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Prima conclusione alla quale siamo arrivati è che ciò che generalmente noi definiamo
come cancerogeni in realtà sono composti che in quanto tali non sono in grado di
svolgere un’azione oncogena nei confronti delle cellule, per questo motivo abbiamo
definito queste molecole pre-cancerogeni.
I pre-cancerogeni sono molecole di partenza, come per esempio gli idrocarburi
policiclici, le ammine aromatiche o un nitroso composto, che di per se non sono in
grado di svolgere quella che è la prima azione essenziale di un composto cancerogeno
che è quella di danneggiare il genoma di una cellula. Questi composti per poter
mettere in atto il primo evento nella storia naturale di un tumore cioè il determinare la
presenza di una mutazione in qualche gene che poi è coinvolto nella crescita
cellulare, nella morte cellulare o nei sistemi di riparo, in realtà viene svolto non dal
composto di partenza, ma da un suo metabolita che può essere molto diverso da
quello di partenza, ma che ha un’unica proprietà in comune che è quella di essere un
composto generalmente in deficit di elettroni e che quindi tende a interegire con siti
disposti a condividere elettroni come i siti nucleofilici e lo abbiamo definito
cancerogeno finale.
Divisione cellulare
P-53
Arresto del ciclo
Un esempio è dato dalla O-6- metilguanina che se la cellula non si dividesse sarebbe
comunque rimossa dalla achil-transferasi, la vita media di una di queste lesioni non
supera mai le 10-16 ore circa, per cui se la cellula non si divide entro 16 ore
interviene il sistema di riparo togliendo il metile, si ha la guanina e perciò la cellula
torna normale. Invece, se questa cellula che presenta la lesione viene messa in
condizione di dividersi deve scegliere se sopravvivere a costo anche di una minor
fedeltà nella replicazione del DNA (vedi per es. appaiamento sbagliato come nel caso
della timina), allora solo in questo caso andiamo incontro ad un evento irreversibile
(la timina viene difficilmente riconosciuta come base sbagliata), in quanto i sistemi di
riparo a parte il mismatch repair non sono in grado di riconoscere e rimuovere una
base propria del DNA semplicemente presente in un posto sbagliato del filamento.
Quindi la mutazione, che deve essere a carico di un gene critico per il processo
tumorale e non una mutazione qualsiasi, è il risultato di una serie di sottofasi ognuna
delle quali deve essere raggiunta e superata affinché si abbia un cancerogeno finale.
Se il pre-cancerogeno non viene metabolizzato in maniera tale da produrre il
cancerogenofinale, e se esso non è in grado di interagire con il DNA, e anche se
questo interagisse con il DNA, ma se il danno causato viene riparato dagli appositi
sistemi di riparazione, oppure se la cellula muore in tutti questi casi pur avendo il
cancerogeno, pur essendo stato metabolizzato, pur avendo danneggiato il DNA, non
si avrà mai cancro perché non ci sono cellule mutate.
Per poter parlare di processo tumorale bisogna superare tutti questi ostacoli che la
cellula oppone.
Vediamo la storia di come si è arrivati a questi concetti attraverso un supporto
scientifico.
Il processo tumorale è un processo multifasico, quindi non basta una sola fase, sono
diverse le condizioni che si devono venire a creare affinché si sviluppi un tumore. Il
concetto di multifasicità è relativamente recente, è stato acquisito in pieno intorno
agli anni 60 perché inizialmente si pensava invece che il processo tumorale fosse
costituito da due fasi, che fosse quindi difasico, e il modello con il quale si era
sviluppato questo concetto di difasicità era stato sviluppato sulla pelle. Si partiva
dall’osservazione che:
1. dando un composto genotossico, cioè in grado di danneggiare il DNA,in un
animale e aspettando anche tutta la vita non succedeva niente. Nonostante
presumibilmente si fosse determinato l’instaurarsi di un certo numero di
mutazioni, esse non erano in grado di favorire una sorta di crescita clonale che
potesse risultare nella comparsa del tumore.
2. visto che alcuni parlavano del tumore come il risultato di un processo irritativo
cronico, alcuni composti irritativi, che non sono genotossici, applicati sulla
pelle causavano necrosi e rigenerazione continua etc, ma non erano da soli in
grado di indurre tumore.
3. successivamente fu fatto un altro esperimento in cui si somministrava in
singola dose il genotossico utilizzato nel primo caso, e dopo un certo periodo
di tempo nel sito di inoculazione o di spennellamento se si trattava di un
idrocarburo policiclico venivano applicate somministrazioni ripetute dell’
agente irritativo ( non genotossico, causa solo necrosi e rigenerazione) e con
questo sistema si osservò che dopo un certo periodo di tempo sulla pelle di
questi animali comparivano papillomi (tumori benigni).
• se nel trattamento che genera la formazione del papilloma si
sospende la somministrazione dell’agente irritante si osserva la
regressione del papilloma.
• se invece la somministrazione continua per un tempo più lungo
si osserva l’evoluzione del papilloma a tumore maligno.
Osserviamo una sezione di fegato di una settimana dopo che è stata fatta
l’epatectomia parziale in presenza di 2-AAF. Ognuna di queste tantissime piccole
sfere rappresenta l’espansione clonale di una cellula iniziata. Questi foci sono
colorati, mentre gli epatociti normali sono bianche perché si è utilizzato un anticorpo
diretto contro l’enzima gamma-glutamil-transpeptidasi che normalmente nel fegato è
presente solo nelle cellule dei dotti biliari, gli epatociti una volta differenziati non
hanno più l’enzima che invece viene riacquistato dalle cellule neoplastiche. È un
marcatore molto semplice che ci permette di quantizzare il numero delle lesioni, e se
possono quantizzare posso anche stabilire se il composto x è un forte cancerogeno, se
il composto y è invece blando, oppure posso escludere la cancerogeneità di un altro
composto. Tutto questo posso valutarlo in 1 mese anziché in 1 anno perché dal
numero di lesioni pre-neoplastiche riesco anche ad anticipare l’eventuale effetto
tumorale e quindi la successiva comparsa di carcinomi.
Altra piccola lesione pre-neoplastica (si tratta di una piccola lesione costituita da 15
cellule circa) facilmente distinguibile dal fegato normale perché si è utilizzata
un’isoforma della glutatione transferasi, indicata come GSTP ( P sta per placentare
perché presente nel periodo prima della nascita). Epatociti normali differenziati
perdono questa isoforma, mentre è riacquisita dalle cellule iniziata.
Avendo questi marcatori si può seguire nel tempo come le cellule iniziate evolvono
formando noduli sempre più grandi che possono occupare anche l’intera superficie
del fegato fino a quando si sviluppa il carcinoma. La possibilità di andare ad
osservare anche le fasi precoci del processo tramite l’utilizzo dei marcatori ha
consentito di caratterizzare il pattern biochimico caratteristico delle cellule
neoplastiche. Si prende il fegato dove sono presenti le lesioni, si fanno sezioni seriali
e per ogni sezione posso studiare tutte le vie metaboliche utilizzando anticorpi anti-
qualcosa sempre nello stesso focolaio. Generalmente si osserva che:
1. Sono più ricchi in glicogeno. Hanno alterazioni a livello del metabolismo
glucidico.
2. Sono negativi per glucosio 6 fosfatasi
3. Sono positivi per glucosio 6 fosfato deidrogenasi. È l’enzima chiave nello shunt
dei pentoso-fosfati e probabilmente in questo caso ha come scopo quello di
favorire la sintesi del DNA tramite la produzione di equivalenti riducenti).
Posso stabilire quello che è il fenotipo delle lesioni pre-neoplastiche e dire che non
solo è più resistente a situazioni ostili perché ha una diversa capacità di attivazione
dei cancerogeni, ma posso anche spiegare perché alla fine questi crescano di più o di
meno rispetto alla popolazione normale. Tra questi marcatori di lesioni neoplastiche
ce ne sono alcuni molto importanti:
1. minor attività del citocromo P450 implicato nella fase 1, fase nella quale il
composto di partenza viene attivato tramite generalmente l’introduzione di un
atomo di ossigeno, la molecola è più reattiva dopo che è andata incontro a
questa fase di attivazione. Quindi queste cellule rispetto a quelle normali
attivano meno un composto che potenzialmente è cancerogeno.
→ diminuzione in: citocromo P450, ossigenasi a funzione mista
2. hanno invece una maggior attività degli enzimi della fase 2, il composto viene
metabolizzato meno nella forma attiva e quel poco formato viene letteralmente
aggredito da tutta una serie di sistemi difensivi che quindi impediscono a
questo metabolita di interagire con il DNA, e quindi possibilmente di causare
mutazioni.
→ aumento in: glutatione, GST, GSTP, γ -GT. UDPGT
3. l’alterazione dello shunt dei pentoso-fosfati osservabile tramite l’aumento della
G6PDH probabilmente conferisce loro anche un maggior vantaggio di crescita
(anche se questo è un po’ dubbio).
→alterazioni in: shunt dei pentoso-fosfati (G6PDH)
4. aumento della resistenza all’accumulo di ferro e trigliceridi: se prendo un
animale e se faccio in modo che il suo fegato si riempia di grasso tramite una
dieta iperlipidica, otterrò un fegato che non é altro che un ricettacolo di TG
che sono accumulati dentro gli epatociti. Se nel fegato sono presenti lesioni
pre-neoplastiche si osserverà che molte di esse non hanno all’interno TG,
quindi hanno imparato o hanno scoperto vie alternative che impediscono
l’accumulo di TG. Un accumulo prolungato di TG porta alla rottura e morte
della cellula, quindi le cellule trasformate non accumulano trigliceridi e
approfittano degli stimoli che si verificano nel fegato in seguito alla distruzione
degli epatociti normali. La stessa cosa è osservabile per il ferro. Le cellule
normalmente non sono in grado di smaltire bene il ferro, e una dieta ricca in
questo elemento ci permette di osservare il fegato colorato in blu, le uniche
zone non colorate sono rappresentate dalle lesioni pre-neoplastiche.
Questo concetto di resistenza ci spiega molti dei motivi per cui è difficile far fuori
cellule avviate lungo la strada che porta al tumore. Si tratta di una resistenza
generale, non solo riferibile ad una minor attivazione o maggior disponibilità degli
enzimi della fase 2, ma che può essere applicata a situazioni diverse fra loro.
Cancerogeno detossificazione cellula normale
Elettrofili
Cellula iniziata
Solo se vengono superati i meccanismi di difesa messi in atto dalla cellula posso
avere una cellula iniziata. E perché ci sia iniziazione è necessario almeno un ciclo
replicativo. Questa affermazione può essere supportata scientificamente facendo
riferimento al modello dell’epatocita resistente, da questo esperimento:
Diamo DENA a dose necrogenica, poi somministriamo 2-AAF e facciamo
un’epatectomia e si osserva la comparsa di foci, di noduli e carcinoma epatocellulare.
È necessario un ciclo replicativo oppure no ?
Effettuo un altro esperimento dove tengo tutto uguale al primo, tranne il fatto che la
singola dose di DENA non è cancerogenica, ma è comunque in grado di danneggiare
il DNA. In questo caso non ottengo né foci, né noduli,né carcinoma epatocellulare.
La DENA è stata metabolizzata e si forma lo ione metilcarbonio e interagisce con il
DNA, cosi si forma la O-6-etilguanina, ma mancando il ciclo replicativo, la lesione è
riparata dalla achiltransferasiche strappa il gruppo etilico, cosi si ha nuovamente una
cellula normale. Quando applico l’azione promuovente non promuovo niente perché
manca le cellule iniziate.
Se faccio un’epatectomia parziale e nel momento in cui c’è la massima sintesi del
DNA somministro una dose di DENA non necrogenica, osservo foci, noduli,
carcinoma epatocellulare. Non mi interessa più avere una dose necrogenica di DENA
perché la replicazione è assicurata dall’operazione chirurgica. La dose di DENA può
essere molto bassa, deve solo essere abbastanza sufficiente per indurre il danno al
DNA.
Il sistema di riparo di quanto tempo necessita per riparare il danno ?
• dose non necrogenica di DENA (che causa il danno al DNA, ma non replicazione)
e si effettua epatectomia dopo 12 ore, che porterà a proliferazione , infatti osservo
foci,noduli, cancro.
• Dose non necrogenica di DENA, e si effettua questa volta un’epatectomia dopo
una settimana. Questa volta non si hanno né foci, né noduli, né cancro.
Questo significa che se si aspetta un determinato periodo di tempo si permette al
sistema di riparo di intervenire e di correggere cosi il menoma, quindi quando applico
il regime promuovente le cellule sono ormai solo normali.
Questa serie di esperimenti ci permette di affermare che:
1. è necessario un ciclo replicativo per l’iniziazione
2. posso applicare anche lo stimolo proliferativo dopo aver dato la dose di
genotossico che non induce proliferazione, ma entro un certo periodo di tempo
perché altrimenti interviene il sistema di riparo. C’è un tempo critico entro il
quale il sistema di riparo deve intervenire.
Sono quindi due fasi importanti che mi permettono di definire la fase di iniziazione
Cancerogeno metaboliz. cell. danneggiata riparazione cell. iniziata
Mecc.di riparo
Cell. normale
Nota: la replicazione deve avvenire prima che le lesioni vengano riparate.
Promozione:
• processo in cui cellule iniziate danno luogo a proliferazione focale, una o più
delle quali possono agire come precursori per insorgenza di popolazioni
neoplastiche.
Diciamo una o più perché sappiamo che la maggior parte delle lesioni pre-
neoplastiche, viste prima e colorate con GSTP, non andranno mai incontro a
cancro, il fatto che una o due lesioni invece vanno incontro a questa evoluzione
è dovuta al fatto che sono diverse già dall’inizio, oppure che sia una questione
di probabilità, ossia su 100 lesioni pre-neoplastiche, quella che si trova in un
particolare punto, che è irrorata in maniera diversa, non sappiamo neanche noi
cosa di preciso, che le consentano di andare incontro a cancro.
Bisogna sapere che di fatto non tutte le lesioni pre-neoplastiche vanno incontro
a cancro, ma solo 1 o 2 circa sono in grado di evolvere.
• Possibili condizioni promuoventi: iperplasia e/o danno cronico che generano
una risposta proliferativa importante (emocromatosi, epatiti virali ed alcoliche).
La cellula iniziata non è in grado di andare incontro a cancro se non c’è la fase di
promozione, che porta alla formazione di un focus che poi si accresce sviluppando un
nodulo iperplastico, e successivamente vediamo che il marcatore che prima colorava
tutte le cellule ora ne colora solo alcune. Vediamo il focus ancora ben distinto, ma
non tutte le cellule sono colorate. Questo fenomeno con il passare del tempo aumenta,
infatti si hanno pochissime cellule colorate con il marcatore, fino a quando addirittura
non ne vediamo più. Questo fenomeno viene detto di rimodellamento ed è
probabilmente il risultato di un processo differenziativo che fa in modo che una
cellula normale che è stata modificata, ed è diventata una cellula iniziata, ha espresso
un clone di cellule che esprimono dei marcatori che non sono presenti negli epatociti
normali, ma lo sono nell’epatocita fetale, ma che in seguito riacquista il fenotipo
normale, quindi l’assenza di positività a questi specifici marcatori.
Contemporaneamente osserviamo che all’interno di queste popolazioni incomincia ad
aumentare il tasso di morte cellulare. L’insieme dei fenomeni di morte cellulare e il
ritorno ad un fenotipo di epatocita differenziato, determina il fatto che la stragrande
maggioranza di queste lesioni ( 80-90%) scompaiono dopo un certo periodo di tempo.
Scompaiono però solo fenotipicamente, infatti se a questo punto rimetto il promotore
osservo gli stessi noduli che osservavo prima. Purtroppo però una piccola percentuale
continua a crescere, e all’interno di questa popolazione iniziamo a notare cellule
diverse, più atipiche, con nuclei strani, disposizione particolare, fenomeni displastici,
quindi un’eterogeneità rispetto alle cellule del nodulo originario. Probabilmente sono
proprio queste cellule che anche in assenza di uno stimolo esterno daranno origine al
carcinoma epatocellulare. Si è visto che molto spesso il carcinoma infatti si genera
all’interno di una lesione precoce, che anche dal punto di vista morfologico e
funzionale, è diversa dal resto della popolazione, e si parla per questo motivo di
fenomeno del nodulo dentro il nodulo.
Questa eterogeneità si genera in quella fase nota come progressione, fase in cui ormai
le cellule hanno acquisito capacità di crescita autonoma, ossia senza la presenza di
stimoli esterni, sono in grado di invadere il tessuto e alcune hanno sviluppato molto
probabilmente anche capacità metastatica. Questa è anche la fase che conosciamo
meno, ma è fondamentale perché è quella che poi caratterizza l’evoluzione a tumore
maligno.
1. fase in cui la cellula iniziata e successivamente promossa diventa indipendente
da stimoli esogeni per la propria crescita ed acquisisce capacità autonoma di
crescita, d’invasività.
2. caratterizzata da progressiva eterogeneità, dovuta probabilmente a processi di
selezione che avviene all’interno della lesione primitiva ( sorta di guerra tra
cellule, in cui quelle meno adatte muoiono per apoptosi, escono dal ciclo,
differenziano, e altre approfittano dei danni a carico delle cellule sorelle per
acquisire nuove mutazioni che man mano conferiscono loro una maggior
aggressività).
Tutto quello di cui abbiamo parlato sinora si riferisce ad osservazioni a livello del
fenotipo, cioè sono cose che si possono vedere al microscopio con ematosillina-
eosina o con marcatori utilizzati in immunoistochimica o istochimica. Il processo
tumorale probabilmente rappresenta una serie di modificazioni che si vengono a
verificare da una popolazione omogenea. Per lungo tempo si è analizzato il
fenotipo, ma esso non ci dice perché e non ci consente di sviluppare una terapia
atta a colpire quella particolare popolazione perché molto probabilmente ciò che
va bene per una lesione di piccole dimensioni, molto probabilmente non va più
bene per una lesione tardiva dovuto al fatto che potrebbero essere insorte altre
mutazioni, la cellula acquisisce altre capacità che non conosciamo. Abbiamo
bisogno di associare per ogni passaggio da uno stato fenotipico ad un altro
modificazioni del genotipo ( quindi cercare di capire se ci sono degli eventi che
possono giustificare il fatto che il focus diventi nodulo, e il nodulo presenti una
popolazione al suo interno diversa che poi possa dare origine ad un cancro).
Uno degli studi che ha consentito di associare modificazioni fenotipiche con
modificazioni genotipiche, è stato lo studio del modello della pelle. Recentemente
Bailman ha ripreso questo modello con un approccio più moderno, e ha usato il
DMBA ( dimetilbenzoantracene) ed è andato ad analizzare diversi geni, o
eventuali mutazioni, o alterazioni cromosomiali durante i vari stadi di questo
processo. Noi sappiamo che se diamo a partire da un’epidermide normale il
DMBA abbiamo cellule iniziate, somministriamo il TPA, un agente irritante, ossia
il promuovente,in dosi ripetute, e otteniamo papilloma, che poi progredisce in
carcinoma squamoso e infine in carcinoma spino-cellulare.
Balmain dava il DMBA, osservava la pelle dell’animale e studiava la presenza di
eventuali mutazioni.
Dopo l’iniziazione → mutazione del gene RAS
Epitelio iperproliferativo
Perdita metilazione del DNA
Adenoma iniziale
Mutazione del gene RAS
Adenoma intermedio
Perdita del gene DCC ( deleto nel
carcinoma del colon)
Adenoma avanzato
Perdita del gene della p53
Carcinoma