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MONICA SAGARIA ROSSI Il desiderio e il suo rovescio.

Consumi, godimento e Todestrieb nella Grande bouffe di Marco Ferreri

0. Margini del classico Dai tempi della sua uscita fino ad oggi, La grande bouffe di Ferreri stata letta soprattutto come una critica grottesca e apocalittica alla borghesia e ai suoi rituali. Uscita a ridosso di altri film dedicati allo stesso tema, dal Fascino discreto della borghesia fino al Sal di Pasolini, La grande abbuffata in effetti sembr confermare, nei modi tipici del cinema di Ferreri, una convinzione caratteristica dellepoca, soprattutto in determinati contesti culturali: lidea cio di una borghesia giunta alla fine della sua parabola che era compito dellarte denunciare, rappresentandone spietatamente gli aspetti deteriori, proprio perch ormai in via di decomposizione storica. Una seconda interpretazione, per molti versi opposta e speculare alla prima, vide invece nel film di Ferreri una feroce e disperata denuncia della societ dei consumi, dunque non tanto la condanna di una classe al tramonto, quanto il ritratto anchesso atrocemente apocalittico di un nuovo modo di essere della societ. Due letture che, a distanza di tanti anni, conservano una loro validit difficilmente contestabile. Il film di Ferreri in effetti anche una satira, un violento pamphlet che mette alla berlina un determinato modello sociale ad uno specifico stadio del suo sviluppo storico. Ma se fosse solo questo, se obbedisse soltanto agli imperativi ideologici di una certa epoca, conserverebbe senzaltro un valore documentale, ma difficilmente un qualche interesse specificamente estetico, se davvero il tratto distintivo di un testo (filmico o non filmico) che aspiri a uno statuto diverso da quello meramente strumentale risiede proprio nella sua ambiguit, vale a dire nella sua capacit strutturale di porsi non come un messaggio da consumare in termini puramente funzionali, ma come un testo in pi dun senso inconsumabile proprio perch ambiguo, e quindi in grado di generare continuamente nuove deco-

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difiche, nuove possibilit di lettura a contatto con nuovi o vecchi fruitori diversamente orientati rispetto ad esso. Ora, a trentaquattro anni dalla sua prima uscita, il film di Ferreri non sembra aver perso nulla della sua forza, dimostrando anzi una notevolissima resistenza alla terribile usura del tempo, che permette di rivedere questa Grande bouffe oggi a casa nostra [ ] come uno dei massimi classici maledetti del nostro cinema1. E il problema, con i classici, anche con i maledetti, non sembra pi essere tanto quello di stabilirne la ricchezza o il valore, ma semmai di individuare una prospettiva ermeneutica che li sottragga agli onori e ai rischi della canonizzazione, per tentare di riattualizzarne la forza di rottura, riarticolandone lo spessore e le stratificazione semantiche in un contesto ormai molto distante da quello di origine, ma proprio per questo potenzialmente in grado di saggiarne in maniera inedita le nervature simboliche. In questo senso, pu essere molto utile partire da quegli elementi in apparenza secondari o posti volutamente a margine dallistanza narrante che struttura il film, ma che allo sguardo ravvicinato dellanalisi mostrano spesso una cogenza e una forza insospettate, tanto pi attive e operanti quanto meno immediatamente visibili; elementi che arrivano spesso a rivelarsi come il prodotto di strategie testuali tese a occultare presupposti essenziali, in modo tale che agiscano con una potenza irradiante che altrimenti rischierebbero di non avere o di esercitare con efficacia incomparabilmente minore; elementi insomma che funzionano come veri e propri punti di vibrazione, tracce autoanalitiche (o autodecostruttive)2 che recano in s la cifra di un percorso possibile in grado di svelare le latenze del visibile proprio laddove maggiormente si addensa lopacit enigmatica del senso, nelle pieghe e nei margini del testo, nei suoi punti oscuri, che sono anche, spesso, punti in cui attiva una componente di autoanalisi del testo stesso, che insieme esibisce e nasconde il proprio senso3. E nella Grande bouffe, uno di questi punti oscuri e vibranti in cui il testo insieme esibisce e nasconde il proprio senso senzaltro costituito dal costante ricorrere del seno femminile, onnipresente quasi quanto il cibo, cui del resto connesso da rapporti essenziali. Da quello grande e materno della balia di Philippe (replicato pi tardi da quello della maestrina, Andra) a quello quasi evanescente delle tre prostitute, il seno femminile un oggetto in grado di catalizzare immancabil-

1 G. SPAGNOLETTI, La grande abbuffata di Marco Ferreri. I sensi satolli della borghesia, in L. MICCICH (ed.), Il cinema del riflusso. Film e cineasti italiani degli anni 70, Venezia, Marsilio, 1997, p. 443. 2 Sui concetti di punti di vibrazione e tracce autoanalitiche (o autodecostruttive) si veda P. BERTETTO, Lanalisi come interpretazione. Ermeneutica e decostruzione, soprattutto pp. 203-05; e ID., Lanalisi interpretativa. Mulholland Drive e Une femme marie, pp. 225-26, in ID. (ed.), Metodologie di analisi del film, Roma-Bari, Laterza, 2006. 3 P. BERTETTO, Lanalisi interpretativa. Mulholland Drive e Une femme marie, cit., p. 226.

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mente il desiderio dei quattro protagonisti maschili e insieme lo sguardo della mdp, che non perde occasione per enfatizzarne la presenza e sottolinearne il potere, fino al momento della sua pi clamorosa esibizione che arriva proprio alla fine del film, dunque in un punto chiave, almeno dal punto di vista strutturale, quando sono gi morti tutti tranne Philippe e la sua adorata maestrina, che per loccasione ha indosso gli stessi abiti della sua prima apparizione. lalba. Ugo morto la notte precedente. La mdp, immobile, riprende in CL il parco e la facciata della villa. Al margine destro dellinquadratura c la statua di una donna che assiste un moribondo, ripresa in MF e quindi marcata da uninquietante riconoscibilit. La luce splendida ma livida, bluastra. Stacco su Philippe che emerge dal fondo, ancora in CL, avanzando lentamente verso la panchina storica sotto il tiglio di Boileau. La mdp lo riprende con discrezione, limitandosi a una lieve panoramica. Musica over e, sulla bocca di Philippe, un accenno di sorriso. Controcampo. Sta arrivando Andra, che ha fra le mani un vassoio con due dolci gemelli: due enormi seni femminili. Philippe comincia subito a mangiarli, mentre la maestrina gli si siede accanto. Sul tavolino, a lato del vassoio, c una foto che avevamo gi incontrato allinizio del film, nel momento in cui Philippe discuteva con la balia che non voleva lasciarlo partire. In quella sequenza, la mdp laveva inquadrata in modo che riempisse tutto lo schermo: il mezzobusto di una madre con un seno scoperto che allatta il suo bambino, Philippe. E Andra, adesso, ripete lo stesso gesto della balia: porta la foto al petto e poi la mette via, lasciandola scivolare lentamente sopra i seni. Intanto arrivano i macellai con altre provviste, che su disposizione di Andra abbandonano ridendo nel giardino, in mezzo ai cani. Quando la donna torna al tavolo, uno dei dolci gi finito. Philippe chiede solo se la carne, stavolta, di prima scelta, e quindi muore spirando sui seni di Andra proprio come, allinizio del film, si era adagiato al risveglio su quelli della balia. Quando, subito dopo, la maestrina torna in casa e i macellai si allontanano ridendo, sullo schermo non resta altro che il parco della villa cosparso di carcasse di animali, mentre risuona ovunque lululo dei cani. 1. Alla ricerca delloggetto perduto In questa scena, i seni compaiono tre volte: quelli reali di Andra, quelli fittizi del dolce e quelli fotografici del ritratto materno. Sotto qualunque angolatura si voglia considerare unevenienza come questa, indiscutibile che sarebbe assai difficile escogitare un modo pi vistoso di sottolineare un elemento, un tratto simbolico o una traccia pertinente in un qualunque testo filmico; di esibirne il peso e la portata nel momento stesso in cui se ne nasconde il senso, che resta insieme opaco, enigmatico e insistente. E allora, ovviamente, la domanda : perch il seno cos importante, in questo film? probabile che la risposta

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non possa fornircela altro sapere che la psicoanalisi, che non viene mobilitata, qui, per esplorare dallesterno un oggetto suscettibile di analisi tramite un dispositivo teorico imposto appunto dallesterno: il testo stesso a postulare lintervento dellapparato concettuale proprio della psicoanalisi, recando inscritta nelle sue stesse modalit di configurazione, e in un modo che pi insistente non si potrebbe immaginare, la richiesta in uno Spettatore Ideale in grado di penetrare limplicito, che in questo caso appare proprio di carattere specificamente psicoanalitico. Perch ben noto che, stando a Freud4, il bambino scopre il piacere esercitando la suzione del seno materno. Inizialmente motivato soltanto dalla necessit del nutrimento, finisce con limbattersi in una sensazione inedita di vera e propria eccitazione erotica connessa al soddisfacimento del bisogno, ma che in seguito continuer a voler ripetere anche a prescindere dal mero bisogno alimentare, spinto soprattutto dal desiderio di procurarsi una nuova esperienza di piacere. Il fatto poi che il seno sia quello materno non per nulla irrilevante, dato che cos la madre stessa a diventare ci che il bambino, tramite il seno, sta cercando: il segno di un godimento assoluto, fusionale, amniotico, di cui la madre stessa la figura, in quanto lunica, a questo stadio, che appare in grado di garantire lesperienza del soddisfacimento. su questi elementi che Lacan, rimaneggiando la teoria freudiana, ha edificato i cardini della sua teoria del desiderio 5, che ha conosciuto nel tempo diverse varianti. La pi rilevante per i nostri scopi la seguente:
Il desiderio ha, secondo Freud e Lacan, il carattere di un rimpianto. Evoca allinfinito, secondo una nostalgia fondamentale, un oggetto perduto. Per questa ragione il desiderio non trova mai appagamento nelloggetto; il suo centro un centro disabitato dalloggetto. Una discordanza fondamentale impedisce infatti che loggetto del desiderio, loggetto ricercato, coincida con loggetto perduto6.

4 S. FREUD, Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), in ID., Opere, vol. IV, Torino, Boringhieri, 1966-79. 5 Il testo di Lacan come noto tuttaltro che immediatamente accessibile, oltre che ricco di rielaborazioni costanti e spesso problematiche protratte per oltre cinquantanni. Unottima introduzione al suo pensiero comunque A. DI CIACCIA, M. RECALCATI, Jacques Lacan. Un insegnamento sul sapere dellinconscio, Milano, Bruno Mondadori, 2000. Quanto al desiderio, si veda la voce relativa in R. CHEMAMA, B. VANDERMERSCH (eds.), Dizionario di psicanalisi (1998), tr. it., Roma, Gremese, 2004., e i lucidi saggi di M. RECALCATI, Il pieno e il vuoto, in ID., Lultima cena: anoressia e bulimia, Milano, Bruno Mondadori, 1997, pp. 29-94, e ID., Lombra del desiderio, in ID., Sullodio, Milano, Bruno Mondadori, 2004, pp. 3-32. Per la concezione freudiana del desiderio, si veda almeno la voce relativa in J. LAPLANCHE, J-B. PONTALIS, Enciclopedia della psicoanalisi (1967), tr. it., Roma-Bari, Laterza, 1968-93. Per una ricognizione ampia e articolata del concetto di desiderio nella storia del pensiero, si veda anche C. DUMOULI, Il desiderio (1999), tr. it., Torino, Einaudi, 2000. 6 M. RECALCATI, Lombra del desiderio, cit., p. 3.

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Ma perch loggetto del desiderio non coincide mai con loggetto perduto? Per capirlo, occorre tornare allinfante che si nutre del seno materno. Una volta saziato il bisogno di nutrimento, egli scoprir che lesperienza della suzione in s a dargli piacere, ed per questo che da adesso in poi tender a ripetere la stessa esperienza, che non potr mai essere, per, soddisfacente in modo assoluto. Si costituisce cos come essere di desiderio, imparando ad articolare la domanda nei confronti della madre, detentrice del potere di soddisfazione. Ed proprio in questo passaggio che si costituisce retroattivamente la nostalgia fondamentale, e cio il sogno di una mitica totalit fusionale in cui il desiderio sia appagato una volta per tutte. Salvo che nessun oggetto capace di tanto, nemmeno il seno materno, sicch il desiderio stesso, dopo la soddisfazione parziale, torna a riproporsi ogni volta di nuovo, senza mai riuscire a stabilizzarsi su nessun oggetto specifico. in questo senso che Lacan pu dire che il desiderio sempre desiderio di altra Cosa, dautre Chose. Dove la Cosa appunto il nome del fantasma di una soddisfazione assoluta, totale e incondizionata, che il bambino identifica appunto con la Madre. Ma nemmeno la Madre capace di reincorporare ci che ha generato, offrendo una risposta senza residui alla domanda del figlio. Il che spiega perch il soggetto resti essenzialmente un essere di desiderio, vale a dire un essere mancante, un essere la cui caratteristica essenziale di essere abitato, marchiato dalla mancanza (lespressione esatta usata da Lacan per indicare lessere umano infatti proprio manque--tre). Una mancanza che nulla pu estinguere se non la fine del desiderio stesso. Vale a dire lannullamento del soggetto: la sua morte. a questo punto che nella teoria psicoanalitica interviene la metafora paterna, ovvero lEdipo freudiano, secondo cui il bambino caratterizzato dal desiderio della madre e dallostilit verso il padre inteso come rivale nella conquista dellamore materno. Secondo questa concezione, il bambino a un certo punto costretto ad abbandonare lamore verso la madre per timore della castrazione che il padre potrebbe operare su di lui, e dunque a investire il proprio desiderio su altri oggetti, diversi dalla madre e dal suo seno. Comincia, cos, la vita adulta. Lacan riprende e modifica la concezione freudiana, svicolando lEdipo dal padre reale e preferendo parlare del Nome-del-Padre, per rimarcare la funzione simbolica della castrazione. Schematizzando il pi possibile, ci che accade, secondo Lacan, che il Nome-del-Padre (dunque non necessariamente il padre reale) agisce come oggetto separatore dellamore cannibalico che lega madre e figlio. Infatti, se e vero che per il figlio la madre a impersonare la funzione fallica, per vero anche linverso: per la madre, almeno per un certo periodo, il figlio a rivestire la stessa funzione. Sono cio luno il fallo dellaltra, e viceversa, dove la parola fallo non ha nulla a che vedere con lorgano sessuale, ma indica semplicemente loggetto che catalizza il desiderio7. Se lazione separatri7 Sul senso e la funzione del fallo nella teoria di Lacan, si veda M. RECALCATI, La deviazione e il desiderio ne La significazione del fallo di J. Lacan, in ID., Clinica del vuoto. Anoressie, dipendenze, psicosi, Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 263-81.

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ce ha successo, il bambino supera lo stadio infantile e scopre ci che era gi da sempre: una mancanza a essere. Scopre cio che il suo desiderio non pu essere saturato nemmeno dalla madre, per la semplice ragione che saturare il desiderio, spegnerlo, equivarrebbe a una condanna a morte. in questo senso che Lacan recupera la celebre formula heideggeriana che definisce il Dasein come essere per la morte. Il soggetto scopre qui che al fondo del proprio desiderio non vi altro che la pulsione di morte, il Todestrieb freudiano, ed proprio accedendo a questa consapevolezza che pu divenire realmente se stesso, riconoscendo e accettando la sua castrazione. E castrazione significa qui nientaltro che il riconoscimento della propria manque--tre, labbandono dei fantasmi di onnipotenza infantili, del sogno fusionale di un soddisfacimento assoluto. Grazie allintervento della metafora paterna il soggetto pu finalmente scoprirsi incapace per struttura di colmare la mancanza che lo abita, imparando anzitutto a riconoscerla e quindi a gestirla, trasformandola non in una fonte di angoscia, di nevrosi o di ossessioni, ma in uno stimolo alla creativit, al lavoro, allarte, alla conoscenza scientifica o anche soltanto allaccettazione del limite che lo costituisce, secondo le strade proprie alle attitudini singolari di ognuno. Pu insomma apprendere a desiderare il desiderio, nella piena coscienza che in ogni caso non riuscir mai ad estinguerlo se non nella tomba. Il pericolo per che la metafora paterna non si inscriva, o si inscriva male, nella psiche del soggetto. Un fenomeno che pu verificarsi per le cause pi diverse, ma che ha sempre a che fare con la Madre. Perch la Madre potrebbe rifiutarsi. Potrebbe rifiutarsi, anzitutto, di staccarsi dal figlio, e se la metafora paterna non ha inciso a dovere, il figlio si scoprir presto troppo debole per riuscire ad allontanarsi da lei con le sue sole forze. La Madre, in questo caso, rischia di diventare onnipotente. La metafora paterna agisce infatti anche su di lei: richiamandola al suo ruolo di donna, il Padre strappa non solo il bambino dalla madre, ma anche la madre dal bambino, liberandola cos dal rischio di concentrare sul figlio tutto il suo desiderio, con effetti catastrofici tanto per lei che per linfante. Proprio come capita con la balia di Philippe. Che incarna esemplarmente ci che nel gergo lacaniano si chiama la madre-coccodrillo, espressione che indica lannullamento della donna nella madre, nella madre-tutta-madre, nella madre divorante cos come Lacan ci ha insegnato a definire la struttura del desiderio della madre. La figura della madre-coccodrillo mostra il carattere cannibalico della fusionalit materna che loperazione della metafora paterna dovrebbe limitare permettendo al bambino di non restare prigioniero delle fauci spalancate del coccodrillo8. Ma vale la pena riportare per intero la definizione di Lacan, per una volta insolitamente cristallino:

8 M. RECALCATI, Il quadrato tipo della famiglia anoressico-bulimica, in ID., Clinica del vuoto, cit., p. 290.

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Il desiderio e il suo rovescio Sempre di pi gli psicoanalisti si avventurano in qualcosa che, infatti, eccessivamente importante, cio il ruolo della madre. Queste cose, Dio mio, ho gi cominciato ad affrontarle. Il ruolo della madre il desiderio della madre. fondamentale. Il desiderio della madre non qualcosa che si possa sopportare cos, qualcosa che vi sia indifferente. Provoca sempre dei danni. Un grosso coccodrillo nella cui bocca vi trovate questo la madre. Non si sa che cosa potrebbe allimprovviso venirle in mente, ad esempio di chiudere le fauci. Ecco cos il desiderio della madre. Ho tentato allora di spiegare che cera qualcosa di rassicurante. Vi dico cose semplici, sto improvvisando, lo ammetto. C un matterello, in pietra naturalmente, che nelle fauci si trova come in stato potenziale, e questo trattiene, blocca. ci che chiamo il fallo. il matterello che vi tiene al riparo, se di colpo le fauci si richiudono9.

Cos Lacan. Salvo che stavolta il termine fallo indica non loggetto che catalizza il desiderio, ma, in un certo senso, lesatto contrario: il Nome-del-Padre, ovvero ci che normalizza il desiderio, e cio la castrazione. Uno dei tanti esempi della propensione lacaniana per i giochi di parole, dove un termine, a seconda del contesto, pu alludere a un concetto o al suo contrario, o magari a entrambi simultaneamente. Ma non senza ragioni. Abbiamo visto che finch figlio e madre restano luno per laltra lunico oggetto del desiderio possibile non si esce dallinfantilismo, dal miraggio di una totalit fusionale ermeticamente chiusa al mondo esterno. solo il Padre, qui, che apre una breccia, e in una doppia direzione: 1) tornando ad essere loggetto del desiderio della Madre, libera questultima dal rapporto totalizzante col bambino; 2) e contemporaneamente permette al bambino di scoprire che non lui, linfante, lunico fallo possibile per il desiderio materno, loggetto esclusivo di questo desiderio. Lo costringe cos a misurarsi col proprio desiderio, offrendogli lo spazio per elaborare la mancanza, laddove continuare a inseguire il miraggio fusionale, limpossibile coalescenza con la Cosa, avrebbe conseguenze mortifere, letali. Ecco perch il fallo pu indicare, nello stesso tempo e per le stesse ragioni, tanto loggetto del desiderio per la madre, quanto loggetto separatore per il bimbo, che proprio grazie a tale separazione diventer un adulto. Salvo che, se la separazione non avviene, ladulto non arriva a prodursi, scompare, si volatilizza, non si costituisce. Resta solo linfante, il puer. Condizione psichica che, ovviamente, non ha nulla a che vedere con let anagrafica. E in effetti sarebbe facile mostrare, attraverso riscontri numerosi e puntuali, che linfantilismo un tratto comune a tutti e quattro i protagonisti maschili della bouffe, in teoria adulti da molto ma di fatto incapaci, proprio come gli infanti, di porre un argine al

9 J. LACAN, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi. 1969-1970 (1991), tr. it., Torino, Einaudi, 2001, pp. 136-37.

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proprio desiderio, al punto da morirne. Sar comunque sufficiente in questa sede il ricorso a una sola sequenza, in cui per lequivalenza fra bambini e bouffeurs proposta dal testo con unevidenza tale da assumere unesplicita valenza eidetica, in grado di produrre significazione con la sola forza della configurazione visiva10. Si tratta del momento in cui compare in scena la maestrina, che per lappunto circondata da bambini, la cui presenza per lungi dallesaurirsi in questa prima inquadratura. Perch i bambini non si limitano ad entrare nella villa per seguire la loro istitutrice, ma invadono letteralmente quasi ogni spazio della casa. Quando Andra comincia a fare lezione su Boileau nel parco della villa, la mdp ferma su di lei con i bambini intorno, quindi stacca su Michel che, attorniato da altri bambini, ha appena pescato un grosso pesce; poi passa a Marcello, alle prese con sua Bugatti, che mangia un panino dividendolo con i bambini che lo attorniano; quindi entra in cucina, dove Ugo e Philippe insieme alla maestrina preparano da mangiare per i tanti bambini seduti a tavola; altro stacco su Michel che insieme ai bimbi getta il pesce che ha appena pescato nellacquario; e infine di nuovo in cucina dove ancora i bambini divorano allegramente il loro pain au chocolat. La scena, certo, serve anche a giustificare narrativamente lingresso della maestrina nella villa. Ma perch soffermarsi cos a lungo su ciascuno dei protagonisti, ritraendoli con meticolosa insistenza sistematicamente circondati da bambini che trattano, e da cui sono trattati, come loro pari? In questa sequenza tutto funzionale alla narrazione e allo spettacolo, e insieme tutto spinge verso una lettura che tenga conto anche della tessitura simbolica insieme manifesta e soggiacente, visualizzata nel testo filmico con discreta insistenza e grande precisione. 2. Dal disagio della civilt alla civilt del disagio Il 12 maggio 1972, Jacques Lacan pronunci a Milano una breve conferenza11 in cui, riprendendo i termini di una questione che aveva elaborato nel suo

10 Su immagini e forme eidetiche si veda P. BERTETTO, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, Milano, Bompiani, 2007, pp. 156-81. Il concetto, elaborato dallo stesso Bertetto inizialmente soprattutto in relazione al cinema muto e poi allargato anche a particolare modalit filmiche proprie anche dellaudiovisivo, gi in ID., Lidtique et le crmonial dans le cinma exprimental franais, in Le Cinma en lan 2000, Revue dEsthtique, 1984, ed stato in seguito esplicitamente riutilizzato anche da G. DELEUZE, ne Limmagine-tempo (1985), tr. it., Milano, Ubulibri, 1989, p. 226. Sullo stesso tema, anche se con diversa terminologia, si veda pure il classico studio dI R. ARNHEIM, Il pensiero visivo (1968), tr. it., Torino, Einaudi, 1974. 11 Ora in J. LACAN, Lacan in Italia, Milano, Salamandra, 1978, con il titolo Del discorso psicoanalitico.

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diciassettesimo seminario, quello relativo ai quattro discorsi, arriv a svilupparne un quinto che denomin il discorso del Capitalista 12, la cui funzione consisteva nel tentativo di fornire un modello che consentisse di rendere ragione della logica profonda, nel senso psicoanalitico del termine, del capitalismo avanzato. Il capitalismo classico, infatti, si reggeva su quello che Lacan aveva chiamato il discorso del Padrone, in cui a dominare la Legge, che subordina il godimento ai propri fini: in questa logica tutto ruota intorno al plus-valore: se il servo infatti lavora per produrlo, da parte sua il padrone tende a reinvestirlo quasi tutto per produrne di nuovo allinfinito, interdicendosene anchegli il godimento. Cosicch, sia per luno che per laltro lideale sociale primario e resta il risparmio. A dominare dunque la Legge, e non il godimento. Di qui il disagio della civilt, di cui Freud aveva fatto lanalisi in un celebre saggio13, in cui sosteneva che liscrizione del soggetto nellordine civile esige sempre una rinuncia pulsionale come conditio sine qua non di ogni appartenenza sociale. Dalla met del secolo scorso in poi, per, lEuropa occidentale vive un passaggio epocale, che trasforma la vecchia civilt industriale nella cosiddetta societ postindustriale, o societ del benessere, fondata per la prima volta nella storia non pi sul risparmio e sulla penuria, ma sul consumo e sullillimitata circolazione dei beni: proprio il consumo, adesso, a conquistare il ruolo che un tempo apparteneva al risparmio; e nel discorso del Capitalista, allora, ad occupare la posizione dominante non sar pi la Legge ma il godimento, dato che la societ stessa, ormai, a spingere perch il soggetto non risparmi ma consumi, sostituendo cos ai cittadini un nuovo soggetto sociale: i consumatori. Come ci riesce? Sostituendo la dimensione dellessere con quella dellavere e abolendo cos la dimensione della mancanza, o piuttosto fingendo che tale abolizione sia possibile tramite il consumo-godimento dei beni materiali, delle merci. Salvo che questa mancanza, in quanto correlata al registro dellessere e non a quello dellavere, insaturabile, in quanto lunico oggetto che potrebbe eliminarla ci che Lacan chiama loggetto piccolo (a) costitutivamente irreperibile, da sempre perduto, essendo lappagamento incondizionato soltanto un miraggio, una nostalgia immedicabile generata dalla perdita di unintegrit mai posseduta. Il discorso del Capitalista si regge quindi sostanzialmente su un inganno, ancorandosi al desiderio, che in quanto tale indistruttibile, adescandolo con la promessa di una saturazione impossibile.
12 J. LACAN, Il seminario. Libro XVII, cit. Alla complessa teoria dei quattro discorsi e al suo rapporto con il discorso del capitalista ha dedicato un intero numero la rivista La psicoanalisi, n. 18, 1995. Sugli stessi temi di vedano anche M. RECALCATI, Lultima cena: anoressia a bulimia, cit., pp. 305-13, e ID., Il Seminario XVII di Jacques Lacan: unanalisi del potere, in ID., Lo psicoanalista e la citt. Linconscio e il discorso del capitalista, Roma, Manifestolibri, 2007, pp. 73-80. 13 S. FREUD, Il disagio della civilt (1929), tr. it., in ID., Opere, IX, Torino, Boringhieri, 1978.

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Monica Sagaria Rossi Lofferta maniacale delloggetto da consumare prende cos paradossalmente il posto del divieto del Padrone, sostenendo un comandamento sociale che non esige pi la rinuncia del soddisfacimento pulsionale, quanto il suo appagamento forzato. In questo senso loggetto piccolo (a) sembra stravolto nella sua funzione di oggetto-perduto trovandosi invece a disposizione sul mercato in una metamorfosi spettacolare che mobilita quella girandola di gadget che, delloggetto piccolo (a), costituisce solo, come si esprime Lacan, laspetto fasullo 14.

Un aspetto fasullo, perch loggetto perduto resta irraggiungibile in quanto la nostalgia fondamentale 15 che esso suscita essa stessa un effetto di quella mancanza sulla quale si costituisce a posteriori il sogno impossibile di una totalit irraggiungibile. ci che Lacan chiama alienazione. Il soggetto, per il fatto stesso di entrare nella comunit umana, nellordine Simbolico, fatalmente destinato a diventare un essere di desiderio (manque--tre) e quindi a sforzarsi con tutto se stesso di saturare questa mancanza in ogni modo possibile. Ma solo quando (e se) arriva a comprendere linutilit dei suoi sforzi che si apre una possibilit di salvezza: assumendo lo statuto del desiderio come indistruttibile, pu in qualche modo imparare a farci i conti, trasformando cos il limite che lo costituisce in unopportunit. ci che Lacan chiama separazione 16, e cio la manovra tramite cui ciascun soggetto impara ad elaborare la particolarit del proprio desiderio, nellacquisita consapevolezza che niente, finch resta in vita, potr mai estinguerlo. Ci che rende possibile il passaggio dallalienazione alla separazione il Nome-del-Padre, la metafora paterna, la Legge, che staccando il soggetto dal suo sogno di totalit fusionale lo obbliga a scoprirsi, quindi ad accettarsi, come mancanza costitutiva; ed solo cos, elaborando il lutto per lonnipotenza infantile perduta e quindi staccandosi dal grembo materno, che linfante pu abbandonare il suo miraggio di onnipotenza e imparare a trasformarsi in un adulto consapevole in grado di vivere la propria mancanza non pi come un limite ma come una chance.

M. RECALCATI, Il Seminario XVII di Jacques Lacan, cit., p. 79. Una nostalgia lega il soggetto alloggetto perduto, nostalgia tramite cui si esercita tutto lo sforzo della ricerca. Essa caratterizza il ritrovamento del segno di una ripetizione impossibile, visto che per lappunto non lo stesso oggetto, non potrebbe esserlo, J. LACAN, Il seminario. Libro IV. Le relazioni doggetto (1956-1957), Torino, tr. it., Einaudi, 1996, p. 9, cit. in M. RECALCATI, Sullodio, cit., p. 3. Sulloggetto perduto, in una prospettiva eccentrica ma solidale con quella lacaniana, si veda anche G. AGAMBEN, Loggetto perduto, in ID., Stanze, La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Torino, Einaudi, 1977-93, pp. 24-27. 16 Su alienazione e separazione si vedano, J. LACAN, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. 1964 (1973), Torino, Einaudi, 1979-2003, pp. 199225, e J.-A. MILLER, Contesto e concetti, Ivi, pp. 277-91. Sugli stessi temi, si vedano anche A. DI CIACCIA e M. RECALCATI, Jacques Lacan. Un insegnamento sul sapere dellinconscio, cit., pp. 61-73 e M. RECALCATI, Clinica del vuoto, cit., pp. 211-12.
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Ora, ci che a accaduto nel passaggio tra capitalismo classico e societ postindustriale, tra modernit e post-modernit, proprio, fra le altre cose, un progressivo erodersi della capacit discrizione della metafora paterna. Se ancora allepoca di Freud la societ produceva un Super-Io perfino troppo invasivo, in grado di reprimere con grande efficacia le pulsioni del godimento, la civilt attuale, non pi costretta dalla penuria ma dominata dallimperativo al consumo, genera un Super-Io molto debole, una metafora paterna che incide poco e dunque rende difficile per il soggetto gestire la propria pulsione al godimento, la quale anzi, allopposto di quanto accadeva in passato, sottoposta a sollecitazioni costanti e onnipresenti. ormai diventato assai pi difficile, per il soggetto, abbandonare il proprio status di infante, di puer, per accedere a una condizione di adulto in senso pregnante. Ed proprio in tale contesto che la bulimia (e pi in generale ogni dipendenza dalle pi svariate sostanze) smette di essere una semplice patologia fra le altre e diventa, oggi, non solo una vera e propria epidemia17, ma un autentico simbolo dellattuale discorso sociale, quello del Capitalista, che orienta e regola la societ dei consumi, il cui motore essenziale sta appunto proprio nella coazione al consumo, ovvero nella spinta a un godimento inesauribile e ossessivo, privo di freni simbolici e quindi strutturalmente ingovernabile. Certo, la bulimia estremizza fino al patologico tale spinta pulsionale, ma proprio grazie a questa estremizzazione che permette di scorgere nella maniera pi nitida dinamiche che sono tipiche anche della normalit civile e sociale, al punto che un regista come Ferreri ha potuto, al di qua di ogni teorizzazione, individuarne esattamente la logica, e quindi farne il motore dinamico di un testo che anche unallegoria della modernit, o, pi precisamente, della societ postmoderna, e cio una sua acutissima e spietata interpretazione immaginativa18. In questottica, insomma, il film diventa leggibile proprio nei termini di unallegoria del discorso del Capitalista: come i quattro amici si uccidono a forza di mangiare, cos la societ attuale mossa, al suo fondo, da una forza la cui meta finale non pu che essere lautodistruzione per eccesso di consumo. Salvo che il discorso del Capitalista, la logica della societ dei consumi, funziona proprio in quanto si regge su un inganno: la sostituzione del registro delles-

17 questa lepoca nella quale diviene possibile storicamente lanoressia-bulimia come fenomeno epidemico. La sua cornice storica il capitalismo avanzato nella sua espressione mass-mediologica, D. COSENZA, Il cibo e linconscio, in M. RECALCATI (ed.), Il corpo ostaggio, Teoria e clinica dellanoressia-bulimia, Roma, Borla, 1998, p. 157. Sostanzialmente dello stesso parere M. RECALCATI, Lultima cena: anoressia e bulimia, cit., e ID., Per una clinica differenziale dellanoressia-bulimia, in Id. (ed.), Il corpo ostaggio, cit., pp. 14-82. 18 Sul concetto di interpretazione immaginativa si veda P. BERTETTO, Lo specchio e il simulacro, cit., soprattutto alla p. 231 n. 24.

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sere con quello dellavere, della mancanza col vuoto: un inganno volto dunque a produrre unillusione di saturabilit. Per riempire la mancanza ridotta a vuoto basterebbe semplicemente tappare il vuoto a forza di acquisti, di consumi, di godimento. Basterebbe, in fondo, ingozzarsi di cibo. Ma niente pu tappare la mancanza-a-essere. A eccezione, certo, della morte. Perch proprio la pulsione di morte ci che si cela dietro ogni altra pulsione: la pulsione di morte intesa come ricerca di un soddisfacimento puro, assoluto, incondizionato. In questo senso il consumatore in quanto tale sempre, letteralmente, lo zimbello della pulsione di morte, poich lei a dirigere il gioco senza che lui, il consumatore, ne sappia nulla. Salvo che nella Grande bouffe proprio la pulsione di morte a diventare, con una progressione lenta e inesorabile, lunica protagonista del gioco. in questo senso preciso che diventa allora possibile definire il film come un testo votato alla demistificazione, se tale termine indica un processo volto a svelare la logica occulta di un sistema che strutturalmente portato a celare a mistificare, appunto ci che lo regola: i suoi meccanismi di funzionamento. Ora, ci che La grande bouffe mette in scena con grande maestria che la pulsione al consumo su cui si regge il discorso del Capitalista non altro che la pulsione di morte. Anche se resta da stabilire, ovviamente, se una tale lettura, che coglie senzaltro elementi essenziali nelle meccaniche significanti del film, illuminandone laspetto di critica radicale a un dato modello sociale, esaurisca davvero tutta la complessit del suo spessore semantico. 3. Oltre la societ dei consumi. Fisiologia della Grande bouffe Soltanto quattro anni prima della Grande bouffe, Ferreri aveva girato unaltra pellicola celebre, Dillinger morto, che in pi dun senso affrontava, da unaltra ottica, gli stessi temi; salvo che qui il protagonista, dopo una notte insonne trascorsa fra i gadget insensati della modernit, alla fine riusciva a fuggire, imbarcandosi come cuoco su una nave in partenza per Tahiti. Vero che la metafora rousseauiana della civilt corruttrice e del ritorno alla natura come unica via di salvezza era talmente esplicita e trasparente, cos didascalica la nota di solare ottimismo su cui si chiudeva il film, da rendere tale finale sostanzialmente ambiguo, indecidibile: davvero possibile scansare il disagio della civilt semplicemente imbarcandosi, la Gauguin, per la Polinesia, oppure Ferreri stava ancora una volta ironizzando su una Tahiti da mito pubblicitario, essa stessa il prodotto fittizio e alienante di una societ fittizia e alienante che ha trasformato perfino (o soprattutto) il paradiso in una reclame da agenzia turistica? In ogni caso, quattro anni pi tardi, illusioni e ambiguit sono svanite: resta solo una tragedia grottesca, e il gelo beffardo dello sguardo che la illumina. Lunica fuga possibile diventa adesso la reclusione in uno degli arrondissement pi appartati di Parigi; lerosione progressiva delle regole civili, lungi dal pro-

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durre una qualche liberazione, autentica o fasulla che sia, diviene il nudo vestibolo della pulsione suicida; la confidenza col cibo, un tempo salvifica, poich proprio grazie ad essa che Dillinger riesce a farsi accettare sullimbarcazione che lo porter a Tahiti, diventa adesso strumento di morte. Il mito del buon selvaggio scomparso, e al suo posto rimasta soltanto la nuda fisiologia. Au dehors de la bouffe dice Michel a un certo punto tout est epiphnomene. Tutto ci che esula dallambito del mangiare, dallatto della divorazione epifenomeno, ombra, illusione, ideologia. Ecco a cosa si ridotto il sogno rousseauviano di unet delloro naturale, incorrotta e felice, minata dalla decadenza indotta dalla civilt: mangiare ed essere mangiati, divorare ed essere divorati: al fondo, non c nientaltro. La Natura intesa come Madre benigna, che ancora costituiva il sogno (ambiguo) di Dillinger, scomparsa senza lasciare pi nessuna illusione, cedendo il posto a una Matrigna inflessibile il cui unico scopo divorare ci che ha generato. E allora, ci che la Grande bouffe mette in scena non pi tanto o solo la denuncia critica di un determinato modello sociale, quanto la condizione tragica dellesistenza come tale. Dove la tragedia consiste nella scoperta di un doppio vincolo che non concede pi nessuna via di fuga: da un lato la societ con le sue regole, le sue rinunce e linfelicit strutturale, il disagio che fatalmente la contraddistingue; dallaltro il desiderio finalmente liberato che per, lungi dal ricondurre a uno stato di felicit edenica, si scopre votato da sempre allautodistruzione, allattrazione senza pi barriere verso un vortice di godimento in cui il massimo del piacere coincide con il suo rovescio: la morte.
ci che viene messo in scena nel celebre film La grande abbuffata di Marco Ferreri, dove la spinta allincorporazione delloggetto manifesta il suo legame profondo con la spinta alla morte: il desiderio viene risucchiato da un godimento che non pi filtrato e moderato dalla castrazione. In certi casi estremi di obesit lesplosione del corpo pu in effetti essere pensato come la realizzazione drammatica di una regressione del soggetto allidentificazione primaria con la Cosa. Il godimento devastante che si scatena, al di l del limite fallico, trascina il corpo del soggetto in un vortice che lo confonde con lorrore primario della Cosa19.

La morte di Ugo sicuramente il momento in cui queste dinamiche vengono messe in scena con il massimo risalto. Vale senzaltro la pena ricordare che, stando almeno alle dichiarazioni di Tognazzi20, il suo personaggio avrebbe dovuto esplodere alla lettera: saltare in aria a forza di mangiare. Fu lattore a suggerire la soluzione attuale, che venne accettata dal regista dopo una breve riflessione. Ma anche a prescindere dallattendibilit o meno dellaneddoto,

M. RECALCATI, Clinica del vuoto, cit. pp. 220-21. F. FALDINI e G. FOFI, Il cinema italiano doggi. 1960-1969, Milano, Feltrinelli, pp. 123-24.
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questa breve sequenza senzaltro una delle pi memorabili del film, e fra le pi dense di implicazioni simboliche, a dimostrazione del fatto che mostrare lavvenimento-morte sullo schermo, checch ne pensasse Bazin21, non solo possibile, ma anche, a certe condizioni, altamente remunerativo sia in termini di potenza estetica che di densit semantica. Come muore Ugo? Mangiando, certo, ma anche in piena attivit sessuale: Andra infatti l, accanto a lui, che lo masturba dietro sua richiesta. Il massimo del piacere, qui, coincide e si confonde con il massimo dellorrore: la morte. , questa, la definizione stessa di ci che la psicoanalisi, quantomeno quella di impostazione lacaniana22, indica con la parola godimento. Un piacere sregolato, fuori circuito, fuori castrazione, che conduce il soggetto verso il suo stesso auto-annullamento, in un abbraccio stavolta realmente fusionale, e perci mortifero, con la Cosa del godimento. Ma per capire ancora meglio cosa in gioco, si pu forse ricorrere a un filosofo, peraltro molto vicino anche a Lacan, quale fu George Bataille; o piuttosto a delle immagini, a delle fotografie, che a quanto pare ne hanno segnato tanto la biografia quanto il pensiero e la scrittura23. In effetti, sono fotografie impressionanti. Mostrano tutte un supplizio cinese, ovvero un uomo smembrato e imbottito doppio, con lestasi dipinta sul volto proprio mentre il suo corpo viene martoriato dalla tortura. Unicona perfetta per ci che Bataille intendeva per godimento: uno stato dellessere in cui estasi e orrore si fondono diventando una sola e unica cosa. Era questo, per lui, il momento di massima intensit possibile, quello in cui lessere stesso si rivela in tutto il suo insostenibile fulgore proprio mentre la vita si confonde con la morte. Un momento di cui si pu dire, dunque, che lapprovazione della vita sin dentro la morte24.
Il piacere sarebbe spregevole se non vi fosse questo sconvolgente superamento, che non riservato allestasi sessuale, che anche i mistici di diverse religioni, soprattutto i mistici cristiani, hanno conosciuto. Lessere ci dato in un superamento intollerabile dellessere, non meno intollerabile della morte. E poich, nella morte, nel momento stresso in cui lessere ci

A. BAZIN, Che cos il cinema? (1957), Milano, tr. it., Garzanti, 1999, pp. 27-33. Su questo argomento, si veda almeno M. RECALCATI, Lombra del desiderio, in ID., Sullodio, cit., pp. 3-32. 23 G. BATAILLE, Le lacrime di Eros (1961), Torino, Bollati Boringhieri, 2002; M. SURYA, George Bataille, la mort a loeuvre, Paris, Gallimard, 1992. Sullo stesso argomento, si veda anche, S. COLET, Intorno a Lacan, Bataille e Sade, in F. BIAGICHAI, M. RECALCATI (eds.), Lacan e il rovescio della filosofia: da Platone a Deleuze, Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 126-39. Pi in generale, come introduzione al pensiero e allopera di Bataille, si veda M. PERNIOLA, Philosophia sexualis. Scritti su George Bataille, Verona, Ombre corte, 1998. Quanto ai rapporti fra Lacan e Bataille, i due non solo ebbero comuni frequentazioni surrealiste, ma seguirono entrambi i celebri corsi di Kojeve sulla Fenomenologia hegeliana. Lacan inoltre spos in seconde nozze proprio lex-moglie di Bataille, lattrice Syvie. 24 G. BATAILLE, Lerotismo (1957), Milano, tr. it., SE, 1986, p. 13.
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Il desiderio e il suo rovescio dato, ci anche sottratto, noi dobbiamo cercarlo nel sentimento della morte, in quei momenti intollerabili in cui ci sembra di morire, perch lessere per noi ormai solo presente per eccesso, quando la pienezza dellorrore e quella della gioia coincidono 25.

in questa logica che la morte di Ugo rivela tutto il suo potenziale dintelligibilit. Morte che culmina con due inquadrature, o piuttosto ununica inquadratura in mezzo a cui sinserisce un breve inserto come un contrappunto che esalta e specifica il senso di quanto sta avvenendo. Subito prima c un TOT che mostra Ugo disteso sul tavolo, lo stesso tavolo su cui ha cucinato per tutta la bouffe, mentre Philippe lo imbocca e Andra lo masturba. Dietro di loro, oltre i vetri della cella frigorifero, i cadaveri di Marcello e Michel che osservano immobili tutta la scena. Quindi uno stacco sul volto della donna che piange, e infine un controcampo su Ugo e Philippe in PP. Mentre Philippe lo assiste, Ugo ansima, mangia e sospira di piacere. Le sue ultime parole sono queste: Qui, Andra, qui, e: Ancor, ancor. S e ancora, le parole dellaffermazione, della gioia e del godimento; poi soltanto rantoli e mugolii, fino alla morte. Linserto un breve primo piano del volto di Andra che mentre lo masturba, e quindi mentre lo aiuta a morire, piange disperata. Il suo volto ribadisce tutto lorrore di quanto sta accadendo: di quanto lei, e lo spettatore con lei, stanno guardando. La morte di Ugo mette in scena un ossimoro, lossimoro del godimento: quando la pienezza dellorrore e quella della gioia coincidono.

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G. BATAILLE, Prefazione a Madame Edwarda (1956), Milano, tr. it., ES, 2004.

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Foto 1 M. Ferreri, La grande bouffe, 1973.

Foto 2 M. Ferreri, La grande bouffe, 1973.

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Foto 3 M. Ferreri, La grande bouffe, 1973.

Foto 4 M. Ferreri, La grande bouffe, 1973.

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