Sei sulla pagina 1di 12

Oncologia 14.03.

2007 Astrid Lappi

Prima conclusione alla quale siamo arrivati è che ciò che generalmente noi definiamo
come cancerogeni in realtà sono composti che in quanto tali non sono in grado di
svolgere un’azione oncogena nei confronti delle cellule, per questo motivo abbiamo
definito queste molecole pre-cancerogeni.
I pre-cancerogeni sono molecole di partenza, come per esempio gli idrocarburi
policiclici, le ammine aromatiche o un nitroso composto, che di per se non sono in
grado di svolgere quella che è la prima azione essenziale di un composto cancerogeno
che è quella di danneggiare il genoma di una cellula. Questi composti per poter
mettere in atto il primo evento nella storia naturale di un tumore cioè il determinare la
presenza di una mutazione in qualche gene che poi è coinvolto nella crescita
cellulare, nella morte cellulare o nei sistemi di riparo, in realtà viene svolto non dal
composto di partenza, ma da un suo metabolita che può essere molto diverso da
quello di partenza, ma che ha un’unica proprietà in comune che è quella di essere un
composto generalmente in deficit di elettroni e che quindi tende a interegire con siti
disposti a condividere elettroni come i siti nucleofilici e lo abbiamo definito
cancerogeno finale.

Pre-cancerogeno Metabolismo Cancerogeno finale

È quindi il cancerogeno finale in grado di interagire realmente con il DNA, e questa


interazione è una condizione essenziale affinché il processo tumorale possa essere
avviato, ma non sufficiente perché le nostre cellule sono in grado di attivare tutta una
serie di sistemi di riparazione, come ad esempio dall’induzione del gene della P-53 in
seguito ad un danno a carico del genoma viene attivato e come risultato ha quello di
determinare un arresto del ciclo e contemporaneamente l’ attivazione di sistemi di
riparazione che rimuovono le lesioni che sono state introdotte nel DNA.
Se il danno è particolarmente massiccio e non c’è la possibilità di riparo, l’induzione
del gene della P-53 porta alla morte della cellula. E’ chiaro quindi che in questa
situazione l’interazione con il DNA non ha portato a niente dal punto di vista
tumorale, infatti la cellula o ha riparato i danni e quindi siamo tornati ad avere
nuovamente una cellula normale con genoma perfettamente integro, o addirittura la
cellula è morta e quindi morendo non c’è la possibilità che si sviluppi un clone, una
progenie che possa poi eventualmente sviluppare cancro.
Quindi condizione necessaria ma non sufficiente, questo di indurre un danno al DNA,
perché invece ciò che determina l’instaurarsi di un evento mutazionale è
rappresentato dall’indispensabilità di avere almeno un ciclo cellulare. La cellula che
contiene i danni deve potersi dividere almeno una volta affinché le lesioni vengano
fissate in modo irreversibile.
Interazione cancerogeno-DNA

Divisione cellulare
P-53
Arresto del ciclo

Riparo del danno Morte della cellula

Un esempio è dato dalla O-6- metilguanina che se la cellula non si dividesse sarebbe
comunque rimossa dalla achil-transferasi, la vita media di una di queste lesioni non
supera mai le 10-16 ore circa, per cui se la cellula non si divide entro 16 ore
interviene il sistema di riparo togliendo il metile, si ha la guanina e perciò la cellula
torna normale. Invece, se questa cellula che presenta la lesione viene messa in
condizione di dividersi deve scegliere se sopravvivere a costo anche di una minor
fedeltà nella replicazione del DNA (vedi per es. appaiamento sbagliato come nel caso
della timina), allora solo in questo caso andiamo incontro ad un evento irreversibile
(la timina viene difficilmente riconosciuta come base sbagliata), in quanto i sistemi di
riparo a parte il mismatch repair non sono in grado di riconoscere e rimuovere una
base propria del DNA semplicemente presente in un posto sbagliato del filamento.
Quindi la mutazione, che deve essere a carico di un gene critico per il processo
tumorale e non una mutazione qualsiasi, è il risultato di una serie di sottofasi ognuna
delle quali deve essere raggiunta e superata affinché si abbia un cancerogeno finale.
Se il pre-cancerogeno non viene metabolizzato in maniera tale da produrre il
cancerogenofinale, e se esso non è in grado di interagire con il DNA, e anche se
questo interagisse con il DNA, ma se il danno causato viene riparato dagli appositi
sistemi di riparazione, oppure se la cellula muore in tutti questi casi pur avendo il
cancerogeno, pur essendo stato metabolizzato, pur avendo danneggiato il DNA, non
si avrà mai cancro perché non ci sono cellule mutate.
Per poter parlare di processo tumorale bisogna superare tutti questi ostacoli che la
cellula oppone.
Vediamo la storia di come si è arrivati a questi concetti attraverso un supporto
scientifico.
Il processo tumorale è un processo multifasico, quindi non basta una sola fase, sono
diverse le condizioni che si devono venire a creare affinché si sviluppi un tumore. Il
concetto di multifasicità è relativamente recente, è stato acquisito in pieno intorno
agli anni 60 perché inizialmente si pensava invece che il processo tumorale fosse
costituito da due fasi, che fosse quindi difasico, e il modello con il quale si era
sviluppato questo concetto di difasicità era stato sviluppato sulla pelle. Si partiva
dall’osservazione che:
1. dando un composto genotossico, cioè in grado di danneggiare il DNA,in un
animale e aspettando anche tutta la vita non succedeva niente. Nonostante
presumibilmente si fosse determinato l’instaurarsi di un certo numero di
mutazioni, esse non erano in grado di favorire una sorta di crescita clonale che
potesse risultare nella comparsa del tumore.
2. visto che alcuni parlavano del tumore come il risultato di un processo irritativo
cronico, alcuni composti irritativi, che non sono genotossici, applicati sulla
pelle causavano necrosi e rigenerazione continua etc, ma non erano da soli in
grado di indurre tumore.
3. successivamente fu fatto un altro esperimento in cui si somministrava in
singola dose il genotossico utilizzato nel primo caso, e dopo un certo periodo
di tempo nel sito di inoculazione o di spennellamento se si trattava di un
idrocarburo policiclico venivano applicate somministrazioni ripetute dell’
agente irritativo ( non genotossico, causa solo necrosi e rigenerazione) e con
questo sistema si osservò che dopo un certo periodo di tempo sulla pelle di
questi animali comparivano papillomi (tumori benigni).
• se nel trattamento che genera la formazione del papilloma si
sospende la somministrazione dell’agente irritante si osserva la
regressione del papilloma.
• se invece la somministrazione continua per un tempo più lungo
si osserva l’evoluzione del papilloma a tumore maligno.

4. cambiando l’ordine del trattamento, ossia somministrando prima l’irritante e


poi il genotossico non succedeva niente.

Sulla base di questi esperimenti furono elaborati alcuni concetti:


 Iniziazione: con questo termine indichiamo il primo evento nella storia naturale
del tumore che consiste nell’aver indotto una mutazione, ossia una
modificazione irreversibile del menoma, che di per sé non è sufficiente a
sviluppare tumore. Perché il tumore si sviluppa è necessaria una seconda fase
che è definita promozione.
 Promozione: l’agente promuovente è l’agente che agisce su una cellula
iniziata, che ha qualche mutazione in un sito rilevante del DNA, e in qualche
modo ne favorisce la crescita.
Quindi l’iniziazione di per sé non è un evento sufficiente per avere cancro, la stessa
cosa la possiamo dire per la promozione (utilizzando soltanto l’agente promuovente
non abbiamo cancro), il cancro si sviluppa solo quando viene somministrato per
primo l’agente iniziante e poi il promuovente, e non il contrario (cosa potrebbe
promuovere l’agente, se le cellule iniziate non ci sono, causerebbe solo irritazione e
rigenerazione a carico delle cellule normali presenti).
Il tumore benigno non è irreversibilmente destinato ad evolvere in tumore maligno,
quindi la promozione è ancora una fase reversibile a meno che non superiamo un
certo numero di somministrazioni per un periodo di tempo lungo perché allora si ha
la comparsa di un tumore maligno.
I risultati quindi ci permettono di dire che :
1. la semplice esposizione al cancerogeno non origina tumore
 le alterazioni indotte dal cancerogeno sono stabili. Se il danno indotto dal
genotossico fosse un danno instabile che riguarda proteine, RNA o
macromolecole che vengono eliminate per poi costruirne di nuove integre,
dovremmo aspettarci che se diamo il promotore dopo un periodo di tempo
sufficientemente lungo non succede niente. Iniziando invece il trattamento con
il promotore 15 giorni dopo la somministrazione dell’iniziante o dopo 5 mesi
dopo non cambia niente, i tumori infatti compaiono ugualmente, a meno che
non si tratti di un tessuto o organo ad alto turnover perché in questo caso anche
le cellule iniziate potrebbero andare a morte visto che è il loro destino, e in
questo caso il promotore non troverebbe più il materiale sul quale dovrebbe
agire.
2. il promotore è attivo se somministrato cronicamente. Per l’agente iniziante
basta invece solo una dose.
3. la somministrazione deve essere ripetuta nel tempo.
4. il promotore non induce il tumore (ha bisogno di agire su cellule alterate
irreversibilmente).
Riassumendo:
Iniziazione:
• induce alterazioni irreversibili nel DNA
• processo rapido e irreversibile (può durare da qualche min. a qualche ora)
• non è in grado di per sé di indurre tumore.
Promozione:
• non necessariamente induce il danno
• processo lunghissimo (mesi, nell’uomo anni)
• non è in grado di per sé di indurre tumore
• processo entro certi limiti reversibile (se si interrompe il trattamento).
Questo modello era stato studiato sulla pelle e una volta ottenuti questi risultati, il
passo successivo era chiedersi se questo concetto di difasicità potesse essere applicato
anche ad altri organi. La risposta ve la anticipo io: sì.
A questo punto la maggior parte degli studi, che poi come vedremo permisero
un’ulteriore evoluzione del concetto di difasicità a quello di multifasicità, sono stati
fatti utilizzando un altro organo che è il fegato perché ha un indice proliferativo
estremamente basso in qualsiasi specie animale, nell’uomo allo stato adulto possiamo
dire che non prolifera se non in casi particolari. Inoltre è l’organo per eccellenza
deputato alla bio-trasformazione dei composti, tra i quali i cancerogeni, per cui
presumibilmente è quello che più frequentemente ha a che fare con il metabolismo
dei cancerogeni. Erano state sviluppate metodiche di immunoistochimica che
consentivano di identificare la presenza di lesioni pre-neoplastiche a stadi
estremamente precoci, e quindi di poter vedere nel tempo cosa succedeva, o
soprattutto di fare studi di tipo biochimico per vedere che cosa queste cellule avessero
di diverso dalle cellule normali. È stato scelto il fegato per:
1. basso indice proliferativo, ma se stimolato può proliferare
2. ruolo importante nel metabolismo degli xenobiotici
3. permette di individuare lesioni pre-neoplastiche precoci
Importante è il concetto di resistenza delle cellule iniziate che è stato sviluppato
intorno agli anni 70-80.
Prendendo animali in cui si erano sviluppati noduli epatici indotti da diversi
cancerogeni, e sottoponendoli all’azione del CCl4 o del DMN (dimetil nitrosamina) a
dosi in grado di indurre necrosi, si è visto che erano più resistenti degli epatociti
normali alla necrosi prodotte da queste sostanze. Quindi le lesioni pre-neoplastiche o
gli epatociti che costituivano le lesioni erano più resistenti delle cellule normali ad un
insulto, quale quello rappresentato dall’azione di un agente necrogenico.
• Noduli epatici indotti da diversi cancerogeni, sono più resistenti degli epatociti
normali alla necrosi da CCl4 o DMN
Con perfusione con collagenasi si possono prendere le cellule dell’adenoma, si
possono mettere in coltura aggiungendo tutta una serie di agenti tossici per gli
epatociti normali e ugualmente scopro che queste sono più resistenti. Queste cellule
quindi presentano il vantaggio di poter vivere meglio in un ambiente ostile per le
cellule normali. Se induciamo noduli epatici con un composto come la DMN, le
cellule dei tumori indotte dalla DMN sono più resistenti alla DMN stessa. Sembra un
effetto paradossale, ma in realtà ciò che ha causato questa alterazione fa in modo che
quelle cellule siano più resistenti ad un 2, 3, 4 trattamento con l’agente che ne ha
causato la formazione.
• Cellule trasformate da cancerogeni sono più resistenti all’effetto tossico esercitato
dagli stessi cancerogeni che hanno causato la loro trasformazione.
Basandosi su queste ed altre evidenze, il ricercatore canadese E. Farber ha sviluppato
un modello definito Modello dell’epatocita resistente, modello che a distanza di 30
anni spiega ancora molti dei comportamenti delle cellule tumorali. Esso consiste in:
somministrazione a dosi abbastanza basse, ossia a concentrazioni che non sono in
grado di indurre tumore, di una ammina aromatica, la 2-AAF ( 2 amminofluorene).
La si utilizza quindi più come promotore che come un agente iniziant, e si è visto che
in animale, come il topo, sottoposto ad epatectomia parziale chirurgica inibisce la
rigenerazione epatica (normalmente si ricostituisce dopo una settimana circa).Il 2-
AAF si comporta come un citostatico , blocca completamente la proliferazione degli
epatociti.
Farber aveva bisogno di un composto che si comportasse in questo modo perché la
sua ipotesi era:
→se le cellule iniziate sono in generale più resistenti di quelle normali all’azione
necrogenica di diversi composti, è possibile che siano anche insensibili all’effetto
citostatico dell’2-AAF e quindi siano in grado di replicare ?
Per poter testare la veridicità di questa ipotesi fece una serie di esperimenti:
1. Se diamo una singola somministrazione del composto DENA (dietilnitrosamina,
invece di avere i 2 gruppi metilici della dimetilnitrosamina, ha 2 gruppi etilici), verrà
metabolizzato con formazione dell’O-6-etilguanina ( anziché l’ O-6-metilguanina) e
induce danni al DNA che dopo un ciclo replicativo possono essere fissati in
mutazioni (anche in questo caso alla guanina si appaia la timida, dunque si verifica il
processo della transizione da GC → GT → AT ). Quindi ho iniziato delle cellule con
questo composto, poi per due settimane imposto una dieta comprendente 2-AAF, e
vado a vedere cosa succede dopo che le rimetto a dieta normale. Scopro che non ho
ottenuto né foci, né noduli, né cancro anche se aspettassi due anni. Questo succede
perché il 2-AAF blocca il ciclo, ma stiamo considerando epatociti di un fegato adulto
che comunque non proliferano, non si ha l’azione promuovente. L’iniziante da solo
non sviluppa tumori, non potevo che aspettarmi un risultato negativo.
2. Se somministro l’iniziante ed effettuo un’epatectomia parziale non osservo
sviluppo tumorale, ma neanche la comparsa di lesioni pre-neoplastiche. In questo
caso ho stimolato le cellule iniziate a dividersi, ma con l’epatectomia si dividono tutte
le cellule, e siccome le cellule iniziate sono pochissime con un ciclo replicativi non
sono in grado di avvantaggiarsi rispetto alle cellule normali. Tutto il fegato rigenera e
siamo al punto di partenza, si hanno cellule iniziate qua e là che non hanno nessun
vantaggio che consenta loro di proseguire nella strada verso il tumore.
3. somministro l’iniziante DENA e alimento gli animali con 2-AAF (che viene
metabolizzato e si lega al DNA), e dopo 1 settimana si effettua l’epatectomia. Dopo 1
settimana dall’intervento non osservo la rigenerazione del fegato, ma invece osservo
tantissime piccole lesioni focali identificate con marcatori, e se aspetto altri 3-4 mesi
si formano noduli visibili anche microscopicamente, e se si aspetta un anno il 90%
degli animali sviluppa carcinoma epatocellulare e molti svilupperanno anche
metastasi tumorali.
Ho indotto un processo tumorale e ho dimostrato che evidentemente le cellule iniziate
hanno qualcosa di diverso dalle cellule normali perché sono in grado a partire da una
cellula di determinare un clone perché possono dividersi al contrario di quelle
normali che sono inibite dalla 2-AAF.

Perché le cellule iniziate riescono a proliferare, quindi riescono a formare foci?


Cosa può giustificare questa loro resistenza nei confronti dell’2-AAF in modo tale da
renderle diverse come comportamento?
Il vantaggio deriva dal metabolismo dell’2-AAF. Il vantaggio è quello di non
metabolizzare l’2-AAF, e quindi esso non può legarsi al DNA e inibire la
replicazione. Fin dalle fasi precoci abbiamo selezionato una popolazione più
resistente perché metabolizza in maniera diversa il citostatico, abbiamo conferito un
vantaggio a queste cellule che si evidenzia quando vediamo un ambiente ostile alle
cellule normali.
Se pensiamo al chemioterapico che dovrebbe uccidere le cellule tumorali, una grossa
difficoltà che è evidente ormai a tutti , è che spesso e volentieri il per quanto sia
potente, studiato difficilmente riesce a far fuori le cellule tumorali e addirittura può
invece funzionare come stimolatore per quelle cellule tumorali che sono più resistenti
perché praticamente più noi solleviamo l’ostacolo, più la cellula normale è in
difficoltà a superarlo, e facilitare così la cellula iniziata perché impossibilitiamo la
cellula normale di rispondere in maniera adeguata.

Osserviamo una sezione di fegato di una settimana dopo che è stata fatta
l’epatectomia parziale in presenza di 2-AAF. Ognuna di queste tantissime piccole
sfere rappresenta l’espansione clonale di una cellula iniziata. Questi foci sono
colorati, mentre gli epatociti normali sono bianche perché si è utilizzato un anticorpo
diretto contro l’enzima gamma-glutamil-transpeptidasi che normalmente nel fegato è
presente solo nelle cellule dei dotti biliari, gli epatociti una volta differenziati non
hanno più l’enzima che invece viene riacquistato dalle cellule neoplastiche. È un
marcatore molto semplice che ci permette di quantizzare il numero delle lesioni, e se
possono quantizzare posso anche stabilire se il composto x è un forte cancerogeno, se
il composto y è invece blando, oppure posso escludere la cancerogeneità di un altro
composto. Tutto questo posso valutarlo in 1 mese anziché in 1 anno perché dal
numero di lesioni pre-neoplastiche riesco anche ad anticipare l’eventuale effetto
tumorale e quindi la successiva comparsa di carcinomi.

Altra piccola lesione pre-neoplastica (si tratta di una piccola lesione costituita da 15
cellule circa) facilmente distinguibile dal fegato normale perché si è utilizzata
un’isoforma della glutatione transferasi, indicata come GSTP ( P sta per placentare
perché presente nel periodo prima della nascita). Epatociti normali differenziati
perdono questa isoforma, mentre è riacquisita dalle cellule iniziata.
Avendo questi marcatori si può seguire nel tempo come le cellule iniziate evolvono
formando noduli sempre più grandi che possono occupare anche l’intera superficie
del fegato fino a quando si sviluppa il carcinoma. La possibilità di andare ad
osservare anche le fasi precoci del processo tramite l’utilizzo dei marcatori ha
consentito di caratterizzare il pattern biochimico caratteristico delle cellule
neoplastiche. Si prende il fegato dove sono presenti le lesioni, si fanno sezioni seriali
e per ogni sezione posso studiare tutte le vie metaboliche utilizzando anticorpi anti-
qualcosa sempre nello stesso focolaio. Generalmente si osserva che:
1. Sono più ricchi in glicogeno. Hanno alterazioni a livello del metabolismo
glucidico.
2. Sono negativi per glucosio 6 fosfatasi
3. Sono positivi per glucosio 6 fosfato deidrogenasi. È l’enzima chiave nello shunt
dei pentoso-fosfati e probabilmente in questo caso ha come scopo quello di
favorire la sintesi del DNA tramite la produzione di equivalenti riducenti).
Posso stabilire quello che è il fenotipo delle lesioni pre-neoplastiche e dire che non
solo è più resistente a situazioni ostili perché ha una diversa capacità di attivazione
dei cancerogeni, ma posso anche spiegare perché alla fine questi crescano di più o di
meno rispetto alla popolazione normale. Tra questi marcatori di lesioni neoplastiche
ce ne sono alcuni molto importanti:
1. minor attività del citocromo P450 implicato nella fase 1, fase nella quale il
composto di partenza viene attivato tramite generalmente l’introduzione di un
atomo di ossigeno, la molecola è più reattiva dopo che è andata incontro a
questa fase di attivazione. Quindi queste cellule rispetto a quelle normali
attivano meno un composto che potenzialmente è cancerogeno.
→ diminuzione in: citocromo P450, ossigenasi a funzione mista
2. hanno invece una maggior attività degli enzimi della fase 2, il composto viene
metabolizzato meno nella forma attiva e quel poco formato viene letteralmente
aggredito da tutta una serie di sistemi difensivi che quindi impediscono a
questo metabolita di interagire con il DNA, e quindi possibilmente di causare
mutazioni.
→ aumento in: glutatione, GST, GSTP, γ -GT. UDPGT
3. l’alterazione dello shunt dei pentoso-fosfati osservabile tramite l’aumento della
G6PDH probabilmente conferisce loro anche un maggior vantaggio di crescita
(anche se questo è un po’ dubbio).
→alterazioni in: shunt dei pentoso-fosfati (G6PDH)
4. aumento della resistenza all’accumulo di ferro e trigliceridi: se prendo un
animale e se faccio in modo che il suo fegato si riempia di grasso tramite una
dieta iperlipidica, otterrò un fegato che non é altro che un ricettacolo di TG
che sono accumulati dentro gli epatociti. Se nel fegato sono presenti lesioni
pre-neoplastiche si osserverà che molte di esse non hanno all’interno TG,
quindi hanno imparato o hanno scoperto vie alternative che impediscono
l’accumulo di TG. Un accumulo prolungato di TG porta alla rottura e morte
della cellula, quindi le cellule trasformate non accumulano trigliceridi e
approfittano degli stimoli che si verificano nel fegato in seguito alla distruzione
degli epatociti normali. La stessa cosa è osservabile per il ferro. Le cellule
normalmente non sono in grado di smaltire bene il ferro, e una dieta ricca in
questo elemento ci permette di osservare il fegato colorato in blu, le uniche
zone non colorate sono rappresentate dalle lesioni pre-neoplastiche.
Questo concetto di resistenza ci spiega molti dei motivi per cui è difficile far fuori
cellule avviate lungo la strada che porta al tumore. Si tratta di una resistenza
generale, non solo riferibile ad una minor attivazione o maggior disponibilità degli
enzimi della fase 2, ma che può essere applicata a situazioni diverse fra loro.
Cancerogeno detossificazione cellula normale

Elettrofili

Interazione con il DNA 1. riparazione del DNA cellula normale


2. danno letale morte

Cellula iniziata
Solo se vengono superati i meccanismi di difesa messi in atto dalla cellula posso
avere una cellula iniziata. E perché ci sia iniziazione è necessario almeno un ciclo
replicativo. Questa affermazione può essere supportata scientificamente facendo
riferimento al modello dell’epatocita resistente, da questo esperimento:
Diamo DENA a dose necrogenica, poi somministriamo 2-AAF e facciamo
un’epatectomia e si osserva la comparsa di foci, di noduli e carcinoma epatocellulare.
È necessario un ciclo replicativo oppure no ?
Effettuo un altro esperimento dove tengo tutto uguale al primo, tranne il fatto che la
singola dose di DENA non è cancerogenica, ma è comunque in grado di danneggiare
il DNA. In questo caso non ottengo né foci, né noduli,né carcinoma epatocellulare.
La DENA è stata metabolizzata e si forma lo ione metilcarbonio e interagisce con il
DNA, cosi si forma la O-6-etilguanina, ma mancando il ciclo replicativo, la lesione è
riparata dalla achiltransferasiche strappa il gruppo etilico, cosi si ha nuovamente una
cellula normale. Quando applico l’azione promuovente non promuovo niente perché
manca le cellule iniziate.
Se faccio un’epatectomia parziale e nel momento in cui c’è la massima sintesi del
DNA somministro una dose di DENA non necrogenica, osservo foci, noduli,
carcinoma epatocellulare. Non mi interessa più avere una dose necrogenica di DENA
perché la replicazione è assicurata dall’operazione chirurgica. La dose di DENA può
essere molto bassa, deve solo essere abbastanza sufficiente per indurre il danno al
DNA.
Il sistema di riparo di quanto tempo necessita per riparare il danno ?
• dose non necrogenica di DENA (che causa il danno al DNA, ma non replicazione)
e si effettua epatectomia dopo 12 ore, che porterà a proliferazione , infatti osservo
foci,noduli, cancro.
• Dose non necrogenica di DENA, e si effettua questa volta un’epatectomia dopo
una settimana. Questa volta non si hanno né foci, né noduli, né cancro.
Questo significa che se si aspetta un determinato periodo di tempo si permette al
sistema di riparo di intervenire e di correggere cosi il menoma, quindi quando applico
il regime promuovente le cellule sono ormai solo normali.
Questa serie di esperimenti ci permette di affermare che:
1. è necessario un ciclo replicativo per l’iniziazione
2. posso applicare anche lo stimolo proliferativo dopo aver dato la dose di
genotossico che non induce proliferazione, ma entro un certo periodo di tempo
perché altrimenti interviene il sistema di riparo. C’è un tempo critico entro il
quale il sistema di riparo deve intervenire.
Sono quindi due fasi importanti che mi permettono di definire la fase di iniziazione
Cancerogeno metaboliz. cell. danneggiata riparazione cell. iniziata

Mecc.di riparo

Cell. normale
Nota: la replicazione deve avvenire prima che le lesioni vengano riparate.
Promozione:
• processo in cui cellule iniziate danno luogo a proliferazione focale, una o più
delle quali possono agire come precursori per insorgenza di popolazioni
neoplastiche.
Diciamo una o più perché sappiamo che la maggior parte delle lesioni pre-
neoplastiche, viste prima e colorate con GSTP, non andranno mai incontro a
cancro, il fatto che una o due lesioni invece vanno incontro a questa evoluzione
è dovuta al fatto che sono diverse già dall’inizio, oppure che sia una questione
di probabilità, ossia su 100 lesioni pre-neoplastiche, quella che si trova in un
particolare punto, che è irrorata in maniera diversa, non sappiamo neanche noi
cosa di preciso, che le consentano di andare incontro a cancro.
Bisogna sapere che di fatto non tutte le lesioni pre-neoplastiche vanno incontro
a cancro, ma solo 1 o 2 circa sono in grado di evolvere.
• Possibili condizioni promuoventi: iperplasia e/o danno cronico che generano
una risposta proliferativa importante (emocromatosi, epatiti virali ed alcoliche).
La cellula iniziata non è in grado di andare incontro a cancro se non c’è la fase di
promozione, che porta alla formazione di un focus che poi si accresce sviluppando un
nodulo iperplastico, e successivamente vediamo che il marcatore che prima colorava
tutte le cellule ora ne colora solo alcune. Vediamo il focus ancora ben distinto, ma
non tutte le cellule sono colorate. Questo fenomeno con il passare del tempo aumenta,
infatti si hanno pochissime cellule colorate con il marcatore, fino a quando addirittura
non ne vediamo più. Questo fenomeno viene detto di rimodellamento ed è
probabilmente il risultato di un processo differenziativo che fa in modo che una
cellula normale che è stata modificata, ed è diventata una cellula iniziata, ha espresso
un clone di cellule che esprimono dei marcatori che non sono presenti negli epatociti
normali, ma lo sono nell’epatocita fetale, ma che in seguito riacquista il fenotipo
normale, quindi l’assenza di positività a questi specifici marcatori.
Contemporaneamente osserviamo che all’interno di queste popolazioni incomincia ad
aumentare il tasso di morte cellulare. L’insieme dei fenomeni di morte cellulare e il
ritorno ad un fenotipo di epatocita differenziato, determina il fatto che la stragrande
maggioranza di queste lesioni ( 80-90%) scompaiono dopo un certo periodo di tempo.
Scompaiono però solo fenotipicamente, infatti se a questo punto rimetto il promotore
osservo gli stessi noduli che osservavo prima. Purtroppo però una piccola percentuale
continua a crescere, e all’interno di questa popolazione iniziamo a notare cellule
diverse, più atipiche, con nuclei strani, disposizione particolare, fenomeni displastici,
quindi un’eterogeneità rispetto alle cellule del nodulo originario. Probabilmente sono
proprio queste cellule che anche in assenza di uno stimolo esterno daranno origine al
carcinoma epatocellulare. Si è visto che molto spesso il carcinoma infatti si genera
all’interno di una lesione precoce, che anche dal punto di vista morfologico e
funzionale, è diversa dal resto della popolazione, e si parla per questo motivo di
fenomeno del nodulo dentro il nodulo.
Questa eterogeneità si genera in quella fase nota come progressione, fase in cui ormai
le cellule hanno acquisito capacità di crescita autonoma, ossia senza la presenza di
stimoli esterni, sono in grado di invadere il tessuto e alcune hanno sviluppato molto
probabilmente anche capacità metastatica. Questa è anche la fase che conosciamo
meno, ma è fondamentale perché è quella che poi caratterizza l’evoluzione a tumore
maligno.
1. fase in cui la cellula iniziata e successivamente promossa diventa indipendente
da stimoli esogeni per la propria crescita ed acquisisce capacità autonoma di
crescita, d’invasività.
2. caratterizzata da progressiva eterogeneità, dovuta probabilmente a processi di
selezione che avviene all’interno della lesione primitiva ( sorta di guerra tra
cellule, in cui quelle meno adatte muoiono per apoptosi, escono dal ciclo,
differenziano, e altre approfittano dei danni a carico delle cellule sorelle per
acquisire nuove mutazioni che man mano conferiscono loro una maggior
aggressività).
Tutto quello di cui abbiamo parlato sinora si riferisce ad osservazioni a livello del
fenotipo, cioè sono cose che si possono vedere al microscopio con ematosillina-
eosina o con marcatori utilizzati in immunoistochimica o istochimica. Il processo
tumorale probabilmente rappresenta una serie di modificazioni che si vengono a
verificare da una popolazione omogenea. Per lungo tempo si è analizzato il
fenotipo, ma esso non ci dice perché e non ci consente di sviluppare una terapia
atta a colpire quella particolare popolazione perché molto probabilmente ciò che
va bene per una lesione di piccole dimensioni, molto probabilmente non va più
bene per una lesione tardiva dovuto al fatto che potrebbero essere insorte altre
mutazioni, la cellula acquisisce altre capacità che non conosciamo. Abbiamo
bisogno di associare per ogni passaggio da uno stato fenotipico ad un altro
modificazioni del genotipo ( quindi cercare di capire se ci sono degli eventi che
possono giustificare il fatto che il focus diventi nodulo, e il nodulo presenti una
popolazione al suo interno diversa che poi possa dare origine ad un cancro).
Uno degli studi che ha consentito di associare modificazioni fenotipiche con
modificazioni genotipiche, è stato lo studio del modello della pelle. Recentemente
Bailman ha ripreso questo modello con un approccio più moderno, e ha usato il
DMBA ( dimetilbenzoantracene) ed è andato ad analizzare diversi geni, o
eventuali mutazioni, o alterazioni cromosomiali durante i vari stadi di questo
processo. Noi sappiamo che se diamo a partire da un’epidermide normale il
DMBA abbiamo cellule iniziate, somministriamo il TPA, un agente irritante, ossia
il promuovente,in dosi ripetute, e otteniamo papilloma, che poi progredisce in
carcinoma squamoso e infine in carcinoma spino-cellulare.
Balmain dava il DMBA, osservava la pelle dell’animale e studiava la presenza di
eventuali mutazioni.
Dopo l’iniziazione → mutazione del gene RAS

Papilloma → 1. mutazione del gene RAS


2. trisomia del cromosoma 6/7

Carcinoma squamoso → 1. mutazione del gene RAS


2. trisomia del cromosoma 6/7
3. perdita della p53
4. perdita dell’eterozigosi del cromosoma 11

Carcinoma epato-cellulare → 1. mutazione del gene RAS


2. trisomia del cromosoma 6/7
3. perdita della p53
4. perdita dell’eterozigosi del cromosoma 11
5. perdita eterozigoti del cromosoma 7- 6- 4
6. amplificazione del gene RAS stesso.
Per amplificazione intendiamo alterazioni per le quali lo stesso gene è ripetuto
diverse volte, per cui c’è un’iperespressione del gene. Si forma più proteina e quindi
più segnali di proliferazione.
Lo studio più importante per quanto riguarda questo aspetto è quello che è stato fatto
utilizzando tumori umani, i carcinomi del colon associati alla FAP ( poliposi
familiare adenomatosa), a sua volta caratterizzata dalla delezione del gene APC.
Questi individui quando nascono hanno un difetto genetico, nascono con un gene
deleto, mentre il secondo lo perdono successivamente. La delezione o mutazione del
gene APC fa in modo che l’epitelio del colon sia in uno stato iperproliferativo. In
queste zone di iperplasia si viene ad instaurare dopo un certo periodo di tempo un
adenoma, che da un punto di vista morfologico possiamo distinguere in
Iniziale
Intermedio
Avanzato, fino a quando si sviluppa il
Carcinoma del colon.
Dei ricercatori americani utilizzando il materiale fornito da questi pazienti sono
andati a vedere quali erano le mutazioni associate a queste diverse alterazioni
morfologiche.
Epitelio normale
Perdita o mutazioni del locus APC

Epitelio iperproliferativo
Perdita metilazione del DNA

Adenoma iniziale
Mutazione del gene RAS

Adenoma intermedio
Perdita del gene DCC ( deleto nel
carcinoma del colon)

Adenoma avanzato
Perdita del gene della p53

Carcinoma

Non sempre si ha questa precisa sequenza, ma le mutazioni sono le stesse in tutti i


pazienti.

Potrebbero piacerti anche