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Sezione K

MECCANICA DELL’AUTO
INDICE
1 INTRODUZIONE ....................................................................................................... 2
1.1 Definizione e classificazioni ............................................................................... 2
1.2 Omologazione dell’autoveicolo .......................................................................... 2
2 LA CARROZZERIA .................................................................................................. 3
2.1 La scocca ............................................................................................................. 4
2.2 L’autotelaio di carrozzeria ................................................................................... 6
2.3 Parti mobili: ferratura e carrozzatura .................................................................. 6
2.4 Finizioni .............................................................................................................. 7
3 L’INSIEME AUTOTELAIO ...................................................................................... 7
3.1 Il complesso ruota-pneumatico ........................................................................... 8
3.2 Le sospensioni veicolo ........................................................................................ 9
3.3 I parametri caratteristici delle ruote .................................................................... 9
3.4 Le tipologie di sospensioni veicolo ..................................................................... 11
3.5 L’impianto di sterzo ............................................................................................ 14
3.6 L’impianto frenante ............................................................................................. 16
3.7 La sospensione motore ........................................................................................ 20
4 LA TRASMISSIONE DEL MOTO ........................................................................... 20
4.1 Generalità ............................................................................................................ 20
4.2 La frizione ........................................................................................................... 21
4.3 Il cambio di velocità ............................................................................................ 22
4.4 L’albero di trasmissione ...................................................................................... 25
4.5 I giunti ................................................................................................................. 25
4.6 La coppia conica di riduzione ............................................................................. 27
4.7 Il differenziale ..................................................................................................... 28
4.8 Ponte posteriore e semiassi ................................................................................. 30
5 IL MOTORE E LE TRAZIONI ALTERNATIVE ................................................... 31
5.1 Generalità ............................................................................................................ 31
5.2 La vettura elettrica ............................................................................................... 32
5.3 I veicoli ibridi ...................................................................................................... 33
5.4 Le celle a combustibile: l’auto a idrogeno .......................................................... 33
6 EQUIPAGGIAMENTO ELETTRICO E ACCESSORI .......................................... 34
6.1 Generatore di corrente ......................................................................................... 35
6.2 Batteria di accumulatori ...................................................................................... 37
6.3 Motorino di avviamento ...................................................................................... 37
6.4 Dispositivi di illuminazione, segnalazione, controllo e accessori ....................... 38
7 TRAZIONE STRADALE ........................................................................................... 40
7.1 Aderenza ............................................................................................................. 40
7.2 Resistenze al moto .............................................................................................. 40
7.3 Velocità massima, pendenza superabile, riprese e accelerazioni ........................ 43
7.4 Spazio di frenatura .............................................................................................. 44
7.5 Consumi di carburante ........................................................................................ 45
BIBLIOGRAFIA ......................................................................................................... 45
K-2 MECCANICA DELL’AUTO

1 INTRODUZIONE
Il tema della meccanica dell’autoveicolo, a causa della grande importanza di questo mezzo
e della crescente complessità della sua architettura, è sicuramente tanto interessante quanto
vasto da affrontare.
Questo capitolo non ha quindi la pretesa di essere esaustivo, bensì mira a dare una panora-
mica generale dei principali componenti o sottosistemi che caratterizzano l’autoveicolo, con
particolare riferimento alle soluzioni tecnologiche più recenti e, ove possibile, fornendo indi-
cazioni sulle evoluzioni che ci attendono nel prossimo futuro.
1.1 Definizione e classificazioni
Con il termine autoveicolo si intende comunemente un veicolo a propulsione meccanica,
appoggiato su almeno quattro ruote, che si muove su una superficie solida (sono quindi inclusi
anche i rover per esplorazioni planetarie), in modo autonomo, senza essere vincolato meccani-
camente a seguire una predeterminata traiettoria.
Gli autoveicoli sono classificati sulla base delle differenti mission specifiche (ciò a cui il
veicolo in esercizio è destinato e per il quale è stato progettato) e delle diverse soluzioni archi-
tettoniche adottate perché possano adempiere al proprio compito con successo. Generalmente
si distingue fra:
- autovetture: veicoli a quattro ruote, destinati al trasporto di persone, capaci di contenere fino
a nove posti, conducente incluso;
- autobus: utilizzati per il trasporto di persone, con più di nove posti, compreso il conducente;
- autoveicoli promiscui: utilizzati per il trasporto di persone o cose;
- autocarri: a due o più assi sono utilizzati per il trasporto di cose;
- trattori stradali: sono destinati al traino e non atti a portare carico utile proprio;
- autotreni: combinazione di autocarro e rimorchio;
- autoarticolati: sono costituiti da un trattore e un semirimorchio;
- autosnodati: sono costituiti da più elementi, dei quali uno motore, interconnessi non rigida-
mente.

Un’altra comune classificazione si opera in base alla sorgente di energia che, opportuna-
mente trasformata, genera energia meccanica utilizzata per la trazione sotto forma di coppia
fornita alle ruote motrici. Si hanno pertanto:
- autoveicoli a combustibile liquido, in cui la sorgente è data dall’energia chimica del combu-
stibile (diesel, benzina, gasolio);
- autoveicoli elettrici a batterie ricaricabili;
- autoveicoli ibridi, che sono combinazione dei due precedenti;
- autoveicoli a combustibile gassoso, quali il GPL o il metano (CH4);
- autoveicoli a celle a combustibile (fuel cell), che utilizzano la reazione elettrolitica fra idro-
geno e ossigeno per generare corrente elettrica (e acqua).
1.2 Omologazione dell’autoveicolo
Un autoveicolo, per poter essere immesso sul mercato, deve essere conforme a un insieme
di caratteristiche tecniche definite per legge da enti governativi specifici (livello nazionale) o
nell’ambito di gruppi di Paesi (livello internazionale o sovranazionale).
Per ottenere l’omologazione europea, un tipo di vettura deve essere conforme a numerose
direttive specifiche che definiscono i livelli prestazionali minimi nelle seguenti cinque aree:
- prestazioni ambientali: rumorosità, emissioni, consumi;
- sicurezza attiva: frenatura, visibilità;
- sicurezza passiva: cinture di sicurezza, deformazioni all’urto;
- illuminazione: vari componenti di fanaleria;
- altre prescrizioni: ganci di traino, masse e dimensioni.
Nella tabella K.1 vengono riportati l’elenco delle prestazioni minime previste dalla Diret-
tiva CE 98/14, per l’omologazione degli autoveicoli, e le rispettive direttive specifiche.
LA CARROZZERIA K-3

Tabella K.1 Omologazione europea dell’autoveicolo: Direttiva CE 98/14


Area Prestazioni Dir.CE Area Prestazioni Dir.CE
1. Rumorosità esterna 96/20 25. Cinture di sicurezza 2000/3
Area 1 2. Emissioni 99/102 26. Porte, serrature e cerniere 99/90
3. Fumosità motori diesel 97/20 Area 3 27. Appoggiatesta 75/32
Protezione
ambientale 4. Consumo carburante Sicurezza 28. Vetri di sicurezza
99/100 92/22
passiva
5. Potenza motori 99/99 29. Urto frontale 99/98
6. Sterzo: sforzo massimo volante 1999/7 30. Urto laterale 95/27
7. Avvisatori acustici 70/388 31. Catadiottri 97/29
8. Tergilama parabrezza 94/68 32. Luci posizione arresto 97/30
9. Antifurto 95/58 33. Indicatori di direzione 99/15
10. Campi di visibilità 90/120 Area 4 34. Luce targa 97/31
11. Tachimetro 97/38 Componenti 35. Proiettori e lampade 99/17
Area 2 di fanaleria
Sicurezza 12. Specchi retrovisivi 58/321 36. Proiettori fendinebbia 99/18
attiva 13. Pneumatici 92/23 37. Luce retronebbia 99/14
14. Disappanamento parabrezza 78/317 38. Proiettori retromarcia 97/32
15. Frenatura 38/12 39. Luci di stazionamento 99/16
16. Installazione fanaleria 97/28 40. Dispos. di traino veicolo in panne 96/64
17. Identificazione comandi 94/52 41. Compatibilità elettromagnetica 95/54
18. Parafanghi 94/78 42. Sede targa posteriore 70/222
19. Ancoraggi cinture di sicurezza 96/35 Altre 43. Targhette e iscrizioni 75/937
Prescrizioni
20. Sporgenze esterne 78/458 44. Riscaldamento abitacolo 78/548
Area 3 21. Sedili e relativi ancoraggi 98/37 45. Masse e dimensioni 95/48
Sicurezza 22. Sterzo: comportamento nell’urto 46. Retromarcia
91/362 97/39
passiva
23. Serbatoio carburante 2000/6 47. Ganci di traino per rimorchio 94/20
24. Sistemazione interna 2000/4

Gli obiettivi di questa normativa sono quelli di rendere più sicura la guida, ridurre le con-
seguenze di eventuali collisioni e contenere l’impatto negativo del traffico stradale sul-
l’ambiente.
L’evoluzione nel tempo di queste leggi, che prevederà ulteriori norme sempre più severe
per i costruttori, sta già influenzando e condizionando pesantemente le soluzioni tecnologiche
che saranno impiegate negli autoveicoli nel prossimo futuro.

2 LA CARROZZERIA
La carrozzeria è la parte del veicolo destinata a contenere e isolare dagli agenti esterni i
passeggeri e il carico.
Con l’avvento, ormai generalizzato, di carrozzerie portanti, essa assume anche funzioni
strutturali di resistenza a carichi esterni, con deformazioni limitate (rigidezza) e protezione
degli occupanti in caso di urti.
Per evitare confusioni, nel caso di carrozzeria portante si definisce:
- carrozzeria, la struttura di rivestimento esterno applicata al telaio per formare l’abitacolo di
contenimento delle persone e del carico;
- scocca, lo scheletro che costituisce la parte propriamente resistente alle sollecitazioni di
deformazione flessionale e torsionale;
- autotelaio di carrozzeria, la parte bassa della scocca, che si interfaccia con gli organi mecca-
nici;
- parti mobili, componenti in lamiera smontabili senza distruzioni di saldature, perché bloccati
meccanicamente;
- finizioni, le parti decorative con funzione di comfort o di estetica;
K-4 MECCANICA DELL’AUTO

- accessori, i dispositivi che assolvono funzioni specifiche come il condizionatore, le serrature


eccetera.

Nella figura K.1 viene riportato il disegno della carrozzeria, detto piano di forma o Master
Model Draft.

Figura K.1 Piano di forma o Master Model Draft dell’Alfa Romeo Montreal (fonte: Mille
ruote).
2.1 La scocca
La scocca è un guscio di lamiera saldata che integra le funzioni strutturali, fra cui quella di
proteggere gli occupanti e di contenere il carico. Essa è un componente unico, in quanto le
parti che la costituiscono, collegate in genere mediante saldature, non possono essere smontate
mediante operazioni semplici.
Il profilo variabile della strada impone a ogni ruota una determinata posizione, alla quale
corrisponderà, attraverso la flessibilità delle molle delle sospensioni, un determinato carico
agente sulla scocca, che, a causa dell’asimmetria del profilo stradale e delle masse in gioco,
avrà risultante di torsione non nulla.
Le prestazioni strutturali di una scocca sono quindi valutate attraverso le rigidezze (rap-
porti fra sforzi e deformazioni) flessionali e torsionali.
La rigidezza flessionale viene rappresentata dal carico B, espresso in daN/mm, che genera
la freccia di flessione di 1 mm nella sezione di applicazione del carico stesso (fig. K.2).

Figura K.2 Rigidezza flessionale della scocca.


LA CARROZZERIA K-5

La rigidezza torsionale è valutata in daNm/rad e rapporta la coppia alla rotazione relativa


della sezione alla quale viene applicata, rispetto a quella vincolata (fig. K.3).

Figura K.3 Rigidezza torsionale della scocca.


Per massimizzare le caratteristiche di rigidezza combinate con quelle di contenimento e
protezione del carico, la scocca assume la struttura di un guscio di lamiere saldate che formano
la cosiddetta ossatura.
La funzione protettiva è assolta grazie a una parte anteriore sacrificale, che dissipa l’ener-
gia dell’urto in deformazione plastica, e una centrale di protezione, che reagisce alle forze
senza restringere lo spazio vitale per i passeggeri.
Di seguito sono riportati, nello specifico, i principali elementi della scocca di un autovei-
colo (fig. K.4):
- i montanti parabrezza anteriore (1), centrale (2) e posteriore (3);
- le traverse paraurti anteriore (4), pavimento centrale (5) e posteriore (6);
- il longherone laterale, o brancardo (7) e la longherina del tetto (8);
- le traverse sotto parabrezza (9), sotto lunotto e il paraurti posteriore (10);
- il puntone anteriore (11).
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8

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Figura K.4 Elementi della scocca di un autoveicolo.
Gli elementi di chiusura sono il tetto, il pavimento anteriore e posteriore, il cruscotto e i
parafanghi.
I singoli elementi posseggono elevata resistenza grazie alla loro particolare conforma-
zione, che si ottiene saldando fra loro più lamiere sottili in modo da formare strutture cave,
assimilabili a travi.
K-6 MECCANICA DELL’AUTO

2.2 L’autotelaio di carrozzeria


L’autotelaio di carrozzeria è un semilavorato costituito dal parafiamma (separa la sede
motore dall’abitacolo), dai pavimenti, dalle loro traverse e da longheroni e puntoni (fig. K.5).
Questi elementi vengono uniti fra loro tramite saldatura e comprendono nell’accoppia-
mento fissaggi e rinforzi in lamiera.
Poiché l’impatto estetico è pressoché nullo, è possibile la condivisione dello stesso autote-
laio tra modelli omologhi di generazioni successive, con evidenti vantaggi per i costruttori.

Puntone

Parafiamma

Longheroni

Pavimento

Traversa

Figura K.5 Autotelaio di carrozzeria.

L’autotelaio di carrozzeria è notevolmente complesso e deve essere posta la massima cura


nell’assemblaggio per ottenere tolleranze dimensionali contenute, poiché molti dei suoi punti
costituiranno il riferimento geometrico per il montaggio degli elementi del telaio.
Esso viene normalmente realizzato mediante un’attrezzatura che permette di posizionare,
con esattezza, tutti i componenti strutturali principali, in modo da formare un’ossatura di riferi-
mento (longheroni e traverse).
L’attrezzatura di saldatura è costituita da una specie di pressa con elettrodi, che permette di
realizzare, in un solo colpo, la maggior parte dei punti di saldatura con notevole precisione. In
seguito vengono montati i pannelli di chiusura (pavimenti e parafiamma), che completano la
struttura.
La rigidezza torsionale del solo autotelaio di carrozzeria non supera il 20% del valore otte-
nuto con la scocca completa.

2.3 Parti mobili: ferratura e carrozzatura


La scocca, ottenuta con processi di posizionamento e saldatura, denominati lastratura,
subisce in seguito l’operazione di ferratura (fig. K.6), che consiste nel montaggio e nella
messa in quadro delle parti mobili.
Le parti mobili sono quelle congiunte alle altre con collegamenti facilmente smontabili
(viti, bulloni, perni) e comprendono cofano, porte, portellone, parafanghi e, talvolta, traverse
portafari e paraurti.
Le porte e il portellone sono costituite da un’ossatura interna di rinforzo, su cui è aggraf-
fata e incollata una pelle esterna. Il collegamento alle fiancate avviene mediante cerniere
imbullonate sulla scocca e saldate sulla parte mobile.
L’INSIEME AUTOTELAIO K-7

La scocca lastrata e ferrata è quindi inviata all’impianto di verniciatura e, in seguito, al


montaggio degli organi meccanici, o carrozzatura.

Padiglione
Portellone

Cofano

Traversa
portafari
e paraurti
Porte

Figura K.6 Ferratura delle parti mobili.

2.4 Finizioni
Dopo la fase di carrozzatura avviene il montaggio di componenti quali i cablaggi elettrici e
i rivestimenti interni del pavimento e del padiglione (imperiale). Per facilitare le operazioni, la
scocca è privata delle porte che vengono staccate e completate su una linea apposita, che si
ricongiungerà alla scocca a fine ciclo.
Seguono le operazioni di montaggio plancia, incollaggio di parabrezza e lunotto, montag-
gio fanaleria e mobiletto centrale, rivestimento montanti, guarnizioni di vario tipo e particolari
di arredamento variabili sui diversi modelli. L’ultima operazione di finitura è quella che
riguarda il montaggio dei sedili.

3 L’INSIEME AUTOTELAIO
Con l’avvento della scocca portante, l’autotelaio ha perso la funzione di elemento struttu-
rale autonomo, ma ha conservato il compito di inglobare i principali sistemi che caratterizzano
l’autoveicolo:
- il motore;
- gli organi di trasmissione del moto;
- le ruote e le sospensioni vettura;
- la sospensione motore;
- l’impianto di sterzo;
- l’impianto di frenatura.

Tali sistemi agiscono direttamente sulle prestazioni dell’autoveicolo e per questo motivo,
di solito, si associano all’autotelaio le proprietà caratteristiche di velocità, maneggevolezza,
tenuta di strada, tipo di trazione e frenatura.
Riservando la trattazione del motore e della trasmissione a opportuni paragrafi, si affron-
tano qui più nel dettaglio gli altri sistemi e impianti.
K-8 MECCANICA DELL’AUTO

3.1 Il complesso ruota-pneumatico


Le ruote di tutti i moderni autoveicoli sono dotate di pneumatici, elementi deformabili con
il compito di:
- sostenere il veicolo;
- trasferire la potenza attraverso il contatto ruota-suolo;
- generare le forze laterali necessarie per controllare la traiettoria;
- assicurare il mantenimento del contatto con il suolo e una buona aderenza;
- garantire un adeguato comfort di marcia.

Battistrada
Cintura

Tele
carcassa

Fianco

Camera
d'aria

Rinforzi

Cerchietto
Tallone
Valvola
Canale del cerchio

Figura K.7 Nomenclatura del pneumatico.

Il pneumatico è una struttura composita, formata da parecchi strati di tessuto gommato con
fili metallici di rinforzo, numerosi in direzione della trama e molto radi in quella dell’ordito.
Nella figura K.7 viene riportata la sezione del pneumatico montato sul cerchio.
Questa struttura ha il compito di ottenere nello stesso tempo:
- massima rigidezza del battistrada in senso radiale, longitudinale e trasversale;
- massima flessibilità dei fianchi per garantire comfort al passeggero.

La capacità di trasmettere forze anche notevoli è assicurata dall’aria in pressione con cui il
pneumatico è gonfiato, che garantisce proprietà strutturali a un componente di per sé elastico e
cedevole. I pneumatici sono classificati in base alla tipologia costruttiva (convenzionali, cintu-
rati, radiali) e al modo in cui viene trattenuta l’aria in pressione (con camera d’aria o tubeless).
Grazie alle prestazioni superiori e al maggiore comfort al giorno d’oggi, la quasi totalità
dei veicoli circolanti monta pneumatici radiali tubeless, in cui l’interno del pneumatico è sta-
gno all’aria e il tallone è modificato per impedirne la fuoriuscita. Questo aspetto è molto
importante per la sicurezza, in quanto garantisce, in caso di foratura, uno sgonfiamento gra-
duale.
L’INSIEME AUTOTELAIO K-9

Per quanto riguarda la ruota, cioè l’insieme cerchio-disco, essa deve principalmente soddi-
sfare i seguenti requisiti:
- costruzione leggera, per non gravare eccessivamente sull’entità delle masse non sospese;
- resistenza, per reggere ai carichi che si riscontrano in marcia;
- rigidità, per minimizzare la flessione laterale sotto i carichi dovuti alle accelerazioni centri-
fughe in curva;
- facile ancoraggio del pneumatico, con il profilo del cerchio che permetta un agevole mon-
taggio e smontaggio del pneumatico e garantisca un accoppiamento perfetto ai fini della
tenuta dell’aria in pressione, nonché della trasmissione delle coppie motrici e frenanti.
3.2 Le sospensioni veicolo
Le sospensioni sono il tramite fra il complesso ruota-pneumatico e la scocca e hanno il
compito di imporre la posizione del pneumatico, rispetto alla scocca e al terreno, nelle varie
condizioni di utilizzo del veicolo. Esse devono consentire alla ruota di avere moti verticali
relativi rispetto al veicolo e, nello stesso tempo, devono garantire l’aderenza al suolo, assor-
bendo le eccitazioni dovute alle asperità del terreno, che il pneumatico non è in grado di smor-
zare.
Inoltre il cinematismo della sospensione deve essere in grado di resistere alle forze messe
in gioco dal pilota in manovra, che, per scaricarsi sul suolo, passano inevitabilmente dal
sistema di sospensione.
Per far fronte a queste esigenze di tenuta di strada e comfort, la sospensione è costituita da:
- organi portanti, che assicurano la posizione della ruota rispetto alla scocca, lasciando libero
il solo moto di scuotimento; essi sono elementi rigidi strutturali (aste e bracci oscillanti in
acciaio, ghisa o alluminio), connessi fra loro tramite snodi sui quali sono ancorati elementi
elastici di assorbimento (boccole e tasselli in gomma);
- organi elastici, che garantiscono il comfort permettendo i grossi movimenti e immagazzi-
nando elasticamente l’energia cinetica generata; essi sono costituiti da molle a elica, barre di
torsione e molle a balestra;
- organi smorzatori e dissipatori, che smorzano le oscillazioni delle molle e dissipano
nell’ambiente la conseguente energia termica accumulata; l’elemento ormai generalmente
impiegato è l’ammortizzatore idraulico.

I parametri di progetto, dalla tipologia del cinematismo al grado di smorzamento degli


ammortizzatori, sono molto numerosi e la loro corretta combinazione consente di raggiungere
ottimi risultati per soddisfare le esigenze di un determinato veicolo. Occorre tuttavia osservare
che le richieste di una piccola utilitaria (semplicità, peso, costo) sono molto lontane da quelle
di una lussuosa berlina o di una vettura sportiva. Per questo si è assistito nel tempo al prolife-
rare di diverse tipologie di sospensioni, ognuna delle quali costituisce una buona risposta alle
esigenze particolari di un veicolo.
Si possono identificare tre grandi categorie:
- a ruote indipendenti, quando su uno stesso assale una ruota può scuotere senza che l’altra ne
sia interessata;
- a ruote semi-indipendenti, quando le ruote appartengono a uno stesso corpo, la cui flessibi-
lità non può essere trascurata;
- a ruote interconnesse rigidamente, quando le ruote appartengono a uno stesso corpo rigido.
Per poter valutare nello specifico le peculiarità delle differenti tipologie, occorre definire i
parametri caratteristici di posizionamento ruota-suolo.
3.3 I parametri caratteristici delle ruote
Convergenza (toe-in) e divergenza (toe-out)
La convergenza è data dalla differenza A1 − A2 delle distanze trasversali misurate tra le
ruote anteriori nei punti longitudinali estremi degli pneumatici (vedi figura K.8); serve per
K-10 MECCANICA DELL’AUTO

compensare l’inclinazione delle ruote e per recuperare eventuali giochi e deformazioni elasti-
che della tiranteria dello sterzo.
La convergenza è definita negativa aperta quando A1 > A2 (fig. K.8a); è detta positiva
chiusa quando A1 < A2 (fig. K.8b, le frecce indicano la direzione di marcia in vista dall’alto).
I valori normalmente adottati per la convergenza sono:
- 2-3 mm per vetture a trazione posteriore;
- 2 mm per vetture a trazione anteriore.

Figura K.8 Convergenza: a) negativa aperta; b) positiva chiusa.


Incidenza (castor)
L’incidenza o inclinazione (castor, in inglese) può essere considerata nel piano trasversale
o nel piano longitudinale.
L’incidenza trasversale riduce la distanza fra il centro di appoggio dei pneumatici e il
punto di proiezione a terra dell’asse dei perni, favorisce il ritorno delle ruote direttrici dopo la
sterzata e mantiene lo sterzo in posizione di marcia rettilinea (fig. K.9a).
L’incidenza longitudinale è rappresentata dall’angolo fra l’asse di sterzatura della ruota e
la verticale passante per il centro ruota. Concorre a favorire il ritorno dello sterzo in posizione
di marcia rettilinea (fig. K.9b).
Per l’incidenza longitudinale si possono considerare mediamente i seguenti valori:
- da 0,5° a 5°, su vetture a trazione posteriore;
- da − 0,5 a +5°, su quella a trazione anteriore.

Angolo inclinazione
trasversale montante
Verticale
Asse montante Angolo incidenza
montante

Punto ove
incide
asse
Punto di
montante
contatto
sul terreno
Senso di marcia

Figura K.9 Incidenza: a) trasversale; b) longitudinale.


L’INSIEME AUTOTELAIO K-11

Campanatura (camber)
La campanatura, detta anche angolo di inclinazione ruota (camber), è l’angolo β formato
fra un piano longitudinale al veicolo, normale al suolo, e il piano di mezzeria della ruota. Serve
per compensare l’angolo di rollio del veicolo, cercando il più possibile la perpendicolarità
ruota-suolo in marcia.
Può essere positiva (fig. K.10a) o negativa (fig. K.10b).
I valori normalmente utilizzati sono quelli da –1° a +2°.

Figura K.10 Campanatura: a) positiva; b) negativa.


Braccio a terra trasversale
È il valore definito dalla distanza fra l’intersezione con il terreno dell’asse di sterzatura
della ruota e il piano verticale. Diminuisce il momento necessario alla sterzata quando il vei-
colo è fermo, ma con il veicolo in moto aumenta gli sforzi del guidatore per mantenere la dire-
zione rettilinea.
I valori di tale distanza sono variabili da 5 a 10 mm.
3.4 Le tipologie di sospensioni veicolo
Le principali tipologie di sospensioni utilizzate sui veicoli sono di seguito elencate e breve-
mente descritte.
- Sospensione ad assale rigido: è la tipologia più antica e più semplice. È costituita da un
assale che unisce rigidamente le ruote e da aste rigide che assicurano il collegamento con la
scocca (fig. K.11).

Figura K.11 Sospensione ad assale rigido nelle possibili configurazioni di utilizzo.


La sospensione veicolo ad assale rigido ha il grande pregio di garantire la perpendicolarità
ruota-suolo a un costo contenuto. Per contro, essa comporta alte masse non sospese e pro-
blemi nel dominare le variazioni di convergenza. Per questo motivo la sua diffusione sta pro-
gressivamente calando; è impiegata ancora in sospensioni posteriori di autocarri.
K-12 MECCANICA DELL’AUTO

- Sospensione a ponte torcente: le ruote sono collegate rigidamente a due bracci longitudinali
uniti da una traversa che li collega e che si torce durante gli scuotimenti dissimmetrici, dando
stabilizzazione (fig. K.12).
Questa configurazione garantisce un parziale ricupero di campanatura, alto effetto stabiliz-
zante, basso peso, basso costo e consente un lay-out ottimale dei componenti sotto scocca.
Qualche limitazione deriva dalle difficoltà nell’ottimizzazione handling-comfort, che deter-
mina una progettazione particolarmente accurata.
Per la sua architettura questa tipologia è applicata solo posteriormente ed è una delle più dif-
fuse per vetture di bassa/media gamma.

Barra Panhard Ammortizzatore

Molla

Semiasse Differenziale

Puntone

Figura K.12 Sospensione a ponte torcente.


- Sospensione a quadrilatero: la ruota è guidata da bracci o aste oscillanti sia inferiormente sia
superiormente (fig. K.13).
Ammortizzatore
a molla

Bracci

Pinza
freno

Disco
Figura K.13 Sospensione a quadrilatero.
L’INSIEME AUTOTELAIO K-13

Variando lunghezza e inclinazione dei bracci, si riesce a controllare ottimamente la varia-


zione di campanatura e garantire un elevato comfort. Questo tipo di sospensione, rispetto alle
tipologie già viste, ha maggiore peso, costo e ingombro trasversale; è applicata prevalente-
mente sulle ruote anteriori e presenta due varianti: a quadrilatero basso (per trazioni poste-
riori con motore longitudinale) e a quadrilatero alto (prevalentemente per trazioni anteriori
con motore trasversale).

- Sospensione McPherson: si distingue dalla tipologia a quadrilatero per la particolarità


dell’ammortizzatore, che diventa elemento portante (fig. K.14). Questa integrazione di fun-
zioni consente una riduzione di peso, di costi e minori ingombri verso il vano motore.
L’unico problema è rappresentato dal fatto che l’ammortizzatore è soggetto a carichi laterali,
che pregiudicano l’ottimale scorrevolezza del pistone dell’ammortizzatore. Esso è parzial-
mente risolto impiegando molle ad asse inclinato rispetto a quello dell’ammortizzatore, che
contribuiscono a generare una coppia antagonista che compensa quella a cui la base del-
l’ammortizzatore è soggetto.
La sospensione McPherson è utilizzata sia nelle sospensioni anteriori sia in quelle posteriori,
nella quasi totalità delle vetture di bassa/media gamma.

Ammortizzatore
a molla (portante)

Pinza freno Disco

Figura K.14 Sospensione McPherson.

- Sospensione multilink: la ruota è legata alla scocca tramite cinque aste, o bracci, fra loro indi-
pendenti, ottenendo così la più completa libertà di guida e regolazione.
Ogni asta è dedicata alla gestione di un parametro caratteristico, svincolato e indipendente
dalle altre aste; in questo modo si può gestire il variare degli angoli caratteristici agendo su
un solo componente, senza comportare variazioni indesiderate sugli altri parametri.
La sospensione multilink assicura le migliori prestazioni, ma a causa dell’alto costo e ingom-
bro, è impiegata quasi esclusivamente per sospensioni posteriori di vetture di alta gamma.
K-14 MECCANICA DELL’AUTO

3.5 L’impianto di sterzo


Il cambio di direzione del veicolo è attuato, ormai in modo generalizzato, mediante sterza-
tura delle ruote anteriori.
La condizione ottimale di sterzatura, definita come sterzatura cinematica, è quella in cui la
traiettoria è determinata dal puro rotolamento delle ruote, senza strisciamento delle stesse, sul
terreno di marcia. La velocità dei centri delle ruote è contenuta nel loro piano medio e gli
angoli di deriva sono nulli.
Per un veicolo a due assi di cui uno sterzante, affinché la sterzatura cinematica sia possi-
bile, le normali ai piani medi delle ruote devono avere un punto in comune A (fig. K.15) e deve
essere verificata la relazione:
cot α – cot β = C----
P

in cui C è la carreggiata, P il passo del veicolo e l’angolo di sterzatura della ruota interna α è
maggiore di quello della ruota esterna β.

Figura K.15 Due ruote sterzanti con centro di rotazione A in comune.

Tuttavia nessun dispositivo reale permette di rispettare esattamente questa condizione


(sterzo di Ackermann). Si può quindi definire l’errore di sterzatura ∆β = β − βc in cui βc è il
valore di β cinematicamente corretto, cioè quello che soddisferebbe la relazione precedente.
L’errore di sterzatura varia in funzione di α, con valori positivi (∆βmax ≅ 1°) con α < 20 ÷ 30°
e rapido decadimento verso valori negativi per forti angoli di stersata (∆βmin ≅ − 2°)
L’importanza di contenere il più possibile gli errori di sterzatura risiede non tanto nell’otte-
nere un buon comportamento direzionale del veicolo (condizionato da molte altre variabili),
quanto piuttosto nell’effetto dell’usura sulle ruote anteriori e sulla centratura dello sterzo, che
influenza la sensazione che il guidatore riceve dal volante.
La soluzione approssimata più diffusa è denominata quadrilatero di Jeantaud. Le leve
sterzo sono inclinate verso l’interno in modo che, a pari corsa cremagliera, per effetto della
diversa e simmetrica inclinazione delle due leve, corrisponda un angolo di sterzata maggiore
per la ruota interna alla curva rispetto a quella esterna, così che le normali al piano equatoriale
delle quattro ruote convergano nelle diverse condizioni di marcia, rettilinea o curvilinea, sem-
pre nello stesso punto, detto centro Ackermann-Jeantaud.
L’INSIEME AUTOTELAIO K-15

Approssimativamente questo si ottiene quando i prolungamenti delle due leve sterzo 1-2 e
3-4, come rappresentato nella figura K.16, si intersecano in corrispondenza dell’asse poste-
riore del veicolo.
I sistemi di sterzatura
L’apparato sterzante consta di due parti:
- cinematismo di comando, che trasmette il movimento di sterzata dal volante alle ruote o a un
cinematismo che le comanda; esso comprende il meccanismo di riduzione (scatola della
guida);
- cinematismo di accoppiamento delle ruote, che impone il movimento relativo voluto fra le
ruote sterzanti; è formato dalle leve sterzo, dai tiranti laterali e dei rinvii.

Nella figura K.16 viene riportato uno schema di quadrilatero articolato, utilizzato per la
sterzatura delle ruote direttrici con la giusta divergenza.

Figura K.16 Schema di quadrilatero articolato di sterzatura: 1-3) assale anteriore; 2-4) barra
di accoppiamento; 1-2 e 3-4) leve di sterzo; C) carreggiata; P) passo.

La condizione teorica per evitare lo slittamento trasversale delle ruote in curva è soddi-
sfatta quando i prolungamenti degli assi delle due leve di accoppiamento 1-2 e 3-4 s’incon-
trano nel punto centrale dell’assale posteriore D.
Il valore dell’angolo di inclinazione di queste leve dipenderà dal valore della carreggiata C
e del passo P.
A seconda del tipo di sospensione adottato, il primo o il secondo cinematismo ha il com-
pito di rendere indipendente il moto sterzante da quello di molleggio.
Il movimento angolare alle leve sterzo, e quindi alle ruote, può essere dato fondamental-
mente con due sistemi:
- sistema vite e rullo o vite e settore dentato, contenuto nella scatola guida che, mosso diretta-
mente dal volante, mette in movimento un sistema di leverismi e rinvii che portano il moto
alle leve sterzo solidali alle ruote; ormai è in uso solo sui veicoli industriali;
- sistema pignone-cremagliera, che muove direttamente le leve sterzo solidali alle ruote; per le
caratteristiche di peso, costo e semplicità costruttive è ormai di generale applicazione sulle
vetture. Comprende un pignone a dentatura elicoidale montato su cuscinetti a sfere reggi-
K-16 MECCANICA DELL’AUTO

spinta, che ingrana con la cremagliera con movimento assiale, sopportato da due boccole a
basso attrito; i tiranti laterali, tramite teste a snodo sferiche, portano il moto alle leve sterzo
(fig. K.17).

Tirante laterale
Pignone
Tirante laterale

Cremagliera
Boccola
Cuffia di tenuta

Regolazione carico scorrimento

Figura K.17 Sistema di sterzatura a pignone-cremagliera.

Come già accennato, il sistema di sterzo deve essere accuratamente scelto e dimensionato,
in coerenza con la sospensione anteriore, per evitare che gli spostamenti verticali delle ruote
inducano variazioni di convergenza indesiderate e per rendere compatibili gli ingombri.
3.6 L’impianto frenante
La frenatura di un autoveicolo ha due diverse funzioni:
- permettere la riduzione di velocità del veicolo, fino all’arresto, in spazi contenuti;
- mantenere fermo il veicolo quando si trovi in sosta.

Per soddisfare queste esigenze il veicolo è dotato di due diversi impianti:


- impianto di frenatura di servizio;
- impianto di frenatura di stazionamento.

L’impianto di stazionamento degli autoveicoli è sempre di tipo meccanico; lo sforzo è tra-


smesso per mezzo di tiranti, leve o cavi flessibili che, azionati tramite una leva, agiscono sui
freni posteriori. La leva di comando, azionata a mano, si trova solitamente sul tunnel longitudi-
nale di centro vettura, all’altezza dei sedili anteriori.
L’impianto di servizio, a seconda del mezzo impiegato per trasmettere lo sforzo del pedale
agli elementi frenanti, può essere:
- pneumatico, quando il mezzo di trasmissione è aria compressa; esso è utilizzato su camion e
autobus;
- idraulico, quando lo sforzo è trasmesso per mezzo di un liquido in pressione; è ormai gene-
ralizzato sulle vetture.

L’impianto di servizio idraulico


La riduzione di velocità del veicolo implica la dissipazione dell’energia cinetica da esso
posseduta. In frenatura tale riduzione è ottenuta per attrito fra due superfici, una fissa alla
L’INSIEME AUTOTELAIO K-17

sospensione e l’altra rotante solidalmente alla ruota, premute fra loro da un sistema a comando
idraulico. L’energia cinetica si trasforma in calore sugli elementi d’attrito, che raggiungono
temperature di centinaia di gradi.
Un impianto frenante a comando idraulico è costituito da quattro gruppi di elementi:
- elementi di comando: pedale, pompa freno, serbatoio per liquido freni, servofreno;
- elementi di trasmissione: tubazioni rigide e flessibili;
- elementi di attuazione: freni anteriori e posteriori;
- elementi di regolazione: regolatori o correttori.

L’impianto è solitamente costituito da due circuiti indipendenti “incrociati” (anteriore de-


stro-posteriore sinistro), in modo da consentire una capacità frenante adeguata anche in caso di
rottura di uno dei due tubi.
Il dimensionamento dell’impianto ha come obiettivo quello di evitare che una delle ruote
in frenata possa bloccarsi prima delle altre, cosa che implica, oltre a spazi di frenatura mag-
giori, la per-dita di potere direzionale.
I dati di partenza sono il peso a terra sulla ruota della vettura a pieno carico (tenendo conto
che in frenata l’asse posteriore si alleggerisce e necessita di una pressione idraulica inferiore
per evitare il bloccaggio) e il coefficiente di aderenza longitudinale pneumatici/suolo.
Il risultato del dimensionamento è il raggiungimento della massima decelerazione in con-
dizioni di scorrimento ottimale e, quindi, di spazi di arresto minimi, in corrispondenza di sforzi
sul pedale contenuti (grazie al servofreno).
Questi valori sono molto importanti per la sicurezza a bordo vettura e per questa ragione
sono regolati da apposite normative.
A livello pratico la pompa freni trasforma lo sforzo sul pedale in pressione idraulica che,
tramite le tubazioni, viene trasmessa agli attuatori. La pompa è a doppio stadio (per comandare
i due circuiti incrociati) e sfrutta il movimento di un pistone che, scorrendo, chiude il foro di
alimentazione, mettendo l’olio in pressione.
Lo sforzo che arriva allo stantuffo della pompa è moltiplicato rispetto a quello esercitato
sul pedale tramite un servofreno a depressione; esso è dotato di due camere separate da una
membrana in gomma (fig. K.18).

Al collettore Valvola di
di aspirazione non ritorno
Frenata
prolungata

Valvola di
entrara aria

Membrana

Figura K.18 Servofreno a depressione (fonte: Mille ruote).

In condizioni normali le camere sono in depressione (ottenuta dal motore a ciclo Otto, in
fase di aspirazione, o da un’apposita pompa “del vuoto”); in frenata la camera posteriore entra
K-18 MECCANICA DELL’AUTO

in comunicazione con l’atmosfera e la differenza di pressione fra le due camere va ad aggiun-


gersi, sul puntale del pistone, al carico proveniente dal pedale, per poi raggiungere i freni con
valori elevati.
Freni e sistemi antibloccaggio
Freni a disco
Questo schema frenante è costituito da un disco metallico, che gira con la ruota, e da una
pinza fissata alla sospensione che abbraccia il disco.
Il disco, generalmente in ghisa, può essere pieno o autoventilato, più spesso è dotato di
canalizzazioni radiali per il passaggio dell’aria che assicurano maggiori prestazioni.
La pinza è normalmente costituita da due semipinze, una interna e una esterna, nelle quali
sono ricavati i cilindri idraulici di comando e alle quali sono assicurati due pattini d’attrito con-
trapposti. Durante la frenatura, il liquido in pressione agisce sui cilindretti che spingono i pat-
tini d’attrito contro il disco.
Grazie alle caratteristiche di leggerezza e smaltimento del calore, abbinate a elevate presta-
zioni, i freni a disco sono ormai di uso generalizzato per i freni anteriori e in continua espan-
sione per i freni posteriori (oltre il 50%).
Nella figura K.19 viene riportato un freno a disco autoventilante, in grado di generare una
corrente d’aria centrifuga che aumenta il raffreddamento del disco.

Disco freno autoventilante Flangia


montaggio
ruota

Pattino d'attrito

Ganascia

Figura K.19 Freno a disco autoventilante (fonte: Mille ruote).


Freni a tamburo
I freni a tamburo sono costituiti da due ceppi incernierati a una estremità e divaricati
dall’altra, mediante la spinta generata da un cilindretto attuatore idraulico, contro la superficie
interna di un tamburo. Nella figura K.20 sono presentati quattro tipi diversi di freni a tamburo,
con ceppi, il cui principio di funzionamento è facilmente deducibile dalla figura stessa.
La progettazione di questo schema frenante richiede una particolare attenzione per il pro-
blema del raffreddamento, data l’influenza negativa della temperatura sulla durata delle guar-
nizioni frenanti e sull’usura delle superfici a contratto.
I tamburi devono essere caratterizzati da leggerezza, resistenza all’abrasione e buona con-
ducibilità termica, per smaltire rapidamente il calore generato durante la frenatura.
Le guarnizioni frenanti devono possedere un elevato coefficiente d’attrito, buona resi-
stenza all’abrasione e al taglio e, infine, buona resistenza alle temperature elevate.
L’INSIEME AUTOTELAIO K-19

I freni a tamburo sono meno costosi rispetto ai freni a disco, tuttavia sono più pesanti e con
minori prestazioni; per questo sono impiegati esclusivamente sulle ruote posteriori.

Cilindretto idraulico

Ceppi

Tamburo Superficie d'attrito

Figura K.20 Tipi di freni a tamburo con ceppi: a) incernierati; b) avvolgenti; c) flottanti;
d) a doppia espansione (fonte: Mille ruote).
Sistemi ABS (Antiblock Braking System)
Questi sistemi hanno lo scopo di evitare il bloccaggio delle ruote, diminuendo la pressione
idraulica agente sui singoli attuatori che comandano i freni, quando si raggiunge il limite di
aderenza fra ruota e terreno.
Il limite di aderenza si raggiunge nella seguente condizione:
Ff > Fz ⋅ µx
dove:
- Ff = forza frenante;
- Fz = forza verticale sulla ruota;
- µx = coefficiente di aderenza longitudinale ruota-suolo.
I sistemi ABS evitano che lo spazio di frenata si allunghi rispetto alle condizioni ideali e
contribuiscono a mantenere la stabilità e la direzionalità della vettura, in situazioni precarie di
frenatura e bassa aderenza.
All’impianto frenante tradizionale si aggiungono dei sensori che rilevano, in ogni istante,
le velocità delle singole ruote e inviano questi dati a una centralina elettroidraulica che li ela-
bora per trovare i valori di decelerazione istantanea e confrontarli con i valori di soglia memo-
rizzati all’interno.
Quando una ruota sta per bloccarsi, essa invia un segnale che permette di variare la pres-
sione del liquido freni nei cilindri delle pinze freno in modo opportuno.
K-20 MECCANICA DELL’AUTO

3.7 La sospensione motore


La sospensione motore è composta da tasselli elastici che collegano il motore alla scocca,
in numero e disposizione variabile in funzione delle differenti esigenze.
Tali elementi elastici hanno la funzione di filtrare le forze e le vibrazioni trasmesse dal
motore in funzionamento e, nello stesso tempo, di minimizzare, entro certi intervalli, i movi-
menti del motore nelle differenti condizioni di utilizzo. La ricerca del migliore compromesso
fra queste due funzioni antitetiche è il punto focale nello sviluppo della sospensione motore.
Le forze trasmesse dal motore comprendono:
- forze statiche di reazione alla coppia motore;
- forze di inerzia generate dai movimenti della massa del motore in marcia;
- vibrazioni ad alta frequenza, dovute al moto delle masse alterne.

La definizione del numero, della posizione dei punti di vincolo alla scocca e delle caratte-
ristiche elastiche dei tasselli di supporto viene effettuata sulla base dello spettro di eccitazione
tipico di ogni motore, cercando la configurazione ottimale che permetta di trasmettere basse
forze, vincolando i tasselli alla scocca in punti di minima sensibilità acustica.

4 LA TRASMISSIONE DEL MOTO


4.1 Generalità
I dispositivi che realizzano la trasmissione del moto permettono il movimento del veicolo
mediante il trasferimento della coppia/potenza fornita dal motore alle ruote; essi sono detti
organi di trasmissione e comprendono:
- la frizione;
- il cambio di velocità (manuale, automatico e robotizzzato);
- il riduttore di velocità;
- il moltiplicatore di velocità (overdrive);
- l’albero di trasmissione;
- i giunti (elastici, cardanici e idraulici);
- la coppia conica di riduzione (o gruppo di riduzione);
- il differenziale;
- gli alberi differenziali o semiassi.

L’architettura della trasmissione è notevolmente influenzata dalle diverse tipologie di tra-


zione, elencate di seguito.
- Trazione anteriore: prevede motore, frizione, cambio e differenziale trasversali, con cambio
e differenziale in serie al motore. Grazie alla semplicità e alla compattezza, è la soluzione più
diffusa. Un’altra architettura, diffusa su vetture di media/alta gamma per la possibilità di
impiegare motori di dimensioni notevoli, prevede motore, frizione e cambio longitudinali,
con differenziale fra motore e cambio.
- Trazione posteriore: prevede motore, frizione e cambio longitudinali anteriori, albero di tra-
smissione e differenziale posteriori. In alternativa possono essere impiegati motore, frizione,
cambio e differenziale trasversali, collocati anteriormente all’asse ruote posteriori.
- Trazione integrale: prevede motore, frizione, cambio e differenziale anteriore trasversali,
con presa di moto per l’albero di trasmissione che porta il moto al differenziale posteriore. È
la soluzione adottata se la trazione integrale è applicata a vetture derivate da una trazione
anteriore, con motore trasversale.
Se il motore è longitudinale o la vettura deriva da una trazione posteriore, l’architettura pre-
vede motore, frizione, cambio longitudinali anteriori, con differenziale anteriore tra frizione
e cambio, e uscita posteriore per l’albero di trasmissione, che porta il moto al differenziale
posteriore.
LA TRASMISSIONE DEL MOTO K-21

4.2 La frizione
La frizione permette di rendere indipendente il motore dalla trasmissione e di collegare la
trasmissione al motore, in modo graduale e progressivo. La coppia fornita dal motore viene
trasmessa utilizzando l’attrito che si sviluppa fra due superfici, l’una solidale all’albero motore
e l’altra all’albero primario del cambio e ruotanti rispettivamente con le due parti, premute una
contro l’altra da apposite molle.
Per evitare lo slittamento dell’innesto durante il moto, la forza esercitata dalle molle deve
essere tale da consentire la trasmissione della massima coppia motrice.
Le frizioni più comunemente adottate sono a disco unico (monodisco) o a dischi multipli
in acciaio, le cui facce sono ricoperte di materiale ad alto coefficiente d’attrito, solitamente a
base d’amianto, a disco conico diritto o rovescio (fig. K.21). La pressione fra le due superfici
può essere dovuta all’azione di una serie di molle, inserite fra il coperchio della frizione e
l’anello spingidisco, oppure all’azione di un’unica molla centrale o di una molla a diaframma a
forma di coppa, con intagli radiali e fori perimetrali.

Figura K.21 Diversi tipi di frizioni: a) a cono diritto; b) a cono rovescio; c) a dischi multipli.

Il disinnesto della frizione è ottenuto normalmente per mezzo di un cuscinetto reggispinta


e di una leva a forcella, azionata da un apposito pedale tramite un sistema di leve e tiranti,
oppure mediante un comando idraulico.
Nelle frizioni con molla a diaframma (fig. K.22), il cuscinetto reggispinta, spinto in avanti
dalla forcella, agisce sulla parte centrale della molla, provocando l’inversione della concavità
della stessa.

Figura K.22 Coperchio frizione con molla a diaframma di produzione Fiat: 1) coperchio;
2) perni di trascinamento; 3) molla a diaframma; 4) fori.
K-22 MECCANICA DELL’AUTO

Come conseguenza, il bordo periferico della molla retrocede e allontana l’anello spingidi-
sco, cui è collegato tramite linguette metalliche, dal disco condotto, provocando il disinnesto
della frizione.
Per evitare che un involontario appoggio del piede sul pedale comando possa provocare lo
slittamento della frizione, è previsto un tratto di corsa a vuoto, registrabile, prima dell’inizio
della corsa utile di disinnesto.
4.3 Il cambio di velocità
Nella figura K.23 si riportano le curve caratteristiche (coppia, potenza, consumo specifico)
di un motore che risulta stabile e regolare solo per regimi compresi tra nc e nmax. Al di sotto di
nc il funzionamento è instabile o addirittura impossibile, al di sopra di nmax si va fuori giri. Di
qui la necessità di disporre di un cambio di velocità perché il motore possa funzionare nella
zona accettabile in ogni condizione di marcia.

Figura K.23 Curve caratteristiche di un motore.


Il cambio di velocità è un ruotismo che permette di variare la coppia in uscita dal motore,
adattandola alla richiesta delle ruote. È costituito da un’incastellatura (scatola), fissata rigida-
mente al motore, che contiene gli alberi di entrata e uscita, sui quali sono riportate le coppie di
ruote dentate che, ingranate fra loro, realizzano i rapporti del cambio o rapporti di trasmis-
sione.
Il rapporto di trasmissione, definito per ogni singola coppia di ingranaggi, è il rapporto fra
la velocità angolare dell’albero in entrata e quella dell’albero in uscita; esso è uguale al rap-
porto fra il numero di denti della ruota in uscita e quello della ruota in entrata. In formule si
avrà:
n in z out
τ = --------
- = --------
n out z in
dove:
- n = velocità di rotazione dell’albero in entrata (in) e in uscita (out) espresse in giri/min;
- z = numero di denti della ruota in entrata e in uscita.

Per il principio di conservazione dell’energia, trascurando l’attrito, la coppia in uscita è


uguale al prodotto di quella in entrata per il rapporto di trasmissione τ:
Cout = τ Cin
LA TRASMISSIONE DEL MOTO K-23

Si viene a creare quindi una coppia di reazione Cr, data dalla differenza delle coppie in
entrata e in uscita, che insisterà e sarà sopportata dall’incastellatura:
Cr = Cin − Cout
Il cambio manuale più utilizzato, a ingranaggi a dentatura elicoidale, è riportato in figura
K.24 ed è costituito dai seguenti componenti principali:
- albero primario (1);
- albero secondario parallelo al primo (9);
- coppia di ingranaggi a dentatura elicoidale per la prima marcia (3) e (8);
- coppia di ingranaggi per la seconda marcia (5);
- coppia di ingranaggi per la terza marcia (4);
- coppia di ingranaggi per la quarta marcia (2);
- coppia conica e gruppo differenziale (D);
- frizione monodisco (F);
- boccole distanziali (6) e (7).

Figura K.24 Complessivo frizione, cambio di velocità e differenziale (Fiat).

Il numero e la spaziatura dei rapporti sono scelti in funzione delle prestazioni che il veicolo
vuole garantire, in linea con l’uso per cui è stato progettato e messo sul mercato.
Gli attuali cambi in produzione si raggruppano in due categorie:
- in cascata: composti da albero di entrata (albero primario) e di uscita (secondario), paralleli
fra loro; la trasmissione avviene sempre attraverso una sola coppia di ingranaggi che realiz-
zano il rapporto desiderato;
- con presa diretta: l’uscita è coassiale con l’albero primario; il rapporto è realizzato con due
coppie di ingranaggi in presa, tranne la presa diretta che si ottiene connettendo fra loro le due
parti dell’albero primario.

La retromarcia si ottiene inserendo un ingranaggio, detto ozioso, fra una coppia di ingra-
naggi sui due alberi principali, ottenendo l’inversione del senso di rotazione sull’alberino di
uscita.
Con cambio in folle, tutte le coppie di ingranaggi sono in presa e ruotano, ma nessun moto
è trasmesso, poiché uno dei due ingranaggi della coppia è folle sull’albero di uscita. Con
K-24 MECCANICA DELL’AUTO

l’inserimento della marcia, l’ingranaggio della coppia che realizza il rapporto di trasmissione
prescelto trasmette il moto all’albero grazie allo scorrimento di un manicotto che lo rende soli-
dale con l’albero stesso.
Per evitare che si verifichino urti, strappi o difficoltà d’innesto, sono utilizzati dei sincro-
nizzatori, dispositivi che hanno il compito di portare, in maniera progressiva, il manicotto a
ruotare con la stessa velocità dell’ingranaggio, prima di consentire l’ingranamento dei due
organi.
Il sincronizzatore è un anello in bronzo, interposto fra manicotto scorrevole e ruota dentata
(fig. K.25). Esso è trascinato dal manicotto cui è parzialmente solidale e presenta dall’altro lato
una superficie conica che, sotto la spinta di inserimento marcia, si accoppia con un angolo
cono ricavato sulla ruota dentata.
La coppia di attrito che nasce dallo strisciamento delle due superfici che girano a diversa
velocità, da una parte tende a portare i due elementi alla stessa velocità angolare, dall’altra
garantisce una posizione angolare che impedisce l’ingranamento, che può quindi verificarsi
solo al cessare della coppia d’attrito, in condizioni di sincronia.

Figura K.25 Particolari di sincronizzatore (Fiat): 1) mozzo; 2) anello; 3) dentatura d’innesto;


4) ingranaggio marcia; 5) arresto; 6) molla; 7) anello elastico; 8) manicotto.
Gli spostamenti degli ingranaggi scorrevoli e dei dispositivi di sincronizzazione sono otte-
nuti con un sistema di forcelle e aste comandate da una leva a mano, azionata dal conducente.
In ogni caso, le tipologie di cambio realizzabili sono diverse e la differente disposizione
degli organi che realizzano la catena cinematica è fortemente influenzata dall’architettura
generale della trasmissione.
Cambi automatici e robotizzati
Per facilitare la guida e migliorare il comfort all’interno del veicolo si stanno sempre più
diffondendo i cambi automatici, in grado cioè di svolgere, in maniera autonoma, le operazioni
di avviamento, scelta e innesto del rapporto idoneo di marcia. I cambi automatici propriamente
detti hanno struttura meccanica dedicata e possono avere rapporti discreti o a variazione conti-
nua; l’avviamento è garantito da un dispositivo convertitore di coppia idraulico o da una fri-
zione elettromagnetica a bagno d’olio. I cambi robotizzati sono cambi manuali in cui un robot
elettroidraulico assume la funzione di controllo della frizione, scelta e innesto del rapporto.
Riduttore di velocità
Il riduttore di velocità è un dispositivo montato su alcuni cambi di veicoli medi e pesanti,
con lo scopo di disporre di un numero maggiore di rapporti senza aumentare a dismisura gli
ingranaggi.
LA TRASMISSIONE DEL MOTO K-25

Le coppie di ingranaggi sempre in presa per la trasmissione del moto dal primario al
secondario sono due, una per le marce normali, l’altra per quelle ridotte.
Gli ingranaggi delle due coppie sono folli sul primario e l’innesto dell’una o dell’altra è
ottenuto spostando un manicotto scorrevole sul primario mediante una leva di comando situato
vicino al cambio.
Si ottiene così il doppio delle marce a disposizione, quelle normali e le corrispondenti
ridotte, demoltiplicate secondo un rapporto costante.
Moltiplicatore di velocità (overdrive)
Il moltiplicatore di velocità (overdrive) è un dispositivo che consente di ridurre di circa il
25% il regime di rotazione del motore con il cambio in presa diretta, a parità di velocità. Mon-
tato in aggiunta al cambio di velocità a 4 marce, consente su lunghi rettilinei, una maggiore
silenziosità di marcia, minori consumi e minore usura degli organi del motore.

4.4 L’albero di trasmissione


L’albero di trasmissione è utilizzato negli autoveicoli con motore anteriore e ruote motrici
posteriori, con lo scopo di collegare il cambio di velocità con il gruppo di riduzione.
Per evitare l’impiego di alberi troppo lunghi, l’albero di trasmissione, normalmente tubo-
lare, spesso è costruito in due tronchi, uniti da un giunto cardanico e sorretti da un supporto
intermedio fisso (fig. K.26).

Giunto cardanico Supporto centrale

Manicotto scorrevole Flangia

Figura K.26 Parte centrale dell’albero di trasmissione (fonte: Mille ruote).

Il gruppo di riduzione è situato più in basso rispetto al cambio ed è soggetto a continue


oscillazioni durante la marcia del veicolo. Per questo motivo, l’albero di trasmissione è colle-
gato agli alberi alle due estremità, per mezzo di giunti elastici o giunti cardanici.
Un accoppiamento scanalato, scorrevole assialmente, consente piccole variazioni di lun-
ghezza dell’albero di trasmissione durante la marcia, evitando pericolose e continue trazioni e
compressioni della struttura.

4.5 I giunti
I giunti sono organi di piccole dimensioni che assolvono compiti fondamentali nella tra-
smissione del moto. Quelli più utilizzati sugli autoveicoli sono:
- il giunto elastico;
- il giunto cardanico;
- il giunto idraulico.
K-26 MECCANICA DELL’AUTO

Il giunto elastico
È costituito da due flange e un elemento elastico intermedio (fig. K.27). La deformabilità
dell’elemento elastico intermedio consente rilevanti spostamenti assiali, piccoli spostamenti
paralleli e angolari (5 Ö 6°). Tale giunto è utile nella trasmissione del movimento fra alberi
leggermente disassati, fungendo, allo stesso tempo, da parastrappi per compensare bruschi
innesti della frizione. Si impiega soprattutto fra il cambio e l’albero di trasmissione.

Elemento Bullone
elastico
in gomma

Forcella Forcella

Figura K.27 Giunto elastico Giubo (fonte: Mille ruote).


Il giunto cardanico (o di Hooke)
È costituito da una crociera e due forcelle. Gli estremi dei perni della crociera sono artico-
lati ai bracci delle due forcelle, le quali sono solidali con i terminali degli alberi da accoppiare
(fig. K.28).

Crociera

Forcella

Forcella

Disegno d'insieme

Figura K.28 Rrappresentazione schematica del giunto cardanico (fonte: Mille ruote).

I giunti cardanici sono largamente impiegati nelle trasmissioni del moto fra alberi incli-
nati, i quali formano tra loro un angolo detto di lavoro del giunto, che può raggiungere valori
fino a 25°.
Il moto di rotazione trasmesso all’albero condotto non è identico a quello posseduto
dall’albero conduttore, ma segue una legge pressoché sinusoidale, che aumenta di ampiezza
all’aumentare dell’angolo di lavoro.
Pertanto, se questo raggiunge valori elevati (oltre 10-14°), potrebbe essere necessario spez-
zare la trasmissione, inserendo un secondo giunto cardanico con identico angolo di lavoro e
forcelle site sullo stesso piano, in modo che i ritardi e le accelerazioni dati dai due giunti si
compensino fra loro e sia garantito un corretto funzionamento della trasmissione.
LA TRASMISSIONE DEL MOTO K-27

Il giunto idraulico
Il giunto idraulico, montato su cambi di velocità automatici, trasmette la coppia motrice,
utilizzando l’energia cinetica di un liquido, facilitando l’avviamento dolce e progressivo del
veicolo e attenuando le brusche variazioni di carico in marcia. Esso è costituito da due giranti,
munite di palette radiali e racchiuse in un carter contenente una certa quantità di liquido (fig.
K.29). La girante motrice è solidale con il volano motore e funge da pompa centrifuga, quella
condotta è collegata al cambio di velocità e funziona come una turbina.

Figura K.29 Schema di giunto idraulico di produzione Innocenti: 1) corona d’avviamento;


2) girante motrice; 3) girante condotta; 4) albero motore; 5-6-7-8) ingranaggi.

Durante la rotazione del motore, il liquido viene spinto verso la periferia dalla girante con-
dotta, si infrange contro le palette di quest’ultima e ne percorre i condotti dalla periferia al cen-
tro, trascinandola in rotazione se la velocità della girante conduttrice è superiore, o frenandola
in caso contrario, per esempio in discesa in caso di rilascio dell’acceleratore (si inverte il senso
di circolazione del liquido).
4.6 La coppia conica di riduzione
Consente la riduzione del numero di giri delle ruote motrici rispetto a quello dell’albero di
uscita del cambio, risolvendo allo stesso tempo il problema della perpendicolarità fra semiassi
e albero di trasmissione.
La coppia conica di riduzione è costituita da una ruota motrice di piccole dimensioni, il
pignone, collegato all’albero di trasmissione o montato direttamente sul secondario del cam-
bio, che ingrana con una ruota condotta, la corona, di dimensioni notevolmente maggiori. Il
rapporto fra il numero di denti del pignone e della corona dentata è detto rapporto di riduzione
(fig. K.30).
Come conseguenza, il momento agente sui semiassi sarà maggiore di quello agente sul-
l’albero motore. Infatti si avrà:
M
M s = -------m-
τ
in cui τ è il rapporto di riduzione, minore dell’unità.
K-28 MECCANICA DELL’AUTO

Figura K.30 Coppie coniche: a) ad assi concorrenti e denti diritti; b) a denti ad arco di cerchio;
c) a denti ipoidali (fonte: Mille ruote).

È possibile l’impiego di diverse tipologie di dentature, ma la soluzione universalmente


adottata prevede gruppi conici a dentatura ipoidale. Infatti:
- la coppia conica a denti diritti ha l’inconveniente di avere una sola coppia di denti contem-
poraneamente in presa, perciò non può trasmettere forze elevate, è rumorosa e trasmette il
moto con vibrazioni;
- la coppia conica a denti ad arco di cerchio (detta coppia Gleason) ha più denti contempora-
neamente in presa, può trasmettere forze maggiori ed è più silenziosa;
- la coppia conica con denti ipoidali, universalmente usata nei moderni autoveicoli, consente
un disassamento del pignone dalla corona e quindi una sistemazione più bassa dell’albero di
trasmissione, a tutto vantaggio dell’abitabilità e della baricentratura della scocca. In questo
tipo di trasmissione le spinte fra i denti sono più elevate, quindi i cuscinetti sono più solleci-
tati e risulta necessaria la lubrificazione con oli di caratteristiche particolari.

Ove fosse necessaria una forte demoltiplicazione, possono essere impiegati gruppi vite
senza fine-ruota elicoidale o, preferibilmente, una doppia coppia di ingranaggi, una conica e
l’altra cilindrica.

4.7 Il differenziale
Il differenziale, inventato nel 1827 dal meccanico francese Onesiforo Pecqueur, è un mec-
canismo che permette alle due ruote di un autoveicolo velocità angolari diverse in caso di
necessità.
Esso è costituito da due ruote dentate coniche, dette planetari, collegate alle estremità dei
semialberi per mezzo di alberi scanalati e altre due ruote coniche, chiamate satelliti, montate
su un perno portasatelliti (fig. K.31).
I satelliti, i planetari e il perno portasatelliti sono montati su un’incastellatura di ghisa sfe-
roidale, su cui è flangiata la corona conica che riceve la coppia motrice dal pignone dell’albero
di trasmissione e la trasmette al perno portasatelliti.
LA TRASMISSIONE DEL MOTO K-29

Pignone

Satellite

Incastellatura
Scatola
Planetario

Semiasse Semiasse

Perno portasatelliti
Corona
Satellite
Figura K.31 Differenziale dell’autoveicolo (fonte: Mille ruote).

Principio di funzionamento
La coppia motrice trasmessa dal pignone alla corona fa ruotare il perno portasatelliti
attorno all’asse dei planetari, in cui i satelliti non girano attorno al proprio asse ma fungono da
legame rigido fra i planetari stessi, che in questo caso girano alla stessa velocità (veicolo che
percorre un tratto rettilineo).
Quando l’autoveicolo si trova a transitare su un tratto di strada curvilineo, la ruota interna
deve percorrere, nello stesso tempo, uno spazio inferiore rispetto a quello della ruota esterna,
effettuando inoltre un numero di giri differente, consentito dal differenziale che, in questo
caso, ha i satelliti che girano anche sul proprio asse. Le ruote motrici possono così ruotare a
velocità differenti, evitando strisciamenti che provocherebbero usura dei pneumatici e ridu-
zione di stabilità dell’autoveicolo in curva.

Differenziale autobloccante
Il numero di giri della scatola differenziale, in qualsiasi condizione, è pari alla semisomma
dei giri delle ruote. Questo comporta che nel caso in cui una delle due ruote motrici slitti su un
terreno scivoloso o sia sollevata da terra, non incontrando resistenza, possa girare a vuoto a una
velocità doppia della scatola differenziale, provocando il bloccaggio dell’altra ruota.
Dal punto di vista della ripartizione della coppia motrice, la ruota che slitta la annulla per
mancanza di aderenza; l’altra deve riceverne la stessa quantità e, per questa ragione, rimane
ferma.
Questa condizione non permette la partenza del veicolo da fermo e risulta molto pericolosa
se si verifica durante la marcia, causando sbandamenti.
Il differenziale autobloccante limita lo scorrimento relativo dei due planetari rispetto alla
scatola del differenziale, facendo sì che sulla ruota che ha aderenza rimanga una parte della
coppia che era presente prima della perdita di aderenza dell’altra.
Il sistema più diffuso risolve questo problema sfruttando dischi di frizione interposti fra
planetari e scatola differenziale, che vengono premuti con forza di intensità variabile in pro-
K-30 MECCANICA DELL’AUTO

porzione alla coppia che agisce sui planetari stessi. Quando la ruota perde aderenza, lo slitta-
mento è impedito dall’attrito interno fra disco frizione e planetario; la ruota che tende a slittare
non perde reazione e riesce a trasmettere la coppia di slittamento della frizione.
Per i problemi di partenza, su alcuni veicoli pesanti il differenziale è dotato di un disposi-
tivo di bloccaggio, costituito da un innesto a denti scorrevole su uno dei due semiassi, che con-
sente di rendere solidali fra loro i due semiassi.
4.8 Ponte posteriore e semiassi
Il ponte posteriore è un involucro metallico che, nei veicoli a trazione posteriore, collega
fra loro le ruote motrici e racchiude il gruppo di riduzione, il differenziale e i semiassi.
È costituito da un corpo centrale e da due bracci laterali che racchiudono i semiassi.
Su autocarri e autobus, in genere, le ruote motrici sono montate sulle estremità dei bracci
del ponte e i semiassi, collegati ai mozzi ruota con flange circolari, hanno il solo compito di
trascinare in rotazione le ruote e sono sollecitati solo a torsione.
Sulle autovetture a trazione posteriore, in genere, i semiassi, sopportati da cuscinetti a
sfere, o a rulli, e sporgenti a sbalzo dalle estremità dei bracci del ponte, sono portanti e solleci-
tati a torsione e a flessione, a causa del peso della ruota motrice collegata.
Negli autoveicoli con motore a trazione posteriore o a trazione anteriore, il moto viene tra-
smesso alle ruote per mezzo di semialberi articolati.
Semiassi e semialberi sono collegati al differenziale e alle ruote motrici mediante giunti
deformabili di vario tipo; le necessarie piccole variazioni di lunghezza sono garantite da appo-
siti accoppiamenti scanalati, scorrevoli assialmente, o da giunti a pattino.
Nelle ruote dotate di sospensioni indipendenti i semiassi, dovendo consentire i moti rela-
tivi fra le ruote e il differenziale, devono essere dotati di giunti snodati, cardanici, omocinetici
o in gomma.

Nella figura K.32 è riportata la vista dal basso del ponte posteriore di un autoveicolo Fiat,
con l’albero di trasmissione del moto. Si nota il corpo centrale che racchiude il gruppo di ridu-
zione e il differenziale e i due bracci laterali che racchiudono i semiassi che trasmettono il
movimento dal differenziale alle ruote motrici.

Albero di trasmissione del moto

Semiassi Gruppo di riduzione e differenziale

Figura K.32 Ponte posteriore, albero di trasmissione e differenziale di autoveicolo Fiat.


IL MOTORE E LE TRAZIONI ALTERNATIVE K-31

5 IL MOTORE E LE TRAZIONI ALTERNATIVE


5.1 Generalità
Il motore è l’organo dell’autoveicolo che ha il compito di fornire l’energia necessaria
all’avanzamento. In coerenza con i principi della termodinamica, l’energia non può essere né
creata né distrutta, ma soltanto trasformata; si pone quindi il problema di trovare quale sia la
fonte primaria di energia migliore da impiegare per la propulsione degli autoveicoli.
Fino a oggi il primato quasi totale spetta al petrolio e ai suoi derivati (benzina e gasolio):
l’energia chimica dei legami molecolari è trasformata in calore, attraverso la combustione, e in
lavoro meccanico, attraverso un cinematismo del tipo biella-manovella. Questo procedimento
ciclico e la struttura particolare di tali motori sono approfonditi nel capitolo “Motori endoter-
mici alternativi” della sezione di Macchine a fluido. Nella tabella K.2 viene riportata la classi-
ficazione dei motori che ottengono energia meccanica dalla trasformazione dell’energia ter-
mica.
Tabella K.2 Classificazione dei motori che utilizzano energia termica
Energia Tipo di Tipo di Caratteristiche Ciclo
Nome
utilizzata combustione macchina funzionali termico
Rotativo Wankel
Accensione comandata Otto
Alternativo a Diesel
Volumetrica Accensione per
pistoni Sabathé
compressione
Testa calda
Interna Orbitale
Turbomotore Brayton
Turbina a gas
Termica Turbogetto
Continua Pulsoreattore
Reattore Autoreattore
Razzo
Rotativo
Volumetrica A vapore Rankine
Esterna Alternativo
A gas Stirling
Continua Turbina a vapore

Tuttavia, dopo anni di incontrastato monopolio, si fa sempre più stringente la necessità


dell’introduzione di energie alternative. Il petrolio infatti è una fonte energetica non rinnova-
bile e, per questo, destinata progressivamente all’esaurimento (con proporzionale aumento dei
prezzi), mentre l’energia solare e quella eolica, per esempio, garantiscono risorse pressoché
illimitate.
Parallelamente concorre la tendenza all’impiego di fonti energetiche “pulite”, in linea con
i principi di salvaguardia dell’ambiente che guidano lo sviluppo di tutte le nuove tecnologie.
Per questi motivi, si stanno sviluppando motori che utilizzano combustibili derivanti dalla
decomposizione delle biomasse o dall’elettrolisi dell’acqua.
Discorso a parte meritano i combustibili gassosi, quali il GPL (gas di petrolio liquefatto) e
il metano, che non richiedono modifiche strutturali ai motori tradizionali e, per questo, non
hanno costi eccessivi. Essi non contengono né idrocarburi aromatici né olefine, pertanto le
emissioni di idrocarburi incombusti risultano meno nocive e consentono livelli inferiori nelle
emissioni di CO2.
I problemi sono costituiti dall’ingombro del serbatoio aggiuntivo, che prende spazio solita-
mente al bagagliaio, e le limitazioni nell’autonomia (solo per il metano), ma il vero freno alla
loro diffusione è la rete di distribuzione scarsa o assente, soprattutto per quanto riguarda il
metano.
K-32 MECCANICA DELL’AUTO

È bene comunque sottolineare che negli ultimi decenni gli sviluppi tecnologici hanno
ridotto notevolmente il livello delle emissioni di inquinanti e che i margini di miglioramento
sono ancora consistenti. I motori diesel e benzina continueranno ancora per decenni a domi-
nare il mercato, ma la dipendenza dal petrolio potrà essere progressivamente allentata.
5.2 La vettura elettrica
I primi modelli di vettura elettrica risalgono alla fase pionieristica dell’automobile e
riscossero subito un discreto successo. Tuttavia, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il
veicolo elettrico rimase escluso dalle commesse belliche e alla ripresa della produzione il gap
prestazionale con i modelli a benzina, in rapido sviluppo, apparve subito impari e decretò la
sconfitta del veicolo elettrico.
In questo periodo si sta assistendo a un nuovo impulso. A causa dell’impatto nullo sulla
qualità dell’aria, la vettura elettrica assume un ruolo interessante in un contesto urbano, con
percorrenze giornaliere limitate e modeste richieste prestazionali.
Per questo motivo sono già impiegate vetture elettriche a sostegno di iniziative sperimen-
tali, quali il car sharing (cioè la condivisione dell’autoveicolo fra più utilizzatori) presso
alcuni comuni e si ritiene che questa soluzione possa prendere piede in maniera sistematica.
L’architettura generale di una vettura elettrica prevede (fig. K.33):
- sistema di carica batterie con alimentazione a 220 V (rete);
- batterie di trazione, suddivise in moduli e distribuite sull’intera lunghezza del veicolo;
- inverter, in grado di trasformare la tensione continua in tensione trifase alternata;
- motore elettrico asincrono trifase, in presa con le ruote posteriori;
- convertitore DC/DC, da 220 a 12 V, per l’alimentazione della batteria di servizio;
- batteria per i servizi di bordo (12 V), che assicura le funzioni di emergenza a batteria scarica.

Figura K.33 Schema a blocchi di una vettura elettrica modello Fiat Seicento Elettra.

I disagi maggiori consistono nei lunghi tempi di ricarica (6-8 ore), a fronte di autonomia
limitata (90-120 km nel ciclo urbano), prestazioni modeste e costi elevati. Inoltre il pacco bat-
terie comporta un peso non indifferente: circa 400 kg per una vettura del segmento inferiore.
Un passo avanti si otterrà con il passaggio, a livello industriale, da batterie al piombo a
ricombinazione di gas, a batterie al nichel e idruri metallici o litio-ioni.
Si ottengono potenze specifiche e autonomie raddoppiate (fino a 180 km), a fronte di un
peso batterie ridotto fino al 60%.
IL MOTORE E LE TRAZIONI ALTERNATIVE K-33

5.3 I veicoli ibridi


Una possibile soluzione alla limitata autonomia dei veicoli elettrici consiste nell’affiancare
un motore termico a quello elettrico, ottenendo un veicolo ibrido.
Sono possibili diverse configurazioni:
- bimodale: sottosistemi separati;
- ibrido serie: i flussi energetici convergono a livello alimentazione;
- ibrido parallelo: i flussi energetici convergono a livello trazione.

Nella tabella K.3 è riportato lo schema delle principali configurazioni che possono avere i
veicoli ibridi, a partire dalle diverse sorgenti di energia e dai diversi sistemi di trazione.
Tabella K.3 Principali configurazioni dei veicoli ibridi
Asse
Tipo di veicolo Sorgenti di energia Sistemi di trazione
movimentato
Batteria ME AP
Bimodale
Combustibile MT F T AA
Batteria
Ibrido serie ME T AA
Combustibile MT G
Batteria ME F
T AA
Combustibile MT F
Ibrido parallelo
Batteria ME F
T AA
Combustibile MT F
ME - Motore elettrico; MT - Motore termico; F - Frizione; G - Generatore; T - Trasmissione;
AP - Asse posteriore; AA - Asse anteriore

Il motore termico può essere utilizzato a regime stazionario (emissioni minime) per azio-
nare l’alternatore, che ricarica le batterie aumentando l’autonomia, oppure intervenire a regimi
elevati, per sviluppare potenza e incrementare l’accelerazione con elevati rendimenti.
Il motore elettrico, che eroga una coppia elevata allo spunto, è utilizzato per la partenza e i
carichi parziali e in frenata funge da generatore, recuperando l’energia cinetica per ricaricare le
batterie.
Questa soluzione, pur affascinante e in fase di sviluppo, difficilmente avrà una diffusione
significativa, a causa soprattutto dei costi non paragonabili a quelli dei motopropulsori tradi-
zionali.
5.4 Le celle a combustibile: l’auto a idrogeno
Le celle a combustibile (fuel cells) sono costituite da due elettrodi separati da un elettrolita.
Esse generano corrente elettrica (e acqua) come prodotto della reazione per via elettrolitica fra
il combustibile idrogeno e il comburente ossigeno (figg. K.34 e K.35).
Mentre l’ossigeno è facilmente attinto dall’aria circostante, l’idrogeno deve essere fornito.
Devono quindi essere predisposti appositi serbatoi, oppure dispositivi, per la sua produzione a
bordo vettura a partire da idrocarburi.
Gli elettrodi normalmente sono in grafite, arricchita con platino o palladio (catalizzatore);
l’elettrolita più diffuso è l’acido perfluorosulfonico (Nefion).
L’idrogeno viene immesso all’anodo, dove si ossida liberando elettroni e, quindi, carican-
dosi positivamente; l’ossigeno viene immesso al catodo, dove acquista elettroni e combinan-
dosi con gli ioni idrogeno, forma acqua.
Si produce pertanto energia elettrica di intensità proporzionale alle quantità di idrogeno e
ossigeno introdotte.
Una singola cella produce una tensione di 0,6-0,8 V; occorre collegare in serie più celle per
raggiungere una potenza di 50 kW, con cui alimentare un motore elettrico asincrono tradizio-
nale, necessario per la movimentazione di un autoveicolo.
K-34 MECCANICA DELL’AUTO

Figura K.34 Cella a combustibile (fuel cell).

Nella figura K.35 è rappresentato uno schema di applicazione delle celle a combustibile
nella trazione di un autoveicolo. Come si può notare lo stoccaggio del combustibile idrogeno
richiede un adeguato trattamento che finisce per incidere sull’economicità di questa soluzione
energetica, applicata nel settore auto.
Inoltre, a livello prestazionale, questa soluzione presenta alcuni limiti nel rispondere pron-
tamente alle improvvise esigenze di potenza (in fase di accelerata), richiedendo la presenza di
batterie ausiliarie. Ma i veri freni allo sviluppo industriale dell’utilizzo delle celle a combusti-
bile nella trazione automobilistica, sono ancora gli alti costi di produzione e, soprattutto, le
grandi difficoltà nello stoccaggio sicuro, a bordo vettura e in rete, dell’idrogeno.

Figura K.35 Applicazione delle celle a combustibile nella trazione dell’autoveicolo.

6 EQUIPAGGIAMENTO ELETTRICO E ACCESSORI


L’impianto elettrico a bordo vettura comprende:
- generatore di corrente, per la ricarica della batteria;
- batteria di accumulatori;
- motorino di avviamento;
- sistema di accensione (vedi motori endotermici alternativi, sezione Macchine a fluido);
- dispositivi di illuminazione, segnalazione, controllo e accessori;
- cavi, valvole fusibili, interruttori, scatole di derivazione, commutatori, deviatori.
EQUIPAGGIAMENTO ELETTRICO E ACCESSORI K-35

La tensione nominale dell’impianto è solitamente di 12 V sulle autovetture e di 24 V su


autocarri pesanti e autobus, ma si prevede un aumento a 24-36 V su tutti i mezzi.
I circuiti elettrici a bordo vettura sono in genere protetti da fusibili e sono riferiti a massa,
attraverso lo chassis del veicolo (scocca metallica).

6.1 Generatore di corrente


Il generatore di corrente ha il compito di mantenere carica la batteria durante l’esercizio.
È applicato sul motore, azionato mediante cinghia trapezoidale, collegato con un regolatore di
tensione che mantiene costante la tensione stessa, qualunque sia la velocità di rotazione.
L’impianto di ricarica prevede due possibili soluzioni per la generazione di corrente:
dinamo e alternatore.
Impianto di ricarica con dinamo
Lo schema costruttivo prevede:
- dinamo;
- regolatore di tensione;
- limitatore di corrente;
- interruttore di minima;
- lampadina spia.

La dinamo è un generatore rotante di corrente continua (fig. K.36).

Avvolgimento indotto Indotto Terminale di massa Collettore


Attacco Morsetto
Supporto tendi Bobina d'eccitazione Supporto
cinghia di campo

Cuscinetto Morsetto
Alberino Attacco
portapuleggia contagiri

Bronzina

Tappo
Porta oliatore
Staffa spazzola
Staffa
oscillante Carcassa Spazzola
oscillante
Espansione polare Molla premi spazzola

Figura K.36 Nomenclatura della dinamo.


K-36 MECCANICA DELL’AUTO

È costituita da un induttore che produce il campo magnetico e da un indotto in cui si pro-


duce la corrente. La rotazione dell’avvolgimento indotto nel campo magnetico induttore fisso
sviluppa una forza elettromotrice (f.e.m.) alternata che viene, in seguito, convertita in f.e.m.
continua nel collettore, su cui strisciano le spazzole di grafite (o carbone) che garantiscono il
collegamento elettrico fra i circuiti indotto, induttore ed esterno.
Il regolatore di tensione, elettromeccanico o elettronico, ha la funzione di mantenere la
tensione della dinamo entro limiti convenienti nelle diverse condizioni di funzionamento.
Il limitatore di corrente è un regolatore a contatti, con lo scopo di mantenere il valore della
corrente erogata dalla dinamo, entro un limite massimo prestabilito.
L’interruttore di minima è un interruttore elettromagnetico che chiude il circuito fra
dinamo e batteria quando la tensione della dinamo è superiore a quella della batteria, consen-
tendo la ricarica di quest’ultima, e lo interrompe in caso contrario, evitando che la batteria si
scarichi sulla dinamo.
La lampadina spia si accende quando la dinamo, per una causa qualsiasi, non carica la bat-
teria.
Impianto di ricarica con alternatore
Tale impianto è costituito essenzialmente da:
- alternatore con ponte raddrizzatore;
- regolatore di tensione;
- dispositivo segnacarica.

L’alternatore è un generatore rotante di corrente alternata. Gli autoveicoli, in genere, mon-


tano alternatori trifasi con indotto fisso (statore) e induttore rotante (rotore). Lo statore è costi-
tuito da un pacco lamellare, di forma tubolare, con cave interne, entro le quali è sistemato
l’avvolgimento indotto.
Il rotore può essere a poli salienti, con 4 poli e bobine collegate in serie, avvolte sui nuclei
dei poli, o a circuito di Lundell, con giranti polari contrapposte e compenetrate e un’unica
bobina di forma anulare.
Le estremità dell’avvolgimento induttore sono collegate a due anelli collettori, fissati
sull’albero del rotore, sui quali strisciano due spazzole.
La corrente alternata prodotta deve essere opportunamente “raddrizzata”; nella figura K.37
lo schema di ricarica rappresenta un alternatore con ponte raddrizzatore.

Figura K.37 Schema impianto di ricarica con alternatore (Fiat).


EQUIPAGGIAMENTO ELETTRICO E ACCESSORI K-37

Il regolatore di tensione, di tipo elettromeccanico, ha la funzione di mantenere la tensione


entro limiti convenienti, nelle diverse condizioni di funzionamento.
Il dispositivo segnacarica è utile per evidenziare eventuali disfunzioni del generatore o del
regolatore.

6.2 Batteria di accumulatori


Per l’alimentazione dell’impianto elettrico degli autoveicoli si usano batterie di accumula-
tori al piombo, ideate da Planté nel 1859, in seguito perfezionate da Faure nel 1881 che riuscì
ad aumentarne il rendimento, le prestazioni e la durata.
Tali batterie di accumulatori sono composte in genere da 6 elementi, sistemati in un conte-
nitore isolante. Ciascun elemento è formato da piastre positive, in perossido di piombo (PbO2),
e piastre negative, in piombo metallico puro (Pb) allo stato spugnoso, disposte alternativa-
mente e immerse in una soluzione di acido solforico (H2SO4 - elettrolita) in acqua distillata.
Fra le piastre sono inseriti separatori porosi, per evitare corto circuito.
Ogni singolo elemento costituito da due elettrodi immersi nella soluzione elettrolitica è in
grado di fornire una tensione nominale di circa 2,2 volt. Se tra il polo positivo e quello nega-
tivo viene chiuso un circuito esterno, a causa dell’azione chimica che la soluzione elettrolitica
svolge nei confronti del materiale attivo, si ha un passaggio di corrente, per cui l’energia chi-
mica viene ritrasformata in energia elettrica. In questo caso si dice che la batteria è sotto sca-
rica.
Collegando in serie i diversi elementi (polo positivo con successivo polo negativo) si
ottiene la tensione di batteria, pari a 12 V. Per veicoli con tensione nominale di 24 o 36 V, si
provvede a collegare in serie più batterie. I poli esterni della batteria, esenti dal collegamento
in serie, vengono collegati, tramite appositi morsetti, al cavo che porta corrente agli utilizzatori
(polo positivo, colore rosso) e alla massa sulla scocca della vettura (polo negativo, colore
nero).
All’inizio del’era dell’automobile, l’impianto elettrico era limitato esclusivamente al cir-
cuito di accensione; verso il 1912, il sistema di messa in moto a manovella venne sostituito dal
disposito elettrico di avviamento (motorino).
Dopo questo primo passo l’elettrificazione dell’autoveicolo subì un notevole sviluppo: ali-
mentazione dei fari, delle luci di posizione e dell’avvisatore acustico (clacson).
Da tempo si sta sperimentando la possibilità di realizzare piccole autovetture funzionanti
esclusivamente con l’energia elettrica, fornita da batterie di accumuilatori. Si tratta, natural-
mente, di veicoli con prestazioni limitate, per la circolazione i città su brevi percorsi, propor-
zionati alla capacità di immagazzinamento di energia elettrica degli accumulatori e al consumo
del motore elettrico.
La capacità della batteria è la quantità di elettricità, misurata in ampere-ora [Ah], che può
essere fornita al circuito esterno durante la scarica e dipende dalla dimensione e dal numero di
piastre, dalla densità del liquido e dalle condizioni di uso e manutenzione della batteria.
È molto importante un dimensionamento della capacità coerente con le esigenze degli uti-
lizzatori, tenendo conto del fatto che la capacità diminuisce sensibilmente con l’abbassarsi
della temperatura e l’aumentare dell’intensità di corrente, condizioni critiche che si ritrovano
facilmente nell’operazione di avviamento a freddo.

6.3 Motorino di avviamento


Il motorino di avviamento è un motore elettrico a corrente continua, che ha la funzione di
imprimere al motore la velocità di rotazione iniziale, necessaria all’avviamento, per il regolare
svolgimento dei primi cicli operativi (80-130 rpm per motori benzina; circa 200 rpm per i
motori diesel).
Essi sono dotati di un avvolgimento di eccitazione, posto in serie con l’avvolgimento
dell’indotto, e di un dispositivo di innesto per l’ingranamento del pignone calettato sull’albero
dell’indotto con la corona dentata del volano motore (fig. K.38).
K-38 MECCANICA DELL’AUTO

Solenoide Interruttore
Contatti
principali

Indotto
Spazzole

Pignone

Ruota libera
Forcella d'innesto Elica di richiamo Collettore

Figura K.38 Motorino di avviamento.

Il rapporto di trasmissione fra pignone e corona è compreso fra 1/8 e 1/15. Il dispositivo di
innesto può essere di vario tipo:
- a inerzia: all’avviamento il pignone si sposta per inerzia lungo una filettatura a passo rapido
per poi riavvitarsi in senso contrario quando la corona ruota a una velocità superiore a quella
dell’albero indotto;
- a comando meccanico: il pignone si sposta per effetto di una leva (a mano o a pedale), che
vince la resistenza di una molla e provoca la chiusura dell’interruttore per la messa in moto
del motorino;
- a comando elettromagnetico: lo spostamento del solo pignone o del complesso indottopi-
gnone avviene per mezzo di un’elettrocalamita.

6.4 Dispositivi di illuminazione, segnalazione, controllo e accessori


Tutti gli autoveicoli sono dotati di impianto di illuminazione, segnalazione e diversi dispo-
sitivi di controllo, comando e accessori di tipo elettrico, elettromagnetico o meccanico, quali
l’indicatore del livello benzina, il tergicristallo, l’avvisatore acustico, gli elettroventilatori, gli
sbrinatori, il tachimetro-contachilometri, il termometro, l’orologio, l’accendisigari ecc.
Proiettori
I proiettori sono costituiti da un corpo e da un gruppo ottico, che comprende:
- riflettore parabolico, che riflette i raggi luminosi creando un fascio di raggi paralleli;
- lampadina a due filamenti per il fascio anabbagliante (filamento spostato in avanti e parzial-
mente schermato, fascio deviato verso il basso) e abbagliante (filamento nel fuoco);
- cristallo anteriore, con scanalature per la diffusione laterale del fascio luminoso.
EQUIPAGGIAMENTO ELETTRICO E ACCESSORI K-39

Lampeggiatore
Lo schema elettrico del lampeggiatore è riportato nella figura K.39.

Figura K.39 Schema elettrico del lampeggiatore (Fiat).

Il lampeggiatore ha la funzione di provocare il lampeggio automatico degli indicatori di


direzione, con la frequenza prescritta. Esso è costituito da un’elettrocalamita ottenuta con degli
avvolgimenti, due ancore, una principale Ap e una ausiliaria A1, una resistenza addizionale R e
un filo dilatabile f.
Le lampadine F sono gli indicatori di direzione e la S funge da spia ripetitrice.
Lo spostamento della leva di comando chiude uno dei due circuiti di segnalazione, provo-
cando la chiusura e l’apertura a intermittenza del contatto dell’ancora principale e quindi
l’accensione e lo spegnimento delle lampadine corrispondenti. L’ancora ausiliaria ha il com-
pito di chiudere e aprire il circuito della lampadina spia di controllo, situata a bordo vettura.
Indicatore livello carburante
Tale indicatore è costituito da un galleggiante situato nel serbatoio, collegato con un
sistema di leve al contatto scorrevole di un reostato, e da uno strumento di controllo sul cru-
scotto.
Lo spostamento del galleggiante sposta il contatto mobile del reostato, variando il valore
della resistenza del circuito elettrico dell’indicatore proporzionalmente al livello del carbu-
rante. È previsto un livello di riserva, in cui si verifica la chiusura dei contatti per l’accensione
dell’apposita spia.
Tergicristallo
Il tergicristallo è costituito da uno o due tergitori con spatole di gomma azionati da un
motorino elettrico. Un manovellismo trasforma il moto rotatorio del motorino in quello alter-
nativo dei tergitori, mentre la riduzione del numero di giri è ottenuta per mezzo di appositi
ingranaggi. È solitamente presente anche un dispositivo automatico per l’arresto dei tergitori in
posizione orizzontale.
K-40 MECCANICA DELL’AUTO

Avvisatori acustici
Si usano normalmente avvisatori a membrana, la cui vibrazione (e il conseguente suono) è
provocata da un elettromagnete (avvisatori elettrici) o da un dispositivo ad aria compressa
(avvisatori pneumatici).

7 TRAZIONE STRADALE
7.1 Aderenza
I veicoli stradali sono definiti ad aderenza naturale, in quanto le forze attive si trasmettono
al terreno attraverso gli stessi organi di rotolamento (le ruote) che ne trasmettono il peso.
La stabilità della marcia in aderenza longitudinale è assicurata se per tutte le ruote motrici
è verificata la relazione:
F f ≤ F zi µ xi

dove:
- Ff = sforzo motore alla periferia della ruota motrice i-esima;
- Fzi = forza verticale di contatto sul terreno della ruota motrice i-esima;
- µxi = coefficiente di aderenza pneumatico-suolo.

Il prodotto Fz · µx è chiamato aderenza e il coefficiente µx è influenzato dalle condizioni


del terreno, dalla forma del battistrada e dalla pressione di gonfiamento.
I valori del coefficiente µx sono riportati nella tabella K.4, riferiti al terreno liscio o ruvido
costituito da asfalto o cemento.
Con dispositivi speciali (catene, cingoli, palette e puntoni di aderenza) si può, per il coeffi-
ciente µx, raggiungere e superare l’unità.

Tabella K.4 Valori del coefficiente di aderenza µx fra pneumatico e suolo


Condizioni Condizioni del terreno
del suolo Asciutto Molto bagnato Fangoso o sporco Ghiacciato o oleato
Liscio 0,60 ÷ 0,70 0,50 ÷ 0,55 0,30 ÷ 0,35 0,15 ÷ 0,20
Ruvido 0,75 ÷ 0,85 0,60 ÷ 0,65 0,35 ÷ 0,40 0,20 ÷ 0,25

La stabilità della marcia in aderenza può essere compromessa, a parità di µx, da una ridu-
zione di Fz, in conseguenza di:
- variazioni di assetto del veicolo, per cause esterne (irregolarità della via) o per cause interne;
- azioni aerodinamiche;
- accelerazioni verticali in velocità.
In particolare queste ultime sono responsabili, insieme ai difetti verticali della superficie
stradale, del peggioramento delle condizioni di aderenza con la velocità.
Lo sforzo motore alla periferia della ruota motrice Ff può intervenire ugualmente a modifi-
care le condizioni di stabilità in presenza di squilibri, anche momentanei, nella ripartizione
dello sforzo F, somma di tutte gli sforzi Ff sulle singole ruote motrici:

F = ∑ Ff
7.2 Resistenze al moto
Un veicolo è soggetto a due ordini di forze nella direzione del percorso: le forze attive, o di
trazione, e quelle passive, o resistenze.
TRAZIONE STRADALE K-41

Per lo studio di un autoveicolo si utilizza la seguente equazione:


dV
T = R + M e -------
dt
dove:
- Me = massa equivalente, che tiene conto dell’inerzia delle masse rotanti [kg];
- dV/dt = accelerazione del moto [m/s2];
- R = somma delle resistenze al moto [N].
Le più significative forze che si oppongono al moto sono rappresentate nella figura K.40 e,
di seguito, prese in considerazione.

Figura K.40 Forze resistenti all’avanzamento del moto di un autoveicolo.


1. Resistenza dovuta alla pendenza stradale Rp: è data dalla componente nella direzione del
moto della forza peso:
R p = P ⋅ sin α
in cui:
- α = angolo di inclinazione stradale;
- P = forza peso, espressa in newton.

2. Resistenza al rotolamento degli pneumatici Rr: dipende dalla massa del veicolo, dalla pen-
denza e dal coefficiente di rotolamento, funzione a sua volta delle caratteristiche del suolo e
del pneumatico (isteresi, superficie di contatto, gonfiaggio):
R r = f r ⋅ P ⋅ cos α
in cui:
- fr = coefficiente di attrito di rotolamento. Valori di riferimento per pneumatici radiali
variano da 0,008 a 0,01 (ovvero resistenza da 8 a 10 daN per ogni 1000 daN di carico del
veicolo; anche indicato come 8 kg/t).

3. Resistenza aerodinamica Ra: fortemente dipendente dalla forma del veicolo:


1
R a = --- ρ ⋅ V 2 ⋅ C x ⋅ S
2
in cui:
- ρ = densità dell’aria [kg/m3];
- V = velocità istantanea del veicolo rispetto al terreno [m/s];
- Cx = coefficiente di resistenza aerodinamica, da minimizzare in sede di progetto, dipendente
dalla forma del veicolo (vedi tabella K.5);
- S = sezione frontale dell’autoveicolo [m2].
K-42 MECCANICA DELL’AUTO

Nella tabella K.5 sono riportati alcuni valori del coefficiente Cx, della superficie S e del
loro prodotto per alcuni autoveicoli europei.
Tabella K.5 Coefficienti Cx, superfici S e loro prodotto per alcuni autoveicoli europei
Veicoli Cx S Cx S [m2] Veicoli CxS Cx S [m2]
Lancia Y10 0,57 0,33 1,76 Opel Corsa SR 0,61 0,35 1,73
Fiat Uno 0,62 0,34 1,83 VW Polo 0,65 0,38 1,70
Renault 5 0,67 0,37 1,80 Austin Metro 0,67 0,39 1,73
Peugeot 205 0,68 0,39 1,74 Fiat Panda 0,70 0,41 1,70
Citroën Visa 0,70 0,40 1,75 Ford Fiesta 0,73 0,41 1,76
Renault 4 0,90 0,49 1,83 - - - -
Opel Kadett GSi 0,60 0,32 1,88 Peugeot 309 0,64 0,34 1,86
VW Golf GL 0,65 0,34 1,89 Mercedes 190 E 0,65 0,34 1,89
Renault 21 0,66 0,34 1,94 Ford Sierra XR 4i 0,67 0,34 1,98
VW Golf GTI 16V 0,67 0,35 1,91 Citroën BX 0,68 0,36 1,91
VW Jetta CL 0,68 0,36 1,89 VW Passat GL 0,70 0,37 1,90
Fiat Ritmo 0,70 0,37 1,88 - - - -
Opel Omega 0,58 0,28 2,06 Mercedes 200 0,60 0,29 2,07
Audi 100 0,62 0,30 2,05 Renault 25 0,62 0,31 2,03
Ford Scorpio 0,70 0,35 2,02 Fiat Croma 0,70 0,34 2,04
Lancia Thema 0,73 0,36 2,06 Honda Prelude 16V 0,76 0,41 1,84
Alfa 90 0,77 0,40 1,92 Citroen CX 0,78 0,40 1,96
Mitsubishi Galant 0,79 0,40 1,98 - - - -
Ferrari Testarossa 0,61 0,33 1,85 Mercedes 190 E 2,3 0,64 0,33 1,94
Porsche 944 turbo 0,65 0,35 1,89 VW Scirocco 16V 0,68 0,38 1,78
Porsche 911 Carrera 0,68 0,38 1,77 Mitsubishi Starion T 0,69 0,37 1,84
Alfa Romeo GTV 0,71 0,40 1,77 Jaguar XJ-S 0,73 0,40 1,83
Porsche 928 S 0,77 0,39 1,96 Audi Quattro 0,80 0,43 1,86
BMW M 635 CSi 0,80 0,40 2,00 - - - -

La resistenza totale R = Rp + Rr + Ra cresce all’aumentare della velocità, secondo l’anda-


mento riportato nella figura K.41.

Figura K.41 Resistenza totale all’avanzamento dell’autoveicolo in funzione della velocità.


TRAZIONE STRADALE K-43

7.3 Velocità massima, pendenza superabile, riprese e accelerazioni


Le velocità massime sono i massimi valori di velocità raggiungibili nelle singole marce; il
più grande di questi valori è detto velocità massima del veicolo. L’unità di misura normal-
mente usata è il km/h.
Per una certa pendenza, in una certa marcia, la velocità massima si ha quando la potenza
resistente uguaglia quella motrice, sino a quel momento esuberante, o quando il motore rag-
giunge il suo massimo regime.
Si calcola graficamente considerando l’intersezione fra le curve di potenza disponibile e
potenza necessaria su strada piana, come indicato nella figura K.42a.
La pendenza massima superabile con un certo rapporto di trasmissione è ricavata dalle
curve di potenza necessaria, individuando la curva tangente a quella di potenza disponibile,
come si nota nella figura K.42b.
Tale pendenza è superabile solo a una determinata velocità; affinché sia superabile con cer-
tezza, la curva di potenza necessaria Pn deve essere al di sotto di quella della potenza disponi-
bile Pd in un campo di velocità abbastanza ampio e a partire da un valore sufficientemente
basso da permettere l’avviamento.

Figura K.42 Velocità massima raggiungibile e pedenza massima superabile per un veicolo
(fonte: Genta, Levrotto & Bella, Torino).
Le riprese sintetizzano la capacità di aumentare la velocità del veicolo in piano, a partire
da un valore iniziale, senza uso del cambio. Si esprimono in unità di tempo [s] necessario a
percorrere una certa distanza (400 m ÷ 1 km), partendo da una velocità iniziale, oppure per
raggiungere una certa velocità a partire da una velocità iniziale
Le accelerazioni esprimono la capacità di aumentare in piano la velocità del veicolo, con
partenza da fermo e con uso del cambio. Si esprimono in unità di tempo [s] necessario a per-
correre una certa distanza (400 m ÷ 1 km) o per raggiungere una certa velocità (100 km/h).
Calcolo dell’accelerazione istantanea
Tale calcolo è necessario per determinare le accelerazioni e le riprese e si ottiene appli-
cando la prima equazione cardinale della dinamica, scritta in termini di potenza:
ηW d – W r = W es = m at V ⋅ a
in cui:
-η = rendimento meccanico della trasmissione nella marcia impiegata;
- Wd = potenza motrice disponibile [kW];
- ηWd = potenza disponibile alle ruote [kW];
K-44 MECCANICA DELL’AUTO

- Wr = potenza resistente [kW];


- Wes = potenza esuberante [kW];
- V = velocità istantanea del veicolo [m/s];
- a = accelerazione istantanea [m/s2];
- mat = massa apparente traslante [kg].

La massa apparente traslante è un concetto introdotto per tener conto che il veicolo non è
solamente un punto materiale di massa m da accelerare, ma è anche una serie di masse rotanti
che variano nel transitorio la loro energia cinetica.
La massa apparente traslante si ottiene dividendo l’energia cinetica totale del veicolo per il
quadrato della sua velocità di traslazione. Essa è più grande della massa del veicolo e tanto
maggiore quanto più veloci girano le parti rotanti in rapporto alla velocità del veicolo; quindi è
maggiore nei rapporti bassi.
Utilizzando la formula precedente si ottiene, con facilità, il valore dell’accelerazione istan-
tanea a:

W es
a = -----------
-
Vm at
7.4 Spazio di frenatura
Il freno di servizio agisce su tutte le ruote e deve essere proporzionato per portare il vei-
colo al limite della massima aderenza riscontrabile sul terreno. Oltre il limite di aderenza del
terreno le ruote si bloccano, perché la reazione del terreno diminuisce, e perdono la facoltà di
dirigere il veicolo.
Lo spazio di frenatura esprime lo spazio percorso dal veicolo, dal momento in cui viene
toccato il pedale del freno fino a quando il veicolo è fermo. Il valore si riferisce al minimo otte-
nibile, quindi alla massima forza esercitabile sul pedale senza perdere aderenza, e deve essere
riferito a una certa tipologia di manto stradale.
In frenatura, la forza frenante uguaglia la forza di inerzia, trascurando le resistenze al
moto. A sua volta la forza frenante massima Ff uguaglia il peso m · g del veicolo di massa m
per il coefficiente di aderenza longitudinale µx.
Si può quindi scrivere:

Ff = m ⋅ a = m ⋅ g ⋅ µx
da cui si ricava:
a = g ⋅ µx
Si ottiene il lavoro della forza frenante moltiplicando il valore di Ff per lo spazio di arresto
sa; esso è uguale all’energia cinetica iniziale del veicolo, quindi si ha:
1---
m ⋅ V2 = Ff ⋅ sa = m ⋅ g ⋅ µx ⋅ sa
2
Pertanto lo spazio di arresto è dato dalla seguente formula:
V2 -
s a = -----------------
2 g ⋅ µx
ed è funzione quadratica della velocità iniziale.
Se invece si parla di spazio di frenatura sf misurato da quando il pilota ne ravvisa la neces-
sità, occorre tener conto del tempo di riflesso tr del pilota. Esso sarà uguale a:
s f = Vt r + s a
TRAZIONE STRADALE K-45

7.5 Consumi di carburante


Il consumo di carburante di un’autovettura dipende:
- dalla velocità dell’autovettura;
- dal tipo e dalle condizioni del fondo stradale;
- dall’andamento plano-altimetrico della strada;
- dalle condizioni di circolazione (ingombri, carichi, rallentamenti, soste);
- dalle attitudini del guidatore.

Per ottenere il consumo per unità di percorso è necessario conoscere dapprima il consumo
specifico, cioè il consumo ponderale di combustibile nell’unità di tempo, rapportato alla
potenza erogata. Esso viene definito come:
H-
q = ------
ηm
in cui:
- q = consumo specifico [g/kWh];
- H = potere calorifico del combustibile [J/kg];
- ηm = rendimento del motore, influenzato dalla velocità e dalla potenza erogata.

Con opportune misurazioni sperimentali al banco è possibile tracciare il piano quotato,


riportando i valori ottenuti su un diagramma giri motore/pme e congiungendo con linee curve i
punti di uguale consumo. Scelti i rapporti di trasmissione, la velocità del motore è nota, per-
tanto è possibile trovare il punto di funzionamento del motore sul piano quotato.
Si può quindi calcolare il consumo per unità di percorso come:
q ⋅ Pn
Q = ---------------------
-
ηt ⋅ V ⋅ ρf
in cui:
- Q = consumo per unità di percorso [l/100 km]; spesso si riporta il suo reciproco 1/Q [km/l];
- Pn = potenza necessaria al moto [kW];
- ηt = rendimento della trasmissione;
- V = velocità del veicolo [m/s];
- ρf = densità del carburante [kg/m3].

Normalmente più è lungo il rapporto di trasmissione più è ridotto il consumo, dato che una
marcia lunga permette al motore di funzionare a bassa velocità, in condizioni non lontane da
quelle di massima potenza, dove il consumo specifico è basso.

BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Mille ruote - Grande enciclopeda dell’automobile, Editoriale Domus, Milano, 1973.
ADLER U., Prontuario dell’autoveicolo, trad. di Baltimora I., Hoepli, Milano, 1996.
ARIOSI V., La tecnica dell’autoveicolo, Hoepli, Milano, 1989.
GENTA G., Meccanica dell’autoveicolo, Levrotto & Bella, Torino, 2000.
GIACOSA D., Motori endotermici, Hoepli, Milano, 2000.
MORELLI A., Progetto dell’autoveicolo, Celid, Torino, 1999.
LUCCHESI D., Corso di tecnica automobilistica, Hoepli, Milano, 1986.
LUCCHESI D., L’autotelaio, Hoepli, Milano, 1995.
PEDRETTI G., L’automobilista, Hoepli, Milano.
PENSI E., Fondamenti di tecnica automobilistica, Hoepli, Milano, 2003.
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