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Quaderni del Gruppo di Ur

XVI
ARS HERMETICA
I Edizione Agosto 2006 - II Edizione Novembre 2007
L'Arcangelo Dada
Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso nell'omonimo
forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perci, sia citazioni degli autori
studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo aggiornamento, dal momento che
l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato pu rendere opportuna una nuova edizione.
INTRODUZIONE
La I edizione di questo quaderno prendeva in considerazione la produzione artistica dei membri di Ur,
limitatamente ai componimenti presenti in Ur/Krur e ad altri ad essi in qualche modo correlati. Lo scopo
era - si diceva - non sostituirsi "al lavoro degli specialisti in letteratura, ma solo fornir loro i giusti spunti ed
esempi, affinch lo studio della letteratura esca dallo stucchevole ambito, nel quale la critica
materialistica e parolaia ha reiteratamente preteso di rinchiuderlo".
In questa II edizione, si pensato di aggiungere, come termine di confronto, alcuni inni antichi e
moderni ed un cenno a quelle importantissime formule di invocazione che sono gli Indigitamenta.
1a) Venvs Genitrix ed Ea: I due periodi Artistici di J.Evola.
1b) Julius Evola: Stimmungen (a cura di Ea)
2a) Girolamo Comi: L'Urgenza della Luce (a cura di Gic)
2b) Girolamo Comi: Critica della critica (a cura di Gic)
2c) Girolamo Comi: Il Cantico del Suolo (a cura di Gic, con una nota di Fabritalp)
2d) Girolamo Comi: Dal Cantico del Tempo e del Seme (Estratti a cura di Gic)
3a) Arturo Onofri: Nuovo Rinascimento come Arte dell'Io (Sintesi a cura di Oso)
3b) Arturo Onofri: Una Volont Solare (a cura di Oso, con una nota di Sipex)
3c) Arturo Onofri: L'Uomo Calorico cio Saturno (a cura di Oso)
3d) Arturo Onofri: Fra il Glaciale Profumo del Sereno (a cura di Oso)
4a) Nicola Moscardelli: Le Ali Perdute (a cura di Sirio)
4b) Nicola Moscardelli: Resurrezione (a cura di Sirio)
4c) Nicola Moscardelli: Mesi e Segni (a cura di Sirio)
4d) Nicola Moscardelli: Il Sogno del Pastore (a cura di Sirio)
4e) Nicola Moscardelli: La Stella del Pastore (a cura di Sirio)
5a) Emilio Servadio: Da Segreti del Mestiere (Estratti a cura di Es, con una nota di Ea)
5b) Emilio Servadio: Angoscia (a cura di Es)
5c) Emilio Servadio: Canto dell'Ebreo Errante (a cura di Es, con una nota di Occhi di If)
5d) Emilio Servadio: Fioritura (a cura di Es)
5e) Emilio Servadio: Liriche (a cura di Es)
6) Massimo Scaligero: Trasmutazione Calcarea (a cura di Massimo)
7a) Guido de Giorgio: I Poeti (a cura di Havismat)
7b) Guido de Giorgio: Salmo del Poeta (a cura di Havismat)
7c) Guido de Giorgio: O Tu (a cura di Havismat).
8) Inni e Indigitamenta: Introduzione di Abraxa
8a) Carmen Arvale (a cura di P. Negri, Sipex, Unltraviolet, Ekatlos, Tarquinio P. ed Ea)
8b) Ovidio: Dall' Inno a Mercurio e Invocazione del mercante a Mercurio (a cura di Ida La Regina)
8c) Mesomedes: Inno a Calliopea (a cura di Ekatlos)
8d) Costantino Kavafis: Itaca (a cura di Occhi di If)
8e) Platone: Inno a Pan (a cura di Ekatlos)
8f) INDIGITAMENTA (a cura di Venvs G., Ekatlos e Sipex)
1a) I Due Periodi Artistici di Julius Evola
Venvs Genitrix: Nel capitolo L'Arte Astratta e il Dadaismo, presente nella sua biografia, Il Cammino del
Cinabro (1972), Evola, dopo aver ricordato l'edizione 1969 della sua raccolta di poesie "Raaga Blanda",
ebbe a scrivere: "Non scrissi, per, poesie n dipinsi pi dopo la fine del 1922". Questo brano piuttosto
importante, perch dimostra che i dipinti evoliani del suo "secondo periodo artistico" non furono
realizzati prima degli anni '70 e che perci errata la datazione di alcuni di essi negli anni '60, che si
pu trovare anche in testi specializzati. Ovviamente, a meno di non pensare che egli abbia detto ... una
bugia.
Datazione a parte, non ho notizia di testi teorici di Evola sull'arte, scritti in questo secondo periodo e
perci , almeno per me, un mistero il motivo di questo suo ritorno all'arte. Tra i suoi nuovi dipinti non
mancano "paesaggi interiori", affini a quelli del primo periodo, ma compaiono anche altri temi: ad es.
quello che probabilmente il primo tra i nuovi dipinti (perch se ne ha notizia gi nella rivista Playmen
del Marzo 1971) ha per titolo "Nudo di Donna (afroditica)". Esso fa coppia con un altro dal titolo "La
Genitrice dell'Universo". Per completare il trittico degli archetipi femminili, ricordati da Evola in Rivolta
contro il Mondo Moderno, manca solo il dipinto dell'Amazzone.
Evola-Nudo di Donna Afroditica Evola-La Genitrice dell'Universo
EA: L'atteggiamento di Evola nei confronti dell'Arte probabilmente uno degli aspetti chiave di tutta la
sua esistenza. Iniziando la sua attivit culturale proprio come artista, si pose il problema di quale ruolo
l'Arte dovesse svolgere per lui. Ne propose una soluzione definitiva nella Fenomenologia dell'Individuo
Assoluto, dove l' "Arte pura" appartiene alla II epoca (epoca della Personalit), superando per
importanza 'coscienza' scientifica, filosofica e mistica, ma tuttavia non rientrando nella III epoca
(epoca della Dominazione). Volendo imboccare con determinazione tale terza epoca, Evola, di
conseguenza, abbandon l'Arte. Per intendere tale decisione, occorre tener presente il solipsismo che
pervadeva l'attivit evoliana di quell'epoca. Non che lArte occupasse necessariamente il posto
assegnatogli da Evola, anzi nella maggioranza delle tradizioni essa svolge ruoli importanti anche
nella III epoca: si pensi ad es. ai carmi rituali, che sono ad un tempo poesia e formula magica, e ai
quadri di certi pittori-maghi, che costituiscono vere e proprie 'sigillazioni' della loro volont. Dunque l'arte
si chiudeva nella II epoca per Evola e solo per lui.
Ci si pu chiedere il perch di una scelta cos fuori del comune. Da un lato, pot trattarsi della volont
di purificarsi da quello che pot sembrargli un attaccamento, allontanandosi da una attivit per la
quale sentiva una naturale e forte propensione: l'Arte appunto. Ma c' anche un altro motivo pi
profondo: Evola aveva notato che uno dei maggiori problemi degli occultisti era il cadere in forme
di visionarismo e scelse di scavalcare a pi pari questo ostacolo, rinunciando alle visioni. Lo dice
esplicitamente, scrivendo con lo pseudonimo di Iagla, in Introduzione alla Magia, in un brano del saggio
"La Legge degli Enti", che altri hanno gi citato: "Conobbi le 'presenze', conobbi ci che , senza avere
corpo. Ma non sotto specie di imagini astrali, invece 'intensivamente', come sensazioni di 'campi di forza'
- per usare questo termine molto espressivo dei fisici. Il mio atteggiamento costante di volont mi port a
rapporti immedesimativi e 'sprofondamenti' che paralizzavano la visione. Conobbi, in ogni modo, che
fulmini, tuoni e tempeste non vi sono soltanto nel mondo fisico. Divenni prudente. Seppi rinunciare a
molto, a fine di tener fermo nel campo al quale via via mi restringevo".
Poich soprattutto l'arte pittorica, ma anche, in genere, quella poetica presuppongono invece le
visioni, occorreva per coerenza allontanarsi da esse. Come abbiamo gi detto, nel periodo di Ur,
l'atteggiamento esageratamente solipsistico di Evola si era smorzato e l'Io era stato pi
appropriatamente sostituito dal "Noi" iniziatico. Perci Evola, visti anche gli esempi di Onofri, Comi,
Servadio etc, era perfettamente consapevole di ci che l'arte poteva offrirgli, ma fu ugualmente
irremovibile. Ne una controprova l'altro saggio di Intr. alla Magia, "Poesia e Realizzazione Iniziatica",
scritto poco dopo la morte di Onofri. Leggendolo, chiunque avverte che l'esposizione frammentaria e
'trattenuta' e che si sarebbe potuto dire molto di pi. Anche l'affermazione evoliana "dovremmo rilevare
diverse 'irregolarit' negli elementi di 'scienza occulta' antroposoficamente influenzati accettati dall'Onofri
(ci sarebbe impossibile sottoscrivere alle posizioni dottrinali da lui abbozzate nel libro Nuovo
Rinascimento come Arte dell'Io)" lascia perplessi: come sta dimostrando il nostro Oso, [vedi oltre in
questo stesso Quaderno], i significati di quel trattato sono esprimibili in un linguaggio assolutamente
universale, e perci prescindendo da specifiche coloriture antroposofiche. Si ha dunque netta
l'impressione che, nel suddetto saggio, Evola sia restio ad aggiungere qualsivoglia argomentazione
teorica, che lo indurrebbe necessariamente a dover riconsiderare anche le proprie posizioni.
Fu senza conseguenze la sua scelta nei confronti dell'Arte? Ovviamente no: se tale determinazione gli
fece scudo nei confronti di eventuali flussi visionari incontrollati, d'altro canto tagli anche il
contatto consapevole con gli elementi sottili (tanmatra), che hanno come precipua forma di
manifestazione proprio quella dei colori interiori. Ricordiamo che appunto come uno svanire negli
elementi-colori spesso descritta quella "soluzione del corpo fisico", che caratteristica della fase pi
avanzata dell'alchimia.
A un livello pi modesto dello svanire dell'intero corpo materiale, pu collocarsi lo svanire di malattie e
complessi morbosi, onde sempre l'alchimia fu connessa con la medicina. Evola, nel 1945 a Vienna a
causa di un bombardamento, sub un incidente che gli arrec una paresi parziale degli arti inferiori. A
riguardo, ne Il Cammino del Cinabro (1972) scrive di tale contingenza: "...coglierne il suo senso pi
profondo per l'insieme della mia esistenza: questa sarebbe stata dunque l'unica cosa importante ... Del
resto nel punto in cui, per via di una maggiore luce, un 'ricordo' del genere fosse affiorato o affiorasse,
sarebbe data sicuramente anche la possibilit di rimuovere, volendolo, lo stesso fatto fisico. Ma la nebbia
a tale riguardo non si ancora sfittita". Sono convinto che, negli ultimi anni della sua vita, un
barlume di quel platonico 'ricordo' dovette in lui affiorare: intu quale scotto aveva pagato, rifiutando
sic et simpliciter le visioni interiori. Torn allora ad esse e all'Arte e a dipingere i suoi "Paesaggi
Interiori", che stanno oggi a testimoniare il suo vecchio e nuovo Opus Lucis. Tuttavia, era troppo tardi per
realizzare l'Opus Completum in una sola vita, "in un solo cranio", come si dice in Oriente.
Riguardo ai due quadri sugli archetipi femminili, ritengo che si tratti proprio di un dittico e non di un
trittico incompiuto, perch, pi che alla sua tipologia delle "razze dello spirito", egli, in quei quadri,
sembra rifarsi ad un passo della Metafisica del Sesso (gi ricordato nel Quaderno sui Fedeli
d'Amore): "... nel complesso di tutto quanto evocazione e partecipazione possono venire distinte due
vie che, rispettivamente, stanno nel segno dei due archetipi femminili fondamentali: Demetra e Durga. La
prima via si basa sul principio femminile-materno considerato come scaturigine del sacro, e conduce
verso una immortalit, una pace e una luce quasi sulla stessa linea di ci che nello stesso ambito
profano e umano pu venire a chi prende rifugio presso la donna materna; ... La stessa figura di donna si
potenzia nel mito nei termini della Vergine celeste e della Madre divina mediatrice. L'altra via passa
invece per Durga, il femminile afrodisiaco abissale, e pu essere tanto via di perdizione quanto via di
superamento della Madre nel segno di quelli che noi abbiamo chiamato i Grandi Misteri in senso
proprio".
Orbene, tale doppia scelta non si presenta solo nel campo della metafisica del sesso, ma sulla via
ermetica in genere ed Evola, nella nostra ipotesi, si accorse che, per quanto riguarda le visioni, egli da
giovane aveva scelto proprio l'apparentemente sicura via 'materna', si era cio protetto esageratamente
da quei pericoli che le visioni interiori indubbiamente presentano.
L'insegnamento basilare, concernente le visioni, che esse non vanno "n abbandonate, n
seguite". Nel suddetto Quaderno sui Fedeli d'Amore, parlando dei comuni sogni, stato indicato che gi
l'interpretare le visioni, l'elucubrare su di esse, un errore, perch costituisce un aspetto del "seguire",
dell'attaccarsi ad esse. Evola, nella fase centrale della sua vita, err invece in senso opposto,
imponendosi di "abbandonare" forzatamente le visioni. Solo negli ultimi anni probabilmente comprese del
tutto questo aspetto dell'Arte della Bilancia.
***
1b) Julius Evola
Stimmungen
Stimmungen (tendenze) un insieme organico di quattro brevi componimenti evoliani, che
fanno parte della raccolta Raaga Blanda. Le poesie di tale raccolta risalgono al periodo
1916-1922 e le Stimmungen sono tra le primissime composizioni. Esse sono quattro
istantanee di quattro diverse stagioni: un furioso temporale estivo che va scemando in
riva al mare, un reiterato crepuscolo invernale ventoso e piovigginoso, una giornata
primaverile del popolo dei fauni, un autunno di altra epoca ove il diminuire della luce solare
e i primi freddi si rispecchiano nelle lente volutt di un luogo riparato. Nell'opera "Rivolta
contro il Mondo Moderno" Evola, in relazione alla dottrina dei cicli cosmici, dir: - Vale
rilevare che tutto ci non rimanda ad un fatalismo; ...Anche per tal via si conferma ...la
concezione qualitativa del tempo vivente, nel quale ogni ora e ogni tratto ha il suo volto
e la sua "virt" -. Ha cio..."tendenze".
I versi, eccezion fatta per i punti esclamativi, sono senza punteggiatura. Sono gli spazi
bianchi e le iniziali maiuscole dei capoversi a indicare le pause di lettura.
1
Un vento incolore va per gli sbadigli della solitudine e asperge neri crisantemi
Come sempre sorde e possenti sotto il cielo piovoso marciano senza meta grandi moltitudini
Un mare sporco ribolle ancora dopo la tempesta esso ha lasciato relitti di ignoti naufragi
sulle sponde e ora dei vecchi li raccolgono pei loro fuochi
Vi una sognante sfilata di vascelli-fantasma al tramonto, o mia anima!
Una berceuse pallida e antica nel mio sangue verso i salici curvi sull'acquitrino.
2
Nei crepuscoli piovigginosi andava pel fangoso stradone suburbano
Portava un peso troppo greve per lui il vento gli frustava il volto
Mucchi di rifiuti addossati alla muraglia bruciavano insensibilmente mandando lente spire di
fumo
Ogni cosa era triste e grande e abbandonata
Ogni cosa gli sembrava essere stata gi vista gi sofferta
Nell'ombra dall'odor di resina coppie avvinte e un rotolio lontano di carri gli stringeva il
petto
Il cielo sbiadito agonizzava nel vento
Come lui come lui
3
Tepide rose s'incurvano chiome aeree tessono in un opale stemperato mobili cerchi
Vi sono festoni fra le piante pel passaggio di un popolo propizio in tulle freschezza di
giovane primavera sotto un cielo celeste-maiolica ai balconi piccoli fauni applaudono
alle orchestrine che se ne vanno alla campagna a passo di minuetto
Al disopra delle cupole di raso vi sono grandi girandole
Una lieve brezza sulle colline fra i fiori di pesco e le zgare fa aprire grandi occhi stupiti
Soltanto nell'iperbole silenziosamente scrosciante del meriggio alcuni servitori in nero
escono a raccogliere veli scuri che sono distesi sul paesaggio e di cui forse nessuno si
accorto.
4
E' giunto il tema di novembre addio
Ultime partenze di galee amaranto
O vapori di pioggie ancora tepide sui viali deserti!
I primi brividi e i primi tenui veli nel paesaggio interiore
Nello scoloramento della seteria dell'anima si raccoglie la suadente sapienza di lente volutt
in questo buen retiro
Nella sua mezza luce fluttuano spire azzurrine di sigaretta in specchi appannati violette e
argento profumo caldo
Chiudi chiudi le porte della serra
Tu sei vicina strana cosa viziosa tu attendi distesa le mie mani che ti liberino dalle vesti
per offrire le lunghe carezze al tuo giovane corpo nudo al sorriso ambiguo di quella testa di
statua khmera che sola emerge l in fondo nella penombra dove gi filtra una
monotona ebrezza
2a) Girolamo Comi
L'Urgenza della Luce
Un concetto fondamentale della poetica di Girolamo Comi quello di "Stato Poetico". Il termine fu
ereditato, con ogni probabilit, da Paul Valry con cui Comi fu in amicizia, nel periodo trascorso in
Francia, antecedentemente alla I Guerra Mondiale. Tuttavia il suo significato fu inevitabilmente
modificato dalle conoscenze esoteriche di Comi. Ad esso dedic due opere in prosa: Poesia e
Conoscenza, Roma 1932 e Necessit dello stato poetico, Roma 1934.
In un manoscritto, riportato da Donato Valli in G.Comi -Opera Poetica -Ravenna -1977 - p.397, cos il
poeta, negli anni '50, descrive sinteticamente il suddetto stato:
"Lo stato poetico - e la poesia che ne discende - e quali io li intendo e li coltivo, sono pur sempre uno
'stato' di volont e di possibilit 'progressiva' presieduta e nutrita di pazienti e amorose discipline".
Dell'intima connessione di tale stato con la "luce" della presenza mentale cos Comi parla in "Note in
Attesa e in Vista dello Stato Poetico" (La Torre n 2, 15 Febbraio 1930):
"La luce supera e soffoca ogni nostra pi solare ipotesi lirica, ma sembra che la superi e la soffochi per
'suggerirci' un respiro e una ispirazione pi fitti, e una persuasione incorruttibile. Perch la nostra
efficienza centrale vibri e si ramifichi, ecco le stagioni inattese (per quanto previste e catalogate) ed ecco
un tramonto pi impetuoso degli altri (per quanto agli altri identico) e un'aura pi palesemente fraterna di
vetusti siti e d'immediato cielo. Realizzare ogni giorno pi luce 'nella stessa luce' riconoscere che in
ogni uomo 'giace' un candidato fatale allo 'stato poetico'. "
I medesimi concetti sono espressi nei versi de L'Urgenza della Luce, un breve componimento, che fa
parte della raccolta Nel Grembo dei Mattini (1931):
L'urgenza della luce nella mole
dell'anima riaffiora fin negli occhi,
ed ogni sguardo un inno che ha del sole
la risonanza aurea... E ne trabocca
la sacra essenza in arcane parole.
***
2b) Girolamo Comi
Critica Della Critica
Nel 3 numero della rivista "La Torre" (1930) apparve l'articolo di Girolamo Comi (Momus) "Critica della
Critica", riguardante la critica d'arte.
La base di ogni critica d'arte la fenomenologia dell'oggetto artistico, cio lo studio e la descrizione
dell'oggetto d'arte, cos come esso appare. Sembrerebbe scontato, ma non lo . Soprattutto i critici
d'arte digiuni di esoterismo trascurano questa fase, tutti tesi a pervenire ad un giudizio di valore (che non
di rado risente in larga parte dei loro preconcetti) o a trovare "influenze" da parte di questo o quell'altro
autore del passato. Essi dovrebbero invece tenere ben presente che se erroneo fermarsi al significato
letterale e apparente di un'opera, perch, come dice Comi, "la Tradizione autentica non sonnecchia nella
lettera e nelle lettere, ma nello spirito non ancora identificato delle medesime"; tuttavia, come Dante
evidenzi nel Convivio, il significato letterale di un'opera non affatto trascurabile, giacch esso
racchiude gli altri tre (allegorico, etico e anagogico). Perci del tutto inutile tentare "interpretazioni" di
un'opera d'arte, se lo studio fenomenologico di essa non completo. Tale studio si serve di una delle pi
primordiali facolt della mente umana e cio del "notare" o "prender nota", facolt basilare non solo nella
comune vita quotidiana, ma anche nelle tecniche iniziatiche imperniate sulla presenza mentale. Il modo
di usare correttamente tale facolt venne poeticamente espresso dalle terzine zen di Basho. Dice ad es.
il suo pi noto haiku:
Vecchio stagno
Tonfo di rana
Suono d'acqua
***

La nostra critica letteraria considerata nei suoi sommi pontefici ufficiali e ufficiosi, non manca di
mestiere n di strategia, n - in un certo senso - di agilit tecnica e culturale: ma difetta, visibilmente,
di ossigeno (impagabile quello...) nonch di una persuasione interiore sua propria.
Si pu affermare che essa manca addirittura di fiato spirituale e che la sua ragione d'essere circoscritta
e legittimata soltanto da necessit d'ordine giornalistico o dilettantistico, sindacale o professionale. In
compenso fornisce e si gloria di una sensibilit epidermica di prim'ordine e di una suscettibilit
cerebro-spinale notevolissima.
Da una parte schiava di riferimenti universitari e cattedratici e di substrati pseudo-tradizionali (quando si
capir che la Tradizione autentica non sonnecchia nella lettera e nelle lettere, ma nello spirito non
ancora identificato delle medesime?) dall'altra, presidiata dall'ombra monumentale dei soliti canoni
classici sia d'ordine retorico che patriottico e moralistico, essa esita o si rinsangua fra la mezza
stroncatura e la mezza apologia, fra la dissertazione prolissa e il sermone accademico, fra il paradosso
truccato da luogo-comune e il luogo-comune truccato da paradosso. Sta fra il s e il no, fra l'avere e
l'essere, fra il pettegolezzo e il partito preso, fra la politica e il vangelo. Continua a lamentare
inlassabilmente l'assenza dello scrittore-tipo, del vate dantesco dei tempi moderni e - salvo i soffietti
d'uso che qua e l dispensa per amor patrio generico o per opportunismo specifico - lacrima e fa
lacrimare sui destini della nostra era letteraria.
Se gli autori non sanno quel che vogliono (tolti i premi, i banchetti e i battibecchi) non si sa molto meglio
quel che vuole la critica; capacissima, d'altra parte, in un momento di buon umore o di isterismo, di
consacrare per esempio un romanzo come Gli indifferenti o un poetucolo come il Bartolini.
Noi che vediamo le cose un po' dall'alto - non solo perch abitiamo LA TORRE , ma anche perch
affrancati da ogni velleit d'arrivismo piazzaiolo - pensiamo che sarebbe il momento di smetterla con le
lamentele e i rimpianti, con le statistiche e i paralleli, con le consacrazioni e le sconsacrazioni, e di
liberare le terze pagine dei giornali, come le ultime pagine delle riviste, dalla falange dei becchini e degli
esegeti.
Se tale falange - per ragioni dipendenti da ingranaggi e da statuti irrevocabili - deve sussistere e
imperare, ebbene, sia. Ma cambi panni e insegne e cominci, lei che predica, a esser compresa di un
possibile stato di grazia o di dignit superiore. Si renda conto che lo stato aristocratico del pensiero e del
giudizio non va confuso col mestiere democratico del pedagogo che fornica con la cultura grafica degli
inventari, dei panorami e dei manuali letterari.
Lo spirito, anche se unicamente invasato di letteratura, reclama un'altra tenuta e presuppone un'altra
specie di dignit e di fervore.
2c) Girolamo Comi
Cantico del Suolo
Durante il II anno della rivista Ur, venne pubblicata una composizione di G. Comi, il "Cantico
del Suolo", che assente in Introduzione alla Magia (Bocca, 1955) perch, salvo
piccolissime modifiche, quasi sempre di punteggiatura, era stata ripubblicata integralmente,
appena l'anno prima, nell'antologia "Spirito d'Armonia" (Lucugnano, 1954). In tale antologia,
il Cantico del Suolo l'ultima composizione della prima raccolta, intitolata "Lampadario-
Boschivit Sotterra - Smeraldi" (1912-1928) e precede perci immediatamente il "Cantico
del Tempo e del Seme" (1929-30). Chi possiede l'edizione Tilopa di Ur, pu trovare il
Cantico del Suolo a pag. 337 del II vol.
Sgretolio d'arie mineralizzate
nell'immobile impeto che arma
la mia zolla di un'ansia antica e calma,
perch solare - e tutta vellutata
d'inviolabile verginit, canti
in alberi, in Parola e in prati infanti,
la radice che mi stata donata.
Nell'edizione 1954, la lineetta dopo l'aggettivo "solare" sostituita da una virgola. La virgola
dopo "verginit" invece sostituita da una lineetta. "Parola" non compare pi in maiuscolo e
il punto fermo dopo "donata" sostituito da puntini di sospensione. Dunque sono variate
solo alcune pause, pur importanti, di lettura, ma non il contenuto, similmente a quanto
vedremo per alcune delle prossime strofe.
Comi gioca sul doppio significato delle parole: lo spettacolo naturale si fa simbolo della
pratica interiore e questa sembra manifestarsi in quello. La densa e vibrante brezza
salsoiodica (mineralizzata) che si frange sulla terra, immobile eppur protesa, da antica
epoca, verso il mare, immagine esteriore del moto immobile, dell'impeto statico della
concentrazione mentale, che guida i venti sottili corporizzati, che si dividono e si dirigono
in ogni direzione per vivificare l'immobile e calmo corpo saturnio.
Esteriormente, le sementi germogliate (radici), dono della Terra in Primavera, solari nella
loro espansione e, grazie alla loro cedevolezza, inviolate dal terreno che pur le stringe,
daranno vita, in un ritmico e progressivo canto di vittoria sulla materia inerte, ad alberi, al
verboso fruscio di rami e foglie e all'erba giovane dei prati.
Interiormente, l'immaginazione concentrativa si porta sul centro-radice, igneo di luce,
emanante beatitudine, inviolabile dalla comune coscienza. Il canto del mantra si snoda
serpentino nell' "albero della vita" - centrale rispetto agli "alberi del bene e del male" - e si
tramuta in diverso e pi adatto logos, animando ciascun centro sottile e poi saturando di
novella vita l'intera corporeit.
Nel mio stare, rimuovermi e spaccarmi
in memorie di scheletri e in volumi
di letargici umori e buio d'occhi,
io mi ripeto in spirito ed in carmi
di forze caste e polari barlumi
di calici di cielo ininterrotti.
Nell'edizione 1954, "polari" sostituito da "intensi" e "calici" sostituito da "sapori".
In questa seconda strofa emergono, e questa volta nettamente, altre modalit della pratica
ascetica: l'alternarsi della immobilit meditativa e del movimento, il dividere l'attivit
meditativa stessa nella contemplatio mortis (memento mori) e nella esplorazione, ad
occhi chiusi, degli spazi interiori (volumi) dell'area alta della testa. In essa tradizionalmente
risiede, e da essa discende, l'umore flemmatico, causa, tra le altre cose, di una reattivit
calma e, all'eccesso, letargica. A proposito di questa localizzazione, dice Erodoto nel IV
Libro delle Storie: "Ecco infatti cosa fanno i nomadi libici, se proprio tutti non saprei dirlo con
certezza, ma certo parecchi di loro. Quando i loro bambini hanno quattro anni, con grasso
estratto dalla lana di pecora gli cauterizzano le vene sulla sommit del capo, altri invece le
vene delle tempie, allo scopo di impedire per sempre all'umore flemmatico che scorre gi
dalla testa di nuocere alla salute del ragazzo. E dicono di essere sanissimi grazie a ci. Ed
effettivamente i Libici sono i pi sani fra quanti uomini conosciamo; che questa ne sia la
spiegazione non potrei affermarlo con certezza, ma un fatto che sono sanissimi. Nel caso
che i bambini, mentre li cauterizzano, vengano presi da convulsioni, hanno trovato un
rimedio: li salvano aspergendoli con orina di capro".
Le suddette meditazioni richiedono il reiterarsi dell'atto dello spirito, ma sono anche
propiziate dalla ripetizione di carmi, costituiti di forze pure (parole di potenza, logodinami,
mantra) e generanti intense luci interiori - barlumi "polari", cio paragonabili ad aurore
boreali - connesse ad un senso continuato di beatitudine (sapori o calici di cielo).
Membra di luce spente in sordi suoni
di magnetici passi, ed in figure
di miti, di voleri, d'abbandoni
pesano sulle inerzie vigili ed oscure
dei miei corpi gremiti di stagioni.
E la mia fonda purit si compie
- fra climi inquieti e tra fami mute
in selve di continua salute
ed in spaziosit di tombe e d'ombre ...
Nell'edizione 1954, la virgola dopo "passi" sostituita da una linea; "di voleri, d'abbandoni"
diventa "di voleri e d'abbandoni,". Il punto dopo "stagioni" sostituito da tre punti; l'aggettivo
"fonda" sostituito da "grezza". Dopo "mute" si trova una linea; "ed" diventa "e"; i puntini di
sospensione dopo "d'ombre" sono sostituiti dal punto fermo.
Viene descritta un'ulteriore tecnica. Un corpo di luce immaginale viene creato in
corrispondenza e sulla base di quelli (fisico e sottile) gi esistenti ed annosi, che sono s
sensibili (vigili), ma in gran parte oscuri per la coscienza e il controllo volitivo. Una volta
creato viene "materializzato" (spento), cio trasfuso nel corpo fisico, sia tramite "passi
magnetici", consistenti esteriormente in un picchiettare delle mani su determinati punti del
corpo, sia con l'ausilio della immaginazione, durante la quale il corpo divino, scelto tra varie
e opportune figure mitologiche, viene volontariamente identificato con la propria compagine
psico-fisica, per poi lasciar cadere la visualizzazione. Cos la purit corporea prima
potenziale (fonda o grezza) si realizza tra tempeste interiori e desideri resi silenti. Le
localit che propiziano queste pratiche sono i boschi sempreverdi, simboli dell'eterna vitalit
del corpo glorioso, ma anche la vista di quei cimiteri di campagna, che con le loro tombe e
le ombre dei cipressi offrono, in relazione alla comune corporeit, quel continuo "memento
mori" (al quale l'autore ha gi accennato in versi precedenti) che incita alla pratica.
Saturo di cascami d'elementi
mi seleziono in aridit d'aspri
stati d'attesa - ed incrinato d'astri
suscito nelle lave e nei fermenti
delle mie moli e dei miei giacimenti
respiri di diaspri e d'alabastri.
E so volere e alimentare la potenza
che langue nel marciume e vibra nei basalti
del mio asse tutt'ossa e tutto smalti
d'erbosi succhi e di sonora essenza.
Nessun cambiamento di rilievo nella versione del 1954. Solo una virgola in pi presente
dopo "elementi".
In questi versi il linguaggio diventa decisamente alchimistico. La pratica del pilastro
mediano, descritta in alcuni passi precedenti, sta portando taluni frutti. Come risultato
secondario (cascme) di quelle pratiche, il poeta saturo dei cinque elementi e ne
consegue un senso di svogliatezza, di aridit spirituale, di incapacit di continuare nella
meditazione, di attesa penosa, da superarsi con un libero atto di volont (selezione).
Quando, al contrario, sono i difetti legati ai "pianeti" ad incrinare la quiete della meditazione,
riscaldando i liquidi corporei e producendo irrequietezza nelle carni e nelle ossa, occorre
dominarli, agendo con respiri che trasformano (diaspri) le sensazioni e accumulano
(alabastri) nuova energia.
In ogni caso occorre poi con determinazione tornare alla pratica principale e alimentare la
potenza che langue in basso e vibra come in rocce ignee (basalti) alla base dell'asse
centrale, che osseo, ma scintillante di succhi vitali e risuonante di suoni interiori.
Di particolare rilievo, in queste strofe, il simbolismo basato sulla classificazione delle
rocce : metamorfiche (diaspri), sedimentarie (alabastri) e ignee (basalti).
... Solarit del mio quarzo - salive
dei miei fossili sali - re boschive
dei miei catrami, dei miei crolli bruschi
in falde di miniere velate di muschi ...
tutte vi spremo donandovi il meglio
d'ogni mio sonno e d'ogni mio risveglio.
Fibre dorate di respiri - e linfe
d'idee, di dei, d'animali e di ninfe,
si son rifatte morbide strutture
d'anonimi equilibri - sono steli
- nell'eco cava delle mie fratture -
di risonanze sottili di cieli.
Nella versione del 1954 mancano i puntini all'inizio della strofa. Dei puntini di sospensione
sostituiscono invece il punto dopo "risveglio" e quello dopo "cieli". I versi che iniziano con
"Fibre dorate" costituiscono una strofa a s stante.
Non mancano tra le pratiche interiori del poeta quelle notturne: prima tra tutte quella del
"sole di mezzanotte", di cui il quarzo citrino simbolo, ma anche supporto materiale di
preparazione alla pratica stessa, mediante concentrazione su di esso, prima di andare a
dormire. La pratica vera e propria quella che in sanscrito prende il nome di kechari mudra
e consiste nel dirigere la lingua all'indietro, contro la parte superiore del palato. Sul piano
sottile, le forze devolute normalmente alla fonazione, e al tipo di pensiero che la consente, si
ritraggono, generando uno stato di quiete analogo a quello di sonno, ma creato
volontariamente. Come effetto secondario della posizione della lingua si producono
particolari salive (sottili e grossolane) che possono anche essere oggetto di relative
pratiche. Temporalmente queste sono scandite dalle vigilie della notte, cio dai turni delle
sentinelle, che nell'antica Roma erano quattro, ma in altre tradizioni, ad es. quella buddhista,
sono in numero di tre. E' questa anche la scelta di Comi, giacch egli paragona le fasi della
distillazione delle forze vitali (catrami) alle tre epoche vegetative (ere boschive) di Maggio,
Luglio e Settembre. A pratica avanzata, sono certi eventi interiori a determinare
l'evolversi della pratica, come ad es. il comparire di quel senso di vertigine o di precipitare,
che fa sobbalzare l'uomo comune quando se ne accorge, e che il poeta ha imparato a
dirigere, aggiungendovi fulmineamente una propria immagine interiore: quella di adagiarsi
sul muschio che ricopre gli acquiferi di una miniera, simboli delle arterie sottili (1).
Queste pratiche lo fanno partecipe di un mondo luminoso, fatto di luci a volte di forma
astratta (fibre dorate) a volte aggregantisi in immagini pi definite di ogni tipo ed equilibrate
nei colori se i cinque elementi corporei sono in equilibrio.
E' un mondo costituito anche di suoni che, pur sperimentabili localmente in connessione
col corpo fluidico (si ripete il simbolismo delle fratture rocciose, sito degli acquiferi),
sembrano eco o risonanze di eventi dei "cieli" sottili macrocosmici.
(1) A proposito di eventi "interiori, nella monografia "Conoscenza delle acque" si legge: Se
questo sapere a te ti riconduce, e, ghiacciato da gelo mortale, senti l'abisso aperto [...] e,
similmente in "La via del risveglio secondo Gustavo Meyrink": Irrigidisciti tutto, raccogliti
bene e costringiti un momento solo alla sensazione che ti traversa con un brivido il corpo
[...].
In effetti, leggendo e mettendo un po' in pratica quelle monografie, ho puntualmente avuto
dei brividi. Fra l'altro mi anche capitato con esercizi dei quali ho scritto altrove, come
quello da me riportato sull'immaginarsi "al centro" e con uno sul potere della volont.
Probabilmente questi eventi sono dovuti alle stesse cause immediate/superficiali delle
sensazioni comuni, ma sembra di intuire che dietro le quinte abbiano un'origine sottile,
"occulta"... [N. d. Fabritalp]
Coi miei blocchi di vertebre montani
e con le mie epidermidi sative
combaciano tenacie votive
di ritorni di soli e di fogliami:
e ogni consumo di faune e di flore
che mi solca e mi colma - m'affratella
alla nativit di una zolla gemella
che si risolve in pollini d'aurore.
Nella "versione Ur", dopo "fogliami" vi un punto fermo, da ritenersi un probabile errore di
stampa, visto che il successivo "e" minuscolo. Perci riteniamo giusta e adottiamo la
punteggiatura del 1954, cio i due punti. Altre differenze tra le due versioni non ce ne sono.
Il ciclo iniziatico del giorno e della notte prevede una pratica continua, comprendente anche
i momenti di nutrizione. Anzich abbandonarsi a posizioni curve o scomposte come fa
l'uomo comune, occorre mantenere la spina dorsale eretta come una montagna e porre la
propria attenzione alle parti della superficie corporea (epidermidi) "coltivabili"
sensorialmente con la nutrizione: in questo modo vengono a coincidere la volont magica di
una riacquisizione di piene consapevolezze (soli) e quella di un ripristino di forze vitali
(fogliami). Inoltre, ogni pasto, di alimenti sia animali sia vegetali, non solo migliora la
consapevolezza del praticante, attraversando l'organismo e nutrendolo, ma pu costituire
anche possibilit di trasmissione iniziatica e di pratiche di catena (epulae iniziatiche).
2d) Dal "Cantico del tempo e del seme"
di Girolamo Comi
L'ultimo numero de "La Torre" (n 10, 15 Giugno 1930) annunciava, in una nota, l'uscita
del Cantico del Tempo e del Seme di G. Comi, presso la casa editrice "Al tempo della
Fortuna", Via delle Convertite 18 (Libreria Modernissima) Roma, al prezzo di L. 10. Il
Cantico, in questa veste definitiva, presenta una parte introduttiva in prosa ove, per quanto
riguarda in specifico il titolo, si dice: "Seme e tempo sono luce affrancata dal peso dell'et
atmosferica e umana; sono frutti e respiri sempre imminenti nell'antica giovent delle carni e
nella sempre attuale perennit dello spirito: in un battito solo riuniti celebrano e consacrano,
nella segreta organicit di noi, l'universa salute dei miti e del sesso".
Nel seguito elenchiamo i componimenti poetici presenti, intitolandoli con il primo verso.
A fianco, in parentesi, indicata l'eventuale anteprima in Krur o ne La Torre e/o l'eventuale
presenza nella successiva antologia Spirito di Armonia (Lucugnano, 1954).
Forze che vela un sonno risalite (Spirito d'Armonia.)
Il vivo evento d'essere tessuti (Krur)
Fulgori chiusi in te non mai svelati (Krur - Spirito d'Armonia.)
Nel corridoio di non molte parole
Dalle radici luce la figura (Spirito d'Armonia.)
Essenza d'ogni mondo (Spirito d'Armonia.)
Rivuole il suo destino
Gemme di vulve - sfrangiate in figure
Forze fraterne dell'elemento e del verbo
Si disegna uno scheletro votivo (Spirito d'Armonia.)
Nel variare apparente dei nomi
Il consumo fatale di me stesso (Krur)
Se s'allontana il corpo gaudioso
All'organicit di tutto riunito
Corpo celeste del tempo
Il tempo non passa traspare (Krur - Spirito d'Armonia.)
La giovent di noi in noi permane (Spirito d'Armonia.)
In un calice rutila il mistero
D'alberi antichi le fossili spoglie
Questo silenzio luce virtuale (Spirito d'Armonia.)
Il grande silenzio che cade
Il frutto cade, va oltre se stesso
Oh fiori, radiosa pazienza (Spirito d'Armonia.)
La mattina disgrega le gemme
Di questa polpa di giorni e di notti
Nel'aereo tessuto dei colori
La voce un corpo ideale di luce
Sillabe della luce - incluse ed echeggianti
La luce dilatata in veemenze calme (Krur)
Vivono i cieli del riflesso denso (La Torre - Spirito d'Armonia.)
Il cielo ha una veemenza cos netta (Spirito d'Armonia.)
Nell'albero velato di generazioni (La Torre - Spirito d'Armonia.)
Nella luce che qui perpetua il sole.
Un estratto del poema "Cantico del Tempo e del Seme" , scritto nel periodo 1929-1930, usc
in anteprima sulla rivista Krur e si pu ritrovare nel III vol. di Introduzione alla Magia. Il
cantico ripropone lo stesso tema affrontato da Oso in "Appunti sul Logos": il tempo come
durata, colta verosimilmente con la stessa tecnica, che Leo, in "Avviamento all'esperienza
del corpo sottile", cos descrive: " Noi dobbiamo cercare di avvertire accanto ad ogni
impressione sensoria una impressione che la accompagna sempre, che di un genere del
tutto diverso - risonanza in noi della natura intima, sovrasensibile delle cose - e che ci
penetra dentro silenziosamente."
Nella prima poesia, il tempo descritto come un trasparire. Ci equivale a dire che
l'evidenza massima per gli avvenimenti presenti, senza per questo annullare gli
avvenimenti passati, che sono solo meno visibili, situati in strati pi o meno lontani della
memoria; n escludere quelli futuri, le probabilit dei quali appaiono come immagini non
ancora distinte, anticipatrici dei medesimi. Gli avvenimenti, cio le mutazioni dei corpi e
della luce che li rende variamente visibili, sono percepibili come una sorta di
composizione musicale, nella quale ogni nota semenza di quella successiva e
quest'ultima maturazione della precedente. Con la pratica esoterica, nasce un nuovo senso
di s: l'energia sottile, che muove il corpo, avvertibile come un istinto luminoso, e il suo
agire come canti, prodotti ad ogni scaturire della rinata parola vivente. Leo ha anche detto
che tale nuova percezione " un annullamento del senso dello spazio - mentre resta una
attivit di successione, un senso diverso, interiore, ritmico del tempo". Comi gli fa eco,
dicendo che all'orizzonte (agli orli di tutti i paesi) che lo spazio sembra esser sciolto
dall'azione del divenire (la torrenzialit del tempo), in sonorit che si mescolano ai colori
del cielo. Ed sempre il tempo che, con l'alternanza luminosa, modula la mercurialit
cosmica (il segreto argento) nel succedersi dei giorni e delle notti in unit cicliche pi
grandi, come i petali nelle corolle.
I
Il tempo non passa: - traspare
in inni d'eterna semenza
nei corpi e nell'iride densa
d'ogni stagione solare.
Fa le tue membra raggianti
d'un istinto di luce incisivo
che scolpisce e riassume i suoi canti
nelle albe del verbo nativo.
Agli orli di tutti i paesi
la sua torrenzialit scioglie
lo spazio del suolo, le zolle
in sonori orizzonti turchesi.
Ed irrompe in fulgori dirotti
nella tenebra dell'elemento,
per sfrangiarne il segreto argento
in corolle di giorni e di notti.
Nella seconda composizione, l'attenzione si porta decisamente sulla scaturigine di
quell'istinto luminoso al quale accennava la prima poesia. E' il mondo di quei fosfeni, che il
mondo profano considera ingenuamente come residui dell'attivit ottica. Si tratta invece di
un aspetto di quella "materia" sottile (elementi elementanti) che ad occhi chiusi, da svegli,
appaiono come barlumi cangianti e caotici, ma che si organizzano invece nelle immagini
della nostra memoria e dei nostri sogni. Al poeta essi si svelarono, per la prima volta, come
veste percepibile dell'agire delle forze vitali (gli aliti d'essenza). Viene ribadito che questo
agire si presenta anche come un canto, un suono interiore, avvertibile soprattutto tra gli
spazi esistenti tra un pensiero discorsivo e un altro, innumerevoli come i pensieri stessi (lo
sciame dei silenzi) e che permette allo spirito di diffondere il suo atto, in vampe vitali, in
tutto il suo microcosmo, fino alle sedi del sempre rinascente atto sensoriale. L'aura
industruttibile di elementi sottili che proteggono il "corpo mercuriale" opera, seguendo il
ritmo del respiro, quell'eterizzazione del sangue (cio quella parziale trasmutazione, nel
cuore, del sangue in luce) preludio, sia pur distante, di ci che, nell'adepto perfetto,
l'eterizzazione di tutto il corpo grossolano
II
Fulgori chiusi in te, non mai svelati
se non come barlume ed apparenza
d'imponderabili aliti d'essenza
gelosi del mistero in cui son nati,
Cantano nello sciame dei silenzi
l'evento dello spirito, disperso
in vegetali vampe d'universo
e nel nativo gemito dei sensi.
Ma una indistruttibile aura di salute
nella tenacia del respiro scande
gli intervalli celesti e le volute
del mistero nudrito del tuo stesso sangue.
Confrontando "Dal cantico del tempo e del seme" pubblicato su Krur con lo stesso Cantico
presente nell'antologia "Spirito d'Armonia" (che raccoglie la produzione lirica di Girolamo
Comi del periodo 1912-1952, secondo una scelta dello stesso autore) si pu osservare che
solo le prime due poesie della "versione Krur" del Cantico sono presenti, e in diverso ordine,
nella suddetta antologia. Le ultime tre sono assenti e sostituite da un maggior numero di
componimenti. Il diverso ordine delle prime due poesie indica che l'autore non dava molto
peso all'ordine di lettura, essendo ciascuna da considersi compiuta in s stessa, pur
lumeggiando diversi aspetti del medesimo tema. La mancanza delle tre ultime composizioni
nell'antologia indica probabilmente che Comi le riteneva pi adatte al pubblico che leggeva
Krur e non ad un pubblico pi vasto. Perci la "versione Krur" del Cantico pu ritenersi,
come peraltro logico, una versione pi sintetica e pi esoterica.
Ma passiamo all'esame della terza composizione. L'uomo non un oggetto, ma un
evento vivente e come tale sempre nuovo, tessuto di istanti inafferrabili di tempo. E'
libero, senza regole ("sregolato") eppur, corporalmente, racchiuso in quella mineralit, frutto
di compiuti cantici del Logos (il lettore tenga presente quanto dice Oso in "Appunti sul
Logos"). Questo modo di essere scioglie e ricoagula di continuo gli involucri ("il peso") che
avvolgono lo spirito, compenetrato in quel coro illimitato che genera ogni ricominciamento
("mattine"). Alla base di una tale descrizione c' un'esperienza che in Oriente chiamata
conoscenza dell'aspetto tremendo della realt (Vijnanabhairava) spesso personificata
nel dio Shiva, il distruttore delle forme: all'occhio interiore dell'asceta si rende evidente che il
cosiddetto mondo reale si dissolve e si ricrea ad ogni istante. Ogni ricreazione sembra
alimentata da interiori ricominciamenti, da lente premonizioni, dall'ansia passionale, dalle
promesse di un rifiorire. Questa struttura di base ritmica del tempo il fondamento di altri
ritmi pi lenti ma altrettanto instancabili, primo fra tutti quello del respiro, piacevole perch
ci fa sentire vivi. Il suo cambiar di ritmo legato alle modalit del pensiero ed esso sembra
riposarsi, adagiandosi nella durata delle parole, o, come forza pronta a dispiegarsi in nuovi
cicli vitali, nella semente.
III
Il vivo evento d'essere tessuti
di palpiti impalpabili di tempo
o sregolati - carne ed ossa - dentro
le miniere di cantici compiuti,
In noi consuma e rielabora il peso
d'uno spirito ardentemente steso
nella coralit senza confine
di generazioni di mattine...
Il tempo - alimentato in tutti i pori
da mattudinit interiori
di spazi intrisi di promesse lente
d'ansia di sangue e promesse di fiori -
Ci ricollega inesauribilmente
all'organicit voluttuosa
d'ogni respiro che pensa o riposa
nella parola e dentro la semente.
Il ritmo del Tempo che invecchia il corpo grossolano e infiacchisce le emozioni appare alla
conoscenza immaginativa del poeta come una compagine di figure, alcune oscure, altre di
luminosit nascente, espressioni di due differenti livelli di energia. La realt materiale, che
esse scolpiscono, si mostra, a sua volta, come il riflesso delle "indistruttibili nature", cio
degli aspetti positivi, non-distorti, dellessere che si configurano in un individuo illuminato :
indistruttibilit della presenza della consapevolezza, indistruttibilit della facolt di apparire
agli altri, indistruttibilit della parola magica (logos), indistruttibilit del pensiero magico.
L'essere saldato ad ogni stadio di trasmigrazione ("scatto a scatto") all'immemorabile
flusso del divenire, come una gemma od una propaggine al suo tronco; ma tale vincolo lo
lascia, in realt, intatto ed ecco che si manifesta il seme dell'illuminazione nel frutto
della manifestazione.
Se si frammenta nell'arida struttura salina dello scheletro, risale anche, sotto forma di fluidi
energetici ("linfe velate di cielo"), lungo quell'axis mundi che la colonna vertebrale ("lo
stelo"), trascinando la basale forza che opera in noi come sesso, ridistillandola in quella
originaria "aria di proiezione", che il potere del pensiero.
IV
Il consumo fatale di me stesso
compagine sacra di figure
di notte e d'alba incise nel riflesso
delle mie indistruttibili nature.
Quest'essere saldato -scatto a scatto
alle gemme e propaggini di tutto
un tronco immemorabile - ma intatto
dentro cui ridiventa seme, il frutto.
Se si sgretola in sali aridi d'ossa,
risale in linfe velate di cielo
nella terrestre magia dello stelo
che testimonia la nativa forza
del sesso proiettato nel pensiero.
Il poeta descrive i vari stadi di una visione della luce interiore. Dapprima una rosa di
luce, luminosamente dilatata, i cui molti e fitti petali appaiono come una marea possente e
calma ove ciascun elemento sottile e grossolano permeabile agli altri. In uno stadio
ulteriore, la luce cristallizza in formazioni stabili, simili a intricati grappoli di frutti, mentre le
forze vitali si manifestano in una quieta beatitudine.
Poi la visione viene rievocata, riportando alla memoria i vasi sottili ove le forze vitali
mandano palpiti radiosi e fragranti.
La presenza mentale risale i vasi sottili fino ai nodi dei centri di luce, astri infaticabili del
corpo sottile, sempre luminosi, dove fermenta il germe dell'illuminazione. Esso riecheggia
nei risvegli progressivi, precedenti la pratica "al di l dello sforzo", e matura nelle
"indistruttibili nature".
V
La luce dilatata in veemenze calme
di porose maree d'elementi e di carne,
si cristallizza in grovigli di frutti
ed in riposi estatici di succhi.
La tua memoria che ne aspira i calici
ed i radiosi palpiti aromatici.
Risale verso i solchi e le fratture
degli astri insonni e delle aurore eterne
dove fermenta e riecheggia il germe
dei tuoi risvegli e delle tue nature.
Come si gi detto in precedenza, Il Cantico del Tempo e del Seme stato presentato, da
parte di Comi, in varie versioni. Nel quindicinale La Torre (n 5 - 1 Aprile 1930) pubblic, con
il titolo"Secondo l'Albero", quel componimento che, nell'antologia "Spirito d'Armonia"
(1954), andr a costituire la parte conclusiva del Cantico. Tale edizione de La Torre
particolarmente interessante, perch contiene tre strofe (le ultime) che non si trovano pi
nella versione, meno esoterica, di "Spirito d'Armonia" (1954). Ma gli aspetti interessanti non
finiscono qui, perch nel numero precedente de La Torre (n 4- 15 Marzo 1930 ) nella
raccolta di Aforismi "Riferimenti e Associazioni", Comi stesso aveva fornito, nei primi due
aforismi, alcune chiavi simboliche che sono in armonia con questa parte del Cantico. Le
riportiamo come premessa:
La pianta aspira al sole per (una) legge naturale. L'uomo si consuma e si realizza nel sole in
virt di un suo nativo (e inesauribile) impeto soprannaturale.
***
Il 'tronco' dell'albero 'padrone' di foglie e di frutti per cui il deperire e il perire rientrano nel
piano del fenomeno bruto, senza conseguenze ulteriori. Lo 'scheletro' dell'uomo schiavo di
carni che vogliono riorganizzarsi e "riunirsi" in corimbi di magiche efficienze. In vista e in
attesa di tale unit vediamo deperire e perire i corpi.
***
Nell'albero - velato di generazioni
d'inni d'effimere stagioni -
circola una fragranza di tempo inviolato
che satura le pause del tuo fiato
d'una coscienza di perennit.
Se ridiscendi verso le radici,
ecco la pazienza duttile ed intatta
d'una catena di germogli, fatta
di sorde tempre di solarit.
E l'albero si dona aereo e sotterraneo
- virt corale d'indiviso polline -
all'ansia dello spazio che ne accoglie
il tronco immediato e l'umore lontano.
L'imponderabile aura delle foglie
palpito di un simbolo solenne
che collega le fibre delle gemme
all'entit dello spirito umano;
ed il tempo che lievita e dilata
di sali d'astri la tenera forza
d'ogni virgulto diventato ramo,
scande ed eterna - per tutta la scorza
della statura dell'albero - l'ebbro
cantico del tuo corpo e del tuo verbo.
La tendenza di Comi, in quel periodo, a commentare egli stesso la sua poesia, ha una
conferma nel n 7 de La Torre (1 Maggio 1930). Infatti le strofe de La Lettera e Lo Spirito,
componimento che andr a costituire, nell'edizione 1954, la terzultima parte del Cantico del
Tempo e del Seme, sono precedute da un breve commento dello stesso Comi. Nella
versione 1954, si notano varianti di non grande rilievo. In particolare, nell'ultima strofa,
"Radioso" sostiuito da "Ardente" e "d'immortalit" da "d'eterno". In entrambe le versioni, la
punteggiatura dell'ultima strofa appare pi basata sul ritmo che sulle abituali convenzioni
grammaticali.
LA LETTERA E LO SPIRITO
Una "semenza" e un "ritmo" universale di luce, che ne fa calici e frutti, bastano a rituffarci
nella mitica maternit della sostanza che ci data. Lo spirito accoglie e riproduce il travaglio
epico di tutte le forze di cui esso simultaneamente testimone e collaboratore: ma bisogna
che la sua testimonianza e la sua collaborazione diventino "necessit organica" (nel sangue
e nel pensiero) e combacino con le pi sintetiche vitalit delle cose e degli esseri. Non basta
accogliere e riprodurre: bisogna che in questa accoglienza e in questa riproduzione vibri la
ininterrotta solarit germinale della terra e del cielo.
Vivono i cieli del riflesso denso
dell'et consumate - dilatati
dall'ebriet dei corpi e rinsanguati
dal respiro del verbo e del silenzio.
E in ogni astro il peso vivo, il sale
dello spirito che vibra o che tace
ispirato dall'ausilio tenace
dell'acqua, della zolla, della brace
e dall'impeto del seme animale.
Radioso scambio fra spirito e sesso,
fra tombe e sole, fra notti e aurore
intride e colma d'un doppio riflesso
d'immortalit, l'ansia del seme e del fiore.
3) Arturo Onofri
Nuovo Rinascimento come Arte dell'Io
Sintesi a cura di Oso
Il ciclo poetico conclusivo della poesia onofriana, che comprende, in ordine di
pubblicazione, Terrestrit del Sole (1927), Vincere il Drago! (1928) e, postumi, Simili a
Melodie rapprese in Mondo (1929), Zolla ritorna Cosmo (1930), Suoni del Gral (1932), e
Aprirsi Fiore (1935), preceduto dal fondamentale testo teorico Nuovo Rinascimento come
Arte dell'Io (1925).
La nascita di questo testo ovviamente in connessione con l'adesione di Onofri
all'Antroposofia steineriana, che ha ispirato anche altri artisti del Novecento, come Andrej
Belyj e Vasilij Kandinskij. Altri ancora, come Fernando Pessoa o Piet Mondrian, hanno
tratto invece ispirazione dalla Teosofia.
Per comprendere anche solo quel poco della poesia onofriana pubblicato su Ur/Krur, penso
sia necessario un sia pur schematico esame delle sue posizioni teoriche, espresse in Nuovo
Rinascimento.
Il primo capitolo del libro, intitolato "Arte Antica e Arte Moderna", si propone di indagare la
distinzione esistente tra l'arte del presente e quella del passato. Onofri specifica che: "Per
'passato' s'ha da intendere non solo l'arte egizia, greca e latina, ma anche quella che
attraverso Dante e Giotto impronta di s il Medioevo e tutto il Rinascimento, e include, a un
di presso, l'intero 1500" (p. 25).
La prima caratteristica dell'arte moderna di essere arte cosciente: "A differenza dell'antica,
l'arte moderna deve prender coscienza del suo nuovo compito, se vuole realmente
eseguirlo. Questo il punto. Non si potr pi parlare di veri artisti ingenui, fanciulleschi,
inconsci. Ci non possibile per il presente, e tanto meno lo sar per l'avvenire" (p. 24).
Per questo motivo, l'artista moderno avverte in genere una certa insofferenza, perfino per le
forme semplicemente esteriori dell'arte tradizionale, e si sforza di creare, a costo di cadere
talvolta in aberrazioni formalistiche, qualcosa di profondamente differente: "Non pi
possibile rivolgersi al passato e alla tradizione, per derivarne, magari come seguito, una
spinta efficace alla creazione d'arte. Con ci non si vuol negare la bellezza e la necessit
che reggono le opere mirabili del passato: sarebbe stoltezza. E che alcuni artisti siano
caduti nel tranello di negarle, dimostra soltanto che spesso le migliori intenzioni sono quelle
che conducono all'opposto" (p. 24).
L'artista antico viveva in simbiosi con la natura e con le forme sacrali della tradizione alla
quale apparteneva, e da essi traeva spontaneamente ispirazione. L'artista moderno
tendendo, per diversa struttura interiore, ad emanciparsi dai dogmi e dalle forme sacre
ereditate, ed essendo figlio di un'epoca che ha sviluppato all'estremo l'aspetto razionale del
suo essere, non ha altra scelta coerente se non quella di cercare di esprimere una
spiritualit creata e vissuta coscientemente: "L'arte d'oggi nata e nasce dallo sforzo che
l'artista fa per mutare la costituzione dell'anima sua, attraverso il suo interiore lavorio
individuale. E questo sforzo tanto pi creativo quanto pi consapevole. Siamo giunti al
punto in cui l'artista, se vuole efficacemente proseguire il suo sforzo creativo, deve
prenderne coscienza in modo decisivo; deve trovare addirittura il metodo della sua
individuale trasformazione progressiva verso la diretta comunione con la spiritualit cosmica
(p. 33). ... Si sta trasformando l'intera costituzione dell'anima artistica, la quale, invece di
guardare ancora verso il proprio passato, ormai costretta non solo a guardare, ma a
lavorare consciamente al proprio avvenire (p. 34). ... Noi conosceremo lo Spirito
organicamente, quale vita reale, non lo penseremo pi solamente per via di concetti
filosofici" (p. 36).
Ritornando sulla differenza tra artista antico e moderno, Onofri offre al lettore una efficace
similitudine: "Come il bambino nell'utero materno vive della stessa vita della madre, ancora
tutt'uno con lei, ma appunto perch tutt'uno con lei, non pu averne alcuna coscienza,
perch non ha ancora una personalit sua, indipendente da quella della madre, cos noi
siamo dovuti uscire dal grembo della realt divina, appunto per imparare a conoscerla in
quanto esseri umani indipendenti da lei, e per questa via dobbiamo ora riconquistarla in noi
stessi. Dunque una concezione cosmica che s'interiora nel sangue una concezione che
non si limita ad occupare l'intelletto umano in funzione di concettualit, ma trasforma e
plasma, a sua propria stregua, l'interno essere dell'uomo, modificandone, oltre ai pensieri,
anche le passioni, le abitudini, le convinzioni profonde e gli atteggiamenti spontanei nei
rapporti umani, sia pratici sia di sentimento. interiorata nel sangue quella concezione del
mondo che in certo modo non ha pi bisogno d'essere pensata intellettualmente per
esistere nell'interno dell'uomo, ma presente nella funzionalit attiva degli organi (anche
fisici), in tutta la costituzione d'insieme dell'uomo stesso, nella sua viva realt spirituale,
animica e corporea (p. 42). ... L'uomo dovr diventar conscio in s medesimo dell'elemento
divino del mondo" (p. 44).
E conclude conseguentemente: "La differenza essenziale, dunque, fra arte antica e
moderna questa: che l'arte antica si attuava in quanto l'artista si disponeva in uno stato di
accoglimento soprattutto passivo e inconscio; quella odierna esige, e sempre pi esiger,
dall'artista uno stato di iniziativa interiore e di attivit individuale che tenda
all'auto-trasformazione cosciente dell'uomo-artista" (p. 48).
Nel secondo capitolo, intitolato La Coscienza Critica dentro l'Opera d'Arte, Onofri passa
ad esaminare pi approfonditamente le caratteristiche dell'artista moderno, inerenti al suo
nuovo e sofferto compito.
Ribadendo affermazioni del precedente capitolo, Onofri nota che gli artisti del passato,
come Dante o Raffaello, erano espressioni di forze e di tendenze che agivano nella loro
epoca, e che confluivano in essi dall'esterno, potenziandone le facolt estetiche: " E'
verissimo che l'arte di un Dante o di un Raffaello di gran lunga superiore, come risultato,
all'arte odierna; ma si ingannerebbero assai coloro che dalla perfezione di quelle opere
d'arte, quali appaiono a noi, volessero dedurre che Dante e Raffaello avevano una adeguata
coscienza (come uomini individuali) delle forze divine che agivano in loro, ispirandoli come
artisti, e che quelle forze fossero proprie della loro interiorit individuale cosciente. ... Quegli
uomini divini appartengono ancora ad un'epoca artistica, in cui la creativit dello spirito
operava, in grandissima parte, all'insaputa dell'artista stesso, non ancora orientata del tutto
dal di dentro di lui. Non era ancora effettuato interamente il trapasso verso la coscienza
singola, cio verso l'auto-coscienza, come abbiamo detto, che si stava solo preparando (p.
50)". Come stato indicato da qualcuno, nel Quaderno sui Fedeli d'Amore, Massimo
Scaligero condivideva questa visione. Tuttavia, in quello stesso Quaderno, stato anche
sottolineato che, da questo punto di vista, soprattutto gli ultimi Fedeli d'Amore rivelano una
certa continuit con i primi Rosacroce e che la forza magica legata a quel mirabile
cosmogramma che la Divina Commedia probabilmente non estranea - se non nelle sue
cause, nei suoi effetti - al definitivo trapasso, almeno in Occidente, alla coscienza di tipo
moderno.
Secondo Onofri, l'artista moderno si trova isolato rispetto alle forze ispiratrici agenti
nell'antichit e perci senza impulsi 'esterni' sostenenti la sua ispirazione, che pu creare
unicamente nella sua soggettivit:
"L'artista d'oggi non pu non lavorare strenuamente con la sua coscienza e sulla sua
coscienza, se vuole ritrovare le sorgenti della creazione artistica. Cos egli arriva a
comprendere di poter oggi realizzarsi artisticamente in proporzione di quanto riesce a
realizzare (in s uomo) la consapevolezza della spiritualit reale che vive in lui, nei suoi
stessi sforzi d'uomo e d'artista, come anche nell'universo. (p. 57) ... Non pi l'elemento
irrazionale (o prefilosofico) quello che costituisce l'essenza dell'arte, come moltissimi ancora
opinano, bens un elemento ultra-razionale, post-filosofico, che vuole sorgere dall'interna
coscienza dell'uomo odierno. Fra l'antica arte irrazionale e la nuova arte ultra-razionale c',
gi oggi, un vero e proprio conflitto, e chi scrive ne sa qualche cosa (p. 60)".
Come risolvere il conflitto? cio il tentativo di far nascere, nella propria interiorit, il sole
stesso della creativit artistica? : "Ecco che il duplice aspetto della nuova artisticit ci si
manifesta simultaneamente: da una parte un'assoluta interiorit, e dall'altra un continuo
prender coscienza della trasformazione vivente di questa interiorit, per manifestarla
all'esterno adeguatamente, in un articolato divenire, che sia, nella tecnica artistica, la 'forma'
stessa dell'opera d'arte. ... Non gi, dunque, che l'artista non debba pi guardare
all'esterno, e debba negarlo o disinteressarsene. (p. 62) ... Gli esseri e i fatti del mondo
circostante non sono pi che le viventi immagini della sua ampliata interiorit: della sua
interiorit cosmica. Ma prima egli deve aver trasformato se stesso e il suo sangue, merc la
superiore coscienza del cosmo, e precisamente merc una coscienza dell'universo
spirituale come di una unitaria gerarchia di esseri spirituali. Allora, dentro l'opera d'arte, vive
ed opera la coscienza stessa dell'artista" (p. 63).
Inutile dire che, perch si possa apprezzare adeguatamente un tale tipo d'opera d'arte, il
critico d'arte, deve avere anch'egli accesso alla medesima dimensione spirituale dell'artista:
"Da ci si comprende come la critica di un'opera non pu essere fatta se non a questa
condizione: che il critico non solo partecipi all'evento che s' svolto nell'artista, ma sia in
grado di osservarlo criticamente (e quindi valutarlo) dentro la propria interiorit cosciente.
Altrimenti il fatto artistico o viene respinto, o viene pi o meno passivamente subto, vissuto,
ma non conosciuto, compreso" (p. 64).
Ne viene anche di conseguenza che l'arte moderna spesso un po' oscuramente alla
ricerca di se stessa, cos come un po' oscuramente alla ricerca di se stesso l'uomo
moderno, soprattutto quando si mantiene distante dal pensiero iniziatico: "Ci spiega anche
perch la maggior parte delle opere d'arte odierne, nel loro intimo contenuto, non solo
presentano errori, sforzi, deformazioni, arbitr, oscuramenti, sproporzioni spesso gravissime,
ma hanno altres l'impronta caratteristica di ricerche e di studi. Rispetto ai perfetti capolavori
antichi, le opere d'oggi, ripeto, sono sempre alquanto approssimative. (p. 66) ... L'artista
non sapendo rendersi conto di quanto effettivamente avviene in lui come ispirazione nel
sangue, vi legge dentro per approssimazione, cio la sua ispirazione non completamente
reale, poich per essere tale essa deve essere portata a piena coscienza dallo sforzo
interiore auto-conoscitivo dell'artista medesimo.
Gli artisti moderni, sentendo d'istinto questa interna sproporzione, hanno cercato per lo pi
di rimediarvi come hanno potuto (pp. 66-67) ... . Questa la motivazione, ad esempio, del
ben noto leitmotiv wagneriano, o delle teorie stereometriche (cono, cilindro, sfera) del
Czanne; questa l'ossessione scientifico-medianica di Poe, o la famosa alchimia del verbo
di un Rimbaud o il paradossalismo un po' perverso di un Wilde, o le inversioni di valori di un
Nietzsche, o le dottrine sociologico-ereditarie di uno Zola, o il paganesimo letterario del
Carducci, o le ricerche naturalistiche sulla luce e sui volumi in tutti i plastici, impressionisti,
divisionisti, futuristi, cubisti, o le enumerazioni catalogiche di Whitman, o la scala esatonale
di Debussy, ecc. (p. 67) ... L'ispirazione ne risulta mozza, frastagliata in compromessi
intellettualistici, che la snaturano pi o meno. L'artista si sbaglia, pi o meno,
nell'interpretazione di quella forza espressiva che in realt agisce nel suo subcosciente, e
che, per essere totalmente se stessa, reclama in lui il consapevole riconoscimento della
propria originale essenza sovrannaturale. Da questo errore della coscienza artistica sono
nate le varie formule, le tecniche, le scuole, e tutte le programmatiche sopraffazioni
intellettuali, proprie dell'arte odierna, che portano infinite denominazioni, ma sono sempre
una sola ed unica deviazione. Tuttavia, se noi, pur tenendo fermo a questo carattere
deformativo, indaghiamo la natura essenziale dello sforzo artistico moderno, dobbiamo
arrivare a riconoscere che oggi, nelle correnti profonde dell'arte, c' una vera tendenza di
rinnovamento, un istinto novello" (pp. 67-68).
Onofri poi critico nei confronti dei molteplici fenomeni di "passatismo" e anche dell'
"eclettismo" che spesso li accompagna. Egli li scorge soprattutto in ambito teosofico, ma li
possiamo anche scorgere in taluni "storici delle religioni", troppo propensi ad accostare tra
loro fenomeni temporalmente distanti; oppure in coloro che pretenderebbero, ancor oggi, di
far rinascere forme culturali ormai scomparse e infine in studiosi dell'esoterismo, che hanno
una visione statica del "tradizionalismo" o adducono a giustificazione dell'eclettismo l'unit
trascendente delle religioni: "Ognuno sceglie secondo le sue preferenze personali,
disputando poi, con perfetta accademia, contro le altrui convinzioni e preferenze parimenti
personali: platonismo, bramanesimo, vedantismo, taoismo, zaratustrismo, buddismo,
ermetismo, ebraismo, cattolicismo, protestantesimo, maomettismo, ecc., quasich si
trattasse di rivelazioni attuali dello spirito, senza tener conto del loro ordine storico, che solo
ne d l'intimo significato spirituale, nel corso d'evoluzione dell'umanit".
Senza tener conto di tale trasformazione interiore dell'uomo, non possibile comprendere
ci che ancora valido in quelle forme spirituali e cosa no: "Gli uomini debbono rinnovarsi
dall'interno della propria spiritualit operante, e non pi richiedendo al passato, n
all'esterno, i rimedi e le norme della vita. Bisogna volgersi alle reali sorgenti del
rinnovamento, vincendo le illusorie opinioni tradizionali, e tutte le velleit dottrinarie,
personali o settarie. Altrimenti ci si sentir sempre pi estenuati di forze" (p. 72).
Naturalmente non si nega che esista una continuit iniziatica, che si andata evolvendo nel
corso dei tempi, adeguandosi alle trasformazioni interiori dell'uomo, ma si trova assurda e
controproducente la pretesa di fissare tale continuit in forme antiche, ormai per noi
inefficaci e di scambiare esse per l'attuale iniziazione: "Non pi dunque dalla tradizione, n
dalla polemica contro la tradizione, che equivalente, ma da un auto-rinnovamento
puramente individuale, pu avverarsi un risorgere delle forze artistiche creative. Se l'artista
vuole arrivare a plasmare artisticamente, deve prima riplasmare se stesso. Questa sar la
sua prima vera opera d'arte. E da siffatto auto-riplasmarsi egli pu attingere l'energia
creatrice dell'Arte (p. 75) ... . E allora, a mano a mano, saliranno novamente dall'interno di
lui grandi immagini creative (analoghe a quelle che troviamo nell'Odissea, nel Partenone,
nell'Orestiade e nel Prometeo, nell'Eneide, nella Commedia, nel Giudizio Universale, nel
Cenacolo, nell'Amleto, nelle Sinfonie beethoveniane, nel secondo Faust, nel Tristano e nel
Parsifal), poich queste grandi immagini creative non nascono gi dal mondo esterno, ma
dal mondo interno dell'uomo, e sono espressioni del contenuto cosmico che , allo stato
subconscio, nell'uomo stesso" (p. 76).
Da parte nostra, riteniamo che si possa benissimo continuare a parlare di tradizione,
come si fa in questo Forum, a patto di identificarla con la continuit iniziatica,
dinamicamente evolventesi con l'uomo e come tale ancor oggi presente. Non un
caso che molte tradizioni iniziatiche abbiano sentito il bisogno di evolversi nel tempo: si
pensi, ad es. alle differenze tra il Buddhismo delle origini e lo Zen o il Tantrismo. La
tradizione iniziatica occidentale si evoluta in modo analogo, anche se spesso pi
sotterraneo, ovviamente adattandosi all'uomo occidentale. Se si ha invece una visione
statica della tradizione e la si identifica di conseguenza con forme spirituali ormai morte, non
si pu far altro che concludere, come taluni infatti hanno concluso, che la tradizione stessa
morta. Ed inutile prendere a scusa di tale atteggiamento l'immutabilit essenziale dello
Spirito, perch, in ogni caso, non affatto immutabile il rapporto di tale Spirito con le sue
modalit di manifestazione.

Il terzo capitolo, intitolato La Volont nell'Arte Moderna, mette in luce l'importanza, del
tutto peculiare, che ha questa umana facolt, nell'attuale processo di creazione artistica.
Onofri comincia col notare che: "Qualunque sia il sistema di segni adottati - parole, note,
linee, colori - l'arte strumento di auto-rivelazione spirituale. La funzione autoconoscitiva ed
espressionistica, che essa assume di fronte allo Spirito del mondo, quella stessa che la
coscienza umana riconosce in s medesima quando guarda al cosiddetto 'mondo esterno'
come ad un gigantesco alfabeto espressivo, ad un inesauribile cifrario in funzione di vita
vivente. Gli stessi ordini di spirituali potenze che hanno creato le forme e gli esseri del
mondo esteriore (minerali, piante, animali, uomini, corpi celesti) manifestandosi via via
attraverso di essi, nella lor propria essenza formativa e autoevolutiva, questi medesimi ordini
di potenze si manifestano nell'uomo sotto specie di arte. ... L'uomo stesso, condotto a
proseguire, per intimo impulso, per istinto, la volont creatrice delle potenze spirituali, non
ha fatto finora che ripeterne e proseguirne subconsciamente nell'arte la legge, il ritmo e
l'essenza. D'ora in poi lo dovr volere deliberatamente" (pp.78-79).
Il problema dell'ispirazione artistica si identifica con quello della 'rivelazione': "Nell'arte antica
la rivelazione che scende, che si d all'uomo; nella scienza posteriore l'uomo stesso che
vuole innalzarsi alla rivelazione. (p. 82) ... Di questo mutamento della coscienza la stessa
sintesi creativa (l'arte) per quanto la sua natura glielo permetteva, non ha potuto non
risentire" (p.83). La rivelazione sempre presente nell'arte anche quando non presa in
considerazione dall'artista o addirittura negata: "Si pu affermare che non c' artista un po'
degno di questo nome, il quale non conservi in un cantuccio (sia pure trascurato) della sua
anima espressiva l'anelito della rivelazione. ... Non c' impressione pi penosa di quella che
danno gli artisti che negano la rivelazione spirituale. come se un orologio, potendo
parlare, negasse di segnare le ore" (p.84).
Onofri mette poi in evidenza le facolt necessarie all'artista moderno, perch possa
realizzare una autentica sintesi creativa, come anche le deviazioni che facilmente possono
presentarsi in chi si lascia sopraffare da certo utilitarismo: "Per riottenere una vera sintesi
creativa, si presupporrebbe oggi un artista che fosse dotato di tre facolt ben difficili a
trovarsi riunite negli artisti:
1) la coscienza dell'unione perduta (da riconquistare) fra fede e conoscenza, fra arte e
scienza, fra grazia e verit;
2) la volont capace di trovare la strada e il metodo giusti per attuare consapevolmente
l'unione, e attuarla prima di tutto nella vita, come uomo;
3) tale un equilibrio di vita interiore da non perdere mai di vista, pur nello sforzo cosciente e
disciplinato, l'insieme da raggiungere, soprattutto conservando l'essenziale armonia delle
facolt interiori e della vita, armonia senza la quale non mai possibile arte vera.
Dinanzi a un ideale tanto elevato, chi di noi non si sente modesto, e non tende a vacillare?
Molti sono oggi gli artisti, che pur avendo intraveduto la luce della mta, danno indietro e
recalcitrano, fino a voltare le spalle alla luce intravista e a negarne beffardamente
l'esistenza. Costoro non sono ancora maturi alla nuova creazione, poich l'essenza d'ogni
creazione il sacrificio in nome del divino che c' in noi, sacrificio di successo, di quattrini,
di fama e perfino di risultati apprezzabili nell'ambito stesso dell'espressione artistica. Ma
gloria pi vera aver solamente tentato la via buona, anzich esser riusciti sulla via falsa.
Riusciti a che? A illudere se stessi. Questa tendenza auto-illusoria effettivamente la
tendenza odierna pi difficile a vincersi. Tutto, intorno a noi, cospira a ingigantire in noi
questa tendenza: dalla potenza meccanica alle pseudo-opinioni dei giornali, dal peso
massimo che in tutte le attivit della vita hanno oggi raggiunto gl'incompetenti (che sono il
peso morto da vincere) fino alla dura lotta che richiede la quotidiana esistenza economica di
ognuno. Tutto cospira a sospingere l'artista lungo la pi facile china del successo esteriore;
ovvero, ed il meno peggio che possa capitargli, a stornarlo oltrech dalla soluzione,
addirittura dal problema stesso, spingendolo verso altre attivit, che non siano quelle
dell'arte come rivelazione" (pp.84-85).
Si deve riconoscere che sono parole ancor oggi attualissime. Ritornando al nostro artista
ideale, che significato pu assumere oggi, per lui, nel campo specialissimo dell'arte, il
termine 'tradizione'? :
"Ogni vera opera d'arte , a se stessa, la sua propria tradizione, che nasce con l'opera
stessa, in essa sola rimane vivente, e con essa si esaurisce. Ogni proseguimento, ogni
perdurare di quella tradizione, fuori dell'opera che le ha dato origine, contrasto,
opposizione, negazione dello spirito creativo. (Non si parla qui di forme astratte: cio di
metri, di generi letterari, di argomenti di poemi, ecc. Si parla dell'intimo timbro spirituale, e
della situazione essenziale che il suo creatore ha assunto nel mondo). Dunque: in arte
indietro non si torna; n si dovrebbe tornare, anche se, per disavventura, si potesse. Allora
non resta altra soluzione del problema fuori di questa: che l'artista sia cosciente del
problema stesso. Egli cio non pu pi ignorare che l'essenza della sua arte la rivelazione
spirituale del cosmo in lui uomo; e poich l'antica capacit istintiva di questa rivelazione gli
andata perduta, egli deve diventar cosciente di ci che ha da fare, con la sua propria
volont, per arrivare a riconquistarla. Egli deve imparare, liberamente, dalle forze interiori
proprie, il metodo della rivelazione" (pp. 86-87).
L'autore si rende conto che gi accettare ci urta contro pregiudizi ereditari, che solo l'artista
che abbia sviluppato in s volont di autodominio pu superare. In tale direzione, Onofri
indica necessario, innanzi tutto, operare per liberarsi da "tutto quel mondo complesso di
immagini istintive, di pensieri e di sentimenti impulsivi, che vivono all'interno dell'uomo"
(p.87) e che costituiscono un "insieme umano involontario, che ha la caratteristica di un
mondo determinatosi in lui con la nascita dai suoi genitori, con l'ambiente che diventer la
cerchia personale delle sue abitudini e preferenze, dei suoi pregiudizi e passioni, innati e
operanti nel sangue ereditario. L'uomo deve comprendere che in questo insieme caotico e
non suo, che egli porta quale un involucro ostacolante, la sua reale volont dorme un sonno
profondo, come la pagliuzza d'oro nello spessore della sua ganga. Bisogna che questa
ganga sia fusa col fuoco. Il primo atto che egli deve chiedere alla sua propria volont che
essa riconosca umilmente di essere sepolta in una farragine arbitraria di elementalit
naturali e aprioristiche, le quali le impediscono di manifestarsi. ... Quanti uomini parlano di
libert, e magari di libert assoluta, e si credono liberi, perch si son formati un qualunque
concetto filosofico della libert!, ma poi nella realt della vita non sono che i servi dei propri
appetiti e delle proprie ambizioni: quasi mossi da fili esteriori. Ciascuno di noi comincia a
conoscere che cos' la volont quando avverte l'antitesi fra ci che in noi viene voluto da un
complesso di fattori che non si possono chiamare col nome dell'Io, e ci che proprio l'Io
vuole in noi. Quando la volont non si confonde pi con gli appetiti, con le ambizioni, con le
velleit, allora solo essa la volont. ... Una volont dunque che esclude gi ogni conflitto,
avendo riportato tutto alla propria essenza, nella perfetta pacificazione e unione auto-divina;
e che pure, malgrado ci, anzi appunto per ci, trova in s sola le motivazioni irrefutabili
dell'agire: solo questa la volont che agisce, e che tutt'altra dalla volont che agita
illudendosi di agire" (pp.87-89).
Tuttavia l'assumere che ogni opera d'arte, per la creativit dell'artista, debba essere
tradizione a s stessa non implica affatto il rifiuto di ci che rimane ancora dottrinariamente
vero della passata religiosit ed iniziazione. Ad es. occorre riconoscere che le umane
pulsioni non sono solo il risultato dell'ereditariet e dell'ambiente fisico-sociale umano, ma
dell'ambiente in generale, anche sottile e spirituale, e perci anche della pressione che
possono esercitare potenze ostili, "esseri spirituali avversi alla volont superiore e che
prendono nome ed aspetti di istinti, di passioni, di pregiudizi, di ostinazioni, di errori, ma che
in realt sono gli esseri spirituali del male, i quali si servono dell'uomo per i loro propri fini, e
son essi che gl'impediscono di volere, perch sono essi che vogliono in lui, pur dando
all'uomo l'illusione di volere" (p.91).
Contro l'illusoriet di una libert gi in atto, Onofri arriva a parlare della 'marionetta umana'
che mossa "come da innumerevoli fili interni ed esterni, dei quali essa non si rende conto,
e che spesso s'aggrovigliano inestricabilmente" (p.91) e della conseguente necessit di una
presa di coscienza dell'effettiva situazione di partenza, sia dal lato delle possibilit volitive,
sia da quello degli ostacoli esistenti, perch possa poi attuarsi una concreta e non illusoria
realizzazione di s: "Tutto ci nessuno pu certamente accettarlo se non conosce, oltre che
l'enunciato del processo, anche e soprattutto l'esperienza di questa interna e superiore
realt dell'anima, e nessuno pu fare questa esperienza in luogo di un altro. ... Solo
riportando la propria volont umana all'accordo con se stessa, in quanto volont divina,
l'uomo trova l'unione e l'armonia interiore fra il suo io e l'Io dell'Universo. ... Ma l'enunciato,
ripeto, conta ben poco, in s e per s. Conta solo in quanto noi cerchiamo di tradurlo in atto"
(p.92).
Il quarto capitolo, intitolato La Parola, particolarmente interessante per tutti coloro che
hanno apprezzato il saggio di Ur "Appunti sul Logos" e si interrogano su specifici
collegamenti di esso con l'arte poetica.
Non potevano mancare riferimenti al Vangelo di Giovanni e a Eraclito, che introducono a
concetti simili a quelli da noi trovati nel saggio L'Uomo Calorico cio Saturno (a suo tempo
inviato al Forum):
"La Parola-Fuoco era dunque la stessa volont divina allo stato creativo primordiale ....
Quello stesso mondo dunque che ci appare oggi allo stato minerale e contratto, si trovava
allora allo stato diffuso di Parola-calore (p. 97) ... Da quello stadio immensamente-mondo,
rarefatto, fluido e compenetrantesi, si passati a fasi del mondo e a forme sempre pi
dense, delineate e disintegrate dall'insieme, fino a raggiungere la forma singola di oggetti e
di creature densificate e distinte, che siamo oggi noi stessi, l'uno fuori dell'altro. Questa
individuazione in singole creature quella che ha dato all'uomo, depositario di quella
Parola-fuoco dei primordi, la capacit di rendersi conscio del mondo nei suoi vari aspetti, e
di poter ritrovare, in virt di quella stessa Parola, lo spirito unitario della creazione
universale, per atto del suo proprio spirito d'uomo individuato in un corpo distinto da un
altro" (p. 98).
Se un giorno i supporti materiali, dei quali l'arte si serve, dovessero svanire, per il passare
la terra a condizioni pi simili a quelle della Parola-fuoco originaria, non per questo
svanirebbero la concezione e la creazione spirituale originarie di quelle opere: "Insomma lo
spirito, l'idea-madre, l'essere originario, l'archetipo vivente di ciascuna delle vere opere
d'arte (sono vere perci solo quelle che corrispondono allo spirito di sviluppo della terra)
costituiscono la vera realt di tutti i poemi e di tutte le opere; e sono eterni. Questi archetipi
esistevano (spiritualmente) anche prima che quelle opere fossero attuate in terra dagli
artisti, ed esisteranno, sebbene diversamente, anche dopo che l'odierna esistenza materiale
sar riassunta in ispirito. ... Come l'artista non fece che essere fecondato, nella sua
ispirazione, da quell'archetipo a cui dette esistenza artistica (per gli uomini) nella materia
visibile e udibile dai sensi, dentro l'opera d'arte, accogliendo quell'archetipo e come
insufflandolo nella materia delle sue statue, delle sue tele, delle sue poesie, delle sue
musiche; cos quell'archetipo, per trasformato-umanizzato attraverso l'ispirazione e
l'interiorizzazione dell'uomo-artista, sopravviver eternamente, e anche dopo che la sua
realt materiale sar andata dissolta col dissolversi della terra-minerale" (p. 99).
Onofri fa poi una serie di considerazioni sulla Parola quale forza magica e quale valore e
conclude:
"L'uomo-artista d forma al corpo sensibile ad un essere spirituale, ad uno spirito che
esisterebbe solo nel mondo degli archetipi, nel mondo spirituale, ma del quale l'uomo non
pu prendere coscienza se non attraverso il velo della trasparente forma, attraverso il corpo
di bellezza sovrasensibile che l'artista solo sa adeguatamente plasmare a quell'essere,
esprimendolo attraverso l'opera d'arte. E quell'adeguatezza, quell'armonia, quell'accordo
che nelle grandi opere d'arte noi intrasentiamo fra lo spirito e l'espressione artistica
l'essenza di ci che chiamiamo bellezza. Cio attraverso l'opera d'arte noi uomini possiamo
vivere l'accordo fra il mondo terreno e il mondo spirituale, fra la terra e il cielo, in quanto
questo accordo lo sentiamo realizzato nell'arte. Fuori di ci, arte vera non pu esistere.
Dunque, l'artista nell'ispirazione spiritualmente fecondato da un archetipo, al quale egli d
forma, d corpo nella sua espressione artistica. Ma da allora in poi, attraverso questa
espressione artistica attuale, attraverso quest'opera d'arte, quell'essere spirituale che vive
entro la forma va a sua volta a fecondare pel tramite dei segni espressivi (parola, colori,
linee, note, ecc.) innumerevoli altri esseri spirituali, che sono gli uomini capaci di vivere
l'opera artistica. (Da ci s'intravede con quale dedizione e meditazione andrebbero lette le
opere dei poeti veri). In questo finissimo tessuto creativo, che si avvera fra gli uomini
mediante l'artista, ci che domina dunque lo spirito di comunione, di fusione, di
affratellamento spirituale: lo spirito d'Amore. In questo senso lo spirito di ogni creazione, e lo
spirito insomma della Creazione stessa, cio del mondo creato, non che l'Amore. La
Parola creatrice l'Amore, come vita essenziale della creazione, e codesta parola creatrice
circola e ricircola infinitamente nella creazione stessa attraverso e mediante la giusta
articolazione interiore dell'Uomo, per via della parola umana. Solo per indicare una
tendenza ch' implicita e latente nella parola umana, solo per questo, ho voluto accennare
ora ad un grado di sviluppo della parola, nel quale l'uomo insieme alla parola-suono
emetter la parola-spirito e coscientemente metter al mondo, parlando, esseri spirituali che
non possono venire ad esistere fra noi se non per via della parola umana. Parlando,
spontaneamente l'uomo modificher e modeller anche le altre anime umane, e agir sui
suoi simili con una tale attivit plasmante (edificatrice) sull'intimo mondo morale e spirituale
di ciascuno dei veri ascoltatori che gi si pu indovinare come e perch l'essenza della
parola sia tutta azione, e come l'etimologia di poesia sia poiein, cio fare, agire. Infatti il
linguaggio tutto di origine divina-spirituale, e nelle parole, quali noi oggi le abbiamo,
racchiusa l'essenza stessa del mondo: solo che ne acquisteremo coscienza sempre pi
intensa e operante, affinch la Parola affluendo sempre pi nel nostro interno dal Cosmo ne
riesca in parole sempre pi impregnate della nostra essenza umana cosciente" (pp.
101-103).
Onofri accenna poi all'importanza della Parola in tutte le antiche tradizioni:
"Tutte le leggende degli antichi popoli ci raccontano a chiare note che l'uomo aveva un
barlume di questa potenza magica della parola. (p. 103) ... Certo, la poesia odierna non
dimostra troppo di saperne gran che; ma bisogna aiutarla a svegliarsi dal suo dormiveglia,
pieno d'incubi" (p.104).
Il potere magico non sta tanto nelle parole, come ingenuamente credono coloro che vanno
alla ricerca di "formule magiche", ma nell'atto creatore che in esse si esprime. Solo
ripetendo interiormente quell'atto le stesse "formule" possono eventualmente ripeterne
l'effetto: " esperienza propria del poeta che l'intimo significato, il vero senso delle parole
che compongono una poesia, non da cercarsi dentro le parole stesse che compongono la
poesia. Quelle parole possono essere (ognuna in s) di natura affatto ordinaria e, direi,
convenzionale, ma il vero senso poetico consiste in un certo fluido liberatore, che circola fra
le parole, e tesse miracolosamente, come una rete di musica e di luce, dalla quale le signole
parole vengono, in certo modo, assunte in funzione pi alta di vita, e, si pu dire,
trasumanate. Infatti tutti sanno come sia impresa disperata voler precisare in che cosa
effettivamente consista l'incanto che emana da certi tratti dei pi grandi poeti, e che non
mai possibile risolvere nel che cosa, nell'argomento, nel dettato, e tanto meno nelle singole
parole, che per se stesse sono le solite che tutti usano; ma che s'indovina consistere in un
come, in un modus loquendi, in una funzione che il linguaggio umano assume,
trascendendo la funzione ordinaria, e facendo intrasentire una lingua angelica, celestiale,
nella quale il parlare un avvivare, un musicalizzare, un suscitare, un accordare il mondo
con se stesso, e addirittura un creare il mondo parlando. Anzi, poich in ogni punto e
momento del mondo, tutto il mondo attivo e presente, il vero argomento di qualunque vera
poesia non che questa sinfonica realt dell'insieme, sia pure colta in un particolare istante.
In tal senso il poeta, come diceva Novalis, non che un illuminato dal linguaggio. E se noi
vogliamo tentare di chiarire questa perfetta intuizione, dobbiamo soggiungere che il parlare
per il poeta (quando poeta) come un arrivare a toccare con la magia delle parole
l'essenza dell'universo invisibile, un comunicarsi col mistero divino, un partecipare, per
amore parlante, all'atto originario del Verbo creatore. Questa musica trascendentale che
nella vera poesia, questa 'armonia delle sfere' che pu vibrare fra le parole, ci che forma
la sublimit della poesia. Allora le parole manifestano, al di l della loro terrestre natura, il
rapporto arcano delle stelle e dei numeri, la sorgente sinfonica da cui sono scaturite tutte le
creature, il fiat primordiale che sillab in un atto di manifestazione perfetta il cielo e la terra.
Il poeta si lever con tutta la sua coscienza d'uomo, fino a raggiungere realisticamente la
dignit di questo compito concreto di uomo fra gli uomini, di rivelatore parlante, di illuminato
del Verbo, di conciliatore, armonizzatore, risanatore, compensatore e liberatore, in cospetto
all'Io di tutti gli uomini; e assolver tale compito con abnegazione perfetta, con amore
immacolato e dedizione totale. Ecco un aspetto nel destino della futura poesia. Dicemmo
che la poesia antica stimolava all'azione, si riferiva all'azione, cio ad una certa azione
sociale da attuare; la poesia futura sar essa stessa azione, e sar l'azione dello spirito che
articolando s nella parola attuer sulla terra la sua legge, il suo ordine, la sua armonia
universale. (pp. 108-110) ... Le pi grandi rivelazioni e le pi ricche musiche dovr il poeta
accogliere dalle creature che possono far vibrare l'aria col suono della loro interiorit; e
talvolta il fremente nitrito d'un cavallo, il cinguettar d'un uccello o la parola pi semplice di un
umile ignorante, gli narreranno arcani che per nessun'altra via potrebbero venirgli palesati,
poich la sapienza e la potenza della parola non tanto sta nei libri della sapienza, quanto
nella conformazionie di chiunque e di chicchessia. 'Tutte le cose furono fatte per mezzo
della Parola, e neppure una delle cose fatte fu fatta senza di essa' " (p. 110).
In particolare, riguardo al poeta-mago del futuro, Onofri cos lo descrive: "Egli asseconda,
stabilisce e perfeziona misteriose corrispondenze tra i fiori e le stelle, fra il destino dell'uomo
e le antiche leggende, fra gli spiriti eccelsi del sacrificio e il povero sasso che sembra
abbandonato a se stesso sul sentiero. Un mondo nuovo gli si schiude. ... La storia segreta
della terra, e tutte le famiglie degli animali, e le trib degli uomini, e le colonie di anime nelle
stelle, e le immense razze e specie delle piante, si offrono collegate da riposti vincoli di
affetto, parlano di s come d'una sola biografia cosmogonica, e indicano le fasi dello
sviluppo di ciascuno come i gradi d'una gamma celeste, le varie note di una sola tastiera; e
sono esse stesse (le cose) lo scorrere, il salire e il discendere degli angeli in un solo
immenso organo di musiche: sacro corpo del mondo. (p. 111) ... Un innamorato di
parentele, uno scopritore di relazioni, per quanto apparentemente lontane, un maestro di
simpatie, un'anima d'amore che anela a farsi ostia di comunione parlante fra gli esseri
separati, un articolatore nel suono del cuore umano, un illuminato-illuminatore per mezzo
della parola dell'uomo, la quale l'immagine pi alta del Verbo divino, un ministro della
Parola: questo il poeta dell'avvenire" (p.112).
Incarnare un simile ideale di poeta richiede una identificazione con la propria vera essenza
che, se si esprime individualmente, tuttavia anche la medesima in tutti gli esseri: "Questa
mutua e raggiante pienezza in ogni attimo della catena eterna, in ogni particella della
presenza infinita: essa nel piccolo bruco che abita il filo d'erba, come nell'amore perfetto
dell'Io Unico che ha per sua casa l'universo. Una familiarit senza limiti unisce il pi alto al
pi basso, e in ciascuno attiva la confluente energia dell'insieme, quale condizione
dell'esistenza sua propria. Tutte le creature e i pensieri sono indispensabili al galleggiar
d'una nuvola negli oceani promiscui dell'aria. Negli organi brevi dell'uomo c' l'assistenza
delle costellazioni planetarie, la potenza dei monti, la fluidit dei fiumi, la conversazione e il
ritrovo dei sublimi esseri che guidano le amicizie terrene e i celesti sistemi: organi
dell'universo, corrispondenze giganti degli organi umani. Ma l'unit vera, l'intima realt di
tutto questo solamente nello spirito dell'uomo che va pienamente risvegliandosi alla sua
divina coscienza mondiale. Per questo il poeta non pu restare pi a lungo in un sentimento
soltanto diffuso di pienezza panica, e sognare l'organismo del mondo in parvenze arbitrarie
e casuali, che sarebbero la sua fantasia personale. Il pronunciatore, colui che articola il
verbo di vita, deve giungere a conoscenza delle originarie intenzioni che sospingono ogni
gruppo di creature, ogni trib di fiori, ogni famiglia di spiriti verso il loro destino di
redenzione, gi manifestato nelle sublimi forme di tutte le cose. Egli cercher di entrare in
quella sublime scuola d'amore dove maestri incorporei insegnano la scienza e la storia della
natura, la presenza cosciente dell'Io, lo sviluppo e le antecedenze del minerale, il metodo e
l'arte d'impadronirsi del proprio corpo mortale come d'uno strumento destinato alla parola
dei mondi, alla parola che spazia creatrice nelle sue musiche celesti, cos come il linguaggio
usuale si propaga palesemente nell'aria, ma in figure sonore che dobbiamo afferrare con
l'anima veggente. (pp. 114-115) ...
Questa grammatica della natura, questa prosodia celeste, questo immenso cifrario di esseri,
questa sintassi cosmica, la tecnica nuova del poeta, il tirocinio della sua arte, la quale ha
finalmente riconosciuto se stessa nelle sue proporzioni adeguate: come azione di
articolatrice cosciente del cosmo" (p. 116).
Come abbiamo visto, il presente capitolo accenna alla 'tecnica nuova del poeta' ma, prima di
occuparsi in specifico di essa, Onofri indica al lettore l'intima relazione esistente fra Natura e
Spirito: "La Natura il vivente scenario ove si svolge questa sublime attivit tutta Spirito, e
l'attivit dello Spirito l'essenza reale della Natura terrena ... Madre dell'essere in ognuno di
noi" (p.119). ... Dove l'inno articolato del veggente mdula la realt universale, ella scorre
d'amore nel suo proprio discorso, fiumana della sua propria potenza, fluente verso
quell'oceano dell'essere, che culla della sua nascita, ma pure nato da lei, dal suo proprio
slancio di dedizione al Maschio Creatore del Mondo, che l'ha fecondata di s nell'eterno"
(p.123). E poich essa, per la sua Potenza, concausa della nostra piena realizzazione
spirituale, l'Autore conclude il quarto capitolo con l'esclamazione: "O Madre piena di Grazia,
salvaci dall'oppressione!" (p.123)
In via del tutto logica, il capitolo successivo, cio il quinto, intitolato La Tecnica, da
intendersi non solo come tecnica poetica, bens artistica in generale, giacch riferita "a una
Parola nella quale tutti i segni di manifestazione siano compresi; e pertanto ogni pluralismo
fra le varie arti, ogni tentativo di porre il problema in modo differente per ogni differente arte,
sarebbe erroneo e porterebbe soltanto ad accentuare e sopravvalutare le particolari
esperienze e preferenze empiriche di questa o di quella arte, senza risultato fecondo per
l'essenza del problema stesso" (p.126).
Onofri afferma che "in arte la tecnica tutto" (p. 125), ma occorre approfondire in che
senso:
"Pu forse esistere una tecnica d'arte, la quale risulti da una formula estrinseca che, una
volta trovata, basti imparare, per poi applicarla a qualunque operazione e combinazione
artistica, a quel modo che la tavola pitagorica si applica a qualunque moltiplicazione? La
risposta, a meno di non vagheggiare non so quali soluzioni stregonesche o puerili, non pu
essere che una sola: no. Ma pu esistere una tecnica di metodo, dalla quale la soluzione di
ogni caso artistico emerga sempre differentemente dall'interno dell'artista, in ogni sua
creazione, e che pure sia una tecnica essenzialmente identica ogni volta a se stessa?
Vorrei appunto mostrare che questa tecnica, non solo pu esistere, ma esiste di fatto" (pp
126-127).
Essa consiste sostanzialmente "in una tecnica spirituale, in una tecnica di orientamento
espressivo, di evocazione metodica dello spirito da manifestare artisticamente. Una tecnica
dell'ispirazione del Verbo, non gi una tecnica delle parole come strumenti ordinati a
manifestare, caso per caso, codesta ispirazione" (p.127). Una sua caratteristica
fondamentale il giusto 'volume' di parole; infatti, "quand' che il poeta pu manifestare,
articolare con le parole, l'essenza cosmica stessa, senza che egli scambi, intralci e
confonda il mondo dela realt spirituale con il suo mondo personale ed empirico di
sentimenti, di attivit, di pregiudizi, di concetti, di bisogni pratici? ... Lo stato poetico positivo
non sar mai uno stato di fenesia passiva e inconscia ... (p. 128) Nulla di pi personalistico
e anti-creativo del cieco turbine di passioni e d'istinti ... Risultato tipico ne il sovrabbondare
della materia verbale in rapporto all'essenza, allo spirito dell'espressione, e in cento pagine
si trova diluito ci che avrebe avuto la sua giusta manifestazione forse in dieci o in cinque
potenti tratti verbali. (p. 129) ... Ecco dunque che troviamo risolto un aspetto del problema:
un'opera poetica esiste quando il volume, il numero delle parole che la compongono
quello esatto e necessario. Problema matematico dell'arte, che avr per la sua giusta
soluzione implicitamente, se lo porremo cos: quando avviene che il poeta pu giungere
all'espressione poetica giusta, cio attraverso un materiale verbale esatto? Quand' che il
corpo (di parole) di una poesia perfetto e corrisponde esattamente allo spirito della
poesia? La risposta a questa domanda facile, e ci porter di un passo verso la soluzione
di tutto il problema tecnico. Si pu affermare che il poeta realizza un corpo verbale perfetto
quando si attiene assolutamente allo spirito della poesia che vuole manifestarsi attraverso di
lui, e sa escludere dal campo della sua espressione tutto ci che non quel certo spirito
espressivo. (p. 130) ... L'artista deve arrivare a lasciar agire spiritualmente in lui lo spirito di
quella certa poesia che vuol nascere al mondo in parole attraverso di lui, e perci deve
portare la sua volont a coincidere con la volont di quel certo spirito poetico creativo,
rinunciando ad ogni altra velleit personale, pi o meno burrascosa. ... La miglior condizione
per giungere a tanto sarebbe, evidentemente, che il poeta potesse conoscere quella volont
poetica quale un essere oggettivo, cos come coi sensi si conoscono gli oggetti del mondo
sensibile" (p. 131).
Ci ci ricorda da vicino quell'evocazione volontaria e cosciente di un 'corpo divino', "davanti
a s" e/o "in s stessi", di cui si fa largo uso nella Teurgia, sia occidentale, sia orientale. E
infatti Onofri specifica: "Gi risulta chiaramente che non si tratta di una passivit dello
spirito, di una frenesia cieca, di un invasamento spirituale per lasciar che le cose avvengano
come esse credono meglio ... bens, al'opposto, di un'attiva volont che riconosce una
volont superiore alla sua e fa uno sforzo cosciente per diventare essa stessa quella
volont superiore, la quale viene cos ad essere accolta in lei, a identificarsi con lei, e pu
crearsi da s stessa la sua forma di manifestazione nell'interiore dedizione del poeta.
Novalis diceva che le rivelazioni autentiche sono piuttosto il frutto della fredda ragione
tecnica e del calmo senso morale, anzich il frutto di uno sbrigliamento sfrenato e caotico. E
ci facendo, il poeta compie una vera azione auto-creativa. Egli pel primo risulta trasformato
dall'opera sua; ed egli stesso, nella sua continua trasformazione spirituale, la riprova
vivente che le opere da lui prodotte sono vive" (pp. 131-132) ... Uno stato di concentrazione
volontaria, astratto da tutto il resto, l'atto fecondatore per il quale, con la parola umana, si
pu mettere in moto una rivelazione divina. Questo stato di concentrazione uno stato che
nasce e si sviluppa in virt di uno speciale allenamento interiore, il quale deve essere
condotto e diretto dal poeta stesso con la sua propria volont. (p. 132) ... Una vera scienza
del Verbo, una logologia (per usare una parola di Novalis) dovr sorgere via via
nell'avvenire, ed vero che i risultati, nelle varie tempre d'artisti, saranno differentissimi
l'uno dall'altro, ma pur vero che il metodo, la via, l'allenamento da seguire rimane uno" (p.
133).
Come gi abbiamo avuto modo di dire, la continuit iniziatica connessa da un lato al
riconoscimento di ci che permane di valido delle precedenti tradizioni e, dall'altro lato, agli
adeguamenti necessari al comparire di esseri umani interiormente e talora anche
fisicamente diversi. Per quanto riguarda il primo aspetto, da segnalare una importante
distinzione dottrinaria che risale al Rig Veda, secondo il quale esistono quattro gradi della
Parola (Vac) : al grado pi basso c' Vaikhari Vac, la Parola 'grossolana', quindi Madhyama
Vac, la Parola 'mediana', o sottile, pensata ma non pronunciata, per arrivare al pi alto
livello del linguaggio individuale Pashyanti Vac, la Parola 'vedente' (dalla radice
pash=vedere) identica all'oggetto significato (e perci Parola magico-causale), oltre la quale
c' Para Vac, il Logos supremo, origine dei primi tre gradi e trascendente rispetto ad essi.
Onofri allude ad equivalenti di tutti questi gradi, parlando del metodo interiore del poeta. Egli
infatti distingue:
- La parola come mero "sfogo psicologico" e come "mezzo di descrizione, di resoconto, di
strumento didattico-espositivo" che, nei suoi due possibili aspetti di 'espressa esteriormente'
e 'pensata', equivale ai primi due gradi.
- La Parola creatrice umana, che la parola umana 'nel suo pi alto registro di possibilit
attive', vero obiettivo del poeta e, in lui, punto di partenza delle manifestazioni pi esteriori
della sua attivit poetica. La possiamo far corrispondere al III grado.
- La Parola creatrice divina, equivalente al IV grado:
"Questo metodo indicato nelle prime linee del Vangelo di S.Giovanni, quando il Verbo
divino viene chiamato il principio creatore di tutte le cose e di tutte le creature. Un'immagine
del Verbo creatore appunto la parola umana, ma essa ne un'immagine in movimento,
un'immagine vivente che tende a riprodurre in s l'attivit creatrice divina, in quanto pel
tramite della parola l'uomo pu compiere interiormente un'azione la cui efficacia, sul mondo
spirituale stesso, si manifesta come modificazione di quel mondo, in qualit di creazione che
opera sull'intero mondo spirituale. C' dunque un parola creatrice umana, come c' una
parola creatrice divina. Ma mentre quest'ultima ag direttamente sul mondo come creazione
di creature, di cose e di avvenimenti, la parola pu agire solo indirettamente su di esso
attraverso lo spirito umano, in quanto la parola si fa consapevolmente azione spirituale
dell'uomo che la pronuncia, e che trasforma, attraverso la parola, la propria coscienza
d'uomo. Bisogna dunque che la parola dell'uomo sia illuminazione spirituale dell'uomo
stesso, sia veicolo, tramite di auto-rivelazione; e colui che user la parola nel suo pi alto
registro di possibilit attive, user la parola come strumento di illuminazione su quella realt
di presenza che opera in tutto il mondo sotto specie d'uomo. Il poeta, dunque ha da
diventare un auto-illuminato del linguaggio, un auto-illuminato 'dal' linguaggio. Non soltanto
la parola in quanto mezzo di descrizione, di resoconto, di strumento didattico-espositivo, e
tanto meno di sfogo psicologico personale, ma la parola in quanto iniziatrice ai misteri, in
quanto strumento d'auto-iniziazione ai mondi superiori. Questo l'interno metodo del poeta.
La parola come azione per giungere alle verit soprannaturali: ecco il culto della nuova
poesia, e ad esso deve mirare coscientemente colui che vuol assumere il nuovo grande
compito della poesia" (pp.133-134).
Uno degli effetti degli stati di coscienza connessi alla realizzazione spirituale l'accesso a
superiori piani di esistenza, per l'iniziato reali quanto e forse pi del piano dell'esistenza
fisica:
"Una presa di possesso, mediante la parola poetica, dell'attualit spirituale operante nei
mondi superiori, il risultato volontario, e alla fine naturale e spontaneo, che nascer dalla
poesia; giacch la bellezza stessa dell'ordine verbale euritmico, che realizzata in un
poema, non che la perfetta rispondenza tra l'avvenimento spirituale interno compiutosi nel
poeta, e la sua stessa capacit di conformarvi adeguatamente la figura verbale che il suo
corpo di parole, bennato e armonioso. Questa proporzione intima, questa concordanza e
corrispondenza nativa, che l'incanto e la persuasione di un'opera poetica, nascer ormai
dal supremo accordo cosciente tra il Verbo creatore e la Parola umana, nella libera fantasia
creatrice dell'artista. E siffatta intima rispondenza e perfezione, non c' tecnica di verso o di
prosa che possa artificialmente produrla, laddove il poeta non l'abbia conquistata come
illuminazione interiore sua, e alla quale non abbia saputo innalzarsi, con sforzo progressivo
e deliberato, nel pi profondo della sua aspirazione d'uomo e d'artista, in piena comunione
col mondo spirituale" (p.136).
Continuiamo l'esame dei capitoli rimanenti. Nel capitolo sesto - L'arte nella vita come
espressione della socialit cosmica - Onofri indaga sulla funzione sociale dell'arte e sul
concetto stesso di socialit. E' uno dei capitoli che, dopo le esperienze di "conoscenza
ispirativa", che trapelano dalla lettura di Appunti sul Logos, avrebbe potuto forse esser
riscritto con maggiore maturit, se l'autore non fosse prematuramente scomparso. Manca
infatti ancora al suo linguaggio un rigore espositivo, che permetta, in tutti i passaggi, una
interpretazione univoca al lettore. Esistono tuttavia dei punti sufficientemente fermi: per
Onofri, partecipare al corpo sociale dell'umanit significa prendere coscienza del S
cosmico che in tutte le esistenze, e in questa fondamentale unit, percepire se stessi e gli
altri esseri come parti di quel pi vasto S. Pi precisamente: "L'uomo terrestre sarebbe
l'opera d'arte degli esseri creatori divini. Questi esseri creatori non sono altro se non sommi
artisti che hanno voluto suddividersi in tante scintille divine e abitare esse stesse nella
propria opera d'arte, proseguendo a farla vivere, fino a che gli uomini stessi riconoscendosi
spiritualmente come Uno, attueranno in terra questa Unit divina cosciente. E l'opera d'arte
vivente creata dagli esseri eccelsi appunto la vita degli uomini con il loro divenire terrestre
(p. 153). ... Cos l'uomo terrestre, dapprima opera d'arte (creatura) degli spiriti divini, diventa,
via via, creatura sua propria, opera di s stesso: opera d'arte auto-cosciente e interamente
umana: come uno scultore che avesse dapprima creato la sua statua, ma solo per
infondervi la sua stessa essenza scultoria creatrice, affidando con ci alla statua medesima
il compito di rimodellarsi da s, rimodellando anche il mondo da cui fu attinta la sua materia:
la sostanza terrestre della sua primitiva figura (p. 171). Come si vede proprio il concetto
dell'Unit che si vuol realizzare ad essere incerto, naturalmente anche per
l'indeterminatezza abituale di ci che ancora di l da venire.
Nel capitolo settimo - Il mondo come opera d'arte dell'Io cosmico - si trova una
esposizione dei principali stati di coscienza (veglia, sonno e morte), pi o meno nei termini
che si possono trovare nelle opere di R.Steiner e, in parte, nei saggi di Ur/Krur. Si parla poi
del concetto dell'Uomo Cosmico "originario", un concetto antichissimo, appartenente a
molte tradizioni, e centrale in quelle Testamentarie (Adam Kadmon) e nell'Antroposofia.
Secondo un inno vedico, il Purusha-Sukta del Rig veda, gli di fecero l'universo sacrificando
l'Uomo Cosmico. La luna nata dalla sua mente (manas), il sole (surya) dal suo occhio, dal
respiro il vento, dall'ombelico l'atmosfera. dalla sua testa il cielo, dai suoi piedi la terra. Da
lui vennero anche le diverse caste brahmana, ksatriya, vaisya e sudra, rispettivamente, dalla
bocca, dalle braccia, dalle cosce e dai piedi. Il Purusha Sukta dichiara che la Divinit ha
migliaia di mani, migliaia di occhi e migliaia di piedi. Ci significa che la forma collettiva
dell'Essere Cosmico, l'Umanit, non e altro che la Divinit e che servire l'Umanit vuol
dunque dire servire la Divinit. Gli uomini attuali sono divisi su un mucchio di inezie, il
Purusha-Sukta afferma invece che siamo uniti, interdipendenti e ci propone questa ferma
volont: "Resteremo uniti, cresceremo uniti, condivideremo la conoscenza che abbiamo
appreso, vivremo uniti senza malevolenza". E' in questi termini che si pu concretamente
pensare l'Unit in Terra, che Onofri auspica gi dal capitolo precedente. Peccato che in quel
capitolo come in questo, in modo del tutto analogo a quanto accadeva nei testi evoliani dello
stesso periodo, taluni influssi della allora in auge filosofia idealista vadano pi a deformare
la dottrina tradizionale, che a spiegarla.
La premessa della costituzione di questa Unit risiede, secondo l'autore, soprattutto nel
mistero dell'Amore, nell'unione dell'uomo e della donna, per tornare ad essere insieme un
individuo umano completo "e quest'ultimo non solo il loro figlio carnale, ma un figlio
spirituale", dedizione di ciascuno "al proprio destino celeste" (p.188).
L'ottavo capitolo, "Conclusione", porta a compimento le riflessioni che percorrono l'intero
testo. Pi delle conclusioni filosofico-teologiche, appaiono interessanti quelle relative al
ruolo della poesia futura, intesa quale poesia-teurgia:
"L'uomo artista a questo punto impara a conoscere le creature e gli esseri del mondo
terrestre e del mondo spirituale, entrando in questi esseri stessi senza perdere il suo Io; e
allora le sue rappresentazioni ed esperienze interiori non sono pi personali, ma sono
oggettivamente reali, quanto e pi degli esseri fisici che son percepiti dai sensi, ma hanno
altres il carattere della piena certezza, perch oltrech oggettive, codeste esperienze sono
assolutamente interiori. Queste rappresentazioni sono 'immagini reali' : sono gli esseri
spirituali, dei quali tessuto il mondo. (pp. 205-206)
L'Arte futura tende a diventare espressione di un'interiorit universalmente umana,
realizzata in quanto oggettivamente cosmica, in quanto l'interiorit dell'artista, nata a nuovo
spiritualmente, ed uscita addirittura dalla sua personalit corporea, prender attraverso i
segni espressivi (linee, colori, note, parole, gesti) una persona estetica composta dai suoi
propri segni espressivi. Sar l'insieme stesso di un vero quadro a costituire, nell'interno del
contemplatore, una personalit oggettiva formata di linee e colore che appunto gli si
manifester attraverso i colori e le linee. Una musica creer un avvenimento animico di
coscienza, e former una concreta attuazione spirituale. Una poesia non sar che il corpo
spirituale (tessuto di parole) d'una interiorit assolutamente reale, e costituir un essere
realmente esistente col quale noi saremo uniti, in forza della nostra comunione verbale
cosciente. Tutte le opere d'arte saranno tanti corpi reali, manifestanti veri e propri esseri
spirituali. Poich l'uomo al pari di Colui che rinasce come Spirito Creatore dal suo proprio
interno umano, destinato a creare veri e propri esseri spirituali". (pp. 209-210)
Anche se troppo entusiastico e poco realistico pensare che "tutte" le opere d'arte possano
avere veramente tali caratteristiche, certamente un bell'augurio per gli artisti-maghi del
futuro.
***
3b) Arturo Onofri
Una Volont Solare
Dopo aver illustrato in sintesi il trattato teorico onofriano "Nuovo Rinascimento come arte dell'Io",
dovrebbe essere agevole comprendere il componimento poetico "Una Volont Solare", che si trova in
Introduzione alla Magia. Aggiungiamo perci solo pochissime note a pie' di pagina.
I
L'alto movente ch'eccita ogni stasi 1
del passato a riprender contatto
col volere che intma nuove fasi
in avanti alla terra, urta di scatto
le resistenze nere 5
illuse di volere.
Volont d'uomo solo movimento
verso il proprio rinascere immortale;
e il desistere morte, il fuoco spento
d'antichi dei nel corpo minerale 10
ove l'uomo feticcio
irreale, e terriccio.
Dal cherubico volto di Michele
splende in mondialit, senza arrestarsi,
l'uomo che crea divine parentele 15
fra il suo futuro e gli esseri scomparsi
che fu lui stesso, ma
senza sua volont.
Raggia, da quel divino aspetto, il fuoco
della parola-dio, che uccide il mostro 20
superstite nel nostro sangue fioco;
e in quel volto risuscita, ma nostro,
l'onnipotente aiuto
gi da noi ricevuto.
Ora il nostro risveglio umano l'atto 25
che induce, fatta spada eccelsa, stasi
del passato a riprendere contatto
col voler nostro, ch'eccita altre fasi
in avanti alla terra.
E santa questa guerra. 30
Note:
5) Vuole un principio della chimica (detto di Le Chatelier o dell'Equilibrio Mobile) che un sistema
chimico-fisico in equilibrio, in cui si induca dall'esterno un cambiamento di una delle sue variabili,
modifichi il suo equilibrio, in modo da minimizzare il cambiamento stesso. In campo sociale, abbiamo
l'equivalente principio del "tutto cambia perch nulla cambi" di gattopardesca memoria. Nel campo
dell'ascesi, resistenze oscure legate alle abitudini, da vincersi mediante la luce del "conosci te stesso",
giocano un ruolo del tutto simile.
11) Come si sa, un feticcio sostituisce l'oggetto reale, con il quale legato da una qualche forma di
associazione di idee, spesso di carattere simbolico. Ebbene il corpo minerale, nell'uomo che vi si
identifichi, per l'appunto un feticcio, che sostituisce l'uomo reale e integrale.
20) Si veda l'esercizio della Rosacroce di R.Steiner.
30) La "guerra" interiore l'autentica guerra santa. Giova ripeterlo, visto che da molti secoli si prende a
scusa la religione per uccidere e sterminare i propri simili e si ha il coraggio di parlare di guerra santa.
Non ci si faccia illusioni: la guerra santa interiore e la guerra esteriore raramente coincidono.
II
La cerchia oppugnatrice che si stringe 1
intorno alla tua vita immeritoria,
d forma alla dubbiezza onde eri sfinge,
scattandone impeto atto alla vittoria.
La ferrea stretta, quella, anzi, che spinge 5
la tenebrosit di ogni tua scoria
a esprimer s merc la tua laringe:
sciogliendo la sua morte in forza ustoria.
Tanto pi vinci, quanto pi ti serra
l'ostacolo del mondo che ti plasma 10
lavorandoti a fuoco, in piena terra.
Ora che il voler tuo non ti costerna,
ma stringe e sbozza un dio dal tuo fantasma,
la tua vittoria pertinacia eterna.
Note:
1-4) La guerra santa della strofa precedente rivolta contro "l'avvolgente schieramento nemico" che, se
da un lato ci schiaccia nell'abituale vita immeritoria, dall'altro, proprio come un incubo notturno, pu
indurci in quel dubbio che determina il risveglio. Prima di quest'ultimo, nella fase ancor dubbiosa, l'uomo
come una Sfinge accovacciata, che si chiede incredula se quelle nuove possenti zampe che intravede,
cos diverse da quelle umane, siano veramente sue. Quando un fulmineo, impetuoso balzo testimonier
della loro presa di possesso, sar la vittoria contro i limiti umani, il risveglio. Il simbolo del tutto analogo
a quello, ricordato da Leo, del Serpente Piumato, che riprendendo coscienza delle sue ali, smette di
strisciare al suolo e torna "Aquila".
5-8) Secondo R.Steiner, il "loto" della laringe ha sedici "petali", dei quali solo otto funzionano nell'uomo
comune. Gli altri otto vanno resi attivi, tramite le "otto rettitudini". A chi ha praticato i "Cinque Esercizi"
(vedi in Intr. alla Magia "La liberazione delle Facolt") si offre ora la possibilit di "trasmutare il veleno in
farmaco". Val forse la pena di dir qualcosa pi in dettaglio:
- Osservando i pensieri vani, irrazionali, frutto di illogiche associazioni, si giunge a coltivare solo i
pensieri pieni di significato e di verit: si ottiene cos la Retta Rappresentazione.
- Osservando l'oziosit frustrata dalla necessit esteriore e i programmi astratti che si rivelano chimere,
si impara a fissare l'ordine delle cose che si intende realizzare nell'immediato futuro; a prendere, con
calma, decisioni equilibrate, lontane da ogni eccesso e da ogni irrazionalit: si ottiene cos la Retta
Decisione.
- Osservando le ubriacanti parole dei momenti di presuntuosa profezia, nonch il torrente di parole della
logorrea difensiva o compiaciuta, si impara ad amare un parlare sobrio ed urbano, chiaro ed
incoraggiante: si ottiene cos la Retta Parola.
- Osservando come da ogni azione derivino degli effetti positivi o negativi, nonch la falsa noia o
l'imbarazzo della mente egoica nell'adempiere i compiti quotidiani, si impara ad agire dopo attenta
riflessione, con nobili intenti, e a portare a compimento con energia le azioni, piccole o grandi, che son
state decise: si ottiene cos la Retta Azione.
- Osservando i risultati negativi di un'impropria mortificazione del corpo, cos come le delusioni nella
ricerca della felicit terrena, si apprende l'equilibrio tra i doveri e le aspirazioni spirituali da un lato e le
inclinazioni naturali dall'altro: si ottiene cos il Retto Sistema di Vita.
- Osservando l'inutilit degli ideali astratti, che si concretizzano in frasi fatte e retoriche, si impara che gli
ideali debbono essere concreti, sia in campo terreno, sia spirituale: si ottiene cos la Retta Aspirazione.
- Osservando gli errori del passato, si apprende a non sbagliare, osservando ci che si fatto di buono,
si apprende a come fare ancor meglio: si ottiene cos la Retta Memoria.
- Osservando i limiti delle possibilit umane, si apprende ad amare l'esercizio spirituale; osservando che
l'oscura fede religiosa conferma quei limiti, si impara a ricercare la chiarezza nell'esperienza interiore: si
ottiene cos la Retta Contemplazione.
III
L'erba, che spirita aliti lucenti, 1
trilla d'uccelli in iridi di schiume.
Ogni zolla una stella senza lume,
che c'invola dal petto ali e concenti,
dando un quadruplo volo 5
all'uomo triplo e un solo.
Concordanza magnetica mareggia
le sue sonorit d'istinti sordi
nelle faune stellari, i cui ricordi
errano sulla terra, a grggia a grggia, 10
finch noi non s'indulga
al fio che le promulga.
Le promulga animal, in terra e in acqua,
sparpagliandole in gruppi numerati;
ma, in parvenza di corpi, son peccati 15
d'uomo, che in sue fantasime scialacqua
onnipotenza infusa,
ch'egli stesso ricusa.
Note:
1-2) L' "erba" di cui si parla non quella dei prati, ma quella che anima "soffi di luce", cio il "corpo
eterico" o vitale, che appare nell'esperienza del poeta come un armonia di suoni interiori ("trilla d'uccelli")
e di colori impalpabili ("iridi di schiume").
3-4) Il corpo saturnio (zolla) "oro inverso" (stella senza lume). E' dalla "sede del cuore" che origina, ora
in via naturale (sonno, morte) ora in via artificiale (soluzione alchimica), la separazione del mercurio
volatile (ali), che talvolta reca con s, secondo occulte armonie (concenti), altri "corpi" alchimici.
5-6) L'espressione "quadruplo volo" indica i quattro modi (da quello comune a quello perfetto, vedi
quaderno "La porta ermetica di Roma") di andarsene da questa terra, che sono disponibili per l'uomo il
quale, secondo una delle possibili "ripartizioni", trino (coesistendo in lui assoluto, ritmi e forme) ed uno
(nella sua integralit).
7-12) Gli zodiaci animali (la pi famosa "fauna stellare" probabilmente quella cinese) sono il simbolo di
quel "locus" del cosmo, che contiene gli insiemi armonici (in "concordanza magnetica") degli impulsi
archetipici delle specie animali. E' per questo motivo che l' "anima animale" anche detta "corpo
astrale". Come le immagini della nostra memoria sono copie delle percezioni originarie, cos gli animali
terreni sono copie-ricordo di quegli impulsi archetipici, plasmate dalle forze mediatrici e formatrici
eteriche. E ci finch noi non si rimeriti (uno dei significati del latino indulgere) il "feudo" (fio, dal latino
feudum) che le emana.
13-18) Proprio come impossibile pensare che il Sole sia un'evoluzione dei pianeti, ma al contrario sono
i pianeti ad essersi staccati dalla massa solare, allo stesso modo erroneo pensare che l'uomo sia
un'evoluzione degli animali. Al contrario, per la Scienza dello Spirito, gli animali (a livello astrale e
terreno) sono aspetti che l'essere umano evolvente abbandon nella sua evoluzione ("peccati
d'uomo") e lasci nel suo ambiente. Come dice la strofa precedente, lo "zodiaco animale" un "feudo"
dell'uomo. Onofri usa il termine fantasime (variante femminile, meno usata, di fantasmi), secondo una
tradizione letteraria, che vuole che fantasia sia "immaginazione di quel che " e fantasma o fantasima
"immaginazione di quel che non ", di ci che realmente illusorio.
Se riprendi entro te, volont buona,
sfavillante al mio sangue senza quando, 20
gl'impeti che, da sempre, vai versando
in suoli e fiori e faune, onde persona
breve ti sei scolpita,
da quella immensa vita;
tu salvi delinquenze, ch'hai gi sparso 25
in polpa d'animali, e passioni
d'oro, trasfuse in floride stagioni,
e fissit d'errori, ond' s scarso
di vita il minerale
che fu fuoco mondiale. 30
Nota:
Questi versi riprendono e ampliano il concetto precedente, cio l'opportunit di rimeritarsi quanto
dall'uomo stato emanato durante la sua evoluzione: non solo nel regno animale, ma anche il quello
vegetale e minerale. Artefice di ci la "volont buona", il "volere puro" dir Massimo Scaligero nelle sue
opere. E' essa a permettere la percezione del corpo sottile e, nel centro eterico del cuore,
dell'eterizzazione del sangue, cio della trasformazione di una parte del sangue in luce ("sfavillante al
mio sangue"), indizio iniziale della possibilit della "soluzione" integrale del corpo fisico.
Reintegri lo spirito indiviso
che ha sparso a terra stelle eccelse in bruti,
e il sole in fusti vegeti e fronzuti,
e il suolo (ch'era te nel paradiso)
in pietre senza fiamma: 35
teatro del suo dramma.
Il tuo dramma che torni teco, in alto,
trasfuso in sangue tuo d'uomo risorto,
il regno della terra, ove sta, morto
in narcsi tellurica di smalto,
il fuoco dei primordi, 40
di cui gi ti ricordi.
La tua memoria cosmica, infinita
in qualit di scheletro, scompone
con volont di resurrezione,
e rioffre al Signore della Vita, 45
il Corpo Universale
libero d'ogni male.
Nota:
Si ricorder (si gi detto in questo forum) che, nel Canone Pali, la formazione di questo mondo
connessa inizialmente con la perdita di luminosit da parte dei Deva Raggianti e con il conseguente
apparire di luminari esterni (sole, luna, stelle). Ci si pu connettere ad uno dei processi pi elementari e
pi potenti di ci che chiamiamo presenza mentale, cio alla cosiddetta variazione del rapporto
figura-sfondo. L'originaria percezione dei Deva Raggianti fu relegata sullo sfondo, quando essi divennero
uomini. Ma sempre latente. Ce lo conferma uno dei testi pi venerati dell'antichit, gli Oracoli Caldaici,
che al versetto 147 affermano: "Se me lo ripeterai pi d'una volta [il logodnamo, la parola di potere],
vedrai ogni cosa in forma di leone [di corpo solare, dotato di luce propria]. Perch allora non pi visibile
la massa ricurva del cielo, gli astri non brillano pi [per contrasto], la luce della luna velata, non si
regge la terra [le cose perdono la loro parvenza materiale]: tutto si vede per folgori". Che la condizione
dei Deva Raggianti o della Visione Leonina sia solo una reintegrazione nello stato primordiale e non una
completa realizzazione appena il caso di dirlo. Per inciso, anche quanto si detto sulla Sfinge (che
uomo con corpo di leone) da riconnettersi con quanto qui accennato.
Sipex: Una specie che sembra aver conservato, in parte, la "Visione Leonina" quella del serpente a
sonagli. Esso ha due occhi normali posti ai lati della testa; inoltre ha, sotto di essi, due cavit tappezzate
da un tessuto nervoso sensibile al calore (raggi infrarossi). Le ricerche hanno rivelato che tali organi del
serpente a sonagli sono capaci di captare differenze di temperatura piccolissime, anche di un centesimo
di grado. Il serpente elabora automaticamente queste informazioni, ottenendo cos una buona immagine
del suo ambiente, che gli consente ad es. di distinguere perfettamente, anche in quella che per noi
l'oscurit pi completa, un cespuglio da un topo che si nasconde dietro ad esso. Poich ogni corpo, che
non si trovi allo zero assoluto della scala Kelvin, emana raggi infrarossi, per il serpente a sonagli
qualunque oggetto "brilla", in diversa misura, di luce propria.
E' noto che, secondo taluni paleontologi, in diverse altre specie, tra le quali si pu includere l'uomo, l'
"occhio termico", sensibile ai raggi calorifici, era l'epfisi o ghiandola pineale, non a caso detta sovente
"terzo occhio".
3c) Arturo Onofri
L'Uomo calorico cio Saturno
Nel saggio "L'Uomo Calorico cio Saturno", Onofri si serv proprio dell'esempio della
percezione di differenze di temperatura, come forma originaria di distinzione dei corpi, per
fornire un idea del primordiale "manvantara del calore", cio della condizione originaria o
"saturnia" del mondo fisico. Riproponiamo di seguito la lettura di questo scritto postumo di
Arturo Onofri, al quale abbiamo aggiunto un paio di note e una tavola esplicativa.
La fisica naturalistica odierna distingue tre stati di materia soltanto, e questi stati si
chiamano stato solido, stato liquido, e stato gassoso o aeriforme, denominazioni che tutti
conosciamo bene, e che rivestono per la nostra esperienza i caratteri della pi assoluta
certezza. Tutti defmiamo il ferro un corpo solido, l'acqua un corpo liquido e l'aria un corpo
gassoso o aeriforme.
La scienza spirituale, oltre questi tre stati di materia, ne distingue anche un quarto, che in
ordine di rarefazione precede tutti gli altri e costituisce per cos dire il primordiale stato della
materia universale nel grande momento cosmico in cui l'universo usc fisicamente
dall'essenza della divinit creatrice per diventare da universo potenziale puramente
spirituale un universo fisicamente esistente.
Questo primordiale stato della materia il calore.
La nostra scienza fisica non lo riconosce come stato di materia in se stesso perch la
scienza fisica esclusivamente basata sui sensi fisici e sul loro coordinatore che
l'intelletto, e con questi sensi fisici non si pu pi percepire uno stato di materia che sia
puramente calore. Noi percepiamo oggi bens delle sensazioni caloriche, ma le percepiamo,
direi, appropriate agli stati pi densi della materia.
Cos diciamo l'aria calda, il marmo freddo, l'acqua tiepida, il ferro rovente ecc. Invece
l'iniziato sa per , esperienza diretta che oltre questi aspetti calorici dei cosiddetti tre stati
della materia, esiste un vero e proprio quarto stato indipendente della materia, la quale si
presenta allo stato di puro e semplice calore.
Pensate di poter vivere in immaginazione in un mondo in cui non esistesse altro che corpi di
calore, e che voi poteste distinguerli l'uno dall'altro soltanto per il variare della temperatura.
Supponiamo ora di avere dinanzi a noi una figura umana della quale ogni elemento solido,
ogni elemento liquido ed ogni elemento gassoso, siano risoluti in calore. Pensate che non
c' nulla di visibile, di palpabile, di udibile in questo uomo di calore, ma soltanto una
manifestazione che voi percepireste come grado di temperatura differente dall'ambiente
circostante.
Questa figura umana, composta di null'altro che di calore, se voi la pensate in modo giusto,
dovete giungere a sentirla cos tenue e rarefatta che le sue dimensioni sono molto, ma
molto pi ampie delle dimensioni dell'uomo attuale: tanto pi ampie che l'Uomo di calore si
pu concepire della vastit stessa dell'universo cosicch non solo i futuri regni animale
vegetale minerale sono contenuti potenzialmente in lui ma anche tutti i futuri corpi celesti
dello spazio cosmico sono composti anch'essi di null'altro che di calore tutti al di dentro di lui
e costituiscono, per cos dire, i suoi organi di calore, dentro quest'uomo puramente calorico,
proprio dentro di lui si troverebbe non solamente che ci sono figure di calore dei corpi celesti
e il disegno calorico dei futuri regni fisici (solido, liquido e gassoso) ma si troverebbe bens
che dentro quest'uomo calorico agiscono anche gli esseri divino-spirituali delle gerarchie
nella loro essenza spirituale. Possiamo dire dunque che come gli organi di quest'uomo
calorico sono i corpi celesti di calore cos la sua essenza spirituale costituita dagli esseri
divini-spirituali. Abbiamo perci dinanzi a noi un essere umano di calore il quale l'universo
stesso, ed un essere composto di esseri: esseri di calore dentro i quali agiscono le entit
spirituali.
Questo immenso essere umano di calore e di spirito, che l'universo stesso, si chiama
occultamente Saturno. Abbiamo detto che gi questo stato di calore dell'universo uno
stato fisico, e in un certo senso si pu dire che esso sia il primo stato fisico per noi
concepibile, cio il primo stato fisico in cui si manifestato l'universo passando da universo
increato, o potenziale, allo stato di universo creato.
Questo essere incommensurato, fisicamente manifestato in solo calore il pi lontano
antenato dell'uomo fisico quale noi lo vediamo oggi dinanzi a noi.
Ma per poterlo sia pure approssimativamente concepire, badate che non dovete pensare un
essere delimitato intorno al quale ci sia poi un certo ambiente fisico, comunque poi questo
ambiente debba concepirsi. No, dovete sforzarvi di pensare un uomo di calore che abbia le
proporzioni dell'universo, e al di fuori di quest'uomo-universo nessuna altra manifestazione
fisica, nessun ambiente fisico.
Quest'uomo incommensurato, questo Saturno, immerso nel grembo della divinit
spirituale, e al di fuori di lui non c' nulla che possa comunque percepirsi fisicamente.
Questo essere Saturno, questo universo Saturnio non dovete dunque pensarlo come fornito
di gambe, di braccia ecc. quale un uomo d'oggi, giacch egli non doveva fisicamente
trasportarsi in nessun luogo, n doveva con le mani afferrar nulla che si trovasse
fisicamente fuori di lui.
Perch le cose siano pi facili potete pensare una immensa sfera di calore, e nulla al di fuori
di essa, nulla di fisico, ma dentro e fuori di essa, gli esseri divino-spirituali.
Se noi volessimo definire questa sfera di calore, non potremmo definirla altrimenti che
dicendo cos:
L'essenza di questa sfera di calore volont. Il primo progetto, il rudimento del corpo fisico
umano fu il Saturno., cio un corpo di puro calore, la cui essenza volont. Questa
essenza-volont fu data in sacrificio appunto dai Troni o Spiriti della volont, perch potesse
esistere il primo disegno del corpo umano. Si pu dire che il corpo umano ha potuto
esistere, perch all'inizio primordiale del mondo i Troni o Spiriti della volont sacrificarono
qualche cosa della loro essenza, e la sacrificarono esteriorizzandola appunto in forma di
calore.
Questa sfera di calore non aveva in s movimento alcuno, ma in certo modo si pu dire che
all'interno vibrasse tutta quanta della spiritualit divina che in lei si specchiava dal
circostante mondo divino spirituale. E questa vibrazione all'interno della massa di calore voi
non l'avreste percepita col vostro orecchio oggi, perch era una vibrazione che solo
l'orecchio spirituale pu ascoltare, era la vibrazione della volont divina quella che vibrava
nella sfera calore di Saturno. Le potenze divino-spirituali riflettevano s stesse nella sfera
calorica di Saturno, e questo loro riflettersi verso l'interno della sfera la faceva risuonare
tutta della divina musica spirituale (verbo). Ora possiamo dire che come l'essenza del calore
volont, cos l'essenza di questa vibrazione spirituale o musica spirituale una certa
tendenza, la tendenza ad organizzare internamente questa sfera o essere di calore, la
tendenza ad organizzare questo essere di calore in organi pi densi e a metterli in
movimento. Badate bene che solo una tendenza ad organizzare, e a condensare il calore.
Pensate alle celebri figure di Chladni (1). Come si formano esse? Si formano cos: se
prendete una sabbia fmissima o limatura di ferro sottile e la distribuite in uno strato leggero
sopra una lastra di metallo isolata, e passate poi sull'orlo del metallo un archetto di violino,
vedrete che secondo la nota che risuoner dal metallo la sabbia si disporr in figure
perfettamente simmetriche e di differente aspetto a seconda del suono. Tornando a
Saturno, pensate che quel suono non era un suono fisico bens spirituale e che andava a
muovere una sostanza molto meno densa della limatura e della sabbia: andava a muovere
una sostanza di puro calore.
Le figure di calore che si formavano in Saturno per effetto della musica divino-spirituale che
lo trapassava e permeava tutto, erano in perenne mutamento e perci non erano vere e
proprie figure ma tendenze di figure. Quelle figure di calore, o tendenze di figure, erano le
prime disposizioni le prime tendenze alla formazione degli organi del nostro corpo fisico in
proporzioni cosmiche. Ricordatevi sempre che non si debbono pensare tali cose attribuendo
loro la densit la materialit pesante con la quale si presentano oggi i nostri organi, il cuore,
i polmoni, il cervello ecc.
Si trattava allora di tendenze all'aggregazione, di tendenze riguardanti una fisica la cui
massima densit era rappresentata dal calore. Ripeto, non v'erano corpi gassosi, non v'era
aria, e tanto meno liquidi e meno ancora solidi, ma solo corpi di calore.
Tenete ben fermo inoltre che le dimensioni di questo essere umano o di questo Saturno, o
di questa sfera unica erano incommensurate poich altro non c'era, e quell'essere di
Saturno o, se vi piace meglio, quella sfera calorica Saturno era l'universo, era il
macrocosmo.
Orbene dentro questo universo-uomo, dentro questa sfera cosmica di calore, dentro questo
macrocosmico uomo di calore pensate il formarsi di quelle prime tendenze (solo tendenze)
alla costituzione di giganteschi organi di calore. Queste tendenze alla formazione di organi,
queste tendenze di calore sono il primo rudimento di ci che noi oggi portiamo in noi come
organi fisici del nostro corpo, cervello, polmoni, cuore(2) ecc.
(1) Ernst Florenz Friedrich Chladni (30 Novembre1756 - 3 Aprile 1827) fu un fisico tedesco.
Per gli esperimenti sulle lamine vibranti e per il calcolo della velocit del suono in differenti
gas considerato il fondatore dell'acustica moderna [n.d.c.].
Figure di Chladni
(2) E se voi pensate alla vastit di questi rudimentali organi dell'uomo futuro vedrete che
essi sono tutta una cosa con le future costellazioni. [n.d.a.]
Vedremo in seguito perch da un unico essere fisico di calore o Saturno si arriva via via alla
scissione in pi esseri umani, alla scissione in moltissimi esseri umani in tanti esseri quanti
sono gli odierni uomini. Per ora basti tener presente questo accenno: gli uomini singoli non
c'erano, ma c'era invece un solo immenso uomo di calore che aveva dentro di s le
disposizioni, le tendenze a differenziarsi caloricamente in organi. Questi immensi organi
calorici erano, diciamo cos il campo d'azione delle gerarchie spirituali alle quali i Troni
avevano sacrificato la loro essenza di volont esteriorandola in calore per dare agli altri
esseri spirituali un campo d'azione per la loro attivit.
Questo stato di cose dur un tempo incommensuabilmente lungo, poi tutto Satumo fu
riassorbito nel grembo divino spirituale e anche la manifestazione fisica di calore (o
manvantara del calore) scomparve per un lungo tratto, tratto che occultisticamente si
chiama Pralaya, o sonno cosmico.
Poi di nuovo tutto riemerse nella manifestazione fisica calorica e dopo una breve ripetizione
dello stato Satumo, accadde qualche cosa di nuovo, che possiamo descrivere come segue
(3).
(3) La seconda parte del saggio non fu mai scritta [n.d.c.].
***
3d) Arturo Onofri
Fra il Glaciale Profumo del Sereno
Nel numero I del quindicinale La Torre (1 Febbraio 1930) venne ricordata, come gi in
Krur, la recente scomparsa di Arturo Onofri, con la pubblicazione di una sua Lirica. Venne
tratta dal volume "Zolla ritorna Cosmo", pubblicato successivamente nel medesimo anno
(edito da Buratti-Torino), ma composto gi nel 1927. Come fa gi intuire il titolo, Onofri cerca
di descrivere come la riconquista di s conduca l'uomo-zolla a reintegrarsi nella sua
condizione primordiale. Nella lirica considerata, emerge pienamente quel simbolismo, che
accomuna Onofri a Comi e Servadio, in base al quale i "regni della natura" si sostituiscono,
nella descrizione, ai corrispondenti aspetti del composto umano.
Fra il glaciale profumo del sereno,
che raggela di veglia minerale
ogni sogno di nascerne erbe, in pieno
brio di colori, il suolo nsio trasale.
Semi argentei, sepolti nel suo seno,
sospirano agonia: son prenatale
fremito d'esser frtici di fieno,
da rinascerne slanci d'animale.
L'Uomo-tutto, universi veglia ancora
quest'emisfero d'arie intirizzite
che di flore irreali s'accalora;
e prima del suo sonno lita un etere
d'oro, ch'esala tante margherite
per quante primavere ha da ripetere.
4a) Nicola Moscardelli
Le Ali Perdute
Dalla stessa raccolta (L'altra Moneta, Modena 1933) nella quale vennero ripubblicati i
saggi di Ur/Krur, "La nebbia e i simboli" e "Il rumore", trascriviamo il breve saggio "Le ali
perdute". In esso, con molta semplicit, Nicola Moscardelli indica la funzione che accomuna
il poeta al santo: "Rammentare agli uomini che ... hanno perso le ali!"
Se noi camminando per via perdiamo il bastone, l'ombrello o il cappello, c' subito pronta
una persona cortese la quale lo raccatta e ce lo restituisce: e se per caso noi perdiamo un
oggetto senz'accorgercene, raro che, presto o tardi, non ci giunga all'orecchio una voce:
"Chi ha perduto una borsetta di cuoio? Chi ha perduto una chiave?"
A quella voce noi ci volgiamo preoccupati, tastandoci le tasche per assicurci di non aver
perduto nulla: e se invece siamo proprio noi ad aver smarrito l'oggetto, presto ci accostiamo
a chi l'ha ritrovato e ce lo facciamo restituire.
Di tanto in tanto si sente nel mondo una voce che grida "uomini perch avete perduto le
ali?"
Nessuno, o quasi si volge a quel grido. La voce incalza: "Uomini, non v'accorgete che avete
perduto le ali?"
Qualcuno, raro, si volta a quel grido: ma la grande maggioranza prosegue per la propria
strada senza voltarsi.
Eppure le ali dovrebbero essere care all'uomo pi di un cappello o di una busta di cuoio:
perch con le ali si vola, ci si solleva dalla polvere e dal fango della terra, si tocca o almeno
ci si avvicina al cielo.
No: al poeta che cos grida - perch quel grido lanciato dal poeta e dal santo - risponde il
sorriso dei sapienti o la trascuranza degli ignoranti: in questo almeno fratelli. E nessuno vuol
rammentarsi del tempo in cui le ali alleggerivano le sue spalle e il cielo inazzurrava le sue
pupille.
Nessuno? No, ci non vero. Senza che l'uomo lo sappia egli cerca dal mattino alla sera di
farsi ricrescere sugli meri le ali perdute. Nel buio della sua giornata egli corre ansimando,
nella speranza inconfessata che a sera si senta pi leggero per l'incredibile presenza di due
ali sulle sue spalle curve.
Invece, egli rientra in casa pi pesante di come ne uscito. Perch egli somiglia ad uno che
desidera aprire una porta e spinge, spinge, senza accorgersi che invece di spingere la
porta spinge il muro. E invece di fare le cose che fanno crescere le ali, fa le cose che fanno
rientrare ancor pi nella carne i monconi a cui una volta erano appiccicate.
4b) Nicola Moscardelli
Resurrezione
Ci si pu chiedere come mai, in Ur/Krur, siano comparsi solo saggi e non poesie di
Nicola Moscardelli. Ad Evola piaceva pubblicare delle anteprime poetiche (come avvenne
per gli estratti de "Il Cantico del Tempo e del Seme" di G.Comi, che vide la luce solo verso
la fine del 1930); nel caso di Moscardelli la cosa era praticamente impossibile visto che,
contemporaneamente a Ur/Krur, Moscardelli pubblic due raccolte: una di prose e poesie:
"Le Grazie della Terra (Carabba, Lanciano 1928), l'altra di sole poesie "Il Ponte" (Al tempio
della Fortuna, Roma 1929). Dalla seconda raccolta trascriviamo una lirica, eloquente dal
punto di vista iniziatico, intitolata "Resurrezione".
Allorch aprile batte alle porte
ma l'inverno non ancora spetrato
nella terra s'inizia un travaglio
e i semi dolorano ansiosi
di dissuggellare la zolla
l'invoglio d'ombra che cela
la luce nascente del fiore.
Alto combattimento
tra il movimento vitale
e l'indurimento mortale.
E' il combattimento finale
ch ormai lo spessor della crosta terrestre
meno di un velo:
ancora uno slancio, e lo stelo
emerger dalla zolla
come il raggio d'un sole terreno
fratello del canto del gallo
che insieme annuncia il mattino.
Uguale battaglia ogni d si combatte
tra l'uomo morto e il risorto
nell'aprile infinito della vita.
Come Lazzaro l'uomo alza il capo
del sepolcro e batte la fronte
contro la pietra che lo rinserra:
dentro le sue gelide membra
il nuovo sangue gi corre
ma le ossa impietrate
son lente a disciogliersi
e il lor movimento
non segue l'onda del sangue pulsante
che dentro gi disegna la figura
del prossimo passo
ma s'inizia e s'arresta di scatto
come un singhiozzo.
Vinta alfine l'ultima forza
franta la scorza tenace
dal sepolcro egli il capo solleva
e sulle tenebre assiso
riceve sulle pupille
il fulgore del suo paradiso.
4c) Nicola Moscardelli
Mesi e Segni
La raccolta "Le Grazie della Terra" (Carabba, Lanciano 1928) divisa in 12 parti, ciascuna
intitolata con il nome di uno dei mesi dell'anno, a partire da Gennaio. Molti dei
componimenti, in prosa o in poesia, indicano la stretta relazione che il poeta vede tra le
caratteristiche dei mesi e il simbolismo dei segni zodiacali. Per darne un'idea, abbiamo
trascritto di seguito le brevi poesie, senza titolo, che Moscardelli adopera come proemi di
ciascuna delle 12 parti.
(Gennaio-Acquario)
Tante saranno le grazie dell'anno
tante le gioie e tanti i dolori
quante son l'onde che versa sul mondo
ininterrottamente il buon gigante.
(Febbraio-Pesci)
Lungo le arene, lucon frutti e fiori
anemoni, conchiglie, pesci morti:
son a vederli simili ai pensieri
venuti a noi dalle remote et.
(Marzo-Ariete)
In mezzo al prato il gregge ammusa (1) l'erba
come s'essa mutasse di sapore:
l'Ariete sente dentro le sue vene
come l'albero dentro le sue rame (2)
sciogliersi il fuoco della primavera.
(1) Ammusare= dar di muso, come in Dante, Purg. c. 26. "Cos, per entro loro schiera bruna,
s' ammusa l' una con l' altra formica".
(2) Rama forma femminile di ramo, spesso indica un ramo secondario.
(Aprile-Toro)
Il Toro muglia (3) nella glauca sera
e fino i fiori sembrano tremare:
quel grido il grido della primavera
che di s inebria terra cielo e mare.
(3) Mugliare forma alternativa di Mugghiare, Muggire.
(Maggio-Gemelli)
Sotto gli alberi ricchi d'ombre e foglie
passano a coppia gl'innamorati:
gli uomini in terra e le stelle nel cielo
vanno per un medesimo cammino:
il silenzio della sera cos grande
che sembra quello di due bocche unite.
(Giugno-Cancro)
Il figlio delle tranquille riviere
che a fatica risale la corrente
invidia forse il suo fratello assunto
tra due rive di fiamme e di diamanti.
(Luglio-Leone)
L'aria bollente somiglia al respiro
del leone affamato:
simile ai crini della fulva giubba
il grano non falciato.
(Agosto-Vergine)
Come l'erba si muta di colore
ad una lieva carezza del vento
cos trasale a un subito rossore
la guancia della Vergine sentendo
errare in aria parole d'amore.
(Settembre-Bilancia)
Sulla bilancia che misura il tempo
tanto pesa la luce e tanto l'ombra:
nati da una medesima sorgente
da opposte bande guardano la terra.
(Ottobre-Scorpione)
L'insetto abominevole e perverso
che striscia lungo il muro
tramutato in diamante imperituro
spande la luce sua nell'universo.
(Novembre-Sagittario)
Sotto i dardi del gigante Sagittario
i cuori delle foglie si dissanguano
e lungo i piani e sopra i monti gli alberi
sembrano arsi da un interno incendio.
(Dicembre-Capricorno)
Nell'alta notte dormono gli armenti
e a quando a quando abbaiano i mastini:
un altro gregge su nel firmamento
pascola l'oro dei prati divini.
***
4d) Nicola Moscardelli
Il Sogno del Pastore
Come noto Sirio (Alpha del Canis Major) la stella pi brillante del cielo, cos luminosa che il suo
splendore mediamente nove volte superiore a quello di una tipica stella di prima magnitudine. Nei
periodi e luoghi adatti facile osservarla in pieno giorno anche con un piccolo telescopio. Il nome Sirio
(lat. Sirius) deriva con ogni probabilit dal greco "Serios" che, oltre ad essere uno dei nomi greci di
questa stella, (l'altro Sothis, dall'egizio Sopdet) significa anche "ardente", "bruciante". E' probabile che
tale nome derivi da una associazione con il caldo dell'estate e ci rimanda, per la sua origine, ad
un'epoca in cui il levarsi eliaco di Sirio, cio il suo sorgere all'alba in congiunzione con il sole, si
verificava nei mesi estivi. Infatti, in epoca classica, il momento di maggiore calore estivo fu detto
"canicola" proprio da una delle tante denominazioni di Sirio, che "Stella del Cane". Il levarsi eliaco di
Sirio ovviamente soggetto alla precessione equinoziale, per cui si calcola che ad es. nel 5500 a.C., si
verific all'equinozio di primavera (segnando, secondo taluni, l'inizio del Kali-Yuga). Tuttavia l'attributo
"ardente" potrebbe derivare anche dal fatto che, come testimoniano diversi autori dell'antichit, tra i quali
Cicerone, Orazio, Seneca e Claudio Tolomeo, Sirio era una stella rossa (oggi Sirio appare invece
bianca).
Il Testo delle Piramidi 965 descrive Sirio come la figlia di Osiride. Inoltre viene detto che Sirio si un
con il Re/Osiride dando alla luce Venere che, nel pi ristretto ambito planetario, , proprio come Sirio,
"la stella del mattino". Per la sua unione con Osiride, Sirio fu presto identificata con Iside (Ast in Egizio).
Nelle Lamentazioni di Iside e Nephthys, ritrovate in un papiro del IV secolo a.C., Iside asserice di essere
Sirio, che fedelmente seguir Osiride nella sua manifestazione come Orione nel cielo.
Plutarco, nel De Iside et Osiride [par. 359.C-359.D] afferma:
"I sacerdoti egiziani non dicono solo di questi , ma anche degli altri dei, quanti almeno non siano
non-generati ed esenti da morte, che i loro corpi esausti giacciono presso di loro e sono oggetto di culto,
mentre le loro anime splendono in qualit di astri nel cielo e chiamano Sothis quella di Iside, per i Greci
il Cane, Orione quella di Horus, l'Orsa quella di Tifone".
Nei Testi dei Sarcofagi, Sirio viene identificata con la propria anima e invocata con l'espressione "...o
mia anima, Sirio, preparami una via, costruisci una scala che giunga a te, Grande Polo, tu che sei mia
madre, che io possa andare al posto dove sorge Orione..."
Nell'ode del Pascoli "Il Ciocco" rivelato il segreto di ci: "... Sirio: occhio del Cane che veglia sopra il
limitar di Dio". Sirio dunque "Sidus vigilans", "Stella vigilante". Sin dal tempo dei Caldei Sirio "la
Stella Cane che apre il cammino".
Dice il papiro di Ossirinco: "Guardiana e guida dei mari e signora delle foci dei fiumi, o signora Iside, la
pi grande delle dee, il tuo primo nome Sirio. Tu conduci il sole dall'Oriente all'Occidente e tutti gli dei
ne gioiscono. Allo spuntar delle stelle tutti gli abitatori della terra indefessi ti venerano, e gli animali sacri
del santuario di Osiride si rallegrano al tuo nome. Tu mandi la rovina a chi tu vuoi, ma ai rovinati dai
grazia e tutte le cose purifichi. Ogni giorno hai tu fissato per la gioia. Tu hai disposto i luoghi umidi e
secchi di cui l'universo si compone. Tu hai ricondotto felicemente tuo fratello (Osiride) pilotando da sola e
degnamente seppellendolo. Tu hai stabilito i tuoi santuari in tutte le citt, per sempre, e a tutti hai dettato
le norme ed un ciclo annuale perfetto".
Presso i Cristiani il posto del morto-risorto Osiride, ma anche del figlio Horus, fu preso da Cristo e
quello di Iside-Sirio da Maria Vergine, Regina Coeli. La nascita di Cristo fu annunciata, come si sa, da
una stella e, secondo la tradizione, nell'anno 813, un eremita di nome Pelagio scopr la tomba
dell'apostolo Giacomo, in Galizia, guidato da fenomeni straordinari: musiche celestiali, ma soprattutto lo
splendore di Sirio, onde il nome di Compostela (campus stellae) dato a quel luogo.
Come vedremo, nella poesia di Nicola Moscardelli, il tema egizio-cristiano di Sirio e della Stella del
Mattino hanno grande importanza.
La levata eliaca di Sirio, cio la sua prima apparizione al mattino, sull'orizzonte ad Est, poco prima del
sorgere del Sole, varia sia con la latitudine dell'osservatore sia, per la precessione equinoziale, con
l'anno di osservazione. A Roma (+4154' lat. Nord) Sirio si leva eliaco nel mese di Agosto, a partire da
circa il 900 d.C. Per la precessione equinoziale, la levata si posticipa approssimativamente di 1 giorno
ogni cento anni. Cos che attualmente si verifica in data 11 Agosto. Ed infatti tra le poesie di Agosto de
"Le Grazie della Terra" (1928) che Nicola Moscardelli ha posto il componimento "Il Sogno del Pastore".
In esso Sirio chiamata con l'appellativo, datole nell'antica Babilonia, "Stella del Cammino", termine
rimasto in ambiente cristiano, perch come abbiamo visto Sirio la stella che guida il Cammino di
Santiago (San Jacopo di Compostela). Moscardelli, se da un lato fa proprio il simbolismo cristiano di
Ges come "Agnus Dei" e, a sua volta, "Pastore di Anime" e quindi il simbolismo Gregge=Anime,
dall'altro lato ricorre ad uno dei simboli pi arcaici del "cammino", cio quello della Via lattea=Cammino
delle anime.
Una caratteristica delle Piramidi di Unas (ultimo re della V dinastia) e di Teti (primo sovrano della VI
dinastia) la presenza dei cosiddetti "Testi delle Piramidi", forse i pi antichi testi religiosi scoperti sino
ad oggi. La scoperta risale al 1881 e si deve a Gaston Maspero. I Testi, in forma geroglifica, ricoprono le
pareti delle due piramidi. Risalgono allepoca preistorica egizia e sono perci molto pi antichi rispetto al
Libro dei Morti. Testimoniano l'antica religione stellare di Osiride-Orione. Secondo questi testi, il re morto
sarebbe rinato similmente a Osiride. L'anima del defunto avrebbe raggiunto le stelle di Orione (il Duat)
viaggiando nel cielo e per proteggere il suo viaggio viene dato un insieme di formule e riti. Nei Testi di
Unas si legge ad es.: "O Re, tu sei la grande stella, compagno di Orione, che attraversa il cielo con
Orione". Ma se Orione la "meta", cosa simboleggia la "via"? Il "Nilo Celeste", cio la Via Lattea, si
snoda nel cielo, toccando varie costellazioni, tra cui Orione. E la splendente Sirio, "vicina" alla meta, ...
illumina il Cammino.
Il latte nelle zngole s'accaglia,
il cacio s'insapora nelle cscine,
cola il siero dalle fiscelle:
e sogna il pastore.
S'accende all'improvviso la stella del cammino,
e ad una ad una si levano assieme le pecore morte,
sbiancate dagli anni e dagli anni:
quelle che i nonni dei nonni e i padri dei padri
pascerono lungo i prati sommersi
immobili stanno dinanzi al pastore
che non osa toccarle,
e lo guardan con gli occhi
per ove passata tant'ombra
quant'acqua passa dalla sorgente alla fonte:
repente s'ode la musica dei campani
al collo degli arieti lontani
e subito l'armento si mette in cammino
come il torrente di marzo che sgela,
senza rumore sull'erba novella
che pesta manda pi odore
s che par d'esser in mare
in un mare profondo
con onde di pecore chiare
che montano sempre
come se il monte si facesse armento.
Dstasi il pastore e gli pare
d'udire ancora la pioggia del gregge,
mentre vanisce entro il suo petto
un biancore di velli
come il colore dei secoli dei secoli passati
dentro la terra sepolti
nella profonda terra che tace
nella sua inaccessibile pace.
Tanto vicino che quasi gli pare partir dal costato
alzasi il lagno di un redo (1):
levato sui cbiti
guarda il pastore l'armento dormente
come la spuma immota del monte,
e volti gli occhi al cielo la via Lattea gli appare
come il tratturo degli armenti morti.
(1) Puledro o vitello nel periodo di allattamento.
***
4e) Nicola Moscardelli
La Stella del Pastore
Come abbiamo gi visto, nel culto "stellare" egizio, Venere "figlia" di Sirio e di Osiride e, per la sua
luminosit, ha funzioni analoghe a Sirio nell'ambito del nostro sistema planetario. Da un punto di vista
simbolico, nell'esoterismo cristiano, Venere (la "stella" del mattino, la prima che vede sorgere il Sole) in
relazione con la figura di Maria Maddalena (la prima a vedere il Cristo risorto). La Vergine Maria e Maria
Maddalena rappresentano rispettivamente lo "speculum sine macula" (la Sophia pi alta) e lo "Speculum
cum macula" (la Sophia "caduta", ma in grado di riscattarsi per la sua potenziale identit con l'altra);
come tale, Maddalena-Venere pi vicina all'uomo e mediatrice tra questi e la Vergine. Moscardelli
dimostra di conoscere tale simbolismo e nella poesia "La Stella del Pastore" (in "Le grazie della
terra"1928) parla della funzione di Venere come mediatrice tra l'iniziato e Maria-Sirio. Indica anche
nella medtazione di quiete ("calma tu splendi senza mutamento") ottenuta con la ripetizione di un solo
nome ("come una voce che ha un solo accento") quella trasformazione in "speculum sine macula", che
render possibile e senza errori la successiva meditazione di conoscenza.
Venere che fosti un giorno regina dell'amore carnale
or sei la regina del cielo mattutino e serale:
e il pastore che scende lungo il tratturo
sotto il tuo occhio si sente sicuro.
Calma tu splendi senza mutamento
come una voce che ha un solo accento.
Al primo accenno della glauca sera
brilla di gioia la tua chiara spera
e dietro te trascini il firmamento
come il pastore trascina l'armento.
Sei tu che ci ricordi la luce della casa
e il canto della rondine sotto la cimasa,
il gracilar della gallina nell'aia
e il vecchio mastino che abbaia:
sei tu la stella di tutti i campanili
lo stollo di tutti i fienili:
chiara e serena, lontana eppur vicina
del nostro cielo ancella e regina
che come oggi insegni la strada
al pastore di tutte le contrade
cos un giorno insegnerai la via
per riposar sulle ginocchia di Maria.
5a) Da Segreti del Mestiere
di Emilio Servadio
"Segreti del mestiere" un saggio pubblicato, da Emilio Servadio, nei primi due numeri della rivista La
Torre (1930). Firm tale scritto, mantenendo lo pseudonimo di Es, gi utilizzato in Krur e formato dalle
sue iniziali. Il saggio in questione non un trattato o un trattatello, ma una serie di note, nelle quali
Servadio allude, spesso simbolicamente, alla sua attivit poetica, rinunciando ad una trattazione
sistematica, semplicemente impossibile ponendosi dal suo punto di vista teorico. E' qui inutile riportare
l'intero saggio. Preferiamo evidenziare, "accostandoli" tra loro, alcuni concetti che si trovano in note
successive.
Da "Segreti del Mestiere"
C' chi ha definito Dio attraverso una serie di negazioni: probabile che questa sia la sola strada per
giungere a definire il poeta. Il sentimento della poesia come atto sacro, e del poeta come levita, ha
fuorviato, per esempio, un certo numero di scrittori di qualit. E' perfettamente giusto che, secondo una
tradizione ben nota, ogni uomo in ogni momento della vita, qualunque sia la sua parola, nelle
condizioni del sommo sacerdote, chiuso nel Sancta Sanctorum il giorno dell'Espiazione, che pronuncia il
Nome divino. Ma il poeta deve saperlo sempre, e dimenticarsene all'atto della creazione. L'equilibrista
che si pone dei problemi di statica, cade. Occorre per che questi problemi li abbia immanenti fuori del
circo: che non dimentichi cio di essere un equilibrista ( il suo modo di risolverli).
Se dovessi definire la caratteristica di ci che vorrei fosse alla base della poesia (moderna) direi: la
semplicit - destinandomi cos a essere frainteso. C' la semplicit dell'acqua e quella dell'alcool
assoluto. Un cristallo a cui si tolgono le scorie che lo rivestono semplice. Della poesia si potrebbe
dire, parafrasando Leonardo, che occorre liberarla dalla prigione delle espressioni superflue. Il
pubblico confonder sempre semplicit con vuotaggine, con insufficienza.
Il dadaismo lo sforzo pi interessante dei tempi moderni contro il feticcio dell' "amore che spira" cos
com'esso inteso dalla pluralit. Mentre il surrealista il tiratore bendato, che pu magari far centro, il
dadaista non accetta n la benda n le regole del tiro, che ricompone a sua guisa, sparando magari nella
luna: entrambi i sistemi sono sbagliati, ma vi sono gerarchie anche negli errori. Quanto a noi, crediamo
che il vero modo sia ancora quello solito, di sparare chiudendo un occhio, e tenendo l'altro ben aperto:
ma piuttosto che tirare bendati rivolgeremmo l'arma contro il proprietario del baraccone, o contro noi
stessi.
Ogni vera creazione poetica il risultato di una lotta. L'avversario qui rappresentato da una serie di
ostacoli invisibili: anzitutto la pagina "che il suo candor difende", secondo quanto scrisse Mallarm e che
occorre violare con impeto, anche se gli di non "donano" il primo verso, come qualcuno forse ancor
troppo ottimista vorrebbe. Vi sono poi le assonanze, i luoghi comuni, le false immagini, le associazioni
spontanee di deboli idee - tutto un mondo larvale e informe contro cui lo sdegno non serve, e che
bisogna respingere con la calma immobile con cui la roccia infrange il torbido torrente in piena - sinch il
livello si abbassa, le acque diventano sempre pi chiare, e sul fondo appaiono tremanti le prime
pagliuzze d'oro.
EA: Il giudizio di Servadio su Dadaismo e Surrealismo concorda in larga parte con quello di Evola che ne
"Il Cammino del Cinabro" scrive: "In realt il movimento a cui mi ero associato, tenendo Tristan Tzara in
alta stima, doveva realizzare ben poco di ci che io in esso avevo visto. Se rappresent di certo il limite
estremo e insuperabile di tutte le correnti d'avanguardia, tuttavia esso non si autoconsum
nell'esperienza di una effettiva 'rottura di livello' di l da ogni arte e da ogni consimile espressione. Al
dadaismo fece sguito il surrealismo, il cui carattere dal mio punto di vista era regressivo, perch esso
per un lato coltiv una specie di automatismo psichico gravitando verso gli stati subconsci e inconsci
dell'essere, tanto da solidarizzare con la stessa psicanalisi, e dall'altro lato si ridusse a trasmettere
sensazioni confuse di un "dentro" inquietante e inafferrabile della realt (specie nella cosiddetta 'pittura
metafisica') senza nessuna vera apertura verso l'alto".
Si notano comunque due differenze:
a) Evola, se si eccettua il suo secondo periodo artistico (anni '70), ritiene che l'arte, ad un certo punto,
debba autoconsumarsi. Servadio no.
b) Il giudizio negativo sul surrealismo non impedisce a Servadio di aderire alla psicoanalisi. Evola
invece critico sia nei confronti del surrealismo, sia nei confronti della psicoanalisi.
ES: Non c' da stupirsi della posizione di Servadio, perch se il Surrealismo si riconosceva "figlio" del
pensiero psicoanalitico di Freud, questi non accett minimamente tale paternit.
Andr Breton, autore nel 1924 del primo "Manifesto Surrealista", incontr Freud a Vienna nel 1921 ed
ebbe con lui anche un breve scambio epistolare. L'incontro non ebbe l'esito che Breton avrebbe voluto,
perch i due erano ideologicamente distanti: per Freud i "matti" sono malati che debbono essere curati;
per Breton invece sono da studiare e salvaguardare cos come sono, perch costituiscono un esempio di
come dar libero sfogo a processi mentali irrazionali: esempio da imitarsi nella produzione artistica.
La posizione di Freud rimase praticamente la stessa anche quando, a Londra nel 1938 (cio un anno
prima di morire), Stefan Zweig gli fece conoscere Salvador Dal. Il loro incontro avvenne in un caff,
dove Dal, su un tovagliolo, fece rapidamente un ottimo ritratto di Freud. Durante l'incontro, Freud fece
due semplici affermazioni complementari: "Nelle opere classiche ricerco l'inconscio, in quelle surrealiste
il conscio". Pi o meno come dire che le tecniche surrealiste si illudono di poter effettivamente riprodurre
volontariamente i processi inconsci, che entrano invece, proprio perch non ricercati, in gioco nell'arte
classica. Pertanto, l'unica cosa sensata di fronte alle opere surrealiste ... cercarne il movente conscio!
Dal ebbe in seguito ad affermare che il giudizio di Freud, riguardo all'arte surrealista, era la condanna a
morte delle posizioni dottrinarie, che stavano alla base di questa corrente e che, di conseguenza,
occorreva ritornare al classicismo.
In realt, Freud era stato probabilmente diplomatico con Dal, perch, riguardo ai surrealisti, aveva
sempre pensato cose persino peggiori. Il 20 luglio 1938, in una lettera a Stefan Zweig, Freud scrisse:
"Caro signore, bisogna realmente che io vi ringrazi della parola di introduzione che mi ha condotto il
visitatore di ieri. Poich fino a quel momento ero tentato di considerare i surrealisti, che apparentemente
mi hanno scelto come santo patrono, come dei pazzi integrali (diciamo al 95%, come per l'alcool puro). Il
giovane Spagnolo, con i suoi candidi occhi di fanatico e la sua indubbia padronanza tecnica, mi ha
incitato a riconsiderare la mia opinione. In realt, sarebbe molto interessante studiare analiticamente la
genesi d'un quadro di tal genere. Dal punto di vista critico si potrebbe tuttavia dire che la nozione d'arte
si rifiuta ad ogni estensione quando il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l'elaborazione
precosciente non si mantiene entro limiti determinati. Si tratta qui, in ogni caso, d'un serio problema
psicologico."
Dunque, anche per non deludere completamente Zweig, Freud ammise che l'innegabile maestria
tecnica di Dal lo tentasse, per un attimo, a riconsiderare il suo giudizio negativo, per poi per
sostanzialmente riconfermarlo subito dopo. Infatti, pur non conoscendo le vicissitudini interiori di Dal,
afferm, in base alla sua esperienza, che qualcosa, nel corso della vita del pittore, doveva averlo
seriamente intaccato dal punto di vista psicologico.
5b) Emilio Servadio
Angoscia
Emilio Servadio cominci a scrivere poesie molto presto. Gi nel 1921, quando cio
aveva 17 anni, un suo testo poetico, intitolato Ritmi, comparve sul settimanale genovese La
Chiosa (1919-1927), diretto da Flavia Steno. Servadio pubblic il suo primo libro in versi,
Licheni (ed. Fratelli Ribet, Torino) nel 1928. Se le prime poesie del libro manifestano una
probabile risonanza con quelle dell'amico Montale, le ultime evidenziano una sintonia con il
Gruppo di Ur e, in specie, con Comi e Onofri. Lo stile di Servadio tuttavia molto pi sobrio
di quello degli altri poeti di Ur, come si evince dalla composizione che trascriviamo,
Angoscia, nella quale si colgono tentativi della pratica dell'Ars Dormiendi.
Suoni: sussulti di sangue nel sogno tormentoso
Che mi intristisce; zolle di colori arcani
Affioranti da strati sotterranei e da orizzonti lontani
Al mio giacere senza riposo.
Dibattersi - nella densa prigione dell'osso e del tessuto
Di un Dio prigioniero che vorrebbe staccarsi
E volare - e cadere o disintegrarsi
Entro invisibili abissi di tenebra e di velluto.
***
5c) Emilio Servadio
Canto dell'Ebreo Errante
Chiude la raccolta "Licheni" il Canto dell'Ebreo Errante, personaggio mitico che, avendo
dileggiato Cristo, condannato a non morire, finch Egli non far ritorno. E' il simbolo del
trasmigrare dell'ente mercuriale, finch l'avvento del Sole interiore (l'Emmnuel, il Dio in
Noi) non ponga fine alla "peregrinazione".
E m'accompagnano all'uscio della dimora e chiudono presto come se una strana
Paura li invada a un tratto che il mio male agli altri si estenda
E che l'inestinguibile fuoco che arde nella mia anima, anche nella loro si accenda,
E che anch'essi, lasciata la casa, e intrapresa la via,
Non abbiano pi come pane quotidiano che lo struggimento delle mutazioni, e la
malinconia...
Ma resto solo. Milioni di nuovi aspetti nelle antiche strade
E, qualche triste sera, un bisogno di pregare che mi invade.
Nota sull'Ebreo Errante di Occhi di If:
Matteo di Parigi, monaco e cronista del XIII sec., scrive, nella Historia Maior, che nel 1228
un arcivescovo d'Armenia si rec in Inghilterra e col narr di un certo Giuseppe, presente
alla Passione di Cristo, che viveva ancora, tanto da esser stato ospite alla mensa
dell'arcivescovo prima che egli partisse. Pi precisamente "... ai tempi della sentenza contro
il Cristo, quell'uomo, chiamato allora Cartafilo, era portinaio del pretorio di Ponzio Pilato.
Quando Ges, condannato e trascinato dagli Ebrei, travers la porta del Pretorio, Cartafilo
gli diede con disprezzo un pugno nella schiena e gli disse ghignando: Cammina dunque,
Ges, cammina pi spedito. Perch sei cos lento? E Ges guardandolo con fronte e occhi
severi, rispose: Io vado, e tu, tu aspetterai ch'io torni".
Da questo episodio nacque la leggenda dell'Ebreo Errante, suffragata dalle parole dei
Vangeli:
"In verit io vi dico, che tra i qui presenti vi sono di quelli che non morranno, prima che
vedano il Figlio dell'uomo venire nel suo regno". (Matteo, XVI, 28).
"Vi dico in verit che ci sono alcuni dei presenti i quali non gusteranno la morte prima di aver
veduto il regno di Dio venire con maest". (Marco, VIII, 39).
"Or vi dico in verit, che ci sono alcuni qui presenti i quali non gusteranno la morte finch
non vedano il regno di Dio". (Luca, IX, 27).
Si creduto per secoli che, mentre ad alcuni venne concesso di vivere come premio per la
loro fede (ad es. di S.Giovanni Ges disse a S.Pietro "Io voglio ch'egli dimori fin ch'io
torni"), ad altri fu ugualmente concesso, ma per l'espiazione dei loro peccati.
Matteo di Parigi, riferendo le parole dell'arcivescovo, spiega che dopo quelle parole di Ges,
Cartafilo aspetta e ogni tanto vaga per il mondo: "Aveva all'epoca dei fatti narrati circa
trent'anni e ogni qualvolta arriva all'et di cento anni preso da una particolare specie di
estasi e dopo un periodo di malattia ritorna all'et che aveva quando il Cristo venne
mandato a morte. Si dice che sia stato battezzato da Anania, lo stesso che battezz
S.Paolo, ed abbia ricevuto il nome di Giuseppe. Abita per lo pi in Armenia o in altri paesi
dell'Oriente, sempre fra vescovi e prelati. E' religioso e conduce una vita santa, parla assai
poco e solo quando lo richiedano i vescovi o persone assai religiose. Racconta fatti antichi e
circostanze della Passione, e ci senza scherzo e senza parole frivole, perch per lo pi
piangente. Vengono a vederlo da paesi lontani per intrattenersi con lui; e se si trova con
uomini rispettabili risponde a tutte le domande ed alle questioni che gli vengono proposte.
Rifiuta quanti doni gli sono offerti, contento di una veste e di un cibo semplici. Tutte le sue
speranze vede nel fatto che egli pecc per ignoranza".
***
5d) Emilio Servadio
Fioritura
Nel numero 6-7 di Krur (1929) apparve, di Emilio Servadio, la poesia "Fioritura", dedicata a
Girolamo Comi (G.C.) . Venne scritta sotto lo pseudonimo di Es, che peraltro non compare
n in testa n in fondo alla poesia (che riporta invece la data di composizione), ma
esclusivamente nel sommario della copertina. Questo componimento pu considerarsi
come una prosecuzione di quanto gi espresso in "Angoscia". Ritorna infatti, mostrando pi
maturi frutti, il tema dell'Ars Dormiendi. La quartina finale esprime invece sinteticamente
l'alto compito della Poesia Ermetica.
Fioritura
a G. C.
Coppie intrecciate di virginee mani
Passano sul mio capo e sul mio petto
Irrorando di stelle e fluidi strani
Lo scarso corpo che giaceva inetto.
Lo scender lento dell'umana rete
Sembra togliere e dare alito e spazio
Al sangue ed alle falde pi segrete
Del fusto che ritrovo e che ringrazio.
Sollevato in un calice ed offerto
Pi alto a consumarsi in sacrifizio
Il mio corpo terrestre ancora incerto
S'equilibra in riflessi di solstizio.
L'aridit dell'essere mortale
Si placa e si distende in un respiro
Non interrotto, lieve e floreale
Che scende da un silenzio di zaffro.
Mi ridesto , o rinasco, in progressivo
Dilatarsi di sensi e di orizzonti
E mi contemplo nuovo e primitivo
Permeato di nuvole e di fonti.
Di l dal tempo, in sempiterna messe
Il vento soavissimo raccoglie
I miei respiri e li confonde e intesse
Con gli aromi dei fiori e delle foglie.
Cos il canto degli atti e dei portenti
Ricongiunge lo spirito del rito
All'incorporeit degli elementi
E lo consacra in dignit di Mito.
giugno 1929
***
5e) Emilio Servadio
Liriche
Nel numero 3 (1Marzo 1930) del quindicinale La Torre, diretto da J.Evola, comparve una composizione
poetica di Emilio Servadio, intitolata Liriche. E', per il contenuto, affine alle poesie da noi gi esaminate.
L'Ars Dormiendi si riconferma anche qui un aspetto costante della fenomenologia iniziatica descritta da
Servadio. S'accenna, in particolare, ad un certo grado di controllo del mercurio alato ("presenza d'ali"),
connesso ad una risalita delle forze sottili ("Sale e s'afferma in fervido brillare"), gi sperimentata
precedentemente ("Spingendo ai cieli il fusto mio d'allora"), ma ora pi specificamente connessa ad uno
"schiudersi", tra gli altri, del centro coronale ("nuova vita in forma di corona").
I
Fragilit delle cime, o fluire
D'equoree carezze, son chimere
Degli ultimi germogli! Le miniere
Confondono gli eventi, e l'avvenire ...
Nascer di nuove cellule, o svanire
Di sistemi solari - attimi od ere -
Ignora o non discerne il mio giacere
Di roseo mondo in lento divenire.
Miriadi d'esistenze, empireali
Sonni uniscono in me palpiti e tombe,
Lieviti d'astri e succhi minerali;
E le ascese perenni ed immortali
Entro la falda che mi cela e incombe
Dnno ai miei rami una presenza d'ali.
II
Vergine tremo all'alito solare
Che mi desta e m'attira, oltre le zolle,
Muto ancra e difeso tra le avare
Palpebre delle mie chiuse corolle.
Pur, se una linfa da segrete polle
Sale e s'afferma in fervido brillare
Di gemme, amo la forza che in me volle
Con rami e foglie vivere e parlare.
Nella verde parola oggi discerno
Quel che al seme sembr spento e distrutto,
Vigile ritmo d'estate e d'inverno;
E m'abbandono al ricorrente flutto
Per divino durare, oltre l'eterno
Aprirmi fiore e ritrovarmi frutto.
III
Credo alla morte, che sepolto ancra
M'offerse un velo iridescente e molle.
E simile ai virgulti oggi mi volle
Nudo e rinato ai soffi dell'aurora.
Il mio corpo vetusto anima e dora
La stessa forza che plasm le zolle
E schiuse i bocci, e fecond le polle
Spingendo ai cieli il fusto mio d'allora.
Sento il raggio che penetra - e ridona
Linfe perdute e vividi fermenti
Al germe chiuso nelle antiche scorze.
Or s'apre intatta dalle oscure forze
Per mille bocci fragili e lucenti
La nuova vita in forma di corona!
6) Massimo Scaligero
Trasmutazione Calcarea
L'attivit poetica ha accompagnato la vita di Massimo Scaligero (Antonio Scabelloni,
1906-1980) sin dalla fanciullezza. La sua prima poesia pervenutaci, "Primavera", datata
22 Marzo 1914. Molte delle sue poesie sono poesie d'amore, che vanno arricchendosi, con
il passar del tempo, di contenuti iniziatici, e fanno di Scaligero uno dei principali esponenti
del'esoterismo poetico nell'Italia del Novecento. Egli poco noto in tal senso, perch a
differenza di Onofri, Comi e altri, la sua produzione poetica stata pubblicata solo postuma
(La Pietra e la Folgore, Tilopa, 1985). Scaligero si pu considerare, per il contenuto delle
sue poesie, come una sorta di moderno Fedele d'Amore. La poesia che proponiamo
"Trasmutazione Calcarea", parla di quella "Pietra Vegetabile" che, come dice Kremmerz,
"conserva il carattere di un minerale ... eppure un vegetabile, poich alla vita vegetativa
non ripugna".
Un figlio di creta,
un corpo d'antica creta
con soffio impietrato nel profondo,
nell'intimo delle ossa di calce:
creta e calce.
Rinascere dall'antica creta,
soffio delle ossa,
in magica fiorescenza di luce
che riprende vita dall'abisso:
materia dell'infinito,
lampeggiamento solitario di Giva (1)
nel grumo dei mondi sofferti,
tornare in alto alito celeste
per aereo spazio d'immenso.
Amore riprende sogno
interrotto, smagato, dimenticato,
per primavera imperitura
nel ciclo dell'immateria
che un tempo fu creta:
creta e calce.
(1) Termine sanscrito, pi frequentemente traslitterato in Jiva, che in relazione con "jivah"
= vivente, e sta ad indicare l'anima individuale.
7a) Guido De Giorgio
I Poeti
Penso non si possa definire completa una analisi delle forme poetiche che gravitarono attorno al Gruppo
di Ur, senza accennare alla poesia di Guido de Giorgio. Tutti i suoi scritti sono in fondo poesia, giacch
la sua stessa prosa segue spesso dei ritmi poetici. Guido De Giorgio non ha mai scritto nessun trattato
sistematico sulla poesia. Tale non , nonostante il titolo, l'opera "Dio il Poeta", che piuttosto una
raccolta di inni, di salmi sui generis, nei quali "si pensa cantando e si canta pensando". Proprio come un
pesce, che non si cura della formula chimica dell'acqua in cui nuota, egli probabilmente non avvert mai
la necessit di un siffatto trattato. In un suo romanzo inedito si trovano, per, delle interessanti e
sufficienti considerazioni sui poeti (ora in Aforismi e Poesie, Milano 1999). Esse confermano la via
essenzialmente devozionale di De Giorgio. Probabilmente convinto che la possibilit della sua epoca
fosse ri-innalzare la religiosit cristiana ad una forma di Bhakti Yoga, egli tace di altre possibilit (Raja
Yoga, Jnana Yoga, Karma yoga) che pur, di certo, conosceva. Il limite della sua proposta sta ovviamente
nel fatto di generalizzare il suo tipo umano, con un ego (ahamkara) non ancora del tutto cristallizzato e
d'altro canto non pi spontaneamente centrato nella coscienza (purusha). Tuttavia da ritenersi
proposta valida per chi, anche se forse raro ai tempi d'oggi, ha una struttura interiore come la sua.
I poeti, dopo i Santi, si capisce, mi pare che siano pi vicini a Dio perch, in un certo senso,
spiritualizzano la materia, l'alleggeriscono, la rendono eterea, impalpabile. La Poesia la corona della
vita, la Santit la corona del cielo. Il poeta pi che l'uomo, ma il Santo pi che poeta. Ma una volta il
Poeta era anche Santo, quando non cantava del mondo, ma di Dio, quando mirava il mondo in funzione
di Dio, quando la creazione era permeata di Dio, quando si pensava cantando e si cantava pensando.
Dice Platone che il Poeta un "essere alato e leggero" che vaga, come ape, nei boschetti delle Muse, e
vi coglie il nettare e lo trasforma in miele ... E canta come un invasato, agitato dal Nume, che - direbbe
Dante - gli ditta dentro, e questo nume Amore...
E' la vita rinnovata dallo Spirito, non pi luogo di erramento, ma di conquiste, di redenzione. Pensate a
Virgilio: quanti poeti non aveva egli distolto dall'errore, avviati sul cammino della Verit, di Dio, egli che
andava, dice Dante, come un uomo, che ha una lampada in mano e rischiara quelli che lo seguono ma
non se stesso:
Facesti come quei che van di notte
che porta il lume retro a s non giova
Ma dopo s fa le persone dotte
Ed ecco il dramma terribile dei poeti che talvolta salvano ma non si salvano, che illuminano gli altri ma
non se stessi, che tornano essi, in prigione, dopo averne svincolati gli altri...Chi canter mai il dramma di
Virgilio che all'apparizione di Beatrice, lascia Dante e riprende la via del Limbo?... Egli, lucifero, ritorna
nelle tenebre a vivervi "senza speme e in disio...". E Brunetto Latini? I Maestri d'eternit che dall'eternit
gaudiosa sono esclusi... Questi sono tra gli arcani pi terribili della Giustizia di Dio che potrebbero
indurre i pi saldi al dubbio...Bisogna credere terribilmente in Dio per non esitare, non dubitare, per
accettare ci che ripugna alla nostra ragione umana, per esaltare il Signore in ogni cosa, nel bene, nel
male che permette, nella implacabilit della Sua giustizia e nell'ingiustizia apparente della sua
Misericordia. Egli che si nasconde a noi per indurci in tentazione; per provare la nostra fermezza, per
rafforzare la nostra fede, infiammare la nostra carit a dare le ali alla nostra speranza.
***
7b) Guido De Giorgio
Salmo del Poeta
Da "Dio e il Poeta", pubblicato postumo (Milano 1985) come la maggior parte degli scritti di G. De
Giorgio, estraiamo il "Salmo del Poeta", che riprende alcuni dei temi gi visti, come la funzione di guida
(che a un tempo il sacrificio) del poeta. Si possono notare anche alcuni passi di sapore "vedantino",
come quelli relativi al mondo come "Sogno" di Dio. In questo salmo particolarmente evidente
quell'indistinguibilit di prosa e poesia che, come abbiamo gi detto, caratteristica di molti scritti di De
Giorgio.
O Signore che mi desti la follia, Dio abbi piet di me! O Signore che morte mi darai, liberami da morte,
morendo, perch la morte cantai e vita feci in ci che morte era, e i morti svegliai per cullarli colla nenia
dell'infinito, e se cantai e se delirai, Signore della pazzia mia, abbi piet di me! C'eri tu e c'eran loro, tu
ricco, tu tutto, loro poveri, loro briciole, scelsi loro e lasciai Te a Te, affinch, guidati da me, ritornassero
a Te, essi che di te figli abbandonarono te per correre a ci che non , in oblio di Ci che .
O tu che mi facesti pazzo, abbi piet di me! Per i miei canti e per la mia follia, Dio abbi piet di me! Io che
cantai la morte, sia libero da morte, io che cantai la vita mi abbia la vera vita, quella che Te in Te,
perch Tu sia Tu e io non pi! Io che cantai in sogno, sia accolto in verit, io che cantai in morte giunga
alla vera vita, io che cantai di pianto abbia la bella gioia, quella che di Te solo vive, che in Te solo
dimora, quella che pace in guerra, sia tutta pace in Te! Io che cantai il tuo sogno, ch'io veda il
Sognatore, il teste dell'eternit, l'invisibile dio dei mondi, e Colui che solo , liberi me da me, sciolga i
miei canti in S, lavi le mani mie nell'onda Sua che tutto monda, chiuda i miei occhi al pianto; apri i tuoi
occhi a me. Tu che sei solo in me quel che io non sono in Te, anima povera mia, rifammi Tuo dopo
avermi dato alle creature del Tuo sogno, nuvole, fiori e venti, occhi d'amore, occhi di morte, creature tue,
Signore; per me, cessi il Tuo Sogno, cessi il mio canto, scioglimi tutto in Te!
7c) Guido De Giorgio
O Tu
La poesia di De Giorgio in genere diversa da quella degli altri collaboratori di Ur. Infatti, nei loro
componimenti, posto al centro l'attivit dello Spirito nella pratica esoterica; in De Giorgio, che segue
una via prevalentemente devozionale, posto al centro il rapporto con Dio e i suoi intermediari e perci
la sua poesia si avvicina maggiormente a quella di carattere religioso. Rimandando inevitabilmente alla
lettura diretta delle sue opere, concludo trascrivendo la prima strofa di "O Tu", un inno dedicato alla
Madonna (Aforismi e Poesie, Milano 1999).
O Tu che sei l'alcova dell'amore impolluto
Castissima figlia della luce incolore
Prato che falce non rade che piede non calpesta
Vergine santa, Vergine buona, Vergine pura ...
T'avevo vista santa, buona, ma non bella, finora ...
E ora, come una folgore, bella, bella ti vedo
Vergine bella di Monte Vergine salva me!
D'improvviso: luce che si fa amore, amore che si fa bellezza.
8) INNI E INDIGITAMENTA
Introduzione di Abraxa
Come abbiamo appena visto, la poesia di Guido De Giorgio si differenzia da quella degli altri membri di
Ur per due motivi: per il contenuto, pi religioso che ermetico, e per la forma, pi evocativa del divino che
riproduttiva di stati iniziatici. Ci ci conduce a parlare, in maniera pi ampia, degli inni e di quelle
peculiari forme di invocazioni agli Dei che furono gli Indigitamenta nella religione di Roma.
Nel nostro forum, diversi interventi hanno evidenziato che, se si vuole che la religiosit classica politeista
riprenda, anche pubblicamente, la sua eterna funzione di guida della civilt occidentale, non basta
limitarla (sempre pubblicamente) al ristretto ambito degli studi di mitologia e simbologia ove il
cristianesimo cerc di circoscriverla. Occorre ricorrere, sempre pi frequentemente, al rito pubblico. Un
aspetto frequente di questo l'inno.
8a) CARMEN ARVALE
Pietro Negri: Per ''Fratres Arvales'' si intende un collegio di dodici sacerdoti, che il mito fa risalire ai 12
figli di Acca Larentia, nutrice di Romolo e Remo. Romolo stesso era divenuto membro del collegio alla
morte di uno dei dodici. Portavano attorno al capo una corona di spighe con fasce di lana bianca
(infulae) e celebravano ogni anno gli Ambarvalia, sacrifici alla dea Dia, officiati in un bosco sacro presso
Roma. Qui la dea aveva un tempio rotondo e una statua che veniva unta durante i riti.
Il culto si svolgeva alternativamente il 17, 19, 20 o il 27, 29, 30 maggio. Questa dea in pratica nominata
soltanto negli Atti dei Fratelli Arvali. La stessa etimologia del nome Ambarvalia fa comprendere il legame
di questi riti con la terra che circondava l'urbe (amb='intorno' e arva='campi'). Dopo il solenne sacrificio di
due porche, di un'agnella grassa e di una bianca giovenca, i sacerdoti prendevano i libri e, danzando,
cantavano un antico inno scandito su un ritmo ternario, implorando protezione degli Antenati
-(Lases=Lares) protettori della propriet dei campi- e del dio Marte.
L'antico testo (si ritiene del VI secolo a.C.), stato scoperto nel 1778, su una lapide, che riporta il verbale
dell'intera cerimonia eseguita nell'anno 218 d.C. e che si trova oggi nei Musei Vaticani.
La lingua dell'inno arcaica e Mars invocato anche coi nomi antichi di Marmar e Marmor, aventi
relazione con l'umbro Mavors, l'osco Mamers, l'etrusco Maris, tutti dei italici arcaici protettori dei campi,
delle attivit agricole, del raccolto, della rinascita primaverile, ma anche, in quanto difensori dei campi,
guerrieri. Da qui la corrispondenza col dio Olimpico greco Ares, che per sembra aver avuto un carattere
pi specificamente guerriero. Nell'inno Marte invocato come dio della soglia (limen): sia a difesa da
"epidemie e rovine", che possono diffondersi nelle moltitudini (pleores=plures) umane, animali e vegetali,
sia come regolatore della semina, naturale e umana. Gli si chiede infatti, quando sta sulla soglia, di
battere ripetutamente (berber equivale all'imperativo verbera), gesto che richiamer
(advocapit=advocabit) alternativamente i Semoni
(Semunis=Semones) divinit che presiedono alle varie semine (etimologicamente, il loro nome infatti
connesso con semen,'seme'). L'ultima invocazione chiarisce che il gesto magico che il dio chiamato ad
eseguire un triplice battito del piede. Da tale verbo arcaico (triumpere), indicante il predetto gesto
vittorioso, derivano, per il tramite del latino classico, i termini "trionfo" e "tripudio".
CARMEN ARVALE (dagli Acta Arvalium, 218 d.C.)
ENOS LARES IVVATE (ter)
NEVE LVE RVE MARMAR SINS INCVRRERE IN PLEORES (ter)
SATVR FV FERE MARS LIMEN SALI STA BERBER (ter)
SEMVNIS ALTERNEI ADVOCAPIT CONCTOS (ter)
ENOS MARMOR IVVATO (ter)
TRIVMPE (quinquies)
Traduzione:
Aiutateci o Lari! (tre volte)
N peste n rovina, o MarMar, permetti che si diffonda nella moltitudine! (tre volte)
Sii fruttifero, o fiero Mars, raggiungi di slancio la soglia, fermati l, batti ripetutamente (tre volte)
I Semni, a turno, convocher tutti (tre volte)
Aiutaci MarMor! (tre volte)
Batti tre volte il piede! (cinque volte).
Sipex: Tra le espressioni arcaiche del Carmen di particolare rilievo la forma "enos" al posto del
classico "nos". Non deve stupire quella "e" iniziale, perch il singolare di "enos" (noi) "ego" (io) ed
perci evidente che la "e" fa parte della radice della parola. La scrittura "enos", anzich "egos" fa
pensare che in origine la "g" di "ego" avesse una pronuncia "nasale", come dimostrano anche il genitivo
e gli altri casi del singolare (mei, mihi, me, me), altrimenti foneticamente inspiegabili.
Alcuni traduttori, troppo legati al latino classico, nel tradurre il Carmen Arvale, hanno separato,
arbitrariamente, "enos" in due parole ("e nos"), interpretando in genere la "e" come una esclamazione,
che oltretutto semanticamente superflua.
Ultraviolet:: Quando ho letto, nel forum, il Carmen Arvale, ho approfondito un po l'argomento leggendo
tutto quello che ho trovato sul web - pochissimo, ma forse sufficiente per inquadrare a grandi linee di che
si tratta. Ho in mente una delle mie domande da asilo (ma non detto...): ma il ripetersi delle frasi (a
parte l'ultima) per TRE volte?
Sipex: In relazione al motivo generale delle "ripetizioni", tanto nei riti quanto nei testi iniziatici, potresti
rileggere "Ripetizioni di frasi e di significati" - messaggio a suo tempo inviato da Breno ed ora parte finale
del quaderno La Tradizione Estremo Orientale - che, pur sinteticamente, lo esprime molto bene.
Ekatlos: Se poi Ultraviolet intende riferirsi al significato del "tre volte" e del "cinque volte" nella specificit
di quel rito, nozione che gli attuatori o (a seconda delle epoche) i conservatori del rito stesso si
tramandano esclusivamente nel loro ristretto ambito.
Tarquinio Prisco: Cosa si sa, dal punto di vista storico, della misteriosa dea Dia?
Ea: Dea Dia l'aspetto femminile dell'arcaico Dies-piter, il Padre Cielo, il cui culto fu, in epoca classica,
assorbito in quello di Juppiter. Diespiter divenne allora uno dei pi importanti attributi di Giove, tanto che
il sacerdote di quest'ultimo era detto Flamen Dialis. Diespiter una divinit del tutto equivalente al dio
vedico Dyaus Pitar, la cui "sposa" Prithivi, la Terra. Anche Dea Dia una divinit della Terra e viene
perci spesso assimilata a Tellus e Cerere. Ma le assimilazioni rischiano di coprirne la specificit. Il fatto
che Dia conservi la stessa radice di Dies indica che qui la Terra considerata proprio nell'atto di unirsi al
Cielo, nell'atto di formare il binomio Dies-Dia. E' tale binomio a generare la realt intermedia in cui
viviamo, che partecipa del Cielo e della Terra. Da un punto di vista agreste ci significa, ad es., che gli
eventi atmosferici non dipendono solo dal cielo (ad es. dall'attivit solare), ma anche dal modo in cui la
terra ne accoglie l'attivit. Questa realt oggi perfino pi evidente che al tempo dei Romani, dal
momento che tutti sanno ad es. che ben diverso l'effetto dei raggi solari su una terra che, per l'attivit
dell'uomo, immetta nell'atmosfera poca o molta anidride carbonica. Dunque i rituali di Dea Dia miravano
ad assicurare che la Terra dei Romani accogliesse sempre nel modo migliore l'attivit celeste. Dal punto
di vista alchimistico ci significa purificare il mercurio, affinch accolga nel modo migliore lo zolfo.
Passando cio dal punto di vista agreste grossolano a quello sottile, i rituali di Dea Dia miravano a
rendere atta la mercurialit o psichicit collettiva del popolo romano (Evola direbbe la "razza dell'anima")
ad accogliere gli obiettivi spirituali (la "razza dello spirito") che si incarnarono nel medesimo popolo.
Dunque i Romani, per curare gli eventuali difetti della "razza dell'anima", usavano il Rito, e non la
"camera a gas": isterico gesto materiale, che solo la follia di un ambiente materializzato pot attuare.
Dies-Dia
***

8b) Dall'Inno a Mercurio
Ovidio, Fasti (V, 663 e sgg)
a cura di Ida La Regina
Clare nepos Atlantis, ades, quem montibus olim
edidit Arcadiis Pleias una Iovi,
pacis et armorum superis imisque deorum
arbiter, alato qui pede carpis iter,
laete lyrae pulsu, nitida quoque laete palaestra,
quo didicit culte lingua docente loqui.
...
Vieni o illustre nipote di Atlante, che un tempo a Giove
partor una delle Pleiadi sui monti dellArcadia,
arbitro di pace e di guerra per gli di celesti e inferi,
che percorri lo spazio coi piedi alati, lieto del suono
della lira e lieto anche della lucente palestra,
tu per il cui insegnamento la lingua apprese a parlare con eleganza.
...
Invocazione del mercante a Mercurio
(P. Ovidius Naso Fasti 681 sgg):
Ablue praeteriti periuria temporis,
ablue praeteritae perfida verba die.
Sive ego te feci testem falsove citavi
Non audituri numina magna Iovis,
sive deum prudens alium divamve fefelli,
abstulerint celeres improba verba Noti,
et pateant veniente die periuria nobis,
nec curent superi si qua locutus ero.
Da modo lucra mihi, de facto gaudia lucro,
et fac, ut empori verba dedisse iuvet.
Lava gli spergiuri del tempo passato,
e lava anche le parole perfide dette ieri.
Sia che abbia evocato te a testimone, o invocato
Falsamente il grande nume di Giove sperando che non mi udisse,
sia che, astuto, abbia ingannato alcun altro degli dei o delle dee,
i rapidi venti disperdano le mie sacrileghe parole:
e domani mi si schiuda la liceit di nuovi spergiuri,
n badino i Celesti se ne avr pronunciato qualcuno.
Concedimi solo guadagni, concedimi di godere di essi,
e fa che mi giovi laver gabbato lacquirente.
***

8c) Mesomedes: Inno a Calliopea
a cura di Ekatlos
Tra i pochi brani musicali dell'antica Grecia che ci sono pervenuti sono da segnalarsi quelli del cretese
Mesomedes, musicista della corte di Adriano (che regn nel 117-138 d.C.) e degli Antonini.
L'Inno qui riportato dedicato a Calliopeia (o Calliopea o Calliope) Musa della poesia epica. Il testo
originale, compresa la musica in notazione antica e una trascrizione nella notazione moderna, si trova in
Pohlmann (1).
Nell'inno viene invocato anche Apollo, mediante tre attributi: "guida del mistero esoterico", "figlio di Leto"
(Latona) e "Peana di Delo". Apollo viene altres definito "peana" anche da Dante nel Paradiso (Pd. XIII,
25), giacch nell'inno che era cantato in suo onore, veniva rivolto a lui il grido rituale "I Pain!".
(1) Pohlmann, Egert. Denkmler Altgriechischer Musik: Sammlung, bertragung und Erluterung aller
Fragmente und Flschungen. Nrnberg: Verlag Hans Carl, 1970, pp. 14-15.
Oh venerata Musa, canta con me,
dai inizio e armonia alla mia canzone.
Le fresche brezze che esalano dai Tuoi boschetti
ispirino il mio petto e risveglino il mio cuore.
Tu saggia Calliopea
principale delle leggiadre Muse
e anche tu, guida al mistero esoterico,
figlio di Leto, Peana di Delo,
siate propizi e restate con me.
***
8d) Costantino Kavafis: Itaca
a cura di Occhi di If
Oltre che Inni agli Dei, esistono Inni ai luoghi, in genere evocativi del Genius Loci. Invece, nella seguente
poesia del poeta greco Costantino Kavafis (Alessandria d'Egitto 1863-1933), Itaca la meta inizialmente
necessaria per giustificare il viaggio, che poi si rivela essere, in s stesso, il vero scopo.
Analogicamente, nella realizzazione iniziatica, la meta in realt la pratica di ogni istante. Dunque
questo componimento pu considerarsi un consiglio sulla pratica della cosiddetta "Via-Meta". Se lInno
ha in genere la veste di una chiamata o di una domanda, qui si ha invece la forma complementare
della risposta, dell'insegnamento.
ITACA
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sar questo il genere d'incontri
se il pensiero resta alto e il sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
n nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga
che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche aromi
penetranti d'ogni sorta, pi aromi
inebrianti che puoi,
va in molte citt egizie
impara una quantit di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca
- raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avr deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Gi tu avrai capito ci che Itaca vuole significare.
***
8e) Platone: Inno a Pan
a cura di Ekatlos
Come abbiamo visto nella poesia di C. Kavafis "Itaca", la ricchezza terrena, per ovvia trasposizione, pu
esser presa a simbolo di quella spirituale. Kavafis non certo il primo ad usarla in tal senso. Un esempio
celebre ed esplicito contenuto nel breve "Inno a Pan", che conclude il Fedro di Platone:
"O caro Pan e voi altri Dei che siete in questo luogo,
concedetemi di diventare bello di dentro,
e che tutte le cose che ho di fuori siano in accordo
con quelle che ho dentro.
Che io possa considerare ricco il sapiente
e che io possa avere una quantit di oro
quale nessun altro potrebbe n prendersi n portar via,
se non il temperante".
L'Oro=Sapienza deve essere dunque ottenuto tramite la temperanza, quell'atteggiamento equilibrato
verso se stessi e il mondo, su cui spesso si insiste in Introduzione alla Magia e alla coltivazione del quale
in specifico dedicato ad es. il saggio "Liberazione delle Facolt" (III vol.).
***
8f) INDIGITAMENTA
Venvs Genitrix: Scrive Renato del Ponte nel saggio "Aspetti del lessico pontificale: gli indigitamenta"
(1):
"Paolo Diacono, nel suo commento a Festo, pu asserire che gli indigitamenta "sono formule
incantatorie" (incantamenta) e dei "segni" (indicia)".
Comprendo che l'argomento riservato e che perci Del Ponte, in quel saggio, si limiti ad accennare
solo a qualche aspetto delle formule incantatorie, ma possibile sapere, sia pure molto genericamente,
di che segni si trattava?
(1) Diritto e Storia, Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, N 1 - Maggio
2002
Ekatlos: Analogo concetto degli indigitamenta espresso da Gesner, Johann Matthias nel "Novus
Linguae Et Eruditionis Romanae Thesaurus" - Leipzig, 1749: "INDIGITAMENTA, orum. n. Festus, vel
Paullus potius, Festi interfector interpretatur incantamenta, vel indicia. etc".
Per gli storici digiuni di esoterismo, gli "indigitamenta" - concepiti nella loro interezza - sono un rebus
praticamente insolubile. Per gli esoteristi, come giustamente osservi, vi sono problemi di riservatezza.
Tuttavia qualche indicazione pu essere data. Ci che porta facilmente fuori strada gli studiosi,
probabilmente un errato percorso etimologico. Essi di solito traducono l'espressione "Di Indigtes" con
"Dei Indigeni", per l'apparente somiglianza linguistica tra "indiges" e "indigenus". Cos facendo, non
possono far altro che concludere che gli indigitamenta fossero, almeno in origine, semplicemente le
invocazioni agli dei locali.
Invece, il percorso etimologico deve partire proprio dal termine indigitamenta, che deriva dal sostantivo
"digitus", cio "dito". Ancor oggi, intendiamo col termine "digitare" il premere i tasti con le dita. Perci, il
verbo latino "indigeto", o "indigito" non significa semplicemente "invoco", ma "invoco, mentre compio un
gesto o una pressione con le dita". Per farsene una idea, si pensi alle "mudra", che accompagnano la
recitazione dei nomi divini in sanscrito. Pertanto, "Di Indigtes" non significa - almeno come significato
primario - "Dei Indigeni", ma indica invece "quegli dei che sono invocabili tramite gli indigitamenta". Essi
si distinguono dai Novnsides, nuove divinit, in genere straniere, per le quali non si conoscevano
specifici indigitamenta. Per essere invocate, era necessario prima identificarle con qualcuno dei "Di
Indigtes", in modo da poter utilizzare il medesimo segno delle mani, mentre diversa era ovviamente la
formula verbale.
Sipex: Attivit di identificazione, che costituisce un aspetto caratteristico e distintivo degli autentici
Pontifices e la base teorico-pratica del Pantheon.

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