dei nostri: e con questa occasione fond il collegio della nostra Compagnia, che oggid nella segnalata Universit Coimbra, che il seminario, donde si provvede non solo l'India, il Giappone ed il Brasile, ma molte altre parti ancora. Fu questo collegio origine e principio di tutti gli altri, che in quel regno dipoi si sono fondati; e per la fondazione di esso mand Ignazio al P. Maestro Simone Rodrigo alcuni uomini e giovani de' pi provetti, ch'erano entrati nella Compagnia e che stavano in Roma ed in Parigi; e questo fu lanno 1541. E

poich viene a proposito, non voglio lasciar di raccontare, bench brevemente, la maniera, nella quale in quel tempo Ignazio mandava i nostri Fratelli in terre e province cos lontane. Andavano pellegrinando a piedi; e quantunque tutti non avessero un medesimo abito, tutti per erano poveramente vestiti: giravano chiedendo limosina e di essa vivevano: si riducevano negli ospedali, dove ne ritrovavano; e quando non avevano che mangiare, n dove dormire, soccorrevansi con quella povera quantit di denari, che per questo fine e per altra necessit somigliante si avevano riserbata. Predicavano nelle piazze, secondo l'opportunit del tempo che loro si offeriva: innanimavano tutti quelli che incontravano, alla penitenza dei loro peccati, alla confessione, all'orazione, ed ad ogni sorte di virt. Partendosi dall'abitazione loro, s'armavano con l'orazione, e nel ritornarvi parimente si raccoglievano in essa. Quelli che non erano sacerdoti, si confessavano e si comunicavano ogni domenica, o pi spesso. Era fra di loro una somma pace e grandissima concordia, ed avevano l'animo del continuo allegro e lieto. E cos grande era il desiderio che avevano di travagliare per Cristo, e cos infervorato a patire per suo amore, che niun conto facevano n delle fatiche, n de' pericoli di cos lunghi viaggi. Comandava loro il P. Ignazio, che il pi debole e che meno degli altri camminare poteva, precedesse tutti gli altri; acciocch la regola e misura del loro cammino nell'andare e nel fermarsi fosse accomodata secondo il potere di quello, che avanti gli altri camminava, di modo che i pi gagliardi si accomodassero ai pi deboli. E perch allora non vi erano collegi della Compagnia, nei quali albergare potessero; e perch parimente per non essere ancora conosciuta non avevano divoti, n persone, che in tempo di alcuna sopravegnente necessit li raccogliessero, ordin Ignazio, e cos appunto si osservava, che in fermandosi alcuno nel viaggio, di modo che non potesse progredire, si trattenessero tutti con quello, e per alcuni pochi giorni prendessero cura di lui: ma se l'infermit fosse andata in lungo, restasse un solo de' compagni con l'infermo; e questi fosse quegli, ch'era pi a proposito per servirlo e governarlo; assegnandolo a quest'ufficio quegli, che tra loro andava per Superiore. Di questa maniera adunque andavano i nostri in quei principii, inviati da Ignazio da Roma a Parigi ed in Ispagna. E in questo modo arrivarono in Portogallo quelli, che diedero principio al collegio di Coimbra, i quali furono dal Re benignamente ricevuti. E mentre che ivi si apprestavano le cose per il futuro collegio, si trattennero alcuni giorni in Lisbona, ed incominciarono anco a dare principio alla casa di S. Antonio di quella citt. In questo tempo nell'India ancora si diede la Compagnia a fare frutti, subito che si cominci a conoscere e gustare dagli uomini la virt e la prudenza del P. Francesco Saverio, come al suo luogo racconteremo. Perciocch l'anno 1542 si diede alla Compagnia in Goa, che capo e principale citt che abbia nell'India il re di Portogallo, un collegio., ch'era di gi fondato per allevare ed istruire i figlioli de' Gentili, che alla nostra santa Sede si convertissero; e fu concesso ai nostri, acciocch prendessero cura d'ammaestrare quei fanciulli nella vita e nella dottrina cristiana; ed acciocch potessero ivi ricettare i Fratelli, che di nuovo fossero venuti di Portogallo; e perch parimente quei di quella terra, i quali volessero entrare nella Compagnia, ivi tenessero la loro casa di Probazione; ed acciocch finalmente fosse quel collegio, come un forte castello, per difesa della nostra fede contro gl'inimici di essa. Da cos

piccioli e bassi principii molto s'avanzarono e crebbero questi due collegi di Coimbra e di Goa: perciocch in quello di Coimbra v'hanno pi di ducento persone, ed in quello di Goa cento e venti; e nell'uno e nell'altro pubblicamente s'insegnano tutte le discipline ed arti liberali, che ad un teologo sogliano essere necessarie; di maniera che con verit dir possiamo, che da questi due collegi riconoscere si deve tutto il frutto, che la Compagnia con la divina grazia ha raccolto nel Giappone, nella Cina, nella Persia e nell'Etiopia; ed in altre molte nazioni cieche, per essere prive del vero conoscimento di Dio. Dalle cose dunque di sopra raccontate si cava, che fra tutti i collegi, che nella Compagnia finora si sono fondati, quello di Coimbra tiene il primo luogo, cominciato allora e finito di poi per la liberalit e munificenza del Serenissimo Re D. Giovanni il Terzo di Portogallo, Dico, che de' collegi questo il primo; perch la casa di Roma la madre di tutta la Compagnia, dalla quale, come da primo principio e capo, per l'industria e buon governo d'Ignazio, ne nacquero tutti gli altri, i quali, come colonie, si andarono moltiplicando dipoi e propagando in tante e s diverse nazioni e terre. La quale casa di Roma dire possiamo, che unitamente nacque con la stessa Compagnia, ed in un medesimo tempo; poich nel fine dell'anno 1540, per la buona diligenza e pietosa carit del p. Pietro Codacio, ci fu data la chiesa che chiamano di S. Maria della Strada, ch'era altre volte parrocchia, la quale allora che ci fu data, era picciolissima ed angusta; ma di poi non potendo capire in essa la molta gente che concorreva ad udire la parola di Dio, s'and ampliando ed aggrandendo con alcune fabbriche aggiuntevi; fin che l'anno 1568 Alessandro Farnese Cardinale e Vicecancelliere della santa Chiesa romana, Principe di grande autorit e prudenza, cominci a farci fabbricare una sontuosissima chiesa, d'architettura ed opera meravigliosa, con la sepoltura sua: parendogli, che poich fin dal principio della Compagnia egli era stato di essa padrone e protettore singolare, fosse bene ancora con quest'opera segnalata proseguire avanti. E oltre l'adornare con essa la sua citt, e far questo comune beneficio, cos ai Romani, come agli stranieri, volle che con perpetuit restasse anco scolpita la memoria del beneficio, che nella sua prima conformazione aveva da Dio nostro Signore ricevuto la Compagnia e tutta la cristianit in essa, per mano del Sommo Pontefice Paolo Terzo, capo della casa e della famiglia sua. E certo che giusta cosa era, che poi che la casa Farnese fu la prima che fond e stabil la Compagnia, che questo illustrissimo Cardinale, che l'ornamento e l'onore della famiglia sua, abbia la sede ed il suo primo luogo in quella casa e chiesa della medesima Compagnia, che di tutte l'altre madre e capo. Lanno parimente 1513 ne aggiunsero alla chiesa di S. Maria della Strada un'altra ad essa congiunta, chiamata S. Andrea, che, per la vicinanza sua n'era molto comoda; e ci si fece per comandamento di Sua Santit, procurandolo e negoziandolo Filippo Archinto Vescovo di Seleucia, e Vicario del Papa in Roma: il che avvenne in questo modo. Visitava il Vicario Archinto tutte le chiese di Roma dordine di Sua Santit, e venendo alla chiesa di S. Andrea, ch'era parrocchia, non la ritrov ben governata, anzi raccomandata solo alla cura d'una donna. Venuta questa cosa a notizia del Pontefice, dispiacendogli, come ragionevole cosa era, cos gran disordine, si determin per avviso del Vicario di dare questa chiesa a' nostri, i quali in quella di S. Maria dalla Strada ivi propinqua con notabil concorso e frutto delle anime confessavano e

predicavano; e cos fece, se bene non manc chi a ci dipoi contradisse; nondimeno si esegu la volont e determinazione del Pontefice, e si diede il possesso di lei alla Compagnia, e cominciossi lo stesso anno a fabbricare in essa la casa, nella quale oggid in Roma abitiamo. E perch la cura delle anime, come cosa aliena dall'Instituto nostro, non ci fosse d'impedimento, quest'obbligo dell'una e dellaltra chiesa, insieme con l'utilit o gli emolumenti loro, si trasfer a S. Marco, parrocchia vicina ed in Roma molto antica. ____________CAPO VI.Come si fond il Collegio di Padova, ed i nostri entrarono in Fiandra.Nel medesimo tempo, ad istanza della Signoria di Venezia, fu a questa citt mandato l'anno 1543 dal Sommo Pontefice il p. Maestro Lainez; acciocch indirizzasse e mandasse avanti alcune opere di carit, alle quali ivi si era dato principio. Il che essendo eseguito da lui con ogni diligenza ed avendo operato quanto all'ufficio suo si spettava, ebbe di ci notizia Andrea Lippomano Priore della chiesa della santissima Trinit, persona illustre di sangue e di gran fama in virt e piet cristiana: onde importun tanto il Padre Lainez, che, fu forzato ad andarsene a dimorare in casa sua; ed ivi stando si edific tanto il Priore per la conversazione e buona vita di lui, e rest cos soddisfatto dell'ingegno suo e di tutto l'Instituto della Compagnia, quando lintese, che subito tratt col Padre Lainez di fare in Padova un collegio di essa: perch in quella citt ancora aveva un altro Priorato, che chiamavano della Maddalena, ch'era dell'Ordine ed ospedale de' Cavalieri di S. Maria de' Teutonici, anticamente instituito da quella nazione, quando gli Alemanni passavano all'acquisto di Terra Santa. Questo Priorato si determin il Lippomano di dare per la fondazione del collegio; e mentre che dalla Sede Apostolica s'impetrava l'unione del Priorato, volle sostentare in quella citt alcuni de' nostri, per godere non solamente della speranza del frutto avvenire, ma anco dell'utilit presente. E cos l'anno 1543 fin da Roma mand il Padre Ignazio alcuni Fratelli a Padova; acciocch s'accompagnassero con Giovanni Polanco spagnuolo e con Andrea Frusio francese, che gi in quell'Universit studiavano, e ponessero i fondamenti di quel collegio. L'anno poi 1546 da Papa Paolo Terzo si ottenne tutto quello che si desiderava; e per sue lettere Apostoliche s'un quel Priorato alla Compagnia. Ma chiedendo i nostri alla Signoria di Venezia, l'anno 1548, d'essere posti al possesso di esso; un Cavaliere fratello del Priore Lippomano; che pretendeva il priorato per un suo figliuolo, procur d'impedire questo con tutte le forze sue; e, come Senatore in quella Repubblica e principale, dava da pensare assai ai Padri Lainez e Salmerone, i quali in nome ddla Compagnia trattavano questo negozio. Ai quali, come ad uomini forastieri e poveri accadde una fiata, che entrando in Senato per render conto della loro dimanda, essendo in esso questo cavaliere di tanta autorit e potere; si presero s fatta burla di essi, che non mancava, se non che dessero loro una fischiata e dietro ad essi strepitassero. Ma dopo che si furono acquetati. parl il Padre Lainez in tal maniera, che dato fine al suo ragionamento, si levarono in piedi tutti i Senatori e li salutarono con segni di molta cortesia; meravigliati non meno della prudenza ed efficacia nel dire, che della modestia ed umilt dell'oratore. Ritrovavano tuttavia gran difficolt, perch i loro contrari erano molto polenti ed il negozio per se stesso era in quella Repubblica difficile ed odioso. Laonde non iscoprendo alcuna buona riuscita in esso, scrisse il Lainez al P. Ignazio in che termine stava la cosa, pregandolo a dire una

Messa, acciocch N. S. facesse avere a quel negozio buon successo; perch egli alcun rimedio non isperava se non da Dio. Disse Ignazio la Messa, come era stato ricercato, nel giorno della Nativit della gloriosa Vergine, e scrisse al Padre Lainez: Io ho gi fatto quanto mi addimandaste: abbiate buon animo, n vi date alcun fastidio di questo negozio; perch tener lo potete per ispedito nella maniera che desiderate. E cos avvenne appunto, perch otto giorni dopo detta la Messa, che fu l'ottava della Nativit della Madonna, si congreg insieme per questa cosa il Consiglio, che in Venezia chiamano di Pregadi, e conformandosi i voti di quasi tutti i Senatori, fu ordinalo, che si desse il possesso ai nostri. Restarono molto stupiti gli uomini pratici di quella Repubblica, e giudicarono per cosa meravigliosa, n mai pi veduta, che contra un gentiluomo, cavaliere e tanto principale in una congregazione di quasi ducento e cinquanta Senatori, e tra questi, di tanti parenti ed amici di lui, avessero avuta tanta parte uomini, come quelli, poveri, sconosciuti e stranii: perch egli ebbe solo tre voti in suo favore. E perch questo successo non si potesse attribuire agli uomini, ma a Dio, il giorno, che questo in Senato si determin, non vi vennero quei Senatori che alla nostra causa erano pi favorevoli; e perch parimente noi altri imparassimo a non confidarci e porre le nostre speranze nella creatura, ma in Dio nostro creatore, il quale convert in bene e favore de' suoi servi quello, che gli avversari presero come mezzo a nostro male. Perciocch essendosi dette molte cose di quelli, che allora nel collegio di Padova vivevano, ed i contrari nostri avendo per tutte le vie procurato di renderci sospetti di odiosi a quella Repubblica; per decreto del Senato si venne con diligente esame a far inquisizione della nostra vita, dottrina e costumi: e piacque a nostro Signore per sua bont, senza che noi altri il sapessimo, che quelli, che andarono a pigliar l'informazione, di cotal maniera la ritrovarono, che scrissero al Senato quello che bastevole fu per liberarci non solo da ogni sospetto, ma per tenere intiero il credito della virt e della verit, della quale la Compagnia fa professione. E questo fu in gran parte cagione, che si prendesse quella risoluzione che si prese; e che si comandasse, che ne fosse dato il possesso. E per tornare all'anno 1542, di cui si cominciato a trattare, in questo medesimo tempo entrarono i nostri in Fiandra, non tanto per volont loro, quanto per una necessit che loro avvenne. Perciocch essendosi repentinamente accesa la guerra tra l'Imperadore Carlo Quinto e il Re Francesco, furono scacciati di Francia tutti gli spagnuoli e fiamminghi, che si trovavano in essa. Erano in quel tempo in Parigi quindici o sedici della Compagnia, parte spagnuoli e parte italiani: de' quali, per osservare gli editti reali, restandosene in Parigi quelli d'Italia, gli spagnoli si deliberarono di passarsene in Fiandra, per essere la pi vicina e pi sicura provincia dell'imperatore; conducendo per Superiore il Padre Girolamo Domenech, per proseguire nell'Universit di Lovanio i loro studi. Fu tanto il frutto che, con l'esempio de' nostri e con i sermoni in lingua latina del Padre Francesco di Strada, si fece in quella Universit, che molti scolari scelti, giovani ed uomini maturi, segnalati per dottrina ed autorit, si accostarono all'istituto nostro ed entrarono nella Compagnia; i quali molto pi in essa si confermarono e stabilirono con i consigli del Padre Maestro Fabro, il quale essendosi partito di Spagna per lAlemagna alta, se n'era venuto alla bassa: e questo fu il primo principio, donde negli Stati di Fiandra si venne a fondare e stendere la Compagnia.

_______________CAPO VII.Come il Papa di nuovo conferm la Compagnia, e le diede facolt di poter ricevere tutti quelli che vi volessero entrare.Vedendo adunque Ignazio, che non solamente s'inchinavano ad entrare nella Compagnia giovani ingegnosi e di grande espettazione, ma uomini ancora eruditi e gravi, i quali offerivano fondazioni di collegi; e che i suoi, dovunque passavano, facevano gran frutto; e che non si potevano, per la proibizione del Sommo Pontefice, far Professi nella Compagnia tutti quelli che Dio nostro Signore ad essa chiamava, procur con ogni diligenza e supplic Sua Santit, che le piacesse di confermare di nuovo la Compagnia, e di estendere ed ampliare quel breve numero che limitato aveva nel principio della sua approvazione, e che aprisse la porta a tutti quelli che ad essa da Dio fossero chiamati. Il che come disopra si detto, fu fatto dal Pontefice molto volentieri l'anno 1543 ai 14 del mese di marzo, mosso dal copiosissimo frutto che facevano i nostri Padri con la vita e dottrina loro nella Chiesa di Dio; sperando anco, che maggior essere dovesse nell'avvenire. Da questo tempo poi cominci la nostra religione ad andare ciaschedun giorno via pi crescendo con aumento notabile: e gi nella citt di Parma era cominciato a crescere il grano che dai padri Fabro e Lainez era stato seminato; e molti sacerdoti della medesima citt, i quali erano stati loro discepoli nell'imitazione e nel desiderio compagni, facevano ufficio d'accrescere e coltivare quello che quei Padri avevano piantato. Per il che la piet e la devozione di quella citt andava aumentandosi ogni giorno di bene in meglio. Ma l'inimico che mai non dorme, per arrecarci quanto egli pu ogni travagliosa molestia, cerc di seminare sopra questa buona semente la sua zizania col mezzo di un predicatore eretico, il quale dopo essersi affaticato in dire fin dal pulpito molte bestemmie ed eresie con perversa intenzione di nuocere, vedendo che la vita e dottrina di quei sacerdoti, che io poco fa ho nominati, gl'impediva i suoi mali disegni, mosse contra essi un falso testimonio, pretendendo per questa via di levar loro il credito e la riputazione: e cos, senza per alcuna colpa loro, patirono una grande persecuzione. Chiamavano questi sacerdoti i Contemplativi perch attendevano all'orazione e meditazione: e quantunque essi non fossero della Compagnia, ma solo amici ed imitatori della dottrina e virt sua, in noi altri nondimeno si trasferiva la cosa, come loro maestri, o almeno come partecipi di tal fatto. Procur Ignazio, che il Sommo Pontefice fin dai primi principii sapesse tutto quello che in Parma passava; e sua Santit sdegnala gravemente, com'era giusto, del caso; considerando i danni che alcune citt d'Italia avrebbono potuto ricevere, se il veleno delleresie, come si temeva, fosse andato serpendo, institu una congregazione ed un tribunale di sei Cardinali, eletti fra tutto il sacro Collegio, i quali con somma potest fossero Inquisitori contra gli eretici e stessero vigilanti in iscoprire ed estirpare gl'inimici della nostra santa fede cattolica. E fu invenzione celeste: perciocch questo nuovo tribunale non solamente stato utile e profittevole a Roma, ma e vita e salute a tutta l'Italia ha recato. Procur parimente Ignazio con tutte le sue forze di far s, che si esaminasse, si vedesse in giudizio, e si facesse chiaro e palese, quello che si diceva contra quei sacerdoti di Parma: acciocch, passandosi la cosa sotto silenzio, non ne risultasse alcuna nota d'infamia all'onesta vita di essi ed al buon nome della Compagnia. E bench avesse Ignazio molti che gli contraddicessero e si opponessero, ottenne nondimeno l'intento suo:

laonde per pubblica sentenza di Lodovico Milanese, Protonotario e Vicelegato Apostolico, furono liberati per innocenti e giudicati lontani da ogni sospetto ed infamia 37. _________________CAPO VIII.Del Collegio di Alcal.Uno di quelli che nel
Capitolo quinto di questo libro dicemmo essere stato mandato fin da Roma alla fondazione del collegio di Coimbra l'anno 1541, fu Francesco di Villanova, il quale essendo caduto infermo pei molti disagi del lungo cammino, e ritrovandosi con poca sanit in Portogallo, per consiglio de' medici e per obbedienza de' suoi Superiori, se n'and in Alcal, per vedere se l'aere nativo gli fosse pi giovevole; ove ritrova dosi stare meglio, per ordine del P. Ignazio vi si ferm: e bench uomo gi maturo, cominci a studiare grammatica e ad imparare con ogni diligenza le declinazioni, le coniugazioni e gli altri tanto insipidi principii fanciulleschi per pura obbedienza. Consum in questo travaglio due anni

in somma povert, sofferenza e dispregio di tutte le cose del mondo; ma non con minor frutto e meraviglia di quelli che lo conoscevano e che seco trattavano. Perciocch essendo egli uomo senza lettere, di bassa condizione, di niun nome e senza alcun favore umano, in cotal modo per seppe acquistarsi la stima de' pi gravi e pi dotti uomini di quell'Universit, che meravigliati dello spirito e della prudenza che in lui scorgevano, ricorrevano a lui nelle loro dubitazioni, lo tenevano per maestro della lor vita e per guida de' loro desideri. E maggiore autorit gli prestava appresso ai buoni l'opinione che si aveva della virt sua, che non gli levava il mancamento conosciuto della dottrina. Si unirono poi a lui altri tre compagni, con l'esempio de' quali si mossero alcuni studenti a richiedere d'essere ammessi nella Compagnia; i quali ricevuti in essa sofferirono nel principio gravi molestie e travagli: perciocch molti con la novit si alterarono, e vie pi con un falso testimonio che loro si oppose. Ma da questo sospetto, intesa subito la verit, furono liberati i nostri con pubblica sentenza del maestro Vela, ch'era allora Rettore di quell'Universit. Ed il collegio d'Alcal, essendo aiutato da Dio con la sua grazia e da molte persone col loro favore e con molta liberalit, e principalmente dal doltor Vergara, Canonico della chiesa cattedrale di Cuenca, famoso teologo e persona di perfette qualit, venuto di maniera crescendo, che oggid lo teniamo per uno de' migliori collegi della Compagnia, cos pel numero degli studenti, come altres pel frutto che si vede in esso. Sarebbe cosa lunga e lontana dal mio proposito il volere ora raccontare quanti giovani eccellenti dingegno e di grande espettazione in lettere e in virt, e quante persone segnalate in sapienza e prudenza cristiana siano entrate per la porta di quel collegio alla nostra Compagnia; di maniera che pare a me, che il collegio dAlcal sia stato il principale seminario ch'ella abbia avuto, e come fonte e principio per fondarla ed estenderla nelle province della Spagna. ________________CAPO IX.Delle opere pie che Ignazio fece fondare in Roma.Aveva Ignazio non solamente pensiero delle cose
domestiche, familiari e che spettavano al ben essere ed al governo della Compagnia; ma si prendeva pur anche cura del bene della gente di fuori. E con questa sollecitudine procur, che dalla citt di Roma si sradicassero molti vizi, i quali gi, per l'inveterato costume, vizi non erano riputati: e fece s, che s'instituissero molte opere di gran servigio di Dio nostro Signore e di spirituale beneficio delle anime. La prima fu, che si ponesse in uso, si rinnovasse e riacquistasse la sua pristina forza quella cos salutare e necessaria Decretale d'Innocenzo III nel Titolo De Poenitentiis et

Remissionibus, che comincia, Cum infirmitas corporalis, nella quale si comanda, che i medici non facciano l'ufficio loro di curare il corpo dell'infermo, se prima l'anima, con il santo Sacramento della penitenza e confessione, non curata; se bene,

acciocch pi facilmente quest'ordine si accettasse, procur Ignazio, che con una soave moderazione il rigore di questo Decreto fosse mitigato in cotal modo: che il medico visitare possa gl'infermi una e due volte, ma non la terza, se non saranno confessati 38. Il quale Decreto con questa medesima moderazione la Santit di Pio V lasci perpetuamente fermo e stabilito sotto gravi pene in un Motu proprio, che fece sopra di questo. Essendovi parimente in Roma gran numero di Giudei, non vi aveva alcun luogo, ove ricevere quelli i quali, per misericordia di Dio, avendo deposto il velo dell'infedelt, si convertivano all'Evangelio di Ges Cristo: n meno vi erano maestri segnalati, i quali insegnassero ed instituissero nella fede coloro che cercavano di ridursi nel grembo di santa Chiesa: non vi era alcuna entrata, o cosa certa e di fermo per sostentare la povert di questi, e soccorrere alle loro necessit. Laonde perch tanto frutto non si perdesse, non dubit Ignazio con tutta la strettezza e povert della nostra casa, di ricettare in essa per alcuni anni quelli che convertire si volevano, sostentarli, ammaestrarli e porli dipoi ad alcun esercizio; onde, come cristiani, fra cristiani vivessero e con minore travaglio passassero la vita loro. E quindi ne nacque, che molti Giudei, mossi dalla carit de' nostri e dal buon esempio d'alcuni di loro che avevano ricevuto il Battesimo, si convertirono alla nostra fede; fra i quali furono alcuni principali, la cui conversione importava molto per gli altri. Perch questi con grande efficacia e chiarezza convincevano gli altri Giudei, mostrando loro per le Scritture, che il promesso e vero Messia Ges Cristo Signor nostro, Ma acciocch questo bene cos segnalalo non avesse a durar poco tempo, n si finisse insieme con i giorni di lui, con ogni pensiero e sollecita industria procur, che in Roma si facesse una casa di Catecumeni, nella quale si ricevessero e si sostentassero quelli che chiedevano il santo Battesimo, e che venivano in cognizione della verit: il che si effettu; e se bene dovesse egli soffrire di grandi travagli, nondimeno ebbe quell'opera la sua perfezione. E perch non avessero questi uomini alcun impedimento, anzi fosse loro pi facile e piano il cammino per convertirsi alla nostra santa religione, ottenne Ignazio da papa Paolo III, che i Giudei, i quali per l'avvenire si fossero convertiti, non perdessero, come prima si usava, cosa alcuna delle facolt loro, n facessero alcuna perdita temporale per lo spirituale ed inestimabile guadagno, che facevano in conoscere ed adorare Cristo Ges Redentore nostro, da cui gli eterni beni avevano da sperare: ed ottenne ancora, che i figliuoli de' Giudei, i quali contra la volont de' lor padri venivano alla fede, di tutto il patrimonio fossero eredi, come sarebbero stati se non si fossero convertiti; e che i beni che per usura avessero guadagnati, dei quali non si sapesse qual fosse il padrone, poich pu la Chiesa e suole impiegare questi tali beni in usi pii ed in beneficio de' poveri, si applicassero, in favore del santo Battesimo, a quei medesimi che si convertivano. Al che con gran prudenza aggiunsero i Sommi Pontefici Giulio III e Paolo IV e comandarono, che tutte le Sinagoghe de' Giudei, che sono in Italia, pagassero ciaschedun anno certa somma di denari per la sostentazione di questa Casa de' Catecumeni di Roma. E cos per industria d'Ignazio molte altre cose si fecero, non tanto per allettare e tirare quest'infedeli alla nostra santa fede, quanto per conservarli in essa. Con le quali cose a questa gente si aperta un ampia porta per la loro salute, e molti di quelli che restano, come dice l'Apostolo, nelle reliquie d'Israele, si sono

ridotti al conoscimento di Ges Cristo Redentore nostro. Vi era anca in Roma gran copia di pubbliche meretrici, ed ardeva la citt in questo fuoco infernale: perciocch in quel tempo non era ivi tanto raffrenata la libert della vita, come dipoi hanno molto represso i Sommi Pontefici con la severit degli ordini loro; ed ora molto mutata e riformata quella santa citt. Non vi mancavano dunque alcune di quelle povere donne, le quali inspirate da Dio desideravano di uscire di quella vita brutta e miserabile, e ridursi al salutifero porto di penitenza. Vi ha in Roma un monastero col titolo di S. Maria Maddalena, che comunemente si dice delle Convertite, per ricevere quelle che in questo modo si rivolgono a Dio nostro Signore: ma non vi si ammettono per se non quelle che vogliono ivi rinchiudersi per sempre, e dedicandosi alla Religione, consumar tutti i giorni della lor vita in opere degne di penitenza: il qual luogo, quantunque sia molto buono, non pu per esser tanto universale, n estendersi, come sarebbe di bisogno, a tante di queste donne meschine. Perch primieramente molte di esse, per essere maritate, entrare non possono nella Religione e cos sono escluse da questo rifugio; alle quali per necessario di dare alcun luogo, ove si riducano, fino che si tratti di riconciliarle coi loro mariti; acciocch cercando la castit e purit, non cadano in pericolo della vita. Vi sono parimente alcune altre, che quantunque abbiano desiderio di liberarsi dallo stato cattivo, in cui si ritrovano, non per questo sentono in se stesse forze possenti per seguire cotanta perfezione; perch non tutti quelli, che seco stessi deliberano di allontanarsi dal male, si ritrovano subito con animo pronto per seguire il meglio. A queste medesimamente, pei suoi Statuti, si nega l'entrare nel monastero delle Convertite. Laonde Ignazio considerando tutte queste difficolt, e bramando di fare beneficio a tutte queste sorti di persone, di modo che non vi fosse alcuna di esse, che con iscusa di non aver che mangiare, restasse d'appartarsi da vita cos abominevole e viziosa, procur, che s'instituisse una nuova casa, in cui tutte senza alcuna eccezione potessero essere ricevute. Comunicando dunque questo suo disegno e quest'opera cos caritativa e profittevole con molti signori e signore principali, acciocch si potesse con l'autorit e limosine loro effettuare, tutti si offerirono daiutarla, ciascheduno secondo il suo potere, se si fosse ritrovalo chi come autore e principale volesse pigliare carico di essa: perch ciascuno di loro temeva di pigliare sopra di s tutto il peso di quest'opera, volendo pi tosto esserne partecipe, che autore. Per questa cagione vedendo Ignazio, che niuno cominciava e che passavano i giorni ed i mesi senza porsi ad effetto quello che egli tanto desiderava e risultava in cotanto servigio di Dio nostro Signore, per levare al demonio l'occasione di pi differirla, si determin egli d'incominciarla, industriosamente facendo quello che ora dir. Pietro Codacio Procuratore della nostra casa cavava in quel tempo da una piazza, che avanti alla chiesa nostra in Roma, alcune pietre grandi delle ruine ed edifizi di quell'antica citt. Disse dunque Ignazio al Procuratore: Vendete queste pietre che avete cavato, e fate ch'io di esse ne abbia fino a cento scudi: egli lo fece, e questo era in tempo ch'eravamo in assai stretta necessit di denari, e diede i cento scudi ad Ignazio, il quale subito li offer per quella santa opera, dicendo: Se non vi ha alcuno che voglia essere il primo, seguitino me, che il primo sar; e cos fu seguito da molti, dandosi principio e fine a quella grande opera nella chiesa di S. Marta, ove s'institu una Confraternita o Compagnia che si chiama

di Santa Maria di Grazia, che ha cura di fare, che quest'opera vada avanti e d'accettare, difendere e provvedere a simili donne. Ed era tanta la carit ed il zelo d'Ignazio di salvare le anime di queste poverelle, che n la vecchiezza, n lufficio che aveva di Preposito Generale raffrenare lo potevano, s che egli medesimo in persona non andasse a levarle di casa ed accompagnarle per mezzo alla citt di Roma, quando si dipartivano dalla loro mala vita, collocandole nel monastero di S. Marta, ovvero in casa d'alcuna signora onesta ed onorata, ove in ogni virt fossero instituite. In quest'opera di tanta carit molto particolarmente si dimostr e risplend la bont e il santo zelo di D. Leonora Osoria moglie di D. Giovanni de Vega, ch'era allora Ambasciadore dellimperatore Carlo Quinto in Roma. Solevano ad Ignazio dire alcuni, perch perdeva il suo tempo e travagliava in procurare il rimedio di queste donne, le quali avendo fallo il callo ne' vizi, facilmente ad essi ritornano; ai quali egli rispondeva: Io non tengo per perduta questa fatica; anzi vi dico, che se io potessi con tutti i travagli o stenti della vita mia operare, che alcuna di queste donne volesse una notte sola restare di peccare; io terrei il tutto bene impiegato, pur che per quel cos breve spazio di tempo non fosse offesa l'infinita maest del mio Creatore e Signore; posto pur caso che sapessi di certo, che subito avesse a ritornare al brutto e miserabile suo costume di prima. Non meno si affatic, perch si soccorresse alla necessit de' poveri orfani; e cos per consiglio ed industria di lui si fecero due case in Roma, l'una per i fanciulli e l'altra per le fanciulle, che si ritrovano senza padre e madre, e che restano abbandonati e senza alcun soccorso umano, acciocch fosse ivi la castit loro assicurata, ed avessero il mantenimento necessario pei corpi, e la dottrina conveniente per le anime; imparando insieme gli esercizi, ne' quali dopo di essere cresciuti, con essi al pubblico servissero. Trov parimente modo per soccorrere a molte zitelle, ed allontanare il pericolo, in cui suole incorrere la pudicizia delle figliuole o per la negligenza e poca bont delle madri, ovvero per la necessit o povert, nella quale si ritrovano. E per questo effetto si fond in Roma quel lodevole e segnalato monastero di S. Caterina, che comunemente chiamano de' Funari: nel quale, come in luogo sacro, si raccolgono le donzelle che si vedono stare in pericolo di perdersi. Queste ed altre cose dunque simili alle narrate furono fatte in Roma da Ignazio, tutto ordinate per il bene de' prossimi e per la salute dell'anime. Teneva quest'ordine per porle ad effetto: comunicava la sua determinazione con uomini gravi, prudenti, amici di ogni bont, e particolarmente alle opere di carit inclinati; fra i quali quelli che maggiormente dimostrarono la loro piet, furono Giacomo Crescenzio cavaliere Romano, Francesco Vannuccio limosiniere maggiore di Papa Paolo Terzo, e Lorenzo da Castello, de' quali molto si serviva Ignazio, non solo per sentire il consiglio loro, ma per aiutarsi del favore e della diligenza di essi. Ventilate fra loro e spianate le difficolt dell'opera che volevano fare, se andavano a rappresentarla ad alcuni uomini principali, ricchi e divoti; acciocch con l'autorit e le limosine loro, le dessero principio e la sostentassero: e la prima cosa era il fare elezione di alcun Cardinale di Santa Chiesa, il quale paresse loro a pi proposito, che fosse protettore di cotale opera: dipoi facevano una confraternita, scrivevano gli statuti, ponevano le leggi e davano l'ordine, con che ella si aveva da governare e da mantenere in piedi. Fatto che aveva Ignazio tutto questo, vedendo che gi per se stessa poteva andare avanti e che

senza di lui si poteva conservare, se ne usciva fuori, dando ad un altro il luogo suo; e cos a poco a poco si applicava subito a dare principio ad altre opere simili: perch tanta era la carit sua, che non poteva mai star ozioso, anzi andava sempre trattando cose nuove, le quali apportassero utilit e beneficio agli uomini per la salute delle anime loro. __________________CAPO X.Come si fondarono nuovi Collegi in diverse parti.Grande era lo zelo e la sollecitudine, con la quale Ignazio in Roma intorno a queste cose s'impiegava; essendo sempre intento con la mente e con gli occhi in procurar quello ch'era di maggior gloria di Dio; ma molto maggior era l'amore, con cui Iddio Signor nostro questo suo affetto di servirlo, che gi da lui medesimo gli era stato concesso contraccambiava, aumentando la Compagnia e movendo i cuori delle genti, perch da molte parti i nostri fossero chiamati, e si procurasse di ritenerli, e si dessero loro case e tutte le altre cose necessarie. E se bene essendo cos pochi come erano allora, non si poteva soddisfare a tutti quelli che li richiedevano; procurava nondimeno Ignazio di compartire i figliuoli ch'aveva, e distribuirli per quei luoghi, ne' quali, considerate le circostanze, si sperava, che ne fosse per risultare maggior frutto nel divino servigio. Per questa cagione quando il Padre Girolamo Domenech, che molto prima si era dedicato alla Compagnia, offerta ogni sua facolt, perch di essa ne fosse fondato un collegio in Valenza patria sua; Ignazio considerata la grandezza e la nobilt di quella citt, la frequenza dello studio, la moltitudine delle castella che sono in quei contorni, perch alcun buon fine ne succedesse per utilit dell'anime, invi a Valenza il Padre Giacomo Mirone, il quale di Parigi era venuto a Coimbra l'anno 1541 ed aveva avuto alcun tempo carico di quel collegio; e mand poi alcuni altri lanno 1544, perch dessero principio al collegio di Valenza, il che fu da loro con ogni diligenza e fedelt eseguito; e l'anno 1545, per Bolle Apostoliche gli fu data una certa rendita ecclesiastica, con la quale maggiormente si stabil; e dindi in poi quel collegio fiorito ogni giorno via pi, cos per l'entrate di molti studenti. che ivi nella Compagnia sono entrati, come per il gran frutto che del continuo si fa per grazia di Dio nostro Signore nelle persone di quella citt 39. In questo medesimo tempo i Padri Pietro Fabro ed Antonio de Araoz vennero di Portogallo in Castiglia, mandati dal re D. Giovanni il Terzo con la Principessa D. Maria sua figliuola, che veniva a maritarsi con Filippo Principe di Spagna. Arrivati a Vagliadolid, ove allora si ritrovava la Corte, furono essi le prime pietre poste da Dio nostro Signore per l'edificio del collegio di quella citt. Il quale, quantunque in quei primi esordi fosse picciolo ed angusto, crebbe per tanto di poi, che cos per la frequenza e moltitudine della gente, come pel molto frutto, ch'ivi si fa, stato di bisogno aggiungere al collegio un'altra casa di Professi. Si diede parimente allora principio al collegio di Gandia, il quale edific fin dai primi fondamenti D. Francesco Borgia Duca di quella citt in un ottimo sito; e gli diede fine con singolar divozione e liberalit, dotandolo di buona entrata. Al qual collegio l'anno 1545 fin da Roma mand Ignazio cinque de' nostri, i quali con gli altri accompagnatisi in Ispagna, furono i primi che vi dimorassero. _________________CAPO XI.Della morte del P. Pietro Fabro. Il principale instrumento che prese Iddio per la fondazione del collegio di Gandia col Duca, fu il Padre Maestro Pietro Fabro, il quale in Roma, il primo d'Agosto dell'anno 1546 pass da questa fragile e caduca alla vita immortale.

Nacque quest'uomo mirabile in un borgo del Ducato di Savoia, chiamato Villareto, nella Diocesi di Genevra, l'anno 1506. I parenti di lui erano lavoratori e di bassa condizione, ma persone molto cristiane e divote. Fu allevato nella propria casa di tal maniera, che fin dalla prima fanciullezza sua dava chiari indizi dell'elezione, con la quale aveva ad esser eletto da Dio per una delle principali colonne, sopra cui voleva egli fondare questa santa Religione. Perciocch a sette anni cominci a sentire entro se stesso pungenti stimoli e vivi desiderii d'impiegarsi in ogni virt: e arrivato ai dodici anni, fu il suo cuore cos infiammato nell'amore della castit e purit, che fece voto di sempre conservarla intatta ed illesa. Ebbe cos grande inclinazione allo studio delle lettere, che per le importune sue preghiere, fu forzato il povero padre di levarlo dall'ufficio pastorale e dall'andar dietro il gregge, e mandarlo alla scuola, dove diede segni d'eccellente ingegno. Ed avendo nelle prime lettere fatto frutto mezzanamente, ne' diciannove anni dell'et sua fu mandato a Parigi, dove fin il corso della filosofia, acquistando onoratamente il grado di maestro in essa. Era in quel tempo molto perturbato dagli scrupoli e in tal modo da essi afflitto, che fra se stesso trattava di andare in un deserto e ivi sostentarsi dell'erbe e delle radici del campo, ovvero eleggersi un'altra sorte di vita pi aspra per levar da s quel tormento ed afflizione di spirito che pativa. Ma ritrovandosi in questi termini, senza poter avere alcun riposo, tratt, come abbiamo detto di sopra, di queste cose sue con Ignazio, con la cui santa conversazione e salutiferi consigli rest del tutto libero e pacato nell'animo. E fu il primo dei compagni che si determin di seguirlo, ed imitarlo in estrema povert e con ogni perfezione. Dato ch'egli ebbe fine agli studi della teologia, venne con gli altri compagni in Italia, come fratello maggiore e guida di tutti essi. Da Roma lo mand il Sommo Pontefice a Parma, e d'indi in Alemagna, e dipoi in Ispagna col dottor Ortiz; donde un'altra volta in Alemagna fece ritorno con segnalatissimo frutto. Perciocch con la sua vita esemplare, con l'autorit dell'eccellente dottrina sua, e con la gravit e prudenza che usava nel conversare, si guadagn gli animi e le volont dei Principi cattolici di quella nazione e represse il furor degli eretici, e col buon odore, che per tutte le parti and spargendo della nostra Compagnia, le aperse la porta, perch entrasse in quelle province, le quali in altro tempo furono tanto religiose , quanto al presente sono miseramente infette, e di aiuto e di soccorso bisognoso. Semin il Padre Fabro in quel campo con amare lacrime il frutto che ora con dolce allegrezza i nostri raccolgono. Moveva tanto la vita e l'esempio di questo buon Padre, che per rispetto suo i Monaci Certosini, che si erano ridotti a Capitolo nella citt di Colonia, vollero avere una santa fratellanza e stretto legame con la nostra Compagnia; laonde ci fecero partecipi di tutte le buone opere e di tutti i meriti loro. Se ne and dipoi il Padre Fabro in Portogallo, in Castiglia e per tutta la Spagna: nei quali regni fu da tutti quelli, che seco trallarono, amato e riverito singolarmente. Partendosi finalmente di Spagna per comandamento del Sommo Pontefice che voleva mandarlo nel sacro Concilio di Trento; entrando in Roma nel maggior caldo dellestate, cadde infermo d'una cotal malattia che in pochi giorni gli tolse la vita. Ben supplirono, al non ritrovarsi il Pietro Fabro al Concilio, i Padri Lainez e Salmerone, i quali gi erano entrati in esso come teologi della Sede Apostolica. Fu il Padre Fabro uomo di gran virt e dottrina: ebbe meraviglioso dono di conoscimento e discrezione di spirito e

grazia di sanar gl'infermi: si esercit molto nella continua orazione e contemplazione, e fu di tale astinenza che alcuna volta stette sei giorni interi senza mangiar boccone o bever goccia. Era ubbidientissimo e gran dispregiatore di se stesso. Ebbe sempre gran zelo della Chiesa di Dio e della salute dei prossimi. Nel ragionare delle cose divine pareva, che nella lingua avesse le chiavi dei cuori altrui, tanto li moveva e ad esse gli affezionava; e non era minore la riverenza, che tutti gli portavano, per la soave gravit e soda virt, che nelle sue parole risplendeva, di quel che fosse l'amore, col quale a s li tirava. Comunicavaglisi Iddio nostro Signore, e rendeva gioconda lanima sua con meravigliose chiarezze e divine rivelazioni; come si vede, parte in un libro che egli scrisse, come memoriale di quello che gli succedeva, ripieno di spirito e di divozione; parte in una lettera che mand fin d'Alemagna al padre Lainez l'anno 1542. Scriveva il padre Fabro al Padre Lainez con una sincerit e caritatevole fratellanza, come se avesse ragionato con listessa anima sua: perch grandissima era la somiglianza dello spirito e dello zelo tra questi due Padri, e molto intrinseca fra di essi, ed isceverata l'unione dell'amore e della carit. E perch ci pi chiaramente apparisca, voglio por qui di parola in parola un capitolo cavato da quella lettera, che mand al Padre Lainez , nella quale dandogli conto di se stesso, dice queste formate parole in lingua spagnola, se bene egli era savoiano. Piacesse alla Madre di Dio nostro Signore, che io potessi esplicarvi quali e quanti beni, dopo che io vi lasciai in Piacenza, fino a questo giorno siano entrati nell'anima mia, ed in essa rimasi; cos in conoscere, come in sentire quelle cose, che a Dio nostro Signore, ed alla sua SS. Madre si appartengono, ai suoi santi Angeli, ai Santi del Cielo, e alle anime del Purgatorio! Che dir poi delle cose mie interiori? delle elevazioni e depressioni mie, dell'entrare in me stesso, e dell'uscir da me stesso: in che modo io abbia imparato di mondare il corpo, lanima e lo spirito mio, di purificare il mio cuore, e rimossi gl'impedimenti, prepararlo in guisa, che riceva, ritenga e conservi i liquori divini, chiedendo per tutto questo grazie diverse, cercando ed importunando per ottenerle? In quanto poi a quello che tocca al prossimo, non meno avrei a dir molte cose, nelle quali il mio Signore Iddio mi ha dimostralo i modi e le vie, mi ha palesate le verit e le vite altrui per conoscerle; perch dei beni io mi rallegri, e compatisca per Cristo alle avversit; questo ami, quello sopporti, altri sofferisca, ad altri abbia compassione: per questo renda grazia, e chiegga perdono e remissione per quello; vada cercando e ritrovi scuse; ed alla presenza di Dio e de' Santi suoi parli bene di esso e per esso. In somma, io vi dico, Fratel mio Maestro Lainez, che mai n con fatti, n con parole potr adeguare, ma n anco col pensiero mi fia possibile comprendere i benefici, che Dio N. S. mi ha fatti, mi fa ed prontissimo a farmi per l'avvenire; alligando e fasciando tutte le mie contrizioni, sanando tutte le mie infermit, e mostrandosi cos propizio in cancellare tutte le iniquit mie. Ad esso ne sia attribuita la gloria. Amen. Egli sia benedetto in ogni luogo e da tutte le creature. Amen. Egli sia sempre onorato in se medesimo, nella sua Madre, negli Angeli suoi, ne' suoi Santi e Sante. Amen. Egli sia magnificato e sopra ogni cosa esaltato da tutte le creature sue. Amen. Io dico Amen dal canto mio, e vi priego, che voi lo lodiate per questo vostro fratello, ch'io cos lo fo per tutta la Compagnia. Fin qui sono parole del P. Fabro. E ad alcuni de' nostri Fratelli, che molto rincrescimento dimostrarono per la morte d'un Padre di

tanto merito, che con la sua vita aveva fatto tanti benefici alla Compagnia, e che pareva, che di molto maggiori n'avrebbe potuto fare, disse Ignazio: Non abbiamo da prenderci fastidio per la morte del Padre Fabro; perch Dio nostro Signore ci ricompenser questa perdita e dar alla Compagnia un altro Fabro, che l'aumenter ed illustrer molto pi di quello che si abbia fatto quegli, che ora ne ha tolto: il che cos fu, come ci disse: perch D. Francesco Borgia Duca di Gandia, non contento di averci edificato e dotato il collegio, determin di offerire se medesimo, come pietra viva di questo edificio spirituale, che Cristo andava innalzando della Compagnia. E cos scrisse ad Ignazio, dicendogli, che si determinava di segregarsi dal mondo e di seguir nudo nella sua Compagnia il nudo Ges: ed egli fu il primo, che dopo la morte del Padre Fabro fece nella Compagnia professione; acciocch si criticasse quello, che aveva detto Ignazio, e si conoscesse, che Dio l'avea posto in luogo di lui. Fece il Duca la sua professione l'anno 1547, riserbandosi, con licenza per del Papa, l'amministrazione dello Stato suo per lo spazio di alcuni pochi anni, per pagare i suoi debiti, e dar ordine alla casa ed alla famiglia sua ed insieme godere il frutto della sua divozione e dipoi far subito sacrificio di se medesimo. Quanto si sia accresciuta per la divina bont la Compagnia, pigliamo per instrumento delle sue operazioni la virt ed il sangue illustre di questo servo, il mondo tutto lo sa, e la stessa Compagnia lo riconosce; poich vediamo da lui essere stati fondati molti e principalissimi collegi nella Spagna; e che dal suo esempio mossi molti giovani di acutissimo ingegno, molti di et matura e di somma prudenza, e molti personaggi per sangue e per dottrina famosi ed illustri, sono entrati nella Compagnia, ed ivi hanno servito e servono il Signore de' signori: e tutto ci abbiamo noi veduto essersi fatto per lui, prima anco che fosse Proposito Generale. _________________CAPO XII.Delle persecuzioni che si elevarono in Roma contro Ignazio, per le buone opere che ivi fece. Pareva, che con lenti cos prosperi la nave della Compagnia fosse sicura, e che non avesse onde temere: ma nel tempo pi propizio e favorevole sorso una terribile e crudele fortuna procurata dal demonio per mezzo de' suoi ministri. Se non che avendo Iddio nostro Signore per suo nocchiero e guida, tuttoch patisse burrasca, arriv nondimeno a salvamento in porto. Aveva in Roma tolta uno la moglie ad un altro; la quale riconoscendo l'errore suo desider di levarsi dall'adulterio ed entrare nel monastero di S. Marta, che poco avanti, come abbiamo detto, si era fondato. Venuta la cosa a notizia d'Ignazio, aiuto la buona intenzione di costei, e la pose nel monastero: del che l'amico che la teneva, ebbe cos gran collera e sdegno, che essendo, come egli era, di natura collerico ed ardito, divenne furioso per la passione del cieco amore, che follemente lo tormentava, e cominci a guisa di forsennato la notte a lanciare pietre nel detto monastero, ed a disonorare, ed infamare la nostra Compagnia, pubblicando molte cose contro di essa, le quali non solo erano false, ma cos enormi, che per la loro bruttezza non si possono onestamente raccontare. E giunse tanto avanti la sfacciatezza di costui, che os di por macchia in Ignazio, di perseguitarlo e dir molto male di lui. E quando s'incontrava egli, o alcuno de' suoi seguaci ne' nostri, diceva loro in faccia tali parole, e cotali villanie, senz'alcuna vergogna, che udir non si potevano, se non con molto rossore ed abominazione: n contento di questo, confidato nell'autorit, e favor grande ch'aveva, form libelli infamatori, e gli and

divulgando, ne' quali di tante malvagit, e di cos abominevoli sacrilegi ci accusava che a pena osavano i nostri d'uscir di casa, e trattar con gli uomini della salute loro. Perciocch questi poverelli, e senz'anima, quanti incontravano de' nostri, e li ingiuriavano, ovvero li maledicevano: ed era questa infamia sparsa non solo fra la gente bassa o volgare, ma venuta anco alle orecchie de' Principi e de' Cardinali della Corte Romana e del medesimo Papa Paolo Terzo. Per resistere dunque a questa mala fama, perch (come con la dissimulazione e con la pazienza era andata crescendo) non avesse presa radice, e con danno del servigio di N. S. e del bene delle anime non si fosse rinforzata; supplic Ignazio Sua Santit, che questo negozio commettesse a' migliori giudici, e di maggior integrit che vi fossero; e che a Sua Beatitudine piacesse di comandar loro, che particolarmente prendessero informazione e facessero inquisizione intorno ai misfatti , de' quali quell'uomo n'aveva infamati. Commise il Papa la causa al Governatore di Roma, Francesco Micheli, ed a Filippo Archinto suo Vicario Generale, i quali con grande accuratezza e diligenza andarono investigando e facendo inquisizione di tutto quello, ch'era stato detto e pubblicato. Finalmente l'anno 1546, agli 11 d'Agosto, pronunziarono la sentenza, per la quale avendo dichiarato che i nostri erano innocenti e liberi da ogni sorte d'infamia, ed onoratili con molte lodi; posero silenzio perpetuo all'accusatore e seminatore di quelle calunnie, ammonendolo sotto gravi pene, che da indi innanzi attendesse a' casi suoi, e che per l'avvenire da simili insulti si guardasse 40. E lo stesso Ignazio preg per lui, acciocch non gli fosse fatto alcun danno nella persona, n altro pi rigoroso castigo imposto. E con questa piacevolezza ed umanit si vinse: perciocch venne finalmente a riconoscersi ed a pentirsi, dopo che incominci a divenir fredda in lui quella cieca affezione di quel veemente ed acceso amore, e che fu risanato da quella misera infermit e frenesia: e fece cotal mutazione, che cominci ad amare e riverire il medico, che aveva prima cotanto, aborrito, ed a far tante e cos buone operazioni verso di coloro, i quali aveva prima mal trattati e perseguitati, che con la benevolenza presente ricompens molto bene la passata colpa, e l'odio con l'amore. Acquetata questa burrasca, un'altra non meno perigliosa se ne lev, per occasione della casa nuovamente fondata in Roma de' Catecumeni. Nacque la prima da un amore disonesto, e questa seconda da veemente ambizione; n suol essere questa passione, quando regna e prende forza in un uomo, meno cieca e pazza dell'amore. Aveva carico della casa de' Catecumeni un sacerdote secolare, il quale si diede ad intendere, che nel governo di essa Ignazio gli fosse contrario, e che si facesse maggiore stima di quelle cose, che parevano ad Ignazio, che del parere di lui. Entr a poco a poco in quella povera anima l'invidia e il dispiacere di questo fatto di tal maniera, che offuscato e reso cieco dall'odio e dal rancore, si determin di perseguitare Ignazio, e d'infamare la Compagnia. In un luogo diceva, che eravamo eretici, in un altro che rivelavamo le confessioni, ed altrove altre o diverse cose scandalose ed infami andava spargendo; e lo scopo di tutte queste sue zizzanie era, che Ignazio fosse nelle vive fiamme abbruciato: ma ardendo egli nel fuoco del divino Amore, non fece conto alcuno di quello che si dicesse ed operasse questuomo miserabile; anzi giudic essere meglio col silenzio vincerlo e superarlo, pregando Iddio per lui; il quale solito di risponder per i servi suoi, quando essi tacciono per amore di lui: e cos fece in questo caso; non lasciando invendicata e

senza castigo quesla calunnia e malvagit: perciocch, senza che Ignazio lo sapesse, si vennero a discoprire tali cose della vita di questo povero prete, le quali egli molti giorni artificiosamente aveva dissimulato e coperto, che per pubblica sentenza fu condannato in giudicio, e fu perpetuamente sospeso dall'ufficio sacerdotale, e privato di tutti i benefizi ed uffizi che teneva, e rinchiuso per tutto il tempo di sua vita in una prigione 41. ______________CAPO XIII.Come Ignazio liber la Compagnia dall'aver cura di Donne, che fossero sotto la sua ubbidienza. Quasi nel medesimo tempo Iddio liber la Compagnia da un'altra sorta di pericolo: perciocch alcune signore, avendo per una parte gran desiderio di servir a Dio N. S. in perfezione religiosa, e per l'altra di essere guidate e rette dalla Compagnia nostra, alla quale portavano particolare devozione; supplicarono il Papa, che desse loro licenza per vivere in Religione, e far professione sotto l'ubbidienza della Compagnia nostra: e cos l'ottennero e cominciarono a porla in opera. Fra le altre fu una matrona onestissima e virtuosissima nativa di Barcellona, chiamata Donna Elisabetta Roselli, dalla quale aveva ricevuto Ignazio in Parigi ed in Barcellona molti benefizi. Venne dunque questa signora a Roma con desiderio di rivederlo, e con determinazione di abbandonare tutte le cose del mondo, e porsi totalmente sotto l'ubbidienza di esso, per essere indirizzata e governata da lui. Desiderava grandemente anco Ignazio, essendo egli uomo grato e ricordevole de' benefici, di dare a questa signora soddisfazione, e consolarla per quel molto ch'ei le doveva: ma con tutto ci non pot mancare di farle gran resistenza; perciocch quantunque fosse il desiderio di essa e pio e santo, giudicava per, che non convenisse alla Compagnia aver carico di Donne, per essere cosa di grande impedimento e molto lontana dall'Instituto suo. E ben l'esperienza dimostr, che non si moveva ad essere di questo parere senza molta ragione e fondamento; perciocch cosa da stupire, quanta fosse l'occupazione ed il travaglio, che in quei pochi giorni, che tal cosa succedette, gli diede il governo di solo tre donne, le quali da Sua Santit ebbero cotal licenza 42: laonde subito fece avvertito il Sommo Pontefice del gran disturbo, che sarebbe stato alla Compagnia questo tal carico, se fosse perseverato; e supplic Sua Santit, che gli levasse da dosso questo presente peso, e liberasse la Compagnia dalle perpetue ansiet e dal pericolo, in cui per ci sarebbe stata; n permettesse, che i nostri, i quali hanno da occuparsi sempre in cose cos giovevoli, d'importanza e necessarie (poich vi erano altri, che a questo attender potevano) col pensiero di governare Donne fossero stranamente impacciati. Approv il Sommo Pontefice le ragioni d'Ignazio, e concedette alla Compagnia quello che supplicava; comandando, che si espedissero le Lettere apostoliche, per le quali per sempre sono i nostri eccettuati da questo carico di reggere e governare donne, che vogliano vivere in comune, o in qual si sia altra maniera, sotto l'ubbidienza della Compagnia. Furono queste Lettere apostoliche spedite a d 20 di Maggio l'anno 1547; n contento di questo Ignazio, per maggiormente assicurare questo punto tanto essenziale, e chiudere l'entrata a gli accidenti avvenire, e levare tutte l'occasioni alle importunit, che con la devozione e col buon zelo si sogliano offerire; ottenne l'anno 1549 da papa Paolo Terzo, che la Compagnia non sia obbligata a ricever carico di Monache, o daltre donne religiose, ancorch queste tali impetrassero Bolle apostoliche, se in dette Bolle del nostro Indulto ed Ordine non si

facesse espressa menzione: che queste sono appunto le medesime parole del privilegio nostro. E cos nelle Costituzioni, che lasci Ignazio scritte alla Compagnia, con gran prudenza leva a lei ogni pensiero d'avere a governare donne; il quale sebbene pu essere santo e lodevole, non si compatisce per con le nostre molte occupazioni, n tal ufficio cos abbandonato, che non vi sia nella Chiesa di Dio, chi in esso lodevolmente s'impieghi. A temperar poi l'amarezza, che poteva quindi procedere nell'anima della Roselli, a cui egli era s strettamente obbligato, volle Ignazio, prima di mostrare il Breve avuto dal Papa, scriverle la seguente lettera. Alla venerabile D. Isabella Roselli, madre e sorella in Cristo Signor nostro. Bench io brami da vero e cordialmente di fare il desiderio vostro, e, ritenendovi nella mia ubbidienza, indirizzarvi alla salute dell'anima vostra e alla perfezione; con tutto ci io non veggo, come possa questa cosa recare ad effetto. Imperciocch o mi mancano le forze per le continue indisposizioni del corpo, e non mi sopravanza tempo per le molte e gravi occupazioni, nelle quali mi trovo stretto ed avvolto; n posso io queste per verun conto intramettere, n trasandare senza recare danno all'anima mia e al servigio, che debbo il Cristo nostro Signore, e al Vicario di lui in terra. Oltre a ci la mia coscienza forte agitata e stimolata dal vedere, che tal cura particolare di donne, che con legame di voti vivano sotto l'obbedienza de' nostri, in niuna guisa si conf a questa minima Compagnia. Il qual mio sentimento con le ragioni di esso io ho esposto alcuni mesi addietro al Sommo Pontefice. Laonde io credo e giudico, che torner a maggior gloria di Dio che io mi sgravi, poich lubbidienza mel consente, di questo carico, a cui per ubbidienza io mi era sottoposto. Adunque da ora in avanti io pi non vi avr per figliuola spirituale, che viva sotto l'ubbidienza mia: ma siccome a buona e pietosa madre, quale vi siete sempre dimostrata, render ogni onore e servigio a maggior gloria di Dio Signore nostro; al cui onore unicamente riguardando, e avendo davanti, per quanto posso, la lode e il culto pi ampio della sempiterna bont sua, io lascio questo governo, e, salva lubbidienza, rassegno e abbandono voi in tutto al prudente giudizio e allubbidienza e al volere del ss. Papa, Signore nostro, pregando in tanto Iddio, che lanima vostra abbia pace in lui, autore di ogni consolazione e pace, e goda dellabbondanza della divina dolcezza e maggior gloria di lui. Di Roma il d 1 di Ottobre del 1546. 43 Fin qui il Santo: e in questa parte egli fu poi cos immutabile e delicato, che cominciandosi a fondare il collegio di Ferrara e dimandando il Duca di quella citt, che era principe cos potente, e da cui dipendeva tutta la fondazione, al nostro Padre, che desse licenza a'nostri, che per alcuni pochi giorni, prendessero cura d'un monastero molto religioso di monache che ivi aveva fondato la madre dello stesso Duca; con tutte le sue istanze non pot mai far s, ch'egli vi acconsentisse. Ed in Vagliadolid avendo i nostri, per pura importunit, e mossi dalle lacrime di certe monache, e dai prieghi di persone principali, e per ubbidienza de' Superiori della Compagnia di Spagna, che vinti da esse, loro il comandarono, preso carico di certe monache; subito che lo seppe Ignazio, comand loro, che desistessero: e cos fu fatto; perciocch di niun altra cosa aveva maggiore pensiero, che di conservare intero l'instituto della Compagnia e nel suo primo vigore: e che quelli, che servono in essa N. S., lo servissero in quello, che gli a grado d'essere da essi servito; e non in altre cose lontane dalla loro vocazione, nelle quali

non suole Iddio cos concorrere con la sua grazia, come nell'altre, per le quali a s gli chiama, e per cui di loro si compiace servirsi. _________________CAPO XIV.Come Ignazio procur con tutte le forze sue, che non fosse Vescovo Claudio Iaio, n si dessero dignit ecclesiastiche a quelli della Compagnia.S'erano di gi acquetate le tempeste di sopra raccontate; quando di subito un'altra grandissima se ne lev contro la Compagnia, perigliosa vie maggiormente, quanto pi era coperta, e che agli occhi del mondo dava occasione, onde meno s'avesse a temere. D. Ferdinando d'Austria, re de' romani e d'Ungheria, andava cercando persone di vita esemplare e di eccellente dottrina, per concedere loro le Chiese de' suoi regni, infettati in gran parte da contagiosa pestilenza luterana; la quale ogni giorno viepi andava entrando e serpendo per li suoi Stati: acciocch questi Prelati santi e pieni di zelo dimostrassero la faccia agli eretici e, come buoni pastori, vegghiassero sopra le loro pecorelle, e le difendessero dai rapaci lupi. Ed essendo appresso di lui in grande opinione l'integrit della vita e la sana dottrina del Padre Claudio Iaio, lo nomin per vescovo di Trieste nella provincia dell'Istria. Ricusollo constantemente il Padre Claudio, e di dolore n'ebbe a morire; tanto che bisogn per tal negozio ricorrere al Sommo Pontefice, al quale scrisse il re de' romani quello, che passava intorno a ci; e per lAmbasciadore suo gli fece sapere l'estrema necessit di quella Chiesa e di quella provincia; e l'elezione, ch'egli aveva fatto nella persona di Claudio Iaio, per le parti che concorrevano in lui di bont, di santo zelo e di lettere; ma che ritrovava esso cos gran resistenza, che se non glielo comandava Sua Santit in virt di santa ubbidienza, come lo supplicava a fare, non aveva alcuna speranza di poter far s, ch'egli quella dignit accettasse. Approv il Papa il buon zelo e lelezione del re, con molto suo compiacimento e dei Cardinali eziandio; e determinossi di far Claudio vescovo di Trieste. Pervenne la cosa, prima che seguisse, all'orecchio d'Ignazio, il quale pose ogni suo sforzo per disturbarla; e prese tutti i mezzi, ch'egli per questo pot, per terza persona: e non gli succedendo conforme al voler suo, egli medesimo se n'and a parlare al Papa, e con un'umile libert gli propose molte e molto efficaci ragioni, per le quali non conveniva, che Sua Santit condiscendesse alla richiesta del Re, n ponesse ad effetto la sua determinazione. Lo supplic umilmente, che poich era Pastore universale, a tutti universalmente riguardasse, n volesse sanare le piaghe de' feriti e languenti, ferendo dapoi maggiormente i sani. Temo, diceva egli, che perdiamo per questa via il frutto di tutti i travagli, co' quali la Compagnia nostra fino al giorno d'oggi, per misericordia di Dio, ha servito alla sua Chiesa: perciocch seccandosi la povert e l'umilt che sono le radici, come non resteremo privi anco de' frutti, che in esse si sostentano? Vedo che ci pone in gran pericolo questa nuova pianta, n vorrei che la cupidigia e l'ambizione sbarbasse tutto quello che fin ora con la carit e col dispregio del mondo cresciuto. Voglio dire, Beatissimo Padre, che alcuni i quali sciolti dalle catene del mondo si sono ridotti nel porto della nostra Religione (che pur fattura della Santit vostra) e che desiderano di salire al cielo per li scaglioni della povert e del dispregio mondano, ritorneranno per avventura indietro, vedendo che con questo si serrano loro le strade della salute e perfezione, la quale cercavano, e si aprono altre vie per incorrere in quei pericoli del mondo, che fuggir pretendevano. Ed altri potrebbe essere, che diversamente sentendo (n poco

forse sarebbe il numero di questi) i quali gustando di questa dolce e saporita esca, ed abbarbagliati e resi ciechi dal fallace ed apparente splendore delle mitre e delle dignit, venissero alla Compagnia, non per fuggire la vanit del mondo, anzi per ricercare in essa lo stesso mondo: ed ho non poco dubbio, che questo Vescovato non solamente ci faccia perdere Iaio, ma che apra la porta, perch abbiamo nella Compagnia a perderne molti altri; e che ella venga ad uscire de' limiti suoi, a disunirsi ed a perdersi affatto: perciocch chi dubita, che presumeranno altri subito di seguire Claudio, e con l'esempio di lui fare quello che senza esso non farebbono? N voglio io gi per questo condannare le dignit e le prelature, n meno riprendo quei Religiosi, che santamente e con gran frutto della santa Chiesa usano ed amministrano questi onorevoli carichi: ma voglio dire, Santissimo Padre, che vi ha molto gran differenza tra le altre Religioni e la nostra: perciocch le altre con la loro antichit e lunghezza di tempo hanno acquistato forze per levare alcun peso; ma la nostra cos tenera e tanto fiacca, per essere nata di fresco, che qual si voglia peso leggieri la getter a terra. Le altre Religioni io le vado considerando in questo luminoso esercito della Chiesa militante, come squadroni duomini d'arme, che hanno il luogo loro determinato, e la loro propria residenza, e che con la forza possono mostrare la faccia a gli inimici e guardare sempre la maniera ed il modo del loro procedere: ma i nostri sono a guisa di cavalli leggieri, i quali hanno da stare sempre apparecchiati per resistere ai tumulti ed agli assalti degl'inimici, per assaltare anch'essi, e per ritirarsi, ed andare sempre ora in una parte ed ora in un'altra scaramucciando. E per questo necessaria cosa , che siamo liberi e disoccupati da' carichi ed uffici, che ci obblighino a stare sempre fermi. Di pi se riguardiamo, non dico al bene della nostra Religione quantunque questo bene di tutta la Chiesa, a cui ella serve), ma al bene de' prossimi, chi dubita, che sar molto maggiore il frutto e pi abbondante che ricevere potr la Chiesa di Cristo dai nostri, non essendo Vescovi, che essendo? perch il Vescovo, se bene ha maggior autorit e podest, l'ha nondimeno rinchiusa dentro ad alcuni termini, e limitata nella sua Diocesi, e a fine solo di pascere quelle pecorelle, che alla guardia di lui sono commesse: e cos accader pu, come spesse volte vediamo avvenire, che n egli sia grato ed accetto alle sue pecorelle, n si possa trovarne altre, alle quali egli piaccia: onde gli sia tolto di esercitare il suo talento. Ma l'uomo, che libero e sciolto, e che non ha obbligo di risedere in verun luogo; se in una citt non lo ricevono, ricorre ad un'altra, e come abitatore di tutto il mondo, aiuter e servir tutti i Vescovi e tutti i popoli. Mi muove ancora la riputazione ed il credito della Compagnia, il quale appresso il volgo corre molto rischio: perciocch per muovere altrui, e persuadere la via della virt, importa molto, che s'abbia buona opinione del predicatore, e che sappiano, che non le facolt, ma le anime si ricercano: e che non cupidit, ricchezze, titoli, onori; ma solamente la gloria di Cristo si pretende, e la salute di quelli che ricomper col prezioso suo Sangue. Le quali cose con molta difficolt potranno credere gli uomini di noi altri, se ci vedranno negli stessi principii, e nel fervore della nostra Compagnia entrare ne' vescovati e nelle grandezze: perch ci non attribuiranno a carit ed ubbidienza (se bene per avventura nascesse da queste radici) ma ad ambizione ed a cupidit: laonde verr a perdersi la buona opinione, che di noi hanno conceputa: la quale, come ho detto, necessaria ai

ministri dell'Evangelio di Cristo, se vogliono far frutto nell'anime de' prossimi loro; e la perdita di questo buon credito tanto grande, secondo il mio poco giudizio, Padre Santo, che ricompensare non si pu col frutto, che n da un Vescovato, n da molti si possa cavare. Con queste ed altre molte ragioni procur Ignazio di muovere il Sommo Pontefice, s che gli piacesse di lasciare vivere il P. Claudio senza carico, nella quiete e povert della sua Religione. Ma non pot per allora cavare altra risposta dal Papa, se non che si raccomandasse ancora pi di quello, che fatto s'aveva, questo negozio a Dio, e ch'egli voleva sopra di esso maggiormente considerare. Ritornato dunque a casa Ignazio, subito fece, che tutti i Padri a questo fine offerissero tutte le messe, che ogni giorno si celebravano; ed ordin, che i Fratelli stessero in continua orazione, ed egli parimente supplicava Nostro Signore con molto lacrime ed orazioni, che si degnasse di liberare la Compagnia da quel cos grande e tanto evidente pericolo: n si stancava mai giorno e notte, andando di casa in casa di tutti i Cardinali, dando loro a conoscere l'importanza di questo negozio, ed il danno, che al ben comune della Chiesa n'avrebbe potuto risultare. Furono tanto efficaci avanti a Dio l'orazioni e le lacrime sue, e tanto pot la prudente sollecitudine ed industria di lui con gli uomini, che il negozio, che gi si teneva per fatto e per conchiuso, si differ; e cos ebbe tempo da scrivere al re de' romani; il che fece con tanta efficacia e forza di parole e si valse di tanti mezzi per persuaderlo, quanti sogliono adoprare gli ambiziosi, per far acquisto degli onori, che desiderano. Il re considerate le ragioni d'Ignazio, e vedendo, che quello che egli bramava, effettuare non si poteva senza pregiudizio della Compagnia; essendo cristianissimo e religiosissimo principe e devotissimo dell'Instituto nostro; non volle che con tanto costo di noi facessimo bene ad altri, n col danno nostro si arrecasse utilit a quella Chiesa particolare di Trieste. E cos comand subito all'ambasciadore suo, che si rimanesse dall'impresa, n pi la sollecitasse. Di questa maniera uscimmo allora di pericolo, e per la liberazione da esso universalmente tutta la Compagnia ne sent grandissima contentezza, e dappoi pi facile cosa fu il resistere, come molte volte fece Ignazio, trattandosi di dare mitre o cappelli ad alcuni Padri della Compagnia. Cos l'anno 1551 il Sommo Pontefice Giulio Terzo, ad istanza di Carlo Quinto Imperatore, deliber di crear Cardinale il P. Francesco Borgia, che spregiando gli onori del mondo per abbracciarsi alla croce di Cristo era recentemente entrato nella nostra Religione. Il P. Ignazio, avutone avviso, rest dubbioso e incerto, non sapendo a che determinarsi: e per meglio conoscere la divina volont, ordin che tutti i Padri della casa offerissero per tre giorni a questo effetto i loro sacrifizi: ed egli, lasciato da parte ogni altro affare, si chiuse nella camera, attendendo di giorno e di notte con molte lacrime e con infocati affetti a pregare Dio Nostro Signore, perch con un raggio della sua luce lo scorgesse in una cosa di tanto momento e gli suggerisse che si dovesse fare. Nel primo giorno si venne dubbioso e perplesso, senza inchinarsi pi ad una parte che all'altra. Nel secondo si sent mosso ad opporsi, anzi che consentire. Nel terzo finalmente fu illustrato da cos viva luce, e conobbe s chiaramente essere volont di Dio esso si opponesse, che a me disse, non resterebbe mai dal farlo, quantunque vedesse tutto il mondo prosteso ai suoi piedi e in atto di supplicare in contrario: e cos and costantemente dal Papa, e con efficaci ragioni oper che si scrivesse all'imperatore Carlo Quinto, esser di

maggior servizio di Dio, che il P. Francesco si rimanesse nel suo stato di umilt ad esempio ed edificazione del mondo. Parimente l'anno 1553 Ferdinando re de' romani dimand che si facesse Vescovo di Vienna il P. Pietro Canisio; e ci per la grande stima in che aveva la santit di quell'uomo, e per la necessit grande, in che era la citt di Vienna di avere un pastore santo e vigilante, che difendesse il gregge di Cristo e resistesse agli eretici, che a guisa di lupi rabbiosi correvano e facevano molta strage di anime in tutta lAustria. Avendo pertanto il re raccomandato con molta forza il negozio al Papa Giulio Terzo, questi si rimise interamente ad Ignazio, n promise pi di quello che a lui ne paresse. Neg risolutamente il P. Ignazio di consentire alla petizione del re, dicendo essere di molto pregiudicio alla compagnia. Si adoperarono tutti i mezzi possibili per ismuoverlo dal suo proponimento: ma tutto fu indarno: stette sempre fermissimo nel suo parere, n si lasci convincere da qualsivoglia ragione. Finalmente nel mese di Ottobre nel 1555 il P. Ignazio ebbe sicura notizia, che il Sommo Pontefice Paolo Quarto voleva crear Cardinale il P. M. Giacomo Laynez. Della quale cosa ragionando egli con me, disse: forse fra pochi dl avremo Cardinale il Laynez: il che quando sia, io ne far tal rumore, che s'intender da tutto il mondo, come la Compagnia accetti le dignit. Ed il medesimo hanno fatto tutti gli altri Generali successori di lui nelle occasioni, che loro si sono offerte, difendendo questa porta, come importantissima, per la conservazione della Religione nostra. Ed ottenne parimente Ignazio dalla Sede Apostolica e lasciollo nelle nostre constituzioni stabilito, che niuno della Compagnia possa ricevere, fuor di essa, alcuna dignit, senza licenza del Preposito Generale, la quale egli non conceder mai, se dal Papa non gli sar comandato per ubbidienza, e di questo fanno particolare voto i Professi della Compagnia. N voglio passare sotto silenzio quello, che intorno a questo mi si offerisce, per essere cosa, la quale pu confermare molti per l'avvenire, parendo loro, che potrebbe la Compagnia rendere maggiore servigio a Nostro Signore, accettando Vescovati e dignit, che rimanendosi nella sua bassa umilt e nella sua povera semplicit. Il Cardinal Santa Croce, Marcello Cervino (che per i meriti della somma virt e prudenza sua ascese al Papato, e fu detto Marcello Secondo di questo nome, e che per li nostri peccati in pochi giorni perdemmo) fu grande amico del nostro P. Ignazio, e molto devoto della Compagnia. Or questi poco prima che fosse innalzato al Sommo Pontificato , ebbe una gran disputa col Dottore Olave, di cui in questo libro abbiamo fatto menzione, ed altrove ancora se ne far; uomo segnalato o famoso Teologo della Compagnia nostra. Diceva il Cardinale, che la Compagnia avrebbe fatto maggioro servigio alla Chiesa di Dio, provvedendole pi tosto di buoni Vescovi, che dandole buoni predicatori e confessori; e che sarebbe il frutto tanto maggiore, quanto maggiore il potere di un buon Vescovo, che d'un povero prete; e per questo adduceva molte ragioni. Alle quali andava rispondendo il Dottore Olave, dandogli a conoscere, che il maggiore servigio, che potesse fare la Compagnia alla santa Chiesa, era conservarsi nella purit e nella bassezza sua, per servirla pi lungo tempo e con maggiore sicurezza. Ma parendo al Cardinale migliori i suoi propri argomenti e nella sua opinione di prima fermandosi, disse il Dottore: Se bastevoli non sono le ragioni per convincere V. S. Illustrissima, e farla mutare di parere; a noi altri basta l'autorit del nostro Padre Ignazio, che sente cos perch noi crediamo ci essere migliore.

Allora disse il Cardinale: Or s che mi rendo, signor Dottore, e dico d'avere il torto: perch se bene a me pare, che la ragione sia dalla parte mia, nondimeno di maggiore autorit in questo negozio l'autorit del padre Ignazio, che tutte le ragioni del mondo; e questo la stessa ragione lo manifesta; perciocch, poich Iddio N. S. lo elesse per piantare nella sua Chiesa una Religione, come la nostra, e per distenderla ed ampliarla per tutto il mondo con tanta utilit dell'anime e per governarla e reggerla con tanto spirito e con tanta prudenza, come vediamo che ha fatto e che fa; abbiamo parimente a credere (n pare che possa essere altrimenti) se non che lo stesso Iddio gli abbia rivelata ed iscoperta la maniera, con la quale voglia essere da questa Religione servito; e che tale per l'avvenire si conservi. E questo ch'io dico ora stette sempre sin da principio impresso nell'animo d'Ignazio: perch quando venne la prima volta a Roma col Padre Fabro e Lainez, essendo andato a visitare il Marchese di Aguilar, che allora era Ambasciadore dell'Imperatore Carlo Quinto, parlando di diverse cose, di uno in altro ragionamento entrando; venne il Marchese a dirgli, che non vi mancavano di quelli, che avevano sospizione, che egli sotto coperta di povert e d'umilt andasse alcun Cappello ed alcuna dignit pescando. Al che Ignazio, non con parole, ma con l'opera rispose; perch levandosi di testa la berretta, fattosi il segno della croce, con gran devozione e modestia, fece voto avanti il Marchese di non accettare alcuna dignit, che fuori della Compagnia se gli offerisse, se non fosse obbligato sotto pena di peccato dal Vicario di Cristo N. S. E con questa risposta lev per allora il falso sospetto, che s'aveva di lui. Ed un'altra volta conoscendo che vi era la medesima necessit, rinnov lo stesso voto alla presenza d'un Cardinale, per chiudere insieme la porta ai vani giudizi degli uomini, i quali per ordinario misurano gli altri secondo se stessi. __________________CAPO XV.Della fondazione di diversi Collegi.Libera gi e sbrigata la Compagnia da' travagli e da' passati pericoli, merc delle orazioni e dellaccorta diligenza d'Ignazio, andava ciascun giorno con pi felice successo vie maggiormente crescendo, cos nel numero di quelli, che entravano in essa, come nel frutto che essi facevano, ed anco nei collegi che si fondavano. A quello di Barcellona diedero principio alcune persone devote affezionandosi alla dottrina e alla conversazione del padre Dottor Araoz, che in quella citt per breve spazio di tempo dimor. Quello di Bologna si cominci lanno 1546, e dal 1547 i padri della Compagnia entrarono nella citt di Saragoszza, chiamati da alcuni personaggi ragguardevoli di quella citt, fra i quali Don Giovanni Gonzalez, amico e divoto nostro, che era allora conservatore del Regno dAragona. Ivi esercitarono i nostri gli uffici e le opere della carit e divozione, nelle quali suole, secondo lIstituto suo, occuparsi la Compagnia, con che procurarono di accendere ad ogni sorte di virt quella citt, che in ricchezza nobilt ed autorit cos famosa in Ispagna; e come a suo luogo si dir, non manc loro la materia di esercitare anco la pazienza. Vedendo dunque Ignazio che la famiglia sua andava crescendo, e che Iddio questa sua opera cotanto moltiplicava, per meglio governarla e per ridurla a poco a poco ad ordine migliore, determinassi di compartire con altri la sollecitudine e la cura, chegli solo teneva, e di far distinte province, ed assegnare a ciascuna i suoi collegi, e nominare i Provinciali di esse: e cos nomin il Padre Maestro Simone Rodrigo Provinciale di Portogallo, e del resto della Spagna il Padre Antonio Araoz. Or in questo Regno nel

medesimo tempo s'incominci il collegio di Salamanca, il quale, quasi come tutti gli altri, ebbe deboli principii, ma grande e felice successo: perch D. Francesco Mendoza, ch'era allora Vescovo di Curia, e Cardinale di Santa Chiesa, mosso da quello che in Roma con gli occhi propri vedeva della vita di Ignazio, e dall'utilit che in tutte le parti palesemente dai nostri ai prossimi nasceva, si determin di edificarci un collegio in quella famosa Universit: per il che invi Ignazio a Salamanca l'anno 1548 il Padre Michele de Torres, con altri due compagni, i quali entrando in quella citt, presero una casa ad affitto, e cominciarono ad accendere grandemente con opere e con parole, cos i cittadini, come gli scolari alla divozione ed alle operazioni virtuose. Ma di subito una grande mormorazione si lev contro di essi, la quale era fomentata da certa gente principale, e fra questi da alcuni Religiosi e famosi letterati; i quali non solo nella conversazione e nelle pratiche familiari, ma nei pulpiti ancora e nelle cattedre trattavano di noi di maniera, che non mancava altro, se non che fosse bestemmiato il suo nome, e che da noi fuggissero le persone, come da gente sospetta ed infame. Ma di quelli, che allora ne fecero maggior contrasto, fu un uomo, che per labito della sua Religione, per il luogo che aveva di gran letterato, e per aver dipoi lasciato un Vescovato, era molto conosciuto, rispettato e tenuto in gran venerazione. Il quale, per mostrar nella guardia di questo gregge del Signore, che la Chiesa, dessere uno dei cani di esso pi ansiosi e vigilanti, cominci fortemente a latrare contro di quelli, che per lupi erano stimati da lui, e perseguitare con ogni sua forza il nostro Istituto; ed essendo uomo di tanta autorit, molti ad occhi chiusi lo seguitavano. Ma piacque alla divina bont di scoprire col tempo quello, di che la Compagnia fa professione; e che quella infamia e mormorazione, fondata nelle parole degli uomini e nella falsit, presto a terra se ne cadesse. Le opere di quei nostri padri, ed i sermoni del padre Maestro Strada, che ivi fu a predicare, posero silenzio a tutti i nostri avversari; e cav Iddio, come di suo costume, gran frutto da quella persecuzione. Perciocch i nostri padri rispondevano orando o tacendo, ed alcuno volto lodando, ovvero scusando i loro persecutori in quello che far potevano, e pregando nostro Signore per essi; non lasciando per le opere buone, che avevano per le mani; anzi proseguendo la loro impresa con allegrezza e costante perseveranza. Laonde perch erano pochi, poveri e ritirati in una picciola casetta, se per avventura li avessero lasciati star in pace, in molto tempo non sarebbono stati conosciuti, n saputesi le qualit loro: ma come fin dai pulpiti e dalle cattedre di essi cominciarono a predicare, molti apersero gli occhi, e con curiosit venivano a cercarli e a conoscerli, per vedere se in essi scorgevano alcuna di quelle cose, delle quali avevano udito mormorare: e con la loro conversazione ed esempio restavano ad essi grandemente affezionati, e si levava la mala opinione ed il sospetto, che nel principio era entrato nella mente degli uomini; venendo poi ad essere molto amati e seguitati: di maniera che oltre un grandissimo numero di studenti, che per consiglio dei nostri sono entrati in altre Religioni sante; da quella nobilissima Universit si sono ricevute nella Compagnia tante e cos degne persone, che al collegio di Salamanca ed a quello, che abbiamo in Alcal, attribuir si dove la moltiplicazione e laumento della nostra Compagnia in Ispagna, e in molte altre parti fuori di essa. _________________CAPO XVI.Dell'onorevole testimonio, che della Compagnia diedero il Generale dell'Ordine

de' Predicatori e due altri Ordini Religiosi. Non mi pare, che sia ragionevole passar sotto silenzio il testimonio, che, per occasione del collegio di Salamanca, diede della nostra Compagnia il Generale dell'Ordine de' Predicatori. Seppe F. Francesco Romeo, Maestro Generale della Religione di S. Domenico, uomo gravissimo e dottissimo, che alcuni Religiosi dell'Ordine suo, che nella Chiesa di Dio cos chiaro per santit e per dottrina, per non saper la verit dell'Instituto nostro, pubblicamente consigliavano i popoli in Salamanca, che si guardassero da noi e che fuggissero le novit. Onde egli, per levarsi da questo errore e per avvisar tutti i suoi sudditi, che per l'avvenire fossero pi cauti in questo particolare, diede al Padre Ignazio le sue lettere patenti; acciocch se ne servisse dove giudicasse essere necessario. Nelle quali dichiara quello, che sente della Compagnia, e comanda ai suoi, che le portino amore, e che i padri di essa tengano per loro compagni e per fratelli: ed acciocch meglio si scorga quanto a quel servo del Signore ed alla sua santissima Religione noi dobbiamo, e perch procuriamo di contraccambiarlo, come ragionevole, con perpetue grazie, ho voluto por qui la medesima patente, tradotta di latino in italiano, la quale dice cos. Fra Francesco Romeo da Castiglione, Professore di sacra teologia, ed umile Maestro Generale, e servo di tutto l'Ordine de' Predicatori. A tutti i nostri Venerabili in Cristo Padri o Fratelli del detto Ordine, in qual si voglia luogo che si ritrovino, salute e consolazione nello Spirito Santo. Sapete come in questi tempi miserabili, nei quali la
cristiana religione combattuta dalle armi degli eretici, e mal trattata dai perversi costumi de' cattivi cristiani, ha la misericordia di Dio inviato, come gente di soccorso, una nuova religione di Preti Regolari, chiamata la Compagnia di Ges, la quale stata approvata dal Beatissimo Padre e Signor nostro Papa Paolo Terzo, mosso dai gran frutti, che fa questa religione nella Chiesa di Dio con le sue prediche e pubbliche lezioni, con esortar i fedeli alla virt, con udir le confessioni, con altri sacri esercizi e con l'esempio di santa vita. Delle quali cose abbiamo voluto avvisarvi, acciocch alcun di voi, mosso dalla novit di questo Instituto, non si rivolga per errore contra i soldati, che ci ha mandati Iddio per soccorso, n mormori di quelli, del frutto de' quali si , dovrebbe rallegrare, ovvero imitare le opere loro. Ben crediamo, che voi altri, come amici e amanti dello Sposo celeste, non vitupererete, n giudicherete male della variet delle vesti della Sposa sua; anzi che le stimerete ed onore ete con quella carit, la quale della verit si compiace. Nondimeno, acciocch non

manchiamo all'ufficio nostro, e per prevenire tutti gli inconvenienti, per queste nostre lettere vi ordiniamo, e per l'autorit del nostro ufficio, ed in virt dello Spirito Santo e della santa ubbidienza, sotto le pene riserbate all'arbitrio nostro, vi comandiamo, che niuno di voi, nostri Religiosi, osi mormorare, n dir male del detto Ordine, n de' suoi Instituti approvati e confermati dalla santa Sede Apostolica, tanto nelle pubbliche lezioni, prediche e capitoli; quanto nei ragionamenti e conversazioni familiari; anzi che vi affatichiate in aiutar questa Religione, ed i Padri di essa, come soldati della nostra medesima schiera, e li difendiate ed aiutiate contra i loro avversari. In fede delle quali cose comandiamo, che siano suggellate queste nostre lettere col suggello del nostro ufficio. Data in Roma ai 10 di Ottobre, 1548. F. Francesco Romeo, Maestro dell'Ordine de' Predicatori l'anno terzo della nostra assunzione al Generalato.
Il medesimo volere e la stessa benevolenza con la Compagnia imit con gran carit diciassette anni di poi tutta la Religione dei Minori di S. Francesco dell'Osservanza, la quale un altro lume del cielo ed ornamento della santa Chiesa; quando nel Capitolo Generale, che si congreg in Vagliadolid lanno 1555 fece questo Decreto fra gli altri, che in quel tempo si stabilirono. Essendo

la nostra Religione dei Frati Minori principalmente fondata nellumilt e nella carit; sappiano tutti i frati in qualunque luogo del mondo si ritrovino, che con ogni umilt, ed umanit trattar debbono con i Religiosi di qual si voglia Religione, e principalmente con quelli della Compagnia di Ges, i quali hanno da amare, ed onorare, ed invitare, e ricevere con carit agli atti ed esercizi di lettere, ed alle feste, nelle quali celebriamo i nostri Santi, ed a tutte le altre pubbliche azioni, nelle quali sogliono congregarsi i Religiosi; e niuno de' nostri Frati ardisca pubblicamente o secretamente di essi mormorare ecc. Si gi detto nel capitolo un decimo di questo Libro, che er rispetto del P. Pietro Fabro i Monaci Certosini, che s'erano ridotti a Capitolo nella citt di Colonia, vollero avere una santa fratellanza e uno stretto legame con la nostra Compagnia, facendoci partecipi di tutte le buone opere e di tutti i meriti loro. Affinch dunque non solo si conservi sempre presso i figliuoli della Compagnia la memoria di s parziale benefizio, ma si ravvivi vie maggiormente ne' loro cuori la gratitudine che a quei Religiosi si dee, uniamo alle due premesse testimonianze anche il decreto di quella comunicazione al tesoro de' lor beni spirituali, che dal venerabile Generale dell'Ordine F. Pietro de Leydis soscritto e bollato si mand ad Ignazio, e dice appunto cos: Fra Pietro, umile Priore della Maggior Certosa, e gli altri tutti Diffinitori del Capitolo Generale dell'ordine Certosino; al Rev. in Cristo Padre e a' divoti signori, Ignazio Preposito, e suoi fratelli della nuova Compagnia del nome di Ges, in qual che siano parte del mondo; quella salute, che Iddio tiene apparecchiata a quegli che l'amano. Da che abbiamo sentita, Fratelli dilettissimi nel Signore, l'odorosa fama della vostra vita esemplare, della salutevole dottrina, della volontaria povert e delle altre tutte virt, per le quali risplendendo nel buio di questo nostro miserabile secolo, intendiamo, che v'adoperate in tornare alla stretta via della salute quegli che avevano preso la larga che mena alla perdizione; e ristabilire i vacillanti, e chi tuttavia si tiene, stimolarlo e promuoverlo nelle virt; e con ci rendervi in gran maniera giovevoli alla Chiesa cattolica: ce ne siamo rallegrati nel Signore, e gliene rendiamo grazie, veggendo, che pure in tanta desolazione della sua Chiesa, in tante calamit che ci assediano, non dimcntico delle sue misericordie, ha eccitati voi, e in voi degnato d'inviare nuovi operai alla sua vigna. Nella qual santa impresa desiderando noi altres d' aiutarvi in quanto fia possibile alla nostra debolezza, istantemente vi preghiamo, Fratelli, per la carit di quel Sjgnore, che non isdegn di morire per noi, Ne in vacuum gratiam Dei recipiatis, ma nel santo proponimento durandola con perseveranza, Exhibeatis vos sicut Dei ministros in multa patientia, non allentando nelle fatiche, non isbigottendo a' pericoli e alle persecuzioni sempre apparecchiate a chi vuol vivere santamente: Tempore enim suo metetis non deficientes. E noi, Fratelli, se punto nulla possiamo davanti al Signore, co' divini sacrificii, con le orazioni, con le astinenze e con gli esercizi di piet (de' quali tutti, e voi, e i successori vostri, in vita e dopo morte facciamo partecipi) cooperiamo volentieri nel Signore alle vostre intenzioni e fatiche: pregando voi altres di ricever noi scambievolmente a parte delle vostre orazioni e de' vostri beni spirituali. Data nella Certosa sotto il nostro suggello, l'anno del Signore 1544, nella quinta Feria seguente alla Domenica Cantate (cio il d 16 di Maggio) durante il nostro Capitolo generale 44. Si sigilli: P. Priore della

Certosa__________________CAPO XVII.Come i Padri della Compagnia entrarono in diverse parti dell'Africa. In quest'anno 1548 entrarono i Padri della Compagnia nelle parti dell'Africa interiore ed esteriore. Perch i Padri Giovanni Nugnez, che mor dipoi in Goa essendo Patriarca di Etiopia, ed il Padre Luigi Gonzalez de Camara furono inviati da Portogallo al regno di Tremezen per riscattare i cristiani, che erano ivi prigioni; i quali fecero di gran bene a quei poveri meschini ed in tante maniere bisognosi. Perciocch non solo riscattarono con denari i corpi di un gran numero di uomini, donne e fanciulli, liberandoli dalla miserabile servit de' Mori, in poter de' quali si ritrovavano; ma diedero anco soccorso spirituale alle anime, consolando gl'infermi ed afflitti cristiani, e corroborando ed animando nella fede molti, che stavano a pericolo di rinnegarla; ed altri, ch'erano di gi caduti, riducendoli al grembo di santa Chiesa. Ed essendosi per alcun tempo con molta carit e diligenza in questo ufficio esercitati, se ne ritornarono in Portogallo. Navigarono parimente altri quattro della Compagnia a Congo, regno posto nell'Etiopia occidentale; e loccasione di queste viaggio fu, che vedendo D. Giovanni Re di Portogallo essersi di gi perduta la memoria dell'evangelo e della religione cristiana in quelle costiere dell'Africa e nel detto regno di Congo, dove si era predicata e ricevuta in tempo del re D. Emmanuele padre ed antecessore di lui, il quale con santo zelo di ampliare la Chiesa di Dio ed esaltare il nome di Ges Cristo, aveva inviato gente in quelle parti fin dal suo regno, per dar notizia col della verit dell'evangelo, e tenendosi per successore non meno della piet e dello zelo delle anime, che de' regni, i quali dal padre ereditato avea, mand questi quattro predicatori della Compagnia in quel regno l'anno 1548; perch con la dottrina loro ravvivassero le scintille della fede, se per avventura alcune ve ne fossero restate, o almeno alcun vestigio di esse; e ritornassero a lavorare quei paesi barbari, i quali per mancamento di essa fede erano rimasi tanto deserti ed incolti. E cos appunto fecero i nostri; e succedettero loro nel principio le cose, come desideravano: perciocch lo stesso Re di Congo ricev il santo battesimo e con l'esempio di lui molti altri del suo regno. Ma di poi stringendoli i nostri, perch conformassero la vita ed i costumi con la fede e con l'evangelo, di cui facevano professione, ed essi per lo contrario volendo torcere l'evangelo secondo i loro appetiti e capricci, venne il re barbaro, chiamato Manicongo, a declinare dal diritto sentiero ed impudentemente a trattare di tal maniera, che non solamente egli non viveva, come a cristiano come si conviene, ma tirava parimente a s tutti gli altri, parte col mal esempio, parte con astringerli, e fare loro forza. Non parve bene ai nostri il gettare le preziose margherite a cotali porci, da' quali altro di gi sperar non si poteva, se non che con le zanne rivolgendosi contra di loro, volessero lacerarli e divorarli affatto. Laonde acciocch non fosse di maggior condannazione a quei meschini il ritornar a dietro dal conosciuto bene e molte fiate predicato, se ne passarono ad altre terre della gentilit a predicar l'evangelo: verificandosi quello, che dice l'Apostolo, che molti vengono a perder la fede per non fare stima della buona coscienza. E se questa conversione non sort buon effetto, potr anco dire, che migliore non fu il successo di quella, per la quale altri nostri dipoi furono inviati al regno di Angola, per i prieghi e le supplicazioni del medesimo re, che mostrava gran desiderio di farsi cristiano. E perch fossero da quel re barbaro i nostri pi volentieri ricevuti, il re di Portogallo

mand con essi loro un suo ambasciadore ed un ricco presente insieme. Con molta umanit e cortesia, arrivati che furono, li ricev il re: ma dipoi finiti i presenti e consumati i denari, che dati gli avevano in nome del re di Portogallo, fece porre prigione l'ambasciadore ed i predicatori della verit; ed ivi incarcerati stettero molti anni di modo, che sebbene non cavarono i nostri Padri n anco da costoro in questo viaggio la conversione, almeno ne raccolsero per le anime loro il frutto della pazienza e fortezza cristiana ed il merito, che col patire e col desiderio di morire per amor del Signore acquistarono. __________________CAPO XVIII.Come i Padri della Compagnia entrarono in Sicilia.Entr in questo medesimo tempo la nostra Compagnia nell'Isola di Sicilia, e il primo de' nostri, che in essa si fermasse, fu il Padre Giacomo Lostio Fiammingo, uomo dotato di singolar modestia e dottrina. Fu mandato prima dal P. Ignazio in Girgenti citt di Sicilia, a petizione di Rodolfo Pio Cardinal di Carpi, ch'era Vescovo in quella citt, e Protettore della Compagnia nostra. Dipoi v'and il p. Girolamo Domenech, il quale fin da Roma fu condotto da Giovanni de Vega, quando fu fatto Vicer di Sicilia l'anno 1547: e lo dimand ad Ignazio, e lo men seco per aiutarsi dell'industria e del consiglio di esso nelle cose, che in quel Regno desiderava ordinare per servigio di Dio. Pareva a quel cristiano e valoroso cavaliero di far poco col fortificare le citt con muraglie e con gente da guarnigione, e col purgar il regno da innumerabili assassini da strada, e assicurarlo e difenderlo da' corsari e da' nimici della nostra santa fede, e col governare con somma pace e giustizia, come faceva, tutti i suoi sudditi, se non piantava in un medesimo tempo negli animi loro la piet e la cristiana devozione col conoscimento e ossequio della divina Maest; acciocch tutte queste cose essendo stabilite in tanto solido fondamento, fossero pi ferme, pi efficaci e di maggior lume e splendore. E perch in Roma essendo ivi ambasciadore per lImperador Carlo Quinto, aveva avuto grande amicizia e famigliarit con Ignazio, e con gli occhi propri veduto il modo di procedere de' nostri e il loro Instituto, per a questo gli elesse, parendogli che per l'intento suo fossero molto a proposito, e che di essi si avrebbe potuto valere assai. E perch pi durabile e perpetuo fosse il frutto, mosse con l'autorit sua la citt di Messina, che procurasse di avere di quelli della Compagnia, quivi li conducesse, e fondando loro un collegio, gli accettasse per abitatori. Fu commendato il consiglio di cos prudente cavaliero da quella nobile e ricca citt, la quale sempre ha avuto in gran pregio l'onorare tutte le Religioni sacre; o confidata di tal giudizio; cominci ad amare e desiderare quelli, i quali solo per nome o per fama conosceva. L'anno dunque 1548 scrisse il Vicer e la citt al Sommo Pontefice e ad Ignazio, chiedendo gente per fondare ivi un collegio della Compagnia; e per dargli principio Ignazio invi i PP. Girolamo Natale spagnuolo, Andrea Frusio francese, Pietro Canisio alemanno, e Benedetto Palmio italiano; ed insieme alcuni altri di diverse nazioni, i quali vi andarono con somma unione e concordia. E avendo la citt data loro casa in un luogo scelto e commodo, e la chiesa di S. Nicola, che chiamano de' Cavalieri, con ogni necessario apparecchio, cominciarono a leggere pubblicamente le scienze, che suole insegnare la Compagnia; che sono quelle, che ad un teologo appartengono. Crebbe di subito il collegio, e s'institu dipoi nella medesima citt di Messina la prima casa di Probazione, che ha avuto la Compagnia per creare novizi. Non volle in un'opera tanto

pia e di tanta utilit esser vinta dalla citt di Messina la citt di Palermo; avanzando ella tutte l'altre di quel Regno per la grandezza del sito, per la fertilit della terra, per la nobilit de' cittadini, e per il numero grande di principalissima gente; n pot soffrire, che nel desiderio della religione e della virt alcun'altra la superasse. Laonde mossa dall'autorit dello stesso Vicer, e dal vivo esempio, che del collegio di Messina scorgeva, supplic Papa Paolo III, e chiese con istanza ad Ignazio che le mandasse alcuni de' nostri, i quali insieme con le buone lettere insegnassero a quella sua giovent i buoni costumi, e commovessero gli animi de' cittadini, e comunemente di tutta quella citt, che tanto lo desiderava, alle cose del cielo e alla propria salute. Mand dunque Ignazio l'anno 1549, dodici della Compagnia , fra i quali vi era il P. Nicol de Lanoi fiammingo, e il P. Paolo Achille italiano; ed altri uomini eletti da diverse nazioni, ordinando loro, che in Sicilia si accompagnassero col P. Giacomo Lainez, e il P. Girolamo Domenech, e andassero tutti a dar principio al collegio di Palermo. Era in quel tempo in luogo d'Ignazio il P. Lainez Superiore di tutti quelli della Compagnia in Sicilia, dove era andato a richiesta del Cardinale Alessandro Farnese, Arcivescovo di Montereale, per pacificare e comporre alcune discordie molto inveterate e radicate tra gli ecclesiastici di quella Chiesa e la citt. E cos tutti uniti insieme, come era stato loro da Ignazio ordinato, posero le prime pietre o diedero principio al collegio di Palermo ai 24 di novembre del 1549, con tanto gran concorso e con tali segni d'amore delle persone di quella citt, che dimostravano il desiderio e la volont, con la quale li avevano chiamati ed aspettati. In questo modo dunque si diede principio a quei due collegi di Messina e di Palermo, i quali col tempo sono iti molto crescendo, e sono stati dotati di entrata sufficiente, prestando a ci grande aiuto la liberalit di Carlo Quinto Imperatore, e del re Filippo suo figliuolo; aggiuntavi la devozione delle stesse citt, che li richiesero. Da questi due collegi sono usciti tutti gli altri, che in quella provincia di Sicilia ha la Compagnia: e si pu ben dire con verit, che sono stati di gran profitto per tutto quel regno: perciocch oltre il frutto che si fece con le prediche, lezioni ed altri ministerii, ne' quali s'impiega la Compagnia, per consiglio ed aiuto de' Padri, che ivi dimoravano, ordin il Vicer D. Giovanni de Vega per tutte le citt sue, molte cose salutifere e importanti per la conservazione e aumento della nostra santa e cattolica Religione, per il culto divino e per il bene delle anime; le quali si sono conservate e avvantaggiate per la buona diligenza dei Vicer, che di poi sono succeduti. In questo medesimo anno 1549 furono chiamati i nostri a Venezia, ove il Priore Andrea Lippomano, fondatore del collegio di Padova, diede loro la propria casa e chiesa. Cominciossi parimente allora il collegio di Tivoli con l'occasione di certi Padri della Compagnia, i quali erano col andati, per pacificare quella citt, che con un'altra era molto discorde e disunita. E in Alemagna si vedeva di gi il progresso o frutto notabile della comunicazione co' nostri: perciocch Guglielmo Duca di Baviera, principe non meno cattolico, che potente; dato da Dio come anco sono dati i suoi discendenti per difesa ed ornamento della cattolica e antica religione d'Alemagna, chiam i nostri, perch nella sua Universit d'Ingolstadio leggessero la sacra Scrittura: e quelli, che a questo effetto mand Ignazio, furono i Padri Alfonso Salmerone, Pietro Canisio e Claudio Iaio, il quale alcuni anni prima con gran lode

aveva letto in quella citt, ed era stato molto accetto. Ricev con gran dimostrazione di amore il Duca Guglielmo i nostri Padri, e mand Leonardo Ekio presidente del suo Consiglio, ed amicissimo della Compagnia, che tenesse molto conto di loro e gli accarezzasse. Cominci il Padre Salmerone a dichiarar le Epistole di S. Paolo, il Padre Claudio i Salmi di David, ed il Padre Canisio il Maestro delle sentenze; e ci fecero tutti con cos gran dottrina e prudenza, che meraviglioso fu il frutto, che dalle loro lezioni segu. Per le quali cose cominci quell'Universit, che era di gi caduta, ad alzare il capo, e gli studi di teologia, i quali per le eresie erano poco apprezzati, ad essere stimati e frequentati. S'innanimarono i Vescovi di quegli Stati, i cattolici ricoverarono le forze, si perderono d'animo gli eretici, e raffrenati dai nostri, i quali con la soda dottrina facevano loro resistenza, deposero l'impeto furioso, con cui facevano guerra alla verit: onde si operarono molte cose in lode e gloria di Dio. Dalle quali mosso il buon Duca Guglielmo si determin di fondare un ottimo collegio della Compagnia; ma cotal disegno gl'interruppe la morte, n pot effettuar quello che desiderava: lasciollo per raccomandato al Duca Alberto suo figliuolo, che nella religione, prudenza, e magnanimit stato ben simile al padre, e seguendo le pedate di lui stato sempre quegli, che con le armi in mano, col zelo suo e col gran potere ha mostrato la faccia agli eretici, iscoprendosi perpetuo e costante difensore della nostra santa fede cattolica. E quantunque nei principii del suo governo, per le molto e gravi occupazioni, lasciasse di allargare ed ampliare la fondazione del collegio, per il che il Padre Salmerone se ne ritorn in Italia, il Padre Claudio se n'and a Vienna; restando il Padre Canisio ed il Padre Nicol Gaudano per alcun tempo in Ingolstadio, nondimeno dopo ch'ei rest disoccupato, di tal maniera abbracci la Compagnia e la favori, che non si content di fondar un sol collegio in Ingolstadio, ma ne fece ancora un altro in Monaco, dove risiedono i Duchi di Baviera, ed citt principale e capo degli Stati suoi. ____________________CAPO XIX.Come i Padri della Compagnia passarono al Brasile; e Antonio Criminale fu per amor di Cristo martirizzato. Questo erano le occupazioni de' nostri Padri, quando per volont di D. Giovanni Re di Portogallo passarono quelli della Compagnia al Brasile. il Brasile una regione molto grande, fertile ed amena, per aver il cielo, come ha, salutifero molto e l'aria temperata: ma terribile e spaventosa per esser abitata da gente cos fiera ed inumana, che degli uomini fanno pubblico macello e comunemente si pascono. Col navigarono i Padri l'anno 1519, e fin al giorno d'oggi ivi tra quelle genti barbare perseverano con grandissima carit, con sofferire eccessivi travagli e con non minor frutto dello anime di quei popoli. Grande il numero di quelli, che hanno lasciato quelle abominevoli superstizioni e mostruose falsit dell'idolatria, e si sono ridotti al conoscimento del vero e solo Iddio; e quelli, che lasciarono linfedelt, si spogliarono parimente di quella crudelt fiera, che esercitavano di mangiare umana carne, apprendendo con la verace religione l'umanit insieme e la mansuetudine cristiana: e dove prima pervertivano la legge naturale, non solo con prender molte mogli, ma ancora, a guisa di animali bruti, tenendole comuni fra loro, senza saper qual moglie fosse di questo o di quello, ora per grazia di Ges Cristo, vivono colle leggi del santo Evangelo. In questo medesimo anno 1549 i nemici della nostra santa fede uccisero nell'India il Padre Antonio Criminale, il quale era italiano, nato di buoni parenti in un

luogo presso Parma in Lombardia, che si chiama Sissa. Nel fiore della sua giovent consacrandosi a Dio entr nella nostra Compagnia; e l'anno 1542 fu da Ignazio da Roma mandato in Portogallo; e fu sempre questo Padre un esempio di singolar bont e di rara modestia a tutti quelli, che seco trattarono. Fu dipoi tra i primi padri mandato nell'India por procurar ivi la salute di quella gentilit. Conosciuta dal padre Saverio la virt e la prudenza sua, lo pose in quella parte dell'India, che chiamano Pescheria, il cui promontorio vien detto il capo di Comorin, e lo fece Superiore di tutti i nostri che ivi risedevano. Dove per le continue guerre de' re circonvicini per l'odio capitale che gli portavano i sacerdoti degl'idoli, per la necessit e povert del mangiare e del vestire pass molti e grandissimi fastidi; e soffr immensi travagli per esaltare e propagare la gloria di Ges Cristo. Essendo adunque nella provincia della di Remanancor, procurando di nudrire con il latte della dottrina cristiana, ed in essa conservar quelli, i quali per virt di Ges Cristo aveva nella fede generati; venne dimprovviso un esercito di soldati del re di Bisnag gentile, per desolare quella provincia. e distruggere insieme con essa la fede di Cristo. Pervenne repentinamente questa nuova alle orecchie del Padre Antonio, e subito si raccolse in una chiesa, dove quel giorno stesso aveva detto messa per raccomandar a Dio quelle pecorelle. Fatta la sua orazione, se n'and al lito del mare, e fece entrar nelle navi de' Portoghesi, che ivi erano fermate, tutte le donne cristiane ed i fanciulli, perch si salvassero in esse: e quantunque i Portoghesi lo importunassero molto, perch lasciando quelli di quel paese alla ventura, a se stesso attendesse e si riducesse in alcuna nave al sicuro; egli non volle mai farlo. Laonde in questo modo di se stesso dimentico, per salvare la vita di quei poveri ed innocenti cristiani, gli fu attraversato il passo dai Badagi, che cos chiamano quelle genti armate, s che non ebbe tempo di andare alle navi: e come vide, che gl'inimici contra di lui furiosamente venivano, senza turbarsi punto, and loro incontro e poste lo ginocchia a terra, alzate le mani, ed affissati gli occhi al cielo, constantemente s'offer alla morte. Pass presso a lui il primo e secondo squadrone degli inimici senza toccarlo; ma il terzo da un canto all'altro lo trapass con le zagaglie e con le lance; ed ispogliandolo del suo povero vestimento, e troncandogli il capo, lo posero sopra un merlo della muraglia. Fu questo padre e servo del Signore gran dispregiatore di se stesso, zelante dell'onor di Dio, e molto amico dell'ubbidienza, segnalatissimo nella virt dell'orazione; della cui vita, come virtuosa molto e provata, dava testimonio lo stesso Padre Francesco Saverio, dicendo, che egli desiderava, che tali fossero tutti i nostri, che passavano nell'India alla conversione di quella gentilit. Ed io, che conobbi molto bene il Padre Antonio, e fui suo compagno da Roma fino in Avignone di Francia, quando l'anno 1542 andammo insieme, egli alla volta di Portogallo, ed io di Parigi; sono buon testimonio de' grandi indizi di singolare virt, che in lui conobbi: e con verit posso dire, che molte volte meco medesimo meravigliato mi sono della fervente sua carit: di maniera che non meraviglia se Iddio nostro Signore a cotali principii seguir facesse fine tanto desiderato e glorioso, come il perder la vita, predicando la sua santa fede e guadagnando le anime per quello, che le ricomper col prezioso suo sangue. _______________CAPO XX.Come Papa Giulio III conferm di nuovo la Compagnia, e dell'Instituto e maniera di governo che Ignazio lasci ad essa. Morto in questo tempo Papa Paolo

III, che fu il primo dei Pontefici che con autorit apostolica conferm la Compagnia, e le concesse molte grazie e privilegi; lanno 1550 gli succedette nel Pontificato Giulio, parimente III di questo nome. Ignazio subito lo supplic, che gli piacesse di ratificar quello, che dal suo predecessore era stato fatto; approvando l'Instituto nostro e dichiarando alcune cose, le quali potevano essere o dubbiose ovvero oscure. Al che, volentieri acconsent il Sommo Pontefice, vedendo lutilit grande, che da questo seguir ne poteva; e comand che si espedisse e scrivesse una Bolla copiosa di questa sua approvazione e confermazione. Or quantunque in questa Bolla di Papa Giulio III si possa facilmente conoscere qual sia il fine e lInstituto di questa Compagnia; nondimeno perch questo si tocca in essa con brevit e non viene esplicato tanto, quanto forse alcuni vorrebbono, mi par ragionevole dar loro questo contento, e dichiarare pi diffusamente quello, che in essa sommariamente si contiene. N sar ci lontano dal proposito mio, poich nella vita che scriviamo del nostro Padre, fia bene che si conosca la forma e limmagine che egli fece della Compagnia, e le regole e le leggi che ad essa lasci per il suo governo. La Compagnia di Ges, cos chiamata nella sua prima instituzione e confermazione da Papa Paolo III e da tutti gli altri Sommi Pontefici, che a lui di poi sono succeduti, Religione, non di Monaci, n di Frati, ma di Chierici regolari, come dice il santo Concilio di Trento nella sessione 25 al capitolo XVI. La vita loro non solamente attiva, come la militare, n puramente contemplativa, come la monacale: ma mista, che abbraccia unitamente lazione delle opere spirituali, in cui si esercita; e la contemplazione, di donde nasce la buona e fruttuosa azione. Il bersaglio a cui mira, ed il fine a cui indirizza tutto quello ch'ella fa, la salute e perfezione propria e de' suoi prossimi. La salute consiste nell'osservanza de' comandamenti, e la perfezione nel seguire i consigli di Cristo N. S.; e l'una e l'altra ha principalmente la sua forza nella carit, e cos ella la regola, con la quale questa Compagnia si governa, e la stadera, con cui bilancia tutte l'altre cose. I mezzi de' quali si serve per fare acquisto di cotal fine, sono tutti quelli, i quali aiutar la possono per possedere la carit, e molto proporzionali al fine che pretende; come sono predicare continuamente la parola di Dio: insegnare ai fanciulli ed idioti la dottrina cristiana: ammonire la gente che fugga i vizi ed abbracci le virt: e dare loro la forma che hanno da tener per questo, e per orare con alcun profitto: esortar l'uso frequente e divoto de' Sacramenti: visitar gli infermi: aiutarli a ben morire: soccorrere spiritualmente i prigionieri ed i poveri degli ospedali: consolare e dar refrigerio in quello che pu, a tutte le persone bisognose e miserabili: procurar di por pace fra gli inimici: e finalmente impiegarsi nelle opere di misericordia, ed affaticarsi perch si fondino, s'aumentino, e si conservino nella repubblica tutte le opere di piet. Tutte queste opere e ministeri sono comuni cos ai collegi, come alle case della Compagnia: per altre ve ne hanno, che sono proprie de' collegi, nei quali i nostri insegnano; e queste sono l'esercizio delle lettere, che si professano o pubblicamente si leggono dai primi principii di grammatica fino all'ultimo della teologia, pi o meno, secondo il potere che ha ogni collegio; di modo che si unisca la dottrina con la virt, e nella giovent, la quale tenera e delicata, s'imprima l'amore della religione cristiana, ed insieme d'ogni bont. E tutto questo fa la Compagnia, non solo nelle province e terre de' cattolici, ma molto pi fra gli eretici e i barbari, per esser bisognosi e manchevoli

di dottrina, e perch Iddio N. S. l'ha mandata alla Chiesa sua principalmente per la difesa e propagazione della nostra santa fede. Questo il fine e tali sono i ministeri della Compagnia, e dall'uno o dagli altri si pu cavare quello, in che si ha da fare stima dell'Instituto suo e di quello delle altre Religioni, che hanno questo medesimo fine e si occupano in queste o in simili opere di carit. Poich tanto pi perfetta ed eccellente questa religione che quella, come dice S. Tommaso, quanto pi perfetto e pi universale il fine e lo scopo che ha l'una pi dell'altra; e quanto pi in numero migliori e pi certi sono i mezzi che prende per acquistar questo suo pi perfetto fine. Di tal maniera s'impiega la Compagnia in questi mezzi e in questi ministeri, che non pu per essi pigliar limosina alcuna, dando senza alcuna mercede quello che ricev senza mercede. Laonde non piglia denari, n altra cosa per le Messe che dice, per le confessioni che ode, per le prediche che fa, per le lezioni che legge, n per qualsivoglia opera dell'Instituto suo. E questo non perch non sappia che l'operario, come dice il Signore, meritevole del guiderdone per la fatica sua, e che, come dice l'Apostolo, giusta cosa , che chi serve all'altare, viva dellaltare; e che conforme a questo deve il popolo sovvenire con le sue limosine i religiosi e servi di Dio, che sostentano esso in quello che maggiormente importa: ma perch vede, che in questi calamitosi tempi dagli uomini perversi molto depresso l'officio ed il nome del sacerdozio, e che gli eretici, pigliando occasione dalla cupidit o poca circospezione, di alcuni, dicono male dell'uso santissimo de' Sacramenti, come fosse invenzione d'uomini, e non istituzione di Dio per nostro rimedio e salute. Per levar dunque l'occasione a quelli, che la vanno cercando, di dir male, ha voluto la Compagnia imitar in questo il beato Apostolo s. Paolo, il quale lodando quello, che facevano gli altri Apostoli, col prender ci che era dato per loro sostentamento, di se stesso dice, che predicava l'evangelo senza ricever da alcuno cosa alcuna, e che voleva prima morire che perder quella gloria che possedeva: e per questa cagione la Compagnia d graziosamente quello, che cos graziosamente riceve dalla mano del Signore. Per la medesima cagione segue la Compagnia nel mangiare e nel vestire una maniera di vita comune e moderata, come di poveri, ma bastante per a sostentare la fiacchezza umana e la miseria de' nostri corpi: laonde non ha abito particolare, ma il suo il comune degli onesti sacerdoti, nel quale procura sempre, che si faccia vedere l'onest, la modestia e povert, che a' Religiosi conviene. E cos il non aver preso cuculla, n abito proprio e particolare, stato perch la Compagnia, come abbiamo detto, non Religione di Frati, ma di Chierici. E perch avendo necessariamente da trattar con gli eretici, e con altra gente senz'anima, e perduta, poi che principalmente la mand Iddio per far guadagno di questa, la quale per le sue malvagit e per la corruzione e miseria di questo nostro secolo, sprezza di aborrisce l'abito delle Religioni, le parso che potr aver migliore e pi comoda entrata per disingannarli ed aiutarli, non avendo ella alcun abito proprio e distinto dal comune. Nemmeno usa asprezze e penitenze corporali ordinarie, che obblighino tutti per ragione dell'Instituto: e ci fa per accomodarsi alla complessione, sanit, et forze di ciascuno di quelli, che entrano in essa; e per por loro avanti una maniera di vita, la quale da tutti senza eccezione possa essere seguitata: ed anco perch tengono altre asprezze e carichi interiori molto pesanti, i quali son molto pi in numero di in qualit di quello che esteriormente pare.

N per questo lascia di far gran conto della necessit che vi , e di lodare la virt e forza di queste penitenze ed asprezze corporali, le quali riverisce e predica nell'altre sacre Religioni, ed ella per se stessa le usa, quando la necessit, ovvero l'utilit lo ricerca: e questo in modo, che o i superiori le danno, ovvero i sudditi col parere ed approvazione de' Superiori le prendono di loro propria e spontanea volont: il che si pone in opera con tanto fervore, che per grazia di Dio Signor nostro hanno bisogno pi tosto di freno, che di sprone. Ed essendo la Compagnia cos occupata in tante opere e tanto diverse, e d'importanza per salute delle anime, che sono proprie dell'Instituto suo, non ha coro ordinariamente, in cui, come si costuma nell'altre Religioni, si cantino le ore canoniche: perch non di essenza delle Religioni l'aver coro; di maniera che non possa esser Religione quella, che coro non ha. Poich come insegna molto bene S. Tommaso, si possono instituire e fondare Religioni per varii fini e per diverse opere di misericordia e piet, nelle quali quelli che si eserciteranno, quantunque non abbiano coro, saranno cos propriamente Religiosi, e nulla meno di quelli che lo hanno, e che ciascun giorno in esso cantando lodano il Signore. Laonde l'Ordine de' Predicatori del glorioso Patriarca S. Domenico pare che non avesse coro ne' suoi principii; poich si trova scritto, che impetrata la confermazione dell'Ordine suo, mandi, questo S. Patriarca tutti i suoi compagni a predicare per diverse parti del mondo; ed allora non poteva aver coro, essendo cos pochi in numero, ed essendo anco, come erano, i suoi santi Religiosi sparsi, chi in un luogo, e chi in un altro occupati in predicare. N per questo diremo che allora non fosse Religione, poi che fu anco in quel tempo assai chiara ed illustre. Ed il beato S. Gregorio Papa in un Concilio romano proib sotto gravi pene, che i Diaconi, i quali avevano da impiegarsi in predicare la parola di Dio, ed in compartir l'elemosine a' poveri, si occupassero nel coro, n facessero ufficio di cantori. Perch, come dichiarano i santi Padri, pi eccellente cosa lo svegliare i cuori degli uomini ed innalzarli alla considerazione delle cose divine con la predicazione e dottrina, che col canto e con la musica: e cos quelli, che hanno ufficio d'insegnar al popolo, e col pane della dottrina evangelica pascerlo, non devono, come dice S. Tommaso, occuparsi in cantare; acciocch col canto non lascino quello, che tanto importa. E se bene quel canone di S. Gregorio ora non si osserva, non per questo la ragione, per la quale fu fatto, lascia di aver la forza ed il suo vigore, il quale , che quegli, che occupato nelle cose di maggior importanza, pi necessarie e pi utili, per attendere ad esse, deve esser libero dal coro e dagli altri esercizi, che sturbare lo possano. Laonde vediamo che nel principio della primitiva Chiesa i santi Apostoli lasciarono il pensiero di ripartire le limosine, se bene era opera di carit, e le raccomandarono ai sette Diaconi per non distrarsi dalla predicazione che molto pi importava, dicendo: Non giusto che noi altri lasciamo di predicare la parola del Signore per dar da mangiare ai poveri. E conforme a questo in tutte le Religioni, ed in quelle anco, che secondo l'instituto loro sono obbligate al coro; i predicatori, gli studenti e tutti quelli che sono impediti negli uffici gravi, o in altri domestici, non hanno obbligo cos stretto d'andar in coro; acciocch, disobbligati da questo debito, possano meglio attendere agli uffici loro. E quelli della nostra Compagnia con pi ragione, poich non l'ha per suo instituto o vocazione, tutti sono disobbligati dal coro: peroch tutti sono o pubblici professori, o predicatori, o

confessori, o studenti, o fratelli laici che servono; ovvero finalmente persone, che per l'instituto loro sono occupati in ministeri spirituali e d'importanza, o in domestici e necessari esercizi; o fuori di questi non li ha alcuno che sia disoccupato, e che possa solamente impiegarsi in cantare. Per lo che essendovi nella Chiesa universale di Dio tante chiese particolari e Religioni, le quali per loro instituto ed obbligo si esercitano santissimamente in lodare e glorificare Iddio nel coro, delle quali pu approfittarsi e godere quegli che avr divozione e vorr risvegliare l'anima sua alle cose divine col canto; parso alla Compagnia di far elezione di quella parte la quale, sebbene in se stessa non la meno necessaria o men fruttuosa, ha nondimeno pochi che la trattino e che si esercitino in essa. Quindi per meglio impiegarsi e porre tutto il nervo dello suo forze in cosa che tanto vale, n distrarsi o impedirsi in altre cose, che non sono tanto necessarie, per sante e lodevoli che siano, lascia agli altri quello che suo, lodando il Signore che le diede tale Instituto, e si occupa in quello, che proprio della sua vocazione: imitando parimente in questo l'Apostolo S. Paolo, il quale di se stesso dice, che il Signore non l'aveva mandato a battezzare, ma a predicare: non perch non fosse cosa santa e necessaria per la salute dell'animo il battezzare; poich il Battesimo porta di tutti i Sacramenti; ma perch vi erano molti altri che battezzavano, o non tanti che potessero predicare. Specialmente che nella guerra non meno servono gli esploratori, che i soldati che combattono; n meno gli ingegneri, che sotterra formando mine rovinano le fortezze dei nemici, di quel che facciano coloro, i quali, precipitale gi le muraglie, animosamente danno l'assalto: n ha minor parte nelle spoglie degli inimici e nella vittoria quel soldato, che resta a guardar le bagaglie, di quello che combatte e vince. N riceverono meno lo spirito del Signore Eldad e Medad, due de' settanta vecchi, che elesse Mos per volont di Dio, quantunque se ne restassero ai padiglioni del campo, che gli altri sessantotto che stavano avanti al tabernacolo. Per quegli che mangia, non condanni quello che sobrio, n quegli che sobrio , giudichi quello che mangia, come dice l'Apostolo; anzi e gli uni e gli altri lodino il Signor universale, poich comparte i suoi doni come gli aggrada. E alla Compagnia pare, con l'occuparsi in tante cose profittevoli per il popolo e con le orazioni che del continuo fa, e con le messe che dice per i suoi benefattori, di compir all'obbligo che tiene per la carit e per l'elemosina che riceve. E perch per esercitare, come si deve, i ministeri che abbiamo detto, vi bisogna primieramente molta virt e parimente buona inclinazione naturale e pi che mezzane lettere, ed avere una buona grazia per trattare e conversare con gli uomini, ed essere da essi tenuti in buona opinione e fama, non riceve questa Compagnia niun uomo tra i suoi che sia, secondo la legge canonica o civile, riputato infame; n ammette gente, la quale pensi, che nella sua vocazione debba essere inconstante: finalmente rifiuta ognuno che abbia avuto e portato abito di qualsivoglia altra Religione; perciocch desidera che ognuno segua la vocazione ed inspirazione del Signore, e perseveri in quella il cui stato chiamato, e che tutte l'altre sacre Religioni crescano ciaschedun giorno pi, e fioriscano nella santa Chiesa in numero, frutto e vera gloria di Dio. Laonde riceve solamente quelli, i quali dopo molto stretto esame ella intende e conosce, che sono chiamati e tirati da Dio all'Instituto suo, e che per esso possono essere di utile e di profitto. Questi tali sono di una di queste quattro seguenti maniere.

La prima di uomini gi fatti, i quali, dopo avere finiti i loro studi, dalla mano di Dio toccati , desiderano totalmente dedicarsi al suo servigio, e per beneficio ed utile delle anime impiegare in questa Compagnia tutto quello che appresero al secolo. La seconda di quelli che si contentano di porre la sufficienza e quelle parti che Iddio diede loro nelle occupazioni e ministeri, i quali suole a ciascuno distribuire la Compagnia, conforme al talento, capitale ed attitudine che in ciascuno de' suoi conosce. La terza di giovani vivaci, di buono ingegno e di speranza; i quali si ricevono, non perch abbiano studiato, ma perch studiare debbano per l'avvenire ed apprendere le lettere che sono di mestieri per l'altrui profitto. La quarta d'alcuni fratelli laici, i quali, contenti della felice sorte di Marta, servono a Dio nostro Signore, aiutando negli offici comuni di casa, levando agli altri simile travaglio, e per questo si chiamano Coadiutori temporali. Tutti quelli di queste quattro sorti, che abbiamo raccontato, hanno due anni di noviziato, ne' quali non tengono obbligo di fare voto alcuno, ma solo di provare se medesimi e la Religione. E questo spazio di tempo che si prende per la probazione, pi lungo assai di quello che s'usa nelle altre Religioni, oltre l'essere molto utile per quelli che vi entrano, perch hanno pi tempo da mirare prima bene a quel che fanno, apporta anco molto profitto alla stessa Religione; la quale prova parimente loro, e gli esercita nell'orazione. vocale e mentale, e nella mortificazione ed umiliazione di se medesimi, contraddicendo loro in molte cose, e facendo di essi, come si suole dire, anatomia, per conoscerli meglio, per esercitarli e perfezionarli maggiormente. Ed ci molto conforme alla ragione e dottrina de' Santi ed alla variet, che anticamente intorno a questo nella Chiesa di Dio si usava; ci , che quanto pi perfetto e difficile sia l'Instituto, che si ha da apprendere, si riguardi pi e con pi attenta considerazione si ammettano. E per questo la Sede Apostolica d alla Compagnia due anni di probazione, ne' quali i Maestri de' novizi ed i Superiori hanno gran cura di esaminare molto attentamente la vocazione di ciascuno di essi, come l'intendano e come in essa si confermino. Hanno parimente pensiero di conoscere le inclinazioni, abilit e talenti loro, per porre ognuno nell'officio che pi se gli conviene; di maniera che con quiete e consolazione servano e corrispondano alla grazia del Signore, che li chiam. E con tutto che loro insegnino molte cose per indirizzarli ed incamminarli nel conoscimento della Regola e nella perfezione dell'Instituto, quattro nondimeno sono gli avvisi ed i documenti, che loro si danno, i quali sono come quattro fonti, da cui tutti gli altri ne scaturiscono; ed ebbero l'origine loro dallo spirito e dalla dottrina del nostro P. Ignazio. Il primo , che cerchino e procurino in tutte le cose di ritrovare Iddio nostro Signore. Il secondo, che tutto quello che faranno, lindirizzino alla maggior gloria di Dio. Il terzo, che impieghino tutte le forze loro in fare acquisto della perfetta ubbidienza, rendendo la volont ed i giudizi loro soggetti ai Superiori. E il quarto finalmente, che non cerchino in questo mondo, altro, che quello che cerc Cristo Redentore nostro; di modo che, siccome egli venne al mondo per salvare le anime, e patire per esse, e nella croce morire; cos procurino essi, quanto potranno, di guadagnarle a Cristo, e per esse offerirsi a qual si voglia travaglio e morte con allegrezza; ricevendo qualunque affronto ed ingiuria, che loro sar fatta, con giubilo e contento di cuore per amor del Signore; desiderando, che molte offese fatte loro siano, in tal modo per, che dal canto loro non ne diano alcuna

cagione, n meno occasione perch Iddio resti offeso. E se per avventura alcun novizio non ubbidisce ai consigli ed ammonizioni de' suoi Superiori, e non abbraccia, come deve, l'Instituto della Compagnia, dopo di essere stato molte volte corretto ed ammonito, lo mandano fuori di essa: perciocch di niuna cosa si ha maggior cura per conservare sano ed intiero questo corpo, che di non tenere in essa persona, che non convenga all'Instituto di lei. Passati i due anni del noviziato, gli uomini gi letterati, e che hanno bastevole dottrina per esercitare i ministeri della Compagnia, se rendono buon conto di s ed intiera soddisfazione come della dottrina, cos della vita loro, possono fare la professione ed i voti solenni: ma se non si ha tanta esperienza ed approvazione di essi, si differisce la professione, e frattanto che viene il tempo di farla, fanno tre voti di povert, di castit e di ubbidienza perpetua alla Compagnia; ed il medesimo fanno, finito il loro noviziato, tutti gli altri che abbiamo detto. Questi voti non sono solenni, ma semplici, co' quali si obbligano quelli che li fanno, di perseverare nella Compagnia, la quale per altro non obbligata a tenerli per sempre; anzi ha autorit e libert per iscacciarne quelli, che di s non daranno buon conto avanti la professione, restando essi, quando saranno licenziati, liberi dall'obbligo loro. Laonde in questi voti contiensi una promessa libera, volontaria e semplice di darsi in perpetuo con la condizione gi detta alla Religione; e quindi chi li fa, vuole dalla parte sua, dopo avere gi per lo spazio di due anni, ben esplorata e conosciuta ogni cosa spettante alla Compagnia, vivere e morire in essa: la qual cosa, essendo egli pienamente libero e padrone di s, avrebbe pure potuto fare anche prima di entrare nella medesima, senza sapere cos per minuto la Regola di lei e il carico, ch'egli intanto sopra di s prendeva. Ma se bene la Compagnia non ha preciso obbligo, che nasca dai voti, che fa colui, che in essa entra; non per lascia di averne un altro grandissimo e fermissimo, in cui la pone l'Instituto suo, le sue Regole e Constituzioni: le quali comandano, che non si licenzi alcuno, se non con molta considerazione, non per infermit, in cui sia caduto servendo la Compagnia, n per altre tali leggiere cagioni, alle quali per altra via rimediar si pu; ma per cose tanto gravi e che facciano cotanta forza, che sopportar non si possano senza notabile danno della Compagnia, o di quel medesimo, che fuori ne vien mandato; e che il ritenerlo fosse con grave pregiudizio della carit. E quando anco la necessit obbligher a questo, vogliono che si faccia con tanto riguardo e circospezione e con tali dimostrazioni di amore e di dolore, quali si possono desiderare; cos per il bene e per lestimazione di colui, che si diparte come per l'edificazione ed utilit di quelli che ne rimangono. E perch ci con maggior certezza e considerazione si faccia, solo il Preposito Generale ha facolt di licenziare dalla Compagnia quelli, che dopo i due anni in essa hanno fatto i loro voti: di maniera che non in mano de' Superiori, secondo il volere ed arbitrio loro, mandar via dalla Compagnia quelli, che vogliono; ma il carico loro , che in essa si viva con ordine e con legge; e procurare in tutte le cose di usare la debita moderazione, e in questa via maggiormente che in qual si voglia altra: perch di maggior importanza, e non solamente perch la carit cristiana lo ricerca, ma perch anco interesse dell'istessa Compagnia, la quale molto danno riceverebbe ed a se medesima farebbe grandissimo pregiudizio, se precipitosamente e con poca considerazione scacciasse gli uomini gi fatti e posti in

perfezione, dopo tanti anni di pensieri, travagli e spese sue, avendoli con tanto esame e riguardo ricevuti quando erano giovani e senza aver in s tante parti di virt e di dottrina: perch questo sarebbe un travagliar molto nel tempo del seminare ed esser alla raccolta negligente e trascurato. Di pi essendo il fine della Compagnia eccellentissimo e ripieno di molte e gravissime difficolt di mestieri che quelli che in essa vivono, siano uomini di molto conosciuta ed approvata virt, ed esercitati molto nelle cose spirituali, se di esse vogliono far acquisto. E per questa cagione ha giudicato, che non convenga ammettere alcuno alla professione, la cui virt e dottrina non sia molto ben conosciuta ed isperimentata; acciocch i suoi figliuoli sopra di s non prendano carico maggiore di quello, che possono portare; s che sotto di esso non cadano rompendosi il capo, ed apportando scandalo, e facendo danno a quelli, ai quali sono in obbligo di dar edificazione ed arrecar giovamento. E cos mentre che si provano e via maggiormente s'esercitano, si legano con quest'obbligo de' voti, che abbiamo detto; ed a poco a poco si vanno adattando e salendo, come per gradi e scaglioni, fino alla sommit. E bench questa maniera che abbiamo detto di far i voti, par nuova; nondimeno molto conveniente per questo Instituto, che in ci parimente nuovo: utile a quei medesimi, che fanno i voti, necessaria per la Compagnia, e per la Chiesa di Dio di grandissima utilit. Perciocch quelli che fanno i voti, di subito godono del merito e del frutto di essi e legati con l'obbligo loro si rendono pi forti e robusti nella vocazione, a cui furono da Dio chiamati. E la Compagnia con questi pegni rimane pi sicura e con minor timore e sospetto di perder le fatiche suo, e la gente l'elemosine: come avverrebbe se quelli che sono nella Compagnia, per non aver obbligo n voto, fossero in libert di lasciarla e ritornarsene a loro beneplacito al secolo, dopo essere dimorati in essa molti anni ed aver fatto acquisto di dottrina e di credito, a costo de' sudori e de' travagli di lei e delle facolt de' suoi benefattori: il che sarebbe contra ogni ragione; della stessa maniera, che se alcun ecclesiastico, dopo essersi molto tempo approfittato delle rendite della Chiesa ed arricchitosi con i beni de' poveri e con il patrimonio di Cristo nostro Signore, ritornasse a dietro e lasciasse lo stato ecclesiastico. Laonde perch questo far non si possa, comandano i sacri Canoni 45, che il chierico che ha la chiesa parrocchiale, si ordini da messa, se ordinato non , entro allo spazio di un anno dopo avuto il beneficio: e se non lo far per essere dispensato dal Vescovo, acciocch possa attendere agli studi, si ordini almeno da Suddiacono; comandando questo, perch avendo goduto delle rendite del Beneficio, non possa mutare stato e volgersi altrove, prendendo la santa Chiesa il voto, che quel tale fa, come per arra e pegno della sicurezza sua. Con questo parimente viene la Chiesa di Dio ad essere libera da gran numero di apostati, che uscirebbono della Compagnia, restando sempre obbligati ai loro voti, senza poter prendere altro stato, della maniera che fanno gli apostati delle altre Religioni; come ne insegna l'istessa esperienza. E non ricevono aggravio alcuno quelli, che in questa maniera si licenziano, poich con questa condizione entrarono e restano liberi, come abbiamo detto, e comunemente in tutto si partono con maggior utile loro, che quando vi entrarono; e non si d loro licenza, se non per il ben proprio di essi, ovvero di tutta la Compagnia: il quale per esser comune ed appartenente a molti, si ha da preferire al bene particolare di ciascuno. E poich in tutte le Religioni

per cagioni gravi ed importanti possono e sogliono scacciarsi i Religiosi di essa, quantunque professi, restando essi sempre obbligati ad osservare i voti e la loro professione; non fa torto la Compagnia a quelli, che manda via, non essendo professi, rimanendo senza alcun obbligo e signori di loro stessi: n irragionevole cosa , che una persona particolare si abbia da fidar pi di tutta la Compagnia, quando entra in essa, credendo che senza cagione non sia per licenziarla, di quello che si debba fidare la Compagnia di un particolare, sperando che perseverar debba, senza far voto, n aver di ci alcun obbligo; poich le parti non sono uguali. Quantunque, se ben si riguarda, non minore la sicurezza che tiene il particolare, fondata ed assicurata nellInstituto e nelle Regole di tutta la Compagnia di quella che essa ha con il voto e la promessa del particolare. Da queste utilit ed altre molte, le quali sarebbe lungo il raccontare, cavar si pu quanto sia importante questa maniera ed obbligo di voti per il nostro lnstituto, al quale se vorremo attentamente aver riguardo, troveremo che molto conforme a quello che anticamente si usava nella Chiesa di Dio, ne' Seminari che si tenevano di sacerdoti, come si vede in alcuni Concilii Toletani 46 ed in altri, de' quali non mestieri il fare qui menzione, n addurre per questo altre ragioni ed autorit; poich la Santa Sede Apostolica con l'autorit di tanti Sommi Pontefici ed il sacrosanto ed universale Concilio di Trento ne' suoi Decreti hanno il tutto instituito ed approvato. Ritornando dunque alle quattro sorti di persone, che nella Compagnia si ricevono, delle quali gi abbiamo detto, che quelli, i quali sono segnalati in lettere, fanno quello che di sopra abbiamo raccontato, gli altri che chiamiamo Coadiutori spirituali sono come soldati di soccorso, che aiutano i professi a portare i loro carichi, e stanno a tutte le ore in punto ed apparecchiati quando si tocca all'arme e si offerisce cosa alcuna da fare, che sia in servigio del Signore. I Coadiutori temporali si esercitano ne' loro uffici, aiutando gli altri; acciocch disoccupati da questo particolare esercizio, possano in quello che tocca loro, meglio impiegarsi. Gli studenti studiano ed imparano lettere, procurando d'accompagnare il buono spirito che nel noviziato beverono con la dottrina: ed in tutto il tempo dei loro studi di tal maniera si occupano in essi, che di se medesimi non si scordano, n della propria mortificazione: anzi ai suoi tempi si esercitano in alcuni dei ministeri che di poi, quando sono professi, hanno da fare, e si vanno abilitando per tutte quelle cose, nelle quali di poi hanno da impiegarsi. Tutte queste cose si fanno nei collegi; perch la Compagnia ha case e collegi, fra i quali vi questa differenza. Le case sono o di probazione, nelle quali si provano ed esercitano i novizi della maniera che detto abbiamo; ovvero sono case de' professi, in cui solamente risiedono gli operai gi fatti, i quali si occupano in confessare e predicare ed in altri spirituali ministeri per beneficio de' prossimi. I collegi sono di studenti ne' quali, quantunque si trattino alcune delle opere de' professi, la loro principale occupazione per di imparare, ovvero di apprendere le lettere necessarie per questi ministeri. Le case de' professi non hanno, n aver possono alcuna entrata, se ben fosse per la fabbrica della Chiesa, ovvero per gli ornamenti ed apparati di essa; n in comune, n in particolare: n possono acquistar azione da chiedere per giustizia l'elemosine perpetue che vengono loro lasciate, ma vivono di quelle che giornalmente ricevono. Le case di probazione ed i collegi possono avere entrata in comune; acciocch i novizi ai popoli non siano cagione di

carico, ma piuttosto di utilit, cominciandoli a servire; e gli studenti avendo un certo loro mantenimento necessario per lo vitto e vestito, non abbiano ad aver pensiero dandarlo cercando; ma solo s'impieghino tutti in imparar le scienze che per aiuto degli altri sono necessarie. Queste case de' novizi e collegi sogliono esser fondate e dotate di rendite ed entrate, ovvero dalle citt dove si fondano, dei beni della comunit, ovvero da alcune persone principali e ricche, delle facolt, le quali Iddio nostro Signore loro favorisce, servendosi di esse per questo effetto e per apparecchiare operarii che di poi si affatichino nella sua vigna, come nel seguente Capitolo si dir. Le entrate de' collegi sono maneggiate da' professi, i quali in niun modo di esse per se stessi servir si possono, ma con integrit si hanno da spendere in provvedere agli studenti e sostentarli. Laonde quelli che hanno le entrate, non hanno il dominio di esse, n possono dispensarle; ma solamente godere de' beni che possiedono; e quelli che hanno il dominio e l'amministrazione, ovvero sopraintendenza di questi tali beni, non cavano alcun frutto temporale dalle fatiche loro per se medesimi, ma per quelli solo dei quali sono ed a cui hanno a servire. Gli studenti, finiti i loro studi, tornano di nuovo un'altra volta a dar saggio di loro stessi; e con nuove probazioni si affinano per rendersi puri via maggiormente e farsi abili per essere poi ammessi nel numero de' professi, ovvero de' spirituali coadiutori. Dai professi si eleggono gli Assistenti, i Provinciali, i Commissari, i Visitatori, e lo stesso Preposito Generale: per lo che molto importante e necessaria cosa , che i professi siano uomini di molto rara virt, dottrina ed esperienza, e che in comune vivano con gli altri; acciocch con l'umilt e modestia loro le altre cose si facciano uguali, che disuguali possono parere. I detti professi fanno i tre voti solenni, come si usa nelle altre Religioni, di povert, castit e ubbidienza perpetua: perch in essi consiste lessenza e la forza della Religione. Aggiungono a questi un altro quarto voto solenne, che proprio e particolare di questa Compagnia, di ubbidire al romano Pontefice, non solo nelle cose, nelle quali tutti i Religiosi e i cristiani sono obbligati di ubbidire; ma anco in altre, dove non vi ha legge espressa che obblighi ad esse. Ed stata disposizione di Dio il farsi questo voto nella Compagnia in tempi cos miserabili e di tanta calamit, nei quali vediamo, che gli eretici con tutte le loro forze e con macchine procurano di espugnare l'autorit della santa Sede Apostolica. E lasciando da parte le utilit, che seguono da questo voto, le quali si toccano nel Sommario dell'Instituto nostro e nella bolla della confermazione della Compagnia, grandissimo bene il fortificare con qneslo volo di ubbidienza a Sua Santit quello, che gli eretici pretendono di distruggere e di gittare a terra. E perch non solamente il governo della Compagnia sia di presente tale, quale esser deve, ma che anco dalla parte nostra si serri la porta a quello che per l'avvenire danno ci pu arrecare, e si sbarbichino le radici dell'ambizione e della cupidit, la quale il continuo tarlo di tutte le Religioni; fanno parimente i professi altri voti semplici, e promettono di non alterare, n mutar quello che ordinato nelle Costituzioni intorno alla povert, se non fosse per restringerla via maggiormente: e di non pretendere direttamente, n indirettamente carico alcuno nella Compagnia, e discoprire e manifestare quelli che sapranno che ci pretendono: e di non accettar fuori della Compagnia alcuna dignit, se non saranno forzati per ubbidienza di chi pu loro comandare e obbligarli sotto

peccato. La forma del governo questa. Vi ha un Preposito Generale, il quale Superiore e Padre di tutta la Compagnia, e si elegge con i voti dei Provinciali e di due professi per ciascuna provincia, che siano stati nominati nelle congregazioni provinciali di ciascheduna di esse, per andare con i loro Provinciali alla congregazione generale. Dura il Preposito Generale, mentre vive, ed ha fra tutti la somma autorit e potest. Egli con la grande informazione che ha di quelli, che a lui sono soggetti, elegge e costituisce i Rettori de' collegi, e Prepositi delle case professe, i Provinciali, i Visitatori e i Commissari di tutta la Compagnia. Con questo si leva loccasione delle passioni, inquietudini ed altri inconvenienti, i quali succeder sogliono quando i Prelati e Superiori per voto e volont di molti si eleggono. Tiene pure il Preposito Generale, o per se o per altri, la soprintendenza de' collegi: comparte e concede le grazie e i privilegi, che abbiamo dalla santa Sede Apostolica pi o meno, secondo che gli pare. In sua mano il ricevere nella Compagnia e il licenziare, far professi, chiamare a congregazione generale, ed esser in essa presidente. Finalmente sono quasi tutte le cose poste nell'arbitrio e volont di lui. E perch egli non abusi di questa cos grande autorit, oltre la cura e diligenza, che si pone in fare elezione del migliore di tutti, e che si giudica che sia pi idoneo e abile per tal carico, la quale tutta quella che umanamente usare si pu, dopo l'elezione del Generale, da quei medesimi, che hanno eletto lui, si nominano altre quattro persone delle pi gravi e segnalate di tutta la Compagnia; e chiamansi Assistenti; acciocch assistano o siano consultori del Generale. L'ufficio dei quali, primieramente moderare i travagli di esso, provvedere al vitto e vestito suo, avvisarlo con umilt di quello che loro pare conveniente, per il buono stato e up governo della Compagnia. E nominasi ancora dalla stessa Compagnia uno che si chiama Ammonitore, che ha questo ufficio di ammonire pi in particolare il Generale di tutto quello che se gli offerisce. E perch pu essere, che il Generale, come uomo, cada in alcun grave errore, come sarebbe se fosse troppo precipitoso, e che mandasse a male e dissipasse le rendite de' collegi, e che avesse mala dottrina, e fosse nella sua vita scandaloso; possono in questi casi gli Assistenti convocar la Compagnia e chiamare a congregazione generale, la quale siccome rappresenta la Compagnia tutta, cos superiore allo stesso Generale e tiene la suprema potest; e quindi pu inquirere ed esaminare lo colpe di esso, e conforme a quello che si trover, imporgli la pena. Perciocch pu avvenire caso, in cui il Preposito Generale sia spogliato e privo del suo ufficio, e castigato con altre pene maggiori. Laonde pare, che il governo di questa Compagnia, quantunque si avvicini molto alla monarchia, nella quale vi ha un solo che principe e capo di tutti, tiene per ancora molto del governo, che i Greci chiamano aristocrazia, la quale delle repubbliche; in cui i pochi ed i migliori reggono e governano; e cos lasciando quel cattivo e periglioso che pu e suole trovarsi in questi governi, ha fatto scelta di quel buono che ciascuno di essi in s contiene: perciocch non vi ha dubbio, che il governo di un principe solo e di un solo capo, dal quale dipendono tutti gli altri, il migliore, il pi durabile e pacifico di quanti ve ne abbiano: ma questo interviene per, se il principe giusto, e se quegli che capo, sia savio, prudente e moderato. Vi ha nondimeno gran pericolo, che questi non insuperbisca ed a se stesso allentando il freno, con il potere che ha, segua l'appetito e la propria passione, e non la ragione e la

legge: e che quello, che concesso gli fu per l'utilit e per il bene di molti, in pregiudizio e danno loro lo converta, e muti la medicina in veleno: e quantunque non cada in questo estremo, e sia accorto e molto prudente, non possibile per, che essendo un solo, sappia tutte le cose. E per, dice lo Spirito Santo, che la salute del popolo si ritrova, dove vi sono, molti consigli, ne' quali ciascuno dice quello che sa meglio degli altri, e propone quello, di cui ha fatto esperienza per il beneficio comune. Ma per d'altra parte nella moltitudine di quelli che governano, vi ha molto pericolo, che quanti capi sono, non vi siano altrettanti pareri, nei quali si venga a partire e sconcertare quell'unit cos necessaria per la conservazione degli uomini e delle repubbliche, ed insieme con essa la concordia, che l'anima e la vita di tutte le buone unioni e comunit. Per fuggir dunque la Compagnia questi inconvenienti cos grandi, che nell'una e nell'altra sorte di governo si ritrovano, ha preso l'unit della monarchia, facendo un solo capo, ed il consiglio della Repubblica, dando Assistenti al Preposito Generale; ed ha saputo cos ben congiungere l'uno con l'altro, che per una parte il Preposito Generale comandi a tutti, e per l'altra, in quello che tocca alla sua persona, sia soggetto, e gli Assistenti siano consiglieri e non giudici di lui. Questo il delineamento ed il modello, che con poche parole ho potuto effigiare del governo ed Instituto, che di questa Compagnia il Padre Ignazio ci lasci. La quale, come cavar si pu dalle cose narrate, quantunque abbia molee cose e molto essenziali, somiglianti e comuni con le altre Religioni, ve ne ha nondimeno parimente altre da esse differenti, e che sono proprie e particolari di lei. Perciocch come per essere Religione, dee necessariamente avere le cose essenziali che tengono le altre, le quali sono i voti di povert, castit e obbedienza, nelle quali la natura e sostanza della Religione consiste, e senza di cui tale esser non potrebbe; cos per essere Religione di preti, come dice il sacro Concilio di Trento (Sess. 25, c. 16), ha da esser ancora differente dalle altre Religioni monacali e di frati, in quello, in cui si distinguono e sono da quello de' preti dissomiglianti. Ed essendo parimente cosa certa, che quantunque tutte le Religioni abbiano un medesimo fine generale, che di seguitare i consigli di Cristo Signor nostro, e la perfezione che nel sacro evangelo s'insegna, ha per ciascuna il suo fine particolare a cui mira, e come a scopo e meta indirizza tutte le sue operazioni: ed essendo, come sono, questi fini particolari gli uni dagli altri differenti, necessariamente hanno anco ad essere tali i mezzi, che si prendono per far acquisto di detti fini; poich dal fine dipendono i mezzi, come da regola e misura, con la quale si hanno da regolare e da misurare. E non vi ha Religione alcuna tanto simile all'altra, che non tenga alcune cose proprie sue, e differenti da tutte le altre. E ciascheduna delle Religioni ha i suoi privilegi e dispensazioni della legge comune, che fa il Vicario di Cristo Signor nostro, come autore, interprete e dispensatore di essa, per il bene ed ornamento della santa Chiesa: la quale riccamente adornata e composta con questa bellissima e meravigliosa variet, ed a guisa dei numerosi e ben ordinati eserciti, tiene molti e molto abili squadroni di gente che combattono tutti insieme; ma per ognuno con le sue proprie armi, le quali sogliono essere cos differenti , come sono i soldati che di quelle si servono. Finalmente Iddio nostro Signore, che con la sua altissima ed infinita provvidenza governa tutte le sue creature, d i rimedi alle necessit conformi, ed applica le medicine secondo che la natura dell'infermit le

ricerca: e nei tempi determinati dal suo divino consiglio, manda ed invia le varie Religioni, quali piacciono a sua divina Maest, perch () della cattolica Chiesa 46 .____________LIBRO QUARTOCAPO I.Come Ignazio volle rinunziare il Generalato, ma dai Compagni non fu consentito.Vedendo Ignazio un'altra volta confermata la Compagnia da Papa Giulio Terzo, e col buon successo, che nostro Signore le andava somministrando ogni giorno, vie pi stabilita, l'anno 1550 chiam a Roma tutti i principali Padri della Compagnia, i quali in varie terre e province abitavano, e che senza danno di essa vi poterono venire 47. Essendo adunque ivi
congregati, mand loro na lettera scritta di sua mano, la quale questa che segue. Ai carissimi nel Signore i Fratelli

della Compagnia di GesAvendo fra me stesso pensato e considerato in diversi mesi ed anni, senza sentire in me alcuna turbazione interna o esterna che potesse disviarmi dal mio proponimento, dir al cospetto del mio Creatore e Signore, che mi ha con eterna sentenza da giudicare, quanto io sento a gloria e lode maggiore di sua divina Maest. Vedendo realmente senza passione alcuna, che in me medesimo io provi, i miei molti peccati, per le molte imperfezioni e molte infermit mie, tanto interiori, quanto esteriori, son venuto del tutto in questo sentimento, che io sono quasi per infinita distanza lontano da quelle parti, che si richieggono per tener questo carico della Compagnia, il quale presentemente io sostengo per comandamento ed imposizione di essa. Io desidero nel Signor nostro, che molto si consideri questa cosa; e che si elegga un altro, il quale meglio, o pure non cos male faccia l'ufficio mio; e che in lui trasportiate il governo della Compagnia. E non solamente sono in ci confortato dal mio proprio desiderio, ma con molta ragione giudico, che si dia, questo ufficio non solo a chi meglio, o non cos male, ma a chi mediocremente lo eserciter. Ci posto, nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, un solo mio Dio e mio Creatore, io semplicemente ed assolutamente depongo e rinunzio il carico, che ho, chiedendo, e nel Signor nostro con tutta l'anima mia pregando, cos i Professi, come quelli i quali per questo si vorranno congregare, che vogliano accettare questa mia offerta nel cospetto della divina Maest cotanto giustificata. E se tra quelli, che hanno da approvare e giudicare a maggior gloria divina, si ritrovasse alcun disparere e differenza, per amore e rispetto di Dio nostro Signore, dimando, che ci vogliano molto raccomandare a sua divina maest; acciocch in tutto si faccia la santissima volont di lui a maggior gloria sua, ed a maggior bene universale delle anime e della Compagnia, desiderando che tutto si riferisca sempre alla maggior lode e gloria di Dio. Letta questa lettera, tutti i Padri ad una voce incominciarono a lodare quello che Ignazio pretendeva di fare, ed insieme il desiderio di lui cos santo, meravigliandosi molto di tanto profonda umilt, quanto in questa azione chiaramente risplendeva. Perciocch essendo tanto provvido e tanto vantaggioso per ogni modo il suo governo, si stimava per egli insufficiente per governare. Ma con tutto ci dissero, che non potevano eglino con buona coscienza far quello di che egli li richiedeva, n meno soddisfarlo di avere, mentre egli vivesse, altro che lui per Generale. E questo gli diedero per risposta, mandando chi in loro nome ci gli dicesse; aggiungendovi di pi, ch'egli era Padre della Compagnia, che lo tenevano per maestro e per guida di tutti; e che avendolo Iddio eletto, perch come savio architetto ponesse i fondamenti di questo

edificio spirituale, sopra del quale essi e tutti gli altri figliuoli suoi vadano, come pietre vive, fermandosi e stabilendosi sopra la gran pietra angolare, che Cristo Ges, e crescano per far questo santo tempio al Signore, in niun modo volevano operar cosa, per la quale venissero ad esser tenuti per isconoscenti di questo cos gran beneficio, o per poco grati, anzi per ingrati a Dio. In questo medesimo tempo cadde Ignazio in una gravissima infermit; e pensando, che il Signore volesse liberarlo dalla prigione del corpo, era tanto il godimento, che con questa speranza sentiva l'anima sua, e tali gli affetti ed i sentimenti di essa, che da pura allegrezza sospinto, non poteva reprimere le abbondanti lacrime, che dagli occhi gli discendevano. E necessaria cosa fu che i Padri lo pregassero, che alquanto da quei santi, amorosi ed accesi desiderii si distornasse, e che non procurasse tanto e cos spesso d'innalzare i suoi pensieri al cielo; perch debolezza e fiacchezza notabile gli cagionavano. _________________CAPO II.Delle Constituzioni, che Ignazio scrisse. Perduta Ignazio la speranza di scaricarsi dal peso dell'ufficio suo, e gi liberato dall'infermit in cui di recente era caduto; conoscendo esser tale la volont di Dio, con nuovo animo si applic al governo della Compagnia, procurando di dare la perfezione sua a quelle cose, che aveva incominciate. E prima di ogni altra cosa per cingerla con leggi e stringerla con regole ed ordinazioni, mostr ai Padri le Costituzioni, che egli medesimo, importunato da tutta la Compagnia, aveva scritte; acciocch le vedessero e le esaminassero. Oggid abbiamo un quaderno scritto di proprio mano di esso, il quale dopo la sua morte si ritrov in una cassetta, nella quale s per aiutare la memoria, s anco per meglio accertarsi ed assicurarsi in quello ch'egli determinava, scriveva giorno per giorno le cose che passavano per l'anima sua; e queste si attengono non tanto alle visitazioni ed illuminazioni celesti, con le quali era da Dio favorito, quanto al modo che teneva in pensare e deliberar quello che scriveva intorno alle Costituzioni. Da questa scrittura chiaramente si scorge la virt d'Ignazio, la grandezza della divina liberalit con esso lui, e l'autorit e riputazione, nella quale da noi altri debbono esser tenute le Costituzioni. Baster che io tocchi quello, che gli occorse sopra la povert, la quale nella Compagnia si ha da osservare, n voglio stendermi a dire delle altre materie perch sarebbe cosa lunga. Quaranta giorni continui disse messa, e si diede all'orazione con maggior fervore di quello che soleva, per determinar solamente se conveniva o no, che le chiese delle nostre case professe avessero alcuna entrata, con cui si potesse sostentare l'edificio; il servigio e lornamento di esse. E secondo il mio parere, inspir Iddio nostro Signore e mosse Ignazio a scrivere distintamente e compendiosamente tutto quello, che per lo spazio di quaranta giorni gli occorse nell'orazione della mattina, nella preparazione alla messa, nella stessa messa e nelle grazie, che dopo d'essersi detta, si fanno. Dico che lo inspir Iddio a scriver questo; acciocch sapessimo noi altri le grazie e i favori divini, coi quali era stata quell'anima: perch quanto egli viepi con la sua umilt li andava ricoprendo, tanto pi per utile ed esempio nostro si scoprissero e manifestassero. Ivi si vede con quanta cura esaminasse, e nell'interno spiasse la sua coscienza; quanto accesa e fervente fosse la sua orazione; quante e quanto continue fossero le lacrime che egli spargeva; quanto volte la grandezza della consolazione dello spirito fuori erompesse e ridondasse parimente nel corpo, onde rimanendo senza

polsi, veniva a mancargli la voce, e perdendo l'alito non poteva formar parola, tutte le vene del corpo suo sensibilmente palpitando. Ivi parimente si scorge, come era l'intelletto suo illuminato ed arricchito con quasi continue e mirabili rivelazioni della santissima Trinit, della divina essenza, della processione, propriet ed operazione delle Persone divine, e come era ammaestrato in quel sacratissimo mistero, cos con intelligenze interiori e secrete, come con figure esterne e sensibili. E non erano brevi queste visitazioni , n meno passavano in un tratto questi godimenti divini, anzi molto lunghi alcune volte e molti giorni duravano, accompagnandolo nella camera, alla mensa, dentro e fuori di casa; o, con la forza della grandezza loro lo rendevano elevato ed assorto e a guisa d'uomo, che col corpo vivesse in terra e col cuore dimorasse in cielo. E perch mia intenzione non di raccontar minutamente qual si voglia cosa di queste, ho voluto toccare le sopradette, acciocch intendiamo con qual riverenza si debbano ricevere le Constituzioni, e con quanta cura e sollecitudine osservarle: se bene Ignazio per la gran modestia ed umilt sua, con avere ricevuto tante intelligenze sopranaturali e testimonii tanti della divina volont, oltre l'aver autorit sopra di ci, non volle per che le Constituzioni avessero forza, n fermezza alcuna per obbligar altrui, fin che la Compagnia non le approvasse e ricevesse per buone: il che si fece dopo la morte di lui in Roma, l'anno 1558, nella prima Congregazione generale di tutta la Compagnia, che si celebr dopo che ci fu morto; nella quale tutte le Constituzioni, come egli le scrisse, furono con somma venerazione ricevute, e con comune consentimento e volont di tutti i Padri confermate ___________________CAPO III.Dell'instituzione e principio del Collegio Romano.Tra quelli che vennero in quest'anno a Roma da Ignazio chiamati, uno fu D. Francesco Borgia, duca di Gandia, il quale, come gi abbiamo detto, era Professo, bench occultamente, della Compagnia. Il quale conoscendo quanto profitto far si poteva in quella citt, che capo del mondo, e di donde tutta la cristianit si governa, e specialmente la nostra Compagnia per dimorarvi in essa il capo ed il Preposito Generale di lei; e giudicando, che ragionevole non era, che essendo stata ella la prima di tutte in accettare ed abbracciare la Compagnia, restasse priva di quel frutto, che molte altre dall'ammaestramento e dottrina sua ricevono, procur che in Roma si fondasse un collegio, seguendo in questo il parere e giudizio del nostro Padre Ignazio, al quale si diede principio l'anno 1551, a' 18 di febbraio in alcune case molto anguste, che erano nel fine del Campidoglio, con quattordici studenti della Compagnia, i quali avevano per Rettore Giovanni Pelletario francese: ch per questo numero era sufficiente l'elemosina, che allora aveva assegnata il Duca di Gandia. Ma poi nel mese di settembre seguente, duplicandosi il numero de' nostri, passarono in una casa pi ampia o pi capace. Insegnavano in quel tempo i nostri precettori a quei che gli udivano solamente le tre lingue, ebrea, greca o latina, e l'arte della rettorica: il che non si faceva senza grande offesa e querela degli altri maestri della citt, di maniera che alcune volte intorniati dai loro scolari se n'andavano alle scuole de' nostri, ed il turma e caterve entrando in esse strepitavano bussando, con parole disonorandoli, e facendo loro mille scorni con intemperati insulti; finch lanno 1552, a' 28 di ottobre nella chiesa di S. Eustachio i maestri della Compagnia fecero le loro orazioni e dispute in presenza di molti Cardinali, vescovi e uomini scienziati e di autorit, con

tanta grazia e con tanta dottrina, che si venne a reprimere l'insolenza dei maestri, che andavano, come abbiamo detto, sediziosamente tumultuando. Ma per molto pi si convinsero e placarono l'anno 1553 con le pubbliche conclusioni, che sostennero i nostri precettori non solo di rettorica e delle tre lingue, come fino allora avevallo fatto, ma di tutta la filosofia e teologia: le quali facolt in quell'anno furono la prima volta incominciate a leggersi nel nostro collegio di Roma, di cui era in quel tempo Superiore il dottor Martino Olave, teologo d'eccellente dottrina e di vita esemplare, il quale ne' suoi principii illustr molto il Collegio Romano. Crebbe in quell'anno il numero de' Fratelli del collegio a sessanta ed il seguente a cento: n potendo essi pi per la strettezza comodamente capire nelle case dove stavano prima, l'anno 1556 passarono in alcune altre maggiori, nelle quali dimorarono per lo spazio di quattr'anni, finch l'anno 1560 D. Vittoria Tolfa nipote di Papa Paolo IV, per autorit e consiglio del Pontefice Pio IV, ci diede un sito molto accomodato, spazioso e sano e dei migliori e pi abitati di Roma. Aveva questa Signora comperato molte case col favore e col braccio di Paolo IV, suo zio, per fare di esse un'opera pia conforme al testamento di Camillo Orsino Marchese della Guardia suo marito, e le aveva congiunte ed unite con le case, in cui ella stanziava e con altre, dove per molti, anni abitato aveva Paolo IV, mentre fu Cardinale, e fatto di tutte una a guisa d'Isola, per ogni parte circondata di strade: e nel tempo che si sperava e si pensava meno, con gran liberalit le diede alla Compagnia per fondazione e stanza di questo Collegio Romano: in cui grandemente si venne a moltiplicare il numero dei nostri, che arriv a ducento e venti, quasi di tutta le province e nazioni della cristianit. Perciocch accadde molte volte ritrovarsi in esso in un istesso tempo Fratelli di sedici e pi nazioni, cos nelle lingue, come nei costumi differenti; ma di un animo e di una volont con somma concordia e con amor fraterno congiunti: i quali in tempi di gran carestia e di estrema penuria furono sempre sostentati dalla divina bont, corrispondendo la maest di Dio alla fede ed alla speranza, con la quale Ignazio ad un'opera cos alla diede principio con s debole appoggio e con s poco favore umano. Da questo collegio, come da fonte ed origine, nacquero quasi tutti gli altri che si sono fondati in Italia, Alemagna, Boemia, Polonia, Francia e Fiandra. E questa la cagione perch Ignazio, i cui pensieri e cure s'impiegavano, tutte del continuo in procurare la salute delle anime, si affatic tanto per far s, che questo collegio andasse avanti: perciocch giudicava che non solo era ordinato per utile e beneficio come gli altri d'una sola citt, ma che aveva da stendersi e spargersi il frutto suo per molte nobilissime province e nazioni, tanto depravate per gli errori perniciosi e tanto lontane dalla luce evangelica. Il che avendo veduto per isperienza il nostro santissimo Padre Gregorio XIII di felice memoria, mosso dal grandissimo frutto che scorgeva nascere da questo collegio e dalla necessit che di esso hanno, pel governo e per la dottrina loro, il seminario del Clero Romano, quelli de' Germani, Inglesi ed altre nazioni che sua Beatitudine per beneficio di esse fond con animo di signore, di padre e di pastore universale, vigilantissimo e di principe liberalissimo, volle essere egli fondatore di questo collegio, con opera sontuosa facendolo edificare e dotandolo con assai bastevole entrata, perch si possa sostentare in esso gran numero di studenti e maestri di diverse nazioni della Religione nostra, per sostegno ed appoggio di tutti

gli altri. E per dichiarare che nella fondazione di questo Collegio Romano era questa la sua intenzione, fece fare sua Santit una grande e ricca medaglia, la quale si pose sotto la prima pietra il giorno che si incominci l'edificio, in cui erano scolpite queste parole. Gregorio Papa XIII edific fin dai primi fondamenti e dot il Collegio della Compagnia di Ges, come Seminario di tutte le Nazioni, per l'amore che porta a tutta la cristiana religione, e particolarmente a questa Compagnia. In Roma l'anno del Signore 1582 e decimo del suo Pontificato 48. ___________________CAPO IV.Di alcuni Collegi che si fondarono in Ispagna, e della contradizione ch'ebbe la Compagnia dall'Arcivescovo di Toledo. Dato questo principio al Collegio Romano, se ne ritorn il Duca D. Francesco Borgia in Ispagna: ed ivi arrivato, rinunzi lo Stato a D. Carlo suo figliuolo maggiore, e lasciato l'abito secolare prese quello della Compagnia, e si ritir in Biscaia, come in provincia pi remota e pi quieta, per applicarsi con minor impedimento alla vita religiosa. Ivi si ordin da messa, cominci a predicare ed a chiedere, come povero e mendico, l'elemosina di porta in porta, con gran meraviglia ed edificazione delle genti. Mosse dalla fama di questo fatto e di cos raro esempio di dispregio mondano, vennero a lui alcune persone illustri e di grande autorit e col suo mezzo entrarono nella Compagnia. La prima abitazione, in cui egli si ricover, fu il collegio di Ognate, al quale Pietro Miguelez d'Araoz nativo di quel paese aveva poco prima donato le sue facolt. Nel medesimo tempo s'incominci il collegio di Burgos; perch il Cardinal Francesco Mendoza, subito che fu fatto Vescovo di quella citt, richiese al Padre Ignazio alcuni della Compagnia, acciocch andassero per la sua Diocesi insegnando alle pecorelle di lui e predicando la parola di Dio. Ignazio glieli diede, ed essi fecero cos bene l'ufficio loro e con tanto profitto delle anime, che si diede occasione a quei di Burgos di desiderare di avere nella loro citt la Compagnia, a cui fecero una casa, la quale dipoi molto crebbe e s'aument col fervore dei sermoni del P. Maestro Francesco Strada. Diede parimente principio al collegio di Medina del Campo Roderigo Duegna, a cui aveva conceduto Iddio gran divozione in aiutare con le molte ricchezze sue tutte le opere pie e di carit: il quale avendo trattato e conversato familiarmente con i Padri Pietro Fabro ed Antonio Araoz, mosso dalla conversazione di esempio loro, addimand per sua consolazione e per utile di quella citt, di cui era vicino ed abitatore, alcuni de' nostri. Vi andarono, e con nuovo e meraviglioso frutto cominciarono a predicare per le piazze; il che fu cagione d'accrescere maggiormente l'affezione della gente principale di quella citt verso la Compagnia, desiderando, che ivi si fermasse. E l'anno 1551 furono mandati i nostri per fondare il collegio di Medina, il quale dipoi fu edificato e dotato di buona entrata da Pietro Quadrato e D. Francesca Mangiona sua moglie, persone ricche, molto religiose e divote. Ma perch la Compagnia con i prosperi successi negligente e trascurata non divenisse, non le mancarono occasioni di esercitare la pazienza e l'umilt per una gran persecuzione, che in questo tempo in Ispagna sorse con tra i nostri dalla parte di D. Giovanni Siliceo, Arcivescovo di Toledo. Il quale essendo male informato dell'Instituto della Compagnia, comand che tutti i sacerdoti di Toledo, i quali avessero fatto gli Esercizi spirituali di essa, non potessero usare l'ufficio di confessori. E cos parimente fece per i pulpiti delle chiese leggere pubblici editti, per i quali comandava, che sotto pena di scomunica maggiore niuno dei sudditi

suoi si confessasse da quelli della Compagnia, n alcun altro Sacramento ricevesse dalle loro mani: n aveva allora in tutto il suo Arcivescovato altro collegio che quello di Alcal. Si adoperarono molti mezzi con pregare ed intercedere appresso l'Arcivescovo, perch non usasse tanto rigore; ma non si pot farlo mutare di parere, fintanto che il Consiglio Reale, avendo veduto ed esaminato le nostre Bolle e i Privilegi, giudicando, che il decreto dell'Arcivescovo fosse contra la volont ed autorit del Sommo Pontefice, ne ritorn nel nostro pristino stato giuridico e nella nostra libert; dichiarando con le provvisioni sue regie, che dall'Arcivescovo n'era usata forza, e che non poteva legittimamente farne cotale proibizione. Al quale parimente Papa Giulio III informato da Ignazio, come la cosa passava, con apostolica severit scrisse, dicendogli, che si meravigliava molto e gli dispiaceva, che essendo la Compagnia, come era, approvata dalla santa Sede Apostolica, egli non la ricevesse per buona; e che essendo ella per tutte le parli del mondo cos prontamente accettata e ricevuta per lo gran frutto che in ogni luogo fa, egli solo le contraddicesse e ponesse macchia in lei, ed avesse a male quello, che tutti gli altri tanto lodavano, desideravano e richiedevano. Con queste lettere di Sua Santit a con la regia provvisione revoc l'arcivescovo i suoi primi editti, e comand, che fossimo restituiti nella nostra primiera libert, s che usare potessimo la potest ed i privilegi nostri. Ed cosa medesimamente da notare, che quando Ignazio fu avvisato di questa contraddizione che faceva un principe cos grande alla Compagnia, come era larcivescovo di Toledo, a me rivoltatosi con faccia serena ed allegra disse, che aveva per molto buona nuova per la Compagnia quella persecuzione; poich era nata senza colpa di essa; e che era segno evidente, che Iddio nostro Signore si voleva in Toledo molto servire della Compagnia: imperoch in tutte le parti era avvenuto cos, che dove era stata maggiormente perseguitata, ivi maggior frutto arrecato aveva: e che, poich l'Arcivescovo era vecchio e la Compagnia giovane, naturalmente pi di lui ella era per vivere. E si vide riuscire vero quello che disse Ignazio, per quello che dipoi ne segu, perch subito mor l'Arcivescovo: onde essendo la Compagnia chiamata per istare nella citt di Toledo, le prime case, che ai nostri per abitazione si diedero, furono quelle stesse, che il medesimo Arcivescovo aveva fabbricate per il Collegio dei chierici fanciulli della sua chiesa. Il che non senza ragione fu da molti considerato ed avvertito, e goderono di vedere, che tutto quello che l'Arcivescovo con buon zelo fece contra la Compagnia, a caso venne a fare che allora quando egli via pi ne perseguitava, non lo sapendo lui, ci fabbricava le primo case, nelle quali avevamo a dimorare in quella citt. _______________CAPO V.Come Ignazio fece Provinciale dItalia il P. Lainez, e come Claudio Iaio mor in Vienna.Mentre della maniera, che detto abbiamo, la Compagnia si provava in Ispagna, con nuovi collegi in Italia nostro Signore l'andava moltiplicando. Quello di Firenze ebbe principio per la munificenza di D. Leonora di Toledo, Duchessa di quella citt, la quale dopo che la conobbe, mostr sempre grandissimo amore alla Compagnia. Si cominciarono parimente in Napoli ed in Ferrara i collegi che ora vi abbiamo. Per quello di Napoli import molto la residenza, che ivi fece il P. Salmerone, da Ignazio a quel Regno per questo effetto mandato 49. Quello di Ferrara incominci il Duca Ercole II da Este, il quale aveva conversato familiarmente coi padri Bobadiglia e Claudio Iaio, e favorita la nascente

Compagnia; e fu mandato per instituire il detto collegio Pascasio Broet. Di questi e d'altri collegi, che gi erano in Italia, si diede carico con ufficio e nome di Provinciale, al P. Giacomo Lainez: il quale nel fin dell'anno 1550 era ritornato a Roma di Barbara, l dove con il Vicer Giovanni de Vega era andato all'acquisto di una citt di Africa, che teneva Dragut famoso corsale, per ispavento e distruzione de' Regni di Sicilia, Napoli e Sardegna. Nella qual guerra molto si affatic in curare gli infermi e feriti, in confessare i soldati, in dare animo e persuadere tutti a combattere ed a morire come cristiani per onore di Dio e per esaltazione della sua santa fede: E fu servito nostro Signore di concedere una quasi miracolosa vittoria, e che facesse acquisto degli inimici in quella cos forte piazza. Dove essendo di poi andato il P. Girolamo Natale per esercitare ivi gli uffici, che fatti vi aveva il P. Maestro Lainez, e per innanimare e servire con ispirito cristiano i soldati, ch'erano in quel presidio restati, da uno spaventevole naufragio miracolosamente scamp l'anno 1551, restando nell'onde sommerso il fratello Isidoro Sbrando, compagno della sua navigazione. Non cresceva meno in questo tempo la Compagnia in Alemagna: perciocch il Re de' Romani Ferdinando desideroso di riformare gli studi dell'Universit di Vienna e reprimere il furore degli eretici, i quali ogni giorno vie pi andavano serpendo ed infettando i suoi Stati, mand per il Padre Claudio Iaio, e richiese ad Ignazio altri teologi della Compagnia; acciocch leggessero teologia in quella Universit. Se n'andarono a Vienna i nostri il medesimo anno 1551, e furono mandati dal Re a stanziare in un quarto del monastero di S. Domenico, appartato dai Frati: e di poi per non essere a quei nn. Padri e Religiosi d'impedimento, e per non tenere occupata la loro casa, se ne passarono in un altro monastero, lasciato, per essere ruinoso, dai Frati Carmelitani, dandolo alla Compagnia i Superiori di quella Religione molto volentieri. In questo collegio di Vienna l'anno 1552, il giorno della Trasfigurazione pass da questa vita all'immortale il P. Claudio Iaio, uno dei primi dieci padri della Compagnia. Fu nativo di Savoia; si affatic grandemente, fedelmente e con diligenza nella difesa ed aumento della fede cattolica in Italia, Baviera, Svevia, Austria ed in tutta l'Alemagna. Nella Dieta di Augusta egregiamente si port, particolarmente in servigio della santa Chiesa Romana, con frutto e riconoscimento notabile di tutti i cattolici. Egli fu quello, che ai cattolici Tedeschi con tanta grazia e prudenza dichiar il nome, i principii ed il progresso della Compagnia s che si guadagn gli animi loro e li mosse a favorirla. Agli eretici poi fece resistenza di tal maniera, che meravigliati della virt e dottrina di lui, lo invitarono ad andare in Sassonia a disputare con i maestri e ministri dei loro errori: il che non fece per essere occupato nella fondazione del collegio di Vienna, dove poi mor. Fu uomo piacevole e mansueto di natura: aveva con una allegria di faccia gioconda, mista una gravit religiosa e soave. Era segnalato nell'amore della povert, eccellente nell'orazione, parco molto e tenace del tempo, modesto nella sua conversazione, od in tutte le operazioni sue veramente umile. Ricus con tanta gravit e costanza il Vescovato di Trieste, che tutto il tempo, in cui si diffidava di potere sottrarsi a cotal dignit, stette quasi sempre in un continuo pianto e scontento; ma quando si vide libero, se ne ritorn alla sua solita allegrezza e dolce conversazione 50. __________________CAPO VI.Del principio e delle cagioni della fondazione del Collegio germanico. Ignazio non solamente procurava

col mezzo de' padri della Compagnia di far beneficio alle province d'Alemagna, dentro l'Alemagna stessa, come stato raccontato, ma in Italia parimente procurava il rimedio e la salute di lei; e da questa cura ebbe origine il Collegio Germanico, il quale in Roma per opera dei nostri fu instituito da Papa Giulio Terzo nell'anno 1552. E bench propriamente questo non sia della Compagnia, io nondimeno lo annovero fra i nostri, poich essa tiene tutto il peso e governo di esso: laonde possiamo dire, che da lei ne nascono i gran frutti, che da questo Collegio riceve la Chiesa di Dio. Fu adunque l'origine sua in questo modo. Era intento e vigilante Ignazio in pensar giorno e notte, come si potesse rimediare ai mali di tutta la cristianit, e curarsi le parti pi deboli e pi inferme di lei; e sopra tutte le altre maggiormente lo molestava il pensiero, che aveva dell'Alemagna: perciocch pi di tutte le altre province piagata ed afflitta la vedeva; e trattando di ci un giorno col Cardinale Giovanni Morone, uomo di prudenza singolare, propose il Cardinale quest'opera del Collegio Germanico, come cosa, la quale per esser egli stato Legato Apostolico in Alemagna, e aver conosciuti gli umori di quelle genti, pensava poter essere di gran profitto per ridurre quelle province cos corrotte all'ubbidienza e soggezione della nostra santa fede cattolica. Persuadevasi questo prudentissimo uomo, non senza gran fondamento, che tutto il male, che di Alemagna venuto, principalmente nato dall'ignoranza o dalla mala vita degli ecclesiastici; onde il rimedio ha da venire dalle cagioni contrarie, le quali sono la dottrina ferma, soda e cattolica dei curati e predicatori, e la loro vita esemplare. Quindi essere conveniente, che i dottori e pastori degli alemanni fossero alemanni parimente: perch essendo di una medesima nazione, di costumi e leggi, e con istretto vincolo di natura congiunti, sarebbono maggiormente amati, e l'amore farebbe loro la strada per persuader la dottrina; ed essendo d'una stessa lingua, sarebbono meglio intesi ed avrebbono forza maggiore per imprimere nei cuori la verit. In Alemagna non si ritrovano tanti di questi tali maestri, quanti sarebbono di mestieri per una provincia cos ampia e per tante parti bisognosa; anzi quei pochi che vi sono, vanno ogni giorno mancando, e per lo contrario gli cretici maestri sono molti, e come erbe cattive ogni d crescono e maggiormente moltiplicano. Per queste cagioni parve cosa molto sicura il fare un seminario, nel quale, prima che si finisse di seccare in Alemagna la radice della cattolica e vera dottrina, si andasse mantenendo e ravvivando; e i giovani tedeschi d'ingegno scelti ed inclinati alla virt, fin da quella et che pi tenera e facile per imprimersi in essa tutto il bene, imparassero lettere, cerimonie e costumi cattolici. Non si poteva questo seminario instituire bene in Alemagna: perciocch quantunque eletto si fosse il pi puro e pi incorrotto luogo di tutta essa, non vi poteva essere sicurezza, che i giovani studenti, semplici e circondati per ogn'intorno dagli eretici, non pericolassero fra cotanto astuti e pestiferi basilischi, e loro si appiccasse il male tanto contagioso e s'infettassero col veleno della loro perversa e diabolica dottrina. E avendosi a fare fuori d'Alemagna, niuna citt, n veruno studio poteva esser per questo fine pi a proposito, che la citt di Roma, per concorrere in essa pi che in qualsivoglia altra molte cose, che aiutar possono a conservare ed accrescere negli animi di quella giovent la vera e cattolica religione: come sono la sicurezza della dottrina che s'insegna; la santit della stessa citt; il numero grande dei cattolici che per lor divozione vi vengono; la riverenza e rispetto

che seco porta quella religione, la quale, oltre l'essere tanto antica, si sa che stata predicata in quel sacro luogo dai Principi degli Apostoli ed irrigata col prezioso sangue loro: e finalmente la presenza dei Sommi Pontefici, i quali col santo zelo o con la loro liberalit potevano sostentare questo seminario, ed acquistarsi coi beneficii e con le buone opere lo volont e gli animi di quella gente. Questa fu la cagione principale ed il primo motivo per instituirsi il Collegio Germanico ritrovato, come abbiamo detto, dal Cardinal Morone, e comunicato da lui con Ignazio e con altri gravissimi uomini; il quale finalmente fu approvato e favorito da Papa Giulio Terzo e da tutto il sacro Collegio de' Cardinali. E perch si potesse meglio stabilire o perpetuare, assegn il Sommo Pontefice per la parte sua ciaschedun anno una certa entrata, ed i Cardinali, ciascuno secondo il suo potere, allegramente contribuirono dalla parte loro per la sostentazione degli studenti alemanni di quel collegio: di modo tale, che disoccupati e senza aver cura di ricercar le cose necessarie pel vitto, intieramenle tutti s'impiegassero in apprendere le lettere ed i costumi convenienti al fine, per cui ivi erano allevati. Ad Ignazio si diede il carico di cercare, eleggere e far venire da tutte le parli d'Alemagna questa giovent; reggerla, instruirla ed ammaestrarla. La qual cura egli prese molto volentieri, s per essergli comandata da Sua Santit, s anco per l'importanza del negozio. Vennero a Roma molti giovani tedeschi di grande espettazione: si assegn loro casa, in cui vivessero: fece scelta Ignazio di persone della Compagnia, che li governassero, e compose regole e statuti, che avevano da osservare. Provvide che nel Collegio nostro Romano fossero buoni maestri, che leggessero loro le facolt e scienze che avevano da udire. Di una cosa sola non volle che la Compagnia s'impacciasse, che fu dei danari, dei conti e di quello che apparteneva al riscuotere ed allo spendere: n giammai si pot persuadere, che i nostri s'intricassero in cose simili, le quali da una parte sogliono essere soggette a molta sollecitudine e travaglio temporale, e dall'altra a non poca mormorazione e sospetto: laonde questo si raccomand ad altre persone fuori della Compagnia: Ma venendo a morte Giulio Terzo, e mancando con la vita di lui l'elemosina che egli dava per quest'opera tanto necessaria ed eccellente, temendo Ignazio per la carestia che in Roma succedette, e pel rumore e pei tumulti di guerra che furono in tempo di Paolo Quarto, che non si disfacesse quello, che con tanto travaglio e frutto si era incominciato; distribu molta parte di quei giovani tedeschi godendo essi di ci sommamente, per diversi collegi della Compagnia; acciocch in essi si sostentassero, fin che passasse quella fortuna e quello strepito d'armi; ed egli sostent gli altri in Roma, cercando per questo fine danari, con grandissimo travaglio e sollecitudine della sua persona, obbligandosi a pagar quello che gli era dato; e fu da Dio nostro Signore senza alcun interesse suo liberato da questi debiti, liberalmente concedendogli, con che fino all'ultimo denaro dipoi fossero tutti interamente soddisfatti; conforme alla gran confidenza, che lo stesso Iddio per quest'opera aveva dato a questo stesso suo seno. Perciocch nel medesimo tempo di tanta carestia e sterilit, disse Ignazio che non si dovessero perder di animo niente, e che non si aveva a pensare che avesse a mancare il Collegio Germanico per mancamento di vettovaglie o di mantenimento: perch sarebbe venuto un giorno, in cui avrebbe compiutamente avuto tutto quello che gli sarebbe stato di mestieri; di modo che piuttosto gli sarebbe

avanzato, che mancato cosa alcuna. E nei suoi ptimi principii, stando con alcun dubbio Ottone Truchses Cardinale di santa Chiesa, e Vescovo d'Augusta, che fu sempre valorosissimo difensore della fede cattolica e singolar protettore del Collegio Germanico, che quest'opera non passasse avanti per le molte difficolt, che ogni giorno sorgevano in essa, il P. Ignazio gli mand a dire, che sua Signoria illustrissima stesse di buon animo, e si confidasse in Dio, che l'avrebbe aiutato e favorito in quest'impresa che era tanto a grado e di tanto servigio a sua divina Maest. E soggiunse di pi, che se il Cardinale non volesse o non potesse condurla avanti, che egli sopra di s presa l'avrebbe, confidato nella misericordia e liberalit del Signore. E il tempo ben veramente ne ha dimostrato, che non s'ingann: perch lo stesso Signore, che fu quello che mosse nel principio il cuore di Papa Giulio Terzo e dei Cardinali per fondar il Collegio Germanico, quello stesso dipoi mosse ed inspir il nostro Santissimo Padre Gregorio XIII, di felice memoria, a rilevarlo, a crescerlo e dargli in Roma casa propria, dotarlo e stabilirlo con assai bastevole entrata e perpetua; per lo gran zelo che aveva Sua Santit di conservar quello che restava, o di ricuperare quello che si era perduto della religione cattolica in Alemagna. E ci veramente con molta ragione: perch avendo gli altri Gregori santissimi Pontefici predecessori suoi, piantata in quella provincia la fede di Ges Cristo Redentore nostro, ed in essa propagatala, e distesala con tanta gloria di Dio e loro, ed avendo posto in lei la maest e grandezza dell'Impero Romano, dando l'elezione ai Principi elettori d'Alemagna, giustissima cosa era, che il nostro ultimo Gregorio seguisse le pedate degli altri Gregori suoi antecessori, e facesse un'opera tanto segnalata e tanto illustre, dalla quale sperar si deve in quella provincia nobilissima la restaurazione e l'aumento della nostra santissima fede. ________________CAPO VII.Della morte del Padre S. Francesco Saverio.In questo medesimo anno 1552, il Padre Francesco Saverio, essendosi partito dall'India per andare a predicar l'evangelo a quei della Cina, e ad illuminare quei popoli ciechi coi primi splendori della nostra fede, alla stessa, entrata ch'ei fece in quella provincia, mor. Fu questo Padre di nazione spagnuolo; nacque nel regno di Navarra, di famiglia nobile; fu allevato dai suoi parenti con molta cura e diligenza: e passati gli anni della fanciullezza, fu mandato a studiare a Parigi, ove fece tanto profitto negli studi, che ivi lesse pubblicamente la filosofia d'Aristotele, e conversando con Ignazio, che studiava la medesima facolt, apprese da lui un'altra pi alta e divina filosofia, e determin di congiungersi e seco affratellarsi, e vivere nella Compagnia di lui in una stessa maniera di vita. Venne di poi in Italia con gli altri Padri suoi compagni, ed avendo passati molti travagli pellegrinando, mendicando, servendo negli ospedali, predicando ed aiutando i prossimi in altre molte maniere, da Ignazio fu mandalo da Roma in Portogallo per passare d'indi nell'Indie l'anno 1540, come abbiamo raccontato nel Libro Secondo al Capitolo XVI, nel qual viaggio passando molto vicino alla sua terra, n l'amor della patria, n i prieghi de' suoi parenti ed amici poterono far s, che egli per vederli torcesse pur un poco dal suo cammino. Arrivato in Portogallo, fu da quei popoli molto ben ricevuto, e molto amata e approvata da tutti universalmente la vita e la dottrina di lui. Quindi si part, come dicemmo, l'anno 1541, e si pose in nave ai 7 di aprile nella capitana del Vicer Martino Alfonso de Sosa; conducendo seco due

compagni, luno de' quali si chiamava Paolo ch'era italiano, e l'altro Francesco Mansiglia portoghese. In questa navigazione lunga e pericolosa si port di tal maniera il Padre Francesco, che agli infermi con l'industria e col travaglio proprio serviva, e ai sani coi suoi ammaestramenti e con la sua dottrina: ai presenti dava edificazione, ed a' nostri, che dipoi gli avevano da succedere, lasci un modello come si hanno a governare in simili navigazioni, e a tutti esempio o meraviglia di se medesimo. Svernarono quell'anno in Mozambiche, prima di arrivare alle Indie, ed in sei mesi che si ferm l'armata in quei luoghi aspri ed insalubri, con carit e diligenza singolare serv agli infermi di essa, tanto soldati, quanto marinai. Lasci vivi segni della sua virt in Melinde, citt de' Mori, e capo di quel Regno; e parimente in Socotor, che un'isola di cristiani, incolta per e molto sterile. Arriv finalmente a' 6 di maggio del 1542 alla citt di Goa: ivi se ne and a vivere nell'ospedale dei poveri, nel quale spendeva il suo tempo in curare i corpi e le anime degli infermi e languenti. La mattina confessava quelli che a lui venivano chiedendo di confessarsi, e la sera i prigioni ed incarcerati, e insegnava a' fanciulli la dottrina cristiana. Le domeniche e le feste usciva fuori della citt, e con la solita carit sua andava a visitare i leprosi ed altri infermi di malattie contagiose, e lasciavali consolati. Essendosi per alcun tempo occupato in queste opere, e fatto come la prova e il noviziato suo, e di s stesso gran meraviglia cagionato in Goa; se ne pass a quella parte dell'India che chiamano la Pescheria, ovvero Capo di Comorin, dove convert gran numero d'infedeli, cavandoli dalle tenebre dell'infedelt, e traendoli alla luce dell'Evangelo, insegnando loro i principali misteri della fede. E avendo in quella parte fondato pi di quaranta Chiese, e lasciati ivi maestri che finissero d'ammaestrarli ed istruirli, se n'and a Macazar ove convert due Re, e con essi una gran moltitudine dei loro popoli, alla fede di Ges Cristo. Il medesimo ufficio fece in Malaca, e d'indi se ne pass all'Isole Moluche, non per cupidit di spezierie che altri col vanno cercando, ma per le perle e per le gioie di tante anime che miseramente vedeva perire. Nel castello, che si chiama Moluco, furono senza numero i fanciulli ch'ei battezz, e lasci cos radicata e piantala ne' cuori di quella gente la dottrina cristiana, che uomini e donne, fanciulli e vecchi per le strade andavano cantando i comandamenti della leggo di Dio; ed il pescatore nella sua barca, ed il contadino alla campagna facevano il medesimo per loro intertenimento e ricreazione. N contento il buon Padre di essersi tutto il giorno affaticato col peso di tanti travagli e di tante occupazioni, prendeva ogni notte una campanella ed andava con essa per le strade svegliando il popolo, e con alla voce ammonendo tutti, che pregassero Dio per le anime del Purgatorio. Dipoi and visitando sette luoghi in Amboino, i quali niun'altra cosa fuor che il nome avevano di cristiani, e li ridusse al conoscimento, ed all'amore della dottrina e della vita evangelica. Ud dire, che ivi presso Moluco, vi era un'isola, chiamala del Moro, dove vi avea gran numero di persone, i cui passati erano stati cristiani; ma essendo morti i sacerdoti, che battezzati li aveano, si andava di gi quasi perdendo la memoria, senza restar in loro vestigio di fede: n osava alcuno d'andare a trattar con essi, per esser gente tanto barbara, s fiera e bestiale, che con loro negoziar non si poteva senza grandissimi travagli e notabil pericolo della vita. Si determin nondimeno Francesco Saverio d'andare a quest'isola, movendolo non solamente il zelo della salute di quelle

anime, ma quello parimente della sua propria; perch giudicava che la necessit spirituale che avevano, fosse estrema, la quale egli era obbligato di soccorrere, quantunque fosse stato con pericolo della sua propria vita: perciocch con attenzione ruminava e pesava quelle parole del nostro Redentore (Gv 12): Chi ama la sua vita, la perder, e chi per me la perder, la guadagner. Il qual luogo dell'evangelo, diceva egli, che pareva molto chiaro a quelli che lo leggevano, e che solamente miravano esteriormente alle parole; ma ch'era molto oscuro a coloro, che porlo in opera ed isperimentare lo volessero. quell'isola del Moro molto aspra e deserta, e tanto abbandonata dalla natura, che pare che di niuna delle cose necessarie per la vita umana l'abbia provveduta. Odonsi continuamente in essa orribili e spaventosi rugiti e fremiti; trema molte volte la terra con grandi o continui tremuoti, che rendono altrui , attonito e pauroso. Quelli del paese non pare che abbiano natura n costume alcuno d'uomini, ma di mostri e di fiere crudeli; perciocch il maggior loro passatempo di ammazzar gli uomini, troncar loro il capo e far di essi, gran macello: e quando non possono con il sangue e con la morte degli uomini stranieri saziar l'ingorda crudelt loro, senza rispetto alcuno di natura levano i figliuoli la vita ai propri padri, i padri ai figliuoli e le mogli ai mariti: e quando i figliuoli veggono i lor padri vecchi e carichi di anni, li uccidono e se li mangiano, invitandosi l'un l'altro a satollarsi di quelle carni, di cui furono generati. Voleano molti degli amici e divoti suoi deviare il Padre Francesco da questa impresa, ripiena tanto di manifesti pericoli della vita, e con ferventi lacrime gli dicevano, ch'egli dovesse considerare che dalla vita di lui dipender la vita di molti, e che dalla salute corporale di esso procedeva la salute spirituale di tante migliaia d'anime; e che non volesse porre a rischio e per poca cosa quello che tanto importava. Ma avendo egli riposta ogni sua confidenza nelle mani di Dio e desiderando con la vita corporale di se medesimo comperare l'eterna di quelle anime, tanto da qualsivoglia rimedio destitute ed abbandonate, non si lasci vincere, n volle tornar addietro dal suo primo proponimento. Mentre era per partirsi, gli davano i suoi amici molti rimedi contra il veleno; perciocch suole quella gente barbara molto adoperarlo per uccider gli uomini: ma egli non ne volle accettare alcuno, riponendo tutte le sue speranze in Dio. S'imbarc dunque per arrivare a quell'isola, e giuntovi la visit tutta, accarezzando gli abitatori, o per dir meglio, le selvatiche e bestiali fiere di quella terra; e dimostr loro lo splendore e la luce dell'evangelo, e con questi ammaestramenti li rese mansueti e domestici, praticando fra di loro con una mirabile sicurezza e tranquillit dell'anima sua: perch sapeva ben egli la cura, che Iddio teneva di lui, e che senza la volont di lui non cade pur un capello di capo, avendoli egli numerati tutti agli eletti suoi. Erano tante e cos grandi le consolazioni, che in quell'isola dalla mano dell'Altissimo continuamente, riceveva, che non solo i travagli corporali che pativa, erano da esse mitigati, ma per molti e per grandi che fossero, dolci e soavi gli si rendevano. Per lo che soleva dire che quel luogo , ove Iddio tanto bene trattava i servi suoi, non si doveva chiamare l'isola del Moro, ma l'isola della Speranza; e che gli pareva che ivi per molto tempo non potesse vivere senza perder gli occhi, per le continue lacrime che spargeva, di consolazione. Mentre egli andava in queste isole Moluche, venne a cercarlo a Malaca un giapponese chiamato Angero. Questi era un uomo onorato e savio, il quale,

quantunque fosse gentile, era per molto afflitto e con gran rimordimento di coscienza viveva; rimembrandosi de' peccati commessi nel tempo della sua giovinezza; che per questo appunto lo risvegliava Iddio per tirarlo alla conoscenza sua. E dopo aver tentati molti mezzi, per iscacciar da s questo affanno e questo cordoglio che lo tormentava, e consigliatosi con i suoi Bonzi, che cos chiamano fra di loro i sacerdoti ed i savi, n potendo in niuna cosa ritrovare quiete o pace, comunic con alcuni portoghesi amici suoi, che per quelle parti navigavano, questa sua scontentezza e afflizione di spirito; ed essi lo consigliarono, che se n'andasse nellIndia a ritrovare il Padre Francesco Saverio, dicendogli che era grande amico di Dio, uomo di tal santit, ed operatore di tante tali meraviglie, che se nel mondo aveva da ritrovare rimedio, da lui ottenuto l'avrebbe; e che se col mezzo di esso ricevuto non l'avesse, tenesse il caso suo per disperato: ch in tale stima era tenuto il Padre Francesco da quelli, che lo conoscevano e che seco trattavano. Il giapponese Angero, bench uomo lontano dalla luce e dal vorace conoscimento di Dio, prest fede a quello che i portoghesi gli dissero, e fu tanto il desiderio, che aveva d'uscire da quel tormento che pativa, e fare acquisto del riposo e della tranquillit dell'anima sua, che ponendo in non cale i travagli di cos lunga e perigliosa navigazione, venendo a ricercar d'un uomo cristiano che egli non conosceva, s'imbarc e venne a Malaca por ritrovare il Padre Francesco. Ed io, quando a ci con la ponderazione che ragionevole, mi pongo a pensare, mi smarrisco o mi confondo, vedendo quel mollo, che un puro gentile ed uomo senza fede fece per la sua salute, ed il poco, che molti di noi altri, essendo cristiani, per la nostra facciamo: e insieme prende gran meraviglia dei mezzi della provvidenza ed eterna predestinazione di Dio, il quale prese cagione da quest'uomo per illuminare le tenebre di quella gentilit. Perciocch arrivato Angero a Malaca, ivi seppe che il Padre Francesco era andato alle Moluche: laonde sconsolato, se ne torn verso il Giappone, e giunto ivi vicino, una gran fortuna di contrario vento levatasi, lo rispinse di nuovo a Malaca, dove ritrov il Padre Francesco che di gi dalle Moluche aveva fatto ritorno. Seco lo condusse il Padre a Goa, ed ivi subito gli comunic la verit della nostra santa fede, e nel collegio nostro si fece cristiano. Gli posero nome Paolo, e lo riceverono come primizie della conversione di quella grande isola del Giappone, pochi anni prima; discoperta dai portoghesi. Da questo Paolo, che era uomo molto discreto, d'ingegno acuto, ed intelligente. delle false sette dei giapponesi, seppe Francesco Saverio, che le isole del Giappone erano molte; ma che fra di esso ve n'era una principale e pi segnalata in grandezza, nel numero della gente, negli ingegni de' paesani, nella creanza, dottrina, moltitudine, e diversit di sette, e copia di sacerdoti. Intese parimente, che i giapponesi sono uomini tanto docili e tanto della ragione amici, che facilmente si lasciano persuadere a seguitare quella religione, che veggono, che n si scosta dalla ragione, n differente dai costumi e dalle maniere di vivere di colui che la insegna. E con questa informazione confrontandosi quello, che dai portoghesi e da altri amici suoi gli era detto, determin d'imbarcarsi per il Giappone; e menando seco alcuni Padri e lo stesso Paolo, e due servidori di lui, i quali aveva parimente convertiti e battezzati, si pose in cammino. Nel quale, dopo aver passati molti e grandi pericoli di mare, e fuggito dalle mani dei gentili, nella cui nave egli andava, i quali lo volevano

ammazzare, arriv al Giappone e travers quell'isola, finch giunse alla gran citt del Meaco, la quale la pi popolata e principalissima del Giappone, camminando a piedi, con molta povert, freddo e nudit, e correndo dietro i cavalli dei giapponesi, a maniera di staffiere, perch gli servissero per guida e per sicurezza. Ed avendo convertito alla fede di Ges Cristo in Cangoscima, Bungo ed Amangucci millecinquecento anime, lasci nel Giappone i suoi compagni, perch coltivassero quelle novelle piante, e prendessero carico delle Chiese che egli di gi lasciava fondate; e se ne ritorn nell'India per mandar col pi Padri e Fratelli della Compagnia, che gli aiutassero nelle fatiche, e promovessero viepi il lavoro che s'era incominciato in quella gran vigna. Ed essendo informato, che nei tempi passati i giapponesi dalla Cina, che una provincia grandissima e molta ampia, avevano preso tutte le cerimonie loro, le leggi ed i costumi di vivere, determin d'andarvi, per ridur da un canto i cinesi alla luce della verit dell'evangelo di Ges Cristo, e dallaltro per parergli, che arresa che si fosse quella, provincia che era come la fortezza, e vinti i capi ed i maestri degli errori del Giappone, con pi facilit si arrenderebbono dipoi gli stessi giapponesi, che erano loro discepoli; e si sarebbono soggettati al giogo di Ges Cristo Signor nostro. Con questa risoluzione si pose in una nave, non conducendo seco persona della Compagnia, ma due soli giovani nativi della Cina. Arrivato ad un'isola chiamata Sancian, presso ad essa Cina, intese che non vi era modo per entrare: perch legge inviolabile, che niuno entrar vi possa, che sia straniero, n vi pu esser ammesso, n dentro accolto da alcun cinese, sotto pena di morte, o almeno di perpetua e miserabile prigionia. Ma il buon Padre non si spavent pel rigore della legge, n della pena, che dalla trasgressione di essa gli poteva seguire; anzi confidato in Dio, e nella forza della verit, che andava a predicare, ritrov uno della Cina, e promise dargli, come sarebbono, trecento ducati di pepe che gli era stato dato di elemosina, se di notte secretamente lo mettesse dentro la provincia di Cantone, la quale, la prima entrata ed ingresso a quel regno e lo conducesse e lasciasse in alcuna terra o citt. Ma trattando egli di questo, volle nostro Signore dargli il guiderdone de' suoi travagli, facendo gran conto della volont o del santo desiderio suo, d'entrare con tanto pericolo a piantar nella Cina l'evangelo, e serbare lesecuzione di quest'opera per gli altri Padri della Compagnia, i quali dipoi hanno aperto questa strada. Perciocch l'ultimo giorno del mese di novembre, essendo ancora in nave, s'inferm, e rinchiusosi nella sua abitazioncella, stette tutto il giorno senza prender cibo, esalando dal cuore continui gemiti ed amorosi sospiri, ripetendo molte volte queste parole: Iesu fili David, miserere mei; cio: Ges figliuolo di David, abbiate misericordia di me: le quali diceva con voce cos alta e chiara, che le udivano i marinai e passeggeri. Ed il giorno dipoi dandogli Dio a conoscere, che di gi s'approssimava il felice fine della sua pellegrinazione, si fece portare sopra di una rupe molto aspra ed alto scoglio, dove familiarmente e dolcissimamente parlando col suo Creatore e Signore, in quella stessa notte di quel medesimo giorno, nell'incominciarsi il d secondo di Dicembre dell'anno 1552 usc dalla prigione di questo corpo mortale. Fu uomo mirabile; e non solamente dai cristiani, ma dai medesimi gentili ancora tenuto in grandissima venerazione. Lo conserv Iddio puro e senza macchia nella sua virginit: fu desiderosissimo della virt dell'umilt, la quale

siccome in tutte le cose procurava, cos meravigliosamente sapeva ricoprire, per non essere per ci stimato ed in maggior opinione tenuto; di maniera che il procurarla e loccultarla, dal medesimo affetto e desiderio della vera umilt nasceva. Era vile e povero il mangiare ed il vestir suo: mendicava di porta in porta il cibo: se i devoti ed amici suoi gli mandavano alcuna cosa, con la maggior secretezza che poteva, il tutto ai poveri distribuiva: non mangiava se non una volta il giorno, e per meraviglia si poteva tenere, quando gustava cosa che fosse di carne: non beveva vino, se non quando era invitato da alcun suo amico: perch allora senza far alcuna differenza mangiava di quello che gli era posto avanti. Verso i prossimi ebbe molto segnalata ed accesa carit; o per soccorrere e sovvenire alle loro necessit, non ricusava n travaglio n fatica alcuna. Gli concedeva Iddio grazie singolari in levar dai peccati gli uomini male accostumati, ed in essi invecchiati. Sapendo che alcuno fosse legato e divenuto cieco in qualche disonesto amore, o da brutta e soverchia affezione perduto, non gli contraddiceva cos di subito; ma con un santo artificio gli andava a verso; se gli faceva amico e famigliare, ed avendo guadagnato la volont di lui, egli medesimo da se stesso s'invitava e se n'andava a mangiar con esso: e quando gi vedeva quell'anima disposta ad udire ammonizioni e salutiferi consigli, l'assaliva e veniva a levargli le male compagnie e le occasioni di peccare: e se ad un colpo non poteva svellere tutti i peccati; andava con tal soavit e destrezza a poco a poco rendendo mollo e tenero il cuore, che ad uno ad uno tutti li cavava. Ed in questo modo con prudenza e piacevolezza mirabile lev ad un uomo ad una ad una otto femmine, con le quali, non senza scandalo di molti disonestamente viveva.Nelle avversit e persecuzioni era molto costante e invitto, dipendendo sempre dalla divina Provvidenza, e di essa, cotanto si fidava, bench tutti i suoi passi impiegati fossero per la gloria di Dio e per la salute dell'anime, che molte volte non dubitava di entrare nel mare con tempi contrarii, n temeva di porsi a far cose, in cui vi erano manifesti pericoli di morte, da' quali Iddio, nostro Signore miracolosamente lo liber. Ebbe per tre volte naufragio; e gli accadde, fracassata la nave, andar due o tre giorni nuotando nell'onde del mare sopra di una tavola, e salvarsi per divina misericordia: dopo lessere cos scampato, stette molto tempo nascoso fra selve e boschi, per fuggir dalle mani de' gentili e dei barbari, che lo cercavano per levargli la vita. Fugg parimente un'altra volta dalla morte, che di gi ordita gli avevano i gentili, mettendosi dentro il tronco di un albero alla campagna, dove stette tutta la notte nascoso. Nei maggiori travagli e persecuzioni, che aveva, l'orazione sua ordinaria era il chiedere a Dio, che alle dure molestie ne succedessero altre via pi dure; e che non si menomassero i travagli; anzich se gli accrescessero; e con essi insieme si aumentassero la pazienza o la perseveranza. Era tanto amico dell'orazione, che molte volte passava le notti intiere orando, senza avvedersene; e sempre che poteva faceva orazione avanti al santissimo Sacramento, o pure all'immagine di un Crocifisso, e, ci senza dormire: e se la fiacchezza, della carne lo premeva, una pietra, o alcun'altra cosa dura si poneva sotto il capo per guanciale, e dormendo in questo modo in terra, breve e leggiero era il sonno, e da molto spessi gemiti e sospiri interrotto, parlando con Dio: e, conforme a questa maniera di vita ed ai travagli di essa, mirabili e molto copiose erano le consolazioni, che gli mandava il Signore. Quando egli si credeva di essere solo, e che

niuno, n vedere, n udir lo potesse postasi la mano al petto ed innalzati gli occhi al cielo, per la grande abbondanza e forza dei godimenti divini, gridava molte volte a Dio, dicendo: basta, basta, Signor mio; non pi, non pi. Andando per il Giappone, a piedi, gli avvenne alcune volte, che se gli lacerarono i piedi, affiggendovisi dentro le spine, urtando nelle pietre, ferendoseli fino con lo spruzzarne fuori il vivo sangue; ed andava cos rapito e tanto in Dio trasportato, che non sentiva alcun dolore, n ci avvertiva, per la grandezza e forza dell'amore, per cui questo sopportava e di maggiormente patire desiderava. Stando in orazione una volta, il demonio, gravemente lo batt; ma non per questo la tralasci. La principalissima virt di lui era l'ubbidienza, e diceva, che questa potentissima, poich penetra la grandezza della terra, attraversa limmensit orribile del mare, supera ogni difficolt e vince tutti i pericoli. Portava grandissima riverenza ai Vescovi ed agli altri Prelati della Chiesa; e predicava e diceva, che con essi si doveva usare ogni servit, ed esser loro ubbidienti e soggetti. Non lascer di raccontare, come l'anno 1554, vedemmo in Roma il primo uomo che dentro il Giappone il santo Battesimo ricevette. Chiamavasi Bernardo: nativo di Cangoscima, ed era Religioso; perch aveva fatti i voti della Compagnia. Lo mand il Padre Francesco Saverio, perch in Roma fosse veduto un uomo giapponese cristiano e religioso, come nuovo e miracoloso frutto della Chiesa; e perch egli parimente vedesse la maest della Romana. Chiesa e la splendidezza cristiana nel culto divino; onde ritornando alla sua terra, come testimoni di vista, a' suoi paesani lo raccontasse. Ebbi io in Roma stretta familiarit con questo nostro fratello Bernardo, e lo confessai in tutto quel tempo che ivi si ferm, e per questa cagione potei con esso lui pi intimamente trattare, e con pi stretta e particolare comunicazione. Mi infiammava a divozione l'esempio delle sue virt, perch senza alcun dubbio mi pareva un vivo ritratto dei cristiani della primitiva Chiesa. Ma lasciando molte cose, che assai notabili di lui contar potrei, dir solamente quello che tocca al Padre Francesco, di cui scrivo in questo Capitolo. Mi diceva dunque Bernardo di questo Padre tre cose. La prima ch'egli aveva dormito sette mesi in una medesima stanza col Padre Francesco, e che in quel breve e leggierissimo sonno che il Padre prendeva, l'udiva molte volte gemere e sospirare, e dolcemente invocare il santissimo nome di Ges; e che dimandandogli alcune volte, perch cotanto sospirasse e gemesse, gli rispondeva, ch'egli nulla sapeva e nulla sentiva. La seconda cosa che egli di lui mi raccontava, era, che si ritrov molte volte presente, quando il Padre Francesco disputava delle cose della fede con gran moltitudine di Bonzi; ed aveva avvertito, che chiedendogli essi questioni molto diverse, e proponendogli argomenti molto differenti contra varii articoli, ciascun secondo l'opinione ed i dubbi che aveva, il padre Francesco di tal maniera rispondeva, che con una sola risposta a tutti essi soddisfaceva, e senza dubbio e senza scrupolo li lasciava: e ci con tanta evidenza e con tanta chiarezza, come se a ciascheduno da per s avesse separatamente risposto. La terza cosa fu, ch'egli vide con i suoi propri occhi il Padre Francesco, liberar molti infermi da varie infermit, e che facendo sopra di essi il segno della croce, o gittando sopra di loro un poco d'acqua benedetta, restavano in un subito sani. Laonde diceva, che i giapponesi lo tenevano per pi che uomo, e come cosa dal cielo mandata. E non gran fatto, che i gentili pensassero questo, perch

verificata cosa , che fu da Dio onorato, dandogli la grazia ed il dono di far molti e molto illustri miracoli in vita ed in morte; ed il suo corpo, fino al giorno d'oggi, ne fa. San infermit di varie sorti, scacci molti demoni dai corpi umani, illumin ciechi, e risuscit morti: fu nel dono della profezia molto eccellente, perch molte cose secrete scopr, e molte ne vide in tempi ed in luoghi molto lontani, le quali avvennero nel medesimo giorno e nella stessa ora, che egli, essendo molto distante e lontano di donde si facevano, le stava dal pulpito al popolo predicando. Subito che pass di questa vita, i mercatanti portoghesi, che erano nella nave e che presenti alla sua morte si ritrovarono, presero il corpo suo e vestitolo de' suoi ornamenti sacerdotali, che egli seco portava per dir Messa, lo sotterrarono, coprendolo tutto di calcina; acciocch con la forza di lei, rosa tutta la carne, restassero le ossa secche, ed essi potessero portarle nell'India, dove egli aveva pregato, che si asportassero, ricordandosi del giorno della sua resurrezione, e desiderando d'essere in luogo sacro, per meglio godere ed esser aiutato dai pietosi suffragi de' fedeli. Passali tre mesi, dopo che lo sotterrarono, vollero ritornare nell'India i mercatanti; e parendo loro, che di gi il corpo sarebbe stato consumato, ritornarono a cavare la sepoltura, e trovarono i vestimenti cos sani ed intieri, come quando glie li posero indosso, ed il corpo tanto solido ed incorrotto, come quando ve lo riposero, col suo color naturale, come vivo, e la carne senza alcuna sorta di mal odore, anzi umida e fresca. Mossi i mercadanti da miracolo sI grande, posero il corpo come stava nella nave, e passando grandissimi pericoli con incredibile prestezza e celerit arrivarono a Malaca. Ivi un'altra volta sotterrarono il corpo, e lo serbarono altri dodici mesi, e con la medesima integrit ed incorruzione si conserv. Da Malaca lo portarono a Goa, dove fu ricevuto con processione ed universale concorso di tutte le Religioni e della Citt, e fu collocato nella chiesa del nostro collegio, dove da tutto il popolo venerato, e tenuto in gran riverenza ed opinione di santit. Sarebbe cosa molto lunga e lontana dal proposito mio, se io volessi qui raccontare tutti i miracoli, che Iddio ha fatti per questo suo servo in vita ed in morte; perch io non mi son posto a scriver in questo libro le cose che il Padre Francesco Saverio fece nell'India, le quali sono molte, molto certificate, mirabili e tali finalmente, che, raccontar non si possono in cos angusta narrazione; come questa, richiedendo per s solo un libro. E ve n' appunto uno stampato, che tratta della sua vita e delle cose del Giappone; ma per breve e non cos disteso e prolisso, come si potrebbe scrivere; raccontando le cose che si sono sapute, per le informazioni che io ho veduto di molti e molto gravi testimoni, prese con pubblica autorit, per comandamento del serenissimo Re di Portogallo D. Giovanni il terzo: onde io ho voluto solamente toccare alcune poche cose, con la brevit che nell'altro soglio osservare. _________________CAPO VIII.Come i Padri della Compagnia andarono all'Isola di Corsica. In questo medesimo tempo, s'incominci in Modena un collegio ed un altro in Perugia, di cui fu Rettore il P. Everardo Mercuriano, persona grave e prudente; il quale, essendo di gi ben esercitato nelle lettere umane, nella filosofia e teologia, e tenuto per uomo molto savio nella familiarit conversazione sua, l'anno 1548 in Parigi era entrato nella Compagnia, e di poi venne ad essere il quarto Preposito Generale. L'occasione del collegio di Perugia fu l'avere predicato poco prima in quella citt il P. Maestro Lainez, il quale quindi part per

Genova, richiesto da quella Repubblica, la quale mosse egli tanto con la dottrina e con l'esempio suo che fu in gran parte cagione, onde in lei si facessero molte opere pie e di carit: e, che parimente con grande instanza ella supplicasse il Sommo Pontefice, che mandasse alcuni de' nostri all'isola di Corsica, perch visitassero ed insegnassero a quei popoli ch'erano rozzi, incolti e, coi vizi, che dalla ignoranza nascer sogliono, divenuti di Dio e di loro stessi dimentichi. Furono dunque mandati due della Compagnia con gran potest dalla Sede Apostolica, della quale usarono quanto necessario fu con tale moderazione e con tanta integrit di vita, che quantunque in quella gente facessero col sermoni molto frutto, assai maggiore fu per quello che operarono col loro esempio. Diedero una scorsa a tutta l'isola con gran fatica di spirito e di corpo. Posero tutta l'industria e diligenza loro in pacificare e riconciliare gli uni con gli altri e levar molte discordie e nimist che vi erano; ed in isradicare innumerevoli peccati che avevano fatto presa nei loro matrimoni e nozze; in riparare ed adornare i templi; in ammonire i sacerdoti e far loro animo perch vivessero, come l'ufficio loro richiedeva: e finalmente in udir le confessioni, predicare ed in far tutte le opere di piet, per la buona edificazione di quei popoli. Ma si affatic molto il nimico infernale per disturbare cos prospero successo: perch l'anno seguente 1553 alcuni religiosi e sacerdoti, ai quali per avventura era amara la verit ed insipida la correzione, scrissero a Roma molte cose false e brutte, ed ivi le seminarono, e fecero anco pervenire alle orecchie dei Principi e Cardinali malvagit grandi ed ingiuste accuse contra di loro. Delle quali desiderando Ignazio, che si manifestasse la verit pura e sincera, mand in Corsica Sebastiano Romeo, il quale in breve tempo se ne ritorn a Roma e port molti e gravissimi testimoni pubblici del Governatore dell'isola e dei magistrati delle citt, che facevano fede della bont, innocenza e religione, con la quale erano fra loro vissuti i Padri della Compagnia; e tutti i sopradetti scrissero cos al Sommo Pontefice, come ad altre persone illustri tali lodi ed esaltazioni dell'esempio e della virt loro, che essi per la loro modestia non senza molto rossore e confusione le potevano udire. ___________________CAPO IX.Come si fece inquisizione contro gli Esercizi spirituali: e si fondarono alcuni Collegi: ed in Ispagna si divisero le Province.Siccome l'albero ben piantato cresce con le
piogge e coi venti, cos in Ispagna l'anno 1543, non mancavano alla Compagnia le sue prove, con le quali ogni giorno via pi cresceva e maggiormente fioriva. Mirabile era il frutto, che in tutte le sorti di gente si faceva in Ispagna con l'uso degli Esercizi spirituali: se ben non mancarono alcune persone di buona intenzione, ma per male avvisate ed informate, le quali senza voler intendere le cose nostre, n informarsi della verit, si lasciarono uscir di bocca e scrissero anco molte censure e pareri contra il libro degli Esercizi, censurando e notando le loro proposizioni, fino a porle in mano della santa Inquisizione. Ma finalmente la verit con la sua luce venne a sgombrar tutte le tenebre, e con la sincerit sua e chiarez a pot pi che le mal composte ed apparenti altrui ragioni: laonde come ella con la sua forza si difese, cos coll'autorit della Sede Apostolica facilmente si ruppe e cadde a terra quell'impeto, col quale gli uomini la volevano opprimere: e con questa vittoria la Compagnia and poi molto avanti in tutta la Castiglia ed in Portogallo. Perch l'Infante D. Enrico Cardinale della santa Chiesa Romana, figliuolo del Re D. Emmanuele, ad imitazione di suo fratello il Re D. Giovanni, d'illustre memoria, volle dimostrare l'animo suo santo e religioso con accrescere la nobile citt di Evora, di cui era Arcivescovo, facendo in essa un collegio e studio della Compagnia. Lo edific adunque e lo dot da principe grande, dove ora si leggono con gran concorro e frequenza di ascoltatori tutte le

scienze e facolt: e sono pi di cento e venti le persone, che ivi ordinariamente stanno della Compagnia. Ed al collegio di Coimbra s'aggiunse parimente la casa di probazione, dove si allevano ed ammaestrano i novizi conforme alle regole della Compagnia. E in Lisbona ancora si fece di nuovo la casa de' professi, ed il collegio che ivi era, si aument molto nel numero delle persone e delle lezioni. E oltre ai sudetti, questo medesimo anno 1553, ebbe principio il collegio

di Avila, ed anco quello di Cordova, che fu il primo nell'Andalusia, il quale si fece con l'occasione dell'entrare nella Compagnia il Padre Antonio di Cordova, figliuolo di D. Lorenzo Figheroa e di D. Caterina Ernandez di Cordova, Conti di Feria e Marchesi di Pliego. Perch questo Padre subito che entr nella Compagnia, procur di dar notizia di lei, a quelli che non la conoscevano e di collocarla in Cordova col braccio e potere di quelli di sua casa, i quali in essa citt sono cos gran signori e cos potenti. Col se n'and il Padre Francesco da Villanova con un compagno, per trattare con la citt di questa fondazione. Era ivi in quel tempo D. Giovanni di Cordova Decano di quella chiesa, uomo potente e ricco, di molta autorit e di molto valore. Questi senza
aver veduto alcuno della Compagnia, teneva sinistra informazione di essi. Come seppe questo gentiluomo, che due n'erano venuti quivi, li mand a cercare ed invitare, che dovessero venire a mangiar seco; e ci fece, come egli dipoi diceva, con intenzione d'investigare e di sapere le cose nostre, per vedere se erano conformi alla sua opinione. Venuti che furono, li preg e fece loro forza perch restassero ad albergare in casa sua, ed essi l'ubbidirono. Curiosamente li rimirava e, stando con esso loro, nel ragionare di molte materie, li faceva uscir fuori, tentandoli; e quando erano soli, di giorno e di notte secretamente gli osservava, per udir quello, che parlavano, veder ci che facevano, in che si occupavano e come vivevano. Ed ud e vide tali cose in loro, che dove pens di cogliere, rest colto; e conobbe che Iddio, l'aveva preso nella rete ch'egli ad altri aveva tesa. Onde con i sermoni e con l'esempio di quei due nostri fu mosso di tal maniera, che tutto l'odio e l'orrore, in cui prima gli aveva, cangi Iddio in vero amore ed in gran riverenza. E nello spazio di pochi giorni don a' nostri le case della sua propria abitazione, le quali erano molto grandi e sontuose, e con esse diede loro preziosi ornament e vasi d'oro e d'argento, ch'egli aveva in gran numero per servigio e culto della chiesa, assegnando l'entrata ch'egli pot per la fondazione del collegio; e ci con tanta affezione e pronta volont, che diceva di non poter mangiare, dormire vegghiare, n far qualsivoglia altra cosa, se non pensando al collegio: e tutto questo venne a far in cos breve tempo, che in tutti grande stupore cagion la subita mutazione, non tanto della vita, quanto della volont e dell'opinione di lui verso di noi. Perciocch n egli prima occultata avea la poco buona volont che ci portava, n quello che di poi egli oper poteva essere secreto, per la grandezza ed autorit della persona sua che in Ispagna era grandemente conosciuta. Per tutte queste cose e per l'aumento

della Compagnia in Ispagna non poco giovamento arrec la venuta del Padre Maestro Girolamo Natale, il quale in questo medesimo anno da Ignazio fu mandato per Commissario generale di quei regni, perch pubblicasse e dichiarasse ai nostri le Constituzioni ch'egli aveva scritte; e perch visitasse i collegi ed avesse riguardo all'ordine ed osservanza religiosa, ch'era in essi; e li distribuisse in diverse province, perch meglio si potessero governare: il che fece, e constitu Provinciali il Padre dottore Antonio Araoz di Castiglia, il Padre dottore Michele Torres di Andalusia, il P. Maestro Francesco Strada di Aragona, ed il Padre Giacomo Mirone di Portogallo, ch tale era l'ordine datogli da Ignazio; e lasci per Superiore di tutti i quattro Provinciali, come fece, con nome di Commissario generale in Ispagna, il Padre Francesco Borgia, la cui autorit fu sempre da ognuno grandemente stimata. _________________CAPO X.Come si fondarono altri Collegi della Compagnia.Divise che furono le province, ordinati i collegi e pubblicate le

Constituzioni, come abbiamo raccontato, si ampli mirabilmente la Compagnia per tutte le parti. E primieramente molti cittadini di Siviglia, mossi dall'esempio dei loro vicini di Cordova, procurarono che nella loro citt si desse principio ad un collegio della Compagnia. Laonde vi andarono i nostri l'anno 1554, e tra loro lo stesso Padre Francesco Borgia, che con la sua presenza e conversazione, e coi sermoni consol molto quella citt. Si fond parimente quello di Granata, al che fare molto aiut il santo zelo e divozione dell'Arcivescovo D. Pietro Guerrero, il quale avendo trattato e familiarmente conosciuto al Concilio di Trento i Padri Maestro Lainez e Maestro Salmerone, che ivi erano per teologi del Papa, ed essendo restato grandemente soddisfatto della vita e dottrina loro e dell'Instituto della Compagnia: allora e di poi sempre favor, quanto ei pot, quel collegio. Si part parimente dal Concilio di Trento molto affezionato alla Compagnia per la comunicazione avuta coi medesimi Padri D. Gutterio Caravagial Vescovo di Piacenza, il quale edific in essa citt un collegio alla Compagnia e lo dot di perpetua entrata. Nel medesimo tempo si diede principio al collegio di Cuenca, e si fond con l'occasione dell'essersi mandati a quella citt, la quale di aria fresca e salubre, alcuni fratelli della Compagnia che nel collegio di Alcal nel tempo delle vacanze dell'estate si ritrovavano con poco buona disposizione. Cominci questo collegio il Canonico Pietro del Pozzo, ma dipoi lo fin e lo dot Pietro Marchina, canonico parimente della medesima citt di Cuenca, il quale fu, mentre stette in Roma ed in tutto il tempo ch'ei visse, divotissimo del Padre Ignazio, e susseguentemente di tutta la Compagnia. E per la molta gente che in essa entrava in Ispagna, perch si allevassero i novizi conforme al nostro Instituto, si fece casa di probazione in Simanca; il primo Rettore della quale fu il Padre Bartolomeo Bustamante. Questa fu la prima casa dei novizi, che si fond per ordine del Padre Francesco Borgia in Castiglia, ma dipoi si mut in Medina del Campo, ed in queste province di Spagna molte altre se ne sono fatte. In Italia ancora faceva progresso la Compagnia, e nuovi collegi in essa si fondavano. Quello di Genova stabil il Padre Maestro Lainez, favorendolo con molta divozione i signori nativi di quella Repubblica: ma fra tutti la liberalit e l'amore di Paolo d'Oria con la Compagnia ed in particolare con quel collegio maggiormente si dimostr. Mand in questo tempo il Padre Ignazio alcuni de' nostri alla divotissima e sacrata Casa della Madonna di Loreto (dove per la memoria e riverenza d'essersi vestito in essa della nostra mortal carne, come pietosamente si crede, l'eterno Figliuolo di Dio; infinita moltitudine di gente da tutta la cristianit con meravigliosa divozione viene in pellegrinaggio) ad instanza del Cardinal di Carpi Rodolfo Pio, protettore di quella santissima Casa; perch con le fatiche e con l'esempio loro si conservasse ed aumentasse la divozione di quel santo luogo e de' pellegrini che vi concorrono: e dipoi vedendo, che succedeva il frutto conforme a quello che s'aveva sperato, e che ciaschedun giorno andava di bene in meglio, accrebbe il Cardinale il numero de' nostri, e cos si fond in Loreto un collegio principale, che fu confermato con autorit della Sede Apostolica, nel cui Stato e sotto la cui protezione quella santa casa. Cresceva parimente in questo tempo la Compagnia nel regno di Sicilia: perch in Siracusa Suero de Vega figliuolo del vicer Giovanni de Vega, ch'era Governatore di quella citt, vi cominci un collegio. In Monte Regale il Cardinal Farnese, che n'era allora Arcivescovo,

compr casa; fabbric chiesa, e diede con che sostentar si potessero quelli della Compagnia che dimoravano in quel collegio: e da quel tempo in poi rest Sicilia Provincia separata e da per s; e fece Ignazio Provinciale di essa il Padre Girolamo Domenech. ___________________CAPO XI.Del decreto che fece in Parigi il Collegio di Sorbona contro la Compagnia. Mentre che passavano le cose che raccontato abbiamo, in Ispagna ed in Italia; nello stesso anno 1554 cominciava la Compagnia ad aver in Francia case certe e stabilite. Perciocch, sebbene fin dal principio sempre alcuni de' nostri furono che studiavano nello studio di Parigi; non avevano per abitazione alcuna particolare; n stavano come in casa di religione, n in collegio proprio, fin che D. Guglielmo da Prato Vescovo di Chiaramonte, il quale in Trento aveva avuto grande amist con i Padri Lainez, Salmerone e Iaio, e dalla familiarit loro ed insieme dalla soddisfazione dell'Instituto nostro determinossi d'edificarci due collegi, l'uno nella sua diocesi nella citt di Billion e l'altro in Parigi; e cos effettu. Per reggere questi collegi e per provvedere alle cose della Compagnia, Ignazio mand in Francia per Provinciale il Padre Pascasio Broet, di nazione francese, ed uno de suoi primi compagni. Perci richiesero i nostri il re Enrico Secondo di Francia, che fosse servita sua Maest e le piacesse di ricever nel suo regno la Compagnia, e di concederle privilegio che i figliuoli di essa, come se fossero nati in Francia, godessero e partecipassero delle grazie, come i propri naturali. Rimise il re questo negozio al Parlamento di Parigi; ed il Parlamento, per esser cosa che toccava alla religione, comand alla facolt dei teologi di Parigi, che esaminasse il nostro Instituto e vedesse con diligenza le Bolle e le Lettere apostoliche, le quali abbiamo; e che del tutto facesse relazione al Consiglio e gliene desse il suo parere. Vi era in questo tempo fra gli altri dottori teologi uno principale, e questi di maggiore autorit, il quale era poco affezionato ai nostri; perch contra la volont di lui avevano nella Compagnia ricevuto un suo nipote. Si univano con esso lui alcuni altri dottori di Religioni diverse, i quali, ciascuno per qualche suo particolare rispetto, non molto favorivano la causa nostra: e non vi mancavano degli altri, ai quali nulla importava tutto questo, n loro premeva che questa causa avesse sortito pi uno, che un altro effetto. Molti ve n'erano parimente che seguendo l'opinione del volgo ed i rumori popolareschi, che si andavano pubblicamente seminando contra di noi, senza esaminare il vero erano contrari e pertinacemente combattevano contro la religione nostra; pensando in ci di far servigio a nostro Signore e stimando di difendere la religione medesima. Congiuntisi dunque insieme questi giudici a trattare della causa nostra, composto il loro accordo, fecero quel decreto, il quale pubblicarono dipoi: e in esso dichiara la facolt della teologia di Parigi quello che sente dell'Instituto nostro e della Compagnia. Il qual decreto non fu n pi n meno, come quello che fece contra la religione di S. Domenico, quando era nei suoi primi principii: e per dir il vero tanto rigoroso, severo ed offensivo, che chi lo legger e paragoner bene quello che, in esso si dice, con quello che veramente , vedr chiaro, che fu fatto senza aver notizia della verit e senza esser informato delle cose come passavano. Con questo decreto patirono i nostri in Parigi gran fortuna di disturbi e di tribolazioni che contra di loro si lev: perch subito che ci fu fatto, essendo la cosa fresca ed essendo essi presenti tutti, si rivolgevano e si avventavano contro di loro; gli studenti nelle scuole,

i Frati nei pulpiti, il popolo nei suoi circoli e ragunanze, il Parlamento nel suo consiglio e finalmente il vescovo nella sua Chiesa; s che pareva che tutto il mondo contra di essi levato si fosse. Arrivata la nuova del decreto a Roma, i Padri pi antichi o pi segnalati della Compagnia erano di parere che a cotal decreto si rispondesse; acciocch quelli che non erano bene informati della verit, mossi con l'autorit di tanto famosi teologi, non concepissero sinistre opinioni che sarebbero di grave pregiudizio di essi o della Compagnia. E dicevano che non si aveva da pensare, che alla facolt di Parigi dispiacesse, che noi altri difendessimo la nostra giustizia, facendolo per con la debita modestia: anzi che si aveva a credere per il buon zelo di quei dottori, i quali essendo teologi; e la cui modestia ha da esser tanto grande e cos fervente l'amore che hanno da portare alla verit, che sapendola cosa come era ed intendendola, essi medesimi per s stessi disfarebbono ed annullerebbero il loro decreto, poich fatto lo avevano, come credibile, non per mala volont, ma solo per mancamento d'informazione e di conoscimento di essa verit. Erano quei nostri Padri di questo parere: ma Ignazio con l'animo pacato e quieto e con la faccia, come soleva, allegra e serena disse loro: Io voglio ora ricordarvi, fratelli, quello che il Signore disse ai suoi discepoli, quando da loro si dipartiva. Io vi do la mia pace: la mia pace io vi lascio: il medesimo dico io a voi. Non si ha da scrivere cosa alcuna, n far operazione donde ne possa nascere alcun rancore ed alcuna amaritudine: e non vi conturbi l'autorit dei teologi di Parigi, perch sebbene grande, non potr per prevalere contra la verit, la quale ben pu esser assalita e combattuta, ma per n oppressa, n estinta giammai. Se far di mestieri, che spero in Dio non sar, un altro men periglioso rimedio applicheremo a questa ferita, e la cureremo con un'altra medicina pi soave. Scrisse dunque Ignazio a tutte lo province e collegi della Compagnia, i quali in diverse parti del mondo erano distribuiti, e loro ordin, che da tutti i Principi, Prelati, Magistrati, Signorie, Universit e Citt, ove si ritrovavano, richiedessero pubblico testimonio della vita, dottrina e costumi loro; e che gli mandassero le testimonianze a Roma, serrate e suggellate con pubblica autorit. Questo ordin Ignazio, per contrapporre, se fosse stato di bisogno, al decreto di Parigi, ed al giudicio o parere d'alcuni pochi uomini mal informati, il giudicio e l'approvazione di tutto il resto del mondo: e cos fecesi appunto, come fu da Ignazio ordinato. E da tutte quasi le citt, province e regni, dove stava allora la Compagnia, gli vennero lettere ed autentici testimoni di Magistrati e di Superiori, quali io ho veduto, in cui da tutti si d fermo, grave e chiaro testimonio della virt e verit della Compagnia 51. Ma non volle Ignazio con tutto questo servirsi di quelli, n usarli; perch di gi il decreto da se stesso andava cadendo, di modo che in termine di pochi giorni appena v'era chi di esso si ricordasse, ovvero chi lo nominasse: ch questo suol esser appunto il fine della falsit, la quale senza che alcuno vi opponga contrasto, ella medesima da se stessa cade ed in fumo svanisce. E in Ispagna gl'Inquisitori tennero quel decreto per tanto contrario all'autorit della santa Sede Apostolica, la quale aveva confermata ed approvata la Compagnia, che vietarono e proibirono che si leggesse, e si tenesse come cosa sospettosa e scandalosa. E quello che del decreto segu, fu, che dove prima che fosse fatto non aveva la Compagnia alcun collegio in Francia, subito ch'esso fu formato, n'ebbe quei due che ho detto di sopra, cio in

Billion ed in Parigi; e si ebbe la licenza dal Re, la quale si addimandava. __________________CAPO XII.Come i Fratelli Pietro Correa e Giovanni di Sosa furono nel Brasile martirizzati. Nello stesso tempo che in Francia si formavano decreti contro la Compagnia, ella nel Brasile spargeva il sangue per amor di Cristo. Perciocch i Fratelli Pietro Correa e Giovanni di Sosa, ambedue di nazione portoghesi, andando a predicare l'evangelo al popoli Ibirragiari, furono saettati dai Caribi, gente barbara e feroce; ed essendo posti in ginocchioni, facendo orazione, fu ad essi troncato il capo. Era Pietro Conca uomo nobile ed animoso; e prima che entrasse nella Compagnia, mosso dal zelo della fede e per difesa de' cristiani fece grande strage di quegli infedeli, e dipoi fu il primo, che nel Brasile entrasse nella Compagnia. E per impetrar perdono de' suoi peccati e ricompensare con opere buone, per quanto gli fosse possibile, il danno che fatto avea a quei popoli, si occupava i giorni e le notti affaticandosi per ridurli al conoscimento di Ges Cristo ed alla strada della salute. Visse in questi esercizi cinque anni nella Compagnia, con grande umilt, ubbidienza e desiderio di perfezione. N attraeva i gentili alla fede, n li conservava in ispirito e divozione con fervori indiscreti, ma con molta discrezione, maturit e con prudente considerazione li moveva a ben vivere con l'esempio suo, aiutandosi della lingua del Brasile, la quale egli molto ben possedeva, e dell'uso e dell'esperienza che aveva dei costumi e riti de' naturali di quel paese. Con le quali cose fu molto grande il frutto che in questo tempo ei fece; fin che l'anno 1554 mor, come di sopra si detto. L'altro, chiamato Giovanni di Sosa, fu parimente de' primi che nel Brasile entrarono nella Compagnia, uomo semplice e di molto buona coscienza, e segnalato nelle virt della penitenza, umilt e carit. Lo cav e tolse Iddio dai tizzoni e dalla cucina, ove ai Fratelli ministrava, per condurlo a tanto glorioso fine o perfezione di vita, come fece. Ed ampli la Compagnia tanto in quella provincia del Brasile, che abbiamo case nei luoghi detti del Salvatore, di S. Vincenzo, di Paratininga; dello spirito Santo, d'Illeo, di Portosicuro, di Pernambuco ed in alcuni altri: per la fondazione delle quali e pel governo di tutti i nostri che andavano in quelle parti, Ignazio cre Provinciale il Padre Emanuele Nobrega. ___________________CAPO XIII.Come il P. Giovanni Nugnez fu eletto Patriarca di Etiopia.Mentre che nel Brasile passavano queste cose, il Padre Giovanni Nugnez fu eletto Patriarca di Etiopia. E per meglio intendere la cagione di questa elezione, da sapere, che i popoli di Etiopia sono dei pi antichi cristiani che siano nella Chiesa. Perch parte dall'Apostolo S. Matteo, e parte da quell'Eunuco di Candace Regina degli Etiopi, il quale fu battezzato da S. Filippo Diacono, come si racconta negli Atti Apostolici; in quel tempo furono battezzati e riceverono la fede. Ma o quelli di quel tempo se ne rimasero con la legge di Mos, o se pure la lasciarono, i loro posteri e discendenti tornarono a prenderla, e vollero mescolare la purit dell'evangelo con le cerimonie del giudaismo, e la legge di grazia con l'osservanza della vecchia legge: perciocch fino al giorno di oggi e si battezzano ed insieme si circoncidono; e di tal maniera col giudaismo la cristiana religione confondono, che volendo esser cristiani e giudei veracemente non sono n l'uno n l'altro. Il Patriarca Alessandrino il capo loro, a cui gli Etiopi ricorrono, ed a lui vanno a chieder la regola della lor fede, la quale non pu fare che non sia di molti errori ripiena, uscendo dalle mani di uomo in tanti errori immerso e che tanto

depravato, insieme con quelli dei moderni Greci, separati dal vero capo loro e dalla ubbidienza della Sede Apostolica. Con la qual fede, per la distanza delle terre e dei mari che vi sono in mezzo, e per le barbare nazioni nemiche della nostra santa fede, le quali fra noi ed essi dimorano, erano passati molti anni che gli Etiopi non avevano commercio alcuno, n veruna comunicazione; finch la navigazione dei portoghesi nell'India orientale venne ad iscoprire quella parte di Etiopia, la quale soggetta a quel gran Re, che comunemente chiamano il Prete Gianni. Dove giunti i portoghesi visitarono il re, e se lo resero amico con la loro conversazione, con i presenti e con i segnalati servigi che in pace ed in guerra gli fecero: di modo che apersero la porta per poter entrare in Etiopia, ed in essa avere ogni sorte di traffico e di commercio. Quindi venne il Re dell'Etiopia, chiamato David, a procurare l'amicizia del Re di Portogallo, e col mezzo di lui e dei portoghesi, che l'avevano ammaestrato ed instruito, scrisse a Clemente Settimo Sommo Pontefice, che egli riconosceva e confessava il Vescovo di Roma per Pastore universale di tutta la Chiesa; e che come a tale gli chiedeva e lo supplicava, poich era maestro di tutti, che gli mandasse in Etiopia padri e maestri, che insegnassero loro quello, che erano obbligati a sapere, della fede santa e della cristiana religione. Scrisse parimente e preg il re del Portogallo, che in cosa tanto giusta e santa col Pontefice lo favorisse. Fece il re cotal ufficio con gran fervore e diligenza: ma dalle perturbazioni che nacquero in quei tempi, di maniera s'imped l'esecuzione di questo negozio, che si prolung fino al Pontificato di Papa Giulio Terzo. Il quale informato di tutto quello che ora passato, e giudicando questa cosa di grande importanza, ad intercessione del re D. Giovanni il Terzo di Portogallo, si determin di far Patriarca d'Etiopia, dandogli grandissima potest il Padre Giovanni Nugnez portoghese, il quale, come dicemmo, and nel regno di Marocco riscattando i cristiani prigioni; e perch lo accompagnassero e succedessero a lui nel Patriarcato, fece anco Vescovi i Padri Andrea Oviedo castigliano e Melchior Carnero portoghese. La Compagnia avendo prima a Sua Santit rappresentato gli inconvenienti che erano in questa cosa, e fatta quella resistenza che la modestia religiosa permetteva, non potendo fare altro, finalmente accett queste dignit, le cui rendite ed onori avevano da essere grandissimi travagli e manifesti pericoli della vita. Del che il Sommo Pontefice si edific e si compiacque molto, pubblicamente, dicendo in Concistoro, che in fine ben si vedeva quello che pretendevano in questo mondo quelli della Compagnia, poich, per una parte ripudiavano i Cappelli e i Vescovati di tanto onore ed utilit, e per l'altra accettavano quelli che fuori delle gravi fatiche e della continua croce, non avevano alcuna altra cosa che potesse a s tirare gli occhi ed i cuori degli uomini 52. Diede Ignazio al Patriarca ed a' Vescovi altri nove compagni de' nostri, e di nazioni diverse: perch tra essi v'erano italiani, fiamminghi, portoghesi e castigliani, i quali furono tutti dal re di Portogallo D. Giovanni ricevuti con grandissima benignit; ed al tempo del loro partire, oltre gli altri ricchi e reali doni, diede loro gli ornamenti e tutte l'altre cose, che per gli uffici loro e per i ministeri pontificati erano di bisogno. Li invi con una grossa armata nell'India, ordinando ai suoi Governatori, che, arrivati che ivi fossero, dessero al Patriarca ed ai suoi compagni un'altra Bolla e la compagnia necessaria fino in Etiopia, dove giunsero e furono ricevuti dal re Claudio, il quale essendo in quel tempo morto il re David, a lui nel regno era succeduto.

___________________CAPO XIV.Come in una sedizione, che si lev in Saragozza contra i nostri, uscirono della citt, e come furono richiamati in essa. Si lev in questo tempo contra i nostri in Saragozza una terribile procella, la quale voglio raccontare qui assai pi minutamente e diffusamente di quello che io sia solito di fare: perch mi pare che sia stata la pi scoperta persecuzione, che abbia patito fino al giorno d'oggi la Compagnia; ma per pi di tutte l'altre di allegro fine e di felice successo, E tanto pi fu notabile, quanto la citt di Saragozza pi illustre, per essere capo dei regni d'Aragona, e perch la Compagnia era di gi nel mondo pi conosciuta, e perch anco quelli che fecero sorgere cotale tempesta, per essere persone ecclesiastiche e religiose, avevano maggiore obbligo di placarla e di acquetarla. Avevano nella citt di Saragozza quelli della Compagnia certe case per loro abitazione, e per la fondazione di un collegio che i divoti ed amici di essa, aiutando anco a questo la citt, avevano loro comperato. Concorrevano molti alla casa nostra e facevano profitto per bene spirituale dell'anime loro con la comunicazione e conversazione de' nostri. Cominci questa cosa ad essere molesta e discara ai Frati di Agostino, i quali erano allora Conventuali ed ora sono Osservanti, bench la loro casa fosse lontana dalla nostra: e il Vicario parimente della Maddalena si alter e si dolse molto per la nostra vicinanza. Era questi nipote del Vicario Generale dell'Arcivescovo e monaco dell'Ordine di S. Bernardo: e lo stesso Arcivescovo, il quale era egli ancora religioso del medesimo Ordine, illustre di sangue e d'autorit e ricchezze molto potente, era tenuto in opinione d'esserci poco favorevole. Dispiacendo dunque a quei Padri Agostiniani l'entrare che avevamo fatto, ed il nostro abitare in Saragozza, ed il Vicario per rispetto di suo nipote non essendo a noi altri molto affezionato, si unirono fra di loro, e con essi alcuni religiosi di altri Ordini, e di comune consenso si determinarono di contraddire alla Compagnia. Cercavasi da loro di trovare alcuna onesta cagione per attacco di questa contraddizione: e la migliore di tutte parve loro essere l'edificazione di una cappella, come i nostri volevano instituire e cominciare ad usare in una sala della casa, fino che Iddio concedesse loro d'avere chiesa. Perch dicevano, che era dentro dei limiti e termini concessi solo agli Ordini Mendicanti: perch dentro di questo spazio non si possa ivi fare altra chiesa o monastero, perch gli uni religiosi non disturbino gli altri: e che questo facendosi, era contra i privilegi degli Agostiniani, concessi loro da' Sommi Pontefici. Si procur di verificare ed accertare la cosa bene, e ritrovossi che non erano impediti i loro privilegi; perciocch i nostri datici dipoi dalla Sede Apostolica, derogavano ai loro; e perch anco in verit non erano nella distanza che dicevano; ma senza fare loro aggravio alcuno potevamo aprire e tenere la nostra cappella. Vedendo adunque, che per giustizia disturbare non potevano, pretesero d'adoperare in vece di ragione la forza: e cos un giorno di festa la mattina, avendo prima ci fatto sapere all'Arcivescovo, e mostratogli le Bolle ed i privilegi nostri, essendo ben accommodata la cappella per dirsi la Messa, e per essere la prima, invitato e venutovi il Vicer e la gente principale e pi nobile della Citt; nel tempo che volevano andare a dire Messa, in nome di un frate Conventuale, che i Frati Agostiniani avevano eletto per Conservatore, fu fatta a' nostri un'inibizione, nella quale si comandava, che non si dicesse Messa nella cappella, per essere contra il

privilegio antico degli Agostiniani. E poich dopo avere preso il consiglio e parere di uomini timorati di Dio, letterati e prudenti, non si fece stima di tale inibizione, per essere di niuno valore e per altri rispetti, il Vicario fece attaccare un mandato alle nostre porte, nel quale comandava a tutti i Rettori e Vicarii di quella citt, che comandassero ai loro popoli, sotto pena di scomunicazione, che non udissero la messa, n i divini uffizi nella cappella nostra. E per ridurre la cosa a poche parole ed abbreviarla, giunse il fatto a termine tale, che i nostri furono pubblicamente scomunicati e cantarono loro il salmo della maledizione, smorzarono loro le candele, e dissero le altre esecrabili e spaventose maledizioni, che si sogliono dare agli inimici di Dio e della Chiesa: di maniera che dalla gente erano riputati per uomini empi, maledetti e scomunicati, e come tali fuggivano d'incontrarli, n li salutavano, n con essi avevano alcun ragionamento; perch parimente scomunicarono coloro che li visitassero, o conversassero e parlassero con essi; e pubblicamente anco scacciarono fuori delle chiese con affronto e per forza alcune persone molto illustri e titolate, perch non avevano ubbidito al comandamento del Vicario, come scomunicati e srparati dalla comunicazione de fedeli. E nelle chiese ancora i predicatori mille mali di essi dicevano; e lArcivescovo sentenziandoli li condann, e da' Capitoli de' Chierici furono pubblicati per iscomunicati con tutte le cerimonie pi gravi ed ignominiose, che fare si sogliono in tali censure; e con tutta quella solennit, la quale ha in costume di usare la Chiesa per ultimo rimedio contro i ribelli e pertinaci. Nella citt parimente si pose interdetto, e comandossi che durasse mentre quivi i nostri abitassero; per lo che spaventato il popolo, da noialtri come da mortifera pestilenza fuggiva, e desiderava che da noi fosse sgombrata la sua citt, perch non fosse infettata da gente cos abominevole e maledetta: tanto pi che andavano dall'altro canto i nostri contrarii gettando legna nel fuoco, e soffiando per ogn'intorno le fiamme dell'odio che visibilmente ardeva; facendo credere agli ignoranti ed ai semplici, che se essi parlassero coi nostri, erano parimente scomunicati, e ponevano loro grandi spaventi con i castighi di Dio che sopra di loro sarebbono venuti. E perch non mancasse cosa di quante fare ed immaginar si potevano, per renderci abominevoli al mondo, determinarono di porci in carta e di afligger cedole di scomuniche per le strade e per gli angoli della citt e sopra le porte delle chiese: e in esse dipinsero i nostri con le loro sottane, mantelli e berrette cos al vivo, che tutti li conoscevano; e per levar ogni dubbio ed occasione di errore, scrissero ivi i nomi loro, quelli di ciascuno sopra il suo ritratto. Appresso di essi dipinsero demonii di terribili ed orribili figure, che li rapivano e gettavano nelle fiamme ardenti; e scrissero nomi e titoli infami ed obbrobriosi, ed altre molte cose operarono, le quali non si fanno se non con quelli, che ostinatamente dispregiano la correzione ed autorit della Chiesa. E pass anco pi avanti la sfacciataggine e cieca temerit loro, sicch nell'istesso modo dipinsero Pietro Agostino Vescovo di Huesca, uomo in quella citt illustre e di grande autorit; perch era Conservatore di quelli della Compagnia. I nostri se ne stavano nella loro casa, ma con tutto ci non erano sicuri; perch i fanciulli a schiera a schiera venivano alla casa nostra, e lanciavano pietre nelle porte, nei tetti e nelle finestre, riempiendo tutte le strade di strepitosi gridi: e se per necessit era alcuno sforzato ad uscire di casa, i fanciulli fischiavano dietro a lui, e correndo per le strade

gli andavano gridando appresso, come se fosse stato un mostro spaventoso. Ma quantunque dal volgo di questa maniera fossero trattati, gli uomini per prudenti e che hanno riguardo alle cose, come elle sono, tenevano queste operazioni per molto gravi ed indegne d'uomini cristiani: perch non aveva la Compagnia data cagione alcuna, onde fosse in quel modo perseguitata. Ma tuttoch paresse loro male quello che si faceva, non osavano per di contrapporsi alla potenza ed autorit dell'Arcivescovo; n opporsi all'incostanza e furore popolaresco; n ammonire i Religiosi di quello che era debito della lor professione, n riprendere i sacerdoti della strana sedizione che avevano nel popolo concitata, il quale era quello che attizzava e soffiava con le voci sue nel fuoco, e che maggiormente cresceva ed avvampar lo faceva; di maniera che non era bastevole l'acqua che gittavano le persone prudenti, n gli altri rimedi che per ispegnerlo ed estinguerlo si adoperavano. Erano i cavalieri dalla parte nostra, e gli onorati cittadini deploravano le cose che vedevano, e favorivano la verit e la ragione; ma non potevano per, come avrebbono desiderato difenderla. Vero che un giorno mentre stavano molti cavalieri giocando e vedendo giocare alla palla, essendosi divulgato ch'era venuta alla casa nostra una schiera di gente perversa armata per ammazzare i nostri, e pervenendo questa voce all'orecchio di quelli che giocavano, subito in quell'istante lasciarono di giocare, e cos mezzo spogliati come erano, vennero correndo con le spade in mano alla casa nostra per difenderla, proteggerla, resistere e raffrenar con la presenza loro e con l'armi, se fosse stato bisogno, l'impeto ed il furore della gente popolare. Vedendo adunque i nostri posta in arme la citt contra di loro, e che correva pericolo di crescere ogni giorno via pi il tumulto, e che l'Arcivescovo dissimulava di non vedere il fuoco che accendeva il Vicario, e che i Religiosi facevano crescere, insieme con quello che il volgo dal canto suo furiosamente attizzava; e che da tanta e cos gran confusione e turbazione di animi succedere non ne poteva se non qualche gran male; vollero schifarlo: non essendo stata bastevole per acquetare o placare cos gran tempesta, n lautorit apostolica del Legato del Papa, n meno la Reale, che parimente v'interpose la serenissima principessa D. Giovanna figliuola dell'Imperadore Carlo V, che era allora Governatrice di Spagna, n alcun altro buon mezzo che adoperato si fosse. Laonde si determinarono di fare quello che in simile caso si legge aver fatto in Costantinopoli S. Gregorio Nazianzeno, ed uscire di quella citt, la quale, quantunque senza alcuna colpa loro, per loro cagione nondimeno vedevano tumultuante e turbata. Vennero dunque con questa risoluzione al Senato, e quivi parl uno dei nostri in nome suo e de' compagni; e disse loro: come essi erano venuti nella citt di Saragozza, pregati da alcuni dei principali di essa e per ordine dei loro Superiori: che tutti gli anni che ivi si erano fermati, con tutte le forze loro avevano procurato d'osservare con l'aiuto della divina grazia l'instituto della religione loro, e conforme ad esso impiegatisi giorno e notte in servire e spiritualmente aiutare tutti quelli che avevano voluto approfittarsi del loro poco travaglio, senza dare giammai occasione ad alcuno di potersi giustamente lamentare, n di essi scandalizzare: che loro doleva di non essersi affaticati con quella diligenza e sufficienza che erano obbligati: ma che almeno non aveva mai loro mancato n la fedelt debita al ministerio loro, n la volont e il desiderio di servire ad ognuno: se non che, per non essere tutti gli uomini di uno

stesso gusto, n tutti nelle cose avere una medesima opinione, non era stato questo loro desiderio da molti approvato; onde si era levata quella polvere ed arena, la quale vagando aveva accecati tanti: e poich la cosa era giunta al termine che vedevano, non piacesse mai a Dio, che per cagione loro fosse nata alcuna discordia o perturbazione loro in quella citt, alla quale essi erano venuti con tutte le loro forze a servire. Perch non Iddio, diceva egli, Iddio di dissensione e di discordia, ma di pace: onde se per noi si levata questa fortuna, eccoci qua, Signori, prendeteci, gittateci nel mare: perch noi, quanto alla parte nostra si aspetta, con tutti cerchiamo avere pace; la pace ricerchiamo e dietro la pace andiamo, e speriamo in Dio, che in qualunque parte del mondo anderemo, la ritroveremo; e non ci mancher occasione, n luogo per impiegare in servigio dell'anime questo picciolo talento concessoci da sua divina Maest. Eccovi qui le chiavi delle case nostre. La ragione perch dalla vostra citt ci dipartiamo, , perch qualche radice d'amaritudine non cresca e salga di maniera, che affoghi la carit e l'impedisca, s che con essa si perdano l'anime che Cristo nostro Signore comper col prezioso sangue suo. Poco si perde a perdere una citt ed un'abitazione, ma molto in fare perdita della carit: e per non porla a ventura e mettere in pericolo cosa di tanta importanza, contra ogni nostro volere, perdiamo questa terra. Ma se noi stessi non c'inganniamo, non ci sbandirete, Signori, dalla vostra memoria, n dall'amore tanto sviscerato, tanto cristiano e cos liberale, come sempre ci avete dimostrato; il quale noi conosciamo e sempre ne avremo memoria. Non abbiamo con che pagare questo amore, n con che soddisfare ai beneficii che da esso cos copiosamente nacquero; ma se in luogo di mercede volete prendere le orazioni ed i sacrificii di questi peccatori, protestiamo, che non saremo sconoscenti, ingrati, n cattivi debitori: perch dovunque ci ritroveremo, supplicheremo sempre il Padre de' poveri, che quel bene che a noi altri suoi poveri per amore suo avete fatto, egli con la vita eterna e senza fine ve ne renda il guiderdone. Di una cosa sola vi supplichiamo, come persone pubbliche e che rappresentate non solamente questa nobilissima citt, ma tutto il Regno, di cui ella capo; che ci perdoniate i molti mancamenti che abbiamo fatto in servigio di voi e dell'anime vostre; e che accettiate per buona questa nostra risoluzione e pensiate, che quantunque mutiamo luogo, non mutiamo per la volont; anzi ce ne andiamo pronti di apparecchiati per ritornare di nuovo a faticare ed a servirvi , quando saranno rese tranquille, come speriamo, queste onde tempestose e fluttuanti: il che sia in breve, per misericordia del Signore, il quale dopo la tempesta suole sempre fare venire la bonaccia. A questo la citt con brevi parole rispose: che il tumulto del popolo le aveva dato tanto travaglio, quanto la volont dei nostri le aveva recato contento: e che chiara cosa era, donde nasceva il tumulto, e chi fosse quegli che porgeva al popolo le pietre, e che poi nascondeva la mano: che la Compagnia faceva da quella che ella era, e conforme al suo nome, col dare tanto esempio di umilt e concordia; per non essere di minore meraviglia alla citt nel suo partire di quello si fosse stata di profitto nel fermarvisi: che essi avrebbono tenuto memoria di questo nuovo beneficio, e che in termine di pochi giorni avrebbono dato loro a conoscere quanto stimavano i Padri della Compagnia. Partitisi poi i nostri di Senato, alcuni dei Senatori se ne andarono insieme con essi alla casa nostra: entrarono in essa, videro coi loro propri occhi la nostra povert, e

provarono per isperienza essere falso quello che tra il volgo si era pubblicato, cio che i nostri vivevano con molta superfluit e con delizie: n vi mancarono di quelli, i quali per avere leggermente creduto, della leggerezza ed inganno loro chiesero ad essi perdono. Fecero inventario di quei pochi mobili che erano in casa ed accompagnarono i Padri, quando volevano partire, offerendo loro danari per il viaggio; ma essi, ringraziatili, non li vollero accettare. Usciti di Saragozza se ne andarono ad un castello chiamalo Pedrola, il quale del Duca di Villa Bella per aiutare con la dottrina loro i Mori e l'altra gente. E poich, come gittato che fu Giona dalla nave nel mare, si acquet la tempesta; cos con veder partiti i nostri della citt, si plac molto il furore degli avversari, e si and mitigando in essi il rigore, e per lo contrario gli amici della Compagnia maggiormente s'innanimarono. I capi e ministri della persecuzione cominciarono ad aver tmore, cruciandoli per una parte la paura che avevano, del castigo che aveva da venire sopra di loro per cotanto ardire; e per l'altra il rimorso della propria coscienza, la quale fortemente li accusava, come crudel carnefice che suol essere, conoscendo che erano passati in questo negozio molto pi avanti di quello che la giustizia e la verit della religione cristiana richiedeva. E per dirla in breve, perch come dice il proverbio, sempre sono pi savi gli ultimi consigli, l'Arcivescovo di Saragozza, considerando il meglio, rivoc i suoi comandamenti e fece pubblicar per le chiese altri editti, dichiarando le grazie e facolt, che ha la Compagnia dalla Sede Apostolica. Inviossi un messaggero ai nostri, che subito se ne ritornassero alla citt, ed apparecchiarono da riceverli solennemente: il che, come seppero i nostri, si trattennero, n vollero passare avanti, n entrar nella citt, fin che non mandarono a supplicare umilmente alcuni Signori, che ci trattavano, che non li dovessero ricevere di quella maniera, n facessero loro quel dispiacere: perch senza dubbio sarebbe molto maggiore il dolor e la pena, che da questo onore riceverebbono, che non era stato il godimento del passato disonore, quantunque molto grande per esser nato dal patire per amor di Dio. Tre volte da una parte e dall'altra si fecero ambasciate, ma non bastarono preghiere, n qualsivoglia mezzo che si adoperasse, pot far s, che quei Signori si mutassero di parere. Perciocch dicevano, che gli affronti e vituperi fatti loro pubblicamente a torto, dovevano essere con onori pubblici ricompensati. Onde in fine astretti dall'ubbidienza di chi comandar loro poteva, se ne andarono i nostri verso la citt ed uscirono a riceverli alla porta, che si chiama il Portello, tutti i magistrati ed ufficiali Reali, i Signori pi illustri, ed il fiore della cavalleria, che era in essa citt, e grandissima moltitudine di popolo e lo stesso Vicario dell'Arcivescovo: e volessero eglino o no, due de' pi principali Cavalieri presero ciascuno dei nostri in mezzo, e fattili ascender le lor mule, per le pubbliche e pi frequentate strade alle loro case li accompagnarono. Ivi li stava aspettando il Vicer e lInquisitore, e finita la Messa, la quale disse D. Pietro Agostino Vescovo di Huesca, il quale insieme con Agostino del Castello uomo molto grave, letterato e prudente furono in quella persecuzione singolari difensori della Compagnia, diede loro il nuovo possesso delle loro case con allegrezza incredibile di tutti i buoni. Questo fu il fine che ebbe quel travaglio e quella persecuzione di Saragozza: e d'allora in poi andato quel collegio cos avanti, ed stato sempre tanto amato e favorito, che ha ben dimostrato quella citt, che il tumulto passato non era nato per

colpa sua, ma del volgo ignorante. E fu questo successo molto conforme alle speranze d'Ignazio, il quale, quando seppe quello che in Saragozza passava, prese straordinaria consolazione e con allegrezza particolare diede a conoscere, che quanto maggiori fossero state le gelide pruine, i turbini e le gagliarde contraddizioni, tanto maggiori e pi salde sarebbono state le radici, che avrebbe fatto, e pi abbondante e saporito il frutto, che in Saragozza si sarebbe raccolto da questa nuova pianta della Compagnia. ____________________CAPO XV.Come la Compagnia fu ricevuta negli Stati di Fiandra, e si accrebbe con vari Collegi che si fecero in molte parti.Il ritorno dei nostri in Saragozza con tanto onore, lev il sospetto, che in Ispagna cagionato aveva, l'esser eglino usciti di quella citt; e cav Iddio da quella persecuzione quel medesimo che sempre ha cavato dalle altre, le quali per lui si sopportano, che la maggior gloria sua ed il conoscimento e pi certa vittoria della verit. Laonde non solo non ricevette alcun detrimento per quella cagione il buon nome di essa, anzi rest maggiormente confermato e radicato nei cuori di tutti i buoni. Quindi ne nacque, che in quel medesimo tempo si fondarono alcuni altri collegi. Il primo fu in Murcia dal vescovo di Cartagena, chiamato D. Stefano di Almeida: il secondo in Galicia nel Monte Regio, fondato dal Conte di quel Castello; un altro in Ocagna per il Beneficiato Luigi di Calatayud; e in Andaluzia da D. Caterina Ernandez di Cordoya, Marchesana di Pliego, se ne fond un altro in Montiglia; perciocch fu tanta la divozione e religione di questa signora e l'amor che portava alla Compagnia, che non pretermetteva alcuna occasione di favorirla ed accrescerla; di modo che pare, che tanta cura tenesse delle cose nostre, come delle proprie sue. In Fiandra parimente ed in Alemagna andava la Compagnia aumentando e propagandosi via maggiormente. Perciocch fin dell'anno 1542, in cui di Parigi ci dipartimmo, come si detto di sopra, risiederono sempre in Fiandra alcuni della Compagnia, i quali in Lovanio avevano per Rettore il Padre Adriano di Adriano, ed in Colonia il Padre Leonardo Chesselio; ed ivi studiavano e si esercitavano del continuo in opere di carit, ed in guadagnar gente a Dio e alla Compagnia. E nella citt di Tornay cominci ad esser conosciuta col mezzo de' Padri Bernardo Oliviero e Quintino Carlat, i quali erano in quella citt amati e riveriti: dove grandemente desideravano molti di vedere ivi fondata la Compagnia, ed altri seguitare l'instituto di essa, non senza gran dolore e risentimento degli eretici, il veleno della cui mortifera dottrina sparso di gi allora per molte parti, andava ciaschedun giorno maggiormente serpendo. Ma a questo avendo Ignazio considerazione, e desiderando che il frutto fosse durabile e permanente, con ordine convenevole si determin di mandar il Padre Pietro Ribadeneira, perch comunicasse e dichiarasse le constituzioni della Compagnia ai nostri in Fiandra; o perch supplicasse il re cattolico D. Filippo Secondo di Spagna, il quale si ritrovava allora, in quegli Stati, che desse licenza che la Compagnia potesse ivi essere ricevuta ed aver case e collegi. Perciocch secondo i privilegi ed ordinazioni di quel paese, niuna Religione nuova pu ivi entrare, n fondar si possono nuovi monasteri e case, senza particolar privilegio e licenza del Principe. Ottenne il Padre Ribadeneira da sua Maest, quantunque a ci molti grandemente contraddicessero, l'approvazione della Compagnia, e licenza di poter edificare collegi in quegli Stati. A questo e ad altre cose pertinenti al divino servigio ed aumento della Compagnia giov molto il

singolar favore che v'interpose D. Gomez Figueroa, allora Conte e dopo Duca di Feria, il quale col valore, con l'autorit e con la prudenza sua super tutte le difficolt, ed agevol la strada, perch i nostri entrassero in quella provincia e vi avessero abitazione. Nomin Ignazio per Provinciale di essa il Padre Oliviero, il quale prima che nell'ufficio suo destinatogli servir potesse, piacque a nostro Signore di chiamare a s. Questo quello che passava nell'Alemagna bassa; ma non meno nell'alta si andava parimente stendendo ed ampliando la Compagnia: perciocch in questo medesimo tempo d'ordine del Sommo Pontefice, il Padre Maestro Salmerone fu il primo de' nostri, che in Polonia introducesse il nome della Compagnia, e si accrebbe anco il Collegio d'Ingolstadio. Il re de' romani Ferdinando avendo veduto il frutto che faceva in Vienna il collegio della Compagnia, ne fond un altro famoso nella citt di Praga metropoli e capo del regno suo in Boemia; acci fosse come un baluardo contro gli hussiti e Viccleffisti, ed altre stte di eretici, le quali erano molto in quel regno radicate. Se n'and a dar principio a questo collegio il Padre Pietro Canisio, che da Ignazio era stato nominato per Provinciale dell'Alemagna Superiore. S'incominci anco in Italia il collegio di Siena, col mezzo del Cardinale Francesco Mendoza, ch'era governatore di quello Stato e di quella citt, ai cui prieghi mand ivi Ignazio quattro dei nostri, perch la consolassero e le arrecassero alcuna ricreazione, essendo per le ruine della passata guerra posta in miserabile travaglio. In Vibona castello di Sicilia, fu edificato un bel collegio, e dotato di certi fondi e possessioni da D. Isabella de Vega, figliuola del Vicer Giovanni de Vega e Duchessa di quello Stato. E suo fratello Ferdinando, essendo al governo di Catania, condusse i nostri in quella citt, e con l'autorit di suo padre e la liberalit del popolo, fece in essa un altro collegio fondare. Perch tanta fu la benevolenza di quei signori, e tanta la la divozione verso la Religione nostra, che pareva che il padre ed i figliuoli facessero a gara a chi poteva far pi per la Compagnia. ___________________CAPO XVI.Come Ignazio pass di questa presente vitaTale era lo stato della Compagnia, quando Ignazio gi carico di anni, travagliato ed oppresso dalle infermit, afflitto per i tempi burrascosi e per le nuove calamit della Chiesa, ed acceso di desiderio di vedersi con Cristo, con lacrime copiose e con veementi sospiri cominci a pregar il Signore che fosse servito di cavarlo da questo deserto e condurlo a quel luogo di riposo, l dove con la libert da lui desiderata potesse lodarlo e, fra gli altri suoi eletti, della beata sua presenza fruire e godere. Perciocch se bene con lo sforzo dell'anima sostentava la fiacchezza del corpo e conformandosi in tutto con la divina volont sopportasse con gran pazienza e costanza i travagli di questa peregrinazione; languiva per di cos acceso desiderio di veder Iddio e di goder di lui, che non poteva, come di sopra abbiamo dimostrato, pensare senza lacrime di allegrezza al suo transito e passaggio. Era in quel tempo ingombrata Roma di soldati per la guerra che tra Paolo IV ed il re Filippo si faceva; n altra cosa si udiva in quella santa citt, che tamburi e trombe, e strepito di archibugi e di artiglieria, e tutta la gente era di timore e di spavento ripiena. Per non vedere dunque questi mali cos da presso e per deplorare tra la solitudine cos grande calamit, per alcuni pochi giorni se ne and ad una casa di villa, alquanto lontana dal commercio di Roma. Ivi per l'aria insalubre e per gli estivi ardori cominci a sentirsi peggio di quello che soleva; e conoscendo che di gi s'avvicinava il termine de' suoi

travagli, siccome alcuni mesi prima lo scrisse a D. Leonora Mascarena, prendendo da lei congedo e dicendole, che quella sarebbe l'ultima lettera ch'egli le avesse scritto, e che lass nel cielo con efficacia grande a Dio avrebbe raccomandata, fece ritorno alla casa di Roma. Erano allora in essa molti infermi visitati dai medici, i quali non facevano caso della infermit d'Ignazio, per parere loro che fosse la sua ordinaria e senza pericolo: ma egli, che meglio dei medici sapeva quello che nostro Signore voleva fare di lui, essendosi due giorni avanti comunicato, ai 30 di Luglio alle tre ore di notte chiam a s il P. Giovanni Polanco, del quale si era aiutato nove anni intieri in ogni sorte di negozio nel governo della Compagnia; e tiratolo da parte, non sospicando egli punto quello che ci si volesse, con grandissima quiete d'animo cos gli disse: Maestro Polanco, gi si avvicina l'ora della partenza mia da questo mondo: andate in mio nome a baciare i piedi a Sua Santit e chiedetegli la sua benedizione, ed insieme con essa la plenaria indulgenza de' miei peccati; acciocch maggiormente consolato e confidato mi parta di questa vita; e dite a Sua Beatitudine, che se io, come spero dall'infinita misericordia del mio Signore, mi vedr giunto nel monte santo della gloria sua, non mi scorder di pregare per Sua Santit, come ho fatto sempre, anco nel tempo, che aveva necessit di pregare per me stesso. Gli mand il Sommo Pontefice con gran segni di amore e di dolore insieme la sua benedizione: ma non sapevano i Padri, che in quel tempo erano nella casa di Roma, che cosa farsi in un caso cos dubbioso: perciocch da una parte grave non pareva l'infermit, ed i medici avendolo visitato, non dimostravano che nella malattia alcun pericolo vi fosse; e lo stesso P. Ignazio non faceva novit alcuna in quell'ultimo punto; anzi, nella medesima notte con lo stesso sembiante e giocondit solita, tratt coi nostri di un negozio che allora se gli offer: d'altra parte per li rendevano solleciti e sospesi le parole che egli aveva dette al Maestro Polanco, e l'avere mandato a prendere licenza da Sua Santit, chiedendole la sua benedizione: il che pareva loro, che non potesse essere senza gran fondamento e senza gran pegni di Dio e certezza della sua morte. In fine dopo aver fatto consulta sopra cotal negozio, si determinarono di aspettare alla seguente mattina per prendere partito migliore intorno a quello che si avesse a fare. Se n'andarono a lui allo spuntare del giorno, e quasi spirante lo ritrovarono: vollero dargli un poco di cibo; ma egli disse loro: non pi tempo di questo: ed alzate le mani ed affissati gli occhi al cielo, chiamando con la lingua e col cuore Ges, con un volto sereno rese l'anima a Dio l'ultimo giorno del mese di Luglio dell'anno 1556, un'ora dopo il levare del sole. Uomo veramente umile, e che fino in quell'ora tale essere volle e tale essere dimostr: perciocch sapendo, come seppe, l'ora della sua morte, non volle, come avrebbe potuto, lasciare nominato il Vicario Generale, n chiamare a s, n congregare in uno i suoi figliuoli che allora erano presenti, n ammonirli, n esortarli, n fare alcuna altra dimostrazione da Padre, dando a quelli la sua benedizione; per insegnare loro con questo, che essi tutte le loro speranze in Dio riponessero e da Dio dipendessero; e pensassero, che egli per nulla voleva essere e nella fondazione della Compagnia stimava di essere stato per nulla. Cosa che quantunque paia da quello differente, che hanno fatto alcuni altri Fondatori di Religioni, non per diversa dallo spirito, con cui lo fecero: onde per contraria a quello tenere non si deve. Perciocch il Signore, che ad essi diede lo spirito della carit, per fare quelle dimostrazioni di

amore che allora coi suoi operarono, quello stesso Signore volle concedere ad Ignazio servo suo lo spirito della profonda umilt che egli ebbe, per non farne alcuna in quell'ora. Ma con tutto questo sentirono bene i figliuoli di lui il favore che dal loro morto Padre, o per dir meglio veramente vivo, veniva: perch dopo il transito di lui, subito in tutta la Compagnia un sentimento di soavissimo dolore ne segu; un desiderio di santa speranza ripieno, un vigore ed una fortezza di spirito, che in tutti universalmente si scorgeva; di modo che pareva, che con nuovi desiderii ardessero di affaticarsi e patire in qualunque luogo per amore di Ges Cristo. Uomo per certo valoroso e coraggioso soldato di Dio, il quale con particolare provvidenza e grazia mand la Maest sua alla Chiesa in questi cos perigliosi tempi, per contrapporsi al temerario ardire degli eretici, i quali ribellatisi, alla loro propria Madre facevano guerra. E ci essere vero chiaramente si conosce, perch se considereremo bene, ritroveremo che Ignazio dalla vanit del mondo si convert a servire a Dio ed alla sua Chiesa nel medesimo tempo, che l'infelice Martino Lutero mancando alla cattolica religione, pubblicamente contra di essa con audacia e impudenza proruppe. E quando Lutero levava l'ubbidienza alla Chiesa Romana, e faceva gente per combattere con tutte le sue forze contra di lei, allora faceva Iddio sorgere questo santo Capitano, perch adunasse soldati per tutto il mondo, i quali con nuovo voto si obbligassero di ubbidire al Sommo Pontefice, e con opere e con parole alla perversa ed eretica dottrina de' seguaci di lui resistessero. Perciocch essi distruggono la penitenza, levano l'orazione e l'invocazione dei Santi, gettano a terra i Sacramenti, perseguitano le immagini, spregiano le reliquie, rovinano le chiese, si fanno beffe delle indulgenze, privano le anime del Purgatorio dei suffragi pii de' fedeli, ed a guisa di furie infernali turbano tutto il mondo, confondendo il cielo e la terra, ed occultando e seppellendo per quanto possono dalla parte loro, la giustizia, la pace e la religione cristiana. Tutto il contrario a questo insegn Ignazio, e predicano ora i figliuoli di lui, esortando tutti alla penitenza, all'orazione ed alla considerazione delle cose divine; a confessarsi spesso, a comunicarsi con divozione, a riverire e rispettare le immagini e le reliquie dei Santi, ad aiutare s stessi ed i fedeli defunti con le indulgenze e perdoni cavati dal ricchissimo tesoro dei meriti della passione di Ges Cristo e de' suoi Santi, il quale depositato nella Chiesa in mano del Vicario suo. Finalmente tutti i consigli, pensieri e cure d'Ignazio a questo scopo miravano di conservare nella parte sana, ovvero restaurare nell'inferma e caduta, la sincerit e limpidezza della fede cattolica, come gl'inimici di lei procurano di distruggerla. Fu sepolto il suo corpo il primo d d'agosto in una bassa ed umile sepoltura, posta al destro lato dell'altare maggiore della chiesa nostra di Roma. Mor d'anni sessantacinque; e trentacinque erano dalla sua conversione, il qual tempo visse tutto in somma povert, in penitenze, pellegrinaggi, studi di lettere, persecuzioni, prigionie, catene, ed in grandissimi travagli e fatiche; le quali tutte cose con allegra e stupenda constanza soffer per amore di Ges Cristo, il quale gli diede vittoria, e lo fece trionfare di tutti i demonii ed avversari che procurarono di abbatterlo. Visse sedici anni, dopo essere stata dalla Sede apostolica confermata la Compagnia, ed in questo spazio di tempo la vide moltiplicata e propagata quasi per tutto il mondo. Lasci stabilite e ordinate dodici province; quella, cio, di Portogallo, di Castiglia, d'Andaluzia, de' regni d'Aragona, d'Italia che

comprende la Lombardia, la Toscana, Napoli e la Sicilia, quella dell'Alemagna alta, dell'Alemagna bassa, di Francia, del Brasile e dell'India orientale; ed in queste province vi erano fondate fino in quel tempo cento collegi ovvero case della Compagnia. _________________CAPO XVII.Di quello che molte persone gravi dentro e fuori della Compagnia sentirono del Padre Ignazio, ed in quale opinione fosse tenuto.Nel giorno che mor il nostro Padre Ignazio, si ritrovava infermo nel letto il Padre Maestro Lainez; e per la gravezza dell'infermit era quasi dai medici abbandonato. Entrarono dunque alcuni dei nostri Padri a visitarlo, e volendogli, per non gli arrecare pena, tenere celata la morte d'Ignazio, egli tutto da s dimand: morto il Santo? adunque morto? ed essendogli detto finalmente che s; la prima cosa ch'ei fece, fu alzar le mani e gli occhi al cielo, e raccomandarsi a lui, e supplicare nostro Signore, che per lorazioni di quell'anima pura del suo servo Ignazio, la quale in quel giorno aveva a s raccolta, prestasse favore alla sua e la sciogliesse da' legami del fragile e misero suo corpo, perch potesse accompagnare il padre suo, e godere di quella beatitudine, della quale, come dalla misericordia di sua Maest si aveva a sperare, egli godeva: quantunque poi succedesse il contrario; perch nostro Signore gli restitu la sanit, acciocch in luogo d'Ignazio governasse di poi la Compagnia, acquistandola come si crede, per intercessione di lui, il quale molto tempo prima gli aveva detto, che nel carico di Preposito Generale gli succederebbe. E non meraviglia, che il Padre Maestro Lainez; in quel punto si raccomandasse ad Ignazio gi morto, nel modo ch'ei fece, poich anco quando viveva era stimato da lui grandemente e tenuto in grandissimo concetto. Perciocch mi sovviene, che molte volte ragionando meco, quanto Iddio nostro Signore favorito avesse la Compagnia, moltiplicandola e stendendola per tutto il mondo, e con la sua potente mano proteggendola, difendendola da tanti incontri e persecuzioni, e dandole grazia di fare frutto nella sua santa Chiesa, soleva dire queste parole: Complacuit sibi Dominus in anima servi sui Ignatii; cio: Si compiaciuto il Signore nell'anima del suo servo Ignazio: dandomi ad intendere, che per essersi compiaciuto Iddio tanto grandemente nell'anima di lui, favoriva cotanto e cos ben trattava i suoi figliuoli. E lo stesso Padre Lainez, quando fu mandato da Papa Paolo Terzo la prima volta al Concilio di Trento per suo teologo, desider e procur molto, che vi andasse anche il nostro Padre Ignazio, non per disputare con gli eretici, n per verificare e determinare le questioni della fede; ma per prestare aiuto a sostentare, come egli mi diceva, il Concilio con le sue orazioni appresso a Dio, e con la sua prudenza appresso gli uomini. E il medesimo Padre Lainez, tenendo il Padre Maestro Fabro in concetto molto alto, e figurandolo ad un uomo molto spirituale e sovrano maestro di reggere, consolare ed acquistare anime a Cristo, come veramente tale era in effetto, mi diceva per, che sebbene avendo riguardo solo al Padre Fabro, gli pareva tale; nondimeno posto e paragonato con Ignazio, gli sembrava un fanciullo balbuziente rispetto ad un sapientissimo vecchio. E in questo certamente non gli faceva aggravio alcuno; ch lo stesso Fabro lo conosceva, e come il tale scriveva, dandogli conto delle cose interiori dell'anima sua e chiedendogli la soluzione de' dubbi che aveva, e pendendo dalle risposte di lui, come un picciolo bambino dipende dalla madre; riponendo Ignazio ne' suoi scritti per ritratto ed esempio d'ogni perfezione, ed esortando quelli che a lui

dimandavano consiglio, che lo imitassero e lo seguissero, se volevano in breve perfezionarsi. E poi che sono entrato a raccontare quello che questi Padri sentivano da lui, voglio aggiungerne alcuni altri di gravissima testimonianza. Il Padre Claudio Iaio, mentre anco viveva Ignazio, essendo grandemente molestato da un gravissimo dolore di stomaco, facendo viaggio e senza alcun rimedio umano ritrovandosi, voltatosi a nostro Signore, lo supplic, che per i meriti d'Ignazio lo liberasse da quell'angustia ed affanno; e di subito liberato ne fu. Altrettanto avvenne al Padre Bobadiglia, dopo la morte di esso: poich essendo assalito da un'ardentissima febbre, Iddio ne lo rese libero, per le orazioni di lui, a cui si era raccomandato. Sappiamo anco, che il Padre Simone Rodrigo per le orazioni di esso Ignazio fece acquisto della vita, come nel Capitolo nono del secondo Libro di questa istoria abbiamo raccontato: e fu di lui conceputa opinion tale, che si ha da stimare, che per mano di quest'uomo ricevesse da Dio cotanta misericordia. Il Padre Francesco Borgia nostro terzo Generale, specchio di umilt e di religione, parlando d'Ignazio diceva, che Loquebatur tamquam potestatem habens, cio, che ragionava come quegli che aveva potest; e che le parole di lui si attaccavano al cuore, e che in esso imprimevano quello che gli aggradiva. Sarebbe un non finir mai s'io volessi andar raccontando degli altri, e ci che ciascuno dei pi segnalati e famosi Padri della Compagnia vivi e morti, che vie pi familiarmente trattarono e conversarono seco, sentissero e predicassero della virt e santit di lui. Ma uno lasciar da canto non posso, che il Padre Francesco Saverio, uomo veramente apostolico ed inviato da Dio al mondo per illuminare le tenebre di tanti ciechi infedeli con la chiara luce dell'evangelo, tanto conosciuto e stimato per le opere meravigliose e per i miracoli che per lui oper nostro Signore. Diceva dunque quel giapponese chiamato Bernardo, del quale abbiamo fatto menzione nel Capitolo settimo di questo Libro, e a me medesimo il riferiva, che il Padre Francesco ragionando d'Ignazio, gli soleva dire: Fratello Bernardo, il Padre Ignazio un gran Santo; e come tale lo stesso Padre Francesco lo riveriva: e per dimostrar la divozione, in cui l'aveva e la venerazione che gli portava, molte fiate quando gli scriveva lettere, lo faceva posto in ginocchio, e fin dall'Indie ricercava esser da lui instruito o avvisato, come a governare si aveva per la conversione degli infedeli; dicendo che cotali richieste gli faceva, per non essere da Dio castigato, non essendosi saputo approfittare della luce e dello spirito del suo Padre e Maestro: e contra tutte le fortune e i pericoli, a guisa d'un forte scudo e di sicuro arnese si armava col nome, con la memoria e con l'intercessione d'Ignazio; portando al collo la sottoscrizione ed il nome di mano dello stesso Padre, ed i voti della sua professione 53. E affinch non siano tutti i testimoni domestici e di quei di casa, se ben
questi sono i pi certi, dir ancora d'alcuni pochi di fuori d'autorit singolare. Papa Marcello fu divotissimo del nostro Padre e tanta stima faceva in tutte le cose del parere di lui, ma specialmente in quelle che spettavano alla Compagnia nostra, che diceva, che intorno ad esse la sola autorit di lui e quello che egli ne sentiva, era molto pi che tutte le ragioni, le quali in contrario s'avessero potuto allegare, come si detto di sopra. Il Re di Portogallo D. Giovanni il Terzo, come fu sempre fin dai suoi principii protettore segnalatissimo della Compagnia, cos gran cura ebbe di saper le cose di essa, con divozione particolare al nostro Padre: laonde partendosi per Roma il Padre Luigi Gonzalez de Camara, il quale era stato Confessore del Principe D. Giovanni suo figliuolo, gli commise, che stesse molto attento a tutte le cose del P. Ignazio, e che gliele scrivesse insieme col

suo parere particolarissimamente. Fecelo il P. Luigi, e come egli mi disse, dopo aver ben notata ed esaminata ogni cosa, scrisse al Re, che ci che egli poteva dire a sua Altezza intorno a quello che gli aveva comandato, era, che quel poco tempo in cui attentamente stava mirando il Padre Ignazio, era di grandissimo profitto per l'anima sua: perciocch solo la composizione e l'aspetto di lui l'accendeva e notabilmente l'infervorava nell'amore di Dio. D. Gaspare Quiroga, che fu poi Cardinale ed Arcivescovo di Toledo ed Inquisitore Generale, il quale ebbe molto stretta amicizia in Roma col nostro Padre Ignazio, e con esso lui varii e difficili negozi tratt, mai non cessava di lodarne la religione, santit e prudenza grande; le quali cose, come egli diceva, erano congiunte in Ignazio con una uniformit e con un'istesso sembiante in tutte le cose, o pros ere o avverse ch'elle si fossero, e questo in grado tanto sublime, che tale in niun uomo come in lui, vedute le aveva giammai 54. Tra gli altri molti principi e signori ecclesiastici e secolari,

che dopo la morte d'Ignazio scrissero alla Compagnia, lodando il defunto padre e consolando i figliuoli vivi, innanimandoli ed offerendo loro il suo favore, uno fu Giovanni de Vega, che era allora Vicer di Sicilia, e mor di poi Presidente del Consiglio Reale in Castiglia, il quale essendo Ambasciadore dell'Imperatore Carlo Quinto in Roma, aveva avuto, molta conversazione con Ignazio, dopo la cui morte scrisse al Padre Maestro Lainez, che di gi era Vicario Generale, una lettera, della quale, per parermi degna di un tal uomo ed a proposito di quello che trattiamo, ho voluto por qui un capitolo, che quello che segue. Tre o quattro giorni prima che si ricevesse la lettera, che in nume di V. R. scrisse il Padre Polanco. avvisandoci del passaggio da questo mondo alla gloria del cielo del Beato Padre Maestro Ignazio, abbiamo avuto qui la nuova, bench confusa; e con gran desiderio ed espettazione eravamo solleciti di sapere i particolari del suo santo fine e dello stato di cotesta religiosa e santa Compagnia. Noi non abbiamo mai punto dubitato di quello che ora in questa lettera si veduto: per lo che parimente si scrisse al P. Maestro Girolamo, che sopra la Compagnia aveva sempre ad essere assistente la mano e la guida di Dio. Ma
veramente grande consolazione ed edificazione ci ha recato l'averlo cos particolarmente inteso; quantunque questa soddisfazione venuta mescolata con una certa tenerezza e fiacchezza umana, la quale non pu fare che non si risenta per la lontananza e perdita da questo mondo di quelli che in esso amiamo. Sia infinitamente ringraziato nostro Signore di aver a s raccolto questo suo servo, nel tempo che ha giudicato essere pi opportuno. Egli ci ha lasciato qui gi tanti trofei della santit e bont sua, i quali non saranno logorati dal tempo, n dall'aria, n dall'acqua, come ne vediamo molti gi distrutti, che furono edificati per ambizione e per vanagloria del mondo. Io mi pongo innanzi agli occhi il trionfo, con cui deve essere stato ricevuto ed onorato nel cielo quegli a cui vanno innanzi tante vittorie e tante superate battaglie contro genti cos barbare e straniere, e segregate da ogni notizia di luce e di religione; se non quanto le hanno illuminate questo beato e santo capitano e i soldati di lui. E quanto giustamente si pu nel cielo piantare lo stendardo suo, insieme con quello di S. Domenico, di S. Francesco e di altri Santi, avendogli Iddio prestato grazia di ottenere vittoria delle tentazioni e miserie di questo mondo e di liberare tante anime dall'inferno. E questa gloria e questo trionfo quanto sar senza invidia della gloria e del trionfo degli altri Santi, e quanto saranno differenti dai trionfi e dalle glorie di questo mondo, ripiene di cotanta miseria cd invidia, con tanto danno e corruttela universale? Le quali cose tutte sono di gran consolazione e di gran forza, perch il dolore del senso per molto ch'egli sia, si vada mitigando e accrescendo in voi la fiducia, che fin dal cielo ne aiuter; e molto meglio potr farlo verso la religione sua, e tutti gli altri che ebbero ed hanno conoscenza di lui e divozione alla santa sua persona. Fin qui sono parole di Giovanni

de Vega. Il Padre Giovanni d'Avila sacerdote secolare e predicatore apostolico in Andaluzia, per l'eccellente virt, lettere e prudenza sua ivi ed in tutta la Spagna molto ben conosciuto, quando seppe, che Iddio aveva mandato al mondo Ignazio ed i suoi

compagni, ed ebbe conosciuto l'Instituto e l'intenzione di lui, disse: che questo era quello che egli tanti anni con tanto desiderio era andato investigando, ma che non aveva saputo vedere n ritrovare: e che a lui era avvenuto quello che accader suole ad un fanciullo, il quale stando a pi d'un monte brama e procura con ogni suo potere di far salire alcuna cosa molto pesante alla cima di esso; ma far non lo pu, ctolpa delle sue forze; e di poi viene un gigante, ed il peso che portar non poteva il fanciullo, con molta facilit lo porta e ripone dove gli piace; facendosi con questa comparazione per l'umilt sua picciolo, ed Ignazio a gigante paragonando 55. ____________________CAPO XVIII.Della statura e disposizione del corpo d'Ignazio.Fu Ignazio di mezzana statura, o per dir meglio, alquanto picciola; sebbene tutti gli altri fratelli di lui grandi e molto ben disposti fossero. Aveva la faccia maestevole, la fronte spaziosa e piana, gli occhi incavati, le palpebre contralte e di rughe ripiene per le molte lacrime che di continuo spargeva: aveva le orecchie n grandi n piccole; il naso nella sommit eminente e nell'infima parte alquanto spianato e largo: era di color vivace e temperato, calvo e di venerabilissimo aspetto: il sembiante della faccia era allegramente grave, e gravemente allegro, di modo che con la serenit di lui apportava allegrezza a chiunque lo riguardava, e con la gravit edificava mirabilmente. Zoppicava un poco d'una gamba, ma per senza deformit, di maniera che con la moderata cura ch'egli nel camminar poneva, appena agli occhi de' riguardanti si dimostrava. Aveva i piedi ripieni di calli e molto aspri, per averli cotanto tempo portati scalzi ed aver fatti cotanti viaggi. Una gamba gli rest sempre cos debole per quella percossa che raccontammo nel principio, e tanto sensibilmente se ne risentiva, che, per leggermente che toccata gli fosse, sempre se ne doleva: laonde molto pi da meravigliarsi, che abbia potuto fare a piedi tanti e cos lunghi viaggi. Nel principio fu di robuste forze, e molto sano e prosperoso; ma coi digiuni e con le eccessive penitenze si venne a consumare; onde incominci a patire molte infermit e ad esser molestato da gravissimi dolori di stomaco, cagionati dalla grande astinenza fatta nei principii, e dal poco cibo ch'ei prendeva, il quale era parchissimo e di cose molto comuni e grosse. Sofferiva tanto la fame, che alcune volle per tre giorni continui ed alcun'altre in una settimana intiera non gust pur un boccone di pane, n una gocciola d'acqua. Aveva di tal maniera perduto il sentimento del gusto, che del cibo quasi niun sapore prendeva: laonde alcuni medici che lo conobbero affermavano che non era possibile, che un corpo cos afflitto ed estenuato si fosse tanto tempo sostenuto in vita senza l'aiuto di virt pi che naturale. Fu sempre il suo vestire povero e senza alcuna curiosit, ma pulito e mondo: perch sebbene amava la povert, non mai gli piacque la sordidezza; il che parimente si racconta dei santissimi Padri S. Nicola e S. Bernardo nelle loro istorie. E perch ragioniamo della disposizione d'Ignazio, voglio avvertire, che non abbiamo alcun suo ritratto effigiato cos al vivo, che in tutto se gli rassomigli: perch quantunque molto si desiderasse di ritrarlo, mentre egli viveva, per consolazione di tutti i suoi figliuoli; non per mai os alcuno di ragionar di questo alla presenza di lui, per non gli far dispiacere; ed i ritratti di esso che vanno attorno, sono cavati dopo ch'ei fu morto. ____________________DELLA VITA DI S. IGNAZIO DI LOIOLA________________ LIDRO QUINTONella vita descritta del nostro Padre

Ignazio e continuata fino al suo beato transito, a bello studio ho alcuni particolari esempi delle virt di lui tralasciati, i quali mi parso che letti separatamente dall'istoria, con maggior attenzione sarebbono considerati, e s'imprimerebbono via pi nella memoria, e maggiormente l'affetto di coloro che li leggessero moverebbono al desiderio d'imitarli. perci in questo quinto ed ultimo Libro, andr raccogliendo ed intrecciando alcuni fiori delle virt singolari, che molti di noi che oggid siamo vivi, in Ignazio scorgemmo e conoscemmo. N voglio addur ragione, perch io racconti alcune cose minute, poich scrivo a' miei Fratelli e Religiosi della Compagnia di Ges, ai quali niuna cosa di quel Padre che imitare desiderano, picciola sembrer; maggiormente che non da vilipendere il poco, se con esso il molto si acquista: e nella via della perfezione chi sprezza le cose basse vicino a cader dalle alte e sublimi; e per lo contrario Cristo Nostro Signore ne insegna, che quegli che fedele nel poco, tale sar anco nel molto. E poich, carissimi Fratelli, questa mia fatica a vostra utilit e consolazione indirizzata, credo che vi sar molto caro, e maggior frutto vi apporter, se in raccontare le virt d'Ignazio, seguir quell'ordine che egli stesso osserv nelle Constituzioni, quando dipinge quale debba essere un buon Preposito Generale della Compagnia. Peroch a me pare, che senza pensar a se medesimo, se stesso ivi effigiasse ed a noi come in un ritratto perfettissimamente delineato ivi si lasciasse. N mi pongo in obbligo di dir tutto quello che si potrebbe, ma solo di raccoglierne alcune cose dello molte che vi sono, le quali pi segnalate e pi a proposito mi parranno; affinch quelli, che come veri figliuoli desidereranno d'essere simili al loro Padre, le abbiano sempre avanti come un vivo esemplare; ed insieme avremo cura in quest'ultimo trattato d'apportar utile di cotal maniera a quelli che le leggeranno, che con la lunghezza del dire non siamo loro noiosi e rincrescevoli. ___________________CAPO I.Del dono dell'orazione, e della familiarit che ebbe Ignazio con Dio.Cominciando adunque dalla virt della devozione, posta da Ignazio nel primo luogo, la quale quella che congiunge l'uomo con Dio, e da quella fonte eterna della divinit cava lacqua viva per ispargerla sopra le anime degli uomini, diremo quanto segnalato fu il dono dell'orazione da Dio ad Ignazio comunicato. Fin dal principio che nostro Signore con la sua luce e con la sua conoscenza gli aperse gli occhi, ebbe grandissimamente a cuore lorazione, occupandosi in essa tutto quel tempo che poteva, con tutte le forze sue. Subito che si ordin da Messa, quando recitava le Ore e si impiegava in soddisfare all'obbligo che aveva di dire il divino Officio, tanta era labbondanza della divina consolazione e tante le lacrime che spargeva, che era sforzato di far pause ed arrestarsi ad ogni parola, e d'interrompere le ore che diceva, di modo che in recitar lOfficio spendeva gran parte del giorno, e venne a pericolo pel tanto lacrimare di perder la vista: e per questo necessaria cosa fu, che i suoi compagni impetrassero dispensa dal Sommo Pontefice, perch egli non fosse obbligato a recitare il divino Officio, come tutti noi altri sacerdoti. Nelle cose gravi o di importanza, quantunque avesse molte e probabili ragioni onde si moveva, non soleva per mai determinarsi di porle in esecuzione, se prima con particolar cura nell'orazione a Dio nostro Signore non le avesse raccomandate. Faceva pi orazione ed a ci aveva maggior riguardo, particolarmente quando scriveva regole ed ordini per la Compagnia. Una volta avendo scritto le

regole, le quali chiamiamo della Modestia, in cui il nostro Padre tratta della composizione del corpo, e della giocondit e modestia che dobbiamo avere scolpita nel volto per conversare co' prossimi con edificazione, ordin al Ministro della casa di Roma, che le facesse pubblicare ed osservare: e perch il Ministro fu alquanto trascurato in far quello subito che ordinato gli fu, ad un certo proposito disse a me il nostro Padre: Io m'affatico in pensare ed in iscriver le regole, ed i Ministri sono negligenti in farle osservare come se poco mi costassero; anzi io vi dico, che queste regole di cui parliamo, mi sono costate assai, avendo perci fatto pi di sette volte orazione e sparse di molte lacrime. Dal che comprender possiamo quello che ad esso nostro Padre siano costate le Constituzioni della Compagnia e le altre regole pi importanti. E perch quivi di queste regole ho fatto menzione, e ci viene a proposito nostro, aggiunger che egli al Padre Maestro Lainez ordin, che nella nostra casa di Roma le pubblicasse e che facesse un sermone a tutti di essa casa, esortandoli a guardarle ed osservarle: e ordin di pi, che ognuno dovesse esser presente a quel sermone, quantunque fossero dei primi dieci Padri: il che fu cosa nuova e straordinaria. Ed essendo tutti insieme ad udire il sermone, udimmo un grande strepito a guisa di terremoto, che pareva che ci cadesse la casa sopra e tutta diroccasse; e finito il sermone ritrovammo nell'orto caduto un tetto, sotto del quale solevano in quella stessa ora dopo cena, per esser del mese di Agosto, ridursi i primi Padri ed altri dei pi vecchi di casa; i quali senza alcun dubbio vi sarebbono stati colti sotto, se da Ignazio non fosse stato ordinato, fuor di quello che si costumava, che tutti senza mancarvene alcuno al sermone si ritrovassero. Ed avendo dipoi egli vedute le pietre e le travi cadute, rese grazie a nostro Signore, che avesse salvati tutti quelli di casa, e mi disse: Pare che nostro Signore ci ha voluto dare ad intendere, che queste regole non gli dispiacciono. Quando scriveva le Constituzioni e determinava di far qualche cosa grave ed importante, sempre, come abbiamo detto, con l'orazione prima la consultava con nostro Signore, ed il modo di consultarla era questo. Si spogliava primieramente di qualunque passione ed affetto che suole offuscare il giudicio ed ottenebrarlo, di modo che non pu cos facilmente scoprire il raggio e la luce della verit, e si riponeva senza alcuna inclinazione o impressione, a guisa d'una materia prima, nelle mani di Dio nostro Signore; dipoi con gran veemenza gli chiedeva grazia per conoscere e per abbracciar quello che fosse migliore. Dopo ci molto attentamente considerava e ponderava le ragioni, che per una parte o per l'altra se gli offerivano, e la forza di ciascuna di esse, ed insieme paragonandole; finalmente con quello che aveva pensato e ritrovato, si volgeva a nostro Signore, ed il tutto poneva avanti il suo divino cospetto, supplicandolo, che gli desse lume, per far elezione di quello che pi a grado gli fosse. Addimand alcune volte Ignazio, mentre scriveva le Constituzioni, al Padre Maestro Lainez, che, poich egli aveva letto tutte le vite de' Santi che hanno fondato Religioni, ed i principii e progressi di esse, gli dicesse se credeva che Iddio nostro Signore avesse rivelato a ciascuno de' fondatori tutte le cose dell'Instituto della Religione loro, ovvero se ne aveva lasciato alcune alla prudenza di essi ed al loro discorso naturale. Rispose a questa dimanda il Padre, che quello che egli credeva, era, che Iddio, come autore e fonte di tutte le Religioni, i principali fondamenti e le cose pi proprie e pi sostanziali di qualsivoglia degli Instituti

Religiosi, a quello inspirava e rivelava che egli stesso prendeva per capo e per istrumento principale per la fondazione di esse. Perciocch non essendo la religione invenzione d'uomini, ma solo di Dio, il quale vuol essere servito da ciascuno nel modo suo proprio, era di mestieri, che lo stesso Iddio agli uomini iscoprisse e manifestasse quello ch'essi per s medesimi acquistar non potevano. Per le altre cose, che coi tempi, luoghi ed altre circostanze variare e mutar si possono, le lasciava alla discrezione e prudenza dei Fondatori delle stesse Religioni: siccome vediamo, che anco l'ha fatto coi Ministri e Pastori della Chiesa in quello che tocca al suo governo. Allora disse Ignazio: il medesimo credo io. Dalle quali parole, pare che raccoglier si possa, che almeno le cose pi sostanziali e che sono come fondamenti e nervi dell'Instituto nostro, Iddio ad Ignazio le rivel; e che quando se glie ne offeriva alcun'altra che avesse a determinare, non cos sostanziale, ne dimand al Padre Lainez, per vedere, sebbene non ne avesse rivelazione come dell'altre, se la potesse ordinare e determinare. Non passava ora del giorno, che egli entro se medesimo non si raccogliesse; e tutto le altre cose poste in bando, diligentissimamente la propria coscienza esaminava: e se per avventura alcun negozio cos importante, o cos urgente occupazione se gli offeriva, che in quell'ora questa sua divozione non gli lasciasse finire, la ricompensava nell'ora seguente, ovvero subito che restava disoccupato; sebbene mai non si frammise tanto negli esteriori negozi, che perdesse l'interiore divozione dello spirito suo. L'abbiamo veduto molto spesso, pigliando occasione da cose picciole innalzar l'animo a Dio, il quale anco nelle cose minime ammirabile. Dal veder una pianta, un'erbetta, una fronda, un fiore, qualche frutto, dalla considerazione di un vermicello, o d'altro qual si voglia animaletto, si ergeva sopra i cieli, ed i pi interiori e pi remoti sensi penetrava, e da qual si voglia cosuccia di queste cavava dottrina ed avvisi utilissimi per instruzione della vita spirituale. Desiderava che tutti quelli della Compagnia si avvezzassero ad aver presente Iddio sempre in tutte le cose, e che apparassero a levar i cuori a lui, non solo nell'orazione ritirata, ma anco in tutte l'altre occupazioni, indirizzandole ed offerendole a Sua Maest, di tal maniera, che non minor divozione sentissero nell'azione, che nella meditazione. E diceva, che questo modo di orare molto utile per tutti, ma principalmente per quelli, i quali nelle cose esteriori del servigio divino sono assai occupati. Soleva fare orazione con tanto fervore e con tanta veemenza, che per la molta attenzione e forza grande di spirito, che vi poneva, gli avvenne caderne infermo: e l'anno 1550 giunse a termine di morire, per aver celebrate due Messe una dopo l'altra senza intermissione il giorno della nativit del Redentor nostro. E quest'attenzione di animo non aveva solo nella Messa, ma anco nelle minime cose che appartenevano a Dio. Quando benediceva la mensa, quando rendeva le grazie, ed in tutte le altre cose si raccoglieva e cos entro se stesso entrava, che pareva ch'ei vedesse presente la Maest di Dio: e sempre prima dell'orazione preparava l'anima sua, e s'internava nel profondo secreto del suo cuore, ed ivi di tal maniera s'infiammava, che anco esteriormente nel volto il calore lampeggiando si dimostrava, e tutta la faccia, come molte fiate avvertimmo, pareva che avvampasse e divenisse aspersa di rosseggiante fuoco. Parlando molte volte con Dio, dal pi intimo del cuore diceva: Signore, che cosa voglio io, o che posso altro volere fuora di voi? E perch la

propria volont col divino volere conformata, n voleva, n lasciava di voler niente pi di quello che Iddio stesso o voleva o non voleva, lo consolava il Signore in tutte le cose con una rara, continua ed uniforme dolcezza, dandogli in esse pace; perch le prendeva dalla sua santissima mano. Paragonando il giorno di ieri col giorno di oggi, e l'utilit presente con la passata, ogni d ritrovava aver fatto maggior profitto ed esser andato innanzi, e che i santi desiderii se gli accrescevano in tanto grado di perfezione, che in sua vecchiezza venne a dire, che quello stato in cui si ritrov in Manresa, il quale nel tempo de' suoi studi era solito di chiamare la sua primitiva Chiesa, era stato come un suo noviziato, e che ogni giorno andava Iddio nell'anima sua abbellendo e dando perfezione co' suoi colori al ritratto, sopra del quale in Manresa non aveva fatto altro, che tirare le prime linee. Quanto era maggiore il godimento e la consolazione che sentiva lo spirito suo per le abbondanti lacrime, che continuamente, mentre orava, dagli occhi gli discendevano, tanto pi il corpo se gli rendeva debole e fiacco: e quantunque egli questo in se stesso provasse, non per ci tralasciava lorazione; perch maggior conto faceva dello spirito, che della sanit del corpo; e temeva che se avesse alquanto ritenute le lacrime, se gli sarebbe menomato la consolazione ed il frutto spirituale. Ma pure finalmente vinto dalla ragione, e perch i medici gli dimostrarono quanto detrimento arrecasse alla sanit di lui il continuo lacrimare, supplic nostro Signore, che gli desse sopra le lacrime impero e signoria: e ne fece acquisto cos compiutamente, che pareva che avesse le lacrime in sua bala, per ispargerle e per reprimerle quanto e come a lui aggradiva; e questo con tanta grazia della divina misericordia, che quantunque restassero gli occhi asciutti, era sempre infervorato lo spirito, n divenivano minori i sentimenti celesti, tuttoch le lacrime con la ragione si moderassero; anzi il frutto di esse nel suo primo vigore fresco e verde si rimaneva. Ardentissimo era in lui il desiderio di uscire da questa prigione del corpo, e cotanto sospirava l'anima sua per ritrovarsi con Dio, che pensando al morire, non poteva trattenere le lacrime che gli occhi suoi per pura allegrezza stillavano: perch egli, insieme con lApostolo, giudicava per s molto meglio essere disciolto, e viver con Cristo, che menar la vita in questa carne. E di tal desiderio ardeva, non solamente per fare acquisto per se stesso di quel sommo bene, e ritrovar riposo con quella beata vista; ma molto pi per brama di vedere la felicissima gloria della sacratissima umanit del suo Signore, il quale tanto amava; nell'istesso modo che suole un amico godere e rallegrarsi di veder uno ch'egli ama di cuore, posto in grande altezza ed in supremo onore. E credo io, che da questo cos gran desiderio e tanto continua meditazione della morte nasceva in Ignazio la meraviglia ch'ei si faceva, quando udiva dire ad alcuno, come molti sogliono, da qui a tre o quattro mesi far questa, o quell'altra cosa: perciocch soleva Ignazio, quasi meravigliandosi, fare a quello che ci diceva, una tacita ed amorosa riprensione con queste stesse parole: Ges! adunque pensate, fratello, di viver tanto? Ritrovandosi una volta infermo, fu dal medico avvisato, che non desse luogo entro al suo petto alla malinconia, n ai pensieri penosi e tristi: e con questa occasione cominci con attenzione a pensare entro se stesso qual cosa succedere gli potesse cos acerba e dura che lo affliggesse, e turbasse la pace ed il riposo dell'anima sua; ed avendo rivolti gli occhi della considerazione intorno a molte cose, una sola glie ne sovvenne, la quale egli pi di

tutte l'altre nelle viscere teneva scolpita; ed era, se per alcun caso la nostra Compagnia si fosse disfatta: ed and esaminando quanto tempo, in caso che succedesse, questa pena ed afflizione gli sarebbe durata; e gli parve, che se ci avvenisse senza colpa di lui, nel termine di un quarto d'ora ch'egli dentro se medesimo si fosse raccolto e stato in orazione, si sarebbe liberato da quella molestia ed inquietudine, e sarebbe ritornato alla sua solita pace ed allegrezza di prima. E di pi aggiungeva anco, che nell'animo suo avrebbe avuto questa quiete e questa tranquillit, quantunque la Compagnia, come suole il sale consumarsi nell'acqua, cos ella disfatta si fosse. Il che segno evidente quanto di se medesimo fosse nimico, quanto in Dio fosse radicato ed abbarbicato il suo cuore, e quanto in ogni cosa conforme con la divina volont. Essendo di ci addimandato, alcune volte diceva al P. Lainez, che nelle cose di nostro Signore, egli usava pi passivamente, che attivamente: che questi appunto sono i vocaboli ed i termini; che usano quelli, che trattano di questa materia, ponendolo per il pi alto grado della contemplazione: quindi che il divino Dionisio Areopagita dice del suo maestro Ieroleo, che: Erat patiens divina, cio, che nelle cose divine era il paziente. Lo stesso P. Lainez fece molta osservazione per vedere la maniera che teneva nel fare la sua orazione, e la vide. Se ne saliva sopra una loggia, ovvero solaio allo scoperto, di donde liberamente il cielo rimirare poteva, ed ivi stando in piedi senza berretta e senza punto muoversi, teneva gran pezza gli occhi fissi nel cielo, e di subito inchinate le ginocchia, faceva un'umile riverenza a Dio: di poi si poneva a sedere in un banchetto basso, perciocch la fievolezza del corpo altro fare non gli permetteva, ed ivi se ne stava col capo scoperto, piovendogli a goccia a goccia dolci lacrime dal viso, con tanta soavit e silenzio, che neppure un singhiozzo, n gemito, n movimento alcuno di corpo si sentiva. Niun rumore o strepito, per grande che egli si fosse, lo turbava o gli impediva l'orazione, se egli per di esso non fosse stato cagione; ma per picciolo che fosse, se egli avesse potuto rimediarvi con la sua diligenza, molto l'impediva; di modo che quello, che nell'orazione gli era molesto e l'inquietava , non era il rumore che sentiva, ma la negligenza o la colpa, nella quale gli pareva essere incorso per non avervi rimediato. Essendo un giorno d'inverno nella sua camera in orazione, venne il portinaio e chiam alla porta una e due volte; ed egli non gli rispose: ma alla terza levatosi dalla sua orazione, aperta la porta, e dimandatogli ci che ei si volesse, disse il portinaio: voleva dare queste lettere a V. R., che quegli che le ha portate dice che vengono dalla sua patria; e cos diede il piego delle lettere ad Ignazio, il quale, prese che le ebbe, serrata la porta, senza aprirle le gett nel fuoco e subito se ne ritorn all'orazione. Rimirando i suoi propri mancamenti e piangendoli, diceva, che desiderava per loro castigo, che alcuna volta nostro Signore gli levasse la grazia della sua consolazione; acciocch con questo freno fosse pi ansioso e pi cauto nel servigio di lui: peroch tanta era la misericordia del Signore, e tanta la copia della soavit e dolcezza della grazia sua con esso lui, che quanto egli pi desiderava d'essere in questo modo castigato, tanto pi benigno era Iddio e con abbondanza maggiore spargeva sopra di lui i tesori della sua infinita liberalit. Laonde diceva, che egli credeva non vi essere nel mondo uomo, in cui queste due cose insieme, tanto come in lui, concorressero; la prima mancare tanto a Dio, e l'altra il ricevere tante e

cos continue grazie dalla sua mano. Diceva oltre di ci, che il Signore usava questa misericordia con esso lui per la sua debolezza o miseria, e che per questa stessa cagione gli aveva comunicato la grazia della divozione: perciocch essendo gi vecchio, infermo o stanco, non era buono per impiegarsi in verun'altra cosa, se non in servire totalmente a Dio e darsi allo spirito della divozione. Attese sempre con grande affetto a pregare nostro Signore ciaschedun giorno molto particolarmente pei Capi della Cbiesa, e pei Re e Principi cristiani, dai quali dipende il buon governo e felicit di lei; come ci esorta a farlo l'apostolo S. Paolo. E cos l'anno 1555, il d 21 di Marzo, ritrovandosi infermo Papa Giulio III di quella infermit, della quale poi mor, ordinando Ignazio, che nella nostra casa continua orazione per il Pontefice si facesse, disse, che mentre il Papa era sano, soleva una volta il giorno per lui fare orazione accompagnata con lacrime, e che dopo ch'era ammalato, la faceva due volte. E l'anno 1556, avendo l'Imperatore Carlo V rinunziati tutti i suoi regni al re Filippo suo figliuolo, D. Leonora Mascarena la quale, come abbiamo detto, lo aveva allevato ed era stata sua balia, per la gran divozione e confidenza che aveva nelle orazioni del P. Ignazio, come quella che lo conosceva e che seco aveva conversato, gli scrisse con grande instanza chiedendogli, che fosse molto sollecito in raccomandare a Dio il re Filippo suo Signore, poich da lui il bene della cristianit dipendeva: alla quale rispose Ignazio, che egli aveva avuto in costume di fare orazione particolare ciaschedun giorno una fiata pel re, quando era Principe; e che dopo che suo padre gli aveva fatto rinunzia dei regni, orava due volte il giorno per lui con cura particolare. Ma non voglio lasciar di dire, che quantunque Ignazio fosse dotato di cos mirabil dono e spirito d'orazione, con tutto ci maggiore stima faceva dello spirito della mortificazione, che di quello dell'orazione: se ben conosceva che ambidue questi spiriti sono tra di loro cos uniti ed affratellati, che non se ne ritrova uno, che sia veramente disgiunto e separato dall'altro. Quindi avvenne, che uno de' nostri lodando un giorno un religioso in presenza d'Ignazio, dicendo che era persona di grande orazione; Ignazio mutando le parole: sar, disse, uomo di gran mortificazione. E per essa intendeva, non solo questa esteriore della penitenza con cui s'affligge il corpo, ma molto pi quella, che consiste in contrariar a se stesso, in soggettare i propri appetiti sensuali ed inclinazioni ed in superare il proprio giudizio e la propria volont. Laonde anteponeva di gran lunga, principalmente nelle persone di alto affare e di autorit, il dispregio di se medesimo, di ogni sorte di fasto, e la vittoria di qualsivoglia appetito, dell'eccellenza e riputazione ed il conculcare il proprio onore ed estimazione, alle penitenze corporali. Perch aveva per pi difficile e per pi gloriosa vittoria il domare lo spirito, che l'affligger la carne; sebbene anco necessario prima castigar la ribellione di quella, per poter reprimere e domar questo dipoi. Giudicava parimente, che quelli che s'impiegano in molte lunghe e prolisse orazioni hanno da esser molto avvertiti e star sopra di se per non divenir ostinati, di loro capo, ed amici del lor proprio giudicio e parere; e per non ricever danno da una cosa tanto utile, come l'orazione e continua comunicazione con Dio; e cavar veleno dalla triaca, e infermit da quello che suol esser medicina di tutti i mali abiti delle anime nostre. Perciocch sogliono alcuni esser molto duri di testa ed aderenti al lor proprio parere, i quali si danno alla meditazione ed all'orazione senza il freno della

discrezione e, senza curarsi di vincere e mortificar il lor proprio giudizio, si viene loro a seccar il capo, ad indurire ed insieme a svanire, di modo che non possibile gi mai separarli da quello, che una volta appresero. Vi sono ancora altri, che tutto quello che sentono nella loro orazione, pensano che sia inspirazione e rivelazione divina; e che tutti i lor sentimenti siano sentimenti di Dio, da' quali non si debbano allontanare; e cos prendono per regola infallibile di quello, che hanno da giudicare ed operare i movimenti, che provano nell'orazione, e secondo quelli in ogni cosa si reggono; nel che pu cader inganno, e molte volte cos accader suole: perciocch questi tali seguono il loro appetito e l'inclinazione ed impeto dell'anima loro e lo stimano instinto e movimento divino, ricoprendo il vizio della lor condizione debole e naturale con l'orazione. E bene spesso in gravissimi errori incorrono, per i quali l'esercizio dell'orazione viene a scemare del suo valore di estimazione tra la gente indiscreta e poco accorta; credendo che quel mancamento nasca dall'orazione, e non dalla persona, la quale debitamente usar non la seppe. Pertanto noi non dobbiamo prender per regola certa, cosa tanto incerta, come il nostro proprio parere e giudizio; e per molto santo e sicuro ch'ei paia, non dobbiamo con esso misurar le cose divine, ma soggettarle e regolarle con la regola, che mai non erra, della fede, e con le ordinazioni e i comandamenti dei Superiori, che Dio pone nella sua Chiesa per insegnarci ed indirizzarci. Perciocch giusta cosa non , che quello che chiaro, sia dalle cose oscure e dubbiose regolato; ma s bene, che quelle che hanno alcun dubbio, tengano per regola quelle che sono certe e verificate, s che con queste si esamini e misuri la verit dell'altre. __________________CAPO II.Della carit d'Ignazio verso i prossimi.Dalle cose di sopra raccontate, benissimo comprendere si pu quanto acceso ed infervorato fosse il petto d'Ignazio nel fuoco dell'amor di Dio e de' suoi prossimi; e quali fossero gli splendori e le fiamme, che dimostravansi nelle opere di carit ch'egli di continuo faceva; poich ogni sua intenzione e tutti i pensieri di lui il questo fine miravano, cio alla salute dell'anime ed a sbarbare i peccati, e conservare ed accrescere universalmente in tutti ogni qualit di bene, siccome dagli esempi seguenti chiaro e palese si scorger. Era in Parigi un uomo miseramente perduto nell'amore che disonestamente ad una donna portava, e con essa malamente viveva: n potendo Ignazio per niuna via levarlo da lei, si pose un giorno ad aspettarlo fuori della citt; e sapendo che aveva da passare appresso ad una laguna, o fossa d'acqua, andando per avventura dove il cieco e folle amore lo conduceva, sino agli omeri si attuff Ignazio dentro a quell'acqua freddissima , e quindi vedendolo passare, innalzando la voce quanto poteva, gli disse: Vattene sventurato, vattene pure a godere de' tuoi sozzi diletti: non vedi il colpo, che sopra te discende dall'irata mano di Dio? non ti spaventa, misero, l'inferno che tiene aperte le fauci sue per tranghiottirti? non iscorgi, infelice, il flagello che ti si appresta, e che con ogni impeto e furia viene a sfogarsi sopra di te? Va, va pure, che qui tormentando me stesso star io, e far per te penitenza, fin tanto che Iddio plachi il suo giusto furore, togliendoti quel castigo, che di gi contra te meritamente ha preparato. Spaventossi con tanto segnalato esempio di carit quell'uomo, tocco e ferito dalla mano di Dio, ritorn indietro confuso ed attonito, e ruppe i lacci e le catene della brutta e perigliosa amicizia, dalle quali era prima strettamente avvinto e legato. Soleva dire Ignazio, che se avesse potuto alcuna

cosa operare per la salute delle anime andando scalzo per le pubbliche piazze e carico di cose infami ed ignominiose, non vi avrebbe posto tempo, n avuto alcun dubbio in farlo; e che non vi avea nel mondo abito cos vile, n veste tanto vergognosa, la quale egli per aiutare un'anima a salvarsi, avesse ricusato di portar di buona voglia: il che benissimo con gli effetti dimostr nelle occasioni che se gli offrirono. Essendo di gi vecchio ed abbattuto dai travagli o dall'infermit, vennero alcuni a pregarlo, che andasse ad aiutare spiritualmente uno che stava per morire, e che nominatamente lui a questo ufficio chiamava. E bench vi fossero molti in casa, a cui, scaricandosi di cotal peso, ci commettere potesse; non volle per lasciar di consolarlo, e se n'and a star con esso lui tutta la notte, confortandolo ed aiutandolo a ben morire. Con grandissima diligenza e cura osserv sempre il detto dell'Apostolo, cio di non rendere ad alcuno mal per male, anzi vincer sempre e sopravanzare il male con altrettanto bene; di modo che continuamente procurava, che maggiori fossero i benefici ch'egli ad altri compartiva, che i torti e danni che riceveva. Quindi ne nacque, che essendo spesse volte da molti perseguitato ed a giusto sdegno provocato, mai non diede alcun segno di commozione d'animo, n procur vendicarsi, n far loro alcun dispiacere, n pur dar loro veruna mala soddisfazione; se ben molte volte facilmente e senza alcun pericolo avrebbe potuto farlo. E perch questo meglio s'intenda, soggiunger quivi alcune cose, che in questo proposito particolarmente gli accaddero. Ritrovandosi in Roma l'anno 1546 un religioso, il quale dimostrava nel principio d'esser grande amico d'Ignazio, da certa invidia stimolato dipoi, se gli lev contro e nimico capitalissimo gli divenne; tal che vantandosi, si lasci uscir di bocca, che voleva far abbruciare in Ispagna quanti vi erano della Compagnia da Perpignano fino in Siviglia; e mand una persona ad Ignazio che in suo nome ci gli dicesse: al quale egli per il medesimo rispose, scrivendo di sua mano puntualmente le seguenti parole: Signore, dite al Padre F. N. che siccome egli dice che tutti quelli che si ritroveranno de' nostri da Perpignano in Siviglia li far abbruciare; cos io dico e desidero, che egli e tutti i suoi amici e conoscenti, i quali non solo si ritrovano tra Perpignano e Siviglia, ma in tutto il mondo, siano accesi ed abbruciati dal fuoco del divino amore; affinch salendo a molta perfezione, segnalatissimi siano nella gloria di sua divina Maest. Gli direte anco che avanti i signori Governatore e Vicario di Sua Santit ora le cose nostre si trattano, e sono per dar la sentenza; per se ha alcuna cosa contra di noi, che io lo invito, perch vada a deporla e avanti i sopradetti signori Giudici a provarla: perciocch molto pi goder, essendo debitore, di pagare e patir solo; pi tosto che tutti quelli, che si ritroveranno tra Perpignano e Siviglia abbiano da esser abbruciati. Di Roma, in Santa Maria della Strada a' 10 d'Agosto 1546. Abbiamo di sopra nel secondo Libro raccontato, che studiando Ignazio in Parigi, un suo compagno che stava in una medesima camera con esso lui, gli rub i denari che gli aveva dati a custodia; e fuggendosi, in cotale strettezza e necessit lo venne a porre, che con molto danno de' suoi studi fu forzato andar chiedendo il vitto per amor di Dio d'uscio in uscio: Di costui, che cos grave burla fatta gli aveva, in questo modo Ignazio si vendic. Fuggendosi questi di Parigi alla volta di Spagna, aspettando in Roano, citt da Parigi lontana intorno a ottanta miglia, commodit d'imbarcarsi, ivi di una perigliosa infermit si ammal; e conoscendo la gran mansuetudine e carit d'Ignazio,

amichevolmente gli scrisse, avvisandolo del travaglio in cui si ritrovava; e che, quasi come avesse in lui alcun segnalato beneficio conferito, lo pregava, che in quella sua malattia l'andasse a soccorrere e prestargli aiuto per potersene liberare. Non volle Ignazio perder cos buona occasione d'esercitare la sua carit, ed offerir la salute e la vita per la vita e salute di colui, del quale voleva vendicarsi, gittandogli sopra del capo carboni accesi, non di vendetta, ma di carit e d'amore. Deliberossi adunque di partir subito per Roano, ricercando quest'uomo per aiutarlo, per quanto ei potesse, e con allegrezza grande di spirito e con forza d'animo cammin tre giorni scalzo e digiuno senza gustar pur una sola goccia d'acqua; offerendo a nostro Signore questa fatica e questa penitenza per la salute e vita di quello, che cos fraudolentemente ingannato l'aveva. Molte cose e molto particolari in quel viaggio pass, con le quali nostro Signore visit e consol l'anima sua, che sarebbe lungo il raccontarle. Finalmente egli arriv a Roano e ritrov l'infermo molto debilitato e lo serv, gli fece animo e l'aiut; n quindi partir si volle, fin che non ebbe le perdute forze riacquistate: e gi renduto sano, lo invi in Ispagna, dandogli lettere di favore per portar a' suoi primi compagni, che ivi dimoravano. Si part il buon uomo per Ispagna stupito e di confusione ripieno, accusando da una parte l'essere stato disleale e dall'altra grandemente meravigliandosi della carit d'Ignazio, rendendo grazie a Dio, che vi fosse nel mondo un uomo e da lui conosciuto di cotal condizione, che delle ingiurie ricevute con far beneficii si vendicava, e le offese e gli aggravi, che fatti gli erano, pagava con simiglianti uffici di carit. Vi era parimente un altro in Parigi, il quale da Ignazio aveva molti benefici ricevuti. Questi, non potendo gli occhi suoi sofferire cotanta luce, di Satanasso vestitosi e fuori di se medesimo uscendo, si determin di ucciderlo; e salendo di gi le scale della casa per porre in esecuzione il suo perverso pensiero, ud una voce spaventevole, che intronandogli le orecchie, gli disse: misero ed infelice te, che cosa quella che cerchi di fare? Onde stordito e reso attonito col terribile suono di questa voce, si mut di proposito ed entrando nella camera d'Ignazio, a' suoi piedi amaramente piangendo si prostese, raccontandogli il fatto come passato era. Questi fu dipoi quello, che attizz quel fuoco, e che suscit quella cos gran persecuzione, la quale in Roma contra Ignazio e i suoi compagni si lev, per occasione di quel Frate, di cui abbiamo ragionato nel Capitolo XIV del secondo Libro di questa istoria. E con tutto ci a' prieghi degli stessi nimici della Compagnia, i quali questa cosa ad Ignazio instantemente dimandavano, lo ricev in essa procurando la consolazione e la salute di lui: ma non molto tempo nel santo proposito della religione persever: perciocch le adulterine piante, come dice lo Spirito Santo, non metteranno profonde radici, n avranno stabilit o fermezza. Per non da farsi meraviglia, che fosse cos amorevole verso i suoi, chi tanto amava gli inimici e gli strani, come da questi esempi aperto si vedr. Un fratello della Compagnia essendo gravissimamente dal demonio agitato e d'incostanza della propria vocazione tentato, finalmente si lasci vincere; ed era gi del tutto determinato di lasciar Iddio, che il fonte d'acqua viva, e ritornarsene a bere del l'acque fecciose delle cisterne mondane, le quali in se ritener non possono l'acqua della grazia e del vero riposo. Volle Ignazio da lui saper la cagione di questa sua pazza determinazione, n volendogliela palesare, conobbe che quel Fratello aveva al

secolo alcun peccato grave commesso, il quale per vergogna confessar non voleva; e quindi ne nasceva la perturbazione d'animo e l'impedimento che aveva. Onde per liberarnelo affatto, se n'and a lui e seco amorosamente parlando, egli medesimo gli raccont quale fosse stata la sua passata vita e quanto cieco, sviato e disperso era andato seguendo la vanit de' suoi propri sentimenti, e quanto preso e profondato addentro nel falso amore delle creature: acciocch in questo modo dall'esempio suo il Fratello deponesse la vergogna ed imparasse ad aver confidanza nella bont e misericordia del Signore. Perch come dice il savio, vi ha una vergogna, la quale adduce il peccato e ve n'ha un'altra, che seco apporta e gloria e grazia. Un'altra volta ancora uno de' nove compagni, che condusse di Parigi, si ritrovava molto afflitto e tormentato da una pesantissima e perigliosissima tentazione; e la cosa giunse a termine tale, che era di gi quasi in punto di perdersi totalmente. Ignazio dunque postosi a piangere ed a pregar del continuo Dio per lui, stette tre giorni intieri senza mangiare e senza bere; e piacque al Signore di udire i lacrimosi gemiti e le accese orazioni del servo suo, e di conservare nella Compagnia quello, che era cos vicino alla propria perdizione. Un altro Padre era una volta cos male affetto e tanto contra Ignazio tentato, che uscendo fuori de' limiti della ragione, molta pena gli arrec e non poco lafflisse. Il buon Padre per lui fece unorazione, ed un giorno nella Messa dirottamente piangendo ed alzando la voce a Dio, dal pi intimo secreto del suo cuore diceva: perdonategli, Signore, perdonategli, Creator mio, ch'ei non sa quello che si faccia. A queste parole rispose a lui il Signore: lascia fare a me, che ti vendicher. Avvenne dipoi che stando questo Padre in una certa chiesa, facendo orazione e con molta riverenza alcune reliquie di Santi riguardando, gli apparve una figura, come d'uomo severo e grave, che teneva una sferza in mano, e con un sembiante terribile lo minacciava, se non si rendeva soggetto e non ubbidiva in tutto ad Ignazio. Con la quale visione rimase stupito, divenne piacevole, ed in maniera del suo errore si riconobbe, che venne dipoi a far quello ch'ei doveva; e questa cosa egli medesimo la raccont ad Ignazio, ed Ignazio a me: e con tutto ci dipoi succederono a questo Padre alcuni travagli, ne' quali si verific e compi quello, che ad Ignazio era stato dal cielo significato. Tra tutte le virt che ebbe il nostro Padre, fu molto segnalata quella del render le grazie e di riconoscer i benefici; nel che a mio giudizio avvantaggiato molto ed ammirabile fu. Perciocch non solo grandissimo conto faceva di ringraziar Iddio nostro Signore, ma gli uomini ancora per amor suo; e questo con opere e con parole: perch considerava che tutta la Compagnia, quantunque fosse sparsa e distesa per tante province del mondo, era finalmente un corpo che aveva diverse membra tra loro unite e congiunte col vincolo della carit; ed essendo egli il capo di questo corpo, gli pareva, che tutto quello che in beneficio di qualsivoglia di queste membra si facesse, toccasse a lui il riconoscerlo, aggradirlo e pagarlo; specialmente nel principio della Compagnia, quando non era tanto nel mondo conosciuta, n tanto stimata, n delle buone opere che le facevano gli uomini, niun altro guiderdone, se non da Dio, potevano sperare. Laonde particolar cura teneva di tutti i benefattori di lei, dimostrando grandissimo amore a tutti universalmente, ma molto pi a quelli da cui eransi ricevuti maggiori benefizi. Faceva che essi la principal parte avessero nelle orazioni di tutta la Compagnia; li avvisava de' prosperi

successi di essa, li visitava, li convitava e aiutava in tutto quello che poteva, conforme all'instituto e alla professione sua; e per arrecar loro consolazione, faceva cose contra il suo gusto e contra la propria sanit. E tuttoch molte volte pi conferisse in altri di quello che ei ricevesse;, gli pareva sempre di far poco, e dimenticatosi di quello che per altri operato aveva, si ricordava sempre dei benefici ricevuti nella persona sua, ovvero de' suoi figliuoli, con desiderio di contraccambiarvi vantaggiosamente 56. Per conservare la pace o la carit con tutti, inimicissimo fu delle liti e le fuggiva, cedendo quanto con buona coscienza poteva, le sue ragioni; e diceva che il far questo era non solo cosa onorata e degna di petto cristiano, ma anco utile e profittevole: perch soleva nostro Signore pagar molto bene quelli, che per amor suo e per non perder la carit co suoi prossimi, qualche cosa della propria ragione nelle cose temporali perdevano. Ed essendo il refettorio della casa di Roma scuro e quasi senza alcuna luce; perch un nostro vicino non permetteva che si aprisse una finestra in un muro comune, il che con molto benefizio nostro e senza alcun pregiudizio suo far si poteva; quantunque la giustizia fosse molto chiara dalla parte nostra, giammai consent Ignazio che avanti ad essa giustizia ci se gli richiedesse di ragione; anzi volle che stessimo otto anni intieri e pi con ogni incommodit, mangiando a mezzo giorno quasi col lume della candela, per non gli muover lite ed acquistar mal nome ne' primi esordii della Compagnia; fin che fu Iddio nostro Signore servito, che si comperasse la casa, la quale ci toglieva il lume, che di poi senza alcun rumore al refettorio nostro si diede. _____________________CAPO III.Dell'umilt d'Ignazio.Fin dal principio che incominci a servire a Dio, con grande affetto abbracci Ignazio la virt dell'umilt, come quella che la madre e la pietra fondamentale di tutte le virt, andando neglettamente e mezzo nudo, e negli ospedali come povero tra i poveri, sprezzato e vilipeso vivendo, con brama e desiderio di non esser conosciuto, n da alcuno stimato; e qualora affronti e persecuzioni pativa, era di allegrezza ripieno per amor di Ges Cristo Redentore nostro, come nel corso della sua vita si vede, e ad essa conforme fu la dottrina di lui. Soleva dire, che coloro che pretendono di salir molto alto, hanno da incominciare molto da basso e profondo; e che alla misura di quello, a cui deve la sommit dell'edificio innalzarsi, corrisponder deve il fondamento: laonde ammaestrando quelli che mandava ad affaticarsi nella vigna del Signore, diceva: che per voler salir alle cose ardue e d'importanza, procurassero sempre di camminar per la strada dell'umilt e del dispregio di se stessi; perch allora l'opera ben sicura sarebbe stata, se sopra questa verit ben fondata si fosse. E conforme a questo quando mand in Portogallo i Padri Francesco Saverio e Simone Rodrigo ordin loro, che arrivati in quel Regno, andassero chiedendo limosina e che con la povert e col dispregio di se medesimi a tutte le altre cose si facessero strada. Ed ai Padri Salmerone e Pascasio, quando andarono in Ibernia per Nunzi apostolici, parimente diede ordine che ai fanciulli ed agli idioti insegnassero la dottrina cristiana; ed allo stesso Padre Salmerone ed al Padre Maestro Lainez, l'instruzione che diede loro la prima volta che andarono al Concilio di Trento, mandativi da Papa Paolo Terzo per teologi suoi, fu, che prima che dire il loro parere nel Concilio, se n'andassero all'ospedale, ed ivi servissero i poveri infermi, ed ai piccioli fanciulli insegnassero i principii della nostra santa fede; e dopo aver poste queste tali radici, se ne passassero pi oltre, ed il parer

loro dicessero nel Concilio; perch cos utile e fruttuoso sarebbe stato, come per misericordia del Signore sappiamo che fu. Chiamava la povert madre nostra, e per cosa indegna e vergognosa stimava, se i religiosi avessero denari, o che di essi cupidi fossero, o pure se con ragione pensar si potesse, che fossero tali. Sal per divina grazia a tant'alto grado di umilt, che molti anni prima che morisse, non ebbe alcuna tentazione di vanagloria. Perciocch era l'anima sua col lume celeste che avea, di maniera resa chiara e risplendente e con tale conoscimento e dispregio di se medesimo, che soleva dire: che niun vizio meno temeva di questo della vanagloria, la quale un verme che rode fino i cedri del Libano, e comunemente dal non conoscer se stesso e dal cieco amor proprio nasce e deriva. Io avvertii e notai alcune che, che se in qualche famigliare conversazione si ragionava quanto ampliata fosse la Compagnia, o del frutto chella faceva, ovvero di qualsivoglia altra cosa, da cui paresse che ne potesse ridondar alcuna lode in Ignazio, subito entro se stesso si raccoglieva, bagnando il volto di lacrime e di santa vergogna arrossendosi. Il padre Lainez aveva udito dire da uno de' nostri, che Iddio nostro Signore aveva dato ad Ignazio per guardia un Arcangelo; ed un giorno con quella confidenza che ad un figliuolo tanto da lui amato si conveniva, gli dimand se questo fosse vero. Niuna risposta con parole gli diede, ma tutto mutato in viso, ricoprendo le guance di un onesto rossore, turbossi, per usar le parole che mi disse il Padre Lainez, nella guisa che farebbe una castissima ed onestissima donzella, vedendo all'improvviso entrar nella camera sua un uomo a lei strano e non conosciuto, mentre ivi sola se ne dimorasse. E questo molte fiate gli accadeva, dimandandoglisi cose, che in sua lode risultassero; perocch solo col silenzio, con la vergogna e con la mutazione del volto rispondeva. Io gli ho sentito dire, che tutti quelli di casa davano a lui esempio di virt e materia di confusione; e che di niuno di essi, ma solo di se medesimo, si scandalizzava. Mi ricordo che un giorno mi disse, che aveva da supplicare nostro Signore che dopo la morte sua gettassero il suo corpo in uno sterquilinio, perch divenisse esca degli uccelli e fosse dilaniato dai cani. Imperoch essendo io, diceva egli, come sono un'abominevole cloaca ed un poco di sterco, qual altra cosa debbo desiderare per castigo de' miei peccati? Quando non aveva certezza ed evidenza delle cose che deliberava, facilmente dal parer altrui si lasciava persuadere; e quantunque fosse superiore, a' suoi sudditi si rendeva uguale. Desiderava, che tutti si prendessero burla di lui, e diceva, che se si fosse lasciato trasportar dal fervore e dal desiderio, se ne sarebbe andato per le strade nudo, ripieno di piume e di loto e di fango imbrattato, per essere stimato pazzo. Ma era questo grande effetto d'umilt represso dal desiderio di aiutar i prossimi e dalla carit, la quale operava, ch'ei con quella autorit e decenza si parlasse, che all'ufficio ed alla persona di lui conveniva, e che lasciasse da parte queste straordinarie mortificazioni; sebbene, sempre che l'occasione di umiliarsi se gli offeriva, l'abbracciava ed anco molto di cuore la ricercava: e conosceva e lo insegnava, che molto pi aiutava alla conversione dell'anime questo affetto di vera umilt, che il mostrare alcuna autorit, che abbia del secolare e mondano. Di rado e non senza gran cagione delle cose proprie ragionava, se non era per curar alcun'anima afflitta, e col suo consiglio consolarla; ovvero per innanimare col suo esempio i suoi compagni e rincorarli contra le difficolt che loro si offerivano; e questo anco faceva

con gran temperanza e moderazione e nei principii della Compagnia; perch fondata ch'ella fu, le cose sue tenne occulte con mirabile silenzio. Ma quantunque in queste cose, che raccontato abbiamo, ed in altre molte che dir si potrebbono, chiara si veda l'umilt sua, si scopre vie maggiormente, e pi risplendente, a mio giudicio, appare in quel fuggire con tanta costanza gli onori, e ricusar l'ufficio di Generale, che da tutti gli elettori con tanta unione e conformit gli era dato; e la gran diligenza che us. dopo ch'ei accettato l'ebbe, di rinunziarlo. E questo puramente nasceva per istimarsi, come egli lo affermava avanti a Dio, per insufficiente a tal governo; e perch si persuadeva di ritrovarsi molto lontano dal posseder quelle parti, che si cercano per regger bene altrui. Perciocch questo quello che rende stupore e meraviglia a quelli, che lo conobbero, i quali fanno, che Iddio nostro Signore per sua misericordia dati gli aveva tutti quei doni, che necessari sono per ben governare; ed in tanto alto grado, che per molto avventurosi e molto ben pesati tener si potrebbono coloro, che hanno da governare, se in un grado mezzano si ritrovassero aver quelle parti, ch'egli in grado tanto vantaggioso ed eroico possedeva. E perch l'ubbidienza figliuola dell'umilt e custode e regina di tutte le virt del religioso; e nella Religione Ignazio a lei il primo luogo attribuiva; mi pare che non sar fuori di proposito dichiarar in questo luogo quello, che di questa virt egli sentiva e diceva. __________________CAPO IV.Di quello, ch'egli sentisse della virt dell'ubbidienza.Sebbene per essere stato il nostro Padre il Fondatore della Compagnia e Preposito Generale, non possiamo addurre n molti, n cos particolari esempi dell'ubbidienza sua; tuttavia per quella, ch'egli prest a' suoi confessori, prima che cotale ufficio avesse, e per la forza, la quale us, e con cui d'essere suddito e non superiore procur, e per l'ubbidienza, che ebbe sempre a Sua Santit, ed animo di ubbidirle in cose maggiori, e per la dottrina tanto mirabile, che di essa ubbidienza ne insegn; possiamo conghietturare quanto stabilita fosse nel suo cuore quest'eccellentissima virt, e quello che avrebbe fatto, se, come egli era superiore, suddito ed inferiore fosse stato. Desiderava, che quelli della Compagnia fossero in tutte le virt eccellenti, ma che sopra tutte l'altre morali, con ogni lor forza s'impiegassero in far acquisto dell'ubbidienza: peroch diceva esser questa la maggiore e pi nobile virt del Religioso, di cui maggiore stima fa Iddio, che delle vittime, e via pi grata gli , che il sacrificio: per esser l'ubbidienza figliuola dell'umilt, olio che fomenta e conserva il lume della carit; compagna della giustizia, guida e maestra di tutte le religiose virt, nimica della propria volont, madre dell'unione e della concordia fraterna, porto sicuro, e convito perpetuo di quelle anime, che in Dio si confidano. E diceva, che siccome tra le Religioni, alcune in alcune virt le altre superano ed avanzano, ed altro in altre; cos desiderava, che la Compagnia procurasse d'avanzarsi ed avvantaggiarsi sopra tutte l'altre Religioni nella virt dell'ubbidienza, la cui eccellenza e natura in questo modo egli dichiarava. Diceva, che come nella Chiesa militante Iddio nostro Signore ha aperte agli uomini due strade per potersi salvare, l'una comune, che l'osservanza de' comandamenti, e laltra, che a questa aggiunge quella dei consigli evangelici, che propria dei Religiosi; cos e non altrimenti nella Religione due sorti di ubbidienza vi sono, l'una comune ed imperfetta, e l'altra perfetta e compiuta, in cui la forza dell'ubbidienza

risplende e la perfetta virt dell'uomo religioso appare. L'imperfetta ubbidienza ha occhi, ma per mal suo; la perfetta cieca, ma in questa cecit la sapienza consiste: quella ha giudicio per quello che gli vien comandato, questa no; una pi a questo che a quello si piega ed inclina; l'altra ad ogni cosa ferma ed immobile: perciocch sempre sta diritta, come quella, che giustamente libra e bilancia, e che ugualmente apparecchiata a porre in esecuzione lo cose, che le siano comandate. La prima con le opere ubbidisce, e resiste col cuore; la seconda eseguisce quello che gli imposto, e rende soggetto il proprio giudicio e la propria volont alla volont ed al giudizio dei Superiori. Laonde egli diceva esser imperfetta quellubbidienza, che fuori dell'esecuzione non ha il volere ed il giudicio consenziente e conforme a quello del Superiore: e che quella, che in altro non riposta, se non nell'eseguir esteriormente, non merita n anco questo nome di ubbidienza; ma che quella, che con gli effetti accompagna la volont, ed opera s, che quegli che ubbidisce, quello stesso vuole, che il medesimo Superiore vuole o comanda, arriva non solo ad esser perfetta, ma anco passa innanzi, e fa che non solo voglia, ma che senta, approvi o giudichi quel medesimo per bene e per ben comandato, che lo stesso Superiore: di modo che oltre leseguire il fatto, vi sia anco conformit di volere e di giudizio tra colui che comanda e colui che ubbidisce. Questa quella ubbidienza, che compiuta ed intiera per tutte le parti, ed eccellentemente perfetta; per cui rendiamo, per cos dire, prigione il nostro intelletto nel servigio divino, ed approviamo per buono tutto quello, che dai nostri Superiori ci viene ordinato; n per ubbidire ricerchiamo ragioni; o seguitiamo quelle, che ci si offeriscono; anzi ubbidiamo mossi da questa considerazione solamente, di pensare, che quello che ci vien detto, ubbidienza. Quando a questo grado sale un religioso, veramente morto al mondo per vivere a Dio, e non combattuto o agitato da varii venti di desiderii e turbazioni; ma si trova indifferente, quieto e tranquillo, come il mare quando sta in calma: perciocch quegli altri, i quali quantunque facciano con le opere quello che loro vien detto, tuttavia o con la volont resistono o mormorano, e contraddicono con la ragione e col giudicio loro all'ubbidienza, ancora non son giunti ad esser quel grano di frumento, il quale perch di grano frutto divenga, Cristo nostro Signore nell'evangelio dice, che cadendo nella terra, prima ha da morire. Peroch questi tali, se ben vanno morendo, non sono per perfettamente morti, e perch anco ciechi non sono; alcune volte peccano; e volendo, coi loro propri occhi mirare, divengono ciechi per non veder quello, che si conviene loro vedere. E ancora soleva dire Ignazio, che coloro, che con la sola volont e non col giudizio ubbidiscono, non tengono se non un piede nella Religione; e che molto volte questi, tali cader sogliono in grandi inconvenienti, ed invilupparsi con istrettissimi lacci o con gravissime molestie portando la coscienza molto afflitta e turbata; perch assai degenerano da quel fervore e spirito, che ebbero nel principio della loro vocazione, il quale facilmente svanisce ed in un subito dispare; e se non si procura con molto studio di conservarlo, a poco a poco se ne fugge, o ci si parte dal cuore. Laonde abbiamo con tutto le nostre forze ad affaticarci di ottener quello che professiamo e ricerchiamo: di modo che, poich una volta per vocazione e misericordia divina entrammo nella via della perfezione, non ci fermiamo, fin tanto che non facciamo acquisto di quello, che nella Religione : la pi compiuta e pi perfetta cosa che vi

sia: e l'arrivare a questa perfezione non sar cosa difficile, se adopreremo questi mezzi. Il primo se ci porremo nelle mani di Dio, e se ci confideremo in quella sua eterna provvidenza, colla quale l'universo governa, ed a ciascuno conferisce la grazia, che di mestieri, secondo la misura, con cui comparte Cristo i doni suoi, e somministra forze al Superiore per ben governare, ed al suddito per ben ubbidire. Il secondo, se seguiremo lo spirito della nostra vocazione, e se terremo gli occhi posti, non in quello che ci regge, ma, qualunque, egli si sia, in quello, ch'ei ci rappresenta. Il terzo, se non prestando orecchio ai sofistici argomenti, che fa la carne contra l'ubbidienza, con pietoso ed umile affetto cercheremo le ragioni vere e reali, che sono in favore di quelle cose, che dal Superiore sono ordinate. Il quarto, se avremo del continuo scolpiti avanti gli occhi nostri gli esempi dei Santi, i quali furono eccellenti nella semplicit e nella perfetta ubbidienza; e sopra tutti l'esempio del Santo dei Santi Cristo Ges Signor nostro, il quale per salute nostra si fece ubbidiente al Padre fino alla morte e morte di croce. Finalmente se ci armeremo con l'orazione, e se ci vestiremo dell'umilt, senza gonfiarci co' nostri propri pareri, n col desiderare di seguir la volont nostra, e nudi totalmente dell'amor proprio e della propria nostra estimazione (che sogliono essere il tarlo dell'ubbidienza) di noi stessi bassamente sentiremo e conosceremo la fiacchezza e debolezza del giudicio e dell'intelletto nostro, rimembrandoci quante fiate con l'uno e con l'altro siamo caduti ed abbiamo errato, non volendo, come dice l'Apostolo, saper pi di quello che giusto e ben ordinato. Questi sono alcuni dei principali avvisi, che dava Ignazio a quelli della Compagnia per acquistare quest'altissima virt dell'ubbidienza. Ma perch un anno avanti ch'ei morisse, egli medesimo quello che sentiva di questa virt dichiar, mi pare che sarebbe male il tralasciar di raccontarlo in questo luogo. Egli non contento d'avere scritto quella meravigliosa lettera, la quale abbiamo appresso di noi, in cui tratta dell'ubbidienza, chiamando un Fratello, gli disse: pigliate la penna e scrivete; ch voglio lasciar in iscritto alla Compagnia quello che io sento dell'ubbidienza, e glielo dett in lingua castigliana: e sono gli undici capitoli seguenti, quali porr qui con le stesse parole, con cui egli li espresse; acciocch, cosa tanto utile ed ai religiosi principalmente necessaria con maggior facilit s'intenda, essendo detta per bocca di un tanto uomo. I. Nell'entrar nella religione, ovvero entrato che io sar in essa, debbo esser in tutto e per tutto rassegnato in Dio Signor Nostro e nel mio Superiore. II. Debbo desiderare d'esser governato e guidato da un Superior tale, che abbia riguardo e mira all'annegazione del proprio giudizio ed intelletto mio. III. In quelle cose, dove non sia peccato, in tutte far debbo la volont del Superiore e non la mia. IV. Vi sono tre maniere di ubbidire. Una quando mi vien comandalo qualche cosa in virt di ubbidienza, e questa buona. La seconda quando mi vien ordinato ch'io faccia o questa o quell'altra cosa, e questa migliore. La terza quando faccio o questo o quello, immaginandomi che cos il Superiore ricerchi e voglia, quantunque non me lo ordini, n me lo comandi; e questa molto pi delle altre perfetta. V. Non debbo aver riguardo se il Superior mio sia maggiore, mezzano, o minore; ma debbo avere la divozion mia totalmente all'ubbidienza, per esser egli in luogo di Dio nostro Signore, poich col volere far queste distinzioni, si perde la forza dell'ubbidienza. VI. Quando io ho per opinione o giudico, che il Superiore mi comandi cosa, che sia contro la mia

coscienza o peccato, ed al Superiore il contrario pare; debbo, dove non vi ha dimostrazione ragionevole, credergli; e se non posso da me stesso persuadermi questo, almeno deponendo in altrui il giudicare e l'intender mio, lasciarlo al giudizio ed alla determinazione di due o tre persone: se a questa non condiscendo, son molto lontano dalla perfezione e da quelle parti, che si cercano in un religioso. VII. Non debbo esser mio, ma di chi mi cre e di colui, che tiene il suo luogo, per lasciarmi maneggiare e governare, della maniera che molto cera trattar si suole, cos nello scrivere e nel ricevere lettere, come anco in ragionar con le persone, cio, o con queste o con quelle; ponendo ogni mia divozione in ci, che mi viene ordinato. VIII. Debbo primieramente ritrovarmi a guisa d'un corpo morto, che non ha n volont n senso. Secondo, come un picciolo, crocifisso, che da una parte all'altra volger si lascia senza alcuna difficolt. Terzo, debbo assomigliarmi o farmi come un bastone che sia in mano di un vecchio, acciocch mi ponga dove pi gli piacer, e dove maggiormente aiutarlo possa; cos debbo io star apparecchiato, acciocch di me la Religione si aiuti e si serva in tutto quello che ordinato mi sia. IX. Non debbo addimandare, pregare, n supplicar il Superiore, che mi mandi in questo o in quel luogo per tale o tale ufficio; ma proposti che avr i miei pensieri ed i miei desiderii, pormeli sotto a' piedi, lasciando il giudicare ed il comandare al Superiore, giudicando io e tenendo per miglior quello, che da lui sar giudicato e comandato. X. Nondimeno nelle cose di poca importanza e che buone siano, chieder e dimandar licenza si pu, come di andar alle Stazioni o per richieder grazie, o altre simili cose, con animo preparato per, che quello che concesso o non concesso mi fia, quello sar per lo meglio da me stimato. XI. Cos medesimamente quanto alla povert, non tenendo, n stimando daver cosa alcuna di proprio, debbo far conto, che in tutto quello che possiedo, per uso delle cose, io sono vestito ed ornato a guisa d'una statua, la quale alcuna resistenza non fa, quando, o per qual cagione si sia, la spogliano degli ornamenti, dei quali poco prima fu ricoperta. Fin qui sono parole d'Ignazio, il quale questa
perfezione di ubbidienza non solamente desiderava in quelli della Compagnia, ma sempre che gli era addimandato consiglio da persone d'altre Religioni, come ed in quali cose ai loro Superiori avessero ad ubbidire, li indirizzava per le medesime vie e per gli stessi sentieri di vera ubbidienza. E lo stesso Padre, che era maestro di questa scuola, di cos perfetta virt era e attissimo osservatore: perciocch nel tempo quando non era ancor fondata la Compagnia, allora che i nostri perderono la speranza di poter andare in Gerusalemme, il Padre Lainez disse ad Ignazio, che gli veniva desiderio d'andare nell'India a procurare la salute di quella cieca gentilil, la quale

per mancamento di operarii evangelici periva. Io, disse Ignazio, non desidero nulla di questo. Dimandato della cagione, rispose: perch avendo noi fatto voto di ubbidienza al Sommo Pontefice, acciocch secondo la sua volont ne invii per servigio del Signore in qualunque parte del mondo pi gli aggradir, abbiamo da stare indifferentemente, s che pi ad una, che ad un'altra parte non inchiniamo: anzi se io, come voi mi vedessi l'animo piegato ad andare nell'India, procurerei d'inclinarmi alla parte contraria, per posseder quellegualit ed indifferenza, che per far acquisto della perfezione dell'ubbidienza necessaria. Essendo Preposito Generale della Compagnia, molte
volte disse, che se il Papa gli comandasse che al porto di Ostia, che presso a Roma, entrasse nella prima barca ch'ivi ritrovasse, e che senz'albero, senza timone, senza vela, senza remi e senz'altre cose necessarie per navigare o per mantenersi, dovesse traversar il mare, lo farebbe ed ubbidirebbe

non solo con pace, ma anco con contentezza e giubilo dell'anima sua. Ed essendo questo ch'egli diceva, udito da un uomo principale che meravigliando gli disse: e che prudenza sarebbe questa? la prudenza, signore, rispose Ignazio, non si ricerca tanto in quello che ubbidisce ed eseguisce, quanto in colui, che ordina o che comanda. ___________________CAPO V.Della mortificazione

delle proprie passioni.Tenne Ignazio, merc della divina grazia e con la continua fatica e cura che vi pose, cos soggette le proprie passioni e tanto ubbidienti alla ragione, che quantunque non avesse gli affetti naturali dell'anima perduti, perch questo sarebbe stato un lasciar d'esser uomo, pareva, che nel suo cuore non vi fosse accesso, n turbazione, n moto di alcun disordinato appetito. Ed era giunto a termine tale, che essendo molto caldo di complessione e molto collerico, vedendo i medici la piacevolezza e l'affabilit meravigliosa, che nelle parole e nelle operazioni usava, pareva loro che fosse flemmatico e freddo. Ma avendo egli superato del tutto con la virt e con lo spirito quello, che nell'interior affetto era vizioso della collera, se ne rimaneva con quel vigore e rigore, ch'ella suole somministrare, e che era di mestieri per l'esecuzione delle cose, ch'egli trattava; di modo che la moderazione e la temperanza dell'animo non lo rendeva tiepido, n rimesso, n gli levava niente dell'efficacia ed energia, che deve l'opera in s ritenere. L'abbiamo molte volte veduto, stando egli con molta allegrezza o quiete con alcuni Padri ragionando, far chiamare a s alcuno, il quale per qualche mancamento, riprender voleva, ed in arrivando colui alla sua presenza, mutare Ignazio il volto, compor se stesso con una strana severit, e come se fosse adirato riprenderlo e correggerlo aspramente; e di subito in quello istante, che quegli si partiva, si rivolgeva con quell'allegro e medesimo sembiante alla sua prima conversazione, rasserenando la faccia, come se colui non vi fosse venuto, ovvero ch'egli non l'avesse ripreso: di modo che pareva, che interiormente turbato non si fosse, ma che s'avesse posta e cavata quella quasi maschera di severit, e mutatosi di sembiante, quando e come pi gli piaceva. E questo medesimo in tutte l'altre operazioni sue si scorgeva: perciocch in ognuna di esse si scopriva gran pace, e riposo d'animo, ed un tranquillissimo stato di sicuro cuore, non punto appassionato. Questo medesimo tenore ed egualit in tutte le cose sue serb sempre: perch quantunque nel corpo varie disposizioni avesse, per la variet della sua maggiore o minor debolezza, ed alcune volte fosse pi atto per attendere ai negozi ed altre meno, sccondo che era o pi o meno sano e gagliardo, l'animo per e l'interiore disposizione era sempre la medesima. Laonde per impetrare alcuna cosa da lui, o per trattarla meglio, non era di bisogno osservazione di tempo, o ritrovare occasione, perch d'una medesima temperatura era sempre. Se alcun gli parlava, dop che avesse detta la Messa, o dopo pranzo, ovvero uscito del letto, o levandosi dall'orazione, tutto era uno. Finalmente per niuna diversit di cose, o differenza di tempi egli non era n vario, n differente da s stesso: e questa egualit e perpetua costanza d'animo ridondava parimente, come abbiamo detto, in un certo modo nel corpo, il quale si vestiva come voleva Ignazio del colore e delle esteriori dimostrazioni, secondo che la ragione e la ragionevole volont ordinava. Accadeva alcuna volta, che stando con Ignazio, spensieratamente sfuggisse ad alcuno de' nostri qualche parola, che a lui non paresse o tanto a proposito o cos ben detta; ed egli di subito si raccoglieva, e con sembiante alquanto severo si dimostrava, di modo che in

riguardarlo solo, conoscevamo, ch'era stato errato, e restava avvisato e corretto colui, che trascuratamente parlato aveva. Il medesimo molte fiate in molto leggieri cose e di poca importanza faceva, i mancamenti delle quali, per esser cos piccioli, non erano da noi avvertiti, e li passavamo superficialmente; ma egli non solo stava sempre molto raccolto in se medesimo, ma voleva ancora, che i suoi parimente vi stessero. Ebbe molto mortificato l'affetto della carne e del sangue e l'amor naturale dei parenti, come se fosse stato un uomo nato senza padre, senza madre e senza lignaggio, ovvero, come dice S. Paolo di Melchisedecco, morto totalmente al mondo ed a tutte le cose di lui; n teneva conto alcuno dei negozi de' suoi parenti, ai quali procurava di far utilit e giovamento con le orazioni sue; perch fossero servi del Signore ed andassero avanti nel suo servigio: di maniera che quello che egli aveva da fare per beneficio loro, non lo misurava col naturale affetto della carne, ma con la regola dello spirito religioso e della vera carit. Laonde essendo una sua nipote signora ed erede della casa Loiola per maritarsi , e chiedendola per moglie alcuni cavalieri principali ; scrissero ad Ignazio a Roma il Duca di Naiara ed il Duca di Alburcheque, ciascheduno di essi pregandolo molto strettamente, che scrivesse al suo paese e procurasse, che questa sua nipote prendesse per marito un certo cavaliere ricco e principale, che nelle lettere loro gli nominavano. Rispose Ignazio a questi signori, che quantunque fosse quel maritaggio di una sua nipote, non era per cosa della sua professione, n ad esso ci apparteneva, per aver egli gi tanti anni avanti rinunziati questi pensieri ed esser morto al mondo, e che non gli stava bene il ritornar a prender quello, che tanto tempo prima aveva lasciato, e trattar cose lontane dalla sua vocazione ed un'altra volta vestirsi della veste, di cui s'era spogliato; ed imbrattarsi i piedi, i quali con la divina grazia si aveva con tanto suo costo, fin quando dalla propria casa part, lavati e mondati. Se avesse seguito il gusto e la naturale sua inclinazione, ed insieme l'utile che dal canto ei cavava, col quale mirabilmente si ricreava ed inteneriva l'anima sua innalzandola a Dio, avrebbe posto coro nella Compagnia: ma spregiando ogni cosa, di cui prendesse gusto e a cui avesse inclinazione, e solo dilettandosi di quello che era pi a grado e maggior servigio di Dio, lasci di porvelo; perch, come io gli ho udito dire, nostro Signore gli aveva insegnato che di noi altri in altri ministeri e differenti esercizi servir si voleva; e che quantunque sia tanto santa e cos utile, come nella Chiesa sua, l'occupazione di cantar nel coro, non era per questa la nostra vocazione, alla quale da Dio eravamo stati chiamati. __________________CAPO VI.Della modestia e dell'efficacia e forza delle parole sue.Se quegli uomo perfetto, come dice il beato Apostolo S. Giacomo, il quale nelle sue parole non erra, perch sa raffrenar la lingua, ed insieme con essa dar legge a tutte le altre parti del suo corpo; ragionevolmente per certo potremo annoverare nel numero degli uomini perfetti Ignazio, che cos ben seppe regger la propria lingua, e con la regola della ragione seppe anco le parole misurare. Quando alcuna di quelle cose gli era detta, che suole irritar gli uomini , commoverli ad ira e turbarli, subito entro se stesso si raccoglieva e ricorrendo a Dio, attentamente pensava qual cosa fosse stato bene rispondere. Quindi ne seguiva che n precipitava nelle parole, precedendo ad esse e la ragione e la considerazione, n meno perdeva la pace interiore, n la tranquillit dell'anima sua. E questo suo circospetto e pesato

parlare non solo osservava in questa occasione, di donde alterazione e turbazione d'animo temer ne poteva, ma perpetuamente in tutto quello che diceva, tenne ed osserv il medesimo stile. Promise ad un cavaliere grande amico suo, undici anni prima che morisse, d'aiutarlo in un certo negozio, al quale dipoi molto meglio considerando, gli parve che alla sua persona non istesse bene, n fosse convenevole il farlo, e si pent d'averne fatta promessa; e dicendo egli questo, mentre io a tutto ci presente mi ritrovava, aggiunse queste parole: in undici o dodici anni non mi ricordo essere scappato, tanto nel parlare, n aver promesso cosa, di cui avessi dipoi a pentirmi. Chiara e manifesta cosa , che in trenta e pi anni non disse mai ad alcuno, n pazzo, n stolto, n alcun'altra parola ingiuriosa o grave. E noi altri osservavamo assai, quando riprendeva alcuni falli e mancamenti, che sebbene erano le parole di lui e gravi e severe, non contenevano per in se n acerbit, n asprezza, n cagione di risentimento, n mordeva o pungeva alcuno giammai; ma penetrava il cuore di colui che era ripreso e lo compungeva, esplicandogli e con severit ed efficacia la propria colpa ponendogli avanti gli occhi; affinch conoscendola, egli da se stesso se ne vergognasse e ne desiderasse l'ammenda. Ed anco nelle pi aspre riprensioni: che faceva, non si ud mai dire ad alcuno, voi siete un disubbidiente, o superbo, o pigro e da poco, o negligente, o qual altra si voglia parola villana; ma con dichiarar solo, e ponderargli quello che aveva fatto, gli dimostrava l'errore in cui era caduto. Fu molto parco e misurato in lodare, e molto pi in biasimare e vituperar altrui. Meraviglia era se usava i nomi, che chiamano latinamente superlativi: perch in essi alcune volte si sogliono le cose pi del giusto incaricare e render maggiori. Non si trova, che dicesse male, ovvero che a quelli che mal dicevano, desse orecchio. Nella sua conversazione non parlava dei vizi altrui, quantunque pubblici fossero e se ne favellasse per le piazze; e procurava con diligenza, che i nostri il medesimo facessero. E se per avventura alcuna volta ad alcuno fosse uscita di bocca alcuna di quelle cose, che tra il volgo pubblicamente si diceva, o le scusava, ovvero le impiccioliva, o pure, quando questo non poteva fare, salvava lintenzione di colui che aveva errato: ma se la cosa era tanto evidente e colpevole, in cui scusa luogo non avesse, n vi fosse altro scampo, se ne fuggiva alla Scrittura e diceva: Non vogliate giudicare avanti il tempo; ed a quell'altro detto del Signore a Samuele: Dio solo quegli, che mira i cuori: O pure: Nel cospetto del suo Signore ciascuno sta in piedi, o cade. E quando pareva che volesse non approvare alcuna cosa, era solito di dire: io certo non avrei fatto cos; come quello che aveva nell'anima sua impresse quelle parole del Signore: Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati. I mancamenti di quei di casa sempre ricopr con un tacito silenzio. Imperocch se alcuno qualche cosa meno conveniente faceva, non la palesava, se non a chi aveva da emendarla; ed allora con cos gran riguardo, circospezione e rispetto al buon nome di colui, che aveva errato, che se per rimedio di lui bastava che un solo la sapesse, non la diceva a due; ponendo la colpa avanti gli occhi del delinquente senza strepito, senza rumore, n riprensione o ponderazione di parole. Ed io allo stesso Padre udii una volta dire, che si era andato a confessare per accusarsi di un sol peccato, che era, di avere trattato con tre Padri dell'errore e mancamento di uno, per cui rimedio due soli sarebbero stati bastevoli; con tutto che fosse la cosa tale, che quegli, che di cotale

colpa era notato, con quel testimonio niente della propria riputazione perdeva. A dir breve, egli parlava di tutti in tal modo, che ciascheduno si persuadeva d'essere da Ignazio in buona opinione tenuto, e da lui come Padre amato. Erano le sue parole molto pesate, e di sentenze gravi ripiene, ed il ragionare suo era ordinariamente una semplice e piana narrazione, raccontando le cose puramente e chiaramente, senza amplificarle o confermarle, n muovere gli affetti. Diceva il tutto distintamente come stava, senza dargli altro colore, e lasciava poi che gli ascoltatori ponderassero le circostanze, le conseguenze, e che pesassero le cose secondo l'essere loro. E con questa purit, priva di ogni arte, se bene egli non iscopriva l'inclinazione sua, pieghevole pi a questa che a quella parte, avevano per le sue parole forza mirabile per persuadere quello ch'ei voleva. Usava sempre nel parlare di una grande prudenza naturale; e cos quando raccontava alcune cose, nelle pi gravi pi si fermava, e nell'altre poi che tanto non rilevavano, assai leggermente se ne passava. Nei negozi e nella comune sua conversazione parlava poco, ma consideratamente; stava a lungo ad udire gli altri fino al fine senza interrompere punto il filo di colui che parlava. Non trapassava a caso d'una cosa in un'altra senza molta considerazione; ed in ragionando, se ad altra materia trascendeva, rendeva prima la ragione alla persona, con cui parlava, perch era di proposito uscito ed in altra cosa entrato. Non faceva mai gli uomini gravi e di molta autorit autori, se non di cose grandi, certe e molto verificate, nelle quali non vi avesse dubbio o sembianza di vanit. Era cos grande la forza ed efficacia delle sue parole, che umana cosa non pareva: imperoch a tutto quello ch'ei voleva, moveva i cuori, non con eleganza e copia, ma con l'energia e con la qualit delle cose che diceva. Gli uomini protervi ed ostinati, come cera molte trattava e piegava, e li mutava di tale maniera, che essi medesimi di loro stessi si meravigliavano, e della mutazione che fatta avevano; e ci non solo a' nostri interveniva, ma anco agli strani; n tanto gli uomini di vite e bassa condizione, quanto parimente i gran signori e personaggi nobili ed autorevoli restavano dalle parole di lui e vinti e placati. E se per sorte avevano qualche sdegno, ovvero disgusto con Ignazio, riconoscevano in lui cos gran potere in quello che egli esprimeva, che si rendevano; e concedendo il Signore virt e forza alle parole sue, a lui pacificamente si soggettavano. Il che sebbene con molti esempi dichiarare si potrebbe, baster per avventura, che due soli ne raccontiamo dei pi segnalati e famosi. Quando si lev in Roma quella cos gran tempesta e fortuna contra Ignazio e dei suoi compagni l'anno 1538, della quale abbiamo ragionato nel XIV capitolo del secondo Libro, tante e s brutte e false cose si dicevano di essi, che Monsignor Giovanni Domenico de Cuppis, Cardinale della S. Chiesa romana, e Decano del sacro Collegio, ebbe cattivo sentore della cosa, e credendo che Ignazio fosse prestigiatore ed incantatore, ed un uomo scelerato, come pubblicamente si vociferava, ammon ed esort un parente ed amico suo, che si chiamava Quirino Garzonio, nella cui casa Ignazio ed i compagni si ricoveravano, che lo scacciasse, si separasse dalla conversazione di esso, e lo facesse uscire di sua casa, se non voleva dalla domestichezza di lui qualche gran danno ed infamia riportarne. Rispose Quirino al Cardinale, ch'egli aveva conversato e praticato Ignazio ed i suoi compagni, e che attentamente era stato sull'avviso, e riguardato a quello che facevano, per vedere se in essi alcuna cosa iscoprisse, che fosse rea e non

buona, e che tale potesse parere; e che insino allora non aveva potuto ritrovare cosa, che non fosse molto santa, molto lodevole, e di uomini apostolici molto degna. V'ingannate, v'ingannate, Quirino, diceva il Cardinale, n meraviglia che vi alluciniate; perciocch voi non avete potuto udire n sapere le cose, che di questi uomini io ho udito e saputo; i quali in s hanno apparenza di santi, ma non sono poi tali. Del lupo, che in figura di lupo addosso ne viene, l'uomo facilmente si pu guardare, ma del lupo che ricoperto e vestito di pelle di mansueta pecorella, chi lo conoscer o chi lo potr schifare? Per queste parole del Cardinale, Quirino molto si turb, ed andossene di subito a ritrovare Ignazio, e mesto ed afflitto tutta la cosa gli raccont, pregandolo che gli desse consiglio intorno a quello che doveva fare. Sorrise Ignazio, e con volto allegro o piacevole, come era di suo costume, gli disse, che non si desse fastidio, perch il Cardinale non era il solo n il primo, che diceva male di lui, e che era con sinistre e false informazioni stato ingannato, e che sperava nel nostro Signore, che n meno l'ultimo sarebbe che disingannato si fosse: e che tutto quello che diceva il Cardinale nasceva da un petto cristiano, zelante e desideroso di certificarsi del vero, e ch'egli raccomanderebbe questo negozio a Dio, il quale sperava che tacendo essi, avrebbe parlato per loro, ed iscoperta e palesata la verit. E poich molte volte le medesime cose tornava a dire il Cardinale allo stesso Quirino, e lo stringeva a lasciar la pratica e comunicazione che con Ignazio aveva, supplic Quirino il Cardinale, che parlasse prima con Ignazio e che s'informasse della vita, della dottrina, e delle altre cose sue, delle quali sua Signoria illustrissima dubitava o sospettava; e che dipoi gli comandasse tutto quello che le fosse in piacere, che prontissimamente lavrebbe ubbidito: ch altrimenti non gli pareva che si soddisfacesse n alla legge del vangelo, n alla prudenza, gravit ed autorit della persona sua, se desse sentenza definitiva, e condannasse un uomo, che pareva buono, senza udirlo, n saper dalla radice le cose di lui, mosso solamente dall'informazione dell'ignorante volgo. Allora disse il Cardinale, venga a me quest'uomo, ch'io star ad udirlo, e come egli merita, lo tratter. And finalmente Ignazio in un giorno deputatogli a casa del cardinale, e due ore nella camera sua solo con esso lui si ferm, stando tutti quelli di sua corte, e tra essi Quirino, di fuori aspettando; e fu cos grande la forza ed efficacia che diede Iddio nostro Signore con lo spirito suo e con la virt da Ignazio trattata, e resa chiara alle parole sue, che il Cardinale come attonito rimase e tanto commosso, che ai piedi d'Ignazio si gitt, e gli addimand perdono di quello che aveva e creduto e parlato di lui; e quando si dipart cortesissimamente accompagnandolo, assegn subito elemosina di pane e di vitto per lui e per i suoi compagni, la quale comand che si dovesse dare ogni settimana; e per tutto il tempo ch'egli visse continuamente fu data; e di maniera mutato e disingannato rest, che comincio ad esser grande amico e difensore d'Ignazio e protettore della Compagnia. Le quali cose seppe Quirino dal Cardinale, ed io dallo stesso Quirino le intesi; il quale con gran meraviglia questo fatto era solito di raccontarmi, per dichiarar la virt e santit d'Ignazio, e la forza che Iddio prestava alle parole di lui. Non fu da questo differente quello, che gli avvenne nel tempo che stette in Alcal de Henares. Era in quello studio un cavaliere molto nobile di sangue, e di ecclesiastica dignit, il quale molto pi liberamente e baldanzosamente viveva di quello, che alla persona ed allo

stato di lui era conveniente; cagionando nel popolo molto scandalo e non poca mormorazione. N gli mancavano per avventura imitatori, i quali, seguendo le sue pedate correvano dietro a lui, a brutte e sozze leggerezze allacciati; parendo loro che l'esempio di un uomo di tanta autorit poteva se non del tutto iscusarli, almeno render pi loggera la colpa loro. Saputo che ebbe Ignazio questa cosa, determinossi d'assaltar quel gentiluomo ed andossene un giorno solo o poveramente vestito, o senza essere in opinione di uomo letterato, perch non aveva ancora studiato il corso della filosofia, sull'ora tarda alla casa di lui, e gli chiese udienza. Turbossi egli al primo ingresso:, ma in fine non glie lo pot convenientemente negare. Entr adunque nella sua camera e gli disse, che gli voleva parlar da solo a solo; e quantunque duro si dimostrasse, se ne uscirono fuora tutti gli altri, e cominci Ignazio ad iscoprirgli le piaghe; a porgli Iddio avanti gli occhi; ed a pregarlo ad avvertir a se stesso ed a quelli, che dietro a s all'inferno miseramente conduceva; ed altre cose a queste simili per una parte con molta umilt e modestia disse, e per l'altra con gran libert e con gran forza di spirito. S'alter oltre modo quel gentiluomo, vedendo che un uomicciuolo con tanta libert allora seco parlava: e cominci a gridare ed udire, che l'avrebbe fatto gittare dai terrazzi del suo palazzo a terra, se avesse pi aperta la bocca, con pesata gravit riprendendolo del suo pazzo e soverchio ardire. Ma Ignazio non essendo uomo, che per voci e minacce si spaventasse, senza turbarsi punto, molto quieto e con mirabile serenit e gravit di volto lo incominci a stringer via maggiormente con la forza della verit, e col peso delle vive ragioni, che gli diceva: alle quali diede nostro Signore tanta efficacia con lo spirito suo che finalmente il cavaliere incominci ad acchetarsi e temperar la collera, ed a parlare pi piacevolmente, ed in fine ad arrendersi e soggettarsi ad Ignazio. E stando tutti i servitori, che avevano udito gridare il padrone, per che Ignazio non si sentiva, aspettando in sala, che loro comandasse, che lo scacciassero e mal trattassero; se ne usc il cavaliere in quel punto, accarezzandolo ed onorandolo molto: e perch gi era ora di cena, lo preg a restar con esso lui quella sera, ed egli li rimase per contentarlo e per guadagnarsi pi sicuramente la volont di lui. Finito ch'ebbero di cenare, comand il padrone che fosse apparecchiata una muta perch pioveva ed era tardi; sopra della quale montando Ignazio fosse dai servidori di lui accompagnato, e con le torce fattogli lume: non volle Ignazio accettare, la mula, ma si part coi servidori, che ci non pot ricusare, e quindi a poco furtivamente da loro si tolse, ed essi ritornarono al suo padrone, meravigliati in qual luogo dagli occhi loro sparito fosse; e d'indi in poi fu questo cavaliere amico d'Ignazio e molti benefici gli fece. Erano parimente le parole di lui molto efficaci e potenti per levar la passione, ed acquetar l'anime turbate ed afflitte. Sappiamo che oggid vive nella Compagnia una persona, che se ne venne ad Ignazio con una cos grande amaritudine ed oppressione di cuore, che n pace, n riposo ritrovar entro se stesso poteva; e con una sola parola, che egli disse, per sempre lo liber da quella croce e da quel tormento che pativa. Conosciamo ancora un altro nella Compagnia, che era da un vano timore soprapreso tanto, che anco della propria ombra sua pareva ch'ei temesse: al quale Ignazio con pochissime parole lev la paura e sicuro lo rese per sempre. Ben potrei qui raccontar altri esempi pi domestici e pi propri, ed insieme con essi dichiarar la forza, che aggiungeva il Signore alle parole di

questo suo servo per mutare i cuori, rasserenar le coscienze, risanar le anime inferme ed afflitte, render forti le deboli, e prestar loro costanza e sicurezza: ma voglio tacere, per non dir cosa che possa parer mia. Questo ben certo, che Iddio nostro Signore diede questo dono sopranaturale al nostro P. Ignazio, che molte volte con pochissime parole tanto, e cos intieramente risanava i cuori delle persone, le quali a lui ricorrevano, che pareva, che come con la mano togliesse e levasse loro non solo il dolor presente, ma anco le radici e le cagioni di esso per sempre totalmente troncasse. Prima che in Roma si facesse la casa dei Catecumeni, erano soliti, come abbiamo detto, quelli, che dal giudaismo venivano al santo Battesimo, di catechizzarsi nella casa nostra. Tra questi uno che si chiamava Isacco, cominci un giorno ad esser cos fuori di giudizio, furioso e forsennato, che addimand licenza per andarsene a casa sua, atteso che non voleva ricevere pi il Battesimo, che prima tanto desiderava; n furono bastevoli per ritenerlo le buone parole de' nostri, n le carezze, persuasioni, e i prieghi che usarono con esso lui. Seppelo Ignazio, e facendoselo condurre avanti, cos furioso come era, amorosamente gli disse queste sole parole: Restate con noi, Isacco; e con questo solo, operando interiormente lo Spirito Santo, subito ritorn in se, placossi e rest con giocondit in casa, e perseverando nel suo buon proposito, finalmente con allegrezza l'acqua del santo Battesimo ricevette. Con la sua parola liber parimente un indemoniato, il quale fu da me conosciuto prima che fosse dal demonio tormentato, e dopo anco che liberato ne fu, e si fece Religioso in un santissimo Monastero d'Italia. Era questi un giovine Biscaino, nominato Matteo, il quale, quantunque non fosse della Compagnia, visse alcuni mesi nella nostra casa di Roma; e nel tempo che il P. Ignazio si ritir a S. Pietro in Montorio, per far una confessione generale, ed ivi trattare se aveva ad accettar o no il carico che gli era dato di Preposito Generale, come si disse nel primo Capo del terzo Libro di questa istoria, entr il demonio addosso a questo povero giovine, e l'incominci a tormentare ed affligger di cotal maniera, che lo gettava e prosternava in terra con cos gran forza, che molti uomini poderosi e gagliardi sollevar non lo potevano: se gli poneva in bocca gonfiandola, e con fargli sopra il legno della croce di subito se gli sgonfiava, e gli passava nella gola, nella medesima maniera ingrossandogliela, ed in quel luogo con la croce segnandolo, quindi si dipartiva discendendo l'enfiagione nel petto, quindi allo stomaco, e nel ventre, s che pareva, come veramente , che dalla croce se ne fuggisse, e che il segno solo di lei sufficiente fosse per vincerlo e per iscacciarlo di donde egli era. E dicendo noi alcuna volta al demonio, che presto Ignazio sarebbe ritornato a casa, e l'avrebbe da quel corpo scacciato; rispondeva lo spirito gridando, torcendosi e crucciandosi: non mi nominate Ignazio, che il maggiore inimico ch'io abbia in questo mondo. Tornato dunque ch'ei fu e saputa la cosa, chiam il giovine nella sua camera, e dentro di essa con lui solo si rinchiuse: quello ch'ei dicesse, o facesse, io noi saprei dire; ma per d'allora in poi rest libero Matteo, ed in se stesso ritorn, di oggid ancora credo che viva nel Monastero santissimo di Camaldoli in Italia, e si chiama Don Basilio. E perch viene a proposito, per quello che abbiamo detto dell'odio grande che il demonio portava ad Ignazio, che suo crudele e mortal nimico nominava; voglio aggiungere, che in Padova, vivendo ancora Ignazio, vi fu un soldato di nazione italiano, uomo semplicissimo e di bassa sorte, il quale n lo

conosceva, n meno credo che l'avesse udito a nominar mai. Questo povero soldato, permettendo cos nostro Signore, fu oppresso da Satanasso, e miseramente tormentato; ed un giorno sendo il demonio scongiurato con gli esorcismi e con le sacre orazioni della santa Chiesa, e stringendolo e comandandogli nel nome di Dio, che uscisse di quel corpo; cominci a parlar d'Ignazio, ed a dipingerlo cos al vivo e naturale, che il P. M. Lainez, che ivi presente si ritrovava, e che a me dipoi lo raccont, rimase molto meravigliato; e dando terribili muggiti, diceva, che il maggior nimico che aveva tra tutti i viventi, era Ignazio. Ed un'altra volta subito ch'ei fu morto, nella citt di Trapani, ch' in Sicilia, scongiurandosi nella chiesa un demonio, essendo presenti molte persone di autorit, addimand un sacerdote al demonio se conosceva Ignazio, e se sapeva dove ei fosse: rispose, che Ignazio nemico suo era morto, e che in cielo tra gli altri Patriarchi e Fondatori di Religioni ei dimorava. E se bene queste cose, per esser dette dal padre menzogna, non hanno certezza di verit; nondimeno perch molte volte nostro Signore gliele fa dire, tuttoch egli a ci ripugni, per onore de' Santi suoi; non si hanno come false da ributtare; poich vediamo che alla vita ed a' meriti d'Ignazio sono conformi. Quindi anco nell'evangelio leggiamo che Cristo Ges Signor nostro volle dai demonii essere riconosciuto, ed a gran voci confessato, che era Figliuol di Dio, e venuto per la loro distruzione; e conforme a questo nelle istorie sacre altri esempi simili in onore e lode dei Santi si leggono. __________________CAPO VII.Come seppe unire insieme la piacevolezza con la severitNon fu delle ultime virt d'Ignazio il sapere, come seppe, cos perfettamente affratellare e congiungere la severit insieme con la soavit e con la piacevolezza; le quali sono due cose, che con molta difficolt in un soggetto si ritrovano unite. Era spaventevole ai ribelli e disubbidienti, e piacevolissimo con gli ubbidienti ed umili; ma di sua natura fu sempre alla dolcezza ed affabilit, pi che al rigore inclinato. Era in casa un novizio nella propria vocazione tentato ed inquieto, che sospirava per le cipolle dell'Egitto, e ritornar voleva alla dura servit di Faraone. Gli parl Ignazio dolcissimamente, per deviarlo da quel suo proponimento e ridurlo al primiero spirito, col quale Iddio a s chiamato l'aveva: n essendo questo rimedio bastevole, lo mand a parlare con altri Padri; e chiudendo l'orecchie il novizio a tutti i buoni consigli, che gli erano dati, quanto pi gli dicevano, tanto maggiormente protervo ed ostinato si rendeva; affermando, che per esser gi notte e tardi si fermava per allora in casa; ma che il giorno seguente subito allo spuntar del giorno si voleva partire. Seppe questa cosa Ignazio, e disse: domattina vuol partirsi? ei non sar cos, no: perch non ha da dormire questa notte in casa: e comand che subito allora lo licenziassero e mandassero via; acciocch poich egli non aveva saputo approfittarsi della benignit, giovasse almeno ad altri l'esempio di questa severit, che con lui si usava. Quantunque conservasse molto lautorit sua con lesempio mirabile che dava di tutte le virt; e principalmente con l'opinione da ognuno conceputa della prudenza, esperienza e santit sua: prestava a ci parimente grandissimo aiuto il rigore, che usava per troncar i mali di pericolo, che succeder potevano, o per esser di lor natura gravi, ovvero contagiosi. E di questo rigore per lo pi si serviva egli contro di coloro, i quali per esser ostinati, incurabili si rendevano, e erano di dura cervice rivoltosi, sturbatori della pace, e nemici della concordia; e finalmente contra di quelli che

attaccati al parer loro, gonfi e ostinati nelle loro proprie opinioni, ad alcuno ceder non sanno, n lasciarsi regger da altri. Imperoch tutti questi diceva esser perniciosi nella Religione; e per ci n li riceveva nella Compagnia, se prima per tali li conosceva, n in essa ve li tenea dopo averli accettati, se vedeva che poco giovamento loro arrecasse il curarli e l'ammaestrarli. E quanto uno era pi dotto e pi illustre di sangue, tanto pi vigilante e sollecito era Ignazio, per vedere se aveva in s alcun mancamento cattivo, o vezzo sinistro, che per ricoprirsi con l'opinione ed apparenza di lettere e di nobilt, potesse infettare e corrompere gli altri. Apportava anco autorit ad Ignazio presso i soggetti a lui il vedere che molte volte per mancamenti leggieri, gravi penitenze imponeva; come fece ad alcuni fratelli nostri, perch senza sua licenza nella convalescenza delle infermit loro avevano preso nella vigna certa ricreazione. E ad un novizio diede un'altra penitenza rigorosa, perch si lavava alcune volte le mani col sapone, parendogli troppa delicatezza; e di questi simili esempi molti altri raccontare ne potrei. Imperoch egli temeva che gli errori piccioli se non fossero castigati, diventassero grandi; e che gi che per se stessi danno non apportavano a quelli che li commettevano, non venissero serpendo negli altri, e ad esser non solamente dannosi col mal esempio, ma anco perniciosi per lavvenire: e per gravissimo danno e detrimento stimava qualsivoglia nuova introduzione nella Religione, maggiormente in questa sorte di cose e ne' principii di lei. Dall'altra parte gran dolcezza e soavit dimostrava; ed aveva in s molte cose che lo rendevano amabilissimo presso de' suoi. La prima era l'opinione che avevano della sua sapienza, la quale un gran motivo, perch gli uomini amino e stimino quello che tra loro savio vien riputato. La seconda il molto amore che ad essi portava; perch in fine l'amore crea e genera naturalmente amore; e tutti sapevano che erano tenuti da lui in luogo di figliuoli molto diletti, o ch'egli era loro amorosissimo padre. E oltre di questo conoscendo egli molto bene quanto ciascuno valesse e fin dove s'estendessero le forze sue spirituali e corporali; non caricava peso sopra le spalle altrui pi di quello che soavemente portar poteva; ed anco di questo ne sottraeva un poco e qualche parte ne levava: perch non fossero i suoi figliuoli oppressi da carico, soverchio; anzi con allegrezza lo portassero ed in esso potessero perseverare. Se alcuno de' nostri gli addimandava cosa, che a lui paresse, che gli dovesse negare, la negava; ma per con tal modo, che lasciava senza disgusto colui che l'aveva richiesto, adducendogli, quando ci era conveniente, le ragioni perch non era bene il concederla: e quando impetravano da lui quello, di che lo ricercavano, rendeva loro parimente le cagioni, per le quali loro negar si poteva; e questo faceva, affinch quegli che non otteneva ci che desiderava, scontento non restasse, e quegli che aveva l'intento suo, maggior conto e stima ne facesse e di cose simili molto spesso non lo richiedesse e ricercasse. Era tanto destro in congiunger la soavit insieme con la severit, che quantunque molto desiderasse ed a tutti i suoi persuadesse che fossero indifferenti, ed ugualmente apparecchiati a quello che l'ubbidienza comandava, senza pi a questa che a quella parte inclinarsi; tuttavia con gran diligenza esaminava di attentamente riguardava le naturali inclinazioni di ciascheduno, e ad esse in tutte quelle s'accomodava, in cui bene incamminate le scorgeva. Perciocch sapeva quanto faticose fossero quelle operazioni, le quali con naturale ripugnanza si eseguiscono; e che niuna cosa violenta

durabile. E in questo risplendeva assai il lume della sapienza e dello spirito suo in unire con tanto artificio e prudenza cose cos differenti o tra se stesse lontane, come sono la indifferenza per una parte, o per l'altra la propria inclinazione di ciascheduno: ed in ricercare la indifferenza dimostrava la religiosa severit; e in seguitare e in condiscendere all'inclinazione altrui, scopriva la innata sua piacevolezza e benignit. Se alcuno faceva cosa che di castigo degna gli paresse, primieramente con ogni sua cura procurava che quegli che aveva errato, riconoscesse la propria colpa; e per, non con parole, ma con la gravezza dello stesso fatto la esagerava. E dopo che di gi il proprio errore aveva riconosciuto, faceva che da se stesso la pena s'imponesse; e se troppo rigorosa di acerba gli sembrava, egli la moderava e sminuiva: e con questa prudenza meravigliosa veniva a far guadagno di due cose; l'una, che dalla parte de' suoi verso di lui non iscemava il rispetto, n l'amore; e l'altra, che niuna colpa impunita ne rimaneva. E certo cosa degna di meraviglia quello che in questa parte molte fiate vedemmo e notammo, che in tanta moltitudine e diversit di uomini, non vi fu mai per meraviglia alcuno, il quale per essere o ripreso con parole, o con penitenza grave da Ignazio castigato, per questo si sdegnasse, o contra lui si movesse, concitato ad ira, o a perturbazione d'animo; ma contro se medesimo piuttosto per lo commesso errore si risentiva e rivolgeva. Quando alcuno la propria colpa riconosceva e di essa si emendava, nello stesso modo lo abbracciava e trattava come se mai non fosse in essa caduto: e con questa dimostrazione d'amore, velava la propria vergogna loro, la quale alle volte suol render pusillanimi quelli, che in qualche errore sono incappati; e ponendola in un perpetuo oblio, medicava e curava le piaghe di tal maniera che n segno n cicatrice o memoria alcuna di esse ne rimanesse giammai. _____________________CAPO VIII.Della compassione e misericordia che aveva altrui.Dalla stessa piacevolezza e benignit procedeva il condolersi con quelli che in casa si dolevano; perciocch senza alcun dubbio grande fu la carit sua verso gli infermi, convalescenti e deboli. Aveva ordinato, che infermandosi alcuno subito glie lo facessero sapere, ed allo spenditor di casa comandato, che due volte ciaschedun giorno gli andasse a dire se aveva portato all'infermo quello, che era di bisogno. E quando non si trovava aver denari per comperar le cose necessarie agli ammalati, faceva che si vendessero alcuni pochi piatti o scodelle di peltro, che fra le masserizie di casa si ritrovavano: e se questo non era sufficiente, che si vendessero le coperte dei letti, perch agli infermi non mancasse cosa alcuna di quello che dal medico era ordinato. E vedendo che in quei principii della Compagnia molti dei nostri studenti, giovani di gran virt ed espettazione, o erano morti, ovvero rimasi molto debilitati da semplice e pura fatica, che col fervore dello spirito prendevano, fece edificare una casa in una vigna entro le mura di Roma; ma separata per da' luoghi che ora sono abitati, ove a' suoi tempi potessero gli studenti onestamente ricrearsi o ricoverar le forze per pi travagliare ed affaticarsi. E bench certuni, per esservi in casa molta penuria e necessit, gli dicessero, che in tempo di s grande ristrettezza era assai il vivere ed il sostentarsi senza fabbricar casa nella vigna; pure rispondeva, che maggiore stima faceva della sanit di qualsivoglia Fratello, che di tutti i tesori del mondo: n mai dal suo proposito il poterono rimuovere; anzi soleva dire: quando uno infermo, non pu affaticarsi, n aiutar i prossimi; ma quando sano, pu far gran

bene nel servigio di Dio. Era una volta Ignazio tanto debole e stanco, che, a persuasione di quelli, che allora si ritrovavano in Roma, fu necessitato a nominar un Vicario generale, il quale, mentre gli durava quella fiacchezza, gli levasse il carico o lo alleggerisse nel governo. E ordinando al Ministro della casa, che tutto quello, che per le regole dell'ufficio suo era obbligato a consultare con esso lui, lo trattasse col Vicario, solo si riserb tutto ci che agli infermi apparteneva, perch gliela riferisse; n volle commetter questo pensiero e questa cura ad alcun altro; ma per se stesso tenerla, quantunque fosse cos debilitato ed attenuato, come si detto. Andavano una volta pellegrinando insieme il Padre Ignazio e Lainez: il quale essendo da un improvviso dolore repentinamente assalito, quello che per suo alleviamento e rimedio fece Ignazio fu, il prendere a vettura un cavallo, dando per esso un reale, ovvero giulio che solo avevano ritrovato di limosina, e ricoprendolo col suo povero mantello, lo fece ascender in esso, e per pi inanimarlo, a guisa d'un altro Elia, andava sempre a piedi, correndogli avanti con tanta velocit e serenit di volto e d'animo, che il P. Lainez mi diceva, che a pena a cavallo poteva tenergli dietro. Non voglio lasciar di dir quello, che intervenne a me, ritrovandomi infermo. Mi avevano una sera cavato sangue da un braccio: pose Ignazio chi stesse con esso me quella notte, n di questo contento e pago, essendo gi tutti iti a dormire, sulla mezza notte solo il buon Padre vegghiava; e due o tre volte mand a riconoscer il braccio, e vedere se era bene accomodato e fasciato; s che non intervenisse a me per sorte, senza pensarvi, quello, che ad altri molti era accaduto, che sciogliendosi loro la vena, ed uscendone fuori il sangue, improvvisamente avevano perduta la vita. Diceva, che per meravigliosa e divina provvidenza aveva cos poca e cos fragile sanit, e che per ci era tanto soggetto alle infermit, acciocch per i propri travagli e dolori, sapesse stimare i travagli e dolori altrui, e compatire i deboli ed infermi. E tutto questo era un usar compassione e misericordia con gli infermi; ma quando era di mestieri, con essi ancora non gli mancava l'uso della severit. Imperocch voleva, che totalmente di s medesimi si dimenticassero, o perfettamente ubbidissero ed avessero pazienza, e fossero trattabili e non testerecci, fastidiosi e difficili da contentare: o che non addimandassero di mutar aria per loro capriccio e volere, n di questo da loro stessi col medico trattassero: voleva finalmente, che gli infermi sapessero, che i loro Superiori tengono di essi debita cura, e che per di s medesimi non abbiano pensiero alcuno. E se vedeva Ignazio, che nell'infermit alcun torcesse da questo cammino; e che fosse ansioso, insofferente, intrattabile; aspettava che si risanasse, e dipoi glie ne dava il castigo. Parimente se conosceva alcuno di rigida ed intrattabile natura, e che per esser uomo robusto, e per la ribellione e cattive inclinazioni della carne, non si lasciava regger dal freno, n seguitava la regola dello spirito e della mortificazione; sopra questo tale, perch l'anima di lui si salvasse, ed all'apposito si avvezzasse, alcune volte caricava la mano, anco pi di quello che le forze erano bastevoli a sostenere: e se cadeva in qualche malattia, ci molto non gli pesava, ma lo faceva medicare di tal maniera, che n si scordava della benignit paterna, n era negligente in quello, che per aiuto dello spirito dell'infermo era necessario. ___________________CAPO IX.Della fortezza e grandezza d'animo d'Ignazio.Molte sono le cose, dalle quali cavar si potrebbe la costanza, fortezza e

grandezza d'animo, che Ignazio ebbe; ma solo alcune poche ne racconteremo. Essendo egli, come era, molto spesso infermo e da gravi dolori tormentato ed afflitto, non si sent mai in lui gemito alcuno, n si vide segno di pusillanimit d'animo; ma con sembiante allegro e con piacevoli parole diceva, che se gli applicassero i rimedi necessari. Soffer tre giorni continui una volta un acerbissimo ed intensissimo dolore di denti, senza dare alcun segno di patimento o di dolore. Un'altra fiata avendo male alla gola, e dicendogli un fratello una fascia involtagli intorno al collo senza badare a quello ch'ei si facesse, gli trapass con l'ago l'orecchio dall'una all'altra parte; al quale Ignazio senza punto alterarsi, ma quietamente disse queste sole parole: guardate, Fratello, quello che fate. Ma che meraviglia , che con tanta pazienza sopportasse la puntura d'un'oguccia, essendo di gi capitano della milizia di Cristo, quegli, che militando gi sotto le insegne fallaci della vanit mondana, con tanta fortezza sopport che gli segassero le ossa di una gamba? Stavamo in Roma l'anno 1543 in una casa presa ad affitto. Era in quel tempo nostro procuratore il P. Pietro Codacio, uomo magnanimo e con la povert di Cristo ricchissimo, il quale quantunque non avesse con che, nondimeno confidato nella divina Provvidenza, volle far fabbricare la casa, in cui ora dimoriamo; ed a questo effetto comper a credenza i mattoni, la calcina ed altre cose necessarie; ma non potendo dipoi pagare i suoi creditori, e menandoli in lungo di d in d, con promettere loro di soddisfare, finalmente la Giustizia mand gli ufficiali suoi alla casa nostra, per torre il pegno al P. Codacio, con pigliare qualsivoglia cosa delle masserizie e mobili che si trovassero: ma quelle per erano cos poche e tali, che ben davano infallibile testimonio della nostra povert. Il Ministro turbato per vedere gli sbirri in casa o tanta moltitudine di gente; mand subito un Padre a ritrovare Ignazio, il quale era fuori di casa, acci gli dicesse comela cosa passava. Ritrovollo il messaggero in casa d'una certa persona divota della Compagnia, ragionando insieme con alcuni gentiluomini, ed accostatosegli all'orecchio, gli diede lavviso. Ignazio senza dare alcun segno di alterazione, gli disse: bene sta; e ritornato nel suo primo ragionamento, si trattenne fin tanto che fin quello, che aveva incominciato: e indi ad un'ora con allegro sembiante disse agli amici, coi quali ragionava: Sapete, Signori, la nuova, che mi hanno arrecata? E che nuova? dissero quelli: ed egli, come sorridendo, raccont loro tutta la cosa senza alcun fastidio, e con tanta quiete d'animo, come se a lui tal negozio punto non appartenesse o toccasse. Essi molto di ci alteratisi, presero la cosa sopra di loro, come loro propria, e vi vollero rimediare: ma egli pacificamente e con la medesima serenit di volto, disse: non occorre, non occorre altrimenti; perciocch se ci toglieranno i letti, la terra in vece di letti ci rester, n sar gran cosa, che vita degna di poveri viviamo, essendo poveri; e soggiunse: certo che se io mi fossi ritrovato presente, mi pare che di niun'altra cosa richiesti avrei i ministri della Giustizia, se non che mi avessero lasciato alcune scritture, che tutto il rimanente se ne portassero, come pi loro piacesse; e se ci mi avessero negato, vi dico in verit, che n anco di questo mi sarei preso molto pensiero. Quello adunque che di questa cosa avvenne, fu, per dire brevemente, che un gentiluomo nostro vicino chiamato Girolamo Astalli fece la sicurt per noi; e con questo gli sbirri non toccarono cosa alcuna di casa: e il giorno seguente un divoto della Compagnia, nominato Girolamo de Arze, dottore in

Teologia, senza sapere alcuna cosa di quello che era succeduto, diede al P. Codacio ducento ducati, co' quali pag i suoi debiti, e con questo esempio impar quanto anco nelle cose molto ardue e difficili si ha da porre la confidenza in Dio. Una delle cose, in cui pi che in tutte l'altre la grandezza d'animo d'Ignazio si dimostrava, era questa fermissima confidenza in Dio, ed il tener s poco conto de' denari. Imperoch se bene e col desiderio ed in effetti poverissimo, nell'animo per e nel confidarsi in Dio ricchissimo era. Per lo che mai per vedersi povero, ed in necessit lasci di ricevere ognuno, che buono fosse per la Compagnia, e che paresse, che da Dio ad essa fosse chiamato. Per molte volte diceva insieme col Profeta: Serviamo pur noi a Dio, ch'egli ne provveder, n alcuna cosa fia per mancarci. Poniamo in lui le speranze nostre, ch'egli ci manterr. Speriamo in Dio, facendo dal canto nostro quello che siamo obbligati, e saremo nelle ricchezze di lui pasciuti. E meravigliandosi alcuni non solo di quei di fuori, ma anco di casa, e desiderando di sapere in che cosa fosse fondata la speranza d'Ignazio, con la quale, senza avere entrate n provvisioni certe, in Roma cotanta gente sostentava: fuvvi tra gli altri un Padre, che di ci familiarmente il dimand; a cui egli disse le speranze che aveva, ed i soccorsi che sperava. Vero per, che ove tutti questi fossero stati certi, non erano bastevoli per dare da vivere alla met della gente ch'ei manteneva. Onde quegli soggiunse: Padre, tutto questo che voi mi dite, incerto; e quando anco certissimo fosse, tutto pochissimo, rispetto a quello che fa di bisogno e che necessario. Allora gli rispose Ignazio: non debbo io in qualche cosa confidarmi in Dio? non sapete voi quanta forza ha la speranza che in Dio si appoggia? e che ella non ha luogo quando niente ci manca, anzi ne avanza? Imperoch la speranza di quel che si vede e si ha, non speranza; posciach quel che si vede o si possiede, pi non si spera. Laonde indubitatamente molte volte occorse, che in isperanza contro speranza la povert nostra si mantenne. Di questa confidanza dunque d'Ignazio in Dio molti ed illustri esempi abbiamo, alcuni de' quali racconter, e da essi gli altri simili si potranno cavare. Essendo una volta gran carestia nella citt di Roma, ed essendo alcuni de' nostri di parere, che si distribuisse e mandasse parte della gente, che era nella Compagnia, ad altri collegi d'Italia: perocch in Roma non vi era commodit di mantenerli e di sostentarli; Ignazio in questo stesso tempo carestioso e di tanta penuria, fece chiamare un eccellente architetto, nominato Antonio Labaco, che aveva un figliuolo nella Compagnia, e si pose con esso lui da buon senno a trattare di comperar due siti; l'uno per il nostro Collegio, l'altro per il Collegio Germanico; e ordin che si facesse il disegno e il computo della spesa che vi sarebbe andata. E tutto ci faceva come uomo a cui non era nascoso che quelle opere erano in Dio fondate e che avevano le radici fitte in maniera, che seccar non si potevano, e tali fondamenti, che n per pioggia, n per inondazioni di fiumi, n per furor di venti muovere e crollar non si potevano. Un'altra fiata, morto in Roma il P. Pietro Codacio, ch'esser soleva tutto il sostentamento temporale della casa nostra, ed in essa patendosi molta necessit, ed ogni giorno temendosi di maggiore, per esser l'anno ristretto per la carestia, e per esser anco tutti i Cardinali, che con le loro limosine ci aiutavano, occupati nel Conclave e nell'elezione del Pontefice nuovo per la morte di Paolo Terzo, molti che umanamente le cose rimiravano, temevano che i nostri venissero a

morir nella fame. Ma Ignazio non solamente non si perd d'animo di poter sostentare quelli che aveva in casa, ma molti altri anco di vantaggio. Laonde ricevette in pochi giorni nella Compagnia molti, che addimandavano d'esservi ammessi, non senza meraviglia di tutti coloro, che sapevano la molta strettezza ed il poco potere, che nella casa si ritrovava. E questa meraviglia cess con un'altra maggiore, che di subito successe. Giovanni della Croce, che era nostro spenditore, Fratello laico e semplicissimo uomo e divoto, venendo una sera al tardi da S. Giovanni Laterano verso casa, incontrossi presso l'Anfiteatro, che chiamano il Colosseo, in un uomo, il quale senza dirgli parola, gli pose cento scudi d'oro in mano: turbossi molto il Fratello quando lo vide, e arricciaronsegli i capelli, restando di spavento ripieno, perocch l'uomo subitamente disparve e se gli tolse dagli occhi. Andava un'altra volta lo stesso Giovanni a spendere una mattina per tempo, e se gli fece all'incontro un uomo che gli diede una borsa piena di ducati, e per non esser ancora ben giorno, non pot riconoscer chi era; anzi temendo piuttosto che fosse qualche demonio che ingannar il volesse, se n'entr nella chiesa di S. Maria della Minerva ch'era ivi vicina, tutto di paura e di stupore ripieno a far orazione, supplicando Iddio, che se quella era tentazione di Satana, che dalle fraudi sue lo liberasse. Portato che ebbe il denaro a casa, pensavano alcuni che falso di apparente fosse, e fatto per arte del demonio per ingannarci; ma ritrovossi che era tutta moneta nuova, buona e di puro e finissimo oro, e con essi si pagarono i debiti che avevamo. Quasi nell'istesso tempo ritrovandoci noi in una stretta necessit, ricercando il P. Polanco certi scritti in una cassa, la quale era posta in un luogo pubblico e senza alcuna serratura, ripiena di stracci e panni vecchi, vi ritrov dentro certa quantit di scudi d'oro nuovi e rilucenti, co' quali ci sovvenimmo in quel nostro bisogno. E quantunque questo che io dir non sia cosa che possa o debba apportar tanta meraviglia, non resta per che non sia segno della divina provvidenza, che con tanta cura rimirava le cose nostre. Perciocch ritrovandovi molte volte in grandissima strettezza e mancamento delle cose necessarie, avvenne che molti spontaneamente da loro stessi vennero ad offerire, ed altri a portarci denari a casa senza sapere, che appunto in quel tempo ed allora ci ritrovavamo in angusta necessit: e con questa esperienza in Ignazio cresceva ciaschedun giorno via pi la confidanza in Dio vedendo che nei nostri maggiori bisogni con paterna provvidenza ci soccorreva ed aiutava. Ma che diremo di quello, che poco disopra raccontato abbiamo; ci , che avanti che Ignazio avesse compagni, in tutte le persecuzioni sue mai si volle valer di avvocati, n di qual si voglia umano favore; anzi esser pi tosto abbandonato e derelitto, che dal patrocinio di alcuna creatura difeso? Ma dopo che ebbe compagni sempre volle che le calunnie ed accuse, che erano loro opposte, fossero esaminate e certificate per via di ragione e di giustizia; nel primo dimostrando il valore dell'animo suo e la gran confidanza in Dio, e nel secondo la carit e la meravigliosa sua prudenza. Molti un altro segno d'animo grande in Ignazio considerarono, ed era, che essendo egli cos debilitato, afflitto e dalle infermit oppresso e necessitato d'aver appresso di s molte persone d'importanza, per tanti e cos ardui negozi, che tutto d gli si offrivano in fondare e governar la Compagnia; con tutto ci, se per maggior gloria di Dio vedeva esser bene, non lasciava di privarsi degli aiuti che aveva senza alcun rispetto della propria

persona, n de' negozi che gli passavano per le mani. E lo vedevamo alcune volte restarsene solo con tutto il peso e carico de' negozi, avendo da Roma mandati in diverse parti quei Padri tutti, che gli servivano per piedi e per mani, e de' quali solamente poteva e soleva aiutarsi e prevalersi. Io medesimo gli udii dire, essendo egli gravemente ammalato ed al fine della sua vita, che se per beneficio della Chiesa di Ges Cristo avesse bisognato che se ne fosse ito da Roma in Ispagna, che subito si sarebbe posto in cammino, e che sperava in Dio, che gli avrebbe prestato aiuto per finirlo. Con questo bastoncello, diceva egli, se fia di mestieri, ander solo ed a piedi fino in Ispagna. Animo eroico e costantissimo dimostrava in sopportare le avversit ed in superar le difficolt, che avanti se gli opponevano. Gli accadeva ritrovarsi infermo nel letto od all'improvviso alcun travaglio s'offeriva, che per vincerlo il valore, la virt e la prudenza di lui era necessaria. E pareva che obbedendo il corpo alla volont sua ricoverasse le forze, e che per questo accidente sano e gagliardo se ne ritornasse. E questo era cos certo ed infallibile appresso tutti noi altri che quando era gravemente infermo, pregavamo Iddio che ci si offerisse qualche negozio difficile e d'importanza: perch di subito si sarebbe il nostro Padre levato di letto sano e gagliardo. And un giorno Ignazio a visitare un signore divoto della Compagnia, dal quale non essendo cos ben ricevuto ed accettato, come era ragionevole, pens che ne fosse cagione il non valersi tanto i nostri dell'autorit e buona volont di lui per le cose della Compagnia, come di altri personaggi facevano, E mi disse: io voglio parlar chiaro a questo signore, e dirgli, che sono pi di trent'anni, che Iddio Signor nostro mi ha insegnato, che nelle cose pertinenti al servigio suo, ho da prendere tutti i mezzi onesti e possibili; ma per di tal maniera, che non ho da fondar le mie speranze nei mezzi che piglier, ma solo nel Signore, per cui servigio li uso: e che se sua Signoria vuol farci grazia ed esser uno di questi mezzi per il divino servigio, molto volentieri lo accetteremo; per ei sappia, che n in lui, n in verun'altra creatura vivente, ma solo in Dio sar la speranza nostra stabilita e collocata. Come poi era magnanimo in prendere sopra di s le ardue e difficili imprese, cos in quelle, che una volta aveva incominciato, era costantissimo; e di questa costanza molte cagioni aveva. La prima il pensare alle cose con grande attenzione, e considerarle e maturarle bene, prima che vi si applicasse. La seconda il molto orare ch'ei faceva e le lacrime che spargeva, supplicando nostro Signore che lo favorisse: e questo in tal modo, che molte volte era cos certo con lo splendore della divina grazia della volont di Dio, che niuna cosa era sufficiente e bastevole per rimovernelo. La terza era, che nelle cose, che aveva a trattare, ne chiedeva consiglio e parere a chi dare glie lo poteva, o per esser carico loro, o per aver cognizione di cose; e dopo aver sentito l'opinione altrui, determinava poi quello che aveva da fare: e risolvendosi con tanta circospezione e ponderazione, l'eseguiva poi con fortezza d'animo, e conduceva avanti con mirabile perseveranza. Stette un tempo in Alcal nell'ospedale che chiamano di Luigi de Antezana, nel quale si diceva che allora molte fantasme e notturne larve apparivano, e fu posto Ignazio ad abitare in quella parte, che si pensava esser maggiormente da tali spiriti infestata. Ivi ritrovandosi egli nell'imbrunirsi del giorno, parve che tutto si spaventasse; e che se gli ricapricciassero i capelli, come se vedesse qualche spaventevole ed orribile figura; ma subito in s stesso ritornando e vedendo che non aveva cagion di temere, gittossi

ginocchioni, e con animo forte ed invitto cominci ad alta voce a chiamare, e quasi a sfidare e provocare i demonii, dicendo: se Iddio vi ha dato alcun potere sopra di me, infernali spiriti, eccomi qui, ed in me eseguitelo, che, n resister voglio, n ricuso qual si voglia cosa, che per questa strada mi venga: ma se non vi concessa alcuna potest, a che servono, sventurati e condannati spiriti, queste paure, che voi mi fate? perch andate voi spaventando co' vostri vani e fallaci timori gli animi de' fanciulli e degli uomini pavidi cos vanamente? ben v'intendo io, che non potendo co' fatti farci alcun danno, volete isbigottirci con queste false rappresentazioni ed immaginarie apparenze. Con quest'atto dunque, cos valoroso, non solamente super la paura presente, ma divenne per l'avvenire molto coraggioso ed ardito contra tutte le diaboliche oppressioni e spaventi di Satana. Mentre stava dormendo Ignazio, volle una notte il demonio soffocarlo; e questo fu l'anno 1541, in questa maniera. Sent come una mano di uomo, che gli stringeva la gola, e che non lo lasciava n rifiatare, n invocare il nomo santissimo di Ges, fin che pose tanto sforzo e vigor di corpo e di spirito, che finalmente prevalse, e diede un grido cos forte, chiamando Ges, che il nimico fugg: e rest Ignazio cos roco, che per molti giorni non pot parlare. Di questa cosa io non ho altra certezza, se non che l'udii dire, quando dicono che questo caso avvenne; ed ho veduto nello stesso tempo Ignazio roco della voce, della maniera che dico. Mi raccontava: Gio. Paolo Berilli, che fu molti anni compagno d'Ignazio, che dormendo una notte, come soleva, presso la camera del nostro Padre, ed essendo risvegliato a buon'ora, ud uno strepito come di sferzate e colpi, che davano ad Ignazio, e lo stesso Ignazio che pareva che gemesse e sospirasse. Onde egli di subito levatosi, se n'and da lui, e ritrovollo a seder sopra del letto, rinvolto con la coperta, e gli disse: che questo, Padre, ch'io vedo, e ch'io odo? Al quale rispose Ignazio: e che quello che avete udito? ed egli dicendoglielo; gli rispose Ignazio: andate, andate a dormire. Ritornatosene a letto Gio. Paolo, subito ritorn a sentir le medesime percosse e gli stessi gemiti: di nuovo levatosi, ritrov Ignazio star nel medesimo modo di prima; ma per a guisa di uomo stanco, e che anelando aveva finito di lottare e di combattere, e quasi senza spirito e fiato: e ritornatosene a letto, non si lev pi, perch cos da Ignazio gli fu comandato. Lungo sarebbe se volessimo raccontare ad una ad una tutte le cose, nelle quali la costanza e fortezza di animo di lui si dimostr; basta sommariamente dire, ch'egli d'animo eccelso, fu ne' pensieri che ebbe; nell'eseguir cose grandi e d'importanza magnanimo e valoroso; in resistere alle contraddizioni ed alle difficolt forte e costante; n mai si lasci vincere e superare, n un punto pure si torse o svi da quello, che da principio conosceva esser maggiore servigio e gloria di Dio, quantunque a lui si fosse opposta la potenza e l'autorit di tutti gli uomini del mondo. _____________________CAPO X.Della prudenza e discrezione sua: nelle cose spirituali.Gli comunic Iddio Signor nostro grazia e prudenza singolare in pacificare ed acquetare le perturbate coscienze; e ci in tanto grado di perfezione, che molti concorrevano a lui per rimedio, i quali la propria infermit esplicar non sapevano, ed era di bisogno, che Ignazio quasi nell'interno del loro cuore spiando, dichiarasse ed esplicasse per una parte quello, ch'eglino entro all'anima loro sentivano, n ridir lo sapevano; e dall'altra applicasse loro il rimedio, che ricercavano. Ed era ordinariamente il raccontar loro alcuna cosa somigliante a

quelle di essi, le quali erano a lui avvenute, o pure da esso sperimentale: e con questo li rendeva liberi da ogni malinconia e si partivano consolati. Ed a noi pareva, che Ignazio da nostro Signore fosse stato nelle cose spirituali in tal maniera esercitato e provato, come quello, che aveva da esser padre spirituale di tanti figliuoli e capitano di tanti e di tali soldati. Era in Parigi un sacerdote religioso, di vita molto dissoluta e profana, e contrario assai ad Ignazio, il quale egli aveva con tutte le forze sue procurato d'aiutare ed allontanare da quella strada cos torta, per cui si era incamminato. Ma ritrovava di maniera chiuso ogni ingresso, che non sapeva per donde entrare. Finalmente determinossi di far quello, che qui racconter. Una domenica mattina se ne and Ignazio, come era di suo costume, a comunicarsi ad una chiesa, che era presso la Casa, dove stava questo Religioso: entr in casa sua, e sebbene lo ritrovasse nel letto, il preg che lo volesse confessare, perch voleva comunicarsi, e non ritrovava allora il suo confessore. Il Religioso nel principio, quando vide entrato Ignazio in casa sua, turbossi, ma dipoi molto pi si meravigli, ch'ei volesse confessarsi da lui; pure finalmente parendogli, che negar non potesse quello, di che lo richiedeva, quantunque di mala voglia, incominciollo a confessare. Ignazio, dopo che ebbe esplicate le sue cotidiane colpe, disse che si voleva accusar anco di alcuni peccati della sua passata vita, che pi degli altri la coscienza gli rimordevano. E cominci dalle fragilit e debolezze della giovent sua, e dalle ignoranze del suo viver passato, con cos gran dolore e con tanto risentimento, e s copiose lacrime, che vedendo il confessore la compunzione del penitente, si venne egli ancora a compungere ed a piangere le proprie colpe, per l'amaritudine di cuore, con cui quegli che gli stava avanti ai piedi piangeva le sue. Imperocch Ignazio col lume che aveva dal cielo, pesava molto minutamente, e con grandezza di parole e sentenze ponderava quanto fosse grande l'infinita maest di Dio e quanta la sua vilt e miseria, che l'aveva offeso; e quanto piacevole e liberale era stato Iddio con esso lui, e per lo contrario quanto egli sconoscente ed ingrato: e diceva queste cose con gemiti e sospiri, che gli uscivano dalle viscere, con tanta mestizia ed angustia di cuore, che a pena poteva formar parola. E per ristringer la cosa, vedendo il confessore nella vita passata d'Ignazio presso che un ritratto della sua vita presente, scorgendo il dolore ch'egli aveva di quello, che essendo giovane, secolare e leggiero, prima che avesse la luce della conoscenza di Dio, contro di esso commesso aveva; e che non erano state bastevoli le penitenze di tanti anni e cos aspre, perch lasciasse quel peso di dolore e quel risentimento dei peccati; intese e conobbe, ch'egli maggior causa aveva di piangere, essendo sacerdote e religioso, i costumi propri e lo scandalo, che con essi ad altri dava. Con questa considerazione diede l'entrata al raggio della divina luce, perch nel suo cuore penetrasse, e venne di tal maniera il mutarsi, che incominci ad amare e riverir quello che prima gli era odioso ed abominevole, ed aborrire la sua vita presente e desiderar d'emendarla: e cos mutando vita, fece gli Esercizi spirituali datigli da Ignazio, e di subito cominci a far penitenza de' suoi peccati, ed a vivere cos religiosamente e castamente, che diede con la sua mutazione a quelli della Religione sua ed ad altri che lo conoscevano, non minor edificazione di quello, che per l'innanzi scandalo avesse scandalo: e d'allora in poi egli prese Ignazio per maestro e padre dell'anima sua, e come tale lo am e river, e per tale pubblicamente in ogni

parte l'and predicando. Un'altra volta ritrovandosi Ignazio nella medesima citt di Parigi
insieme con un suo scolare spirituale, videro ambedue passar per la strada un uomo mal vestito, povero, indebolito, senza colore nel volto, il quale andava come gemendo e sospirando. Allora Ignazio inspirato da Dio, s come dall'effetto si dimostr, subitamente disse al suo compagno, che seguitasse quell'uomo e che facesse tutto quello appunto, che vedesse far a lui, e ch'egli fra poco dopo loro se ne sarebbe venuto. Fece il compagno quanto da Ignazio gli fu imposto; e quell'uomo uscitosene fuori della citt, ad un luogo lontano e dal commercio delle genti segregatosi ridusse, ed insieme con lui lo scolare d'Ignazio, il quale gli dimand che cosa aveva, e che ivi ricercasse. Rispose quell'uomo infelice e miserabile: io cerco un laccio per impiccarmi, e bramo la morte per fuggire da questa misera e penosa vita: me ne vo di tanti travagli ripieno, circondato da tanti dolori, faticato e lasso da tante tristezze o miserie, che per liberarmi di esso altro rimedio e scampo non trovo, se non morir una volta, per non provar mille morti, dandomela da me stesso con le proprie mani. Udito che ebbe questo, gli disse il compagno d'Ignazio, ch'egli parimente era angustiato da molti travagli e fatiche, dalle quali se non con la morte affatto liberar non si poteva. Mentre cos ragionavano, sopragiunse Ignazio, il quale rivolgendosi al suo compagno, gli cominci a parlare come ad uomo da lui non conosciuto, ed a dirgli: chi siete voi? perch siete cos mesto ed afflitto? Allora il compagno cominci a tremare e titubare e dire: che era tanto afflitto e travagliato; che per uscir d'affanni non aveva altro rimedio che la morte. Quivi cominci Ignazio a consolarlo e con dolci o soavi parole a poco a poco gli venne a dire, che si pentisse di quel suo primo insensato volere, e che lasciando da canto la morte, ricercasse la vera vita, che Iddio nostro Signore, in lui si confidasse, ed ogni sua speranza riponesse. Udiva tutto ci attentamente quel misero, per cui cagione tutto questo con tanta dissimulazione si faceva. Indi disse a lui lo scolare d'Ignazio: che pare a voi di questa cosa? Io voglio seguitare il consiglio di questo buon uomo, poich apertamente vedo, che questa morte per brieve ch'ella sia, mi ha da riuscire molto cattiva, n ha da esser fine de' miei travagli, anzi principio di altri maggiori, che nell'inferno mi si apparecchiano, se da me stesso me la do. Con questo esempio mosso quel povero uomo, e con le piacevoli ed amorose parole del nostro P. Ignazio inanimato e rincorato, disse, che il medesimo pareva a lui, e che egli parimente da quel suo primo e stolto proponimento allontanar si voleva; e rese grazie a nostro Signore, che l'avesse liberato da cos gran periglio, dandogli ne' suoi travagli un compagno, che gli prestasse soccorso e ne lo liberasse. Questo fatto a me lo raccont lo stesso discepolo d'Ignazio, che v'intervenne, ed anco quell'altro del Religioso di sopra raccontato, poich fu egli che l'accompagn quando esso and da quel sacerdote a confessarsi. Soleva Ignazio riprendere molto i maestri delle cose spirituali, che vogliono reggere e misurare gli altri al loro dosso, conducendogli per quella strada di vita e d'orazioni, ch'eglino per esperienza buona ed utile per s medesimi ritrovano. E diceva che questa era una cosa molto pericolosa e da uomini che non conoscono, n intendono i doni diversi dello Spirito Santo e la diversit delle grazie, con le quali comparte e distribuisce le misericordie sue, dando a ciascheduno i suoi propri e particolari doni, ad alcuni di una maniera, e ad alcuni altri di un'altra. Egli non estimava, n misurava quanto avesse

ciascuno profittato nella via di Dio per quello che nel sembiante e nel volto esteriormente si dimostrava; ma dall'animo che aveva e dal frutto che nasceva da lui: n da una certa facilit e bont naturale, che alcuni hanno in s, pesava egli i gradi della virt; ma dalla forza, che ciascheduno faceva combattendo contra s stesso, e per la vittoria che di s medesimo acquistava: e prudentissimamente distingueva i moti della natura da quelli della grazia. Laonde ad un Fratello, che stava nella casa nostra di Roma, il quale era molto vivace e di natura assai veemente, ammonendolo una volta Ignazio, che s stesso vincesse, ed andasse reprimendo l'impetuoso suo naturale, diceva: vincete voi medesimo, Fratello, vincetevi dico; ch se voi medesimo supererete, avrete anco maggior gloria nel cielo di quelli, i quali hanno meno da

vincere e superare. E un'altra volta, ritrovandomi io presente, dicendo il Ministro della casa di Roma ad Ignazio, che questo Fratello, di cui ragiono, era inquieto e poco mortificato e disubbidiente; Ignazio ponderando la cosa, non col peso della gente comune, ma con quello della verit e della prudenza sua spirituale, rivoltatosi al Ministro, gli disse: piano, Padre, piano, non vi prendete fastidio: perch se ho a dire il vero, io credo che questo Fratello, che a voi sembra troppo vivo ed inquieto, abbia fallo pi frutto e maggior profitto nell'anima sua intorno alla vera mortificazione in questi sei mesi, che altri in un anno intero; e nomin due Fratelli dei pi piacevoli e modesti di casa, i quali erano tenuti come per uno specchio di essa. Dal che si comprende che Ignazio all'esteriore apparenza non rimirava, n a quella naturale piacevolezza e dolce natura, che avevano quei due Fratelli, per misurare con essa il vero e massiccio profitto dello spirito; ma con certo ed infallibile peso lo ponderava; ed lo sforzo che ciascheduno a s medesimo fa, e la cura che tiene di seco stesso combattere e restarne vincitore. La quale cura ragionevolmente maggiore e di maggior merito ha da essere, dove pi duro contrasto vi ha, e la natura pi ricalcitrante e ribelle. Amava e maggiore stima faceva di un uomo semplice, ripieno di spirito e d'amor di Dio, che d'un letterato meno perfetto: ma per poneva maggior pensiero e cura in conservare il letterato e gli altri che avevano qualche talento, per l'utilit che da questi tali a molti risultare poteva, pi che il semplice e che in s non aveva altro che la divozione. Diceva, che per molto tempo non potevano durare, n conservarsi nell'Instituto loro quelle Religioni, le quali vivono di cotidiane elemosine, n hanno alcuna entrata, se non si fanno amare dalla gente, e se non si rendono affezionato il popolo con una delle due cose, o con l'asprezza e penitenza della vita, o con l'utilit e profitto, che da loro ne segue: ch queste due cose sogliono essere quelle, che attraggono e muovono i cuori e gli invitano a dare con mano liberale, o per via di ammirazione e riverenza, o d'amore e di gratitudine. Non si serviva a caso di qualsivoglia persona per impiegarla nelle cose del divino servigio, ma con grande scelta aveva riguardo a quello che ordinava ed a cui l'ordinava. Quasi mai non dava carico di governare e di reggere altri, ovvero di molta difficolt, se non a persone approvate assai e di sperimentata virt; quantunque in Roma, dove li tenea avanti agli occhi suoi, imponeva alcune volte questi carichi a persone di minore esperienza per assaggiarli, per far prova di loro e per toccare loro, come si dice, il polso e vedere il talento che avevano. Pose grandissima diligenza, perch in veruna parte della Compagnia non entrassero nuove e pellegrine opinioni, o cosa che potesse macchiare la sincerit della fede cattolica, e rendere oscuro e denigrare il buon credito della nostra Religione. Laonde perch dallo studio della lingua ebrea non avessero appreso alcuna cosa, con cui desiderassero di cercare poi nella Sacra Scrittura nuove interpretazioni o sensi esquisiti, ordin che i nostri conservassero e difendessero l'edizione vulgata, la quale per tanti secoli stata approvata nella Chiesa di Dio. Il che dipoi il santo Concilio di Trento nei suoi Decreti parimente determin e stabil, comandando a tutti i cattolici, che in tutto e per tutto la difendano e la tengano per autentica. Per questa medesima ragione non voleva Ignazio, che nella Compagnia si leggesse libro alcuno, quantunque buono, che fosse di autore cattivo o sospetto. Imperoch egli diceva, che quando si legge un libro buono composto da cattivo

autore, nel principio il libro piace, ed a poco a poco anco si ama lo scrittore di esso: e senza avvedersene va penetrando nei cuori altrui piacevolmente, e l'affezione, verso lautore prende il possesso degli animi dei lettori; onde poi pi facile cosa , fatto che si ha acquisto e guadagno del cuore, persuadergli la dottrina e fargli credere che tutto quello, che l'autore ha ivi dentro scritto, sia verit: e se non si resiste a' principii, con molta difficolt al fine si pu rimediare. Questo sentiva egli particolarmente di Erasmo Roterodamo e di altri autori simili, anco molto prima che la cattolica Chiesa avesse l'opere loro censurate, come dipoi abbiamo veduto. Imperoch, come ben dice S. Basilio: bisogna che il religioso fugga dagli eretici e gli abbia in grande odio ed abominazione e che i libri che legge siano legittimi ed approvati; ma non dee affissar per lo contrario gli occhi sopra di quelli, che sono dannati e riprovati, perch le loro parole, come dire l'Apostolo, serpono a guisa di cancro. Pose la medesima cura, perch si facesse grande stima nella Compagnia del vero studio dell'orazione e mortificazione, e si misurasse colla regola certa del vero profitto, e non con le incerte e dubbiose regole, le quali sogliono ingannare gli ignoranti e renderli ciechi col loro falso splendore, come per quello, che qui a basso dir, facilmente si comprender. Nell'anno 1553 un Padre dell'Ordine di S. Domenico che si chiamava Fra Reginaldo, uomo molto prudente e religioso, e nell'Ordine suo di molta autorit, ed amico della Compagnia, venne un giorno, che fu ai 23 del mese di Maggio, a visitare il nostro P. Ignazio, e ritrovandomi io presente, fra le altre cose chegli disse, una fu questa; che in Bologna in un monastero di monache del suo Ordine, il quale era sotto il carico di lui, era una tra l'altre di meravigliosa virt e di sublime ed eccelsa orazione dotata, la quale in orando molte volte era rapita e perdeva i sentimenti: di maniera che n sentiva il fuoco che le accostavano, n altri tormenti che le facevano, quando era in estasi rapita; e che in tutto e per tutto pareva morta, se non era in caso, in cui avesse ad ubbidire alla sua Abbadessa: perciocch udendo la voce di lei, o di altra, che in suo nome la chiamasse, di subito si levava. E disse di pi che aveva alcune volte i segni de' misteri della passione del nostro Redentor Ges Cristo nei piedi e nelle mani scolpiti, ed aperto il costato; e che dal capo le gocciolava il sangue, come se gli fosse stato trapassato con una corona di pungentissime spine, ed altre cose simili di lei raccontava. Le quali il buon Padre diceva, che non credendo egli quello che gli altri gli dicevano, aveva voluto vederlo co' suoi propri occhi e toccarlo con le proprie mani. Dimand adunque al nostro Padre, che cosa gli pareva di questo: perciocch egli non s'arrischiava del tutto a tenerlo per buono, n meno a riprovarlo. Gli rispose Ignazio queste sole parole: di tutto quello che vostra riverenza ha dello di questa persona non vi ha cosa, che abbia minor sospetto e pericolo che quello che ha raccontato della sua pronta ubbidienza. Si part il P. fra Reginaldo: e rivoltatomi io al nostro Padre, da solo a solo il richiesi, che mi dicesse quello che l'anima sua sentiva intorno a quello, di che quel reverendo Padre l'aveva ricercato. Gli rispose che era proprio di Dio nostro Signore influir nell'anima, ed infondere in essa i doni suoi e santificarla con la sua grazia: il che fareva alle volte con tanta abbondanza che traluceva e ridondava la pienezza di quello che l'anima riceveva entro s stessa anco fuori nel corpo: ma per che questo di rado avviene, e solo agli amici molto cari di Dio: e che il demonio, siccome non ha potere alcuno, n possibile ch'egli operi in

quell'anima, con false apparenze che imprime nei corpi suole ingannare le animo semplici, di poca levatura, ed amiche di cose nuove e di vanit. E mi alleg alcuni esempi per confermazione di questo, i quali io sapeva; e cos intesi dipoi che quella monaca di Bologna non fece buon fine; perch quella fiamma, per la quale negli occhi degli uomini risplendeva, in fumo si risolvette e disparve. Parimente l'anno 1541 il P. Martino di santa Croce, che allora era novizio della Compagnia, e dipoi fu rettore del collegio di Coimbra e mor santamente in Roma l'anno 1547, ragionando col nostro P. Ignazio di Maddalena della Croce, e raccontando alcune meraviglie di questa donna, e dicendo ch'egli le avea parlato, e che gli era parsa una delle pi sante e prudenti donne del mondo, ed altre cose a queste simili; Ignazio allora gli fece una buona riprensione, dicendogli, che un uomo della Compagnia non aveva da sentire, n trattare di cotal donna di quella maniera ch'egli faceva, n misurare o stimar la santit da quelle cose, dalle quali era da lui misurata. E ben si vide esser vero ci che diceva Ignazio per quello che pochi anni dipoi si scopr in Ispagna; di questa donna, la quale essendo tenuta per molto santa e ripiena di molte rivelazioni, fu presa e castigata dall'Inquisizione per la domestichezza e conversazione ch'ella aveva col demonio. Un'altra volta, essendovi ancor io presente, chiam a s un Padre che stava ragionando con un novizio di casa e lo riprese, perch gli raccontava esempi di virt di uomini di pellegrino spirito e che, per quello che si diceva, erano sovente rapiti in estasi, di in ci riponevano la stima ed il credito della loro santit: dalle quali cose hanno da stare molto lontani i novizi della Religione nostra, negli animi teneri e molli dei quali si hanno da imprimere le solide, vere e massicce virt, e troncare e recidere tutti gli inganni, che ai principii sogliono entrare negli incipienti, se molta diligenza e cautela non si pone per evitarli e fuggirli. Imperocch importa molto, perch l'albero cresca diritto, e fondi ben le radici, l'avvertenza e cura con cui si pianta; e quello che nel noviziato si semina, quello stesso si raccoglie poi alla professione. Desiderava, che i buoni avessero sanit e forze, e che i cattivi e rei per lo contrario fossero infermi ed indeboliti: acciocch quegli avendole gagliarde e forti, le impiegassero nel servigio di nostro Signore, e questi vedendosi averle fiacche e deboli e senza esse ritrovandosi, si volgessero a Dio, o almeno n s gravemente, n cos spesso l'offendessero, conformandosi con quel detto del Profeta: contere brachium peccatoris; abbatti e rompi il braccio del peccatore. Se per avventura alcuno di quelli, che erano soggetti a lui, era pi al suo proprio parere aderente, e meno ubbidiente di quello che era giusto e ragionevole, e se per alcuna disordinata passione torceva dal diritto sentiero della ragione, se gli opponeva Ignazio cos destramente, usando con esso lui le armi della mansuetudine e della pazienza, che finalmente il suddito, veniva ad arrendersi alla carit di lui ed a correggersi, ovvero ad esser cos manifesta e nota la colpa e l'errore suo, che inescusabile appresso tutti lo rendeva. Diceva, che alcune volte l'uomo era dal demonio tentato e cos fortemente oppresso; che pareva che fosse privo di giudicio; e che allora gli uomini attribuir solevano alla natura, ovvero all'infermit quello, che in verit nasceva dalla tentazione. Affermava parimente che il demonio quando vuole assalir d'improvviso e far precipitare alcuno, osserva d'assaltarlo di notte tempo, mentre dal sonno si desta, per rappresentargli avanti gli occhi larve sozze e brutte, prima che armar si possa coi santi pensieri, co' quali Iddio

nostro Signore ne suol prevenire. Stimava per cosa molto utile, quando l'uomo gravemente tentato che abbia a chi ricorrere per esser aiutato, e con buoni avvisi e salutiferi consigli rinvigorito; acciocch all'anima non manchino difensori, dove vi ha moltitudine di demonii, i quali cercano e procurano d'offendere e dannificare: e siccome l'un chiodo con l'altro si trae, cos con uno sforzo forte e robusto degli amici, si superi e vinca quello degli inimici. Diceva, che proprio della divina bont con maggiore efficacia difendere quello che dal demonio con forze maggiori vien combattuto; e di maggiormente fortificare l dove il diavolo procura maggiormente di gittar a terra; e pagar con sovrane o celesti consolazioni i travagli e le fatiche, che sofferisce l'uomo in resistere e guerreggiare contra i nemici infernali. Per curare le infermit e le passioni, che paiono d'una medesima qualit, soleva alcune volte applicare molto diverse medicine e contrarie. Imperocch alcuni con soavit e con piacevolezza, ed altri con severit e con rigore medicava; ed il successo della cosa chiaramente dimostrava che la cura particolare verso ciascuno era stata a proposito accomodata e ben intesa; e perch questa singolare e divina prudenza che possedeva, non era sempre la medesima, di una sola maniera non l'usava, ma di molte, molto variamente e diversamente. Ebbe particolarmente efficacia grande e meraviglioso dono per curare i vizi, i quali erano pi invecchiati e pi radicati nell'anima; e quella persona ch'egli prendeva a guarire, in tal modo la volgeva e rivolgeva per ogni parte, e usava tanti e cos di differenti rimedi, ch'era gran meraviglia, per radicata ed abbarbicata passione, o colpa che fosse, che non la sradicasse e sbarbasse dal cuore. Molti erano i modi, che per questo usava; e tra gli altri questo era uno; che quegli, che desiderava emendarsi, molto minutamente la sua coscienza esaminasse con esame particolare intorno a quel vizio, di cui l'ammenda voleva fare; e ci a certe ore determinate: e perch non se ne scordasse, faceva che quegli, che in questo modo era medicato, prima che mangiasse ed andasse a letto, desse conto ad alcuna confidente persona assegnatagli da lui e gli dicesse se aveva fatto quell'esame, come e nel tempo che gli era stato ordinato. Un altro modo era, che quegli che voleva emendarsi d'alcuno errore o mancamento, avesse carico di avvisare ed ammonire gli altri, i quali nella stessa colpa di lui erano incappati ed incorsi; e che altri avessero ad avvertire ed ammonire lui. Consigliava parimente, che l'uomo da s stesso a s medesimo qualche certa pena imponesse; la quale in s eseguisse tutte le volte che fosse caduto nell'errore, di cui voleva emendarsi. E lo stesso Padre nel principio della sua conversione, fu molto tentato nel soverchio riso, ed a forza di discipline super questa tentazione, dandosi tante battiture e percosse ciascheduna notte, quante erano le volte che aveva riso il giorno, quantunque il riso fosse stato leggiero. Diceva, che la virt e la santit della vita sono e vagliono assai presso Iddio e presso gli uomini; e che non vi ha cosa in terra che agguagliare ad esse si possa: per aggiungeva, che per reggere e governare altri non basta solo la santit; ma bisogna accompagnarla ed ingagliardirla con la prudenza, se vogliamo che il governo vada come ragionevolmente andar deve. E quindi si vede per esperienza che molte volte i pi santi e meno prudenti conoscono e conducono a fine manco cose di quello si facciano coloro, che sono pi prudenti e meno perfetti; avendo per virt bastevole e necessaria. E questo vero regolarmente ed ordinariamente parlando: perch i

privilegi dei Santi sono straordinari, ed Iddio Signor nostro pu e vuole far loro grazie e favori, che trapassano la regola e il modo ordinario degli altri. Ci insegnava anco e persuadeva a farci grati non solamente a Dio, ma ancor agli uomini per amor dello stesso Dio, il che dichiarava in questo modo. Poich in questa vita abbiamo non solo Iddio presente per riguardare e guiderdonare l'opere nostre, ma siamo spettacolo, come dice l'Apostolo, agli Angeli, agli uomini ed a tutto il mondo, procuriamo di seguire ed abbracciare, come dice in un altro luogo, tutto quello che bene, cos alla presenza di Dio, come avanti agli occhi degli uomini: di modo che prima e principalmente ci affatichiamo di piacere a Dio nostro Signore, dalla cui faccia, come dice il Profeta, esce e prorompe il vero giudizio, e procuriamo parimente di poi di aggradire agli uomini, e levando loro ogni occasione dalla parte nostra, di vituperare e tenere in poca stima il ministerio nostro, come dice il medesimo Apostolo. Imperoch Iddio stesso cos comanda e cos vuole e lo ricerca da noi. Diceva anco a questo proposito, che non dobbiamo solo rimirar quello che ricerca il fervoroso zelo, che alcuni hanno della gloria di Dio, ma che questo stesso zelo regolare si deve con l'utile e profitto dei prossimi: perch allora sar vero e gradito a nostro Signore, quando servir al bene di molti; e se avendo la mira a Dio e cercando la gloria sua, si lascer alcuna volta il medesimo Iddio in s stesso, per ritrovarlo nei prossimi, conforme a quello che lo stesso Signore disse: misericordia voglio e non sacrificio; ed in un altro luogo: se sei per offerire l'offerta ed il dono tuo al Signore e se di gi sarai avanti l'altare e ti ricorderai in quel tempo, che il tuo fratello ha alcuna querela contra di te, lascia l'offerta avanti laltare e va a chiedere perdono ed a pacificarti con esso, e dipoi ritorna ad offerir a Dio quello che volevi. Laonde molte cose far dobbiamo e molte lasciar di fare per il parere e giudizio degli uomini, purch non sia peccato, perbene ed utilit degli stessi uomini. Quindi Ignazio soleva dire, che s'egli avesse solo avuto riguardo a Dio, che avrebbe nella Compagnia alcune cose ordinate, le quali lasciava di ordinare per questo rispetto, che aveva agli uomini, per amore dello stesso Dio. Vi era un Padre nella Compagnia gran servo di Dio, che si chiamava Cornelio Brugelman, di nazione fiammingo, il quale era molto scrupoloso in recitare il divino Officio e spendeva quasi tutto il giorno in dirlo; perch mai gli pareva di averlo detto bene. Lo guar Ignazio di questa infermit nel modo ch'io qui racconter. Gli ordin, che in tanto tempo precisamente dicesse le sue ore in quanto comunemente erano dagli altri recitate e che misurasse questo tempo con un oriuolo di arena, il quale ordin che dato gli fosse, e che se finito quello spazio di tempo gli mancasse a dire alcun'ora o pi ore, le lasciasse quel giorno, n di ci facesse caso o stima alcuna. Il buon Padre Cornelio, per non tralasciare ora alcuna e per poterle dir tutte, s'affrettava per finirle in quel tempo da Ignazio prefissogli e limitatogli; e maggiore scrupolo aveva di lasciar di dirle, che di frettolosamente recitarle; e cos vinse lo scrupolo minore con un altro maggiore, e cav, come si suol dire, l'un chiodo con laltro chiodo. Un novizio tedesco fu una volta dall'inimico infernale s gravemente tentato e combattuto, che finalmente si lasci vincere e determinossi d'uscir della Compagnia. Onde Ignazio mosso a piet dell'anima di lui, procur di ridurlo e di allontanarlo da quel cattivo proposito: ma quegli era cos ostinato ed infellonito e quasi fuori di s stesso, che non si trovava strada per raddrizzarlo.

Ignazio non ispaventandosi per la terribilit, n stancandosi per da pertinacia di costui, volle entrare in tenzone con l'inimico, che fraudolentemente quel giovane ingannato aveva, usando della prudenza contra l'astuzia e della carit contra la malizia di quello. Preg dunque il novizio che si trattenesse alcuni giorni in casa con condizione, che in quel tempo ch'ei vi si fermasse non fosse a veruna regola soggetto, n sottoposto; ma che dormisse, vegghiasse, bevesse, s'affaticasse e si riposasse a suo beneplacito; e cos ordin che si facesse. Accett il novizio il partito; e cominci in quei giorni a menar vita libera ed allegra, parendogli d'esser uscito da quella soggezione e servit di campane e dalla noia e strettezza di regole, con la quale era prima tenuto, stretto e legato; e cos a poco a poco venne ad allargarglisi il cuore, e ritornato in se stesso ad aver a noia s medesimo; e della sua leggierezza e vanit vergognandosi ed arrossendosi, si pent della sua instabilit, e richiese il Padre, che da s nol discacciasse; e cos persever nella Compagnia. Era in Parigi un dottore teologo, del quale desider Ignazio grandemente di far acquisto, e tirarlo al conoscimento ed al perfetto amor di Ges; ed avendo perci presi molti partiti e mezzi, ma tutti indarno e senza alcun profitto, and un giorno a visitarlo a casa insieme con un compagno, il quale mi raccont quello ch'io ora scrivo. Ritrov dunque Ignazio il dottore, il quale stava passando il tempo e giocando al trucco; il quale come vide comparire Ignazio, o per iscusar quello ch'ei faceva, o pure per farlo partire, cominci con molta instanza a richiederlo che giocasse con esso lui; poich Iddio a tempo quivi l'aveva mandato. Ignazio si scus, e disse ch'egli n giocar sapeva, n era venuto ivi per questo; ma pi insistendo il dottore e con istanza maggiore importunandolo e dicendo che per ogni modo voleva che giocasse, gli fece tanta forza che, finalmente Ignazio gli disse: Signore, io giocher con voi e far quello, di che mi richiedete; ma per con una condizione, che giochiamo da dovvero e non per burla: di modo che se voi guadagnerete, io faccia per trenta giorni quello che voi vorrete, e se io vincer, che voi facciate quanto da me per altrettanti giorni vi sar imposto. Piacque il partito al dottore; cominciarono a giocare, ed Ignazio, che mai a giorni di sua vita non aveva preso in mano quelle picciole palle, n a tal giuoco giocato, incominci a giocare, come se in tutta la vita sua altro non avesse fatto, senza lasciar vincersi dal dottore pur d'una sola mano; al quale il compagno d'Ignazio ad ogni tiro diceva: signor Dottore, questi non Ignazio, ma il dito di Dio, il quale opera in lui, per far guadagno di voi per s. Infine il dottore perdette e rest vinto; per lo che a' prieghi d'Ignazio, tralasciando tutti gli altri pensieri, si raccolse per trenta giorni, e fece gli Esercizi spirituali con tanto profitto e mutazione di vita; che grandissima meraviglia arrec a tutti il vederla, ed il saper il modo, che Iddio nostro Signore aveva tenuto per guadagnarlo e tirarlo a quello stato, incominciando per burla e facendo che le burle in verit si convertissero. Quando Ignazio scorgeva alcuno della Compagnia molto zelante, fervente e desideroso di riformar i pubblici mali, che ciaschedun giorno vediamo nel mondo, soleva dire, che quello che l'uomo in simili cose deve fare, pensar attentamente di che cosa Iddio gli dimander conto il giorno del giudizio, e per quel di apparecchiarsi, vivendo di maniera, che con intrepido cuore renderlo possa. Ci domander conto nostro Signore, diceva Ignazio, della nostra vocazione e dello stato nostro, se come buoni Religiosi abbiamo disprezzato il

mondo, se abbiamo avuto fervore di spirito, se siamo stati accesi di carit, amici dell'orazione e della mortificazione; solleciti e diligenti in confessare, predicare ed esercitar gli altri ministeri dell'Istituto nostro: di questo, di questo ci chieder conto Iddio, e non se abbiamo riformato quello, che al carico nostro non s'appartiene; sebbene dobbiamo arder di desiderio dell'onore e della gloria di Dio, e fargli forza, per dir cos, con le nostre continue e calde orazioni; supplicandolo, ch'ei muova con lo spirito suo quelli, i quali hanno da rimediare a questi inconvenienti: e parimente quando occasione si offerir, parlare e sollecitare i governatori delle repubbliche a far l'ufficio loro, e a levare i pubblici scandali, che manifestamente si danno. Venne a Roma dall'Indie Orientali l'anno 1554 il fratello Andrea Fernandez, uomo di molta virt; lo mand il P. Francesco Saverio perch informasse Ignazio delle cose dell'Indie, e gli ponesse avanti l'entrata e la porta che Iddio nostro Signore aveva aperta per la conversione di quella gentilit, e le molte province e regni che si erano scoperti di gente cieca e senza conoscimento del vero Dio, e la disposizione che avevano per ricever la luce dell'Evangelo, se avessero uomini della Compagnia, i quali accesi d'amor divino ed armati con la forza della divina grazia e col disprezzo di loro stessi andassero a farlo loro palese e manifesto con la predicazione. Fece molte volte l'ufficio suo il F. Andrea con molta diligenza; ma Ignazio non gli rispose mai cosa alcuna certa. Preg me Andrea, che io tal negozio col nostro Padre trattassi: io lo feci; e dopo avergli proposte le mie ragioni, si raccolse un poco entro s stesso, e con sembiante grave e lacrimoso in tal modo mi rispose con queste sole parole: io vi dico, Pietro, che non abbiamo manco necessit di buoni operai in queste parti per conservar la fede, che nell'India si abbiano per piantarla di nuovo. Le quali parole quanto veraci siano riuscite, non bisogno ch'io il dica; poich e vediamo e deploriamo la strage grande, che per i peccati nostri in tante e cos famose province della cristianit ha fatto il furore diabolico ed infernale dell'eresia. Nostro Signore per sua misericordia si muova a piet della sua Chiesa, e spenga ed ammorzi con la rugiada celeste e con la forza della grazia sua questo incendio della fornace di Babilonia, il quale vediamo salito in colmo e pervenuto a cotanta altezza. Quindi credo che nasceva il rispetto grande, che aveva Ignazio nel S. Officio della inquisizione, in tutte le cose procurando mantenerne l'autorit, cos necessaria per difesa e conservazione della nostra santa fede cattolica; e per questa cagione di niuna cosa, che se gli offerisse toccante al S. Officio, per leggierissima che fosse e di molta carit, e facilissima da ottenersi dai Sommi Pontefici, mai volle trattarne, ma rimetterla allo stesso tribunale; intercedendo, perch si risolvesse ed ispedisse da lui quello che pi alla gloria di Dio nostro Signore si conveniva. Come lo potrei con particolari esempi dichiarare, i quali per osservare la mia solita brevit, tralascio. Considerando la variet ed importanza de' ministeri dell'Instituto nostro, e le difficolt e i pericoli che vi sono nell'aver a trattare con tante sorti di gente, diceva Ignazio, che quegli, che non era buono pel mondo, non era n anco buono per la Compagnia, e che quegli che aveva talento per viver nel secolo, questi era buono per essa; imperocch resa perfetta con lo spirito della Religione l'industria, l'abilit e altre parti, che simili persone posseggono, possono esser profittevoli ed efficaci per molte cose del servigio divino, siccome l'esperienza ne lo dimostra ed insegna. Diceva ancora, che siccome non vi cosa pi

pestifera nella Religione che la poca unione e concordia fra quei che in essa vivono; cos anco niuna vi o che faccia i Religiosi esser dagli uomini meno stimati e prezzati, che vederli fra o s o divisi in fazioni e parzialit. E che mancando la carit, che vita della Religione, non pu esser virt religiosa ch'abbia vita. Dimand Ignazio alla presenza mia ad un Fratello Coadiutore, che era stato negligente in una certa cosa da lui ordinatagli: Fratello, che cercate mai nella Religione? quale lo scopo ed il fine vostro in essa? quello che fate, per chi lo fate? E quegli rispondendo che lo faceva per Dio nostro Signore; soggiunse Ignazio: per certo se lo fate per amor di Dio, voi avete da fare anco una buona penitenza: il servire al mondo con trascuraggine importa poco, ma servir a Dio con negligenza, cosa che soffrir non si pu; poich lo stesso Signore dice, che maledetto quell'uomo che fa l'opera di Dio negligentemente. Diceva, che vi erano pochi e che per avventura niuno in questa vita, i quali perfettamente intendano quanto dalla parte sua l'uomo disturbi quel molto, che Iddio vuole operar in lui; e quello ch'ei veramente opererebbe, se dal canto nostro distornato ed impedito non fosse. Tra le altre molte e grandi utilit, che seco apporta il comunicarsi spesso, una molto segnalata diceva, che era il non cader in peccato gravi, per la grazia che il santo Sacramento comunica; o pure se l'uomo vinto dalla fragilit vi cade, il rilevarsi presto da esso. Diceva ancora, ch'egli niun conto, n veruna stima faceva entro al suo cuore di tutte le cose del mondo insieme; e che non sarebbono di alcun momento, se in una bilancia si ponessero, e per l'altra parte in un'altra si librassero i favori e benefici che conosceva aver ottenuto da nostro Signore nelle persecuzioni, prigionie e catene, che per suo amore aveva patito; e che non vi ha cosa creata, che possa cagionar nell'anima cos grande allegrezza, che agguagli il giubilo ed il contento ch'ella riceve di aver patito e sofferto per Cristo. Laonde addimandato una volta da un Padre qual era la via pi breve, pi certa e pi sicura per far acquisto della perfezione, rispose, che era il patir molte grandi avversit per amor di Cristo. Chiedete, gli disse, a nostro Signore questa grazia: perch a chi egli la fa, concede anco insieme con questo molte cose che si rinchiudono e comprendono in essa. E pareva bene, che lo stesso P. Ignazio avesse addimandata ed impetrata questa grazia da Dio di esser perseguitato e mal trattato per suo amore: perciocch molte volte ritrovandosi gli altri Padri soli senza Ignazio in gran quiete e bonaccia; subito ch'egli veniva e che con essi loro si congiungeva, grandissime persecuzioni e tempeste in qualunque parte si fossero, si levavano e sorgevano. Il che molte volte fu notato dal P . M. Lainez, ponderando per una pari e la fortezza e la virt d'Ignazio, e per l'altra l'odio, che il Demonio gli portava. ____________________CAPO XI.Della sua Prudenza nelle altre cose.Era la grandezza dell'animo suo accompagnata con una somma prudenza, e la costanza con una grande moderazione e temperamento congiunta. Nelle cose ardue e d'importanza non si ritirava addietro da quello che una volta aveva giudicalo esser bene; e nell'esecuzione di esse era diligente ed efficace, ma per non si dava fretta, n si lasciava guidare da' subiti fervori, n meno si ritardava, come freddo e lento; dall'operare; ma con prudente moderazione maturando tutte le cose, dava loro l'opportunit che richiedevano, n pretermetteva occasione, quando se gli offeriva, n la tirava, come si suol dire, per i capelli. Quindi veniva a dar fine a qual si voglia impresa, per alta o difficile che

fosse, n restava la sua fatica senza profitto. Chi lo vedeva imprender cose sopra le forze sue, giudicava, che non per prudenza umana si governasse; ma che si confidasse nella sola provvidenza divina: in porle per in opera ed in condurle avanti usava tutti i mezzi possibili per finirle; ma faceva questo con tale circospezione, che la speranza di condurlo a fine, non la riponeva nei mezzi umani, che pigliava, come per istrumenti della provvidenza soave di Dio nostro Signore, ma in Dio solo, il quale autore e facitore di ogni bene. E con questo, succedesse la cosa comunque si volesse, restava con tranquillissima pace e con somma allegrezza e conforto spirituale. Ordinava molte cose, che per esser occulte le cagioni che lo movevano, pareva ad alcuni che fossero straordinarie, o almeno meravigliose; e che essi eseguir non le potessero: ma il successo di esse dimostrava con quanto spirito e prudenza si governasse; poich aveva applicata la medicina prima che fosse apparsa l'infermit, e aveva prevenuto e rimediato al danno, che avrebbe potuto seguire, con la provvidenza sua. Questa sovrana prudenza, che aveva Ignazio in tutte le cose, nasceva in lui dalla luce e dallo splendore, che abbondantemente gli veniva dal cielo, con cui era l'anima sua illuminata. Laonde pareva, che non solamente vedesse le cose presenti , ma che anco nostro Signore gli desse a conoscer le future, e che gli palesasse e scoprisse il felice, successo, che doveva avere la Compagnia, e il frutto tanto saporoso e abbondante, che s'aveva da raccogliere dall'albero, ch'egli col favor dello stesso Dio piantava e irrigava, come da quello che quivi dir, facilmente si pu congetturare. Quando l'anno 1540 disse Ignazio a Don Pietro Mascarena, ambasciadore del re di Portogallo, quello che abbiamo raccontato di sopra; cio: se di dieci Padri che siamo, sei ne vanno nell'India, che rester pel rimanente del mondo? parve che sapesse, che, quella piccola semenza s'aveva da spargere per tutta la rotondit della terra. E l'anno 1549 mi disse ad un certo proposito queste parole: Pietro, se vivremo dieci anni, vedremo grandi cose nella Compagnia: se voi vivrete, lo vedrete, che io non penso di aver a viver tanto. E cos fu, perch egli non visse dieci anni, ma sette solamente e non intieri; e in questo spazio ch'egli assegn, meraviglioso fu il progresso, l'aumento e il frutto che fece la Compagnia. Parimente l'anno 1555 cercandosi un sito per fabbricar il Collegio romano, dicendogli, ritrovandomivi presente, un gentiluomo suo amico, che si prendesse un'isola di case, che erano congiunte alla casa professa; rispose, che tutto quel sito era di mestieri per la casa, e che prima ne sarebbono mancati due passi, che ve ne fosse avanzato un piede. E non da meravigliarsi che Iddio nostro Signore gli avesse rivelato quello che aveva da succedere alla Religione ch'ei fondava; poich vediamo che molto altre cose ancora, che avevano a venire, scoperse e predisse. L'anno 1541 essendo un novizio nostro, che oggid vive, chiamato Stefano Baroelo, di nazione italiano, abbandonato dai medici, disse, il nostro Padre Messa per lui in S. Pietro in Montorio, e finita la Messa mi disse: Stefano questa volta non morir. E lanno 1555 essendo io ricaduto due volte in una pericolosa infermit, mi disse, che sarei recidivato la terza. E l'anno 1555 mandando in Ispagna i Padri Girolamo Natale e Luigi Gonzalez nel mezzo e pi algente freddo del verno, disse loro, che s'imbarcassero subito a Genova; perch senza dubbio avrebbono avuta una sicura e prospera navigazione; e predisse parimente, che il P. M. Lainez gli sarebbe succeduto nel carico di Preposito Generale, e molte altre cose a

queste somiglianti molto prima che avvenissero, le quali si adempirono tutte appunto come egli le disse. Non potendo egli abbracciare tutte insieme lopere di misericordia, che toccano all'utilit del prossimo, attendeva a quello che maggiormente importava, anteponendo sempre le cose pubbliche e universali alle particolari, e le perpetue alle poco durabili, e le pi sicure e certe alle incerte e perigliose; e non riguardava tanto che fossero grandi e importanti le operazioni che imprender voleva, quanto la speranza e probabilit che aveva di finirle e di perfezionarle. In queste opere di piet e di misericordia poneva molto volentieri ogni sua cura e fatica, fino al metterle in ordine e distribuirle con regole e leggi; e quando di gi incamminate le aveva dando il carico di esse ad altri, a poco a poco se ne sottraeva, e altre ne incominciava: e diceva, che i nostri non avevano questi limiti a trasgredire; n impedirsi con l'ordinaria amministrazione di opere simili; s per essere pi disoccupati per le cose spirituali, s anco perch ordinariamente sogliono essere rette e governate da Congregazioni e Compagnie, alle quali, per aver molti capi, con difficolt si pu a pieno soddisfare. Stimava opera utilissima e propria della Compagnia trattare e conversar famigliarmente coi prossimi: ma diceva, che quanto maggiore il frutto, se si conversa bene, tanto maggiore il pericolo se non si fa come dovrebbe farsi. Perch siccome un accorto ragionamento ed una modesta conversazione di un uomo spirituale e prudente trae gli uomini a Dio, e gli invita e alletta ad ogni bene; cos il favellare di un uomo precipitoso e inconsiderato, li suole intiepidire e ritardare; di maniera che dove si pretendeva il frutto della carit, non se ne cava se non danno e poca edificazione. Per giudicava, che per conversar bene co' prossimi, fossero necessari molti prudenti avvisi, i quali pi con lesempio, che con le parole insegnava. Il raccontarli tutti lunga cosa sarebbe, ma il dirne alcuni qui per beneficio de' nostri, utile e profittevole sar. Primieramente diceva, che quegli che desidera di essere di utilit agli altri, deve prima attendere a s stesso, e ardere nel fuoco della carit, se vuole accendere gli altri: non ha d'aver paura del vano timor del mondo: deve fuggire come peste l'ambizione, e discacciare da s tutte le morbidezze e delizie della carne, e cancellare dal suo cuore tutti i moti sensuali e viziosi; acciocch sbarbate tutte le radici delle passioni sue, possa ricever meglio nell'anima le divine influenze, e comunicarle altrui. Sebbene ammoniva, che si avessero da fuggire tutti i vizi, diceva per che si aveva da porre maggior cura e diligenza in superar quelli, a' quali l'uomo di sua natura si vede pi inclinato: perch questi son quelli, che minacciano pi certe e miserabili rovine, se con avvertenza e studio loro non si provvede. Consigliava quelli che erano di complessione collerica e veemente a star sopra di s stessi e che si armassero e s medesimi consideratamente prevenissero; specialmente se a trattar avevano con uomini iracondi altres e collerici: perch facilmente si viene in rotta e vi nascono de' disgusti, se con questo apparecchio l'uomo non si prepara e non fa forza a s stesso ed alla sua fervida natura. N solamente diceva, ch'era bene usar questo raccoglimento per raffrenar la natura impetuosa e veemente, ma per soggiogar anco tutti gli altri vizi ed inclinazioni naturali: imperocch il concentrarsi del continuo entro s stesso ed il conto ordinario ed ansioso che luomo tiene di s medesimo, guardando e pensando molto bene quello ch'egli ha da fare e da dire, e quello che gli pu intervenire o succedere, suol

esser un freno, che ritiene stretta e prigioniera la nostra natura ribelle e le viziose passioni, che da essa nascono o provengono. E se alcuno ritrovasse compagno tale ed amico s fedele, con cui convenientemente i suoi proprii difetti comunicare potesse, e dovesse esserne avvisato; e che l'un l'altro de' suoi avvertisse; questo grandissimo profitto ed utilit arrecherebbe. Chi si ritrover dunque con questa disposizione nella maniera che, abbiamo detto, questi, diceva Ignazio, potr entrare in campo per trattare e per aiutare i prossimi: ma colui, che prende questo ufficio, deve pensare, che non ha da conversar con uomini perfetti; ma con gente non santa, e molte volte ingiusta ed ingannevole; e, come dice l'Apostolo, in mezzo di una cattiva e perversa nazione. Laonde deve mettersi in punto ed armarsi contra tutti gli incontri ed assalti, che per ci gli possono occorrere: di maniera che, per grandi peccati e scelleraggini che vegga, non si turbi, n si scandalizzi, n per grande sciocchezza, o malizia degli uomini lasci di aver insieme con la prudenza sempre la semplicit di colomba e con questa semplicit la prudenza della serpe congiunta. Diceva, che noi altri dobbiamo usare per la salute delle anime delle stesse arti ed astuzie, che usa il demonio pel nostro perdimento. Perch s come l'inimico infernale prima attentamente mira e va scrutinando la natura di ciascuno e tentando molto bene l'inclinazione d'ognuno in particolare; e dipoi gli propone quell'oggetto quasi esca all'amo, che ad essa natura pi con forme e confacevole, offerendo agli ambiziosi onori, ricchezze agli avari, ai carnali piaceri e diletti, ed a' devoti cose che hanno apparenza e sembianza di devozione; e non entra ad un tratto ed impetuoso, ma a poco a poco con pi di piombo; fin che guadagna e fa acquisto della volont, e finalmente poi si slancia del tutto nell'anime, prendendo intieramente il possesso di esse: cos il savio maestro spirituale deve egli parimente portarsi, conformandosi con la natura ed inclinazione delle persone, con le quali tratta; e nel principio dissimulare o trapassar molte cose e infingendo di non vederle; e dopo aversi resa amica e fatta sua la volont di coloro, co' quali conversa, far guerra con le stesse armi loro, e conquistarli a Dio. E questo usava Ignazio con una prudenza pi divina che umana; peroch fin dalla prima volta ch'egli parlava con uno, pareva, che gli spiasse fin a dentro i pensieri, e che gli leggesse quello che teneva scolpito nel cuore, e faceva anatomia delle inclinazioni e dei talenti che colui possedeva cos perfettamente, come se avesse trattato seco e conosciutolo per tutto il tempo di sua vita. Diceva, che si aveva da fuggire la familiarit di tutte le donne, e non meno, di quelle che sono spirituali, o che tali vogliono parere; ma principalmente di quelle che sono pi pericolose, o per l'et, o per lo stato, in cui si ritrovano, o per la loro naturale condizione. Perch con queste conversazioni, vogliono gli uomini, o abbruciarsi, o incendersi; e se non ne esce fiamma, almeno fumo ne esala: poich vero quello, che dice lo spirito Santo, che dalle vestimenta procede e nasce la tignola; e la malvagit dell'uomo proviene dall'occasione prestatagli dalla donna. Diceva, che gli uomini avevano ad esser pi liberali nei fatti che nelle parole; e che dovevano procurar di compire e dar perfezione oggi a quello, che per la mattina seguente promesso avevano. Diceva ancora, che si ha da esser molto cauto ed avvertito in tutto quello che l'uomo parla, e maggiormente quando tratta di far paci, di riconciliar uno con altro, in definire e terminar controversie, ed in trattar le cose di Dio; s che n anco una sola parola

inconsideratamente gli esca di bocca; ma che in tutto quello che parliamo, facciamo conto che quello, che diciamo ad una persona, ha da pervenire alle orecchie di molti, e che quello che trattiamo in secreto si ha da bandire per le pubbliche piazze: perch con questo presupposto saranno le parole misurate e pesate con la stadera della prudenza cristiana. Diceva parimente, che i predicatori e tutti quelli che hanno per ufficio, l'insegnare al popolo, hanno da meditar molto bene, e scrivere prima con molta cura quello che hanno da dire, n veruna cosa affermare temerariamente, n ambire i pulpiti, e portare in essi cose nuove e dubbiose: e che nelle predicazioni e nei sermoni si ha da riprender pi con modestia i vizi, che andar dietro alle cose che dilettino gli ascoltatori e che apportino applauso. Quando egli predicava, indirizzava tutti i suoi sermoni a questo fine, cio a far detestare la bruttezza de' peccati, ed amare per lo contrario e lodare la bellezza ed il frutto delle virt; e lo scopo, a cui miravano tutti i suoi colpi e tiri, era, che i peccatori si compungessero e convertissero a Dio, e tutti conoscessero ed aggradissero l'eccessivo ed infinito amore, che sua divina Maest ne porta. Diceva ancora, che se alcuno ci richiede di cosa, che non istia bene a noi il concederla, o che sia con tra il decoro della persona richiesta; non per questo abbiamo ad adirarci contra colui che ne l'addimanda; ma negargliela con s bel modo e con s dolci parole, che resti soddisfatto del nostro buon volere, e si parta da noi, se possibile, cos amico ed affezionato nostro, come quando ci venne a ricercare. L'ufficio del buon Religioso diceva, essere il persuadere gli uomini a non servir le corti, ma, Cristo. E cos quando alcuna persona secolare lo pregava ad intercedere per lui presso a qualche principe, o che lo favorisse per poter entrare nel numero de' suoi cortigiani, gli rispondeva queste parole: Io, fratello, non conosco alcun signore n, maggiore n miglior di quello, ch'io per me stesso elessi di servire; a questo se servire volete ed esser della sua famiglia, molto volentieri mi adoprer e vi aiuter con tutte le forze mie. Con tutto che fosse molto liberale in dar l'elemosina ai poveri, che glie la dimandavano, di quella poca povert che era in casa, non voleva per che ad uomo alcuno che apostata fosse e che avesse lasciata ed abbandonata la Religione, se gli desse pure un quattrino, se gi non fosse stato perch si fosse ritornato all'abito che prima s'era spogliato: perch diceva, che bisognava opporsi e resistere agli sforzi ed intenti di Satana e di sfavorirli e non aiutarli. E si affaticava volentieri e godeva che i suoi travagliassero e durassero fatica in ridurre sotto la bandiera e lo stendardo di Cristo questi soldati fuggitivi. Se veniva a ritrovarlo qualche uomo ozioso, con cui molto tempo infruttuosamente avesse a spendere, dopo averlo raccolto una volta o due con allegro sembiante, se continuava le visite senzalcuna utilit, cominciava Ignazio a parlargli di morte, o del giudizio, o dell'inferno: perch diceva, che se a colui non fosse piaciuto di udir simili ragionamenti, si sarebbe stancato n sarebbe ritornato pi; ma che se gustava di essi, ne avrebbe cavato qualche frutto spirituale per l'anima sua. Diceva, che luomo che ha negozi, non deve accommodar i negozi a s stesso, ma s stesso ai negozi; dandone a divedere, che colui non negozier bene, il quale va ricercando i tempi e le circostanze di essi, e li misura con la propria sua comodit, e non con quello che ricercano le cose che tratta. E finalmente diceva, che il discreto pescatore di uomini e ministro di Cristo, che ha gettata la rete sua per tirar anime a Dio, deve conformarsi, e attemperarsi con tutti di tal maniera, che, in quanto

lo permette la divina legge, si faccia tutto con tutti, n pensi di vivere a s stesso, ma ai suoi fratelli per Cristo. Per quegli che tratta l'acquisto delle anime, deve aver gran cuore, e sentir molta pace ed allegrezza dentro l'anima sua, qualunque cosa gli succeda, avendo dal canto suo operaio quello, che in obbligo di fare per aiutare le anime de' prossimi; n deve perdersi d'animo ed ismanirsi, tuttoch l'infermo ch'egli medica, se ne resti coi soliti dolori dell'infermit, o pure ricusi la medicina: prendendo l'esempio dagli Angeli, che stanno alla custodia nostra, i quali avvisano ed avvertiscono quelli, dei quali dalla mano di Dio vien loro data la cura; li difendono, reggono, illuminano, muovono ed invitano al bene: ma se essi usano male del loro libero arbitrio, e se si rendono ribelli ed ostinati; non per questo si dolgono o contristano gli Angeli, n per ci ricevono pena, n perdono pure un minimo punto della loro beatitudine che possiedono, godendo Iddio; anzi dicono: Abbiamo curato Babilonia e non si risanata, lasciamola, poich da noi non mancato. Questi ed altri somiglianti erano i documenti, che dava Ignazio a' suoi figliuoli quando li mandava alla messe spirituale ed al prezioso e ricco guadagno dell'anime. Ma per molto pi efficacemente con le operazioni che con le parole li informava: perch, come si legge di S. Gregorio Nazianzeno, non ordinava mai cosa alcuna a' suoi discepoli, ch'egli prima non la effettuasse. E quantunque fosse di eccellente prudenza dotato, con tutto questo soleva dire Ignazio, che quelli che vogliono essere troppo prudenti e troppo savi ne' negozi di Dio, poche volte riescono a cose grandi ed eroiche. Perch colui non si applicher a cose ardue e sublimi che guardando per minuto a tutte le difficolt, teme angosciosamente tutti i dubbiosi successi che accadere possono. Laonde dice il Savio: Poni misura e modo alla tua prudenza. E certo convenevole cosa non che manchi la moderazione e misura a quella virt che modera, regge e misura tutte l'altre. ___________________CAPO XII.Della vigilanza e sollecitudine sua.Meravigliosa fu la sollecitudine e vigilanza di lui per dar fine a quelle cose, ch'egli incominciava a fare. Imperoch non solo prudentemente ricercava que' mezzi che potevano aiutarlo per l'esecuzione di esse, ma dopo averli ritrovati, di loro con grande efficacia si serviva. Non tralasciava n frammetteva mai quello, a che una volta aveva dato principio, fin che non lo riduceva alla sua perfezione; n sonnacchiosi e spensierati lasciava esser coloro i quali eleggeva perch lo aiutassero, quando alcuna cosa loro imponeva, acciocch fossero istromenti nei negozi ch'egli imprendeva; anzi faceva che fossero sempre dall'esempio suo svegliati e diligenti. Andando una volta per parlare ad un cardinale, e non trovando agio e comodit per entrare da lui, stette quattordici ore aspettando senza aver mangiato pur un boccone, per non perdere l'occasione di far quello ch'ei trattava. Verissima cosa , che in trentaquattro e pi anni per cattivo tempo, aspro e piovoso che fosse, non prolung mai ad altro giorno, ovvero ad altr'ora di quella che prefisso aveva, quello che una volta aveva determinato di fare per maggior gloria di Dio nostro Signore. ___________________CAPO XIII.Come Ignazio fu illustrato da Dio con doni e grazie soprannaturaliCon l'esercizio di queste virt si rese Ignazio molto caro a Dio; il quale non poi meraviglia se si compiacesse d'illustrarlo in vita e dopo morte con doni e grazie sopra l'ordine della natura. Molte di queste cose straordinarie si sono gi raccontate nel decorso di questa istoria; e alcune altre si racconteranno qui in fine. E

primieramente fu egli pi volte veduto con la faccia luminosa e intorniata di splendidissimi raggi. Cos testific averlo veduto Isabella Roselli, mentre Ignazio nella chiesa di Barcellona ammaestrava nella dottrina cristiana una turba di fanciulletti: cos Giovanni Pasquali figliuolo di Agnese, nella cui casa lungo tempo alberg Ignazio: e cos pure deposero nei processi molti cittadini di Aspeizia, affermando di averlo veduto coi propri occhi circondato di vivissima luce mentre serviva agl'infermi nello spedale. In Roma poi abbiamo l'autorevolissima testimonianza di S. Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell'Oratorio: Fu egli famigliarissimo d'Ignazio; e spesso soleva recarsi da lui per prendere consiglio nelle cose dubbie, o per intrattenersi in soavi ragionamenti di Dio. Soleva dire ancora, che trovandosi angustiato di animo, subito si rasserenava mirando in faccia Ignazio, che spesso gli appariva raggiante di superna e giocondissima luce 57, del quale suo eletto non sono poche le deposizioni che leggonsi nei processi fatti a Roma, e che si potrebbero qui recare: ma per non andare troppo a lungo, baster riferire solamente ci, che in autentica forma lasci scritto il Cardinale Francesco Maria Tarugi, stato intimo famigliare, compagno e discepolo di S. Filippo: e varr anche a confermare o stabilire la grande opinione di santit, in che era Ignazio presso tutti. Francesco Maria Tarugi, del titolo di S. Bartolomeo all'Isola, della S. Romana Chiesa Prete Cardinale e per apostolica dispensazione Arcivescovo di Siena, a tutti e singoli che leggeranno queste nostre lettere, salute nel Signore. Il Beato uomo Ignazio di Loiola, fondatore della Compagnia di Ges, non pu avere della sua gloria testimonio pi sicuro di quello, che Iddio stesso evidentemente dimostra per mezzo dei seguaci dell'Istituto di lui, che sono veri lumi di questo secolo, e uomini forniti di ogni genere di virt e perfezione. Come mai potrebbero essi fare cos grandi cose nel propagare a fronte di tanti contrasti la fede cattolica, nel convertire gli eretici, e nel riformare con istupore di tutti e in ogni luogo i cristiani costumi, se Ignazio gi glorioso in cielo non assistesse ai suoi soldati, e levando in alto il vessillo dell'eterno Re, non somministrasse ad essi animo, forza, armi ed aiuti? Noi certamente, a cui per singolare beneficio di Dio fu dato di conoscere quest'uomo, mentre era tuttavia vivente in terra e di essere presenti nella sua camera e accompagnarne con orazioni l'anima, mentre scioglievasi dai lacci corporei per volarsene, come crediamo di certo, al cielo, abbiamo sempre avuto tal venerazione al suo nome e all'eminente sua santit, e tante cose abbiamo udito raccontarci di lui da persone dabbene, che giudichiamo non potersi nel tenore della vita irreprensibile desiderare di meglio, avendo lasciato esempi di vera perfezione a tutti propri di un esimio servo del Signore. Chi poi potr conoscere a pieno gli atti delle virt che la grazia dello spirito Santo suole eccitare nelle anime, che esso informa? Dir, che sieno stati senza numero; e che fin nell'esteriore sembiante si manifestarono. Un sacerdote della nostra Congregazione, chiamato Antonio Gallonio, infimo famigliare e conoscitore di tutti i segreti del Beato nostro Padre Filippo Neri, della cui fede e integrit non possiamo dubitare, ci ha assicurato, che il medesimo P. Filippo disse pi volte di aver veduto la faccia del Beato Ignazio, ancor vivente in terra, coronata di fulgidissimi raggi. Le quali cose noi abbiamo voluto affermare e testificare intorno alla santit del P. Ignazio con queste nostre lettere, sottoscritte di nostra mano e di quella del nostro segretario e munite nel

nostro sigillo. In Roma l'ultimo di Agosto 1600. Io Francesco Maria Cardinale e Arcivescovo di Siena di nuovo affermo 58. Memorabile pur quello, che avvenne in tal proposito ad Alessandro Petronio, celebre medico romano, e assai devoto del santo nostro Padre. Essendo caduto malato Ignazio il venne a visitare; ed entrato nella camera, ch'era tutta al buio, e trovato l'infermo che dormiva, cheto se ne torn addietro. In questo risentitosi il Petronio, vide tutta la camera ripiena di luce; e chiamata ad alta voce la moglie sua, la interrog con ansia grandissima, onde venisse quello splendore si inusitato? Ella rispose schietamente, le finestre essere chiuse, e solo Ignazio esserci entrato. In quel punto medesimo l'infermo guar; e poco tempo appresso, morto gi il santo Padre, raccont la prodigiosa visione e guarigione al P. Olivier Manareo, e deposela con giuramento nei processi 59. Altre volte fu veduto Ignazio rapito in estasi e col corpo sospeso in aria, massimamente quando faceva orazione. Abbiamo tra le altre la testimonianza di Giovanni Pasquali, il quale afferma d'averlo colto assai spesso in Barcellona nel colmo della notte prostrato in orazione e sollevato da terra tre o quattro palmi, mentre molte di lacrime e con interrotti sospiri andava ripetendo queste parole: oh mio Dio! mio Signore! oh se gli uomini vi conoscessero! 60 Dimorando S. Ignazio in Roma apparve nel medesimo tempo in Colonia al P. Leonardo Kesselio. Era questi di nazione fiammingo, antico e santo uomo, che dopo aver fondato il collegio di Colonia, lungamente il govern con somma lode e fama di santit. Or accesosi in desiderio di vedere il Santo Padre e di parlargli, scrisse una lettera chiedendo in conto di grazia la facolt di venire il Roma e fare a piedi quelle sopra trecento leghe, che corrono da Colonia fin qui. Rispose Ignazio, che l'altrui utilit richiedeva la sua dimora in Colonia; perci non si movesse di quivi; ch forse Iddio per altra via pi agevole e spedita il contenterebbe. Stando adunque Leonardo in Colonia, un d tutto improvviso gli apparve presente il santo suo Padre, e con esso lui dimor in lungo ragionamento. Disparendo poi, lasci il caro vecchio ripieno dinestimabile allegrezza e tutto consolato per vedere la sua brama compiuta in un modo cos meraviglioso 61. Questo fatto raccont pi volte il P. Francesco Costero, che l'ud dal Kesselio medesimo: e si ha da una lettera originale del P. Giovanni Borgia, una cui particella voglio qui riferire, trasportata dalla latina nella nostra volgare favella. L'anno 1578, dice egli, sul finir del novembre, venne da Erbipoli in Magonza, dove io era convalescente, il P. Francesco Costero Provinciale, e con noi rimase sino alla fine di quell'anno. Or questi nel tempo della ricreazione prese a contare molti belli fatti avvenuti nei principii della Compagnia; e ci con molta consolazione mia e degli altri Padri. Disse, che l'anno 1552 o in quel torno desiderando egli ardentemente di vedere il B. P. Ignazio, dimand licenza al P. Leonardo Kesselio di andare a Roma, e l'ottenne, e vi and insieme col P. Rezio. Aggiunse ancora, che il medesimo P. Leonardo supplic per lettera il B. Padre di poter anch'egli andare a Roma per aver la consolazione di vederlo una volta in vita; e avutone in risposta che non si movesse da Colonia, perch ivi l'avrebbe veduto, ebbe di fatto il suo intento, apparsogli visibilmente il B. P. Ignazio. Di pi, l'anno 1586, se male non mi appongo, essendo il P. Costero Provinciale di Fiandra, raccont di nuovo il medesimo fatto ai novizi, e qui vi pure io mi trovai presente. Cos egli 62. Era gi morto da parecchi anni Ignazio, quando si diede a vedere a Giovanni Pasquali. Soleva

questi assistere ogni mattina assai per tempo alla prima Messa, che celebravasi nella cappella sotterranea di S. Eulalia in Barcellona. Quivi gli apparve Ignazio in mezzo a una beata comitiva; e mentre Giovanni tutto compreso da un impeto di allegrezza se gli accosta per abbracciarlo, il Santo amorevolmente il benedisse e svan 63. Non fu meno illustre per ispirito di profezia, predicendo molle cose innanzi che avvenissero. Stando in Anversa con alcuni mercatanti spagnuoli, ai quali soleva ricorrere da Parigi, come si detto, per averne limosina da sostentarsi ne' suoi studi, vide un giovinetto di Medina del Campo, per nome Pietro Quadrato, e fattolo venire a s, vogliamo, disse, fare amicizia insieme, poich voi sarete un tempo insigne benefattore della Compagnia e a lei fonderete un collegio. La predizione si avver indi a molti anni; poich Pietro con la sua moglie Francesca Mangion diedero poi, come si disse a suo luogo, gran parte delle loro sostanze per la fondazione del collegio di Medina loro patria 64. Il dottor Michele Arrovira barcellonese, uomo onorato e nobile, che fu agente della sua patria presso il Re di Spagna Filippo Secondo, essendo ancor giovane e in gran maniera dubbioso intorno allo stato di vita da eleggere, alla fine deliber di appigliarsi al matrimonio. La qual sua intenzione volendo per vaghezza di segreto nascondere ad Ignazio, con cui aveva famigliarit, questi inaspettatamente gli disse: voi siete in pensiero di togliere moglie: ma oh i dolorosi pianti che voi ne farete! oh i fieri travagli che incontrerete! E cos fu veramente, come poi l'Arrovira depose con giuramento in processo. Questi pure mentre dimorava in Roma, nel venire da Araceli si fece incontro ad Ignazio con una lettera di D. Francesco Borgia duca di Gandia, che allora in ufficio di vicer governava la Catalogna. Sopra la quale lettera ragionando insieme, gli disse il Santo: sappiate, che quegli che vi ha mandato questa lettera, verr un d a Roma a governare la Compagnia. E pure aveva ancora allora il Duca Francesco e moglie e figliuoli, n poteva ancor deliberare di mutare stato e molto meno di entrar nella Compagnia. Un'altra segnalata predizione d'Ignazio raccontasi nella vita del venerabile servo di Dio Giuseppe Maria Pignatelli. Andava questi in pellegrinaggio con altri due novizi suoi compagni da Tarragona il Manresa: ed erano gi in sull'entrare nella citt, quando un povero contadino, che con la marra in ispalla tornava da un suo poderetto, ravvisatili alla veste per giovani della Compagnia, tutto festoso o allegro si fece loro davanti, pregandoli a voler quella notte ricoverarsi in sua casa: non poter loro proferire agiatezza, n lauta mensa, ma quel poco vitto, ch'era apparecchiato per s e per la povera sua famigliola, partirebbelo ancora tra essi assai di buon grado. Gradirono i nostri laffetto, e gliene fecero cordiali ringraziamenti; ma quanto allaccettare l'invito, si scusarono di non potere. Tanto pi pressavali l'altro e accalorava le sue ragioni; e alla fine vedutili fermi in sul rifiuto, con libert contadinesca; e che, disse, vorrete voi fare i ritrosi, quando il vostro S. P. Ignazio non lo faceva? egli pur venne a casa mia: e voi non ci vorrete venire? e senza andar oltre in parole, menolli seco. Postisi a sedere, cont loro, che per antica memoria dei suoi antenati, tramandata di mano in mano sino a lui, sapeva certo che S. Ignazio in quell'anno che dimor in Manresa tutto in fervore di spirito e in rigore di penitenza, pi volte si era recato in questa sua casa. Ma memorabile per tutta la famiglia fu un giorno, in cui il Santo fattosi all'uscio in cerca di limosina e avutala, nell'atto di ringraziare e partirsi, disse con aria e voce da profeta: guardatevi

dall'amore di arricchire; contentatevi di quello che avete e tutto ander bene. E l'evento, saggiunse il buon uomo, in s lungo corso di anni ha dimostrato vera la predizione. Sono sorte guerre rabbiose e diuturne, che hanno messo a soqquadro ogni cosa qui in Manresa e nei dintorni; ruberie, saccheggi devastamenti di campagne, per cui molti perdettero ogni avere, ed ora vanno mendicando per vivere. Con tutto ci fra tanti trambusti o sconvolgimenti il nostro piccolo podere non fu mai tocco, n noi mai molestati o gravati in nulla. Vero , che a pi d'uno venne talento di crescere fortuna, e comperare qualche altro pezzo di terreno e qualche campicello d'attorno al nostro; ma vi si oppose sempre il capo di casa ricordando la promessa d'Ignazio. Cos, la Dio merc e del suo servo, che dal cielo apertamente ci protegge, siamo vivuti fin qui e tuttavia viviamo in buona pace, se non agiati dei beni del mondo, almeno provveduti di quanto ci basta per il necessario e decente sostentamento. Di questa profezia poi abbiamo un preziosissimo pegno e memoria, che io vo' mostrarvi. E in cos dire levossi e part; e poco appresso torn con in mano una fascia tessuta di certe erbe stranamente aspre o pungenti; e questa, disse, usava S. Ignazio cingersi attorno alla vita in acconcio di trafiggersi con essa le carni. Tiensi tra noi gelosamente guardata, ed io solo, come capo di famiglia, so il nascondiglio ove ella riposta. Alla mia morte sotto altissimo secreto paleserollo al primogenito o non ad altri; ch cos usarono di fare i nostri maggiori, forte tementi, che per troppa divozione di tal uno venisse a sapersi di fuori, e ci fosse involato questo tesoro, ch' la pi ricca eredit, che nella nostra famiglia scada da padre in figliuolo. Cos egli; e i nostri novizzi baciarono riverentemente quella sacra reliquia; e con molto fervore o gaudio spirituale s'intrattennero in quella divota casa, cui avrebbero preferita ai pi ricchi e sontuosi palagi dei grandi 65. E basti il fin qui detto intorno alle profezie d'Ignazio; peroch s di queste, come delle apparizioni e visioni di personaggi celesti, chegli ebbe assai frequenti, gi si scritto in altri luoghi di questa istoria. __________________CAPO XIV.Dei numerosi miracoli che Dio oper per l'intercessione d'Ignazio; e della sua beatificazione e canonizzazione. Nell'ultimo Capo
di questa Vita il P. Ribadeneira finisce con una lunga sua dissertazione, nella quale, senza parlar di miracoli operati da Dio ad intercessio

e del suo servo, vuol dimostrare, che le cose meravigliose da lui narrate e i principii e i progressi della Compagnia e il frutto che n' seguito, sono opere tali, che bastano senz'altro a far conoscere la gran perfezione e santit d'Ignazio. Se non che avendo poi alcuni preso quinci occasione di scrivere, che Dio non avesse dopo morte glorificato il Santo con grazie e segni prodigiosi, nell'ultima vita che il medesimo autore pubblic in compendio, lasciando da parte quel Capo, quantunque, dice egli, mi fossero ben noti alcuni miracoli operati da Ignazio fin dal 1572, in cui scriveva in latino la prima Vita, tuttavia, non essendo ancora del tutto certi e comprovati, non istimai doversi allora divulgare nel pubblico. Fattesi poi le giuridiche inquisizioni per la beatificazione, furono tutti quei prodigi deposti da gravi e autorevoli testimoni. Quindi compiacendosi Iddio di esaltare ogni d pi in terra il suo servo con ispessi miracoli, giudico essere mio debito riferirne qui alcuni pochi, cavati dai pubblici processi fatti dai Vescovi, e confermati con giuramento da quelli che ne furono soggetto e parte, e da altri testimoni degnissimi di fede. Fin qui egli; e prosiegue a contare mi gran numero di prodigiosi avvenimenti, che non nostra intenzione di voler qui riferire, potendo, chi vago di leggerli, ricorrere facilmente al Bartoli o al Mariani, che li hanno raccolti insieme con molti altri avvenimenti nei tempi a noi pi vicini. Cento ne conta il Bartoli dei pi provati; e parecchie altre centinaia ne aggiungono i Bollandisti, distribuendoli per ragione di tempi e di luoghi diversi. Nel medesimo anno 1556, in cui pass di questa vita Ignazio, stante l'opinione della sua santit e la fama dei prodigi accaduti nelle esequie, si cominciarono a provvedere in Roma giuridiche informazioni con intendimento di promuoverlo all'onore degli altari. Vennero poi al Sommo Pontefice caldissime raccomandazioni e lettere di Filippo Secondo Re di Spagna, dell'Imperatore Rodolfo, di Arrigo Quarto re di Francia, di Sigismondo re di Polonia e di molti gran Principi di Austria, di Baviera o delle Chiese di Castiglia, d'Aragona, di Valenza e di Navarra. Il Patriarca Camillo Gaetani Nunzio apostolico nella corte di Spagna form autentici processi in Toledo, in Aspeizia, in Manresa, chiamando ad esame molti testimoni, che avevano conosciuto di vista il servo di Dio e trattato famigliarmente con lui: e mandati a Roma questi atti, ne fu fatto un sunto e presentato al Sommo Pontefice Clemente VIII e alla S. Congregazione dei Riti per ottenere le lettere remissoriali e le facolt opportune per compilare altri processi apostolici. Intanto l'anno

1599 a d 31 di luglio, anniversario della morte di Ignazio, venne alla chiosa nostra del Ges il Cardinale Cesare Baronio con esso il Cardinale Roberto Bellarmino, il quale per accendere i nostri a' devozione fece un privato ragionamento sulle virt del comune padre. Compiuto il sermone, i due Cardinali orarono ginocchioni innanzi al sepolcro, e riverentemente il baciarono. Indi rizzandosi il Baronio o rivolto ai Padri, che gli facevano corona, disse: meravigliarsi molto come lasciassero il sepolcro del P. Ignazio senza niun di quegli ornamenti, che si convenivano alla santit di lui. E informatosi dove fossero i voti offerti dai devoti, and a pigliarli e apposeli intorno all'arca. Appresso fatta venire un'effigie da lui veduta prima nella sala; cos come era col rocchetto e con la mozzetta, sal il venerando vecchio per una scala, a mano l e colloc sull'altare il quadro, che poi vener ginocchioni. E questo fu, si pu dire, il primo pubblico culto che in Roma avesse il santo Padre Ignazio. Indi a pochi giorni il Baronio rifer al Papa e alla Congregazione de' Riti ci che avea fatto, con esso lo ragioni che aveva avuto di rado, e cos furono incontanente spedito lo lettere remissoriali, e dato ordine per la sollecita promozione della causa. Furono dunque fatti nuovi processi apostolici in molte citt della Spagna e dell'Italia, e in essi citati a deporre sulle virt e sui miracoli nulla meno di seicentosettantacinque testimoni: e soprattutto nella Spagna ebbe particolare incarico e sopraintendenza nella formazione di questi atti il P. Pietro Ribadeneira, che non risparmi diligenza n fatica alcuna che giovasse alla glorificazione del tanto suo caro Padre Ignazio. Venuti a Roma i numerosi processi e approvatane la validit, il Pontefice Paolo Quinto, mosso dalle

suppliche di tutta la Compagnia, sotto il d 27 di Luglio 1609, concedette ad Ignazio il titolo di Beato, e il potersene in Roma celebrare nel d annovale della sua morte la messa e l'uffizio, che poi con un suo Breve dei 3 di dicembre del medesimo anno estese a tutte le altre nostre chiese sparse per ogni parte della terra. Per il quale accrescimento di culto furono solennissime le feste che si fecero da per tutto, e fin nelle Americhe, nelle Indie, nella Cina e nel Giappone, concorrendo tutti i popoli e tutte le nazioni ad onorare un uomo s benemerito della Chiesa. Splendida sopra ogni credere riusc la funzione in Madrid per opera del Ribadeneira, che non capiva in s per l'allegrezza. Compose un libro sopra questo argomento, che pubblic con le stampe e divulg per ogni parte con esso una gran moltitudine d'immagini e di ritratti del Beato suo Padre e Fondatore. Intanto si promoveva con calore la spedizione della causa per la solenne Canonizzazione; e venirono pressantissime istanze di quasi tutti i Principi di Europa alla S. Sede per affrettare l'esecuzione. Finalmente Gregorio Decimoquinto, udita la relazione fattagli dai tre uditori della S. Ruota, deliber di ascrivere nel catalogo dei Santi il Beato Ignazio insieme coi Beati Francesco Saverio, Filippo Neri, Isidoro Agricola, e Teresa di Ges: ci che egli fece con isplendido apparato e solenne rito il d 12 Marzo del 1622. Ho tra le mani una lunga narrazione delle feste, che dalla Compagnia si fecero in Roma per questa occasione; e ne dar qui un breve sunto. Verso le ore diciassette dell'orologio italiano, al primo segno dell'artiglieria del Castello S. Angelo, che si di nell'alto che il Sommo Pontefice pronunziava nella Basilica Vaticana la sentenza della Canonizzazione, furono tosto nella chiesa del Ges collocati alle loro cappelle i quadri di S. Ignazio e di S. Francesco Saverio con attorno gran quantit di fiaccole accese e altre pitture di singolare vaghezza. La chiesa era sontuosamente ornata di bellissimi drappi e trine d'oro; e fin sopra al cornicione correvano gran candelabri e angioli in rilievo, e nella fascia di sotto disposti in ordine i quadri dei Martiri della Compagnia tramezzali dal nome santissimo di Ges. Per ispeciale indulto del Papa v'erano i ritratti dei quaranta Martiri del Brasile, dipinti coi raggi e con le aureole, come suol farsi dei Beati. Il qual primo culto concesso per privilegio a tutti questi eroi della fede, fu un grande accrescimento alla solennit di quel giorno. Nella facciata della chiesa furono poste nelle nicchie quattro statue di rilievo, una di S. Ignazio, l'altra di S. Saverio, la terza della Chiesa romana, e l'ultima della Chiesa del Giappone. In quel d e nell'altro appresso la casa de' Professi distribu in limosina ai poveri da tremila trecento trentatre pani: e la sera, cos in essa, come nelle altre case nostre di Roma, si fece grande illuminazione con fuochi artificiali. Nel seguente giorno, che fu alli 13 Marzo, Domenica di Passione, si ordin una numerosa processione, che da S. Pietro riportasse nelle singolo chiese gli stendardi dei novelli Santi. Intervennero ad essa i religiosi ospitalieri di S. Giovanni di Dio, i PP. della Redenzione di S. Adriano, i Gerolimini di S. Onofrio, i Minimi di S. Francesco di Paola, i PP. di S. Francesco, Osservanti , Cappuccini e Conventuali; gli alunni del Collegio Germanico, e in fine i Carmelitani, i PP. della Congregazione dell'Oratorio, i sacerdoti di S. Giacomo degli Spagnuoli, e il Collegio dei parrochi; tramezzato ogni corpo con iscelti cori di musica. Da S. Pietro si venne primieramente alla Chiesa Nuova, ove fu deposto lo stendardo di S. Filippo Neri; indi per Parione alla chiesa di S. Giacomo, poi al Ges,

e in fine tornando indietro per il ponte Sisto a S. Maria della Scala. Le strade e le case erano ornate e parate il festa con tappeti, arazzi, e fiamme di varii colori; e da per tutto gran calca di popolo, di cui pure eran gremite le finestre e i balconi dei palazzi. Sulla porta del Ges si trovarono a ricevere in mezzo lo stendardo dei nostri due Santi cento cinquanta tra Prelati e Cavalieri della Congregazione dei Nobili con alla testa il loro Prefetto, ch'era il Duca di Fiano, fratello di Sua Santit, e il Senatore, i Conservatori e il Magistrato del popolo romano, aventi tutti in mano gran torchi accesi. Il luned, 14 Marzo, si cant la Compieta; e il giorno appresso pontific solennemente il Patriarca Farnese con l'assistenza di venticinque Cardinali, molti prelati e numerosissimo popolo. Il P. Muzio Vitelleschi Generale recit l'orazione panegirica ad onore dei due Santi. Dopo il Vespero venne il Sommo Pontefice Gregorio Decimoquinto con tutta la sua corte e vi si trattenne alquanto tempo orando. La mattina dei 19 recaronsi in processione a questa chiesa del Ges gli alunni del Collegio Germanico a prendervi lo stendardo, o distribuirono ai poveri settecento pani; e la sera del medesimo giorno i nostri novizi di S. Andrea, dando ancor essi nel cortile del Papa al Quirinale la limosina a due mila settecento poveri. Rimaneva il Collegio Romano, che trasport la funzione dopo la festa di Pasqua alli 6 di Aprile. Verso le ore 10 tutta la numerosa scolaresca fu in moto; e consegnatole nella chiesa del Ges lo stendardo, s'avvi con bell'ordine in processione per la via papale fino alla chiesa degli Agonizzanti; indi voltando verso quella dell'Anima, di S. Apollinare, di S. Agostino, e passando lungo il palazzo dei Borghesi, entr nel Corso e venne su, sino a lato del Collegio Romano. Precedevano alcuni svizzeri della guardia pontificia per tenere addietro il popolo, e dar libero il passo; indi seguivano gli orfanelli, e tutti i giovani delle scuole inferiori e superiori, i nobili convittori e gli alunni dei collegi scozzese, inglese, maronita, i chierici del Seminario romano, e in fino tutta la comunit religiosa. Le case erano addobbate di fuori con bellissimi drappi; le finestre, lo piazze e le strade piene di spettatori, che da ogni parte sempre nuovi accorrevano, tirativi principalmente dalla singolare devozione e modestia, con che procedeva una s numerosa giovent. In pi luoghi furono eretti altari con sopravi le immagini dei due Santi: altrove fu ricevuta la comitiva con iscelti cori di musici, e salutata con gazzarre e salve festevoli. Nella piazza di Sciacca si unirono ad accompagnar lo stendardo sopra cento persone con in mano gran doppieri accesi; ed erano i fratelli della Comunione Generale, e la Congregazione dei sacerdoti, in capo ai quali erano tre Vescovi in abito pontificato. Ricevuto in fine lo stendardo con solenne rito alla porta della chiesa del Collegio Romano, e cantato a cori il Te Deum, si di fine alla solennit di quel giorno con una generale illuminazione e con molti fuochi artificiali: e il giorno appresso si di la limosina a circa cinquemila poveri. N qui finirono le dimostrazioni di allegrezza. Indi a pochi giorni tutto l'atrio del Collegio romano comparve messo vagamente a festa. Nei portici delle due gallerie, nei vani degli archi, e per su le ringhiere si videro statue a rilievo, pitture a tempera, medaglioni, scudi, emblemi, e iscrizioni di ogni maniera: e sulle pareti dissertazioni teologiche e filosofiche, e componimenti in prosa e in verso di vario stile e metro, scritti in belli caratteri e in diversissime lingue; ed erano l'omaggio che ciascuna facolt e scuola offeriva al santo fondatore Ignazio e all'apostolo delle Indie Francesco Saverio. Nel

vano del cortile, coperto e chiuso al di sopra con una gran tenda, e disposto a maniera di antico teatro, rappresentaronsi dai nobili convittori e dagli scolari e Padri del Collegio due azioni drammatiche. L'argomento della prima fu Ignazio che sospendendo le armi all'altare di nostra Signora di Monserrato passa dalla milizia terrena a farsi capo o condottiero d'uno scelto drappello di uomini, tutti intenti a guerreggiare le guerre del Signore: l'argomento della seconda fu la gloriosa morte del figliuolo del Re di Ceilano, che rifuggitosi nascostamente al Saverio per essere da lui battezzato, e porgendo aiuto ai Portoghesi nella guerra con tra gli Aceni, vinta per le preghiere del Santo, fu poi dal genitore sdegnato barbaramente ucciso in odio della fede, meritandosi ancor catecumeno la palma di martire. Dodici volle si convenne ripetere queste due azioni per far paghi i voti di molti e illustri personaggi che sempre nuovi accorrevano a quel devoto e lieto spettacolo. Fino qui in succinto la narrazione delle feste fattesi in Roma subito dopo la Canonizzazione di S. Ignazio. La Bolla fu poi spedita dal successore Urbano VIII, che ne registr pur la memoria nel martirologio con queste parole, composta in parte da lui: In Roma il natale di S. Ignazio confessore, fondatore della Compagnia di Ges, illustre per santit e miracoli, e zelantissimo in dilatare la religione cattolica per tutto il mondo. Innocenzo X ne aggiunse la festa al calendario romano, e Clemente IX sollevolla a rito doppio. FINE ____________________________Note1 Secondo il Bartoli, i figliuoli di D. nel tramo furono
solamente undici; tre femmine e otto maschi. Il Maffei conviene in ci col Ribadeneira. 2 Avvenne ci il d 20 maggio 1521, nel qual giorno cadeva la seconda. festa della Pentecoste.3 Il P. Luigi Gonzalez, che, a quanto pare, ebbe quel manoscritto fra le sue mani, ci fa sapere, che esso era composto di trecento fogli in quarto, di pulitissima carta; in bellissimo carattere e a linee del tutto uguali; e che il colore usato dal Santo per gli esempi di N. S. fu il vermiglio. Ma potrebbe anch'essere, che per certi tratti e particolarmente per le iniziali fosse stato e il vermiglio e laureo.4 Nell'andare fra se ravvolgendo le varie maniere di vita penitente, che tornato di Gerusalemme avrebbe potuto imprendere, gli cadde ancora in pensiero di andare a rinchiudersi entro la Certosa di Siviglia; tenendo quivi gelosamente celata la sua condizione, perch non si facesse mai veruna stima di lui; n mai d'altro cibandosi, che di solo erbe. Perci ad un servo, di casa che dovea recarsi a Burgos, ingiunse, che dellIstituto de' Certosini accuratamente si informasse. Piacquegli quanto gliene fu riferito: ma non vi appose gran fatto l'animo; s perch gli venne timore che sotto quella regola non potesse poi sfogare a suo piacimento l'odio contro di s concepito; e s ancora perch egli era tutto in su l'andare a Gerusalemme, e del modo a cui appigliarsi in quanto al vivere, nulla voleva punto determinare se non dopo il ritorno. Cos il P. Luigi Gonzalez.5 Lib. XXII, contra Fausto, cap. 70.6 A quanto stato sin qui narrato dal p. Ribadeneira, stimiamo bene di aggiungere due cose che noi troviamo presso il p. Gonzalez. Una , che per dodici miglia, quanto appunto ce ne sono da Loiola ad Ognate, ebbe Ignazio per compagno del suo viaggio, non gi il primo, come hanno scritto il Nolarci e il Mariani, ma il secondo de' suoi fratelli; il quale sin l recavasi per visitare una loro sorella. Fattosi sera, Ignazio con dolci maniere l'invit e l'indusse a vegliare seco tutta quella notte innanzi ad unimmagine della Vergine nostra Signora, detta la Madonna di Aranzaza, col tenuta in grandissima venerazione. Al primo poi albeggiare, lasciato il fratello in casa della sorella, Ignazio coi due servidori prese il cammino di Navarrete, dove allora soggiornava il Duca Manrico. L'altra , che stando Ignazio presso il Duca, e trovatosi che questi gli era debitore di non so quanti ducati, commise il Santo al tesoriere, che parte si dessero a certe persone, alle quali egli si riconosceva obbligato; gli altri si spendessero in ristorare e adornare elegantemente unimmagine di N. Signora. Cos studiavasi Ignazio di rendersi viepi sempre propizia la santissima divina Madre.7 Attesta il Bartoli, essere stata opinione de' primi uomini della Compagnia che

vissero col Santo e ludirono favellare delle cose sue di Manresa, che Iddio fin d'allora gli palesasse quello a che l'avea eletto in servigio della sua Chiesa; e che gli mostrasse i tratti maestri. di quella Religione, di cui a suo tempo dovea essere padre. E di ci, soggiunge, pu far fede quell'ordinaria risposta che egli soleva dare quando nello scrivere le Costituzioni, richiesto della cagione d'alcune cose sostanziali dellIstituto, si rimetteva a quello che sopra ci aveva tanti anni prima inteso in Manresa. Lo stesso avea gi anche prima del Bartoli attestato il P. Nicol Lancizio nel decimo settimo de' suoi opuscoli (c.1, n. 1 e seg.) proseguendo per altro in dire, che non gi solamente per le cose sostanziali era questo avvenuto, ma per molte altre ancora di non tanto momento; come a dire, che la Compagnia non dovesse aver coro, n abito particolare, che si dovessero mandare i novizi in pellegrinaggio, e altre di questo genere. E in vero nel diario scritto dal P. Luigi Gonzalez parte in portoghese o parte in ispagnuolo, tradotto poi in italiano dallo stesso P. Lancizio, che tuttora conservasi nellarchivio della Compagnia, troviamo notato sotto il d 17 Febbraio del 1555, che addimandato il Santo della cagione, siccome delle tre poco anzi accennate cose, cos ancora di alquante altre di assai minor conto da lui ordinate e prescritte, diede per risposta, che Iddio nostro Signore in una chiarissima illustrazione di mente, di che lavea favorito in Manresa, gli avea manifestamente dato a conoscere che quelle erano di suo gran piacimento. 8 Da quanto qui dice il Ribadeneira si potrebbe a tutta ragione inferire, che solo in Manresa avesse atteso il Santo al lavoro dei suoi Esercizi. E pure interrogato egli intorno a ci dal P. Luigi Gonzalez, rispose, non essere gi stati quelli composti tutti insieme in un certo dato tempo; ma s aver lui notato in carta per iscritto le varie cose di mano in mano che s'accorgea poter esser quelle di giovamento anche per altri; come ad esempio fu la maniera di far lesame particolare ed altre somiglianti. Specialmente poi asser, che quanto spetta alla materia della Elezione, tutto avea egli tratto da quella diversit di spiriti, che sentiva in se medesimo, quando in Loiola giaceva infermo per la ferita. 9 Scrive a lungo il Bartoli delle contraddizioni che sostennero in ogni tempo gli Esercizi Spirituali, e delle solenni approvazioni ch'ebbero pure in ogni tempo dai pi dotti e illustri personaggi. Vita di S. Ignazio lib. I, n. 18, 19.10 Alle penitenze del Santo, che il nostro autore ha gi in altro capo narrate, e che a suo giudizio, e a giudizio pure di ogni altro, furono la cagione di ricadere infermo pi volte, hassi anche da aggiunger l'altra che praticar soleva, quando andava, e vi andava bene spesso, a visitare una cappelletta lontana un miglio e mezzo da Manresa, dove si venera un'immagine di N. Signora detta di Villadordis. Cingevasi allora di una fascia tessuta colle sue mani di una certa erba cotanto ruvida e pungente, che gli lacerava le carni per siffatta guisa da farlo talvolta cadere a terra svenuto. Anzi un giorno tale fu il tramortimento che il prese, da durare in esso per pi di un d, e da non potere altrimenti ricondursi, poich ne fu rinvenuto, alla sua stanza dello spedale, che sostenuto dalle altrui braccia. Di questa fascia, che abbiamo detto, una parte tuttora si conserva e si riverisce in quella chiesetta, decorosamente riposta nel petto di una piccola statua d'argento, che rappresenta il Santo in quell'abito in cui allora andava. 11 Dove albergasse il Santo nel tempo di quelle tre sue infermit il Ribadeneira non ne fa cenno; e n quelli pure che di lui scrissero dopo il nostro autore, han saputo indicarlo con precisione. Pare nondimeno fuor di dubbio, che la prima volta giacesse infermo in quello spedale, che il Ribadeneira nella Vita presente chiama semplicemente lo spedale di Manresa, ma a cui nella terza d il suo vero nome, chiamandolo lo spedale di S. Lucia. Sta nei processi fatti per la causa della beatificazione una testimonianza, data con giuramento da un tal Bernardo Matilla cittadino di Manresa, in cui fra altre cose dice, che, quando egli era in et di otto in nove anni, spesso da sua madre veniva mandato con una cestetta ripiena di varie cose da confortare lo stomaco allo spedale di S. Lucia, dove Ignazio, assistito dalle principali Signore di Manresa, delle quali riporta i nomi, languiva gravemente ammalato. E questa fu senza dubbio, come ben si rileva da ci che poi disse il Santo al P. Gonzalez, quella sua pi grave infermit che il ridusse quasi all'estremo punto, e in cui ebbe a lottare s fieramente contro la tentazione di vanagloria. La seconda volta che cadde il Santo ammalato, la Citt, ossia la magistratura comunale, per la benevolenza che aveva verso di lui, fecelo trasportare (disse egli stesso al Gonzalez) alla casa di quel Ferrera, il cui figliuolo venne a mettersi al servizio di Baldassarre Faria, dove fui assistito e curato con quanto di diligenza e di affetto possa mai desiderarsi. Quando poi ricadde la terza volta, tutti convengono, che

il vollero in loro casa i signori d'Amigant, famiglia per nobilt e ricchezze delle prime di Manresa. Gran divozione avevano presa questi Signori ad Ignazio; e gi le altre due volte ancora, non ostante il dir dei medici che conveniva andar cauto nell'appressarglisi per evitar il contagio di quella tisi che a lor giudizio il veniva lentamente consumando, pure e Andrea che di quella famiglia era il capo, e Angela madre di lui,e Giuseppe suo figliuolo primogenito non potevano, che a gran pena allontanarsi dall'infermo. Avutolo poi in loro casa, non altrimenti il trattarono, che se fosse stato un di loro; e assai godevano in udirsi dai Manresani Andrea chiamato col nome di Simone, che fu albergatore, e la sua consorte sopranomata Marta, che fu vivandiera del divin nostro Salvatore, una cui viva imngine riscontravano in Ignazio. N poi si ristettero mai dall'usare con esso, in fin che visse, ogni maniera di bencficenza; e quando fu morto offrirono subito un migliaio di scudi perch si trattasse la causa della sua canonizzazione. Il Santo corrispose poi sempre a tanto affetto con la pi viva e tenera gratitudine; chiamava quella casa con termine castigliano Su casa payral, ossia la casa de' suoi padri; non lasciava anche negli affari suoi pi gravosi di scrivere ad essi lettere affettuosissime; e dal cielo ancora ha dato loro a conoscere quanto gli stesse a cuore di rimeritarli, come si dir a suo luogo. 12 Part Ignazio da Manresa, ma lasci cos viva negli animi di quei terrazzani laffezione e la stima verso di lui, che quantunque siano gi passati ottant'anni (cos scrisse poi il Ribadeneira nella pi breve, ossia nella terza delle tre vite da lui composte), pure la memoria d'Ignazio col tuttora fresca e gioconda. Assai di sovente vanno a visitare quei luoghi ove egli abit, o dove soleva condursi a fare orazione; li venerano con gran riverenza, e con gran fiducia ivi implorano il suo aiuto. Anzi a perenne memoria di lui Giovan Battista Cardona, Vescovo di Viche, nella cui diocesi sta appunto Manresa, ha voluto far innalzare nella piazza che avanti lo spedale di S. Lucia (che in un collegio della Compagnia fu poi mutato), dove il Santo oper i primi effetti del suo fervore, una piramide con la seguente iscrizione: Ad Ignazio di Loiola, figliuol di Beltramo, nativo della provincia di Guipuscoa, Fondatore de' chierici della compagnia di Ges; il quale nel trentesimo anno della sua et, per difesa del castello di Pamplona, valorosamente combatt co' Francesi, e quivi ferito a morte, e poscia per singolar benefizio di Dio sanato, acceso di desiderio di visitare i luoghi santi di Palestina, nel viaggio fece voto di castit, e consacrate a nostra Signora nel tempio di Monserrato le armi, che come soldato portava, coperto di sacco e di cilicio e quasi ignudo, in questo luogo cominci a piangere le colpe della vita passata, e come novello soldato di Cristo, a far vendetta di se medesimo con digiuni, con lacrime ed orazioni: in memoria d'un s gran fatto, e a gloria di Dio, e a splendore della sua Compagnia, Giovan Battista Cardona Valenziano, Vescovo di Viche ed Eletto di Tortosa, affezionatissimo alla santit del detto Padre e alla sua Religione, fece por qui questa lapida, come ad uomo piissimo e benemerito di tutta la religione cristiana . 13 Gli proposero particolarmente una certa persona che sembrava loro potergli essere di sommo vantaggio; e perci nel proporgliela gliene dicevano grandi cose: ma egli (come poi narr al P. Gonzalez) mostrandosi grato della loro premura, rispose, che quand'anche fosse stato, o il figlio, o il fratello dal Duca di Cardona, non l'avrebbe pur accettato; perch tre virt gli stavano sommamente a cuore, fede, speranza e carit. Ma se io, diceva, mi conducessi meco un compagno, quando poi mi sentissi languir di fame, da lui certamente mi starei aspettando la provvidenza; e se mi avvenisse di cascare, senza dubbio egli correrebbe a darmi aiuto per rizzarmi. Che ne verrebbe pertanto? Che io porrei in quel compagno la mia fiducia, e mi sentirei forzato a portargli una singolare affezione. Ma e questa fiducia e questa affezione io non la voglio che in Dio. 14 Poco pi di venti giorni erano passati da che Ignazio era in Barcellona, quando di l fece vela per Italia. Cos egli al Gonzalez. I denari poi che lasci su quel sedile del porto, non erano che cinque o sei di quelle monetuzze composte di rame e d'argento, che allora correvano per la Spagna, e si chiamavano Blancas. 15 Tanto si teneva sicuro il Santo di non avere a partirsi pi di col, che si era gi messo a scriver lettere per varie persone di Spagna; e compiutane una, stava per dar principio ad un'altra, quando gli venne ordine di recarsi subito presso il Padre Ministro Provinciale tornato gi da Betlemme. Cos rifer egli al Gonzalez. Nei processi si parla pi volte di una lettera scritta appunto di col ad Agnese Pasquali di Barcellona, a cui egli era molto obbligato, lunga per ben tre fogli, dove assai distesamente narrava e quello che gli era avvenuto nel viaggio, e quello che aveva

veduto con suo gran gusto in quei santi luoghi. molto verosimile, che questa fosse appunto la lettera col finita e preparata per mandarsi; e che invece la portasse poi egli stesso e con le sue mani la consegnasse a chi era diretta, perch dallo scritto meglio che dalle sue parole ella apprendesse quanto avrebbe desiderato di sapere. 16 Questo luogo del Ribadeneira, che certamente non abbastanza chiaro, e che anzi sembra mancante di qualche parte, viene compiuto e dilucidato dal modo, con cui il Santo cont al Gonzalez la stessa cosa: Lui cio, appena ottenuto libero l'ingresso, essere corso a dirittura fino alla cima dell'Oliveto, dove preg alquanto con somma sua consolazione: disceso poi, aver voluto pur andare sino a Betfage; e quivi fattosi a ripensare sopra le orme vedute nell'Oliveto, e accortosi di non aver ben posto mente da qual parte fossero rivolti i piedi, quando il divin Salvatore si spicc da terra, subito aver determinato di ritornare fin colass; e ad averne nuovamente libera lentrata aver dato al custode ci che delle sue cosucce unicamente gli rimaneva, vale a dire le forbici. 17 Fu quella nave lungo tempo inseguita dalle galee d'Andrea d'Oria, che in quel tempo era del partito francese: ci disse il Santo al Gonzalez.18 Pi che non in Barcellona sotto l'Ardebalo, sarebbe piaciuto al Santo, come narr egli al Gonzalez, di dar opera ai primi studi in Manresa sotto un monaco Cisterciense, uomo di santa vita, di cui egli avea formato un'alta stima, e pel cui magistero sperava di poter fare gran profitto ad un tempo nelle lettere e nella virt. Prima adunque di stabilir niente in Barcellona, volle andare a Manresa: ma ivi trov che il monaco era gi passato di questa vita. Allora torn subito a Barcellona, per mettere senza pi in effetto quanto aveva prima divisato. 19 Giovanni Pasquali, nella cui casa il Santo albergava, lasci scritto, che tante e s spietate furono le battiture ond'ebberlo tutto pesto quei malvagi, che egli ne era rimasto propriamente come estinto. Ai sospiri e ai gemiti che traeva profondi, accorsero alcuni mugnai che a caso trovavansi a poca distanza; e questi con gran piet il sollevarono di terra, l'adagiarono il meglio che poterono sopra di un loro giumento, e da porta S. Daniele il condussero ad assai lento passo sino a casa Pasquali. Quivi gli si usarono tutti i rimedi i pi acconci; ma tuttavia non pot riaversi che dopo 53 giorni. La sola autorit del P. Giacomo d'Alcantara suo confessore valse a trargli di dosso quel cilicio che sempre portava. Il visitarono continuamente, prestandogli i pi caritatevoli servigi, le principali persone della citt, che tutti avevano grande stima e venerazione di lui. Ma per quanto pur si facesse, non fu mai possibile trargli di bocca parola che desse alcun indizio per iscuoprire gli autori di quella iniquit. Egli in tutto quel tempo non fece che lodare Iddio e pregare per i suoi persecutori. N furono vane le sue preghiere; perciocch tornando poi un giorno da quel medesimo monastero, si vide dinanzi un tal mercante, di cognome Ribera, che gli si accus come reo di quel misfatto, gliene chiese con lagrime perdono, e gli promise di mutare del tutto vita; come veramente fece. 20 Fu questi un tal Lisani, il quale si precipit in quell'atto di disperazione per essergli toccata la sentenza contraria in una lite che aveva con suo fratello. Il Santo gli ottenne grazia di potere tornare in vita per quel tanto che abbisognava a procurare la salute dell'anima sua, pregando prima, come si detto, con gran caldezza, e poi invocando pi volte sopra di lui il santissimo nome di Ges: cos dai processi. 21 La singolare maniera, con cui lOlave venne chiamato alla Compagnia, fu questa. Egli era molto agitato nell'animo per non sapere se avesse dovuto ritirarsi a vivere in qualche Religione, o assecondare piuttosto un antico suo desiderio di portarsi o in America o nelle Indie per convertirvi infedeli. A deliberare sopra tal punto stette per tutta la quaresima del 1552 rinchiuso in un monastero presso al lago di Garda, esercitandosi qui di continuo in penitenze e in orazioni. La Dio merc venne finalmente a conoscere, che il meglio per lui era il farsi religioso. Ma di qual Religione? Tutte gli piacevano, fuorch la Compagnia; la quale anzi era a lui di tanto aborrimento, che mentre pregava Iddio a manifestargli la sua volont e pronto si offeriva per mandarla ad effetto, vi apponeva sempre la condizione che non si fosse trattato della Compagnia. Or dicendo egli Messa nel d solenne di Pasqua e supplicando a calde lacrime il divin Signore, mentre si teneva stretta fra le dita l'Ostia consacrata, che si degnasse di toglierlo da quelle angustie, nuovamente offerendosi, dalla Compagnia in fuori, per tutte quante le altre religioni; si sent una voce al cuore, che gli diceva: E nella Compagnia appunto io ti voglio: ho io forse a fare la tua volont, o non tu piuttosto la mia? e avverti bene, che durum est tibi contra stimulum calcitrare. Fu s gagliardo questo stimolo dello Spirito Santo al cuore dell'Olave, ch'egli disse subito: O

Domine, servus tuus sum ego, servus tuus et filius ancillae tuae Societatis Iesu: e l dinanzi a quel divin Signore che sotto gli azimi eucaristici aveva fra le sue mani, fece voto di entrare nella Compagnia. Dopo poi non finiva di meravigliarsi, come mai desiderasse allora con tanto ardore ci, a cui prima sentiva tanta avversione.22 Di questi compagni di S. Ignazio si ha dalle antiche memorie, che uno chiamavasi Calisto, laltro Artiaga, il terzo Diego di Caceres, ch'era della corte del vicer di Catalogna, e il giovinetto francese Giovanni, paggio, di D. Martino di Cordova vicer di Navarra. 23 Conservasi tuttavia la patente originale del Magistero, che trasportata dalla latina nella nostra volgare favella, dice appunto cos: Il Rettore e l'Universit dello Studio di Parigi a tutti quelli che leggeranno le presenti lettere, salute nel Signore che vero Salvatore di tutti. Siccome ogni uomo, che professi la Fede cattolica, e per naturale equit e per obbligazione della divina legge, tenuto a rendere fedele testimonianza del vero; cos e molto pi ci si conviene a persone ecclesiastiche e ai lettori di diverse scienze, che sogliono in ogni cosa investigare la verit ed istruire e ammaestrare in essa gli altri; e per n per amore, n per favore, n per qualsiasi altra cagione debbono mai trasviare dalla rettitudine della verit e della ragione. Quindi , che volendo noi per questa parte rendere testimonianza alla verit, a tutti e a ciascuno, a cui giovi il saperlo, facciamo fede con le presenti, che il nostro diletto e discreto uomo, Maestro Ignazio di Loiola, della diocesi di Pamplona, Maestro nelle arti, l'anno 1534 dopo la Pasqua, ha lodevolmente e onorevolmente ottenuto il grado del Magistero in questa illustre facolt delle Arti di Parigi, premessi i rigorosi esami e tutti gli altri consueti riti secondo le leggi e le consuetudini della predetta facolt delle Arti. E in testimonianza di ci abbiamo stimato bene di apporre alle presenti il nostro grande sigillo. Data in Parigi nella nostra generale adunanza tenutasi solennemente presso S. Maturino, l'anno predetto 1534 a d 14 del mese di Marzo. Le Roux. Per togliere di mezzo la difficolt, che pu nascere in chi legge la data dei 14 Marzo del 1534, mentre pure si dice nella medesima lettera testimoniale che Ignazio fu graduato Maestro dopo la Pasqua dell'anno predetto 1534, che cadde ai d 5 di aprile, conviene sapere, che nell'universit di Parigi contavasi l'anno scolastico da una Pasqua all'altra; e quindi nel Marzo del 1535 ancora correva e segnavasi l'anno 1534. 24 Tre furono gl'Inquisitori della fede, che in questi anni si succedettero gli uni agli altri in Parigi. Il primo fu fra Matteo Ori, l'altro fra Valentino Lievin, e il terzo fra Tomaso Laurenzio. A tutti e tre si present Ignazio per avere da essi in iscritto un'autentica testimonianza dell'innocenza sua e de' compagni; e alla fine l'ottenne dall'ultimo, quando gi era egli partito per Ispagna. Or dal non aver posto mente alla successione dei tempi e degl'inquisitori, nata tra gli storici variet di opinare intorno a questo avvenimento. Il Ribadeneira, il Mattei e il Mariani suppongono o affermano di certo aver Ignazio ottenuto la testimonianza della sua innocenza dal P. fra Matteo Ori; e solamente il Bartoli, che avea letto lo scritto originale, dice essere stato fra Valentino Lievin. A togliere per tanto di mezzo ogni ambiguit, sar bene riferire le parole stesse della scrittura, che conserviamo. Noi fra Tomaso Laurenzio dell'Ordine dei Frati Predicatori, lettore di sacra teologia e generale Inquisitore dell'eretica pravit e della fede cattolica del regno di Francia, facciamo noto e certifichiamo a tutti quelli, a cui giovi o giover il saperlo, che il nostro antecessore fra Valentino Lievin, dottore di sacra teologia e generale inquisitore in tutto il regno di Francia, ha tempo fa inquisito sulla vita e sulla dottrina di Ignazio di Loiola; e noi, che allora eravamo suo segretario, non abbiamo mai udito, che trovasse in lui cosa contraria ad uomo cattolico e cristiano. Abbiamo inoltre conosciuto il detto Loiola, e M. Pietro Fabro, e alcuni altri suoi famigliari; e li abbiamo sempre veduti menar vita cattolica e virtuosa, n mai abbiamo notato in essi se non ci che si addice ad uomini ottimi e cristiani. Anche gli Esercizi che d il detto Loiola, ci sembrano cattolici, per quanto noi abbiamo potuto conoscere mettendoli ad esame. Data e fatta in Parigi nel convento dei frati Predicatori e segnata col nostro sigillo, che in simili casi sogliamo usare, l'anno del Signore 1536 alli 23 del mese di Gennaio, alla presenza dei discreti uomini i Maestri Lorenzo Daosta e Giacomo de Cacers chierici e Maestri nelle arti, e fra Alfonso di S. Emiliano, tutti spagnuoli, abitanti in Parigi, e testimoni per questo fine chiamati e sottoscritti. 25 Affinch non si prenda abbaglio per ci che ha asserito il Ribadeneira, dicendo, che quando Ignazio e i suoi sei compagni fecero i loro voti nel 1534, tutti sette avevano gi ricevuto il grado di Maestri in filosofia; giover

qui davvertire, che comunemente pur chiamavansi maestri anche quelli che avevano soltanto il grado di Licenziati. Abbiamo di ci prova non dubbia in una lettera scritta da s. Ignazio medesimo ai 13 di Giugno del 1533, dove per dire che nella Quaresima di quell'anno aveva avuta la Licenza, usa le parole me hize maestro. Del rimanente che tutti quei sette fossero gi allora Licenziati, indubitatamente accertato dalle testimonianze autentiche delle patenti. Ma in quanto al magistero, questo grado non l'avevano ricevuto, che due, cio il Saverio e il Lainez, S. Ignazio lo ebbe ai 14 di Marzo del 1535: il Fabro, il Salmerone, il Bobadiglia ai 3 di Ottobre del 36: Il Rodrigo ai 14 di Marzo dell'anno medesimo. Tutto ci autenticato dalle lettere testimoniali, che tuttavia si conservano. 26 La sentenza scritta a nome del Nunzio Verallo da Gaspare de Dottis Protonotario Apostolico e Vicario nello spirituale del detto Nunzio. Lasciando da parte le forme notarili, che si premettono alla distesa, ella in fine dice cos: Noi Gaspare, Dottore canonico, Protonotario e Vicario, come si detto, per ci che abbiamo veduto e diligentemente esaminato, e che pu convincere l'intelletto nostro e quello di qualsivoglia giudice retto, diciamo, dichiariamo, pronunziamo e definitivamente sentenziamo in questo tenore: cio, che il detto Signore P. Ignazio di Loiola sia assoluto e libero da qualunque accusa mossa contro di lui e portata al nostro tribunale, che giudichiamo essere stata ed essere frivola, vana e falsa, imponendo silenzio a tutti e a ciascuno, di cui si ha relazione nel processo, e dichiarando che il detto P. Ignazio stato ed sacerdote di buona e religiosa vita, e di sana dottrina, come pure di ottima condizione e fama, che in questa citt di Venezia ha dato sino a questi giorni buoni esempi di vita e dottrina: e cos noi diciamo, pronunziamo, sentenziamo, assolviamo e dichiariamo nel miglior modo che possiamo e dobbiamo. E si aggiunga in fine, essere stata data, letta e promulgata la sentenza dal detto vicario sedente pro tribunali l'anno 1537, alli 13 di Ottobre, e presenti, come testimoni, i signori Bartolomeo de Cesis e Giulio Odoardi camerieri del Reverendissimo Legato. 27 La facolt di essere ordinati da qualunque Vescovo, fuori de' tempi prefissi per li canoni, in tre d festivi, con la dispensa dellet per Alfonso Salmerone, fu loro data per commissione del Papa dal Cardinale Antonio Pecci maggior Penitenziere, e si conserva ancora la patente originale spedita il 27 Aprile 1537.28 Fu promosso S. Ignazio agli Ordini minori il 10 giugno, il 15 al Suddiaconato, al Diaconato il 17, e al Presbiterato il 21 del medesimo mese da Monsignor Vincenzo Nigusanti da Fano, vescovo Arbense, come si ha dall'istrumento originale, fatto il 27 Giugno dello stesso anno. 29 Quantunque gli antichi scrittori non abbiano mai detto apertamente chi fosse questo Padre, non ha dubbio essere stato il p. Simone Rodrigo, il quale non allora solamente ma molti anni appresso si lasci ingannare da somiglianti fallacie del nemico, come racconta il Ribadeneira medesimo in un suo libro manoscritto. Per ci poi spetta allapparente in s. Ignazio assai meglio che non il Romito Antonio ne giudic iscopo del Ponte, soprannominato dalla patria il Bassano, dipintore anche oggid celebrato fra gli ottimi. Questi, avendo appunto in quei giorni a rappresentare in un quadro il passaggio del popolo Ebreo alla terra promessa, cercando un paio di volti daspetto venerabile e che spirassero un non so dautorevole santit, per valersene desemplare da ricavarne leffigie di Mos e di Aronne, ch'erano i condottieri di quel viaggio e i principali personaggi di quella sua opera; ritrasse dal naturale, quanto il meglio pot, Ignazio in Mos e il Romito Antonio in Aron. Cos il Bartoli nelle sue Memorie degli uomini e de' fatti della Compagnia, dicendo d'aver ci tolto dallIstoria di Bassano ms. del Dott. Mario Sale. 30 Non sar discaro ai lettori, che noi riferiamo le due testimonianze, delle quali fa menzione in questo luogo il Ribadeneira. Conservasi tuttavia copia della esortazione che il P. Lainez fece in Roma (2 Luglio 1560). Proponendosi egli di trattare in essa della stima in che si dee avere l'Istituto della Compagnia, nel venir poi a parlare del nome di Ges, che le fu imposto dal fondatore, soggiunge appunto cos: Ci che a nostro Padre valse di fondamento per volere piuttosto questa che verunaltra appellazione, fu primieramente, per quanto a me sembra, il fatto che qui ora riferir. Venivamo a Roma per la via di Siena il Padre M. Ignazio, il P. M. Fabro ed io, e in quei giorni era il P. Ignazio pi che mai favorito di spirituali sentimenti e doni celesti, massimamente quando riceveva nella Comunione il divin Signore Sacramentato; perciocch io () dicevamo Messa, e quegli no. Or dunque che fummo (..) di strada, egli mi disse, che Iddio gli aveva profondamente () queste parole: Ego vobis Romae propitius ero; delle quali per non intendeva

bene la significazione, e quindi, io non so, diceva, che cosa in Roma sar di noi: forse, chi sa? che ivi non abbiamo che essere confitti in croce. E poco dopo aggiunse, che gli era sembrato di vedere Ges nostro Signore con su le spalle una pesante croce e accanto a lui lEterno Padre, che gli diceva: Vorrei, o Figlio, che tu accettassi costui per tuo servo. E Ges chiamandolo e stringendolo a s e alla sua croce, diceva a lui: S, voglio che tu sii mio servo.Nel libro poi manoscritto, in cui soleva Ignazio notare le cose sue interne, leggonsi tra le altre queste parole: Tornandomi alla memoria, mentre mi vestiva delle sacre vesti per la Messa, quando il Padre mi consegn al suo divino Figliuolo, ed avendo gi finito di vestirmi con sempre in mente quella visione, mi impresse vivamente nellanimo il nome di Ges, e mi sentii tanto rinvigorito e raffermato per ogni futuro evento, che venivami nuova copia di lacrime e di singhiozzi.31 Fu S. Ignazio a Monte Casino coll'Ortiz tra il marzo e l'aprile del 1538, e vi si ferm circa quaranta giorni: indi tornato a Roma, celebr la prima sua Messa nella notte di Natale di N. Signore. Ci posto, come si pu conciliare quello che si legge in tutte le edizioni italiane di questa vita, ch'egli vedesse l'anima gloriosa dell'Hozes celebrando la Messa in monte Casino? Rispondea il Ribadeneira in una sua lettera al P. Orlandini, che ne lo avea interrogato: Ego non dico celebrando Missam; sed interpres italus, non bene intelligens mea verba latina et hispanica. Latina sunt: cum rei sacrae daret operam; Hispanica: y despues estando en Misa: quae ego dedita opera scripsi, et verificantur in audiendo Missam. Apud Bolland. die 31 iulii. Quindi noi abbiamo corretto questo luogo secondo il testo. 32 Questa risoluzione fu presa in iscritto, dicono i Bollandisti, dal P. Pietro Fabro. Ma non certamente di carattere del Fabro, e se pure vuol dirsi di alcuno dei primi Compagni, inclinerei a credere che fosse scritta dal P. Giovanni Codurio per la stretta somiglianza che ha con altre scritture che sono indubbiamente di suo pugno. A pi della pagina, come pu vedersi nelloriginale, che si conserva nelle stanze di s. Ignazio, leggonsi per ordine le seguenti sottoscrizioni: Cacres, Giovanni Codurio, Lainez, Salmerone, Bobadiglia, Pascasio Brouet, Francesco, Pietro Fabro, Ignazio, Simone Rodriguez, Claudio Iaio. Or quanto si al primo che vedesi sottoscritto, un cotal Cacres, di cui tacciono tutte le antiche memorie, non sanno che si dire i Bollandisti e dopo essi il Mariani; e sol ci fanno sapere, trovarsi una sua lettera scritta di Parigi a s. Ignazio nel 1541. Siami lecito apporre intorno a lui alcune non lievi mie congetture. Non dunque solamente in questa, ma anche in un'altra carta di somigliante argomento, che leggesi la sottoscrizione di Cacres insieme con quella degli altri Compagni di Ignazio. Credo che sia breviazione di nome in vece di Caceres; e, se mal non mi appongo, egli desso quel Diego o Giacomo Caceres di Segovia, che in Alcal con altri tre si di compagno ad Ignazio, e poi lo abbandon. Credo ancora, che sia un medesimo quel Giacomo Cacers, che trovasi citato come testimonio nella dichiarazione, che dell'innocenza di Ignazio fece in Parigi lInquisitore Tommaso Laurenzio, e che noi abbiamo riferito nella Nota al cap. 2 di questo Libro. Ora costui avendo poi udito, che Ignazio era in Roma con nuovi compagni e in sul punto di fondare Religione, col si rec, e ottenne d'essere annoverato tra i suoi. Mandato indi a Parigi, forse per proseguire gli studi, scrisse di l ad Ignazio una brevissima lettera sotto il d 11 Febbraio 1541. Ma come non era eletto da Dio, cos indi a non molto di nuovo manc alla sua vocazione: e datosi a girare per il mondo, glie ne avvennero quelle traversie, che gli autori nostri raccontano, e pi distesamente il Ribadeneira nel suo libro manoscritto dei disertori della Compagnia. Il Bartoli se ne spaccia con dire; ch'egli fu prigione per ispia in Inghilterra, in Francia e nel campo dell'Imperatore Carlo V; fugg due volte il capestro, ma in una n'ebbe s crudi tormenti, che ne and miserabile tutto il restante della sua vita. 33 Di questa prima approvazione del Papa il Cardinale Contarini di nel medesimo giorno, contezza a S. Ignazio con una sua lettera, che trascrivo dall'originale. Reverendo don Ignazio, ieri per M. Antonio vostro Hiapano ho ricevuto lestenzione dei capitoli insieme con una schedula del R. Maestro del sacro Palazzo. Oggi sono stato con N. Signore, e oltre la petizione a bocca, o letto a Sua Santit tutti i cinque Capitoli, i quali molto satisfanno a Sua Beatitudine, e benignissimamente gli a approvati e confermati. Venerd verremo a Roma con sua Beatitudine, e si dar ordine col reverendissimo Guinucci di fare il Breve, ovvero Bolla. Raccomandandomi alle vostre orazioni. Salutate M. Lattanzio nostro. Bene vale in Domino. Di Tivoli 3 di Settembre 1539, Vestri amantissimus G. Card. Contarenus. 34 Per saggio della viva gratitudine, onde restarono presi

gli animi di que' primi Padri verso il Guidiccione, vaglia il seguente brano di lettera, che S. Francesco Saverio scrisse di Lisbona ai Padri Iaio e Lainez il 17 di Marzo del 1541. Le Messe che fino a quest'oggi abbiamo offerte pel Cardinale Guidiccione da che ci partimmo da Roma, sono appunto dugencinquanta. Spero, che Dio nostro Signore ci dar grazia di poter poi nelle Indie compiere il prescritto numero delle medesime. E a dire il vero, considerando di quanto frutto e di quanta consolazione sia stato all'animo mio il celebrare la Messa per quel reverendissimo Padre di Santa Chiesa, mi sento eccitato a volerlo in particolare maniera a Dio Signor nostro raccomandare per tutta la mia vita ogni volta che potr offerire il divin Sacrificio . 35 Quantunque il Ribadeneira nol dica, pare nondimeno, che si possa congetturare, non altri che Ignazio essere stata quella divota persona, che, mentre orava, vide il Codurio intorniato di luce salire fra gli Angeli in cielo. Anzi, dice il Bartoli, si ebbe sempre per costante, che la cosa fosse appunto cos. N meno ha detto Ribadeneira, parlando dei voti che furono dati per lelezione del Proposito Generale, quale poi si fosse quello d'Ignazio; e pure ci sar sempre degno che si ricordi, tanto fu meraviglioso il giudizio, con cui egli seppe con un atto di stupenda umilt un altro ricoprirne di squisita prudenza. Esso dunque, trasportate le parole dal latino nell'italiana favella, dice cos: Trattone me medesimo, do la mia voce nel Signore nostro, perch sia Superiore quegli, che si trover aver pi voci per esserlo. Anche il nome di quel Padre francescano, presso cui S. Ignazio si confess, ha pur taciuto il Ribadeneira in questa prima delle sue tre Vite lo nomina tuttavia nelle altre due, chiamandolo Teofilo. Ma nella seconda edizione della Vita che ha scritto latinamente, lo chiama, come secondo le testimonianze dei processi si dee veramente chiamare, cio Teodosio; e ci sia detto per togliere qualunque ambiguit o dubbio, che intorno a ci potesse mai nascere.36 Tutte queste cose in particolare prescrisse loro S. Ignazio che osservassero diligentemente, come si vede in una istruzione. che diede ad essi in iscritto. 37 Cos termin la lor causa, dice il Bartoli (Ital. L. IV): ma non per ci con essa la pessima opinione gi conceputane, e tuttavia mantenuta dagli implacabili loro nemici, ora doppiamente sdegnati contro essi, peroch vinti da essi: i quali continuando nel perseguitarli, almeno per indiretto, pervennero a far s, che que' sacerdoti furono renduti presso ad inutili in quella citt. Laonde parecchi di loro si consigliarono, e il misero in effetto, di consacrar nella Compagnia le loro vite e le loro fatiche alla salute delle altre anime. Furono tra questi Antonio Criminale, il primo della Compagnia a dar il sangue e la vita per la fede; Silvestro Laudini, egli altres fra noi primo esemplare degli apostolici missionari; Paolo Achille, uomo di santissima vita; Benedetto Palmio, il primo Assistente fra gl'italiani, con Francesco suo fratello maggiore; e poi il Viola, lUgoletti, il Pezzana e pi altri, tutti riusciti uomini di gran meriti con la Religione. Della guisa adunque, che stato detto, andarono le cose in Parma per que' sacerdoti: ma per la Compagnia, peggio ancora. Perciocch, partiti il Fabro e il Lainez, per venti e pi anni non fu mai dato ai nostri di avere stanza col. E per ci pare molto strano ci che il P. Ireneo Aff ha scritto nella vita di Pier Luigi Farnese. Non so immaginarmi, cos egli nel Libro 3 della medesima, essere avvenuto in altro tempo fuori di questo, che i Gesuiti di fresco nati ed introdotti in questa religiosa e fiorente citt (di Parma) prendessero a discreditarne ogni ceto di persone con un memoriale infamatorio, che voglio qui riportare, lasciando ad il giudicare de' motivi, pe' quali si introdussero a questa maniera presso i principi della terra quei religiosi, che i principi stessi e la Chiesa cattolica unitamente hanno poi voluto sopprimere. E dopo ci riferisce di fatto il Memoriale, che poi il ch. Cav. Cesare Cant, nella sua Storia Universale ha riprodotto alla lettera, bench per tutt'altro fine, appropriandolo ancor egli a chiusi occhi ai gesuiti. Ma come mai i Gesuiti, introdotti bens in Parma nelle persone del Lainez e del Fabro dal Card. Sant'angelo, ossia Ennio Filonardi, nel 1539, e poi partiti nel 1540, e costretti per cagione di que' malevoli, di cui si gi a lungo parlato, a starne sempre lontani, non ostante le reiterate dimande degli amici, fino al 1564, come mai, dicevamo, poterono essi nel 1545 o 46 presentare il Memoriale a Pier Luigi Farnese, della cui grazia non fu mai ch'essi godessero? Non furono dunque i Gesuiti, ma i Confratelli di una pia sodalit instituita in Parma sotto l'invocazione del nome di Ges, che, non per ispirito di calunnia e di maldicenza, ma per amore del pubblico bene rappresentarono in quel Memoriale al Duca alcuni disordini, ai quali si conveniva mettere riparo a tempo. Basta per convincersene, leggerne anche solo il principio, che

dice: Gli confratelli della venerabile Confraternita. sotto il titolo del Santissimo, et trionphantissimo nome di Ges figliuolo de Dio et Redentore nostro, indegnissimi Servi di Sua divina Maest et vassalli devoti e fedeli di V. Eccellentia ecc. Pi innanzi poi si parla di correggere alcuni Statuti della citt, e si chiamano Statuti nostri. Pi oltre ancora si dice: Della quale cosa, V. Ecc. volendo ne potr avere informatione dalli molti magnifici antiani nostri: e cos via via per tutto quel Memoriale o diconsi cose, o certi modi si usano nel dirle, che ognun pu subito accorgersi essere quello bens opera di una confraternita zelante assai del pubblico bene, ma non mai de' Gesuiti: i quali, come si detto, a quel tempo certamente non erano in Parma, e non vi furono che nel 1564; nel qual anno il Duca Ottavio Farnese, stato fino allora acerrimo nostro avversario, tratto finalmente d'inganno e fattosi di noi benevolo, ci chiam in quella sua citt ad aprirvi un collegio. Dopo ci, pare a noi di poter dire con le parole medesime del P. Ireneo: Lasciamo ad altri il giudicare de' motivi, pe' quali s'introdusse quel Religioso a denunziare quel Memoriale come infamatorio, e ad attribuirlo al Gesuiti. 38 Ad ottenere la confermazione della Decretale d'Innocenzo III, present S. Ignazio un Memoriale e una Scrittura, che tuttavia conserviamo di suo pugno, nella quale con ben pesate ragioni rifiuta l'opinione di quelli che dicevano, essere contro la carit negare le medicine ad un infermo che ricusa di confessarsi, e pu morire di fatto senza confessione. N di ci ancora contento, fece discutere e deliberare la questione da parecchi valenti teologi e canonisti, i quali tutti si accostarono al parere di lui. Ho tra le mani la carta originale, che non essendo, per quanto io sappia, mai stata pubblicata, stimo bene d'inserirla in questo luogo trasportandola fedelmente dal latino nel nostro volgare. Consultato, se sia cosa buona e spediente al gregge di Cristo, che con nuovo precetto strettamente si ordini da chi ha la podest di farlo l'osservanza della Decretale Cum infirmitas corporalis de poenitentiis et remissionibus, che dal santissimo e dottissimo Pontefice, Innocenzo III fu promulgata, e nel numerosissimo Concilio di Laterano con unanime consentimento di tutti decretata; nel quale Concilio intervennero i Patriarchi di Gerusalemme e di Costantinopoli, 71 Metropolitani, 412 Vescovi, 800 Abbati e Priori conventuali, come pure i Legati del greco e del Romano Impero, e gli Oratori di tutti i Principi cattolici; Rispondo parermi cosa molto buona e spediente, principalmente con quella moderazione, che non sieno privati gl'infermi della cura del medico, se non dopo tre giorni. E per conseguenza colui, al quale commessa la cura del gregge, se giudichi per esso essere buono e spediente, in obbligo di ordinare, che la predetta Decretale sia osservata. N veggo come si possa scusare chiunque trasandi un provvedimento cos salutare al suo gregge. Data in Roma 30 Maggio 1543. Io Gio. Olao Magno Goto Arcivescovo di Upsala, Primate del regno di Svezia, Legato nato, approvo in tutto la predetta decisione come conforme alla piet cristiana, e cos giudico che sia messa in esecuzione. Io Girolamo di Termini, eletto Vescovo di Mazara nel regno di Sicilia, approvo e confermo tutto ci che si dice nella soprascritta consultazione, e ordiner che sia osservato nella mia Diocesi. Io L. Vescovo di Pesaro approvo e lodo in tutto la soprascritta decisione e consultazione, e giudico che sia da osservarsi. Ed Io Gregorio Bacher consento come sopra. Ed Io Gabriele Casati consento come sopra. Ed Io G. Beltrandi de Hoys giudico come sopra. Ed Io Olao Magno Goto, Preposito di Upsala approvo in tutto la sopradetta decisione come conforme alla Chiesa cattolica, e giudico che cos si debba eseguire. Approvo e giudico che sia da osservarsi, come parso ai soprascritti, Io Gio. Battista Guidoboni. Cos pure io giudico A. Comellino, protonotario Vicegerente della S. Penitenziaria Apostolica. Cos pare a me Francesco Bracciolini, dottore in utroque iure e correttore della S. Penitenzieria Apostolica. 39 Ebbe pure gran parte nella fondazione e dotazione di questo collegio di Valenza il santo Arcivescovo Tommaso di Villanova. Egli portava grande amore e stima ai religiosi della Compagnia; e ove alcuno dei pi abili operai di quel suo collegio fosse dall'ubbidienza mandato altrove, faceva istanza per riaverlo, o perch fosse sostituito un'altro di eguale valore. E in fede trasporter dall'originale spagnuolo, che abbiam tuttavia, una sua lettera scritta a S. Ignazio.In questa citt di Valenza stato fondato un Collegio di cotesto santo Ordine o Compagnia di Ges, in cui risedettero come rettori, prima il Maestro Mirone e poi il Reverendo Domenech, con molto frutto che per loro esempio e dottrina si raccolto in questa citt e regno. E poich l'ubbidienza li ha traslocati altrove ambedue, mi sarebbe cosa

gratissima, che uno dei sopradetti Padri qui ritornasse a promuovere questo Collegio e con esso il frutto che se ne spera. Ove poi ci non si possa eseguire, sia surrogato un altro insigne religioso che vi presegga. Vostra Paternit reverendissima vedr quello che convenga, e provveder con la sua prudenza ci che sia pi conforme al bene della religione e al servizio di nostro Signore, che prego voglia custodire e conservare la vita di Vostra Paternit. Di Valenza, 9 Settembre 1552. Di Vostra Paternit reverendissima,Deditissimus Fr. Thomas, Archiep. Valentinus.40 Fu l'accusatore un cotal Mattia di S. Cassiano, maestro delle poste di Roma, il quale citato una e pi volte, e non mai presentatosi a rendere ragione di s, ebbe la condanna in contumacia dal Governatore e dal vicario, giudici delegati dal Papa. La forma della sentenza, lasciando da parte l'esposizione del fatto, del seguente tenore. Avendo il detto Governatore e Vicario veduto, esaminato e considerato diligentemente ogni cosa, invocato il nome di Cristo, dissero, sentenziarono, dichiararono e giudicarono, le predette diffamazioni sparse nel volgo essere false, ingiuste, insussistenti e calunniose: e i Preti della Compagnia di Ges, e la loro Congregazione essere di vita, di costumi e di religione interissimi, di sincera e cattolica dottrina, e produrre da molti anni frutto copioso nella vigna del Signore; e in fine godere presso tutti tale chiarezza e splendore di fama, che superiore a qualsivoglia accusa e maldicenza, e nominatamente il Preposto di essi, il venerabile uomo Ignazio di Loiola, che noi commendiamo moltissimo nel Signore .... Per tanto al detto Mattia si imposto e s'impone silenzio delle predette accuse e diffamazioni, sottopena della perdita dell'uffizio delle poste, e della confisca di tutti i suoi beni da incorrersi issofatto e senza ulteriore dichiarazione, riservando a s il Governatore e il Vicario la dichiarazione della condanna delle pene incorse dal detto Mattia per le sue diffamazioni e delle spese fatte nella presente causa. Filippo Vicario. 41 La sentenza, tradotta letteralmente dal latino, dice cos: Invocato il nome di Cristo, noi, sedenti pro tribunali, sentenziamo il signor Giovanni di Torano del Rione di Campitelli, Rettore di S. Giovanni di Mercato e del monastero delle monache dei Catecumeni, confesso e legalmente convinto, trovato colpevole e degno di castigo secondo le leggi, ad essere sospeso in perpetuo dall'uffizio sacerdotale, e privato di tutti i benefizi e uffizi, come di fatto lo sospendiamo e priviamo con la confisca di tutti i suoi beni. E per usare maggiore mitezza, come si conviene ai giudici ecclesiastici, dichiariamo doversi condannare e ritenere in perpetuo carcere, come lo condanniamo e ordiniamo che sia ritenuto. G. Card. del Monte Protettore.Simone Ginetti Notaio.Pare che col detto prete consentisse nelle medesime accuse D. Francesco Ferreri di Barcellona. Ma questi pi savio dellaltro, udita appena la citazione, si present ai giudici e confessando sua colpa disdisse e ritratt quanto aveva detto; e cos ai 2 di Giugno del 1546 fu da D. Pietro Rasponda, luogotenente del Vicario Archinto , condannato a chiedere ginocchione perdono ad Ignazio. V. Bolland. ad diem 31 Iulii.Per due cagioni ho voluto riferire partitamente i giudizi e lo sentenze intorno all'innocenza di S. Ignazio e de' suoi. In primo luogo, perch ognun vegga che le medesime false accuse e calunnie che si sono dette e si dicono contro i figliuoli, furono gi dette e spacciate contra il Padre e fondatore: e in secondo luogo, perch meglio si conosca il diverso modo di operare che us S. Ignazio rispetto a s, e riguardo alla Compagnia. Finch si tratt dell'onor suo in particolare, non mosse mai querela ad alcuno. Ma quando vide lacerarsi con danno de' prossimi la fama de' suoi, volle che si discutesse giuridicamente la causa, n s'acquet mai sino a tanto che si venisse a sentenza. E trovo, aver presentato intorno a ci sino a tre e quattro Memoriali, e replicate pi volte le citazioni, e spiccato severissimi ordini dal Papa, ove i giudici fossero stati restii nel promuover e condurre a termine la causa sua. Del quale suo modo di operare egli rende molte e gravi ragioni in una sua lettera, che va tra le stampate, scritta al ven. P. Maestro Giovanni d'Avila. 42 Conservasi tuttavia la formola originale dei voti, che Isabella Roselli con altre due sue famigliari fecero in pubblico nella chiesa di S. Maria della Strada, promettendo a Dio di osservare perpetua castit, povert e ubbidienza e di dipendere dal P. M. Ignazio preposito Generale della Compagnia e da' suoi successori: come pure il memoriale autografo, che S. Ignazio present a Paolo Terzo, supplicandogli che si compiacesse liberarlo da quella cura, e dichiarare autenticamente, non poter la Compagnia secondo il suo Istituto prendere governo di donne religiose. V. Bolland ad diem 31 Iulii. 43 Tra le molte noie, che nel governo di quelle tre o quattro donne ebbe a sostenere S. Ignazio, non ultima fu questa. Avea la Roselli ritirato

dalla Spagna una parte de' suoi beni, che le erano necessari per fondare in Roma il suo monastero. Del che adontati i parenti, vennero a Roma e mossero querela ad Ignazio, quasi egli avesse sotto colore di piet ingannato quelle donne per usurparsi le loro ricchezze. Il Santo, udita l'accusa, si rivolse incontanente ai tribunali, ove la Roselli medesima depose con giuramento, che n Ignazio, n la Compagnia avevano avuto un sol danaro del suo. Disciolta poi quella piccola comunit, la pia donna torn in Ispagna, ove fin la vita in odore di santit. 44 A dimostrazioni di tanta benevolenza corrispose Ignazio, come ragion voleva che si facesse, con ogni maniera di gratitudine. Anche il Fabro, scriveva di Madrid a que' s amorevoli Religiosi, dicendo fra le altre cose d'aver significato al P. M. Francesco Saverio nell'India i debiti nostri contratti con tutto il loro Ordine, e richiestolo delle sue orazioni e delle sue fatiche in quell'apostolico ministero per cos anch'egli venire a parte del comun pagamento, poich l'era del beneficio e del debito, ma ci che pi ancora esige da noi vivissima riconoscenza, si , come dice il Bartoli, che quella vicendevole fratellanza e comunicazione di grazie e beni spirituali, che nel 1544 si decret per comune assenso di que' padri Definitori dell'Ordine, fu poscia a trentanove anni ristabilito nel Capitolo generale che ivi stesso si celebr nel 1583, per fare alla carit di que' primi una nuova aggiunta di grazie, in testimonianza di non solamente conservarsi, ma crescere ne' successori l'antico amore verso la Compagnia. Ci fu, privilegiare i nostri defunti, de' quali s'inviasse nota o al Priore di quella Maggior Certosa, o al Capitolo generale, e in sapersene, verrebbono raccomandati per tutte le Certose dell'Ordine, e come amici e fratelli ne avrebbono in suffragio per l'anima messe particolari. 45 In 6. De Electione, et electi tit. 6. C. cum ex eo.46 Dall'avere esposto in succinto l'Istituto della Compagnia prende occasione l'Autore di trattare a parte, se sia conveniente ai Religiosi l'ammaestrare la giovent, principalmente nelle scuole basse: e mostra che s con molto peso di ragioni e con autorit di esempi. Or questa trattazione, che a quei d poteva essere necessaria, riuscirebbe presentemente di minor pro e forse di soverchia noia ai lettori; e per abbiamo creduto bene di omettere interamente l'ultimo Capo di questo libro, che tutto di questa materia. 47 Negli ultimi mesi di quest'anno 1550 giunsero In Roma dalla Spagna i Padri Antonio Araoz, Andrea Oviedo, Diego Mirone, Francesco Strada, e con essi pure S. Francesco Borgia, gi da quattro anni addietro Professo della Compagnia, ma ancora in abito da secolare e da duca. Indi a poco sopraggiunse dalla Sicilia il P. M. Giacomo Lainez. Dimoravano in Roma i Padri Miona, Frusio e Polanco, tutti e tre Professi. Or Ignazio caduto malato nella festa del S. Natale, n potutosi riaver cos presto dall'estrema debolezza, mand ai 30 di gennaio del susseguente anno 1551 a tutti questi Padri adunati la lettera, che qui appresso riferisce il nostro Autore. Quindi mi pare fuori di proposito l'avvertenza posta dal P. Genelli nella sua Vita di S. Ignazio, ove dice, doversi correggere l'Orlandini e Ribadeneira, i quali pongono nel 1550 la rinunzia d'Ignazio al Generalato. Dicono essi , che nel 1550, Ignazio convoc in Roma alcuni dei Padri principali dell'Ordine; il che verissimo: e che poi, adunati che furono, mand loro in iscritto la sua deliberazione; e ci pure innegabile, non avendo determinato, se avvenisse sul fine del 1550 o sul cominciare dell'anno appresso. 48 In tre luoghi, come scrive qui il Ribadeneira, fu aperto successivamente il Collegio Romano prima che si stabilisse, ov' presentemente. Nel febbraio del 1551 si di principio e nome di collegio ad una piccola e povera casuccia, che ai tempi del Bartoli era ancora in piedi alle radici del Campidoglio. Quivi dalla casa de' professi passarono ad abitare quattordici dei nostri giovani, e loro Rettore il P. Giovanni Pelletario: e vi si apersero le sole scuole basse delle tre lingue greca, latina e italiana. Nel settembre del medesimo anno, essendo cresciuto il numero dei nostri e degli esterni, si convenne prendere a pigione un'abitazione pi ampia. Era questa situata lungo la via, che dalla casa del Ges mette alla Minerva. Fu gi casa della famiglia Capocci, poi dei Frangipane, e in fine dei Monaci Silvestrini, che nel 1631 vi edificarono il Monistero e la chiesa di S. Stefano. Alle scuole inferiori si aggiunsero le superiori della filosofia e della teologia scolastica; e di questa furono primi lettori il P. Martino Olave e il P. Andrea Frusio. Nei cinque anni, che vennero appresso, i soli nostri giovani, che si allevavano nel Collegio Romano, montarono fin presso a ducento: e concorrendovi ogni d pi, anche da paesi lontani, giovent numerosa, si dovette di nuovo trasferire il collegio nel palazzo di Giambattista Salviati, posto nel foro, che allora chiamavano dell'Olmo, verso la chiesa di santa Maria in Via Lata; il quale palazzo

fu poi ragguagliato al suolo per dar luogo all'ingrandimento della piazza. Stati quivi quattr'anni, nel 1560 passarono nelle caso di rimpetto, lasciate loro dalla marchesa della Valle D. Vittoria Tolfa, ove in fine il Sommo Pontefice Gregorio XIII edific dai fondamenti la nuova Universit. 49 Non a dire la stima e la riputazione altissima che di s lev in Napoli il P. Salmerone. Per istanza fattane da Alberto Duca di Baviera, mandato nel 1549 a leggere S. Scrittura nello studio d'Ingolstad, vennero a Roma lettere d'illustri personaggi, che ne lamentavano la perdita e ne chiedevano a S. Ignazio il ritorno. Fu tra questi Antonio Minturno, colto letterato e scrittore di quel secolo, avuto in tanto pregio dal Tasso, che l'introdusse come principale interlocutore nel suo dialogo della Bellezza, intitolato perci il Minturno: uomo in fine, che accoppiando a gran dottrina una esimia piet, fu fatto vescovo prima di Ugento e poi di Cotrone. Questi pure scrisse a S. Ignazio la lettera, che qui trascriviamo fedelmente dall'originale. Molto R.do Padre e mio osservandiss. Io non potrei mai rendere tante grazie alla R. P. V., di quante mi riconosco esserle tenuto, d'averci mandato tale e tanto Padre, quale e quanto il fido Don Alfonso Salmerone, la dottrina del quale s piaciuta a questa citt, ch'io non ho veduto ancora un altro, il quale sia stato udito s intentamente. Perciocch avendomi scritto la P. V. che quello veniva per predicare, ovvero per leggere come pi paruto fosse conveniente, io con alcuni altri stimammo che, per trovarsi i migliori pulpiti occupati, legger dovesse. E bench cominciato avesse con poca audienza per non essere ancora conosciuto; nondimeno dapoi che se ne cominci ad aver notizia, concorsero auditori assai e tuttod concorrevano. Onde quando intesero che il detto P. Salmerone prese licenzia per ritornarsene in cotesta citt, rimasero tutti in grandissimo dispiacere; perch quando essi credevano per la lezione di quello doversi torre dalla mente d'alcuni quegli errori che per li nostri peccati si sono troppo per l'Italia diffusi, si videro privati di questa speranza. E certamente se il detto Padre fosse qui dimorato alcun tempo in leggere, avrebbe fatto grandissimo frutto: e com'egli medesimo pu testificare, ha di s qui lasciato grandissimo desiderio. Onde quando fosse possibile che la V. P. ci rimandasse il detto Padre, tutta questa citt in sommo obbligo le rimarrebbe. Sia pregato il Signore di accrescerle la sua grazia. Di Napoli a' 6 d'Aprile 1551. Di V. R. P. Ubbidientiss. Servitore Antonio Minturno . 50 In lode del p. Claudio recit in Vienna l'orazione funebre il V. P. Pietro Canisio, il quale in una sua lettera scritta al Polanco fa un bello elogio delle virt e della santa vita del medesimo Padre. 51 Contro il decreto della Sorbona e in favore della Compagnia scrissero in Italia e mandarono a Roma, dove tuttavia si conservano, lettere testimoniali il Riformatore e i lettori dell'Universit di Ferrara; fra Girolamo Papino Domenicano di Lodi e Inquisitore di Ferrara; Egidio Foscarari Vescovo di Modena; Giovanni Campeggi Vescovo di Bologna; Girolamo Sauli Arcivescovo di Genova e vicelegato di Bologna; il Doge e la repubblica di Genova; Cosimo Il Duca di Firenze; il Vicario e Commissarii dell'Inquisizione di Firenze; D. Giovanni de Vega Vicer di Sicilia; il Card. Giovanni Andrea Mercurio Arcivescovo di Messina con esso i Giurati della medesima citt; in Ispagna Vicari Generali di Placenzia e di Siviglia; l'Universit di Vagliadolid; il Senato e il Consiglio di Gandia; gl'Inquisitori di Saragozza; In Portogallo Il re e la citt di Lisbona; l'Universit di Coimbra, e fra Girolamo Oleastro domenicano Inquisitore di Evora; in Germania Ferdinando I re de' romani; Alberto Duca di Baviera; e Filippo Giacomo Witmanstadio accademico di Vienna: e finalmente nel Belgio Adriano Cornelio de Browershavn Rettore dell'Universit, e il Decano di Lovanio. 52 Tutto questo fatto della elezione e nominazione del Patriarca di Etiopia racconta pi distesamente e per minuto il P. Luigi Gonzalez nel suo diario manoscritto. Ad istanza, dice egli, e a richiesta del Prete Gianni imperatore di Etiopia, il re Giovanni Terzo si propose di mandare col un Patriarca, perch ammaestrasse que' popoli e li riducesse all'ubbidienza della Chiesa romana. Lanno 1546 fece dimandare ad Ignazio per questo uffizio e per questa dignit il P. Fabro, la cui virt e prudenza era nota in questo regno: e a lui pure diede lettere commendatizie, quando part di qua col P. Araoz per Castiglia. Quasi al medesimo tempo che giunse in Roma questa dimanda, Dio chiam a se il P. Fabro: e cos il P. Ignazio offer in suo luogo il P. Pascasio Broet. Ma non avendo il Re alcuna cognizione di lui, non l'accett, n allora pi si tratt di questo affare. Nondimeno Nostro Padre l'ebbe s caro e il prese cos a petto, che intorno al medesimo fece con somma diligenza una istruzione, nella quale, oltre il frutto della conversione e il bene della Chiesa, provava con molte

ragioni rilevare assai al servizio del Re, che si mettesse in esecuzione. E questa istruzione egli invi a me in questa Provincia con sue lettere al Re; e mi scrisse, e credo di suo pugno, con molta efficacia, che nel trattar questo affare usassi tutta la diligenza e premura possibile: e mi ricordo, che nelle lettere dirette al Re, dopo aver molto raccomandato la cosa, gli offeriva tutta la Compagnia, perch da essa scegliesse le persone che parevano pi adatte a quella dignit; e soggiungeva, che ove sua Altezza giudicasse cos essere necessario, egli stesso in persona lascerebbe tutto e andrebbe in Etiopia. Allora non si pot conchiudere nulla; finch l'anno 1554, stando io in Roma, mand un'altra volta il Re a dimandare ad Ignazio tre della Compagnia, uno dei quali dovea subito essere fatto Patriarca di Etiopia e i due altri Vescovi con diritto di successione, e aggiunse, che desiderava che fossero portoghesi; e se ci non si poteva, di qualsivoglia altra nazione. Per questa notizia si rallegr sommamente Nostro Padre; e ordin che si dessero in iscritto a tutti i Padri di Roma i tre punti dell'istruzione, di cui ho parlato di sopra. E mi pare, bench di questo non sia cos certo, che nel tempo stesso prese i pareri e i voti di tutti per l'elezione di quelli che dovevano essere inviati. E perch l'ambasciatore di Portogallo differiva la spedizione del negozio, Nostro Padre mi comand per tre mesi continui che io andassi un giorno s e l'altro no alla casa di lui, che era molto lontana dalla nostra, e gli ricordassi di condurre a fine questo affare. E questo andare fu cos continuato, che noi gi lo chiamavamo la terzana del Signor Ambasciatore. Nel tempo stesso che il re trattava per la seconda volta questo affare, arriv in questo regno il P. Giovanni Nugnez da Tetuam, ove per ordine dell'ubbidienza adoperavasi nel riscattare gli schiavi di Africa. Or dovendo, per questo praticar nella Corte, il re fu s preso di lui, che segnatamente il propose al P. Ignazio per la dignit di Patriarca. Riseppelo il P. Giovanni Nugnez, e scrisse a nostro Padre una lettera, nella quale dichiarava quanto gli riuscirebbe grave il peso di quella dignit, e quanto egli debole e inetto in portarlo, mostrando nel tempo istesso molta indifferenza e grande prontezza per qualunque croce e fatica, che l'ubbidienza gl'imponesse, specialmente nella conversione degl'infedeli di Etiopia e di tutte le altre parti dell'India: onde si vedea chiaro, ch'egli fuggiva e ricusava l'onore della dignit, e cercava e desiderava i patimenti e i travagli di essa. Il P. Ignazio fu s pago di questa lettera, che solamente per essa, dopo aver preso informazione da quelli che lo conoscevano, lui elesse per quella impresa. Fin qui il Gonzalez. 53 Conservasi tuttavia una lettera originale di S. Francesco Saverio, nella cui soprascritta leggonsi queste precise parole, che sono l'indirizzo della medesima. Al mio Santo Padre Ignazio in Roma. 54 La testimonianza tradotta fedelmente dall'originale spagnuolo, che tuttavia si conserva, dice cos: D. Gaspare de Quiroga per la misericordia di Dio Prete Cardinale della romana Chiesa del titolo di S. Balbina, Arcivescovo di Toledo, Primate delle Spagne, Cancelliere maggiore di Castiglia, Inquisitore apostolico generale contra leretica pravit e apostasia nei regni e signorie di Sua Maest, uno dei Consiglieri di Stato e presidente di quello d'Italia ecc. a tutti e singoli, che leggeranno le presenti lettere, salute nel Signor nostro Ges Cristo. Essendo cosa molto conveniente per la gloria di Dio, e per l'onore dei suoi servi, edificazione della Santa Chiesa Cattolica ed esempio di tutti i fedeli, che siano conosciuti e stimati gli uomini di singolare virt, di rara di eccellente santit, che il medesimo Signore manda al mondo, perch eccitino ed infiammino gli altri con la loro vita esemplare; e poich tra gli altri gran Servi, che Dio si compiaciuto in questi miseri tempi di mandar alla sua Chiesa, che presentemente cos perseguitata e tra vagliata dagl'infedeli ed eretici, suoi nemici, uno stato il glorioso P. Ignazio di Loiola, Fondatore e Padre della venerabile Compagnia di Ges, il quale, con l'esempio della sua santa vita, con la sua salutare dottrina, con la fondazione, propagazione e col governo della sua medesima religione, stesasi in cos pochi anni per tutto il mondo, ha riportato grandissimo frutto, s nel resistere agli eretici, s nell'illuminare i gentili e nel riformare la vita dei fedeli cattolici, come cosa notoria. Pertanto avendo noi conosciuto, e trattato famigliarmente il detto glorioso Padre, e maneggiati con lui molti affari in Roma, ci che noi riputiamo gran favore di Dio, e avendo noi certa contezza della sua santa vita, affinch Dio sia pi glorificato in questo suo Servo, dichiariamo con queste nostre lettere, essere verissimo che noi lo abbiamo conosciuto, e abbiamo trattato pi volte, e avuta stretta famigliarit con lui, n mai abbiamo veduto, n udito cosa, che punto o poco non si convenisse alla gravit e santit di un perfetto e santo uomo: sempre labbiamo tenuto per uomo veramente umile,

mansueto, paziente, caritatevole, zelante della divina gloria e del bene dei prossimi, dispregiatore del mondo, prudente e magnanimo, e in tutte le variet dei tempi s prosperi, come avversi, abbiamo sempre avvisato in lui, con nostra gran meraviglia, uno stesso sembiante lieto e sereno e una religiosa gravit, dimostrando nella compostezza del volto la pace interna dell'animo, e finalmente l'abbiamo conosciuto e trovato tale qual conveniva che fosse quegli, che Dio nostro Signore ha eletto per un'opera cos grande, come fu la fondazione, la propagazione e il frutto della sua santa Religione. Perci noi crediamo piamente, che l'anima sua sia gi in cielo e in possesso della gloria meritatasi con le sue fatiche. E in fede spediamo queste nostre lettere sottoscritte di nostra mano, segnate col nostro sigillo, e autenticate dal nostro Secretario. Di Madrid alli 6 di Luglio 1597. Gaspar Archiep. Toletanus55 Fra queste cos onorevoli testimonianze della virt e santit d'Ignazio merita il suo posto anche quella di Maurizio Cataneo, illustre personaggio di quel tempo, e tanto caro al Tasso e tanto da esso stimato, che come al Minturno il dialogo della Bellezza, cos a questo volle egli intitolato l'altro suo dialogo degl'Idoli, appellato perci il Cataneo, dove lo fa parlare come il primo fra gl'interlocutori. Questi adunque nell'occasione di aversi a fare i processi per la beatificazione d'Ignazio, interrogato giuridicamente se l'avesse conosciuto e qual opinione ne avesse, rispose: Io ho conosciuto il P. Ignazio di vista, ed ho sentito pi volte le sue prediche non solo nella chiesa di S. Maria della Strada, dove oggi , la chiesa del Ges, ma ancora in Banchi, dove da un luogo elevato in pubblica strada predicava; e l'ho sempre udito nominare e reputare per uomo dabbene, inimico de' vizi, e che faceva professione d'indurre con le maniere e parole sue le persone al servizio di Dio; e di que

to ne era fama pubblica per tutta Roma; ed era tenuto come un Santo. 56 Nel Libro I di questa Vita (p. 40) si narrato quanto si adoper a benefizio del Santo in Manresa, e poi dopo ancora, la nobile famiglia degli Amigant; e quanto parimente si studi Ignazio per dimostrare ad essa, come meglio poteva, la gratitudine che vivissima ne serbava ognora in suo cuore. Appena che egli ebbe ottenuta da Paolo Terzo la confermazione della Compagnia e che da questa ne fu egli medesimo costituito Preposito Generale, non manc di darne subito notizia per lettere a quegli esimii suoi benefattori, e aggiunse, che se, quantunque peccatore, si fosse meritato di godere Iddio nella gloria, non si sarebbe giammai dimenticato di coloro che gli avevano fatto tanto di bene. E ne ottenne di fatto la promessa, come speriment pi volte quella famiglia; ma particolarmente nell'anno 1635: imperocch trovandosi un giorno Giovanni d'Amigant gi vecchio vicino al convento di S. Chiara di Manresa, quivi venne egli improvvisamente soprapreso da un veemente colpo di paralisia; e come solo ch'egli era, non ebbe a cui di mandare aiuto, che il suo Ignazio. Invocollo adunque di gran cuore, e se 'l vide subito innanzi in quell'aspetto e in quell'abito da mendico, come era, quando anticamente albergava nella casa di lui. Non fu che di un brevissimo istante tale apparizione; ma fu ben assai meraviglioso l'effetto che produsse. Perciocch l'infermo si sent da prima grandemente confortato; poi senza saper come si trov appoggiato ad una croce di pietra ch'era ad alquanti passi dal luogo dove l'aveva preso il male; quindi ritornare le forze; ed indi a poco del tutto guarito. 57 Ribadeneira in Vita breviore58 Bartoli in Vit. S. P. 59 Ribadeneira in Vit. brev. 60 Ribad. ibid. 61 Ribad. ibid.62 In Processo Canonizat. S. P. 63 Ribadeneira in Vit. brev.64 Ribadeneira in Vit. brev.65 Vita del V. P. Pignatelli, lib. I, . 10.

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