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Università degli studi dell’Aquila

Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica

Insegnamento:
Impianti Industriali

MODULO XX
IMPIANTI ANTINCENDIO

Prof. Mario PALUMBO


Impianti antincendio
I danni provocati da un incendio in uno stabilimento industriale
possono essere elevatissimi: ai danni materiali (edifici, impianti,
attrezzature, macchinari…) infatti, si aggiungono i danni di
mancata produzione che spesso superano di gran lunga i
precedenti.
I provvedimenti che possono essere adottati per combattere gli
incendi si distinguono in due categorie:
 provvedimenti preventivi, tendenti ad evitare l’insorgere dell’incendio:
 provvedimenti per lo spegnimento o la circoscrizione dell’incendio, che
intervengono quando l’incendio si è sviluppato

Modulo XX – Impianti antincendio 2


Provvedimenti preventivi
 impiego di strutture incombustibili e resistenti al fuoco
 rispetto di distanze di sicurezza tra fabbricati e/o impianti e tra gli stessi ed elettrodotti, recinzioni,
strade e ferrovie
 intervento a livello progettuale sulle lavorazioni e sui magazzini per realizzare le condizioni di
massima sicurezza
 attuazione di adeguate ventilazioni naturali o meccaniche
 adozione di impianti elettrici a regola d’arte (secondo CEI 64-2)
 messa a terra degli impianti per evitare cariche elettrostatiche
 protezione contro le scariche atmosferiche
 costituzione di squadre antincendio aziendali
 impiego di attrezzi antiscintilla
 divieto di fumare e di usare fiamme libere
 predisposizione di un piano di intervento in caso di emergenza, con relative procedure ed esercitazioni
 ispezioni periodiche di controllo delle condizioni di sicurezza nei vari reparti

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Provvedimenti per spegnimento o circoscrizione
 garantire una rapida evacuazione, in sicurezza, del personale (uscite
d’emergenza, compartimenti antincendio)
 frazionare il rischio, distanziando i locali più pericolosi e realizzando
muri tagliafuoco
 segnalare tempestivamente l’incendio tramite appositi impianti di
rivelazione
 spegnere, o almeno contenere l’incendio, attraverso adeguati impianti
antincendio

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Classificazione degli incendi secondo CEN
Il Comitato Europeo di Normalizzazione ha definito la seguente
classificazione degli incendi, basata sulle sostanze che li alimentano:
 Classe A: incendi di materiali combustibili solidi che comportano la
formazione di braci (carta, legnami, tessuti, carboni, gomma…)
 Classe B: incendi di liquidi infiammabili (benzine, oli, solventi, vernici, resine,
etere, alcool…)
 Classe C: incendi di gas infiammabili (metano, acetilene, idrogeno, gas di
città…)
 Classe D: incendi di sostanze chimiche e metalli leggeri combustibili (sodio,
potassio, magnesio, calcio, bario…)
 Classe E: incendi originati da materiale elettrico sotto tensione (trasformatori,
motori elettrici, generatori, alternatori, interruttori…)

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Classificazione degli incendi a fini spegnimento
Ai fini dello spegnimento dell’incendio, la norma UNI-EN 2
(“Classificazione dei fuochi”) suddivide i fuochi in quattro
classi, precisamente:

 Classe A: fuochi da materiali solidi, generalmente di natura organica, la


cui combustione avviene normalmente con formazione di braci
 Classe B: fuochi da liquidi o da solidi liquefattibili
 Classe C: fuochi da gas
 Classe D: fuochi da metalli

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Natura dell’incendio

Un incendio è essenzialmente un processo di ossidazione


violenta di cui le fiamme rappresentano soltanto l’aspetto più
appariscente ed ultimo di tutta una serie di fenomeni.

Alla base dell’incendio è il fenomeno della combustione,


consistente in una reazione chimica esotermica che
normalmente comporta l’ossidazione di un combustibile da
parte dell’ossigeno presente nell’aria.

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Temperatura di ignizione
E’ la minima temperatura alla quale una sostanza deve essere
riscaldata affinché venga innescata, da una sorgente di energia
esterna, una reazione di ossidazione esotermica in grado di
autosostenersi.
La temperatura di ignizione dipende oltre che dalla natura della
sostanza anche dalla eventuale presenza di umidità, dalla forma
e dimensione del materiale, dalla ventilazione, dal possibile
effetto catalitico o inibitore di altri materiali eventualmente
presenti.

Modulo XX – Impianti antincendio 8


Temperatura di autoaccensione

E’ il livello termico (superiore a quello della temperatura di


ignizione) al quale una data sostanza è in grado di dare
spontaneamente inizio a combustione, in presenza di un agente
ossidante. Materiali come carta e legno presentano temperature
di autoaccensione comprese tra 200 e 260 °C.

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Limiti di infiammabilità

In relazione alla compresenza in fase gassosa di materiale


infiammabile e ossidante, si definiscono i limiti di
infiammabilità inferiore e superiore, corrispondenti alla minima
e massima concentrazione del combustibile nella miscela che
permettono l’innesco della combustione. Il materiale è tanto più
pericoloso quanto più ampio è il suo campo di infiammabilità
(esempio: l’idrogeno il cui campo va dal 4% al 76%, è molto
pericoloso; il gasolio, con un campo da 0,6% a 6,5% è poco
pericoloso).

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Cinetica dell’incendio
Un incendio si sviluppa in
quattro fasi distinte, in
corrispondenza delle quali la
temperatura nei locali ha un
andamento del tipo riportato
nel grafico a fianco:

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Cinetica dell’incendio
1. L’incendio viene solitamente innescato da una causa esterna, ad esempio una fiamma libera, un
arco elettrico provocato da fenomeni elettrostatici o da cattivo isolamento dell’impianto elettrico,
il raggiungimento della temperatura di autoaccensione di alcuni materiali a causa di fenomeni di
attrito… Si ha pertanto una prima fase di ignizione, durante la quale la temperatura aumenta
lentamente nei locali a causa di un primo sviluppo di fiamma.
2. Il propagarsi delle fiamme nei locali produce un incremento sempre più sostenuto della
temperatura: si è nella fase di propagazione.
3. Quando la temperatura ha raggiunto temperature dell’ordine dei 400 – 500 °C la maggior parte
dei materiali si trova nelle condizioni di autoaccensione: tali materiali sviluppano
spontaneamente la fiamma e contribuiscono ad innescare una sorta di reazione a catena (“flash
over”) in corrispondenza della quale la temperatura subisce un marcato incremento: si entra nella
fase di incendio generalizzato.
4. Tutti i materiali combustibili vengono quindi divorati dalle fiamme, e l’incendio inizia a
regredire soltanto quando tutti questi materiali sono stati attaccati e consumati. Si entra quindi
nella fase finale dell’incendio, quella di estinzione, in cui le fiamme iniziano a spegnersi e la
temperatura torna a diminuire.

Modulo XX – Impianti antincendio 12


Carico d’incendio secondo la normativa tecnica
Una valutazione preliminare del grado di pericolo esistente in un edificio contenente
materiale combustibile passa attraverso la valutazione del cosiddetto “carico di
incendio”, che misura la quantità di calore che si può sviluppare per unità di area di
quell’edificio, in caso di incendio.
Il carico di incendio è dato da:
n

g H i i
*
q  i 1

A
kJ / m 
2

dove:

gi è la massa della sostanza i tra le n presenti nel locale [kg]


Hi è il potere calorifico superiore della sostanza combustibile [kJ/kg]
A è l’area del locale [m2]

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Carico d’incendio secondo la legge italiana
La normativa italiana sulla prevenzione incendi (D.M. 30.11.83) considera, come carico
di incendio, il potenziale termico dei materiali combustibili presenti nei locali, misurato
in chilogrammi di legno equivalente. Introducendo il potere calorifico superiore del
legno, il carico di incendio valutato in questa ottica è espresso tramite la:
n

g H i i
q i 1

18,48 A
kg legno / m 2

Indicativamente si possono considerare, nel settore industriale, tre livelli di rischio in
relazione al carico di incendio calcolato:
 rischio lieve, se il carico di incendio è inferiore a 35 kg legno/m2
 rischio medio, se il carico di incendio è compreso tra 35 e 75 kg legno/m2
 rischio grave, se il carico di incendio è maggiore di 75 kg legno/m2

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Resistenza al fuoco delle strutture
La valutazione del carico di incendio fornisce interessanti indicazioni
progettuali per le strutture dei locali.
Un incendio che si sviluppa in un locale può propagarsi nei locali adiacenti per:
 combustione delle strutture di separazione,
 propagazione dei gas sviluppati nella combustione,
 irraggiamento.
Al fine di evitare la propagazione nei locali adiacenti, allora, è necessario
prevedere strutture in grado di conservare, sotto l’azione del fuoco e per un
tempo stabilito:
 la stabilità, ovvero la resistenza meccanica,
 la tenuta nei confronti di fiamme, vapori o gas caldi,
 l’isolamento termico, limitando la trasmissione del calore.

Modulo XX – Impianti antincendio 15


Resistenza al fuoco delle strutture
Le caratteristiche nelle strutture nei riguardi delle suddette proprietà sono pertanto:
 la resistenza, indicata con R,
 l’ermeticità, indicata con E,
 l’isolamento termico, indicato con I.

Il simbolo REI indica pertanto una struttura in grado di mantenere, per un tempo determinato, la
stabilità, la tenuta e l’isolamento termico; con il simbolo RE si indica una struttura caratterizzata
da resistenza meccanica e tenuta; il simbolo R, infine, indica una struttura in grado di garantire,
sempre per un tempo determinato, la stabilità strutturale sotto l’azione del fuoco.
I simboli vengono fatti seguire da un numero, che indica il tempo, in minuti primi, per il quale è
garantita la caratteristica (R, E o I) della struttura.
La regola generale cui ci si riferisce nella progettazione antincendio è che la caratteristica REI non
deve essere inferiore al carico di incendio valutato nei locali. Quindi, un locale caratterizzato ad
esempio da un carico di incendio di 90 kglegno/m2 dovrà avere una caratteristica almeno REI 90.

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Classe di Resistenza di un edificio
Indica la durata minima in minuti di resistenza al fuoco richiesta
alla struttura (15, 30, 45, 60, 90, 120 e 180). Il suo valore
consente la scelta dei materiali strutturali in base alle loro
caratteristiche REI.
C  k q
q = carico di incendio (in kg legna / m2)
k = 0.2 ÷ 1 è un coefficiente di riduzione funzione della natura
dell’edificio, dei materiali presenti, dei dispositivi di prevenzione e
protezione utilizzati

Modulo XX – Impianti antincendio 17


Classe di Resistenza di un edificio

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Compartimentazione
La compartimentazione è una misura di protezione passiva
contro gli incendi. Consiste nel prevedere locali, all’interno
degli edifici, delimitati e protetti da elementi costruttivi (muri e
porte) aventi una prestabilita resistenza al fuoco.
I locali compartimentali hanno lo scopo di assicurare protezione
alle persone coinvolte in un incendio, consentire il loro
sfollamento verso l’esterno in condizioni di sicurezza, facilitare
gli interventi di spegnimento. Devono essere dotati di aperture
per l’aerazione naturale e lo sfogo dei fumi e del calore.

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Compartimentazione
Un importante locale compartimentato è il filtro a prova di fumo, che consiste
in un particolare disimpegno avente la funzione di “filtrare” il fumo prodotto
da un eventuale incendio, evitando che lo stesso penetri in locali
compartimentali adiacenti (esempio: luogo sicuro, vano scale…). Il filtro è
delimitato da strutture con resistenza al fuoco minima REI 60 ed è dotato di
due o più porte munite di congegni di autochiusura con resistenza al fuoco
minima REI 60. La funzione di filtro è ottenibile in tre modi distinti:
 vano aerato direttamente dall’esterno tramite aperture libere di superficie non inferiore
a 1 m2;
 vano dotato di un camino di ventilazione di sezione non inferiore a 0,10 m 2 sfociante al
di sopra della copertura dell’edificio;
 vano mantenuto in sovrappressione di almeno 0,3 mbar mediante apposito impianto di
ventilazione.

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Compartimentazione

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Segnalazione dell’incendio
La segnalazione tempestiva degli incendi è fondamentale sia per
permettere di abbandonare i locali con la massima sollecitudine
possibile, sia per anticipare l’intervento delle squadre e dei
sistemi antincendio al fine di limitare i danni alle cose.
La segnalazione avviene grazie ad un apposito impianto che
impiega rivelatori d’incendio, i quali si dividono in:
 Rivelatori di fumo
 Rivelatori di fiamma
 Rivelatori termici

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Rivelatori di fumo
 Rivelatori ottici, basati su un
diodo emettitore di luce e un
fotodiodo rivelatore.

 Rivelatori ionici (camere di


ionizzazione) basati sulla
ionizzazione dell’aria presente
vicino ad una sorgente
radioattiva, che in condizioni
normali chiude un circuito di
controllo.

Modulo XX – Impianti antincendio 23


Rivelatori di fiamma
 Rivelatori ottici, ad infrarossi o ultravioletti; il primo tipo può essere
influenzato da radiazioni provenienti da corpi caldi presenti
nell’ambiente.

Modulo XX – Impianti antincendio 24


Rilevatori termici
 Rivelatori termici a massima,
costituiti da una lamina
bimetallica che si deforma a
causa dell’aumento di
temperatura del locale.

 Rivelatori termici differenziali,


a differenza dei precedenti,
permettono di evitare
l’intervento in corrispondenza
di incrementi termici lenti.

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Rilevatori termici
 Rivelatori termici semidifferenziali,
riuniscono le caratteristiche dei
precedenti due tipi: sono in grado di
rilevare sbalzi rapidi e, in caso di
innalzamento molto lento di questa,
intervenire ad una temperatura prefissata.
 Rivelatori a fusibile, costituiti da due
lamine collegate da una sostanza
conduttiva che fonde ad una determinata
temperatura, aprendo il circuito.
 Cavo termosensibile, dotato di guaina che
fonde ad una determinata temperatura,
producendo il corto circuito tra i
conduttori.

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Impianto di segnalazione
È costituito da una centralina
alla quale sono collegati i
rivelatori. La centralina,
installata nei locali dei vigili
del fuoco dello stabilimento o
nell’abitazione del custode,
attiva un segnale d’allarme
quando uno dei rivelatori
segnala l’innesco di un
incendio e indica il luogo
relativo.
Modulo XX – Impianti antincendio 27
Principi di estinzione dell’incendio
Perché possa svilupparsi un incendio è necessario che siano
contemporaneamente presenti i tre fattori fondamentali del
“triangolo del fuoco”:

• Combustibile
• Comburente
• Calore

Modulo XX – Impianti antincendio 28


Principi di estinzione dell’incendio
Le tecniche utilizzate per l’estinzione dell’incendio sono volte a far venir
meno uno o più dei fattori sopra elencati; in particolare:
 L’esaurimento o sottrazione del combustibile. Lo spegnimento dell’incendio si ha in
effetti indirettamente, allontanando materialmente la sostanza combustibile dal focolaio,
chiudendo una saracinesca d’intercettazione nel caso d’incendio di un fluido che
fuoriesca da una tubazione, trasferendo a mezzo di pompe il liquido da un serbatoio in
fiamme ad un altro vuoto e lontano, …
 Il soffocamento: operazione mediante la quale si ottiene una separazione fra la sostanza
combustibile e l’ossigeno dell’aria. Si ha anche soffocamento o diluizione di ossigeno
quando si fa in modo che la percentuale di ossigeno nell’aria si riduca al di sotto di
determinati valori, immettendo per esempio un gas inerte come la CO 2.
 Il raffreddamento: quando si interviene investendo il combustibile che brucia con adatte
sostanze in grado di sottrargli calore e raffreddare l’intera massa al di sotto della
temperatura di ignizione.

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Mezzi antincendio mobili
Sono classificabili in questa categoria:

 Estintori idrici
 Estintori a schiuma meccanica
 Estintori a polvere chimica
 Estintori a CO2
 Estintori a idrocarburi alogenati
 Estintori carrellati
 Motopompe carrellate

Modulo XX – Impianti antincendio 30


Estintori idrici
Sono costituiti da un serbatoio
contenente acqua (eventualmente
con aggiunta di particolari sostanze
chimiche) e da una bomboletta di
gas compresso (solitamente CO2).
Lo spegnimento avviene per
soffocamento e raffreddamento.
Sono adatti al primo intervento solo
su incendi di Classe A. Nella
versione ad acqua nebulizzata
possono essere impiegati anche su
incendi di Classe B.
Modulo XX – Impianti antincendio 31
Estintori a schiuma meccanica
La schiuma è formata da una
soluzione acquosa di
saponificanti. Il propellente da
un gas (azoto, anidride
carbonica) compresso in
bombola.
Lo spegnimento avviene ancora
per soffocamento e
raffreddamento.
Sono adatti all’estinzione di
incendi di Classe A e B.
Modulo XX – Impianti antincendio 32
Estintori a polvere chimica
La polvere è costituita da sali finemente
suddivisi, propulsi da gas propellente in
bombola.
Lo spegnimento avviene soprattutto per
soffocamento.
Sono adatti all’estinzione di incendi di
Classe A, B, C e D.
Date le caratteristiche altamente
dielettriche delle polveri, questi
estintori possono essere impiegati
anche su incendi di origine elettrica;
l’unico limite proviene dal conseguente
imbrattamento delle attrezzature.

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Estintori a CO2
Contengono CO2 liquefatta. Alla temperatura di 20 °C la
tensione di vapore di questo gas è di 58 bar. A temperature
maggiori la pressione aumenta rapidamente, per cui si rende
opportuno evitare, per ragioni di sicurezza, sottoporre ad
eccessivo riscaldamento questi estintori. Per ovviare a
questo inconveniente, si riduce la carica delle bombole.
Lo spegnimento avviene per soffocamento e
raffreddamento, quest’ultimo dovuto alla notevole quantità
di calore asportata nell’espansione all’uscita dalla bombola.
Sono adatti all’estinzione di incendi di Classe B e C. Grazie
al potere dielettrico del gas, questi estintori possono essere
utilizzati anche su incendi di origine elettrica, in special
modo su apparecchiature delicate, in quanto la CO2, dopo
essere evaporata, non lascia alcuna traccia.
Il potere estinguente di questi estintori è legato anche alle
condizioni di ventilazione e quindi il loro uso non è efficace
all’aperto.

Modulo XX – Impianti antincendio 34


Estintori a idrocarburi alogenati

Impiegano liquidi alogenati aventi elevata capacità di


interrompere la reazione di combustione e soffocare l’incendio.
In passato contenevano sostanze messe al bando con legge
549/1993 (sostanze lesive dell’ozono atmosferico).

Modulo XX – Impianti antincendio 35


Altri sistemi di estinzione mobili
Vanno ricordati gli estintori carrellati (a schiuma, polvere o
anidride carbonica) di peso a vuoto superiore a 20 kg e in grado
di contenere cariche fino a 150 kg.

Da menzionare anche le motopompe carrellate, azionate con


motore a combustione interna, che accoppiano alla mobilità
elevate pressioni di pompaggio (oltre 10 bar). Il vantaggio di
tali dispositivi sta nella possibilità di ottenere, grazie ad
opportune lance, getti altamente frazionati in gradi di
“strappare” la fiamma.
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Identificazione degli estintori

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Identificazione degli estintori

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Identificazione degli estintori

Modulo XX – Impianti antincendio 39


Identificazione degli estintori

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Impianti antincendio fissi
Appartengono a questa categoria:

 Impianti a idranti
 Impianti a pioggia (o a sprinkler)
 Impianti a nebulizzatori (o a diluvio)
 Impianti a CO2 ad alta pressione
 Impianti a CO2 a bassa pressione
 Impianti a schiuma meccanica

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Impianti a idranti
L’acqua per l’alimentazione dell’impianto può essere prelevata dall’acquedotto o
da pozzi. Per ovviare ad eventuali carenze di pressione o portata, bisogna
prevedere serbatoi sopraelevati o vasche di accumulo asservite a opportune
stazioni di pompaggio. La capacità del serbatoio di accumulo deve essere tale da
assicurare la fornitura di acqua all’impianto per un tempo di 2 ore.
La normativa impone che la stazione di pompaggio deve comprendere
alternativamente:
 una pompa azionata con motore elettrico tramite allacciamento preferenziale alla rete,
affiancata da una pompa azionata da motore a combustione interna
 una doppia pompa elettrica con allacciamento preferenziale e gruppo elettrogeno.
La rete antincendio deve poi essere dotata di uno o più attacchi per le autopompe
dei Vigili del Fuoco e di un eventuale attacco di integrazione di emergenza
dall’acquedotto pubblico.

Modulo XX – Impianti antincendio 42


Impianti a idranti
La rete antincendio è solitamente costituita da un anello esterno,
che circonda il fabbricato ad una distanza di 5-15 m dallo stesso,
ed una rete interna. L’anello esterno alimenta idranti tipo UNI 70
a colonna o sottosuolo dotati di uno o due attacchi DN70,
distanziati non più di 50 – 80 m l’uno dall’altro.
La rete interna alimenta solitamente idranti tipo UNI 45 a cassetta,
con manichetta e lancia. Se il pericolo di incendio non è molto
elevato (carico di incendio minore di 50 kglegno/m2), in luogo degli
idranti a lancia possono essere previsti naspi, consistenti in una
tubazione semirigida lunga 15-20 m, avvolta su bobina rotante.

Modulo XX – Impianti antincendio 43


Impianti a idranti
Nel dimensionamento delle reti di alimentazione dell’impianto
antincendio bisogna assicurare una pressione di 2 bar all’idrante
in condizioni idrauliche più sfavorevoli. Per le portate si
considera:
 nelle aziende a basso rischio di incendio, la contemporaneità di
funzionamento di almeno 4 lance UNI 45, alla pressione di 3 bar,
corrispondenti ad una portata di circa 600 l/min
 nelle aziende a rischio di incendio medio-alto, la contemporaneità di
funzionamento di 4 lance UNI 70 (1400 l/min) o rispettivamente 6
lance UNI 70 (2100 l/min).

Modulo XX – Impianti antincendio 44


Impianti a idranti

Modulo XX – Impianti antincendio 45


Impianti a idranti

Modulo XX – Impianti antincendio 46


Impianti a idranti

Modulo XX – Impianti antincendio 47


Impianti a idranti

Modulo XX – Impianti antincendio 48


Impianti a idranti

Modulo XX – Impianti antincendio 49


Impianti a pioggia (o a sprinkler)
Sono caratterizzati da intervento automatico dell’impianto grazie alla
particolare conformazione degli ugelli erogatori.
Sono di tre tipi distinti:
 A umido: le tubazioni contengono acqua e l’impianto interviene immediatamente
all’apertura delle teste; è il più diffuso in locali dove non sussiste il pericolo del gelo.
 A secco: le tubazioni contengono aria compressa (che tiene chiuse apposite valvole di
alimentazione dell’acqua) e iniziano ad erogare acqua quando, a seguito della rottura delle
teste, tutta l’aria presente nel circuito è fuoriuscita. Questi impianti sono più adatti ai climi
freddi, ma presentano un piccolo ritardo nella risposta.
 A preazione: è come un impianto a secco, ma senza aria in pressione. In questo caso un
impianto rilevatore di fumo produce l’apertura delle valvole per l’introduzione dell’acqua
nel circuito, che comunque verrà erogata solo a seguito della rottura delle teste. Questo
tipo di impianto è utilizzato in locali dove la rottura accidentale delle teste può comportare
danni notevoli (laboratori, centri di calcolo…).

Modulo XX – Impianti antincendio 50


Impianti a pioggia (o a sprinkler)
Vantaggi:
 hanno una modalità di intervento automatica,
 sono di facile installazione,
 intervengono solo nelle zone dove effettivamente si è avuto lo sviluppo
dell’incendio (alta temperatura).
Svantaggi:
 intervengono soltanto quando l’incendio ha iniziato a propagarsi,
 possono provocare allagamenti e danni anche in locali non interessati
dall’incendio.

Modulo XX – Impianti antincendio 51


Impianti a pioggia (o a sprinkler)

Modulo XX – Impianti antincendio 52


Impianti a pioggia (o a sprinkler)

Modulo XX – Impianti antincendio 53


Impianti a pioggia (o a sprinkler)

Modulo XX – Impianti antincendio 54


Impianti a nebulizzatori (o a diluvio)
Consistono in una rete di tubazioni portanti speciali ugelli
erogatori, sempre aperti, in grado di suddividere l’acqua in
minutissime goccioline. L’impianto è a secco: l’acqua viene
erogata nelle tubazioni tramite l’azionamento di saracinesche
manuali o automatiche, che agiscono su specifiche porzioni di
impianto.

Modulo XX – Impianti antincendio 55


Impianti a nebulizzatori (o a diluvio)

Modulo XX – Impianti antincendio 56


Impianti a nebulizzatori (o a diluvio)

Modulo XX – Impianti antincendio 57


Impianti a nebulizzatori (o a diluvio)

Modulo XX – Impianti antincendio 58


Impianti a CO2 ad alta pressione
Sono costituiti da una batteria di bombole contenenti CO2 allo stato
liquido collegate, tramite una rete di tubazioni, ad erogatori dai quali
la sostanza fuoriesce allo stato gassoso. Il principio di funzionamento
è differente da quello degli estintori portatili: agisce soprattutto per
soffocamento delle fiamme. Perché l’impianto possa funzionare è
necessario che i locali siano completamente chiusi: le aperture devono
quindi essere chiuse da sistemi automatici quando l’impianto entra in
funzione, e il personale deve essere avvisato tramite apposito allarme
per l’evacuazione dei locali. La quantità di CO2 presente nelle
bombole è misurata da un impianto di pesatura (cui le bombole sono
appese tramite apposita rastrelliera) che rivela anche eventuali perdite.

Modulo XX – Impianti antincendio 59


Impianti a CO2 ad alta pressione

Modulo XX – Impianti antincendio 60


Impianti a CO2 a bassa pressione
La CO2 è immagazzinata in un unico grande recipiente, a bassa
temperatura (-18 °C) e a pressione di 20 bar. Può alimentare
impianti di dimensioni maggiori di quello ad alta pressione,
anche in diversi locali.
Gli impianti a CO2 sono particolarmente costosi ma permettono
azione estinguente senza danni sulle apparecchiature.

Modulo XX – Impianti antincendio 61


Impianti a CO2 a bassa pressione

Modulo XX – Impianti antincendio 62


Impianti a schiuma meccanica
Producono schiuma attraverso soluzioni di acqua e liquidi schiumogeni
(sostanze proteiniche, fluoroproteiniche…). La schiuma permette di
isolare le sostanze combustibili dall’aria e raffreddare i materiali esposti
alle fiamme. Questi impianti sono adatti ad incendi di Classe A e B, ma la
presenza di acqua non li rende idonei a domare incendi di origine elettrica.
Sono caratterizzati dal rapporto di espansione della schiuma:
 nei rapporti 1:6 - 1:15 (bassa espansione) sono adatti alla protezione di serbatoi,
pontili, zone di carico e scarico di prodotti infiammabili;
 nei rapporti 1:30 - 1:200 (media espansione) sono adatti alla protezione di impianti
di produzione di prodotti infiammabili, autorimesse…;
 nei rapporti fino a 1:1000 (alta espansione) sono adatti alla protezione di magazzini.

Modulo XX – Impianti antincendio 63


Impianti a schiuma meccanica

Modulo XX – Impianti antincendio 64

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