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LEZIONI DI

TANATOLOGIA

Prof. Angelo Montana


La tanatologia (voce composta dal greco tanatos «morte» e
logos « studio, discorso, trattazione ») costituisce quella
parte della medicina legale, eminentemente applicativa
(tanatologia forense), volta allo studio dei fenomeni ed
all'individuazione dei segni che consentono di accertare la
realtà e l'epoca della morte nonché la rapidità o meno del
decesso.
Costituiscono oggetto dello studio tanatologico:

1) le modificazioni che si verificano nell'organismo umano nel


passaggio tra la vita e la morte e che consentono di accertare
la realtà del decesso;

2) le alterazioni chimico-fisiche e, quindi, morfologiche del


cadavere, con specifico riferimento ai diversi fattori in grado
di influenzarne l'evoluzione e soprattutto ai relativi tempi di
estrinsecazione e di apprezzabilità (tanatocronologia);
I FENOMENI CADAVERICI

TRASFORMATIVI
ABIOTICI O NEGATIVI (DISTRUTTIVI E/O
CONSERVATIVI

IMMEDIATI CONSECUTIVI COMUNI


perdita della coscienza evaporazioni tegumentarie autolisi
ed incartapecorimenti
insensibilità autodigestione
raffreddamento del corpo
immobilità ed abolizione putrefazione
(algor mortis)
del tono muscolare SPECIALI
Le ipostasi (o livor mortis)
cessazione della macerazione
respirazione scomparsa della irritabilità
muscolare ed irrigidimento mummificazione
cessazione della cadaverico (o rigos mortis)
circolazione saponificazione
corificazione
IL GIUDIZIO TANATOCRONOLOGICO
Il giudizio tanatocronologico, è “tradizionalmente” affidato alle risultanze
della triade classica, ossia dei tre segni abiotici consecutivi,
unanimemente ritenuti fondamentali allo scopo:

a) rilievo della temperatura cadaverica e valutazione del decremento


temporale della stessa (algor mortis);

b) valutazione della ipostasi, sua distribuzione topografica e sua


evolutività (livor mortis);

c) valutazione della rigidità cadaverica (rigor mortis).


Time of death: a still open issue

«…purtroppo
l'accuratezza della
stima dell'intervallo
non ha affatto tenuto
il passo con gli
enormi progressi
compiuti dalla
tecnologia. »
Cosa è cambiato?
La stima dell’epoca di morte per Francis E. Camps non è una scienza esatta:“…il risultato migliore che

possiamo ottenere è una ragionevole supposizione sull’ epoca del decesso, prendendo in considerazione

tutti i fattori noti, compresi i dati circostanziali, se presenti, che dovrebbero limitare il margine di errore …

Scopo della stima dell’epoca di morte è dare una evidenza scientifica solida per evitare tutti gli sprechi, in

termini economici e di tempo, di una Giustizia sommaria.”

“Estabishment of the time since death: a critical assessment.” Camps, F. J Forensic Sci, 1959

“… L’ obiettivo più importante è fornire una stima dell’epoca di morte già sul luogo in cui è
stato trovato il corpo.
I metodi utilizzati nella stima dell’epoca di morte dovrebbero ovviamente essere i più precisi
possibili, ma ancor più importante è la loro affidabilità.

L’affidabilità è il principio più importante in quanto può essere fornito solo empiricamente
dall'analisi statistica degli errori (deviazione tra tempo calcolato e tempo reale dalla morte)
negli studi di settore.

Per questi motivi non esisterà mai un’ora della morte, ma piuttosto un intervallo.”

General remarks on estimating the time since death” Madea, B. and Henssge C. CRC press,

2016
Famous Cases Involving Time of Death

Edgar Allan Poe


…erano in
ferie????
Il giudizio tanatocronologico…
ALGOR MORTIS

Dei tre diversi principali segni abiotici consecutivi il più


rilevante ai fini della stima tanatocronologica è il
decremento termico post-mortale che si caratterizza per
apprezzabile attendibilità e contenuto margine di errore,
soprattutto se il rilievo termico viene inserito in sistemi
di valutazione ponderata delle diverse possibili variabili
nella specie ricorrenti quali il nomogramma di Henssge
ovvero il sistema integrato di Henssge e Madea.
ALGOR MORTIS

L’arresto delle attività vitali e, al contempo termo-genetiche, portano ad un


“progressivo raffreddamento del cadavere” per abbassamento della
temperatura sino al livellamento della stessa con quella dell’ambiente esterno.
La temperatura corporea interna, spesso misurata a livello rettale, viene
indicata mediamente pari a 37°C. L'arresto delle funzioni vitali ed il
conseguente venir meno dei processi metabolici fanno sì che il cadavere —
esposto, come di consueto, ad una temperatura ambientale inferiore ai 37°C ed
in sintonia con i principi della termodinamica — raggiunga gradualmente la
temperatura dell'ambiente circostante disperdendo progressivamente il
proprio calore per conduzione, convezione, irraggiamento ed evaporazione.
ALGOR MORTIS
Il decremento termico di un corpo è regolato dalla legge di Newton secondo la
quale la velocità della perdita di calore da parte di un oggetto caldo che si
raffredda all'aria, a temperatura costante ed in assenza di variabili quali la
ventilazione o l'umidità, è in rapporto di proporzionalità diretta con la
differenza tra la temperatura dell'oggetto stesso e quella ambientale ed è in
relazione con la propria conduttività termica, cioè con la capacità di condurre
calore, specifica di ogni sostanza. In virtù delle enormi variabili bioumorali e
tissutali proprie del corpo umano ne deriva che il raffredda­mento cadaverico
segue non una linea retta bensì una curva ad andamento sigmoide
decrescente, con variazioni meno rapide (plateau) nelle prime ore subito dopo
la morte ed in quelle più prossime all'allineamento con la temperatura
ambientale.
ALGOR MORTIS

I principali fattori che influenzano il decremento termico, si


distinguono in:
a. intrinseci, tra i quali vanno annoverati la temperatura corporea
iniziale all’atto della morte, lo stato di nutrizione e il peso del
cadavere, la presenza di pannicolo adiposo,
b. estrinseci, tra i quali ricordiamo la presenza di indumenti a
funzione coibente; la temperatura ambiente, del suolo o
dell’acqua, la ventilazione e l’umidità.
ALGOR MORTIS

INTRINSECI
ESTRINSECI
-Estese aree di perdita di sostanza cutanea
- Temperatura ambientale: assume notevolissima
post-traumatica (escoriazioni, ustioni, ecc.)
importanza non solo in quanto tale ma anche in
- Sottigliezza della cute: il ridotto spessore relazione al livello termico della superficie di
cutaneo dei neonati e dei lattanti appoggio del cadavere
-Rapporto tra massa e superficie corporea: - Umidità e ventilazione: il clima asciutto e
nei neonati, nei lattanti e nei bambini la ventilato accentua il raffreddamento in quanto
superficie corporea è maggiore rispetto alla favorisce l'evaporazione post-mortale; il
massa per cui si ha una più intensa contrario si verifica a seguito dell'esposizione
dispersione termica. del cadavere ad ambiente umido e non ventilato
-Pannicolo adiposo (costituzione corporea) - Indumenti: questi, in relazione alla loro quantità
- Temperatura corporea al momento della e soprattutto qualità fanno aumentare il
morte cosiddetto strato di « aria privata» ad
immediato contatto con la superficie corporea.
- Modalità del decesso (emorragie ec…)
- Atteggiamento del cadavere
ALGOR MORTIS

1. prima fase, della durata di 3-4 ore dopo la morte, in cui la temperatura
cadaverica degrada di circa mezzo grado all’ora, persistendo una certa
attività dei fenomeni di vita residua;

2.seconda fase, comprende le successive 6-8 ore successive( quindi dalla 5


alla 12^ ora) in cui la temperatura decresce più rapidamente in media di
circa un grado all’ora;

3.terza fase, comprendente l’intervallo dalla 12^-24^ ora in cui la


temperatura torna a degradare in maniera nuovamente lenta da ¾ di
grado a ½ grado ed ¼ di grado sino ad eguagliare la temperatura
ambiente comunque entro le 24 ore.
LIVOR MORTIS

«Ipostasi» dal greco upostasis «sedimento» indicativo di


quello che è il principale meccanismo che presiede alla
formazione ed evoluzione delle ipostasi cadaveriche,
determinato per l'appunto soprattutto dalla raccolta per
gravità del liquido ematico nelle regioni declivi del corpo
non soggette a compressione.
LIVOR MORTIS

La compromissione dell’effetto pompa, assicurato dall’attività


cardiaca ed il conseguente arresto della circolazione, determinano
la stagnazione e raccolta del sangue, per forza di gravità nelle
regioni declivi del cadavere con replezione dei vasi del derma, che
passivamente si dilatano lasciando trasparire una colorazione
scura della cute distrettuale e conseguente appalesarsi della
ipostasi o macchie ipostatiche, classicamente di colorito rosso
violaceo, che contrastano in maniera netta con il pallore
caratteristico della cute cadaverica, di solito di colorito grigio-
cereo.
LIVOR MORTIS

La recente applicazione di metodiche di


immunoistochimica per la colorazione specifica
dell'emoglobina (in 68 casi) ha confermato che la
fissità delle macchie ipostatiche non è determinata,
almeno inizialmente, dalla diffusione
dell'emoglobina nei tessuti extravascolari bensì
dall'emoconcentrazione che si realizza all'interno
dei vasi sanguigni
LIVOR MORTIS

La formazione delle ipostasi è dunque da porre in rapporto


a due ordini dí fattori, fra loro intimamente correlati:
1) l'accumulo di sangue nelle zone più declivi del sistema
vascolare dovuto alla forza di gravità;
2) lo svuotamento dei vasi arteriosi e la spinta della massa
ematica verso la periferia ed il sistema venoso, per azione
combinata della persistente attività contrattile arteriosa e
della rigidità della muscolatura liscia delle arterie (si
ritiene che anche l'irrigidimento dei muscoli striati possa
indurre schiacciamento delle strutture vascolari
arteriose).
LIVOR MORTIS

Come tutti i fenomeni tanatologici anche il livore


cadaverico risente non poco delle influenze
esercitate da diversi fattori, in questo caso
soprattutto intrinseci al cadavere dato che quelli
estrinseci (umidità e temperatura) tendono
maggiormente ad influire sul suo aspetto
cromatico piuttosto che sulla fenomenologia
cronologica. Particolare rilievo assumono in
proposito la quantità e le condizioni chimico-
fisiche della massa ematica al momento della
morte.
LIVOR MORTIS

Sotto il profilo metodologico-operativo, è da annotare


come il tempo di comparsa della ipostasi sia improntato
da una certa variabilità; schematicamente:

- la ipostasi inizia già circa mezz’ora dopo la morte


apparendo di un tenue roseo pallido;
- dopo le 4-6 ore cominciano a confluire rendendosi
più marcate;
- raggiunge la massima estensione ed intensità in un
intervallo compreso tra la 12^-18^ ora.
LIVOR MORTIS

ipostasi da replezione (primo stadio), correlata con lo stato


di replezione dei vasi da parte del sangue fluido, di
durata fino alle 10 ore, il che rende possibile modificando
la posizione del corpo, modificare lo stato di replezione e
quindi la distribuzione della ipostasi (fase di migrazione
della ipostasi, distinta in fase di migrazione totale,
comprendente le prime 6-8 ore, in cui le ipostasi
formatesi si attenuano fino a scomparire, mentre
compaiono nelle nuove sedi declivi; fase di migrazione
parziale o fissità relativa compresa tra la 8^-12^ ora in
cui la ipostasi primitiva impallidisce ma non scompare,
comparendo tenui nelle nuove sedi declivi);
LIVOR MORTIS

La cosiddetta «migrazione» è dovuta alla


formazione di nuove ipostasi nelle sedi
secondariamente declivi ad opera del sangue
contenuto nella rete venosa superficiale
sottocutanea e soprattutto nelle anse vasali «a
candelabro» (reticolo venoso sottocutaneo). Il
termine «migrazione» risulta sostanzialmente
improprio sebbene assai diffuso in letteratura: più
precisamente si deve parlare di formazione di
nuove ipostasi al mutare della posizione del
LIVOR MORTIS

Soprattutto se particolarmente intense, le ipostasi possono


estendersi anche alle regioni laterali del tronco, determinandosi
di fatto la « risalita » delle macchie contro gravità in virtù del
noto fenomeno dei vasi comunicanti. Sono dette « risalenti» le
ipostasi che giungono fino alle linee ascellari media ed anteriore;
« a marea montante » ove vengano oltrepassati tali limiti, con
formazione di lividure, più o meno confluenti, anche sulle
regioni anteriori del tronco e degli arti. Assumono tipica
disposizione antigravitaria « a mantellina » (sulla superficie
anteriore della metà superiore del torace, delle spalle, del collo e,
spesso, anche a livello del volto) nelle morti rapide,
caratterizzate da abbondante sangue fluido, soprattutto in quelle
asfittiche o da subitanea cessazione dell'attività cardiaca
LIVOR MORTIS

« ipostasi in zone non ipostatiche» o «paradosse» o «in sede


epistatica » si formano per la presenza di un ostacolo che
impedisce il deflusso di sangue nelle regioni declivi (ad esempio in
caso di compressione ad opera di lacci, indumenti, ecc.).
Le ipostasi in zone non ipostatiche riconoscono nella loro genesi
primariamente ostacoli al deflusso ematico secondo gravità:
— a livello del distretto cavale superiore;
— a livello del distretto cavale inferiore e/o del sistema portale;
— in distretti più circoscritti, sarà la compressione esercitata da
indumenti o lacci (impiccamento, strangolamento, legature
particolari, ecc.) ad esaltare la locale ed antigravitaria
evidenziazione delle lividure cadaveriche.
LIVOR MORTIS

ipostasi da diffusione (secondo stadio), dovuta alla


filtrazione delle componenti proteiche plasmatiche e tra
queste dell’emoglobina liberatasi a seguito della emolisi
delle masse che impregna i tessuti conferendo una
stabile colorito rosso-violaceo. Ciò si verifica dopo la 15^
ora, conservando le ipostasi la loro distribuzione
originaria, qualunque sia la nuova posizione imposta al
corpo.
LIVOR MORTIS

facendo riferimento all’osservazione che il decesso avviene il più


delle volte in posizione supina, la ipostasi si osserverà di correlato
nelle regioni declivi dorsali non soggette a compressioni: regione
nucale, lobi auricolari, dorsi e glutei. Qualora il cadavere giaccia
in posizione prona le ipostasi saranno rilevate sulle superfici
ventrali, mentre si disporranno sulle superfici laterali se il cadavere
decombe su un fianco, in tal caso si rileveranno anche in
corrispondenza della congiuntiva dell’occhio declive.
LIVOR MORTIS

Sempre con riferimento al criterio topografico da ricordare la


peculiarità topografica delle ipostasi nell’impiccato, che assumono
tipica disposizione agli arti “a guanto” e “a calza”; nell’annegato,
per converso, le ipostasi si dispongono in prevalenza al volto e alle
estremità degli arti: ove il cadavere si trovi immerso nel liquido al
momento del decesso o subito dopo, la disposizione delle ipostasi
risulta abbastanza caratteristica, prevalendo al capo e alle
estremità, in ragione della tipica disposizione del cadavere in
acqua indotta dal meteorismo addominale ed al maggior peso che
vengono ad assumere la testa e gli arti.
LIVOR MORTIS

il rilievo di una diversa tonalità cromatica può fornire elementi


discriminatori di evidente rilevanza specie in alcuni tipi di
avvelenamento:
- nell’avvelenamento da monossido di carbonio la ipostasi assume
colorito rosso ciliegia, nel contesto di una diffusa tonalità rosea
della cute, tale colorito rosso ciliegia, cui si accompagna un
colorito scuro delle labbra e delle unghie.
- negli avvelenamenti da cianuro per la presenza di ciano-
emoglobina, la ipostasi assume colorito rosso intenso con
sfumatura periferica rosea.
- negli avvelenamenti da sostanze ad azione emolizzante (clorato,
permanganato di potassio, vapori nitrosi, veleni di alcuni funghi),
per la presenza di metaemoglobina, la ipostasi assume sfumatura
brunastra, fino al blu ardesia.
Introduzione alla Tossicologia Forense – Prof. Angelo Montana

Intossicazione da idrogeno solfato


Introduzione alla Tossicologia Forense – Prof. Angelo Montana
Introduzione alla Tossicologia Forense – Prof. Angelo Montana

Intossicazione da idrogeno solfato


Introduzione alla Tossicologia Forense – Prof. Angelo Montana
Introduzione alla Tossicologia Forense – Prof. Angelo Montana
RIGOR MORTIS

Dopo qualche ora, si assiste all'instaurarsi dell'irrigidimento


cadaverico (periodo di invasione) che, con andamento progressivo
ed intensità crescente, induce nei muscoli uno stato di contrattura
con notevole rigidità di tutte le articolazioni (periodo culminante),
fino alla graduale defervescenza del fenomeno (periodo di
risoluzione) che, una volta completa, restituisce al cadavere la sua
iniziale flaccidità (quest'ultima, anzi, è più accentuata di quella
originaria tanto da consentire con estrema facilità movimenti
passivi articolari anche al di là dei limiti naturali)
RIGOR MORTIS

I meccanismi fisico-chimici che ne sono alla base sono a


tutt'oggi sufficientemente chiari anche se hanno necessitato di un
lungo periodo di approfondimento scientifico.

Inizialmente venivano correlati alla persistenza nella


muscolatura di prodotti del catabolismo della funzione motoria
(soprattutto eccesso di acido lattico derivante dalla glicolisi
anaerobia post-mortale) che, rimasti inossidati con il cessare della
vita, avrebbero dato luogo ad una coagulazione irreversibile delle
proteine sarcoplasmatiche.
RIGOR MORTIS

Diversi studi hanno quindi accreditato la teoria, tuttora accettata,


che nella formazione ed evoluzione della rigidità cadaverica svolge
un ruolo fondamentale 1'adenosin-trifosfato (ATP): in particolare,
la progressiva caduta della concentrazione di ATP nel muscolo
cadaverico in rapporto alla sua mancata sintesi post-mortale. In
effetti nel post-mortem si è rilevato un progressivo decremento
dell'ATP muscolare, dovuto alla graduale scissione ad opera
dell'enzima adenosin-trifosfatasi (ATP-asi), con iniziale possibilità
di scorrimento dei filamenti di actina e miosina ma con successiva
totale inscindibilità dell'interazione acto-miosinica a partire dal
momento della completa scomparsa dell'ATP. Il rigor mortis è
dunque da ricondurre principalmente alla stabile interazione delle
proteine contrattili — ín carenza di ATP, eccesso di acido lattico e
riduzione del pH — in forma di acto-miosina; la successiva
risoluzione trova motivazioni nella rinnovata solubilità dei
complessi acto-miosinici dovuta all'autolisi ed alla putre­fazione
che li scinde nuovamente nei rispettivi protidi (actina e miosina).
RIGOR MORTIS

Nei muscoli scheletrici la rigidità compare solitamente dopo circa 2


ore, rendendosi ben manifesta a distanza di 3-6 ore circa dopo la
morte. L'andamento del rigor può essere così schematizzato:

A) compare intorno alla 3ma-4ma ora dalla morte;


B) si diffonde completamente a tutte le articolazioni tra la 7ma e la 12ma ora;
C) raggiunge la massima intensità verso la 36ma - 48ma ora;
D) inizia a risolversi lentamente a partire dalla 48ma ora;
E) la risoluzione si completa entro la terza quarta giornata (dalla 72ma ora).

La fase di risoluzione risulta sovente anche più protratta, tanto che


si possono riscontrare chiari segni di rigidità soprattutto alle
articolazioni degli arti inferiori anche a più di 80 ore dal decesso e,
nell'esposizione al freddo, anche dopo diversi giorni.
RIGOR MORTIS

Secondo la classica «legge di Nysten » la rigidità


interesserebbe primariamente i muscoli masseteri ed i muscoli
nucali, risultando quindi per prima manifesta a livello delle
articolazioni temporo­mandibolari, estendendosi poi agli altri
muscoli del collo, a quelli degli arti superiori, del tronco ed infine a
livello della muscolatura degli arti inferiori.
Ciò in relazione ad un postulato decremento cranio-caudale
dell'attività del sistema nervoso centrale ed alla sua influenza sul
determinismo dell'irrigidimento post-mortale (discendente e
centrifugo).
Inoltre, il fenomeno si intensificherebbe gradualmente man
mano che avviene la sua diffusione, per poi decrescere fino a
scomparire seguendo un ordine topografico pressappoco analogo
(discendente e centrifugo).
I segni cadaverici
trasformativi

I segni post-mortali trasformativi si rendono di solito


manifesti più tardivamente rispetto ai consecutivi,
sebbene l'effettiva insorgenza dei primi sia talora coeva
ovvero addirittura preceda la compiuta estrinsecazione
dei secondi, sommandosi pertanto i segni degli uni a
quelli degli altri.
I segni cadaverici
trasformativi
Sono distinti in

Distruttivi Comuni
Autolisi Autolisi
Putrefazione Putrefazione
Macerazione

Speciali
Conservativi Macerazione
Saponificazione Saponificazione
Mummificazione Mummificazione
Corificazione Corificazione
I segni cadaverici
trasformativi

Nel complesso risultano notevolmente influenzati


dalle condizioni ambientali al punto che, proprio le
caratteristiche fisico-chimiche dell'ambiente in cui
si trova il cadavere, rappresentano il principale
fattore in grado di determinare l'evoluzione verso
l'uno o l'altro fenomeno trasformatívo.
Autolisi

Proprio per il suo concorrere con la putrefazione nella distruzione


della sostanza organica, l'autolisi viene giustamente collocata fra i
fenomeni trasformativi, distinguendosi tuttavia dalla putrefazione
essenzialmente per il fatto che si tratta di un processo autodemolitivo
dovuto alle sole attività enzimatiche cellulari e quindi in assenza
dell'intervento di microorganismi.

Dal punto di vista biochimico l'autolisi consiste quindi


nell'aggressione enzimatica e nella disgregazione delle
macromolecole fondamentali: le proteine vengono scisse in peptoni e
quindi in aminoacidi; i nucleoprotidi in acido fosforico e basi
puriniche; i carboidrati in alcooli, acido piruvico ed acido lattico; i
lipidi in glicerolo ed acidi grassi.
Autolisi
(Fattori intrinseci ed estrinseci)
Il processo autolitico è più lento in caso di morte rapida_in soggetti sani mentre risulta
intuitivamente accellerato nelle morti precedute da fasi agoniche più o meno prolungate
ovvero determinate da processi patologici inducenti una protratta e diffusa sofferenza
cellulare.

Tra i fattori estrinseci, trattandosi di fenomeno legato precipuamente ad attività enzimatiche,


assume valore soverchiante la temperatura (optimum tra i 37 ed i 45°C).

La velocità e l'entità del fenomeno nei vari distretti dell'organismo variano in funzione del
tipo di tessuto, risultando più lento e meno intenso in quelli ad elevata componente
connettivale, assumendo decorso rapido e notevole estrinsecazione nel pancreas, nella
midollare del surrene, nella mucosa gastrica ed intestinale (in relazione con l'azione dei
succhi digestivi), mostrando invece una gradualità intermedia nel fegato, nei reni, nella milza,
nei muscoli e nell'encefalo.
Putrefazione

E’ l'insieme dei processi di


decomposizione dei
costituenti organici dell'organismo,
dovuti allo sviluppo postmortale ed
all’incessante attività metabolica di
microrganismi — anaerobi ed aerobi,
endogeni ed esogeni — ad attività
saprofitica.
Putrefazione

I microrganismi della putrefazione (in particolare schizomiceti) appartengono a


diverse specie, molte delle quali sono abituali costituenti della normale flora ospite
nell'organismo vivente soprattutto a livello delle vie digerenti e respiratorie
superiori. Tali microrganismi, unitamente ad altri eventualmente già presenti in
funzione patogena, proliferano nel cadavere non essendo più soggetti ad alcun
sistema di restrizione del loro sviluppo; altri, poi, si insediano dall'esterno per
inquinamento post-mortale.

La putrefazione è dovuta unicamente a germi di derivazione ambientale (aerobi)


nel caso in cui i visceri interni siano sterili, come ad esempio nei feti e nei neonati
venuti a morte subito dopo il parto. In tali frangenti origina solitamente a livello
toracico per penetrazione di germi nelle vie aeree, ovvero, nelle sedi del
rivestimento cutaneo-mucoso caratterizzate dalla presenza di lesioni di continuità;
l'evoluzione del fenomeno è in questo caso unicamente centripeta.
Putrefazione

Anche in quest'ambito appare opportuna una separata ed


articolata trattazione dei diversi fattori estrinseci ed
intrinseci al cadavere che assumono notevole rilievo
nell'influenzare l'incedere della putrefazione nella sua
opera di trasformazione cadaverica .
Putrefazione
(Fattori estrinseci)

Di assoluto rilievo nell'evoluzione della fenomenologia putrefattiva risulta, intuitivamente,


la temperatura ambientale dal momento che alla base del fenomeno sono le attività
metaboliche dei diversi microrganismi coinvolti. Pur variando sensibilmente in relazione
alle diverse specie di germi, è possibile individuare limiti inferiori (minimum) e superiori
(maximum) di temperatura ambiente entro i quali si ha proliferazione batterica, con un
range di temperatura ottimale (opti­mum) cui corrisponde la maggiore attività di
replicazione che tende in genere a collocarsi vicino ai valori massimi .
Secondo De Bernardi, la temperatura ambientale più idonea è compresa tra i 20 ed i 40°C
(Optimum fra 35 e 40°C);
ben difficilmente si manifestano segni di putrefazione a temperature inferiori ai 2°-3 °C e,
comunque, lo sviluppo dei microorganismi putrefattivi e la loro attività metabolica
risultano notevolmente rallentati già al di sotto dei 10°C (minimum) così come in caso di
temperature al di sopra dei 40°C (maximum).
Al di sotto ed al di sopra di tali limiti, infatti, la putrefazione
« rallenta notevolmente, cedendo il passo, in tutto o in parte, a trasformazioni particolari»
Putrefazione
(Fattori estrinseci)

Classica in proposito l'affermazione di Devergie secondo cui:


«Il corso della putrefazione d'estate e d'inverno varia talmente, che
v'è talvolta una differenza d'un mese nella comparsa delle stesse fasi
della putrefazione »
il grado di putrefazione raggiunto in un'ora in estate richiederebbe
pertanto circa un giorno in inverno.

Altrettanto classico l'aforisma di Casper:


« rispetto al grado di putrefazione, a temperature
approssimativamente uguali, una settimana (un mese, ecc.) di
esposizione del cadavere all'aria libera corrisponde a due settimane
(mesi) di dimora dello stesso nell'acqua e ad otto settimane (mesi) di
ordinario giacimento sotto terra »
di qui la regola mnemonica cosiddetta dell'1:2:8.
Putrefazione
(Fattori estrinseci)

L'attività metabolica e la replicazione dei microrganismi putrefattivi sono peraltro


ostacolate dal clima secco e ventilato nella misura in cui sottrae acqua aI tessuti e
quindi l’elemento vitale per qualsiasi forma di vita. Nello stesso senso agisce
l'intensa acidificazione.

Al contrario, l'umidità dell'aria quindi dei tessuti agevola l'azione dei germi sempre
sulla base dell'ovvia considerazione che l'acqua rappresenta il mezzo essenziale
per qualsiasi reazione metabolica.

Il ruolo degli indumenti è alquanto controverso in quanto se è vero che possono


accentuare l’effetto termico, limitando il raffreddamento post-mortale, al
contempo proteggono il cadavere dall'azione diretta della luce del sole, dal vento
e, soprattutto, dall'aggressione ad opera degli animali.

Il terreno umido e ricco in germi favorisce la putrefazione che invece é ostacolata


da terreni asciutti, porosi, in grado di drenare i liquidi e, se molto profondi, privi di
germi.
Putrefazione
(Fattori intrinseci)

Tra questi va considerata preliminarmente età. I bambini vanno incontro a


putrefazione più facilmente, in ragione della maggiore superficie corporea in
rapporto al volume e del maggior contenuto in acqua dei tessuti (ricordiamo però
che nei feti e nei nati morti il fenomeno è ostacolato dalla sterilità del canale
intestinale).

Intuitivamente, la morte a seguito sepsi accelera la fenomenologia putrefattiva


che, al contrario, viene ostacolata a seguito di intenso trattamento antibiotico nelle
fasi precedenti il decesso.

Favorisce la putrefazione la subitaneità del decesso con conseguente intensa


fluidità ematica, così come tipicamente si verifica nelle morti improvvise, in quelle
violente, soprattutto, nelle asfissie; le emazie nel sangue fluido infatti risultano più
facilmente aggredibili dai microrganismi e la stessa fluidità ematica favorisce la
diffusione del fenomeno attraverso una più agevole pseudocircolazione ad opera
dei gas putrefattivi.
Putrefazione
(Fattori intrinseci)

Soluzioni di continuo cutaneo-mucose, a prescindere dalla loro patogenesi e dalla


loro vitalità favoriscono la putrefazione ,soprattutto se estese e/o particolarmente
profonde, in quanto agevolano la penetrazione dei germi dall'esterno. Ciò risulta
particolarmente enfatizzato in caso di depezzamento.

Anche la ricchezza tissutale di acqua, come nell'obesità o negli stati anasarcatici,


favorisce le reazioni metaboliche dei germi putrefattivi.

Per contro, sono di ostacolo alle attività metaboliche dei microrganismi putrefattivi
le emorragie profuse, gli stati anemici, la magrezza e l’intensa disidratazione dei
tessuti precedenti il decesso.

L’intossicazione da monossido di carbonio o da cianuri, dal canto suo, rende


l’emoglobina più resistente all'azione disgregatrice dei batteri, rallentando di
conseguenza l'evoluzione dei fenomeni putrefattivi.
Putrefazione
(Evoluzione e Cronologia)

Nella fenomenologia putrefattiva si distinguono scolasticamente diverse fasi:

1) colorativa o cromatica;
2) gassosa;
3) colliquativa;

che, tuttavia, si manifestano solitamente senza una successione cronologica


precisa e tendono a sovrapporsi le une alle altre in una progressione ininterrotta di
eventi metabolici e trasformativi che conducono alla scissione completa in
composti chimici semplici a partire dalla materia organica.

L'epilogo consueto del, processo putrefattivo consiste nella scheletrizzazione ma


peculiari condizioni ambientali possono condurre da un lato alla polverizzazione ed
all'umificazione e dall'altro alla fossilizzazione dei resti scheletrici.
Putrefazione
(Fase colorativa)

Nella fase colorativa (o cromatica) i primi segni


appariscenti della putrefazione si apprezzano, all'esame
esterno, sotto forma di una macchia verde a livello cutaneo.

Questa è dovuta, secondo classica dottrina, al combinarsi


dell’idrogeno solforato derivante dalla putrefazione con
l'emoglobina proveniente dalla diffusione emolitica con
conseguente formazione di solfoemoglobina e
solfometaemoglobina.
Putrefazione
(Fase colorativa)

La macchia verde di solito compare precocemente in sedi topografiche —


quadranti addominali e, in particolare, fossa iliaca destra — corrispondenti ai
visceri dove la putrefazione si verifica con maggiore intensità causa la notevole
presenza di flora microbica (colon e, in particolare, cieco).

L’estrinsecazione del segno a livello della fossa iliaca destra non è certo obbligata
né sempre prevalente ma comunque risulta di una certa frequenza; ciò può essere
spiegato non solo con la locale elevata carica microbica e con la relativa maggiore
vicinanza anatomica alla parete addominale anteriore rispetto agli altri tratti del
colon ma anche con il fatto che il cieco, per i suoi rapporti con il peritoneo, è
alquanto mobile nella loggia cecale all'interno della fossa iliaca destra.

Sovente la macchia verde manca a livello della parete addo­minale negli obesi dove
la diffusione è ostacolata dallo spessore del pannicolo adiposo.
Putrefazione
(Fase colorativa)
Putrefazione
(Fase colorativa)

La colorazione si evidenzia, secondo la comune esperienza,


tra la 12°e la 48°ora dalla morte mediamente in 24-36 ore.
La cronologia è comunque estremamente variabile potendo manifestarsi già dopo
poche ore dal decesso con diffusione entro le 20-30 ore soprattutto nei climi caldi;
altre volte, in rapporto a temperature rigide, può avere una comparsa
notevolmente più lenta, nell'ordine di alcuni giorni (3-4 giorni).

Successivamente
dopo le prime macchie verdastre, si determina:
la «fanerizzazione» o«faneizzazione»
della rete venosa superficiale relativamente alla progressiva putrefazione del
sangue contenuto soprattutto nelle anse vasali sottocutanee « a candelabro » a
concavità aperta verso 1'esterno.
Putrefazione
(Fase colorativa)

La cute assume così un aspetto simile a quello dato al marmo dalle sue «venature»
e viene perciò detta «marmorizzata». Il reticolo venoso risulta inizialmente di
colorito rossastro-verdastro, virando in seguito più nettamente verso la sfumatura
verdastra e quindi brunastra, accentuandosi via via la fittezza delle maglie ché la
costituiscono.

Le striature cromatiche si estendono gradatamente fino a confluire in aree sempre


più ampie, determinandosi infine una pigmentazione diffusa a tutto il
cadavere che trapassa man mano da una tinta verdognola ad una
bruno-nerastra per le modifiche putrefattive del pigmento ematico
(ematina).
Putrefazione
(Fase gassosa)

Con l'avanzare dei fenomeni putrefattivi si palesa quindi la


cosiddetta fase gassosa (o enfisematosa o gigantesca).

In essa, per la grande produzione di gas ad opera dei germi anaerobi, il cadavere va
caratteristicamente rigonfiandosi, sino ad assumere un aspetto «gigantesco» o
«batraciano» .
Putrefazione
Fase gassosa
Putrefazione
(Fase gassosa)

Caratteristici di tale periodo sono:

- la facies negroide (volto tumefatto, di colorito bruno-nerastro, palpebre rigonfie, labbra


tumide, dilatazione delle pinne nasali con relativo infossamento della radice del naso);
- il rigonfiamento notevole degli organi genitali esterni ed in particolare dello scroto e del
pene;
- l'intenso meteorismo cadaverico con caratteristico crepitio alla palpazione della cute che
dà la sensazione di comprimere neve fresca (enfisema sottocutaneo);
- la protrusione dei bulbi oculari e della lingua che può fuoriuscire completamente ex ore;
- l'addome diviene enorme, globoso, teso-elastico alla palpazione, con cicatrice
ombelicale appianata o estroflessa, gli arti vengono così spinti in abduzione ed in semiflessione
(essendosi peraltro la rigidità ormai risolta).
Putrefazione
(Fase gassosa)
Di comune osservazione sono altresì le cosiddette «flittene» gassose (in
sede epistatica) o a contenuto liquido putrido rosso-roseo misto a gas (in
sede ipostatica), dovute a scollamento (enfisema bolloso ed epidermolisi
putrefattiva) degli strati più superficiali de11‘epidermide (strato corneo).
Tale scollamento può indurre il distacco più o meno completo del guanto o
della calza epidermica.
Putrefazione
(Fase gassosa)

La stagione calda, come più volte sottolineato, rende tumultuoso l'avanzare


dei processi putrefattivi ed invero è possibile distinguere una putrefazione

estiva da una putrefazione invernale.


Secondo la comune esperienza la fase enfisematosa
inizia in estate verso il 2°- 4° giorno della morte e talora più
precocemente entro le 24 ore (protraendosi per una o due settimane);
non di rado solo verso il 10°-15° giorno in inverno, stagione nel corso
della quale lo stadio gassoso può perdurare addirittura per 1-2 mesi.
Putrefazione
(Fase colliquativa)

Nella fase colliquativa, anche grazie all'azione degli enzimi autolitici,


si determina così la trasformazione delle parti molli in liquame
putrido. Progressivamente la produzione dei gas si riduce ed il
cadavere, per la loro progressiva eliminazione attraverso le
discontinuazioni cutanee e le aperture naturali, diminuisce di volume
con afflosciamento <a barca> dell'addome, mentre la cute - in
rapporto alle trasformazioni del pigmento ematico - assume un
aspetto decisamente bruno o nerastro.
Putrefazione
(Fase colliquativa)

I processi colliquativi che iniziano generalmente verso la


fine del periodo enfisematoso, si rendono ben evidenti
dopo 3-4 mesi dalla morte.
Putrefazione
(Fase colliquativa)

Non tutti i tessuti, comunque, subiscono la colliquazione contemporaneamente.


Ciò in rapporto a diversi fattori rappresentati dalla loro struttura connettivale o
fibrosa, dalla maggiore o minore rete vascolare, dalla presenza o meno di locali
processi patologici (soprattutto settici).
Il sangue, i surreni, l'encefalo, il pancreas, la milza e gli organi linfoidi (linfonodi,
timo), la mucosa gastrica ed intestinale, sono i visceri più rapidamente interessati
dal fenomeno che interessa in maniera disordinata il fegato, il rene, il midollo
osseo, l'utero gravidico o puerperale.
Putrefazione
(Fase della scheletrizzazione)

Lo stadio colliquativo può perdurare anche molti mesi prima di dar luogo all'ultima fase,
quella della scheletrizzazione, che d'altra parte può essere notevolmente accelerata
dall'azione distruttiva della macrofauna e/o della microfauna, ed in particolare di
voracissime larve (dette volgarmente « vermi ») che si sviluppano da uova depositate da
diverse specie di insetti, fin dai primi momenti della morte o addirittura in periodo agonico,
sulla cute ed in corrispondenza delle cavità naturali del cadavere (i cosiddetti «travailleurs
de la mort » di Mégnin).
Putrefazione
(Fase della scheletrizzazione)
In definitiva il completamento della scheletrizzazione (perdita di tutte o della maggior parte
delle parti molli che ancora aderiscono allo scheletro)

può richiedere un periodo di tempo variabile fra i 18-36 mesi ed i 3-5 anni (fino a 10-15 anni
nei cadaveri inumati o tumulati in cassa metallica),
con notevoli variazioni in rapporto non solo all'intervento dei diversi fattori menzionati
(l'evoluzione trasformativa dopo seppellimento di un cadavere in buone condizioni di
conservazione diversifica non poco da quella di un cadavere seppellito quando ormai i
fenomeni trasformativi erano assai avanzati!) ma anche alle stesse condizioni di
conservazione del cadavere che, se rinchiuso in casse metalliche a tenuta stagna, va
incontro più lentamente ai fenomeni putrefattivi raggiungendo così la scheletrizzazione in
un periodo anche considerevolmente più lungo.
Putrefazione
(Fase della scheletrizzazione)
Fenomeni putrefattivi speciali
Macerazione

Si tratta di un fenomeno che, stricto sensu, si manifesta unicamente nel feto morto
e trattenuto in utero, a membrane ovulari integre, allorché vi sia in esso ancora
liquido amniotico sterile.

Infatti, si realizza soltanto quando il cadavere non sia contaminato da germi


putrefattivi e, indipendentemente dalla loro azione, evolve essenzialmente per
autolisi associata ad una particolare imbibizione dei tessuti.
Macerazione
Macerazione

L'unicità del fattore ambientale è decisiva ai fini dell'evoluzione del processo


macerativo. Nel caso in cui si determini riassorbimento del liquido amniotico, il
feto morto e trattenuto nella cavità uterina, in relazione al mutare delle condizioni
ambientali, può subire ulteriori e differenti processi trasformativi quali la
mummificazione (feto papiraceo) e l'eventuale calcificazione con formazione del
cosiddetto litopedio, ovvero la stessa putrefazione se l'utero viene contaminato da
germi.
Macerazione

I fenomeni macerativi si osservano, anche, nei cadaveri che soggiornano in un mezzo


liquido.
Tali fenomeni tanto più prevalgono su quelli putrefattivi, quanto più bassa è la
temperatura del liquido di immersione.

Inoltre, non va dimenticato che una discreta macerazione cutanea si può verificare
anche nel cadavere inumato in terreno umido che, nel tempo, analogamente
all'ambiente liquido, costituirà fattore ambientale ideale allo sviluppo della
saponificazione.
Macerazione

L'epidermide, soprattutto a livello delle mani e dei piedi, già


dopo qualche ora di permanenza in acqua diviene raggrinzita, molle
e
biancastra (cosiddetta « cute da lavandaia ») sino a che, dopo alcuni
giorni di immersione, con l'eventuale concorso di fattori meccanici di
qualsiasi natura, tende a distaccarsi caratteristicamente « a guanto »
od
«a calza », comprendenti anche le unghie e i peli.
Macerazione

In genere i fatti macerativi interessano prima e più intensamente le mani rispetto ai


piedi, sia in relazione ad una loro diversa struttura dermo-epidermica ma anche in
rapporto al fatto che generalmente i piedi risultano protetti dalle scarpe.
Talora si può osservare un diverso grado di macerazione fra le due mani,
evidentemente in ragione di una loro diversa posizione e/o atteggiamento ma anche di
un differente spessore dei vari strati epidermici tra il lato dominante ed il controla­
terale: il fenomeno si manifesta infatti più precocemente nelle zone di epidermide più
spessa.
Osservazioni effettuate dopo aver immerso mani e piedi di cada­veri in sacchi di plastica
ripieni di acqua dolce o di mare hanno consentito di affermare che la macerazione è
più intensa nella prima rispetto alla seconda
Macerazione
(Evoluzione)
In relazione all'evoluzione del processo macerativo:
— nelle prime 24 ore si osserva sbiancamento e lieve raggrinzi­mento della cute delle dita, specie dei
polpastrelli;
— il fenomeno si accentua fino a13° giorno con interessamento dei margini delle dita, del palmo della
mano e della pianta dei piedi (parziali distacchi epidermici possono iniziare a partire da14° giorno);
— si verifica quindi il distacco dei « guanti » e delle « calze » epidermici che, di solito, si completa tra
i17° e il 15° giorno, periodo in cui le restanti aree epidermiche risultano facilmente distaccabili mediante
semplice sfregamento cutaneo;
— successivamente non vi sono parametri di riferimento, per cui la stima del tempo di immersione
diviene largamente approssimativa.
Saponificazione

Trattasi di un fenomeno trasformativo speciale che si


verifica nel cadavere sommerso in acqua od inumato in
terreno umido; tuttavia non è necessario un eccesso di
liquido poiché risulta sufficiente — quanto meno per una
saponificazione parziale — la quota di acqua interna al
cadavere quale quella che abbonda nelle sedi ipostatiche.
Saponificazione

I consueti processi putrefattivi sono notevolmente ostacolati,


sovente dalla bassa temperatura ma soprattutto dalla carenza di
ossigeno, mentre va progressivamente formandosi attorno al
cadavere una sorta di involucro bianco-grigiastro (che rappresenta
una discreta barriera protettiva per gli organi interni) costituito da
una sostanza neoformata, detta « adipocera » per il particolare
aspetto morfologico che assume il tessuto adiposo, dovuta secondo
la più classica trattatistica, al combinarsi degli acidi grassi che
infiltrano la cute con i sali di calcio e le basi alcaline presenti
nell'acqua o nel terreno (sapone di calcio insolubile).
Saponificazione

Il fenomeno si verifica, come detto, in ambienti che di per sé sono di ostacolo alla
putrefazione, specie della sua componente aerobia, in quanto privi di ossigeno,
particolarmente se ricchi in acqua, come si verifica appunto nella sommersione del
cadavere in acqua ovvero nella sua inumazione in terreno umido.

Analoghe condizioni si verificano quando il cadavere_ è posto in un contenitore


ermeticamente chiuso (ad esempio in cassa metallica o in un sacco di plastica), lì
dove la componente acquosa assicurata dai liquidi interni al cadavere soprattutto
abbondanti nelle sedi ipostatiche.
Saponificazione
Il cadavere saponificato si palesa, dungue come a massa
bianco-grigiastra pesante e viscida per la rilevante imbibizione d'acqua; l'odore è
assai intenso e sgradevole, simile a quello del formaggio rancido
Disidratandosi diviene più leggero e fragile; assumendo un
aspetto cretaceo ed una colorazione bianco gesso.

Il processo di saponificazione inizia a livello del pannicolo adiposo sottocutaneo e


tende ad estendersi in profondità, giacché gli stessi muscoli infiltrati dal grasso
sottocutaneo colliquato, i depositi adiposi perirenali; omentali o mesenterici e gli
organi interni, specialmente se contenenti una notevole quantità di grasso (fegato
steatosico, cor adiposum, ecc.), possono subire la degradazione in adipocera.
Moti ondosi e sollecitazioni meccaniche di vario tipo possono facilmente indurre
distacco totale o_parzlale di segmenti cor,porei e la diffusione della saponificazione
agli organi interni.
Scheletrizzazione Saponificazione
Mummificazione

È quel processo trasformativo speciale a carattere altamente


conservativo che si verifica allorché il cadavere — in rapporto a
particolari fattori ambientali ma anche con concorso di alcune
condizioni endogene — va incontro ad una intensa quanto rapida
perdita di liquidi di modo che i tessuti vengono, per così dire, fissati
per disidratazione.
Mummificazione

Il cadavere mummificato presenta un colorito brunastro (dal grigio-


giallastro al bruno-marrone), con pelle di consistenza di cuoio
vecchio o pergamenacea ed aderente alle ossa; le articolazioní
risultano rigide; a volte permangono in situ gli annessi piliferi, le
unghie ed i capelli; i caratteri fisionomici sono abbastanza ben
conservati; i visceri interni appaiono conglutinati e profondamente
modificati.

Con il trascorrere del tempo, i cadaveri mummificati subiscono


l'attacco di muffe e tarli che invadono sempre più i tessuti disseccati
facendo loro assumere un aspetto poroso; quindi tendono
gradatamente a frammentarli ed a ridurli in polvere, mettendo allo
scoperto le parti scheletriche.
Mummificazione
Mummificazione
(Fattori intrinseci ed estrinseci)

Relativamente, poi, ai fattori endogeni, il processo si determina intuitivamente con


maggiore facilità in cadaveri di persone di costituzione magra, o denutrite, rispetto
a quelli di individui grassi. Per quanto attiene l'età la mummificazione si instaura
più facilmente nei bambini e nei vecchi emaciati a causa di una minore massa
corporea, di una ridotta quantità di liquidi tissutali (nei vecchi), di una maggiore
sottigliezza della cute (nei bambini);

Le condizioni ambientali favorenti questa speciale trasformazione cadaverica


vanno identificate soprattutto nei climi caldi, secchi e ventilati, in grado di
ostacolare fortemente i normali processi putrefattivi e di indurre rapidamente
intensa deplezione idrica tissutale. Anche l'inumazione in terreni asciutti, porosi o
sabbiosi, ad alto contenuto in sali calcarei e capaci di assorbire i liquidi può
condizionare la mummificazione del cadavere.
Mummificazione
(Cronologia)

Per un processo di mummificazione totale possono essere


necessari anche 6-12 mesi (qualche mese nei bambini o nei
feti).

Tuttavia, non infrequentemente, sono stati descritti casi di


mummificazione naturale dopo 2-3 mesi e addirittura,
eccezionalmente, dopo 2-3 settimane.
Corificazione

È quel fenomeno trasformativo che si osserva con una certa


frequenza in cadaveri rinchiusi in casse, soprattutto se foderate con
metalli pesanti, in particolare zinco o piombo.

Per l'aspetto macroscopico la corificazione è stata rapportata ad una


sorta di mummificazione « umida» nel contesto di una specie di
«imbalsamazione naturale».

Il termine « corificazione » (dal latino corium = cuoio) è stato coniato


da Dalla Volta — che per primo ha descritto il fenomeno in maniera
esauriente — in relazione al fatto che la cute assume una
caratteristica consistenza, simile a quella del cuoio di concia recente
(a differenza che nella mummificazione) e si presenta quindi
relativamente morbida, integra ed elastica, di colorito grigio-
giallastro, più scuro nelle parti scoperte (testa e mani), resistente al
taglio.
OPERAZIONI SETTORIE PRATICABILI SUL
CADAVERE
1) Riscontro
diagnostico giudiziaria

2) Autopsia a scopo
didattico-
scientifico
3) Dissezione
anatomica
Riscontro diagnostico
(Art.37 R.P.M.)

• E’ l’ insieme di procedure ed operazioni inerenti alla sezione


cadaverica effettuata con finalità di controllo della diagnosi, ovvero
con finalità di chiarimento di quesiti clinico-scientifici .
• Deve essere praticato di regola sui cadaveri dei soggetti deceduti
senza assistenza medica, trasportati ad un deposito di osservazione
o ad un obitorio; può essere eseguito sui soggetti deceduti in
ospedale, nelle cliniche universitarie, negli istituti di cura privati od
ancora al proprio domicilio.
Dissezione anatomica
( R.P.M. art. 40-43).

• La consegna alle sale anatomiche universitarie di cadaveri a


scopo di studio deve avvenire dopo trascorso il periodo di
osservazione delle salmeLa consegna alle sale anatomiche
universitarie dei cadaveri destinati, a norma dell'art. 32 del testo
unico delle leggi sulla istruzione superiore, approvato con
Regio Decreto 31 agosto 1933, n. 1592, all'insegnamento ed
alle indagini scientifiche deve avvenire dopo trascorso il
periodo di osservazione prescritto dagli articoli 8, 9 e 10.
AUTOPSIA GIUDIZIARIA
Consensus Conference Medico-Legale
Foggia 14-16 Aprile 2005

• “Indagine dettagliata di un cadavere, ovvero di parti


di esso, praticata da uno o più medici legali al fine di
determinare epoca, causa, mezzi e modalità
produttive del decesso e/o ogni altra condizione
suscettibile di avervi contribuito, integrata da
prelievi di tessuti e liquidi biologici, al fine di
complete valutazioni, anche nell’intento di stabilire
l’identità del defunto”.
USA AUTOPSY RATES: 1972 TO 1994,
From College of American Pathologists, 2003
AUTOPSY RATES LITERATURE REVIEW
USA AUTOPSY RATES: 1972 TO 1994,
From College of American Pathologists, 2003
…One result of the decreasing autopsy rates is that pathologists
have increasing difficulty in performing autopsies and in
correlating Clinical and autopsy results, It often is difficult for
pathology residents to achieve the 50 autopsies required by the
American Board of Pathology for board certification and by the
Residency Review Board of the Accreditation Council for
Graduate Medical Education (ACGME)…

In Autopsy performance and reporting, College of American Pathologists, 2003


Reasons for Decline of
Autopsy

From McPhee SJ. Maximizing the benefits of autopsy for clinicians


and families: what needs to be done. Arch Pathol Lab Med.
96;120:743-8.
really
In
2008
UK At least a third of death
certificates are likely to be
incorrect and 50% of
autopsies produce findings
unsuspected before death. In
addition, the cases which
give rise to discrepancies
cannot be identified prior to
autopsy. Over 20% of
clinically unexpected
autopsy findings, including
5% of major findings, can be
correctly diagnosed only by
histological examination .
USA .CONCLUSION: Major
discrepancies of commission and
omission occur frequently between
the death certificate and autopsy. 1)
Death certificates are often wrong.
2) The time-honored autopsy is
more valuable than ever. 3)
Physicians need to write better
death certificates and correct them.
4) Death certificate-based vital
statistics should be corrected with
autopsy results. 5) Vital statistics
should note deaths confirmed by
autopsy. 6) More autopsies would
improve vital statistics and the
practice of medicine.
Brasil
The percent confirmation fell to
60% when the immediate
terminal cause of death was
considered, and in 25% of cases,
the terminal cause was only
diagnosed at autopsy. The
discrepancies between clinical
and autopsy diagnosis were even
larger for secondary diagnoses:
50% of them were not suspected
upon clinical diagnosis.
Slovenia

Fatal but potentially


treatable errors
[group C, 12 patients
(9.5%)] were found in
8.7%, 10.0%, and
10.5% of patients in
groups L1, L2, and L3,
respectively (NS
between groups).
Italy
The clinical
diagnostic
error rate
documented
by autopsy
studies
ranges from
6% to 68%.
really
In
2008
The autopsy, the
oldest method of
medical
investigation, has
been placed in a
peculiar position.

As physicians, we should accept the principle that


new procedures should not be exclusive of older
methods. Rather, the new and the old represent a
proper union for continued progress inmedicine. If
we accept these principles, we shall be true to the
rich heritage which has been given to us by the
pioneers of modem medicine.
Conclusion: A high overall
With recent advances in discrepancy rate between
diagnostic imaging, the value premortem and autopsy
of autopsy has been called into diagnoses was recognized.
question. The aim of our study Autopsy revealed clinically
was to assess the current relevant information in a
impact of autopsy for early significant number of cases.
postoperative quality Therefore autopsy remains
management in cardiac essential for quality
surgery. assessment in perioperative
treatment.
really
Learn it In
2008
1) The Hospital autopsy, 2° edition, J. Burton and G. Rutty, Arnold, London
2001
2) Handbook of autopsy practice, 3° edition, J. Ludvig, Humana Press,
Totowa, 2002
3) Handbook of Forensic pathology, 2° edition, College of American
Pathologist, Northfield, Illinois, 2003
4) Autopsy Performance and Reporting, 2° edition, College of American
Pathologist, Northfield, Illinois, 2003
5) Autopsy Pathology a manual and atlas, Finkbeiner, Ursel, Davis,
Elsevier, Philadelphia, 2004
6) Color atlas of the autopsy, S.A. Wagner, CRC Press, Washington D.C.,
2004
7) Handbook of pediatric autopsy pathology, E. Gilbert/Barness, DE.
Debich/Spicer, Humana Press, Totowa 2005
8) Manuale atlante di tecnica autoptica forense, C. Pomara e V. Fineschi,
Piccin, Padova, 2007
Benefits of the Autopsy

From McPhee SJ. Maximizing the benefits of autopsy for clinicians and families: what
needs to be done. Arch Pathol Lab Med. 96;120:743-8.
REVIVING THE AUTOPSY: CONCLUSIONS

The future of the autopsy: From College of American Pathologists, 2003


IDENTIFICAZIONE ODONTOLOGICA DEL CADAVERE CARBONIZZATO,

APPARTENUTO IN VITA A JASON DARRICK CONGER.

Preventivamente alle operazioni di indagine settoria si è proceduto con le operazioni di

identificazione odontologica dei resti carbonizzati mediante confronto tra rilevazioni post-

mortali e dati ante-mortem relativi alla situazione dentaria dei resti carbonizzati esaminati.

Nello specifico, sono stati messi a confronto dati antecedenti il decesso, rappresentati da

immagini su supporto fotografico e radiografico attestanti pregressi trattamenti odontoiatrici,

nonché immagini inerenti esami strumentali effettuati sull’apparato odontostomatologico, con

i dati post-mortem rilevati al tavolo settorio, soffermando l’attenzione su eventuali pregressi o

recenti trattamenti iatrogeni. All’uopo si è provveduto alla comparazione di reperti fotografici

attestanti recenti cure odontoiatriche effettuate dal soggetto quando era ancora in vita, con

quanto obiettivato macroscopicamente sui resti carbonizzati delle arcate dentarie, quasi

totalmente interessate da fenomeni di carbonizzazione, in sede di ricognizione cadaverica

esterna.
Nello specifico lo studio comparativo ha permesso di evidenziare i seguenti elementi, sia nei

reperti ante- che post-mortem, dirimenti nel processo identificavo:

 la mancanza degli elementi dentari 2.2. e 2.3;

 la presenza della banda ortodontica sull'elemento 2.6 e il restauro in amalgama

in corrispondenza dell'elemento dentario 2.7;

 la presenza di arco e molla ortodontica sono riferibili alla suddetta terapia

ortodontica iniziata in vita

La suddetta comparazione odontologica ha permesso di identificare i resti del cadavere

carbonizzato in un soggetto di sesso maschile, di nazionalità americana, appartenuto in

vita a JASON DARRICK CONGER.

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