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UNIVERSIT DI BELGRADO FACOLT DI FILOLOGIA

ITALICA BELGRADENSIA
NUMERO SPECIALE

STUDI IN ONORE DI

IVAN KLAJN

BELGRADO 2010

ITALICA BELGRADENSIA

YU ISSN 0353-4766

UNIVERZITET U BEOGRADU FILOLOKI FAKULTET KATEDRA ZA ITALIJANSKI JEZIK I KNJIEVNOST

ITALICA BELGRADENSIA
poseban broj

RADOVI U AST IVANA KLAJNA

priredio Saa Moderc

Beograd, 2010.

YU ISSN 0354-4722

UNIVERSIT DI BELGRADO FACOLT DI FILOLOGIA DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA

ITALICA BELGRADENSIA
numero speciale

STUDI IN ONORE DI IVAN KLAJN

a cura di Saa Moderc

Belgrado, 2010

Questo volume stato pubblicato grazie al contributo dellAmbasciata dItalia a Belgrado e dellIstituto Italiano di Cultura di Belgrado. Ovaj broj objavljen je zahvaljujui pomoi Ambasade Italije i Italijanskog centra za kulturu u Beogradu.

PREMESSA

In occasione del settantesimo compleanno dellaccademico Ivan Klajn, i professori e gli studiosi della Facolt di filologia dellUniversit di Belgrado e di altre istituzioni accademiche, che avuto la fortuna di apprezzarlo come professore, collega, collaboratore e amico, hanno inteso celebrare lavvenimento onorando la sua figura con questo numero di Italica Belgradensia. Il professor Klajn dal 1964 insegna lingua italiana, linguistica storica e romanza alla Facolt di Filologia. Nella quarantennale attivit di docenza, il professor Klajn ha costituito un riferimento sicuro per numerosissime generazioni di studenti e giovani ricercatori, ma anche per i cultori e gli operatori della lingua. Sempre chiaro e preciso nellesposizione della materia linguistica e dei problemi ditaliano, non ha tralasciato di coltivare un particolare interesse per le tematiche concernenti la lingua madre, il serbo, non solo nel campo accademico ma anche nei testi divulgativi, su giornali e settimanali. Autore di oltre 120 titoli, tra libri, articoli, traduzioni, il professor Klajn sar ricordato per la sua preziosissima attivit lessicografica: infatti egli ci ha regalato il miglior dizionario bilingue italiano-serbo, aiutando in tale maniera generazioni di studenti ad avvicinarsi pi intimamente allitaliano. Merita menzione anche il Vocabolario delle parole straniere, fondamentale strumento che permette ai lettori serbi di perfezionare la propria lingua e conoscere pi a fondo i legami linguistici e culturali con gli altri popoli. In tale maniera e non solo ricordiamo i suoi inestimabili contributi al difficile processo di standardizzazione della lingua serba il professor Ivan Klajn uno dei pi meritevoli promotori della diffusione della lingua italiana in Serbia. Pertanto non stupisce il fatto che, in occasione della Giornata Nazionale di

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Cristoforo Colombo, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli abbia conferito lOnorificenza dell'Ordine della Stella della Solidariet Italiana. Gli autori della presente miscellanea tuttavia lo ricordano come grande professore, a prima vista serio o addirittura austero, ma nello stesso tempo arguto e spiritoso. Ogni materia che insegnava ed era impressione diffusa che le potesse insegnare tutte era una fonte inesauribile di informazioni e particolari individuati solo da lui, che nessun altro suo collega sapeva rilevare con tanta sensibilit e poi tramandarli in maniera estremamente divertente e brillante: gli esempi con i quali egli illustrava la lingua italiana, dalle strutture ai modi di dire, saranno ricordati da numerose generazioni come veri e propri modelli di insegnamento linguistico. Lampiezza degli interessi del professor Klajn ha spinto studiosi di svariate aree di linguistica e di letteratura ad aderire con entusiasmo alliniziativa di pubblicazione del presente volume volendo, in questa maniera, esprimere la propria gratitudine al loro professore. M. Samardi S. Moderc

CURRICULUM VITAE ET STUDIORUM

Il professor Ivan Klajn, nato il 31 gennaio 1937 a Belgrado, ha conseguito la laurea in lingua e letteratura italiana alla Facolt di Filologia di Belgrado nel giugno del 1961. Dopo la laurea ha lavorato come giornalista e traduttore per il quotidiano Politika. Nel novembre del 1964 stato nominato assistente presso il Dipartimento di Italianistica della Facolt di Filologia dopo aver discusso la tesi di Maghister intitolata Le parole di origine straniera nella lingua italiana del dopoguerra. Nel febbraio del 1970 ha discusso la tesi di dottorato intitolata Influssi inglesi nella lingua italiana. Nel 1984 stato nominato professore ordinario. In due occasioni, dal 1995 al 1997 e dal 1999 al 2002, anno del pensionamento, stato Direttore del Dipartimento di Italianistica. Nellottobre del 2000 stato nominato membro corrispondente dellAccademia Serba delle Scienze e delle Arti, divenendone membro ordinario nel 2003. Nella sua carriera presso la Facolt di Filologia di Belgrado ha tenuto diversi corsi: morfologia e sintassi della lingua italiana contemporanea ed il linguaggio aulico della poesia italiana, corsi tenuti anche dopo il suo pensionamento, presso il Dipartimento di Italianistica; grammatica storica della lingua spagnola presso il Dipartimento di Ispanistica; linguistica applicata presso il Dipartimento di Linguistica generale; ed infine grammatica comparativa delle lingue romanze agli studi postlaurea. Ha lavorato come lettore di serbocroato allUniversit di Firenze dal 1968 al 1970 e allUniversit di Yale (New Haven, USA) nellanno accademico 1983-1984. Nel 1974 ha iniziato a scrivere articoli per la sua rubrica dedicata alle curiosit della lingua, prima per il quotidiano Borba, in seguito per il settimanale Ilustrovana politika ed il quotidiano Politika, ed infine per il settimanale NIN, con il quale collabora tuttora. Molti di questi articoli sono stati successivamente raccolti nei libri Razgovori o jeziku (1978), Ispeci pa reci (1998), Stranputice smisla (2000) e Rei su orua (2004). Dal 1975 uno dei redattori della rivista Italica Belgradensia, mentre dal 1980 capo redattore della rivista Studije iz kontrastivne analize italijanskog i srpskohrvatskog jezika e dal 1997 della rivista Jezik danas della Matica srpska. Dal 1997, anno della sua fondazione, membro del Consiglio per la standardizzazione della lingua serba. Nella sua lunga e brillante carriera ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti anche internazionali tra cui: due premi per il contributo allo sviluppo della cultura della lingua parlata da parte della Radiotelevisione di Belgrado: il primo nel 1977 per il libro Razgovori o jeziku e il secondo nel 1991 per il libro Jeziki prirunik, scritto insieme con i colleghi Pavle Ivi, Mitar Peikan e Branislav Brbori. Per il Dizionario italiano-serbo (Italijansko-srpski renik) ha ottenuto nel 1996 il premio della casa editrice Nolit di Belgrado e nel 1998 il premio del Ministero degli affari esteri italiano. Nel gennaio del 1997 il Ministero serbo della cultura gli ha assegnato il premio per il contributo apportato alla cultura della lingua serba, mentre nel 2003 ha avuto il premio per il contributo scientifico della Vukova zadubina per il libro Tvorba rei u savremenom srpskom jeziku. Prvi deo: slaganje i prefiksacija. Infine il suo costante contributo alla conoscenza della lingua e della cultura italiana gli valso, nel 2004, il conferimento

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dellOrdine della Stella della Solidariet Italiana da parte del Presidente della Repubblica dItalia Carlo Azeglio Ciampi.

Bibliografia 1963 Italijanski konjunktiv i njegovo prevoenje na srpskohrvatski, ivi jezici (Beograd), 5, 1-4, pp. 1-10. 1964 Izgovor stranih rei u italijanskom, risultati di due inchieste svolte in Italia nel 1963, ivi jezici (Beograd), 6, 1-4, pp. 29-38. 1965 Tullio De Mauro: Storia linguistica dellItalia unita, ivi jezici (Beograd), 7, 3-4, pp. 95-98. 1966 Uslovi za asimilaciju stranih rei, Anali Filolokog fakulteta (Beograd), 6, pp. 433-443. 1967 I nessi consonantici nellitaliano, Lingua nostra (Firenze), 28, 3, pp. 74-81. Strana re ta je to?, Zbornik za filologiju i lingvistiku (Novi Sad), 10, pp. 7-24. Paolo Volponi, Svetska maina, traduzione, Beograd, Prosveta. 1968 Prilog grai za bibliografiju Dantea u Srbiji, con Momilo Savi, in Eros Sekvi (a cura di), Zbornik o Danteu: 1265-1965, Beograd, Prosveta, pp. 163-181. 1970 Nazivi make u evropskim jezicima: pokuaj uporedne sinhronijske studije, Anali Filolokog fakulteta (Beograd), 10, pp. 335-353. uzepe Bofa, Ruska revolucija, traduzione, Beograd, Komunist. 1971 Uticaji engleskog jezika u italijanskom, Beograd, Beogradski univerzitet. 1972 Influssi inglesi nella lingua italiana, Firenze, Olschki.

Bibliografia

La definizione della parola composta e i composti italiani, ivi jezici (Beograd), 14, 1-4, pp. 45-64. Carducci e il linguaggio poetico tradizionale, Linguistica (Ljubljana), 12, pp. 107-123. T. B. Alisova: , ivi jezici (Beograd), 14, 1-4, pp. 181-183. Benedetto da Mantova, Il Beneficio di Cristo, redazione del testo serbocroato di Ivan Klajn, Firenze, Sansoni. 1974 Aldo Luppi: Dizionario tecnico-commerciale italiano-croato-serbo, La Battana (Fiume), 11, 32, pp. 150-151. Intorno alla classificazione delle parole composte, ivi jezici (Beograd), 16, 1-4, pp.59-74. Su alcuni anglicismi nella recente terminologia linguistica, Lingua nostra (Firenze), 35, 3, pp. 86-87. Luano Alberti, Muzika kroz vekove, traduzione; redazione e note sullautore a cura di Predrag Miloevi, Beograd, Vuk Karadi. Ernesto Grasi, Teorija o lepom u antici, traduzione; traduzione di testi illustrativi dal greco e latino di Ljiljana Crepajac, Beograd, Srpska knjievna zadruga. 1975 Intorno alla definizione del pronome, Linguistica (Ljubljana), 15, pp. 79-91. O transkripciji stranih geografskih imena, Globus (Beograd), 7, pp. 177-189. Per una definizione del linguaggio aulico della poesia italiana, Italica Belgradensia (Beograd), 1, pp. 87-118. Velike avanture i pet kontinenata, traduzione, con Jugana Stojanovi, Beograd, Vuk Karadi. Veliki mitovi i legende: Od peine do oblakodera, traduzione, con Aleksandra Klajn, Beograd, Vuk Karadi. 1976 Konvencionalno i sutinsko u pravopisu, Radovi Instituta za jezik i knjievnost (Sarajevo), 3, pp. 59-73. O zamenicama i pojmu zamenjivanja, Anali Filolokog fakulteta (Beograd), 12, pp. 547- 564. Sulle funzioni attuali del pronome ESSO, Lingua nostra (Firenze), 37, 1-2, pp. 26-32. Eros Sekvi, Mudre izreke, traduzione, Beograd, Nolit. 1977 Istorijska gramatika panskog jezika, Beograd, Nauna knjiga. 1978 Razgovori o jeziku, articoli pubblicati nel quotidiano Borba riveduti e aggiornati, Beograd, Vuk Karadi. Milica Grkovi: Renik linih imena kod Srba, Junoslovenski filolog (Beograd), 34, pp. 227233. O prefiksoidima u srpskohrvatskom jeziku, Na jezik (Beograd), 23, 5, pp. 187-198.

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Pridevske zamenice ili pridevi?, Junoslovenski filolog (Beograd), 34, pp. 17-33. Oracio Kosta, O jevrejskom teatru: umetnost pozorita "Habima", traduzione, Scena (Novi Sad), 14, 1, 1, pp. 100-105. 1979 Pascoli e la fine del linguaggio aulico, Filoloki pregled (Beograd), 17, 1-4, pp. 43-64. Sulluso del pronome riflessivo tonico in italiano, Lingua nostra (Firenze), 40, pp. 112-123. Transkripcija i adaptacija imena iz romanskih jezika: imena iz italijanskog, Radovi Instituta za jezik i knjievnost (Sarajevo), 6, pp. 121-140. Transkripcija i adaptacija imena iz romanskih jezika: imena iz panskog, Radovi Instituta za jezik i knjievnost (Sarajevo), 6, pp. 140-155. Transkripcija i adaptacija imena iz romanskih jezika: imena iz portugalskog, Radovi Instituta za jezik i knjievnost (Sarajevo), 6, pp. 156-174. 1980 Jezik oko nas, Beograd, Nolit. Italijanski konjunktiv i njegovo prevoenje na srpskohrvatski, Studije iz kontrastivne analize italijanskog i srpskohrvatskog jezika (Beograd), 1, pp. 83-101. 1981 Kako se kae: renik jezikih nedoumica, Beograd, BIGZ. Emidio De Felice: I cognomi italiani, La Battana (Fiume), 18, 60, pp. 99-101. Luis de Kamoens, Luzijadi, traduzione di ore aula; redazione, prefazione e note a cura di Ivan Klajn, Beograd, Srpska knjievna zadruga. 1982 Esempi di un metodo di analisi contrastiva del lessico, Studije iz kontrastivne analize italijanskog i srpskohrvatskog jezika (Beograd), 2, pp. 97-115. 1983 Emidio De Felice: I nomi degli italiani, La Battana (Fiume), 20, 67, pp. 119-121. Greko-latinizmi i pitanje terminolokih dubleta, Kontrastivna jezika istraivanja (Novi Sad), pp. 107-110. Kontaktni i meani jezici, Knjievnost i jezik (Beograd), 30, 4, pp. 241-249. Za priznavanje mogunosti slobodnog izbora u pravopisnoj normi, Aktuelna pitanja nae jezike kulture, Beograd, Prosvetni pregled, pp. 95-97. 1985 O funkciji i prirodi zamenica, Beograd, Institut za srpskohrvatski jezik. On Conceptual Neuter, Zbornik Matice srpske za filologiju i lingvistiku (Novi Sad), 27-28, 1984-1985, pp. 347-354.

Bibliografia

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O sintaktikim osobinama pokaznih zamenica srednjeg roda, Prilozi za knjievnost, jezik, istoriju i folklor (Beograd), 51-52, 1-4, 1985-1986, pp. 63-71. A. Cantarini: Lineamenti di fonologia slava, Prilozi za knjievnost, jezik, istoriju i folklor (Beograd), 51-52, 1-4, 1985-1986, pp. 221-222. Analiza greaka i greke analize, Kontrastivna jezika istraivanja (Novi Sad), pp. 107- 110. Dimostrativi, deissi e sostituzione, Lingua nostra (Firenze), 47, 4, pp. 116-121. 1987 Renik jezikih nedoumica, seconda edizione riveduta e aggiornata, Beograd, Nolit. Jezici naroda i narodnosti Jugoslavije i jugoslovenska lingvistika u stranim enciklopedijama, Lingvistika i lingvistike aktivnosti u Jugoslaviji, Atti del convegno, 29-31 marzo 1985, Sarajevo, Akademija nauka i umjetnosti Bosne i Hercegovine, pp. 35-38. Prirunici za srpskohrvatski na italijanskom jeziku od ujedinjenja Italije do prvog svetskog rata, Anali Filolokog fakulteta (Beograd), 18, pp. 143-168. 1988 Dejvid Kristal, Enciklopedijski renik moderne lingvistike, traduzione, con Boris Hlebec, prefazione di Ranko Bugarski, Beograd, Nolit. 1989 Italijansko-srpskohrvatski renik, con Sran Musi, Beograd, BIGZ. Il neutro in italiano e in serbocroato, Jezici i kulture u doticajima (Pula), pp. 315-320. Ranko Bugarski: Uvod u optu lingvistiku, ivi jezici (Beograd), 31, 1-4, pp. 112-114. Funzioni dei pronomi personali in italiano, Italica Belgradensia (Beograd), 2, pp. 97-109. Alberto Moravija, Leto na Kapriju, traduzione; prefazione di Jugana Stojanovi, Beograd, Narodna knjiga. 1991 Jeziki prirunik, con Pavle Ivi, Mitar Peikan e Branislav Brbori, Beograd, Radio- televizija Beograd. Italijanska zamenica "se" i pojam refleksivnosti, in Mirjana Drndarski (a cura di), Uporedna istraivanja (Beograd), 3, pp. 429-435. Italijansko-srpskohrvatska leksikografija jue, danas i sutra, Zadubina (Beograd), 13, p. 7. Osservazioni sul CI impersonale, Lingua nostra (Firenze), 72, 4, pp. 109-113. Pronomi, avverbi e preposizioni, Linguistica (Ljubljana), 31, 1, pp. 259-267. Franeska Duranti, Kua na Meseevom jezeru, traduzione; prefazione di Mirka Zogovi, Beograd, Nolit. 1992 Italijansko-srpskohrvatski renik, seconda edizione, con Sran Musi, Beograd, BIGZ. Renik jezikih nedoumica, terza edizione riveduta e aggiornata, Beograd, Nolit. Renik novih rei, Novi Sad, Matica srpska.

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ordano Bruno, Svear, traduzione per il teatro "Atelje 212" di Belgrado, prima rappresentazione 4 luglio 1992. 1994 Pisci i pismenjaci, Novi Sad, Matica srpska. Stanje jezike pravilnosti u naim sredstvima informisanja, Zadubina (Beograd), 26, p. 5. 1995 Subordinate esplicite introdotte da preposizioni, Italica Belgradensia (Beograd), 4, pp. 33- 38. 1996 Italijansko-srpski renik, Beograd, Nolit. Srpski jezik na kraju veka1, Ivan Klajn et al., redazione di Milorad Radovanovi, Beograd, Institut za srpski jezik, SANU, Slubeni glasnik. Vrste romanizama u savremenom srpskohrvatskom jeziku i putevi njihovog dolaska, Zbornik Matice srpske za filologiju i lingvistiku (Novi Sad), 39, 2, pp. 45-64. Dva pravopisna problema u vezi sa stranim reima: pisanje sloenica i polusloenica; nejednaenje po zvunosti, in Judita Planko (a cura di), Atti del convegno Strane rei i izrazi u srpskom jeziku, sa osvrtom na isti problem u jezicima nacionalnih manjina, 18-20 ottobre 1995, Subotica, Gradska biblioteka / Beograd, Institut za srpski jezik, SANU, pp. 121-127. Pljosnate gliste u Mrtvom moru, Danica: srpski narodni ilustrovani kalendar za 1997 (Beograd), pp. 320-325. tamparske greke kao leksika veba u nastavi italijanskog jezika, Glossa (Beograd), 2, 2- 3, pp. 69-74. Dejvid Kristal, Kembrika enciklopedija jezika2, a cura di Boris Hlebec, Ivan Klajn e Slavoljub Trudi, redazione di Ranko Bugarski, traduzione di Gordana Teri et al., Beograd, Nolit. 1997 Renik jezikih nedoumica, quarta edizione riveduta e aggiornata, Beograd, igoja tampa. 1998 Ispeci pa reci, articoli gi pubblicati in Razgovori o jeziku (1978), Jezik oko nas (1980) e Pisci i pismenjaci (1994) e articoli pubblicati nel settimanale NIN, Beograd, Centar za primenjenu lingvistiku / Novi Sad, Prometej. Gramatiki i leksikografski status glagolskih imenica od nesvrenih glagola, Nauni sastanak slavista u Vukove dane: Vrste rei u srpskom jeziku (Beograd), 27, 2, pp. 149-157. O jednom mutnom vokalu, ili zato spajs gerls ne mogu biti spajs grls, Jezik danas (Novi Sad), 5, pp. 19-24.
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Sottoprogetto Savremene promene u srpskom jeziku del progetto Savremene promene u slovenskim jezicima (1945-1995), ideato e sviluppato a partire dal 1992 dal prof. Stanislav Gajda dellIstituto per la filologia polacca dellUniversit di Opole, Polonia. 2 Traduzione e adattamento del glossario e dellindice a cura di Ivan Klajn.

Bibliografia

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O jednom lahko napisanom udbeniku, Jezik danas (Novi Sad), 7, pp. 17-19. O kriterijumima za semantiko normiranje rei, Na jezik (Beograd), 32, 3-4, pp. 134-147. Dejvid Kristal, Enciklopedijski renik moderne lingvistike, seconda edizione aggiornata, traduzione, con Boris Hlebec, Beograd, Nolit. 1999 Julijana Vuo: Leksika udbenika stranog jezika, Filoloki pregled (Beograd), 26, 1-2, pp. 283-285. 2000 Esercizi di lessicologia e fraseologia italiana, Beograd, Univerzitetska tampa. Lingvistike studije, Beograd, Partenon. Italijansko-srpski renik, seconda edizione riveduta e aggiornata, Beograd, Nolit. Renik jezikih nedoumica, quinta edizione riveduta e aggiornata, prima edizione in cirillico, Beograd, Srpska kolska knjiga. Stranputice smisla, articoli pubblicati nel settimanale NIN, Beograd, NIN. Uputeni jezik, questioni di cultura linguistica, Zadubina (Beograd), 52, p. 4. 2001 Neologisms in present-day Serbian, International Journal of the Sociology of Language: Serbian Sociolinguistics (Berlin / New York), 151, pp. 89-110. Taj neki na obiaj. O (ne)gramatinim kombinacijama zamenica u novijem srpskom jeziku, Jezik danas (Novi Sad), 14, pp. 17-20. 2002 Tvorba rei u savremenom srpskom jeziku. Prvi deo: slaganje i prefiksacija, Beograd, Zavod za udbenike, Institut za srpski jezik, SANU / Novi Sad, Matica srpska. Serijske odrednice i njihova obrada u jednojezinom reniku, Deskriptivna leksikografija standardnog jezika i njene teorijske osnove, Novi Sad, Matica srpska / Beograd, Institut za srpski jezik, SANU, pp. 69-82. 2003 Tvorba rei u savremenom srpskom jeziku. Drugi deo: sufiksacija i konverzija, Beograd, Zavod za udbenike, Institut za srpski jezik, SANU / Novi Sad, Matica srpska. Italijansko-srpski renik, terza edizione riveduta e aggiornata, Beograd, Nolit. Renik jezikih nedoumica, sesta edizione riveduta e aggiornata, Beograd, Srpska kolska knjiga. Normativna lingvistika u Srbiji danas, Atti del convegno Aktuelna pitanja jezika Bonjaka, Hrvata, Srba i Crnogoraca, 27-28 settembre 2002, Vienna, Wiener Slawistischer Almanach, 57, pp. 123-134. 2004

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Srpski jeziki prirunik, con Pavle Ivi, Mitar Peikan e Branislav Brbori, seconda edizione riveduta e aggiornata (di Jeziki prirunik, Beograd, Radio-televizija Beograd, 1991), Beograd, Beogradska knjiga. Renik jezikih nedoumica, sesta edizione riveduta e aggiornata, Beograd, Srpska kolska knjiga. Rei su orua, articoli pubblicati nel settimanale NIN, Beograd, NIN. Sul trattamento lessicografico della particella NE, Italica Belgradensia (Beograd), 5-6, pp. 65-177. 2005 Gramatika srpskog jezika, Beograd, Zavod za udbenike Zanimljiva imena, Beograd, Narodna knjiga Alfa. Norma u jeziku i jezik bez norme, Glas SANU, Odeljenje jezika i knjievnosti, 21, pp. 1-16. Tintin et les paronymes, Tintinolectes Idioma (Bruxelles), 17, pp. 119-124. Gramatika srpskog jezika za strance, Beograd, Zavod za udbenike. Renik jezikih nedoumica, prima edizione elettronica, Beograd, Ko & Co. 2006 Veliki renik stranih rei i izraza, con Milan ipka, Novi Sad, Prometej. Gramatika srpskog jezika za strance, seconda edizione (in cirillico), Beograd, Zavod za udbenike. Srpski jeziki prirunik, con Pavle Ivi, Mitar Peikan e Branislav Brbori, terza edizione, Beograd, Beogradska knjiga. Italijansko-srpski renik, quarta edizione, Beograd, Nolit. 2007 Veliki renik stranih rei i izraza, con Milan ipka, seconda edizione aggiornata, Novi Sad, Prometej. I filozofi su ludi. Antologija smenih tamparskih greaka, Beograd, Beogradska knjiga. Strani izrazi i izreke, con Milan ipka, Novi Sad, Prometej. Srpski jeziki prirunik, con Pavle Ivi, Mitar Peikan e Branislav Brbori, quarta edizione, Beograd, Beogradska knjiga. Ispeci pa reci, seconda edizione aggiornata, Prometej, Novi Sad. Grammatica della lingua serba, Zavod za udbenike, Beograd. I derivati suffissali a base tronca in serbo, Slavica et alia: per Anton Maria Raffo, Firenze, La Giuntina, pp. 131-145.

Massimo Fanfani (Universit di Firenze)

SU UNA FORMULA DI SALUTO


PAROLE CHIAVE: Formule di saluto nell'italiano d'oggi, Storia di ciao: un prestito interno diventato un internazionalismo

Quando nel maggio 2001, grazie allamichevole invito di Ivan Klajn, giunsi a Belgrado, fra le tante cose che scoprii con meraviglia nella splendida citt austro-balcanica ancora segnata dai bombardamenti duna guerra sconsiderata, nelle strade incantate sui due immobili fiumi ancora non solcati da navigli, con le belle e coraggiose persone fiere della loro ospitalit ma ancora malinconicamente enigmatiche a me straniero, ci fu anche quella di cogliere, nellaffascinante intercalare di una lingua sconosciuta, una familiare formula di saluto. Anche a Belgrado, come altrove nel mondo, la gente nellincontrarsi o nel prender commiato si scambiava un ciao. Sembra, come mi si dice, che questo italianismo sia diventato piuttosto comune in Serbia, specie per la nuova generazione, soppiantando addirittura il tradizionale saluto slavo zdravo salve, sentito ormai come troppo arcaico forse proprio a causa dellaccattivante concorrenza della novit. Che conosciuta e usata anche in Croazia, nonostante col risulti prevalere il corrispondente saluto indigeno bok, da bog Dio in frasi del tipo Dio sia con te1. dunque pi che opportuna la scelta di Klajn di accogliere () ciao nellottimo vocabolario di forestierismi che di recente ha dato alle stampe2. La circolazione della parola in serbo-croato, del resto, ben comprensibile: anche se non si vuol ipotizzare una qualche remota e carsica influenza dal dialetto veneto o dallitaliano parlato nellIstria e nelle citt della costa dalmata3, ciao, specialmente dalla fine degli anni sessanta del Novecento, ha avuto la sorte di diventare grazie ai viaggi dei giovani, alle canzoni, ai film, ai prodotti italiani un internazionalismo di moda4, e adesso, in questo nostro rumoroso
Son debitore di queste informazioni agli amici belgradesi, e in particolare a Jelena Todorovi, Mila Samardi, Nikola Popovi. 2 IVAN KLAJN, MILAN IPKA, Veliki renik stranih rei i izraza [Grande dizionario di termini e locuzioni stranieri], Novi Sad, Prometej, 2006. 3 Va osservato tuttavia che la parola manca non solo, com ovvio, al Vocabolario dignanese-italiano di GIOVANNI ANDREA DALLA ZONCA (1792-1857), a cura di M. Debeljuh (Trieste, Lint, 1978); ma anche al Vocabolario del dialetto veneto-dalmata di LUIGI MIOTTO (ivi, 1991), che pure registra scivo nei due significati di schiavo e slavo, croato. 4 Non solo allestero (vedi n. 5), ma anche in Italia, la diffusione di ciao una conseguenza dellomologazione dovuta alla moderna cultura di massa: prima della seconda guerra mondiale il saluto, per quanto non sconosciuto altrove, era praticamente usato solo nei dialetti settentrionali e nelle variet regionali padane (cfr. nn. 7, 73 e 74). La sua effettiva penetrazione nella lingua comune ha preso piede, come cercheremo di precisare, nel dopoguerra e in particolare fra gli anni cinquanta e i sessanta del Novecento, attraverso i potenti canali delle comunicazioni sociali: radio, televisione, cinema. Fra i tanti episodi, significativi anche per la risonanza internazionale che talora riuscirono a conferire alla parola, vanno annoverati anzitutto quelli costituiti dalle canzoni: Ciao, ti dir (1957) di Giorgio Gaber e Luigi
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universo sempre pi globalizzato e mischiato dai mezzi di comunicazione, lo si usa quasi dappertutto: al di l dellAdriatico cos come sul Baltico o a New York. Ricostruirne con precisione i transiti e gli approdi nelle diverse lingue sarebbe unimpresa complessa e forse, a questo punto, vana; unimpresa che comunque va ben al di l delle mie forze5.
Tenco; il celebre successo di Domenico Modugno Piove (1959), conosciuto popolarmente col titolo Ciao ciao bambina, che in quello stesso anno fu ripreso dal film omonimo di Sergio Grieco che utilizzava la melodia come leitmotiv (sar poi canticchiata, in una scena toccante, anche dal protagonista del film di Ermanno Olmi, Il posto, 1961); o, per passare a un altro genere, il notissimo canto partigiano Bella ciao, elaborato tuttavia da una canzone di risaia degli anni cinquanta solo durante la prima stagione del centrosinistra, alla met degli anni sessanta, e divenuto da allora unindelebile colonna sonora di partiti e movimenti della sinistra: ma cfr. STEFANO PIVATO (in collaborazione con Amoreno Martellini), Bella ciao. Canto e politica nella storia dItalia, Roma-Bari, Laterza, 2005. Che negli anni sessanta la parola fosse un gradito ingrediente nei refrain delle canzoni italiane lo testimoniano i successi di motivi come Ciao ragazzi ciao (1964) di Adriano Celentano e Ciao amore ciao, presentato da Tenco nel 1967 al festival di Sanremo, dove la sua inspiegabile bocciatura fu fra le cause della tragica fine del cantautore. Nella lingua del cinema la parola compare pi o meno nello stesso periodo, come risulta fin dai titoli: Ciao bellezza (1947), doppiaggio di The Powers Girl (1942) di Norman Z. McLeod (mi segnala Sergio Raffaelli che nei dialoghi del film, Ciao, bellezza la battuta di commiato alla sposa di un soldato che parte per la guerra); Ciao amici (1948), doppiaggio di Great Guns (1941) di Montague Banks, con Stanlio e Ollio; Ciao, Pais! (1956) di Osvaldo Langini, sugli alpini valdostani reduci dal fronte greco-albanese; il gi ricordato Ciao, ciao, bambina! (Piove) (1959); Ciao ciao Birdie (1963) musical di Geroge Sidney [titolo originale Bye bye Birdie]; Ciao Charlie (1964) musical di Vincente Minnelli [tit. orig. Goodby Charlie]; Ciao Pussycat (1965) di Clive Donner [tit. orig. Whats New, Pussycat?]; Ciao America (1968) di Brian De Palma [tit. orig. Greetings]; Ciao, Gulliver (1970) di Carlo Tuzii, Ciao maschio (1978) di Marco Ferreri, ecc. Contemporaneamente la parola fa la sua apparizione nei cartelloni teatrali: Ciao, nonno! (1951) di Guglielmo Giannini; Ciao fantasma (1954), rivista di G. Scarnicci e R. Tarabusi; Ciao, albero! (1955) di Aldo Nicolaj; Ciao, Rudy (1965), celebre commedia musicale, periodicamente riproposta, di Garinei, Giovannini e Luigi Magni. Invece, per quanto riguarda i nomi di prodotti commerciali, vedi pi avanti alla n. 6. 5 Mi limito a osservare che lattuale vasta diffusione di ciao, e soprattutto le sue ottime referenze come saluto internazionale, conferiscono al neologismo, nelle varie lingue, una coloritura e una distribuzione nei rapporti sociali un po diverse rispetto a quelle dei comparabili saluti locali (e, ovviamente, anche a quelle che possiede in italiano): di solito, al di l del suo carattere amichevole e confidenziale, tende a prevalere un tono di formula disinvolta e la page. Fra i tanti che ne hanno studiato la fortuna fuori dItalia, segnalo: NEVENA PISSINOVA, Alcuni italianismi del bulgaro contemporaneo, in Studi linguistici italiani, X, 1984, pp. 251-256, a pp. 253-254; HERMANN W. HALLER, Una lingua perduta e ritrovata. Litaliano degli italo-americani, Firenze, La Nuova Italia, 1993, p. 108 (che ne segnala perfino degli impieghi formali); FULVIO MEGUSCHAR, Da sciao vostro a tauki-plauki: lavventura di una parola. Della fortuna di ciao in estone, in Settentrione, n. s., n. 15-16, 2003-2004, pp. 212-225. Casi a parte son quelli dello spagnolo del Sudamerica, dove chau stato introdotto dagli emigrati italiani in Argentina (cfr. GIOVANNI MEO ZILIO - ETTORE ROSSI, El elemento italiano en el habla de Buenos Aires y Monteviedeo. I, Firenze, Valmartina, 1970, pp. 59-60; JOAN COROMINAS - JOS A. PASCUAL, Diccionario crtico etimolgico castellano e hispnico, Madrid, Gredos, 1980-1991), e del tedesco per il quale le vie di penetrazione sono state plurime. Un primo episodio di interferenza si ebbe nella lingua dei graduati austriaci al tempo delle loro ottocentesche campagne militari in Italia (cfr. PAUL HORN, Die deutsche Soldatensprache, Giessen, Ricker, 1899, p. 14; LEO SPITZER, Zur romanischen Syntax, in Zeitschrift fr romanische Philologie, XXXVI, 1912, pp. 679-704, a p. 702n; MANLIO CORTELAZZO, Scambi linguistici italo-austriaci nel linguaggio militare, in Mondo Ladino, XXI, 1997, pp. 61-66, a p. 66n); ma con la Grande Guerra e la fine dellImpero austro-ungarico il saluto usc definitivamente da quella scena (cfr. PAUL KRETSCHMER, Wortgeographie der hochdeutschen Umgangssprache [1918], Gottinga, Vandenhoeck & Ruprecht, 1969, p. 78; KARL PRAUSE, Deutsche Gruformeln, Breslavia, Marcus, 1930, pp. 70-71), e perfino oggi lAustria continua a mantenersene alla larga (cfr. JRGEN EICHHOFF, Wortatlas der deutschen

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Qui, pi modestamente, vorrei soffermarmi non sui successi internazionali di tale formula di saluto, ma sulla sua storia italiana e, pi che sulla fortuna, sulle resistenze che proprio da noi ha incontrato. Perch anche in italiano essa un prestito o, se si vuole, una sorta di doppio prestito: un prestito interno abbastanza recente, dovuto a uninterferenza dei dialetti settentrionali sulla lingua comune; al quale si sovrapposto negli ultimi anni leco rimbombante dalla ribalta forestiera, al punto da trasformare linteriezione quasi in un cavallo di ritorno, semanticamente ancor pi slavato e dunque disponibile per nuovi impieghi pi disinvolti e alla moda6. E come tutte le interferenze anche questa, che modellata sul dialetto, ha dovuto attraversare una fase di assestamento allinterno della lingua, tanto che sulle prime vi si propagginata a singhiozzo, impiegata con qualche timido riguardo o volutamente mantenuta ai margini. Perfino oggi, conclusasi da tempo tale fase di acclimatazione e nel pieno della voga che proviene anche dallapprezzamento internazionale come saluto paritario e informale ciao ormai stabilmente adottato nellitaliano e frequentissimo in particolare nel linguaggio giovanile sembra che sussistano ancora diverse sacche di resistenza, per quanto sempre pi ristrette, specie fra i parlanti meno giovani e in zone del Centro-sud7. Mentre dove la diffusione stata maggiore
Umgangssprache, Berna e Monaco, Francke, 1977, p. 33 e c. 48). Dallo stesso atlante di Eichhoff si scopre che un terreno di coltura ben pi felice stato quello elvetico: qui Tschau si conobbe attraverso gli operai ticinesi gi al tempo della costruzione della ferrovia del Gottardo (1882), poi dai soldati rimpatriati dal Ticino dopo la prima guerra mondiale e dai lavoratori immigrati, orecchiando luso dei quali la parola venne reimpiegata anche come scherzoso gergalismo fra i ragazzi di scuola: Tschau Polle (dallit. ciao bella): cfr. ANNA ZOLLINGER-ESCHER, Die Gruformeln der deutschen Schweiz, Friburgo in B., Wagner, 1925, p. 66; Schweizerisches Idiotikon, Frauenfeld, Huber, 1881 e ss., XIV [1987], 1681-2. Litalianismo si poi radicato in diversi centri urbani della Germania, ma solo dagli anni cinquanta del Novecento (cfr. ALFRED HEBERTH, Neue Wrter. Neologismen in der deutschen Sprache seit 1945, Vienna, Verband der wissensch. Gesellschaften sterreichs, 1977; ROLAND A. WOLFF, Regionale varianten der Abschiedsgrsse in der deutschen Umgangssprache, in Zeitschrift fr Dialektologie und Linguistik, XLIV, 1977, pp. 83-84). 6 Accanto allutilizzo della parola come puro e semplice richiamo pubblicitario (per prodotti, marchi commerciali, scritte di negozi, ecc.: dal ciclomotore della Piaggio fabbricato dalla met degli anni sessanta, che ebbe un duraturo successo di vendite anche allestero; alla parola-motto scelta nel 1990 per i campionati mondiali di calcio tenutisi in Italia; allinsegna dei punti-ristoro negli autogrill), in questi ultimi decenni si nota un suo massiccio sfruttamento, sullonda del modulo titolistico cinematograficoteatrale (gi di matrice angloamericana) visto alla n. 4, nella intitolazione di svariati tipi di spettacolo: dal variet televisivo condotto da Paolo Bonolis su Canale 5 Ciao Darwin (1998), a Ciao Frankie [Sinatra] con Massimo Lopez (2006). Ulteriori prove della stravagante versatilit della parola possono esser rintracciate nella sua trasformazione in uno pseudoprefissoide di colore, per conferire un tono cordiale (e italiano) a nomi di agenzie e siti web dinformazione e turismo: Ciaoweb, CiaoItalia, CiaoCiaoItaly, CiaoMilano, CiaoUmbria, Ciaopet, ecc.; e infine nel suo impiego come sigla di diversi acrostici: CIAO il Centro Informazioni Accoglienza Orientamento della Sapienza di Roma, il Club Italiano Anestesisti e Ostetrici con sede presso lospedale Fatebenefratelli, il Centro Informatizzato di Accesso telematico allOrientamento della regione Friuli-Venezia Giulia, ecc. 7 Per le resistenze centro-meridionali si tenga conto che nei primi decenni del Novecento (secondo KARL JABERG - JAKOB JUD, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Sdschweiz [AIS], Zofingen, Ringier, 19281940, IV, c. 738 buon giorno!), il saluto ciao, sciao [sao] e varianti era diffuso praticamente solo in Piemonte, Lombardia e Veneto (con isolati sconfinamenti o attestazioni paracadutate nelle provincie di Imperia, Piacenza, Sassari e Nuoro); e perfino GERHARD ROHLFS (Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. Fonetica, trad. di Salvatore Persichino, Torino, Einaudi, 1966, p. 261n.) poteva parlarne ancora come di una formula di saluto nellItalia settentrionale. Ma poi apparir evidente che ciao dalla culla lombardo-veneta (schiavo suo) sceso, nel giro di un cinquantennio, fino allestremit della penisola (M. CORTELAZZO, Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana. III.

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si manifestano gi alcuni fenomeni di reazione a un certo incipiente sentimento di banalizzazione della parola, come la sua sostituzione con la variante gergale iao (vedi alla n. 41) o, pi corposamente, con la reduplicazione e addirittura con la tripletta ciao-ciao-ciao!, che di recente (2007) ha preso campo in Lombardia. Per capire meglio sia tali resistenze, sia la grande popolarit di ciao, occorre innanzitutto tener presenti i forti e decisivi fattori che giocano a suo favore. Da una parte loscurit che avvolge agli occhi dei pi la sua provenienza e la sua semantica originaria, rendendolo perfetto come interiezione a differenza delle altre formule di saluto pi trasparenti8. Dallaltra la sua brevit e affabilit fonica: non per nulla anche il vecchio modo di dire fa servo, per suggerire ai bambini di salutare con la mano, diventato in tutta Italia fa ciao9. Affabilit che insieme alla freschezza della parola ha avuto buon gioco nel conferire al saluto, sentito come pi neutro delle formule tradizionali proprio a causa del suo indistinto profilo semantico, quelle
Lineamenti di italiano popolare, Pisa, Pacini, 1986, p. 39). Non facile quantificare lo zoccolo duro che si opposto e continua a opporsi a ciao nellItalia centro-meridionale, ma a prestarci attenzione facile rendersi conto che alcuni parlanti ancora lo evitano sistematicamente, preferendo rispondere con un addio o un arrivederci anche quando sono apostrofati col nuovo saluto o comunque in modo confidenziale. Oltre alla testimonianza di Giovanni Nencioni (classe 1911, vedi n. 12), fra i casi che ho potuto osservare ricordo con precisione quello di Arrigo Castellani (1920-2004), che ha sempre coerentemente evitato di pronunciare la parola: persino dopo che mi ebbe proposto di passare al tu continu a salutarmi con un addio, anche quando per caso mi fosse scappato di bocca un semplice ciao. Altri toscani mi hanno confermato di sentire ancora nel saluto un non so che destraneo. Diversa reazione quella dellamica Cecilia Rodolico, figlia del botanico Giovanni Negri (Calcio, Bergamo, 1877 - Firenze, 1960), la quale sulle prime, quando siamo entrati in maggior confidenza e siamo passati dalladdio al ciao, ha voluto rispondermi con un ciau, reminiscenza riaffiorata forse dalleco di usi lombardi e piemontesi vivi nella sua famiglia dorigine. 8 Com noto, le interiezioni, oltre a possedere un particolare statuto sintattico corrispondendo per la loro natura olofrastica a un intero atto linguistico, hanno anche una scarsissima autonomia semantica (G. NENCIONI, Linteriezione nel dialogo teatrale di Pirandello [1977], in ID., Tra grammatica e retorica. Da Dante a Pirandello, Torino, Einaudi, 1983, pp. 210-253, a p. 229; cfr. anche ISABELLA POGGI, Le interiezioni, Torino, Boringhieri, 1981); tuttavia le formule di saluto e di cortesia, come altri tipi di interiezioni secondarie (comandi, esortazioni, apprezzamenti, imprecazioni, ecc.), restano in certo modo collegate, se non altro metaforicamente (bacio le mani = riverisco), al loro significato proprio; con ciao si ha invece una formula semanticamente opaca, e dunque immediatamente predisposta a una vera e propria funzione interiettiva, adattabile in pieno ai pi vari contesti. 9 Un tempo radicata anche in Toscana, lespressione far servo (modo dinsinuazione ai bimbi, perch salutino qualcuno. Locch essi fanno collo stendere il braccio, e agitarlo dallalto in basso, colla manina allargata e supina: GIACINTO CARENA, Vocabolario domestico, Torino, Fontana, 1846, p. 109; cfr. anche NICCOL TOMMASEO - BERNARDO BELLINI, Dizionario della lingua italiana, Torino, Societ lUnione Tipografico-editrice, 1865-1879 [TB], alla voce servo; ecc.) ha continuato a circolare a lungo: nel 1945 viene aggiunta da Ulderico Rolandi al Vocabolario romanesco di FILIPPO CHIAPPINI (terza ed. a cura di Bruno Migliorini, Roma, Chiappini, 1967), e figura ancora nel 1959 nel Vocabolario di NICOLA ZINGARELLI (ottava ed., Bologna, Zanichelli). Il nuovo fraseologismo far ciao affiora nel dialetto milanese ed registrato per la prima volta da GIUSEPPE BANFI (Vocabolario milanese-italiano, seconda ed. [non ho potuto controllare la prima del 1852], Milano, Ubicini, 1857): Fa ciavo. Far servo: modo dinsinuazione ai bimbi, perch salutino qualcuno; e poi da FRANCESCO ANGIOLINI (Vocabolario milanese-italiano, Torino, Paravia, 1897): fa cio cio = far baciamano, far servo: salutare da lontano, spec. dei bambini); infine si diffonde anche altrove: cfr. G. L. PATUZZI - G. e A. BOLOGNINI (Piccolo dizionario del dialetto moderno della citt di Verona, Verona, Franchini, 1900): Dir, Far ciao, Dire, Fare addio (dei bambini, quando aprono e chiudono i ditini della mano per salutare. Anche Dir, Far ciai. Nellitaliano comune diventato usuale nel secondo dopoguerra, nonostante cominci solo ora a trovar accoglienza nei lessici.

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connotazioni amichevoli e confidenziali che oggi lo caratterizzano: la semplicit del significante ha in qualche modo determinato il particolare e suadente colore della parola, un po comera avvenuto nel dopoguerra per lamericanismo okay10. In italiano, infatti, ci che ha spianato la strada al ciao e che ha potenziato la sua versatilit oggi di fatto pu esser speso in luogo di qualsiasi altra formula di saluto e quasi in ogni situazione che non sia strettamente formale proprio il suo significato sfuggente e il tono gradevole e sfumato: al confronto scompariscono anche le connotazioni familiari che un tempo avevano addio e, in certa misura, salve, formule che, di conseguenza, ora sono per lo pi riservate a impieghi pi circoscritti o sostenuti. Del resto, sotto il discreto incalzare di ciao, in posizione pi defilata appare anche il pur sempre familiare arrivederci11. Gi ventanni fa tali innovazioni nel sistema dei saluti erano state colte con grande acutezza da Giovanni Nencioni, in una bella pagina in cui aveva voluto descrivere la deriva che ormai lo separava dalla lingua della sua giovinezza: Oggi divenuto di uso sopraregionale il confidenziale ciao [...], formula non solo di congedo ma generalmente di saluto, come il colto e insieme confidenziale salve. Il rapporto pi rispettoso e sostenuto dispone di arrivederci, arrivederla. Lantico addio rimasto a esprimere un commiato sempre confidenziale, ma immalinconito da un affettuoso rammarico per il distacco da persona cara. dunque una forma che i linguisti direbbero marcata, cio di uso pi limitato e pi specifico. Ho tuttavia osservato che in caso di commiato di gruppo, precisamente di commiato gridato e insistito, la parola addio viene preferita come struttura foneticamente pi adatta e perde ogni inflessione malinconica. Orbene: devo confessare che qui la mia diacronia mostra tutte le corde: non mi mai venuto fatto di pronunciare la parola ciao e nel commiato confidenziale (e anche come formula generale di saluto) continuo ad usare addio, che essendo per me (eccetto qualche sporadico e ironico salve)
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Anche lorigine della sigla o.k. avvolta in una cortina fumogena di interpretazioni aneddotiche pi o meno probabili, che sono rialimentate di continuo da nuove ipotesi: cfr. B. MIGLIORINI, O. K. [1946], in ID., Profili di parole, Firenze, Le Monnier, 1968, pp. 143-146. 11 Questi elementi son ricondotti entro un plausibile quadro strutturale da MARIO ALINEI (Il sistema allocutivo dei saluti in italiano, inglese e olandese [1977], rist. in ID., Lingua e dialetti: struttura storia e geografia, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 23-36, a pp. 35-36): Sentito ancora come dialettale negli anni 30, non ancora registrato nei dizionari negli anni 40, ciao oggi il saluto nazionale per eccellenza []. A questo successo hanno certo contribuito la sua brevit e la grazia leggermente esotica della sua forma fonologica, ma fondamentali sono stati i fattori strutturali. Prima della sua introduzione, infatti, il sistema italiano disponeva di due soli saluti intimi per il commiato: addio e arrivederci. Il primo legato ad un distacco definitivo sempre meno probabile; il secondo contiene un augurio di rivedersi che tende a diventare superfluo nei luoghi di lavoro o di attivit quotidiana []. Ciao colma la lacuna che si determina nel sistema italiano a partire dalla formazione della societ unitaria, per la popolazione che vive nelle grandi citt: non esprime n il commiato definitivo n si lega a promesse. Ma non basta: se le caratteristiche del commiato si mutano collevolversi della societ, ci vale anche per lincontro. Prima di ciao, il sistema italiano dispone di un solo saluto intimo per lincontro: salve. Questo saluto poco comune ed significativo []. Anche perch etimologicamente opaco, ciao si presta di pi a diventare il saluto informale e automatico nellincontro quotidiano. E va aggiunto che, proprio per la sua duplice valenza come saluto dincontro e di commiato, viene a ricoprire la funzione che un tempo aveva buongiorno, oggi ormai quasi del tutto fuori uso come commiato, sostituito dalla nuova formula buona giornata o, nel lasciarsi, dallesclamazione augurale una buona giornata!: su questultima novit cfr. TRISTANO BOLELLI, Parole in piazza, Milano, Longanesi, 1984, p. 198 (che la sente un meridionalismo); LORENZO RENZI, Le tendenze dellitaliano contemporaneo, in Studi di lessicografia italiana, XVII, 2000, pp. 279-319, a p. 311; e GIAN LUIGI BECCARIA, Per difesa e per amore. La lingua italiana oggi, Milano, Garzanti, 2006, p. 150 (i quali la riconducono a unimitazione dellaugurio inglese have a nice day!); PIETRO JANNI, Buona giornata, buona serata, in Lingua nostra, LXVII, 2006, pp. 122-124 (che la spiega come frutto di unevoluzione autonoma).

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unica, non marcata, cio non ha necessariamente una inflessione di rammarico. questo uno dei tratti pi arcaici del mio idioletto fiorentino, non pi condiviso dai miei familiari12. * Se, come si detto, le origini dialettali e il valore etimologico prossimo e remoto di ciao restano comprensibilmente nel buio per quasi tutti coloro che oggi usano la parola, per i linguisti, al contrario, tutta la faccenda sempre stata chiarissima. La provenienza dal veneziano schiao (leggi s-ciao), sincopato di Schiavo, Schiavo, Modo di salutare altrui con molta confidenza (1829, Boerio); corrispondente a forme come servo suo e simili13, e le tappe della sua propagazione negli altri dialetti settentrionali e successivamente nella lingua, sono state del resto ben illustrate negli ultimi anni da un pregevole saggio di Manlio Cortelazzo14 e inquadrate in una appropriata e interessante cornice teorica da Mario Alinei, con ulteriori approfondimenti di Gabriella Giacomelli, Edward F. Tuttle, Glauco Sanga15; infine Minne-Gerben de Boer ha ridiscusso con nuova e ampia documentazione diversi punti dei precedenti contributi16. Questi studi, come peraltro quelli che erano stati dedicati alletimologia e alla storia antica della parola schiavo, derivante dal greco s kulw far prede di guerra, o, come tradizionalmente si sempre ritenuto, dal greco bizantino S klauhno, S klabhno, attestato nel VI secolo come denominazione per i popoli slavi, da cui il sostantivo s klboj, in latino SCLAVUS, che dal secolo VIII acquister anche laccezione di servo17, contengono gi una tal quantit di dati e di
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G. NENCIONI, Autodiacronia linguistica: un caso personale [1982], ora in ID., La lingua dei Malavoglia e altri scritti di prosa, poesia e memoria, Napoli, Morano, 1988, pp. 99-132, a pp. 112113; a proposito di quanto si sostiene su addio come commiato di gruppo (ma cfr. anche LUCA SERIANNI, con la collaborazione di Alberto Castelvecchi, Grammatica italiana, Torino, UTET, 1988, X.43), occorre rilevare che anche in quella funzione esso stato ormai sostituito con ciao. Nencioni tornato brevemente sullargomento in una nota di Spigolature sulla sua rivista La Crusca per voi, n. 19, ottobre 1999, pp. 15-16, a p. 15: Io saluto ancora con lantico addio in luogo di arrivederci, non ho mai usato il ciao schiavo saluto un tempo deferente di origine veneziana e oggi diffusissimo saluto confidenziale. Sulle differenze duso e di connotazione fra ciao e addio cfr. anche EMIDIO DE FELICE, Le parole doggi, Milano, Mondadori, 1984, pp. 23-24. 13 MANLIO CORTELAZZO - PAOLO ZOLLI, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, vol. I, 1979; ma per le aggiunte al lemma, vedi anche la nuova edizione, a cura di Manlio e Michele A. Cortelazzo, ivi, 1999; il Boerio ovviamente il Dizionario del dialetto veneziano di GIUSEPPE BOERIO, edito per cura di Daniele Manin, Venezia, Santini, 1829 (la voce identica nella seconda edizione del 1856), che tuttavia pone a lemma schiao e non fa cenno di ciao. Analoghe indicazioni anche negli altri vocabolari recenti, fra i quali cfr. MANLIO CORTELAZZO - CARLA MARCATO, I dialetti italiani. Dizionario etimologico, Torino, UTET, 1998, s. v. s-ciao. 14 M. CORTELAZZO, Ciao, imbranato: due fortunati neologismi di provenienza dialettale, in Italienischen Studien, IV, 1981, pp. 117-126, in part. pp. 117-120 e 123. 15 M. ALINEI, Il problema della datazione in linguistica storica, in Quaderni di semantica, XII, 1991, pp. 5-51; larticolo di Alinei (pp. 5-20) seguito da una serie di commenti, in alcuni dei quali (G. GIACOMELLI, pp. 29-30; P. TAKAVI, p. 36; E. F. TUTTLE, pp. 42-44), come nella Replica di Alinei (pp. 47-51), si ritorna sulla questione di ciao; il contributo di G. SANGA, Luovo e la gallina, limbuto e la clessidra e ciao!, ivi, XIII, 1992, pp. 187-189, in part. a p. 189. Vedi inoltre, sempre di ALINEI, Il sistema allocutivo dei saluti in italiano, inglese e olandese cit. 16 M.-G. DE BOER, Riflessioni intorno a un saluto: la storia di ciao, in Lingua e stile, XXXIV, 1999, pp. 431-448. 17 Cfr. PAUL AEBISCHER, Les premiers pas du mot sclavus esclave, in Archivum Romanicum, XX, 1936, pp. 484-490; CHARLES VERLINDEN, Lorigine de sclavus = esclave, in Archivum Latinitatis Medii Aevi, XVII, 1943, pp. 97-128; ID., Lesclavage dans lEurope mdivale, Brugge, De Tempel, 1955; KARL-

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osservazioni che in sostanza rendono quasi inutile ritornare daccapo sullargomento, se non per alcuni particolari e per la cronologia della fase a noi pi vicina, quella che ha visto laffioramento di ciao nellitaliano comune. A questo proposito i pareri divergono piuttosto nettamente: Cortelazzo, pur non fissando una data precisa, ne parla come di un fatto recente verificatosi nel corso del Novecento; Alinei, sulla base dei suoi ricordi e delle tracce nei vocabolari delluso, lo colloca nel secondo dopoguerra; per de Boer, invece, esso va anticipato, secondo le attestazioni letterarie disponibili, alla seconda met dellOttocento. Su questo punto specifico ora forse possibile aggiungere qualche precisazione e nuove testimonianze, ma per poter valutare correttamente i nostri dati, occorre metter prima in chiaro alcuni criteri di fondo. Se, infatti, i dialettalismi, nel sistema lessicale, sono accomunabili agli altri forestierismi, per ci che riguarda le modalit dei rispettivi processi dinterferenza, la loro condizione abbastanza differente: le interferenze alloglotte, siano di adstrato o di superstrato, interessano lingue che hanno un qualche prestigio se non addirittura un ruolo preponderante e scaturiscono da un contatto culturale, di solito circoscrivibile a determinate epoche e a fatti o episodi precisi; i dialettalismi nascono invece da un capillare e intimo rapporto quotidiano con lingue subalterne, strutturalmente e lessicalmente affini alla lingua mutuante. Nella realt italiana scambi reciproci fra un dialetto e laltro, e fra questi e il toscano letterario o, dopo lUnit, la lingua nazionale e le sue variet, son sempre avvenuti, ora con pi ora con meno intensit: la convergenza su una lingua egemonica riuscita solo in parte a smorzare la vitale forza debordante delle parlate locali, tanto che lininterrotta osmosi fra dialetto e italiano stata fino ad oggi assai produttiva, e a partita doppia, e non priva di andirivieni. Non va dimenticato, infatti, che i potenziali artefici di tali interferenze interne, anche quando labbrivio sia riconducibile a un singolo individuo, sono gruppi considerevolmente ampi di parlanti che hanno sempre avuto coscienza e una certa competenza, pi o meno salda e attiva, del diverso sistema linguistico con cui interagivano. Cos nellaccertamento di un dialettalismo occorre procedere con cautela, ricostruendo per quanto possibile il suo retroterra nel dialetto di provenienza, in modo da valutare
LUDWIG MLLER, bertragener Gebrauch von Ethnika in der Romania, Meisenheim am Glan, Hain, 1973. A proposito delletimologia tradizionale, gi ipotizzata nellOttocento, sono interessanti le considerazioni aggiunte da Tommaseo alla voce schiavo (aggettivo) del suo Dizionario (TB), che pur legate a unepoca tramontata, ancora ci mostrano come laccertamento della verit filologica non possa esser scisso da una lucida consapevolezza della viva e profonda moralit della storia linguistica: Dicono che la razza tedesca, divorando la slava, e facendo provincie tedesche delle abitate da genti slave (come provano i nomi pr. di Strelitz e Teplitz) aggiungesse alla crudelt dellingiustizia la crudelt delloltraggio, facendo Slavo sinonimo di Prigione. Il Ferrari rammenta cotesta origine: E forti Slavorum gente. Simile equivoco fece parere i Serbi, popoli di quella che gi chiamavasi Rascia, sinonimo di Servi: ma i Serbi posero il giogo turco prima de Greci. Altri deriva il nome da Slovo, Parola, onde Slava, Gloria; come Fama dal greco F mh, e il senso di Rinomanza. Gli Slavi chiamano tuttavia Njemci i Tedeschi; contrapponendo s, Uomini parlanti e ragionanti, a quegli altri Mutoli; Mutum et turpe pecus: provocazioni e vendette che i popoli debbono pagare poi caro. Ma nellitaliano la confusione tra Schiavo e Slavo avvenne per essere la Sl, e altri simili, suono non omogeneo allindole della lingua (del resto lintero lemma, fra gli ultimi che il Dalmata pot dettare, lascia trasparire i sofferti e fieri sentimenti di nostalgia e di riscatto che il poeta nutriva per la sua terra: Pensando a Schiavina [veste di panno grosso] a credere che il nome seg. venisse dal farsi in Schiavonia panni ordinari, per il poco costo e per la durata. Adoprati anco altrove, o lavoratine di somiglianti. [] E cos forse il nome delluva [schiava]; giacch pregiati i vini dalmatici, e, se sapessersi fare, in verit preziosi quanto son quelli di Spagna). Da ultimo ha sollevato ragionevoli dubbi sulla vulgata etimologica, in parte viziata da pregiudizi nazionalistici, GEORG KORTH (Zur Etymologie des Wortes Sclavus (Sklave), in Glotta, XLVIII, 1970, pp. 145-153), proponendo la derivazione da unipotetica forma latina *scylavus, che pi tardi avrebbe coinciso con sclavus, dando luogo a frantendimenti: va detto, tuttavia, che la plausibile ipotesi di Korth richiederebbe un accurato riesame dellintero quadro delle prime attestazioni della parola.

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correttamente le singole testimonianze del suo iniziale abbarbicamento nella lingua o nellitaliano regionale. Difatti esse possono avere un valore assai disuguale luna dallaltra, sia in relazione alla modalit o al contesto di quel particolare episodio dinterferenza dal dialetto, sia in relazione alle competenze e agli scopi di colui cui lo si deve18. Con questi presupposti proviamo ora a esaminare pi da vicino il nostro caso, gi abbastanza complesso anche nella sua genesi dialettale, genesi che proprio perci conviene richiamare a grandi linee. Se i continuatori del latino medievale SCLAVUS si sono subito conosciuti popolarmente nei diversi antichi volgari19, per capire come la semantica e luso del termine si siano potuti estendere fino a trasformarlo in una interiezione, occorre tuttavia seguirne le vicende nei registri pi elevati della lingua. Qui infatti, e fin dallinizio, schiavo, oltre che nei due significati fondamentali di slavo e di servo, fu spesso usato in unaccezione metaforica derivante da tale suo secondo valore, in modo analogo a ci che avveniva con i quasi sinonimi servo e servitore: Vergine pulzella, Maria, [] che io sarei da oggi inanzi vostra schiava (XIII sec., Anonimo senese); servo e schiavo del peccato, Io Catarina, serva e schiava de servi di Ges Cristo, scrivo a voi (S. Caterina da Siena); Che cosa uomo. [] consumazione di vita, moto etterno, camminatore ischiavo della morte (Motti e facezie del Piovano Arlotto); Le stelle sono stiave | del senno (Poliziano); la bestia schiava delle passioni (Vico); Schiavo son damore (Carlo Gozzi)20. Quando dalla seconda met del Quattrocento, con linstaurarsi nella vita di corte di nuove maniere deferenti e cerimoniose, si intensific luso di titoli come Signore e Padrone e dellallocuzione astratta Vostra Signoria (o Signoria Vostra, e simili), non riservati pi come in passato solo a occasioni solenni o a personaggi potenti, ma estesi quasi a ogni quotidiano complimento e situazione di cortesia21, parallelamente si profilarono, in posizione antonimica, una serie di formule di rispetto del tipo vostro servo, con le due varianti, di tono leggermente pi attenuato o pi iperbolico, vostro servitore e vostro schiavo: Dilante ringrazia il paladino, | dicendo: Schiavo etterno ti sare (Pulci, Morgante); Piacciavi, generosa Erculea prole, | []
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Sulle questioni di metodo nello studio dei dialettalismi aveva richiamato lattenzione TULLIO DE MAURO, Storia linguistica dellItalia unita [1963], Bari, Laterza, 1970, pp. 186-201; vedi anche P. ZOLLI, Il contributo dei dialetti allitaliano comune, in Cultura e scuola, XXI, n. 81, gennaio-marzo 1982, pp. 721, spec. pp. 7-9; ID., Le parole dialettali, Milano, Rizzoli, 1986, pp. 7-14; i criteri di classificazione e la tipologia delle fonti sono discussi in modo chiaro e approfondito da FRANCESCO AVOLIO, I dialettalismi dellitaliano, in Storia della lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, III. Le altre lingue, Torino, Einaudi, 1994, pp. 561-595. 19 Per le prime attestazioni della parola, vedi GIORGIO COLUSSI, GAVI. Glossario degli antichi volgari italiani, Helsinki, Helsinki University Press, 1983-2006 (oltre alla voce schiavo, cfr. anche servo). Colussi non solo retrodata e arricchisce significativamente la documentazione antica, ma indica alcuni esempi di Giordano da Pisa, di Francesco da Barberino e della parafrasi lombarda del Neminem laedi nisi a se ipsum di San Giovanni Grisostomo, dai quali risulterebbe che nei primi secoli schiavo era sostanzialmente sentito come sinonimo di servo. 20 Tranne il primo che tratto dal GAVI, tutti gli esempi, come salvo diversa indicazione quelli che seguiranno, son ricavati dal Grande dizionario della lingua italiana [GDLI], diretto da SALVATORE BATTAGLIA e poi da GIORGIO BRBERI SQUAROTTI, Torino, UTET, 1961-2004, e dalla LIZ. Letteratura italiana Zanichelli (su cd-rom), quarta edizione per Windows, a cura di Pasquale Stoppelli ed Eugenio Picchi, Bologna, Zanichelli, 2001: visti i miei scopi, affianco a ogni citazione solo il nome dellautore, evitando di appesantire il testo con rimandi bibliografici facilmente desumibili da tali opere. 21 Oltre al lavoro di B. MIGLIORINI, Primordi del lei [1946], in ID., Saggi linguistici, Firenze, Le Monnier, 1957, pp. 187-196, sullorigine di queste cerimonie affettate e delle ossequiose allocuzioni che le contornavano, solo in parte dovute a usanze straniere, vedi GIAN LUIGI BECCARIA, Spagnolo e spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento, Torino, Giappichelli, 1968, pp. 190-197.

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Ippolito, aggradir questo che vuole | e darvi sol pu lumil servo vostro (Ariosto, Orlando furioso); di con reverenzia, o bella o brutta: Eccomivi servitrice, ch, ci dicendo, ti vendicherai con la modestia (Aretino, Sei giornate). Come si pu capire, un simile frasario di formale soggezione ossequiosa ricorrer di frequente nella chiusa delle lettere, tanto da irradiarsi in un ricco ventaglio di moduli e varianti: raccomandandoli Leonardo Vincio svisceratissimo servitor suo, come mi appello e sempre voglio essere (Leonardo); Son ben servo di Vostra Excellenzia come chio mi sia, et a quella basando le mani, in bona grazia umilmente mi raccomando (Castiglione); El cardinale de Medici schiavissimo di V. Ecc. e se li racomanda (Giovio); Restami solo il pregar Vostra Excellenzia ad tenermi in sua bona grazia, che veramente io gli son servitore di cuore e schiavo (Tiziano); pregate per me, vostro affezionatissimo servitore (Tasso); ecc. Tuttavia gi nel secolo XVII tali varianti tendono a convergere e a cristallizzarsi in clich del tipo vostro devotissimo (umilissimo e simili) servitore: schiavo uscir quasi del tutto dalluso epistolare, servo vi comparir sempre pi di rado22. Lo stesso frasario ricorrer altres, segno della sua ormai ampia diffusione nelluso orale anche al di fuori delloriginario ambiente cortigiano, in testi nei quali si tende a imitare il parlato, in primis nei dialoghi delle commedie, e non solo come tipica parodia, talvolta marcatamente ironica, di un intercalare cerimonioso. Il termine schiavo, in particolare, vi figura per lo pi allinterno di fraseologismi che voglion apparire pieni di riguardo: Signor mio, perdono, e non penitenza, schiavo de la Signoria vostra (Aretino, La Cortigiana); esser schiavo, servo affezionato e sviscerato di queste donne (Alessandro Piccolomini, Lamor costante); me ha cavato il core e facto schiavo perpetuo de soa belt (La Veniexiana). Quando la parola usata in funzione predicativa nel costrutto esser schiavo a qualcuno, ha invece unaccezione di generica riconoscenza, come volesse dire obbligato: conosco che tu mi ami, e ti son schiavo in eterno, dite mal de le mogli, ch ognuno vi sar schiavo (Aretino, Il Marescalco); oltra che ti fa la grazia, te ne resta schiavo (Aretino, Dialogo); io giuro desserti per sempre schiavo (Grazzini, La pinzochera). Quel che pi ci interessa, tuttavia, che fin dora questi due moduli, schiavo vostro e ti son schiavo, cominciano ad essere impiegati nelle commedie anche in modo assoluto come formule interiettive: Vi son schiavo, maestro (Aretino, Il Marescalco). E si d almeno un caso dove, nellespressione pronunciata prima di un congedo, addirittura in forma ellittica, gi balena chiaro il valore di saluto: IPOCRITO [in fine di scena] Trnati a casa [] | TOCCIO [il garzone, andandosene] Schiavo, alleluia (Aretino, Lo Ipocrito). La stessa funzione di saluto la stavano acquistando, del resto, anche i tipi quasi sinonimici vostro servitore (o pi raramente servo) e ti son servitore (o servo) in analoghe situazioni comunicative, specie nellaccomiatarsi: Servitor di vostra merc; e bacio le mani di vostra signoria (Doni, I marmi); ROBERTO Bacio le mani della Signoria Vostra. | LIGDONIO [poeta napoletano] Ve songo servitore (Piccolomini, Lamor costante); Io ti son servitore: va
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Cfr. GDLI, alle voci schiavo, 8 (dov riportato ancora un esempio settecentesco da una lettera al Muratori); servitore, 2; servo, 1. Allinizio dellOttocento si assiste a unulteriore semplificazione di tale formulario: cfr. GIUSEPPE ANTONELLI, Tipologia linguistica del genere epistolare nel primo Ottocento, Roma, Ed. dellAteneo, 2003, pp. 59-62: fra i tanti tipi di formule di congedo ivi schedati figurano solo sei casi con servitore e due con servo. Il mutamento ben descritto da N. TOMMASEO nel Nuovo dizionario de sinonimi [1832], Milano, Crespi, 1833, p. 82: non pi delluso gentile quella frase abiettissima: suo umilissimo servo; ma le si preferisce servitore: e speriamo che i sociali complimenti andranno cos mano mano nobiltandosi un poco, e gli uomini tutti avranno la modestia di stimarsi fratelli e, come tali solamente, rispettarsi e servirsi. Dalla met del secolo servo e servitore, a meno che non siano introdotti per scherzo o per affettazione, scompariranno del tutto dalluso epistolare.

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con Dio (Aretino, Il Marescalco). Anche in questo caso la formula vostro servitore (servo) pu presentarsi ridotta ellitticamente ai semplici servitore o servo con lo stesso valore interiettivo: FORA Cercava di voi. | ARMILEO Servidore (Aretino, La Talanta); ALESSANDRO [] Servitore, messer Ostilio. | OSTILIO Basciovi le mani. Chi siete? (Castelletti, Stravaganze damore); e altri esempi non mancano nei due secoli successivi23. Insomma gi nel Cinquecento la parola schiavo, a stare alle testimonianze, offre un ricco e vario quadro dimpieghi nella lingua letteraria e nel parlato di persone pi o meno colte, con accezioni abbastanza diverse: da quella minoritaria di slavo (il mar schiavo e il tosco, Ariosto, Orlando furioso; Chiozzotti et Schiavi, gens telis apta marinis, Folengo, Baldus), a quelle di servo e di schiavo, a quelle che emergevano dallinsieme delle formule dossequio, di gratitudine, di saluto in cui la parola spesso ricorreva. Tale polisemia (e polifunzionalit) era nitidamente percepibile e ben marcata dalla sintassi, dal contesto o dalla situazione comunicativa, al punto che talora ci si poteva permettere il lusso di far ridere giocando coi doppi sensi: IULIUS [linnamorato a se stesso] Iulio, sii felice, poi che una tal donna si degna di ricomandarse a te, che sei suo servitore e schiavo. | ORIA [la serva della donna] La Vostra Magnificenzia x un zentilomo da ben, no schiavo! (La Veniexiana); Io amo una che, se ben la fortuna me la fa serva, la sua bellezza me le fa schiavo (Della Porta, La fantesca). Pi che radunare ulteriori attestazioni di simili variegati usi metaforici e interiettivi, potentemente sospinti nel loro complesso dalla moda delle sussiegose maniere spagnolesche che stavano allora influenzando i costumi degli italiani, merita soffermarsi su una testimonianza diretta e piuttosto esplicita. Nel Galateo, dove appunto si tratta delle cerimonie debite, quelle che non procedono dal nostro volere n dal nostro arbitrio liberamente, ma ci sono imposte dalla legge, cio dallusanza comune, e del fatto che i termini di riverenza e di sottomissione che allora eran diventati abituali non devono esser presi alla lettera, dato che hanno perduto il loro vigore e guasta, come il ferro, la tempera loro per lo continuo adoperarli che noi facciamo, si aggiungevano queste acute e interessanti raccomandazioni:
bisogna che noi raccogliamo diligentemente gli atti e le parole con le quali luso e il costume moderno suole ricevere e salutare e nominare nella terra ove noi dimoriamo ciascuna maniera duomini, e quelle in comunicando con le persone osserviamo. [] E, quantunque il basciare per segno di riverenza si convenga direttamente solo alle reliquie de santi corpi e delle altre cose sacre, nondimeno, se la tua contrada ar in uso di dire nelle dipartenze: Signore, io vi bascio la mano ; o: Io sono vostro servidore ; o ancora: Vostro schiavo in catena , non di esser tu pi schifo degli altri, anzi, e partendo e scrivendo, di e salutare e accomiatare non come la ragione ma come lusanza vuole che tu facci, e non come si voleva o si doveva fare ma come si fa: e non dire: E di che egli signore? [] E queste parole di signoria e di servit e le altre a queste somiglianti [] hanno perduta gran parte della loro amarezza; e, s come alcune erbe nellacqua, si sono quasi macerate e rammorbidite dimorando nelle bocche degli uomini, sicch non si deono abbominare, come alcuni rustici e zotichi fanno24.
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Oltre a quelli che sono rintracciabili attraverso le nostre fonti lessicografiche (GDLI e LIZ), segnalo i seguenti: LEPIDO Per ora non moccorre altro che segretezza. [] | FLAVIO Tanto far, con la diligenza che mi conviene. Servitore (1618, FLAMINIO SCALA, Il finto marito, in Commedie dei comici dellarte, a cura di Laura Falavolti, Torino, UTET, 1982, p. 248); VIRGINIO [] Intanto vado, per non mi poter pi trattenere. Servitor suo. | CAPITANO A Dio, signor Virginio (1633, PIER MARIA CECCHINI, Lamico tradito, ivi, p. 715); BERENICE [] Signor Cleante a rivederla (parte). | CLEANTE Servo umilissimo. Amico vi riverisco. | FLAMINIO Servidor vostro, PASQUINA Oh buono. Vi riverisco di nuovo (parte). | SENNUCCIO Servitor, madame (1730, JACOPO ANGELO NELLI, La serva padrona, da Il teatro italiano IV. La commedia del Settecento, a cura di Roberta Turchi, I, Torino, Einaudi, 1987, pp. 142, 156). 24 G. DELLA CASA, Galateo, cap. XVI, in Opere di B. Castiglione G. Della Casa B. Cellini, a cura di Carlo Cordi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, pp. 394-400, cit. da pp. 395-396. La particolare formula di

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Della Casa coglie bene la natura di tali nuove locuzioni nelle quali ci che vale, ben al di l del significato dei singoli termini, solo il loro senso complessivo come modi interiettivi e dossequio. In particolare anche lespressione vostro schiavo in catena non voleva affatto indicare una reale condizione fisica o morale di schiavit, ma era ormai diventata solo una formula fissa di riguardo e di congedo, da usarsi nello scriver lettere e nel parlare, almeno se si intendeva stare al passo con le buone maniere della societ contemporanea e non passare per degli zotichi maleducati. Le attestazioni cinquecentesche della nostra formula di saluto ricavabili da documenti lessicografici, specie quelle che la presentano nella forma ellittica di schiavo, non sono poi molte, ma quasi certamente essa doveva essersi ben diffusa e stabilizzata, come testimonia Tommaso Garzoni: hoggid non susa altro, che dire: Bascio la mano di vostra merc, Servitore, e schiavo perpetuo di quella, con millaltre cerimoniose parole che i cortigiani massimamente introduttori dogni adulatione hanno trovato ai tempi nostri. Et se ben molte cerimonie de moderni erano anco presso gli antichi in uso, [] nondimeno ve nhanno aggionte tante i moderni, che oggid gli huomini non paiono huomini, ma Dei dal ciel discesi, essendo ita tanto innanzi la licenza delle reverenze, et de saluti, che fino ai ciavattini e caligari si senton nominar col nome di signori, et quattro bezzi in borsa son sufficienti a farti dar dellillustre se ben non sei illustre in altro, che in ignoranza, et gofferia25. Nel secolo successivo curioso intercettare un impiego interiettivo di schiavo in un bizzarro ditirambo in lingua ionadattica declamato addirittura al cospetto degli accademici della Crusca da un futuro arciconsolo: Addio Monoemugi, | Schiavo Monomotapa mio cortese; | Sio vo a Stocolmo, cho dire al Marchese?, che lo riproporr anche in un altro suo scherzo poetico: Schiavo, signor Panciatichi26. La formula di saluto, piena o ellittica che fosse, rester sempre alla ribalta nella lingua della commedia fino a Goldoni, e anche dopo27; mentre appare declinante in altri tipi di testi, nei quali viene acquistando, pi chiaramente durante il secolo XVIII, una sfumatura enfatica, o satirica, o spregiativamente popolaresca28.
riverente soggezione, vostro schiavo in catena, citata dal Della Casa, doveva esser abbastanza corrente nel Cinquecento: compare nel Dialogo dellAretino e nelle Novelle del Bandello (cfr. LIZ). 25 T. GARZONI, La piazza universale di tutte le professioni del mondo [1589], a cura di Giovanni Battista Bronzini, Firenze, Olschki, 1996, I, p. 93. 26 LORENZO PANCIATICHI, Scritti vari, raccolti da Cesare Guasti, Firenze, Le Monnier, 1856, pp. 82 e 136: le due occorrenze erano state schedate da Pietro Fanfani nel TB, alla voce schiavo e stiavo, 4: Schiavo, detto per Complimento di saluto. Il primo esempio, tratto dal Ditirambo duno che per febbre deliri, recitato durante lo stravizzo del 14 settembre 1659, si riferisce a una situazione di commiato; il secondo a un casuale incontro. 27 I numerosi esempi goldoniani sono stati analizzati da M.-G. DE BOER, Riflessioni intorno a un saluto cit., pp. 433-437. La formula sembra comunque esser stata piuttosto comune sulle scene veneziane: CALAF [] Amico, a rivederci. Ci rivedremo in miglior punto. Addio. | BARACH Signore, vi son schiavo. | BRIGHELLA Allon, allon, finimo le cerimonie (CARLO GOZZI, Turandot); BRIGHELLA [] Patroni riveriti (entra). | TARTAGLIA Schiavo, signor capitano (ID., Il mostro turchino); VELFEN [incontrando linterlocutore] Servitore umilissimo. | NAIMANN Schiavo (1796, CAMILLO FEDERICI, I pregiudizi dei paesi piccoli, da Il teatro italiano IV. La commedia del Settecento cit., vol. II, Torino, Einaudi 1988, p. 66). 28 Vedi, attraverso la LIZ, luso caricaturale che ne fa Baretti nella chiusa di alcuni dei suoi discorsi nella Frusta letteraria (Don Luciano [Firenzuola da Comacchio], vi sono schiavo). O quelli che figurano nellattacco di uno scherzoso sonetto (Ti sono schiavo, ti son servitore | Cecco, che se l mio bene solo solo. | Deh lascial ir quel ragazzo dAmore | chegli una forca, chegli un mariuolo), e nella chiusa di un altro componimento (e sono stiavo di Vossignoria) delle pariniane Poesie di Ripano Eupilino. O, infine, quello di Pietro Verri citato alla nota seguente.

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A poco a poco, infatti, salutare con schiavo perde quel tratto di distinta maniera cortigiana che aveva nel Rinascimento e appare come unabitudine sorpassata, lontana dalla nuova sensibilit sociale e dal clima egualitario e filantropico che si diffonde col riformismo illuminista: magari ancora tollerabile fra il popolo, ma poco dignitosa per uomini moderni, spregiudicatamente liberi e cosmopoliti. Alessandro Verri, ad esempio, subito dopo la Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca, prosegue nel Caff con una rinunzia alle Riverenze, facendosi beffe delle troppo cerimoniose e formalistiche consuetudini sociali, fra le quali pone, non a caso, anche il nostro saluto:
Dite ai vostri scrittori del Caff chio sto per pubblicare unopera molto instruttiva, che avr per titolo Trattato matematico-logico-politico sulle riverenze. [] Le prime riverenze [] sono elleno accompagnate da un sorriso o da uno schiavo, se son rare, e da un buon giorno, amico, se son comuni. [] Aggiunger poscia la esatta calcolazione di quelle riverenze le quali si fanno pi dilicatamente, accostando bel bello lestremit delle dita della mano destra al labro con un insensibile curvamento, indi scostandola adagio adagio con uno schiavo per lo pi nasale e con un vezzoso increspamento di pelle da mandarino chinese che sorride. [] Finalmente far vedere quanto siano incomodi i saluti di taluni che inchinandosi profondamente vi afferrano come una tenaglia a tutta forza la mano e replicatamente tutto il braccio vanno scuotendo; quindi in segno destrema benevolenza digrignano per fine i denti, quasi per tener raccolto il fiato, e terminano sciogliendo uno schiavo, sprigionando un addio, lasciandovi un carissimo, uno stimabilissimo di tutto cuore, con un tuono falsetto penetrante che consola29.

Cos nel grande sommovimento della vita sociale e dei rapporti fra gli individui che attraverser quel secolo e che giunger alla sua acme nel periodo rivoluzionario, quando, fra altre cose ben pi rilevanti, lintero galateo verr radicalmente rinnovato, le vecchie cerimoniose maniere di saluto saranno le prime a subire un tracollo, e anzi ad esser esplicitamente interdette, come si apprende fin dalle battute iniziali della commedia Il matrimonio democratico, ossia il flagello de feudatari di Simeone Antonio Sografi, rappresentata a Venezia nel 1797, I della libert italiana:
CITTADINO (sempre con vivacit e brio) Tonino, buon giorno; ti saluto, Tonino. TONINO (salza) Lustrissimo, ghe son servitor. CITTADINO Lascia andar lIllustrissimo, Tonino. Non pi il tempo degli Illustrissimi:

la

stagione degli uomini oscuri30. E come spiegher in modo ancor pi chiaro, sempre in quellanno memorabile, il giacobino Girolamo Bocalosi, nellopera Delleducazione democratica da darsi al popolo italiano (Milano,
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A.[ALESSANDRO VERRI], [Le riverenze], nel Caff, t. I, fogli VI-VII; cit. da Il Caff. 1764-1766, a cura di Gianni Francioni e Sergio Romagnoli, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pp. 73-78: i brani da pp. 73, 74, 75, 77. Sulla medesima rivista Pietro Verri, fingendosi analfabeta, concluder larticolo non firmato Un ignorante agli scrittori del Caff, con laborrito saluto: noi non crediamo daver bisogno dei letterati e potiamo far loro de brutti scherzi. Fate giudizio. Schiavo, scrittori del Caff (t. I, foglio XXXI; ivi, p. 354). 30 Il Teatro Patriottico, a cura di Cesare De Michelis, Padova, Marsilio, 1966, p. 61; anche altrove, nella stessa commedia, si sostiene la necessit di una democratizzazione linguistica, come ad esempio a proposito delle affettate formule di cortesia usuali nelle sovrascritte delle lettere: Io sono il cittadino Costanti; ma questa lettera non viene a me. Osservi: AllIllustrissimo, io non ho fatto mai nulla di glorioso; Signore, sono stato sempre un pover uomo; Padrone, non ho mai avuto un servitore; Colendissimo, non sono mai stato corteggiato, perch ho avuto sempre una lingua che ha dato a tutti il suo; ondella vede evidentemente che questa lettera non viene a me (ivi, p. 65).

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Pogliani [1797]), dove si descrivono le maniere sociali del repubblicano e si fissano le formule di saluto appropriate ai tempi nuovi salute, viva la libert, a rivederci liberi , formule da proferire senza inchini e con reciproca civile schiettezza:
Il falso cittadino fa lopposto. Vuol cedere il luogo allaltro o lo vuole; fa inchini, si cava il cappello, e dice: Come sta lei? Ho piacere della sua salute Posso ubbidirla? Mi comandi Schiavo suo e tiene sempre il cappello nella sinistra e la destra distesa, curvando la spina del dorso e mandando la testa avanti e indietro, seguitando a dire: Bramo lonore de suoi comandi, con cento altri errori grammaticali e cerimonie e mimiche servili, n cessa mai di pronunziare gli adiettivi: umilissimo servo, obbligatissimo, reverentissimo, mille grazie e simili espressioni schiave. Savverta che con tutte queste parole inciviche non dice mai laristocratico la verit; ed perci due cose a un tempo: vile, cio, e bugiardo31.

Tuttavia la sorte di schiavo era allora assai pi compromessa di quella delle analoghe espressioni schiave, e non solo come formula di saluto. La parola, infatti, se allorigine non si discostava molto dalla semantica di servo, con lestendersi in epoca moderna della deplorevole e indegna piaga della schiavit e delleco che essa aveva avuto nel dibattito illuminista sui diritti naturali delluomo, venne assumendo poco a poco una connotazione fortemente svalutativa che la stacc in modo netto dal suo quasi sinonimo, come non molto tempo dopo certificher Tommaseo nel Dizionario del sinonimi (1838): Il servo avvilito; lo schiavo bruto. C delle servit di convenienza o pattuite; la schiavit, sempre illegittima, turpe, forzata32. La connotazione negativa fin per riverberarsi anche sui precedenti usi metaforici della parola, che ora, fra Sette e Ottocento, sembrano farsi pi radi; in particolare ne soffoca definitivamente gli impieghi come formula epistolare e di saluto. Adesso, se si parler di schiavo e di schiavit (o schiavitudine) lastratto viene creato non a caso solo nel secolo XVII lo si far per indicare una condizione infelice e avvilente da cui occorre affrancarsi. E prendono corpo nuovi sintagmi, come popolo schiavo (Vico, A. Verri, Alfieri), gente schiava (Berchet), ridurre schiavo (o in schiavit) (Goldoni, Alfieri, Casti), abolizione della schiavit (Il Conciliatore), che ci fanno intuire le idee che son confluite dietro alla parola e la nuova strada che essa ha ormai imboccato. Verr proprio da questa crisi semantica, riscontrabile nelluso politico-letterario, la spinta che, nel dialetto cittadino delle classi medio-alte come meglio vedremo, favorir la metamorfosi di schiavo in ciao, motivata dalla necessit di cambiare i connotati al significante, mantenendo cos in circolazione unespressione di saluto largamente accettata, ma nello stesso tempo sviando o rendendo difficile ogni eventuale residuo riconoscimento di un significato ormai troppo imbarazzante. * Finora abbiamo passato in rassegna solo esempi letterari: la formula nasce verosimilmente in ambienti cortigiani come espressione dossequio, si diffonde in vari strati della societ rinascimentale anche in forma ellittica e con la funzione di semplice saluto; e poi possibile seguirne la parabola discendente, fino alla sua uscita di scena, ancora attraverso esempi scritti e testimonianze di persone colte. Ma gi da alcuni di quegli esempi si intuisce che riverire o salutare qualcuno con schiavo vostro non doveva esser rimasta a lungo unesclusiva delle classi pi elevate: le battute dei personaggi della commedia ci dicono che lusanza era stata largamente
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Cit. da Giacobini italiani, vol. II, a cura di Delio Cantimori e Renzo De Felice, Bari, Laterza, 1964, p. 179. Sulla mutata sensibilit nei riguardi della cerimonia dei saluti, vedi anche il relativo capitolo del Nuovo Galateo di MELCHIORRE GIOJA (Milano, Pirrotta, 1801). 32 N. TOMMASEO, Nuovo dizionario dei sinonimi, Firenze, Vieusseux, 1838, p. 903.

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accolta anche in ambito popolare, e non solo per scherno. Anzi, mentre si nota che fra i letterati la formula perde terreno e nel corso del Settecento acquista una sfumatura sempre pi negativa, si ha limpressione, dai pochi elementi di cui purtroppo si pu disporre, che nelluso pi basso essa abbia mantenuto a lungo il suo originario tono di riguardo. Diffusione al di fuori della primitiva cerchia cortigiana e uso popolare vuol dire anche interferenza calata nel dialetto: difatti litalianismo colto, sia come formula dossequio che come semplice saluto, penetra a macchia dolio nelle parlate di vaste aree della penisola, nonostante tale processo non sia facile da precisare nei suoi contorni e nelle sue modalit. Quel poco che si ricava dalla scarna documentazione ci fa intravedere una realt variegata, nella quale, per ci che riguarda il lato formale, talora prevalgono tendenze assimilatrici fino a far coincidere il significante dellinterferenza con la forma localmente corrispondente a schiavo servo, quasi si trattasse di un prestito camuffato; pi spesso per si inclina a mantenere la forma non adattata, o ad adattarla solo in parte, cos da distinguere la novit dalla voce che con altra funzione era gi presente nel dialetto. Tale penetrazione non interessa solo i dialetti settentrionali, ma un fatto tendenzialmente panitaliano. Risulta ormai ben indagato il caso di Goldoni, che nelle commedie in dialetto e in lingua ricorre largamente a schiavo e schiao per quasi tutti i ruoli e tutte le situazioni: come saluto dincontro e di commiato; come esclamazione conclusiva col senso di basta: Quatro risi, un per de piatti, e schiavo; come parola usata ora in modo isolato, ora allinterno delle solite espressioni dossequio33. Ma oltre a Venezia, dove linteriezione compare anche nelle commedie di Carlo Gozzi, si va dalla Lombardia di Carlo Maria Maggi e Carlo Porta, alla Roma di Gioacchino Belli, alla Napoli di Gian Battista Basile e Pietro Trinchera34. Fino alla Sicilia, dove saranno proprio i due vocabolari settecenteschi del dialetto i primi a conferirle dignit lessicografica: Scavu schiavo mancipium, captivus, servus [] Scavu patruni, o Vi sugnu scavu, maniera di salutare. V. Patrni, si legge nel De Bono (e si ripete nel Pasqualino); e

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Vedi qui sopra la nota 25 e cfr. GIANFRANCO FOLENA, Vocabolario del veneziano di Carlo Goldoni, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1993, s. v. schiavo/schiao. 34 Lesempio di C. M. MAGGI (Il teatro milanese, a cura di Dante Isella, Torino, Einaudi, 1964, p. 244) segnalato da TUTTLE, in M. ALINEI, Il problema della datazione cit., p. 42, si riferisce a una formula di sottoscrizione epistolare: Vost umelissem scivv. Pi interessante luso che ne far Porta, sul quale aveva gi richiamato lattenzione SPITZER (Zur romanischen Syntax cit., p. 702n): si tratta di una dozzina di occorrenze, nella maggior parte delle quali sciavo ha valore di esclamazione conclusiva, corrispondente a basta: Sciavo, pascienza per i pover mort! (C. PORTA, Poesie, a cura di D. Isella, Milano, Mondadori, 1975, p. 182, v. 417); ma non mancano casi in cui si presenta con la sua piena funzione di saluto: Si l vera, la me cura | sul repian quand vegni a c, | e di voeult anch la procura | de tegnimm l a cicciar. || Ma l inutel, gi, stoo su | che i vesin tel poden d. | Sciavo allegher, tutt al p | la saludi e tendi a mi (ivi, p. 16, vv. 45-52). Anche nei sonetti del Belli la voce compare tre volte, impiegata sia come saluto (Mo vve so schiavo, ve caccio er cappello, son. 738, v. 3), che in funzione conclusiva (Dunque, schiavo: se pijjno, e bbon giorno, son. 1215, v. 11). Per Napoli, oltre alla formula dossequio che figura ne Lo cunto de li cunti di Gian Battista Basile (Lo segnore Cagliuso, schiavo de Vostra Autezza [] ve manna sto pesce), linteriezione si affaccia ripetutamente ne La moneca fauza (1726) di Pietro Trinchera, la cui dedica si chiude gi con uno Schiavo tuio: MASILLO [] Te so schiavo, provvidete pe sto vierno. | PERNA Vattenne tradetore!, DESPERATO Lo zuco duva me sazia cchi de lo pane. | LOLLO Fanne chello che buoie. Covrnate. | DESPERATO Te so schiavo. Obrecato DESPERATO Si Perna, trasitevenne, ca mo vene la moneca. | PERNA Schiava, mo fancella na bona manteiata. | DESPERATO piso mio. Schiavo vostro (esempi tratti da Il teatro italiano. IV. La commedia del Settecento cit., vol. I, risp. pp. 325, 355, 357). Ulteriori spogli di testi dialettali potrebbero facilmente allargare questo magro campionario.

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alla voce patrni: [] Scavu me patruni, maniera di salutare, presa dagli antichi Romani. Schiavo padron mio, salve mi domine35. Il radicamento di schiavo con valore interiettivo nelle parlate locali, soprattutto in quelle del Nord, fu inoltre un fenomeno tuttaltro che superficiale, come si pu dedurre non solo dai lessici dialettali piemontesi, lombardi, emiliani e veneti, ma anche da unautorevole testimonianza degli anni settanta dellOttocento, quella di Tommaseo che nel suo dizionario registra un uso clto evidentemente sulle labbra dei tanti settentrionali, per lo pi piemontesi, che fra il 1865 e il 1870 popolarono Firenze capitale: Vi sono schiavo, forma che non era toscana; ma adesso lo schiavo, in forma di saluto, sentesi da taluni anche qui. Tristo augurio di rifacimento36. I vocabolari ottocenteschi, tuttavia, ci mostrano che anche nei dialetti la situazione si era fatta problematica: da una parte, in modo forse parallelo a ci che avveniva nella lingua, litalianismo schiavo stava retrocedendo come saluto anche nella conversazione popolare, o era relegato a usi e registri particolari, magari con una connotazione di maggior formalit; dallaltra si affacciava alla ribalta il nuovo e pi democraticamente neutro ciao, qua soppiantando la vecchia formula, l affiancandola o costringendola a differenziarsi37. Non volendo abusare della pazienza di chi legge, invece di mettermi qui a dipanare questa arruffatissima matassa dialettale, mi soffermer solo sullorigine di ciao, ovvero sul processo della sua derivazione da schiavo. Se la motivazione del fenomeno dipende, come s visto, dal reale scadimento semantico di questultima parola e dallostracismo ideologico verso una formula di saluto a torto ritenuta servile, sul piano strettamente storico e formale si tratterebbe, secondo la vulgata, di una trasformazione avvenuta a Venezia donde si sarebbe poi diffusa38. Diversi sono gli argomenti che sono stati addotti a sostegno di questa ipotesi: la densit
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MICHELE DE BONO, Dizionario siciliano italiano latino, Palermo, Gramignani, 1754; cfr. anche MICHELE PASQUALINO, Vocabolario siciliano, Palermo, Dalla Reale Stamperia, 1786, alle voci scavu e patruni. 36 TB, voce schiavo e stiavo, V, che continua con unosservazione relativa alluso della parola come formula conclusiva: Men male quando, per una specie dironia, esclamasi e qui e altrove: E schiavo, intendendo E vo che finisca cos. Per non contendere, gli do quel chegli pretende: e schiavo. Come dire: La mia servit comincia e finisce l. curioso notare che nello stesso lemma, schedato da altri poco pi su al 4, faceva bella mostra proprio un vecchio esempio toscano di schiavo nel senso di addio (vedi n. 26). 37 Si veda a questo proposito lesplicita testimonianza di ANGELO PERI (Vocabolario cremonese italiano, Cremona, Feraboli, 1847), che pure registra cio come saluto, ricavabile dal doppio lemma scio: Mi ricordo di aver udito nella mia prima et taluno salutando dire scio suo, cio schiavo suo, in vece del Servo suo che usasi attualmente; Usasi anche adesso questa parola [sciao] per dire Son contento, Facciamola finita []. 38 Mentre gli studi e i vocabolari pi recenti propendono tutti per la derivazione veneziana (cfr., sopra, n. 13), in passato non erano mancate ipotesi diverse o pi dubitative: il Vocabolario dellAccademia dItalia (1941) parla chiaramente di derivazione lombarda (cfr. n. 73); ANGELICO PRATI, che gi in un saggio del 1936 aveva insinuato unincertezza sullorigine (vedi n. 74), resta oscillante nel Vocabolario etimologico italiano (Milano, Garzanti, 1951): un saluto che dal Veneto o da Milano penetrato sino a Roma, dove non rado (1925) (ma cfr. ID., Etimologie venete, a cura di G. Folena, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1968: Dal venez. sciao!); invece CARLO BATTISTI - GIOVANNI ALESSIO, Dizionario etimologico italiano (Firenze, Barbra, 1950-1957) sembrano escludere la matrice veneta: lomb. ciao, piem. cia(v)u [] da anteriore scia(v)o schiavo; OTTAVIO LURATI, Dialetto e italiano regionale nella Svizzera italiana (Lugano, Banca Solari & Blum, 1976, p. 68) indica per il Ticino il tramite milanese; infine P. ZOLLI (Le parole dialettali [1986] cit., p. 74) sostiene che la provenienza veneta: lascia adito a qualche dubbio []. La formula di saluto ciao si diffusa in italiano solo nel Novecento, ma era conosciuta fin dallinizio del secolo precedente in tutta lItalia del Nord []. Lorigine veneta (o addirittura veneziana) sarebbe accertabile col fatto che solo nel Veneto era gi in uso nel Settecento, e come saluto reverenziale (schiavo, cio servo suo).

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semantica della parola nel veneziano, documentata a sufficienza gi dai numerosi esempi di Goldoni; la natura dei fenomeni fonetici intervenuti: caduta della v intervocalica e mantenimento della vocale finale, distacco delliniziale s- reinterpretata come fosse un prefisso; le testimonianze dirette, come quella di Jacopo Pirona che nel Vocabolario friulano (1871) scrive: Sho = Servitor vostro: Maniera servile di saluto tolta dai Veneti; se fosse indigena friulana, si direbbe: Sclv o Fmul39. Ora nessuna di queste ragioni, a ben guardare, davvero decisiva per attribuire a ciao una paternit veneziana. Il Pirona, ad esempio, non parla di ciao ma di sho (pronunciato [so], come il veneziano schiao o sciao), risalito nel friulano in compagnia di molti altri venetismi. La densit semantica, ovvero la presenza in una lingua di pi significati per una data parola che poi viene mutuata altrove in una sola delle sue accezioni, la si pu ritrovare pressappoco uguale anche fuori dei domin della Serenissima40. Se infine si passa alla fonetica, la reinterpretazione della consonante iniziale come un elemento prefissoidale sopprimibile poteva esser avvenuta non solo nel veneziano o nel pavano, ma anche in altri dialetti, dove non mancano serie di coppie, alle quali anche s-ciao ~ ciao si sarebbe potuto accodare, in cui il prefisso s- di valore intensivo o espressivo pu andare o venire senza incider troppo sulla semantica41. Pi serio largomento
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J. PIRONA, Vocabolario friulano, pubbl. per cura di Giulio Andrea Pirona, Venezia, Antonelli, 1871. Su luno o laltro di tali argomenti si son soffermati i diversi studiosi che si sono occupati di ciao; ma vedi specialmente gli interventi di GIACOMELLI e TUTTLE, in M. ALINEI, Il problema della datazione cit., pp. 29-30 e 42-44. 40 Il concetto di densit semantica stato proposto nel 1965 da Alinei come criterio per individuare larea di radicamento di una parola e la sua provenienza come prestito interlinguistico o interdialettale: un grado maggiore di DS [densit semantica] in una certa area pu servire a indicare che la parola indigena o quantomeno che in quellarea la parola pi profondamente radicata che altrove (cfr. M. ALINEI, Il concetto di densit semantica in geografia linguistica [1967] e La densit semantica di alcune parole romanze connesse con la ruota [1974], in ID., Lingua e dialetti: struttura, storia e geografia cit., pp. 257-267, 269-289, a p. 269). Si tratta di un concetto speculare a quello ben noto della restrizione del significato proprio della teoria del prestito linguistico: Una parola straniera [] non viene adottata nel suo complesso, come se fosse presa dalle pagine di un vocabolario, ma unicamente in quanto portatrice di un preciso significato tecnico; le altre accezioni rimangono sconosciute nella lingua ricevente sebbene alcune di esse possano essere importate in un secondo tempo (I. KLAJN, Influssi inglesi nella lingua italiana, Firenze, Olschki, 1972, p. 104). Nel nostro caso, tuttavia, pi che di densit semantica, parlerei semmai di densit di frequenza del termine schiavo, nelle sue varie accezioni, a Venezia e allinterno del teatro goldoniano (vedi sopra nn. 27 e 33): i fondamentali valori semantici di tali occorrenze corrispondono, come si visto, a quelli gi presenti nel toscano e, al di l della scarna documentazione, in diversi altri dialetti (cfr. n. 34). 41 Largomento stato messo a fuoco da TUTTLE (in M. ALINEI, Il problema della datazione cit., p. 43: the vaguely pejorative, prefixoidal s- is more an optional, detachable increment in the Veneto than elsewhere [...]; thus a reduced variant cia(v)o for scia(v)o seems more explicable here than elsewhere), forte delle sue accurate e persuasive indagini sul prefisso s- del pavano (E. F. TUTTLE, Snaturalit e la s- iniziale pavana: qualche considerazione storica e stilistica, in Studi mediolatini e volgari, XXVIII, 1981, pp. 103-118). Ma il prefisso s- con semplice valore rafforzativo (invece che negativo o privativo), se anticamente stata una particolarit innanzitutto veneta e poi settentrionale, pur in proporzioni diverse, era e divenne sempre pi vitale in epoca moderna anche in toscano, dove fra laltro serve a dar vita a doppioni pi espressivi o ad aggiungere minime sfumature di significato e particolarit duso (baciucchiare ~ sbaciucchiare, battere ~ sbattere, cancellare ~ scancellare, chiarire ~ schiarire, corbellare ~ scorbellare, fendere ~ sfendere, frego ~ sfrego, ghiribizzo ~ sghiribizzo, graffio ~ sgraffio, moccolare ~ smoccolare, pettegolare ~ spettegolare, ecc.: cfr. GIACOMO DEVOTO, Il prefisso s in italiano [1939], in ID., Scritti minori. III, Firenze, Le Monnier, 1972, pp. 30-35); analogamente a quanto succede negli altri dialetti: per il milanese (dal vocabolario del Cherubini) vedi le coppie baciocc ~ sbaciocc tentennare, bagasci ~ sbagasci sbevazzare, banf ~ sbanf ansare, barloggi ~ sbarloggi

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della vocale finale: infatti da SCLAVUS solo nel Veneto si ha sa(v)o, mentre negli altri dialetti settentrionali ci saremmo dovuti aspettare forme apocopate del tipo sav, come in realt avviene. Ma a questo proposito non va dimenticato che nel nostro caso specifico non ci troviamo di fronte a una parola dialettale di tradizione popolare, ma a un prestito moderno dallitaliano delle persone pi distinte, un prestito che veicolando una funzione nuova, aveva buone ragioni per differenziarsi nella forma dalla corrispondente vecchia voce locale. Cos, pressoch in tutti i dialetti settentrionali, la parola ha subto solo un adattamento parziale al sistema fonetico locale: in particolare ha mantenuto sempre, o quasi sempre, quel tratto che meglio la qualificava come italianismo: la vocale finale. Gli esempi son abbastanza chiari; e chiari i lessici dialettali, che di norma registrano la voce locale apocopata per il sostantivo o laggettivo col valore di servo e, come lemma a parte, linteriezione finita42. Contro la paternit veneta di ciao militano inoltre evidenti dati storici e alcuni elementi di fatto: nella prima met dellOttocento Venezia una citt in declino, priva ormai di quellattrattiva che di solito caratterizza un centro capace di irradiare mode e novit linguistiche. Perfino sul piano cronistorico pi minuto delle attestazioni e della loro datazione, non si pu tacere che mentre sono numerosi, come vedremo pi avanti, gli scriventi lombardi che usano ciao, la sua comparsa nel veneziano piuttosto tarda: anche se si potrebbe supporre che la parola fosse gi presente nelluso orale, sta di fatto che manca alle due edizioni del dizionario del

occhiare, batt ~ sbatt, bauscnt ~ sbauscnt bavoso, bigiador ~ sbiggiador chi fa forca, bolgir ~ sbolgir danneggiare, fadig ~ sfadig, frantja ~ sfrantja gramola, fratzz ~ sfratzz spianatoia, frs ~ sfrs frego, gatton ~ sgatton svicolare, gavasci ~ sgavasci gavazzare, lzza ~ slzza pattume, lscia ~ slscia acquazzone, ecc. Va inoltre osservato che la questione non circoscritta solo alla formale cancellazione dello pseudoprefisso, che in fondo sarebbe potuta avvenire in un dialetto qualsiasi, ma coinvolge anche altri aspetti che portano a restringere il cerchio: nel veneziano sa(v)o significava sia servo che addio; in milanese e in piemontese (vedi n. 42) eran presenti due forme distinte, sa(v)o addio e sav servo: la reinterpretazione del saluto come fosse un derivato col prefisso s- pi facile che sia avvenuta dove le due parole erano formalmente distinte, cosicch la riduzione delluna poteva avvenire indipendentemente dalle sorti dellaltra. E dove lesito della riduzione sa(v)o > a(v)o non andava a collidere con parole preesistenti: in diverse variet rustiche del Veneto era in uso la voce a(v)o < lat. CLAVEM chiave (G. A. DALLA ZONCA, Vocabolario dignanese cit.: civo; VITTORE RICCI, Vocabolario trentino-italiano, Trento, Zippel, 1904: cio; ecc.), voce alla quale in Piemonte e in Lombardia corrispondeva invece la forma av. Per pura curiosit segnalo che la tendenza alla deformazione grafico-fonetica o allaccorciamento, che propria di molte interiezioni, ha recentemente interessato ancora una volta la nostra parola: nel gergo giovanile, infatti, ciao stato amputato graficamente della prima lettera (forse in conseguenza di una pronuncia affettata o meridionale della parola, tendente a far riemergere la i come semiconsonante) ed diventato iao, dando luogo tuttavia una sequenza fonica poco comune (cfr. LORENZO COVERI, Iao paninaro, in Italiano e oltre, 1988, 3, pp. 107-111; GIANFRANCO LOTTI, Le parole della gente. Dizionario dellitaliano gergale, Milano, Mondadori, 1992): comunque sembra trattarsi solo di una moda e probabilmente passeggera. 42 A parte il friulano sclv schiavo testimoniato dal Pirona (cfr. n. 39), in Piemonte e in Lombardia si ha sciav schiavo, accanto a scia(v)o e ci(v)o addio (e a civ chiave di diversa origine): cfr. VITTORIO DI SANTALBINO, Grande dizionario piemontese-italiano, Torino, Societ lUnione Tipografico-editrice, 1859; FRANCESCO CHERUBINI, Vocabolario milanese-italiano, Milano, DallImp. Regia Stamperia, 18391843. La situazione piemontese era gi stata tratteggiata abbastanza bene da ATTILIO LEVI (Le palatali piemontesi, Torino, Bocca, 1918, p. 16): Come a Milano e Parma, [in Piemonte sav] esiste pure nella doppia forma di savu e avu, che, dato il permanere delluscita vocalica, toscanesimo o ligurismo, ed ha diverso valore: savu preceduto da e sadopera quale formula conclusiva del discorso famigliare []; avu (var. au) il saluto dellintimit, ed ha perduto ls iniziale probabilmente perch i parlanti vi sentirono il pref. s (<ex), mentre lha consevato savu, perch susa in frase fatta, in cui protetto dall e precedente.

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Boerio (1829, 1856) e sar registrata solo nel 1890, nelle Giunte di Alessandro Pericle Ninni43. Infine va osservato che il Veneto sembra costituire, per ci che riguarda il sistema delle nostre formule di saluto, unarea generalmente conservativa: gi dai dati dellAIS (IV, c. 738), gli unici punti del Settentrione in cui, al posto di ciao, risulta ancora vitale la forma sao buon giorno!, si trovano nelle provincie di Venezia (385, Cavarzere), Treviso (364, Tarzo) e Trento (341, Tiarno di Sotto); e tale vitalit di sao unita a una sorta di refrattariet nei confronti di ciao in certe zone del Veneto confermata anche dai lessici dialettali44. A questo punto, a stare agli elementi che finora conosciamo, lipotesi pi probabile che linnovativo ciao si sia propagato dalla Milano della Repubblica Cisalpina e del Regno napoleonico, prima nei territori di cui era la capitale e successivamente in Piemonte e in Veneto. Per Milano, infatti, possiamo documentare, quasi tappa dopo tappa, tutta la fase evolutiva della parola. Sia sul piano pi generale del mutamento delle idee e dei costumi: dallo schiavo come maniera di salutare su cui ironizza Alessandro Verri, alla sua estromissione, a favore di una pi democratica franchezza, raccomandata da Bocalosi. Sia su quello formale dellevoluzione fonetica: dal popolare e tradizionale sciavo che compare ripetutamente nelle poesie dialettali di Porta come saluto e come esclamazione conclusiva, allemergere del nuovo significante nelluso familiare anche italiano di persone distinte come risulta nel 1829 dalle lettere di Tommaso Grossi e poi di altri, alla assai precoce registrazione lessicografica, prima di ciavo (1814), poi di ciao (1839) nel Vocabolario milanese-italiano del Cherubini45.
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A. P. NINNI, Giunte e correzioni al Dizionario del dialetto veneziano [del Boerio], serie III, Venezia, Tipografia Longhi e Montanari, 1890: ciao Saluto che una sincope della antica parola schiavo. Goldoni us Schiao. 44 Mentre comprensibile che nei vocabolari veneti di fine Ottocento si continui a registrare il saluto sciao e ancora signori ciao (cfr., ad esempio, GIULIO NAZARI, Dizionario veneziano-italiano, Belluno, Tissi, 1871 [scciao, ti saluto, buon giorno]; ID., Dizionario bellunese-italiano, Oderzo, Bianchi, 1884; LUIGI PAJELLO, Dizionario vicentino-italiano, Vicenza, Brunello e Pastorio, 1896), stupisce lassenza della nuova forma in opere pi recenti (cfr. GIUSEPPE PICCIO, Dizionario veneziano-italiano, Venezia, Libr. Emiliana Editrice, 1928; B. MIGLIORINI - G. B. PELLEGRINI, Dizionario del feltrino rustico, Padova, Liviana, 1971; GIOVANNI TOMASI, Dizionario del dialetto di Revine, Belluno, Ist. di ricerche sociali e culturali, 1983; ecc.): evidentemente la parola, magari conosciuta nellitaliano regionale, ha avuto difficolt a penetrare nei dialetti locali, dovera ben saldo sao (e in certe variet era presente anche lomofono ao chiave: cfr. n. 41). In alcune delle parlate venete in cui stato accolto, il neologismo ha assunto una sfumatura di particolare distinzione, come non di rado capita con i prestiti che vengon da fuori: Luso di ciao! per addio!, cio con persona di confidenza, deve essere recente. Le persone vecchie e attempate, e tra i giovani chi parla pi schietto, lo usano nel primo significato [la riverisco], cio con persone di riguardo (1960, A. PRATI, Dizionario valsuganotto, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale; ma gi in ID., I Valsuganotti, Torino, Chiantore, 1923, p. 162); s-cio e cio [] sempre a persone che si tratti col tu; solo i vecchi di montagna anche a persone di riguardo: cio, sir Chchi (1955, EMILIO ZANETTE, Dizionario del dialetto di Vittorio Veneto, Vittorio Veneto, De Bastiani, 1980); voce importata da Trento o direttamente da Padova ad opera di studenti trentini. - Certi contadini salutano con ciao! anche le persone di riguardo. E, a rigore, hanno ragione, poich ciao vuol dire schiavo e corrisponde al saluto servo suo! (1964, ENRICO QUARESIMA, Vocabolario anaunico e solandro, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale). A conferma della nostra ipotesi, va osservato che le zone che hanno subito accolto ciao sono state quelle pi esposte a influenze occidentali: cfr. G. L. PATUZZI - G. e A. BOLOGNINI, Piccolo dizionario del dialetto moderno della citt di Verona cit., 1900 [lasciandosi, o incontrandosi senza fermarsi. Quando ci si ferma si dice meglio: Buongiorno, Buonasera]; V. RICCI, Vocabolario trentino-italiano cit. 1904; PIO MAZZUCCHI, Dizionario polesanoitaliano, Rovigo, Tip. Sociale Ed., 1907. 45 F. CHERUBINI, Vocabolario milanese-italiano, Milano, Dalla Stamperia Reale, 1814: ciavo Addio. Salve. Dio ti salvi. Fatti con Dio. Ben possa stare. Ben stia il tale. Buon d. Buon giorno. Buona sera. Ti saluto. Tu sia il ben venuto. La voce Ciavo pare corrotta da Schiavo; noi difatto diciamo anche Ciavo suo; cio

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Ci sono, infine, le testimonianze dirette di forestieri, curiosamente colpiti dal nuovo saluto che colgono dalla viva voce degli abitanti della citt lombarda. Nel 1818 una lettera del cortonese Francesco Benedetti ce ne mostra un incipiente uso confidenziale: Qua ricevo gentilezze da ogni parte, e una signora particolarmente mostra, contro ogni mio merito, della propensione per me. Ella mi conduce in diverse conversazioni, al teatro della Scala, di cui non ho visto la cosa pi magnifica, al corso []. Questi buoni Milanesi cominciano a dirmi: Ciau Benedettin46. Unanaloga segnalazione che, confermando la circolazione della parola fra le signore pi raffinate, offre ragguagli sulla pronuncia e la sua connotazione, ci proviene dallirlandese lady Sidney Morgan che viaggi in Italia nel 1819-1820: Ciavo (pronunced Tchouw, with the v vocalized or almost sunk) is the most familiar and condescending salutation of the Milanese47. Pi difficili da delineare, invece, le tappe dellirraggiamento di ciao fuori da Milano. Se ci si affida ai lessici dialettali, che per ora sono quasi lunica fonte che abbiamo, si pu intanto stendere una provvisoria mappa cronotopica come la seguente: 1817, Brescia ciao, prima registrazione lessicografica della parola in questa forma [nel 1839 essa comparir anche nel Cherubini: vedi n. 45], ma solo come rimando alla voce s-ciao, dove si legge: [] La nostra voce s-ciao corrotta da schiavo, quindi si dice schiavo suo, servitor suo (Giovan-Battista Melchiori, Vocabolario bresciano-italiano, Brescia, Franzoni). 1827, Parma civo, o scivo. Addio, Salve, Ti saluto, Buon d, Buona sera (Ilario Peschieri, Dizionario parmigiano-italiano, Parma, Blanchon, vol. I). 1830, Torino ciavo, addio []; ciavo suo, schiavo suo, servitor suo (Michele Ponza, Vocabolario piemontese-italiano, Torino, Stamperia Reale). 1840, Faenza civo, schiavo. Modo di salutare con molta confidenza [] (Antonio Morri, Vocabolario romagnolo-italiano, Faenza, Conti allApollo).

schiavo suo, servitor suo. Solo nel 1839, nel primo tomo della nuova edizione 1839-1856 del suo vocabolario, Cherubini registrer per la prima volta la forma ridotta cio, con rimando a civo; e integrer questa voce con la seguente aggiunta: Ciavo obligato. V. Obligato. | Ciavo suo o Ciavo signori. Vi son servitore [] e vale fritta, non ne facciam nulla, e simili. Senza nanch d Ciavo can. V. in Cn; nel tomo IV (1843), alla voce scivo addio si rimanda ancora a civo e si aggiungono le espressioni conclusive e sciavo, e sciavo sciori, e sciavo suo, e sciavo suria. Per gli esempi popolari del Porta, vedi n. 34; per quelli epistolari del Grossi, n. 50. 46 Il tragediografo cortonese Francesco Benedetti era a Milano per visitare Trivulzio e Monti; lesempio, che costituisce la prima attestazione non lessicografica della parola, tratto da una lettera del 12 luglio 1818 agli amici Rossi e Zucchini, che riportata da SILVIO MARIONI, Francesco Benedetti (1785-1821), Arezzo, Sinatti, 1897, p. 214; cfr. anche Epistolario di Vincenzo Monti, raccolto e annotato da Alfonso Bertoldi, Firenze, Le Monnier, 1928-1931, V. (1818-1823), pp. 82-83. 47 SIDNEY MORGAN, Italy (Londra, H. Colburn and Co., 1821, p. 97), cit. da GABRIELLA CARTAGO, Ricordi ditaliano. Osservazioni intorno alla lingua e italianismi nelle relazioni di viaggio degli inglesi in Italia, Bassano del Grappa, Ghedina & Tassotti, 1990, pp. 82 e 123. Non ho potuto controllare il testo inglese, ma la traduzione francese (LItalie par Lady MORGAN, Parigi, Dufart, 1821, I, pp. 210-211): un cordial ciavo viene riferito come un saluto che ci si scambierebbe fra signore nei palchi della Scala; alla parola in corsivo fatta seguire una nota a pi di pagina, dove se ne illustra la pronuncia (invece del tchouw delloriginale, nel testo francese si corregge in tchaou, che conferma la pronuncia udita dal Benedetti: cfr. n. 46), e se ne riporta per intero il relativo lemma, accompagnato da traduzione, del Vocabolario milanese del Cherubini (1814). Va osservato che questo lunico punto della sua suggestiva e nitida descrizione dellItalia, in cui la Morgan parla del saluto, nonostante avesse viaggiato in gran parte della penisola e avesse soggiornato anche a Venezia.

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1847, Cremona cio. saluto confidenziale fra amici, comech sia una corruzione da schiavo [] (Angelo Peri, Vocabolario cremonese italiano cit.). 1855, Piacenza ci, con rimando a sci. Addio, A Dio, Salve (Lorenzo Foresti, Vocabolario piacentino-italiano, seconda ed., Piacenza, Solari). 1856, Como civo, Addio, Schiavo, Salute. modo di salutare (Pietro Monti, Saggio di vocabolario della Gallia Cisalpina e celtico e Appendice al Vocabolario dei dialetti della citt e diocesi di Como, Milano, Soc. tip. de Classici Italiani). 1859, Torino ciao o sciao. Maniera di salutare incontrandosi o licenziandosi, equivalente a ti sono schiavo []; ciavo suo. Maniera di saluto. V. ciao e anche alegher (Vittorio di SantAlbino, Grande dizionario piemontese-italiano cit.); tuttavia nel parlato piemontese, secondo una testimonianza di Massimo DAzeglio, doveva esser gi in uso da qualche decennio la forma ciau48. 1873, Bergamo ciao, siao. Schiavo, Addio, Ti saluto. Modo di salutare altrui con molta confidenza [] (Antonio Tiraboschi, Vocabolario dei dialetti bergamaschi, II ed., Bergamo, Bolis). 1879, Pavia ciao Questa voce non ha una corrispondente in italiano. Significa saluto sia quando si separa da alcuno a cui si parli in seconda persona, sia quando si incontra. Nel primo caso equivale ad addio. Nel secondo significa caro (Carlo Gambini, Vocabolario pavese-italiano, Milano, Agnelli). 1889, Ferrara cio Abbreviazione di schiavo modo di salutare confidenziale Addio (Luigi Ferri, Vocabolario ferrarese-italiano, Ferrara, Tip. Sociale). Comunque siano andate le cose nella realt, indubbio che la circolazione dialettale di ciao prese le mosse da Milano e in pochi decenni si estese alla Lombardia e interess il Piemonte e le altre province del Nord; tuttavia per pi di un secolo non sembra esser riuscita a trovare un largo e capillare sbocco nelle parlate alla destra del Po, nonostante qualche episodio che, comparando le risultanze lessicografiche indicate qui sopra (Parma, Faenza, Piacenza) con i silenzi dellAIS (cfr. la n. 7), da ritenersi limitato al dialetto di alcuni dei centri sulla via Emilia pi sensibili alle novit. E sar forse proprio per tale suo tenace arroccamento iniziale sul terreno e sullambiente sociale dorigine, che il settentrionalismo ciao faticher a farsi strada nella lingua della nuova Italia. * Se a questo punto, chiusa la pagina dialettale, prendiamo in considerazione le tante testimonianze dellaggallare di ciao nella lingua comune, necessario procedere a una loro preliminare valutazione per esser sicuri di aver fra le mani prove incontrovertibili. Un primo criterio di scelta comporta di tener conto dellorigine della persona alla quale attribuito lesempio e di individuarne le motivazioni. Difatti scrittori o scriventi in italiano che provengano da una regione settentrionale possono ricorrere alla novit in modo quasi inconsapevole, come a un saluto ormai abituale nella loro variet di lingua; ma possono altres impiegarla deliberatamente per fini espressivi, come un dialettalismo riflesso o un elemento locale di tono pi intimo e familiare. In entrambi i casi si tratta di episodi quasi sempre significativi, ma che
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Cfr. M. DAZEGLIO, I miei ricordi [av. 1866], a cura di Massimo Legnani, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 214: CONTESSA Cerea mamina! General! Abate! Ciau Edouard!; si tratta di una battuta di una conversazione, riprodotta in piemontese per mantenere il couleur locale, duna casa della vecchia nostra nobilt, nel 1820 (p. 209); questa la traduzione in italiano inserita nella prima edizione dei Ricordi (Firenze, Barbra, 1867): Buon giorno, mamma! Generale! Abate! Buon giorno Edoardo!.

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non sono molto rilevanti, almeno fin quando il termine continua ad avere circolazione limitata, per documentarne un reale e profondo attecchimento nelluso comune. Cos vanno giudicati gli esempi tratti da Demetrio Pianelli (1890) di Emilio De Marchi e da Piccolo mondo antico (1895) di Antonio Fogazzaro, interessanti tuttavia perch sono fra le prime occorrenze dellinteriezione in opere letterarie di un certo successo49. Unanaloga scarsa rilevanza possiedono le attestazioni in altri autori nati in Alta Italia, ovvero, per lasciare la lingua letteraria, il Ciao! che nel 1896 campeggia come testata di un giornale locale umoristicoculturale di La Spezia (che nel 1907 si chiamer Il Ciao). O, per passare a un genere che rivela con una certa immediatezza luso informale, limpiego della parola come confidenziale formula conclusiva nella corrispondenza di settentrionali: ricordo, fra i tanti casi, le due lettere del 1829 e del 1830 di Tommaso Grossi a Luigi Rossari50, quella del Re Vittorio Emanuele a Massimo DAzeglio del 185151; quelle dei lombardi Giuseppe Mussi (dal 1870), Andrea Ghinosi (dal 1875), Achille Bizzoni (dal 1876), Felice Cameroni (dal 1888) a Cavallotti52; quelle del piemontese Luigi Roux (dal 1891) a Giolitti53; quella del bresciano Francesco Bonatelli (del 1893) al nipote54. Si tratta di episodi che rientrano nella forte tendenza ad aprirsi al lessico locale che caratterizza litaliano specialmente nei primi decenni dopo lUnit, anche se lo slancio che ebbero allora parlanti e scriventi verso i propri dialettalismi il pi delle volte non riusc a farli immediatamente travalicare i confini locali o le variet regionali: le strade che essi percorsero per giungere al traguardo della lingua comune furono spesso pi tortuose e accidentate di quanto oggi possa sembrare osservando la situazione dallattuale punto darrivo55. Ma la conferma pi chiara che la parola, pur emergendo nellitaliano di scriventi del Nord, restava ancora circoscritta alla sua originaria area dialettale, ce la danno proprio i centro49

Gli esempi sono segnalati da L. SERIANNI, Grammatica italiana cit., X, 43. Altre occorrenze fogazzariane, anche da Malombra (1881), sono reperibili attraverso la LIZ, ma il dialettalismo vi rappresenta sempre un tratto di color locale. 50 Il saluto o, meglio, la formula conclusiva e ciao compare nella chiusa di due missive da Treviglio allamico Rossari (vedi T. GROSSI, Carteggio 1816-1853, a cura di Aurelio Sargenti, Milano, Centro nazionale di studi manzoniani-Insubria University Press, 2005, vol. I, p. 413 [I saluti alle gentilissime nominate, al Piero, ed a Zani, e ciao: 17 maggio 1829], e 442 [Salutami i tuoi di casa e ciao: 23 maggio 1830]); ma il dialettalismo non ritorna nelle altre lettere del carteggio, come del resto non sembra esser stato accolto nelluso epistolare dalla cerchia portiana, almeno da quanto risulta da Le lettere di Carlo Porta e degli amici della Cameretta, a cura di D. Isella, Milano-Napoli, Ricciardi, 1989. 51 Segnalata da M. CORTELAZZO, Quando un Re scriveva: ciao!, in ID., Memoria di parole. Dialetto tra vita e letteratura, Ravenna, Longo, 1982, p. 53. 52 Cfr. nel volume LItalia radicale. Carteggi di Felice Cavallotti: 1867-1898, a cura di Liliana Dalle Nogare e Stefano Merli, Milano, Feltrinelli, 1959, risp. pp. 260, 262, 264, ecc.; 160, 161; 41, 42, 43, ecc.; 93, 94. Da parte sua, il letterato e radicale milanese inizier a usare ciao come formula epistolare di congedo dal 1872: vedi FELICE CAVALLOTTI, Lettere 1860-1898, introduzione e cura di Cristina Vernizzi, ivi, 1979, pp. 99 (lettera a Achille Bizzoni, 1872), 107 (ad Antonio Oliva, 1873), 111 (a Paride SuzzaraVerdi, 1873), 117 e 119 (a Giosu Carducci, 1875 e 1876), 119 (a Emilio Praga, 1875), 125 (a Luigi Fontana 1876), 130 (a Ferdinando Martini, 1877), 143 (a Jacopo Comin, 1879), ecc. 53 GIOVANNI GIOLITTI, Quarantanni di politica italiana. I. LItalia di fine secolo. 1885-1900, a cura di Piero DAgiolini, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 23, 29, 33, ecc. 54 Lettere a Bernardino Varisco (1867-1931), a cura di Massimo Ferrari, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 68: nelle restanti lettere del carteggio compaiono altre formule di congedo. (Un ciao in calce a una lettera si poteva leggere anche nel romanzo di A. FOGAZZARO, Piccolo mondo antico [1895], Milano, Mondadori, 1986, p. 93). 55 Cfr. B. MIGLIORINI, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1969, pp. 722-728, dove, analizzando i dialettalismi postunitari, a p. 726 ricordato anche il nostro ciao; T. DE MAURO, Storia linguistica dellItalia unita cit., pp. 186 e sgg.

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meridionali che, durante tutto questo periodo dincubazione, quando se la ritrovano davanti la collegano costantemente ai dialetti o allambiente settentrionale, o comunque la trattano come una voce che non rientra nel loro orizzonte. Alfredo Panzini, ad esempio, la ricondurr espressamente al veneziano nel riportare le parole del protagonista di una sua novella: Va l, mato, anca t! concludeva [...] facendosi ciao nel suo inestinguibile dialetto veneto56. Del resto lo stesso autore, che pur registra ciao nel Dizionario moderno fin dal 1905, nonostante i ritocchi nelle edizioni successive non avrebbe mai modificato n sar modificato dai curatori delledizione postuma del 1942 lassunto di una sua circolazione parziale: voce dellAlta Italia (piemontese cera) e pur nota e usata anche in altre regioni57. In altri casi la regionalit dellinteriezione non evidenziata in modo esplicito e oggi risulta ormai impercettibile, anche se ai lettori contemporanei probabilmente doveva esser chiara. Penso agli esempi di Verga (che dal 1872 al 1893 era vissuto a Milano): uno, gi segnalato da Marcello Durante, tratto dal romazo Eros (Milano, 1875) in cui, descrivendo un veglione fiorentino, si fa proferire a una donna mascherata, nella lingua officiale per palcoscenico della Scala, linformale saluto lombardo58; laltro, su cui si sofferma de Boer, che compare in un racconto del 1885 dambiente e con protagonisti milanesi: Addio! Ciao! Buona fortuna59. Pi scoperta la frase che Collodi, in un suo pezzo umoristico, mette in bocca a un capocomico al fine di caratterizzarlo (come settentrionale o come conoscitore delle piazze del Nord) e insieme di farsi beffe della sua prosopopea (Mi fanno ridere questi buffoni di giornalisti [...]! Almeno sapessero scrivere! Conoscessero almeno lortografia!): Ciao, veccio mio! Come stai? Ho da farti un monte di saluti: a Milano, a Torino, a Genova, tutti mi hanno domandato di te60. Cos per avere un esempio letterario in cui il dialettalismo non sia accolto solo per il suo colore settentrionale, bisogna arrivare a Pirandello che impiega il saluto gi nel suo primo romanzo, Lesclusa, pubblicato nel 1901 a puntate nella Tribuna e nel 1908 in volume. Qui, tuttavia, la frase Ciao, cardellino! Ciao, violetto mammolo!, nonostante nella finzione del romanzo sia scambiata fra due professoricchi siciliani in una scuola di Palermo, assai probabile che rispecchiasse piuttosto un uso di ciao vivo nellambiente giornalistico e letterario romano in cui si moveva in quegli anni lautore: lelemento settentrionale vi era ben rappresentato, come del resto era assai consistente fra i funzionari, gli impiegati, i militari della

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A. PANZINI, Piccole storie del mondo grande [1901], in ID., Romanzi dambo i sessi, Milano, Mondadori, 1941, p. 207. Forse merita ricordare che lautore, nato a Senigallia (Ancona) nel 1863, aveva studiato a Bologna e poi aveva insegnato a lungo a Milano. 57 A. PANZINI, Dizionario moderno, Milano, Hoepli, 1905; la voce continua cos: Pare corrotta da schiavo. Ciavo suo = servitor suo, ciavo obbligato (Cherubini, voc. milanese). Ciao anche voce usata in Lombardia come esclamazione di chi si rassegna a cosa fatta e che pur dispiaccia. Gi nella seconda edizione (ivi, 1908), si aggiungono alcune precisazioni: a Genova sciao, Ciao! (o schiavo!) [] Vale anche come, basta! Prendi cinque lire e ciao! Il cera, piemontese, che vi corrisponde nel senso, sarebbe secondo alcuni derivato da una corruzione di signoria. 58 Cfr. G. VERGA, Tutti i romanzi, a cura di Enrico Ghidetti, Firenze, Sansoni, 1983, II, p. 318: Ciao! | Alberto le fiss addosso un lungo sguardo che valeva per lo meno quanto il ciao. | La mascherina era vestita da paggio []. | Sai che sei un bel biondino gli disse nella lingua officiale per palcoscenico della Scala; cfr. M. DURANTE, Dal latino allitaliano moderno, Bologna, Zanichelli, 1981, p. 246. (Da notare, in questo come nellesempio seguente, che la parola marcata anche dal corsivo). 59 G. VERGA, Novelle, a cura di Gino Tellini, Roma, Salerno, 1980, II, p. 151; cfr. M.-G. DE BOER, Riflessioni intorno a un saluto cit., p. 443. 60 CARLO COLLODI, Opere, a cura di Daniela Marcheschi, Milano, Mondadori, 1995, p. 254 [Occhi e nasi, 1881, 1884].

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capitale61. Forse pi significativo, seppur isolato, il caso di Aldo Palazzeschi, un autore toscano incline nella sua prosa a un lessico colloquiale modernizzante, ricco di neologismi e di elementi popolari e regionali, che inserisce ciao come saluto sia introduttivo che di commiato nel suo rivoluzionario romanzo futurista del 1911, ma ve lo lascia a mo di hapax, dato che non risulta averlo reimpiegato in opere successive62. Accanto agli esempi letterari, per tentare una valutazione delleffettiva circolazione della parola, forse necessario ritornare agli epistolari che in genere documentano una lingua pi vicina alla spontaneit delluso colloquiale, considerando questa volta non i settentrionali ma, com ovvio, gli scriventi centromeridionali. Anche qui, tuttavia, fino verso la met del Novecento si stenta molto a reperire casi davvero decisivi. Ad esempio, nella lettera di Carducci a Vito Siciliani del 1884 segnalata da Cortelazzo, il tono complessivamente scherzoso del testo, il fatto che la lettera sia inviata a Venezia, possono spiegare il ciao, che del resto non si ritrova in altre lettere carducciane63. Cos luso isolato che nel 1896 ne fa il politico salernitano Emilio Giampietro in una missiva amichevole a Cavallotti, forse dovuto a una sorta di adeguamento allidioletto dellinterlocutore64. Un caso pi interessante rappresentato dal pugliese Gaetano Salvemini che nei suoi carteggi giovanili, anche con corrispondenti non settentrionali, ricorre talvolta allo spiccio e amichevole saluto: probabilmente si tratta di una voce orecchiata a Firenze, negli anni della sua formazione presso lIstituto di Studi Superiori, dallamico trentino Cesare Battisti e magari circolante nella componente studentesca dorigine settentrionale65. Cos per
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L. PIRANDELLO, LEsclusa. Testo definitivo seguito dalla prima redazione (1901), a cura di Giancarlo Mazzacurati, Torino, Einaudi, 1995, p. 138; nella versione pubblicata nel 1901 sul giornale la frase sonava: - Ciao, Musco [scambio scherzoso del nome dellinterlocutore, Nusco, con quello del celebre attore], Io me la filo (ivi, p. 323). Che linteriezione rientrasse in qualche modo nella competenza pirandelliana (influenzata dalluso del saluto fra certa borghesia delle regioni del Nord trapiantatasi a Roma), lo dimostrano anche le altre sue quattro occorrenze che si rinvengono, attraverso la LIZ, in opere pubblicate fra il 1911 e il 1928. 62 A. PALAZZESCHI, Il codice di Perel. Romanzo futurista, Milano, Edizioni futuriste di Poesia, 1911, pp. 41 ([] e allora, ciao, egregio amico), 118 ( Ciao amico. | Vi saluto): in entrambi i casi la parola compare in contesti dove si riproducono i surreali e manierati colloqui di strani personaggi con il protagonista. Del resto non pare che ciao affiori spesso nemmeno nelle pagine di altri scrittori toscani del Novecento: trovo fra i miei appunti che in un suo libro di guerra del 1943 CURZIO MALAPARTE (Il Volga nasce in Europa e altri scritti di guerra, a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1965, pp. 362, 379) riporta un Ciao, pais!, ma come un gergalismo di alpini piemontesi; solo nel dopoguerra ricorrer in un Pratolini ormai romanizzato: cfr. VASCO PRATOLINI, Romanzi, a cura di Francesco Paolo Memmo, Milano, Mondadori, I, 1993, pp. 1053, 1183 [Un eroe del nostro tempo, 1949], 1261 [Le ragazze di Sanfrediano, 1949]; II, 1995, pp. 587 e 600 [Lo scialo, 1960; ma gi anticipato nel frammento del 1954, La carriera di Nin, a cura di Marino Biondi, Roma, Ed. Riuniti, 1997, pp. 92 e 101]; ID., La costanza della ragione, ivi, 1963, pp. 26, 31, 62, 94; mentre ancor pi parco ne risulta luso epistolare col fiorentino Parronchi: cfr. ID., Lettere a Sandro, a cura di Alessandro Parronchi, Firenze, Polistampa, 1992, pp. 133 [1946], 135, 156, 197, 201, ecc. Pi in generale, sulle resistenze dei toscani, vedi la n. 7. 63 Cfr. CORTELAZZO, Ciao, imbranato cit., p. 118 e GIOSU CARDUCCI, Lettere, XIV.1882-1884, Bologna, Zanichelli, 1952, p. 264. 64 Cfr. LItalia radicale cit., p. 214: va ricordato che Giampietro fu il braccio destro e il portavoce di Cavallotti. 65 Cfr. G. SALVEMINI, Carteggi. I (1895-1911), a cura di Elvira Gencarelli, Milano, Feltrinelli, 1968, pp. 35 (nel 1896 allamica Ernestina Bittanti di Brescia, moglie del trentino Cesare Battisti); 68 e 394 (allamico fiorentino Carlo Placci nel 1897 e 1908); 82, 89, 92, 97, 101, 112, 124, 127 (ad Arcangelo Ghislieri dal 1899); 205, 260, 290 (a Giuseppe Kirner dal 1902); 338 (a Erminio Juvalta nel 1906); 382 (al siciliano Giovanni Gentile nel 1908). Nel volume anche un esempio del 1907 dovuto al marchigiano Ugo Guido Mondolfo (p. 353). Che ciao fosse usuale per lirredentista Battisti ce lo conferma, almeno fino ai primi anni del Novecento quando sembra venir sostituito da altre formule di saluto il suo Epistolario, a cura

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assistere allinizio di un uso epistolare di ciao abbastanza stabile e largo bisogner attendere ancora qualche decennio: fra i non molti casi anteriori alla met del secolo che mi son capitati sottocchio, ricordo quello della famiglia Rosselli, dove solo Carlo lo adotter saltuariamente come formula di commiato nelle lettere alla madre, ma a partire dal 192366; o quello della corrispondenza fra il cesenate Marino Moretti e il ligure Mario Novaro, dei quali solo il primo comincer a usarlo dal 194067. Tuttavia, pi che rincorrere singoli esempi, anche stavolta, se si vuol individuare il momento in cui il settentrionalismo diviene davvero popolare nel resto dItalia e comincia a rimbalzare anche fuori: nel 1916 tcha ricorre in alcuni versi di Apollinaire; un ciaou vien pronunciato in Farewell to Arms (1929) di Hemingway , occorre rifarsi a un evento storico, la Grande Guerra, che dette agli Italiani dogni condizione e di tutte le regioni la prima vera occasione per condividere, nelle medesime trincee, vita e parole; e proprio in quelle zone della nazione in cui ciao (o sciao) era vivo sulla bocca della gente. da questo decisivo momento che esso comincia a poco a poco ad esser adottato in strati sempre pi larghi della popolazione, diffondendosi al di fuori della sua area originaria e rendendo pi fitte le sue occorrenze: non un caso che lo ritroviamo sia nelle lettere di soldati semianalfabeti, che nei libri su quella guerra tremenda, come Rub (1921), il discusso romanzo di Giuseppe Antonio Borgese, dalle cui pagine son tratti gli esempi letterari che ne aprono il lemma nel Grande dizionario della lingua italiana del Battaglia68. A questo punto, invece di discendere i tanti rivoli della tracimazione di ciao, accenner a due aspetti collaterali, ma non privi dinteresse. Il primo pu addirittura valere come una sorta di controprova della sua avvenuta italianizzazione: la progressiva espansione sociale e geografica del saluto e la sua tendenza a generalizzarsi in un uso indiscriminato e panitaliano, ha comportato, infatti, un appannamento delle connotazioni familiari e dei riferimenti che esso aveva nei dialetti originari, dovera ancorato a un mondo particolare e a rapporti umani profondamente vissuti. Adesso che ciao diventa il saluto di tutti, coloro che lo sentivano come una voce intimamente legata alla propria cerchia o alla propria regione, comprensibile che siano indotti a preservarne in qualche modo il carattere o a riappropriarsene, magari rituffandolo

di Renato Monteleone e Paolo Alatri, Firenze, La Nuova Italia, 1966, pp. 26, 139 (allamico toscano Assunto Mori, dal 1894); 38, 44, 57, 58, 59, 63, 111, 155, 190, 227, 228 (a E. Bittanti, dal 1896). Due sole occorrenze, invece, in Salvemini e i Battisti [Ernestina per lo pi]. Carteggi 1894-1957, a cura di Vincenzo Cal, Trento, Temi, 1987, pp. 24 (Salvemini a Ernesta nel 1896), 37 (Ernesta nel 1903). 66 Epistolario familiare. CARLO, NELLO ROSSELLI E LA MADRE (1914-1937), a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Milano, SugarCo, 1979, pp. 177, 211, 214, 243, ecc. 67 Cfr. M. MORETTI - M. NOVARO, Carteggio 1907-1943, a cura di Claudio Toscani, Milano, Istituto di propaganda libraria, 1981, pp. 124, 129, 133, 144, ecc. 68 Nel GDLI i due passi di Rub servono a documentare, dopo la definizione dal Dizionario moderno panziniano, sia laccezione di saluto (per la quale seguono esempi del secondo dopoguerra da opere di Corrado Alvaro, Cesare Pavese e Italo Calvino), che la locuzione conclusiva e ciao basta. Riguardo alle lettere di soldati, mi limito a segnalare alcune occorrenze fuori dellarea lombardo-piemontese, tratte da L. SPITZER, Lettere di prigionieri di guerra italiani. 1915-1918, tr. di Renato Solmi, Torino, Boringhieri, 1976, pp. 60 (lettera indirizzata a Sestri Ponente), 117 (a Jesi), 191 (da Trieste), 241 (a Piazzola sul Brenta). Diversi studiosi hanno messo in evidenza il ruolo della Grande Guerra nella costituzione dellitaliano contemporaneo, ma qui voglio ricordare le fini notazioni di PIERO JAHIER in Con me e con gli alpini (1919): Commovente sentire gli agordini sforzarsi al piemontese, e i segusini taroccar veneto per ricambio di affetto militare. [] Brava Italia che si lega per sempre nel sacrificio. [] Io che vorrei sapere tutti i dialetti dItalia, anzich il dialetto toscano dei letterati. | Ogni dialetto rappresenta una terra e un sangue che deve trovar luogo cos nella patria come nella lingua italiana. [] Unit della lingua vuol dir questa contribuzione (in Opere di Piero Jahier/3, Firenze, Vallecchi, 1967, pp. 159-160).

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gelosamente nel dialetto. Sta qui, forse, la ragione che spinge alcuni pi sensibili scrittori settentrionali a recuperare lanima del saluto attraverso la sua pronuncia dialettale: Cesare Pavese, ad esempio, sceglie la forma locale ciau, sentita come pi autentica, nella corrispondenza con gli amici piemontesi a partire dal 1928; e poi nel 1932 la colloca addirittura nel titolo di una delle sue prime prove letterarie, Ciau Masino69. La variante piemontese servir a rievocare fatti e ambienti del passato anche nel romanzo di Mario Soldati, Le due citt (1964), come ha mostrato de Boer70. Allo stesso modo si possono spiegare certe tendenze riscontrabili allinterno di questo o quel dialetto, volte a mantenere impieghi particolari o comunque a differenziare luso locale di ciao da quello generale71. Il secondo aspetto riguarda latteggiamento degli esperti, che di fronte allevidente sfondamento di ciao verificatosi dopo la Grande Guerra, cominciano a osservare pi da vicino la novit, seguendone lincerto e discontinuo procedere allinterno della lingua comune, per il vero non sempre in modo distaccato: da una parte si continua a raccomandare ai dialettofoni di evitare linteriezione e di sostituirla con addio o salve72, dallaltra essa stenta a lungo a trovare accoglienza nei vocabolari dellitaliano, anche in quelli di pi larghe vedute. A parte il gi ricordato Dizionario moderno di Panzini, e il Vocabolario nomenclatore di Premoli (1909-1912) che ne riprende la definizione nel riportare il dialettalismo alla voce saluto, la prima effettiva inclusione nella lessicografia dellitaliano avviene nel 1939, col dizionario di Fernando Palazzi (voce di saluto, addio; sembra che derivi da schiavo), mentre lEnciclopedia italiana (1936) e il Vocabolario dellAccademia dItalia (1941), pur indicando una diffusione ancora parziale, in certo modo ne daranno la sanzione ufficiale73. Tali autorevoli registrazioni probabilmente non
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Vedi C. PAVESE, Lettere 1924-1944, a cura di Lorenzo Mondo, Torino, Einaudi, 1966, pp. 111, 248 (a Tullio Pinelli); 132 (a Leone Ginzburg); 272, 279 (a Libero Novara); 345 (a Mario Sturani); 377, 390, 393, 395, 398, 400, 408, 423, 427 (alla sorella Maria); va notato che dal 1939 lo scrittore passer alla forma ciao: pp. 543 (a T. Pinelli); 638, 640 (a Fernanda Pivano, 1942), 641, 645, 647, 655, 660 (a Mario Alicata), 650, 651,652, 657 (a Carlo Muscetta), ecc. Linedito del 1932 Ciau Masino fu pubblicato nel 1968 nelledizione delle Opere complete di PAVESE (Torino, Einaudi): si tratta di un lavoro linguisticamente complesso, in cui si intrecciano dialetto di Torino e delle Langhe, lingua comune e italiano regionale, espressioni gergali e frasi in inglese: cfr. GAETANO BERRUTO, La langa di Cesare Pavese: una lettura sociolinguistica, in Lingua nostra, XXXVII, 1976, pp. 96-106. 70 Cfr. M.-G. DE BOER, Riflessioni intorno a un saluto cit., p. 441. Per un analogo recupero, non letterario, della forma dialettale, vedi la n. 7. 71 Talora ci si serve di ciao solo o prevalentemente come saluto, magari di riguardo; mentre per la formula conclusiva o luso come esclamazione concessiva esprimente rassegnazione, pi legata ad espressioni fraseologiche locali, si preferisce mantenere la vecchia forma sciavo: cfr., ad esempio, la recente accurata trattazione nel Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, fasc. 65. csta-ciapa, Bellinzona, Centro di dialettologia e di etnografia, 2005, pp. 189-190. 72 Se i vocabolari dialettali ottocenteschi erano comprensibilmente ricchi di sostituti toscani, interessante che ancora nel 1925 ciao venga accompagnato dalla raccomandazione: in italiano, di solito, addio, nel manualetto scolastico dal dialetto alla lingua di B. MIGLIORINI, Veneziano, Torino-Firenze, ParaviaBemporad, 1925, I, p. 10n. 73 R[AFFAELE] C[ORSO], Saluto, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Istituto dellEnciclopedia italiana, XXX, 1936, pp. 569-570, a p. 570: Caratteristici il coscienza binidica siciliano e il ciao (propriamente s-ciao cio schiavo, sintende: suo) dorigine veneta, ma diffuso in tutta Italia settentrionale e ora anche in parte della centrale; Reale Accademia dItalia, Vocabolario della lingua italiana, vol. I. A-C, Milano, Societ anonima per la pubblicazione del Vocabolario, 1941: Ciao, inter. Formula di saluto, comune nellItalia settentrionale, sia nellincontrarsi che nel lasciarsi; addio; seguono due esempi della Deledda (dove si tratta probabilmente un sardismo di derivazione piemontese: cfr. le attestazioni sarde dellAIS segnalate alla n. 7) e di Barzini; la voce si chiude con la seguente indicazione etimologica: Lombardo ciao, da anteriore sciao, schiavo.

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furono casuali: alla met degli anni trenta la parola, per qualche ragione che ci sfugge, deve aver goduto di un suo momento di notoriet e di un conseguente sdoganamento ufficioso, abbastanza straordinario in quella temperie storica caratterizzata da una forte dialettofobia e da una politica linguistica cos sciovinista da proibire perfino luso del lei ritenendolo, erroneamente, un lascito vergognoso della dominazione spagnola: anche ciao era un dialettalismo e per di pi aveva alle spalle una vicenda analoga a quella del lei. Ma forse di tale circostanza allora non si fu consapevoli, anche se Angelico Prati aveva tratteggiato in modo convincente la storia della parola74, che nel 1938 sar divulgata alla radio con una istruttiva e piacevole nota di Francesco A. Ugolini per il ciclo di trasmissioni dellEIAR La lingua dItalia:
Due radioascoltatori, di Milano luno, di Genova laltro, ci chiedono quale sia letimologia e quale il vero significato della voce confidenziale di saluto ciao, che non trovano registrata nei vocabolari. | La storia di ciao cos interessante che merita davvero di essere brevemente ritracciata. Ciao, una volta adoperato esclusivamente nellAlta Italia, ma che ora si ode di frequente come formula amichevole di saluto anche sulle labbra toscane o romane, un minuscolo contributo dei dialetti settentrionali, pi particolarmente di uno di essi, del veneto, alla lingua parlata. In una cos breve e fuggevole paroletta chi riconoscerebbe a prima vista litaliano schiavo? Eppure, proprio di schiavo si tratta, e di schiavo travestito alla veneta. Sclavus nel latino medievale signific dapprima semplicemente Slavo; poi, soprattutto per il fatto che nellalto Medio Evo dei gruppi di Slavi furono ridotti in Germania allo stato di servi, sclavus assunse il valore generico di servo, di schiavo. Nel Settecento, a Venezia, schiavo, dialettalmente scio, era divenuto formula di riverenza e di omaggio. Il cavaliere si profferiva servitore alla dama; con un Vi son schiavo si accomiatava il signore dai suoi amici, Scio, niora dice Pantaleone de Bisognosi in una commedia goldoniana, inchinandosi a Bettina, la giovane moglie di suo figlio; e Bettina risponde, nellatto della riverenza: Patron, sior missier. La lassa che glie basa la man. Da Venezia scio guadagna rapidamente la Lombardia, lEmilia, il Piemonte e si spinge sino a Nizza, dove tuttora vivo. Durante il cammino, per adattarsi ad ogni labbro e rendersi di pi facile pronuncia, si semplifica, perdendo qualche cosa dellasperit del gruppo consonantico iniziale e da scio diviene il pi scorrevole ciao; si generalizza nelluso, e col tempo, perdutosi il valore etimologico originario nella coscienza dei parlanti, lo adottano anche le signore e diviene da formula cerimoniosa il saluto dellintimit. Vicenda singolare di una parola! Il giovanotto e la signorina del nostro Novecento, che dicono buongiorno e arrivederci ai loro amici con lo sbrigativo e confidenziale ciao, sospettano di adoperare la medesima parola di ossequio, incipriata di grazia settecentesca, che il cavaliere veneziano, due secoli fa, rivolgeva alle dame e alle brigate signorili fra un inchino e laltro, allentrar nei salotti e sul punto di partirsene?75.

Nonostante tali insperate e convergenti aperture depoca fascista, lavanzata della parola procedette ancora per un po a piccoli passi, sia nei vocabolari, che nelluso generale. Il suo
74

A. PRATI, Nomi e soprannomi di genti indicanti qualit e mestieri, in Archivum Romanicum, XX, 1936, pp. 201-256, a pp. 240-242, dove si descrivono i riflessi deonomastici di slavo (schiavo): ciao, saluto di confidenza, di rado di riguardo, diffusosi dal Vneto, a quanto pare, e arrivato a Milano (ciao), a Torino (ciau), a Gnova (ciau: Frisoni), a Nizza (ciau), a Parma (ciavo, sciavo), e persino usato un po a Roma. Nella stessa annata della rivista diretta da Giulio Bertoni sarebbe apparso anche il lavoro di Paul Aebischer sulle prime attestazioni di sclavus: vedi n. 17. 75 La lingua dItalia. Risposte date a quesiti sottoposti dai radioascoltatori. Quinta puntata, nel Radiocorriere, XVI, 7-23 luglio 1938, p. 5. Anche se non firmate, le risposte ai radioascoltatori eran dovute a Giulio Bertoni e al suo scolaro Francesco A. Ugolini (su questa notevole iniziativa radiofonica, vedi SERGIO RAFFAELLI, La norma linguistica alla radio nel periodo fascista, nel vol. Gli italiani trasmessi. La radio, Firenze, Accademia della Crusca, 1997, pp. 31-67, in part. pp. 47-51): nel nostro caso deve essersi trattato di questultimo, perch la nota radiofonica fu riprodotta in F. A. UGOLINI, Grammatica italiana. Con esercizi ad uso della Scuola Media, Milano, Garzanti, 1941, pp. 278-279.

Su una formula di saluto

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definitivo dilagare si ebbe solo negli anni del boom economico e del consumismo, quando fu rilanciata dai mezzi di comunicazione di massa in contesti di carattere eminentemente popolare, ottenendovi subito quel successo che sta alla base del suo attuale sfruttamento interno, come della sua fortunata avventura internazionale. Le interessanti osservazioni dei diversi studiosi che via via sono stati chiamati in causa, ci hanno fatto comprendere che anche una normalissima voce duso quotidiano, com ciao, ha un retroterra complesso e unanima nientaffatto banale. Anzi, da quel che s visto, si tratta di una voce meno esile di quel che appare, perch, pur avendo traversato pi volte i confini fra lingua e dialetto, fra nobili cerimonie e parodie popolari, fra vecchie abitudini e nuove mode, non ha mai smarrito il senso vero del suo cammino, mantenendolo tenacemente intrecciato alla vita e ai costumi degli italiani. Un cammino lento e poco vistoso, che tuttavia negli ultimi due secoli ha dovuto superare tre snodi storici cruciali che hanno coinciso, come non poteva non essere, con profondi mutamenti dellintera societ: linvasione francese con le sue speranze e le sue delusioni, le trincee della prima guerra mondiale, la rivoluzione consumistica del secondo dopoguerra. Ma stato proprio grazie a questi momenti di crisi se la nostra formula di saluto riuscita a rompere il suo guscio, ad aprirsi un varco verso la lingua di tutti, a farsi una tempra per imporsi anche fuori. A questo punto, malgrado la mia troppo lunga e noiosa chiacchierata non abbia aggiunto quasi nulla al segreto fascino di una parola cos piccola e giovane, cos semplice e agevole, mi sia concesso di ringraziare il caro Maestro a cui tutti e particolarmente noi italiani dobbiamo davvero molto e di salutare con il pi sentito e cordiale dei lamico che qui festeggiamo.

Masimo Fanfani O JEDNOM NAINU POZDRAVLJANJA (rezime) Re ao je najpoznatija italijanska re, prisutna je kao pozajmljenica u mnogim jezicima, ali ne sme se zaboraviti da je ao relativo nova leksika pojava u italijanskom jeziku. Do pre pola veka uobiajeni naini pozdravljanja bili su buongiorno ili salve pri susretu, addio ili arrivederci na rastanku. Jednostavniji i intimniji oblik ciao bio je rairen samo u severnoitalijanskim krajevima, a poeo se iriti na ostatak Italije pedesetih godina XX veka putem pesama, televizije, filmova. Re ao potie od utivog pozdrav schiavo vostro (saraceno, schiavo) koji je bio u upotrebi ve u XVI veku meu uglednom gospodom i u zakljunom delu pisama. irenjem egalitarstikih ideologija u XVIII veku, ovaj nain pozdravljanja poeo je da se povlai; jakobinci su ga, stavie, i zabranili. Opstao je samo u dijalektima, gde je pretrpeo fonetske promene i od schiavo redukovao se u ciao, ime je re postala etimoloki netransparentna i pogodna za iru upotrebu. Manje je poznato da ova formalna inovacija nije nastala u Veneciji ve u Milanu, gotovo izvesno u vreme Napoleona. Kerubinijev Renik milanskog govora belei ciavo (1814.), dok oblik ciao se javlja 1817. godine u Melkjorijevom reniku breanskog jezika. Toskanac Benedetti izvetava, 1818. godine, kako je u Milanu uo da se kae ciau, dok Tomazo Grosi koristi re ciao u jednom pismu.

Anton Maria RAFFO (Firenze)

LESINA
O Cos medesimamente anco io ho voluto innanzi che questo mio sonetto venga alle mani daltrui, per la priego che lo voglia leggere per amor mio, e farmi consapevole del suo sincero parere, e cos di core molto mi raccomando. Di Lesina, alli IX di febraro del LXI. Alli servigi di V.S. Vincenzo Vanetti Anno ab intemerat virginis partu MDLXVI die XV mensis junii. Phari in Civitate Veteri in platea communis. Ibi= que sp. d. Petrus Hectoreus, prsentavit hoc testamentum... Pietro Hettoreo Et voglio, ordino et dechiaro, che tutti li miei beni stabili cos esistenti sulla isola di Liesena come sulla isola di Lissa, siano perpetuamente Id.* * La questione del toponimo Lsina (nome italiano della bella isola e del suo odierno capoluogo) annosa: pi volte, da tempo, affrontata ma, cos a me pare, senza esiti risolutivi. Neppure questa mia nota ha tale pretesa: le sottostanti considerazioni sono intese soltanto a impostare in maniera pi nitida il piccolo problema.

Le quattro citazioni depigrafe da Stari Pisci Hrvatski, knj. XXXIX, Djela Petra Hektorovia, priredio J. Vonina, JAZU, Zagreb 1986, pp. 41, 136, 140. I tre corsivi sono miei (AMR).

Lesina

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Incominciamo col nome croato (anchesso coincidente per lisola e il capoluogo, com quasi norma per tutte le isole adriatiche): Hvar. E concorde lopinione che letimo sia greco, e cito, per tutti, lo Skok: Najstarije vijesti o podrijetlu staroga stanovnitva ovoga otoka zabiljeio je geograf Strabon. On veli, da su se ovamo naselili kolonisti s egejskoga otoka Parosa. () Osnutak kolonije stavlja se u zadnju etvrt 4. vijeka prije nae ere.1 Era frequente che le colonie greche prendessero il nome della stessa madre patria: e allora la denominazione croata derivata direttamente dalla greca dovrebbe essere Par. Ma Strabone dice dellaltro, come lo stesso Skok riferisce: "On izrijekom veli, da se na otok zvao najprije Paros, a poslije Pharos. () Zato se Paros promijenio u Pharos, o tome nam Strabon nije dao na alost nikakva obavjetenja. Tome se moemo samo domiljati. Vrlo je vjerojatno, da je ova izmjena nastala pod utjecajem drugoga slinog mediteranskog imena otoka, koje je moda egipatskog podrijetla. Blizu Aleksandrije nalazi se naime mali otoi Pharos, koji je postao glasovit zbog svjetionika na njemu.2 Era, come si sa, una delle sette meraviglie del mondo antico, e il nome si trasmise a consimili torri luminose in altre parti del Mediterraneo (nonch a un quartiere di Costantinopoli, il Fanr), col tempo divenendo in diverse lingue la parola comune designante appunto tale torre. Scrive ancora lo Skok che altre isole mediterranee, sulle quali sorgeva un faro, ripresero quel nome: complice, nel caso della nostra, la stretta somiglianza tra Paros e Pharos. Poi, na ovom imenu izvedoe Rimljani samo tu izmjenu, to mu dadoe svretak ia, koji karakterizira nazive teritorija (otoka i t. d.). Iz rimskog naziva Pharia napravie dalmatinski Romani pravilno u svome izgovoru Fara.3 Gli slavi, a loro volta, avevano problemi con la effe, che rendevano con hv o p (ancora il sopra citato Hektorovi: Zna l pilozopiju / Taj vitez od koga toke hvale diju? Ribanje, vv. 4756). Donde, del tutto regolarmente, Hvar. Sussiste, per, un punto malcerto: non risulta che sullisola ci sia mai stato un faro di dimensioni ragguardevoli o di una certa importanza (se non quei piccoli fari che trovi allimboccatura di ogni porticciolo o mandracchio); e a giustificare lantico passaggio da Paros a Pharos rimane soltanto la somiglianza, certo assai stretta, tra i due nomi. Per il nome italiano Lsina (un tempo anche Liesina, o Liesena), anche questo riferito sia allisola sia al capoluogo, la prima attestazione risale al 1099-1100, quando il doge Vitale Michiel, di ritorno dalla Terra Santa, approda allisola (nelle sue relazioni si hanno le forme Liesena o Liesna4). Per questa denominazione tre, chio sappia, sono le proposte etimologiche, che qui elenco e sommariamente discuto. Lesina boscosa: i veneziani, sbarcando la prima volta (la prima?) avrebbero sentito dagli isolani slavi il termine lijesno, con riferimento allabbondanza di boschi dellisola stessa (ipotesi avanzata gi nellOttocento dallo Jireek, poi da altri ripresa; da noi la ripropose Bruno Guyon in un suo articolo negli Annali del R. Istituto Orientale di Napoli, giugno 1933). La forma neutra del termine udito si spiegherebbe per la concordanza con ostrvo, mentre la forma veneziana in a sarebbe motivata dalla femminilit delle isole gi in latino e poi in italiano. Obiezioni formali: il passaggio dal neutro al femminile presuppone una certa competenza linguistica, difficilmente ipotizzabile per le ciurme veneziane dellundicesimo secolo; la sibilante sorda della forma slava difficilmente si risolve in una sonora veneziana; la parlata croata dellisola ed era ciacavoicava: difficilmente quegli isolani avrebbero detto altrimenti che un *lisno. Altre obiezioni: non risulta che Lesina sia, tra le maggiori isole dalmate, la pi boscosa: col suo 48% di copertura boschiva resta, per esempio, ben indietro al 56,3% di Curzola (dati dellEnciclopedia Italiana,
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Petar Skok, Slavenstvo i romanstvo na jadranskim otocima. Toponomastika ispitivanja, dva sveska, Zagreb 1950, I, p. 181. 2 Ibidem. 3 Ivi, p. 182. 4 Ivi, p. 183.

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degli anni trenta del Novecento: non si ha motivo di ritenere che dieci secoli fa le proporzioni dovessero essere diverse). Pi dirimente: per nessunaltra isola dellAdriatico orientale si ha una denominazione italiana derivata dalla forma slava; semmai, si constata non di rado linverso, oppure le denominazioni sono affatto indipendenti luna dallaltra (com il caso di Veglia: cr. Krk < lat. Curictum/Curicta; it. Veglia < basso greco ). Pi in generale, non sembra che nei secoli i veneziani abbiano linguisticamente assimilato gran che (a parte sporadici stravizi) dai possessi de l da mar, mentre tanto cospicuo stato il processo, appunto, inverso. Lesina come larnese dei calzolai: la forma oblunga, stretta e arcuata dellisola potrebbe, certo, suggerire una siffatta descrittiva denominazione. Questo spunto pi volte affiorato, non fossaltro che come ipotesi di successiva interpretazione: Dananji talijanski naziv Lesina pokazuje zamjenu dvoglasa ie sa e. Ovo se moe protumaiti utjecajem talijanske ope rijei lesina, to znai ilo, jer je geografska konfiguracija ovoga otoka na karti zaista nalik na ilo.5 E addirittura qualcuno rafforza lipotesi adducendo il nome di quella punta Sillo (cr. Rt ilo) della costa nord-orientale di Veglia. Obietto che, in questo caso, la lingua di terra di dimensione alquanto ridotta, talch la sua conformazione allungata e sottile poteva essere rilevata anche anticamente (non credo peraltro sia da escludere che da un toponimo romanzo sia derivata la forma croata, successivamente interpretabile). In generale, mi pare che ben difficilmente la denominazione di unisola di maggiori dimensioni possa venire dalla sua configurazione: a parte il caso, molto banale, di Isola Lunga/Dugi Otok, non ne conosco altri in tutto il Mediterraneo. N molto qui varrebbe fare lesempio della Trinacria (la Sicilia), nome dagli antichi rimodellato sullomerica , che altra isola designava: i greci (che erano geometri, geografi e navigatori) conoscevano benissimo la triangolarit della Sicilia, per averla infinite volte circumnavigata, esplorata, colonizzata. Come noto, il toponimo in questione si ritrova anche in Puglia: si chiama Lesina unampia, allungata laguna lungo la costa settentrionale del Gargano, e lo stesso nome ha il maggior centro abitato nei pressi. Eben antico il tentativo di spiegare lomonimia con una congettura che qui illustro valendomi di due citazioni da vetusti repertori: I. LESINA, lago nella provincia di Lucera II. Citt nella provincia di Lucera, ed in diocesi di Benevento, alle falde del monte Gargano. Questa piccola citt, secondo Ferdinando Ughellio, si vuole essere stata edificata da alcuni pescatori della Dalmazia.6, e cos anche lerudito bibliotecario borbonico Lorenzo Giustiniani: LESINA, o Lesena, citt in provincia di Capitanata, in diocesi di Benevento. . . Quelli che si avvisano avere avuto il suo incominciamento da taluni pescatori venuti dallisola di Lesina di Schiavonia, non saranno da condannarsi...7 Lantica congettura, radicata ancorch priva di qualunque probante suffragio, si tramanda fino ai d nostri, giacch affatto recentemente cos scrive, occupandosi della stessa area pugliese, uno stimato studioso di archeologia: Tracce di villaggi preistorici . . . attesterebbero unapprezzabile frequentazione di tutta larea . . . da parte dei Neolitici provenienti con molta probabilit dallopposta sponda
5

Ibidem. E semmai da osservare, a proposito del vocalismo nella prima sillaba tonica, che potrebbe essere andata proprio al contrario, che cio i veneziani trovassero un antico toponimo Lsina, ma lo pronunciassero e scrivessero Lisina. Cfr. il DEI di Battisti-Alessio (voll. 5, Barbera, Firenze 1975, s.v. lesina): XIII sec.; ferro appuntito da calzolaio Nel veneto lisina, , it.merid., pis. e lucch. lsina ... 6 Dizionario geografico-istorico-fisico del Regno di Napoli, composto dallabate D. Francesco Sacco, dedicato alla Maest di Maria Carolina dAustria, Regina delle Sicilie ec. ec., tomo II, presso Vincenzo Flauto, in Napoli MDCCXCVI, p. 145. Il cistercense Ferdinando Ughelli (1595-1670) fu autore, com noto, di una monumentale Italia sacra (nove tomi in folio pubblicati a Roma tra il 1642 e il 1648), compendio storico di tutte le diocesi dItalia: ivi tuttavia non ho trovato notizie di croati a Lesina di Puglia. 7 Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli di Lorenzo Giustiniani. . ., tomo V, Napoli 1802, p. 257.

Lesina

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adriatica. In questo primitivo nucleo sarebbe poi sorto, verso il V-VI secolo, un vero e proprio centro ad opera di pescatori dalmati (forse provenienti dallIsola di Lesina-Hvar, ove esiste tra laltro un centro che ha lo stesso nome di quello dellisola e di quello del nostro centro pugliese, abitato anche questultimo a partire dal Neolitico).8 Dove lipotesi della migrazione dallaltra sponda, retrocessa in un contesto cronologico cos remoto, ingigantisce il suo carattere di mito, indimostrabile e pertanto inattaccabile. Analogo, per fare un solo esempio, a quello per cui ancor oggi i resiani (gli abitanti di una vallata del Friuli, a nord di Udine, dove si parla un dialetto sloveno) si ritengono russi: la leggenda pare derivi dal fatto che gli ufficiali di Suvorov, quando nel 1799 per la Val di Resia transit larmata russa che scendeva in Italia, ebbero a dichiarare il loro compiaciuto stupore costatando la somiglianza tra la parlata locale e il russo. Nel nostro caso il nocciolo del mitologema devessere ancora pi semplice: gi in epoca antica (almeno gi al tempo dellUghelli) colpiva lidentit onomastica tra il centro garganico e lisola dalmata, mentre tutti sapevano dei reiterati arrivi dallaltra sponda di slavi e albanesi che fuggivano dallinvasione ottomana. Altrettanto recentemente, la stessa antica ipotesi induce compilatori non tanto accorti a proporre ancor pi smaccati garbugli: Il toponimo stato spiegato in vario modo: da un prelatino (mediterraneo) * les- baratro (Alessio 1942, 180), da un germanico alisna lima (da cfr. con lidronimo toscano Lima), da voci slave come lesi, lesina, boscoso (riferimenti bibliografici in Olivieri cit.). Questultima ipotesi anche quella di Rohlfs 1972, 350 (in particolare da un lsbna, aggettivo femminile di lesb bosco) che collega questo toponimo al nome dellIsola di Lesina nellAdriatico, ed fondata sulla presenza di antiche immigrazioni serbocroate nella zona del Gargano.9 Pi cauto era stato un precedente studioso di toponomastica pugliese, il Colella, che in una nota alla voce Lesina di un suo dovizioso repertorio scriveva: Non credo che per letimo di Lesina ci sia bisogno di ricorrere allipotesi della colonia venuta dallomonima isola dellAdriatico. Inclinerei piuttosto a credere che si tratti di un vocabolo di origine bizantina, Lsina da Alsina o Alisina, in cui facile riconoscere una formazione parallela a quella del nome dellisola. La base sarebbe quindi il greco hals il mare, da cui si sarebbe avuto una forma alsinos marino dunque: luogo presso il mare o presso un lago, come nel caso nostro.10 Pi che per questa proposta etimologica (la terza, delle tre che dicevo allinizio), che peraltro avanzata piuttosto per la localit pugliese, e sulla quale non saprei pronunciarmi (solo semmai obiettando che non risulta documentata nella grecit una formazione aggettivale di quel tipo), il Colella ha il merito di risolutamente sostenere la nessuna attendibilit di quanto circa le origini di Lesina si congetturato dal P. Ranzano dei Predicatori, dallUghelli e da altri che seguirono il Ranzano, esser nata cio questa citt dai pescatori dellisola dallo stesso nome in Dalmazia. A parte che nulla, assolutamente nulla, in Lesina e nei Lesinesi si trova che possa giovare a
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Nicola Lidio Savino, Lesina. Contributi per una indagine preistorica. . .(Il comprensorio lagunare. Archeologia Gargano), Agor, Foggia 1991, p. 60. 9 Cos alla voce Lsina (Fg), firmata da Carla Marcato per il Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, autori dellopera: G. Gasca Queirazza, C. Marcato, G.B. Pellegrini, G. Petracco Sicardi, A. Rossebastiano, UTET, Torino 1990, p. 351. Al pasticcio ha pesantemente contribuito limperizia dei tipografi, i quali, avendo trovato (cos si pu presumere) nelloriginale una (ovvero ), nonch una , le han ridotte (senza che sulle bozze lautrice intervenisse) a rispettivamente i e b. A parte la trascuratezza editoriale, pressoch superfluo ricordare che alla fine dellundicesimo secolo le jer in posizione debole si erano da tempo dileguate (ma qui lincompetenza sar da addebitare pi a monte dei tipografi). 10 Giovanni Colella, Toponomastica pugliese dalle origini alla fine del Medio Evo, R. Deputazione di Storia Patria per le Puglie. Documenti e monografie, vol. XXIII, n.s., Vecchi e C. Editori, Trani 1941, p. 367.

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suffragare questa presunta derivazione; a parte che uno studio, sia pure il pi superficiale, degli elementi del dialetto lesinese, mentre convince della comunit dellorigine anche linguistica che i Lesinesi hanno coi popoli circonvicini del Gargano, esclude qualsiasi affinit col ceppo idiomatico che qui, per intenderci, chiamer illirico sta, dico, il fatto che il nome di Lesina, dato dai Veneziani allisola chessi assoggettarono nel secolo X, comincia ad essere adoperato molto pi tardi. Fino al secolo XIII quella conserv la denominazione latina di Faria (Pharia), dal greco Pharos, voce corrotta nellillirico Hvar o Far, quale suona tuttora nel croato-sloveno.11 Spero desser stato abbastanza convincente nellargomentare la scarsa attendibilit delle ipotesi etimologiche di Lesina boscosa e di Lesina a forma di lesina, nonch linfondatezza della leggenda di una Lesina pugliese cos nomata per unimmigrazione di pescatori dalmati. Resta, per, questa duplicit toponomastica: la quale, se non spiegabile in termini di interdipendenza nella storia, potrebbe, anzi non pu non essere interpretata, o quanto meno collocata in un ambito di preistoria, intendo: preistoria linguistica. Petar Skok, nel lavoro gi sopra citato, liquidava sbrigativamente le ipotesi non slave per letimologia del toponimo in questione: Nekoji talijanski historici, kao Praga, tvrde dodue, da Lesina nije slavenska rije, nego ak predindoevropska. Ovo je tumaenje samovoljno, . . . jer najstarije potvrde za taj naziv potjeu iz istoga slavenskog doba.12 Effettivamente Giuseppe Praga, nella voce Lesina da lui redatta per lEnciclopedia Italiana (vol. XX del 1933, p. 959), affermava, pur senza alcun supporto, che la denominazione sarebbe antichissima e di radice preromana. Daltra parte, se e vero che la fine del secolo undecimo pu essere gi considerata, per quellarea di Dalmazia, isto slavensko doba, si deve pur ammettere che per lelementare principio del quaesivi sed non inveni - la mancanza di attestazioni precedenti non pu escludere una pi remota antichit del toponimo. Il Praga, che non era linguista, ma storico e patriota dalmata, solo a tentoni propendeva per quellorigine antichissima del toponimo. Io, qui, ritengo a mia volta soltanto di poter evidenziare che lesistenza dello stesso toponimo sulle due sponde, priva di una spiegazione storica, costituisce un problema che non pertiene allo storico, al filologo romanzo, allo slavista, ma da rimettere allo studioso del sostrato linguistico, non solo preslavo, ma anche preromanzo, dellarea adriatica.

Anton Marija Rafo HVAR (Rezime) Pitanje o poreklu toponima Lesina kojim se u italijanskom jeziku oznaavaju otok Hvar i njegov najvei grad bilo je u vie navrata predmet istraivanja, ali do konanog odgovora nije se dolo. Skok smatra da je hrvatski naziv Hvar grkog porekla i da potie od naziva Paros/Pharos, koji je zabeleen na vie mesta u Sredozemnom moru. U rimsko doba naziv ostrva glasio je Pharia, a Sloveni su poetni glas f izgovarali hv ili p, to je dalo pravilan ishod Hvar. Italijanski naziv Lesina zabeleen je 1099-1100. godine; postoje tri mogua objanjenja: da naziv potie od lijesno,
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Ibidem. P. Skok, Slavenstvo, cit., p. 183.

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umovit, to se ini malo verovatnim jer takav ishod podrazumeva specifine jezike kompetencije koje nisu mogli imati ni otoani ni vencijanski moreplovci. Malo je verovatno i da je naziv Lesina zapravo italijanska re za ilo, upotrebljena da bi se naglasio izdueni oblik otoka (mada primeri slinog postupanja postoje: Dugi Otok /Isola Lunga, ili Trinacria, jedan od naziva za Siciliju). Uzima se u obzir i pretpostavka da je toponim Lesina vizantijskog porekla od Alsina ili Alisina. Autor prima s dunom rezervom sve tri pretpostavke o poreklu toponima Lesina, ali ne iskljuuje ni mogunost

Gordana TERI (Universit di Belgrado)

RELAZIONI DEITTICHE E ANAFORICHE DEI DIMOSTRATIVI ITALIANI E SERBI


Parole chiave: dimostrativi, deissi, anafora/catafora, antecedente/postcedente, referenza, sostituzione, trasformazione I dimostrativi, nel senso che a questo termine da Lyons1, che usa il termine indexicals alludendo alla loro funzione indicativa, designano un referente rispetto allo spazio e al tempo della situazione comunicativa. Le forme dimostrative questo e quello2, come parole deittiche 3, si riferiscono allo spazio e al tempo, reale o figurato, dei partecipanti del discorso nellambito di un atto comunicativo. Gli aggettivi e i pronomi dimostrativi sono unit deittiche, come anche i pronomi personali, avverbi di tipo oggi, domani, subito, qua, l, se fanno parte di un contesto deittico in cui il parlante produce il suo enunciato, e in cui il referente si identifica solo nel rapporto tra gli interlocutori. La deissi significa, dunque, collocare un oggetto nel suo spazio referenziale, e i valori deittici offrono delle informazioni che portano allidentificazione del referente o dei referenti. Nellesempio che segue questi referenti sono le parole libro e tavolo: Prendi quel libro e mettilo su questo tavolo. Uzmi onu (ili tu) knjigu i stavi je na ovaj sto. Il libro lontano nel senso spaziale rispetto al luogo in cui si trova il parlante (quello = la lontananza spaziale), mentre il tavolo vicino rispetto allo stesso punto di riferimento (questo = la prossimit spaziale). La stessa frase senza dimostrativi: Prendi il libro e mettilo sul tavolo. Uzmi knjigu i stavi je na sto., non ci d nessuna informazione di carattere deittico. Questo, col valore deittico, indica, persona o cosa vicina, nello spazio e nel tempo, a chi parla, cio al centro deittico: deissi spaziale: Questo Marco. Ovo je Marko. Prendi questo libro. Uzmi ovu knjigu.
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Cfr.: John Lyons, Introduction to Theoretical Linguistics, Cambridge 1968, p. 275. Ci occuperemo di questi due dimostrativi fondamentali, e lasceremo da parte in questa sede gli altri dimostrativi, come ci; costui, costei, costoro; colui, colei, coloro. 3 Laura Vanelli e Lorenzo Renzi (Renzi 1991: p. 261) definiscono la deissi come: Per deissi si intende dunque quel fenomeno linguistico per cui determinate espressioni richiedono, per essere interpretate, la conoscenza di particolari coordinate contestuali che sono lidentit dei partecipanti allatto comunicativo e la loro collocazione spazio-temporale.

Relazioni deittiche e anaforiche dei dimostrativi italiani e serbi

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Non uscire con questo freddo. - Ne izlazi po ovoj hladnoi. - E ora da quest'altra parte. A sada, s ove druge strane. deissi temporale: In questo momento non ho voglia di telefonargli. Verr una di queste sere. Doi u jedne od ovih veeri. Ritorner quest'estate. Vratiu se ovoga leta. Quello, invece, indica persona o cosa lontana, nello spazio e nel tempo, sia da chi parla sia da chi ascolta o a cui ci si rivolge: deissi spaziale: - Quella sua madre. Ono je njegova majka. - Vorrei quel vestito. (spesso, indicando col gesto). - eleo bih ono odelo. deissi temporale: Quella fu una meravigliosa estate. - To je leto bilo divno. Quel luogo che visitammo molto bello. - To mesto koje smo posetili vrlo je lepo. Quello include anche la referenza a ci di cui si gi trattato o che comunque noto a chi ascolta: - proprio noiosa con quella sua presunzione. - Ba je dosadna s tom svojom uobraenou. - Non dimenticher mai quella notte. Tu no nikad neu zaboraviti. Questo e quello fanno spesso una coppia correlativa: Mi ordina sempre: - Fa questo, fa quello. - esto mi nareuje: - Uradi ovo, uradi ono. Lindividuazione del referente richiede o la conoscenza della situazione extralinguistica (la deissi spazio-temporale), e allora parliamo della referenza esoforica, oppure lindividuazione pu essere raggiunta mediante il rinvio al contesto linguistico o testuale, quando parliamo della referenza endoforica (lanafora e la catafora). Come abbiamo visto dagli esempi, i dimostrativi si possono usare insieme ad un sostantivo come aggettivi pronominali, o come forme dimostrative pronominali4. Quando il dimostrativo viene usato in forma pronominale, indispensabile che il nome omesso venga recuperato, e ci avviene a. anaforicamente, o b. cataforicamente: a. Nella stanza dove stavi prima faceva freddo, e in questa invece fa caldo. U sobi u kojoj si bio ranije bilo je hladno, a u ovoj je, meutim, toplo. b.Giunse, in quella, dall altra stanza, la voce dell'infermo. (Luigi Pirandello, Il dovere del medico);
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Accanto a questo e quello, nellitaliano antico si adoperavano anche le forme esclusivamente pronominali questi e quegli, per lo pi in posizione di soggetto, che si possono trovare ancora nella lingua scritta.

50 U toj, iz druge sobe, zau se glas bolesnika.

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Le distinzioni di prossimit si trovano nelle forme lessicali e grammaticali dei sistemi pronominali di molte lingue5. A un sistema ternario del serbo (e del croato): ovaj / taj / onaj, dove taj indica persona, cosa o concetto vicini o relativi allinterlocutore, o al destinatario dellenunciato, corrisponde una opposizione binaria di vicinanza / lontananza del parlante dellitaliano: questo / quello. Litaliano comune oggi ha praticamente un sistema binario di dimostrativi, mentre il toscano ha conservato un sistema ternario: questo, codesto (o cotesto) e quello. La forma codesto veniva usata anche nellitaliano letterario, ed presente ancora oggi nel linguaggio amministrativo e burocratico in veste, per, del pronome possessivo: Dammi codesto libro. / Dammi quel libro. Daj mi tu knjigu. - Stupido! Vattene via, levati dai piedi codesto seccatore. (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal). Budalo jedna! Odlazi i oslobodi se tog gnjavatora! Ringrazio codesto ufficio. Zahvaljujem se vaoj slubi. Come pronome il dimostrativo d il dovuto rilievo in una presentazione: Questo mio padre. Ovo je moj otac., ma si pu anche omettere: mio padre., mentre in serbo obbligatorio luso delle forme neutre introduttive ovo / to / ono: Quella la via. To je / ono je put. Fu una sera di domenica, al ritorno di una lunga passeggiata. (L. Pirandello, Il lume dell'altra casa) Bilo je to jedne nedelje uvee, na povratku s duge etnje. Gli alberi, a dir vero, erano soltanto tre ed erano degli eucaliptus, i pi sbilenchi figli di Madre Natura. (GiuseppeTomasi di Lampedusa, Il Gattopardo); Istini za volju, bila su to samo tri drveta i to eukaliptusi, najiskrivljeniji sinovi Majke prirode. (traduzione di Vjera Bakoti Mijukovi); - un amico di Lorenzo, le rispose Teresa, quello che il babbo and a trovare laltrieri. (Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis) - Ovo je Lorenzov prijatelj, odgovori joj Teresa, onaj kojemu je tata bio prekjuer u pohode. (traduzione di Jerka Belan); Onaj ko bi drao posluavnik (a to je bila najee moja majka) morao je da oseti pod jagodicama tri-etiri poluloptasta ispupenja, slina slovima azbuke za slepe. (Danilo Ki, Bata, pepeo);

Nel suo contributo sui dimostrativi Xaverio Ballester (2006:13) afferma: Costituisce un fatto notevolissimo che tutte le lingue conosciute dispongano di dimostrativi e che, fino dove sappiamo, esse ne abbiano sempre disposto [...] Una circostanza, questa, che si pu dire specialmente significativa, giacch in principio niente obbliga le lingue a possedere questa categoria; in teoria, i dimostrativi potrebbero essere facilmente sostituiti da perifrasi del tipo: [che ] vicino / lontano da me / te / della casa ecc.

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Chi reggeva il vassoio (ed era perlopi mia madre) doveva sentire sotto i polpastrelli dei pollici almeno tre o quattro rilievi emisferici, simili alle lettere dellalfabeto per i ciechi. (traduzione di L. Costantini); To je bio poetak jedne more koja me je muila tokom celog mog detinjstva. (ib.); Fu linizio di un incubo che mi torment per tutta linfanzia. Nisam mogao da zamislim kako e to jednog dana da umre moja ruka, kako e da umru moje oi. (ib.); Non riuscivo a immaginare come sarebbe morta un giorno la mia mano, come sarebbero morti i miei occhi. (ib.) In italiano, come anche in serbo, non c' la tendenza al rafforzamento del dimostrativo (cfr. lat. ecce ille, franc. celui-ci) perch non c' ancora il logoramento semantico dei dimostrativi. I dimostrativi possono essere rinforzati da particelle avverbiali deittiche, sia come pronomi che come aggettivi: questo qui, qua; quello l, l: questo libro qui (ova knjiga ovde), quella sedia l (ona stolica tamo), quella casa l sopra (ona kua tamo gore): Questo qui un nostro caro parente. - Ovaj ovde je na roak. Prendo quella l. Uzeu onu tamo., Vedi quel lago laggi? Vidi li ono jezero dole? Usati in congiunzione con gli avverbi, i deittici diventano, come si visto dagli esempi, una specie di unit identificative. In alcuni casi, specialmente quando questi nessi vengono usati col significato spregiativo indicando la relazione negativa del centro deittico rispetto al referente, non c equivalenza tra litaliano e il serbo: Guarda questuomo qui. Pogledaj ovoga. Non volglio parlare con quella gente l. Ne elim da razgovaram sa tim ljudima. Quello l un cretino. Onaj je obina budala. I dimostrativi questo e quello sul piano sintagmatico possono essere maggiormente determinati dagli aggettivi pronominali dimostrativi stesso e medesimo: Queste stesse cose potrebbero accadere a chiunque. - Ovo isto moglo bi se svakome dogoditi. In quel medesimo istante / in quel momento stesso ho capito tutto - Upravo u tom trenutku sve sam shvatio. La neutralizzazione della funzione deittica la troviamo nel processo di sostituzione, quando il dimostrativo funge da sostituto del referente, permettendo soprattutto di evitare la ripetizione dello stesso lessema: la matita nera e quella rossa crna i crvena olovka; Dei due vestiti quello grigio pi elegante. - Od ova dva odela, sivo je elegantnije. Quello rispose. (invece di: Marco rispose.) - Onaj odgovori. I dimostrativi individuano un referente nelle due dimensioni, quelle dello spazio e del tempo. - Demonstrativi ukazuju na referenta u dve dimenzije: prostornoj i vremenskoj.

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Dopo un'enumerazione, la ripresa anaforica della persona o cosa appena nominata si ottiene aggiungendo al pronome dimostrativo questo l'aggettivo ultimo (quest' ultimo, quest' ultima = 'l'ultimo nominato'): C'erano Marco, Mario e Gianni, quest' ultimo con la moglie. Tu su bili Marko, Mario i ani, ovaj poslednji sa enom. Quando questo e quello sostituiscono nomi che sono gi indicati nel discorso, questo si riferisce al nome indicato per ultimo, e quello al nome indicato per primo: Maria e Anna sono sorelle, ma quella bruna e questa bionda. Marija i Ana su sestre, samo je jedna crnokosa, a druga plava. Nella lingua serba lo stesso meccanismo di sostituzione non sempre possibile, e il lessema deve essere ripetuto: Per tutti quelli che mi conoscevano, io mi ero tolto bene o male il pensiero pi fastidioso e pi affliggente che si possa avere, vivendo: quello della morte. (Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal); Moji poznanici su smatrali da sam se ja kako-tako reio najdosadnije i najtunije misli koja opseda iva oveka: misli o smrti. - *one o smrti. (traduzione di Jugana Stojanovi) Il dimostrativo non pu essere usato in serbo con il complemento di specificazione possessiva: Si sa che certe specie di pazzia sono contagiose. Quella del Paleari, per quanto in prima mi ribellassi, alla fine mi sattacc. (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); Poznato je da su neke vrste ludila zarazne. Palearijevo ludilo (* ono Palearijevo), protiv kojeg sam se u poetku bunio, najzad je i mene uhvatilo. (traduzione di J. Stojanovi). Un lavoro difficile e spesso mal retribuito, quello dei medici. - Lekarski posao je teak i esto loe plaen. Najzad mi je postalo jasno da se prisustvo moje svesti i prisustvo anela sna uzajamno iskljuuju, ali sam jo dugo i posle toga igrao tu zamornu i opasnu igru. (Danilo Ki, Bata, pepeo); Finalmente compresi che la presenza della mia coscienza e quella dell'angelo del sonno si escludevano a vicenda, ma continuai ancora a lungo a giocare questo gioco spossante e pericoloso. traduzione di L. Costantini). Nel linguaggio scritto, specialmente quello giornalistico, si assiste spesso all'uso ridondante dei dimostrativi: Una circostanza, questa, che si pu dire specialmente significativa. - To je okolnost za koju se moe rei da je posebno znaajna. stata una cerimonia solenne quella che si svolta ieri sera nel duomo di Milano. (Serianni 1996: p. 280) - Sveana je bila sluba koja je sino odrana u u Milanskoj katedrali.

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Mi trovavo ora coi libri d' Anselmo Palerai tra le mani, e questi libri m'insegnavano che i morti, quelli veri, si trovavano nella mia identica condizione.... (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); U rukama sam sada imao knjige Anselma Palearija i te knjige su me uile da se mrtvi, oni pravi, nalaze u istom poloaju kao i ja... (traduzione di J. Stojanovi); e anche alle amplificazioni del tipo: C' tanto di quel lavoro (da fare) C' tanto lavoro (da fare). - Toliko se tog posla nakupilo. Dormiva un sonno di quelli che si dormono solo in aprile. Spavao je snom kakvi se snivaju samo u aprilu. Il dimostrativo ha anche funzione di mettere in evidenza il referente, assumendo spesso il valore esclamativo: Bel modo di ragionar, questo! - Pametan zakljuak! Era una di quelle paure! Kakav je to strah bio! Che intelligente, questa Rita. - Kako je pametna ta Rita! Quella cretina, si comporta sempre male! Ta glupaa se uvek loe ponaa! Nellatto comunicativo parlato lemittente si trova in contatto diretto con il destinatario. Le forme deittiche si trovano anche nella lingua scritta nel discorso diretto o nelle opere epistolari: Questo naso sta bene a me e me lo piglio! (L Pirandello, Il fu Mattia Pascal); Ovaj nos meni bolje pristaje, sad u mu ga uzeti! - Pur que due fasci vi fanno camminare a disagio; lasciatene portare uno anche a me. - I fasci tanto non mi darebbero noia se me li potessi reggere sulla spalla con tutte due le braccia; ma questi due pani mintrigano. (Ugo Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis); - Ta vam dva naramka smetaju u hodu, dajte da vam ja ponesem jedan. - Ne bi mi smetala drva kad bih ih mogla podravati na ramenu s obje ruke, no smetaju mi ova dva hljeba. (traduzione di J. Belan); Gospodo, rekao je, u ast ovog poslednjeg letnjeg voza, ove spasonosne higijene, i u slavu tradicije naeg grada, Crveni e voz danas, na svom poslednjem sezonskom putovanju, prevesti sve putnike... sve putnike... (D. Ki, Bata pepeo); Signori, disse in onore di questultima corsa estiva, di questa igiene salutare, e a gloria delle tradizioni della nostra citt, il Treno Rosso oggi, in questo suo ultimo viaggio della stagione, porter tutti i passeggeri... tutti i passeggeri.... (traduzione di L. Costantini); A monsignor Boccamazza, munificentissimo donatore, in perenne attestato di gratitudine i concittadini questa lapide posero. (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); Monsinjoru Bokamaci, veoma izdanom darodavcu, u znak zahvalnosti ovu spomen-plou postavie njegovi sugraani. (traduzione di J. Stojanovi)

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Questo scomunicato paese maddormenta lanima, noiata della vita.... (U. Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis); Ovo mi prokleto mjesto uspavljuje duu, umornu od ivota... (traduzione di J. Belan); Questa universit (come saranno, pur troppo, tutte le universit della terra!). per lo pi composta di professori orgogliosi e nemici fra loro... (ib.); Na ovom su sveuilitu (a takva su, sva je prilika, uope sveuilita na svijetu) profesori u veini oholi i neprijateljski raspoloeni meu sobom... (ib.). In questi testi i referenti sono intesi come includenti il luogo in cui si trova il parlante o linterlocutore, mentre nei brani che seguono la deissi indica ci che ormai lontano dallio narrante: Ah s'io non mi sentissi oramai spento quel foco celeste che nel tempo della fresca mia giovent spargeva raggi su tutte le cose che mi stavano intorno, mentre oggi vo brancolando in una vota oscurit! (ib.) Ah, da se ve nije ugasio onaj boanski plamen to je u drago doba moje rane mladosti rasipao zrake na sve to me okruivalo, dok danas teturam u potpunom mraku! .... ripassano ad uno ad uno dinanzi a me tutti que' giorni che furono i pi affannosi e i pi cari della mia vita. (ib.) ... oivljuju pred mojim oima jedan po jedan svi oni dani koji bijahu najmuniji i najljepi u mom ivotu. Oltre alla funzione deittica, i dimostrativi, come abbiamo ribadito, hanno anche la funzione anaforica quando rinviano a qualcuno o a qualcosa di cui si parlato precedentemente, indicando lantecedente, o pi raramente, per anticipare la persona, la cosa o il concetto di cui si parler in seguito, indicando il postcedente. L'anafora un procedimento che si trova tra la sintassi e la semantica. Un sostantivo indispensabile per compiere l'atto di referenza e questo termine referenziale precede il dimostrativo (nell'uso anaforico), e non si pu trovare nella stessa frase semplice in cui situato il dimostrativo. In italiano le forme dimostrative conservano i tratti vicino/lontano anche in funzione anaforica, mentre in serbo, come vedremo, ci non accade sempre, e quindi i dimostrativi spesso non coincidono, specialmente nel caso del discorso indiretto nel testo narrativo. Mentre nel discorso diretto abbiamo il hic et nunc dell'emittente e dell'interlocutore, un periodo di tempo pi o meno lungo passa tra la produzione del testo e la sua ricezione da parte del lettore. Nel discorso indiretto testuale il dimostrativo indica persona, cosa o concetto di cui si trattato poco prima o di cui si tratter poco dopo, o persona o cosa nominata precedentemente e nota a chi ascolta o legge, ma pu anche designare un astratto rapporto di vicinanza e lontananza che si crea nellinterazione tra il narratore e il lettore. Dalla realt del parlante passiamo ora alla realt del narratore che esprime un discorso rivissuto, nella forma del discorso indiretto e anche, nella narrativa moderna, del discorso indiretto libero. Prendiamo le frasi iniziali di due racconti pirandelliani, dove il referente camera viene introdotto per la prima volta. Litaliano pu usare sia questo che quello per introdurre il referente, per poi passare obbligatoriamente a quello. Invece, in serbo lindice referenziale, in ambedue i casi, la forma taj: Si d pur luce ogni mattino a questa camera, quando una delle tre sorelle a turno viene a ripulirla.... (L. Pirandello, La camera in attesa);

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Svijetlo ipak prodire u tu sobu svakog jutra, kad jedna od triju sestara izmjenino dolazi da je uredi.... (traduzione di Dubravko Dujin); Fu una sera di domenica, al ritorno da una lunga passeggiata. Tullio Buti aveva preso in affitto quella camera da circa due mesi. (L. Pirandello, Il lume dellaltra casa). Bilo je to jedne nedelje uvee, po povratku s duge etnje. Tulio Buti je iznajmio tu sobu jo pre neka dva meseca. Difatti, quella sera, non stata cambiata l'acqua della boccetta... (L. Pirandello, La camera in attesa); I zaista, te veeri nisu promijenili vodu u boci... (traduzione di D. Dujin); Allinterno delle vetture, chiuse appunto per quel sole e quel polverone, la temperatura aveva certamente raggiunto i cinquanta gradi. Quegli alberi assetati che si sbracciavano sul cielo sbiancato annunziavano parecchie cose... (G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo); Unutar koija, zatvorenih upravo zbog tog sunca i te praine, temperatura je svakako dostigla i svih pedeset stepeni. To edno drvee koje je irilo ruke ka bledom nebu najavljivalo je :... (traduzione di V. Bakoti Mijukovi). Quando il narratore, specialmente quando coincide con l'io-narrante, ha un rapporto emotivo di vicinanza con il referente o c' comunque l'inclusione del narratore, il dimostrativo usato in italiano questo, mentre in serbo la forma sempre taj, ed un errore usare il dimostrativo ovaj: Questa sua delicata perplessit, questo riserbo onesto mimpedirono intanto di trovarmi subito a tu per tu con me stesso.... (L.Pirandello, Il fu Mattia Pascal); *Ova njena fina neodlunost, *ova estita uzdranost, spreavale su me da se suoim sa samim sobom.... (traduzione di J. Stojanovi) - Ta njena fina neodlunost, ta estita uzdranost spreavale su me da se suoim sa samim sobom...; Ti su prstenii, boje prljavtine ispod nokata, nastali od kafenog taloga, ribljeg zejtina, meda i erbeta... (D. Ki, Bata, pepeo); Questi minuscoli anelli, del colore della sporcizia che si forma sotto le unghie, erano i resti di fondi di caff, di olio di fegato di merluzzo, di miele e di sciroppo. (traduzione di L. Costantini); Noeni inercijom dana i navike, mi smo nastavili da poseujemo zamak tokom celog tog leta. (ib.); Spinti dall'inerzia delle giornate e dall'abitudine, continuammo a far visita al castello per tutta quell' estate.; Zauen i prestravljen, shvatih tada da sam ja jedan deak po imenu Andreas Sam, koga majka od milja zove Andi, da sam ja jedini sa tim imenom, sa tim nosom, sa tim ukusom meda i ribljeg zejtina u ustima...(ib.); Meravigliato e sbigottito, capii allora che io ero un ragazzo di nome Andreas Sam, che la madre chiamava affettuosamente Andi, che ero il solo con quel nome, con quel naso, con quel gusto di miele e di olio di fegato di merluzzo in bocca... . Sul piano sintagmatico, nella struttura dimostrativo + aggettivo qualificativo va usato l'aspetto determinato dell' aggettivo serbo: Quanto mi sta dintorno richiama al mio cuore quel dolce sogno della mia fanciullezza. (U. Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis)

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Sve to me okruuje budu u mom srcu slatki san mog djetinjstva. (traduzione di J. Belan) Precipitoso Gi mi sarei fra glinimici ferri Scagliato io da gran tempo; avrei gi tronca Cos la vita orribile chio vivo. (V. Alfieri, Saul, II,1) Odavno bih se bio meu dumanske maeve bacio strelovito, pa prekinuo tako uasni ovaj ivot koji ivim. Come abbiamo visto, mentre nel discorso diretto il dimostrativo deittico, e la sua funzione dipende solo dalla presenza del referente, nel discorso indiretto il ruolo del dimostrativo dipende anche dallatteggiamento del narratore ed altres condizionato dal status lessicale del referente testuale6. La deissi testuale del discorso indiretto non quella della deissi spaziotemporale del discorso diretto. Quando quello indica il rapporto deittico di lontananza spaziale o temporale, in serbo si usa il dimostrativo onaj: Spirava in quelle stanze, da tutti i mobili dantica foggia, dalle tende scolorite, quel tanfo speciale delle cose antiche, quasi il respiro di unun altro tempo... (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); U tim prostorijama, sa starinskim nametajem i izbledelim zavesama, irio se onaj osobiti vonj starei, koji je u stvari bio miris jednog drugog doba... (traduzione di J. Stojanovi); E il calendario? Quello l, presso la finestra, gi il secondo. L'altro, dell'anno scorso, s' sentito strappare a uno a uno tutti i giorni dei dodici mesi, uno ogni mattina... (L. Pirandello, La camera in attesa); A kalendar? Onaj pokraj prozora ve je drugi. Onaj od prole godine osjetio je kako su mu istrgnuli jedan po jedan sve dane svih dvanaest mjeseci, svakog jutra jedan... (traduzione di D. Dujin); ... e stette l, dietro ai vetri, come un mendico, ad assaporare con infinita angoscia quell'intimit dolce e cara, quel conforto familiare, di cui gli altri godevano, di cui anch'egli, bambino, in qualche rara sera di calma aveva goduto, quando la mama... la mamma sua... come quella.... (L. Pirandello, Il lume dellaltra casa); ... te je stajao tu iza stakala kao prosjak, da se sladi u beskonanoj tjeskobi onom slatkom i dragom prisnou, onom domaom udobnou, koju drugi uivaju, koju je i

Di queste difficolt nella scelta del dimostrativo parla anche Lyons: This and that, in English, may be used deictically to refer not only to objects and persons in the situation and to linguistic entities of various kind in the text and co-text, but also to refer to events that have already taken place or are going to take place in the future. The conditions that govern the selection of this and that with reference to the events immediately preceding and immediately following the utterance in which this and that occur, are quite complex. They include a number of subjective factors (such as the speakers dissociation of himslef from the event he is referring to), which are intuitively relatable to the deictic notion of proximity/nonproximity, but are difficult to specify precisely. - J. Lyons, Semantics II, op.cit., p. 668.

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on kao dijete uivao neke rijetke tihe veeri, kad je mamica... njegova mamica... poput one... (traduzione di Tin Ujevi). Le traduzioni italo-serbe dimostrano la tesi di Diessel (1999b:155) che il dimostrativo pu trasformarsi in altre parti del discorso. Diessel nomina seguenti classi di parole come potenziali sostituti dei dimostrativi: avverbi temporali, articoli definiti, articoli indefiniti, complementatori, connettivi proposizionali, coordinanti, copule verbali, determinativi adnominali, determinativi pronominali, espletivi, marche di casi, marche di classi nominali, marche di focus, marche di genere, marche di numero, marche di confine (boundary markers), di proposizioni relative postnominali, possessivi, preverbi direzionali, pronomi di III persona e relativi. Come dice Ballester (2006:23), Il dimostrativo un autentico coltello svizzero della lingua. Noi abbiamo individuato seguenti trasformazioni dei dimostrativi italiani e serbi: 1. dimostrativo serbo articolo determinativo / indeterminativo italiano Nella prosa del discorso indiretto molto spesso il dimostrativo, in posizione anaforica, assume il ruolo dellarticolo determinativo. La grammatica strutturale e generativa considera gli aggettivi dimostrativi come determinanti della stessa natura dellarticolo, con esso commutabile. In tutte le lingue con l'articolo, l'articolo deriva dalle forme dimostrative, attraverso una fase in cui esiste una specie di articolode. Questa tendenza delle lingue senza articolo a usare il dimostrativo come una specie di sostituto o di articolode presente anche in serbo e in croato, il che si vedr in seguito in alcune traduzioni italiane. Nell'origine dell'articolo, non bisogna dimenticare, il punto di partenza sempre un dimostrativo: Io non l ho amata; ma fosse compassione o riconoscenza per avere ella scelto me solo consolatore del suo stato.... davvero chio avrei fatta volentieri compagna di tuta la mia vita. (U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis); Nisam je ljubio; no bilo to iz samilosti to je ba mene izabrala za svoga tjeitelja u onom tekom stanju... doista bih je rado bio uzeo za saputnicu sveg svog ivota. (traduzione di J. Belan); Io compiango lo sciagurato che pu destarsi muto, freddo e guardare tanti benefici senza sentirsi gli occhi bagnati dalle lagrime della riconoscenza. (ib.); Saaljevam onog nesretnika koji se budi nijem i hladan i moe gledati tolike blagodati a da mu se oi ne ovlae suzama zahvalnicama. Due giorni dopo, il codardo scans le vie dellonore, ch io gli aveva esibite.... (ib.); Dva dana nakon toga onaj se podlac ugnuo s puta asti koji sam mu predloio. Il trotto sui percorsi piani si era brevemente alternato alle lunghe lente arrancate delle salite, al passo prudente delle discese... (G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo); Kas kojim su prelaene ravnice ubrzo je smenjivao dug, i teak korak ka uzbrdicama, potom onaj oprezni, na nizbrdici... (traduzione di V. Bakoti Mijukovi); Tullio Buti andava per via sempre solo, senza neanche i due compagni dei solitari pi schivi: il sigaro e il bastone. (L. Pirandello, Il lume dellaltra casa); Tullio Buti iao je ulicom uvijek sam, te ga nisu pratila ni ona dva pratioca najgorih samotara, koji najvie izbegavaju drutvo: cigara i tap. (traduzione di T. Ujevi) I dimostrativi condividono con larticolo determinativo la stessa caratteristica di informare il destinatario del messaggio che il referente noto e individuabile, e perci in alcuni casi queste due categorie sono intercambiabili. Nella maggioranza dei casi, per, non cos, perch i dimostrativi forniscono anche le informazioni riguardanti il rapporto tra il referente e il centro

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deittico rispetto allo spazio e al tempo. Luso molto diffuso di taj in serbo come indice referenziale mostra che questo dimostrativo va perdendo le sue propriet dimostrative per assumere le caratteristiche dellarticolo determinativo, in quanto il dimostrativo taj non localizza il referente allinterno di uno spazio o dentro una dimensione temporale, bens lo rende definito: U kasna letnja jutra majka je ulazila beumno u sobu, nosei posluavnik. Taj je posluavnik ve poeo da gubi tanku niklovanu glazuru kojom je nekad bio prevuen. (D. Ki, Bata pepeo); D'estate, a mattina avanzata, mia madre entrava in camera senza far rumore, con il vassoio in mano. Il vassoio stava ormai perdendo il suo sottile rivestimento di nichel. (traduzione di L. Costantini ); Izmeu tih golemih arkada pruali su se svodovi obrasli liem kao brljanom. itava ta arhitektura stajala je u dane ravnodnevice, ili u obine dane bez vetra, nepokretna i stabilna u svojim smelim konstrukcijama... (ib.) Tra le enormi arcate si aprivano volte sulle quali il fogliame si stendeva come edera. Nei giorni di equinozio, o nelle normali giornate senza vento, tutta questa architettura appariva salda e immobile nelle sue audaci costruzioni... ... jedan je od brojeva postao u jednom trenutku broj godina, a time su i svi ostali brojevi zadobili to isto znaenje (ib.) ... uno dei numeri divenne all'improvviso un numero di anni, e di conseguenza, anche tutti gli altri numeri acquistarono lo stesso significato. Qualche volta in serbo c il dimostrativo che corrisponde allarticolo zero in italiano: Te su teglice i ae bile samo uzorci, specimeni onih novih zemalja pri kojima bi ujutru pristao ludi lep naih dana. (ib.); Vasetti e bicchieri non erano altro che i campioni delle nuove terre alle quali approdava al mattino la folle chiatta delle nostre giornate. o all'articolo indefinito: Jer kakav je to vek, dvesta godina, za majku deaka koji je reio da se izmigolji smrti, ne kao guter, nego kao ovek koji ima, koji e imati, siguran plan (u kome nema sluajnosti i improvizacije): taj e plan biti smiljan i domiljan tokom jednog ljudskog ivota. (ib.); Perch che cos'erano duecento anni per la madre di un ragazzo che ha deciso di eludere la morte non come una lucertola, ma come un uomo che ha, che avr un piano sicuro in cui nulla lasciato al caso o all'improvvisazione: un piano da concepire e mettere a punto nel corso di un'intera vita umana. Eduard Sam, jer to nije niko drugi nego on, tajanstveni Otac, pojavljuje se u toj kafani iznenadno te mutne jesenje veeri 1930. godine... (ib.); Eduard Sam, perch di lui che si tratta, il Padre misterioso, compare in questo caff allimprovviso, una cupa sera dellautunno 1930... . 2. dimostrativo connettivo Un dimostrativo pu trovarsi in relazione anaforica con una frase che lantecedente del dimostrativo. In tal caso, nelle frasi complesse, il dimostrativo funge da connettivo:

Relazioni deittiche e anaforiche dei dimostrativi italiani e serbi

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Gli disse che era pigro. Questa osservazione lo colp. - Ree mu da je lenj. Ta opaska ga je pogodila. Io intanto sono abbandonnata da tutti! E a questa parola, le lagrime le piovevano dagli occhi. (U. Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis); Mene su svi napustili! Na te rijei obliju je suze. (traduzione di J. Belan); ... io credo che il destino abbia scritto negli eterni libri: Luomo sar infelice. N oso appellarmi di questa sentenza, perch non saprei forse a che tribunale... (ib.); ... vjerujem da je Usud zapisao u knjigama vjekovenim: ovjek e biti nesretan. Ne usuujem se aliti protiv te izreke, jer moda i ne znam kome sudu da se obratim... Nije da je moja ljubav prema majci bila oslabila; to nikako. (D. Ki, Bata, pepeo); Non che il mio amore per mia madre fosse diminuito, questo no. (traduzione di L.Costantini). La frase pu anche seguire il dimostrativo, e in tal caso diventa il postcedente: Senti questa: Giovanni si sposa. uj ovo: ovani se eni. 3. dimostrativo sostantivo I dimostrativi si possono trasformare in unit lessicali diventando sostantivi. Nella forma femminile si sottintende cosa, specialmente in formule esclamative del tipo: Questa proprio non ci voleva. Ovo nam zaista nije bilo potrebno. Questa me la pagherai! - Ovo e mi skupo platiti! Questa non la passi liscia. Ovo ti nece proi. Questa poi non me laspettavo. Ovo zaista nisam oekivao. / Ovome se nisam nadao. Questa veramente bella. - To je zaista lepo (sjajno). Questa poi... - to je mnogo, mnogo je. Questa nuova. (si sottintende 'storia', 'cosa') To jo nisam uo. Questa gliela faccio pagare ('cattiva azione') Ovo e mi platiti. Ci mancherebbe anche questa! ('sventura ') - Samo bi nam to falilo! Ne fa di quelle (sciocchezze) Taj pravi svakojaka uda. Questo dellacquasantiera mindusse a pensare che, fin da ragazzo, io non avevo pi atteso a pratiche religiose... (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); (Taj) sluaj s kropionicom naveo me je na razmiljanje kako jo od deakog doba nisam obavljao verske dunosti... . Il dimostrativo quello si pu lessicalizzare in sostantivi uomo', 'donna': quello con gli occhiali, quella del diadema onaj s naoarima, ona s dijademom. Il sostantivo italiano 'persona' pu essere tradotto con il dimostrativo serbo: Tutti erano bianchi di polvere, fin sulle ciglia, le labbra o le code; nuvolette biancastre si alzavano alle persone, che, giunte alla tappa, si spolveravano lun laltra. (G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo);

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Svi su bili beli od praine sve do trepavica, usana ili repova; beliasti oblaii dizali su se oko onih koji su se, stigavi do odmorita, meusobno istili od praine. (traduzione di V. Bakoti Mijukovi); 3. dimostrativo aggettivo I dimostrativi possono assumere il significato di alcuni aggettivi: a. simile, di tale genere takav / ovakav / onakav: Se le umane frenesie che col nome di scienze e di dottrine si sono iscritte e stampate in tutti i secoli, e da tutte le genti, si riducessero a un migliaio di volumi al pi, e mi pare che la presunzione de mortali non avrebbe da lagnarsi e via sempre con queste dissertazioni. (U. Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis); Kad bi se ljudske ludosti, koje su pod imenom nauke i doktrine napisane i objavljene u svih naroda, u svim vjekovima, svele na najvie tisuu svezaka, ini mi sa da ljudska umiljenost ne bi imala za im da ali no pustimo sad ovakva mudrovanja. (traduzione di J. Belan); Ti sei davvero fatta codesta corsa per cos poco! (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); I ti si ovoliko jurio zbog takve budalatine! (traduzione di J. Stojanovi); Osetivi moju zbunjenost, ona proaputa, i ne pogledavi me: Ti ga nisi poznavao, i inilo se da je i sama bila zauena injenicom to je ta nenadna smrt osujetila jedno poznanstvo puno obeanja. (D. Ki, Bata, pepeo); Avvertendo la mia agitazione, sussurr, senza guardarmi: Tu non lo conoscevi, e parve lei stessa meravigliata e toccata dal fatto che tale morte inattesa avesse reso impossibile un incontro pieno di promesse. (traduzione di L.Costantini); Tim verovanjem, tom iluzijom o svojoj svemoi, uspeo sam da se smirim... (ib.) Con tale fede, con tale illusione della mia onnipotenza, riuscii a tranquillizzarmi.... Non voglio pi sentire di queste storie. - Neu vie da ujem takve prie. b. lo stesso isti: sempre quello. Uvek je isti. Non pi quella di una volta. Nije vie ono to je bila (ona stara). c. pericoloso, scaltro: Buono quello!- Ba je opasan / lukav! 4. dimostrativo pronome personale Il dimostrativo pu fungere da sostituto del pronome personale: quello / quella che cercavo. = lui / lei che cercavo. On je taj / ona je ta koga sam / koju sam traio. = Njega / nju sam traio. Malagna, entrato da tanto tempo nella convinzione che non ne aveva avuti dalla prima moglie solo per la sterilit di questa, non concepiva ora neppur lontanamente il sospetto che potesse dipender da lui. (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal);

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Malanja je iveo u ubeenju da s prvom enom nije imao dece samo zato to je ona bila jalovica, pa sad nije mogao ni pomisliti da to i od njega moe zavisiti. (traduzione di J. Stojanovi) - Oh sa, signorina, - dissio a questa una sera, - che quasi ho deciso di seguire il suo consiglio? (ib.) - Znate, gospoice, rekao sam joj jedne veeri gotovo sam se reio da posluam va savet! Il valore deittico esclamativo si ottiene mediante lavverbio deittico ecco, unito ai pronomi personali atoni in posizione enclitica: O! mi vado strofinando le mani per lavare la macchia del suo sangue - le fiuto come se fumassero di delitto. Frattanto eccole immacolate, e in tempo di togliermi in un tratto dal pericolo un giorno di pi... (U. Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis); Oh, trljam ruke da zbriem mrlju njegove krvi vonjam ih kao da odiu zloinom. Meutim, one su neosknavljene, i jo sposobne da me na vrijeme u jedan mah oslobode pogibelji da ivim jedan dan vie... (traduzione di J. Belan). 5. dimostrativo pronome possessivo: Il dimostrativo italiano sostituisce laggettivo possessivo con le parti del corpo, ma anche con altri lessemi: Lho visto con questi occhi. - Svojim sam oima to video. Lho sentito con queste orecchie. Svojim sam uima to uo. Con queste braccia, da solo, mi sono creato una posizione. - Sa svojih deset prstiju, sasvim sam, stekao sam poloaj u drutvu. Pur troppo! tu cominci a gustare i primi sorsi dellamaro calice della vita, ed io con questi occhi ti vedr infelice, n potr sollevarti se non piangendo!... ( U. Foscolo. Le ultime lettere di Jacopo Ortis); Na alost, ti ve poinje srkati prve gutljaje gorine iz kalea ivota: ja u te ovim svojim oima gledati nesretnu i moi u te tjeiti samo svojim plaem! (traduzione di J. Belan); Buona notte, Lorenzo. Serbati questa lettera: quando Odoardo porter seco la felicit, ed io non vedr pi Teresa, n pi scherzer su queste ginocchia la sua ingenua sorellina, in que giorni di noia ne quali ci caro perfino il dolore, rileggeremo queste memorie... (ib.); Laku no, Lorenzo. Sauvaj ovo pismo. Kao Odoardo odvede sa sobom sreu, i ja vie neu vidjeti Teresu, a njena se nevina sestrica nee vie igrati na mojim koljenima, u tim emo dosadnim danima, kad nam ak i sama bol bude mila, ponovo itati ove uspomene... (traduzione di J. Belan). Molte cose con quegli occhietti egli doveva vedere nella nostra casa... (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); Tim svojim oicama Pincone je primeivao mnogo tota u naoj kui... (traduzione di J. Stojanovi); Se non fosse per questocchio di lui di quellimbecille, no saresti poi, alla fin fine, tanto brutto, nella stranezza un po spavalda della tua figura. (ib.); Da ti nije tog njegovog oka, oka one budale, ne bi ni bio ba toliko ruan i pored tog udnog i pomalo nadmenog lika.

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Ona je to izgovorila svesna efekta koji e te rei izazvati u meni... (D. Ki, Bata, pepeo); Dicendo questo, era certa dell'effetto che le sue parole avrebbero prodotto su di me. (traduzione di L. Costantini); Notavo che Adriana stessa, la quale non mi rivolgeva mai alcuna domanda men che discreta, stava pure tutta orecchi ad ascoltare ci che rispondevo a quelle della Caporale.... (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); Primeivao sam da je i sama Adrijana, koja mi nikad nije uputila nijedno privatno pitanje, ipak dobro naulila ui kako joj ne bi izmakli moji odgovori gospoici Kaporale. (traduzione di J. Stojanovi); Quel suo fare arrogante mi dava ai nervi. Nervirala me je njegova grubost. 6. dimostrativo pronome relativo in funzione appositiva Nella lingua serba il pronome relativo italiano in funzione appositiva pu diventare il dimostrativo con la successiva trasformazione della frase relativa in una frase coordinata: La povera Oliva non rispondeva, non sapeva che dire; veniva spesso a casa nostra per sfogarsi con mia madre, che la confortava con buone parole a sperare ancora, poich infine era giovane, tanto giovane... (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); Jadna Oliva mu na to nita nije odgovarala nije znala ta da mu kae. esto je dolazila kod nas i tuila se majci, a ova ju je blago hrabrila da ne gubi nade, jer jo je mlada, tako mlada... (traduzione di J.Stojanovi) Allufficio, non scambiava mai una parola con nessuno dei colleghi, i quali, tra gufo e orso, non avevano ancora stabilito quale dei due appellativi gli quadrasse di pi. (L. Pirandello, Il lume dellaltra casa); U uredu nije nikad izmjenjivao ni rijei ni s kojim od svojih drugova; a ovi jo nisu uspjeli odrediti, koji mu od ova dva nadimka bolje pristaje: sova ili medvjed. (traduzione di T.Ujevi) 7. dimostrativo avvverbio Il dimostrativo pu avere anche funzione davverbio: Ma il totale rivolgimento della loro fortuna... venne principalmente da una cagione diversa dalle predette: e fu questa. Era tra quelle larve... una chiamata nelle costoro lingue Sapienza....( Giacomo Leopardi, Operette morali); Ali potpuni preobrat njihove sree.... doao je poglavito zbog drugaijeg razloga, no to su oni ranije spomenuti. Evo tog razloga: Meu sjenama bila je jedna koju su oni na svojim jezicima nazivali Mudrou... (prevod. I. Adum); Smatrali smo samo, jednostavno, i tu se potpuno slaem s mojom majkom, da jedan naputen zamak, koji nudi lepotu svojih ruina radoznalom oku, moemo smatrati delom svog sopstvenog bogatstva... (D. Ki, Bata, pepeo); Pensavamo soltanto, e in questo ero perfettamente d'accordo con mia madre, che un castello abbandonato, che offre la bellezza delle sue rovine all'occhio curioso, potevamo considerarlo parte della nostra ricchezza... (traduzione di L. Costantini); Ti sei davvero fatta codesta corsa per cos poco! (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal); I ti si ovoliko jurio zbog takve budalatine! (traduzione di J. Stojanovi).

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Il rapporto epidittico, che esplica funzione deittica, anaforica e sostitutiva, un fenomeno molto complesso e ancora non ben approfondito nelle ricerche linguistiche, sia dal punto di vista teorico sia da quello grammaticale7, anche se negli studi pi recenti la referenza viene vista non solo sotto il profilo semantico, ma viene incluso anche l'aspetto pragmatico del problema8. Tuttavia, questo non basta, perch il contesto referenziale va ampliato ai testi scritti e alla testualit narrativa, dove spesso i rapporti tra il parlante e i partecipanti del discorso, e tra il narratore, o lio narrante, e il lettore, presentano importanti problemi per il linguista, ma anche per il traduttore. Nella nostra analisi abbiamo cercato di mettere in luce larea semantica e i risvolti pragmalinguistici dei dimostrativi questo e quello, confrontandoli con le corrispettive forme dimostrative serbe ovaj, taj, e onaj, in una variet di discorsi con diversi contesti referenziali. Riferimenti bibliografici: X. BALLESTER, In Pricipio Era il Dimostrativo, in: Quaderni di Semantica. Studi in onore di Mario Alinei, XXVII,1-2/2006, pp. 13-30; J. BRUNET, Grammaire critique de litalien, 4 (Le dmonstratif, les numraux, les indfinis), Parigi, Universit di Paris VIII, Vincennes, 1981; H. DIESSEL, The Morfosyntax of Demonstratives in Synchrony and Diachrony, in: Linguistic Typology, 3, 1999, pp. 1-49; H. DIESSEL, Demonstratives. Form, Function and Grammaticalization, Amsterdam / Philadelphia, 1999; K. S. DONNELLAN, Speakers Reference, Descriptions and Anaphora, in: Contemporary Perspectives in the Philosophy of Language, Minneapolis, 1979, pp. 28-44; F. GIUSTI FICI, Relazioni anaforiche tra lingue con e senza articolo, in: Mondo slavo e cultura italiana, Roma, 1983, pp. 153-161; I. KLAJN, Dimostrativi, deissi e sostituzione, Lingua Nostra, XLVII, 4 dicembre 1986, pp. 116-121; I. KLAJN, Intorno alla definizione del pronome, Linguistica, XV, 1975, pp. 79-91; I. KLAJN, O funkciji i prirodi zamenica, Beograd, 1985; I. KLAJN, O zamenicama i pojmu zamenjivanja, Anali Filolokog fakulteta, 12, 1977, pp. 54763; S. KRIPKE, Speakers Reference and Semantic Reference, in: Contemporary Perspectives in the Philosophy of Language, Minneapolis, 1979, pp. 6-27; J. LYONS, Semantics, 1-2, Cambridge, 1977; L. RENZI ( a cura di), Grande grammatica di consultazione, vol. I-III, Bologna, 1991; L. SERIANNI (con la collaborazione di A. CASTELVECCHI), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, 1996.

Si veda a proposito: Ivan Klajn, Dimostrativi, deissi e sostituzione, op. cit., che dice a pagina 117: Pi o meno in tutte le grammatiche, la descrizione dei pronomi si limita alla sola morfologia, mentre del funzionamento di queste parole, del loro significato e delluso nel contesto non si dice quasi nulla. 8 L'approccio pi completo al problema lo troviamo nella Grande grammatica di consultazione, a cura di L. Renzi, op. cit.

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Gordana Teri DEIKTIKI I ANAFORIKI ODNOSI IZMEU ITALIJANSKIH I SPRSKIH POKAZNIH ZAMENICA (R e z i m e) Italijanske pokazne zamenice questo i quello i njihovi ekvivalenti u srpskom i hrvatskom, ovaj, taj i onaj, kada u direktnom govoru ukazuju na prostornu i vremensku deiksu, pokazuju, kao to se moe videti iz odgovarajuih primera, prilini stepen podudarnosti. Jedini problem predstavlja kako tripartitni odnos srpskohrvatskih demonstrativa uklopiti u svedeni dvolani odnos nastao u savremenom italijanskom povlaenjem demonstrativa codesto i prenoenjem njegovog semantikog identiteta na oblike questo i quello. Poreenje tekstualne deikse indirektnog govora u narativnom tekstu i narativnom monologu svedoi o velikim razlikama u ova dva pronominalna sistema. Dok italijanski zadrava odnos blizine i daljine i u anaforikoj funkciji, u srpskom i hrvatskom posebnu ulogu dobija demonstrativ taj, kojem pripoveda daje razliite funkcije, a mnoge od njih su, kao to se moglo videti iz italijanskog prevoda Kiove proze, isto determinativne i nedeiktike, te ine od ove pokazne zamenice neku vrstu artikuloida. To deiktiko osiromaenje demonstrativa taj najbolje se vidi u prevodima na italijanski jezik, gde ovaj oblik esto dobija vrednost odreenog, a neto ree neodreenog ili nultog lana. U ovom kontrastivnom prilogu nastojali smo da ukaemo i na to da demonstrativi potencijalno mogu postati i druge vrste rei, i da, kroz odgovarajue primere iz oba jezika, otkrijemo mogunosti njihove transformacije u imenice, prideve, line, prisvojne i odnosne zamenice, konektore i priloge, pored, naravno, ve pomenutih transformacija koje se tiu odreenog i neodreenog lana.

eljko URI (Universit di Belgrado)

GABRIELE DANNUNZIO E LA SUA ODE ALLA NAZIONE SERBA. ELEMENTI PER UNA NUOVA LETTURA
Parole chiave: Gabriele DAnnunzio, Ode alla nazione serba. Nel prezioso testo sulla dannunziana Ode alla nazione serba scritto dal professor Mate Zori1 sono stati citati alcuni dati di grandissima importanza che testimoniano della prima ricezione dellode di Gabriele DAnnunzio. Si descrive, per esempio, lepisodio commovente di un gruppo di Serbi che in quanto soldati austroungarici vennero imprigionati in Italia (a Gavi, in Liguria) e che lessero la poesia dannunziana sulla Serbia subito dopo la sua pubblicazione nel Corriere della sera, verso la fine del novembre del 1915. Il testo dellode dest subito in loro sentimenti patriottici, la tradussero in serbo in versi decasillabi, tipici della poesia popolare serba, e scrissero in seguito una lettera allo stesso DAnnunzio chiedendogli di aiutare un loro trasferimento nellesercito serbo2. Unaltra reazione, di carattere ufficiale, venne dalla parte del governo serbo. Siccome Gabriele DAnnunzio aveva regalato il manoscritto dellode e alcuni esemplari stampati al re Pietro I, quegli, tramite il ministro Risti che si trovava a Roma, mand una risposta fatta di parole scelte e piene di gratitudine (Al fulgido vate consolatore, grazie vivissime ...)3. Possiamo ben immaginare che il gesto dannunziano per il re e per il governo serbo avesse avuto il significato di un forte appoggio alla Serbia, che si trovava in un momento difficilissimo della prima guerra mondiale; possiamo, ancor pi facilmente, immaginare che ai soldati imprigionati di origine serba fosse balzato il cuore in gola dalla felicit, quando nel testo del famoso poeta videro gli eroi della propria nazione, i nomi dei loro fiumi, dei loro monti e dei luoghi a loro cari. Questi due episodi significativi, insieme al fatto che il rinomato poeta serbo, Milutin Boji aveva tradotto in serbo lode dannunziana quasi subito dopo la sua pubblicazione, nellatmosfera drammatica della prima guerra mondiale, hanno avuto un ruolo decisivo nella ricezione esclusivamente positiva del testo dannunziano nella cultura e nella letteratura serba. A noi per sembra che quella ode, glorificata come un segno di indubbio sostegno alla Serbia nella guerra, offra gli elementi per una diversa lettura che porter alla luce, crediamo, alcuni suoi aspetti problematici. Gli interpretatori, in sede letteraria, di quel componimento, sia serbi che italiani, sono stati attratti, logicamente, dallabbondante presenza di materiale letterario appartenente alla
Mate Zori, Danuncijeva Ode alla nazione serba i njezini prevodioci, Glas SANU, II, 1980, 81-154. Idem, 106. 3 Idem, 107.
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poesia popolare e alla storia serba che Gabriele DAnnunzio aveva a disposizione in alcune opere di Niccol Tommaseo, prima di tutto nella famosa antologia di poesia popolare (Canti popolari corsi, toscani, illirici, greci) e nella prefazione, in quella ai canti illirici. NellOde alla nazione serba, Gabriele DAnnunzio, come molte volte prima, volle impressionare i lettori con la sua arte poetica basata su una curata e dettagliata preparazione del materiale linguistico, immaginativo e retorico. In quella operazione Niccol Tommaseo, o pi precisamente, la sua Antologia e il suo Dizionario della lingua italiana gli furono di grande aiuto. Il materiale preparato in quel modo fu in seguito organizzato e strutturato secondo gli intenti poetici dellautore: scrivere un forte componimento poetico di carattere politico-militare che si sarebbe accordato bene con quellatmosfera di guerra il cui creatore pi importante, o uno dei pi importanti, fu proprio Gabriele DAnnunzio. Il meccanismo implacabile della sua poetica strumentale adegu poi, neutralizz, trasform e deform il materiale accumulato nella maniera che corrispondeva alle intenzioni del poeta. Ai prigionieri di Gavi bastava vedere e leggere i nomi dei loro eroi e dei loro villaggi in patria; bastava questo per accendere in loro la fiamma patriottica. Per il re e per gli uomini politici serbi dellepoca, i versi dannunziani avevano un suono piacevole, grave e importante allo stesso tempo (di un grande poeta, fulgido Vate consolatore). Se DAnnunzio stato un grande poeta stato anche un grande manipolatore letterario, quando aveva bisogno di esserlo; molto di pi il secondo, purtroppo, quando si trattato dellOde alla nazione serba. Quella forte letterariet dellespressione di DAnnunzio che a quel poeta italiano stata molte volte di grande peso e che egli non sempre riusciva a controllare bene, quella letterariet nellOde alla nazione serba ha uno dei suoi esiti pi duri. Dimostreremo, su alcuni esempi tratti dalla nostra ode, proprio quelle caratteristiche del discorso poetico dannunziano. Cominceremo dal personaggio di Milo Vojnovi del famoso canto popolare enidba Duanova (Nozze dello zar Duan): si tratta di un eroe dotato di grande coraggio da una parte e di grande umilt e modestia dallaltra; guidato da uno squisito senso di tatticit e intenzionato ad aiutare suo zio (lo zar Duan, appunto), e per rendersi irriconoscibile, egli aveva indossato un soprabito bulgaro e un berretto di pelliccia diventando cos, anche nel testo serbo, crni Bugarin (il Bulgaro nero), che da DAnnunzio viene poi trasformato in un famigerato rappresentante della Bulgaria e della sua politica antiserba nella prima guerra mondiale. DAnnunzio prende da Tommaseo la figura del Bulgaro nero (dove chi legge la enidba Duanova sa fin dallinizio che si tratta di Milo Vojnovi travestito da Bulgaro), non per dal testo principale ma da una variante pi forte che Tommaseo riporta nei commenti: V p........... di Bulgaro nero Choggi dietro ci tenne Per il tozzo e l bicchier di vino E per un lacchezzo di carne vermiglia!4 Nella nona strofa dellOde, dunque, sulle tracce di Tommaseo DAnnunzio introduce quella figura dandole subito un connotato politico negativo: Ve porco di Bulgaro nero che tuttoggi dietro ci tenne pel tozzo e l bicchiere di vino e per un lacchezzo dagnello!
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Niccol Tommaseo Canti popolari toscani, corsi, illirici e greci, Tasso, Venezia 1841-1842, 175.

Gabriele DAnnunzio e la sua Ode alla nazione serba

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Non per tozzo il Bulgaro nero e n per gocciol di vino e n per minuzzo di carne, ma per tutto prendere alfine, per tutto a te togliere alfine, la terra il nome il soffio il bianco degli occhi lo stampo delluomo, per questo il Bulgaro nero dietro ti venne, alle spalle ti d, alle reni tagghiada.5 E pi tardi ancora: Da Scoplia il Bulgaro nero al piano di Cossovo sfanga fiutando lontosa vittoria.6 In questo modo il personaggio di un coraggioso ed onesto eroe serbo servito per far sprigionare nel componimento dannunziano unondata di odio nei confronti di altri popoli; ai Bulgari DAnnunzio aggiunge i Romeni (o Rumio dagli occhi di druda) i Greci (vil Grecastro inlurchito) e gli Austriaci e i Tedeschi (i Lurchi, come li chiama il poeta nella sua ode)7. Si potrebbe dire che gli odii in tempo di guerra sono una cosa normale, comprensibile; ma a DAnnunzio non basta lodio comune verso il nemico. Nella strofa undicesima il poeta descrive i cadaveri ammassati di soldati austroungarici e bulgari che galleggiano per il Danubio (Sotto Orsova, dove il mal fiume/ sinsacca, ora Bulgari e Lurchi/ si giungono, stercora e fecce) E lesercito serbo che fece leccidio DAnnunzio onora di una boutade boriosa e maligna: O razza di Kralievic Marko,/ lusura tu fai con la strage!8. Questi versi, insieme a quelli che precedentemente abbiamo citato, sono parole, nellOde alla nazione serba, pronunciate dalla Vila. Il suo monologo parte dalla met della sesta strofa e finisce nella quattordicesima. Verso la fine del monologo, nella quattordicesima strofa appunto, DAnnunzio fa pronunciare alla Vila un singolare inno allodio, ornato di fregi retorici; come soggetto di quellodio vediamo il popolo serbo: Tieni duro, Serbo! .............. Se pane non hai, odio mangia; se vino non hai, odio bevi; se odio sol hai, vai sicuro.9 Cos la Vila; e nella strofa che segue il poeta aggiunge: O Serbia, fai cuore! T lodio osso del dosso, armamento t lodio e t vittuaglia.10
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Gabriele DAnnunzio, Versi damore e di gloria II, Mondadori, Milano 1968, Asterope, 1035. Idem, 1040. 7 Idem, 1045. 8 Idem, 1037. 9 Idem, 1040.

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ancora:

N cibo, n acqua, n armi, nulla occorre, solo lodio; e non tutto, perch il poeta dice Non erbe coglie nel monte la Vila, non radiche pesta, per le piaghe a te medicare. Non a ferita combatti, a morte s, per laltare combatti e pel focolare.11

Non dunque importante sopravvivere, le ferite non vanno curate (e nella poesia popolare serba le Vile erano appunto quelle che curavano le ferite), c solo il combattimento e la morte. significativo il commento che di questi versi fa il curatore dellOde alla nazione serba; dice che sono stati presi da Tommaseo e cita i seguenti versi: A lui venne la candida Vila/ Coglie erbe pel monte la Vila/ Per medicare a lui le ferite12. Il curatore non commenta il fatto che DAnnunzio a quei versi ha dato un segno negativo: Non erbe coglie nel monte/ la Vila..... In questi due esempi, ma ce ne sono altri ancora, diventa palese una caratteristica essenziale della poetica dannunziana: la mancanza di rispetto della simbolicit di base e della costanza di significato degli elementi con i quali costruisce la propria poesia: Nellencomio lirico delle Laudi tutti quei dati compaiono svuotati dun loro proprio valore... Nasce da qui nei loro confronti unillimitata libert di sfruttamento e di manipolazione che il poeta ha verificato senza risparmio.13 E si sa, dallaltra parte, e anche Tommaseo lo sapeva bene, che invece il mondo poetico della poesia popolare un fenomeno altamente compatto in cui i nomi di eroi e di esseri, la loro indole e gli avvenimenti in cui partecipano, rispecchiano un sistema di valori piuttosto rigido e comunque molto preciso, tipico di una particolare collettivit e di un periodo storico preciso. Ora, introdurre i singoli elementi di quel fenomeno compatto dentro una macchina poetica eminentemente strumentale, come stata descritta nel caso di DAnnunzio, porta ad una inevitabile distruzione e corruzione del fenomeno ed anche dei suoi elementi. Listigazione ad un odio cos smisurato, quasi assoluto, fa parte dellatmosfera generale di violenza che domina tutta lOde dannunziana: Le scene pi feroci di massacri e di sangue dilagano nel suo testo. Ci va collegato senzaltro con il momento storico della comparsa del testo, ovvero con il vortice della prima guerra mondiale, in cui la Serbia si trovava gi da tempo e lItalia vi era appena entrata. Ma c unaltra cosa: le scene di violenza nellOde alla nazione serba superano di gran lunga le tipiche scene di violenza in guerra; DAnnunzio vi insiste al punto che si apre, a nostro avviso, la possibilit di definire una sua particolare filosofia della violenza che il poeta aveva sviluppato dalle sue stesse convinzioni ideologiche ed estetiche. Siamo del parere, in altre parole, che quanto abbiamo affermato finora vada collegato direttamente con il mito dannunziano del superuomo: un concetto elitistico della vita e del mondo
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Idem, 1041. Idem, 1040. 12 G. DAnnunzio, Versi damore e di gloria II, Mondadori, Milano 1995, 1344. 13 Angelo Jacomuzzi, Una poetica strumentale: Gabriele DAnnunzio, Einaudi, Torino 1974, 52-53.

Gabriele DAnnunzio e la sua Ode alla nazione serba

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in cui gli eletti dominano implacabilmente e senza limiti. La dominazione e la supremazia non sono per uno spontaneo dono divino, pur contenendo un certo carattere di fatalit, ma comportano la violenza, pensata e praticata, nella forma di una costante tensione fra potenti e deboli, vincitori e vinti, fra sacrifici e riscatti. Gabriele DAnnunzio quasi quasi non avrebbe avuto nemmeno bisogno di leggere Nietzsche per costruire il suo mito, tanto la letteratura romantica, postromantica o quella del decadentismo a cui apparteneva lo stesso DAnnunzio era colma di sacrifici e riscatti, di dominazioni e oppressioni, di vittorie e sconfitte che si sono accordate bene con il profilo psicologico e intellettuale del poeta. Cos in alcuni dei suoi romanzi, per esempio, che maggiormente si collegano a questo mito (Fuoco, Le vergini delle rocce), i protagonisti realizzano la propria dominazione superomistica grazie anche ai sacrifici della vita, non della propria, sintende, ma di quella degli altri (delle figure femminili, in particolare). Alla vigilia della prima guerra mondiale quellatteggiamento superomistico dannunziano si amalgamato con altri suoi atteggiamenti mitizzanti: il mito del superuomo si trasformato cos in un agglomerato ideologico-sentimentale-politico fatto di un militarismo esaltante, di nazionalismo, nonch di un mito razzista della dominazione latina. Limmagine efficace del ruolo e dellimportanza che ha il concetto della violenza nel mito dannunziano del superuomo la troviamo nel primo libro delle Laudi, che con il titolo di Maia apparve allinizio del XX secolo. Leggiamo in esso un segmento, che ci interessa particolarmente, segnato dal titolo Il canto amebeo della guerra. In quel canto alternato, che originariamente, nella poesia greca antica serviva per trattare temi pastorali, e che Gabriele DAnnunzio utilizza per parlare di guerra e di violenza, si alternano due voci: la voce del vincitore e la voce dei vinti; e non si parla di una guerra concreta ma insieme di tutte le guerre celebri della storia antica: E dai campi delle battaglie terribili, da Mantinea da Platea da Cheronea da Potidea da Leuctra, da tutti i campi sacri alle grandi stragi di genti, sorse per entro quellaere melodioso un clamore discorde: il lagno dei vinti, lo scherno dei vincitori, il canto amebeo della guerra.14 Lintonazione principale in cui viene sviluppato il canto amebeo della guerra quella che domina in tutto il libro di Maia: lattesa e lannuncio esaltante della nuova forza del superuomo: Ebri di antiche bellezze/ e di nuove, .../ ardentemente protesi/ verso primavere ed estati/ future, avidi di dominio/ e di gloria. Di fronte alle scene di guerra e di violenza il poeta prende una posizione superiore, guarda, cio dallalto, dalle soglie del venerabile Olimpo15, sia nel senso materiale che in quello spirituale. Qualcosa di simile vedremo poi anche nellOde alla nazione serba.

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G. DAnnunzio, Maia, edizione critica a cura di Crstina Montagnini, Il Vittoriale degli Italiani, 2006. 271. 15 Ibidem.

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Quello che maggiormente ci interessa nel canto amebeo, dove la Guerra conseguenza dellIneluttabilit e della Fatalit, ma un elemento della ricchezza della Vita (O Vita, o Vita/ dono terribile di dio16), sono alcune scene di violenza di guerra che possiamo collegare con scene analoghe dellOde alla nazione serba. I vinti, nel canto amebeo, si lamentano verso gli dei, rassegnati gi del loro destino di vittime; ci limitiamo qui a elencare, senza analizzarle, le forme principali di violenza. Prima la morte per schiacciamento, con la terrificante terminologia agricola, o vinicola e pi precisamente: Ah per questo nascemmo, per esser calpesti, premuti come il grano sotto la mola come nel frantoio loliva come luva nel tino, per esser pan dossa trite olio di midolle, vin rosso di vene al banchetto feroce!17 Mentre nellOde alla nazione serba leggiamo: Pigliarono Luciza, ed anche Sclevene pigliarono, e luna e laltra colmarono di mosto, di lugubre mosto, due tina. Iplana riempiron di vegli senzocchi, di femmine senza mammelle, di monchi fanciulli.18 Ecco un esempio dello strappamento della lingua, nel Canto amebeo della guerra: ............. Le lingue loquaci vi strapperemo noi dalle fauci per darle in pasto alle cagne e alle scrofe.19 E nellOde alla nazione serba: .................... e laltare lor tavola fu sanguinente: strapparono al prete la lingua con sopravi ostia vivente.20

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Idem, 278. Idem, 274. 18 G. DAnnunzio, Versi damore ...II, Ode alla nazione serba, 1036. 19 G. DAnnunzio, Maia, 275. 20 G. DAnnunzio, Ode alla nazione serba, 1036.

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Un esempio poi dellinfrazione delle ossa e della trafittura del corpo, nel Canto amebeo della guerra: e della frombola il cappio per forarvi il cuore tremante, per fendervi il cranio curvato, per frangervi ambo i ginocchi.21 E nell Ode alla nazione serba: gli han franto i piedi e i ginocchi a colpi di calcio, trafitto con la baionetta il costato.22 Alla fine, lo stupro delle donne, luccisione dei bambini, la violenza col fuoco; nel Canto amebeo della guerra: Le vostre vergini molli le soffocheremo nel nostro amplesso robusto. Sul marmo dei ginecei violati sbatteremo i pargoli vostri come cuccioli. Il grembo delle madri noi scruteremo col fuoco, e non rimarranno germi nelle piaghe fumanti.23 Mentre nellOde alla nazione serba: per le tue donne calcate dallo stupro contro la sponda, pei pargoli tuoi palleggiati e scagliati come da fionda per chi teda fu, per chi arso fu la fiaccola furibonda.24 Nel Canto amebeo della guerra Gabriele DAnnunzio mantiene la stessa distanza verso i vincitori e verso i vinti. Non si potrebbe dire la stessa cosa anche per lOde alla nazione serba: i belligeranti, lAustria e la Serbia, non vengono trattati ugualmente; una certa inclinazione,

G. DAnnunzio, Maia, 273. G. DAnnunzio, ode alla nazione serba, 102. 23 G. DAnnunzio, Maia, 277; a proposito di questa scena di sadismo sessuale, vedere la Godoleva, dall Intermezzo di rime, Versi damore e di gloria I, Mondadori, Milano 1982, 249: Prese una rossa face (urlava, folle/ di paura, la donna su l terreno/ ignuda) e di suo pugno, in vista pieno / datroce gioia, arse la carne molle....spandeasi il lezzo de la piaga enorme.....parve sotto il ventre/ convulso un antro fumigante e informe. 24 G. DAnnunzio, Ode alla nazione serba, 1039.
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problematica a nostro avviso, come cercheremo di dimostrare, presente, visibile nel componimento dannunziano. Il Canto amebeo della guerra organizzato secondo una struttura triangolare o piramidale che sia: in cima, al di sopra di tutto c il poeta e sotto di lui, nel tumulto della vita, ci sono i Vincitori e i Vinti che fanno la guerra collegati fra di loro dalla violenza, praticata dai primi, sopportata dai secondi. Una struttura simile contraddistingue anche lOde alla nazione serba: anche qui in cima c il poeta al di sopra delle parti belligeranti, il poeta come superuomo, come fattore decisivo, come rappresentante comunque della Nazione che avr la vittoria finale. Riguardo a ci Gabriele DAnnunzio esplicito e senza mezzi termini afferma che la vittoria finale sar italiana, anzi, sar italiana e cattolica: odi: la Vittoria latina, ed ella promessa al domani. una pura vergine bianca (non la tua Vila a lei pari) - (corsivo . .) pi lieve della tua Vila selvaggia ......25 Sar coi Latini domani la grande lor vergine bianca.26 Oppure, le stesse parole in un altro brano dellOde, in cui deforma i versi del famoso canto popolare serbo Uro i Mrnjavevii, presi sempre da Tommaseo, che parlano dellattribuzione del trono vacante serbo: Ti chiaman da Cossovo al piano che tu dica a chi sia limpero. Un grida: Al latino limpero. per forza a lui viene limpero Roma a lui commise limpero.27 Nella strofa finale della dannunziana Ode alla nazione serba non ci sono pi n gli Austriaci n i Serbi, ci sono soltanto il poeta e lItalia che decidono le sorti finali della vicenda: Popolo dItalia, sii come la forza dellaquila regia che batte con lala, col rostro dilania, ghermisce con lugna. E v uno Iddio: lIddio nostro.28

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Idem, 1044. Idem, 1045. 27 Idem, 1044; leggiamo nel commento all Ode alla nazione serba::Se Marco design Uroscio, ora DAnnunzio corregge il responso e assegna a Roma la successione dellimpero. (VersiII, 1995 , 1345). 28 Idem, 1047.

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Questi sono alcuni dei punti chiave, degli atteggiamenti che andrebbero presi in considerazione quando si legge e si interpreta lOde alla nazione serba di Gabriele DAnnunzio. Nel momento quando DAnnunzio scrive la sua Ode, nel novembre del 1915, lesercito serbo, dopo due gloriose vittorie sugli Austriaci, nelle battaglie di Cer e di Kolubara, costretto al tragico e doloroso ritiro verso lAlbania. LItalia entra in guerra nel maggio del 1915 aprendo il fronte nordorientale contro gli Austriaci. Questa realt storica viene da DAnnunzio opacizzata nel componimento, si vede poco. Il tono dominante prevalentemente definito come uninvocazione alla Serbia di resistere (S gente di Marco, fa cuore!, Tieni duro, Serbo!) e di destarsi (E grida la candida Vila ... grida e chiama, la Vila cos stride e chiama a battaglia). Il maggior numero dei nomi di eroi e di personaggi storici serbi DAnnunzio li menziona proprio in quel monologo-invocazione pronunciato dalla Vila; e latmosfera creata ivi dominata dallimpressione di una strana sonnolenza di un torpore di quegli eroi serbi; si rivolge alla Serbia, a Karagiorgio e ai suoi uomini in una lunga serie di espressioni interrogative in cui li invoca facendone appello. Il tono interrogativo nel corso della strofa si trasforma nellincertezza, se esistono davvero? se hanno sentito? se verrano? O Serbia di Marco, dove son dunque i tuoi pennati busdovani? Non tode alcuno?29 grida e chiama in Topola Giorgio che rist poggiato allaratro. Or dove sei, Petrovic Giorgio? Qual fumido vino ti tiene? Qual toccupa sogno? Non modi? Dove sei buoi bifolco? Dove sono i tuoi voivodi? Dov il voivoda Miloscio? Giacopo e il calogero Luca? ............................................ ............................... A Simposio seggono ? Ucciso hanno il giovenco e trinciano e cantano lodi? Beono alla gloria di Cristo che li aiuti? beono ion giro?30 Ci sono altri inviti a Karagiorgio: Su, Giorgio di Pietro, bovaro di Topola, su guardiano di porci, riscuotiti e chiama! ............................................ Su, su, porcaro di Dio!31
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Idem, 1029. Idem, 1032. 31 Idem, 1034.

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Sono per tutti senza risposta, lincertezza e lattesa rimangono a dominare, sospesi, latmosfera della nostra Ode. , dallaltra parte, troppo diretto il tentativo dannunziano di far risorgere alla vita gli eroi nominati, di evocare la loro fisicit, il loro essere in carne e ossa. Tutto in questo componimento si svolge nel segno di una carnalit ossessiva rappresentata attraverso le immagini di violenza e di sangue; non c spazio per i significati simbolici, tanto meno per la forza ispiratrice di quei personaggi della storia serba; DAnnunzio continuamente allude alla loro reincarnazione materiale e fisica e ci nei lettori provoca una sensazione bizzarra, di imbarazzo e di sgomento. ...............Ecco, ringhia il grande pezzato cavallo di Marco, e si sveglia, leroe squassando i capelli suoi neri. Re Stefano vien di Prisrenda; sorge dalla Mariza cupa Vucassino; salzano a stormo da Cossovo i nove sparvieri.32 Particolarmente significativo in questo senso il caso del famoso aiduco, Veljko Petrovi, che inaspettatamente ha occupato in DAnnunzio una posizione centrale tra gli eroi della storia serba (una posizione storicamente non fondata); lo menziona il poeta a pi riprese insistendo come abbiamo detto sopra, proprio sullaspetto materiale della sua morte, sulla carnalit. Lo vediamo prima occupare tutta la quarta strofa: S gente di Marco, fa cuore! Fa cuore di ferro, fa cuore dacciaro alla sorte! Spezzata in due tu sei; sei tagliata pel mezzo, partita in due tronchi cruenti, come laiuduco Velico su la torre percossa. Di lui ti sovviene? Rotto fu pel mezzo del ventre, e cadde. Il grande torace dallanguinaia diviso cadde, palpit nella pozza fumante. Giacquero in terra, si votarono.33 E nel fragore della gorga grido si ruppe: Tieni duro! Fiele dal fesso fegato grond. Tieni duro,
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Idem, 1031. Ecco unimmagine del componimento Mani (Poema paradisiaco): latroce donna da le mani mozze./ E innanzi a lei rosseggiano due pozze/ di sangue, e le mani entro ancora vive/ sonvi, nepure duna stilla sozze; Versi...I, 661.

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Serbo! Dalle viscere calde tal rugghio scoppi: Tieni duro!34 (corsivo . .) Questa immagine bizzarra del guerriero tagliato in due orizzontalmente DAnnunzio con tutta probabilit laveva presa da se stesso; la troviamo infatti nel libro di Maia: Immagini del delitto mostruosi intravidi, torcimenti dangosce inumane ma senza gridi, anime come sacchi flosce, altre come logori letti di puttane marce di lue, altre come piaghe orrende, fatte informi e nane dal gran taglio diritto, simili al combattente chebbe le due cosce recise fino allanguinaia e tuttavia rimane mezz uomo sul suo tronco e cerca con le dita ancor vive tra il rosso flutto la radice di virilit ricacciata in fondo al ventre, l dovera prima chegli escisse compiuto maschio dalla matrice.35 (corsivo . .) Abbiamo visto finora che alcuni eroi serbi non rispondono ai ripetuti inviti della Vila (come Karagiorgio e i suoi voivodi), che altri vengono svegliati (Marko Kraljevi) e altri ancora da morti diventano vivi (Vukain e i nove figli di Jug Bogdan). Quando si tratta di Veljko Petrovi egli viene incollato, rappiccato, da Gabriele DAnnunzio con il congiungimento delle parti tagliate dopo di che diventa vivo: ..........Velico, or ecco allanguinaia il torace rappicca come prima era, e dentrovi il fegato ardente.36 O qualche verso pi avanti: Tieni duro Serbo! Odi il rugghio di Velico che si rappicca e possa rif. Tieni duro!37
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G. DAnnunzio, VersiII, 1968, 1030. G. DAnnunzio, Maia, 281-282. 36 G. DAnnunzio, Versi ...II, 1968, 1034. 37 Idem, 1040.

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Laiduco Veljko protagonista anche di un altra strofa dellOde alla nazione serba: della diciassettesima in cui a Veljko viene conferita dal poeta una morbida e cannibalesca missione di carneficina: doveva tagliare a pezzettini limperatore austroungarico, come fanno i macellai, e poi condirlo con delle spezie orientali. Gli mette nelle mani anche lattrezzo per poter farlo: con la squarcina del riso38, dice DAnnunzio, dunque apparentemente una lama simbolica non vera; ma la descrizione del massacro convincente a tal punto che la potenziale simbolicit39 scompare man mano con il realizzarsi dellimmagine. Con queste parole il poeta si rivolge a Veljko: Tastalo con le tue dure mani, questo sacco di dolo e di adipe, o Velico, questo sacco di lardo e di fardo. ...................................... tu tagliami questo codardo con la squarcina del riso, tagliuzzalo come lombata, condiscilo poi con zibetto, con cinnamo e con spicanardo.40 Concludendo, si potrebbe dire: unimmagine punto bella di Gabriele DAnnunzio che nel caso dellOde alla nazione serba ha fatto una manipolazione grossolana e facile dei simboli storici e culturali di un popolo, immergendoli, in maniera superficiale e irresponsabile, nel proprio ormai logoro inventario decadentista, il tutto allo scopo di propaganda politica e di promozione personale. La sensazione della propria onnipotenza verbale e poetica che DAnnunzio aveva e che spesse volte stata fatale per il valore estetico delle sue opere, lo ha portato, nel caso dellOde, nelle acque di un singolare kitsch letterario.

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Nel Dizionario Tommaseo-Bellini: Squarcina una sorta darme atta a squarciare, come sono la storta, la scimitarra. 39 Il riso dellaiduco Veljko come segno di resistenza ed eroismo DAnnunzio lo menziona anche in alcuni altri versi dellOde. 40 G. DAnnunzio, Versi....II, 1968, 1043.

Julijana VUO (Universit di Belgrado)

STUDIARE IN UNA LINGUA STRANIERA1


Parole chiave: politica linguistica, pianificazione linguistica, educazione bilingue, insegnamento bilingue, sezione bilingue italo-serba

Nel mondo non esiste quasi paese dove si parli solo una lingua. I due terzi dellintera popolazione terrestre sono bilingui, di conseguenza, luso di due o pi lingue nellambiente familiare, di lavoro o nel processo educativo, come pure negli altri aspetti di comunicazione, sono spesso la regola e non uneccezione. Le linee guida attuali di politica e di pianificazione linguistica si basano sui concetti di bilinguismo o di plurilinguismo, principi base dellunit e delluguaglianza nellambito delle comunit di diverse dimensioni. Momento fondamentale della vita linguistica di una comunit la scuola, ossia il luogo istituzionale in cui si trasmette il sapere codificato di una certa societ in modo di preparare i cittadini consapevoli e pronti ad affrontare richieste sempre pi complesse, e a un tempo portatori dei valori e del progetto di societ che sono stati inculcati loro (DellAcquila, Iannccaro, 2004: 118). Leducazione bilingue il termine che si riferisce alleducazione che usa nel processo di insegnamento di due lingue. Freddi (1983) distingue i concetti di educazione bilingue e insegnamento bilingue, facendo differenza tra gli aspetti tecnici del problema e quelli formativi che confermano la scelta di due o pi lingue nel curriculo2. Questo tipo di educazione e di insegnamento si pu incontrare su tutti i continenti: Africa (Ghana, Kenya, Nigeria, Sudafrica, Tanzania); Asia (Brunei, Cina, India, Indonesia, Giappone, Malesia, Singapore); Europa (Belgio, Danimarca, Finlandia, Croazia, Germania, Ungheria, Norvegia, Slovacchia, Slovenia, Serbia, Spagna, Svezia, Gran Bretagna); Medio Oriente (Libano); America del Nord (Canada, Giamaica, Messico, USA) America del Sud (Paraguay, Per); Regione del Pacifico (Australia, Nuova Zelanda, Pacifico del Sud), ecc. In tutti i paesi elencati linsegnamento viene impartito in base ai vari e diversi programmi che si riferiscono allinsegnamento di lingue maggioritarie, minoritarie, internazionali, straniere o

Il presente contributo realizzato nellambito del progetto La lingua serba e le dinamiche sociali(Srpski jezik i drutvena kretanja), 148024D, finanziato dal Ministero per la scienza e per la tutela dellambiente della Repubblica di Serbia. 2 Nel nostro contributo, riferendoci alluso di una lingua straniera, LS, per insegnamento di materie non linguistiche con le finalit educative, accettiamo la dicotomia di Freddi: per leducazione bilingue intendiamo il contesto e le gli scopi formativi del processo, e per linsegnamento bilingue gli aspetti tecnici dellapplicazione in sede scolastica.
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indigene, includendoci anche le lingue rivitalizzate, che hanno per scopo leducazione di minoranze nazionali, popolazioni immigranti, lingue dominanti o gruppi indigeni. Linsegnamento bilingue pu essere indirizzato a diversi gruppi di studenti che acquisiscono le loro conoscenze in base alle diverse modalit e in diverse condizioni, usando le loro abilit in due o pi lingue. Linsegnamento bilingue pu applicarsi al processo educativo degli studenti che gi conoscono le due lingue del processo educativo, ma anche a quelli che sono principianti. Linsegnamento bilingue pu riferirsi allacquisizione di una lingua straniera, LS, o seconda, L2, ma anche al mantenimento della lingua materna, L1. Lotherington (2004:707) elenca le finalit delleducazione bilingue: arricchimento delleducazione dei parlanti di una lingua maggioritaria (L2 = lingua minoritaria), mantenimento del livello di educazione per parlanti bilingui (L2 = lingua minoritaria), educazione compensativa per parlanti di lingua minoritaria nel contesto maggioritario (L2 = lingua maggioritaria), forma transitiva, educazione transizionale per parlanti di lingua minoritaria nel contesto maggioritario (L2 = lingua maggioritaria), ravvivamento delleducazione in lingua in via di estinzione (lingue in pericolo) (L2 = lingua minoritaria in via di estinzione). Pregi delleducazione bilingue Gli apprendenti che partecipano ai programmi educativi bilingui che includono la loro L1 in modo funzionale, dimostrano maggiori capacit di analisi di elementi linguistici sia in L1 che in L2. Accentuando la L1 quale specifico sistema linguistico tra molti, gli apprendenti, pi facilmente degli altri, sviluppano la loro capacit metalinguistica precoce. Comparati con altri gruppi di controllo sviluppano la maggiore sensibilit per le loro capacit espressive linguistiche. Gli stessi risultati si verificano presso gli apprendenti di ogni L2, anche quando linsegnamento della L2 viene impartito al livello solo facoltativo (Swain e Lapkin, 1982), (Swain e Carol, 1987). In base alle stesse ricerche, gli apprendenti che seguono i programmi bilingui, se comparati con i loro coetanei dei gruppi di controllo, dimostrano il significativo miglioramento della conoscenza della L2; possiedono una maggiore sensibilit per bisogni comunicativi dei loro interlocutori, imparano con facilit altre lingue straniere, dimostrano maggiore capacit di uso linguistico ai fini sociali. Modelli di educazione bilingue Studiare una materia scolastica in una lingua diversa dalla materna (in lingua seconda o L2) unattivit complessa cognitivamente e linguisticamente. Lo sforzo di sistematizzare ed elaborare le nuove nozioni e informazioni si sovrappone a quello di comprendere, elaborare, acquisire e riutilizzare le strutture grammaticali, lessicali e testuali dell'italiano. Occorre poi sviluppare la capacit di padroneggiare pi registri e variet, almeno nella ricezione, se non nella produzione della lingua: da una lingua colloquiale richiesta nell'interazione tra compagni e compagne, ad esempio in un lavoro di gruppo, a quella pi formale dell'insegnante, fino a quella altamente formale dei manuali e delle prove d'esame; dalla lingua dell'uso quotidiano alle lingue specialistiche delle materie; dalla lingua parlata delle attivit in classe alla lingua scritta dei materiali di studio e dei manuali. Sono varie e numerose, infine, le azioni che gli studenti svolgono, linguisticamente, mentre studiano: ascoltare la spiegazione dell'insegnante, prendere appunti, leggere un manuale, interagire oralmente in un dialogo durante la lezione, oppure in un'interrogazione, parafrasare un testo, riassumere e molte altre ancora. Negli anni della sua applicazione si sono sviluppati diversi tipi di educazione e di insegnamento bilingue in base alle caratteristiche di varia natura e dei livelli di bi-plurilinguismo (bilanciato, sbilanciato, coordinato, composito) e della natura delleducazione bilingue (sommersione, immersione, immersione parziale, segregazione ecc.). Ne esistono varie tipologie,

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con pi di 90 modelli. Si definiscono in base al rapporto tra lindividuo, gruppo, ambiente, lingua, famiglia, organizzazione curricolare, stato e la sua legislazione del settore. Baker (2001) divide curricoli di educazione bilingue in forti e in deboli. Le finalit dei programmi forti sono il bilinguismo additivo e alfabetismo i in tutte e due le lingue. I programmi deboli non hanno come scopo educativo il bilinguismo additivo. Baker ritiene che vengono indicati come forti i programmi che utilizzano come lingua veicolare due o pi lingue. Eccone alcuni possibili modelli. Linsegnamento integrato bilingue (Content-based Bilingual Learning) sottolinea la dimensione bilingue del programma. Lo scopo primario leducazione in due lingue con luso veicolare di due lingue. Il modello basato sulla competenza comunicativa che favorisce luso linguistico socialmente adatto e utile, ovvero le conoscenze come usare effettivamente una lingua, e non le conoscenze sulla lingua. Questi programmi utilizzano la L2 meno del 50 per cento. I programmi nei quali pi del 50 per cento dellinsegnamento viene trasmesso in L2 vengono nominati programmi di completa Immersione Bilingue. (Bilingual Immersion). Limmersione bilingue il termine in uso dagli anni sessanta a questa parte, una delle forme pi note di educazione bilingue, certamente quella pi studiata e la pi descritta. Swan & Johnson (1997:6-8). Le caratteristiche pi importanti del programma di immersione sono: lutilizzo del L2 quale mezzo di insegnamento, il curricolo parallelo in L2 e in L1, lappoggio pubblico per la L1, il bilinguismo additivo3 in qualit di finalit del programma, lesposizione alla L2 limitata generalmente alla situazione della classe, gli studenti entrano nel programma con livelli simili di conoscenza limitata di L2, insegnanti bilingui, la cultura della classe fa parte della cultura della comunit locale L1. Swan & Johnson (1997:8-11) ritengono che le ulteriori finalit dei programmi di immersione sono: livello educativo dellintroduzione dellimmersione, divulgazione dellimmersione linguistica, rapporto tra L1 e L2 nei differenti livelli del programma, continuit del programma nellambito del sistema scolastico, appoggio agli studenti, fonti, doveri, tendenze alla cultura L2, status L2, valutazione della prosperit del programma. Il rapporto tra la L1 e la L2 nei programmi bilingui di immersione diverso, ma, la maggioranza dei programmi sono di immersione totale, introducendo immediatamente 100 per cento di insegnamento in L2 in un determinato arco di tempo, inserendo dopo gradualmente anche la L1. Bisogna distinguere anche la forma di immersione parziale che prevede il minimo del 50 per cento di insegnamento linguistico in ambedue le lingue. LImmersione bidirezionale (Two-way Immersion) tende a integrare la lingua minoritaria con quella maggioritaria nellambiente bilingue, offrendo i contenuti di ambedue culture in ambo le lingue. Questo modello di immersione viene raccomandato soprattutto nelle comunit bilingui, ma non in quelle plurilingui.

Il bilinguismo additivo ha effetti positivi linguistici ed altri, es. La diminuzione delletnocentrismo, laumento di tolleranza linguistica, laccelerazione dello sviluppo delle potenzialit metalinguistiche analisi linguistica, come pure delle potenzialit generali cognitive, immaginazione, intelligenza. il bilinguismo che offre potenzialit di sviluppo sociale e porta elementi positivi complementari per lo sviluppo del bambino. Il bilinguismo sottrattivo invece quel bilinguismo che non offre risorse aggiunte. Lo provocano cosiddetti sink or swim (Lotherington, 2004:711) approcci allinsegnamento linguistico ed allalfabetizzazione, dove gli studenti vengono inseriti nelleducazione bilingue tramite limmersione, senza seri appoggi in L1, con minimo appoggio pedagogico per lacquisizione linguistica. Le due lingue sono in concorrenza e non complementari in quanto la L1 non costituisce nessun elemento di valorizzazione aggiuntiva o di prestigio nel contesto culturale.

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I programmi di mantenimento (Maintenance education) vengono applicati con intenzione di offrire agli studenti di lingua minoritaria lopportunit di mantenere lalfabetizzazione in lingua minoritaria. Il modello funziona nelle definite, ma non nelle eterogenee popolazioni scolastiche, visto che il supporto educativo per la L2 di quelli programmi molto limitata. Fishman (1991:113) ritiene che il mantenimento linguistico non sia possibile senza la trasmissione integrativa, trasferimento di lingua materna da una generazione allaltra, e che il mantenimento sia prevalentemente il processo che si forma dopo la trasmissione. Anche i programmi deboli di educazione bilingue hanno come scopo il raggiungimento del bilinguismo, ma la loro applicazione pu anche avere degli effetti negativi. Questi programmi possono provocare la sommersione linguistica, se il programma non porta al bilinguismo additivo, ma di carattere sottrattivo, non rispettando in modo bilanciato le due lingue partecipanti al processo educativo. In tali programmi il sostegno in L1 molto limitato. Il processo educativo si svolge in L2 che di solito ha lo status alto nella societ. Si tratta di solito di una lingua maggioritaria, o di lingua di comunicazione di ampio raggio che non si usa al livello di tutta la comunit. Per lEducazione transizionale (Transitional education) il bilinguismo il periodo di passaggio, concorde con le finalit di natura politica della completa assimilazione. Leducazione di questo tipo tende a dare lalfabetizzazione di base in lingua minoritaria L1, contemporaneamente con lintroduzione alla maggioritaria L2. Agli studenti dato il periodo limitato di adattamento durante il quale devono acquisire il livello soglia L2. Dopodich leducazione continua in L1. I programmi Oggetto Lingua (Language object) privilegiano linsegnamento formale della lingua. La L2 viene usato come lingua veicolare per linsegnamento di contenuti. Baker (2001:200) ritiene che con tali programmi, in uso nei Paesi Scandinavi, i risultati sono estremamente positivi, visto che il fattore motivazionale per lo studio della lingua la coscienza sulla prosperit economica della societ4. Leducazione e linsegnamento bilingue e la didattica delle microlingue (ML) Nelleducazione bilingue, applicando le nuove strategie di insegnamento CLIL, la lingua e i contenuti non linguistici vengono integrati e insegnati insieme. lapproccio che si differenzia dallinsegnamento di una microlingua per diversi aspetti. Brinton (1993: 3 - 4) sottolinea i fattori che accomunano e dividono nettamente i programmi di educazione bilingue dallinsegnamento di microlingue. Le similitudini si esprimono nella presa in considerazione dei bisogni dello studente, nelluso dei contesti naturali, nellofferta della lingua attraverso attivit, materiali, fonti e ambienti autentici.
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Citiamo altri noti modelli di insegnamento bilingue: Language Medium Teaching accentua limportanza della lingua veicolare. Content Based (second-foreign) language instruction sottolinea la priorit della parte linguistica del programma, la promozione di competenza linguistica con luso della lingua nellinsegnamento degli altri contenuti.. (Foreign) Language-enhanced/enriched content instruction, al contrario, ritiene che sia prioritaria la parte non linguistica del programma, rispettando per il valore dellinsegnamento della lingua. Teaching content trough a foreign language sottolinea soprattutto limportanza dei contenuti di natura non linguistica, non abbandonando neanche la parte linguistica. Mainstream bilingual education si riferisce alle forme delleducazione bilingue che vengono applicate nelle scuole comuni, e non soltanto in quelle particolari. Plurilingual education il termine che tende a spiegare le situazioni in cui in alcune scuole pi di due lingue vengono utilizzate in qualit di lingua veicolare.. CLIL (Content and Language Integrated Learning) il programma di insegnamento integrato e simultaneo di contenuti linguistici e non linguistici, uno tramite e con laltro. Linsegnante usa una serie di procedimenti metodologici e didattici come per esempio le strategie della comprensione funzionale.

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Le differenze sono nella diversit del pubblico, dei settori di interesse, della motivazione degli studenti. Cercando di sottolineare le differenze tra questi due approcci, Coonan (2000, 113) ne individua due: lorientamento sulla disciplina - il veicolo la LS, e lorientamento sulla lingua il veicolo il contenuto. DIDATTICA DELLE MICROLINGUE Il pubblico essenzialmente adulto: la didattica delle ML esige di un approccio andragogico Linsegnamento delle ML riferito a settori specifici scientifici, professionali tecnici. Lo studente di una ML ha una motivazione strumentale immediata, in quanto le conoscenze apprese possono essere fin da subiti riutilizzate nel suo ambito professionale. Lo studente della microlingua pi motivato, perch la lingua appresa pu essere immediatamente sfruttata nella professione (Coonan, 2000:112) Lobiettivo principale la competenza microlinguistica. Lo studente di ML competente nel settore di studio o professionale al quale la ML attiene: va quindi sviluppata una didattica collaborativa. Linsegnante di una ML un esperto di lingua, mentre non tenuto a conoscere la disciplina o lambito professionale al quale la ML si riferisce. INSEGNAMENTO BILINGUE E DIDATTICA
DELLE MICRILINGUE

Il pubblico costituito essenzialmente da studenti in et scolare e in periodo di sviluppo: lapproccio principalmente pedagogico Linsegnamento bilingue collegato ai bisogni delle istituzioni scolastiche e alle aree disciplinari che costituiscono i curricoli scolastici Lo studente che affronta un programma bilingue non ha necessariamente una motivazione immediata e strumentale, in quanto non sempre in grado di proiettarsi nel futuro per vedere i vantaggi dello studio. Lo studente della lingua seconda pi motivato allaspetto globale, culturale, educativo, non focalizzato sullapplicazione immediata, ma sullacquisizione della nuova cultura. Gli obiettivi primari riguardano lacquisizione dei contenuti disciplinari. Lo studente che studia in una lingua seconda ha bisogno di imparare sia la lingua che i contenuti disciplinari, necessitando di una didattica supportiva e integrativa. Linsegnante di scuola con una classe plurilingue di norma un esperto disciplinare, non necessariamente con una preparazione specifica sulle caratteristiche della lingua che veicola la materia che insegna.

Tabella n. 1. Differenze tra la didattica di microlingue e insegnamento bilingue (adattato da Luise, 2006:156) Nuove tendenze del concetto di educazione bilingue. Nel corso degli anni ottanta e novanta del secolo scorso, ai livelli nazionali in Europa, si dedica molta attenzione alle possibilit formative delleducazione bilingue comprese quale curriculum unificato in due lingue veicolari, di cui una dovrebbe essere la lingua materna.

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Le maggiori ragioni per un tale sviluppo stanno nella ricerca delle soluzioni per la tutela delle lingue minoritarie autoctone, in pericolo di estinzione in via naturale, con lo scopo di trovare nuove modalit di ampliamento delle diversit linguistiche nellambiente scolastico e migliorare la qualit del loro insegnamento. Pubblicando il Libro bianco (1996) Teaching and Learning: Towards the Learning Society, La Commissione Europea ha centrato sulla necessit di far progredire la qualit dellinsegnamento di lingue straniere. Una delle proposte del documento comprende anche la possibilit di inserire nelle scuole secondarie linsegnamento di alcune materie in lingua straniera. Le tendenze che in Europa si riferiscono alla politica dellinsegnamento di lingue straniere sono presentate nellaltro documento europeo Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento insegnamento valutazione (2002) del Consiglio dEuropa, contenendo anche la proposta sui possibili scenari di curricolo presentati nel 1998 al Consiglio dEuropa. Un nuovo stimolo alleducazione bilingue stata la firma degli Accordi di Maastriht, p. 126, con il quale i confini dEuropa rimangono aperti, con le conseguenti migrazioni e la mobilit di persone e di affari tra i rispettivi paesi. Leducazione bilingue e linsegnamento bilingue in Europa I programmi di educazione bilingue sono numerosi in tutto il mondo. Vengono sviluppati, come spiegato precedentemente, in base a vari modelli, come particolari progetti di intere nazioni, istituzioni statali e programmi al livello locale. I modelli delleducazione bilingue in Europa del Nord variano dalle scuole tradizionali bilingui fino alle nuove esperienze dei nuovi modelli, CLIL incluso. In Europa, linsegnamento bilingue viene applicato prevalentemente con intenzione di attivare lattenzione per le lingue minoritarie, es. Gallese in Galles, svedese e sami in Finlandia, finlandese e estone e sami in Svezia. Nei Paesi Scandinavi esiste linteresse grande per la lingua inglese e per le nuove soluzioni per insegnamento. La Svezia e la Finlandia primeggiano nel loro ruolo innovativo in questo settore. In Finlandia linsegnamento in lingue straniere stato introdotto nel 1989, e dal 1991 per lintroduzione dellinsegnamento bilingue non ne necessario il permesso delle autorit. Linsegnamento bilingue in Svezia dura da pi di un secolo, su richiesta dei genitori, insegnanti e studenti stessi. Sono in uso due modelli: il modello dellinserimento graduato della lingua veicolare partendo da una materia fino allimmersione completa, e il modello dellimmersione completa. NellEuropa centrale sono radicati tradizionali modelli di classiche scuole bilingui, classi bilingui e classi europee. Oltre nelle metropoli delle citt europee tale tipo di insegnamento si trova prima di tutto nelle regioni di confine. Dalla fine degli anni novanta si auspica questo tipo di insegnamento e ne si registra il continuo progresso5. In Francia si sviluppano quattro modelli di insegnamento bilingue. Classi bilingui, dagli anni settanta del secolo scorso, oltre al numero pi elevato di ore di lingua straniera, in lingua straniera si studiano materie artistiche e educazione fisica. Classi internazionali, fondate nelle grandi metropoli e nelle zone limitrofe, con il minimo di 25% di studenti di nazionalit non francese, con ore supplementari di lingua straniera ed ore di geografia e storia in lingua straniera. Certificato comune, iniziato negli anni ottanta, prevede linsegnamento bilingue di tedesco e francese in base al programma in vigore in due paesi. Linsegnamento viene impartito seguendo il programma francese, mentre i programmi di geografia e storia sono stati elaborati con le
Per informazioni complete sulle attivit relative alleducazione ed insegnamento delle lingue in Europa consultare: http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/default_en.asp, http://ec.europa.eu/education/policies/lang/languages_en.html
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autorit competenti tedesche. Classi europee, fondate nel 1991, con lo scopo di sviluppare la competenza linguistica degli studenti e migliorare le conoscenze culturali. La lingua straniera viene insegnata due anni prima dellinizio dellinsegnamento delle materie non linguistiche. NellEuropa del Sud la maggior parte delle innovazioni si riferisce ai nuovi modelli che vengono applicati in Italia e in Spagna, per salvaguardare le lingue minoritarie o autoctone. In Italia vigono due modelli: da una parte ci sono programmi bilingui per la salvaguardia delle lingue autoctone minoritarie francese in Valle dAosta e tedesco nel Alto Adige, come pure dello sloveno nel Friuli, e dallaltra programmi di educazione bilingue per miglioramento dellinsegnamento di lingue straniere ed inserimento del curriculo europeo. Insegnamento bilingue in Serbia LInsegnamento bilingue in Serbia viene impartito in francese e in italiano, dallanno scolastico 2004/2005. Dopo lunghi preparativi e lavoro concordato dei Ministeri per la pubblica Istruzione e degli Affari Esteri dei Tre paesi, Francia, Italia e Serbia. Il progetto si esegue a due livelli: nella scuola elementare e nel liceo, nella scuola secondaria. In due sezioni della scuola elementare Vladislav Ribnikar, dalla settima elementare, linsegnamento di chimica e matematica viene effettuato in lingua francese. Nella scuola superiore, nel Terzo liceo di Belgrado, linsegnamento si effettua in francese e in italiano. Le materie che vengono insegnate in italiano cambiano secondo le necessit curricolari, ma anche concorde alle disponibilit del quadro insegnante capace di insegnare in italiano: storia, geografia, chimica, latino, storia dellarte, biologia, filosofia, sociologia. Inoltre, il curriculum prevede 5 ore di lingua italiana. Per accedere alle classi bilingui gli studenti interessati devono superare lesame di ammissione di lingua francese/italiana, in base dal Regolamento del Ministero per la Pubblica Istruzione della Serbia. Lesame viene redatto con la particolare cura, secondo le esigenze dellinsegnamento bilingue, in un primo momento dedicando pi attenzione alle abilit ricettive, ma valutando anche le abilit produttive e interattive. Il modello dellinsegnamento in uso in Serbia da ritenersi un CLIL rielaborato e applicato alla realt serba. A differenza del modello, dove linsegnante della materia, non in obbligo di conoscere la lingua straniera, per poter insegnare nella classe bilingue, linsegnante deve possedere la laurea universitaria in materia, e conoscenze linguistiche del livello minimo di B2 del QCE. Il quadro insegnante, per il momento, rappresenta il problema pi sensibile del progetto. Perci si investe molto nella specializzazione linguistica degli insegnanti della scuola che hanno aderito al programma, organizzando soggiorni in Italia nelle scuole specializzate e attirando con inviti pubblici gli insegnanti che potrebbero aderire al progetto. E in corso la specializzazione degli insegnanti della scuola, con il contributo delle rispettive Autorit italiane e francesi, borse di studio, aiuti finanziari, partecipazione del corpo insegnante inviato della Francia/Italia o del Liceo francese Belgrado, o dei colleghi dellUniversit di Belgrado, in possesso delle lingue richieste. Tutti gli insegnanti inseriti nel progetto di specializzazione linguistica dovrebbero entrare in classe tra il 2006/07 e il 2008/09. Conclusioni Linsegnamento bilingue porta grandi novit e numerosi pregi nei sistemi scolastici che lo applicano. Oltre alle nuove strategie e nuovo spirito dellinsegnamento modulare, lavoro di gruppo, metodi moderni dove viene applicato insegnamento attivo secondo bisogni specifici degli studenti, linsegnamento bilingue offre vari elementi positivi agli studenti, agli insegnanti, alla scuola ed alla societ.

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Linstaurazione delle sezioni bilingui in Serbia, rispecchia gli attuali principi europei di politica linguistica sul bi-plurilinguismo, conforme anche alle tendenze attuali nella teoria dellinsegnamento linguistico, avendo come risultato numerosi ed indiscutibili pregi: lampliamento delle competenze linguistiche dellapprendente in lingua straniera, sviluppo della creativit e della sensibilizzazione per la comunicazione, maggiori capacit di analisi e della soluzione dei problemi; ampliamento di altre competenze in lingua straniera veicolare e in lingua materna; sviluppo della personalit dellallievo focalizzata al maggiore rispetto della propria persona, alla flessibilit ed adattabilit, alla sicurezza nelle interazioni sociali, sviluppo delle capacit di instaurare contatti reciproci, pi solidi legami con le realt parziali e globali europee e con ambienti culturali diversi dal proprio; creazione dellesperienza di due mondi linguistici (Baker, 2000); facilitazioni negli scambi delle informazioni nel senso pi lato possibile, dalla famiglia, dalla comunit, dallimpiego fino ai contatti internazionali nel contesto europeo e mondiale; incrocio dei sistemi educativi dei paesi partecipanti, trasferimento dei saperi accademici, spirito delle comune collaborazione su tutti i livelli delle attivit umane; educazione dellaperto e tollerante cittadino europeo bisognoso dellarmonia sociale. Il progetto innovativo dellinsegnamento bilingue porta a tutti i paesi che si adoperano ad inserirlo nei loro sistemi di educazione lindiscutibile progresso e beneficio.

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Slobodan STEVI (Universit di Belgrado)

ALCUNI ELEMENTI DEL DISCORSO QUOTIDIANO


Parole chiave: conversazione, sezione dapertura/chiusura, ripetizione, segnali discorsivi, riempitivi, co-operazione Lanalisi conversazionale ci introduce nei meccanismi principali della nostra espressione linguistica orale. Il nostro comportamento linguistico in questo ambito viene studiato convogliando innanzi tutto la nostra attenzione sulla struttura interattiva di tale espressione. Noi, infatti, parlando influiamo gli uni sugli altri, per il tramite della lingua, grazie alle nostre azioni [linguistiche]. Il sistema di alternanza del turno oppure lavvicendamento dei turni il meccanismo principale che controlla questo interscambio linguistico. Le unit fondamentali di questa branca scientifica sono lenunciato e il turno. Con lenunciato svolgiamo azioni specifiche: il saluto, la domanda, il commento; lunit fondamentale per la formazione del turno, che consiste in uno o pi enunciati. Definiamo, invece, turno come unit che segue le parole di un parlatore precedente e insieme precede il turno successivo di un secondo o di un altro parlante a seguire. La sequenza almeno una struttura bipartita; caratterizzata dallazione di risposta dellinterlocutore. Si chiamano coppie adiacenti le sequenze strettamente legate, come domanda risposta, saluto saluto. Il feed-back o retroazione si collega strettamente, innanzi tutto, con questo tipo di sequenza. E proprio questo il tipo la cui presenza predomina allinizio e alla fine della conversazione. La conversazione informale ordinaria ha una sua struttura chiara: in particolare ne stata studiata la sezione dapertura/chiusura. Linterazione degli interlocutori continua poi a svilupparsi mediante gli argomenti della conversazione, che possono essere pi di uno. Nellinterscambio la ripetizione svolge un ruolo centrale; estremamente diffusa e la possiamo considerare caratteristica delloralit. Allo stesso modo rilevante il posto che nella conversazione occupano i segnali discorsivi. Ne ricorderemo alcuni di uso frequente: sai, ecco, praticamente, cio, beh, insomma, voglio dire, eh, niente, esatto. Essi sono tanto frequenti e manifesti che possiamo dire che costellano il discorso quotidiano1 Come la ripetizione, sono anchessi polivalenti, vale a dire hanno pi funzioni; vengono definiti anche riempitivi o pause

v. Bazzanella (1994: 146). Noi ci basiamo soprattutto su questo autore, utilizzando , in particolare, anche un suo studio - Bazzanella (1999). Fra gli autori italiani che analizzano la nostra lingua quotidiana distinguiamo anche Marcarino (1997). Vengono qui citati anche Galatolo e Palotti (a c. di) (1999). Per quanto poi riguarda il procedimento della ripetizione, innanzi tutto ci richiamano a Tannen (1984, 1989). La letteratura anglosassone fondamentale che si occupa di tale questione assai sviluppata e ben conosciuta nella prassi. Qui distinguiamo soltanto Levinson (1984), che ci propone un approccio esaustivo allanalisi della conversazione.

Alcuni elementi del discorso quotidiano

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piene. Anche la mitigazione e il rafforzamento si distinguono in modo significativo nel parlato colloquiale. E, infine, una volta che tutti questi elementi della conversazione si siano reciprocamente combinati, il nostro discorso quotidiano, nel migliore dei casi, diventa dance of syncronized rhytmic ensemble.2 Allinizio del nostro primo dialogo registriamo innanzi tutto come si realizza il segmento dellapertura:3 A: pronto? B: ah Patrizia A: ciao bella B: ciao In questo caso lo scambio linguistico ineccepibile, vale a dire in assoluto accordo con le nostre aspettative. Innanzi tutto rileviamo che il chiamante (B) riconosce la voce del chiamato, che parla per primo; il riconoscimento reciproco. In questa sezione le coppie adiacenti sono necessarie. Subito dopo notiamo lenunciato tavrei chiamato anchio. Qui potrebbe essere in una pura funzione fatica. Solitamente la conversazione continua toccando una delle nostre consuete attivit quotidiane: A: in questo momento mhai trovato un po_ [RIDE] son tornata dalla spesa meno male con Mattia guarda nel momento in cui scopri che i figli sono una risorsa B: perch ti portano i pesi mh A: s infatti B: invece a me me li fanno portare [RIDE] Largomento i figli sono una risorsa viene qui accolto dallinterlocutore; cos fin dallinizio vediamo che gli interlocutori sono in completa sintonia reciproca. Dopo un episodio cos breve segue uno scambio, che proprio di ogni sezione dapertura: A: senti prima di tutto come stai? B: io non c male_ A: mh B: mh sono un po affaticata e scocciata non ce la faccio pi fra poco lascio tutto CIDI_ eh scuola_ la scuola no perch mi piace eh? A: sono allo stesso livello anchio guarda ahah non apriamo questo tasto La conversazione si sviluppa fin dallinizio senza disturbi; infatti gli interlocutori mostrano una completa sintonia reciproca. Innanzi tutto, la domanda convenzionale e la relativa risposta (come stai non c male) si manifestano col sostegno appropriato della coppia adiacente. Inoltre notiamo le particelle senti, mh, eh?, ahah; nel terzo e quarto turno, laccordo (cio la
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Maynard (1989: 222) Esempi FB05 e FB13 presi dal LIP (V. De Mauro et al.)(1993). Procedure di trascrizione: < ? > , indov<ina>: parole inintelligibili; pause: #, la tenuta vocalica, il trattino: ciao_.

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ripetizione) si esprime anche con il segnale discorsivo mh. Viene definito anche pausa piena, ovvero il riempitivo. Attira la nostra attenzione anche la mitigazione un po affaticata , che pure seguita immediatamente da un certo rafforzamento non ce la faccio pi. Linterlocutore, tuttavia, cerca di impedire lulteriore scambio di questo tipo, con lenunciato non apriamo questo tasto. (B) daccordo anche in questo, cos che questo segmento si conclude con il suo contributo s ma perch ci disperdiamo troppo secondo me. Il motivo della chiamata, solitamente, si espone soltanto dopo il rituale scambio iniziale; qui lenunciato com andata la conferenza stampa. In esso, per, notiamo innanzi tutto i segnali discorsivi, che anche qui adempiono alla loro funzione principale richiamare lattenzione dellinterlocutore: B: senti Patrizia dimmi una cosa come andata la conferenza stampa? Di solito con questo enunciato, ovvero in questo turno ci ripetiamo; questa ripetizione viene definita auto-ripetizione: A: allora la conferenza stampa che ti volevo dire la conferenza stampa noi naturalmente abbiamo indetto una conferenza stampa il giorno in cui cera lo sciopero della stampa [ ] Tuttavia nella risposta scopriamo che lenunciato dellinizio della conversazione tavrei chiamato anchio non , in realt, una delle semplici forme di cortesia, ma mostra, invece, un interesse reale del parlante: A: in circolazione allora_ era uno dei motivi per cui ti volevo chiamare Il segnale discorsivo allora (nei due casi appena citati) si colloca nella sua posizione iniziale come in quella mediana. Evidentemente il parlante non si attiene alla regola scolastica Non iniziare un discorso con un dunque o un allora. Lenunciato precedente viene continuato comunicando allinterlocutore uninformazione molto precisa: A: [ ] che abbiamo fissato per il marted dodici alle diciassette allaula magna di palazzo Fenzi_ Questo un esempio di enunciato completo, chiaro e assolutamente informativo. Ha una forma sintetica, completa e nucleare. Ma, evidentemente, linterlocutore non in grado di conservare subito tutto nella memoria: per questo la ripetizione, in questo caso, giustificata e necessaria. Cos identifichiamo, prima di tutto, la correzione anche questo procedimento consueto nel nostro interscambio:4 B: aspetta marted dodici ore A: diciassette B: diciassette aula magna A: di palazzo Finzi

V. Schegloff, Jefferson i Sacks (1977).

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Uno scambio linguistico come questo si distingue come assai caratteristico della nostra colloquialit quotidiana. Infatti la nostra attenzione vi appare pi o meno dispersa; e proprio quando abbiamo un estremo bisogno di attenzione e concentrazione dovendo definire i termini di un incontro. Proprio per questo gli interlocutori, anche in questo caso, precisano e definiscono una certa informazione. E la ripetizione, come propriet linguistica accentuata la rileviamo anche nella continuazione del nostro scambio. A: ahah ma comunque <???> un altro momento B: no comunque questa la A: insomma liniziativa che segue al documento questa Questo tipo di ripetizione con cui si ripete un elemento dellenunciato dellinterlocutore viene definita etero-ripetizione. Al dato che la ripetizione nel nostro parlato sia onnipresente tanto da permearlo in modo significativo, fa riferimento anche il seguente segmento della nostra conversazione: A: ah va bene allora questo daccordo B: questo marted dodici La ripetizione labbiamo evidenziata prima di tutto nelle parole di uno degli interlocutori. Quando, invece, caratterizza due o pi interlocutori, anchessa una specie di tessuto connettivo. Innanzi tutto contribuisce alla connessione del dialogo. Si manifesta sia nella ripetizione di forme identiche, sia nelluso delle loro variazioni. E al principio della cooperazione ci pu ricondurre anche una piccola mossa, appena percettibile dellinterlocutore, il quale, in questo caso, accoglie, anzi, un elemento corretto del suo enunciato: A: [ ] questo sciopero era indirizzato contro di me [ ] B: s per non era diretto contro di te A: e be io vorrei sap contro chi era diretto allora Nellanalisi della conversazione vengono esaminate in modo particolarmente dettagliato sia la sezione dellapertura sia quella della chiusura della conversazione. Le conversazioni telefoniche si sono qui mostrate come particolarmente indicate perch mettono in chiara evidenza anche linizio dellinterazione, che assai difficile registrare negli incontri faccia a faccia. La sezione di chiusura, comunemente presuppone laccordo su un incontro futuro. Si pu trattare di un appuntamento molto preciso, ma anche delladeguato desiderio che esso avvenga. (Ci vediamo in questo caso la formula consueta.) Nel nostro esempio si tratta della definizione concreta di un incontro, evidenziato fin dallinizio della conversazione. Tale modalit di accordo fornisce anche il motivo per linvito, cio il topic principale. In questa sezione notiamo anche unaccentuata ripetizione, che in funzione di una informazione esatta e precisa: B: venerd otto festa della donna pomeriggio ore diciassette A: ore diciassette B: ore diciassette A: da me_ B: da te

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Un esempio di auto- come di etero-ripetizione lo cogliamo anche nel segmento seguente: A: poi B: eh invece poi ci vediamo marted dodici sempre per il documento a palazzo Fenzi A: s B: e poi ci vediamo il venerd A: il venerd su quindici B: s A: se poi il venerd diciassette cabbiamo dieci minuti per parlare venerd otto cabbiamo dieci minuti per parlare di Scandicci_ Cos la conversazione si avvicina alla sua conclusione. Anche qui prima di tutto richiamiamo lattenzione sui riempitivi, che precedono la consueta forma rituale: B: e niente allora salutami tutta la famiglia. Linterscambio, finalmente, si avvicina alla fine, dove si sottolinea limportanza dellappuntamento concordato: A: mh hm B: e va be A: allora siamo daccordo cos eh se non ci si sente pi ci si vede venerd pomeriggio alle cinque Il riempitivo ovvero il segnale discorsivo ci mostra in questo passo che il colloquio si sta esaurendo. Subito dopo (dopo unulteriore conferma del futuro appuntamento), esso si conclude con lo scambio di chiusura, vale a dire con lo scambio dei saluti. Notiamo come qui si distinguano esempi palesi di coppie adiacenti in tutto complete (a)-(b): (a) B: va bene daccordo (b) A: va bene (a) B: un bacione (b) A: anche a te (a) B: ciao ciao (b) A: ciao bella (a) B: ciao (b) A: ciao ciao Gli interlocutori, evidentemente, svolgono accuratamente anche questa sezione della conversazione. Infatti la concludono con le loro esemplari coppie adiacenti. Questo , dunque, un esempio manifesto di una perfetta sezione canonica di chiusura. Gli interlocutori completano e terminano con cura tutti i loro enunciati. E questo uno dei modi strutturalmente eminenti di mostrare come i partecipanti allinterazione agiscano allinsegna della collaborazione e della sintonia reciproca.

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La pianificazione verbale la caratteristica fondamentale di tutta la nostra comunicazione linguistica. Cos il parlante, nel caso seguente, mostra in pi modi il proprio impaccio nel processo di concettualizzazione: si interrompe, tiene sospesa la voce, ricorre ai riempitivi, e si serve del segnale discorsivo: B: [ ] quelli mi hanno preso per controllora_ e e quindi mi abb<assano> cio una_ mi vogliono dimostrare la mia inutilit oppure_ il mio insomma che loro_ farebbero volentieri a meno Rilevando la propria decisione, il parlante un po incerto nel suo enunciato; notiamo come qui il segnale discorsivo cio sia usato nella sua funzione fondamentale: quella di segnale di riformulazione. Il parlante, inoltre, la sua espressione la rafforza (io a questi gli devo dire) in modo appropriato; come, del resto, ne rileviamo anche linclinazione a mitigare alcuni dati: A: s_ ma capito Patrizia il problema questo io a questi gli devo dire delle cose che non vanno bene Qui abbiamo sicuramente un procedimento di intensificazione. Questo lo stesso meccanismo che, fra laltro, adottiamo anche nel conflitto verbale; e una delle sue forme specifiche indubbiamente il pettegolezzo:5 A: per esempio che loro non sanno distinguere tra eh [RIDE] scusami obiettivi metodi e strumenti una cosa un po antipatica andare a dire questo agli insegnanti Il nostro parlante evidentemente incline alleufemismo, come notiamo dalla sua mitigazione dellespressione linguistica, cio nellenunciato una cosa un po antipatica. Daltra parte, lo stesso parlante, pi avanti, preferisce una parola molto pi precisa: A: e loro fanno delle pasticciate delle porcate tremende_ ecco allora Anche nello scambio che fa seguito rileviamo la struttura corretta di una tipica conversazione telefonica. Naturalmente, le differenze non mancano; la prima va colta nel fatto che la sezione di apertura si allontana fino a un certo punto dallo scambio indisturbato dei turni esemplari. La ragione di questo, per, innanzi tutto di natura tecnica, cio di disturbi sulla linea. In questo caso il parlante ricorre alla ripetizione perch qui necessaria: A: pronto? pronto? pronto? pronto? Che _? che cazzo successo? s che no su aspetta un attimo scusa [ ] asp<etta> fermo l ah fermo ci sei?

V. Grimshaw (ed.)(1990)

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Allenunciato ti sento lontanissimo fa seguito anche il suo rafforzamento: ma mi sembra proprio tu cabbia il telefono ai piedi. Finalmente la ricezione del messaggio: A: ah ecco va bene adesso comunque ci si capisce Lenunciato comincia con i soliti segnali (ah, ecco, va bene) con cui qui si fa notare che stato rimosso lostacolo alla comunicazione. Rileviamo in particolare il segnale discorsivo ecco: lo usiamo per iniziare il proprio turno, e anche per cederlo; a met dellenunciato esso indica, prima di tutto, una certa indecisione. Ecco ci serve inoltre anche per sottolineare un determinato item linguistico o lintero enunciato. I partecipanti allinterazione di questo scambio concordano un loro incontro subito dopo la sezione di apertura. Nella conservazione precedente (in questa sezione) abbiamo evidenziato un enunciato assolutamente preciso e completo. Qui, invece, come vediamo, non cos; inoltre notiamo che uno degli interlocutori si ricollega col suo enunciato direttamente allenunciato dellaltro, includendolo nel proprio. Allo stesso modo richiamiamo lattenzione sulluso dei riempitivi: B: a che ora A: non si sa B: perch? A: perch bisogna vedere_ com il tempo l eh comunque cio io tender per venir via il prima possibile Per un verso lo scambio linguistico qui estremamente lapidario; per laltro, notiamo che lenunciato si allarga in punti in cui ci sembra eccessivo. L informazione che riceve linterlocutore, anche nel caso che segue, in un certo senso indeterminata: B: a che ora? A: fai conto_ verso le cinque quattro e mezza cinque spero anche prima Mediante la ripetizione si compiono pi funzioni. Ad esempio pu segnalare la sorpresa o pu servire a richiedere una spiegazione. Nellesempio che segue notiamo una ripetizione particolarmente accentuata: A: ahah infatti [RIDONO] eh quindi_ B: e be allora io la torta non la faccio A: s falla falla B: eh? A: falla falla B: ma io non la faccio A: falla B: pure? A: s B: e perch [RIDONO] B: non la faccio A: s falla

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Uno dei mezzi nonverbali (in questo caso il riso) ci aiuta a stabilire la natura di questo tipo di ripetizione. In determinate circostanze abbiamo certamente presente anche il fatto che gli interlocutori sono giovani. Pertanto potremmo definire uno scambio di questo tipo come semplice gioco di parole o come un intervallo sui generis. Specie nella lingua dei giovani il verbo fare particolarmente frequente. Si collega, infatti, con il presente storico, che nel parlato e specie nella narrazione orale di uso alquanto frequente:

B: gli telefona XYZ e gli fa_ ahah stasera vedi che si fa cos Veronica fa ah non ci sono io sono con vado con quegli altri eh l a teatro e gli fa XYZ quindi non ci sei? no ciao e riattacca In questo enunciato innanzi tutto rileviamo il discorso indiretto; la trasmissione avviene, certamente, in modo pi o meno approssimativo. Il partecipante allinterazione qui, verosimilmente, cerca di mostrare lindecisione del parlante le cui parole cita. Opposta a questo suo enunciato si pone come estremamente sintetica la forma che segue quindi non ci sei? no ciao e riattacca. Nel turno seguente prima di tutto cogliamo lauto-correzione; segue il demarcativo (cos, seguito da una pausa). Con esso, infatti, il discorso si organizza in questo caso separando o concludendo il primo segmento, quello introduttivo, della narrazione. Lenunciato successivo (compreso in questo turno piuttosto lungo) rimane incompiuto. Invece, quanto poi pi che evidente soprattutto la manifesta ripetizione: A: ganza # ieri sera mi ritelefona dopo prima di andare cosi # mi ha chiesto se mi poteva portare una cassetta gli registravo una cosa che_ # e gli e gli faccio va be comunque dopo quando uscite di li vi vi si viene a prendere siamo andati dopo siamo andati al cinema no? eh # e fa_ eh va bene ci ci ci si vede dopo allora si va bene si arriva l escono ahah li ab<biamo> abbiamo aspettati un ora escono eh e arriva_ si arriva l si saluta cos <?> e XYZ [ ] Nella nostra produzione linguistica noi, in gran parte, ricorriamo allautomaticit: infatti cognitivamente meno costoso riutilizzare un elemento gi prodotto (da se stesso o dal proprio interlocutore), che non elaborarne un altro (Bazzanella 1999: 211). Questo enunciato di notevole lunghezza continua a mostrare, cio conferma i caratteri fondamentali della narrazione del parlante:6 [ ] # ha detto no non gli andava di venire andava di venire andava a letto la XYZ_ eh gli fo ah va bene cos dice s cio scambio tre parole e mezzo dice vuoi che ti si porti a casa? no no vo con XYZ insomma e va via ganzo # va bo io sono rimasto

Potremmo consideralo anche come un tipo di narrazione, ma non anche come racconto. Esso, infatti, nellanalisi del discorso ha alcune sue propriet necessarie e caratteristiche.

94 un po cos poi prat<icamente> praticamente si aspettato unora poi si <?> nulla # boh?

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Inoltre qui rileviamo luso di insomma, e di praticamente il segnale discorsivo che si definisce come segnale di incertezza. Nello scambio linguistico quotidiano, questi suoi due elementi sono per lo pi in funzione di riempitivi. Linteriezione boh, invece, esprime incertezza, noncuranza, incredulit, disprezzo.7 E questo segnale discorsivo lo troviamo anche altrove: A: non lo so ma mi boh? B: boh s infatti una caz<zata> I nostri parlanti, naturalmente, inseriscono a piene mani nel loro enunciato espressioni del repertorio linguistico informale, come il caso anche nellenunciato non che me ne freghi particolarmente. E qui (nella sezione di apertura della conversazione) abbiamo gi notato un certo rafforzamento che cazzo successo. Al procedimento dellintensificazione appartiene anche la mitigazione, che qui viene compiuta con laiuto del diminutivo: A: ci sta un po di_ B: s? di incazzaturina ieri con la XYZ B: ah non lho vista A: ci ha trattato abbastanza di merda Cos invece che, ad esempio, con lespressione trattare dallalto in basso il parlante in questo caso si serve di un suo sinonimo. Notiamo la ripetizione anche nello scambio successivo; questo ne , anche qui, completamente permeato. Allo stesso modo notiamo come gli interlocutori anche in questa occasione si accordino, mostrando un atteggiamento similare: A: s infatti bellino il film B: s? anchio ho visto un film A: s hai visto Le Et Di Lul te? B: cacata disumana A: s infatti me lavevano detto che era una stronzata notevole Bazzanella annota che niente che viene molto usato dai giovani come semplice riempitivo [ ] segnala incertezza o difficolt di formulazione (1994: 152). Col tramite di niente al posto di allora oppure insomma, ovvero anche insieme con essi tuttavia, noi possiamo cominciare un enunciato ma anche concluderlo. quanto ci mostrano anche i seguenti enunciati (proprio alla fine della sezione di chiusura), che pullulano di riempitivi. Mettiamo in rilievo anche comunque, con cui, altrimenti, si annuncia una digressione. Questa, per, non la sua unica funzione. Qui anche questo segnale discorsivo viene usato come riempitivo: A: boh sar_ va a saperlo eh cio non non che me ne freghi

Cos la definisce lo Zingarelli.

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particolarmente niente comunque (a) B: ahah va be (b) A: va buono # ci si vede oggi pomeriggio allora bon ciao Subito dopo fa seguito la sezione di chiusura, che in questo caso molto stringata. Qui anche i parlanti si richiamano ad un incontro vicino, concordato. Pertanto anche lo scambio conclusivo la coppia adiacente (a)-(b) viene compiuto con la massima economicit. Mentre in altri casi una conclusione di questo tipo (quasi improvvisa) sarebbe inadeguata, anzi, scortese, qui, invece, del tutto appropriata. La sezione di apertura/chiusura nel primo dei due nostri dialoghi vengono eseguite secondo tutti i principi e le regole che caratterizzano una interazione corretta, completa, in tutto e per tutto esemplare. Nella seconda conversazione, per, queste due sezioni sono ridotte alla loro forma essenziale, cio al formulario minimo. Esse, pertanto, si distinguono notevolmente dallo scambio dialogico del tutto compiuto ed esplicito. Largomento principale del dialogo, in entrambi i casi, la definizione di un incontro. Nel primo esempio si esegue con un uso delle parole pi che sufficiente, tanto che si determina con assoluta precisione; mentre nel secondo caso si arriva a un incontro futuro un po indefinito. La ripetizione, nel primo esempio, si rileva uno strumento appropriato, efficace di scambio. Cos per suo mezzo una informazione importante si conferma completamente ed in modo chiaro. Questo solo un uso (nei nostri esempi rilevante) della ripetizione; essa, inoltre, pu compiere pi funzioni. Anche con i segnali discorsivi si adempiono diverse funzioni. Come riempitivi, li troviamo in entrambi i modelli di conversazione. La seconda, per, ne tutta permeata, e questo vale anche per la ripetizione. La sua caratteristica principale unespressione linguistica trascurata, incurante; in questo consiste la differenza fondamentale che esiste fra le due interazioni. Il discorso indiretto uno strumento ineludibile nel nostro parlato comune; particolarmente efficace nella narrazione, come quella che constatiamo soltanto nella seconda conversazione. Nel nostro discorso quotidiano di particolare importanza anche il procedimento dellintensificazione, vale a dire del rafforzamento o della mitigazione della forza di conversazione dellespressione linguistica. Questa una procedura che certamente rileviamo in entrambi i nostri due casi. In questo uso reale della lingua gli interlocutori si sintonizzano e si accordano in modo appropriato. I dialoghi si svolgono e si sviluppano quasi completamente senza intoppi (del resto consueti). Nella nostra analisi pragmatica delluso linguistico notiamo come i partecipanti allinterazione si attengano in tutto al principio della co-operazione; e questa la regola principale, di ordine superiore, di tutta la nostra comunicazione.

Riferimenti bibliografici Bazzanella, C. (1994). Le facce del parlare. Un approccio pragmatico allitaliano parlato. La Nuova Italia, Firenze. Bazzanella, C. (1999). Forme di ripetizione e processi di comprensione nella conversazione. Galatolo i Pallotti (1999: 205-225). De Mauro, T. et al. (1993). Lessico di frequenza dellitaliano parlato. Etaslibri, Milano. Galatolo, R. e G. Pallotti (a c. di)(1999). La conversazione. Unintroduzione allo studio dellinterazione verbale. Raffaello Cortina Editore, Milano.

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Grimshaw, A.D. (ed.)(1990). Conflict Talk. Cambridge University Press, Cambridge. Levinson, S.C. (1983). Pragmatics. Cambridge University Press, Cambridge. Marcarino, A. (1997). Etnometodologia e analisi della conversazione. QuattroVenti, Urbino. Maynard, S.K. (1989). Japanese conversation: self-contextualization through structure and interactional management. Ablex, Norwood. Schegloff, E.A., G. Jefferson e H. Sacks (1977). The preference of self-correction in the organization of repair in conversation. Language 53 (2): 361-382. Tannen, D. (1984). Conversational Style. Analyzing Talk Among Friends. Ablex, Norwood. Tannen, D. (1989). Talking voices. Repetition, dialogue, and imagery in conversational discourse. Cambridge University Press, Cambridge.

Slobodan Stevi NEKI ELEMENTI SVAKODNEVNOG JEZIKA (R e z i m e) Razgovorni jezik ispitujemo uz pomo orua analize diskursa odnosno konverzacije. U jezikoj upotrebi ispoljavaju se svojevrsna verbalna akcija i struktura. Mi se ovde pre svega dotiemo repeticije i diskursnih signala (partikule, discourse markers). Na korpus obuhvata dva razgovora telefonom; u njima takoe skreemo panju na izvoenje odseka otvaranja i zatvaranja jezike razmene. Uporedivi dva primera, zapaamo kako su ovi odseci (u prvoj konverzaciji) izvedeni po svim pravilima kakva nam nalau jedan uredan, razraen postupak. Drugi se razgovor od prvoga razlikuje i po tome to su dva odseka ucelovljena na sasvim lakonski nain; tu isto tako uoavamo znatnu upotrebu ispunjivaa, koji su u prethodnom sluaju svedeni na najmanju moguu meru. Obeleje koje je dvema interakcijama zajedniko jeste potovanje naela saradnje (co-operative principle). Sagovornici, naime, pokazuju kako opte na sasvim primeren nain uzajamno usklaujui svoje doprinose razgovoru.

Mila SAMARDI (Universit di Belgrado)

FUNZIONE SEGMENTATRICE DEL PUNTO FERMO NELLA NUOVA PROSA GIORNALISTICA


PAROLE CHIAVE: punteggiatura, punto, testo, prosa giornalistica, funzione segmentatrice Nella sua Grammatica italiana, Luca Serianni (1989:I.204) distingue le seguenti funzioni della punteggiatura: - funzione segmentatrice (quella principale) - funzione emotivo-intonativa - funzione di commento (metalinguistica) - funzione sintattica (di dare indicazioni sulla struttura frasale e sulle connessioni tra le frasi sulla base della regolarit sintattiche.). Luso della punteggiatura ingloba fenomeni come la subordinazione e la coordinazione, i rapporti strutturali fra enunciati che appartengono a piani enunciativi diversi, ma anche travalica la sintassi e manifesta relazioni di carattere testuale. Pi la scrittura formale, pi vincolanti sono le convenzioni. importante difatti tenere conto di tipi e generi testuali e diversi modi di scrivere, in base al variare della situazione comunicativa allinterno dello stesso genere (destinatari, rapporti e legami personali fra chi comunica, occasioni, argomenti ecc). Cos la redazione dei testi scientifici o quelli legislativi richiede una certa uniformit dellapplicazione della punteggiatura fondata su criteri logicosemantici relativi a strutture frasali normalizzate, qualunque sia il loro grado di complessit, omologhe a unorganizzazione concettuale chiara e coerente, anche se di architettura complicata. La regolarit delle strutture richiede che anche la punteggiatura risponda a criteri rigorosi in accordo con lesigenza di segnalare gli snodi del ragionamento e quindi le divisioni e le relazioni sia tra i membri delle frasi sia tra le frasi che compongono complessi pi ampi e articolati. Luniformit severa dellinterpungere corrisponde al rigore necessario allorganizzazione concettuale. Francesco Sabatini ha affermato che le leggi fondamentali appartengono al tipo di testo che pone i vincoli pi stretti allinterpretazione, tanto da apparire prossimo al sistema virtuale della lingua in quanto tende ad essere il pi possibile esplicito, oggettivo, estraneo alla ricerca di effetti speciali. Daltra parte, esistono i cosiddetti testi non convenzionali quando loriginalit con le sue soluzioni innovative pu infrangere ed questo che si tiene presente quando si prendono in esame gli impieghi delle unit interpuntive. Sono prodotti letterari o quelli che vorrebbero essere tali nelle intenzioni degli autori, oppure gli scritti informali (lettere familiari, messaggi, appunti, annotazioni di carattere personale, ecc). Gli eventuali giudizi sul grado di accettabilit dei modi di interpungere sono sempre relativi alle svariate situazioni di

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discorso. In molti casi sarebbe interessante occuparsi delle leggi compositive interne al testo, leggi che sono intrinseche al progetto testuale, e agiscono a ogni livello. Nella tipologia interpuntoria marcata rientra luso insistito del punto fermo in determinate funzioni. La frequenza del punto a separare non solo frasi indipendenti, ma anche coordinate, subordinate, sintagmi, rappresenta un procedimento molto esteso nella scrittura giornalistica. Sempre di pi si tende a sostituire il punto fermo ad altri segni, come la virgola, il putno e virgola, i due punti. Con questo uso si ottiene unefficacia polemica che sarebbe mancata se fosse stato usato un altro segno dinterpunzione. Nellarchitettura testuale il punto si presenta come elemento che separa e che al tempo spesso connette (quando, interrompendo una sequenza, segna una pausa significativa). Si tratta del cosiddetto valore testuale del punto il quale, come altre entit linguistiche dalla stessa funzione (per esempio, vari connettivi e segnali discorsivi), implica legami semantici o pragmatici con qualcosa che non stato espresso manifestamente ma si pu inferire da quanto stato o sar detto. La portata del punto oltrepassa lambito delle relazioni sintattiche perch investe la sfera dei legami (relativi al senso e al valore informativo, al mantenimento della continuit tematica, alla focalizzazione ecc.) che assicurano il sussistere del testo come unit coerente. Il punto che frammenta le frasi scindendone i legami interni ha certamente una portata testuale. Proviamo a esaminare un effetto della triturazione sintattica: 1) Poi, si mise a parlare. Tranquillo. 2) Poi, si mise a parlare tranquillo. 1) La Chiesa, in Italia, non pi equidistante. Per diverse ragioni. (Diamanti, Repubblica 2006) 2) La Chiesa, in Italia, non pi equidistante per diverse ragioni. 1) E, in questo percorso, affianca la Destra. Per diffidenza verso la Sinistra. (Diamanti, Repubblica 2006) 2) E, in questo percorso, affianca la Destra per diffidenza verso la Sinistra. 1) Cos, oggi, la Sinistra al governo deve misurarsi con una "Chiesa dopposizione". Posizionata a destra. (Diamanti, Repubblica 2006) 2) Cos, oggi, la Sinistra al governo deve misurarsi con una "Chiesa dopposizione" posizionata a destra. 1) Comunque. Non era questo che volevo dire. (Baricco, I barbari) 2) Comunque, non era questo che volevo dire. In (1) con il punto che precede laggettivo o un altro elemento della frase e lo isola si crea un enunciato olofrastico e si istituisce nellintera sequenza una doppia focalizzazione. Dei due fuochi (a) comunque, b) non era questo; a) si mise a parlare, b) tranquillo; a) non pi equidistante, b) per diverse ragioni; a) affianca la Destra, b) per diffidenza verso la Sinistra; a) una "Chiesa dopposizione", b) posizionata a destra) il pi marcato il secondo, per effetto dellisolamento e del lavoro inferenziale a cui questo invita il lettore (e tutti gli diedero retta; al centro della sua attenzione si sono imposti i temi delletica...; alla quale non servito aver eluso le questioni delletica pubblica...; nellItalia Repubblicana, non si era mai visto...). Si tratta di un lavoro, per sua natura, testualmente coesivo e retoricamente connotato. Nella riscrittura di (2) che regolarizza la struttura frasale e dimezza la focalizzazione si reduce anche la carica emotiva. Nellultimo esempio, al contrario, il primo elemento che precede il punto pi marcato essendo anche questo confinato dal punto.

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Spinta alleccesso, la frantumazione sintattica obbliga il lettore a un continuo e difficile lavoro di ristrutturazione delle frasi spezzettate (la nozione di ristrutturazione enunciativa stata proposta da Ferrari 1995). Luso di molti punti fermi mantiene sempre alta la tensione del discorso. Il punto fermo lo vivacizza, soprattutto negli esordi, cattura lattenzione del lettore. Linvadenza del punto manifesta il modo di mettere in valore ogni singola informazione, facendo della maggior parte dei fatti, propriet e entit evocati loggetto di un singolo assunto (Ferrari 1995:372). Se atomistica e insistita fino alleccesso, la segmentazione si risolve in una decostruzione delle frasi. Il troppo mettere a fuoco finisce per annullare leffetto dellevidenza; il procedere a singhiozzo ha il risultato di ostacolare la lettura e talvolta perfino di oscurare il senso degli enunciati. Francesco Sabatini ha analizzato una serie di articoli (a firma prestigiosa) per mostrare come lo smembramento delle frasi e la giustapposizione delle unit separate da punto fermo mascheri i rapporti di subordinazione intra- e interfrasali. Una punteggiatura meno ardita faciliterebbe il riconoscimento dei legami logico-sintattici tra i membri del discorso e renderebbe pi agevole la comprensione dellinsieme. Esempi di Sabatini confermano lipotesi di Ferrari (1997-1998: 54-55): il valore intrinseco del punto consiste nel richiedere di totalizzare i risultati delloperazione interpretativa eseguita sino a quel momento. Il punto frantuma gli enunciati riducendoli in frammenti troppo minuti e costringe chi legge a concludere e ricominciare il conto interpretativo dopo ogni minima informazione. Ferrari (2004: 111) mostra che quando il punto collocato allinterno di ununit sintattico-simanticamente coesa, (...) crea un confine di Unit Comunicativa che non direttamente proiettato dal contenuto semantico del testo. Tramite il punto, si produce cos una tensione tra sintassi e testualit che attiva a sua volta particolari effetti di senso, non rinvenibili quando il punto conferma una frattura testuale gi imposta dalla sintassi. Luso specifico del punto pu arrivare anche ai fenomeni profondi di realizzazione testuale. Alcuni esempi di prosa giornalistica contemporanea dimostrano che certe attuazioni testuali sono diverse dalla normale tipologia (manualistica, leggi ecc.). Si tratta in primo luogo di articoli di fondo, un genere che richiede una notevole agilit e impressivit, da conseguire attraverso quella implicitezza ed elasticit che mi sono sembrati i tratti fondanti di un discorso che si svolge in un contesto di immediata conoscenza e attualit di temi trattati, un discorso che vuol essere quasi un dialogo col lettore della pagine quotidiana (Sabatini 2004:62). Per la loro analisi abbiamo scelto alcuni autori considerati prime penne del giornalismo italiano contemporaneo (Bernardo Valli, Eugenio Scalfari, Ilvo Diamanti, Ezio Mauro) nonch gli scrittori che scrivono commenti per la stampa (Umberto Eco, Alessandro Baricco). I loro articoli in alcuni casi diventano anche una sfida linguistica per i lettori e Sabatini, riferendosi al famoso esempio della prosa spezzettata di Ilvo Diamanti (Sabatini 2004:62-63), conclude che: ... dobbiamo pensare che il suo modo di comunicare con il pubblico attraverso la sua personalissima scrittura nasca da unintenzione precisa... Forse lintenzione quella di segnalare anche con questa prosa sminuzzata quanto sia frantumato e frastagliato il panorama dei fatti e delle idee (quasi esclusivamente quelli della politica italiana) che egli descrive, dove ogni dato sembra controverso, dove tutto incompiuto e parziale. Leccessiva frammentazione sintattica la quale, oltre una finalit di chiarezza, risponde anche a una spinta impressiva e luso marcato e connotativo della punteggiatura sono alla base di una scrittura mirante a colpire: Gli italiani. Abituati a vederlo rinascere dalle sue ceneri. All'improvviso. Con uno scatto. Ri-materializzarsi, insieme al partito-che-non-c' (senza di lui...). Per cui, il miracolo rinviato. Prodi, come un passista, continua a pedalare. Senza scatti. Mentre il Grande Inseguitore, dopo l'inseguimento degli ulti mesi, arranca. Un po' sfiatato. Naturalmente, queste raffigurazioni mitiche infastidiscono un po'. La competizione

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elettorale come il Tour. Coppi e Bartali. Pantani e Ullrich. Oppure Lemond. Come Prodi e Berlusconi. Berlusconi e Prodi. Figurarsi... (Ilvo Diamanti, Repubblica 2006) Questo esempio estremo si pu collocare sulla fondamentale linea evolutiva della prosa italiana moderna fra narrativa, saggistica e scrittura giornalistica. Ai segni dinterpunzione nella recente narrativa italiana spesso affidato il compito di frantumare le tradizionali strutture complesse in frasi di estrema paratassi, ma come si vedr solo al livello grafico. Praticamente, la punteggiatura serve a enfatizzare i fenomeni prosodici. Descrivendo questo tipo di architettura testuale, Sabatini 2004 ha applicato la formula ipotassi paratattizzata giustificata compiendo ritrascrizioni di alcuni brani in cui la punteggiatura viene semplicemente normalizzata. Insieme alla testualit, la sintassi del periodo con le sue varie implicazioni, in particolare luso della punteggiatura, rappresenta laspetto pi evoluto della scrittura giornalistica. La monoproposizionalit uno dei fenomeni pi presenti in tutti i tipi di articoli. Oltre allovvio influsso del parlato e allesigenza di chiarezza e precisione, presente anche un fatto espressivo attuato dalla tendenza alla spezzatura dei periodi con il punto che in molti casi porta a dare ai due segmenti un senso in parte diverso, con effetti di focalizzazione dellinformazione e di valorizzazione dei contenuti informativi. Nel periodare monoproposizionale Ilaria Bonomi (2005:144) distingue i seguenti tipi fondamentali: a) successione di frasi semplici complete separate dal punto fermo b) coordinate separate dal punto fermo c) subordinate separate con il punto fermo dalla propria reggente d) spezzoni di frase, sintagmi singoli o singole parole tra due punti fermi. Il tipo a) pu presentarsi allinterno di pezzi dalla scrittura periodale pi varia, in alternanza con periodi paratattici e ipotattici oppure in articoli costruiti per immagini, flash, in un martellante susseguirsi di singole frasi semplici: Questo un articolo che non dovrei scrivere. Lo so. Me lo dico da me. E lo scrivo. Dunque. (Baricco, Repubblica 2006) Arrivano i primi italiani dell'operazione "Mietitura". Sono in sei, tutti ufficiali di collegamento della Brigata Sassari. Sbarcano a Petrovec da due grossi C130, pieni zeppi di ogni sorta di materiali alle due del pomeriggio. Hanno l'ordine di parlare di tutto meno che della missione. (Repubblica 2001) Venti morti. Altre venti vite buttate via per sempre. Nove di parte macedone e undici di parte albanese. Dei feriti ormai si sta perdendo il conto. Si combatte a nord, a ovest, non lontano da Skopje, a colpi di imboscate, agguati e trappole. Gronda sangue la cronaca di questa giornata di straordinario odio interetnico. Alle otto del mattino nove soldati macedoni finiscono spappolati da mine anticarro nel nord. Nel pomeriggio undici Uck cadono sotto le pallottole delle forze speciali in un dissennato assalto a una stazione di polizia nell'ovest del paese. Totale: venti vittime. Il giorno prima erano state diciotto. E il giorno prima ancora una quindicina. E domani? (Repubblica 2001) Gronda sangue la cronaca di questa giornata di straordinario odio interetnico. Alle otto del mattino nove soldati macedoni finiscono spappolati da mine anticarro nel nord. Nel pomeriggio undici Uck cadono sotto le pallottole delle forze speciali in un dissennato assalto a una stazione di polizia nell'ovest del paese. Totale: venti vittime. Il giorno prima erano state diciotto. E il giorno prima ancora una quindicina. E domani? (Repubblica 2002)

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Il tipo b) rappresentano frasi inizianti con le congiunzioni coordinative E, MA, O ecc. che acquistano il valore di congiunzioni testuali. Limplicazione testuale pi evidente quando si ha cambio di soggetto della coordinata rispetto alla principale: 2006) Potrei dire che non me ne frega niente. Ma non vero. (Baricco, Repubblica

La Tv li mostrer poco pi tardi suscitando un'ondata di orrore. Ma non finita. (Repubblica 2002) La congiunzione MA in funzione testuale pu avere valore limitativo o avversativo, con chiare funzioni di coesione e raccordo tra segmenti dellarticolo: Giusto, allora, riformare la scuola, la professione degli insegnanti. Ma "insieme" a loro. (Diamanti, Repubblica 2006) La bistrattata polizia di Skopje, riusc a impedirlo. Ma il rischio rimane. (Repubblica 2002) Di lui si potrebbe dire che stato il pi grande critico letterario della storia della critica letteraria. Ma sarebbe riduttivo. (Baricco, Repubblica 2006) In questa funzione si trova molto pi spesso allinizio di capoverso rispetto a E e, come nellesempio che segue, pu essere focalizzato da un altro elemento: Credo che il mio amico Daniel sarebbe d'accordo nel lamentare che anni fa si sia criticata (o proibita) la messa in scena del 'Mercante di Venezia' di Shakespeare perch certamente ispirata a un antisemitismo comune all'epoca (e prima ancora, da Chaucer in avanti), ma che ci mostra in Shylock un caso umano e patetico. Ma ecco a cosa ci troviamo di fronte: alla paura di parlare. (Eco, Espresso) Oltre che coordinare due predicati verbali, il segmento periodale introdotto dalla congiunzione dopo il punto fermo, aggiunge una porzione di testo. Pu avere una funzione informativa forte, allinizio di capoverso o talvolta anche in unione con altro connettivo. Due operazioni militari temerarie e tecnicamente perfette. E non che l'inizio. (Repubblica 2002) Non credo che i figli nati o comunque esistenti all'interno d'una convivenza debbano suscitare affetti e diritti minori dei figli nati all'interno d'una famiglia. E perci pur non essendo cristiano ma apprezzando, rispettando e ammirando il messaggio evangelico, resto stupefatto e dolorosamente colpito... (Scalfari, Repubblica 2006) Naturalmente si sofferma sui momenti di gloria. E allora si imbatte, con legittima nostalgia, nelle facce dei ministri europei che venivano a ossequiarlo e a proporgli armi, navi e aerei utili alle sue guerre e alle sue repressioni sanguinose. (Valli, Repubblica 2006) In realt, terra per coltivare chardonnay, cabernet sauvignon o merlot ce n' a bizzeffe e in molte regioni del globo. E allora cosa li fermava? (Baricco, Repubblica 2006) In altri casi si tratta di un collegamento pi limitatamente interproposizionale, spesso con levidente finalit di spezzare un periodo sentito come troppo lungo.

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Ecco perch sar difficile dimenticare. E impossibile, se quell'accordo si dimostrer soltanto un pezzo di carta. (Repubblica 2002) Le uniche parti del loro corpo che erano state risparmiate dall'esplosione. E le mani erano legate ancora con il filo di ferro. (Repubblica 2002) Una perdita di anima. E dunque un accenno di barbarie. (Baricco, Repubblica 2006) Comunica una societ che si "liberata" dal bisogno. E ha scoperto il "gusto" di vivere. (Diamanti, Repubblica 2006) La congiunzione E presenta anche un valore tipico del parlato ad apertura di una battuta di dialogo fungendo da segnale discorsivo a segnando il collegamento con la battuta precedente. Dice cos: "Che distanza abissale dalla stucchevole e ammiccante epica automobilistica dell'ultimo Baricco!". E voil. Con tanto di punto esclamativo. (Baricco, Repubblica 2006) No, non possiamo escluderlo. E allora! Come esclama Gerry Scotti... (Scalfari, Espresso 2005) Similmente si comportano le congiunzioni disgiuntive O e OPPURE: Da ci la decisione di tornare a recitare nel teatrino parrocchiale italiano. Per disperazione. O meglio: per battere la disperazione della sua compagnia, ormai allo sbando. (Diamanti, Repubblica 2006) Viaggio d'avventura tra genti ignote che non conoscono n i remi n il sale. Oppure viaggio dentro se stessi, pi lungo e spesso pi periglioso di quello tra le onde tempestose del mare. (Scalfari, Espresso 2006) Il tipo c) delle subordinate separate con il punto fermo dalla propria reggente sicuramente il pi frequente nella prosa giornalistica contemporanea. Pu essere rappresentato dalle relative, introdotte sia dal pi frequente pronome invariabile CHE, sia dalle forme composte con QUALE e CUI o da COSA CHE, IL CHE: Ed apriti cielo se chiedi qual l' altra civilt, cosa c' di civile in una civilt che non conosce neanche il significato della parola libert. Che per libert, hurryya, intende emancipazione dalla schiavit. Che la parola hurryya la coni soltanto alla fine dell' Ottocento per poter firmare un trattato commerciale. Che nella democrazia vede Satana e la combatte con gli esplosivi, le teste tagliate. Che dei Diritti dell' Uomo da noi tanto strombazzati e verso i musulmani scrupolosamente applicati non vuole neanche sentirne parlare. (Corriere della Sera 2006) Un evento di successo. Che consacra "l'era dell'uomo che mangia". (Diamanti, Repubblica 2006) Una pace fragilissima la risposta. Che buona parte della stampa macedone ha accolto con grande scetticismo... (Repubblica 2002) Da Dnevnik, il quotidiano pi diffuso di Macedonia, moderatamente nazionalista, e dal Congresso mondiale macedone, decisamente pi oltranzista. I quali si sono per limitati a mettere a disposizione soltanto pullman e panini. (Repubblica 2002) Nel momento dellamministrazione congiunta della vittoria, America e Urss preparavano il terreno della futura sfida. Nella quale un altro fattore era destinato a giocare una parte simbolica rilevante. (Sofri, Repubblica 2004)

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In parte, questi orientamenti riflettono il declino della partecipazione politica tradizionale, che si svolgeva in sedi organizzate, formali, lontane dall'esistenza e dall'esperienza degli individui. Sul cui solco si sono affermati modelli di impegno e di partecipazione "personale", che coinvolgono la vita quotidiana. (Diamanti, Repubblica 2006) Ri-materializzarsi, insieme al partito-che-non-c' (senza di lui...). Per cui, il miracolo rinviato. (Diamanti, Repubblica 2006) Cos, da dicembre in poi, la Casa delle Libert scomparsa nelle nebbie. Da cui emerso solo Lui. (Diamanti, Repubblica 2006) Fermo restando che almeno un terzo degli arsenali dei ribelli dovranno essere consegnati da subito. Cosa che l'Uck non sembra avere alcuna intenzione di fare, quantomeno non prima che sia concessa l'amnistia a tutti i combattenti che non si siano macchiati di crimini di guerra. (Repubblica 2002) Dobbiamo sottolineare che sia questo che il fenomeno precedente (la congiunzione E come mezzo di collegamento fra i periodi) risalgono alla prima prosa italiana e sono frequentemente riscontrabili nel Decameron. Anzi, i pronomi relativi sono strumenti di coesione di particolare rilevanza non solo per lalta frequenza ma anche per altri aspetti della tecnica compositiva dellopera. Si trovano nella struttura di due periodi posti in successione, ma non necessariamente contigui. Nel secondo periodo, il nesso relativo si riferisce a un antecedente situato in quello precedente ed privo del proseguimento a destra. Il punto dattacco pu trovarsi nelle immediate vicinanze del pronome relativo (a) o pu essere lontanissimo, diviso da una serie di proposizioni (b): (a) [] nella egregia citt di Fiorenza [] pervenne LA MORTIFERA PESTILENZA: LA QUALE [] verso lOccidente miserabilmente sera ampliata. (Decameron I Introduzione) (b) [] n ancora dar materia agl'invidiosi, presti a mordere ogni laudevole vita, di diminuire in niuno atto l'onest delle VALOROSE DONNE con isconci parlari. E per, acci che quello che ciascuna dicesse senza confusione si possa comprendere appresso, per nomi alle qualit di ciascuna convenienti o in tutto o in parte intendo di nominarle: delle quali la prima, e quella che di pi et era, Pampinea chiameremo e al seconda Fiammetta, Filomena la terza e la quarta Emilia, e appresso Lauretta diremo alla quinta e alla sesta Neifile, e l'ultima Elissa non senza cagion nomeremo. LE QUALI [] quasi in cerchio a seder postesi [] cominciarono a ragionare. (Decameron I Introduzione) Oltre alle relative, appaiono pi spesso separate dalla principale altri tipi di proposizioni subordinate: Consecutive: Sicch, quando la scienza osa superare i paletti che la Chiesa le pone, allora anch'essa finisce nel campo dei miscredenti con tutti coloro che osano utilizzare il libero arbitrio senza rispettare la fonte divina che gliel'ha concesso. (Scalfari, Espresso 2006) Ha conosciuto la fame e, comunque, ha praticato la sobriet come virt necessaria. Fino a cinquant'anni fa. Tanto che le generazioni pi anziane, ma anche la mia (sono cinquantenne), ne serbano memoria. (Diamanti, Repubblica 2006)

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Insomma, nessuno avrebbe barato. Tanto che Alex Dick, portavoce della Brigata multinazionale definisce questo inizio di missione un grande successo. (Repubblica 2002) Causali: La grande armada si mosse infine in direzione del Kuwait per fermarsi alle porte di Bagdad. E la Fallaci si precipit in prima linea. Dove per non c'era la guerra. Perch quella del Golfo fu soprattutto, per gli americani e i loro alleati, un'operazione logistica. (Valli, Repubblica 2006) Il cibo come spettacolo e comunicazione. Visto che una persona su due afferma di aver seguito programmi televisivi dedicati alla cucina o al vino. (Diamanti, Repubblica 2006) Temporali: L'ha scritto Berlusconi, d'altronde, questo copione. Quando sceso in campo, nel 1994. (Diamanti, Repubblica 2006) Le trattorie, i ristoranti, i bar: hanno fornito spunto perfino a reality show. I cuochi e i gourmet. Tutti "chez Vespa". A discutere con politici, attori e intellettuali di politica, spettacolo e cultura. Mentre i politici, gli attori e gli intellettuali discutono, con competenza, di ristoranti e di vini. (Diamanti, Repubblica 2006) Concessive: 2006) Era un'altra persona. Anche se con la stessa voglia: stupire. (Valli, Repubblica

Finali: Un giornalista prigioniero, al fronte, dov' andato semplicemente perch cos vogliono le leggi del suo mestiere: vedere, capire, decifrare e raccontare. Perch l'opinione pubblica possa conoscere e sapere, e dunque perch ognuno di noi possa prendere parte davvero alla vicenda pubblica, esercitando il suo diritto - dovere di cittadino informato, a partire da quel dato fondamentale di una democrazia che la conoscenza dei fenomeni, l'intelligenza degli avvenimenti. (Repubblica 2007) Comparative: Quelli che non rispondono ai sondaggi, e non vanno a votare dal 2001. Come fece Bush, nel novembre 2004, utilizzando il richiamo all'insicurezza. (Diamanti, Repubblica 2006) Ma si continuer sparare e quei villaggi continueranno a essere pressoch irraggiungibili. Come lo sono oggi. (Repubblica 2002) Condizionali: Non escluso che lo sbarco avvenga gi domani. A patto per che il Consiglio dell'Alleanza atlantica abbia dato il via libera e la commissione Esteri del Senato l'ok. (Repubblica 2002)

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Le subordinate possono avere anche la forma implicita: Quella s, chi ce l'ha vera e pura, non ceder al dubbio, respinger le tentazioni del maligno e porter in salvo la sua sofferta ma non scalfibile verit. Senza dover patteggiare con la ragione, poich in quel caso uscirebbe perdente, a meno di non costruire una ragione ancella della fede. (Scalfari, Espresso 2006) Per questo, Berlusconi ha inseguito, costretto Prodi al confronto. Per batterlo e umiliarlo. Dimostrando a tutti che lui l'unico, il solo vincente. (Diamanti, Repubblica 2006) Pi tardi Georgievski smentir dicendosi pronto afirmare. Dopo per aver dato ordine a decine di mezzi corazzati, elicotteri, aerei Sukoi25, unit speciali della polizia e corpi d'lite dell'esercito di affluire nella regione di Tetovo. (Repubblica 2002) Le mine, soprattutto, la zona ne letteralmente infestata, e quelle che lui definisce le voci fuori dal coro, gli irriducibili di una parte e dell'altra che purtroppo ci sono e continuano a farsi sentire. Senza contare che la Macedonia, come tutti i Balcani del resto, un immenso arsenale. (Repubblica 2002) Il tipo d) lesempio estremo del periodare spezzato che consiste in segmenti brevissimi, sintagmi o anche singole parole. Da ci il problema, per il PD. Sospeso tra Federazione e Partito Nuovo. Come una nave. Che, per alcuni, serve ai partiti, in caso di emergenza e di soccorso. Per altri, invece, deve affrontare il mare aperto. Da sola. Il Partito Democratico. A mezza strada. Perch indietro non si pu tornare, ma difficile anche continuare la rotta. Una rotta. Per cui rischia. Di arenarsi. (Diamanti, Repubblica 2006) Strano destino quello dei ponti sui fiumi delle citt balcaniche. Costruiti per unire finiscono per dividere. Bosniaci da croati, albanesi da serbi, macedoni da albanesi. Mostar, Mitrovica, Skopje. (Repubblica 2002) Niente interviste, niente visite guidate ai loro accampamenti, niente nomi. Solo anonime email e fax ai giornali spediti da chiss dove. Da Pristina probabilmente, dalla stessa Skopje, non escluso. (Repubblica 2002) Ed un nemico che a colpo d' occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all' occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamenteinserito-nel-nostro-sistema-sociale. Cio col permesso di soggiorno. Con l' automobile. Con la famiglia. (Corriere della Sera 2007) Limpiego di frasi nominali, cio senza verbo in funzione di predicato, gradito al linguaggio giornalistico ed tipico in particolare dei titoli, ma trova spesso impiego anche allinterno degli articoli, particolarmente negli esordi con lo scopo di attirare lattenzione del lettore. Frasi nominali con larga presenza di modi impliciti (participi, gerundi) favoriscono la sinteticit espressiva.1 Nellambito dello stile nominale vanno ricordate anche le
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Limpiego di frasi nominali (senza verbo in funzione di predicato) accettato nel linguaggio giornalistico a partire dallinizio del Novecento, per le sue caratteristiche di brevit, incisivit, pregnanza semanticoinformativa. Tipica in particolare dei titoli, la frase nominale trova spesso impiego anche negli articoli, di preferenza in apertura, per dare un immediato e incisivo avvio dellargomento, o in apertura di capoverso, ma spesso anche in chiusura del pezzo, come conclusione riassuntiva o esplicativa. Pu essere costruita in diversi modi, ma sempre senza verbo in funzione di predicato: pu essere formata da elementi nominali soltanto, da elementi nominali e verbali (non in funzione di predicato).

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nominalizzazioni, cio la preferenza per sostantivi astratti in luogo di frasi verbali (Dardano 1994:401-404). Oltre alla segmentazione sintattica, per non dobbiamo dimenticare unaltra tipologia diversificata del periodare basato sulla complessit periodale. Fino a poco tempo fa, il periodare articolato ha caratterizzato i brani di carattere argomentativo rispetto a quelli puramente informativi. Tuttavia, la sintassi dei giornali di oggi variegata e spesso si avvale in larga misura dei diversi procedimenti sia di nominalizzazione e di periodi pi brevi (ma anche densi, specie di elementi nominali e forme verbali implicite che danno unimpressione di concentrazione, di serratezza) sia di lunghe e complesse strutture proprie della tradizione letteraria. E in certi casi, a breve distanza, abbiamo tutti gli esempi del periodare giornalistico: Non solo i professori universitari, a loro volta al centro di una forte pressione riformatrice, che ne ha aumentato i carichi di lavoro, la flessibilit (e, per i pi giovani, la precariet). Senza peraltro dotarli di risorse coerenti con le nuove funzioni richieste. Ma anche i professori delle scuole medie e superiori. E soprattutto i maestri. Le maestre. Gli insegnanti di scuola elementare. Che hanno affrontato, negli ultimi vent'anni, cambiamenti profondi dell'organizzazione didattica, sollecitati anche da ragioni di necessit demografiche. Il calo della popolazione scolastica, infatti, ha indotto ad allargare il numero dei maestri per classe e a operare in team. Con esiti contrastanti, ma spesso innovativi e interessanti. E apprezzati. Come dimostra questa indagine. Al punto che gli italiani attribuiscono ai maestri e alle maestre un prestigio sociale pari agli imprenditori o ai liberi professionisti. (Diamanti, Repubblica 20)

Riferimenti bibliografici AA.VV. (2003). Elementi di linguistica italiana. Roma: Carocci. Bonomi, Ilaria (2005). La lingua italiana e i mass media. Roma: Carocci. Dardano, Maurizio (1994). Profilo dellitaliano contemporaneo. In: Storia della lingua italiana, voll. II, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, Torino: Einaudi, pp. 343-430. Ferrari, Angela (1995). Connessioni. Uno studio integrato della subordinazione avverbiale. Genve: Slatkine. Ferrari, Angela (1997-98). Quando il punto spezza la sintassi. In: Nuova Secondaria, 15, 1, pp. 47-56. Ferrari, Angela (2003). Le ragioni del testo. Aspetti morfosintattici e interpuntivi dellitaliano contemporaneo. Firenze: Accademia della Crusca. Ferrari, Angela (2004). Le funzioni della virgola. Sintassi e intonazione al vaglio della testualit. In: Generi, architetture e forme testuali (Paolo DAchille, ed.), Firenze: Franco Cesati, 107127. Mortara Garavelli, Bice (2003). Prontuario di punteggiatura. Roma-Bari: Laterza. Sabatini, Francesco (2004). Lipotassi paratattizzata. In: Generi, architetture e forme testuali (Paolo DAchille, ed.). Firenze: Cesati, 61-71. Serianii, Luca (2003). Italiani scritti. Bologna: Il Mulino. Serianni, L. (con la collaborazione di A. Castelvecchi) (1988) Grammatica italiana. Italiano comune e la lingua letteraria. Torino: Utet. Serianni, Luca (2006). Prima lezione di grammatica. Roma-Bari: Laterza.

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Mila Samardi SEGMENTACIONA FUNKCIJA TAKE U SAVREMENOJ ITALIJANSKOJ TAMPI (R e z i m e) U arhitekturi teksta taka predstavlja element koji istovremeno spaja i razdvaja. Re je o takozvanoj tekstualnoj vrednosti take koja podrazumeva semantike ili pragmatike veze s neim to nije eksplicitno iskazano ve se moe zakljuiti iz onog to jeste ili e biti izreeno. Domet take prevazilazi granice sintaktikih odnosa budui da utie na veze koje obezbeuju postojanje teksta kao koherentne jedinice. Neki primeri iz savremene novinske proze pokazuju da izvesne tekstualne realizacije odudaraju od normalne tipologije, posebo u vidu prekomernog sintaktikog rasparavanja. Ova pojava prisustna je prvenstveno u uvodnicima koji, prema tvrdnjama nekih uvenih italijanskih lingvista, predstavljaju najkompleksniju tekstualnu formu u savremenom italijanskom jeziku.

Mirjana DRNDARSKI (Belgrado)

I VIAGGI DI ALBERTO FORTIS: LA MISSIONE ECONOMICA E POLITICA


Parole chiave: Alberto Fortis, missione economica, missione politica, Dalmazia La principale caratteristica dellIlluminismo europeo e quello italiano rappresentata dallincessante volont di prendere in esame la realt concreta attenendosi scrupolosamente ai dettami scientifici e mirando alle scoperte innovative che ricoprono tutto lo scibile del vivere umano. In altre parole, questo il periodo in cui vengono ideati e messi in pratica gli approcci diversificati alla realt concreta per arrivare, in un secondo tempo, alla formulazione delle sintesi generali riguardanti lesperienza scientifica ed artistica. Di conseguenza, lanalisi illuministica che prende in esame le questioni storiche inevitabilmente sfocia nel discorso sulla storia di cultura, la quale, a sua volta, tende a ricoprire tutto il campo di ricerca che comprende la vita del popolo, gli usi, i costumi e la produzione letteraria popolare. Daltra parte, il concetto della cultura stessa viene strettamente legato allambiente geografico, ovvero allambiente naturale in cui si svolge la vita delluomo. In questo periodo (pi precisamente, nella seconda met del Settecento), inoltre, anche il libro di viaggi assume il carattere di uno studio impostato su basi scientifiche: ideato come un lavoro interdisciplinare, la descrizione di viaggio tende ad offrire al lettore un resoconto dettagliato e esauriente su una localit e sui suoi abitanti. Cos nasce un libro che si presenta come un palinsesto di descrizioni geografiche della natura, di descrizioni etnografiche dei costumi e della vita del popolo e di informazioni sulla storia e sulla letteratura locale. I libri di viaggi di questepoca denotano altres una forte inclinazione economico-politica sottostante, che va di pari passo con le pi alte convinzioni e preoccupazioni di quei tempi, quali lincessante progresso sociale ed economico. A giudicare dallapproccio specifico e stratificato, dal desiderio di descrivere la realt concreta, complessa e variegata, il libro di viaggi del letterato e naturalista veneziano Alberto Fortis rappresenta un tipico prodotto della letteratura del periodo dellIlluminismo. Si tratta del Saggio dosservazioni sopra lisola di Cherso ed Osero del 1771, e soprattutto dellormai famoso Viaggio in Dalmazia, pubblicato nel 1774. Da attento osservatore, A. Fortis riuscito a rappresentare la vita in Dalmazia in tutta la sua variet, fondendo in un insieme organico le informazioni concrete sulla natura, sulla societ e sulla storia della regione. In tal senso, i suoi scritti offrono una sintesi esemplare in cui si intrecciano e sorreggono a vicenda la storia, leconomia, le scienze naturali, letnografia e, infine, la letteratura. Assecondando le sue vere inclinazioni, Fortis naturalista descrive le particolarit del terreno geografico, le ricchezze naturali, tra i quali anche i giacimenti minerari, la flora e la fauna e le localit con i resti dei fossili. Offre un rapporto particolareggiato sui modi di produzione, sulle colture agrarie pi presenti, sullallevamento e addirittura quali sono e come vengono utilizzate le risorse naturali dalla popolazione locale. Contemporaneamente, riveste di importanza

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primaria la storia della Dalmazia e i monumenti archeologici, ma anche la vita del popolazione, i suoi usi, le credenze e i pregiudizi. Per la nostra analisi diventa per importante la sua testimonianza esposta nel capitolo intitolato De Costumi de Morlacchi nel complesso del lungo Viaggio in Dalmazia. La critica odierna riconosce a Fortis il merito di essere stato il primo a pubblicare e quindi il primo a presentare al mondo nel proprio libro la famosa ballata Hasanaginica1. Le ragioni che hanno spinto Fortis a intraprendere questi viaggi e a pubblicare le proprie conclusioni maturate grazie al contatto diretto con le realt visitate, sono state di duplice natura. Innanzitutto, la spinta e lintento principale sono stati di carattere economico e politico, anche se il successo e la popolarit del libro ha determinato la componente letteraria e culturale in base alla quale lopera solitamente viene inserita nella corrente preromantica letteraria, meritevole di aver invogliato le menti europee ad occuparsi sempre di pi della poesia popolare. In virt del loro carattere parzialmente folcloristico, soprattutto del capitolo De Costumi de Morlacchi, le opere di Fortis sono state lette anche nei decenni successivi (il che vale soprattutto per il Viaggio in Dalmazia), in Europa pi che in Italia, nellepoca in cui lIlluminismo era gi da tempo tramontato. Comunque, allorch si parli dellinteresse di Fortis per le regioni soprannominate e delle ragioni che stanno alla radice dei suoi innumerevoli viaggi, non va dimenticato il fatto che la Dalmazia in quel periodo faceva parte integrante della Repubblica di Venezia la quale, curandosi dei propri interessi, voleva incrementare la produttivit della provincia. In effetti, la provincia veneta era del tutto arretrata e versava in uno stato di povert preoccupante della quale i libri di Fortis offrono una testimonianza realistica e vivace. Anche se gli studi dedicati alla questione sottolineano che le descrizioni e le immagini offerte dallautore si rivelano spesso il frutto di letture dei testi impregnati di idee roussoiane, lo sguardo di Fortis puntato sul mondo primitivo e sulla vita piena di stenti risulta un po pi complesso. E vero che si possono individuare facilmente i toni roussoiani in alcune descrizioni della mentalit della popolazione, per esempio nella descrizione dellospitalit morlacca, quando Fortis ci racconta come stato accolto in casa di Vojvoda Prvan a Kokori: Non possibile credio, dessere insensibili a questi tratti di semplice Ospitalit rusticana2. Sempre con gli stessi intenti, altrove sottolinea che il Morlacco nato ospitale, e generoso apre la sua povera capanna al forastiere: si d tutto il moto per ben servirlo, non richiedendo mai, e spesso ricusando ostinatamente qualunque ricognizione3. Le osservazioni di carattere etnografico non costituivano, comunque, lobiettivo principale di Fortis, sebbene le descrizioni pervenuteci rappresentino un contributo importante nel tentativo di ricostruire la vera vita in Dalmazia nella seconda met del Settecento. La Repubblica di Venezia, pi che altro, si muoveva in direzione di una eventuale e fattibile modernizzazione della provincia arretrata alleviando, almeno in parte, la povert desolante che dominava ogni aspetto della vita umana. Risultava necessario mettere in pratica una diversa organizzazione della produzione, puntando soprattutto sullagricoltura, mentre la preparazione e la pianificazione di unoperazione cos complessa richiedevano uno studio attento e i dati veri, accuratamente raccolti, sulla concreta situazione economica. Quindi, vera bisogno di sapere
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E vasta la bibliografia sullargomento. Tra gli altri cfr. M. Murko, Domovina Asanaginice (La patria dellAsanaginica), ivot, 1974, n. 5, pp. 590-606; H. Krnjevi, Usmene balade Bosne i Hercegovine (Le ballate della tradizione orale della Bosnia ed Erzegovina), Sarajevo, 1973, pp. 271-313; , n. 4, 1, Belgrado; Hasanaginica 1774-1974, a cura di A. Isakovi, Sarajevo, 1975. 2 Viaggio in Dalmazia dell abate Alberto Fortis, in Venezia, presso Alvise Milocco, allApoline, 1774, vol. II, p. 79. 3 Viaggio, I, p. 55.

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dove e cosa veniva prodotto attualmente, su che cosa si basava lalimentazione e labbigliamento, quali erano gli insediamenti e le case, come era organizzata la famiglia. Tutte le altre osservazioni che Fortis diligentemente annota sono per lo pi lespressione delle sue inclinazioni personali, formatesi sui postulati illuministici dellapproccio scientifico al mondo e alluomo. Guidato, almeno dichiaratamente, dallidea del bene comune e del progresso economico, i quali il pensiero italiano e veneziano dellepoca mettevano in primo piano, Fortis ha deciso di compiere numerosi viaggi in Dalmazia per raccogliere proprio i dati necessari e fondamentali per il tentativo di modernizzare questo mondo arcaico di produzione4. I dati raccolti dovevano indicare quali erano le ricchezze sulle quali bisognava puntare e individuare le potenziali risorse economiche della provincia, la cui arretratezza veniva ad aggiungersi alla crisi economica in cui gravava tutto lo Stato. A pi riprese e senza mezzi termini Fortis espone i problemi cruciali, quali ad esempio la situazione tragica in cui versava lagricoltura, segnata dallabbandono quasi totale dei terreni coltivabili, e propone le soluzioni concrete: Fra Spaletro e l fiume Hyader alle radici del monte Marian stendesi una bella ed amena campagna, che poco fondo di terreno, ed quindi soggetta allaridit, quantunque sembri che non dovessessere malagevole cosa lirrigarla, distraendo lacque del fiume vicino in luogo opportuno5. In alcune descrizioni della povert che imperversa, lautore non riesce a sottrarsi allurgente bisogno di esprimere i giudizi sulla societ presa in esame6, denunciando in modo quasi veemente lignoranza, i pregiudizi di vario tipo, la barbarie, lindole inerte, e perfino la cupidigia e lavarizia della popolazione7. Per, tutti i giudizi espressi in tono apparentemente polemico svolgono una funzione ben precisa e servono, in ultima analisi, a creare le basi per un futuro miglioramento economico della Dalmazia e della Serenissima; ci viene confermato dallo stesso autore: Abbench io conosca abbastanza la poca forza dun libro, e la grandissima delle prevenzioni, e delle circostanze, vi confesser, che provo nel mio segreto una sorte di compiacenza nel pensare, ch fra i possibili, che il mio viaggio arrechi qualche benefizio alla Nazione Dalmatina, se non adesso immediatamente, almeno collandare degli anni8. Cos il Viaggio in Dalmazia risulta un testo intessuto di consigli pratici concernenti le tematiche pi diverse e disparate. Anche se non viene considerato un grande ammiratore della poesia popolare, Fortis nei suoi libri di viaggi lascia comunque le notizie importanti sui canti morlacchi, soprattutto quando si riferisce alla recita delle poesie popolari; leggendo le sue descrizioni, veniamo a sapere che si trattava di una particolare e intensa performance orale, durante la quale tra il cantore e il pubblico circostante si istaurava un particolare tipo di comunicazione e di compartecipazione allimprovvisazione orale messa in atto. Grazie a questi resoconti dettagliati e alle trascrizioni della poesia morlacca orale, Fortis si meritatamente guadagnato, senza dubbio, un posto di privilegio (soprattutto grazie al testo di Hasanaginica) nel novero di autori che hanno avuto il ruolo determinante nella diffusione della poesia popolare in Europa. Nello stesso tempo, i brani dedicati allargomento nellinsieme del libro di Fortis costituiscono quel filone culturologicoetnografico (ovvero preromantico) presente in tutta la sua opera. A questo punto sorge spontanea
Cfr. . Muljai, Zaboravljena obljetnica Fortisova boravka na naoj obali, Mogunosti, Split, 1971, n. 2, pp. 231-236. 5 Oppure: Appi della montagna di Crisiza giace la bella Valle di Dizmo, che buoni pascoli, e non infecondo terreno, e gira quasi dieci miglia allintorno, tutta circondata di monti. Ella non coltivata, come potrebbe esserlo, perch i Morlacchi sono assai lontani dallintendere la buon Agricoltura, ed anche la mediocre. Viaggio, II, p. 42, pp. 49-50. 6 Viaggio, II, p. 5. 7 Viaggio, I, p. 53, p. 160, pp. 161-2; II, p. 114. 8 Viaggio, I, pp. 131-2.
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la domanda: perch Fortis, che non era un ammiratore strenuo della poesia popolare, decide di dare tanto spazio nelle proprie opere proprio a questa produzione letteraria popolare? La risposta alla domanda, nello stesso tempo, scopre anche la seconda delle due ragioni che stanno allorigine dei viaggi di Fortis. Linteresse che lautore ha mostrato per gli usi, per i costumi popolari e per la produzione artistica popolare, e che riveste parzialmente la sua opera di carattere folcloristico, rappresenta unespressione pi che logica del clima culturale preromantico in Italia e in Europa. Come noto, in questo periodo, tra laltro, i primi studiosi si mettono a trascrivere e a studiare da vicino la poesia popolare, producendo e pubblicando le prime raccolte di tale produzione. In Italia, per il ruolo svolto nella diffusione di spirito preromantico e per lattenzione rivolta alla poesia popolare intesa come manifestazione dello spirito e della storia nazionale da una parte, e, dallaltra, del mondo primitivo e non corrotto, occupa il posto di primaria importanza la traduzione di Cesarotti dellOssian, apparsa nel 1763. Lo stesso Melchiorre Cesarotti, frequentatore del salotto della madre di Fortis, Francesca Capodilista, donna intelligente ed educata, ha segnato, in maniera significante, il nostro autore indicandogli la via degli studi di poesia e di letteratura popolare9. Per dobbligo dire che il propagarsi del clima preromantico in Italia si avuto in primo luogo grazie ai mecenati inglesi o scozzesi. Gi nel corso del Settecento in Europa vengono progressivamente delineati i due presupposti sui quali, secondo gli studiosi, dovrebbe basarsi qualsiasi opera letteraria, i presupposti che saranno definiti nel modo esplicito entro i sistemi massimi teorici pi tardi, nellepoca del Romanticismo si tratta del carattere educativo e nazionale della produzione letteraria. Tutto quello che va sotto il nome di letteratura, dalla poesia al dramma e al romanzo storico, deve perseguire, come fine ultimo e con una forma adeguata, limmediatezza della comprensione e la facile ricezione da parte del popolo, per poter guidare lo stesso popolo verso la giusta via e educarlo politicamente, socialmente, eticamente e esteticamente. Il tentativo di imprimere il carattere educativo alla letteratura si risolve inevitabilmente nella propensione verso le note popolari e populistiche di opere letterarie cos prodotte, ovvero si risolve nel tentativo di allargare con ogni mezzo disponibile la fetta del pubblico in grado di leggere, soprattutto tra i ceti medi. I mezzi letterari pi idonei a raggiungere gli obiettivi prefissati vengono individuati nel contenuto legato al momento storico attuale e nella struttura semplice. In virt del carattere nazionale della letteratura, che diventa uno dei tratti principali della produzione, come abbiamo visto, si assiste al vero e proprio effluvio di opere di stampo politico e patriottico, mentre la prassi delle indagini svolte nel campo folcloristico e le attivit di pubblicazione delle opere di origine popolare vengono strettamente connesse con dichiarati intenti politici. Nella seconda met del Settecento, le ricerche sul folclore sono condizionate sia dal momento attuale storico che quello politico, mentre i modi e i contenuti della produzione letteraria ed artistica in generale vengono altrettanto determinati da queste esigenze specifiche. Si tratta dellepoca in cui si d lavvio alle lotte per lidentit nazionale e statale di tanti popoli dEuropa. Contemporaneamente al processo di formazione delle nazioni nel senso politico, si creano i presupposti di una letteratura alla quale viene assegnato il ruolo importante nella educazione e nel radicamento dello spirito nazionale nelle menti del popolo. Loperazione messa in moto riabbraccia anche la poesia popolare, alla quale spetta il compito principale, ovvero il rafforzamento di spirito nazionale di una determinata popolazione. In tal senso, i letterati non disdegnano minimamente lidea di comporre i falsi, ovvero di produrre delle opere folkloriche
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Cfr. E. Sequi, Alberto Fortis knjievnik i prirodnjak (Alberto Fortis letterato e scienziato), , n. 4, 1, p. 10; G. Pizzamiglio, Introduzione a A. Fortis, Viaggio in Dalmazia, a cura di E. Viani, Venezia, Marsilio Editori, 1987, p. XXV.

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che vengono presentate come autentiche (le fiabe dei fratelli Grimm, Kalevala), che invece rappresentano il risultato finale di vari processi di correzioni del materiale raccolto sul terreno con gli intenti ben precisi e con il desiderio di creare i testi letterari destinati a diventare le testimonianze dei valori e della grandezza della tradizione spirituale nazionale. Linsistere sulla propria tradizione folklorica e la creazione o la falsificazione consapevole del materiale folklorico, costituisce il segno evidente che un ambiente percepisce se stesso come inferiore nel senso culturale, spirituale e letterario. Grazie al folclore nazionale, non necessariamente sempre autentico, tali ambienti tentano di risvegliarsi e di rinascere nel senso storico e, di conseguenza, anche politico. Si riportano alla luce le opere che fanno parte della tradizione orale e che offrono le testimonianze sul passato nazionale. Con gli stessi obiettivi si pubblicano le opere dautore in prosa o in versi che prendono a modello la produzione orale raggiungendo cos facilmente il largo pubblico di lettori10. Quindi, le note mistificazioni folkloristiche del Romanticismo, oppure le mistificazioni parziali, nel senso che sono il risultato di cospicui interventi redazionali (il caso dei fratelli Grimm), si sono poste come fine ultimo di delineare e di riscattare la propria tradizione epica, con lintento di educare il popolo nello spirito nazionale. Il primo e il pi noto precedente della mistificazione letteraria si avuto nel Settecento in Gran Bretagna, pi precisamente in Scozia. Si tratta di Macpherson e dei suoi Fragments of Ancient Poetry collected in the Highlands of Scotland and translated from the Gaelic or Erse Language, pi noti sotto il titolo Ossian e pubblicati in versione integrale nel 1760. Questa doveva essere una raccolta di poesia epico-lirica antica raccolta nelle montagne scozzesi (Highlands), tradotta e attribuita al bardo celtico Ossian. Lautore di questo falso letterario, il poeta scozzese James Macpherson, si era prefissato di creare un epopea nazionale che avrebbe, nello stesso tempo, offerto una possibilit di riscatto ai montanari scozzesi fino a quel momento dimenticati e disprezzati. Subito dopo la pubblicazione sono nate le polemiche vivaci intorno allautenticit della raccolta e delle poesie che essa comprendeva, e, possiamo dirlo, a ragione. Ma, ci basti in questa occasione aver soltanto accennato al problema, visto che risulta molto pi significativo il fatto che a prescindere dalla polemica la raccolta diventa importante perch porta alla ribalta una nuova concezione estetica e culturale di una certa letteratura. Quindi, la raccolta non importante soltanto in quanto raccolta di poesie popolari, ma per le varie modalit di ricezione che ha provocato, contribuendo con la propria poesia nuova e diversa al processo di formazione di un nuovo gusto letterario in Europa. Grazie allOssian, la letteratura europea comincia a confrontarsi con il concetto del poeta nazionale, del bardo nazionale, del cantore dellepopea nazionale, dai connotati che agli occhi dei poeti preromantici e romantici possedeva anche Omero. LOssian importante anche perch ha risvegliato nei poeti europei linteresse per la poesia popolare e per la tradizione nazionale, linteresse che si trasforma e concretizza nel filone letterario solitamente chiamato preromantico. Anche Herder ha speso qualche parola sulla raccolta: secondo lui, lOssian rappresenta il tipico esempio della voce del popolo, lesempio di poesia vera e popolare, ovvero naturale. Nel 1763 a Pisa stata pubblicata la traduzione della raccolta, ad opera di Melchiorre Cesarotti. Con questa traduzione Cesarotti si profila come importante mediatore culturale: la sua traduzione dellOssian ha inferto un colpo definitivo alla letteratura neoclassica e accademica, e la mitologia nuova, barbara e medievale dellOssian ha offerto il repertorio inesauribile di nuovi temi11.
. A. Dundes, Nationalistic Inferiority Complexes and the Fabrication of Ossian, the Kinder.und Hausmrchen, the Kalevala, and Paul Bunyan, Journal of Folklore Research, vol. 22, n. 1, April 1985, 5-18. 11 Cfr. W. Binni, Preromanticismo italiano, M. Cesarotti e la mediazione dellOssian, Napoli, 1959, pp. 161-219.
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I viaggi di Alberto Fortis: la missione economica e politica

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Il ruolo svolto dalla raccolta Ossian e il destino del testo e della sua traduzione potranno esserci daiuto allorch si voglia illustrare limportanza dei mecenati scozzesi nella diffusione, come gi detto, del clima preromantico in Italia. Che lopera di Fortis sia collegata alla raccolta delle poesie antiche celtiche, ovvero scozzesi popolari, dimostra chiaramente il fatto che lo stesso personaggio, il famoso mecenate scozzese, John Stuart, Earl of Bute, lex primo ministro del governo britannico, lamico e il protettore di Macpherson e grande sostenitore dellidea ossianica, ha dato il contributo per la pubblicazione della traduzione di Cesarotti e del viaggio in Dalmazia e di altri scritti di Fortis. Del sostegno offerto a Cesarotti parla lo stesso Fortis nel capitolo De Costumi de Morlacchi, del secondo Viaggio in Dalmazia, dedicato al Stuart: Io messo in Italiano parecchi Canti Eroici de Morlacchi, uno de quali, che mi sembra nel tempo medesimo ben condotto, e interessante, unir a questa mia lunga diceria. Non pretenderei di farne confronto colle Poesie del celebre Bardo Scozzese, cui la nobilt dellanimo Vostro don allItalia in pi completa forma, facendone ripubblicare la versione del Ch. Abate CESAROTTI: ma mi lusingo, che la finezza del Vostro gusto vi ritrover unaltra spezie di merito, ricordante la semplicit de tempi Omerici, e relativo ai costumi della Nazione12. Oltre a John Stuart, che ha finanziato in parte i viaggi di Fortis, dobbiamo nominare anche gli altri suoi amici che lo hanno incoraggiato a intraprendere i viaggi, o che sono stati in sua compagnia durante gli stessi: John Symonds, storico e professore dellUniversit di Cambridge; suo cugino, lord Harvey, vescovo di chiesa anglicana di Lonfonderry; John Strange, archeologo dilettante e geologo, ambasciatore di Gran Bretagna a Venezia; Domenico Cirillo, professore di botanica allUniversit di Napoli. Le osservazioni di carattere folkloristico, soprattutto sulla tradizione letteraria locale, inclusa la poesia popolare, Fortis introduce di regola in quei paragrafi in cui si rivolge direttamente ai suoi amici britannici. La traduzione di Cesarotti doveva contribuire alla diffusione dellOssian in Italia e in Europa, mentre i viaggi di Fortis in Dalmazia avevano come lobiettivo la dimostrazione che la vita e i costumi dei celti antichi e i morlacchi in Dalmazia erano assai vicini. Nelle descrizioni della vita morlacca e della loro poesia orale, i confronti tra i due mondi sono assai frequenti. Nel Saggio dosservazioni sopra lisola di Cherso ed Osero (1771), pi precisamente nella lettera dedicatoria a John Symonds, dopo due pagine di descrizioni dei pregiudizi, lautore si sofferma anche sulle poesie popolari. Non tralascia di sottolineare le modalit del loro canto e la secolare sopravvivenza della tradizione orale, soprattutto tra la popolazione dei villaggi, tracciando un parallelo con il canto dei bardi scozzesi: ... dopo che trovato che nello stesso modo si perpetuano molti curiosi e interessanti pezzi di Poesia Nazionale all uso de vostri Celti Scozzesi fra contadini spezialmente13. Oppure, quando presenta la Hasanaginica, dice che la poesia nello stesso tempo ben composta e interessante: anche se non la si pu mettere insieme con le poesie del famoso bardo scozzese, possiede qualcosa che assomiglia alla semplicit dei tempi omerici, e si riferisce agli usi di questo popolo. Lattenzione che Fortis rivolge alla produzione letteraria del popolo dalmata poggia su almeno due punti significativi. Da una parte, il suo approccio potrebbe essere definito etnografico, dove la nota folkloristica contribuiva allimpostazione interdisciplinare e complessa dellimpianto generale dei viaggi, secondo il dettato della poetica illuministica di allora. Daltra parte, la poesia popolare si rivelata il mezzo utile per illustrare e documentare alcune osservazioni non solo sulla vita e sui costumi del popolo, ma anche sullorganizzazione della societ. Questo aspetto gli stato daiuto nel compimento della missione politica ed economica al servizio della Repubblica di Venezia. Ma, vi stata unaltra missione, di carattere nazionalpolitico, conferita e portata a termine da Fortis. Riguardava un altro paese, riguardava i suoi
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Viaggio, I, p. 89. Saggio dosservazioni sopra lisola di Cherso ed Osero. in Venezia, presso Gaspare Storti, 1771, p. 161.

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amici britannici. Le indicazioni precise offrono i ricorrenti riferimenti alla poesia celtica, ovvero scozzese popolare (cio ossianica). Secondo il nostro autore, vi si trovano particolari quasi identici nelle modalit della recita orale (i cantori morlacchi sono simili ai bardi scozzesi), nella tradizione plurisecolare determinata dalla trasmissione orale (nello stesso modo continuano a vivere molti brani meravigliosi ed interessanti della poesia popolare come presso i vostri Celti scozzesi), nellambiente sociale in cui nasce questa poesia (soprattutto tra i contadini). Grazie a questi riferimenti e paralleli, siamo in grado di scoprire le vere convinzioni di Fortis secondo il quale la poesia popolare orale sopravvive durante i secoli; cos il nostro autore si rivela indirettamente sostenitore della tesi delloriginalit della poesia scozzese popolare. Lui stesso ha avuto il modo di documentare e di descrivere minuziosamente la recita e il modo in cui questa poesia viveva nel mondo dei morlacchi montanari. Quindi, in un ambiente cos simile al contesto tradizionale dei monti scozzesi, il processo della nascita e della conservazione della poesia orale dalle qualit etiche ed estetiche indubbie aveva il suo testimone deccellenza, lo stesso Fortis, che offriva un ulteriore argomento a sostegno dellautenticit dellopera di Macpherson. Se la testimonianza documentata di Fortis viene presa come veritiera, essa a sua volta immediatamente diventa la prova miliare dellautenticit della raccolta di Ossian. Lautentica poesia popolare offre il contributo importante al riscatto culturale di un popolo, in questo caso scozzese, e diventa testimone privilegiato della sua identit nazionale, intesa come punto di partenza nel processo di realizzazione dei futuri fini politici. Grazie ad unimpostazione del genere, Fortis riuscito ad inserire la poesia popolare morlacca e scozzese nello stesso contesto culturale, storico e sociale. E vero che la bellezza e il valore letterario delle poesie morlacche non sono allaltezza di quelle scozzesi, ma esse lo stesso costituiscono unespressione particolare dei tempi omerici e della loro semplicit ed altrettanto fedelmente riproducono i costumi nazionali. Secondo le idee di Herder, il quale ha offerto la base teorica della concezione preromantica sulla poesia popolare, questa poesia rappresenta lideale incontro tra luniversale e lindividuale: come lespressione di spirito universale, essa appartiene a tutta lumanit, ma nello stesso tempo costituisce lopera che appartiene ai determinati popoli con le caratteristiche nazionali particolari. In tal senso, la poesia popolare morlacca e scozzese sarebbero soltanto due individuali, diverse realizzazioni di un unico spirito universale. Dello stesso avviso era anche Cesarotti: tutto quello che vi di simile tra i costumi illirici e celtici si riflette nella poesia consimile creata dai loro bardi, perch le poesie dei popoli sono parte delleredit della stessa famiglia. Queste considerazioni non intaccano minimamente limportanza che i libri di viaggi di Fortis hanno avuto per lo studio del nostro folclore. Non si tratta soltanto della prima trascrizione della Hasanaginica con la quale la nostra poesia si imposta al pubblico europeo, argomento affrontato in numerosissimi studi. Si tratta soprattutto di preziosissime testimonianze in forma di descrizioni vivaci, riguardanti la recita e il modo di cantare la poesia orale e il modo in cui questa poesia continuava a vivere e sopravvivere grazie alla trasmissione orale. Inoltre, Fortis ha indicato quali sono i temi pi ricorrenti e gli eroi tipici di questa poesia. Infine, bisogna ribadire che le sue osservazioni sulla poesia popolare morlacca si basano su tutti gli elementi del pensiero preromantico, quali sono la verosimiglianza psicologica nella poesia popolare, definita da Fortis come cognizione delluomo, del carattere della nazione, e il verosimile storico, ovvero esattissima verit Storica. Il verosimile storico gli sembrato pi importante e perci ha tentato di documentare la verit storica della poesia di Kai Canto di Milos Cobilich e di Vuco Brancovich (prendendola per una poesia popolare autentica, lha tradotta e pubblicata nel Saggio dosservazioni sopra lisola di Cherso ed Osero), cercando di confrontare il contenuto della poesia con un testo storico, la descrizione della battaglia di Kosovo di Crijevi. Svolgendo questo tipo di analisi, Fortis ha anticipato le categorie estetiche che si sarebbero affermate pienamente appena nella critica letteraria del pieno Romanticismo.

I viaggi di Alberto Fortis: la missione economica e politica

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Mirjana Drndarski PUTOVANJA ALBERTA FORTISA EKONOMSKA I POLITIKA MISIJA (R e z i m e) Fortisova putovanja po Dalmaciji bila su pre svega politiki motivisana. S jedne strane njegov zadatak je bio da na terenu ispita kako da se ekonomski unapredi Dalmacija, tada krajnje zaostala venecijanska pokrajna. Postoji, meutim,i politiki aspekt ovih putopisa, na ta ukazuje injenica da su Fortisova putovanja finansirale poznate kotske mecene. Ovo je bilo vreme kada su narodi pod stranom kulturnom dominacijom teili da rehabilituju sopstvenu epsku tradiciju, pa samim tim i sopstveni kulturni, odnosno politiki identitet. Meu njima su bili i kotlanani, a delo koje je trebalo da poslui njihovom cilju bio je Makfersonov Osijan, zbirka navodnih kotskih narodnih pesama. Godine 1763. pojavio se italijanski prevod Osijana iz pera Melkjora ezarotija. I ovaj prevod i Fortisova putovanja finansirao je erl od Bjuta, zatitnik Makfersona i zagovornik osijanske ideje. ezarotijev prevod trebalo je da doprinese popularizaciji Osijana u Italiji i Evropi, dok su Fortisovi putopisi, u kojima je on opisao nastajanje i trajanje usmene poezije u ambijentu slinom onome koji je postojao u kotskim brdima, trebalo da dokau autentino ,,narodni karakter Osijanovih pesama.

Saa MODERC (Universit di Belgrado)

OSSERVAZIONI SUL VALORE TEMPORALE DEL CONGIUNTIVO TRAPASSATO


PAROLE CHIAVE: congiuntivo trapassato, grammatica, valore temporale Nelle grammatiche della lingua italiana luso del congiuntivo trapassato viene illustrato mediante lo schema della concordanza dei tempi e delle regole che determinano luso del modo congiuntivo. In questo contesto, luso del congiuntivo trapassato risulta vincolato da due condizioni: una di ordine sintattico (la proposizione reggente deve richiedere il congiuntivo nella subordinata) e una di ordine logico/temporale (lazione della subordinata deve essere antecedente allazione della reggente; questultima va espressa con uno dei tempi del passato). Queste due condizioni trovano una illustrazione canonica in esempi come il seguente: Pensavo che avesse studiato Invece lesempio: Pensavo che studiasse esprime la contemporaneit reale (pensavo che in quel momento stesse sui libri) o ideale (pensavo che fosse studente) della reggente e della subordinata. In questo schema non si inquadrano due casi: 1. luso del congiuntivo trapassato (e del congiuntivo imperfetto) dopo una reggente con il verbo al presente (Penso che l'avesse morsa, Penso che anche lui stesse male []; gli esempi sono tratti dal sito internet http://freeweb.supereva.com/bigolinside). Si tratta di un uso non rilevante ai fini di questa comunicazione, dato che in questi casi il valore temporale del congiuntivo trapassato (esprimente antecedenza della subordinata rispetto alla reggente) e del congiuntivo imperfetto (esprimente contemporaneit della subordinata con la reggente) risulta conforme e parallelo con le regole delluso dellimperfetto indicativo (e, conseguentemente, del trapassato prossimo). Invece viene modificata e ampliata la regola grammaticale che nel caso dellimperfetto o del trapassato congiuntivo nella subordinata vuole che nella reggente siano presenti tempi passati; casi di proposizioni modali introdotte da come se o da quasi. In queste proposizioni, che per noi sono le pi interessanti, possibile notare la presenza non infrequente del congiuntivo trapassato anche in subordinate che, a unanalisi semantica e pragmatica pi attenta, risultano contemporanee con la rispettiva reggente o, perlomeno, sono prive di una effettiva e marcata antecedenza temporale implicita nel congiuntivo trapassato. In questi casi il congiuntivo trapassato sembra svolgere un ruolo di alternativa del pi canonico in questo caso congiuntivo imperfetto.

2.

Osservazioni sul valore temporale del congiuntivo trapassato

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Per quale motivo un simile uso del congiuntivo trapassato risulta interessante e necessita unanalisi linguistica pi accurata? Lo spunto per queste riflessioni ci stato dato dallanalisi della traduzione in italiano di una raccolta di racconti di Ivo Andri1; lanalisi stata svolta sul materiale linguistico inserito nella tesi di master in cui lautore di questo contributo si prefiggeva lo scopo di indagare i rapporti aspettuali (e, in parte, azionali) tra le forme verbali serbe e le equivalenti forme verbali italiane nelle relative traduzioni2. Gli esempi di uso del congiuntivo trapassato che in sede di analisi contrastiva avevano attirato la nostra attenzione sono i seguenti: [1] Teko se die, zaguljivo je kao da nad glavom, u mraku, imaPRESENTE gvozdeni svod. (Andri, p. 185) Pop Vujadin respirava a stento, si sentiva soffocare, come se sulla testa, nell'oscurit, ci fosse stata una volta di ferro. (I tempi di Anika, p. 49) [2] Tako satima pritite dlanom to mesto i gleda vatru i lonie u furuni, kao neke oi3 [...]. (Andri, p. 192) Se ne stava cos per ore ed ore, a comprimersi col palmo della mano quel posto ed a guardare il fuoco ed i pentolini che si trovavano sulla stufa, quasi fossero stati occhi [...]. (I tempi di Anika, p. 58) [3] Mihailo je proveo nekoliko tekih dana borei se sa sopstvenim mislima kao sa senkama4 i privienjima. (Andri, p. 202) Mihailo trascorse alcune giornate difficili, lottando contro i propri pensieri, quasi fossero stati ombre e fantasmi. (I tempi di Anika, p. 71) Nelle frasi in lingua serba si nota un rapporto di evidente contemporaneit (nel presente per i primi due esempi, nel passato per il terzo) tra la reggente e la subordinata, mentre nella versione italiana il traduttore rende la subordinata con il congiuntivo trapassato, assegnando alla subordinata un chiaro valore di anteriorit temporale rispetto alla reggente e provocando unalterazione dei rapporti temporali presenti nelloriginale. Infatti, il serbo, non avendo n un sistema di concordanza dei tempi n il modo congiuntivo, esprime la contemporaneit nel passato mediante il presente e lantecedenza rispetto alla reggente con il perfetto, come risulta dai seguenti schemi grammaticali: Mislio sam da ui presente Mislio sam da je uio perfetto Pensavo che studiasse Pensavo che avesse studiato tabella 1

Ivo Andri, I tempi di Anika e altri racconti, Bompiani, Milano 1966; traduzione di Bruno Meriggi. Saa Moderc, Prevoenje srpskih prolih vremena na italijanski. Magistarski rad, Filoloki fakultet, Beograd 1996 (La traduzione dei tempi passati serbi in italiano. Tesi di master, Facolt di Filologia, Belgrado 1996). 3 La proposizione ellittica ed ricostruibile nella seguente maniera: kao da suPRESENTE neke oi [] (come se fossero occhi). 4 La struttura nominale kao sa senkama (come con ombre) parafrasabile con kao da suPRESENTE senke [] (come se fossero ombre).
1 2

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Saa Moderc

Questo schema propone, comunque, uninterpretazione parziale e ridotta del valore semantico della subordinata, dal momento che ambedue gli esempi citati sopra possono avere delle interpretazioni pi ampie rispetto a quelle presenti nella tabella 1: Mislio sam da ui presente
imperfetto

Mislio sam da je uio perfetto


imperfettivo

Pensavo che (in quel momento) stesse studiando (lo studiare unazione coincidente con il momento dellenunciazione). Pensavo che fosse dedito allo studio (lo studiare inteso, qui, in senso abituale, costante, ed localizzato nel passato). Pensavo che avesse studiato (lo studiare antecedente alla reggente ed un processo che si presume concluso). Pensavo che studiasse (lo studiare contemporaneo alla reggente: questuso di registro pi colloquiale rispetto agli altri esempi). Pensavo che avesse studiato (che fosse stato dedito allo studio in un periodo della sua vita: processo presumibilmente non concluso). tabella 2

Nellinsegnamento delle lingue straniere caratterizzate dalla concordanza dei tempi motivi didattici di natura pragmatica consigliano ai discenti serbofoni di assumere la tabella 1 come modello linguistico canonico. Si tratta di una scelta ovviamente restrittiva, quantunque necessaria per una agevole acquisizione iniziale delle strutture temporali di base della lingua straniera e per evitare errori nel transfer dal serbo allitaliano. Nel caso opposto del transfer dallitaliano al serbocroato, losservazione dello schema della tabella 1 ancora utile in quanto consente di riconoscere e fissare i valori di contemporaneit e di antecedenza del, rispettivamente, congiuntivo imperfetto e del congiuntivo trapassato italiani. Ora, da quanto esposto, nei tre esempi di Andri citati sopra ci si dovrebbe aspettare luso del congiuntivo imperfetto, secondo le regole della concordanza dei tempi e della contemporaneit degli eventi, e non dei congiuntivi trapassati presenti nella traduzione italiana. A questo uso del congiuntivo trapassato potremmo assegnare, in via preliminare, il nome di congiuntivo trapassato di contemporaneit. Il fenomeno notato nel testo della traduzione in italiano ci ha indotti a verificare leventuale presenza di simili congiuntivi trapassati anche in testi italiani originali e non di letteratura tradotta e a cercare conferme originali nella lingua italiana. Senza dover ricorrere a ricerche laboriose e in maniera relativamente agevole siamo riusciti a reperire su Internet i seguenti esempi (nella ricerca5 ci si limitati ai soli verbi essere e avere, considerata la loro alta frequenza): [4] Quando le chiesi sotto ipnosi di andare oltre agli avvenimenti realmente accaduti nella sua vita [...], mi spieg di sentirsi cullare come se fosse stata all'interno di un grembo. [www.elisir.biz/vite %20passate.htm]

Con il motore di ricerca di www.yahoo.it abbiamo cercato le stringhe come se fosse stata e come se avesse avuto e abbiamo selezionato gli esempi in cui siamo stati in grado di riconoscere il congiuntivo trapassato di contemporaneit. Le suddette stringhe sono state scelte per via della relativamente alta frequenza della terza persona singolare.

Osservazioni sul valore temporale del congiuntivo trapassato

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[5] Egli la guard a lungo con uno sguardo inquisitore come se fosse stata la prima volta che la vedesse ed ella comprese la seriet di quell'occhiata; [...] Italo Svevo, Senilit (testo in formato digitale disponibile su Internet) [6] Vedevo la lama tagliare la patata come se fosse stata burro, scorrendo in modo fluido e senza intoppi. [www.divinocibo.it/category/generale/] [7] Mentre camminava, visto che non c'era nessuno, si mise a parlarle come se fosse stata una persona. [www.lucedistrega.net/documenti/leggende.htm] [8] Ma stato ancora pi bello vederla saltare di gioia, come se fosse stata una bambina alla prima medaglia, quando ha capito di aver vinto l'oro. [http://www.sportline.it] [9] Leffetto che ebbe sullo Shilan ribelle fu clamoroso; si gir verso di lui come se avesse avuto le antenne, e naturalmente lo scorse. [http://www.digimonitalia.it] [10] La toccava con dolcezza, come se avesse avuto nelle mani un oggetto prezioso, di rara bellezza e di salvifica materialit. [http://www.forumgiovani.org] [11] Ma per lui sembrava non essere un problema, come se avesse avuto la capacita di fendere la nebbia con un solo, attento sguardo dei suoi occhi neri, acuti e profondi. [http://www.damaverde.net] [12] La giovane [...] stava ravviando le sue eleganti vesticciuole di modistina, ma con tanto calore e con tanta sollecitudine come se avesse avuto largento vivo addosso. [http://www.classicitaliani.it] Quali potrebbero essere le spiegazioni delluso di questo congiuntivo trapassato di contemporaneit, non precisamente identificato nelle grammatiche della lingua italiana a noi note e nelle definizioni di questo tempo verbale? Come mai risulta accettabile, in questi contesti, il valore aspettuale perfettivo (trattandosi di una forma composta) di questo trapassato congiuntivo per indicare processi stativi dal punto di vista azionale? Proponiamo di cercare la risposta seguendo tre piste, convinti che tutte possano concorrere allinquadramento linguistico di questo uso: a) linflusso dellanalogia nei processi linguistici, b) la stilistica e c) la semantica dellazione verbale. I processi analogici, come noto, costituiscono un fattore di primo piano nella genesi di fenomeni linguistici. Nel nostro caso, una parte degli esempi di trapassato congiuntivo di contemporaneit citati proviene infatti da corpora linguistici scritti ad hoc o comunque non passati al vaglio di una revisione stilistica dettagliata. Ci riferiamo agli esempi tratti dalla cronaca sportiva e dalluniverso della produzione (pseudo)letteraria che prolifica su numerosi siti Internet aperti ad aspiranti scrittori o scrittori non ancora affermatisi. In base alla provenienza e alla genesi di questi esempi si pu avanzare lipotesi che in essi il congiuntivo trapassato possa essere il prodotto dellimitazione di strutture sintattiche preesistenti, fermamente consolidate nella lingua letteraria italiana. Qui figura sovente il congiuntivo trapassato, come nel caso del periodo ipotetico della irrealt (se fossi andato...) o della realt/possibilit/irrealt nel discorso indiretto (disse che se avesse avuto tempo sarebbe venuto, esempio ambiguo e aperto a tre diverse interpretazioni temporali), oppure di proposizioni temporali, sempre nel discorso indiretto, introdotte dalla congiunzione finch (l'avrebbe cercata finch non l'avesse trovata) o, ancora,

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dalla stessa proposizione modale introdotta da come se ma avente un chiaro riferimento a eventi passati (mi guardava come se non avesse capito le mie parole). Naturalmente, l'ipotesi dellassunzione meccanica di schemi linguistici pu offrire una spiegazione forse plausibile per testi privi di limatura stilistica, non redatti e non ricondotti ai canoni della sintassi italiana; resta, tuttavia, il problema dei testi appartenenti a scrittori affermati, nel caso dei quali di certo non si pu parlare di scarsa conoscenza della lingua italiana (cfr. lesempio [5], di Italo Svevo). Per queste ragioni, quanto esposto qui sopra pu venire inquadrato in un orizzonte pi ampio, quello della stilistica della lingua italiana e, pi precisamente, agli strumenti di cui questa lingua dispone per marcare il maggiore o minore rilievo psicologico o emotivo di un evento a livello morfologico e sintattico (strumenti assenti nel serbo). Infatti, questo uso del trapassato congiuntivo non sembra finalizzato a potenziare limprobabile (vista la semantica degli enunciati e la struttura degli eventi) antecedenza temporale della subordinata introdotta da come se. nostra opinione che con questa scelta linguistica si voglia operare una differenziazione tra primo piano e secondo piano narrativo; in questa ottica appare lecito sostenere che anche il trapassato congiuntivo possa assumere il ruolo di strumento con il quale lautore effettua il processo di distanziamento emotivo e psicologico dalloggetto della narrazione. Questa interpretazione si pu certamente applicare agli esempi citati sopra, ma dovrebbe avere una conferma di pi ampio respiro, reperibile nellanalisi del contesto da cui sono tratti gli esempi citati. In tale maniera si potrebbero trovare altri elementi linguistici comprovanti lintenzione dellautore di distaccarsi dalloggetto della narrazione (tra questi elementi, per esempio, luso del passato remoto e di elementi deittici indicanti lontananza e distanziamento rispetto al parlante). In altre parole: negli esempi citati luso del congiuntivo imperfetto, sintatticamente e semanticamente regolare, al posto del congiuntivo trapassato, cancellerebbe leffetto di distanza emotiva e psicologica che si vuole imprimere al testo e contribuirebbe viceversa a instaurare un rapporto di prossimit e coinvolgimento con quanto esposto, rapporto che negli esempi citati, stando alla scelta degli autori (semprech di scelta cosciente si tratti Svevo escluso), risulterebbe indesiderato. La codificazione degli eventi citati mediante il trapassato prossimo del congiuntivo produce un allontanamento psicologico ed emotivo dallevento e la sua conseguente collocazione nella sfera del meno rilevante, del secondo piano (background). Generalmente, la distinzione tra primo e secondo piano, tra informazioni aventi maggiore risalto e informazioni con assegnata minore importanza nelleconomia del testo stenta a trovare un adeguato spazio nelle grammatiche italiane, dove tradizionalmente si vuole spiegare luso dei tempi verbali appoggiandosi esclusivamente sul valore temporale delle forme verbali, tralasciando questi usi riscontrabili sia nella lingua letteraria che nel parlato6. Negli esempi in questione interpretiamo luso del congiuntivo trapassato come una manifestazione del processo di distanziamento operato dal narratore nei confronti delloggetto dellesposizione. Dalla prospettiva di chi ha come lingua materna la lingua serba si tratta di una operazione non trasparente in quanto il serbo, che nelluso corrente tende a limitare i tempi del passato a uno soltanto7, non in grado di esprimere con forme del sistema verbale le due distinte prospettive stilistiche (partecipazione psicologica : distanziamento psicologico), che litaliano

Cfr. Moderc, Saa, Relativna vremena u italijanskom jeziku. Doktorska disertacija, Filoloki fakultet, Beograd 2002 7 Pur avendone altri a disposizione: laoristo ha valori modali e stilistici particolari; pu riferirsi anche al presente compiuto (Ode! = andato via [in questo momento]); l'imperfetto oggi residuo solo in poche forme verbali (tra queste il verbo biti, essere); luso del piucchepperfetto in ambedue le sue varianti di gran lunga meno frequente rispetto al trapassato prossimo italiano.
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invece in grado di strutturare manipolando i diversi tempi verbali del passato. Una delle difficolt stilistiche e uno dei maggiori problemi contrastivi nel transfer dal serbo allitaliano risiede appunto nella necessit di ricostruire, nella versione italiana, elementi linguistici che nel serbo, di cui i serbofoni non sono linguisticamente consci e che non sono presenti o, se lo sono, hanno un risalto e un impatto stilistico diverso rispetto agli strumenti dellitaliano. Per quanto riguarda la categoria dellazione verbale, negli esempi citati sono presenti esclusivamente verbi durativi non telici (stativi), il che probabilmente facilita (come gi rilevato sopra) la possibilit di usare il congiuntivo trapassato trascurando la dimensione temporale dellenunciato e, pi precisamente la pefettivit/imperfettivit dellevento. Infatti, le forme verbali stative, esprimenti stati e non processi aventi una propria dinamica e sviluppo, mostrano una maggiore indipendenza da interpretazioni cronologiche e si prestano meno ad essere considerate come forme temporalmente antecedenti al verbo della reggente. Visto il criterio di ricerca adottato (v. nota 5), per il momento non abbiamo reperito esempi con verbi telici; ci probabilmente dovuto al fatto che il valore aspettuale perfettivo insito nel congiuntivo trapassato indurrebbe a interpretare in chiave quasi esclusivamente temporale e perfettiva eventuali esempi contententi questa forma verbale. Quindi, in questa sede non possiamo trarre conclusioni documentate per quanto riguarda il comportamento dei verbi telici in contesti simili; questi ultimi, esprimendo processi che indicano cambiamenti di stato, se coniugati al trapassato congiuntivo, dovrebbero essere maggiormente soggetti a uninterpretazione strettamente temporale, di antecedenza rispetto alla proposizione principale. Alla fine di queste brevi considerazioni su questo uso del trapassato congiuntivo dei verbi stativi possiamo concludere che tale scelta rientra in primo luogo nella stilistica della lingua italiana e sostanzialmente non rappresenta un tratto sintattico o stilistico di rilievo per la corretta presentazione e acquisizione delluso dei tempi italiani. Per questo motivo probabilmente siffatto uso non trova spazio nelle grammatiche della lingua italiana. Tuttavia, riteniamo che sia importante presentare questa peculiarit del congiuntivo trapassato al fine di delineare un profilo pi dettagliato delluso dei tempi verbali italiani e del loro valore semantico, nonch la loro specifica dimensione psicologica ed emotiva, elementi che solitamente non vengono presi in considerazione nella didattica dellitaliano, ma che, tecnicamente, hanno unimportanza fondamentale per la comprensione del sistema verbale italiano e stilisticamente senzaltro meritano una trattazione pi dettagliata, almeno a livelli avanzati dello studio dellitaliano, specialmente tenendo conto di una lingua come il serbo, che non possiede strumenti linguistici idonei ad esprimere la posizione e latteggiamento del narratore.

Bibliografia Bertinetto, Pier Marco, Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano. Il sistema dell'indicativo. Studi di grammatica italiana pubblicati dall'Accademia della Crusca, Firenze 1986 Dardano, MaurizioTrifone, Pietro, La nuova grammatica della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 1997 Moderc, Saa, Gramatika italijanskog jezika, II edizione, Luna crescens, Beograd 2006. Moderc, Saa, Prevoenje srpskih prolih vremena na italijanski. Magistarski rad, Filoloki fakultet, Beograd 1996 Moderc, Saa, Relativna vremena u italijanskom jeziku. Doktorska disertacija, Filoloki fakultet, Beograd 2002 Renzi, Lorenzo-Salvi, Giampaolo, Grande grammatica italiana di consultazione. Il Mulino, Bologna 1991

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Saa Moderc

Samardi, Mila, Od reenice do teksta. Uvod u sintaksu italijanske sloene reenice. Univerzitet Crne Gore, Filozofski fakultet, Podgorica 2006. Serianni, Luca (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. UTET-Libreria, Torino 1989 Teri, Gordana, Sintaksa italijanskog jezika, Filoloki fakultet, Beograd 2005. Moretti, G.B.-Orvieto, G.R, Grammatica italiana. Il verbo 1. I modi finiti. Editrice Benucci Perugia, 1979

Saa Moderc O TEMPORALNOJ VREDNOSTI ITALIJANSKOG KONJUNKTIVA PLUSKVAMPERFEKTA (R e z i m e) U prevodima srpskih knjievnih dela na italijanski, ali i u primerima preuzetim direktno iz italijanskog jezika primeeno je da se pretprolo vreme konjunktiva koristi i za radnje/situacije koje su istovremene s radnjama iskazanim u upravnim reenicama, te bi u tim sluajevima trebalo upotrebiti imperfekat konjunktiva. U ovom istraivanju usredsredili smo panju na stativne glagole i iznosimo tumaenje da je ova upotreba pretprolog vremena konjunktiva uslovljena ili nekritikim preuzimanjem jezikih obrazaca u kojima ovo glagolsko vreme treba da se koristi ili, u sluaju paljivo sroenih knjievnih tekstova, re je o postupku autorovog distanciranja u odnosu na izloenu radnju. Srpski jezik ne poseduje instrumente za iskazivanje ovakvog pripovedaevog stava.

Milana PILETI (Belgrado)

UNA VITA PER IL SUO VERSO


Parole chiave: poesia, traduzione, rima, ritmo. Carl Gustav Jung, uno dei nostri grandi saggi maestri, ha annotato nel prologo per la sua autobiografia che in essa il lettore trover pochi fatti esteriori, perch le sole esperienze della sua vita che gli sembrano degne di essere riferite sono quelle interiori. Penso che qui e non solo qui gli si avvicini il nostro poeta, con il quale mi incontro con gioia, altres non solo da fuori, ma anche dentro il suo viaggio infinito. Generosamente mi ha portato con s, e spero che molti di voi s'incammineranno con lui, riconoscendo i propri sentieri in quei paesaggi sognati e svariati. A prima vista, potrebbe sembrare che essi non sono poi tanto sconfinati: prima di tutto anzi, prima di tutti; come in ogni vera poesia, qui non c' la natura morta, al massimo c' la natura fredda, e le presenze durano, sia pure come gli assenti troviamo il mare, il mare nello spazio e nel tempo, principalmente calabrese, ma anche quello greco, e del Nord. Percepiamo e sentiamo, per esempio, com'era profonda l'intuizione avvenuta nell'infanzia del poeta, quando sulla spiaggia di Reggio di Calabria si erano riflesse le case di Messina, dall'altra parte dello Stretto, oppure come dall'antichit, per noi contemporanei, sono emersi dei bronzei guerrieri di Riace. Poi, la donna, alla quale si va incontro da lontano, seguendo le sue impronte, mandando i disperati messaggi intermittenti coi fari facendone il telegrafo, tastando impacciati il telefonino. Oppure, avvicinandosi a lei come se fosse a portata di mano, viene toccata ma non trattenuta, libera di sfuggire, e noi ci facciamo largo anche attraverso quello spazio vuoto, sapendo esattamente quanta ressa c' dentro, mentre Calabr dice a lei e a noi e a s la penuria di te mi affolla l'anima. Eppure, chiunque s'inoltri, presto capisce che la fine non esiste, i limiti non ci sono, perch i versi sono portati da un autentico potere d'archetipi, e ogni stretto e ogni nebbia si estende non solo per il lungo e per il largo, ma anche sopra le nuvole aggrondate e precipizi. Andremo allora in giro per la Calabria, ci inebrieranno Alicudi, Gambarie, Pentimele, getteremo uno sgardo nei vecchi pozzi e ci abbandoneremo al colpo di luna, di corsa saliremo i monti; nuoteremo sott'acqua in apnea o dividendo l'ossigeno con un fratello d'immersione, a bracciate e navigando raggiungeremo il famoso arcipelago di isole vulcaniche, e pi in l, dove ci porti ricordando il vento, nostos di Mikonos, su su fino alla grigia linea d'Ostenda. Arcilussurgiu spalancher gli occhi, saremo iniziati attraverso il rito antico, ma anche per via di recentissimi termini scientifici, matematici, genetici ecc.; in una fresca mattina romana arriveranno "a stormo sui Ciao / le donne di servizio sgargassanti", e possiamo trovarci pure in un ospedale, dopo l'operazione, dalla propria pelle contemplando una malata da sola, ma non sola, perch una di noi ed lei che ...il sole...festeggia, il vento...corteggia, e fuori volteggiano ariosi i carrelli, e ...con l'ali bendate / la sofferenza ci volteggia intorno. Alla fine comunque ci rimangono anime vaganti di gabbiani, da un'altra poesia.

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Milana Pileti

Eccole, dunque, cose immani e cose minute, pesanti e leggere, siano come siano, ovunque conduca la strada, in qualsiasi modo vengano le onde alla spiaggia e poi se ne vanno. Non bisogna restare per sempre sulla battigia, dimenandosi pateticamente, facendo finta di nuotare. importante pigliare il largo. cos che ho cercato di seguire Corrado Calabr interpretando i suoi versi, per lo pi endecasillabi particolarmente flessuosi, capaci di comprimersi quanto di allungarsi; ci ho trovate anche delle rime, non molte, e le assonanze, pi frequenti, e spero di averle conservate: proprio essendo rare danno un'accento speciale. Per, non la metrica esterna quella che detta la legge: tutto procede per il ritmo interno delle poesie e dei poemi. Moltissimi sarebbero gli esempi, ne sfiorer solo uno: il titolo. L'originale dice Una vita per il suo verso. Se qui non si fosse per un istante raggrumato il flusso poetico di Calabr, tanto per indicarci il suo viaggio a spirale, ci significherebbe una vita che si svolge a modo suo, con il proprio senso, nella propria direzione. Ma precisamente per il valore di quel segnale che ci introduce in tutto un mondo poetico, e per la detta legge interna, quella vita vissuta impavidamente anche da me ottiene la sua libert e diventa jedan ivot po sopstvenom stihu (che segue le misure della sua poesia, il suo verso poetico). Mi pare che tutto quello che viene dopo nelle poesie raccolte giustifica questa scelta. avvenuto pure un bel miracolo ritmico, di quelli che si ottengono raramente: il titolo serbo coincide non solo per il numero delle sillabe, ma anche per la cesura dopo la quarta di esse (cio a guisa del nostro tradizionale decasillabo, quasi volendo gentilmente esprimerci la vicinanza nella quale lo spazio e il tempo diventano relativi). Come se scaturisse dalla fonte meravigliosa del Filo di Arianna del Calabr: Solo una volta t' dato filarlo: / e quando un giorno ne verrai a capo / l troverai che il filo terminato. Milana Pileti Corrado Calabr nato nel 1935 a Reggio Calabria, sulla riva del mare. poeta profondamente mediterraneo, ma molto amato anche nei paesi del nord e dellest dEuropa. Ha pubblicato diciotto libri di poesie per le edizioni di Guanda, Scheiwiller, Franco Maria Ricci, Mondadori, Newton Compton, con traduzioni in tredici lingue. Unampia raccolta delle sue liriche uscita nel 1992 nelle edizioni Mondadori col titolo Rosso dAlicudi (tre edizioni). Dieci anni dopo, ancora Mondadori ha pubblicato una vasta raccolta dellultraquarantennale produzione poetica di Calabr, in un Oscar dal titolo Una vita per il suo verso (due edizioni). Straordinario il successo delle sue Poesie damore, edite da Newton & Compton nel 2004. Delle poesie di Calabr sono stati fatti vari compact disks (lultimo edito da Crocetti), con le voci di alcuni dei pi apprezzati interpreti: Achille Millo, Riccardo Cucciolla, Walter Maestosi, Alberto Rossatti, Daniela Barra. Calabr anche autore di un romanzo, Ricorda di dimenticarla (Newton & Compton, 1999), finalista al premio Strega. Per la sua opera letteraria lUniversit Mechnikov di Odessa, nel 1997, e lUniversit Vest Din di Timioara, nel 2000, gli hanno conferito la laurea honoris causa. 1 , , ;

LO STESSO RISCHIO Razionalmente, certo, il mare un rischio;


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Dante Maffia, la nota introduttiva dell'ANTOLOGIA DELLA POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO, l'edizione bilingue della casa editrice belgradese Paideia, 2007, con le traduzioni a fronte di Milana Pileti. Le poesie di Calabr qui scelte sono citate dalla raccolta: Corrado Calabr, Una vita per il suo verso, poesie 1960-2002, Mondadori, Milano 2002, tradotta da Milana Pileti (Korado Kalabro, Jedan ivot po sopstvenom stihu, Plato, Beograd 2003).

Una vita per il suo verso

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ma io non lho mai sentito come tale. Il mare va preso come viene cos, con la sua stessa inconcludenza : portando verso il petto, a ogni bracciata, unonda lieve che non si trattiene. Non c altro senso nel tendere al largo, dove lacqua mielata dal tramonto, se non di tenere la cadenza fino a quando stramazzano le braccia e spegnere nel mare il desiderio di raggiungere a nuoto la soglia che segna il limitare a un nuovo giorno. Se allora ci si gira sopra il dorso, come pescispada dissanguati, agli occhi gonfi dacqua e indeboliti spalanca il cielo la sua occhiaia vuota: ma il corpo sta sospeso in unamaca che lo sorregge come si riamati nellet antecedente la ragione. Passata quellet, lamore un rischio, infido quanto pi ne ragioniamo. Al mare si va incontro come viene, in unillimitata inconcludenza, sentendosi lambire a ogni bracciata da una carezza che non si trattiene. E una scommessa tutta da giocare fino alla sua estrema inconseguenza. La cosa pi penosa far le mosse sulla battigia, invece di nuotare. ENTRA NEGLI OCCHI SENZA FARMI MALE Solo lunghi rossori solo lunghi rossori permangono del fal spudorato del tramonto. Da Lipari fino ad Alicudi piano piano si fredda il mare ch un immenso bacile dolio grigio. Dirimpetto allingresso del porto,

126 proprio allorlo della banchina, serge la facciata di vetro dellhotel Naxos. Le navi che imboccano la rada entrano nella sua vetrata azzurra. Lunghi rossori strano la guance del cielo, imbasettate di bambagia; l in fondo, vicino a Filicudi, una rosa di brace si sfalda. Forse sei altrove o forse sei qui accanto. Bevono gli occhi il silenzio che scende nello spento braciere del giorno. Come una pagnotta di cenere galleggia sulla destra Panarea. Soffice come cenere la sera. Scompare sullo sfondo Filicudi; ma lorizzonte resta tondeggiante per la distesa liquida che ingloba. Secca gli occhi lassenza damore Come la pelle la mancanza dacqua. Entra - se puoi - nellanima, entra nei miei occhi senza farmi male cos come, allingresso del porto, le navi sintroducono incorporee nellazzurra vetrata del Naxos. Appena oltrepassata Filicudi serge nel mare una stele votiva dallacqua blu cobalto che sprofonda. L una linea invisibile segna lincurvarsi del mare verso il nulla. Tiepida la carezza dellacqua Che ci voltola nella battigia; e soffice come borotalco ai corpi nudi la sabbia di pomice. E buio, ma presto sorger la luna e la spiaggia sar dun bianco latte. Oh, s, adesso, adesso mi sei accanto! Riaccende ancora il tuo corpo riverso lansito soffocato sulla nuca. No, non dir ch amore se non vuoi. Entra negli occhi senza farmi male , . . , ; , , .

Milana Pileti

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Una vita per il suo verso

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fammi specchiare-una volta!- la tua anima fammi varcare la linea sfuggente tra il bisogno di credere e lamore. No, non dir ch' amore se non vuoi. L'amore, d'altra parte, come l'anima: nessuno, credi a me, nessuno mai l'ha visto. Solo chi l'ha bevuto racconta - come una storia di pesca fatata d'una vela scorrente sull'acqua, gravida del pallore della luna, che una sera si trova riflessa nella vetrata che l'aspetta in sorte. Andiamo pure al largo, se ti pare; ma troveremo lacqua un po pi fredda. No,non ti chiedo a cosa andiamo incontro: fammi entrare negli occhi, con la luna ! E non dir ch amore se non vuoi; no, non dir ch amore se hai paura. IL FILO DI ARIANNA Aspetta ancora un poco, facci caso: l'attesa sa filare un lungo filo. segnato in un codice il tuo giro, stampato in un filo da filare. No, non lo trovo gi sgomitolato: lo devi estrarre, come fanno i ragni, dalle tue stesse ghiandole e filarlo attraverso la testa: starci appeso con tutto il corpo, come un impiccato. Fila ogni giorno e non guardare in basso: questo filo s'allunga col tuo peso e in nessun caso lo puoi riannodare. Lo so che all'altro estremo lei t'attende, ma ancora un poco lasciala aspettare. Non dimenarti e non dare strattoni; pi si conficca e pi fa male, l'amo. Secerni solo il filo che ti occorre

128 per non restare indietro alla corrente ma, quando t' contraria, dalle spago. Fila il tuo tempo come cresce il grano apri grandi occhi liquidi nel mare: c' una ninfa elusiva in ogni anfratto, gravi i pesci le vanno a visitare. Pigliala larga, come fece Ulisse; anche per lui Penelope filava. Fila ogni nave, sola, la sua rotta e dietro si richiude la sua traccia. Districati dal filo ch' gi scorso, resta attaccato al bandolo coi denti; non puoi smarrirti in questo labirinto fino a che hai dentro filo da filare. Fila ogni giorno, ma un poco pi piano, torci bene le fibre ad una ad una; s'intreccia e scambia in esse il tuo passaggio su un ciglio dove manca spesso il piede, in esse ch' racchiuso il tuo messaggio. Nella cordata non c' un capofila, non tende un cieco ad un cieco la mano: dall'essere al capire un lungo giro, c' ancora un filo che ti pu guidare. Solo una volta t' dato filarlo: e quando un giorno ne verrai a capo l troverai che il filo terminato.

Milana Pileti

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( ) (1960-2002) (Una vita per il suo verso ); , .

Duica TODOROVI LACAVA (Universit di Belgrado)

SUL FIORE E SULLAMORE (una lettera al professor Klajn)


Parole chiave: canone, insegnamento, poesia, avanguardia, tradizione.

Caro professor Klajn, Tempo fa Lei ha scritto una lettera indirizzata al professor uri e a me. Nella lettera prende in esame una parte della nostra antologia di testi Segnalibro, discutendo il criterio con cui stata fatta la scelta di alcune poesie. La sua lettera scritta in modo argomentato e appassionato. Non aggressivo, anche se decisamente polemico. Amichevole, anche se leggermente irritato. Scrivendola, Lei ha fatto qualcosa di straordinario. Innanzitutto, ha letto una cosa che hanno fatto i suoi colleghi. Quando ha trovato da ridire, si rivolto agli autori stessi, addirittura con una bella lettera. La ringrazio per questo. La lettera ha rivelato un suo lato che potevo intuire, ma non conoscevo abbastanza Lei un lettore di poesie attento e appassionato, ma soprattutto un insegnante interessato ai contenuti e agli scopi dellinsegnamento. La ringrazio anche per questo. Devo ammettere che per una serie di motivi inserirei volentieri questa sua bella lettera fra i testi della nostra antologia Segnalibro, magari sotto il titolo Letteratura: Istruzioni per luso, come un esempio di lettura di poesie, ma anche un esemplare modello di comunicazione umana, quindi anche letteraria. Mi permetta di provare a risponderle in questa occasione, ma anche di prendere la Sua lettera come uno spunto per accennare ad alcuni testi, presi appunto dal Segnalibro, che espongono delle idee che credo anche lei condivida, o che sono sorprendentemente simili alle Sue, anche se veicolate dalle esperienze diverse dalle Sue, nei tempi diversi dai Suoi e quindi inevitabilmente messe in atto in modo diverso. Le scrivo, in breve, anche per farle capire che non la pensiamo poi in maniera tanto diversa, anche se usiamo tattiche diverse, approcci diversi allinsegnamento, come probabilmente anche alla lettura delle poesie. Ci tengo a precisare che quando dico noi, mi riferisco anche al professor uri. Sostanzialmente, esprimendo i suoi dubbi che riguardano la nostra scelta di alcune poesie invece delle altre, Lei mette in discussione il canone letterario, gi, daltronde, messo in discussione proprio durante la seconda parte del Novecento, da parte della poesia sperimentale e di neoavanguardia, che lei, mi pare di capire, non ama. In questa maniera viene fuori anche la questione del gusto letterario. I contenuti della lettera rivelano appunto i suoi gusti letterari, giustamente, molto personali. Scrivendo, Lei mette Carducci in una luce bellissima, anche Pascoli e Gozzano, che personalmente ama, ma propone altre poesie di Saba, Pascoli, Gozzano, al posto di quelle che si possono leggere sul Segnalibro, scelte magari con intenti pi didattici, oppure pi conformi alla sensibilit odierna, favorendo in tal modo, secondo Lei, i tecnicismi e lartificio a scapito della articolazione poetica dei sentimenti. Se ho fatto una buona lettura della Sua lettera, mi pare di capire che lessenza della sua motivazione di comunicarci le sue

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Duica Todorovi La Cava

impressioni sia stata quella di voler promuovere la ragion dei sentimenti, invece dei tecnicismi e delle ardite sperimentazioni promosse dalla poesia davanguardia. A questo punto, io le rispondo per le rime! Anzi, ripropongo una rima in particolare, e alcuni versi di uno dei suoi autori preferiti, e scommetto che anche lei li ami: Amai trite parole che non uno osava. M'incant la rima fiore amore, la pi antica difficile del mondo. Trovo questi versi bellissimi, e profondamente novecenteschi, malgrado le apparenze. Ecco, credo che sicuramente bisogna provare a farle e a leggerle, soprattutto forse a farle leggere, le poesie con la rima fiore - amore. Per poter proporre le poesie che suggerisce Lei, chiamiamole appunto poesie fiore-amore, quelle pi direttamente intente alla descrizione degli stati danimo, allespressione dei moti danimo, esse, per, vanno in qualche modo liberate di un alone di inautenticit che di solito comporta lespressione dei sentimenti oggigiorno. Sarebbe bello organizzare magari le letture-performance, una specie di terapia di gruppo, che forse potrebbe risultare liberatoria per le nostre inibizioni o diffidenze nei confronti dei sentimenti, il nostro fondamentale analfabetismo in tale materia. Si potrebbe iniziare magari servendoci della proposta di Caproni: Freschi come i bicchieri furono i suoi pensieri. Per lei torni in onore la rima in cuore e amore. In ogni caso sar inevitabile occuparsi delle condizioni della poesia, del sentimento e della rima in modo ossessivamente autoreferenziale, oppure cercare di girarsi intorno, in maniera altrettanto ossessiva, e compulsiva, e l fuori incontrare - tanti tecnicismi, appunto. Non credo comunque che Elio Pagliarani usando i tecnicismi nella sua poesia Ragazza Carla non riesca a colpire limmaginazione e la sensibilit dei lettori. Colpisce in modo meno immediato, ma forse pi incisivo - partendo dallanestesia totale del nostro stare al mondo, riesce a spremere sentimento per quella ragazza Carla, a farci provare la desolazione per lei, per una ragazza resa automa che non riesce pi a provare nemmeno la disperazione. Per esaminare gli stati di coscienza, ma anche i vuoti sentimentali caratteristici della nostra cultura, gi cos presenti in Gozzano, ma cos evidenti e preoccupanti in Ragazza Carla, forse bisogna ostinarsi a scrivere e a leggere proprio queste poesie poco simpatiche, dato che quelle piene di sentimento articolato le sentiamo sempre pi spesso un po manipolatrici, diffidenti come siamo, manipolati come siamo abituati a sentirci? Per noi, esse sono un po come frasi fatte, atte a ottenere qualcosa, nella nostra logica sempre attenta alle questioni di mercato, cos lontana dal piacere disinteressato della bellezza. Per continuare a leggere e a sentire le poesie sul fiore e amore bisognerebbe dunque accettare di non vergognarsi di sentirsi sdolcinati e passati di moda anzi, forse addirittura vergognarsi soltanto quando non sentiamo nientaltro tranne riso, disagio e odor di imbroglio leggendo questo tipo di poesie? Non saprei. Appunto per questo, non credendo in una risposta unica, noi insistiamo sul dialogo e sulla molteplicit delle voci nella nostra antologia, lasciando un eventuale articolazione della risposta pi partigiana per altre occasioni, in altri luoghi, pi appropriati. Mi permetta a questo punto di accennare brevemente allidea che ha fatto nascere Segnalibro nella prima parte ce appunto la Lettura del canone, che lei giustamente si sente di

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ridiscutere, insieme alla tanta poesia novecentesca, anche se partendo dai presupposti diversi. Nella seconda parte ci sono le Letture sparse, pensate a colpire di pi la sensibilit del lettore moderno, dello studente di oggi. Nella terza parte ci sono dei testi, nella maggior parte polemici, se non addirittura trasgressivi, che hanno lambizione di promuovere la discussione in classe, magari idealmente proprio il tipo di discussione che lei ha iniziato con professor uri e con me. Il guaio che la poesia, caro professore, come lei sa, oggi emarginata, semplicemente non va di moda. C, per un tipo di poesia che va di moda ancora oggi, forse pi che mai, ed quella cantata da migliaia di persone ai concerti di vari cantautori1. Daltra parte, una volta Fiorello ha avuto un discreto successo con la canzone fatta dalla poesia del suo amato Carducci, ma non credo abbia servito allalfabetizzazione poetica e sentimentale del grande pubblico. Anzi, non credo che abbia servito ad altro che ad aiutare a far imparare a memoria una poesia magari richiesta dal programma scolastico italiano. Il che apre unaltra questione importante, quella dellinsegnamento di letteratura. La nostra cultura, la nostra sensibilit sono sature al punto tale di rimanere spesso anestetizzate di fronte al dolore altrui come daltronde anche alla gioia propria. E i sistemi scolastici sono in genere poco propensi a sentire le ragioni profonde del fiore e dellamore, occupandosi di pi degli effetti immediati della rima; quelli inautentici, ripetitivi, appunto. In ogni caso, gi ai tempi dellOpera aperta Umberto Eco aveva spiegato questi fenomeni che ancor oggi possiamo in buona parte riconoscere, e che riguardano il problema di incomunicabilit fra il nostro mondo, le emozioni e le coscienze, diciamo cos, passando per la musica: Dunque il mondo non affatto come vorrebbe riprodurlo il sistema di linguaggio che giustamente l'artista di avanguardia rifiuta, ma si trova proprio scisso e dislogato, privato delle coordinate di un tempo, esattamente come privato delle coordinate canoniche il sistema di linguaggio che l'artista adotta. In questo senso l'artista che protesta sulle forme ha compiuto una duplice operazione: ha rifiutato un sistema di forme, e tuttavia non lo ha annullato nel suo rifiuto, ma ha agito al di dentro di esso (ne ha seguito alcune tendenze alla disgregazione che gi si andavano profilando come inevitabili), e quindi per sottrarsi a questo sistema e modificarlo ha tuttavia accettato di alienarsi parzialmente in esso, di accettarne le tendenze interne; d'altro canto, adottando una nuova grammatica fatta non tanto di moduli d'ordine quanto di un progetto permanente di disordine, ha accettato proprio il mondo in cui vive nei termini di crisi in cui esso si trova. Quindi di nuovo egli si compromesso, col mondo in cui vive, parlando un linguaggio che egli artista crede di avere inventato ma che invece gli suggerito dalla situazione in cui si trova; e tuttavia questa era la sola scelta che gli rimaneva, poich una delle tendenze negative della situazione in cui si trova proprio quella di ignorare che la crisi esiste e tentare continuamente di ridefinirla secondo quei moduli d'ordine dalla consunzione dei quali la crisi nata. Se l'artista cercasse di dominare il disordine della situazione presente rifacendosi ai moduli compromessi con la situazione entrata in crisi, in tal caso egli sarebbe veramente un mistificatore. Infatti, nel momento stesso in cui parlasse della situazione presente, darebbe a credere che al di fuori di questa esiste una situazione ideale, dalla quale egli pu giudicare la situazione reale; e convaliderebbe la fiducia in un mondo dell'ordine espresso da un linguaggio ordinato. Cos paradossalmente, mentre si crede che l'avanguardia artistica non abbia un rapporto con la Come nota anche professor Lorenzo Renzi nel suo libro Come leggere la poesia (Il Mulino, 1997).
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comunit degli altri uomini tra i quali vive, e si ritiene che l'arte tradizionale lo conservi, in realt accade il contrario: arroccata al limite estremo della comunicabilit, per quel tanto che autentica, l'avanguardia artistica l'unica a intrattenere un rapporto di significazione col mondo in cui vive.2 Le suggerisco inoltre di leggere, sempre nel Segnalibro, il brano intitolato Il rapporto con la luna, che credo trover estremamente interessante perch al problema di fiore e amore accosta i suggerimenti sulla nostra luna sbiadita, innominabile ormai, per via di troppo sfruttamento dei malintenzionati nellambito della poesia come nellambito dellinsegnamento della poesia, per dirla con Calvino. L stata riportata la lettera di Anna Maria Ortese a Italo Calvino3. Riporto qui una parte della risposta di Calvino: Cara Anna Maria Ortese, guardare il cielo stellato per consolarci delle brutture terrestri? Ma non le sembra una soluzione troppo comoda? Se si volesse portare il suo discorso alle estreme conseguenze, si finirebbe per dire: continui pure la terra ad andare di male in peggio, tanto io guardo il firmamento e ritrovo il mio equilibrio e la mia pace interiore. Non le pare di "strumentalizzarlo" malamente, questo cielo?4 () Quel che m'interessa invece tutto ci che appropriazione vera dello spazio e degli oggetti celesti, cio conoscenza: uscita dal nostro quadro limitato e certamente ingannevole, definizione d'un rapporto tra noi e l'universo extraumano. La luna, fin dall'antichit, ha significato per gli uomini questo desiderio, e la devozione lunare dei poeti cos si spiega. Ma la luna dei poeti ha qualcosa a che vedere con le immagini lattiginose e bucherellate che i razzi trasmettono? Forse non ancora; ma il fatto che siamo obbligati a ripensare la luna in un modo nuovo ci porter a ripensare in un modo nuovo tante cose.5
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Eco, Umberto, Opera aperta, Bompiani, Milano, 1967; Riportato secondo la nuova edizione del Segnalibro (Plato, Beograd, 2007, pp.316-321). 3 Corriere della Sera, 24 dicembre 1967, col titolo Occhi al cielo. Nella rubrica Filo diretto (consistente in scambi di lettere tra scrittori), Anna Maria Ortese scriveva a me e io le rispondevo. Riporto i passi principali della lettera della Ortese: Caro Calvino, non c' volta che sentendo parlare di lanci spaziali, di conquiste dello spazio, ecc., io non provi tristezza e fastidio, e nella tristezza c' del timore, nel fastidio dell'irritazione, forse sgomento e ansia. Mi domando perchAnch'io, come altri esseri umani, sono spesso portata a considerare l'immensit dello spazio che si apre al di l di qualsiasi orizzonte, e a chiedermi cos' veramente, cosa manifesta, da dove ebbe inizio e se mai avr fine. Osservazioni, timori, incertezze del genere hanno accompagnato la mia vita, e devo riconoscere che per quanto nessuna risposta si presentasse mai alla mia esigua saggezza, gli stessi silenzi che scendevano di l erano consolatori e capaci di restituirmi a un interiore equilibrio.[...] Ora, questo spazio, non importa da chi, forse da tutti i paesi progrediti, sottratto al desiderio di riposo, di ordine, di belt, allo straziante desiderio di riposo di gente che mi somiglia. Diventer fra breve, probabilmente, uno spazio edilizio.O nuovo territorio di caccia, di meccanico progresso, di corsa alla supremazia, al terrore. Non posso farci nulla, naturalmente, ma questa nuova avanzata della libert di alcuni, non mi piace. un lusso pagato da moltitudini che vedono diminuire ogni giorno di pi il proprio passo, la propria autonomia, la stessa intelligenza, il respiro, la speranza. 4 Io non voglio per esortarla all'entusiasmo per le magnifiche sorti cosmonautiche dell'umanit: me ne guardo bene. Le notizie di nuovi lanci spaziali sono episodi d'una lotta di supremazia terrestre e come tali interessano solo la storia dei modi sbagliati con cui ancora i governi e gli stati maggiori pretendono di decidere le sorti del mondo passando sopra la testa dei popoli. 5 Gli exploits spaziali sono diretti da persone a cui certo questo aspetto non importa, ma esse sono obbligate

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() Chi ama la luna davvero non si contenta di contemplarla come un'immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto pi stretto con lei, vuole vedere di pi nella luna, vuole che la luna dica di pi. Il pi grande scrittore della letteratura italiana d'ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa a un grado di precisione ed evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi, gran poeta lunare...6 Lei, caro professore, fa intuire inoltre la sua insofferenza nei confronti degli atteggiamenti pomposamente accademici messi in atto nellinterpretazione di testi letterari, accomunando i professoroni al professor uri e a me; e qui purtroppo posso soltanto capire che lei non abbia colto lo spirito del Segnalibro. Non facendo la distinzione fra noi e loro, caro professor Klajn, lei ha semplicemente commesso un errore, e mi propongo di farle vedere quanto si sbagliato ancora una volta con laiuto del Segnalibro, appunto. Non mi rimane quindi che difendere la nostra scelta servendoci dei testi che abbiamo proposto nella terza parte del Segnalibro, che sono praticamente gli strumenti per discutere le nostre scelte nella prima e nella seconda parte dellantologia. Dunque, nell Istruzione per leggere, per esempio, Edoardo Sanguineti, poeta e teorico, spiega anche il filo rosso che abbiamo in qualche modo seguito anche noi nellantologia (legga pure rima fiore-amore invece della parola canzone, nel testo di Sanguineti)7 e non credo che i professoroni che lei menziona come nostri complici lo farebbero: Anche dal punto di vista dei contenuti, delle idee, bench la canzone abbia avuto un
a valersi del lavoro di altre persone che invece s'interessano allo spazio e alla luna perch davvero vogliono sapere qualcosa di pi sullo spazio e sulla luna. Questo qualcosa che l'uomo acquista riguarda non solo le conoscenze specializzate degli scienziati ma anche il posto che queste cose hanno nell'immaginazione e nel linguaggio di tutti: e qui entriamo nei territori che la letteratura esplora e coltiva. 6 Da Una pietra sopra, Mondadori, Milano, 1995(Segnalibro, op.cit, pp. 338-340). 7 Lo stesso vale anche per il testo di Eco (di cui abbiamo gi riportato un brano): Ora, rifiutando con un sistema musicale un sistema di rapporti umani, cosa rifiuta e cosa fonda? Il sistema musicale che rifiuta apparentemente comunicativo, ma di fatto esaurito: produce clichs, stimola modelli di reazione standardizzati. A un certo giro melodico non pu pi corrispondere una reazione emotiva fresca e meravigliata, perch quel tipo di comunicazione musicale non stupisce pi nessuno: si sapeva gi tutto quel che sarebbe accaduto. Vediamo cosa avviene all'ultimo confine attuale della tonalit, la canzonetta alla San Remo: il ritmo non ci riserva sorprese, il terzinato ormai consueto; quando il verso termina con cuore non ci riserver pi sorpresa il sapere che la gioia di questo cuore toccato dall'amore si convertir in dolore ( una situazione tragica, ma non scuote pi nessuno, risaputa, canonica, rientra nell'ordine delle cose, a tal punto che non si pone neppure pi attenzione al vero significato della frase: sapere che il cuore toccato dall'amore precipita nel dolore un tipo di comunicazione che oggi ci riconferma la persuasione di vivere nel migliore dei mondi possibili), dal canto proprio melodia ed armonia, percorrendo i binari sicuri della grammatica tonale, non provocheranno in noi alcuno shock. Ora questo universo di rapporti umani che l'universo tonale ribadisce, questo universo ordinato e tranquillo che ci eravamo abituati a considerare ancora quello in cui viviamo? No, quello in cui viviamo il successore di questo, ed un universo in crisi. in crisi perch all'ordine delle parole non corrisponde pi un ordine delle cose (le parole si articolano ancora secondo l'ordine tradizionale mentre la scienza ci incita a vedere le cose disposte secondo altri ordini oppure addirittura disordine e discontinuit); in crisi perch la definizione dei sentimenti quale si sclerotizzata in espressioni stereotipe e nelle sue formulazioni etiche non corrisponde alla loro realt effettiva; perch il linguaggio riproduce una struttura dei fenomeni che non pi quella con cui i fenomeni si presentano nelle descrizioni operative che ne diamo; perch le regole di convivenza sociale si reggono su moduli d'ordine che non riproducono affatto lo squilibrio effettivo di questi rapporti(op. cit).

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pubblico larghissimo, in sostanza sempre rimasta prigioniera di atteggiamenti, per cos dire, piccolo-borghesi. Molta della protesta orientata in quel senso rimasta imparagonabile alla rottura espressiva proposta da tanta musica anglosassone, dai Rolling Stones ai Sex Pistols, per esempio, in cui radicalismo e anarchismo hanno raggiunto una violenza che da noi rimasta praticamente sconosciuta o veramente episodica ed eccezionale. Il limite della canzone italiana davvero anche un limite ideologico e di classe. Tentare l'esperimento del rap significava per me uscire davvero da questi confini, passare davvero ad altro: fare un lavoro, con un musicista, in una direzione che non rimanesse poi nemmeno prigioniera della forma del rap, ma la utilizzasse come una sorta di riferimento fondamentale, nell'organizzazione della struttura di un'esperienza spettacolare, senza rinunciare a nessuno degli elementi che oggi, sia la parola, sia il suono possono proporre. Io tendo sempre pi ad insistere sul momento anarchico come momento di pulsione della grande arte critica del Novecento. Se questo momento ha trovato incarnazione, non stato tanto nella forma della canzone all'italiana, quanto piuttosto nelle esperienze di certo rock violento e oggi, semmai, del rap e di altre espressioni di questo genere.8 Premettendo che la lettura un atto anarchico, e tale deve rimanere nellambito privato, nella solitudine della stanza com giusto che sia, adesso ci muoviamo verso la parte sociale della letteratura, e ancor di pi della lettura, di tipo universitario. A che cosa serve insegnare la letteratura alluniversit, lei si gi chiesto, se ricorda, in occasione della discussione della mia tesi sulla destrutturazione dellistituzione letteraria operata dalla poesia visiva? Ecco, ponendomi anchio varie volte negli anni questa domanda, credo di poter proporre una mia risposta per condividere le esperienze di lettura privata, di emozioni suscitate, che poi stanno anche alla base dei valori che costruiamo insieme; per poter dialogare su queste emozioni e questi valori, articolando cos le sensazioni intime, esprimendoli e comunicandoli agli altri, al gruppo, alla comunit. Di conseguenza, serve per costruire le piccole comunit universitarie, piccoli nuclei di sapere e sentire condiviso, nella speranza che continueranno a lievitare, a costruire, a leggere e a dialogare come hanno imparato a farlo durante gli anni universitari.9 Sono inoltre convinta che Lei, professore, sia molto pi anarchico di quanto crede, perch sono certa che questa sua lettera, fondamentalmente non rivolta a noi ma ai professoroni, con la sua autentica arrabbiatura, sia lunica vera reazione allinautenticit, alla manipolazione operata dai professoroni come lei li chiama, alloppressione che vorrebbe un canone unico e indiscutibile, quasi che la letteratura fosse un trionfo dellarroganza. Voglio chiudere questa piccola rassegna assetata di dubbi, di dialogo, di spunti, con un meraviglioso passo di Dario Fo sulla letteratura, ma anche sui sentimenti e il modo di provarli e condividerli. Mi pare che proprio questo Nobel abbia trovato una delle strade possibili, personalissima come lo il suo gusto, e proprio per questo autentica: Ecco, noi raccontavamo queste farse criminali ai ragazzi, agli studenti e loro ridevano come dei matti: dicevano di me e di Franca: Ma come sono simpatici, si inventano delle storie incredibili; non avevano assolutamente, neanche per l'anticamera
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Il testo di questo intervento il risultato di una conversazione con Edoardo Sanguineti, rielaborata insieme a lui. L'occasione di parlare di un esperimento di rap poetico si trasformata in un discorso ampio ed organico sulle relazioni tra la letteratura e la musica, nella tradizione, nel nostro secolo e nelle loro potenzialit future.(preso da Segnalibro, op. cit, pp. 355-359). 9 Kenet Gergen i Meri Gergen (2006) Socijalna konstrukcija ulazak u dijalog, Beograd: Zepter Book World; Burbules, N.C. (1993) Dialogue in Teaching, New York: Teachers College Press.

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del cervello, l'idea che quello che raccontavamo fosse vero. Allora sempre di pi siamo convinti, come incitava Savinio, un grande poeta italiano: raccontate, uomini, la vostra storia. Il nostro dovere di intellettuali, di gente che monta in cattedra o sul palcoscenico, che parla soprattutto con i giovani quello non soltanto di insegnare come si muovono le braccia, come si respira per recitare, come si usa lo stomaco, la voce, il falsetto, il contraccampo. Non basta insegnare uno stile: bisogna informarli di quello che succede intorno. Loro devono raccontare la loro storia. Un teatro, una letteratura, una espressione d'arte che non parli del proprio tempo inesistente. Io sono andato ultimamente a un grande congresso con tantissima gente e cercavo di spiegare a loro e soprattutto ai giovani un processo che si svolto in Italia, un processo che si sviluppato in sette processi; alla fine di questi processi, tre politici di sinistra sono stati condannati a 21 anni di carcere, accusati di aver trucidato un commissario di polizia. Io ho studiato le carte del processo come avevo fatto con Morte accidentale di un anarchico. Ebbene, raccontavo i fatti di questo processo assurdo, addirittura farsesco nel modo in cui stato condotto, e a un certo punto ho capito che parlavo nel vuoto perch la gente non era al corrente degli antefatti, non conosceva cosa era successo cinque anni prima, dieci anni prima: le violenze, il terrorismo, niente sapeva, non sapeva delle stragi di stato avvenute in Italia, n dei treni che sono saltati in aria, n delle bombe nelle piazze, n dei processi che sono stati portati avanti come farse. Il guaio terribile che per raccontare la storia di oggi devo cominciare a raccontare la storia da trent'anni fa a venire avanti, non mi basta raccontare di adesso; e state attenti, questo succede dappertutto, in tutta l'Europa. Io ho provato in Spagna ed era lo stesso discorso, ho provato in Francia, ho provato in Germania, devo ancora provare qui da voi in Svezia, ma verr a provare.10 Lei ha scritto di voler discutere con noi, sulle nostre scelte e sulla poesia. Non lo abbiamo mai fatto, chiss perch. Forse il caso di riavviare il dialogo, magari simbolicamente proprio con questo mio piccolo saggio. Dipender certamente anche dalla sua disponibilit di farlo oggi. La ringrazio comunque per la sua suprema prova di apertura, umilt e umanit, doti che gi sapevo indispensabili per uno studioso della sua portata. Grazie per aver offerto un modello di comunicazione straordinario, se si pensa che ormai siamo troppo abituati alla comunicazione come una dichiarazione di guerra, o peggio, un bombardamento senza preavviso; oppure - sanzioni mai dichiarate, mai spiegate, sempre e comunque ingiuste. Lei ha rotto un sottovuoto di solitudine che spesso avvolge il nostro mondo accademico, stranamente, forse soprattutto riguardo alle questioni fondamentali sulle quali basiamo le nostre esistenze di insegnanti. In parole povere, caro professore, Lei ha comunicato in modo diretto, pi profondo e autentico rispetto alle solite chiacchiere da salotto, e ha colpito nel segno. Con profonda stima e altrettanto affetto, Duica

P.S. Forse mi chieder perch non ho voluto parlare direttamente delle poesie che lei avrebbe voluto leggere nellantologia, e ho preferito invece portare questo discorso in acque pi profonde, toccando altre poesie e altri argomenti. Lho fatto perch ho colto nella sua lettera i temi su cui volevo trattenermi, come ho appena fatto, ma anche perch non volevo aggiungere niente alle sue

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Segnalibro, op.cit, pp. 305-310.

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interpretazioni delle sue poesie preferite bellissime tutte due, sia le poesie che le letture. Le aggiunger per, con il suo permesso, ai materiali delle mie lezioni di letteratura. Duica Todorovi Lacava O CVETU I O LJUBAVI (R e z i m e) Naa namera bila je da otvorimo diskusiju o pitanju kriterijuma za izbor tekstova u nastavi knjievnosti polazei od izbora tekstova za antologiju Segnalibro. Polazei od ideja socijalnog konstruktivizma u tekstu se nadovezujemo na dijaloku metodiku u nastavi knjievnosti i predlaemo princip otvorenog izbora koji je podloan preispitivanju, diskusiji i integraciji, u zavisnosti od linih afiniteta uesnika u inu itanja.

Persida LAZAREVI DI GIACOMO (Universit di Pescara)

A PROPOSITO DEGLI SLAVI MERIDIONALI: HEINRICH STIEGLITZ E PACIFICO VALUSSI


Parole chiave: Slavi meridionali, Risorgimento, Heinrich Stieglitz, Pacifico Valussi, circolo culturale triestino. Nello studio intitolato Iz nemako-jugoslovenskih knjievnih veza: Hajnrih tiglic (1801-1849)1, Olga Elermajer-ivoti ha trattato ampiamente, tra i vari argomenti, anche il rapporto culturale e letterario tra lo scrittore tedesco Heinrich Stieglitz e il letterato italiano Niccol Tommaseo. Tommaseo e Stieglitz si conobbero durante il viaggio con la nave a vapore da Zara verso Sebenico probabilmente il 27 o il 28 settembre del 1839. In quelloccasione Stieglitz alloggi alcuni giorni da Tommaseo a Sebenico, anche se non escluso che gli abbia fatto visita almeno un'altra volta ancora. Lautrice rileva che tiglicov susret sa N. Tomazeom [je] bio [...] najznaajniji u nizu poznanstava u Dalmaciji2, e che il rapporto dello scrittore tedesco nei confronti di Tommaseo fosse altalenante3; tuttavia, nonostante i disaccordi, lamicizia tra i due dur fino alla morte di Stieglitz avvenuta nel 18494, e cio: Dok ga je do zavretka knjige o Istri i Dalmaciji krajem avgusta 1844. godine odravalo zajedniko interesovanje za kulturni preporod junoslovenskih naroda, ono se za vreme revolucije 1848. godine pretvorilo u saradnju i zajedniku borbu za osloboenje Venecije od Austrije.5 Stieglitz si dedic tanto alla causa della liberazione italiana dallAustria quanto allunione della Germania: Ideal mu je bila ravnopravna kulturno-politika saradnja izmeu ujedinjenih evropskih naroda, meu kojima su idealne uslove za ostvarenje takve saradnje, po njemu, imali pre svih Nemci i Italijani.6 Una simile evoluzione dei rapporti e dei ruoli, che va dallinteresse per i popoli slavi meridionali fino alla partecipazione alla rivoluzione del 1848 a Venezia, si pu riscontrare anche nei vari aspetti dei rapporti di amicizia e conoscenza tra Heinrich Stieglitz e Pacifico Valussi, amico anchegli di Niccol Tommaseo e uno dei membri del cosiddetto circolo culturale
Beograd, SANU, Posebna izdanja knj. DCVIII, Odeljenje jezika i knjievnosti, knj. 44, 1991. Ibid., p. 117. 3 Ibid., p. 120. Cfr.: Ibid., p. 121: tiglicov izrazito negativan odnos prema Tomazeu knjievniku, iznet u drugom delu portreta i prouzrokovan Tomazeovim omalovaavajuim sudovima o Geteu i ileru, izazvao je krizu u njihovom odnosu posle pojave tiglicove knjige. Sullamicizia tra Tommaseo e Stieglitz cfr.: R. Ciampini, Vita di Niccol Tommaseo, Firenze, Sansoni, 1945, pp. 321-327. Cfr. inoltre: E. Broll, Niccol Tommaseo e Enrico Stieglitz, La Porta Orientale, a. XXVII, 1957, nn. 9-10, p. 357. 4 O. Elermajer-ivoti, Iz nemako-jugoslovenskih knjievnih veza: Hajnrih tiglic (1801-1809), op. cit., p. 126. 5 Ibid., p. 126. Lautrice si riferisce allopera di Stieglitz, Istrien und Dalmatien. Briefe und Erinnerungen, Stuttgart und Tbingen, J. G. Cottasche Buchhandlung, 1845. 6 O. Elermajer-ivoti, Iz nemako-jugoslovenskih knjievnih veza: Hajnrih tiglic (1801-1809), op. cit., p. 56.
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triestino. Pacifico Valussi7 lavorava, allepoca, come giornalista a Trieste e, insieme a una stretta cerchia di amici e collaboratori italiani - quali Francesco DallOngaro8, Antonio Gazzoletti9, Caterina Percoto10, Federico Seismit Doda11 - e di collaboratori slavi quali Orsatto Pozza (Medo Puci), Ivan August Kaznai ed altri ancora - dirigeva la rivista italiana La Favilla12 che si occupava, tra le altre cose, anche di questioni legate agli slavi meridionali. Questo gruppo di operatori culturali era sollecitato dallattivit politica e culturale di Giuseppe Mazzini e di Niccol Tommaseo, e a loro Tommaseo dava un sostegno che non si limitava soltanto alla rivista summenzionata, ma contemplava soprattutto la divulgazione, tra il pubblico italiano, del tesoro culturale degli slavi meridionali e degli slavi in generale. Valussi e DallOngaro pubblicano allora articoli da tutta lEuropa poich, come ritiene Valussi, la letteratura europea collegata come in una repubblica federale, e il compito di ogni letteratura consiste nellessere in armonia con le letterature straniere13. I redattori della rivista, DallOngaro e Valussi, poi, spiegano perch danno tanta rilevanza agli slavi quanto alla loro cultura: Ci chiedono alcuni perch cos spesso si occupi la Favilla, giornale italiano, del popolo e delle cose illiriche. Questa domanda suppone un rimprovero, al quale non vorremmo
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Pacifico Valussi (Talmassons, 1813Udine, 1893), giornalista e scrittore friulano. Era direttore di alcuni giornali a Trieste (La Favilla, lOsservatore Triestino), a Venezia (Fatti e Parole, Il Precursore, La Fratellanza de Popoli), a Milano (La Perseveranza) e a Udine (Il Friuli, lAnnotatore Friulano, La Giunta domenicale al Friuli). Partecip attivamente al Risorgimento e alla creazione dellItalia a fianco dei noti rivoluzionari italiani (Lorenzo Valerio) e stranieri (Eugen Kvaternik). Fortemente legato dallamicizia e dalla parentela con Francesco DallOngaro (spos la sorella di DallOngaro, Teresa), Valussi fu uno dei suoi - e di Tommaseo - pi cari amici, per il quale Tommaseo disse che era Uno de giovani a quali laffetto si leva pi puro in luce dingegno []. (N. Tommaseo, Intorno a cose dalmatiche e triestine, Trieste, I. Papsch, 1847, p. 142). Oltre ai numerosi articoli, Valussi autore delle seguenti opere: Scritti vari, Udine Tip. Trombetti-Murero, 1852; Del rinnovamento economico dellIstria, Fiume/Trieste, Libreria Schubart, 1857; Trieste e lIstria e le loro ragioni nella Quistione Italiana, Milano, Libreria Brigola, 1861; Napoleone III, Torino, Unione Tip. Edit, 1861; Caratteri della civilt novella in Italia, Udine, edit. P. Gambierasi, 1868. Su Valussi v.: L. Fracassetti, Pacifico Valussi saggio biografico critico, Udine, G. B. Doretti, 1894; F. Fattorello, Pacifico Valussi, Udine, Editrice R. Scuola Complementare e Secondaria dAvviamento al Lavoro, 1931; R. Tirelli, Pacifico Valussi. Primo giornalista friulano 1813-1893, Tricesimo (UD), Roberto Vattori Editore, s.a. 8 Francesco DallOngaro (1808-1873), poeta e patriota. Partecip alla rivoluzione del 1848 a Venezia, fu in seguito il braccio destro di Garibaldi e deputato nellAssemblea Costituente di Roma. DallOngaro autore di alcune opere con tematica slava - I Dalmati (1847), Yella ou la fiance du Montngro. Nouvelle (1858), La resurrezione di Marco Cralievic (1863), Marko Cralievich. Trilogia (1866) - oltre a numerosi articoli sulla tradizione orale slavomedirionale. 9 Antonio Gazzoletti (1813-1866), poeta e avvocato, originario di Trento, trascorse la maggior parte della sua vita a Trieste. lautore di una famosa poesia patriottica Qual la patria dellItaliano? Scrisse le seguenti opere: Memorie e fantasie (1842), Poesie (1846), La grotta dAdelberga, canti tre (1853). 10 Caterina Percoto (1812-1887), scrittrice. Nelle sue opere la Percoto descrive la gente e gli avvenimenti della sua regione. famosa la sua raccolta di Racconti (1858), ed anche le Novelle scelte (1880), nonch il racconto ispirato alla tradizione slavomeridionale, La resurrezione di Marco Craglievich. 11 Federico Seismit-Doda (1825-1893), dalmata, nato a Ragusa, patriota italiano e pi volte ministro delle finanze nel governo italiano, part nellautunno del 1846 per la Dalmazia insieme allattrice Adelia Arrivabene. Alla vista della sua patria, visibilmente commosso, compose lInno alla Dalmazia. V.: L. G. Sanzin, Federico Seismit-Doda nel Risorgimento, Rocca San Casciano, Cappelli, 1950, p. 9; R. Barbiera, Vite ardenti nel Teatro, Milano, Fratelli Treves Editori, 1931, pp. 257-258. 12 B. Stulli, Transka Favilla i Juni Slaveni, Anali Jadranskog instituta JAZU, I, Zagreb, 1956, pp. 782. 13 P. Valussi, Gallofagi e Gallomani, La Favilla, 1843, a. VIII, n. 19, pp. 304-308.

A proposito degli Slavi meridionali: Heinrich Stieglitz e Pacifico Valussi

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essere assoggettati senza addurre un perch. Ci doleva che in mezzo a tanto movimento, a tanto ardore che mostrano tutte le nazioni dEuropa per ci che concerne la storia e la letteratura slava, non ancora alcun giornale italiano navesse preso una qualche parte.14 E alla mancanza di studi sulla cultura slava potrebbe sopperire proprio la Favilla perch oltre che geograficamente e storicamente vicina alle popolazioni illiriche, La Favilla quella che [] edita in una citt mista, circondata da popoli dorigine slava, posta sul confine dellItalia e della Germania, doveva mostrare una fisionomia dove le tre nazioni in certa misura si distinguessero.15 In seguito Valussi, che a Trieste e a Venezia dirigeva anche altre riviste in cui continuava a pubblicare articoli con temi slavi, si giustificava con i lettori, in unaltra occasione, per il suo grande interesse per il mondo slavo: Domando scusa ai lettori, se cos di frequente torno sullimportante quistione della Slavia meridionale: m duopo occuparmene appunto perch altri nol fa.16 A contatto con questo gruppo di letterati vicini ai popoli slavi e a quelli germanici, cera anche Heinrich Stieglitz stesso, le cui traduzioni venivano pi volte pubblicate nella summenzionata rivista triestina17. Dagli scritti di Valussi, e dalle sue lettere indirizzate a Tommaseo, ricaviamo maggiori dettagli sulla collaborazione e i contatti culturali tra Stieglitz, Tommaseo e i sopra citati letterati e collaboratori culturali cos come sul ruolo da loro svolto nella conoscenza della storia culturale degli slavi meridionali. Poich Tommaseo, Ogniquavolta gliene capit loccasione, proclam e scrisse che gli Italiani dovevano stringere corrispondenza di notizie e di affetti con quella parte della Germania a cui giova amare lItalia, e con i popoli slavi, sempre pi insofferenti del giogo metternichiano.18 Il 12 febbraio del 1842 Tommaseo pubblic la sua prima lettera aperta a Heinrich Stieglitz19, nella quale, gi in apertura, scrive al letterato tedesco quanto segue: Noi che tra questi ponti e questi palazzi ricchi di memorie possenti e men caduche di loro, conduciamo la vita, abbiamo s rari colloquii, come se lAdriatico ci tenesse separati. E verr tempo che il rammentare la conoscenza stretta con voi sul vapore lungo le coste dalmatiche, e la cordiale ospitalit nella casa di quel dottore Solitro che ai medici de piccoli paesi offre esempio di nobile perseveranza nellamor degli studi, e la gita alle ruine di Salona in una giornata piovigginante dellultimo autunno, a me dester pentimento del non avere qui pi sovente approfittato della conversazione vostra. Perch nel comunicare che fanno insieme uomini di differenti patrie e abitudini e opinioni, ma pure congiunti da qualche comune sentimento, leducazione dellanima si compisce, e la
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Dei canti popolari illirici, La Favilla, 15/12/1843, a. VIII, n. XXIII, p. 368. Ibid, p. 369. 16 P. Valussi, Una voce dalla Slavia, Il Precursore, 18/03/1849. 17 Oltre alla direzione della rivista La Favilla, del tutto possibile che uno dei luoghi di confluenza della vita culturale a Trieste fosse anche la libreria dello stampatore e libraio Favarger (il quale nel 1845 possedeva il libro di Stieglitz Ueber die literarische Bildung der Jugend) attraverso il quale Stieglitz sbrigava i suoi affari letterari; Favarger, inoltre, difondeva anche i libri di Vuk Stefanovi Karadi. V.: O. Elermajer-ivoti, Iz nemako-jugoslovenskih knjievnih veza: Hajnrih tiglic (1801-1849), op. cit., p. 298. 18 J. Pirjevec, Niccol Tommaseo tra Italia e Slavia, Venezia, Marsilio Editori, 1977, p. 109. 19 Ad Enrico Stieglitz, La Favilla, 12/02/1842; ristampa in Studi critici, Venezia, parte seconda, Giorgio A. Andruzzi, 1853, pp. 321-329, poi in Dizionario Estetico, Milano, Per Giuseppe Reina, 1858, pp. 374376; e postumo, in Scritti editi e inediti sulla Dalmazia e sui popoli slavi, a cura di R. Ciampini, Firenze, Sansoni, 1943, pp. 114-120. Sulla lettera di Tommaseo scrisse anche Kukuljevi-Sakcinski in Danica ilirska, a. IX, 17/06/1843, n. 24.

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diversit discordante si muta in armonica variet. E veramente al modo come voi Annoverese sentite lItalia, io vaffermo pi italiano che italiani di molti. Dellaffetto che avete posto alla povera mia Dalmazia, fa fede gi quel volume che intorno al Montenero stampaste nella vostra lingua, la quale a me dispiacere continuo lignorare. E spero che della rimanente provincia non sar taciuto da voi, e additatine i beni con lode parca, i mali con abbondante piet. Tommaseo, poi, nel ripercorrere la storia delle conoscenze dei letterati occidentali con i popoli slavi meridionali, e soprattutto con la Dalmazia, e nel citare Alberto Fortis, Charles Nodier e Ami Bou, con questa lettera indirizzata a Stieglitz, apre in realt la via alla rivista triestina La Favilla affinch si occupasse di cose slave20. Si rivolge, in chiusura, direttamente a Stieglitz: A voi che que luoghi amate, la mia chiacchierata non sar, spero, discara. I Tedeschi, meglio forse chaltra nazione qualsiasi, sanno le altre nazioni intendere, e senza servile imitazione onorare: appunto come la lingua loro pu (mi dicono) di tutte ricevere impronta, e non perdere il suo proprio rilievo. Ritornato alla vostra Germania, non dimenticate, prego, Venezia, n la Dalmazia, n il vostro T.21 Tuttavia, prima del soggiorno nella citt lagunare, Stieglitz soggiorn a Trieste, e l ebbe occasione di conoscere anche Valussi, probabilmente grazie a Tommaseo. il primo periodo, triestino, della conoscenza tra i due intellettuali. Successivamente nelle sue memorie Valussi ricorder cos il suo rapporto con Stieglitz: Lo Stieglitz era un poeta tedesco, che da alcuni anni viveva in Italia. Lo avevo conosciuto e praticato a Trieste. Si narrava di lui, ed il Gazzoletti lo ripet in alcuni suoi versi, che coi suoi slanci di poesia aveva innamorato la sua Carolina, che intese di sposare luomo, ma pi forse il poeta, che cominciava a camminare sulle vie della celebrit. Che cosa avvenisse non so; ma il fatto , che, forse per non trovare in s tutto quello che aveva sperato, improvvisamente di nel matto, o piuttosto in un certo stupore, come se patisse un assopimento del cervello. I medici dissero alla Carolina, che forse avrebbe potuto riaversi con una grande scossa morale, e la donna innamorata, per dargliela questa scossa, si uccise.22 Evidentemente Valussi conosceva bene Stieglitz, e a favore di questa ipotesi va anche il seguente evento: Lo Stieglitz guar; ma udite cosa tocc a me. Con lui stavo una sera a Trieste di notte sul Molo, pigliando un po daria fresca; quando questuomo, cos quieto per solito, mi prese
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J. Pirjevec, Niccol Tommaseo tra Italia e Slavia, op. cit., p. 68. Tommaseo scrisse anche unaltra lettera pubblica a Stieglitz, il 9 dicembre 1848, A un Tedesco N. Tommaseo, Raccolta decreti e scritture, vol. V, pp. 271-273, parzialmente anche in Venezia negli anni 1848 e 1849, Firenze, F. Le Monnier, 1950, p. 227. 22 P. Valussi, Dalla memoria dun vecchio giornalista dellepoca del Risorgimento italiano, Udine, Tip. A. Pellegrini, 1967, p. 111. Cfr.: G. Caprin, Tempi andati. Pagine della vita triestina (1830-1848), Trieste, Stab. Artistico Tipografico G. Caprin, 1891, pp. 99-100.

A proposito degli Slavi meridionali: Heinrich Stieglitz e Pacifico Valussi

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improvvisamente per il collo dicendomi: E se io matto vi prendessi per il collo e vi gettassi in mare! - Io procurerei di gettare in mare voi stesso dissi io, sorpreso da quella carezza inaspettata, e cercai di ricondurlo a poco a poco quietamente verso labitato.23 possibile quindi dedurre che Tommaseo, Stieglitz e Valussi spesso, se non forse anche regolarmente, si frequentavano e scambiavano le loro opinioni. Cos, per esempio, due giorni prima della lettera di Tommaseo indirizzata a Stieglitz, Valussi scriveva a Tommaseo: Ancora non ho potuto vedere lopera dello Stieglitz: quando lavr vedr.24 Valussi qui probabilmente si riferisce al libro di Stieglitz, Ein Besuch auf Montenegro pubblicato nel 184125. Subito dopo, cio dopo quella prima lettera aperta di Tommaseo allo scrittore tedesco, Valussi si fa sentire: Ho letto il libro dello Stieglitz26, promettendo in quelloccasione che avrebbe sicuramente scritto qualcosa sullautore e sullopera in questione. In merito alla prima lettera di Tommaseo, in quel periodo al Dalmata si rivolse da Trieste anche Francesco DallOngaro, amico e cognato di Valussi, nonch suo collaboratore nella direzione della rivista La Favilla: La vostra lettera allo Stieglitz piacque ai Dalmati di qui, e fu letta con avidit. Spero non sar lultima cosa che regalerete alla povera Favilla, la quale non frutta molto questanno, ma acquister decoro.27 Nel maggio dello stesso anno Valussi informava Tommaseo circa gli articoli che sarebbero dovuti essere pubblicati nella Favilla, specie quelli che si riferiscono agli Studj sugli Slavi dei due ragusei, Medo Puci e Ivan August Kaznai, perch proprio da quel 1842 la rivista triestina in questione cominci ad occuparsi sistematicamente delle questioni degli slavi meridionali28. In quelloccasione Valussi scriveva: Pel prossimo numero della Favilla tradurr un brano del libro dello Stieglitz e ci saranno anche due Studj sugli Slavi di due giovani Dalmati [].29 Qui Valussi, il quale supponiamo non abbia tradotto i testi da solo, ma si avvaleva, molto probabilmente, dellaiuto del suo collaboratore Giacomo Chiudina (Jakov udina)30, si riferisce senza dubbio al frammento che in seguito fu pubblicato nella Favilla con il titolo Scontro fra le truppe austriache ed i Montenegrini nel 183831 e che costituisce, in realt, la traduzione delle pagine 13-25 di un passo del libro di Stieglitz Ein Besuch auf Montenegro. Valussi non deve essere stato contento di questo frammento quando in quei giorni scriveva a Tommaseo di [] quei versi e due articoletti sugli Slavi che trovansi nella Favilla uscita oggi. Ivi anche una

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P. Valussi, Dalla memoria dun vecchio giornalista dellepoca del Risorgimento Italiano, op. cit., p. 111. BNCF, Tomm. 142, 5 (n. 17) del 10/02/1842. 25 Ein Besuch auf Montenegro von Heinrich Stieglitz (Reisen und Lnder beschreibungen der lteren und neuesten Zeit, eine Sammlung der interessantesten Werke ber Lnder und Staaten-Kunde, Geographie und Statistik. Hrsg. v. Dr. Eduard Widenmann und Dr. Hermann Hauff. 21. Lieferung.) Stuttgart und Tbingen (J.G. Cottasche Buchhandlung), 1841. 26 BNCF, Tomm. 142, 5 (n. 19) del 24/02/1842. 27 A. De Gubernatis, F. DallOngaro e il suo epistolario scelto, Firenze, Tipografia Editrice dellAssociazione, 1875, p. 126. 28 B. Stulli, Transka Favilla i Juni Slaveni, op. cit., pp. 35-42. 29 BNCF, Tomm., 142, 5, n. 20, del 05/05/1842. 30 Giacomo Chiudina (1825-1900), insegnante di lingua illirica alla Scuola Nautica a Trieste. In quanto cultore dalmata della tradizione popolare, ha tradotto il metro della poesia popolare serbo-croata con metri tradizionali italiani (come Niccol Giaxich, Ferdinando Pellegrini, Giuseppe Ferrari Cupilli e altri): Canti del popolo slavo. Tradotti in versi italiani con illustrazioni sulla letteratura e sui costumi slavi, Firenze, coi tipi di M. Cellini, 1878. 31 La Favilla, 1842, a. VII, n. 8, pp. 125-135.

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traduzione frettolosa al solito dallo Stieglitz. Non delle sue migliori.32 E Stieglitz deve aver richiesto una copia di quel numero della rivista visto che DallOngaro rispose cos: Venne un amico dello Stieglitz a domandare per esso una copia della Favilla dove detto di lui [].33 Un altro momento saliente della conoscenza di Valussi con Stieglitz riguarda il tempo passato a Venezia durante il rivoluzionario 1848. Quellanno Valussi lascia Trieste e la redazione del giornale lOsservatore Triestino e parte, su invito di Tommaseo, per Venezia a dirigere la Gazzetta Ufficiale34. Allo stesso tempo, con un gruppo di collaboratori, comincia a pubblicare anche unaltra rivista, Fatti e Parole. Valussi ricorda cos quei tempi: A Venezia, quandio lavoravo ad ora tarda nel mio ufficio nel Palazzo del Governo dalla parte della Laguna, veniva spesso a trovarmi, ed a godere il profumo dei fiori che saliva dal sottoposto giardino, e la vista incantevole dei monumenti che stavano di fronte, quando dietro ad essi spuntava la luna e gettava degli sprazzi di luce sullonda guizzante, sopra la quale sovente passavano delle barche, da cui uscivano i canti popolari inventati nelloccasione. Egli stava l sovente estatico per un paio dore come un innamorato. Sovente lo trovavo nel passeggio in Piazzetta.35 In quel periodo Valussi cominci a dirigere da solo anche unaltra rivista, Il Precursore che insieme a Fatti e Parole divulgava le idee della lotta patriottica degli italiani. Joe Pirjevec ritiene che, per quanto Valussi conoscesse bene il mondo slavo, il contributo ad una migliore conoscenza dei popoli slavi meridionali gli fu dato in realt proprio dalla conoscenza degli stranieri che allepoca soggiornavano a Venezia, e soprattutto dalla conoscenza di un poeta tedesco, cio di [] Enrico Stieglitz, e di un letterato sloveno, Vincenzo Klun. Ambedue familiari del Manin e del Tommaseo, essi si muovevano nella cerchia di quei patrioti veneziani, che strenuamente lottavano per la conservazione della repubblica. [] Per la loro familiarit col mondo germanico e slavo, essi contribuirono indubbiamente a rendere i giornali del Valussi cos aperti ai problemi europei.36 E per la verit, similmente a Tommaseo, di questo periodo anche unaltra lettera aperta, piuttosto lunga, ma questa volta da parte di Pacifico Valussi indirizzata allo scrittore tedesco, ovvero Ad Enrico Stieglitz. Lettera di Pacifico Vlaussi37, la quale si apre cos: Voi lo diceste, o caro Stieglitz: la politica non ha cuore; ed io aggiungo, chessa ingiusta e cieca. Gli uomini di cuore, che aveano veduto aprirsi questo memorabile anno 1848 al
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BNCF, Tomm. 142, 6-7bis, [s.d.]. A. De Gubernatis, F. DallOngaro e il suo epistolario scelto, op. cit., p. 127, lettera del 07/07/1842. 34 P. Valussi, Dalla memoria dun vecchio giornalista dellepoca del Risorgimento italiano, op. cit., pp. 8586. 35 Ibid, pp. 111-112. 36 G. Pierazzi, Studi sui rapporti italo-jugoslavi (1848-49), Archivio storico italiano, Dispensa II, 1972, a. CXXX, 474, p. 221. 37 Il Precursore, 26/11/1848, n. 4. Cfr.: G. Pierazzi, Vincenc Ferreri Klun in beneka revolucija 18481849, Zgodovinski asopis, a. XXVI, 1972, p. 83: Insieme al poeta romantico tedesco Heinrich Stieglitz egli [Klun] fu corrispondente da Venezia della autorevole Allgemeine Zeitung.

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roseo sorriso dellaurora di quella libert e civile societ de Popoli, che in loro mente vagheggiavano lintera vita, assistono scorati allo spirare dellanno medesimo, ai funerali delle concette speranze, a cui la politica fa da becchino.38 Valussi continua poi nello stesso tono: Voi, buon tedesco, che amate la vostra Nazione, vi gloriate di quanto ella oper di grande, vi dolete degli errori suoi, avete fatto il debito vostro quando, da Roma, dove assisteste ai principii del rinascimento della vita pubblica in Italia, ne faceste parte alla Germania (I) augurando da quei principii un bellavvenire, a cui avrebbero del pari partecipato Italiani e Tedeschi. Il debito vostro faceste, quando vi frammetteste fra la Germania e lItalia (2) consigliero di pace, persuadendo alla Nazione tedesca di assorbire in s quanto laustria le porgeva di assimilabile, lasciando che lItalia compiesse cogli elementi suoi proprii la sua formazione, a cui quella potenza, avversa del pari alle libert delle due Nazioni, era finora precipuo ostacolo. Il seguente passo mostra le concezioni di Valussi sulla formazione della Slavia meridionale: Valussi allepoca era convinto che agli italiani sicuramente sarebbe stato utile aiutare la formazione della Jugoslavia, e che gli slavi meridionali avrebbero fatto molto bene ad unirsi e a resistere in quel modo alle tendenze panslaviste russe. Valussi, allo stesso modo di Tommaseo, non guardava con simpatia il panslavismo che veniva dalla parte russa39: Questa voce di pace, che veniva dallAdria, non tempestosa, ma quieta, non la si volle intendere. Che importa? Voi faceste il debito vostro e vi debbono esser grati del pari i buoni Tedeschi e glItaliani. Invece di costituire questi e quelli unalleanza dinteressi fra i Popoli dellEuropa centrale da opporsi alle mire invaditrici delle potenze vicine, noi gli vediamo ostinarsi nelloppressione luno dellaltro, e nelle loro interne divisioni, mentre la Francia repubblicana e la Russia asiatica minacciano ai confini. Dalle rupi del Montenegro, ove vedevate battere lala sinistra il mostruoso fantasma del panslavismo, voi gridaste alla Germania vostra: Caveant consules [] La voce della stampa tedesca tenne per molti anni desta la Germania; se non ch questa, stanca forse dal lungo vegliare, saddorment appunto allora che il pericolo, di lontano che era si fece pi prossimo. Poich il Parlamento tedesco non fu n abbastanza giusto, n abbastanza saggio da imporre a Vienna di riconoscere la Nazione italiana, esso dovette subire lumiliazione di dolersi invano, che i Croati di Jellacich ed i Boemi di Windischgrtz vi andassero ad abbattere i tre colori germanici, ed a combattere, nei liberi Tedeschi, i nemici degli Slavi. Anche il Parlamento di Francoforte ebbe il suo: troppo tardi, quando decret la separazione dellAustria tedesca, dalla non tedesca. Se la Germania e lItalia, costituite entrambi in Nazioni entro a loro naturali confini, non ajutano daccordo la formazione duna Slavia meridionale, la separazione dellAustria avverr tutta a profitto della Russia.40
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Il Precursore, 26/11/1848, n. 4. J. Pirjevec, Niccol Tommaseo tra Italia e Slavia, op. cit., p. 90: Il Tommaseo aveva aderito allidea del pericolo russo fin dal 28, ma la sua avversione, col volger degli anni, and trasformandosi in vera fobia, []. Al suo ritorno in Dalmazia, non gli fu difficile, pertanto, credere alle affermazioni ungheresi, che le prime vittime, ma vittime in parte consenzienti del colosso russo, sarebbero stati gli Slavi meridionali. 40 Il Precursore, 26/11/1848, n. 4. V.: S. Obad, Sukob talijanskih i austrijskih interesa na Jadranu u Revoluciji 1848/49. godine, Pomorski zbornik, knj. 6, 1968, pp. 531-538.

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Rammenta in quelloccasione Valussi la lotta rivoluzionaria dei suoi concittadini nellItalia settentrionale. Si ricorda quanto erano importanti le organizzazioni e i movimenti segreti, probabilmente tenendo in mente il moto slavo di cui ha parlato il suo amico Francesco DallOngaro41: Lunica vita della Nazione italiana, prima chessa cominciasse la sua lotta mortale, era nelle segrete cospirazioni, e nella lenta opera educatrice di alcuni pochi, i quali trovando chiuso alloperare il presente, miravano ad un rimoto avvenire. Noi non ci conoscevamo nemmeno: cosicch gran parte delle nostre discordie proviene dal non aver mai gli spiriti potuto comunicare francamente, in guisa da formare una pubblica opinione. Noi siamo tutti daccordo quando si tratti dellaffetto che portiamo allItalia nostra; il cuore dei buoni insomma uno. Ma discordiamo sovente allorch se nappella allintelletto, perch nel muto lavoro delle menti durante tanti anni di silenzio pot avvenire, che molti chiamassero duno stesso nome cose diverse, e viceversa.42 Valussi continua poi sul moto rivoluzionario che aveva interessato tutta lEuropa nel 1848, e sulla soldatesca degli slavi meridionali, specie degli slavi della Krajina, che combattevano dalla parte degli austriaci e contro gli italiani: Or bene, per quanto inetti siensi mostrati allazione i liberali della vecchia scuola, nessuno immagini che quella del 1848 sia una convulsione duna generazione che si spegne. Questa volta il moto dun Popolo: ed i giorni dei Popoli sono anni nella vita dun uomo. La societ italiana s scossa fino nel profondo. Troppo si sper, troppo si temette di perdere le antiche speranze, troppo si soffr, troppo sangue si sparse, troppi errori si commisero, troppe famiglie piangono le sostanze ed i figli perduti, troppo passato e troppo avvenire di noi tutti compreso nel presente dadesso, perch le cose possano ricomporsi nello stato di prima. Noi intendiamo la religiosa ammirazione che voi serbate al vostro poeta guerriero, a Giusto Krner, che nel 1813 precedeva cantando le schiere tedesche che marciavano alla cacciata dello straniero. La nostra lotta nazionale del 1848 conta gi a questora molte vittime degne di far corona a Giusto Krner. I rozzi Confinarii della Croazia, che il governo tedesco meno incivilito mandava a devastare le italiche contrade, nido dantichissima civilt, avean contro di s lintelligenza, lanimosa giovent delle nostre scuole, con alla testa professori e poeti, i quali, se non seppero sempre vincere, seppero spesso morire. Io non vi potrei numerare di quanti generosi spiriti, di quanti splendidi intelletti il ferro del soldato tedesco orb linfelice Italia, combattente per la giustizia, per la civilt e per lesistenza sua. Ora non per noi il tempo di scrivere la storia: ma che fra quelli vi fossero distinti poeti ve lo dice Alessandro Poerio caduta a Mestre; che vi avessero scienziati non comuni ve lo dice Leopoldo Pilla perito a Curtatone; che vi si contassero giovani artisti ve lo dice Antonio DallOngaro morto a Palma. Ora i politici senza cuore e senza mente sorpasseranno indifferenti sopra tanti sacrifizii consumati dallItalia; ma non disprezzeranno la nostra Nazione gli spiriti nobili,
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A. De Gubernatis, F. DallOngaro e il suo epistolario scelto, op. cit., p. 182-183, la lettera di Tommaseo a DallOngaro: [] scrivevo che con gli Slavi, gente semplice ma tanto pi difficile a essere intesa a chi non semplice, quel suo fare, dico del M. [Mazzini] non piglierebbe bene; e che con loro non si cospira; []. Additavo insieme le vie dintendersi, senza cospirare, con gli Slavi di razze diverse, meglio disposti. Ma voi sapete chegli non ascolta se non la sua propria voce. 42 Il Precursore, 26/11/1848, n. 4.

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come il vostro, quando sapranno di qual sangue noi cimentiamo la nostra libert. Voi potete dire alla Germania qual buona parte della giovent che combatte, soffre e muore su questo baluardo della nostra indipendenza. Io che non corro dietro alla gente e che me ne vivo co miei giornali, pur mimbattei spesso in giovani, che sotto la giubba dal soldato nascondono un cuore grande, ed una mente assai pi educata e fornita di cognizioni, che non i mille che batterano nelle declamazioni de giornali e nelle avvocatesche ricalate degli oziosi nostri Parlamenti. Credono essi i superbi stranieri che questa giovent sia accorsa alla guerra come ad una festa da teatro, terminata la quale non si tratti che di deporre le false armi? No: lo sappia segnatamente la vostra Germania, che vive nellillusione di poter conservare i suoi domini al di qua dellIsonzo. Noi abbiamo giurato tutti morte ai Tedeschi, finch si ostinano nelliniquit di voler mantenere in ischiavit il nostro paese. Il successivo frammento, per, conferma il fatto che Valussi e Stieglitz passavano spesso insieme il tempo a Venezia (e a Trieste): Nei momenti in cui noi incontrandoci nella Piazzetta ammiriamo assieme le splendide notti veneziane, alla cui bellezza operarono larte e la natura congiunte, ed in amichevoli colloquii dimentichiamo gli odii nazionali, voi, cui darei volontieri lappellativo di Biedermann, scherzate sovente sul nome mio di Pacifico, che trovate consono allindole di chi lo porta. E tale lo trovo io pure: e, sia pregio o difetto, mi confesso luomo il pi alieno dalla guerra, ed abborrente, per natura, da ogni violenza. Pure io vi dico, che questo Pacifico, alla met della sua vita, tanto persuaso di non poter portare pi oltre il carico delle speranze, dei timori, dei desiderii, dei pensieri per lItalia sopportati fin qui, che, nandasse con esso non la propria esistenza, ma quella della diletta del cuor suo, dello sperato frutto delle sue viscere, de fratelli, delle suore amate, della buona vecchierella che ancor gli rimane come angelo custode del focolare paterno, di tutti i cari suoi, lo getterebbe in quellabisso, che deve colmarsi tuttavia per salvare la Patria. Il vostro Pacifico, quando si trattasse dellantica donna de suoi pensieri potrebbe divenire fino sanguinario! Or bene: quello chio vi dico di me, posso dirvelo di quanti pensano e sentono in Italia; i quali potranno commettere s molti errori, ma non tali che profittino mai certo ai politici tedeschi. Valussi poi invita di nuovo Stieglitz alla lotta comune dei tedeschi e degli italiani: Voi, che non siete politico, e che quindi conoscete come glinteressi dei due Popoli non sarebbero contrarii, non vi stancate dal manifestare ai connazionali vostri queste disposizioni degli spiriti italiani. N vi dico, che lo facciate a nome nostro: poich presentemente anchio non posso a meno di partecipare a quella nobile fierezza della Nazione, che non si piegherebbe mai a parole, le quali potessero lasciar supporre, che si volesse invocare la compassione del nemico vincitore. Infine Valussi conclude la sua lettera con le seguenti parole: Dopo ci, o caro Stieglitz, non crediate chio serbi rancore ad un Tedesco, che non sia del numero dei politici senza cuore. Anzi io ho colto il momento di dirvi queste cose, mentre do tradotti ai lettori del Precusore un dramma duno de vostri buoni poeti, dun uomo che amava Venezia e lItalia come voi le amate. Il dramma di Augusto Platen, intitolato la Lega di [], scritto in bello stile; ma io lo tradussi alla buona, coi modi dimessi del

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giornalista, per il soggetto, che ricorda unepoca storica di Venezia, la quale ha molta analogia colla presente. Dopo quellepoca, Venezia, prima di morire, per linfame mercato che ne fece a Campoformio Napoleone con Francesco daustria, ebbe tanta forza da rompere la potenza turchesca nelle gloriose sue lotte di Cipro, Candia e Morea, e da slavare cos lEuropa ingrata. Ora io ho la semplicit di credere, che quei meriti antichi pesino ancora sulla bilancia della Provvienza, fino a farla traboccare dal nostro lato, se noi ci aggiungiamo ogni giorno qualcosa. Il 23 agosto, prima della caduta di Venezia, Stieglitz mor di colera. Valussi ricorda cos il loro ultimo incontro: Lultima volta che lo incontrai in Venezia, quando credevo di essere tra i banditi, ci baciammo. - Chi sa, dissi io, se ci vedremo pi? - Oh! ci vedremo s! egli replic. Poche ore dopo, ricevendo gli ultimi saluti del Tommaseo, questi mi disse: - Avete saputo del povero Stieglitz? - Che cosa, risposi io, forse malato? - morto dal cholera.43 Anche pi tardi Valussi avrebbe ricordato: Te non vidi pi, o povero Stieglitz, che sopravivendo forse avresti narrato a tuoi Tedeschi come ce lavevamo passata durante lassedio di Venezia.44

Persida Lazarevi Di akomo

O JUNIM SLOVENIMA: HAJNRIH TIGLIC I PAIFIKO VALUSI


(R e z i m e) U radu se obrauje odnos izmeu nemakog knjievnika Hajnriha tiglica i italijanskog novinara i publiciste Paifika Valusija, a koji su bili povezani zajednikim interesom prema junim Slovenima. Obojica su pripadali tzv. 'Transkom kulturnom krugu' koji je pratio ideje Macinija i Tomazea u pristupu kulturi junoslovenskih naroda.

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P. Valussi, Dalla memoria dun vecchio giornalista dellepoca del Risorgimento italiano, op. cit., p. 112: Ibid., p. 111.

Predrag BOJANI (Universit di Belgrado)

LA SERBIA E LITALIA SUL KRFSKI ZABAVNIK


Parole chiave: poesia epica serba, pensiero mazziniano e questione degli slavi del sud, aspirazioni nazionali slave e italiane

Le migrazioni del popolo e della letteratura si sono svolte in un modo naturale attraverso la storia moderna dei serbi. A cavallo tra il XVII e il XVIII secolo Sent Andreja e Corf durante la Prima guerra mondiale hanno dato rifugio a un popolo. Non cerano solo scrittori a seguire le schiere tormentate di guerrieri, descrivendo le loro sofferenze. Durante la Prima Guerra Mondiale, pittori, fotografi ed altre persone misero il proprio talento al servizio della difesa della nazione. Ognuno di loro ha strappato dalle mani delloblio un pezzettino della nostra sanguinosa storia, ha regalato un barlume di speranza allo spirito scoraggiato dei serbi. A Corf venne fondata la rivista Zabavnik, appendice del giornale Srpske novine, mensile pubblicato dal 2 aprile 1917 al 15 ottobre 1918. Ma una prima prova di pubblicazione, invece, cera stata gi allinizio del 1917. Tra i suoi direttori vanno ricordati Slavoljub Pani e Dimitrije Stevanovi: E per Branko Lazarevi ad esser ritenuto il suo direttore reale. Alla rivista collaboravano molti grandi autori serbi quali Dui, Dis, Rastko Petrovi, Todor Manojlovi, Dragoljub Filipovi, Svetislav Stefanovi, Aleksandar Ili, Vinaver, ma anche scrittori croati come Tin Ujevi, Vladimir erina, Josip Siba-Milii, Josip Kosor. Lo Zabavnik ha presto assunto una forma precisa: dopo un testo introduttivo dedicato allattualit, seguiva la poesia, e quindi i vasti elaborati pubblicati a puntate, unanalisi della situazione politica, la critica letteraria, la bibliografia dei libri serbi o dei libri sulla Serbia pubblicati allestero e, infine, i necrologi. Venivano pubblicate anche le traduzioni degli autori stranieri, si parlava delle mostre di quadri e di moltri altri avvenimenti, cosicch la rivista assunse una dimensione piuttosto esaustiva e completa. Lo Zabavnik interessante senzaltro anche perch radun intorno a s, i poeti che dopo la Prima guerra mondiale avrebbero formato il movimento di poesia moderna. Molti di loro pubblicarono per la prima volta proprio su quella rivista i loro versi imbevuti di uno spirito nuovo. Bench quello fosse solamente linizio di un orientamento che solo nel dopoguerra si sarebbe mostrato nel suo pieno splendore, e il contesto storico non favoriva una nuova concezione della poesia, le tracce di quei primi tentativi di uscire dal pathos romantico, di cui abbondava la nostra letteratura, per ragioni comprensibili, si possono seguire gi nelle pagine dello Zabavnik. In queste pagine troviamo altres quello che sarebbe stato il tema di questo piccolo collage. Gli echi degli scontri delle due culture, purtroppo ancora attuali, gli scambi di sguardi sospettosi o di strette di mano fraterne. Se li ascoltiamo attentamente, rimaniamo sorpresi di come il cuore degli italiani talvolta batteva forte dinanzi alle disgrazie dei fratelli sloveni. Se guardiamo con attenzione, riconosceremo i modelli italiani in tante opere della nostra arte medievale. Esaminando gli antichi legami contribuiamo al rinnovamento dello spirito dal quale nascono i nuovi legami. Milivoj Nenin, redattore della prima edizione fototipica del Krfski Zabavnik, sottolinea il ruolo di Todor Manojlovi. Poeta, traduttore, critico leterario, darte e

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drammaturgo, stato uno dei collaboratori pi attivi. A noi interessa in modo particolare il suo contributo alla scoperta e allinterpretazione dei legami tra la Serbia e lItalia. Il soggiorno italiano, durato tra il 1911 e il 1916, stato particolarmente significativo per la sua carriera letteraria. Arrivato a Firenze per approfondire gli studi sullarte rinascimentale, Manojlovi ha scoperto la poesia futurista che avrebbe inciso in maniera evidente nella sua poesia modernista.

LA SERBIA EPICA, dalla penna di Antonio Borgese Il Krfski Zabavnik, appendice speciale del giornale Srpske novine, contiene Epska Srbija, un breve studio su uno dei pi distinti personaggi culturali dellItalia di allora - di Antonio Borgese, scrittore, giornalista e critico letterario. E solo uno degli studi raccolti nel volume La guerra delle idee (Rat ideja), che nel loro insieme rappresentano il tentativo di riconoscere lo scontro delle idee e delle religioni sullo sfondo della Prima guerra mondiale. Come professore di letteratura tedesca e ottimo conoscitore dellanimo e della mentalit dei tedeschi, della situazione politica, culturale e sociale della Germania di quel periodo, Borgese in questo studio accenna al destino e alle sofferenze del popolo serbo, dimenticato, che si era trovato ad affrontare la forza durto di quello che lui definiva il sistema di guerra pi forte. Il fato e il patimento serbo, lui, invece, li interpreta attraverso la lente della letteratura popolare, attraverso il pianto delle antiche poesie epiche, e ricorda ai connazionali il ruolo dei poeti italiani, per esempio di Fortis e di Tommaseo, e il loro ruolo di divulgatori della poesia popolare slavo-meridionale presso i circoli culturali italiani. Dal corpus del poema serbo, Borgese dedica una particolare attenzione ai Cicli del Kosovo e di Marko Kraljevi, per poi sottolineare una vicinanza tematica con lIliade e lOdissea, poemi pi famosi della cultura classica. Il tragico poema di guerra, in cui tutto si intreccia e conduce alla battaglia fatale nella Piana dei Merli, dove il potente stato medievale serbo crolla per mano dellimpetuosa armata turca, di gran lunga pi forte, si contrappone al ciclo di Marko, nel quale lopposizione del popolo battuto continua a vivere attraverso lenergia individuale del coraggioso e solitario eroe senza patria. Borgese lo descrive come un personaggio talvolta furbo e timido, talvolta gentile e crudele, talvolta tenero e atroce, un po Ulisse, un po Ercole, un po assassino, un po Don Chishot. Mette in rilievo anche le differenze tra il senso poetico e larchitettura artistica dei due Cicli: mentre il primo severo e sacro, fondato sul destino tragico di un popolo, laltro unepopea vasta e meravigliosa sulla lotta di un individuo, molto spesso arricchita con elementi grotteschi. Borgese rifiuta il luogo comune secondo il quale i serbi sarebbero un popolo che canta la propria sconfitta, a differenza di molti altri popoli che glorificano le proprie vittorie, e ricorda che tutti i poemi popolari sono tragici, mentre sono i poeti che cantano il successo e offrono una visione glorificante e ottimistica della vita, ad allontanarsi dalla poesia, cedendo alla retorica. Tuttavia, non nega il pessimismo che spira in questo poema, perch questo elemento, secondo il suo pensiero, comune a ogni grande complesso poetico. La vita e la morte. Tutto destinato alla rovina, e la fine un attimo in cui si compie la vita di ognuno. Non c posto per lideologia, non c quel trasporto per la gloria della nazione, n lo scontro delle due fedi. Borgese scopre nella tradizione orale il carattere tragico dellesistenza e lo paragona ad un albero che cresce non ostacolato per decenni e resiste alle varie sollecitazioni, ma un giorno cade abbattuto da un fulmine fortissimo. Nessun tipo di giustizia crudele, nessuna vendetta o ristabilimento dellequilibrio perduto attirano, secondo lui, lattenzione del poeta serbo. Tanti secoli dopo, i serbi hanno corso di nuovo il rischio di essere eliminati. I tedeschi, gli austriaci e i bulgari si trovarono di fronte un avversario la cui forza stava nel carattere indomito che animava la loro lotta contro il nemico invasore, in nome del diritto di

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esistere. Un avversario che non era vinto neanche una volta soggiogato, ebbro di melodie di malinconiche guzle, mentre intanto si teneva pronto in vista della liberazione. Alla fine di questo breve studio, Borgese cita i versi con i quali Marko, gi invecchiato, si congeda da questo mondo e i versi nei quali la fata si rivolge a Marko dicendogli che la sua fine non sarebbe arrivata sul campo di battaglia ma secondo la decisione di Dio. La morte naturale, nella sua grandezza sarcastica, segna la fine di tutte le passioni di questa vita e toglie il senso alle lotte di questo mondo. Con questa specie di nichilismo paziente e ragionevole, che , prima di tutto, slavo, cristiano e umano, i serbi accettano il loro destino. Gli stessi tedeschi, forti della loro presunta superiorit, cambiarono opinione dopo aver incontrato un avversario degno di essere rispettato. * Influssi italiani sullarchitettura e la pittura medievale serba Un fenomeno di resistenza alle dominanti culture straniere e alle regole artistiche appariva in varie epoche e in varie societ. Per gli intenditori esso tanto pi intrigante quanto pi realizzabile, nonostante le scarse possibilit di successo. Quando una societ relativamente piccola e giovane, nel senso organizzativo, senza una solida tradizione artistica, si mette coraggiosamente a cercare la propria strada e, in pi, si mette sfacciatamente al lavoro con uno zelo sfrenato, il risultato devessere uneredit spirituale significativa, davanti alla quale i posteri saranno fieri. Quando la strada verso la propria identit spirituale viene sbarrata dalle fatali occasioni storiche, dalla necessit di lottare per lindipendenza politica e per salvare lautonomia nazionale, rimane un rimpianto dinanzi allimpossibilit di rispondere alla domanda: in quale direzione uno sviluppo non ostacolato avrebbe portato quella societ. Anche se non ha risposto a questa domanda, ispirato dalla gratitudine nei confronti di Gabriel Millet, storico darte, che in La Serbie Glorieuse, un numero speciale della famosa rivista francese Lart et les artistes, aveva pubblicato uno studio significativo sullo sviluppo storico della nostra architettura e della nostra pittura, Todor Manojlovi invita a una gita proporzionalmente breve per visitare le vie di questo sviluppo, fino allabisso, che esiste da secoli, dai cui cigli, se ne abbiamo voglia, anche noi possiamo abbandonarci alle chimere della gloria non raggiunta. Manojlovi distingue lo stile medievale dellarchitettura come una deviazione dai modelli bizantini chiaramente definita, in consenso con pensiero del collega francese. Esso nasce in terra serba dal tentativo ad essere autentici, dalla creativit che gioca con le severe forme bizantine trasformandole secondo il gusto e il sentimento nazionale. Solamente la nostra pi antica, Kurumlijska crkva, dalla forma quadrata semplice e classico-orientale con la cupola grande sopra un esagono, corrisponde al severo modello bizantino tipico di Costantinopoli. Gi nellambito dellarchitettura della Studenika crkva si nota, addirittura a svantaggio della semplicit tettonica dellinsieme, la tendenza alla leggerezza e alla variazione, la tendenza alla concezione autonoma, alla lotta contro i rigidi canoni bizantini. Negli ornamenti dei portali, opera di Simeon Dubrovanin, Manojlovi riconosce il gusto italiano, simile a quello presente negli elementi applicati alla chiesa di SantAndrea di Barletta, in Puglia, e la facciata porta ancora il segno del virtuosismo degli artigiani toscani. Quanto alla Nagoria, il piano centrale bizantino - la croce greca o il quadrato greco - stato sostituito con lunga base della basilica latina, e con luso di uno o di quattro piccole cupole, che si alzano dai tamburi alti, nellambito della giovane architettura serba nato un altro tipo della chiesa, di importanza uguale a quella della chiesa bizantina, la cui perfezione sarebbe stata raggiunta in Visoki Deani. Larchitettura serba fiorisce di nuovo ai tempi di Milutin, quando lassimilazione e il rifiuto, la ricerca febbrile di stili nuovi portava alla negazione dello stile precedente. Dopo Gradac, costruito in stile gotico,

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e Banjska, dove si vedono gi menzionati ornamenti pugliesi, il sogno fulgido dellOriente che ancora una volta si incarna in ristrutturazione solenne dello stile bizantino di Graanica, le cui cupole graziose puntano verso il cielo annuvolato del Kosovo. Lo sviluppo vertiginoso dellarchitettura medievale serba, il cambio dei fronti e delle mete, come dice Manojlovi, portano alla creazione di un ideale artistico che in tutto diverso da quello straniero. Un influsso ancora pi significativo dello spirito e del gusto italiano si trova in Visoki Deani, basilica tutta latina caratterizzata dalle proporzioni ideali e dalla semplicit classica ed elegante, che ricorda senzaltro la chiesa di San Zeno a Verona. La sintesi della forma orientale e dello spirito settentrionale presente anche nelle fondazioni dei Hrebeljanovi, la cui eleganza leggera e merlettata contrasta con lo stile bizantino solenne e rigido. Manojlovi ritiene che larchitettura serba di quei tempi non si basasse su un eclettismo puro, ma che usando gli elementi delle due tradizioni, dei due gusti diversi in molti elementi, fosse arrivata a una cosa nuova e specifica. E ancora pi ovvio influsso italiano nellantica pittura serba. La spiritualit e lastrattezza, la rigidit e la freddezza della pittura bizantina, la sua raffinatezza aristocratica e la sua disciplina rigida, tutto quello era lontano dal gusto del giovane popolo serbo, il cui spirito fiorito, invece dellarmonia, delle idee di stile e del profondo senso artistico dellinsieme, ha cercato il realismo della rappresentazione, la verosimiglianza dei dettagli, i momenti morali e sentimentali. Pochi quadri tipicamente bizantini sono stati creati in quel periodo, e i pi belli sono ritratti di Milutin e Simonida, Giudizio Finale, e gli altri affreschi di Graanica, Deisis del monastero di Naum, le icone e le tele di Hilandar, ecc. Gi nelle icone di Studenica si sente un nuovo spirito italiano: quasi unindividuazione del ritratto, il realismo della rappresentazione, la ricchezza della figura, del movimento e dellornamento. Succede una cosa simile anche negli affreschi di Graanica, di Nagoria e di Ravanica. Manojlovi sottolinea la cordialit del gesto che caratterizza il gruppo di Gioacchino e Anna in Sretenje Roditelja Bogorodicinih pred zlatnim dverima, le composizioni chiare, la bellezza e la pienezza di forma di alcune figure negli affreschi di Nagoria, che ricordano tanto Giotto, Lorenzetti e gli altri maestri italiani, mentre Ulazak Hristov u Jerusalim, affresco di Graanica, pu essere confrontato con le opere del primo rinascimento italiano. Lo sviluppo veloce della nostra pittura antica si tristemente interrotto nel Quattrocento con la rovina dello stato. Le imitazioni sterili, per esempio laffresco Svadba u Kani del monastero Kalini, non hanno potuto raggiungere la grandezza artistica e le bellezza delle opere dei maestri antichi, e lo spirito frustato non era in grado di far nascere una cosa nuova. Manojlovi alla fine accenna al ruolo dellItalia nello sviluppo della nostra arte. L non c niente di mistico. Davanti allo scettro autonomo di Bisanzio, davanti alla sua arte, il cui valore intrinseco uguagliava quello dellarte italiana, avendo per una gloria e unautorit pi forti, linquieto spirito serbo ha sentito un bisogno istintivo di dare resistenza, di non permettere di essere assimilato in un progetto panbizantino. Il fatto che la vicinanza geografica, i legami politici, religiosi e culturali ci hanno spinto nel grembo del potente vicino orientale, e che noi ci fossimo tuttavia volti al Nord, dice Manojlovi, per lo pi la prova della salute profonda del nostro istinto ereditato dagli antenati, perch, spiega lui, i creatori dellarte italiana in un momento concreto di storia, alla fine del Duecento, si trovavano davanti allo stesso compito dei nostri artisti. Linflusso culturale e spirituale di Bisanzio invadeva tutti i Balcani, la maggior parte dellItalia, il Sud della Francia fino ai Pirinei, le province del Danubio e del Reno, il Sudovest della Russia con Kiev, lAsia Minore, lArmenia e lEgitto. Dalla rivolta contro quellinflusso, dalla rivolta contro catene doro, che forse pi vincolavano la nostra anima che lanima degli italiani, ne nasceva larte italiana. E i suoi ideali e valori erano vicini ai nostri: naturalezza, licenza del pensiero e delle passioni, una bellezza vistosa e sensibile, pienezza della vita reale. Lemancipazione dellarte serba probabilmente non si sarebbe compiuta se non fosse stato per linflusso italiano. E, inoltre, non sarebbe potuta avvenire neanche la formazione di un profilo esclusivamente serbo da quel composito italo-serbo, visto che alla giovane arte serba

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occorreva pi tempo per costituirsi, per raggiungere la piena maturit e per trovare la propria strada, indipendente dallinflusso altrui. Si rovinata, ha condiviso il destino della madre, spirata con quel riflesso rosa dorato del giovane Rinascimento italiano che dava grazioso splendore al suo viso durante la sua breve vita. * LETTERE SLAVE di Mazzini Giuseppe Mazzini fu pensatore politico, letterato nonch il pi rilevante rappresentante spirituale dellaspirazione del popolo italiano alla liberazione e allunificazione. In vista della realizzazione del programma nazionale si adoper affinch le linee guida acquisissero contorni sempre meno sfumati, in direzione di una chiara visione della futura realt italiana, ma non dimentic i popoli europei che condividevano il medesimo destino e raccoglievano le forze per la lotta decisiva per poter affermare i loro diritti storici. Cerano innanzitutto gli slavi, per i quali il pensiero mazziniano era fonte dispirazione in quel processo di incubazione che avrebbe portato alla realizzazione del sogno dellunit politica dei popoli jugoslavi. La scelta dellopera epistolare Lettere slave1, scritte nel 1857 su invito delleditoriale del giornale Italia del Popolo, testimonia fortemente la sofferente attesa dei popoli d Europa, ridotti in schiavit alla fine del XIX secolo, in cui cercavano tutti il coraggio per passare allazione. Mazzini ci ricorda linsurrezione impetuosa che esplose nel 1848, anno rivoluzionario per tutta lEuropa, fermata dallabilit politica degli Austriaci ma anche dagli errori e dalle indecisioni dei ribelli. Ma il vecchio assetto europeo smosso per sempre, e i movimenti nazionali acquattati si preparano a buttar gi le fondamenta intaccate del carcere. Le medesime scintille favillavano nel cuore e nella coscienza del popolo italiano che, riteneva Mazzini, avrebbe dovuto cercare i futuri alleati nei paesi slavi sorti dalle rovine dellimpero iniquo. Per corroborare il corso inevitabile delle cose, lautore delle Lettere fa affiorare la storia slava e la sua ispirazione naturale a unire trib sparse in quattro gruppi. Non tralascia di incitare i suoi connazionali allo studio di quelle aspirazioni, personificate negli studi storici di afak, Lelewel, Palack e di altri, nei sistemi filosofici dei filosofi polacchi Cieszkowski e Krlikowski, nella poesia di Pukin, Mickiewicz, Krasiski, Zaleski, Milutinovi, o nella lotta piena di generosit dei montenegrini, dei serbi e di altri popoli che marciano verso la liberazione dal giogo turco. E le parole dei canti popolari, che per secoli riecheggiavano nella coscienza e corroboravano le speranze di questi popoli, incise nella memoria collettiva, sono espressione dello spirito forte che si oppongono a qualsiasi tipo di tirannia. A differenza di Borgese, Mazzini ci scopre il dispetto prometeico. Di fronte alla fermezza delloppresso non si ritirer solo la tirannia delluomo, ma anche la tirannia della natura. E ne trova la conferma nel detto: da Dio infuori nessuno potrebbe curvare il nostro libero spirito; e chi sa se Dio stesso non si ritrarrebbe stanco, da siffatta impresa?. Parlando della loro potenza e diffusione geografica, lautore si riferisce alla Mappa generale dei paesi slavi del 1814. di afak, divisa per lingue, dialetti e confini politici. La maggioranza slava viene padroneggiata dalla minoranza secondo il vecchio principio divide ut imperes, per lavversione al padrone forestiero cominci a superare la disunione e la diffidenza tra coloro che per secoli condividevano i medesimi ideali di libert. Contro il dominio turco e austriaco in Europa si uniscono slavi, italiani e greci, e parallelamente allinizio stesso dellinsurrezione generale italiana, preconizzato da Mazzini, va avviata anche la questione orientale. Napoleone fu il primo a comprendere limportanza della questione slava trascurata da
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Ibid., pp. 121-126.

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tanto tempo. Nella titubanza e nelle frequenti rese dei soldati di origine slava lui riconobbe il germe di una futura insurrezione contro il nemico comune, per cui ordin che si facesse uno schema con i dati statistici relativi ai popoli slavi. Parecchi pensatori politici poi cercarono di rappresentare la nascita dei movimenti nazionali entro i limiti legali e locali, come fece per esempio il conte Leo di Thun, che tratt la questione ceca indipendentemente dalle aspirazioni degli altri gruppi slavi della Monarchia. Mazzini poi parla dei centri intorno ai quali in futuro si sarebbero concentrati i popoli slavi, uniti allo scopo comune di abbattere il regime tiranno austriaco. Osservava con diffidenza il centro russo e accus la Russia che cercasse di realizzare lideale assurdo di uno stato panslavo al cui vertice si sarebbe trovato il loro zar. Ai polacchi, ai quali rimproverava linerzia peccaminosa durante gli eventi del 1848, assegn il ruolo guida nellincitamento allazione degli slavi del Nord, mentre gli slavi del Sud e dellOvest si sarebbero dovuti concentrare intorno alla Croazia (o Illiria) e alla Cechia (o Boemia). Lautore commenta che la storia ricorda unIlliria greca e romana, una francese nellepoca pi recente, e poi una austriaca. La futura Grande Illiria o Stato Illirico-Serbo avrebbe compreso la Croazia, la Furlania, la Serbia, il Montenegro, la Dalmazia, la Bosnia e la Bulgaria. Ci che collega questi stati sono la lingua, le tradizioni e le leggende. Il grado pi alto di organizzazione di una comunit slava in questo territorio evidenziato nel XIV secolo con la formazione dellImpero Serbo, crollato dopo la battaglia del Kosovo. Per lungo tempo poi solo nella Repubblica di Ragusa si svilupp una vita politica, culturale e artistica indipendente. E mentre lunit letteraria era minacciata dallesistenza delle diverse ortografie e diffidenza locale, e circoli dotti nutrivano una certa dose di disprezzo verso leredit comune, culturale e storica, la poesia popolare, che cantavano i poveri cantastorie accompagnati dal suono della guzla, diffondeva spontaneamente i ricordi del celebre passato. Mazzini si rende conto della necessit che questa poesia venga raccolta e tradotta nella lingua dei suoi connazionali. La nuova epoca agit gli spiriti degli oppressi e fece nascere individui avveduti che riconobbero la necessit di articolare lagitazione nazionale attraverso lazione puramente letteraria nel momento sfavorevole per agire apertamente. Lopera di Ljudevit Gaj, creatore dellillirismo, immensamente importante per il raggiungimento dellunit tra i croati. Uomo cauto e contenuto in tutto quello che faceva, Ljudevit avvi prima le Hrvatske novine, che pi tardi furono divise in un giornale puramente politico Ilirske narodne novine, e in un giornale letterario Danica ilirska. Usando vari dialetti degli slavi del Sud si impegn a creare una nuova lingua letteraria in base a un alfabeto e unortografia nuovi. Fond il Nauno drutvo (Societ scientifica) e in accordo con il conte Janko Drakovi fond la Matica ilirska. Mazzini non prende in considerazione lulteriore comportamento vigliacco di Gaj e lo paragona al suo connazionale, repubblicano Guerazzi, la cui falsit politica non poteva oscurare limportanza e linflusso che comp la sua opera. Limportanza dellopera di Gaj sta nella diffusione degli ideali comuni e del pensiero popolare tra gli slavi del Sud, sia tra quelli governati dal regime austriaco che tra i popoli che pagavano ancora un tributo al conquistatore turco. E la forza di questi ideali la si sarebbe potuta riconoscere se fosse stata tradotta la poesia dei poeti ragusei dei secoli XVI e XVII, o le poesie dei suonatori di guzle serbi e montenegrini, perch essa carica di toni di melanconia e speranza, di emozioni e ricordi dolorosi, e malgrado non ci sia quella bellezza sfarzosa ed trascurata la sua forma, essa imbevuta dello spirito di azione e rappresenta lespressione della lotta penosa di un popolo. In seguito lautore parla della collaborazione sempre pi stretta tra i Cechi e gli slavi del Sud, nonch della maturazione della consapevolezza degli slavi del Sud della necessit di costituirsi secondo le loro aspirazioni naturali, della consapevolezza che qualche anno prima, nellinsurrezione degli italiani nel 1848, non riconobbe il risveglio di una nazione e linvito agli oppressi di seguire il suo esempio. Esistono diverse incomprensioni tra questi popoli: divisioni religiose, diffidenza tra serbi e bulgari, dove le differenze sociali sono meno visibili, diffidenza

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verso laristocrazia croata, una posizione politica della Serbia e del Montenegro di gran lunga pi favorevole rispetto a quella in cui si trovano le regioni governate dallAustria, e, infine, diverse interpretazioni delle radici comuni e lopposizione dei serbi allidea che tutti gli slavi del Sud si uniscano in una comunit che porti il nome Illiria. Mazzini per credeva che il progresso intellettuale, le relazioni sempre pi forti e il desiderio di ottenere la libert col tempo avrebbero conciliato le differenze, e che lItalia, col suo esempio, se si fosse mossa alla rivolta, e se avesse invitato anche altri popoli oppressi alla lotta per la libert e una pace giusta, avrebbe potuto avere un ruolo decisivo. Lui invita il Partito Nazionale Italiano ad assumersi il peso di questa responsabilit, a non acconsentire ad alcun commercio vergognoso a scapito del popolo proprio o di altri popoli imprigionati, ed a dichiarare a tutti che lItalia si sarebbe sollevata in nome di un principio ben chiaro, fianco a fianco con tutti i popoli oppressi, che chiedevano lo stesso diritto a diventare nazione. La visione di Mazzini sulla futura costituzione dEuropa, osservata da questa distanza, testimonia la lungimiranza del grande pensatore italiano del XIX secolo. Lo spirito di solidariet e fratellanza, che diffondeva con tutta la sua opera, sicuramente non ci pu lasciare indifferenti. * Tommaseo, il poeta dimenticato Nel testo intitolato Il poeta dimenticato2 Vladimir erina offre una descrizione interessante della figura di Niccol Tommaseo, che grazie alla sua origine e alla sua vita ha meritato un posto speciale nella nostra e nella letteratura italiana, ma anche nella vita pubblica. Con grande affetto verso la nostra poesia popolare e pieno di entusiasmo per i suoi valori etici e toni patriottici, si mise alla traduzione dei versi, raccolti da Vuk Karadi, in lingua italiana Canti illirici, 1841 avvicinando al pubblico italiano lo spirito del popolo che in quei tempi aveva le stesse aspirazioni e condivideva gli stessi ideali di libert. Con la stessa passione lott per questi ideali insieme ai congiurati italiani e partecip intensamente nel dolore del popolo da cui traeva le origini. Il suo impegno politico in quei tempi turbolenti lo port in carcere e poi in esilio, ma laffetto e lardore che nutriva verso di noi non si spegneva mai. Anche nei momenti pi difficili Tommaseo riusc a mantenere la corrispondenza con Dositej Obradovi, Ivan Kukuljevi Sakcinski e altri, mostrando un forte interesse per la situazione e i problemi presenti dalle nostre parti. Dallaltra parte, quello che erina cerca di rivelarci un Tommaseo meno conosciuto, che appartiene a chiunque abbia la sensibilit per il mondo intimo delle sue riflessioni. Si tratta di un uomo stanco che parla alla gente sola delle cose sole, ed questa la figura di Tommaseo che erina rivela sulle pagine antologiche delle opere Pensieri morali, Scritti di estetica e di critica, ma anche nelle Scintille, opera pubblicata anche in serbocroato. Non c un sistema filosofico circoscritto, bens, come dice erina, lautore di questo saggio, esiste una variet di accenti, vibrazioni di una profonda intuizione personale, variet spezzata in frammenti, in sentenze, massime, assiomi, paradossi. Anche la luce, il motivo onnipresente, in rapporto strettissimo con tutte le verit e tutte le bellezze da cui luomo circondato. erina sembra criticare questo entusiasmo, pensando che il miglior modo per conoscere pienamente le cose del mondo sia il sano scetticismo mentale, mentre lassoluta fiducia nella gente altrettanto pericolosa quanto la sfiducia e la misantropia. Tuttavia, riconosce in tutto lo spirito sognatore della generazione che con il suo agire, pieno di idealizzazione umana della vita e di esaltazione dei valori etici, apriva la

Ibid, pp. 262-264.

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strada verso lunit, lo spirito della generazione cui, oltre a Tommaseo, appartenevano anche Mazzini, Monti, Gioberti. Neanche tutto il dolore e tutta la sofferenza riuscirono a ottenebrare completamente quella fede nelluomo quasi religiosa di Tommaseo. E nonostante tutto quello che gli era successo, ebbe la forza di capire e perdonare il male, lasciandosi andare anche oltre. In lui si intrecciano gioia e malinconia, dolore e felicit, per questi sentimenti offrono un certo senso solamente uniti: Senza acqua la terra non riesce a vivere; cos neanche lanima riesce a vivere senza lacrime3. assai pi rigido quando parla di estetica. La natura esuberante e la passione ardente, come una vera e propria esaltazione religiosa, non si spegnevano mai, per cui anche il concetto di bello e di bellezza esisteva per lui solamente nelle opere ispirate alla fede. Anche in questo era severo e implacabile, mentre la sua mente critica era offuscata dallimperativo di fede nella bellezza del mondo, della santit dellamore e del matrimonio. La musica con la sua forma e armonia non rappresentavano per Tommaseo un itinerario sufficientemente sublime per raggiungere linfinito, mentre alla poesia di Leopardi negava la dignit di poesia geniale, bella o sublime. Siccome, per, era un uomo di fortissima passione, pieno di rispetto verso la sofferenza umana, riusc nonostante il suo dispetto a scoprire quello che era oppresso dal dolore e dalla sofferenza. Cos in alcune parole magiche era capace di rappresentare lo stato danimo di uno scrittore oppure lo spirito di unepoca artistica. Nella morte, come la maggior parte degli scrittori tragici, trovava lispirazione e la maggiore promessa della vita. Pi che sapeva, lui intuiva, era guidato dalla ispirazione pi di quanto riusciva a costruire un sistema filosofico basato sui concetti scientifici, anche se dei suoi pensieri ne avrebbero indubbiamente accettati molti i grandi pensatori quali Pascal, Nietzsche, o Tolstoy. In conclusione, erina dice che solo un tempo muto pu penetrare nel senso pi profondo dei grandi pensieri, quali erano quelli di Tommaseo, nati nel dolore e resi acuti e sottili con il tempo. Non dobbiamo dimenticarlo, e non solo perch provenisse dalle nostre parti, ma anche perch era simile a noi con il suo temperamento, perch riusciva a capire la nostra onest e il dolore, essendo allo stesso tempo, per il suo meraviglioso intuito, luomo di tutti gli uomini. * La questione dellAdriatico Della questione dellunificazione degli slavi del Sud e del futuro destino politico dellAdriatico si occupa anche Aleksandar Bogdanovi nel suo articolo Nauni pregled. Il marcio assetto della vecchia Europa fu scosso dal giovane e debole stato serbo, il quale, dopo lottenimento dellindipendenza dalla dominazione turca, davanti al giudizio della storia, richiese anche la soluzione di un altro anacronismo le pretese austroungariche, le quali ostacolavano il percorso del progresso e della realizzazione delle aspirazioni naturali dei popoli schiavizzati. Bogdanovi parla con esaltazione dellidea dellunificazione dei serbi, croati e sloveni, dellunificazione di ununica trib, che non conosce pi ostacoli. Sebbene da ogni parte giungano avvertimenti scettici che dicono che tale stato non realizzabile, numerosi avvenimenti tra cui lannessione della Bosnia e Erzegovina, la Crisi di Scutari, lazione diplomatica durante le guerre balcaniche e alla fine la stessa dichiarazione di guerra alla Serbia nel 1914, parlano a favore del fatto che la stessa Monarchia asburgica era da tempo consapevole dellesistenza di tale pericolo. Daltronde, le manifestazioni popolari, le risoluzioni, gli attentati ai funzionari austroungarici e laperta ribellione della popolazione slava dimostrarono che era maturata la
erina riporta questa affermazione citando diversi passi dei Pensieri morali.

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consapevolezza della necessit che il sogno dellindipendenza e unificazione finalmente si avverasse. Non c alcun dubbio che tra serbi, croati e sloveni ci siano differenze politiche, culturali e sociali di vario genere, tuttavia, ritiene Bogdanovi, tali differenze possono essere solo il pegno della nascita di una nuova, pi perfetta identit jugoslava. In unevoluzione del genere ognuno lascer il segno delle proprie esperienze e patrimoni storici. Dunque, non si parla di differenze inconciliabili o di divergenze auspicate da certi gruppi politici e questo fatto stato ben capito e trattato da Maranelli e Salvemini nel libro La questione dellAdriatico. In Europa esistono due correnti che temono la dissoluzione della Monarchia austroungarica. Una ritiene che la Monarchia sia un fattore di equilibrio nellEuropa centrale, mentre laltra, con molti meno scrupoli, si oppone apertamente alla creazione di una Grande Serbia, ossia della Jugoslavia. Ne fa parte, purtroppo, anche una parte dellopinione pubblica italiana - gli ambienti clericalsciovinisti, i quali rivendicano i diritti storici sulla Dalmazia e tentano di contestarne, con argomenti falsi, la fisionomia etnica. E ben chiaro, e lo constatano anche gli autori del libro La questione dellAdriatico, che la Dalmazia unarea geografica a stragrande maggioranza slava e che tali aspirazioni sono poco fondate. La Dalmazia non farebbe progressi e non diventerebbe che una zona colonizzata depressa, in quanto anche il suo entroterra abitato dalla stessa popolazione slava, ed una dominazione sicura in Dalmazia sarebbe impossibile senza potentissime forze armate e supporti di tipo tecnico. Se ne rende conto anche il maresciallo Radetsky quando, con il memorandum del 1856, richiede loccupazione della Bosnia e Erzegovina. Anche se lItalia occupando la Dalmazia realizzasse la propria dominazione su tutto lAdriatico, sarebbe una vittoria di Pirro in quanto sopra quella regione ci rimarr per sempre unombra di possibili conflitti, mentre linfluenza culturale italiana troverebbe le porte chiuse da parte degli slavi del Sud. Laltra soluzione, pi logica e pi giusta, sarebbe quella di dare alle popolazioni slave i diritti pi ampi per cos soddisfare gli interessi nazionali di entrambe le parti. La demilitarizzazione dellAdriatico e la creazione di un clima di reciproca fiducia porterebbero ai popoli vicini un tranquillo sviluppo economico, culturale e politico, e questi, ritiene Bogdanovi, sono i principi circa i quali in grande misura si accordano anche Maranelli e Salvemini, e bench non si attengano rigorosamente a tali principi, e si servano di dati che non corrispondono pienamente alla realt dei fatti, la loro opera rappresenta un passo in avanti nel miglioramento dei rapporti tra i popoli in questione. * Il mendicante di anime Sulla personalit contraddittoria di Giovanni Papini esistono opinioni altrettanto contraddittorie. Gli uni lo contestavano in quanto incoerente e fariseo, gli altri in lui riconoscevano un grande erudito e lo amavano anche quando non condividevano le stesse idee e gli stessi principi morali. Papini agitava gli spiriti con il suo temperamento straordinario e stupiva per la passione con cui amava o disprezzava. Nel periodo acerbo della sua formazione letteraria era nichilista, un uomo che dichiar morta la filosofia, disprezzava valori cristiani e accusava Dio di tutti i mali del mondo. Pi tardi visse la conversione spirituale e si pent amaramente delle opere in cui chiedeva alla gente di rinunciare alla religione. Verso la met degli anni trenta del secolo scorso ader al movimento fascista e contribu a firmare le leggi razziali.

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Krfski Zabavnik ci presenta una breve novella Prosjak dua4 (Il mendicante di anime) tratta da una raccolta di genere letterario molto interessante Il tragico quotidiano del 1905. Di fronte al lettore si trova uno scrittore non affermato che vive in condizioni difficili e cerca di trovare il modo di farsi pagare per una delle sue storie. Nellattesa lunga e stancante che gli si svegli la fantasia e che la prima idea venutagli in mente si converta nella storia, si ricorda di un proverbio che dice che un uomo comune, se sapesse raccontare la propria vita, scriverebbe uno dei romanzi pi grandi mai scritti. Entusiasmato dallidea, parte in cerca delluomo comune, a cui non chieder nientaltro che la storia della sua vita. Strada facendo passa accanto ai visi di giovani sognatori e lussuriosi esperti finch non incontra, tra le strade gi deserte, luomo ideale, un uomo del tutto comune. Per, di fronte alla vita delluomo del tutto comune, monotona, ordinata, vuota, prevedibile e misurata fino allultimo dettaglio, il nostro protagonista avverte un terrore indescrivibile. Si tratta probabilmente dello stesso terrore e disprezzo con cui Papini faceva i conti con la filosofia, con la fede mansueta degli uomini in Dio, oppure si tratta del terrore e del disprezzo verso il mondo che assomiglia a un macchinario, il cui funzionamento possibile solo qualora ogni sua parte sia a suo posto e esegua sempre lo stesso ruolo. La coscienza della propria incoerenza, inettitudine. La coscienza della realt in cui qualsiasi distacco dalla mediocrit viene sempre accolta con incomprensione, stupore. Forse fu proprio quella coscienza che port Papini alla conversione e conciliazione con linevitabile necessit di conformarsi alla realt, dal cui fatto derivarono successivamente tanti grossi errori. Si tratta senzaltro di una novella interessante e di una forma letteraria che ci porta indietro allopera di questo scrittore straordinario. Unit bibliografiche relative agli studi di italianistica: 1. 2. 3. Italiji. akomo Leopardi; preveo Milo P. Stefanovi Krfski Zabavnik, Banjaluka, 2005; pp. 191-192. Firence. Todor Manojlovi. Krfski Zabavnik, Banjaluka 2005, pp. 191-192. Conte L. De Voinovitch; La Dalmatie, l Italie et l unite Yougaslave (1797-1917). Une contribution la future paix europenne. Geneve Ble Lyon Georg & Com. Libraires Editeurs, pp. 110-380. Gaetano Salvemini, Delenda Austria. Traduit de litalien. Editions Rossard, Paris 1918, pp. 5-50. I marinai italiani per lesercito Serbo. Anconio Quattrini 6. Edito a cura dellUfficio Speciale del Ministero della Marinara, Roma 1918. Tipografia Cooperativa Sociale, Via de Barbieri 6, pp. 4-12. R. Garrucci Storia dellarte cristiana, Prato 1881. Venturi A. Storia dellarte italiana, pp. 346-359. E. Berlaux Lart dans lItalie meridionale. Paris, 1904. Planche XXXIV e p. 775. U. Vram: Crani della Carniola. Atti della Societ Romana di antropologia. Vol. IX. Fasc. 1, 2. p. 151-160, Roma 1903.

4. 5.

6. 7. 8. 9.

Krfski Zabavnik, Milivoje Nenin; Banjaluka, Besjeda, 2005; pp. 317-318.

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SRBIJA I ITALIJA U KRFSKOM ZABAVNIKU (R e z i m e) Na prouavanju kulturnih i istorijskih veza razliitih naroda temelji se svaka ozbiljna komparativna studija. Mnogi srpski intelektualci okupljeni na Krfu posle prelaska Albanije osetili su da je vreme kratkotrajnog predaha tokom ratnih zbivanja i prilika da se krene u novo traganje za nacionalnim identitetom, da se iznova zaviri u temelje srpskog drutva i da se u stoletnim naslagama prepoznaju peati drugih kultura. Na tom tragu Zabavnik, dodatak listu Srpske novine koje su u tom periodu izlazile na Krfu, predstavlja napor da se s jedne strane naglasi samosvojnost, s druge, opet, jasna pripadnost evropskom kulturnom prostoru. Ovaj kratki prikaz ima za cilj da italijanistima prui jasniju sliku o tome kako su ondanji srpski intelektualci, u odgovarajuem kontekstu, doivljavali uzajamne veze srpskog i italijanskog drutva. lanci objavljeni Zabavniku tretiraju raznovrsne teme: italijanske uticaje u srednjovekovnoj srpskoj arhitekturi, tumaenje srpske epske poezije kroz prizmu aktuelnog istorijskog konteksta, razmatranje junoslovenskog pitanja i slinosti u nacionalnim stremljenjima dva susedna naroda, itd.

Danijela MAKSIMOVI (Belgrado)

MIODRAG T. RISTI SCRITTORE E TRADUTTORE


Parole chiave: Miodrag T. Risti; articoli, saggi, traduzioni; letteratura italiana; situazione culturale, storica, sociale e politica dellItalia; rapporti con lItalia Lo scrittore serbo Miodrag T. Risti merita senza dubbio uno studio pi approfondito. Come si vedr nel testo che segue, questo autore ha scritto su molti argomenti italiani, ma non solo - ha tradotto tanti libri dallitaliano al serbo e, come si vedr alla fine, anche un articolo dal serbo allitaliano, il che conferma le sue capacit di traduttore. Le sue traduzioni, che hanno segnato il Novecento, si usano anche oggi, dopo cento anni e pi, visto che nel corso dei tempi venivano modernizzate e adeguate al lettore contemporaneo. Come scrittore ha dimostrato di essere uno studioso molto serio e dedicato al proprio lavoro. Dai suoi saggi e dai suoi articoli si pu imparare tanto sulla storia e sulla societ italiana, mentre dalle prefazioni dei libri tradotti si traggono pensieri sulla cultura e sulla letteratura dItalia. I suoi dati biografici completi per adesso non si trovano registrati. Fortunatamente, Milan M. ivanovi, autore della prefazione del libro Garibaldinci na Drini 1876, scritto da Giuseppe Barbanti-Brodano e tradotto da Miodrag T. Risti, ha scritto qualche frase1 sul traduttore in base alle quali veniamo a sapere che Miodrag T. Risti stato professore e direttore del ginnasio (1876, aak - 1947, Belgrado); allinizio del Novecento con i suoi amici e i suoi compagni, cio Jovan Skerli, Pavle Popovi e gli altri, si iscrive alla Srpska knjievna zadruga e ne rimane membro attivo durante tutta la sua vita; collabora alla Srpska knjievna zadruga come traduttore e la SKZ pubblica nella sua traduzione: Holandska di Edmondo de Amicis (1904, XIII, 92), Kraj mrtvaca, novella di Gabriele DAnnunzio (1908, Zabavnik 7 Pripovetke III) e Nova Italija di Pietro Orsi con la prefazione dello stesso Miodrag T. Risti (1909, XVIII, 125-126). Si tratta delle seguenti opere: Olanda di Edmondo de Amicis, un reportage di viaggio dedicato ai Paesi Bassi; La veglia funebre di Gabriele DAnnunzio, novella che fa parte delle Novelle di Pescara; LItalia moderna, libro storico di Pietro Orsi. Anche se non disponiamo di una biografia esauriente di Miodrag T. Risti, il suo lavoro e i suoi studi sono sempre interessanti, visto che riguardano tanti ambiti della civilt italiana: letteratura, cultura, politica, ecc. Per accennare alla sua attivit di scrittore e di traduttore, riportiamo una lista dei suoi libri, che si possono trovare nelle seguenti biblioteche: Narodna biblioteka Srbije, Belgrado; Univerzitetska biblioteka Svetozar Markovi, Belgrado; Biblioteka Matice srpske, Novi Sad. I libri e i saggi dei quali autore Miodrag T. Risti sono:
1

Barbanti-Brodano, Giuseppe, Garibaldinci na Drini 1876, Srpska knjievna zadruga, Beograd, 1958, p. 22. Titolo originale: Volontario nella guerra serbo-turca, Societ Editrice delle Pagine sparse, Bologna 1877

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1. Italianski nacionalizam, Delo, Ni 1915 (Il nazionalismo italiano) 2. Italianski nacionalizam I, Geca Kon, Beograd 1936 3. Jedna volja: lanci o Italiji, Beograd 1936 (Una volont: gli articoli sullItalia) Italianski nacionalizam un saggio nato da una relazione, il cui contenuto sar spiegato nella sezione sugli articoli di Miodrag T. Risti scritti per la rivista Delo. Quello che bisognerebbe sottolineare che la seconda edizione del saggio, uscita in volume a s stante, mentre la prima edizione era in forma di articolo pubblicato sulla rivista Delo, caratterizzata da un ampliamento del tema riportato nella prefazione e da alcune correzioni e aggiunte segnate sempre nella prefazione. Jedna volja: lanci o Italiji una raccolta di una serie di articoli sulla situazione politica, sociale e storica dellItalia. Gli articoli erano apparsi precedentemente in vari periodi sulle riviste e sui giornali serbi. In questo senso, la raccolta risparmia la fatica a chi vorrebbe leggerli, perch linteressato non dovrebbe cercare tutte le riviste e tutti i giornali su cui erano apparsi gli articoli, ma potrebbe semplicemente prendere il libro Jedna volja: lanci o Italiji. Di seguito, riportiamo i titoli degli articoli raccolti, con la data e il nome della rivista o del giornale dove erano stati pubblicati precedentemente: 1. Macini, Delo del 14 febbraio 1904 (Mazzini) 2. Jedan Englez i jedan Srbin o Italianima, Delo, marzo 1913 (Il pensiero di un inglese e di un serbo sugli italiani) 3. Dananji poloaj Italije, Politica del 15 febbraio 1915 (La posizione odierna dellItalia) 4. ta sam video u Italiji, Politika del 6 e del 17 settembre 1922 e del 10 e dell11 ottobre 1922 (Quello che ho visto in Italia) 5. Ukrtenih maeva, Politika del 31 ottobre 1922 (Con le spade incrociate) 6. Jedna primedba, Politica del 6 febbraio 1922 (Unobiezione) 7. Ostavka g. Farinaija, Vreme del 13 aprile 1926 (Le dimissioni del signor Farinacci) 8. Italija i Jugoslavija, Vreme del 18 marzo 1927 (LItalia e la Jugoslavia) 9. Italianska stvarnost, Vreme del 27 marzo 1927 (La realt italiana) 10. Poetak Suda rada u Italiji, Trgovinski glasnik del 14 luglio 1927 (Lapertura del Tribunale del lavoro in Italia) 11. Socialna politika Italije, Glasnik Lekarske Komore, marzo 1929 (La politica sociale dellItalia) 12. Reenje Rimskog pitanja, Vreme del 15 e del 16 febbraio 1929 (La coclusione della Questione romana) 13. Vitorio Emanuele III, Politica del 19 agosto 1935 (Vittorio Emanuele III) 14. Patti chiari, amicizia lunga, Belgrado del 17 marzo 1935 15. Italija i Musolini, Roma, aprile 1936 (LItalia e Mussolini) Gli articoli Macini e Jedan Englez i jedan Srbin o Italianima sono riassunti nel testo insieme agli altri articoli della rivista Delo, dove larticolo Jedan Englez i jedan Srbin o Italianima intitolato R. Bagot: Glitaliani doggi (Bari, Latezza, 1912). Quanto agli articoli Patti chiari, amicizia lunga e Italija i Musolini, intitolato anche Dananja Italija prema g. Musoliniju (LItalia doggi nei confronti di Mussolini), non sono apparsi sui giornali, ma per la prima volta vengono pubblicati probabilmente nella raccolta Jedna volja: lanci o Italiji. Per questo, vi sono segnati solamente la data e il luogo della stesura.

160 I libri tradotti da Miodrag T. Ristia sono:

Danijela Maksimovi

1. De Amicis, Edmondo, Holandska, Srpska knjievna zadruga, Beograd 1904 (Olanda) 2. Machiavelli, Niccol, Vladalac, Geca Kon, Beograd 1907 (Il Principe) 3. Machiavelli, Niccol, Vladalac, Sveslovenska knjiara M. J. Stefanovi i drug, Beograd 1931 4. Machiavelli, Niccol, Vladalac, Rad, Beograd 1964 5. Machiavelli, Niccol, Vladalac, Rad, Beograd 1982 6. Machiavelli, Niccol, Vladalac, Dereta, Beograd 2002 7. Machiavelli, Niccol, Vladalac, Sran Javorina i drugi - Ue, Beograd 2004 8. Machiavelli, Niccol, Vladalac, Dereta, Beograd 2005 9. Machiavelli, Niccol, Vladalac, Sran Javorina i drugi - Ue, Beograd 2006 10. Orsi, Pietro, Nova Italija, Srpska knjievna zadruga, Beograd 1909 (LItalia moderna) 11. Prezzolini, Giuseppe, Kaporeto, Pavlovi i Komp., Beograd 1921 (Caporetto) 12. Pirandello, Luigi, Pokojni Matija Paskal, Edicija A. D., Beograd 1940 (Il fu Mattia Pascal) 13. Barbanti-Brodano, Giuseppe, Garibaldinci na Drini 1876, Srpska knjievna zadruga, 1958 (Volontario nella guerra serbo-turca) 14. Del Vecchio, Giorgio, Pravo, pravda i drava, Geca Kon, Beograd 1940 (Diritto, giustizia e stato - Studi di Filosofia del diritto) 15. Del Vecchio, Giorgio, Pravo, pravda i drava, Plato, Beograd 1998 16. Del Vecchio, Giorgio, Pravo, pravda i drava, Pravni fakultet Univerziteta, Centar za publikacije, Beograd 1999 Come si vede nellelenco dei libri tradotti, alcuni di essi hanno avuto pi edizioni. Lo stesso Miodrag. T. Risti cercava di migliorare le proprie traduzioni, come si pu vedere sfogliando le edizioni del Vladalac (Il Principe di Niccol Machiavelli). Per esempio, per la prima edizione, quella del 1907, Miodrag T. Risti aveva scritto la prefazione che praticamente rappresentava un piccolo saggio in difesa di Niccol Machiavelli, perch, secondo Miodrag T. Risti, era molto aperto e sincero a proporre le proprie idee politiche, che erano antipatiche, ma che lui riteneva portatrici di verit. Nella stessa prefazione ci sono i dati sulle tre traduzioni precedenti del trattato Il Principe. La prefazione del 1907 viene inserita pure nelledizione del 1931, probabilmente per accennare al lato positivo del pensiero machiavelliano, ed e completata da un epilogo dove Miodrag T. Risti mette in rilievo la capacit analitica, il coraggio e lintellettualit del pensiero politico di Niccol Machiavelli. Il traduttore finisce lepilogo dicendo che aveva cercato di presentare una traduzione migliore della prima, visto che in quella cerano sia dei refusi che degli sbagli nella traduzione, per esempio nella traduzione della forma arcaica del futuro del verbo essere. Le edizioni dal 1964 in poi sono adeguate al lettore doggi, grazie al professor Momilo D. Savi che ha redatto ledizione del 1964 introducendo la lingua e la sintassi moderna senza cambiare il senso delle traduzioni di Miodrag T. Risti. Laltro libro che vanta pi edizioni Pravo, pravda i drava di Giorgio Del Vecchio. Come si pu gi concludere, ogni traduzione di Miodrag T. Risti una specie di capolavoro. Non sono traduzioni crude, ma sono seguite dai saggi su un certo autore e su un certo tema. Cos il libro Diritto, giustizia e stato - Studi di Filosofia del diritto non stato semplicemente tradotto - la prefazione, scritta dal professor ore Tasi, tratta il tema dellidealismo di Giorgio Del Vecchio rappresentato come difensore del principio della dignit delluomo e come difensore

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dellinternazionalismo, mentre il professor Dragan M. Mitrovi nellepilogo parla della vita, delle opere e delle attivit di lavoro di Giorgio Del Vecchio. Ovviamente, i libri da tradurre erano stati scelti con molta attenzione seguendo il principio di utilit - basta dire che Giorgio Del Vecchio nel suddetto libro scrive, fra laltro, sulle conseguenze della guerra, specialmente quelle positive, per farci ricordare subito di Niccol Machiavelli - allora chiaro che Miodrag T. Risti ci ha lasciato le traduzioni che sono una specie di documenti storici. Non bisogna dubitare neanche della loro qualit. Se il traduttore non si sentiva in grado di scrivere una prefazione, la affidava a quelli che conoscevano il lavoro dellautore, come in questo caso - ore Tasi, professore e preside della Facolt di Giurisprudenza di Belgrado, era amico di Giorgio Del Vecchio e conosceva bene la sua ideologia. Per confermare il filo storico che caratterizza le traduzioni, possiamo dare un accenno al tema dellItalia moderna di Pietro Orsi - sono trattati gli ultimi 150 anni fino ai tempi di Vittorio Emanuele III. Precisamente, il libro finisce con lanalisi della situazione dellanno 1901 e con la presentazione dellarte e della letteratura a partire da Giuseppe Parini in poi. Oltre a queste traduzioni, Miodrag T. Risti ci ha lasciato le traduzioni e i saggi anche sulla rivista Delo che uscita a Belgrado dal 1894 fino al 1915, con una pausa dal 1900 al 1902. Nei settantaquattro volumi, che si possono trovare tutti presso la Narodna biblioteka Srbije, la rivista tratta temi di scienza, di letteratura e di societ di tutta lEuropa. Miodrag T. Risti ci ha collaborato dal 1904 fino al 1915. Qui presentiamo il riassunto dei suoi articoli, o meglio saggi, che anche oggi possono essere molto utili per gli italianisti. Macini, Delo, Belgrado 1904, volume 30, pp. 217-230 (Mazzini) Questo saggio tratta la vita e lideologia di uno dei pi grandi ideali del popolo italiano di Giuseppe Mazzini, presentato come un grande personaggio che per tutta la vita ha combattuto per la repubblica. Miodrag T. Risti lo descrive come una persona soprattutto modesta, mite e idealmente onesta. Poi passa alle sue gesta e alle sue rivolte. Scrive delle origini, della famiglia, dellistruzione, delleducazione e delle idee di Mazzini, e anche dei carbonari e della Giovine Italia. Dopo averlo descritto come un grande repubblicano, cio capo dei repubblicani, mette in rilievo il suo grande amore per gli slavi. Il saggio finisce con laccenno alle capacit letterarie di Mazzini romantico che esprimeva lentusiasmo poetico che era tipico anche dei suoi ideali politici. Lettere di Giosu Carducci, 1853-1906 (Zanichelli, Bologna 1911), Delo, Belgrado 1913, volume 66, pp. 143-149 Leggendo queste pagine abbiamo lopportunit di vedere quale era il ruolo delle lettere di Carducci nel definire il suo carattere - lui si mostrava come una persona adirata, piena dira e dodio, per rimane il dubbio se lo fosse davvero. Le lettere nascondono dentro di s anche i suoi dilemmi, ma non solo - ci si trovano gli appunti che fanno parte dei suoi studi letterari e i pensieri sugli altri scrittori. Rappresentano pure un ritratto della sua vita e della sua posizione ideologica e politica, molto interessante. Alla fine, Miodrag T. Risti difende lidea di pubblicazione delle lettere (che una volta uscite erano chiamate i cenci), perch tutto quello che c in esse provoca le simpatie verso il loro autore. Kritini period italianske spoljne politike, Delo, Belgrado 1913, volume 66, pp. 220241 (Il periodo critico della politica estera dellItalia)

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Si tratta della traduzione del capitolo V della Storia di dieci anni (1899-1909) di Arturo Labriola. Il capitolo descrive la politica estera dei Savoia nei confronti della Francia e dellAustria, i tempi della Triplice alleanza, la situazione dopo di essa e un futuro incerto dopo levitata guerra contro lAustria. R. Bagot: Glitaliani doggi (Bari, Lateza (sic), 1912), Delo, Belgrado 1913, volume 66, pp. 467-472 La recensione ci rappresenta un libro di R. Bagot che studia leconomia e la societ dellItalia dopo il Risorgimento, per non si tratta di quel paese degli anni ottanta che era unito politicamente - si tratta di una nuova Italia, unita economicamente e socialmente, che fa progresso. Naturalmente, sono presenti pure le difficolt di un paese che deve andare avanti. Miodrag T. Risti fa accenno ai lati positivi e negativi del libro spiegando la sua nascita e d la propria spiegazione del progresso italiano e del pensiero di Francesco Nitti. Virginio Gayda: La crisi di un Impero. Pagine sullAustria contemporanea (Torino, Fratelli Bocca, 1913; st. 446, L 5), Delo, Belgrado 1913, volume 68, pp. 240246 Si tratta della recensione del libro di Gayda che vivendo a Vienna come corrispondente del Mattino e della Stampa ha avuto lopportunit di raccogliere il materiale per unanalisi statistica della crisi dellAustria. Il libro non sintetico, per lautore vanta unoggettivit invidiabile. La recensione seguita da alcuni passi del libro spiegati da Miodrag T. Risti. Italianski nacionalizam, Delo, Belgrado 1915, volume 72, pp. 241-248; volume 73, pp. 22-29, 59-73 (Il nazionalismo italiano) La relazione del 1914, fatta a Belgrado da Miodrag T. Risti sul nazionalismo italiano, riportata su queste pagine. Si parte dalla Carboneria e dal suo programma di politica estera e nazionale, poi si passa alla Giovine Italia e allIrredentismo per arrivare al Nazionalismo. Lautore parla di storia, organizzazione, programma, politica, pensiero e ideologia di questo movimento. Espone i suoi problemi principali provocati dalle idee diverse dei suoi personaggi principali che erano fautori della democrazia, e, dallaltra parte, dellantidemocrazia. Si spiega perch il Nazionalismo era contro il pacifismo e perch glorificava la guerra. Si parla dello statuto, dei giornali del Nazionalismo e della sua idea dimperialismo, della Triplice alleanza e dei rapporti problematici tra gli italiani e gli slavi. La relazione finisce con una rassegna dei successi del Nazionalismo sia in Italia che nellambito della politica estera. Miodrag T. Risti era uno studioso stimato anche durante la vita - ne troviamo la conferma nella pagina 159 del volume 66 del Delo dov lodata la sua traduzione dal serbo allitaliano dellarticolo di Jovan Cviji sulla guerra balcanica e sulla Serbia - (Dott. Jovan Zviji, La guerra balcanica e la Serbia, Roma 1912). Larticolo era stato pubblicato prima in inglese sulla rivista Review of Reviews. Con questa traduzione Miodrag T. Risti ha avvicinato gli italiani alla situazione economica e nazionale dei Balcani, il che era significativo, visto che i rapporti economici tra lItalia e la Serbia diventavano sempre pi stretti. Il discorso sul lavoro di Miodrag T. Risti non si esaurisce sicuramente con la nostra rassegna delle sue pubblicazioni, dato che ogni suo saggio e articolo e ogni traduzione che ci ha lasciato potrebbe essere un grande contributo agli studi di storia, di cultura e di letteratura dItalia.

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MIODRAG T. RISTI PISAC I PREVODILAC (R e z i m e) Verovatno je nedostatak biografskih podataka o Miodragu T. Ristiu uticao na to da se i njegovo delo nepravedno zanemari, ali budnom oku profesora eljka uria, na iju sugestiju smo i pristupili kratkom istraivanju ije rezultate ovde iznosimo, nije promaklo stvaralatvo ovog izuzetno plodnog pisca i prevodioca. S obzirom da je Risti do sada bio neizuavan, ako nam nije promakla neka studija o njemu, izneli smo bibliografski prikaz njegovog rada uz kratku napomenu o njegovim prevodima i sadraju njegovih lanaka i eseja bez zalaenja u detaljne analize s ciljem da itaocima u kratkim crtama predstavimo delo pomenutog autora. Sledei konstantnost u radu, doprineo je boljem upoznavanju ne samo s italijanskom knjievnou (kojoj se posveivao s velikom ljubavlju birajui paljivo dela za prevoenje i strpljivo doterujui svoje prevode), nego i s kulturnim, drutvenim, istorijskim i politikim prilikama u Italiji. S druge strane, poklanjao je panju odnosima izmeu Jugoslavije i Italije, a prevodom na italijanski Cvijievog lanka koji govori o ratovima na Balkanu i o Srbiji dao je doprinos i u pribliavanju naih istorijskih prilika italijanskoj italakoj publici. Kao to smo ve naznaili, pregled Ristievog stvaralatva se nudi kao bibliografski vodi za sve one kojima bi njegovo delo moglo biti od velike koristi ne samo u radu, nego i u sticanju i proirivanju opte kulture, tim pre to se njegove knjige, lanci i eseji nalaze u katalozima Narodne biblioteke Srbije i Univerzitetske biblioteke Svetozar Markovi u Beogradu i Biblioteke Matice srpske u Novom Sadu, te su stoga i lako dostupni. Podrazumeva se da je bibliografija o kojoj je re ujedno i materijal koji smo mi koristili prilikom sastavljanja ovog lanka o Miodragu T. Ristiu.

INDICE
CURRICULUM VITAE ET STUDIORUM BIBLIOGRAFIA...................................................7 Massimo Fanfani SU UNA FORMULA DI SALUTO................................................... ...........................................15 Anton Maria Raffo LESINA................................................... ................................................... ..................................42 Gordana Teri RELAZIONI DEITTICHE E ANAFORICHE DEI DIMOSTRATIVI ITALIANI E SERBI................................................... .............................48 eljko uri GABRIELE DANNUNZIO E LA SUA ODE ALLA NAZIONE SERBA .............................65 Julijana Vuo STUDIARE IN ITALIANO................................................... .......................................................77 Slobodan Stevi ALCUNI ELEMENTI DEL DISCORSO QUOTIDIANO............................................................86 Mila Samardi FUNZIONE SEGMENTATRICE DEL PUNTO FERMO NELLA NUOVA PROSA GIORNALISTICA................................................... .........................97 Mirjana Drndarski I VIAGGI DI ALBERTO FORTIS........................................ .....................................................108 Saa Moderc OSSERVAZIONI SUL VALORE TEMPORALE DEL CONGIUNTIVO TRAPASSATO......116 Milana Pileti UNA VITA PER IL SUO VERSO................................................... ...........................................123 Duica Todorovi Lacava SUL FIORE E SULLAMORE.................................................. .................................................129 Persida Lazarevi Di Giacomo A PROPOSITO DEGLI SLAVI MERIDIONALI: HEINRICH STIEGLITZ E PACIFICO VALUSSI.....................................................................137 Predrag Bojani LA SERBIA E LITALIA SUL KRFSKI ZABAVNIK ..........................................................147 Danijela Maksimovi MIODRAG T. RISTI SCRITTORE E TRADUTTORE...........................................................158

SADRAJ
CURRICULUM VITAE ET STUDIORUM BIBLIOGRAFIJA..................................................7 Masimo Fanfani O JEDNOM NAINU POZDRAVLJANJA.................................................................................15 Anton Maria Raffo HVAR.............................................................................................................................................42 Gordana Teri DEIKTIKI I ANAFORIKI ODNOSI IZMEU ITALIJANSKIH I SPRSKIH POKAZNIH ZAMENICA..........................................................................................48 eljko uri GABRIJELE DANUNCIO I NJEGOVA ODA SRPSKOM NARODU..................................65 Julijana Vuo UITI NA STRANOM JEZIKU...................................................................................................77 Slobodan Stevi NEKI ELEMENTI SVAKODNEVNOG JEZIKA........................................................................86 Mila Samardi SEGMENTACIONA FUNKCIJA TAKE U SAVREMENOJ ITALIJANSKOJ TAMPI........97 Mirjana Drndarski PUTOVANJA ALBERTA FORTISA EKONOMSKA I POLITIKA MISIJA.....................108 Saa Moderc O TEMPORALNOJ VREDNOSTI ITALIJANSKOG KONJUNKTIVA PLUSKVAMPERFEKTA............................................................................................................116 Milana Pileti JEDAN IVOT PO SOPSTVENOM STIHU..........................................................................................................................................123 Duica Todorovi Lakava O CVETU I O LJUBAVI.............................................................................................................129 Persida Lazarevi Di akomo O JUNIM SLOVENIMA: HAJNRIH TIGLIC I PAIFIKO VALUSI..................................137 Predrag Bojani SRBIJA I ITALIJA U KRFSKOM ZABAVNIKU .................................................................147 Danijela Maksimovi MIODRAG T. RISTI PISAC I PREVODILAC........................................................................158

ITALICA BELGRADENSIA numero speciale

Izdava UNIVERZITET U BEOGRADU FILOLOKI FAKULTET KATEDRA ZA ITALIJANSKI JEZIK I KNJIEVNOST Priprema i tampa IGOJA TAMPA Tira 300

Beograd, 2010. CIP , 811.131.1 ITALICA Belgradensia / odgovorni Urednik Nika Stipevi. 1975, br. 1.- Beograd : Univerzitet u Beogradu Filoloki fakultet, 1975- (Beograd : igoja). 24 cm Tekst na italijanskom i srpskom jeziku. - Nije izlazio od 1976. do 1988. godine. ISSN 0353-4766 = Italica Belgradensia COBISS.SR.-ID 165600130

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