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IL DE ANIMA DI ARISTOTELE Se di Platone ci sono pervenuti pressoch tutti gli scritti, ci non vale per Aristotele, di cui possediamo

solamente quegli scritti la cui destinazione era il pubblico interno alla sua scuola. Si tratta di scritti stringati e concisi, probabilmente di appunti che Aristotele sviluppava poi a lezione; pi difficile, invece, che si tratti di appunti presi dai suoi studenti durante le lezioni da lui tenute. Lo scritto "Sullanima" ("De anima" in latino, " " in greco) rientra fra queste opere a noi giunte: esso si articola in tre libri, dei quali il primo pone lattenzione su quali siano i problemi da risolvere nellindagine sullanima. Il primo problema in cui ci si imbatte la definizione dellanima: che cos? Aristotele, per poter rispondere adeguatamente a tale domanda, ritiene indispensabile effettuare una ricognizione preliminare su quanto han detto sullargomento i suoi predecessori e sottoporre le loro tesi ad analisi critica (incontriamo un procedimento simile anche nella "Metafisica"). Nel secondo libro, dopo aver ripercorso le definizioni precedenti e i loro difetti, lo Stagirita arriva a formulare la propria definizione di "anima" e a tratteggiarne le funzioni: proprio alle funzioni dellanima sono dedicati il libro secondo (in particolare alla percezione sensibile) e il libro terzo (con particolare attenzione allattivit intellettiva dellanima). Nel primo capitolo del primo libro, Aristotele afferma che quella che si accinge ad intraprendere una , ossia un "indagine" diretta sullanima (): si tratta - egli prosegue - di una forma di sapere che rientra fra quelle pi importanti; infatti, riteniamo comunemente che le forme di sapere pi importanti siano quelle che si distinguono o perch hanno maggior rigore o perch si occupano degli oggetti migliori e pi stupefacenti. Su cosa sia il "sapere rigoroso", Aristotele si era gi soffermato negli "Analitici secondi", in cui era giunto alla conclusione che un sapere pu dirsi rigoroso se dimostrabile con catene di ragionamenti (ossia con sillogismi): ora, nello studio dellanima, evidente che non pu esserci quel rigore che troviamo nello studio della geometria o della matematica. Tuttavia, pur mancando il rigore, lo studio dellanima nobilitato dal fatto che loggetto di tale indagine costituito da una delle cose pi stupefacenti che ci siano: lanima. Questo particolarmente rilevante perch nelle prime pagine della "Metafisica" Aristotele indicava nella meraviglia ( ) il motore della ricerca, giacch si desidera conoscere una cosa perch essa desta in noi stupore (i corpi celesti o lincommensurabilit della diagonale del quadrato): una volta scoperta la causa di queste cose che producono in noi meraviglia, non ci si stupisce pi. Questo discorso, naturalmente, vale anche per lanima: perch ci sono entit animate e altre non animate? Perch non esiste solo linanimato o solo lanimato, ma come se convivessero due mondi antitetici? Secondo Aristotele, capire lanima aiuta anche a capire gli animali (per i quali lo Stagirita particolarmente interessato, come dimostrano i numerosi suoi scritti in materia): in senso lato, dunque, lindagine sullanima rientra nellindagine sulla natura. " Ci prefiggiamo di considerare e conoscere la sua [dellanima] natura ( ) e essenza ( ) e, poi, tutte le caratteristiche che le competono ": tali caratteristiche sono, in particolare, le affezioni e le propriet in virt delle quali lanima quella che . Prima di chiedersi quale sia il suo compito, bene domandarsi che cosa sia lanima e scoprirlo una delle cose pi difficili: bisogna anche chiarire quale procedura si debba impiegare nellinvestigazione, chiarendo, soprattutto, se si tratti di un metodo comune ad altre indagini o specifico dellanima. Ammettiamo che sia un metodo comune, dimostrativo, che inferisce conclusioni a partire da premesse, o, magari, che proceda per divisione, come immaginava Platone nel "Sofista", quando si domandava che cosa fosse la pesca con la lenza: si tratta di inserire la pesca con la lenza in un genere pi ampio, l "arte" (); ma larte si suddivide in "arte di acquisizione" e "arte di produzione" e, ovviamente, la pesca si colloca nellambito dellarte di acquisizione. Operando successive divisioni si giunger alla definizione di pesca con la lenza: ma come si pu applicare questo metodo (o anche quello dimostrativo) allanima? E assolutamente impossibile, poich tutti e due i metodi partono da princpi che non sono gli stessi per tutte le discipline (diversi, infatti, sono i princpi da cui partire per studiare lanima, la fisica e la matematica). Aristotele nota, piuttosto acutamente, come di fronte al problema dellanima si apra un ventaglio di soluzioni tutte accettabili: ci troviamo dunque di fronte a delle , ossia a dei vicoli ciechi senza possibilit di uscita. La prima "aporia" in cui ci si imbatte riguarda la stessa definizione dellanima: in quale genere si trovi e che cosa sia, se sia sostanza o qualit o quantit o altra categoria (secondo quanto Aristotele aveva insegnato nelle "Categorie"). Lanima potrebbe essere una "sostanza prima", ossia un , un "questa cosa qui" in carne e ossa; ma potrebbe anche essere una "sostanza seconda" (ossia una specie), del tipo "uomo" o "cavallo"; ma, infine, nulla vieta di pensare che essa sia solo un predicato, come ad esempio lo il colore "rosso", che esiste nella misura in cui esiste una sostanza prima (non ci sarebbe infatti il rosso se non ci fossero cose rosse). Ma c anche unaltra aporia: ammesso che lanima sia un ente, occorre chiedersi che tipo di ente sia e per rispondere Aristotele si avvale di una distinzione da lui operata in altri scritti: quella tra potenza () e atto (), secondo la quale il marmo una statua in potenza (nel senso che pu diventare statua) e la statua atto, cio realizzazione compiuta del marmo. Ora, lanima, intesa come ente, potenza o atto? Ci si imbatte per in una nuova aporia: ammettendo che lanima sia unentit, essa fatta di parti o priva di parti? E, nel caso in cui sia costituita da parti, che rapporto sussiste tra il tutto e le singole parti? Sar un rapporto come quello tra le parti della pietra (per cui se spacco la pietra in parti ho altre pietre) o sar invece un rapporto come quello tra luomo e le sue parti (per cui se tolgo alluomo una parte del suo corpo non ho un altro uomo)? Secondo Platone (stando a ci che egli asseriva nel "Fedro" e nella "Repubblica"), lanima tripartita (parte razionale, parte impetuosa e parte desiderativa); secondo gli Stoici, essa sar assolutamente unitaria. Ma c anche unaltra aporia non da poco: esiste un solo tipo di anima o ne esistono pi duno? Aristotele si pone questo interrogativo perch ha di fronte a s una sfilza di indagini sullanima (condotte dai suoi predecessori) che mettevano laccento su come solo luomo, propriamente, fosse dotato di anima. Lo Stagirita, sotto questo profilo, capovolge questidea comune e sostiene che anche gli animali e le piante hanno lanima: bisogna tuttavia chiedersi di che tipo di anima si tratti. Posto che vi siano molte specie di anima, possibile dare ununica definizione che valga per tutte o bisogner dare una definizione diversa per ogni singolo tipo di anima, cos come per ogni tipo di essere (uomo, cavallo, casa, ecc)? Aristotele cercher, in qualche modo e non senza difficolt, di formulare una definizione universalmente valida. Ammesso invece che lanima sia una sola ma costituita da pi parti (come credeva Platone), dobbiamo prima esaminare le parti o lanima nel suo insieme? E prima le parti o le funzioni di esse? Vale a dire: bisogna prima proiettare lindagine sullintelletto o sullintellezione? Prima i colori o prima la percezione dei colori? E come se vi fosse un rapporto ermeneutico fra il tutto e le parti: da un lato, infatti, se ho colto loggetto su cui sto investigando (ossia lanima), sar pi facile cogliere le cause delle cose che le accadono (le passioni, ecc); ma, dallaltro, se colgo la causa delle cose che le succedono, sar allora possibile risalire alla comprensione dellanima. E le cose che accadono nellanima sono proprie solo di essa o anche di quella particolare cosa che possiede lanima, ossia il corpo? Anima e corpo sono separati e indipendenti (come credevano Platone e i Pitagorici) o sono strettamente connessi per cui se cessa di esistere uno, cessa di esistere anche laltro? In che senso il corpo possiede lanima? Aristotele nota, a tal proposito, come la maggior parte delle affezioni dellanima non potrebbero avvenire senza il corpo: ad esempio, secondo gli insegnamenti della medicina dellepoca, la collera altro non se non lebollizione del sangue, il che non potrebbe accadere se non avessimo il corpo. Aristotele pare pi perplesso per quel che riguarda il pensiero, che assomiglia molto ad unaffezione dellanima: in prima analisi, si potrebbe essere portati a dire che il pensiero indipendente dal corpo; eppure anche il pensiero, in qualche modo, deve per forza passare dal corpo e, per spiegare ci, Aristotele ricorre alla nozione di "immaginazione" (), intesa come laccogliere ci che appare ai sensi. Che il pensiero passi dal corpo appare evidente se pensiamo a quando, dopo aver visto un oggetto sensibile (una casa, un cavallo, ecc), lo ripensiamo senza averlo davanti. Ci sono, dunque, passioni () che riguardano lanima e non il corpo? E su cosa si esercita lattivit del pensiero? Gli oggetti del pensiero vengono da Aristotele definiti "intelligibili" e altro non sono se non le nozioni universali (uomo, bello, giusto, ecc): ma il punto di partenza per ogni conoscenza la sfera sensibile, che ci mette in contatto con entit sensibili individuali collocate nel tempo e nello spazio; infatti, non posso mai vedere luomo, ma sempre e solo singoli uomini (Gorgia, Platone, Socrate, ecc) e arrivo alla nozione universale di uomo operando unastrazione. Tra pensiero e percezione, tuttavia, - nota Aristotele - esiste una zona di mezzo, che sta a met strada fra le due: si tratta della fantasia ("immaginazione"), strettamente connessa con la memoria: vedo Socrate in carne ed ossa, poi se se ne va, ma, ciononostante, io conservo la sua immagine nella mia mente grazie alla memoria. E quindi il pensiero rivolge la sua attenzione a queste immagini sedimentate nella memoria: ma se esso, per agire, non pu non operare sulle immagini presenti nella memoria, ci significa che il pensiero non pu essere esercitato a prescindere dal corpo. Aristotele, in tale prospettiva, sembra escludere la possibilit che lanima possa sopravvivere dopo la morte del corpo (staccandosi in tal modo dalla tradizione platonica), poich le due entit sono talmente dipendenti luna dallaltra che, morta una, non pu che morire anche laltra. Infatti, se tutte le affezioni dellanima sono in qualche modo connesse al corpo, allora lanima non distinta dal corpo: e, come dir Aristotele pi avanti, lanima sar un attualizzazione () di certe funzioni, cosicch la

posizione aristotelica potr essere etichettata come "funzionalismo" (giacch concepisce lanima come una serie di funzioni connesse al corpo). E curioso notare come lo Stagirita ritenga che il cervello non sia il punto centrale della nostra riflessione, ma, in fin dei conti, un semplice organo di raffreddamento, meno importante rispetto al cuore (sede dei sentimenti). " Se allora tra le attivit o affezioni dellanima ce n qualcuna che le sia propria, lanima potrebbe avere esistenza autonoma; ma se non ce n nessuna che le sia propria, non sar separabile ": se si trovasse una qualche attivit dellanima assolutamente indipendente dal corpo, allora sarebbe possibile ammettere la separabilit dellanima dal corpo, ma, poich Aristotele non ne rinviene alcuna ( "sembra che anche le affezioni dellanima abbiano tutte un legame con il corpo "), allora costretto a riconoscere linseparabilit dei due. E, di conseguenza, con il perire del corpo cessa di esistere anche lanima. Che tra anima e corpo intercorra un rapporto strettissimo appare anche evidente dal fatto che non appena si verificano affezioni dellanima il corpo subisce modifiche: a seconda che io provi gioia o dolore, infatti, il corpo si modifica in un modo o in un altro. Questa considerazione implica una conseguenza di notevole importanza: in quanto connesse al corpo, le affezioni dellanima possono essere indagate dallo studioso della natura ( ), il quale si occuper, in particolare, materialmente delle produzioni corporee delle affezioni ( lamore, la paura, ecc); tuttavia, non basta conoscere la produzione, bens bisogna comprendere le cause, ossia occorre anche sapere che cosa siano lamore o la paura, e ci compete, propriamente, al filosofo. E anche per capire che cosa sia una determinata cosa (supponiamo una casa), possiamo condurre o unindagine fisica (incentrata sulla causa materiale: la casa un insieme di certi materiali) o unindagine dialettica (incentrata sulla causa finale: la casa fatta per ripararsi dalle intemperie). Aristotele chiama la procedura che intende seguire (il porre problemi) e, in primo luogo, compie unesplorazione delle posizioni assunte in materia di anima dai suoi predecessori, per vedere se essi sono stati in grado di risolvere qualche problema: dopo aver introdotto largomento di cui si occuper nello scritto, il resto del libro I dedicato alla discussione di queste posizioni; in particolare, Aristotele si propone di prendere in considerazione le , le "opinioni". E nello scritto "Topici" aveva sostenuto che le discussioni filosofiche devo partire s da opinioni, ma non da opinioni qualunque: bens da quelle su cui tutti gli uomini o la maggior parte di essi si trovano daccordo oppure da quelle espresse dalle persone pi competenti in quellambito (tali opinioni sono dette , ossia "illustri"). Pertanto, parlando dellanima, non essendoci alcun punto su cui concordano tutti gli uomini, Aristotele fa riferimento alle "illustri" opinioni sostenute dai filosofi della natura a lui precedenti (poich, come abbiamo detto, lanima in qualche modo connessa alla natura): e tali opinioni possono essere suddivise in due gruppi. Infatti, al di l delle specificit delle argomentazioni dei singoli pensatori, tutti, bene o male, hanno finito per intendere lanima come causa del movimento oppure come causa della percezione (oppure, pi raramente, come causa di entrambe le attivit). Nel II libro del "De anima", Aristotele afferma in merito: " pare che lessere animato si distingua dallinanimato soprattutto per due propriet: movimento e percezione ". Partendo dallanalisi del primo gruppo, facile capire il percorso attraverso il quale si arrivati a tale posizione: infatti, la prima grande differenza che distingue gli esseri animati da quelli inanimati che solo i primi si muovono da s, con linevitabile conseguenza che lanima devessere quel qualcosa che conferisce il movimento. La strada percorsa dai pensatori del secondo gruppo diversa: a loro avviso, la grande differenza tra esseri animati ed esseri inanimati risiede nel fatto che solo i primi sono dotati di percezioni. Aristotele non si trova daccordo con linferenza tratta da chi sostiene che il movimento sia ci che distingue lanimato dallinanimato: ad avviso di costoro, infatti, dalla constatazione che ci che si muove da s dotato di anima, deriva necessariamente che lanima stessa sia in movimento incessante, partendo dalla premessa che una cosa pu muoverne unaltra solamente se essa stessa gi in movimento. Ma Aristotele smaschera queste posizioni servendosi della causa finale e mettendo in luce come vi siano casi in cui ci che muove non mosso: in particolare, nel XII libro della "Metafisica", per spiegare limmobilit del "motore immobile", ricorreva ad un esempio particolarmente soddisfacente: un oggetto che amiamo ci fa muovere verso di lui senza che esso debba per forza muoversi. Il primo dei predecessori su cui Aristotele si sofferma Democrito, ad avviso del quale " lanima una specie di fuoco e di calore ": il pensatore di Abdera era probabilmente giunto a questa conclusione partendo dalla constatazione che un corpo morto (e quindi privo di anima) inevitabilmente freddo. Al contrario, unentit viva calda, sicch devessere lanima a fornire tale calore. Secondo Democrito lanima, come ogni altra cosa, costituita da atomi; gli atomi di cui essa composta, per, sono sferici e quindi pi mobili e veloci; e, potendosi muovere rapidamente, producono calore: ecco perch lanima calore e gli atomi che la compongono assomigliano, in qualche misura, al pulviscolo sospeso in aria che noi scorgiamo quando penetrano dalle finestre i raggi del sole. In tale prospettiva, ad avviso di Democrito, la respirazione ci che contraddistingue gli esseri animati da quelli inanimati: espirare significa buttar fuori atomi di anima, e se non ci fosse linspirazione, attraverso la quale vengono introdotti atomi di anima, il nostro corpo si disgregherebbe in brevissimo tempo (perch verrebbero espulsi tutti gli atomi dellanima). Secondo Aristotele, anche linterpretazione dellanima data dai Pitagorici , grosso modo, su questa linea. Anassagora, invece, ha identificato lanima con lIntelletto cosmico, che mette in movimento ogni cosa. Dal canto suo, Platone rientra nel novero di quei pensatori che hanno inteso lanima come unentit che si muove da s: soprattutto nel "Fedro", egli dimostrava limmortalit dellanima a partire dal suo movimento, mettendo in evidenza come un qualcosa che per sua natura partecipa del movimento non pu in alcun modo partecipare della morte (intesa come negazione del movimento stesso). Senocrate, discepolo di Platone, aveva invece enigmaticamente asserito che lanima fosse un numero che muove se stesso. Dopo essersi soffermato sullattribuzione, effettuata dai pensatori a lui precedenti, del movimento allanima, Aristotele si sofferma dunque sullanima intesa come capacit di percepire. In questo secondo gruppo di posizioni rientrano tutti coloro che hanno letto nella percezione la caratteristica peculiare dellanima e tra questi pensatori spicca la figura di Empedocle da Agrigento, il quale (anche se nei suoi frammenti che possediamo non compare mai la parola ) individua un parallelismo tra macrocosmo e microcosmo in virt del quale lanima umana costituita da quattro elementi ("radici") e percepisce la realt esterna perch anche questultima composta dai medesimi quattro princpi. Nella sua trattazione, Aristotele riporta integralmente un passo dal poema di Empedocle: " con la terra conosciamo la terra, con lacqua lacqua, col fuoco il fuoco distruttore, con letere letere divino, con lamore lamore divino, con la discordia la malvagia discordia "; il simile che conosce il simile. Accanto ad Empedocle, Aristotele pone Platone e le sue teorie presenti nel "Timeo", in cui lanima concepita come un insieme costituito da elementi che (e qui sta la differenza precipua rispetto ad Empedocle), a loro volta, sono costituiti da poliedri. E interessante il fatto che lo Stagirita, allimprovviso, citi il suo proprio scritto ("Sulla filosofia") - andato perduto - in cui troviamo una bislacca commistione di teorie geometriche ed aritmetiche impiegate per spiegare lanima e il mondo. Ma, accanto a questi due gruppi di pensatori, ve n un terzo, composto da tutti coloro che hanno riconosciuto come caratteristiche fondamentali dellanima sia il movimento sia la percezione: il principale esponente di questa compagine Senocrate, che successe a Speusippo nella direzione dellAccademia e che defin lanima come " numero che muove se stesso "; da un lato, lanima , ai suoi occhi, in movimento, ma, dallaltro, numero. Ma tra i pensatori antichi - nota Aristotele - alcuni hanno inteso lanima come corporea (Democrito), altri invece come incorporea (Platone, Senocrate), altri hanno mescolato le due componenti; alcuni, poi, lhanno concepita come unica, altri invece come composta da molte parti. Ora Aristotele, dopo aver fatto questa carrellata di opinioni illustri, pu, al principio del II libro, esporre la propria tesi: in particolare, egli attua la tecnica della confutazione per dimostrare linconsistenza delle posizioni di coloro che hanno sostenuto che lanima in movimento. Forse - egli nota - non solo falso che lanima sia in movimento, ma addirittura impossibile; ragionando per assurdo, ammettiamo che lanima si muova: ne consegue quanto segue. In primo luogo, due sono i possibili modi in cui essa pu muoversi: o per virt propria o perch mossa da unaltra cosa. Per comprendere meglio questo punto, pensiamo ad una nave: essa si muove da s; ma il passeggero che sta seduto su di essa si muove perch la nave che si muove. Lanima, dal canto suo, muove e si muove: ma in che senso? Nel senso della nave o del passeggero su di essa? Ammettiamo che si muova da s, come la nave: ma allora dobbiamo fare unaltra distinzione, poich la ("movimento") avviene in quattro modi diversi. Infatti, spostamento da un luogo ad un altro, ma non solo; anche qualunque forma di mutamento: ad esempio, lingrassare o il dimagrire implicano uno spostamento di materia. E ci vale anche per qualsiasi assunzione o perdita di qualit; infine, il quarto ed ultimo (nonch il pi radicale) modo in cui avviene la consiste nel nascere e nel morire (movimento sostanziale). Ma allora lanima di quale di questi quattro tipi di si muove? Ed tutta lanima a muoversi di tutti questi movimenti o solamente di uno o di alcuni? Ammettiamo che, oltre a muoversi da s, essa si muova di tutti e quattro questi movimenti: occorre ammettere che il movimento implica uno spazio, poich senza di esso il movimento non pu avvenire (gli atomisti ammettevano il vuoto ma Aristotele lo rifiuta). Lanima, pertanto, dovr avere uno spazio in cui muoversi: chi sostiene limmaterialit dellanima si trova a questo punto in serie difficolt, perch assurdo dover ammettere che un qualcosa di immateriale si muova nello spazio. Inoltre, le potr accadere ci che accade a qualunque cosa in movimento: i moti violenti (o costrittivi). Esempio di moto violento quello della pietra scagliata verso lalto: essa, dopo essere salita per un tratto in virt dellimpeto impressole,

cade a terra, verso il suo luogo naturale; anche lanima, quindi, soggetta a moti violenti? E se s, di che genere di moto violento? Attribuendo allanima il movimento autonomo e, con esso, i movimenti violenti, ci si trova sotto scacco: il movimento secondo natura dellanima tende verso lalto (come quello del fuoco) o verso il basso (come quello della terra)? Ammettiamo, poi, che essa muova il corpo e che questo si muova per traslazione (spostamento da un luogo allaltro): ne consegue che anche lanima cambia luogo, ma ci contraddice coloro che propugnano limmortalit dellanima. E se essa muta luogo, lo muta nella sua totalit o solo in parte? Se si riconosce che lanima in grado di spostarsi, bisogna per forza riconoscere anche che essa possa uscire dal corpo: quindi, dopo la morte, lanima pu uscire dal nostro corpo e infilarsi in un altro. Se lanima muove se stessa, anchessa si muover e quindi dovr necessariamente sdoppiarsi (compie e subisce il movimento) e in tal modo essa uscirebbe da s, sarebbe una ("venir fuori di s"). Lo stesso modo in cui si muovono gli animali genera parecchie difficolt, nota Aristotele; come causa motrice, lanima ha la , la "scelta libera" e, in tale prospettiva, il meccanicismo democriteo, che non lascia spazio alla libert, va respinto. Anche il "Timeo" platonico , sotto questo profilo, problematico: in questopera, Platone ammette che il cosmo stesso sia dotato di unanima che, muovendosi circolarmente, metta in moto anche luniverso corporeo; lanima sarebbe composta di elementi in rapporti armonici, per cui ai rapporti del cielo corrisponderebbe il movimento dellanima. Ma ci riduttivo, in quanto induce a identificare lanima con lintelletto: secondo tale definizioni, gli animali e le piante sarebbero inanimati, alla stregua delle pietre. Platone, in realt, sosteneva lesistenza di altre anime (sensitive) che non si muovevano circolarmente: contro questa posizione, Aristotele muove una sfilza di obbiezioni che invocano la divisibilit allinfinito delle grandezze; gli stessi rapporti armonici su cui Platone costruisce il suo ragionamento restano poco chiari e alquanto problematici. Ma si deve paragonare il pensiero ad un movimento o ad uno stato di quiete? Platone connette il movimento dellanima a quello rotativo del cielo ma non spiega n la causa finale n quella efficiente di tale moto rotatorio. Tuttavia, si pu anche ammettere che lanima si muova non gi per virt sua, bens perch mossa da altro: ci sembra possibile soprattutto in riferimento alla percezione, in quanto percepiamo un oggetto nella misura in cui esso agisce su di noi. E poi c unaltra grave lacuna: tutti i pensatori anteriori rispetto ad Aristotele, hanno connesso lanima al corpo, senza per spiegare con chiarezza la causa di tale collegamento; perch, dunque, lanima collegata al corpo? Quale la condizione del corpo alla quale lanima legata? Aristotele dice che " sembra " () che ciascun corpo abbia una forma propria e ci implica che non detto che ogni corpo abbia unanima. I pensatori del passato, nota con sdegno Aristotele, dovevano allora spiegare quali corpi potessero avere lanima e quali no, senn si potrebbe essere indotti a ritenere che anche una pietra possa esserne dotata. Quale dovr essere, quindi, la struttura del corpo suscettibile di possedere unanima? Nel capitolo 4 del libro I, Aristotele prosegue con le obbiezioni, scagliandosi soprattutto contro la concezione secondo la quale lanima altro non se non unarmonia che tiene uniti gli elementi che costituiscono il corpo; si tratta di una tesi platonica, esposta nel "Fedone", ma criticata da Platone stesso, poich, come conseguenza, porta alla negazione dellimmortalit dellanima (venuto meno il corpo, infatti, cessa di esistere anche larmonia tra i suoi elementi). Se invece intendiamo lanima come una sostanza che viene ad aggiungersi al corpo, alla pari di un vestito, non si deve ammettere - notava Platone - che essa, col trascorrere del tempo, si logori fino a dissolversi? Aristotele, memore di queste riflessioni del suo maestro, dice: " sembra poi che lintelletto sopraggiunga come una sostanza e che non si corrompa. In effetti, potrebbe corrompersi specialmente per lindebolimento che consegue alla vecchiaia " (A 4, 409). Secondo quanto afferma qui Aristotele, lintelletto, una volta che sia venuto meno il corpo, non potr pi svolgere la propria attivit; certo, lintelletto come sostanza non si corrompe, ma, ciononostante, lattivit di pensiero che egli svolge possibile solo in relazione al corpo dotato dellintelletto; sicch, quando viene a mancare il corpo, lintelletto permane ma non pensa pi: esso una sostanza che non si logora, poich - come dice Aristotele - " sopraggiunto " ( per difficile capire da dove sia giunto). Le funzioni che esso svolgeva, infatti, non erano solo sue, bens condivise con il corpo: e se ammettiamo lincorruttibilit dellintelletto, allora possiamo dire che esso " forse qualcosa di pi divino e di impassibile ". Il corpo muore, lintelletto no: ma Aristotele non sta parlando dei singoli intelletti (il mio, il tuo, quello di Socrate, ecc), ma di qualcosa di pi profondo (nella comprensione del quale la critica si sbizzarrita, soprattutto quella araba). Nel libro II, dicevamo, Aristotele propone la sua concezione dellanima e la correda di potenti argomentazioni. Proprio nelle prime righe, egli asserisce: "riprendiamo ora la strada come dallinizio ", nel tentativo di determinare che cosa sia lanima e quale sia il suo concetto " pi generale ", pi comune, ossia quello che pu abbracciare sotto di s tutti i tipi di anima. Lo Stagirita afferma che, fra i tanti significati del verbo "" ve n uno primario, da cui tutti gli altri derivano, un "significato focale", come ha detto uno studioso di Aristotele: tale significato profondo sta nella sostanza (); una cosa se una sostanza. Per capire meglio ci, esaminiamo una sostanza qualunque, ad esempio una sfera di bronzo: che cosa ? Posso rispondere in svariati modi: in primo luogo, posso dire " bronzo", indicando il materiale di cui costituito loggetto (colgo cio loggetto sotto laspetto della materia, ); ma limitarsi a rispondere dicendo " bronzo" evidentemente sbagliato, poich esistono altre cose di bronzo che non sono quella sostanza. Oltre alla materia, dunque, si deve anche indicare la forma (): nel caso della sfera di bronzo, lessere sferico. La sostanza, secondo Aristotele, sempre un , un "questa cosa qui", ossia la cosa materialmente presente sotto i miei occhi. Nel II libro, dunque, Aristotele prova a dare una definizione generale di anima e ad analizzarla criticamente: anima sar, a suo avviso, lavere la funzione del riprodursi e la possibilit di avere percezioni sensibili. Si tratta, per, di definire in concreto cosa sia lanima e, per farlo, lo Stagirita introduce la nozione di ("sostanza"), ossia quel qualcosa che fa s che un ente sia ci che propriamente. Tale concetto pu essere, tuttavia, inteso secondo svariate modalit: ad esempio, posso dire che "sostanza" del tavolo essere materia (legno), oppure essere forma rettangolare, o, ancora, essere una materia connessa ad una forma, ossia un insieme () delle due cose. Da questa concezione emerge un universo popolato da un enorme numero di sostanze individuali. Ora, Aristotele traccia unidentit tra la materia e la potenza (), poich nota come dalla materia (ad esempio, un pezzo di marmo) possa () derivare una molteplicit di cose (il tavolo, la statua, il tempio, ecc); e a far s che il pezzo di marmo diventi un preciso oggetto (ad esempio, una statua) la forma, la quale corrisponde quindi allatto, ossia alla realizzazione. E con questattrezzatura concettuale Aristotele pu dare una spiegazione (e di fatto lo fa) dellintera realt: egli paragona il rapporto tra potenza e atto al rapporto tra il possedere una scienza e farne effettivamente uso. Se, ad esempio, ho appreso la grammatica, posso dire di possederla allo stato potenziale: solo quando la applico concretamente essa viene messa in atto operativamente. Ora, per tratteggiare una definizione dellanima, riprende questi precetti e, in particolare, quello di sostanza: comunemente si intendono come sostanze i corpi, cio quelle realt che sussistono effettivamente; tra essi, poi, constatiamo che alcuni hanno la vita, altri no. E, nota Aristotele, in prima analisi ci che ci induce a dire che alcuni corpi sono animati e altri no il fatto che solo quelli animati crescono, si nutrono, deperiscono, si riproducono, ecc. Ed a questo punto che diventa lecito chiedersi che cosa sia a conferire a tali corpi la vita: saranno vivi perch possiedono la materia? O perch hanno la forma? Aristotele risponde che essi sono vivi perch dotati di entrambe le cose, sia della forma, sia della materia, dove la materia costituita dal corpo, la forma dallanima. Questultima, infatti, quel qualcosa che fa s che la materia si animi, abbia vita e sia un corpo vivente: " di conseguenza ogni corpo naturalmente dotato di vita sar sostanza e lo sar precisamente nel senso di sostanza composta [di materia e forma] ". Ma, poich si tratta di un corpo di una determinata specie, e precisamente di un corpo che ha la vita, allora ne conseguir che lanima non il corpo, giacch altrimenti anche le pietre - dotate di corpo - dovrebbero avere unanima. Allora il corpo un sostrato (, "che giace sotto"), un soggetto (dal latino "sub-iactum"), ossia la materia che "sta sotto", che soggiace alla forma e, in quanto tale, indeterminata. Il corpo, quindi, accoglie lanima, cio la forma: " necessariamente dunque lanima sostanza, nel senso che forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza. Ora, tale sostanza atto, e pertanto lanima atto del corpo che s detto ". Lanima, pertanto, sostanza nel senso di "forma" di un corpo dotato potenzialmente (e non attualmente) della vita: ma di poter accogliere la forma "anima" non sono in grado tutti i corpi (ad esempio, non lo una pietra), ma solo i corpi di un certo tipo, quelli cio che hanno la potenzialit di ricevere la forma "anima" che porta allattualizzazione della vita. In particolare, deve essere un corpo tale da possedere organi: ed grazie allanima che la vita, da in potenza, passa in atto, anche se questa distinzione potenza/atto semplicemente concettuale, non cronologica. Ma in che senso lanima atto? Nello stesso senso in cui noi facciamo grammatica in atto? Aristotele si rende conto che ci non possibile e che assolutamente assurdo dire che, durante il sonno, luomo non ha lanima, assurdo come dire che quando non si pratica la geometria non la si possiede. Al contrario, noi abbiamo lanima sempre, anche se quando dormiamo essa non attiva nelle sue funzioni, c ma non in atto: " atto poi si dice in due sensi: o come la conoscenza [= possesso della conoscenza] o anche come esercizio di essa; ed chiaro che lanima atto nel senso in cui lo la conoscenza []. Perci lanima latto primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza. Ma tale corpo quello che dotato di organi ". E la parola presente nel testo (che poi la stessa con la quale verranno denominati

gli scritti aristotelici di logica) significa, letteralmente, "strumento", sicch un corpo dotato di parti, ciascuna delle quali "strumento" dotato di una sua funzione, una sua operazione psichica, cio propria dellanima. Ecco che comincia a farsi pi chiara la connessione tra anima e corpo: e, in questottica, Aristotele trae una prima importante conseguenza, enunciando che, in quanto dotate di vita, anche le piante hanno unanima e ci provato dal fatto che esse abbiano organi (le radici, ad esempio), ossia "parti" che consentono loro di crescere, di assumere nutrimento e di riprodursi: " organi sono anche le parti delle piante, ma incredibilmente semplici " (412 b). Il nutrirsi, il crescere e il riprodursi sono funzioni semplicissime, che vengono svolte - seppur in modi diversi - anche da altri esseri animati, quali gli animali e luomo: oltre alle piante, infatti, anche agli uomini e agli animali compete, evidentemente, la funzione nutritiva dellanima; solo che non lunica presente in essi - e qui sta la differenza rispetto alle piante. Infatti, nellanimale troviamo anche la funzione sensitiva, e nelluomo - oltre a quella nutritiva e a quella sensitiva - quella razionale. In tale prospettiva, quindi, il problema dellunit anima-corpo non si pone neanche, poich la vita si ha sempre e solo come insieme delle due cose, che non possono mai stare tra loro separate, alla pari della cera e della figura. " E quindi manifesto che lanima (ed alcune sue parti, se per sua natura divisibile in parti) non separabile dal corpo, giacch lattivit di alcune sue parti latto delle corrispondenti parti del corpo ": in altri termini, secondo Aristotele, gli occhi possono vedere, le orecchie udire solo se c lanima, e cos via; ci significa che locchio, lorecchio, ecc., non pu vedere o sentire in potenza, e perch veda o senta in atto occorre che ci sia lanima. " Ciononostante nulla impedisce che almeno alcune parti siano separabili, in quanto non sono atto di nessun corpo "; la definizione di anima come corpo che pu avere la vita in potenza una definizione generale, valida universalmente per tutti i corpi viventi. E ora Aristotele scende nei particolari, domandandosi quale sia lanima delle piante, quale quella degli animali e, infine, quale quella delluomo. Quindi, dopo la qualificazione generale della nozione di anima, giunto il momento di indagare su che cosa caratterizzi le singole classi di viventi (piante, animali, uomo). Aristotele, tuttavia, si sofferma ancora (nel II e nel III paragrafo) sulla nozione di anima, precisando come una buona definizione non si limiti a mostrare che cosa sia una determinata cosa, bens esibisca anche la causa, ovvero il perch quella cosa tale: " gli enunciati delle definizioni sono simili alle conclusioni " (413). Per lo Stagirita, un buon ragionamento deve partire da premesse vere per approdare a conclusioni altrettanto vere: un ragionamento di questo tipo rende conto della causa. Se infatti dico che "tutti gli uomini sono mortali", posso motivarlo adducendo come causa il fatto che "tutti gli uomini sono animali" e che "tutti gli animali sono mortali". Quindi, come si evince facilmente dallesempio che abbiamo appena fatto, una buona definizione corrisponde alla conclusione di un sillogismo, giacch solo in tal modo che si pu render conto delle cause. Fatte queste considerazioni, Aristotele riprende la ricerca da lui lasciata in sospeso, ritornando su punti gi assodati e arricchendoli: riprendendo, in particolare, la distinzione tra essere animato ed essere inanimato (distinzione racchiusa nel fatto che luno vive, laltro no), nota acutamente come lespressione "vita" sia carica di svariati significati. Allora Aristotele spiega come sia lecito dire che un essere vive se ad esso appartiene anche una sola di queste caratteristiche: lintelletto, la sensazione, il movimento e la quiete del luogo, e inoltre il mutamento nel senso della nutrizione e della crescita. Ne consegue, naturalmente, che ad essere viva non solo lentit pensante, ossia luomo: anche le piante vivono, poich crescono in pi direzioni, anzi " in tutte le direzioni " e ci vale finch riescono ad assorbire nutrimento. La funzione nutritiva, pertanto, costituisce gi essa stessa una prima forma di anima e Aristotele nota come vi siano parecchi corpi che vivono in virt di questunica funzione: " questa facolt pu esistere indipendentemente dalle altre, mentre impossibile negli esseri mortali, che le altre esistano indipendentemente da essa ". Affiora efficacemente come il vivente si strutturi come una lunga scala di esseri animati (la "scala naturae"), tant che vi sono animali che si trovano ai confini del regno vegetale: pensiamo a certi animaletti dotati di conchiglia, che non si muovono, abbarbicati agli scogli. Ma ci che, in ogni caso, contraddistingue lanimale dalla pianta la sensazione, garantita dal possesso di organi di percezione: non c animale che ne sia sprovvisto, perfino il pi semplice che si possa immaginare; tutti, anche quelli pi prossimi alle piante, hanno almeno un organo di percezione: il tatto. E in una pagina magnifica del "De partibus animalium", Aristotele dice che non vi nessuna cosa che sia indegna di essere conosciuta, perfino un verme. "Lanima il principio delle facolt che abbiamo detto" ed da esse determinata (anima nutritiva perch si nutre, sensitiva perch ha sensazioni, intellettiva perch formula pensieri). A questo punto, il filosofo greco si domanda se lanima sia suddivisa in parti e se esse - ammettendo che esistano - siano da essa separabili e, nel caso lo siano, se lo sono solo concettualmente o anche materialmente. E lanalisi che Aristotele conduce tiene conto delle distinzioni acquisite tra piante, animali e uomini: una prima cosa da constatare un atteggiamento peculiare delle piante, in virt del quale possibile staccare da esse dei pezzi ed essi continueranno a vivere indipendentemente dalla pianta (pensiamo agli "innesti"). Perfino i vermi possono essere tagliati in parti e ciascuna di esse continuer a vivere per conto suo. Ci sembra avvalorare lipotesi della costituzione in parti dellanima e della separabilit delle medesime: lanima di questi vermi o di tali piante , pertanto, una in atto, ma molteplice in potenza. Se lanima ha sensazioni, poi, si pu pensare che abbia la , la capacit di conservare le immagini acquisite con i sensi. Lanimale, nota Aristotele, si muove verso qualcosa, in primo luogo verso il cibo: anche nelluomo troviamo una , un "appetizione", ma in tal caso lintelletto ad essere il motore. Dove ci sono il piacere e il dolore c anche il desiderio, inteso come ricerca di ci che procura piacere e di ci che scaccia il dolore: a un tale desiderio, dunque, si associa la , che si esprime mediante il movimento. Preso atto dellinseparabilit dellanima dal corpo, pare che solamente lintelletto possa essere da esso disgiunto: lintelletto, infatti, eterno, c da sempre, alla pari della specie "cavallo", "uomo", "cane", ecc. Ma sorge spontanea la domanda: allora tale intelletto unico o ce ne sono tanti, uno per ciascuno di noi? Essendo esso una forma e per di pi unica, ne consegue che lintelletto unico per tutti gli uomini (tesi sulla quale insisteranno soprattutto - in et medioevale - gli interpreti arabi di Aristotele). Ne risulta che le singole parti che formano lanima (nutritiva, sensitiva, razionale) sono separabili solo a livello concettuale (ossia per funzioni), ma non a livello concreto: e a conclusione del paragrafo II, lo Stagirita tenta di dare una definizione di anima che tenga in considerazione la causalit: lanima ci in virt di cui viviamo e percepiamo, dove la causa sta appunto nel "ci in virt di cui". Tale espressione, per, bivalente, poich non spiega cosa sia ci mediante cui conosciamo. Cos, dunque, quel qualcosa che ci fa conoscere? Conosciamo perch possediamo le conoscenze, ma anche perch abbiamo lanima: cos come siamo sani perch abbiamo la salute, ma anche grazie ad una determinata parte del corpo. In tale prospettiva, la conoscenza e la salute vanno intese come atto del soggetto ricettivo () che accoglie la conoscenza (funzione dellanima razionale) e la salute (funzione del corpo). Dunque, la conoscenza e la salute sono le forme connesse allanima e al corpo. Ci mediante cui viviamo e percepiamo lanima, intesa come causa di determinate operazioni connesse ad un dato corpo. " Perci corretta lopinione di quelli che sostengono che lanima non un corpo, ma non esista senza il corpo ": lanima, senzaltro, non un corpo; essa , piuttosto, una propriet, un "qualcosa" () del corpo; naturalmente, non ogni corpo pu accogliere una determinata funzione, come invece avveniva secondo i colleghi di Aristotele a lui precedenti. Si deve trattare, viceversa, di un corpo adatto, dotato degli organi appropriati. Focalizzando lindagine sulluomo, ad esso competono tutte e tre le funzioni dellanima: egli, infatti, si nutre e cresce (funzione nutritiva), ha sensazioni (funzione sensitiva) e, in pi, dotato del pensiero (funzione intellettiva), che pu essere quindi individuato come caratteristica tipicamente umana, che contraddistingue luomo da ogni altro ente (tant che la definizione pi appropriata di uomo quella di "animale razionale"). Grazie alla funzione sensitiva, luomo prova il piacere e il dolore e, di conseguenza, anche il desiderio ( ), ossia l verso ci che d piacere. La volont, invece, non intendibile come , ma come , in quanto tendenza non solo verso il piacere, ma anche - talvolta - verso il dolore: ad esempio, posso volermi sottoporre ad un doloroso inrervento chirurgico. Nel paragrafo IV, Aristotele concentra la propria attenzione sulla facolt nutritiva dellanima, provando a darne una definizione e indagando su tutto ci che legato ad essa. Prima di poter dire che cosa sia tale facolt, occorre descriverne lattivit connessa: infatti, solamente se so cos il nutrimento potr capire che cos la funzione nutritiva, giacch " le attivit e le funzioni dal punto di vista logico sono anteriori alle facolt ". Ci perch la nutrizione in atto, la facolt di nutrirsi in potenza: non un caso che, in greco, designi tanto la "potenza" quanto la "facolt". Ma vi unaltra priorit: rispetto allattivit stessa, ci devono gi essere prioritariamente gli oggetti con cui la facolt in questione ha a che fare; cosicch vero che il nutrirsi sta prima della facolt di nutrirsi, ma ci non toglie che il nutrirsi venga dopo al fatto che esistano oggetti di cui nutrirsi (il cibo). Similmente, perch io veda occorre che vi siano oggetti da vedere; perch io senta, oggetti da sentire. Detto questo, bene puntualizzare come anche le piante si riproducono (oltre a nutrirsi), ossia generano esseri viventi a loro simili (" uomo genera uomo ", ama ripetere Aristotele). Da questa concezione, facile capire come limmortalit, negata ai singoli, sia invece garantita alle specie: e ci grazie alla ri-produzione, ossia alla possibilit che ogni esemplare ha di produrre un altro s (ri-produzione), rendendo possibile leternit della sua specie. La riproduzione, pertanto, la funzione pi naturale degli esseri viventi, i quali la attuano per realizzare un "fine" dal duplice valore: assicurare la continuit della specie e partecipare alleterno. " Poich questi esseri non possono partecipare con

continuit delleterno e del divino, in quanto nessun essere corruttibile in grado di sopravvivere identico e unico di numero ": tematica, questa, che riaffiora nel X libro dell "Etica nicomachea"; la natura sa che ciascuno vorrebbe protrarsi in eterno e allora concede, come unica possibilit affinch ci avvenga, la riproduzione: " ciascuno ne partecipa per quanto gli possibile, chi pi e chi meno, e non sopravvive a se stesso, ma in un individuo simile ". Da queste considerazioni, si evince come, per Aristotele, perfino il fatto che un essere generi un essere a s simile non cosa ovvia, ma genera quella meraviglia che costituisce la causa scatenante dellindagine filosofica. Analogamente, egli chiarisce in che senso si pu dire che lanima causa e principio del corpo vivente: se vogliamo attribuirle tale funzione di causalit, allora dobbiamo capire che cosa effettivamente intendiamo per "causa" ( ), con un procedimento affine a quello seguito nella definizione di "sostanza" e di "anima". Essa non risponde al "che cosa?", ma al "perch?": ci significa che non rende conto dell ("che"), ma del ("perch"). In particolare, la causa quel qualcosa che permette di spiegare il perch di una cosa, ma, al contempo, anche ci che la fa essere in senso compiuto. Tre sono i significati attribuibili al termine "causa": altrove, Aristotele ne attribuisce anche un quarto, corrispondente alla causa materiale, ma in questo contesto lo tralascia, giacch non ha senso parlare di "materia" a proposito dellanima. " Causa e principio si dicono in molti sensi e in confronto a ci lanima si dice causa nei tre modi che abbiamo distinto ": come "principio del movimento" ( ), come "fine", come essenza () dei corpi animati. E Aristotele analizza caso per caso queste tre definizioni in riferimento allanima: " che lanima sia causa come essenza evidente: infatti, la sostanza per tutte le cose la causa del loro essere [cio del fatto che esistano e siano quel che sono] "; ma, nel caso specifico degli esseri viventi, il loro essere sta nel vivere e causa del vivere appunto lanima, non il corpo (poich infatti di esso anche le pietre sono dotate). " E poi evidente che lanima causa anche come fine ": a tal proposito, Aristotele fa un parallelo tra il modo in cui agisce lintelletto e quello in cui agisce la natura. Cos come lintelletto agisce in vista di qualcosa, ossia mi induce ad agire affinch finalisticamente io raggiunga un obiettivo, similmente anche la natura " non fa nulla invano ", non frutto del caso (per quel che riguarda gli avvenimenti che si verificano sempre o , "per lo pi"). Tutti i processi naturali, dunque, si verificano secondo una certa regolarit e in vista di determinati fini, come avviene per la generazione degli animali: cos certi viventi hanno i polmoni per poter respirare e luomo non lanimale superiore perch ha la mano (come credeva Anassagora), ma ha la mano perch lanimale superiore, ossia per poter esplicare al meglio le sue funzioni che lo rendono superiore. " Tutti i corpi naturali sono strumenti () dellanima ", strumenti nel senso che servono per realizzare quelle determinate funzioni psichiche; in questottica, lanima il fine del corpo, ci che fa s che esso sia sfruttato in quel modo. Sicch Aristotele potr affermare, in altri scritti, che la mano " lo strumento degli strumenti ", poich serve alluomo da strumento per utilizzare gli altri strumenti. Sbaglia, dunque, Anassagora a ritenere che lorgano crei la funzione; al contrario, la funzione che crea lorgano (per vedere abbiamo gli occhi, per udire le orecchie, e cos via): e tutto ci per compiere le funzioni psichiche (nutrirsi e riprodursi per le piante; nutrirsi, riprodursi e avere sensazioni per gli animali; nutrirsi, riprodursi, avere sensazioni e pensare per gli uomini). Infine, il terzo tipo di causa quella da cui ha origine il movimento: " lanima costituisce la prima origine del movimento locale "; si muove perch tende a qualcosa. Successivamente, Aristotele critica alcune concezioni di come avvengono i processi di nutrizione e crescita: in particolare, la prospettiva di Empedocle, ad avviso del quale sarebbe il movimento dei quattro elementi che compongono il mondo a far s che si verifichi la nutrizione; ma anche la teoria di coloro che hanno visto in un solo elemento (il fuoco) il fattore che d la nutrizione. Del resto, Aristotele stesso, in alcuni scritti, parla di , di cozione del cibo che avviene grazie ad un calore interno (quasi come se ci fosse il fuoco in noi) che riscalda il cibo che ingeriamo. La vera causa della nutrizione, a dispetto di tutte queste stravaganti fantasticherie, lanima (nutritiva), la quale permette al corpo di nutrirsi e di svilupparsi: ed a questo punto che lo Stagirita si chiede se la nutrizione avvenga per assunzione di ingredienti a noi simili o contrari a quelli del nostro corpo. Gi Anassagora si domandava come fosse possibile che, mangiando pane, noi cresciamo in carne ed ossa e rispondeva sostenendo che, in qualunque oggetto - anche se in diverse proporzioni -, sono presenti infiniti "semi" di tutte le cose, cosicch mangiando un pezzo di pane ingoio anche semi di carne, di ossa, ecc. Ora, Aristotele dice che, nel momento in cui si forma un organismo, esso ha bisogno anche del suo contrario, ma, una volta diventato adulto, assume solo pi il simile a se stesso. Fatte queste considerazioni, lattenzione del filosofo greco viene proiettata sulla funzione sensitiva dellanima, funzione che presiede ai cinque organi di senso: in particolare, il paragrafo V dedicato all, e, in primo luogo, Aristotele chiarisce come la percezione sensibile consista in un , in un "essere mosso", in un , un "subire" qualcosa: precisamente, subisco lazione di un oggetto esterno che mi altera. Ne consegue che la sensazione sar un qualcosa di passivo, ricettivo che accoglie ci che proviene da fuori. " Infatti la sensazione consiste nellessere mossi e nel subire unazione, giacch sembra che sia una sorta di alterazione ": e Aristotele si serve di unaporia per chiarire la passivit della sensazione. Infatti egli si chiede: perch non ha luogo la percezione degli organi percettori? Perch quando vedo coi miei occhi gli oggetti del mondo non vedo i miei occhi stessi? Perch essi, se non ci sono oggetti esterni, non percepiscono nulla (pur essendo costituiti dagli stessi quattro elementi che compongono il resto del mondo)? La risposta che la facolt sensitiva propria di questo tipo di anima una , una "potenzialit"; infatti, abbiamo la facolt percettiva ma non nel senso che percepiamo costantemente in atto, bens nel senso che la esercitiamo in certi momenti ma, anche quando non la esercitiamo, ne restiamo pur sempre in possesso. E da che cosa dipende che in certi casi percepiamo e in certi altri no? Dal fatto che in quel momento presente in atto loggetto corrispondente a quella determinata facolt percettiva: ho di fronte a me una casa e, dunque, posso percepirla visivamente e a far passare la potenzialit del vedere in atto loggetto esterno (cio la casa), cos come il combustibile non pu bruciare senza il comburente. Tutto cambia, per, se parliamo dellintelletto: grazie ad esso, pensiamo secondo il nostro volere, senza che le cose pensate siano concretamente di fronte a noi. La percezione si trova quindi in una duplice condizione (in potenza e in atto) e lo stesso vale per un oggetto sensibile: qualsiasi oggetto pu (potenzialmente) essere visto e se, effettivamente, viene visto, allora visibile in atto. " Il movimento una specie di atto, bench imperfetto ": qui Aristotele fa riferimento alla nozione di movimento, il quale passaggio dalla potenza allatto, e diventa compiuto solo alla fine. Ora, ogni essere che subisce unazione ed mosso, lo ad opera di un oggetto in atto. Ma come mai, allora, vedo un oggetto giallo? Esso diverso rispetto alla mia pupilla: a tal proposito, c un passo in cui Aristotele sembra suggerire che la mia stessa pupilla diventa gialla, cio simile alloggetto visibile, come se ci fosse qualcosa che assimila le propriet delloggetto visto e la funzione. Aristotele fa ancora una volta presente come il concetto di potenza sia complesso, poich articolato in pi livelli non facilmente distinguibili: cos l'uomo in quanto uomo, fin dalla nascita, potenzialmente dotato del sapere, anche se non ha ancora acquisito nessuna nozione. Ma anche l'uomo dotato di sapere, non potr applicarlo incessantemente: nel momento in cui non lo applica, ne dotato potenzialmente; quando poi lo applicher concretamente, allora il suo sapere passer dalla potenza all'atto. " Riguardo alla potenza e all'atto necessario operare una distinzione, poich ora ne abbiamo discusso in maniera sommaria. Un essere conoscente o al modo che diremmo conoscente l'uomo, perch uno degli esseri che conoscono e che detengono il sapere; oppure al modo che diciamo ormai conoscente colui che possiede la conoscenza della grammatica. Costoro non si trovano in potenza alla stessa maniera, ma il primo perch il suo genere e la sua materia sono di un certo tipo, il secondo perch, qualora lo desideri, pu esercitare la sua conoscenza, purch qualche cosa di esterno non glielo impedisca. " [417 a]. E Aristotele dice che colui che acquisisce il sapere che, in quanto uomo, possedeva potenzialmente fin dalla nascita, " subisce un'alterazione mediante l'apprendimento ": anche quest'espressione - come il termine "potenza" - presenta un duplice significato. Infatti, posso subire un'azione o in modo tale che essa mi danneggi o, viceversa, che mi rafforzi: sicch il " " ("il subire") pu designare una particolare forma di distruzione che io subisco per l'azione di un qualcosa a me contrario o pu designare un rafforzamento del mio stato. In quest'ottica, colui che conosce passa da conoscente in potenza a conoscente in atto, ma non per alterazione distruttiva, bens rafforzativa: " pertanto non corretto affermare che chi pensa, quando pensa, come pure l'architetto, quando costruisce, subiscono un'alterazione ". Sottolineando come l'apprendimento non sia tanto dato dall'azione di un oggetto esterno, quanto piuttosto da un passaggio, tutto interno al soggetto, da ignoranza a conoscenza, Aristotele mosso da suggestioni platoniche (pensiamo a quando nel "Menone" si diceva che conoscere ricordare). Dunque, se c' un solo significato della parola "alterazione" (intesa come distruzione), allora nella conoscenza, propriamente, non pu esserci alterazione: se invece diamo a tale termine anche il significato di "rafforzamento", di cambiamento in meglio, allora si potr dire che anche il processo conoscitivo una forma di alterazione, di passaggio dall'ignoranza alla conoscenza. E il primo mutamento a cui soggetto un ente dotato di anima sensitiva l'essere prodotto dal genitore: una volta generato, l'individuo possiede gi la sensazione allo stesso modo in cui possiede - potenzialmente la scienza. Tuttavia, vi una differenza imprescindibile tra la sensazione e la conoscenza: nella prima, a produrre l'atto sensitivo sono gli oggetti esterni (vedo perch ci sono oggetti esterni che producono in me il passaggio da vedente in potenza a vedente in atto); sar invece la a

lavorare pur senza la presenza di oggetti esterni. La scienza, invece, non ha di fronte a s oggetti esterni: cosicch, se la sensazione ha a che fare con oggetti singolari (le entit individuali) - e la stessa ossatura dell'universo costituita da entit singole -, la scienza ha per oggetto gli universali, i quali si trovano nell'anima stessa e non esternamente (come invece credeva Platone, che attribuiva esistenza autonoma alle Idee). Il soggetto - nota Aristotele - pu pensare qualsiasi oggetto quando lo vuole, ma ci non toglie che non pensa l'oggetto in carne e ossa, bens l'immagine di quell'oggetto. E' infatti il sensibile in atto che fa s che l'immagine in potenza passi anch'essa in atto e, in questa prospettiva, di fondamentale importanza capire che cosa siano gli oggetti sensibili e in quanti modi possa essere percepita una cosa. La prima grande distinzione operata dallo Stagirita tra oggetto sensibile "per s" ( ) e oggetto sensibile per accidente ( ). Propri ( ) sono poi quei sensibili che competono a ciascun senso, giacch ciascuno dei cinque sensi ha come oggetto qualcosa di specifico, che pu essere solo da esso percepito. Cos solo l'udito pu percepire i suoni, solo il gusto i sapori, solo l'olfatto gli odori: e la vista? Quali sono i suoi "sensibili propri"? Aristotele risponde che essa ha per oggetto i colori. Egli introduce poi, sul piano gnoseologico, un'importante novit, asserendo che il senso - se funzionante - non sbaglia mai. Infatti, l'udito non potr mai sbagliare nell'attestare che sta percependo un suono, e lo stesso vale per gli altri sensi: ciascuno di essi giudica ( ) il suo oggetto proprio e non si inganna nel dire che sente un suono, vede un colore, fiuta un odore, ecc. Tuttavia, l'errore nasce quando, ad esempio, ci si domanda "che cos' che ha quel colore?" o "dov' quella cosa che ha quel colore?". Ma, se ogni senso percepisce solo i suoi sensibili propri, come si spiega il fatto che percepiamo gli oggetti nel loro complesso? Aristotele risolve questa apparente contraddizione introducendo, accanto ai sensibili propri, i sensibili comuni ( ), i quali non sono legati ad un solo senso. Di sensibili comuni Aristotele ne individua parecchi: il movimento, la quiete, il numero, la figura, la grandezza. Aristotele, per, non d indicazione sugli errori: tuttavia verosimile pensare ch'egli ritenga che gi coi sensibili comuni siano possibili errori (posso ingannarmi nel percepire un movimento). Gli errori si verificano soprattutto nei sensibili per accidente: se, infatti, vedo una macchia bianca e dico " il figlio di Diare", la vista percepisce il colore bianco, ma che quel bianco sia il figlio di Diare lo percepisce per accidente. Infatti, se effettivamente il figlio di Diare, allora si tratta di una percezione corretta; se, invece, non il figlio di Diare, allora si tratta di una percezione sbagliata. In altri termini, la vista non sbaglia nel vedere la macchia bianca, ma sbaglia nell'associarla alla persona, visto che al bianco capita per accidente di essere il figlio di Diare. " Perci non subiamo alcuna azione dell'ente sensibile in quanto tale ": ma l'ente sensibile cui allude Aristotele il colore o il figlio di Diare? E' verosimile che sia il figlio di Diare. Sensibili per accidente sono quegli oggetti che possono essere percepiti casualmente, ossia pu succedere che vengano percepiti: e Aristotele si sofferma diffusamente su ciascuno dei cinque sensi e sui loro sensibili propri. Il sensibile proprio della vista - come abbiamo detto - il colore che si trova sulla superficie delloggetto visto, ma, accanto al colore, Aristotele pone anche il fosforescente (cio la luminosit che si percepisce al buio); tra loggetto percepito e lorgano percipiente si trova un medium, un qualcosa di intermedio che Aristotele chiama "il trasparente" ( ), che connesso alla luce: questultima, infatti, lattualizzazione del trasparente stesso. Ed grazie al medium che vediamo la luce: perch si possa vedere, infatti, ci vuole la luce e, oltre ad essa, il medium trasparente che sta tra il colore e locchio: nel caso della vista tale medium dato dallaria (ma anche dallacqua). In altri termini, il medium mosso dalloggetto e a sua volta muove il soggetto percipiente. Ne consegue che il colore delloggetto esercita unazione non tanto sullocchio, quanto piuttosto sul medium, modificando il trasparente illuminato: e questa modificazione produce a sua volta unazione sullocchio. Aristotele fa riferimento al medium anche per poter spiegare la visione di oggetti a distanza e per differenziarsi dallatomismo (per il quale la percezione era data da pellicole atomiche che si allontanavano dagli oggetti per raggiungere i nostri sensi). Naturalmente, il discorso del medium interposto tra gli oggetti e i sensi vale non solo per la vista, ma per tutti i sensi: ogni senso ha il suo medium privilegiato, cos ad esempio per la vista laria, per ludito anche, e cos via. Aristotele mostra qualche riserva per lolfatto, perch vero che sembra che esso abbia il suo medium nellaria, per anche vero che attraverso i suoi studi zoologici - Aristotele ha scoperto che diversi animali acquatici hanno lodorato. Dopo essersi soffermato sulla vista (che di tutti i sensi quello che gli pare pi importante, come egli stesso confessa nella "Metafisica"), lo Stagirita passa alludito, avente per sensibile proprio i suoni. Esso la percussione di un corpo solido su un altro corpo solido e il medium dato dallaria (ma anche dallacqua). Lorecchio stesso contiene aria congenita in movimento e la voce prodotta da tutti quegli animali in grado di respirare. Lolfatto, dal canto suo, ha per sensibile proprio lodore. Pi complicato invece il gusto, che ha per oggetto il sapore: infatti sembra essere un qualcosa ai confini con il tatto, poich per avvenire ha bisogno del contatto con loggetto; ma Aristotele dimostrer - e lo vedremo poco pi avanti - come tatto e gusto siano due sensi diversi. Di tutti e cinque, il tatto , a suo avviso, il senso pi problematico, poich sembra che il suo sensibile proprio non sia uno solo: gli altri quattro sensi, infatti, hanno solo un sensibile proprio; eppure - se ci pensiamo - vero che, ad esempio, la vista ha per oggetto esclusivamente il colore, tuttavia, di fatto, ne vede una quantit illimitata, cos come ludito ode uninfinit di suoni diversissimi (acuti, gravi, forti, deboli...). Il tatto per sembra riferirsi s ad una molteplicit di oggetti tangibili, ma anche opposti tra loro: possiamo infatti sentire per contatto il freddo e il caldo, il secco e lumido, il duro e il molle; indicare quale tra questi sia il sensibile proprio del tatto non facile ( la temperatura? Il grado di durezza? O piuttosto quello di umidit?). Un altro problema sorge nel momento in cui si vuole definire quale sia il suo medium: pare che non esista; infatti, il tatto avviene per contatto diretto e immediato (senza medium appunto) tra loggetto e il soggetto. E Aristotele, in merito, propone alcune risposte acute: supponendo di avere la mano coperta da un guanto, posso ugualmente toccare e avere percezioni; ci significa che, anche col tatto, deve esserci un medium che svolga le funzioni del guanto. Aristotele individua tale medium nella carne, cosicch lorgano del tatto (lanalogo degli occhi, delle orecchie, del naso, della lingua) interno, giacch non pu identificarsi con il medium (ossia con la carne). Eppure pare che Aristotele finisca in un vicolo cieco: infatti, anche la lingua - che un organo a tutti gli effetti - fatta di carne e, per di pi, percepisce sia i sapori (dolce, amaro, ecc) sia le cose tattili (freddo, caldo, umido, secco, ecc); tuttavia, i sapori vengono direttamente percepiti dalla carne che costituisce la lingua, mentre quando sente il caldo, il freddo, ecc, la carne funge solo da medium. Questo permette ad Aristotele di spiegare la differenza tra il gusto e il tatto (nel primo la carne della lingua organo, nel secondo medium). Nel tatto, poi, succede una cosa particolarissima: percepiamo il medium insieme alloggetto, cos come il giavellotto colpisce lo scudo e questo, a sua volta, colpisce immediatamente chi lo sorregge. I sensibili propri del tatto - dice Aristotele - sono le quattro qualit, e la percezione si verifica (ossia passa in atto) in relazione alle qualit che abbiamo in noi: cos, ad esempio, per percepire qualcosa di caldo dobbiamo noi stessi essere meno caldi delloggetto percepito, altrimenti se fossimo ugualmente caldi non riusciremmo a percepirlo. Questo processo, per, non deve spingersi oltre un certo limite: il caldo o il freddo non devono essere eccessivamente intensi, altrimenti lorgano sensoriale ne verrebbe danneggiato; lo stesso vale per i sensibili propri di ciascun senso. In chiusura del secondo libro, Aristotele d una celebre definizione della sensazione: " da un punto di vista generale, riguardo ad ogni sensazione, si deve ritenere che il senso ci che atto ad assumere le forme sensibili senza la materia, come la cera riceve limpronta dellanello senza il ferro o loro: riceve bens limpronta delloro o del bronzo, ma non in quanto oro o bronzo. Analogamente il senso, rispetto a ciascun sensibile, subisce lazione di ci che ha colore o sapore o suono, ma non in quanto si tratti di ciascuno di questi oggetti, bens in quanto loggetto possiede una determinata qualit e secondo la forma " [424 a 15]. Il senso, delloggetto da cui riceve la sensazione, riceve la forma, non la materia (altrimenti ogni percezione sarebbe un inghiottire loggetto dentro di s); e il paragone di Aristotele calzante: riprendendo lantica metafora - tematizzata da Platone nel Teeteto - con cui lanima veniva accostata ad una tavoletta di cera e le impressioni alle forme che si imprimono sulla cera stessa, lo Stagirita dice che come la cera riceve limpronta ( ) dellanello, ma non il materiale di cui costituito, cos i sensi ricevono la forma degli oggetti; anche se, altrove, Aristotele dice enigmaticamente che quando vediamo il giallo forse la stessa pupilla a colorarsi di giallo. Fatte queste considerazioni, si pu sostenere che " lorgano e la capacit di percepire sono la stessa cosa ", anche se " la loro essenza diversa " (poich lorgano una grandezza, ossia ha dimensioni, mentre la capacit percettiva una facolt). Ci aiuta anche a capire perch le piante non abbiano sensazioni: certo, in fondo anchesse subiscono azioni per contatto (con laria, con gli oggetti, ecc), ma non percepiscono, poich la loro passivit non riguarda la forma, ma la materia; subiscono cio lazione della materia delloggetto, ma non sono in grado (e qui sta la differenza rispetto agli animali e alluomo) di riceverne la forma. Le piante - nota Aristotele - non hanno una mediet (), nella quale avere percezioni: luomo e gli animali, invece, ne sono dotati e tale mediet consente in quel particolare stadio che sta nelleccesso in pi (che distrugge gli organi sensoriali) e nelleccesso in meno. Le piante, poi, non hanno nemmeno un principio capace di ricevere le forme sensibili. Il terzo libro incentrato sulla funzione intellettiva dellanima, prerogativa dei soli uomini. Prima di entrare in medias res , tuttavia, Aristotele si occupa della fantasia e, ancor prima, di due importantissimi problemi: i sensi deputati alla percezione sono solo cinque o ne esistono altri? Come si spiega, poi, che io, soggetto percipiente, possa avere la percezione di percepire, ad esempio percepire che sto vedendo? Occorre ipotizzare lesistenza di un altro senso

che percepisca che sto vedendo? O, piuttosto, il senso stesso che si auto-percepisce? Aristotele molto preciso nel fornire le risposte a questi interrogativi: non esistono altri sensi allinfuori dei cinque; e se ci manca un senso, allora, necessariamente, mancher anche lorgano percipiente corrispondente. Se poi esistesse un ipotetico sesto senso, allora dovrebbe anche esistere un suo organo suo specifico, mediante il quale esercitare la sua attivit. In un certo senso, si potrebbe far leva sui sensibili comuni per ammettere un ulteriore senso: chi mi vieta di pensare che il movimento, la quiete, ecc, siano percepiti da un sesto senso? Ma Aristotele nega ci: con tutti e cinque i sensi - e non con un sesto senso - percepiamo il movimento, la grandezza, la figura, e la quiete (intesa come assenza di movimento) e il numero come negazione del continuo (grandezze continue sono quelle geometriche, poich hanno oggetti infinitamente divisibili, come le rette; grandezze discontinue sono i numeri, poich tra 1 e 2 non c nulla, secondo Aristotele; e solo un rapporto, non un numero). E assolutamente impossibile che esista un sensibile speciale per i sensibili comuni: se ci fosse, percepiremmo i sensibili comuni in modo analogo a quello in cui percepiamo il dolce con la vista. Infatti, posso dire di percepire il dolce con la vista, quando ad esempio vedo una torta esposta in vetrina: ci accade perch ho gi percepito con il gusto, in altre occasioni, che fosse dolce. " Questo ci possibile perch ci troviamo ad avere la percezione di entrambi questi sensibili, mediante la quale li riconosciamo nello stesso tempo in cui si presentano insieme. Se non fosse cos, non percepiremmo i sensibili comuni in nessunaltra maniera che accidentalmente ". La percezione dei sensibili comuni, pertanto, comune attraverso pi sensi e non avviene accidentalmente, e non richiede un senso speciale: linterazione dei vari sensi che mi permette di percepire i sensibili comuni. Cos della bile percepiamo che gialla e amara: con gli occhi percepiamo che gialla, con il gusto che amara; ma ci non toglie che loggetto (la bile) sia uno solo. Non esiste, dunque, un ulteriore senso capace di percepire insieme che la bile gialla e amara. Ed per questo motivo che nasce lerrore: vedo che una cosa gialla e dico " bile" senza averla gustata: lerrore nasce quindi nellistituire connessioni, poich esse non sempre sono corrette. Nel primo paragrafo del III libro, Aristotele ha dunque affrontato (e confutato) leventualit di un sesto senso: resta per il problema della coordinazione dei sensi e, a ci collegato, il problema della percezione della percezione (cui dedicato il secondo paragrafo). Occorre ammettere lesistenza di un ulteriore senso che percepisca di percepire o, piuttosto, il senso stesso a percepire e a percepire di percepire? In altri termini, quando vedo un oggetto percepisco anche che lo sto vedendo: che siano gli occhi a percepire loggetto, evidente; ma che cos che percepisce il fatto che sto percependo con gli occhi? Anche qui Aristotele nega radicalmente leventualit di un sesto senso e fa riferimento ad una specie di "senso comune" ravvisato nel cuore (e non nel cervello) per poter spiegare la percezione della percezione. Nasce subito una difficolt: se vedere significa - come Aristotele ha mostrato nel II libro - percepire colori, come si pu ammettere che la vista percepisca - oltre ai colori - la sua azione di vedente? Esister un senso in grado di percepire sia la vista sia i colori? Ma allora, in questo caso, avremmo due sensi con lo stesso oggetto: sia la vista sia questo ipotetico altro senso vedrebbero, infatti, i colori e, in pi, questultimo percepirebbe anche la percezione di vedere. Se cos fosse, tuttavia, avremmo una clamorosa smentita del principio che sta alla base della fisica aristotelica, cio che la natura non fa nulla invano: sarebbe infatti una cosa assolutamente inutile produrre due sensi aventi per oggetto la medesima cosa. Sembra forse pi percorribile la strada dellammissione che un senso possa avere per oggetto se stesso, la percezione della propria attivit. Del resto, un altro forte argomento contro lesistenza di un ulteriore senso dato dalla regressione allinfinito: se ammetto che oltre alla vista esista un altro senso che percepisca la vista stessa, mi trover costretto ad ammettere ancora un altro senso che percepisca di percepire la vista; e cos allinfinito. Questa argomentazione (impiegata da Aristotele anche per argomentare in favore del "motore immobile") sconfessa definitivamente la possibilit di ulteriori sensi rispetto ai cinque: sorge per una nuova aporia. Se la vista, infatti, dotata della capacit di auto-percezione, e il suo oggetto proprio il colore, allora questa capacit di auto-percezione dovr necessariamente essere dotata anchessa di colore. " Se infatti percepire con la vista vedere, e si vede il colore o loggetto che lo possiede, qualora si veda ci che vede, ci che vede per primo sar colorato " [425 b 14]. Per superare questa difficolt, Aristotele introduce due argomentazioni: la prima fa leva sul fatto che " percepire con la vista non ha un unico significato, giacch anche quando non stiamo vedendo con la vista distinguiamo il buio e la luce, ma non allo stesso modo ". Anche al buio, infatti, ci rendiamo perfettamente conto che stiamo vedendo, distinguiamo cio il buio dalla luce, abbiamo coscienza della vista anche quando non c la luce, anche se in quel dato momento non vediamo in atto. Aristotele usa il verbo , "distinguiamo", ma anche "giudichiamo" il buio e la luce, poich conoscere significa cogliere le differenze. La seconda argomentazione viene cos formulata: " inoltre anche ci che vede in certo modo colorato, poich ciascun organo sensorio capace di assumere il sensibile senza la materia. ". Aristotele, per, non spiega in che modo " ci che vede colorato ": altrove, pare sostenere che, quando ad esempio locchio vede un oggetto giallo, sia la pupilla stessa a divenire gialla, ossia ad assumere la colorazione delloggetto percepito. Tuttavia ci pare in contrasto con quanto detto prima, che cio lorgano riceve solo la forma delloggetto: forse, tuttavia, Aristotele intende il colore delloggetto solo come forma. A questo punto, Aristotele fa notare come le forme sensibili delle cose percepite persistano in noi, anche quando la materia non c pi: dopo aver osservato una casa gialla, io conservo dentro di me l "immagine" () - cio la forma sensibile - della casa stessa, cosicch posso pensarla anche quando non ho pi la casa di fronte a me; " ed per questo motivo che, anche quando i sensibili non sono presenti, le sensazioni e le immagini permangono nei sensori ". Loggetto visto e la vista passano in atto simultaneamente, pur non essendo essi la stessa cosa: in potenza restano distinti (il suono infatti altra cosa dalludito), ma, passando in atto, fanno un tuttuno; ci spiega lunitariet dellatto percettivo, il quale deve tuttavia essere inteso come composto da due ingredienti: lorgano e loggetto esterno. Resta da chiarire dove abbia luogo questattualizzazione: Aristotele dice che essa avviene in colui che percepisce, non nelloggetto; ci pare piuttosto credibile, poich in effetti alloggetto visibile non accade nulla nellessere visto, resta tale e quale; ad essere veramente interessato solamente il soggetto percipiente, che ingloba la forma delloggetto percepito. In modo del tutto analogo, il movimento si produce non in ci che lo causa, ma in ci che lo subisce, e nella percezione " il suono in atto e ludito in atto devono trovarsi in ci che li possiede in potenza ". C dunque simmetria tra ci che muove e ci che mosso, per cui ci che muove non deve necessariamente avere movimento (cos il "motore immobile" mette in moto luniverso senza essere esso stesso in moto). Poich il passare in atto del sensibile e il passare in atto della facolt di percepire sono il medesimo atto, " necessario che simultaneamente si conservino e cessino ": con ci, Aristotele attacca i "fisiologi", ovvero i primi indagatori della natura, rinfacciando loro di aver ingenuamente creduto che bianco e nero non esistessero senza la vista che li percepisce (la stoccata diretta soprattutto contro Democrito); tali qualit, invece, esistono anche negli oggetti percepibili, anche se solo potenzialmente. Passano in atto quando vengono effettivamente percepiti dai soggetti dotati di anima sensitiva, ma posseggono gi in potenza le loro qualit (bianco, nero, ecc); anche perch - se fosse come crede Democrito saremmo noi gli agenti che producono il colore, mentre in realt, per Aristotele, nel percepire siamo piuttosto passivi. Egli ha gi accennato a come, per percepire la differenza tra due sensibili propri di sensi diversi, non occorra un ulteriore senso, ma basti la coordinazione tra i sensi interessati: cos, per cogliere la differenza tra dolce e bianco, non si deve ricorrere ad un ulteriore senso in grado di percepire sia il dolce sia il bianco, ma occorre far riferimento al coordinamento tra la vista e il gusto. " Ciascun senso si riferisce ad un oggetto sensibile, trovandosi nellorgano sensorio in quanto tale, e discrimina le differenze del proprio oggetto sensibile: ad esempio, la vista distingue il bianco e il nero, il gusto il dolce e lamaro, e la stessa cosa si verifica per gli altri sensi. Ma poich noi distinguiamo sia il bianco sia il dolce e ciascuno dei sensibili in rapporto a ciascun altro, con che cosa percepiamo che essi differiscono " [426 b 9]. Ciascun senso, pertanto, percepisce i suoi sensibili propri, ma con che cosa percepiamo che il bianco differente dal dolce? Per distinguerli (giacch si tratta di sensibili) occorre una percezione: in particolare, Aristotele esclude che sia la carne ad essere responsabile (poich senn la distinzione tra bianco e dolce dovrebbe avvenire per contatto; ma noi possiamo vedere il bianco anche da lontano). " Ora non possibile giudicare per mezzo di sensi separati che il dolce diverso dal bianco, ma entrambi gli oggetti devono manifestarsi a qualcosa di unico. [] E dunque evidente che non possibile giudicare sensibili separati mediante sensi separati ". Appare evidente come sia arduo stabilire chi percepisca la differenza tra sensibili; il gusto percepisce il dolce, la vista il bianco: e la differenza tra i due? Cos come se io percepisco il dolce e tu il bianco, non possiamo dire se siano diversi, poich ci vuole qualcosa che lo attesti, similmente, se il gusto percepisce il dolce, la vista il bianco, n la vista n il gusto pu dire che il dolce sia differente dal bianco. Bisogna dunque ammettere un coordinamento tra i sensi stessi, in virt del quale le informazioni provenienti da uno si connettano a quelle provenienti da un altro. Il discorso coinvolge anche la sfera temporale: nella proposizione "io dico ora che il bianco diverso dal dolce", il termine "ora" qualifica il momento in cui io predico la diversit tra bianco e dolce; tale proposizione non per uguale a "io dico che ora il bianco diverso dal dolce", poich il termine "ora" in questa proposizione svolge una diversa funzione, caratterizza che bianco e dolce sono diversi in un dato momento. Per Aristotele, le due cose coincidono: la simultaneit sia nella diversit tra bianco e dolce, sia nel momento in cui la predico; ne consegue che non accidentale. Dico simultaneamente che x dolce e y bianco e lo sono

ora: " di conseguenza tale cosa inseparabile ed opera in un tempo inseparabile ". Successivamente, Aristotele precisa che questa cosa unica discriminatrice delle differenze un qualcosa di unitario ma che si distingue nelle sue funzioni discriminatrici. Sempre nel III libro del "De anima", Aristotele si sofferma con particolare attenzione sulla , distinguendola nettamente dalle funzioni percettive (anche se ad esse strettamente connessa, in quanto i , ossia le "immagini", si formano in qualche modo in ambito sensibile). Si tratta di una delle prime riflessioni articolate della storia sullimmaginazione, di quel ponte che collega il sensibile al pensiero. Lo Stagirita inizia la sua indagine su tale facolt con un parallelo tra il pensare (, ) e il percepire: il punto di partenza , ancora una volta, dato dalle opinioni comuni, secondo le quali il pensare e lintelligenza sono come una percezione sensibile, sicch pensare come avere percezioni. Aristotele conduce questindagine in quanto mosso dalla convinzione che sia nel pensiero sia nella percezione lanima distingua e conosca le cose: la percezione e lintelligenza, infatti, , ossia "giudicano" e "discriminano". Tale analogia tra pensare e percepire sembra trovar conferma anche nelle teorie formulate dai predecessori di Aristotele, in particolare Omero e, soprattutto, Empedocle: a loro avviso, pensare e percepire sono la stessa cosa, poich il pensiero stesso indisgiungibilmente legato al corpo, quasi come se fosse unattivit corporea alla pari del percepire. Ma ci di cui essi han taciuto, senza dare spiegazione, come avvenga lerrore: secondo la teoria empedoclea del simile che conosce il simile, sembra che lerrore sia impossibile; eppure lesperienza comune attesta che esso si verifica assai spesso. Le paradossali conseguenze che derivavano dalla tesi di Empedocle erano sintetizzabili nellammissione dellinfallibilit dei sensi: questa tesi attribuita da Platone (nel "Teeteto") al sofista Protagora, per il quale il miele dolce per colui al quale appare tale, ed amaro per colui a cui invece appare amaro. Lunica alternativa possibile stava nellammettere lerrore come contatto del simile col dissimile, ma ci comportava una marea di nuovi problemi (in primo luogo la nozione stessa di "dissimile"). Da tutto ci risulta chiaro che " intelligenza e sensazione non sono la stessa cosa ": questo punto viene da Aristotele inferito a partire dal fatto che gli animali hanno la sensazione (ed ci che li distingue dalle piante) ma non per questo lintelligenza. Lo stesso discorso vale per il pensiero (nel cui ambito rientrano la scienza, lopinione vera e la saggezza): a questo punto, Aristotele introduce un altro argomento a sostegno della propria tesi. Giacch la percezione dei "sensibili propri" sempre vera, mentre il pensiero suscettibile di essere vero o falso, ne consegue che pensiero e percezione non possono essere identificati; al contrario, il pensiero sar presente esclusivamente in quegli animali dotati di ragione (). Dalle argomentazioni aristoteliche emerge come il pensiero e la sensazione siano tra loro apparentati dalla comune funzione conoscitiva, ma, ciononostante, restano due cose radicalmente distinte. A cavallo tra le due realt sta - secondo lo Stagirita - limmaginazione (), cio la sfera in cui appaiono immagini (): fin dallinizio, Aristotele precisa che limmaginazione va distinta tanto dalla sensazione quanto dal pensiero, e in questo modo egli complica notevolmente la mappa psichica rispetto ai suoi predecessori. Il primo aspetto su cui concentra la sua attenzione il filosofo greco come limmaginazione, pur non identificandosi con la sensazione, sia ad essa connessa: " limmaginazione infatti diversa sia dalla sensazione sia dal pensiero, per non esiste senza sensazione, e senza di essa non c apprensione intellettiva ". Gli oggetti propri dellimmaginazione si costituiscono a partire da percezioni sensibili: infatti solo dopo aver empiricamente percepito Socrate che posso crearmi, dentro di me, una sua immagine. E del resto ogni operazione mentale, ogni apprensione intellettiva (Aristotele usa il termine , letteralmente "assumere come vero qualcosa da altro") pu aver luogo solo a partire dallimmagine: se ne evince che non pu esserci immagine senza percezione e che non pu esserci pensiero senza immagine. Infatti, i concetti universali (luomo, il cavallo, la giustizia, ecc) non possono essere conosciuti se non a partire da immagini, poich mi impossibile crearmi il concetto universale di uomo o di cavallo se non ho raccolto dentro di me una nutrita serie di immagini di uomo o di cavallo. Ma tali immagini sono rese possibili grazie allesperienza, giacch si formano a partire dalla percezione sensibile dei singoli uomini o cavalli. Ben si capisce la funzione di ponte tra la sensazione e il pensiero rivestita dalla : memore della lezione aristotelica sar Kant stesso, quando - nella "Critica della ragion pura" - parler di "schematismo trascendentale" come zona di confine tra il sensibile e il pensiero. Il richiamare dentro di noi una determinata immagine un atto libero, nota Aristotele; siamo cio noi a scegliere liberamente di rievocare limmagine che desideriamo (ad esempio, ho visto Socrate: ora non lo vedo pi, ma posso decidere di ridestare la sua immagine dentro di me): " questaffezione dipende infatti da noi, quando lo vogliamo " [427 b 18]. Avere unopinione, invece, " non dipende da noi ": essa - come abbiamo detto una e ha la propriet di essere vera o falsa in base alla sua confrontabilit coi fatti, cosicch strettamente connessa con la realt esterna; limmagine, dal canto suo, non ha bisogno di confronti con la realt esterna, un qualcosa di a me interno e, pertanto, posso rievocarla quando voglio. Per dimostrare che lopinione e la fantasia sono due cose diverse, Aristotele - oltre ad argomentare che la fantasia libera, lopinione no - mette in luce la strettissima connessione tra emozione ed opinione, facendo notare come la connessione tra emozione ed immaginazione sia assai meno stretta: se vedo coi miei occhi (ambito dellopinione) una scena orribile nella realt, essa suscita in me unemozione di terrore che invece non necessariamente suscita se la vedo rappresentata in un dipinto o a teatro (ambito dellimmaginazione). Ne consegue, dunque, che lopinione si accompagna sempre allemozione corrispondente; limmaginazione no: " quando siamo dellopinione che una cosa paurosa o temibile, proviamo immediatamente lemozione corrispondente, e cos pure quando riteniamo che una cosa rassicurante, mentre nel caso dellimmaginazione ci troviamo in una situazione analoga a quella di vedere cose temibili o rassicuranti in un dipinto " [427 b 21]. Aristotele distingue limmaginazione anche da altre operazioni, quali la sensazione, la scienza e lintelletto. In particolare, per mettere in evidenza come essa si distingua dalla sensazione, si avvale di ben cinque argomentazioni: 1] " la sensazione o potenza o atto, come la vista e la visione, mentre qualcosa pu apparire bench n luna n laltra sia in questione, come avviene per le immagini dei sogni " [428 a 6]. Mi pu apparire qualcosa anche se in quel momento non esercito la vista n ho la possibilit di vedere, proprio come avviene nei sogni: mi appaiono immagini n in potenza n in atto. 2] " La sensazione sempre presente, mentre limmaginazione no ": perch ci sia la percezione, loggetto deve essere presente ai sensi (vedo la casa perch presente agli occhi; sento i rumori perch sono presenti alle orecchie); per posso avere immagini anche di oggetti lontanissimi dai nostri sensi (posso avere limmagine di Sparta pur essendo io ad Atene). Del resto, " se fossero la stessa cosa in atto, limmaginazione dovrebbe trovarsi in tutti i bruti ed invece sembra di no ": con queste parole, Aristotele intende dire che, se sensazione e immaginazione coincidessero, allora laddove c la sensazione dovrebbe necessariamente anche esserci limmaginazione. Eppure esistono esseri dotati delluna, ma non dellaltra: Aristotele adduce lesempio del verme, fornito di sensazione ma non di immaginazione; come esempio di esseri dotati di entrambe le cose, cita invece l'ape e la formica, ma potrebbe anche citare il cane, che riconosce il padrone poich porta dentro di s la sua immagine. 3] Le percezioni sono sempre vere, mentre la maggior parte delle immagini sono false (pensiamo soprattutto a quelle dei sogni). 4] Aristotele mette in luce come lespressione "apparire" () sia fuorviante, perch ambigua. Quando vedo arrivare Socrate e affermo "mi appare un uomo", sto commettendo un errore linguistico, poich dovrei in realt affermare "vedo Socrate", giacch ne ho percezione, non immagine. Tuttal pi accettabile lespressione "mi appare un uomo" quando lo vedo da distante ma non sono certo che effettivamente sia un uomo - il che testimonia, tra laltro, come le immagini non per forza siano vere. " Non quando esercitiamo con precisione la nostra attivit su un oggetto percepibile che diciamo che questoggetto ci appare essere un uomo, ma piuttosto quando non lo percepiamo chiaramente ". 5] " Appaiono immagini visive anche a chi tiene gli occhi chiusi ": se tengo gli occhi chiusi, non ho percezione visiva di nulla, ma posso tuttavia avere immagini. Dopo aver operato - nei cinque punti appena illustrati - la distinzione tra sensazione e immaginazione, Aristotele si propone di distinguere limmaginazione dallintelletto e dalla scienza, caratterizzati anchessi - come le percezioni - dal non sbagliare mai; essi, tuttavia, sono superiori alle percezioni e sono " abiti che sono sempre nel vero "; nell "Etica Nicomachea", dir che abiti sono le virt, ossia quelle abitudini che si consolidano con lessere compiute. Una volta che ho acquisito la scienza, sono sempre nel vero: se dimostrassi che essa sbaglia, non sarebbe pi scienza. Rispetto alla scienza e allintelletto, che sono sempre nel vero, limmaginazione - come abbiam visto - suscettibile di essere vera o falsa: ne consegue, naturalmente, che scienza e intelletto non sono identificabili con limmaginazione. Detto questo, Aristotele torna nuovamente sullopinione, il punto che pi di ogni altro lo tormenta: ci in parte dovuto al fatto che Platone aveva fatto indebitamente rientrare lopinione nellimmaginazione, senza rendersi conto dellinsuperabile differenza che le distanzia. Lo Stagirita sottolinea come lopinione sia sempre accompagnata dalla convinzione ( , il "credere che"), poich quando dico "egli buono" lo dico perch sono convinto che effettivamente egli sia buono. In molti animali, per, presente limmaginazione, ma non la convinzione e, di conseguenza, nemmeno lopinione: il caso delle api e delle formiche, ad esempio. Del resto, affinch ci sia la convinzione, necessario che ci sia anche la ragione, della quale sono dotati solamente gli uomini. Ci avvalora la tesi aristotelica secondo cui lopinione non limmaginazione: se infatti le due cose coincidessero, tutti gli esseri dotati di immaginazione dovrebbero anche avere

lopinione, ma ci non possibile. " Resta allora da vedere se opinione, poich lopinione si presenta come vera o come falsa. Ora allopinione consegue la convinzione (non infatti possibile avere unopinione su ci di cui sembra che non si sia convinti), e mentre nessun bruto ha la convinzione, in molti c limmaginazione ". Lopinione, nota Aristotele, o parallela alla sensazione, o prodotta da una sensazione, o intreccio () di opinione e sensazione. Se cos non fosse, limmaginazione e lopinione si troverebbero ad avere i medesimi oggetti, e limmaginazione sarebbe lintreccio dellopinione del bianco e della sensazione del bianco. Come esempio, pensiamo al sole: esso mi appare piccolissimo, eppure so che enorme; la percezione diversa, dunque, dallopinione, pur riguardando lo stesso oggetto (nel nostro caso: il sole). Ne consegue che limmaginazione non lintreccio di opinione e sensazione, poich esse attestano cose diverse: " ne segue allora o che si abbandonata lopinione vera che si aveva, bench loggetto sia rimasto lo stesso e non ci si sia dimenticati di quellopinione n si sia rimasti persuasi del contrario, oppure, se la si conserva ancora, necessariamente la stessa opinione sar vera e falsa. Ma lopinione potrebbe diventare falsa soltanto qualora loggetto mutasse a nostra insaputa. Pertanto limmaginazione non una di queste attivit n risulta da esse " [428 b 5]. Infatti, lopinione o vera o falsa: non data una terza possibilit. Sgombrato il terreno dalla possibilit di confondere limmaginazione con la sensazione o con lopinione, Aristotele ritiene possibile definire meglio limmaginazione stessa: essa " una specie di movimento " , una prodotta dalla percezione sensibile: " se allora nessunaltra cosa possiede le caratteristiche suddette eccetto limmaginazione (ed essa ci che s detto), limmaginazione sar un movimento risultante dalla sensazione in atto " [429 a 1]. Percependo un oggetto, esso agisce su di noi e produce un movimento che si trasmette nel sangue e giunge fino al cuore. Il fatto che limmaginazione sia un movimento spiega anche perch le immagini spesso siano sfocate: in particolare, le immagini oniriche sono da Aristotele accostate alleffetto delle pietre lanciate nello stagno. Ad attivare il movimento che d luogo allimmaginazione la percezione sensibile, la quale permette il formarsi di immagini che persistono anche quando la percezione non sussiste pi (pur rimandando le immagini continuamente alloggetto percepito): la centralit della percezione implica, naturalmente, che limmaginazione sia prerogativa esclusivamente di quegli enti dotati di anima sensitiva (gli animali e luomo). La fantasia anche un importante strumento per subire e compiere azioni: la stessa appetizione pu essere guidata o dallintelletto (che mi d indicazioni su come orientarmi per raggiungere un determinato obiettivo) o dalla stessa, senn non si spiegherebbe perch anche gli animali abbiano appetizioni (il cane che si muove alla ricerca del cibo, ad esempio). In che senso, per, unimmagine pu essere vera o falsa? Vedendo un oggetto, subito nella mente si forma unimmagine del medesimo, immagine che sar vera fin tanto che sto vedendo loggetto; quando la sensazione cessa, limmagine pu sfocarsi e sbiadirsi, diventando in tal modo falsa (ossia non rispecchiante loggetto percepito). Nelle sensazioni per accidente - dove cio la percezione stessa pu essere falsa, poich loggetto sensibile troppo distante dai sensi - , nel caso in cui la percezione sia falsa, allora limmagine stessa che si forma sar inevitabilmente falsa. Aristotele si sofferma anche - seppur di sfuggita - sulletimologia del termine fantasia , mettendo in mostra come si colleghi a ("appaio"), che a sua volta strettamente connesso a ("luce"), privilegiando ancora una volta la sfera legata alla vista. A questo punto lo Stagirita, dopo aver trattato la facolt nutritiva e quella sensitiva, passa alla facolt intellettiva dellanima, facolt di cui solo luomo provvisto: in linea preliminare, tale funzione quella con cui lanima conosce e pensa. Fatta questa prima precisazione, Aristotele analizza come si generi () il pensiero e in tal senso la sua prima mossa consiste - come abbiamo gi detto - nel considerare il pensiero come il percepire sensibile. Come la percezione ha luogo in quanto i vari sensi subiscono lazione degli oggetti sensibili, cos il pensiero ha luogo subendo lazione degli oggetti intelligibili, ossia di quegli oggetti non coglibili dai sensi. Ma che cosa significa che lintelletto, pensando, subisce unazione? Come la vista in potenza passa in atto nel momento in cui c loggetto visibile, cos il pensiero in potenza passa in atto quando c loggetto intelligibile; in altri termini, il pensiero - non essendo strettamente connesso al corpo (lo solo attraverso mediazioni) - subisce azioni da parte degli intelligibili, che, per loro natura, non sono corporei. Sotto questo profilo, lintelletto , "ricettivo della forma", dove la "forma" in questione non pi quella sensibile, ma quella intelligibile (ossia, per fare un esempio, la nozione universale di uomo). Ci implica che, per Aristotele, la conoscenza non sia produttiva, ma ricettiva: lintelletto non produce concetti di suo (come sar invece per lidealismo), bens si limita ad accogliere le forme provenienti dal mondo esterno, e non gi presenti dentro di noi (come invece credeva Platone, soprattutto nel "Menone"). Lanalogia che Aristotele fa tra pensiero e sensibile richiama alla memoria quella fatta da Platone, nella "Repubblica", tra Bene e idee: Platone diceva che, come nel nostro mondo la luce del sole ci permette di vedere le cose, cos lidea del Bene ci permette di "vedere" le altre idee; ora Aristotele afferma che il pensiero accoglie le forme cos come i sensi ricevono le percezioni. Resta da chiarire in che senso limmaginazione sia un ponte che congiunge il sensibile al pensiero: limmagine , secondo Aristotele, sempre meno vivida rispetto alloggetto sensibile da essa rispecchiato; essa tende a sfocarsi, a perdere definizione ed probabile che secondo Aristotele sia cos che nascono i concetti universali: le immagini che porto dentro di me di diversi uomini (Socrate, Gorgia, Democrito, ecc) tendono a sfocarsi e a farsi sbiadite, con il risultato che si possono solo pi cogliere i tratti comuni alle varie immagini. La funzione di cerniera tra sensibile e pensiero assolta dallimmaginazione potrebbe anche essere unaltra: quando mi trovo in una biblioteca, coi miei occhi vedo solo una determinata porzione della biblioteca stessa, eppure riesco ad avere una nozione di biblioteca come insieme unitario; ci avviene grazie allimmaginazione. A questo punto, per meglio chiarire come possa originarsi il pensiero, Aristotele riprende la nota tesi di Anassagora, secondo la quale esisterebbe un Intelletto cosmico () dotato di un potere assoluto conferitogli dal non essere mescolato con le altre cose (altrimenti sarebbe impedito nel suo agire libero, ). Aristotele interpreta la tesi anassagorea in termini conoscitivi: la condizione affinch lintelletto possa conoscere di non essere mescolato al resto, ossia tutte le cose devono essere da esso distinte. Tra laltro Aristotele opera una forte connessione tra conoscere e potere (" perch domini, ossia perch conosca ", 429 a 18), in virt della quale chi conosce una cosa in grado di padroneggiarla, mentre chi la ignora ne padroneggiato. Sembra dunque chiaro che il , quella funzione con cui lanima intellettiva pensa e conosce, non alcuno degli enti intelligibili prima di pensarli: solo pensandoli che fa tuttuno con essi (diventa cio conoscenza in atto delluniversale). Aristotele conclude che, se le cose stanno cos, non ragionevole ritenere che lintelletto sia mescolato con il corpo, poich altrimenti si troverebbe a subire le propriet corporee (diverrebbe cio caldo, freddo, ecc) e disporrebbe a sua volta di un organo percettivo per percepire le qualit. Sotto questo profilo, lo Stagirita si sente pi vicino ai Platonici piuttosto che ai Presocratici, i quali avevano identificato lintelletto con la percezione: i Platonici, dal canto loro, " sostengono che lanima il luogo delle forme, solo che tale non lintera anima, ma quella intellettiva, ed essa non in atto, ma in potenza le forme " [429 a 27]. Per Aristotele vero quanto han sostenuto i Platonici, ossia che le idee han sede nellanima, ma bene chiarire meglio in che senso, poich non corretto in tal caso parlare di "anima" in generale; laffermazione platonica va ristretta solo allanima intellettiva, in cui le idee risiedono potenzialmente (non sono cio gi tutte presenti, per cui si tratta di risvegliarle, come invece credeva Platone). Fatta questa precisazione, Aristotele affronta il problema dell della funzione sensitiva e intellettiva: tale (letteralmente "assenza di passioni") non va ugualmente intesa per le due funzioni, e per meglio chiarire questo punto, il filosofo adduce un esempio. Quando percepiamo coi sensi un qualcosa di eccessivamente forte, la nostra facolt percettiva viene quasi a cessare: " il senso non in grado di percepire dopo lazione di un sensibile troppo intenso " [429 b]. Cos, dopo aver udito un rumore troppo forte, le nostre orecchie non sentono pi per un po di tempo; dopo aver visto una luce troppo intensa, i nostri occhi cessano di vedere per qualche minuto. Per per le operazioni intellettive avviene lopposto: se conosco nozioni intensissime, ci non mi impedisce di conoscerne altre meno intense; anzi, le conoscer ancora meglio, perch la mia facolt intellettiva si acuita: " lintelletto, quando ha pensato qualcosa di molto intelligibile, non meno, ma anzi pi capace di pensare gli intelligibili inferiori, giacch la facolt sensitiva non indipendente dal corpo, mentre lintelletto separato " [429 b 3]. Il procedere opposto di intelletto e percezione testimonia, secondo Aristotele, che lintelletto una funzione separata dal corpo, la percezione no. A questo punto, il filosofo greco introduce il problema della possibilit dellintelletto di conoscere se stesso: poich esso conosce tutti gli intelligibili in atto, allora pu pensare se stesso. Cosa significa? Probabilmente - non sicuro - che in grado di conoscere se stesso come conoscente le nozioni universali intelligibili. Su questo punto, comunque, Aristotele torner ancora allinterno della trattazione dellanima. Egli ritiene opportuno specificare le caratteristiche di questi oggetti intelligibili, per meglio differenziarli da quelli sensibili: conduce unanalisi soprattutto in riferimento a due classi, quella degli oggetti fisici e quella degli oggetti matematici. Come esempio di oggetto fisico, prende la carne: essa percepibile mediante i sensi, e, rispetto alla sua materialit, possiamo distinguere la sua essenza; si dovr dire che lessenza della carne , a sua volta, un pezzo di carne? No, evidente. E, al contrario, una nozione universale che esula dalla materia, ed la forma che fa s che essa sia, effettivamente, carne e non qualcosaltro. Questa

distinzione aristotelica avr gran successo: ancora Heidegger, nel Novecento, dir in apertura del suo scritto sulla tecnica che un conto la tecnica, un conto lessenza della tecnica. Come esempio di oggetti matematici, possiamo considerare invece i numeri: anchessi hanno - come la carne - una materia, ma si tratta di una "materia intelligibile". Prendendo come riferimento una linea, si pu infatti notare come essa abbia una sua forma (la linearit), ma anche una sua materia (lessere caratterizzata dal continuo, che le permette di essere infinitamente divisibile). Ritornando allesempio della carne, con la percezione sensibile che conosciamo i pezzi di carne, mentre con la conoscenza intellettuale ne conosciamo lessenza, ossia veniamo a conoscere che cosa sia la carne in generale. " Poich sono diverse la grandezza e lessenza della grandezza, come lacqua e lessenza dellacqua (e ci vale per molti altri casi, bench non per tutti, giacch in alcuni essi sidentificano), il soggetto giudica lessenza della carne e la carne o con qualcosa di diverso o con qualcosa che si trova in una diversa condizione. Infatti la carne non esiste senza la materia, ma, come il camuso, una determinata forma in una determinata materia " [429 b 11]. Chi "distingue" () carne ed essenza di carne distingue tra materia ed essenza: con la facolt percettiva giudica il caldo e il freddo, e tutte le qualit delle quali la carne rapporto proporzionale, mentre con unaltra facolt (cio con lintelletto) discrimina lessenza della carne, priva della possibilit di essere calda, fredda, ecc. Passiamo allesempio degli oggetti matematici: a riguardo, Aristotele parla di " enti ottenuti per astrazione " [429 b 19], dove la parola "astrazione" in greco , che letteralmente significa "sottrazione". Come si origina questa astrazione/sottrazione? A partire dagli enti fisici: quando del tavolo materiale che mi sta dinanzi considero solo alcuni aspetti (ad esempio la superficie), prescindendo da altri. Sottraendo dal tavolo gli aspetti materiali, i colori, la temperatura, ecc, ottengo il concetto di rettangolo. Ci comporta che il rettangolo, di per s, non esiste (come invece credeva Platone); bens esistono oggetti fisici rettangolari; lo stesso discorso vale per i numeri: non esiste il "tre" in s, bens esistono gruppi di tre tavoli, di tre sedie, ecc. In questo modo, sar dunque possibile distinguere tra retta del tavolo sensibile ed essenza del rettangolo: la prima conosciuta coi sensi, la seconda con lintelletto. " Inoltre, nel caso degli enti ottenuti per astrazione, la retta analoga al camuso (perch unita al continuo), mentre la sua essenza, se lessenza della retta diversa dalla retta, qualcosa di differente, e potrebbe essere la diade " [429 b 21]: in che senso potrebbe essere la diade, ossia due punti? Secondo Aristotele, posso distinguere una retta da una superficie in base ai punti: collegando due punti ottengo una retta; collegandone tre, ottengo invece una superficie. Il che fa supporre che secondo lo Stagirita laritmetica sia prioritaria rispetto alla geometria, poich - secondo linsegnamento pitagorico - alluno corrisponde un punto, al due due punti (e quindi una retta), al tre tre punti (e quindi una superficie), al quattro quattro punti (e quindi un solido). Se ne trae la conclusione che la carne e la retta non esistono separati dalla materia cui ineriscono, in quanto separati da essa diventano intelligibili e, dunque, conoscibili solo dallintelletto. Il paragrafo si chiude con due aporie, che Aristotele prova a superare: la prima deriva dallammissione che lintelletto non subisca azioni, la seconda dallammissione della possibilit dellintelletto di conoscere se stesso. " Qualora lintelletto sia semplice e impassibile, e non abbia nulla in comune con alcunch, come afferma Anassagora, in che modo penser, se il pensare una sorta di subire? " [429 b 24]: se lintelletto non mescolato alla realt, allora come fa a pensare, se il pensare subire lazione degli oggetti intelligibili? Non vuol forse significare che tra intelletto e intelligibili non v nulla in comune? La seconda aporia viene cos formulata dallo Stagirita: " lintelletto esso stesso intelligibile? ". La difficolt a sua volta, si articola in due corni: o vengo a dire che lintelletto intelligibile di per se stesso, indipendentemente dagli oggetti con cui ha a che fare; in questo caso, ci sar solo un tipo di intelligibile e allora - conseguenza assurda ogni intelligibile sar a sua volta intelletto. Oppure lintelletto conosce se stesso come conosce le altre cose, ossia mediante unaffezione corporea: ma in questo caso, esso sar mescolato con il corporeo, il che in contraddizione con la tesi di partenza. La soluzione proposta da Aristotele a queste problematiche poggia ancora una volta sulla distinzione tra potenza e atto: lintelletto gli oggetti intelligibili, ma solo in potenza, mentre in atto un intelligibile solo se pensa quel determinato intelligibile; per farsi meglio capire, Aristotele ricorre al paragone - desunto dal "Teeteto" platonico - con la tavoletta di cera: la tavoletta di cera , potenzialmente, tutti gli oggetti che le saranno impressi; allo stesso modo, lintelletto pu potenzialmente ricevere tutti gli intelligibili, ma finch essi non vengono effettivamente ricevuti, non li possiede (a differenza della concezione platonica, per cui son gi tutti presenti e si tratta solo di risvegliarli). Ne consegue che lelemento comune tra intelletto e intelligibili - elemento che consente un rapporto fra le due realt - la loro potenzialit: infatti, lintelletto pu conoscere gli intelligibili, e questi possono essere conosciuti dallintelletto; ci comporta che lintelletto pu solo subire unazione, cio il passare da in potenza a in atto, e ci avviene grazie allintervento degli intelligibili. Risolta in questo modo la prima aporia, Aristotele passa alla risoluzione della seconda: lintelletto esso stesso conoscibile intellettualmente allo stesso modo in cui sono conoscibili tutti gli oggetti intelligibili. Infatti, colui che pensa e loggetto pensato vengono inevitabilmente a coincidere in atto, facendo un tuttuno. Sicch si pu affermare che la conoscenza delluniversale X coincide con luniversale X stesso (solo mentalmente possono essere distinte le due cose). Negli oggetti dotati di materia, invece, gli intelligibili (la nozione universale di tavolo, di sedia, di uomo, ecc) sono presenti solo potenzialmente, sono conoscibili solamente grazie ad unoperazione intellettuale che prescinda dalla materia astraendo. Di conseguenza, si evita lassurdit pocanzi proposta, quella cio della coincidenza dellintelletto con gli intelligibili, per cui ogni intelligibile sarebbe esso stesso lintelletto, ossia quella facolt che fa conoscere gli intelligibili senza far riferimento alla materia. Come abbiamo accennato, lintelletto pu conoscere se stesso come dotato di facolt di conoscere gli intelligibili: ma i problemi non sono finiti. Infatti, dopo aver prospettato e risolto le due aporie, Aristotele tratta, nel paragrafo successivo, un problema intorno al quale prolifereranno innumerevoli scritti nel corso della storia (da Alessandro di Afrodisia a Simplicio, da Filopone ad Averro a Pomponazzi). Infatti, sembra che Aristotele, distinto lintelletto in atto da quello in potenza, introduca la nozione di intelletto , "produttivo". Questa dottrina viene esposta in maniera criptica e sintetica, ma, ciononostante, si evince come esso non sia una prerogativa dei singoli individui, ma un qualcosa di unico per tutta la specie umana (per tutti gli uomini passati, presenti e futuri). C anche stato chi ha letto nellintelletto attivo la divinit stessa. Entrambe le interpretazioni concordano sul fatto che Aristotele riconosca in questintelletto produttivo (e non in quello di cui son dotati i singoli) la prerogativa dellimmortalit: ci si ricondurrebbe, in qualche modo, allimpianto generale della filosofia aristotelica, secondo la quale a poter partecipare delleternit sono non i singoli, ma le specie; lintelletto passivo di cui ciascuno di noi dotato sarebbe dunque destinato a perire; mentre quello produttivo, comune a tutta la specie, dovrebbe perdurare in eterno. Aristotele, nellanalizzare lintelletto, fa notare come tutto ci che appartiene alla natura abbia determinate caratteristiche, tra le quali rientra lavere una materia propria; essa , potenzialmente, un mare magnum di cose (il marmo, infatti, potenzialmente tutte le cose che col marmo possono essere create). Ma, accanto a questa causa materiale, c quella che lo Stagirita chiama causa "produttiva" (), o "efficiente", come la chiama nella "Fisica". Essa, rispetto alla materia, produce tutte le cose che sono in potenza nella materia, cosicch la statua di marmo causa produttiva che fa s che dal marmo derivino tutti gli oggetti possibili che possono essere fatti col marmo. Sotto questo profilo, la natura e lattivit tecnica procedono in maniera analoga, cio attraverso la materia e la generazione di effetti: ma questo stesso discorso vale anche per lanima, dove sar possibile trovare una causa produttiva. Applichiamo ci allintelletto: al concetto di materia corrisponde quello di potenza, sicch la materia dellintelletto - cio lanalogo del marmo - sar lintelletto potenziale, analogo alla materia nel senso che potenzialmente tutte le cose (cio tutte le nozioni intelligibili). Il grosso problema che si deve affrontare che, accanto alla materia, deve esserci una causa produttrice, un intelletto che ad essa corrisponda. Quale ? Aristotele , in questo caso, pi criptico del previsto e, per chiarire la differenza tra intelletto produttivo e intelletto potenziale, asserisce - memore della metafora impiegata da Platone nella Repubblica - che lintelletto produttivo una luce, poich anche " la luce rende i colori che sono in potenza in atto " [430 a 17]. La luce ci che fa s che i colori - potenzialmente visibili - siano effettivamente visti in atto; e cos che svolge mansioni analoghe alla luce nella sfera intelligibile? Per Platone era la verit; da Aristotele - giacch non esistono idee come esseri universali a s stanti - questa funzione della luce attribuita allintelletto produttivo, una sorta di luce che permette alle nozioni intelligibili di essere conosciute in atto. Ma qui cominciano a nascere le prime difficolt; prima fra tutte: che cos questo intelletto produttivo? Chi ce lha? E - risponde lo Stagirita - un intelletto separabile, o, meglio, separato () dal corpo, impassibile (cio non subisce azioni), non mescolato, essendo "atto per essenza". Il suo modo di essere specifico di essere in atto, ossia non in potenza: eppure finora Aristotele parlava dellintelletto come capace di passare da potenza ad atto; per argomentare che invece questintelletto produttivo in atto e che il principio superiore () alla materia, fa una scala gerarchica di valori, in virt della quale ci che fa superiore a ci che subisce, ossia la causa superiore alleffetto. Si tratta di una gerarchia destinata a godere di grande fortuna (sar la base per la dimostrazione dellesistenza di Dio in et cristiana), anche se - a rigore - molto discutibile. Tuttavia bene notare come Aristotele, in questo passo del "De anima", non menzioni mai la divinit: ciononostante, alcuni suoi interpreti (soprattutto Alessandro di Afrodisia), chiedendosi che cosa fosse tale intelletto che non pu appartenere ai singoli (poich il singolo uomo non conosce tutti gli intelligibili e per di pi in atto),

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arrivarono a collegare questo capitolo del "De anima" al XII della "Metafisica", in cui vi unampia trattazione del tipo di vita condotto dalla divinit. Nel XII libro della "Metafisica" (come forse nellultimo della "Fisica"), infatti, Aristotele ammette un primo motore da cui dipendono tutti i movimenti dei corpi celesti (e indirettamente tutti gli altri movimenti esistenti). Tale motore immobile, che muove senza esser mosso, non pu, ovviamente, essere una sostanza come le altre, costituito di potenza e di atto, giacch, se fosse dotato di potenza, sarebbe esso stesso suscettibile di essere mosso e di esser fatto passare da potenza ad atto. Se invece immobile, allora non pu subire questo passaggio, sicch solo atto, atto puro. Da ci, Alessandro di Afrodisia ricavava che lintelletto produttivo altro non se non lintelletto di Dio, anche perch nel XII libro della "Metafisica" Aristotele stesso caratterizzava lattivit specifica della divinit come attivit di pensiero (), come pensante in atto (pensiero di pensiero, ). Ma allora a far passare da potenziale ad attuale lintelletto umano tale intelletto produttivo, per cui ogni nostro atto conoscitivo comporta lattivit dellintelletto divino: questa una teoria destinata ad avere grande successo - soprattutto grazie alla mediazione neoplatonica - in et cristiana, quando si parler di illuminazione divina. Del resto, anche Aristotele ripete spesso che la causa che fa s che i nostri sensi passino dalla potenza allatto il sensibile in atto, cio un oggetto esterno; similmente, a far passare da potenza ad atto il nostro intelletto potrebbe essere un intelligibile in atto, cio Dio (lintelletto in atto fa tuttuno con lintelligibile in atto). Laltra possibile strada interpretativa quella che identifica lintelletto produttivo con lintelletto della specie umana, intelletto che non potrebbe perire perch le specie per Aristotele sono eterne: cos comesse sono eterne, cos sono eterne anche le loro prerogative, nel cui novero rientra anche la razionalit. Ne consegue che a perire saranno il singolo uomo e il suo intelletto, ma non lintelletto della specie umana, e allora - come diranno i filosofi Arabi, primo fra tutti Averro - tale intelletto produttivo sar unico, giacch unica la specie umana. Aristotele, dal canto suo, cerca di spiegare la priorit dellintelletto in atto su quello in potenza dicendo che la conoscenza in atto identica alloggetto (poich esso intelligibile in atto), mentre quella in potenza anteriore nel tempo per lindividuo (un neonato possiede potenzialmente la conoscenza di ogni cosa, sicch la potenza sta prima rispetto allatto). Per che la potenza venga prima dellatto valido solo per il singolo (il caso del neonato, ad esempio): da un punto di vista generale (, dice Aristotele), lanteriorit invertita, latto sta prima della potenza, cosicch la gallina (essere compiuto) vien prima delluovo (gallina in potenza), giacch questultimo necessita di una gallina in atto che lo covi (ci significa che ci che in potenza, per passare in atto, ha sempre bisogno di qualcosa gi in atto). Lo stesso discorso vale per lintelletto: in generale, c priorit dellatto rispetto alla potenza anche al livello dellintelletto; ma questintelletto in atto "non che talora pensi e talora no" (come accade al singolo uomo, che ora pensa, ora dorme, ora mangia, ecc); al contrario, lintelletto produttivo sempre in atto, ed il solo intelletto immortale () ed eterno (), non perisce col singolo individuo, anche se qualche rapporto con esso deve necessariamente intrattenerlo, per far s che pensi in atto. A tal proposito, lo Stagirita afferma curiosamente che noi non ci ricordiamo del fatto che questintelletto immobile ed eterno, poich non subisce azioni; questo perch il nostro intelletto passivo (cio ricettivo di forme) corruttibile. Cosa pu voler quindi dire che con la morte dellindividuo questintelletto si separa dal contesto in cui si trova e rimane nella sua essenza a s stante? E difficile capirlo: sembra per chiaro che lesistenza del singolo cessa con la morte; e se non ci fosse tale intelletto produttivo non ci sarebbe nulla che pensa : "senza questo non c nulla che pensi", ma Aristotele non specifica a che cosa si riferisca "questo", sicch per alcuni riferito allintelletto produttivo, per altri allintelletto passivo (ma allora ne segue che lintelletto produttivo non pensa nulla se non in connessione a quello passivo, ossia Dio pensa attraverso i singoli uomini). Subito dopo, Aristotele affronta il problema tra conoscenza ed azione, e, ancora dopo, ribadisce con fermezza che gli enti sono dotati delle facolt psichiche perch ci obbedisce al finalismo della natura, e senza di esse non sopravviverebbero. Prima di toccare questi due punti, tuttavia, lo Stagirita si sofferma sullintellezione delle nozioni indivisibili, cio il punto, la diagonale, lincommensurabilit , il bianco. Si tratta di nozioni indivisibili in quanto pensate istantaneamente, senza bisogno di mediazioni e fuori dal tempo. Su questi concetti, non ci si pu mai sbagliare, cos come la vista non sbaglia mai nel percepire i colori: lerrore nasce invece nella , ossia quando si collegano gli indivisibili in unaffermazione (ad esempio, la diagonale del quadrato incommensurabile col lato del quadrato) o in una negazione (ad esempio, la diagonale del quadrato non incommensurabile col lato del quadrato); infatti evidente - nel caso dellincommensurabilit di cui ci siamo serviti - che laffermazione vera, la negazione falsa. Ora, lintelletto che produce (e qui sta il riaggancio con il discorso sullintelletto produttivo) probabilmente lintelletto produttivo, eterno e proprio della specie umana. Detto questo, Aristotele passa al raffronto tra conoscere ed agire: dopo aver ribadito che la conoscenza in atto fa tuttuno con loggetto conosciuto, egli cerca di descrivere il meccanismo psichico che presiede allagire umano. Quando loggetto percepito piacevole o doloroso, lanima non si limita a conoscerlo, bens lo cerca (se piacevole) o lo evita (se doloroso), il che serve a spiegare la locomozione degli animali. Perch ci avviene? Aristotele paragona latto con cui si persegue o si evita una cosa a due operazioni mentali: laffermazione e la negazione; chiaro che lattivit percettiva colpisce il soggetto che la esercita, nel senso che mettendolo in rapporto con gli oggetti ci si configurano come positivi o negativi, ricercabili o evitabili. Entrambi, per, (perseguire ed evitare) si identificano, poich implicano il riferimento ad ununica facolt, l ("tendenza"); il tendere ad una cosa e levitare una cosa sono dunque le due facce della stessa medaglia . Ma solo la percezione sensibile a stare alla base della ? A questo punto, Aristotele mobilita tutte le sue analisi precedenti, e spiega che anche le immagini () e i pensieri generano l (ho in testa limmagine del cibo e, in base a ci, mi muovo tendendo ad esso): "nellanima razionale le immagini sono presenti al posto delle sensazioni, e quando essa afferma o nega il bene o il male, lo evita o lo persegue" [431 a 15]. Ci significa che queste operazioni psichiche hanno contenuto proposizionale: ossia, ogni atto in qualche misura frutto di un pensiero. E allora come si spiega lagire degli animali? Anche Crisippo, nellambito dello stoicismo, si porr un problema analogo, a cui dar risposta con lesempio del cane allinseguimento della preda: quandesso arriva ad un trivio, servendosi del suo fiuto, scarta la prima e la seconda strada poich fiuta che l non passata la preda, scegliendo in tal modo la terza strada. Ci implica per un ragionamento tramite proposizione: o A, o B, o C (premessa disgiuntiva); ma n A n B; conclusione: dunque C. Anche il cane, a suo modo, ragiona tramite sillogismi; Aristotele arriva a dire analogamente che "lanima non pensa mai senza unimmagine". Dunque, la facolt intellettiva pensa nelle immagini, e cos lo Stagirita lancia le premesse del sillogismo pratico. Un esempio di sillogismo pratico pu essere il seguente: la carne bianca cura quella determinata malattia; Socrate affetto da tale malattia; allora egli ha bisogno di quella carne; conclusione: vado in cerca di quella carne, allo scopo di guarirlo. Si tratta evidentemente di una conclusione che induce ad agire (ed dunque un sillogismo di valenza pratica). La stessa facolt intellettiva svolge adeguatamente la sua attivit grazie alle immagini, ricavandone gli universali; a tal proposito, lo Stagirita dice: " la facolt intellettiva pensa le forme nelle immagini, e come in quelle forme si determina per essa loggetto da perseguire o da evitare, cos, al di fuori della sensazione, quando si rivolge alle immagini, mossa" [431 b 2]. La facolt intellettiva pu condurre al movimento lessere animato anche quando non c la percezione sensibile, ma solo grazie allimmagine, come chi vede la torcia accesa in movimento capisce che c un nemico nelle vicinanze. Ci pu aver luogo anche solo con immagini: lintelletto in grado di prevedere cosa sar in futuro a partire dalle immagini di cui dispone al momento. In questo modo, ho limmagine del cibo e, in base a ci, penso a che fare per procurarmelo. Dunque il movente ci che bene o ci che appare bene; da evitarsi il contrario. Sussiste quindi un parallelismo tra bene/male e vero/falso: dal punto di vista teoretico, lintelletto fa riferimento al vero e al falso, ma dal punto di vista pratico si riferisce invece al bene e al male. Bene/male e vero/falso sono in tal modo strettamente connessi, ma nonostante ci vi unimprescindibile differenza che li separa: " i primi due (vero e falso) hanno valore assoluto, mentre gli altri (bene e male) sono relativi a qualcuno" [431 b 13]. Infatti, una proposizione vera, lo per chiunque, sempre e ovunque (con ci Aristotele respinge il relativismo protagoreo): ma si pu dire che una cosa sia buona per tutti, sempre, ovunque? O bisogna piuttosto tener conto dei vari individui, delle circostanze, dei tempi? E Aristotele incline a prediligere la seconda strada: nell"Etica Nicomachea" centrale la nozione di virt, ossia quella determinata disposizione a compiere certe azioni, coraggiose nel caso in cui si possegga la virt del coraggio. Il che comporter che sar virtuoso quando in frangenti terribili sapr scegliere il giusto mezzo rispetto alla vilt e alla temerariet. Ma occorre chiedersi se questo giusto mezzo sia determinabile in maniera univoca per tutti: certo che no, dice Aristotele; al contrario, bisogna tenere in considerazione le circostanze, poich un conto esser coraggiosi da soli contro tanti nemici, un conto essere coraggiosi quando si in tanti, un conto essere coraggiosi in una situazione poco pericolosa, un conto esserlo in una situazione pericolosissima. Oltre alla situazione, si deve tener anche conto delle peculiarit dellindividuo: per rendere meglio lidea, Aristotele nota come non sia possibile dare a tutti lo stesso tipo di dieta, poich la giusta quantit di cibo da somministrare varia da individuo ad individuo. La stessa cosa vale per il bene e per il male, su cui Aristotele si sofferma in questa parte del "De anima": un qualcosa di relativo al singolo individuo, poich si tratta di una scienza non del necessario (come invece pu essere quella dei corpi celesti), ma del possibile (gli uomini possono fare o non fare certe cose), cio

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scienza di ci che pu essere diversamente da come . Subito dopo aver chiarito il parallelismo tra bene/male e vero/falso, Aristotele afferma che lanima in certo modo () tutti gli enti (): forse con ci egli intende dire che lanima pietra, animale, pianta, e cos via? Sarebbe unevidente assurdit se cos fosse, come credeva Heidegger. Linterpretazione che d Heidegger , sotto questo profilo, un sorprendente fraintendimento: egli parla addirittura di una sorta di panteismo aristotelico. In realt, lo Stagirita vuol semplicemente dire che la forma di tutti gli enti, nella misura in cui sono percepibili, viene accolta dallanima che li percepisce: cos, nel momento in cui percepita la pietra, lanima fa tuttuno con la forma della pietra (e ci vale anche per gli intelligibili). Per questo motivo, Aristotele paragona lanima alla mano, la quale - come sappiamo lo strumento peculiare delluomo, , ossia lo strumento con cui luomo pu usare gli altri strumenti (impugnare un bastone, costruire qualcosa, ecc). Anche lanima, dal canto suo, come uno strumento degli strumenti, ci che con la sua facolt rende possibile far uso delle forme sensibili e intelligibili degli oggetti. Tuttavia, gli oggetti intelligibili si trovano sempre nelle forme sensibili (e non autonomamente, come credeva Platone), che possono persistere nellanima sotto forma di immagini: ci vale sia per gli oggetti ottenuti per astrazione (gli enti matematici), sia per i sensibili, e ci conferma come per Aristotele la conoscenza intellettuale non possa avvenire a prescindere dallimmaginazione. Ci, a sua volta, distingue ancora pi marcatamente il nostro intelletto da quello produttivo: "per questo motivo, se non si percepisse nulla non si apprenderebbe n si comprenderebbe nulla, e quando si pensa, necessariamente al tempo stesso si pensa unimmagine. Infatti le immagini sono come le sensazioni, tranne che sono prive di materia" [432 a 7]. Ma anche la conoscenza divina deve partire dalla sensazione? No, dice Aristotele: altrimenti la divinit sarebbe corporea (come quella che ammetteranno gli Stoici e, successivamente, Hobbes); ma, essendo incorporea, conosce gli intelligibili in atto, mentre luomo deve partire dalle percezioni (se non percepisse, non conoscerebbe assolutamente nulla). Lo Stagirita precisa per perch ci che avviene nellimmaginazione non del tutto analogo a ci che avviene nelle operazioni intellettuali: "limmaginazione diversa dallaffermazione e dalla negazione, poich il vero o il falso consiste in una connessione di nozioni" [432 a 10]. Aristotele sta qui affermando che il vero e il falso consistono in una connessione di pensieri (la nozione di diagonale a quella di incommensurabile): ne consegue che vero e falso non stanno nelle singole nozioni (x, y, a, ), ma nelle loro connessioni (x a, y non x, ). Cos, nel caso della nozione di diagonale e di incommensurabile: ciascuna delle due nozioni , di per s, vera; lerrore pu nascere quando le connetto, quando dico che la diagonale non incommensurabile, anzich dire che lo . Come si lega tutto ci al meccanismo dellazione? E al fatto che lazione comporta una possibilit locomotoria? Aristotele richiama ora una nozione comune di anima, con propriet comuni: tali propriet sono essenzialmente due (gi discusse nei primi capitoli dellopera), lessere in grado di discriminare tra le cose grazie alla sensazione o allintelletto e la capacit locomotoria. Che cos dunque questo principio motore che presente nellanima? Si possono enunciare una serie di alternative: una singola parte dellanima? E questa parte separabile dal resto solo mentalmente, o addirittura come una grandezza distinta (Aristotele ha qui in mente la tripartizione platonica per cui nella testa risiede lintelligenza, nel petto limpulso, nei visceri gli appetiti). Oppure si tratta dellintera anima che compie tutte le sue funzioni? E qualora sia una parte, una parte speciale, o si identifica con una delle parti solitamente riconosciute? Appena individuata questa mappa di difficolt, lo Stagirita enuncia subito un problema da affrontare: lecito usare lespressione "parti" quando si parla dellanima? Perch ci potrebbe indurre a pensare che lanima sia unentit e, in quanto tale, dotata di materia e forma e divisibile in parti. Ora Aristotele ha definito lanima come atto di un corpo che ha la vita in potenza, forma delle forme, analogo della mano: pu dunque esser corretto parlare di parti di una forma, quale appunto lanima? Se ne evince che chi ha parlato di parti dellanima avrebbe fatto meglio a parlare di funzioni (). E quante sono tali funzioni? Da un certo punto di vista sembrano infinite, giacch ogni azione di un corpo animato potrebbe essere attribuita ad una specifica funzione; Aristotele stesso, nell "Etica Nicomachea", distingue tra funzione razionale e funzione irrazionale dellanima. Se parliamo di parti, ci si trova costretti ad introdurne tantissime, fra le quali anche quella in base a cui ci si muove. A rigore, la stessa facolt nutritiva dovrebbe essere una parte, e cos anche la sensitiva, limmaginativa, lappetitiva (cio il tendere o levitare), e cos via. Se accettiamo la tripartizione platonica, poi, dobbiamo ammettere che la sia presente in ciascuna di esse. Cos che fa muovere lanimale? Pare da escludersi che sia la funzione nutritiva, poich le piante, pur essendone provviste, non si muovono. La locomozione - spiega Aristotele - un movimento orientato verso unazione che pu essere intesa come lo scopo verso cui tende quellazione stessa: proprio il III libro del "De anima" si chiude con una considerazione di tutte le categorie psichiche analizzate in vista di un fine. E il movimento che tende ad un fine si accompagna allimmaginazione e alla tendenza, dice Aristotele: al che si potrebbe obiettare che anche le entit inanimate si muovono (pensiamo alla pietra lasciata cadere); per si muovono sempre in una direzione privilegiata, verso il loro luogo naturale (lalto per il fuoco, il basso per la pietra, ecc). Dunque, gli enti inanimati si muovono in qualche modo, hanno una loro direzione (ossia un loro fine), ma, raggiunta tale direzione, non si muovono pi, a meno che non intervengano agenti esterni (pensiamo alla pietra caduta a terra: l resta finch qualcuno non la smuove). Negli animali e negli uomini, invece, il muoversi dipende dallimmaginazione e dalla tendenza, in vista di qualcosa: Aristotele menziona limmaginazione e la tendenza, ma non la percezione sensibile, poich consapevole dellesistenza di molluschi dotati della percezione sensibile ma incapaci di muoversi (ne consegue che non la percezione ad essere il principio del muoversi). Lo Stagirita compie a questo punto unaltra operazione: scartata la possibilit che siano la funzione sensitiva e quella nutritiva ad essere principio del movimento, esclude ora anche che possa essere la funzione intellettiva, considerando lintelletto sotto tre diverse prospettive. "Infatti lintelletto teoretico non pensa nulla di ci che oggetto dellazione, e nulla dice su ci che si deve evitare e perseguire, mentre il movimento sempre proprio di un essere che evita qualcosa o persegue qualcosa" [432 b 28]. In questo spaccato, Aristotele esclude che appartengano allintelletto teoretico le cose che sono oggetto dellazione umana ( ; nell "Etica Nicomachea" egli dice che le "scienze teoretiche" (filosofia, fisica, matematica) hanno per oggetto ci che avviene sempre necessariamente allo stesso modo, facendo notare come invece lambito dellagire umano sia il regno del possibile e della libert (ho agito cos, ma potevo agire diversamente). Non dipende dunque dallintelletto il tendere o levitare qualcosa. Ma Aristotele ammette per assurdo che lintelletto prenda in considerazione : ebbene, nemmeno in questo caso possiamo dire che la sua funzione sia di prescrivere di evitare o di perseguire qualche cosa: posso infatti provare paura per qualcosa anche se lintelletto mi prescrive di non averne paura. Ma ammettiamo ancora che lintelletto ordini e prescriva comandi, dicendo cosa perseguire e cosa evitare: anche in questa eventualit, il movimento che faccio non conforme alle prescrizioni dellintelletto; magari esso mi impone di non mangiare qualche cosa, ma io la mangio ugualmente (cos Ovidio dice "video meliora, probo, deteriora sequor"). Un altro esempio che pu chiarificare quello della scienza medica: chi ne in possesso, non sempre la esercita e, soprattutto, non la scienza medica stessa ad imporgli di esercitarla. Escludendo che il movimento dipenda dallintelletto, pare che ci si trovi costretti a considerarlo appannaggio della sola funzione appetitiva: ma Aristotele smentisce questa ipotesi, con un ragionamento analogo a quello intavolato per sconfessare la possibilit che il movimento dipendesse dallintelletto: ho voglia di bere, ma lintelletto mi prescrive di non bere, perci io non bevo. Le cause del movimento devono essere rintracciate nella e nellintelletto pratico (connesso allazione): proprio questultimo era stato in precedenza escluso da Aristotele, ma ora viene riabilitato e ricopre una funzione di primaria importanza. La tendenza e lintelletto pratico, infatti, rinviano direttamente alla funzione appetitiva. Ma, concretamente, lintelletto pratico in che modo muove? "In ogni caso evidente che le cause del movimento sono queste due: la tendenza, oppure lintelletto, se si considera limmaginazione una specie di pensiero". In questottica, lintelletto pratico causa il movimento solo nella misura in cui connesso alla : e del resto gli animali non hanno pensiero, e perfino molti uomini agiscono non in base ai dettami del pensiero, ma delle immagini. Da ci consegue che il pensiero muove solamente se connesso ad immagini. Aristotele nota come ogni nostra singola azione, anche la pi banale, sia direzionata al compimento di un fine: lo stesso intelletto teoretico ha un suo fine, ed il conoscere per il conoscere. Loperare dellintelletto pratico invece finalizzato allazione. Questa bipartizione netta fra intelletto pratico e intelletto teoretico verr ribadita da Kant, il quale distinguer appunto tra una funzione pratica della ragione e una funzione "pura". Perfino le tendenze mirano sempre a qualcosa di definito, in particolare all , "loggetto della tendenza", identificantesi con ci che o appare bene. E a questo punto Aristotele fa unaffermazione difficile da interpretare: "ma anche ogni tendenza in vista di qualcosa, giacch loggetto della tendenza il punto di partenza dellintelletto pratico, e lultimo termine il punto di partenza dellazione" [433 a 15]. Ci significa che, muovendo da quel determinato punto di partenza, lintelletto pratico conduce un ragionamento (sillogismo pratico), il quale il punto di partenza dellazione pratica; sicch lintelletto pratico e la tendenza rimandano a qualcosa di comune, cio la funzione appetitiva. Perfino limmaginazione muove grazie alla tendenza. Se infatti fossero due le cause motrici (intelletto pratico e tendenza), muoverebbero con una causa comune, la facolt appetitiva. Aristotele arriva alla conclusione che " sempre loggetto della tendenza a muovere". E quando egli dice che loggetto della tendenza ci che bene o sembra

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tale, opera una fondamentale distinzione tra bene teoretico e bene pratico. Infatti, il bene oggetto della tendenza un bene assolutamente pratico, privo di connotazioni teoretiche (non insomma il "Bene in s" di cui parlava Platone). E gli ingredienti che caratterizzano e rendono possibile il movimento sono tre: a) ci che muove; b) ci con cui muove; c) ci che mosso. Il primo anello della catena costituito dal motore: si tratta di un anello duplice, giacch ci che muove pu muovere o perch esso stesso in movimento ( il caso della palla da biliardo che ne muove unaltra) o perch non si muove ma agisce come causa finale, come obiettivo del mio muovermi (mi muove perch quel fine buono: il caso di Dio). La facolt appetitiva fa parte di quelle cause che muovono essendo mosse: si tratta di uno stato di potenzialit, poich tendo a qualcosa solo se c qualcosa che mi induce ad appetire e a muovermi. Ci che mosso lanimale, attraverso il corpo: ovviamente, sono sempre enti corporei a muoversi (e allo studio del movimento Aristotele dedica il suo scritto "De motu animalium"). Aristotele, nei suoi scritti zoologici, ma anche (rapidamente) nel "De anima", studia con attenzione ed interesse anche la locomozione degli animali pi imperfetti (ad esempio i vermi), dotati esclusivamente del tatto, per poi passare allindagine attenta del sillogismo pratico, nella sua struttura. Che cos che fa muovere i vermi, gli insetti e gli altri animali pi semplici? Anche in essi la causa limmaginazione congiunta al desiderio? Per quel che riguarda il desiderio, Aristotele si mostra favorevole a rispondere affermativamente, perch anche questi esseri viventi provano dolore e piacere, e quindi hanno desiderio ( , "tendenza al piacere", non , la quale ha come oggetto il bene). Il desiderio, pertanto, causa del movimento di questi esseri animati. Ma sul fatto che anche limmaginazione possa essere causa del loro movimento, Aristotele si rivela pi scettico. Si pu essere portati ad immaginare che anche limmaginazione sia in essi pi semplice e imperfetta, ma Aristotele sembra addirittura non ammetterla. Infatti, limmaginazione deliberativa (che induce a prendere decisioni sulla base di immagini) propria delluomo, limmaginazione in generale propria degli animali complessi: e cos ci che diceva Crisippo sulla capacit di ragionare da parte degli animali, per Aristotele vale solamente al livello delluomo. Questo perch gli animali, in quanto sprovvisti di ragione, non posseggono opinioni, cosicch in essi la tendenza non implica la facolt deliberativa. Detto questo, Aristotele analizza quello che negli scritti etici designa come "sillogismo pratico", dove il sillogismo quel ragionamento che concatena tre proposizioni (due premesse, una conclusione). Lo definisce "sillogismo pratico" in quanto la conclusione diversa rispetto a quella dei "sillogismi scientifici": in questi ultimi, infatti, la conclusione fornisce nuove conoscenze, come nel caso in cui arrivo a dire che "tutti gli uomini sono mortali". Nel sillogismo pratico, invece, deve intervenire una componente normativa, ossia una delle proposizioni deve prescrivere che cosa fare o non fare (e i comandi - ad esempio, "apri la finestra!" - non sono mai n veri n falsi: caso mai, saranno obbediti o non obbediti). "Poich un giudizio e una proposizione universale, e laltra riguarda il singolare (infatti la prima dice che un determinato soggetto deve fare una determinata cosa, mentre la seconda dice che questa una determinata cosa e che io sono un determinato soggetto), allora o questa seconda opinione, e non quella universale, a muovere, oppure muovono entrambe, ma la prima rimanendo piuttosto in quiete, e la seconda no" [434 a 16]. Qui Aristotele sembra dire che le due premesse del ragionamento che portano alla conclusione di agire in un dato modo paiono essere una universale e laltra singolare; il che gi anomalo, poich nel sillogismo le proposizioni sono solo universali, cio il soggetto qualificato attraverso un quantificatore ("tutti" o "qualche"). La premessa universale dice che "un determinato soggetto" (in greco , letteralmente "qualunque individuo di quel tipo") deve fare una data cosa; non si tratta della descrizione di qualcosa (come invece potrebbe essere "il cavallo ha quattro zampe"), ma della prescrizione di un modus agendi ("tutti gli individui di quel tipo debbono fare quella determinata cosa"). La seconda premessa dice che questa cosa qui, singola, questa e non unaltra, e che io sono questa cosa determinata: afferma quindi che io come entit singola rientro in quella data classe di persone che deve fare quella determinata cosa. Ma possibile inferire situazioni di fatti da situazioni normative? A partire da Hume ci stato negato. La seconda premessa riguarda me come individuo, mi riguarda in prima persona, per cui pu essere essa ad indurmi ad agire; oppure possono essere entrambe (prima e seconda premessa), per con la precisazione che "la prima rimanendo piuttosto in quiete, la seconda no". Viene cos riconfermata la maggiore importanza concordata alla seconda premessa. Negli ultimi paragrafi del III libro, Aristotele punta tutto sulla finalit che contraddistingue ogni singola funzione psichica, a tutti i livelli: luomo non pu non avere a che fare con funzioni, poich solo grazie ad esse egli pu vivere; e siccome la natura non fa nulla invano, essa ha creato ogni cosa in vista di un fine. La stessa , nel I libro della "Politica", intesa non come il risultato di un contratto tra uomini (come invece creder la stragrande maggioranza dei pensatori del Seicento), ma come un qualcosa di naturale e di intrinseco alla stessa indole umana (luomo per sua natura "animale politico"). Dallammissione del finalismo, deriva che alla domanda "perch c la funzione nutritiva dellanima?" si dovr rispondere "perch lindividuo deve crescere e nutrirsi"; a "perch ci son le sensazioni", si dovr rispondere: "perch lindividuo deve avere percezione del cibo", con la dovuta distinzione tra il tatto (garante di sopravvivenza) e gli altri quattro sensi (garanti di una vita migliore, oltrech della sopravvivenza): infatti, oltre al tatto, "gli altri sensi sono in vista del bene" [434 b 24]; essi, infatti, permettono di avere percezioni da distante e offrono maggiori possibilit. Nel sistema aristotelico, pertanto, la natura prende il posto del Demiurgo platonico ed equipaggia gli esseri animati degli strumenti adeguati alla sopravvivenza. Anche lanima rientra nel complesso di relazioni che permettono il realizzarsi del fine inscritto nella loro natura, fine che, per luomo, consiste nellesercizio delle facolt razionali in sede pratica, etica e teoretica.

(Inverno 2002, corso tenuto dal professor Giuseppe Cambiano, Universit di Torino)

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