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PROPRIET INTENZIONALE DELL'ATTO COGNITIVO.


L'ATTO COGNITIVO COME ATTO INTENZIONALE: REALISMO, RAPPRESENTAZIONISMO, NATURALISMO.

Obiettivo di questo paragrafo fare chiarezza sulla necessaria propriet intenzionale dell'atto cognitivo. Contro ogni riduzione e/o naturalizzazione dell'atto intenzionale conveniamo nell'idea che, nonostante l'atto cognitivo nella sua complessit non possa fare a meno della componente sensibile quale sua propria componente intrinsecamente essenziale, l'operazione intellettiva dell'azione cognitiva sia, in ultima analisi, una operazione immanente immediata, il che significa che una operazione spirituale. Tenendo bene a mente quanto espresso nel paragrafo dedicato al metodo cognitivo come promosso da Aristotele e Tommaso circa il processo dell'azione cognitiva, non ci ripeteremo oltremodo nel designare quale l'oggetto originario di conoscenza e la sua costituzione. Piuttosto sottolineeremo la distinzione tra una conoscenza a carattere intenzionale cos come rintracciabile nel realismo filosofico, una conoscenza a carattere intenzionale cos come concepita nella filosofia rappresentazionista (empirista, idealista, e trascendentale), e, infine, una conoscenza di matrice scientista/naturalista al fine di vedere se anche in quest'ultimo caso si pu parlare concretamente di operazione intenzionale nell'azione cognitiva. Storicamente possiamo ricollegare tutte le varie teorie della conoscenza in uno dei tre modelli e/o impostazioni dell'azione cognitiva sopra elencati. Teoricamente per solo il primo di essi, quello che concepisce l'intenzionalit quale condizione dinamica tra soggetto e oggetto, ossia la capacit che la coscienza ha nel dirigersi verso il suo contenuto intenzionale, pu dirsi a tutti gli effetti essere il fondamento di ogni teoria cognitiva, anche di quelle che non convengono del tutto o in parte con i principi promossi da siffatta analisi del processo gnoseologico. A questo punto la domanda da porsi perch l'azione cognitiva non pu che essere intenzionale? E che differenza c' tra i modi di intendere la stessa nozione di intenzionalit tra le diverse impostazioni filosofiche? Il differente valore semantico della nozione di intenzionalit solo diverso ma complementare o, invece, si pone come una giustapposizione tra queste diverse correnti filosofiche? Una prima risposta a queste domande ci offerta da Basti che scrive:
L'analisi rappresentazionista della conoscenza considera come costitutivo della verit della conoscenza l'evidenza dell'oggetto ideale della conoscenza interno alla coscienza: la rappresentazione, appunto. Tale oggetto ideale pu essere considerato o come idea intelligibile evidente o concetto (= rappresentazionismo razionalista) o come idea sensibile evidente o sensazione (= rappresentazionismo empirista) o come una sintesi di

ambedue che consideri l'autocoscienza, o coscienza delle rappresentazioni coscienti, come fondamento trascendentale della conoscenza (rappresentazionismo trascendentale). Nel rappresentazionismo insomma una conoscenza vera non perch adeguata al reale, ma perch l'idea rappresentata alla mente evidente alla coscienza. Viceversa, in una prima approssimazione che in qualche modo contiene tanto l'elaborazione moderna, fenomenologica, quanto quella scolastica, aristotelico-tomista sull'intenzionalit, una teoria intenzionale della conoscenza definisce come costitutivo dell'atto cognitivo non l'evidenza dell'idea, ma la relazione o direzione ad un contenuto della conoscenza stessa. In una parola, costitutivo dell'atto cognitivo la relazione intenzionale soggetto-oggetto1.

Basti ha cos delineato il punto di confine tra la conoscenza di stampo aristotelico-tomista e fenomenologica da un lato e rappresentazionista dall'altro. Punto di confine che coincide col carattere intenzionale quale proprium dell'azione cognitiva. Inoltre, nell'estratto appena riportato, Basti evidenzia anche un altro fattore estremamente importante che conseguenza della nozione di intenzionalit cos come fatta propria dalla modernit (ad esclusione della scuola fenomenologica), ovvero la questione inerente la verit. Ora non ci soffermeremo su questa tematica giacch trattata in un capitolo a parte; ciononostante bene sapere che la verit quale evidenza piuttosto che adeguazione condizione necessaria di tutte le filosofie di matrice rappresentazionista. Torniamo ora sulla differenza tra ci che significa intenzionalit nella filosofia scolastica e fenomenologica, dal significato che assuma invece nelle correnti di pensiero rappresentazioniste. Nella filosofia scolastica e nella tradizione fenomenologica si pu parlare di vera intenzionalit, ossia si pu considerare l'intenzionalit nel senso pi pregnante e autentico del termine. Questo per il fatto che entrambe considerano l'atto intenzionale come la capacit dell'intelletto di dirigersi verso l'oggetto di conoscenza. In pi, il realismo, a differenza della fenomenologia, esplica in modo assai chiaro le prime due operazioni costituenti l'atto intenzionale. La fenomenologia, di controparte, pone le sue attenzioni esclusivamente sulle due riflessioni dell'intelletto (coscienza ed autocoscienza), senza per negare l'intero sviluppo e processo intenzionale dell'atto cognitivo. Invero, la fenomenologia implicitamente conviene anche nelle cosiddette prime due operazioni dell'intelletto (apprensione dell'essenza e formulazione del giudizio); e questo possibile affermarlo sicch essa, la fenomenologia, conviene nell'esistenza di una totalit di fenomeni ontologicamente indipendenti, e concepisce quindi la verit come una forma di adeguazione. Nel paragrafo precedente abbiamo fatto osservare la distinzione che Tommaso apporta all'atto intenzionale distinguendo l'intenzionalit in diretta ed in indiretta. Riprendendo brevemente questa distinzione ricordiamo che per intenzionalit diretta l'Aquinate intendeva il dirigersi della coscienza (o intelletto) verso l'oggetto ontologicamente sussisistente, per intenzionalit indiretta il dirigersi della coscienza verso la rappresentazione dell'oggetto di conoscenza.
1 Gianfranco BASTI, Filosofia dell'uomo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2008, 197-198.

Similmente possiamo utilizzare questa intrinseca distinzione della nozione di intenzionalit per varcare l'angusto confine che separa realismo e rappresentazionismo. Il realismo filosofico infatti incorpora nel suo metodo cognitivo quelle che abbiamo definito le operazioni dell'intelletto e le riflessioni dello stesso. Orbene, una teoria della conoscenza che pu dirsi epistemicamente consistente si avvale in un primo momento dell'intenzionalit diretta (in esplicito riferimento alle operazioni dell'intelletto), ed in un secondo momento dell'intenzionalit indiretta (per ci che concerne il duplice momento riflessivo dell'intelletto). Difatti, Tommaso utilizza il termine intentio sia per indicare l'attenzione della facolt conoscitiva2, sia per sottintendere i modi in cui un oggetto si rende manifesto all'atto cognitivo intellettivo3. Basti, riprendendo l'Aquinate, bene attento a distinguere tra le operazioni dell'intelletto e le riflessioni dello stesso. Scrive sulle due operazioni dell'intelletto4:
Le due operazioni dell'intelletto (apprensione dell'essenza e formulazione del giudizio), mediante le quali esso escogita, costruisce i concetti, le idee e le loro definizioni sulle cose in forma di enunciati, per riferimento alla realt attraverso la sensazione (conversio ad phantasmata). Nelle due operazioni dell'intelletto la relazione intenzionale dunque fra il soggetto conoscente e l'oggetto reale esterno al soggetto dell'atto cognitivo. Nelle due operazioni dell'intelletto, esso perci non rivolto a se stesso, chiuso su di s, come quando riflette su di s nella coscienza o nell'autocoscienza, ma rivolto ai sensi e, attraverso di essi, aperto alla medesima realt esterna al soggetto conoscente. Per questo Tommaso parla, per le prime due operazioni dell'intelletto di conversio ad phantasmata (conversione alle sensazioni) e non di reflexio ad semetipsum (riflessione su se stesso)5.

Continua sulle due riflessioni dell'intelletto6:


2 Cfr. TOMMASO, De Veritate, q. II, a. 3, ad 2; q. 13, a.3; q. 21, a. 3, ad 5 3 Cfr. TOMMASO, Summa contra Gentiles, q. 78, a. 3 4 In particolare, cos Basti definisce l'apprensione dell'essenza: L'atto dell'intelletto agente. Ripiegandosi sul dato sensibile individuale, singolare, per illuminarlo in quanto tale nella sua irriducibile specificit che non riportabile ad alcuna esperienza precedente, astrae quella che la differenza specifica propria dell'oggetto rendendola cos intelligibile, conoscibile in forma universale per qualsiasi individuo umano, nel passato, nel presente e nel futuro si dovesse applicare a conoscere quel medesimo oggetto [Cfr. Ivi, 252]. E cos definisce la seconda operazione dell'intelletto: Formulazione del giudizio mediante cui esprimiamo a noi stessi cosa abbiamo capito, riapplicando l'essenza appresa sui dati sensibili per vedere se effettivamente ci che ci sembra di aver compreso davvero si adegua ai dati da cui eravamo partiti [Cfr, Ibidem]. 5 Ivi, 199-200. 6 Basti cos definisce la prima riflessione: La prima riflessione accompagna l'intelletto in ogni sua operazione, sia diretta intenzionalmente alla coscienza delle cose esterne al soggetto, sia diretta intenzionalmente a conoscere se stesso (= seconda riflessione). Essa dunque coscienza, cumscientia, qualcosa che accompagna sempre la conoscenza e quindi anche la conoscenza vera (scientia), ma, diversamente da quanto afferma il rappresentazionismo, non ne fonda la verit. La prima riflessione, dunque, accompagna l'atto intellettivo, sia mentre esso sta escogitando le idee e i concetti sulle cose stesse, sulla realt esterna al soggetto conoscente attraverso le prime due operazioni dell'intelletto, sia mentre sta escogitando idee e concetti su se stesso, sulla propria interiorit (meditazione, introspezione) e sulla natura delle proprie idee (scienza logica e riflessione epistemologica), attraverso la seconda riflessione. La prima riflessione consister perci in ci che l'analisi introspettiva della conoscenza comunemente definisce la coscienza,

Le due riflessioni su se medesimo dell'intelletto (prima riflessione o coscienza e seconda riflessione o autocoscienza) mediante le quali esso diviene consapevole delle sue stesse operazioni e delle idee che produce, sia mentre sta eseguendo le due operazioni medesime (= prima riflessione), sia dopo che le ha eseguite (= seconda riflessione). Nelle due riflessioni dell'intelletto la relazione intenzionale dunque fra il soggetto conoscente e l'oggetto ideale interno al soggetto dell'atto cognitivo7.

Come si pu apprendere dalle citazioni sopra riportare intenzionalit si pu dire in due modi: la prima in relazione alle operazioni dell'intelletto, ossia la capacita intenzionale della coscienza di dirigersi verso l'oggetto ontologicamente ed indipendentemente inteso; la seconda in relazione alle riflessioni dell'intelletto, ovvero la capacit della coscienza di dirigersi verso l'oggetto ideale (rappresentazione) di conoscenza. Nonch entrambe sono a tutti gli effetti movimenti dinamici ed intenzionali dell'intelletto, solo nel primo caso, quello delle operazioni intellettive, si pu parlare di una intenzionalit forte, di una intenzionalit cio capace di trascendere la sfera egocentrica dell'agente epistemico. Nel secondo caso, quello delle riflessioni dell'intelletto, la capacit intenzionale della coscienza per certi versi pi debole, in quanto il suo protrarsi pur sempre costipato nella sfera dell'io. A questo punto lecito domandarsi se concretamente possibile il darsi della conoscenza ammettendo solo una di queste capacit intenzionali della coscienza, oppure, se necessariamente devono essere presupposte entrambe per la finalizzazione dell'azione cognitiva. La distinzione tra filosofia realista e filosofia rappresentazionista risiede proprio nella risoluzione di questa domanda. Mentre il realismo filosofico ammette entrambe le capacit intenzionali della coscienza, in particolare la sua capacit diretta nel processo induttivo dell'epagogh quando si astraggono le caratteriste essenziali dagli enti particolari per giungere alla definizione universale degli stessi e la sua capacit indiretta nel sillogismo deduttivo quando l'analisi inferenziali si muove per idee e concetti, i rappresentazionismi di ogni genere convengono nella solo capacit indiretta
ovvero la consapevolezza di s e della propria operazione che accompagna ogni operazione cognitiva del soggetto. Si tratta insomma di quel capire di capire, di quel sapere di sapere che accompagna ogni atto cognitivo del soggetto umano [Cfr. Ivi, 201]. Cos invece si esprime sulla seconda riflessione: La seconda riflessione invece, suppone la prima riflessione dell'intelletto e le altre due operazioni dell'intelletto. Suppone infatti le idee ed i concetti come gi costituiti attraverso le due operazioni dell'intelletto e resi consapevoli mediante la prima riflessione. Nella seconda riflessione, insomma, l'intelletto non ha mai per oggetto la realt esterna al soggetto mentre egli la sta comprendendo, bens ha per oggetto o le stesse idee precedentemente costituite dall'intelletto e/o l'atto intellettivo medesimo per analizzarli, le une e l'altro, introspettivamente. In una parola, nella prima riflessione l'intelletto cosciente di se stesso ad occhi aperti, in relazione intenzionale con la realt esterna al soggetto. Nella seconda riflessione, invece, l'intelletto cosciente di se stesso ad occhi chiusi, riflettendo unicamente su se stesso e sulle proprie idee, come avviene in ogni atto introspettivo o di meditazione di un soggetto umano. Se la prima riflessione pu essere cos definita modernamente come coscienza, la seconda riflessione quella che pu essere modernamente definita come autocoscienza [Cfr. Ivi, 202]. 7 Ivi, 200-201.

dell'atto intenzionale della coscienza 8. Ma possibile il giustificarsi di un processo cognitivo esente dalla sua capacit intenzionale diretta? A questo punto riprendiamo un breve passo del Padre Domenicano Tito Centi, erudita e cultore del pensiero di Tommaso.
L'idea astratta non l'idea platonica, piovuta da un mondo trascendente: un'immagine della realt concreta, con una forza di rappresentazione che abbraccia tutti gli individui di una specie. La rappresentazione necessariamente universale, ma l'intenzionalit di essa raggiunge i soggetti concreti, che vengono rappresentati nella loro concretezza soltanto nelle facolt sensitive. Quando io penso al cane so di non pensare a una realt astratta, ma concreta; appunto perch la mia idea di cane, per la sua intenzionalit originale, raggiunge gli individui nella loro concretezza. Nell'atto della riflessione posso rilevare l'universalit della mia idea di cane; ma posso anche rivolgere l'attenzione sul termine concreto di essa. Ed ecco allora che la mia idea viene a concretarsi in questo individuo presentato dai sensi9.

Dall'estratto di Padre Centi si pu individuare un esito negativo alla domanda posta poc'anzi per un duplice motivo: il primo per il fatto che se una teoria della conoscenza vuole dirsi epistemicamente consistente, in ultima analisi, non pu che non fondare le rappresentazioni mentali dell'oggetto interno di conoscenza sulla forma essenziale dello stesso oggetto, stavolta esterno, di conoscenza; ed il secondo perch le teorie epistemologiche che negano l'intenzionalit diretta convengo in una teoria della verit che si fonda sull'evidenza della rappresentazione mentale piuttosto che sull'essere sostanziale dell'oggetto esterno di conoscenza (problematica che conduce all'identificazione della verit con la certezza). Una teoria della conoscenza epistemicamente consistente non pu prescindere da nessuno di questi due momenti intenzionali dell'intelletto; e se il realismo filosofico fonda le sue premesse su questa duplice differenziazione dell'azione intellettiva, le filosofie rappresentazioniste della modernit hanno considerato solo il secondo aspetto finendo per negare quella che la scolastica chiamava intenzionalit diretta. Una obiezione a questo punto lecita: perch la fenomenologia che al pari delle filosofie rappresentazioniste muove anch'essa le proprie inferenze sillogistiche dal pensiero piuttosto che dall'essere delle cose pu rivendicare l'aspetto intenzionale (nel senso pi pregnante del termine) della coscienza? La risposta non risiede esclusivamente nella concezione precedentemente espressa circa la nozione di intenzionalit che ne danno Brentano prima ed Husserl poi, quanto invece perch convengono in entrambe le specificazioni intenzionali (diretta ed indiretta). Se pur vero che la fenomenologia si interessa esclusivamente dell'intenzionalit indiretta, ponendo le sue analisi esclusivamente sulla scia soggetto-rappresentazione (io-fenomeno psichico) per tutti i motivi esposti nel paragrafo precedente, vero allo stesso tempo che
8 Non a caso i rappresentazionismi hanno da sempre prediletto articolare le proprie inferenze sillogistiche sul metodo scientifico, cio sul sillogismo deduttivo. E Tommaso dice bene quando afferma che la scienza non altro che una riproduzione nell'anima della realt conosciuta, poich la scienza detta essere l'assimilazione del conoscente al conosciuto. Cfr. TOMMASO, De Veritate, q. 11, a. 1, arg. 11. 9 Tito CENTI, introduzione a: TOMMASO, Summa Theologiae, 2009, 138.

conviene nell'intenzionalit diretta, senza la quale non si darebbero le rappresentazioni, le quali vengono edotte dagli oggetti esterni. Per la scuola fenomenologia i fenomeni psichici, gli stessi che come tali sono rappresentazioni interne alla nostra mente, in quanto tali sono prima di tutto fenomeni fisici, ovvero enti ontologicamente indipendenti. Solo nel momento in cui codesti vengono vissuti (esperiti e/o conosciuti) dal soggetto attraverso le due riduzioni (intenzionali), da fenomeni fisici divengono a tutti gli effetti fenomeni psichici. La differenza tra la scuola fenomenologica e i vari e molteplici rappresentazionismi post-cartesiani risiede, quindi, proprio nel fatto che mentre questa implicitamente ammette l'intenzionalit diretta adottando, infine, una teoria di adeguazione della verit, quest'ultimi negano ogni forma di intenzionalit diretta, e cos facendo cadono inesorabilmente in un immanentismo senza uscita, sterile per ogni ricerca dell'arch, con-fondendo e sovrapponendo la verit alla certezza. Invero, negando un'intenzionalit diretta, si nega una trascendenza verso un mondo ontologicamente sussistente, e quindi si nega l'ente quale criterio regolatore di ogni giudizio di verit. Quindi, se si vuole parlare onestamente di processo intenzionale nell'atto cognitivo giusto affermare che solo il realismo filosofico ed il metodo fenomenologico adottando sia l'intenzionalit diretta che indiretta sono, di fatto, teorie intenzionali con la I maiuscola. Tuttavia ' possibile parlare di carattere intenzionale dell'atto cognitivo anche per le filosofie rappresentazioniste, vero, purch in questa accezione si concepisca l'intenzionalit come un dinamismo che, consapevolmente o inconsapevolmente, fluttua tra ego e rappresentazione, sempre cio all'interno dell'immanentismo soggettivista. Ma in questo senso la nozione di intenzionalit viene in un certo qual modo snaturalizzata e ridotta. Difatti, se in queste due correnti filosofiche (realismo e rappresentazionismo) si pu, seppur facendo chiarezza sul significato del termine, asserire che sono movimenti di pensieri intenzionali, c' un caso limite che nonostante si voglia presentare come teoria della conoscenza epistemicamente consistente, annulla del tutto il carattere intenzionale della coscienza. Questo tipo di impostazione filosofica chiamato naturalismo o riduzionismo. Le etichette linguistiche che specificano queste (presunte) teorie cognitive rimandano da come si pu intuire facilmente dai termini alla naturalizzazione della coscienza, riducendola cio alla materia. Ma possibile ridurre ci che per natura spirituale a qualcosa di materiale? possibile ridurre la psich, l'anima, la mente, la coscienza ad un organo di senso quale il cervello? La conoscenza, lo ribadiamo, un atto spirituale, e non pu essere considerata come la sola percezione di dati sensibili esterni al soggetto ordinati medianti gli organi di senso e, quindi, costituiti come rappresentazioni mentali. La rappresentazione, invero, sempre un'elaborazione intellettuale, che in quanto tale un operazione spirituale. L'azione cognitiva di adeguazione dell'intelletto alla forma dell'oggetto non dipende da nessun organo fisico. I neuroni non sono agenti epistemici. Il paragrafo successivo vuole mettere in risalto proprio questo aspetto che ha influenzato la forma mentis filosofica di alcuni pensatori di matrice positivista, esaminando oltremodo il ruolo che le cosiddette neuroscienze occupano nei

dibatti scientifici e filosofici dei nostri giorni. Alessandro Belli

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